Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 16 aprile 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha recentemente novellato la normativa relativa alle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, in particolare, il comma 1 del citato articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha sostituito l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
    in base alla precedente normativa, stabilita dal decreto legislativo n. 128 del 2010, era vietato cercare ed estrarre gas o petrolio all'interno di aree marine o costiere protette a qualsiasi titolo, nonché all'esterno di tali aree protette, per 12 miglia marine ancora, mentre, per il solo petrolio, lungo tutta la fascia marina della penisola italiana, entro le cinque miglia dalla costa. Tale divieto riguardava anche i procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, mentre venivano fatti salvi i titoli già rilasciati alla medesima data;
    la principale modifica prevista dal nuovo testo del comma 17 consiste nella fissazione di un'unica e più rigida fascia di rispetto per olio e per gas fino alle dodici miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Rimane immutato, invece, il divieto con riferimento alle attività suddette all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette;
    a fronte di tale disposizione, tuttavia, il nuovo articolo 6 stabilisce che il divieto di cercare ed estrarre idrocarburi non riguardi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Così disponendo, esso fa, dunque, salvi in modo retroattivo i procedimenti autorizzatori già in corso prima del 26 agosto 2010, data di entrata in vigore del decreto legislativo;
    per effetto di tali ultime disposizioni, la possibilità offerta alle compagnie petrolifere di accrescere lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi nelle acque al largo della costa italiana aumenta notevolmente i rischi di contaminazione delle stesse, in particolare lungo la costa adriatica, destando forti preoccupazioni nelle comunità locali;
    la consapevolezza dei rischi e delle conseguenze ambientali che ricadrebbero sul Mediterraneo, date le sue caratteristiche, nel caso di contaminazione dell'ambiente marino, induce a considerare con estrema prudenza lo svolgimento di attività di ricerca, esplorazione e coltivazione di idrocarburi a largo delle coste del nostro Paese;
    tali considerazioni sono ancora più rilevanti se queste attività vengono svolte in aree protette istituite o da istituire come nel caso del Parco della Costa teatina previsto dall'articolo 8, comma 3, della legge 8 marzo 2001, n. 93;
    la coltivazione del giacimento di idrocarburi nella zona Ombrina Mare, che in base alla pregressa normativa rientrava tra le attività vietate poiché l'area di progetto si trovava a circa 6,5 chilometri dalla costa, in virtù della nuova normativa può essere praticata perché riferita ad un procedimento concessorio in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 128/2010;
    nel caso specifico, si rileva, tuttavia, che nel parere sulla VIA-VAS, non risulta pervenuto alcun parere da parte della regione Abruzzo mentre la regione afferma che non è mai arrivata a destinazione la missiva nella quale si chiedeva l'espressione di un parere dell'ente sul progetto di coltivazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per modificare la normativa relativa alle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, ripristinando il divieto nello spazio di 12 miglia dalla costa per i procedimenti in corso alla data entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, per evitare che si creino situazioni che ne disattendano la finalità, cioè la garanzia di maggiore rigore nella tutela ambientale, e per rendere le disposizioni chiare, certe e applicabili, in condizioni di equità, a tutti i soggetti che operano nel settore della ricerca, prospezione e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
   a sospendere e poi revocare il procedimento di autorizzazione relativo alla zona interessata alle perforazioni di Ombrina Mare di cui in premessa che risulta secondo i firmatari del presente atto di indirizzo viziato per mancanza, a causa di omissione o negligenza, di un elemento fondamentale di perfezionamento;
   a definire con urgenza la perimetrazione del parco della Costa Teatina prevista dall'articolo 8, comma 3, della legge 8 marzo 2001, n. 93.
(1-00016) «Legnini, Amato, Ginoble, D'Incecco, Castricone, Leva, Venittelli, Manzi, Lodolini, Mariastella Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    la tutela e la sicurezza del territorio italiano, unitamente alla tutela delle acque, rappresentano un interesse prioritario della collettività; il suolo è una risorsa ambientale non riproducibile, la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio;
    la fragilità del territorio italiano è documentata e sempre più evidente: i dati forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sul finire della passata legislatura classificano circa il 10 per cento del territorio nazionale ad elevata criticità idrogeologica, ossia a rischio di alluvioni, frane e valanghe; i due terzi delle aree esposte a rischio riguardano i centri urbani, le infrastrutture e le aree produttive; più in generale e con diversa intensità, il rischio di frane e alluvioni riguarda tutto il territorio nazionale: l'89 per cento dei comuni è soggetto a rischio idrogeologico e 5,8 milioni di italiani vivono sotto tale minaccia;
    alla particolare conformazione geologica del territorio italiano, alla fragile e mutevole natura dei suoli che lo compongono ed all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme, non è stata contrapposta una tutela specifica dalla forte pressione antropica che si registra nel nostro Paese: l'Italia è, infatti, un Paese fortemente antropizzato, con una densità media pari a 189 abitanti per chilometro quadrato, assai superiore alla media dell'Europa pari a 118 abitanti per chilometro quadrato e con fortissime sperequazioni nella distribuzione territoriale;
    secondo i dati Istat, il trend del consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi impressionanti, pari a 244.000 ettari all'anno di suolo divorato da cemento ed asfalto; si è assistito, negli ultimi decenni, ad una crescita continua dell'urbanizzazione, al diffondersi di una cementificazione spesso incontrollata, all'artificializzazione di corsi d'acqua minori, fiumare e canali e alla sottrazione di aree libere, agricole e boschive, quali presidi per la tenuta del territorio italiano, di cui si paga un prezzo altissimo ogni qualvolta, sul nostro Paese, si abbattono piogge particolarmente intense;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale da parte degli stessi enti preposti alla gestione del territorio ed il ricorso improprio agli oneri di urbanizzazione quale fonte prioritaria di finanziamento per i bilanci comunali, hanno spesso privato il «bene suolo» del suo valore pubblico, riducendolo ad un mero serbatoio da cui attingere risorse;
    la pratica dell'abusivismo, le continue deroghe alla normativa urbanistica e le ricorrenti politiche di condono edilizio, hanno minato la creazione di una cultura diffusa in materia di sicurezza del territorio, di rispetto delle regole e di salvaguardia del suolo come risorsa per le generazioni future;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale unita a una cementificazione incontrollata ha prodotto una rilevante perdita di terreni per la produzione agricola che, insieme alla desertificazione e all'improduttività dei suoli, sono fattori di rischio per gli equilibri ambientali;
    gli eventi alluvionali che hanno colpito anche in queste ultime settimane i territori dell'Emilia Romagna e della Liguria, e ripetutamente nei mesi passati anche la Toscana, le Marche, il Veneto, la Campania, la Sicilia dimostrano quanto il problema del dissesto idrogeologico non sia più catalogabile nella logica dell'emergenza, per la frequenza degli eventi e per la gravità delle ricadute prodotte sui sistemi territoriali coinvolti;
    ciò nonostante nella gestione delle risorse pubbliche per la tutela dell'ambiente si evidenzia un deficit di pianificazione e programmazione con una spesa improduttiva e molte volte dirottata su altre finalità; uno studio dell'Associazione artigiani e piccole imprese Mestre (Cgia) ha indicato che solo l'1,1 per cento delle imposte «ecologiche» sull'energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, pagate dai cittadini allo Stato e agli enti locali, è destinato alla protezione dell'ambiente; il 98,9 per cento va a coprire altre voci di spesa;
    più in generale, occorre sottolineare come la politica di tutela del territorio continua a destinare la gran parte delle risorse disponibili, che restano comunque scarse, all'emergenza, anziché ad una effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, che è l'unico modo per prevenire danni economici e perdite di vite umane inaccettabili; ad esempio, a fronte di un finanziamento della legge n. 183 del 1989 per la difesa «strutturale» del suolo, pari a soli 2 miliardi di euro negli ultimi 20 anni, sono stati spesi ben 213 miliardi di euro per arginare le mille emergenze che si sono verificate: 161 miliardi di euro per coprire i danni provocati dai terremoti e 52 miliardi di euro per riparare i disastri derivanti dal dissesto idrogeologico. Tra il 1999 ed il 2008, inoltre, sono stati spesi 58 miliardi di euro per la difesa del suolo, la riduzione dell'inquinamento e l'assetto idrogeologico, ma di questi oltre il 50 per cento è stato assorbito dalle spese di parte corrente e solo 26 miliardi di euro sono stati destinati ad investimenti per la prevenzione dei rischi;
    gli stanziamenti ordinari riguardanti la difesa del suolo e il rischio idrogeologico, iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni, indicano pesanti riduzioni di risorse, facendo venir meno la certezza di poter disporre delle risorse necessarie a politiche di prevenzione, che hanno bisogno di continuità per poter essere efficaci e registrando, nei fatti, uno spostamento delle modalità di finanziamento che privilegia una gestione straordinaria, mediante strumenti che non sempre hanno prodotto risultati soddisfacenti;
    il piano straordinario per la prevenzione del rischio idrogeologico, previsto dalla legge finanziaria per il 2010, che aveva assegnato per interventi straordinari al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fondi per 1 miliardo di euro a valere sulle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, non ha mai prodotto i risultati attesi; i suddetti fondi destinati a finanziare gli accordi di programma sottoscritti con le regioni, che concorrevano con 954 milioni di euro a valere sulla quota regionale del fondo per le aree sottoutilizzate, per la realizzazione degli interventi prioritari di prevenzione, sono stati prima ridotti di oltre 200 milioni di euro per far fronte ai danni provocati da alcune calamità naturali e poi, di fatto, azzerati dai tagli di bilancio voluti, soprattutto con il decreto legge n. 138 del 2011, dal Governo Berlusconi e dal Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Giulio Tremonti;
    la situazione determinatasi per effetto della mancata attuazione del piano straordinario contro il dissesto idrogeologico è risultata talmente grave da «costringere» il Governo Monti ad adottare tre apposite delibere del Cipe, la prima (n. 8 del 2012) allo scopo di individuare fra gli interventi di rilevanza strategica regionale quelli per la mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma già sottoscritti fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni del Mezzogiorno, con conseguente assegnazione di complessivi 680 milioni di euro; la seconda (la n. 6 del 2012) per lo stanziamento di 130 milioni di euro, anch'essi per interventi diretti a fronteggiare i fenomeni di dissesto idrogeologico in alcune aree delle regioni del Centro-nord; la terza (la n. 87 del 2012) per l'assegnazione di ulteriori 1.060 milioni di euro, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il finanziamento di interventi per la manutenzione straordinaria del territorio nelle regioni del Mezzogiorno;
    in ogni caso, comunque, ancora prima dell'individuazione di nuove risorse economiche, occorre mettere mano con decisione all'infrastrutturazione istituzionale nel campo delle politiche per la difesa del suolo. La maggiore criticità oggi riscontrabile è, infatti, dovuta al mancato completamento del riassetto della governance e da una frammentazione e sovrapposizione di competenze: soggetti e strumenti che appesantiscono, rendendolo meno efficiente, a volte paralizzandolo, il sistema di pianificazione, programmazione, gestione e monitoraggio degli interventi;
    a livello nazionale si sconta, a tutt'oggi, la mancanza di una regia unitaria delle azioni di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica; l'adeguamento alle normative comunitarie – direttiva n. 2000/60/CE sulle acque ed alluvioni – avrebbe necessariamente richiesto la definizione di ruoli e competenze che sono ancora confuse tra livelli distrettuali e regionali, con l'effetto di non rendere riconoscibile la catena delle responsabilità; l'attuale revisione dei livelli istituzionali e la diversa attribuzione di funzioni in materia di pianificazione territoriale di scala vasta e di tutela delle risorse ambientali rischiano, peraltro, di creare nuove criticità;
    il sistema di gestione proposto per la difesa del suolo, la tutela delle acque e i servizi idrici è di tipo spiccatamente centralistico, incapace di coordinare sinergicamente competenze, ruoli, responsabilità e poteri decisionali delle istituzioni interessate e di armonizzare contenuti, modalità di approvazione, attuazione ed aggiornamento dei diversi strumenti di pianificazione; l'istituzione delle otto autorità di bacino distrettuali, non ancora operative, alle quali viene attribuita la potestà pianificatoria, trova limiti nella stessa delimitazione territoriale dei distretti approvata, nella loro architettura istituzionale, dovuta ad un eccessivo peso ministeriale e a un conflitto latente con il sistema delle regioni, deleterio per gli organismi che dovrebbero fondarsi sul principio cooperativo tra Stato e regioni a fronte di competenze concorrenti in materia territoriale, e nella stessa operatività economica di tali organismi, a causa delle crescenti difficoltà finanziarie del settore pubblico;
    i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, da predisporre per il raggiungimento degli obiettivi della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE entro il termine di nove anni dalla sua emanazione, sono stati adottati dai comitati istituzionali delle autorità di bacino, ma sono tuttora in attesa di definitiva approvazioni da parte del Consiglio dei ministri (ad oggi il Governo ha approvato solo due schemi di decreto del Presidente del consiglio dei ministri recanti approvazione di piani di gestione distrettuali, quello del distretto idrografico padano e quello del distretto pilota del fiume Serchio), con il risultato di aver prodotto fin qui solo effetti limitativi per i territori interessati, senza aver invece dispiegato le azioni positive in essi previste;
    a livello comunitario, oltre alla direttiva quadro sulle acque n. 2000/60/CE, solo parzialmente attuata con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto codice ambientale), altri importanti atti legislativi comunitari in materia di gestione delle acque e di difesa del suolo sono stati parzialmente assunti e recepiti dal nostro Paese, tra cui la direttiva sulle alluvioni n. 2007/60/Ce, recepita con il decreto legislativo n. 49 del 2010 che, però, mal si integra con il citato codice ambientale;
    tratto fondante del progetto comunitario, a cui dovrebbe ispirarsi l'azione del nostro Paese in materia di difesa del suolo, è il perseguimento di un'azione programmatica non limitata al semplice bilanciamento delle esigenze di sicurezza, di quelle ecologiche ed economiche, ma finalizzata all'obiettivo di un cambiamento del modello di sviluppo, attraverso scelte di destinazione ed uso del territorio. Punti caratterizzanti di tale programma sono la ricostruzione ecologica dei corsi d'acqua, lo sfruttamento dei processi di qualificazione dell'agricoltura come cura e presidio del territorio, l'introduzione dell'analisi economica nei processi decisionali, al fine di realizzare gli interventi che portano maggior beneficio alla collettività piuttosto che favorire la redditività immediata del singolo, l'assunzione, nel quadro degli scenari di cambiamento, anche dei cambiamenti climatici, la promozione di politiche di adattamento piuttosto che il ricorso ad interventi strutturali, la valorizzazione di pratiche di tipo «negoziale-dialogico» e di partecipazione e coinvolgimento del pubblico nella ricerca di scelte condivise;
    la maggior parte degli interventi finalizzati alla difesa del suolo, realizzati in Italia, sono interventi strutturali di difesa passiva, nonostante sia ormai dimostrato che il binomio «dissesto-intervento di difesa del dissesto» può dar luogo a soluzioni localmente soddisfacenti, ma se applicato diffusamente può provocare effetti negativi, non solo perché spesso il rapporto costo/efficacia è sfavorevole, ma anche perché la realizzazione di un intervento a monte può aggravare i pericoli a valle. Al contrario, occorre puntare sulle attività di carattere preventivo, che pongano l'enfasi sul valore delle regole di uso del suolo, sul monitoraggio delle situazioni di rischio e sul grado di conoscenza e consapevolezza delle popolazioni del livello di esposizione al rischio di un territorio;
    anche la gestione delle sempre più frequenti emergenze dovute al dissesto idrogeologico, in capo nel nostro Paese ad un sistema di protezione civile tra i più qualificati al mondo, ha dovuto misurarsi negli ultimi anni con crescenti difficoltà, in primo luogo, a seguito dell'approvazione da parte del Governo Berlusconi del decreto-legge n. 225 del 2010, che aveva introdotto, a carico delle regioni, l'obbligo di attingere a risorse proprie, mediante l'apposizione di addizionali fiscali regionali e l'aumento dell'accisa sulla benzina per i cittadini e le imprese già colpite da eventi calamitosi, per far fronte a situazioni per le quali il Governo avesse dichiarato lo stato di emergenza, con la conseguenza di aggravare una situazione già particolarmente difficile e di paralizzare, a causa dei ricorsi avanzati da alcune regioni davanti alla Corte costituzionale, la tempestività degli interventi diretti a fronteggiare le ricorrenti emergenze;
    l'abrogazione della citata normativa da parte della Corte costituzionale con la sentenza n. 22 del 2012 e la conseguente adozione da parte del Governo Monti delle misure del decreto legge n. 59 del 2012 in materia di protezione civile non hanno però fugato tutti i dubbi degli amministratori locali in ordine al fatto che in caso di calamità naturali gli eventuali interventi di protezione civile messi in atto da organismi statali, in particolare quelli approntati dalle forze armate, non sono posti a carico degli enti territoriali rappresentanti delle popolazioni colpite dalle medesime calamità naturali. Ad aumentare le incertezze e le preoccupazioni degli amministratori locali e a minare l'efficace svolgimento delle attività di protezione civile hanno contribuito negativamente – altra triste eredità della passata legislatura e del Governo Berlusconi – il sostanziale azzeramento del fondo regionale di protezione civile istituito dalla legge finanziaria per il 2001 e così utile in passato a garantire il funzionamento del sistema regionale di protezione civile e la copertura dei danni causati da eventi di pertinenza regionale, nonché il dimezzamento del fondo nazionale per la protezione civile;
    in Italia il mercato assicurativo offre la garanzia per rischi da catastrofi naturali come estensione della garanzia base incendio, ma tale offerta è più diffusa nelle polizze alle imprese e più rara per i privati; occorrerebbe promuovere la diffusione di una moderna cultura che tenga conto del rischio da catastrofi naturali e dei suoi drammatici effetti e costi umani, sociali ed economici, e in tale ottica è da ritenere indispensabile un incisivo intervento dello Stato che affianchi e renda più conveniente e sostenibile per i cittadini i costi di un sistema di copertura assicurativa volontaria degli edifici; andrebbero pertanto incoraggiate forme di trasferimento dei rischi catastrofali sul modello di quanto accade in altri Paesi, quale la Francia, dove vige un regime assicurativo semiobbligatorio che vede lo Stato nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza;
    è quanto mai necessario richiamare ad un nuovo e più incisivo impegno il Parlamento e il Governo, anche alla luce dei deludenti risultati registrati in questi anni e della necessità di individuare soluzioni tempestive ed avanzate per fronteggiare il ripetersi di episodi calamitosi ed emergenziali, sempre più gravi e difficilmente risolvibili esclusivamente con interventi ex post, sempre più costosi e sostanzialmente inefficaci;
    un piano strutturale di messa in sicurezza e di manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua, finalizzato alla riduzione del rischio idrogeologico, rappresenta uno straordinario strumento di rilancio economico e di creazione di occupazione, a partire dalla riattivazione degli investimenti immediatamente cantierabili da parte degli enti locali e quindi da una revisione delle regole del patto di stabilità interno che oggi impediscono la realizzazione di interventi fondamentali sul fronte della prevenzione,

impegna il Governo:

   a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale e di ricorso a nuovi condoni edilizi, salvaguardando la centralità della pianificazione territoriale integrata di scala vasta anche nelle scelte in itinere di ridefinizione dei livelli istituzionali esistenti, privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
    ad adottare politiche, che, contrastando il fenomeno dell'abbandono dei terreni, del disboscamento e, quindi dell'improduttività del terreno stesso, riconoscano il valore strategico dell'agricoltura come presidio del territorio;
    a dare piena attuazione, nell'ambito della propria competenza, ai principi e ai contenuti delle direttive europee in materia di gestione delle risorse idriche e di alluvioni, assumendo le opportune iniziative di natura amministrativa e normativa che possano portare ad una significativa riorganizzazione del sistema di responsabilità e competenze, che elimini sovrapposizioni ed incongruenze del quadro esistente, puntando ad una maggiore cooperazione tra i livelli amministrativi ed il sistema delle competenze tecniche esterne, ad un effettivo coordinamento tra politiche settoriali e territoriali, nonché ad una reale attuazione dei requisiti di partecipazione pubblica attiva e di informazione/educazione al rischio, anche mediante la valorizzazione di esperienze virtuose di programmazione negoziata territoriale, come i contratti di fiume;
    ad adottare iniziative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, al fine di rendere finalmente operative le autorità di bacino distrettuali, secondo una governance che tenga conto delle esigenze di riequilibrio istituzionale sostenute dalle regioni, di una delimitazione più funzionale dei distretti e di un sistema di Governo in grado di riconoscere e valorizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze delle strutture tecniche di bacino esistenti a livello regionale e locale, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
   ad assumere iniziative volte a promuovere, nell'ambito della revisione delle regole del patto di stabilità interno, un piano straordinario di manutenzione diffusa del territorio e dei corsi d'acqua, che coinvolga il sistema delle autonomie locali e che rechi forme di incentivazione della partecipazione attiva della popolazione, anche mediante la sperimentazione di progetti che coinvolgano lavoratori temporaneamente beneficiari di ammortizzatori sociali;
   a promuovere, per quanto di propria competenza, le opportune modifiche normative che garantiscano la possibilità del sistema della protezione civile di operare in modo tempestivo ed efficace nel campo del contrasto ai danni provocati dal dissesto idrogeologico, anche mediante la revisione delle criticità eventualmente riscontrate in sede di applicazione della nuova normativa prevista dal decreto-legge n. 59 del 2012;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre forme di assicurazione da rischi naturali che vedano comunque il coinvolgimento obbligatorio dello Stato anche solo nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza.
(1-00017) «Speranza, Braga, Mariani».


   La Camera,
   premesso che:
    i vertici e i Consigli d'amministrazione di alcune delle principali società pubbliche italiane, quali la Cassa depositi e prestiti, Finmeccanica, Sace, F2i, Ferrovie dello Stato, Ansaldo sts, Invitalia ed Enac sono prossimi alla scadenza;
    la campagna delle nomine è ritmata da un'agenda che vede avvicinarsi appuntamenti importanti quasi in ogni settimana, quindi si profila la possibilità che il Governo dimissionario da quattro mesi abbia un ruolo chiave e tenti un'accelerazione nelle relative nomine;
    le intenzioni del Governo appaiono andare in questa direzione in quanto il Ministro dell'economia e delle finanze ha anticipato al 17 aprile l'assemblea della Cassa depositi e prestiti, che è la società pubblica più importante anche perché ha impiegato il risparmio postale di 233 miliardi di euro per l'acquisto di partecipazioni azionarie dal Ministero dell'economia e delle finanze come Eni, Terna, Sace Fintecna e Snam dall'Eni e per finanziamenti ai comuni e a imprese; al riguardo, il Ministro per i rapporti con il parlamento, Giarda, come da comunicato dell'Ansa del 9 aprile 2013, in sede di Conferenza dei Capigruppo ha riferito che «l'orientamento del Governo» in ordine alle nomine dei vertici delle grandi aziende partecipate dallo Stato siano decise «da un nuovo Esecutivo nella pienezza dei suoi poteri» e, per quanto riguarda il rinnovo delle nomine di Finmeccanica, ha spiegato che il Governo è in condizione di prendere tempo, in quanto l'azienda ha chiesto tempo per la presentazione del bilancio, ciò che consente di spostare di un mese la data dell'assemblea che dovrà approvarlo, mentre per la Cassa depositi e prestiti tale circostanza non si presenterebbe in quanto il bilancio è già pronto;
    la Cassa depositi e prestiti è una società per azioni a controllo pubblico: il Ministero dell'economia e delle finanze detiene l'85 per cento del capitale, il restante 15 per cento è posseduto da un nutrito gruppo di Fondazioni di origine bancaria;
    cassa depositi e prestiti gestisce una parte consistente del risparmio nazionale, il risparmio postale (buoni fruttiferi e libretti), che rappresenta la sua principale fonte di raccolta; inoltre impiega le sue risorse secondo la sua missione istituzionale a sostegno della crescita del Paese ed è da sempre leader nel finanziamento degli investimenti della pubblica amministrazione;
    è catalizzatore dello sviluppo delle infrastrutture;
    è operatore centrale a sostegno dell'economia e del sistema imprenditoriale nazionale;
    è azionista di riferimento del Fondo strategico italiano (FSI) che opera acquisendo quote di imprese di «rilevante interesse nazionale», in equilibrio economico-finanziario e con prospettive significative di redditività e di sviluppo;
    è il principale azionista di ENI Spa. TERNA Spa e SNAM Spa. Possiede il 100 per cento di SACE Spa, il 76 per cento di SIMEST spa, il 100 per cento di FINTECNA Spa;
    è membro promotore del Long-Term Investors’ Club, che raggruppa investitori istituzionali di lungo periodo di tutto il mondo, con l'obiettivo di affermare l'importanza del ruolo degli investimenti di lungo periodo in favore della crescita economica internazionale e della stabilità finanziaria;
    i firmatari del presente atto di indirizzo intendono impegnarsi per una riforma innovatrice di tutta la normativa che disciplina la selezione dei candidati ai vertici delle aziende pubbliche di ogni livello, nazionale, regionale e locale, per fare in modo che essa sia basata su criteri di trasparenza ed evidenza pubblica, a cominciare dai curricula accademici e professionali dei candidati, nonché attraverso procedure di bando di gara, al fine del migliore esercizio del potere di controllo da parte del Parlamento e dei cittadini, in modo che, nel loro insieme, tali principi ed innovazioni contribuiscano alla selezione di personalità competenti, che non versino in situazioni di conflitto di interessi e che possano, con la loro professionalità ed autonomia, operare con l'unico scopo dell'interesse pubblico, senza condizionamenti di sorta;
    le dichiarazioni del Ministro per i rapporti con il parlamento, con le quali informava che «l'attuale esecutivo farà tutto il possibile, compreso portare al rinvio delle assemblee delle società ricorrendo alle norme del codice civile, per non turbare la vita di importanti settori produttivi», rischiano di risultare una mera dichiarazioni di intenti, apprezzabile, ma possibilista ed ipotetica, mentre sarebbe auspicabile un impegno formale al rinvio delle nomine fino all'insediamento di un Governo nella pienezza dei poteri,

impegna il Governo

   a non procedere alle nomine indicate in premessa:
    qualora si intenda dare alle citate nomine, a riferire in Parlamento in ordine ai criteri, alle procedure e alle modalità con le quali, secondo la normativa vigente, le nomine indicate in premessa devono essere effettuate.
(1-00018) «Grillo, Daga, Lombardi, Pesco, Nuti, Nesci, Rizzo, Brescia, Di Battista, Mucci, Fraccaro, Da Villa, Brugnerotto, D'Incà, Spessotto, Benedetti, Colletti, Businarolo, Barbanti, Simone Valente, Toninelli, Pinna, Cecconi, Lupo, Gagnarli, Dell'Orco, De Rosa, Basilio, Della Valle, Cancelleri, Agostinelli, Vacca, Zaccagnini, Di Vita, Ciprini, Dadone, Dieni, Frusone, Mantero, Liuzzi, D'Uva, Furnari, Luigi Gallo».


   La Camera,
   premesso che:
    la Monsanto è una multinazionale americana che, grazie al pressoché indiscusso monopolio delle sementi geneticamente modificate, rappresenta oggi il sinonimo mondiale di organismi geneticamente modificati (OGM). Il 22 aprile 1998 la Monsanto Europe ha ricevuto l'autorizzazione dalla Commissione europea per l'immissione in commercio del mais MON810, che produce la proteina insetticida cryA per l'inclusione del gene del batterio bacillus thuringiensis, ai sensi della direttiva 90/220/CE;
   il MON810 non ha ancora ricevuto il rinnovo dell'autorizzazione ai sensi dalla direttiva CE90/220 abrogata dalla direttiva 18/2001;
   nel luglio del 2004 prima e nel maggio del 2007 poi, la Monsanto ha fatto richiesta di riconoscimento del MON810 come prodotto esistente al momento dell'entrata in vigore del regolamento 1829/2003 che ha sostituito parte della direttiva 2001/18 sull'immissione in commercio di OGM;
   il MON810 è attualmente sul mercato in applicazione dell'articolo 20.4 del suddetto regolamento;
   a tutt'oggi, le uniche piante transgeniche autorizzate alla coltivazione sono il suddetto mais ed una patata (varietà Amflora) prodotta dalla Basf e destinata prevalentemente all'industria cartaria;
   in Italia non esistono coltivazioni di piante transgeniche mentre la commercializzazione dei loro prodotti avviene nel rispetto delle regole che riguardano l'immissione sul mercato di alimenti e mangimi contenenti OGM;
   risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di organismi geneticamente modificati (OGM), estranee all'interesse comune dei cittadini comunitari, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell'Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
   la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integre, ossia non inquinate da organismi geneticamente modificati; le produzioni agricole di qualità che rappresentano il vero valore aggiunto sul mercato alimentare globale;
   nei Paesi sul cui territorio è stata autorizzata la coltivazione degli OGM, nonostante l'adozione dei piani di coesistenza non è stato possibile evitare la contaminazione con varietà tradizionali e colture biologiche;
   questo inquinamento, irreversibile, era previsto già nella direttiva 2001/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001, che per l'emissione deliberata nell'ambiente degli OGM, al 4 punto dei considerando riporta: «gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili»;
   la normativa comunitaria sull'emissione in ambiente di OGM è assai confusa come dimostrato dalla decisione del Consiglio di Stato di Francia ed Italia di ricorrere alla Corte di Giustizia europea per ottenere l'interpretazione su come dirimere cause nazionali riguardanti la coltivazione del summenzionato mais geneticamente modificato;
   nei diversi dossier tecnici prodotti dalle aziende biotech ai fini della loro valutazione da parte dell'Agenzia sulla Sicurezza Alimentare (EFSA) vengono evidenziate differenze statisticamente significative nella composizione biochimica degli OGM rispetto alle varietà di origine, nonché negli effetti sulla salute degli animali oggetto degli studi di tossicità, i quali presentano generalmente alterazioni del sistema enzimatico, epatico e renale;
   l'EFSA ha sin qui giustificato le differenze statisticamente significative di diversi OGM, incluso il MON810, come dovute alla variabilità naturale;
   il MON810 essere usato solo nei mangimi e non per l'alimentazione umana (in quanto autorizzato ai sensi dell'articolo 20 del Regolamento 1829/2003 che si trova nel capo III relativo ai mangimi geneticamente modificati laddove gli OGM per alimenti sono regolamentati al Capo II);
   diversi membri del panel di esperti sugli OGM dell'EFSA sono stati accusati di conflitto di interessi per la loro appartenenza ad aziende con chiari interessi economici nel mercato delle piante transgeniche;
   nonostante la normativa di riferimento si ispiri al principio di precauzione, l'articolo 34 del regolamento 1829/2003 carica la società civile dell'onere della prova definitiva circa la pericolosità degli OGM autorizzati;
   avendo valutato l'urgenza di riavviare con determinazione il percorso per mettere un freno alla possibilità di coltivazioni OGM nel nostro paese e con lo scopo di riportare l'attenzione del Governo sull'urgenza di emanare la cosiddetta clausola di salvaguardia, sancita dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE (come già sollecitato nell'atto 4-00050) relativa al mais geneticamente modificato MON810 che consentirebbe di scongiurare l'eventuale semina da cui potrebbe derivare una contaminazione ambientale irreversibile, una delegazione del Gruppo Parlamentare «Movimento Cinque Stelle» ha incontrato il 28 marzo 2013 il Ministro delle politiche agricole e forestali, Mario Catania e il 3 aprile 2013, i Ministri dell'ambiente e della salute, Corrado Clini e Renato Balduzzi;
   dagli incontri suddetti, anche secondo quanto riportato da numerose agenzia stampa, è emersa la reale disponibilità dei Ministri ad un concreto intervento in questa direzione, in particolare il giorno 4 aprile 2013, il ministro Catania ha dichiarato: «Il ministero della Salute ha dato seguito alla nostra richiesta e al dossier predisposto dal Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA), chiedendo alla Commissione europea la sospensione d'urgenza dell'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais Mon810 in Italia e nel resto dell'Unione europea»;
   è necessario ricordare che la Clausola di Salvaguardia è già stata attuata da Stati membri dell'UE quali Germania, Francia, Austria, Ungheria, Polonia, Grecia e Lussemburgo;

impegna il Governo:

  a mettere in atto tutte le azioni possibili al fine di procedere all'attuazione della clausola di salvaguardia così come previsto dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE;
   a richiedere la sospensione dell'uso del MON810 sino al rilascio di una nuova autorizzazione che risponda pienamente ai requisiti richiesti di dimostrata innocuità nella coltivazione e nell'uso come alimento o mangime;
   a promuovere la ridefinizione, in particolare nelle competenti sedi europee in maniera precisa e puntuale, il concetto di «rilascio in ambiente» per gli OGM che differisce in maniera sostanziale dal concetto di commercializzazione immissione in commercio» e che da questo deve essere efficacemente separato.
(1-00019) «Zaccagnini, Lombardi, Parentela, Benedetti, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Zolezzi, Gallinella, D'Uva, L'Abbate, Brescia, Dieni, Liuzzi, Cozzolino, Villarosa, Cristian Iannuzzi, D'Incà, Segoni, Mannino, Sorial, Spessotto, Fico, Caso, Baldassarre, Cariello, Dadone, Battelli, D'Ambrosio, Tofalo, Terzoni, Del Grosso, Lorefice, Marzana, Crippa, Brugnerotto, Toninelli, Mantero, Micillo, Nesci, Carinelli, Grillo, Cancelleri, Colonnese, Nuti, Di Battista, Sibilia, Grande, Spadoni, Manlio Di Stefano, Ciprini, Cominardi».


   La Camera,
   premesso che:
    è stato presentato dal Ministro della salute lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, datato marzo 2013 ed avente per oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psicofisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 (codice delle assicurazioni private);
    fermo restando che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, spetterebbe al Parlamento la determinazione dei criteri e dei valori per la liquidazione dei danni alla persona attesa la rilevanza costituzionale del bene salute e, quindi, della tutela risarcitoria di questo, sta di fatto che l'articolo 355, comma 2, del codice delle assicurazioni private, stabiliva in 24 mesi il periodo di tempo entro il quale provvedere all'emanazione delle disposizioni di attuazione;
    il ritardo maturato dal Governo nella predisposizione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica a partire da 1o gennaio 2009 denota la scarsa attenzione prestata al tema in questione e alle sue ricadute sociali ed economiche;
    ad ogni modo, nel frattempo il problema relativo all'adozione di criteri uniformi su tutto il territorio nazionale dei risarcimenti delle menomazioni all'integrità psicofisica, comprese tra dieci e cento punti, e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità, è stato risolto dalla Corte di cassazione, che ha stabilito che i parametri per la liquidazione del danno non patrimoniale vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto (Cass. Civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408; Cass. civ. sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2012, n. 7272); con ordinanza del 4 gennaio 2013, n. 134, la sez. VI della Corte di cassazione ha ribadito questo orientamento; sicché non si pone alcuna ragione, in termini di prevedibilità dei risarcimenti, per la tardiva emanazione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica;
    peraltro lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, presentato dal Ministro della salute nel mese di marzo 2013, purtroppo modifica al ribasso i valori risarcitori, che risultano così fortemente inferiori ai valori contenuti nelle tabelle del tribunale di Milano; la conseguenza più immediata del regolamento in esame è sostanziale dimezzamento dei risarcimenti del danno alla persona per sinistro stradale, che subirebbero un calo dal 40 per cento al 50 per cento;
    un giovane di 35 anni, il quale subisca un danno biologico del 50 per cento (perdita totale dell'avambraccio o totale di una mano), sarebbe oggi risarcito, come previsto dalle tabelle milanesi, con un ammontare che va da un minino di 384 mila euro fino ad un massimo (indicativo) di 480 mila euro (compresa la personalizzazione); con le nuove tabelle il risarcimento sarebbe di 222 mila euro, quindi risulterebbe più che dimezzato e costringerebbe la vittima ad affrontare un lungo e incerto contenzioso per tentare di ottenere un maggiore importo;
    una persona di 70 anni, la quale riporti un danno biologico del 70 per cento (amputazione bilaterale di coscia a qualsiasi livello, in rapporto alla possibilità di applicazione di protesi efficace), sarebbe oggi risarcito dalle tabelle milanesi con un ammontare che va da un minimo di 517 mila euro fino a un massimo (sempre indicativo) di 646 mila euro; con le nuove tabelle il risarcimento ammonterebbe a 303mila euro, con il serio rischio che una persona anziana che ha subito un danno gravissimo non riesca a vedere la fine di un eventuale giudizio per ottenere un ristoro più dignitoso;
    più in generale deve evidenziarsi come la svalutazione del danno alla persona, che deriverebbe dall'emanazione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica, risulti confermata dalla combinazione dei seguenti fattori: a) valore base del danno biologico significativamente più basso, nelle tabelle proposte dallo schema di decreto del Presidente della Repubblica, rispetto ai valori ritenuti equi dalla Corte di Cassazione; b) inclusione, da parte della proposta governativa, della liquidazione dei pregiudizi morali e esistenziali entro la personalizzazione del danno biologico, che limitata dall'articolo 138 cod. Ass. Priv. nella misura massima e di dubbia costituzionalità del 30 per cento (nelle tabelle milanesi la misura massima, per le lesioni superiori al 34 per cento di invalidità permanente è del 75 per cento, dunque con uno scarto del 45 per cento che si somma allo scarto già sussistente; tra i valori di base per il danno biologico; nei casi più gravi si perverrebbe ad oltre il 50 per cento di potenziale diminuzione dei risarcimenti);
    tale svalutazione delle liquidazioni del danno alla persona sembra ai firmatari del presente atto di indirizzo configurarsi come un'ingiustificata ed irrazionale discriminazione (in violazione degli articoli 2, 3 e 32 Cost.) tra, da un lato, le vittime di sinistri stradali e, dall'altro lato, i danneggiati da ogni altro tipo di incidente (per esempio: danni da anomalie stradali; infortuni sul lavoro; incidenti sportivi), questi ultimi assoggettati dalla Corte di Cassazione alle tabelle milanesi;
    inoltre, al comma 6 dell'articolo 1 dello schema di decreto del Presidente della Repubblica si prevede l'applicazione retroattiva dei nuovi parametri anche ai giudizi in corso; sennonché questa disposizione si pone in manifesto e insanabile contrasto con il codice delle assicurazioni private che non aveva previsto tale retroattività, in piena conformità al principio generale dell'irretroattività della legge sancito dall'articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale (cfr. del resto già Cass. civ., Sez. III, 13 maggio 2009, n. 11048); la disposizione proposta dallo schema di decreto del Presidente della Repubblica violerebbe gli articoli 76 e 77, primo comma, Cost. e l'articolo 11 delle preleggi, con la conseguenza che essa non sarebbe neppure tale da produrre le certezze auspicate, bensì, all'opposto, una stagione di contrasti giurisprudenziali e di rimessioni alla Corte costituzionale; aggiungasi che tale comma dello schema di decreto del Presidente della Repubblica violerebbe anche le indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nelle pronunce del 6 ottobre 2005 Draon c. Francia e Maurice c. Francia, che espressamente hanno sancito l'irretroattività delle disposizioni che limitino il risarcimento dei danni alla persona per violazione dell'articolo 1 del protocollo 1 della convenzione;
    s'aggiunga infine che il provvedimento potrebbe, per di più, determinare un significativo aggravio per le casse dello Stato dal momento che l'Inail, che oggi anticipa ai danneggiati il risarcimento per gli incidenti stradali lungo il tragitto verso il luogo di lavoro, si ritroverebbe a rice- vere dalle assicurazioni meno di quanto già corrisposto in base alle proprie tabelle,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di regolamento recante la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di cui in premessa;
   ad adottare un provvedimento volto a definire una tabella unica nazionale che utilizzi come criteri di riferimento i valori previsti dalle tabelle del tribunale di Milano.
(1-00020) «Boccuzzi, Bargero, Raciti, Bobba, Carra, Villecco Calipari, Madia, Gribaudo, Rotta, Capozzolo, Bonomo, Zappulla, D'Attorre, Berretta, Benamati, Biondelli, D'ottavio, Mattiello».


   La Camera,
   premesso che:
    il 20 marzo 2013 l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha aggiornato i valori per la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita-grave lesione del rapporto parentale;
    gli importi sono stati adeguati all'aumento del costo della vita sulla base degli indici ISTAT nel periodo gennaio 2011-gennaio 2013, con conseguente incremento del 5,65 per cento rispetto ai parametri precedentemente in vigore;
    la Corte di cassazione, a sezioni unite, con sentenza n. 12408/2011, ha introdotto il principio della necessità di applicare su tutto il territorio nazionale un unico criterio di liquidazione affermando che quell'unico criterio era rappresentato dalle cosiddette «Tabelle di Milano»;
    la medesima sentenza ha altresì affermato che le predette tabelle milanesi «costituiranno d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi “equo”»;
    il Governo sta procedendo in queste settimane (marzo 2013) all'approvazione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica riferito alla «tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209»;
    da una prima lettura della tabella formulata dal Governo emerge che la liquidazione monetaria delle menomazioni all'integrità psico-fisica ivi previsti è notevolmente più bassa rispetto alle cosiddette tabelle di Milano, arrivando addirittura a prevedersi una decurtazione del 60 per cento delle predette liquidazioni;
    già la tabella relativa alle menomazioni di lieve entità emanata ai sensi dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private risulta essere molto più bassa di quella prevista dalle tabelle di Milano;
    da ultimo il cosiddetto decreto Balduzzi, decreto-legge n. 158 del 2012, ha già allargato, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo illegittimamente, la sfera di applicazione della tabella ex articolo 138 del codice delle assicurazioni private alle menomazioni causate da responsabilità medica, e per l'effetto ha tagliato la misura dei risarcimenti a tutt'oggi riconoscibili, con evidenti effetti dissuasivi all'incardinamento del contenzioso giudiziale e con una palese lesione degli articoli 24 e 32 della Costituzione;
    quindi, qualora venisse applicata questa nuova tabella, pazienti e soggetti che hanno subìto delle gravi menomazioni non avranno più la tutela accordata dagli articoli 24 e 32 della Costituzione relativi alla tutela del diritto inviolabile alla salute ed al pieno risarcimento del danno;
    l'illegittimità costituzionale di cui si parla è fortemente aggravata da un quadro risarcitorio generale palesemente in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, dato che, in Italia, il medesimo danno finisce con l'essere ingiustamente ed immotivatamente risarcito in maniera differente a seconda della fonte del danno stesso;
    dallo schema di decreto allo studio del Governo (Governo ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo poco «tecnico» ed assai «politico», soprattutto quando si parla di banche e finanza) emerge con preoccupante chiarezza il tentativo di favorire le lobbies delle Assicurazioni; quelle stesse lobbies che, da sempre, lavorano alacremente assieme ai Governi per vedere tutelate le loro posizioni in spregio dei diritti dei consumatori e dei cittadini;

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto concernente la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di chi in premessa, in quanto lesiva, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, degli articoli 24 e 32 della Costituzione relativi alla tutela del diritto inviolabile alla salute ed al pieno risarcimento del danno;
   ad orientare la propria attività politica, nell'ambito della liquidazione del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale comportante lesioni dell'integrità fisica medicalmente accertabili, ai fini di una imprescindibile omogeneità dell'intero quadro risarcitorio, nella direzione di un'ottemperanza della Tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità approvata dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano nel marzo 2013 e delle sue relative successive modifiche.
(1-00021) «Colletti, Agostinelli, Nesci, Vacca, Zaccagnini, Di Vita, Ciprini, D'Incà, Dadone, D'Uva, Frusone, Mantero, Rostellato».


   La Camera,
   premesso che:
    con i suoi 12 anni di coinvolgimento diretto del nostro Paese, la guerra in Afghanistan risulta essere la più duratura rispetto a quelle che hanno caratterizzato il ’900;
    esportare la democrazia utilizzando la forza militare è una contraddizione in termini;
    il modello politico, sociale e di sviluppo occidentale non è un valore universale;
    l'articolo 1 dello statuto delle Nazioni Unite, l'articolo 1 del patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e l'atto finale di Helsinki del 1975 sanciscono che l'autodeterminazione dei popoli è un diritto universale che permette a ogni popolazione di decidere liberamente il proprio statuto politico senza ingerenza esterna;
    il nostro Paese è intervenuto per contrastare il terrorismo internazionale e per tutelare i diritti umani, ma storicamente la guerra si è dimostrata la negazione degli stessi;
    un altro obiettivo che si voleva raggiungere con l'intervento era contrastare la produzione di oppio, obiettivo fallito dato che sotto il regime talebano la stessa produzione era calata drasticamente per poi tornare a livelli preoccupanti solo successivamente all'intervento (oggi l'Afghanistan, con oltre il 90 per cento della produzione, è il principale produttore di oppio al mondo);
    la situazione sanitaria in Afghanistan resta drammatica nonostante organizzazioni non governative e associazioni italiane operino nel pieno rispetto dei princìpi umanitari grazie a generosi contributi del popolo italiano;
    lo svolgimento delle attività economiche è reso difficile dalla guerra in atto;
    nonostante i buoni risultati ottenuti dalla campagna di alfabetizzazione delle forze ANP (polizia afghana), il numero di violazioni dei diritti umani perpetrati dalle stesse resta significativo;
    occorre prendere atto che la guerra è persa e che gran parte del territorio afghano è sotto controllo dei talebani e di altri gruppi armati non governativi;
    gli stessi USA stanno pensando a una exit-strategy non potendo più sostenere i costi di tale operazione militare, specie in uno scenario di crisi economica globale;
    in questa guerra, dipinta come missione di pace, hanno perso la vita 52 soldati italiani e oltre 70.000 civili afghani, molti dei quali uccisi dai bombardamenti NATO ed è costata finora ai cittadini italiani oltre 4,5 miliardi di euro, denaro che sarebbe stato opportuno usare diversamente, ad esempio, per sostenere le piccole e medie imprese, l'istruzione o la sanità pubblica;
    l'articolo 11 della Costituzione italiana dichiara che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»,

impegna il Governo:

   a elaborare e comunicare con chiarezza al popolo italiano un piano di rientro immediato del nostro contingente militare dall'Afghanistan;
   a contribuire alla costruzione della pace e dello sviluppo economico e sociale, a promuovere la tutela dei diritti umani e a migliorare la condizione delle donne e della società civile;
   a svolgere un controllo diretto e mirato del sostegno economico italiano sia per i finanziamenti bilaterali che tramite accordi con l'Unione europea e con la NATO.
(1-00022) «Manlio Di Stefano, Sibilia, Fantinati, Grande, Di Battista, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, De Lorenzis, Liuzzi, D'Ambrosio, Colonnese, Massimiliano Bernini, Tofalo, Tacconi, Parentela, Cominardi, Bechis, Ciprini, Brescia, Mucci, Colletti, Barbanti, Simone Valente, Pinna, Cecconi, Lupo, Gagnarli, Dell'Orco, De Rosa, Cristian Iannuzzi, Segoni, Tripiedi, L'Abbate, Rizzo, Grillo, Silvia Giordano, Micillo, Zaccagnini, Gallinella, Lorefice, Pesco, Battelli, Lombardi, Nesci, Nuti, Fraccaro, Businarolo, Rostellato, D'Incà, Da Villa, Spessotto, Benedetti, Brugnerotto, Toninelli, Mantero, Marzana, Bonafede, Di Benedetto, Artini, Zolezzi, Vallascas, Nicola Bianchi, Dadone, Corda, Petraroli, Prodani, Fico, Vignaroli, Di Vita».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il 21 giugno 2007, presso il Ministero della giustizia è stata istituita una Commissione per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici, meglio conosciuta come Commissione Rodotà;
   l'obiettivo della Commissione era quello di dare una nuova definizione ai cosiddetti «beni pubblici» modificandone significato e portata, e trasformandone la regolamentazione attraverso l'elaborazione dei prìncipi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al Governo per lo novellazione del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile (1942) nonché di altre parti dello stesso Libro ad esso collegate per le quali si presentino simili necessità di recupero della funzione ordinante del diritto della proprietà e dei beni;
   i lavori della Commissione si sono conclusi nel 2008 dopo 11 riunioni plenarie e 5 riunioni speciali della segreteria scientifica, ed hanno portato ad una proposta di legge delega al Governo, corredata da una dettagliata relazione introduttiva;
   in particolare la Commissione ha proposto, in considerazione dei cambiamenti tecnologici ed economici verificatisi fra il 1942 ed oggi, l'introduzione, nell'ambito dei beni pubblici, dei cosiddetti beni immateriali, ma soprattutto ha disciplinato e definito in maniera specifica i beni comuni (le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l'aria; i parchi, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; le altre zone paesaggistiche tutelate; i beni archeologici, culturali, ambientali) che soffrono di una situazione altamente critica, per problemi di scarsità e di depauperamento e per assoluta insufficienza delle garanzie giuridiche;
   per quanto riguarda i beni pubblici, la Commissione Rodotà, ha introdotto una differenziazione tra beni ad appartenenza pubblica necessaria, beni pubblici sociali e beni fruttiferi;
   tali classificazioni sono state elaborate in base alle utilità prodotte, tenendo in alta considerazione i princìpi e le norme costituzionali – sopravvenuti al codice civile – e collegando le utilità dei beni alla tutelo dei diritti della persona e di interessi pubblici essenziali;
   una delle più importanti novità proposte dal lavoro della Commissione è stata quella di eliminare la differenza tra demanio e patrimonio, introducendo una partizione sostanzialistica;
   la proposta di legge delega scaturita dai lavori della Commissione auspicava l'emanazione di un decreto per la modifica del Codice Civile entro dieci mesi dall'entrata in vigore della legge medesima;
   nessun provvedimento concreto è però scaturito dall'importante lavoro della Commissione;
   nel mese di febbraio 2013, molti dei membri della Commissione (Stefano Rodotà, Ugo Mattei, Alberto Lucarelli, Maria Rosaria Marella, Paolo Maddalena, Salvatore Settis), si sono riuniti e, coadiuvati e sostenuti dai numerosi comitati nati in questi anni a tutela dei beni comuni (si pensi ai Movimenti per l'acqua pubblica), hanno manifestato l'intenzione di riprendere il percorso interrotto nel 2008 e convincere il Governo ad utilizzare in maniera concreta i risultati della Commissione per la modifica del Codice Civile –:
   se non intenda finalmente assumere iniziative normative prendendo spunto dai lavori della Commissione Rodotà, al fine di dotare il nostro Paese di una adeguata normativa sui beni pubblici, con particolare considerazione dei beni comuni, tutelando al contempo il benessere e i diritti dei cittadini.
(2-00021) «Zaccagnini, Spadoni, Parentela, D'Ambrosio, Marzana, Pesco, De Rosa, Benedetti, Frusone».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012), presentando norme per la «Riduzione della spesa degli enti territoriali», introduce tagli al fondo sperimentale delle province, tagli che passano da 1 miliardo ad 1 miliardo e 200 milioni di euro per il 2013;
   tali interventi si sommano ad altre riduzioni effettuate negli ultimi anni:
    nel corso dell'anno 2012, per gli effetti della legge n. 122 del 2010 e della legge n. 2014 del 2011, le province hanno già sostenuto un taglio di risorse di 915 milioni di euro;
    la legge n. 135 del 2012 (articolo 16, comma 7) aveva inoltre precedentemente determinato una riduzione di 500 milioni di euro per il 2012 ed un miliardo di euro per il 2013 del fondo sperimentale di riequilibrio delle province;
   complessivamente tra il 2011 ed il 2013 i bilanci delle province sono stati decurtati di oltre 2,1 miliardi di euro. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di tagli lineari, attuati secondo metodologie non concertate in sede di Conferenza unificata e soprattutto non orientate a valorizzare le virtuosità e le differenti vocazioni dei singoli enti nel loro contesto territoriale. Le riduzioni penalizzano infatti spesso le amministrazioni più virtuose e quelle che hanno esercitato deleghe e gestito risorse regionali e comunitarie;
   tali riduzioni incidono su capitoli di spesa già approvati ed impegni già assunti, e pertanto, anziché promuovere una razionalizzazione ed un efficientamento delle risorse economiche, stanno compromettendo l'efficace erogazione dei servizi dovuti al cittadino e alle imprese per le competenze delle amministrazioni provinciali, o lo svolgimento di funzioni delegate dalle regioni, (trasporto pubblico, formazione professionale, manutenzione di immobili pubblici, tra cui le scuole e le infrastrutture stradali), nonché la regolare remunerazione del personale dipendente, e rischiano di provocare lo «stop» a lavori e cantieri sul reticolo stradale di competenza e, di messa a norma (antisismica ed antincendio) degli edifici scolastici e contribuendo altresì ai rallentamenti nei pagamenti alle aziende creditrici già messe a dura prova dai vincoli del patto di stabilità;
   sono infatti di diretta competenza delle province:
    a) edilizia scolastica, funzionamento delle scuole e formazione professionale. Le province gestiscono oltre 5000 edifici, quasi 120 mila classi e oltre 2 milioni e 500 mila allievi;
    b) sviluppo economico e servizi per il mercato del lavoro: le province gestiscono i servizi di collocamento attraverso 550 centri per l'impiego; intervengono con sostegni all'imprenditoria; promuovono le energie alternative e le fonti rinnovabili;
    c) gestione del territorio e tutela ambientale: le province hanno compiti di difesa del suolo, prevenzione delle calamità, tutela delle risorse idriche ed energetiche smaltimento dei rifiuti;
    d) mobilità, viabilità, trasporti: le province gestiscono il trasporto pubblico extraurbano e circa 134 mila chilometri di strade nazionali extraurbane;
   si tratta di funzioni chiave, strettamente collegate al territorio, indispensabili per assicurare alle comunità il mantenimento del welfare locale e la promozione dello sviluppo imprenditoriale ed occupazionale delle imprese, e che rischiano di essere compromesse dai tagli ai bilanci;
   le politiche finanziarie a carico delle province, determinate con le ultime manovre, hanno gravemente compromesso gli equilibri finanziari degli enti senza giungere ad una compiuta riforma o riorganizzazione, accrescendo un clima di incertezza e di difficoltà;
   dai dati resi noti dall'Unione province italiane, le province, più di ogni altro ente, hanno infatti contratto la propria spesa corrente negli ultimi anni. Il risultato di queste scelte, considerato che le province intervengono fondamentalmente su lavori pubblici locali (strade, edilizia scolastica e altro) è stato il progressivo impoverimento del tessuto economico dei territori ed il continuo indebolimento della rete dei ser- vizi sociali garantiti ai cittadini, con un crollo degli investimenti locali (dal 2008 ad oggi) pari al 44 per cento;
   tale riduzione delle risorse economiche avrebbe dovuto accompagnare il processo complessivo di riorganizzazione delle province, disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012: un processo che ha però registrato, notevoli ed evidenti ritardi e poi uno «stop», anche per l'interruzione anticipata della XVI legislatura. Gli enti provinciali sono oggi pienamente operativi nelle loro competenze e nelle loro deleghe ma rischiano, in brevissimo tempo (anche secondo le dichiarazioni di esponenti dell'Upi), un reale e irreversibile dissesto finanziario;
   si segnala altresì che l'articolo 17, comma 13-bis, della legge n. 135 del 2012 prevede, per il 2013, un contributo per le province complessivo di 100 milioni di euro. Nel decreto ministeriale 25 ottobre 2012, che ha determinato le riduzioni e le attribuzioni del contributo, non sono stati utilizzati nell'assegnazione delle risorse criteri di proporzionalità rispetto all'entità del taglio pro-capite del fondo sperimentale di riequilibrio. In virtù di tale determinazione, i tagli alle province stanno causando effetti ancora più gravi in alcune regioni, ed in particolare in quelle regioni nelle quali si è scelto di utilizzare l'istituto delle funzioni delegate in numerose materie;
   secondo l'Upi «i territori italiani maggiormente penalizzati sono quelli della Toscana e del Piemonte, proprio a causa di un particolare meccanismo di calcolo che conteggia tra le spese delle Province anche i finanziamenti che le Regioni girano agli enti provinciali per garantire alcuni servizi come ad esempio il piano dei trasporti pubblici. In pratica si tratta di una semplice “partita di giro”. Qualora il governo tenesse conto del diverso riparto dei consumi dei livelli intermedi (entro i quali vi sono le risorse che la Regione attribuisce alle province per gestire le deleghe)», le regioni vedrebbero una riduzione pesantissima;
   altra questione rilevante riguarda il futuro del personale dipendente delle amministrazioni provinciali. L'eventuale accorpamento o riorganizzazione delle province porterebbe infatti ad una complessiva riorganizzazione del personale dipendente di tali enti, e si ritiene fondamentale, indipendentemente dalla soluzione che sarà adottata, la definizione di una riorganizzazione del personale funzionale e capace di salvaguardare i diritti dei lavoratori, con l'adozione di parametri che riconoscano pienamente le funzioni, le competenze, l'aggiornamento formativo oltre ai livelli professionali e retributivi dei dipendenti. Altrettanto necessari sono una logistica efficiente degli uffici, norme transitorie adeguate che accompagnino il processo di riorganizzazione e strumenti capaci di armonizzare le procedure di trasferimento gestite dalle singole amministrazioni provinciali;
   quanto esposto fino ad ora è già stato oggetto di atti parlamentari di indirizzo accolti dal Governo nel corso della XVI legislatura;
   in data 7 agosto 2012 il Governo ha accolto un ordine del giorno alla legge n. 135 del 2012 (n. 9/05389/105) che lo impegna:
   a calcolare il taglio sul fondo sperimentale di riequilibrio, tenendo conto delle spese correnti 2011, come da certificato al conto consuntivo, al netto del titolo II, categoria 3 entrate (trasferimenti da regione per funzioni delegate);
   a rispettare nell'assegnazione delle risorse di cui all'articolo 17, comma 13-ter, criteri direttamente proporzionali all'entità del taglio pro-capite del fondo sperimentale di riequilibrio;
   ad adottare iniziative normative sollecite al fine di evitare un disavanzo anche nelle province virtuose sul bilancio in corso;
   ad esaminare e valutare le conseguenze economico finanziarie sugli enti provinciali, che genereranno:
    a) il blocco della maggior parte delle attività di adeguamento alle norme antisismiche ed antincendio degli edifici scolastici, delle attività di messa in sicurezza del reticolo stradale di competenza;
    b) la impossibilità di garantire nell'anno in corso interventi di carattere straordinario per far fronte a calamità, quali nevicate e altro;
    c) difficoltà nel cofinanziamento ai finanziamenti comunitari nell'esercizio di deleghe regionali;
    d) ricadute sulle imprese impegnate in opere di manutenzione e lavori pubblici, che si vanno a generare sul bilancio in corso, a causa della somma tra il taglio prodotto con lo svuotamento del fondo sperimentale di riequilibrio ed il mancato introito dagli affitti pagati da altre amministrazioni dello Stato;
   in data 22 novembre 2012 il Governo ha accolto un ordine del giorno alla legge n. 228 del 2012 (9/05534-bis-A/182) che lo impegna, tra l'altro:
    nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, a valutare l'opportunità di emanare un provvedimento correttivo urgente in grado di rimodulare i tagli previsti, tenendo conto delle spese correnti 2011, come da certificato al conto consuntivo, al netto del titolo II, categoria 3 entrate (trasferimenti da regione per funzioni delegate) soprattutto per le province delle regioni, come la Toscana, i cui effetti dei mancati finanziamenti rischia di causare nel 2013 un default degli enti locali;
    a valutare, conseguentemente, la possibilità di emanare un provvedimento correttivo in grado rimodulare i trasferimenti introdotti dall'articolo 17, dal comma 13-bis, della legge n. 135 del 2012 in base a criteri direttamente proporzionali all'entità del taglio pro capite del fondo sperimentale di riequilibrio;
   in data 21 dicembre 2012 il Governo ha accolto un ordine del giorno alla legge numero 228 del 2012 (9/05534-bis-B/002) che lo impegna, tra l'altro:
    a valutare di inserire, nel processo di riorganizzazione dei dipendenti delle amministrazioni provinciali, derivante dalla attuazione della legge n. 214 del 2011 e della legge n. 135 del 2012, i seguenti criteri e parametri:
     a) la presenza delle funzioni e delle competenze assunte dalle singole amministrazioni provinciali;
     b) le politiche di contenimento delle spese per il personale perseguite, negli ultimi anni, da alcune amministrazioni provinciali;
     c) l'adozione di norme transitorie per garantire pari trattamento ai dipendenti pubblici delle amministrazioni provinciali soggette ad accorpamento, rispetto agli altri lavoratori della pubblica amministrazione;
     d) un'adeguata salvaguardia dei livelli professionali e retributivi dei dipendenti della province coinvolti nella riorganizzazione;
     e) una equilibrata e funzionale ubicazione degli uffici provinciali nell'intero territorio della nuova provincia, anche per rendere maggiormente fruibili i servizi ai cittadini;
     f) la previsione, in presenza di esuberi ed in coerenza di quanto già previsto dalla legge n. 135 del 2012, di forme di mobilità volontaria, finalizzate alla copertura di posti vacanti, sia nel comparto degli enti locali che in altri settori, in cui sia garantita una corsia preferenziale per il personale delle amministrazioni provinciali in sovrannumero;
     g) lo stanziamento, in coerenza di quanto già previsto dalla legge n. 135 del 2012, di risorse adeguate per favorire e promuovere la formazione e l'aggiornamento professionale del personale delle amministrazioni provinciali interessate dal processo di riordino;
     h) la presenza di norme omogenee volte ad armonizzare le procedure di trasferimento gestite dalle singole amministrazioni provinciali –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per evitare che i tagli ai bilanci degli enti locali citati in premessa possano causare il prossimo dissesto finanziario delle amministrazioni provinciali, coerentemente con gli impegni assunti dal Governo con gli ordini del giorno n. 9/05389/105 (alla legge n. 135 del 2012) e n. 9/05389/1059/05534-bis-A/182 (alla legge n. 228 del 2012), e capaci di valorizzare al tempo stesso le virtuosità e le differenti vocazioni dei singoli enti nel loro contesto territoriale;
    quali iniziative urgenti di competenza si intendano, conseguentemente, assumere per assicurare la corretta erogazione dei servizi attualmente di competenza delle amministrazioni provinciali, indispensabili per permettere alle comunità il mantenimento del welfare locale e la promozione dello sviluppo imprenditoriale ed occupazionale delle imprese, coerentemente con gli impegni assunti dal Governo con gli ordini del giorno n. 9/05389/105 (alla legge n. 135 del 2012) e n. 9/05389/1059/05534-bis-A/182 (alla legge n. 228 del 2012) anche adottando criteri di riparto del fondo sperimentale di riequilibrio che tengano conto della penalizzazione di alcune regioni;
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, intendano assumere per inserire, nel processo di riorganizzazione dei dipendenti delle amministrazioni provinciali, criteri capaci di salvaguardare i diritti e la professionalità dei lavoratori, le esigente della collettività ed il contenimento della spesa pubblica, parametri già indicati peraltro nell'ordine del giorno n. 9/05534-bis-B/002 alla legge n. 228 del 2012, accolto dal Governo.
(2-00022) «Cenni, Fiorio, Bini, Dallai, Sani, Galperti, Carrescia, Crivellari, Martelli, Kyenge, Carrozza, Bellanova, Lodolini, Fontanelli, Luciano Agostini, Simoni, Mariani, Zardini, De Menech, Manzi, Marchetti, Carra, Ferrari, D'Incecco, Cova, Fossati, Zoggia, Gribaudo, Bargero, Boccuzzi, Borghi, Taricco, Benamati».

Interrogazione a risposta orale:


   OTTOBRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Chico Forti, imprenditore trentino, è stato condannato il 15 giugno 2000 negli Stati Uniti, a conclusione di un processo che è durato soltanto 24 giorni, alla pena dell'ergastolo, perché ritenuto colpevole dell'omicidio di Dale Pike sulla base di prove del tutto inesistenti, come osservato in questi anni da legali, giornalisti, magistrati che hanno potuto valutare e che hanno inteso pronunciarsi sugli organi di stampa e in sede internazionale, chiedendo la revisione del processo;
   il fatto che il processo a Chico Forti si sia svolto in lesione dei principi del giusto processo, che sono nella Costituzione italiana e che dovrebbero ispirare i rapporti bilaterali con gli altri Paesi in materia di giustizia, è stato ampiamente documentato ed è drammaticamente palese nelle parole con cui il giudice ha motivato la sentenza: «la Corte non ha prove che Lei, signor Forti, abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che Lei sia stato l'istigatore del delitto»;
   la condanna di Chico Forti è stata pronunciata dal medesimo giudice che precedentemente aveva svolto le indagini sull'omicidio di Gianni Versace; indagini contestate da Chicco Forti, che è anche produttore televisivo, in un documentario girato sul caso;
   nel corso di questi anni sono state sempre più numerose le iniziative, dei familiari, della stampa, delle organizzazioni internazionali e da ultimo annunciate del Governo, affinché sia ottenuta la revisione di un processo in cui errori palesi, contraddizioni esplicite e omissioni gravissime hanno determinato la sentenza che da dodici anni costringe Chico Forti in carcere, come affermato ad esempio da magistrati quali Fernando Imposimato;
   nel giugno del 2012 il Governo, con il Ministro degli affari esteri di allora dopo aver ricevuto i familiari di Chico Forti il 30 maggio 2012, aveva preannunciato di voler adottare, di concerto con l'ambasciata italiana e i legali una strategia di difesa coordinata e «ogni possibile sostegno a Chicco Forti», la cui vicenda processuale è stata seguita dall'Ambasciata italiana negli Stati Uniti e dal Consolato generale di Miami in Florida;
   su iniziativa del Governo italiano nel settembre del 2012 è stato contattato un nuovo studio legale per predisporre una nuova istanza di revisione del processo, mentre i familiari dell'imprenditore trentino, come più volte affermato a loro nome dallo zio di Chico, Gianni Forti, sono impegnati nella raccolta dei fondi necessari ad avviare e sostenere la richiesta di revisione;
   le iniziative, gli appelli, i pronunciamenti in sede internazionale, presso le istituzioni, dei legali di difesa, nelle diffuse manifestazioni di solidarietà e di denuncia che ad esempio su internet, da parte di esponenti della cultura, del giornalismo e in primo luogo di cittadini (fra i quali lo stesso Chico Forte cita ciò che egli definisce «la lotta delle leonesse» a suo sostegno) e che hanno portato alla raccolta di un milione di firme, hanno un vincolo irrinunciabile nella testimonianza dell'innocenza di Chicco Forti, che egli ha ribadito in prima persona quando ha detto che «non ammetterò mai la mia colpevolezza, anche se un'eventuale ammissione potesse aiutarmi a tornare in Italia»;
   più in generale, nei rapporti fra Italia e Stati Uniti i problemi connessi alla diversità dei rispettivi sistemi giudiziari, in primo luogo con la esistenza della pena di morte in diversi Stati americani, si riflette nei molti casi giudiziari che hanno coinvolto oltre quattrocento cittadini italiani negli Stati Uniti, di cui 214 sono stati condannati;
   senza voler esprimere, perché non sarebbe né corretto né possibile, un giudizio su ognuno di tali casi, è tuttavia possibile sollecitare il Governo ad una valutazione che coinvolga non soltanto l'Italia ma l'Europa e le sue istituzioni, come la Corte di giustizia dell'Unione europea, o, al di là dell'ambito istituzionale, la Corte Europea per i diritti dell'uomo, in nome del trattato di Lisbona e di quel sistema di tutela dei diritti fondamentali che la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo ha istituito;
   all'articolo 111 della Costituzione si afferma che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge», che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale», che nel processo penale la legge assicura, fra l'altro, che la persona sia informata «della natura e delle motivazioni dell'accusa elevata a suo carico» e che «disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa», che «il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio della prova»;
   non uno di tali principi costituzionali è stato rispettato nel processo che ha condannato Chico Forti –:
   quale sia l'orientamento del Governo e quali iniziative diplomatiche siano state effettivamente intraprese o si intenda assumere, nei rapporti con gli Stati Uniti e di sostegno ai familiari, affinché la richiesta di revisione del processo presso la Corte federale statunitense sia sostenuta e possa essere accolta;
   quali interventi il Governo italiano intenda adottare in sede comunitaria affinché la revisione del processo di Chico Forti sia materia di valutazione da parte delle istituzioni europee;
   quali iniziative ulteriori e urgenti il Governo intenda adottare a sostegno dei familiari di Chico Forti, impegnati in prima persona a far sì che il caso non abbia un epilogo silenzioso e in contraddizione con il nostro Stato di diritto e la tutela dei valori fondamentali della persona. (3-00022)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO, BORGHI, D'OTTAVIO, BARGERO, TARICCO, FREGOLENT, MATTIELLO, BONOMO, ORLANDO, ROSSOMANDO, BOCCUZZI e GIORGIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferroviaria Cuneo-Limone-Ventimiglia collega il capoluogo della provincia piemontese alla cittadina ligure attraversando un tratto di territorio francese. Tale singolare circostanza è dovuta alla cessione alla Francia di Nizza e parte della Val Roya nel 1860 e di Briga e Tenda al termine della seconda guerra mondiale (1947);
   questa storica ferroviaria è collocata a cavallo di tre regioni: Piemonte e Liguria in Italia, Provence-Alpes-Côte d'Azur («PACA») in Francia e rappresenta la connessione internazionale occidentale verso il mare di tutto l'arco alpino e consente di valicare le Alpi Marittime per raggiungere la costa italiana;
   la gestione delle infrastrutture del tratto in territorio italiano è affidata a Rete ferroviaria italiana (RFI) mentre il tratto in territorio francese è gestito da Réseau Ferré de France (RFF);
   congiunge importanti località turistiche, parchi naturali, luoghi di culto e poli d'attrazione per manifestazioni, affari e svago; i bacini di traffico più rilevanti si trovano sull'estremità del percorso: Torino, zona di Sanremo, Montecarlo e Costa Azzurra. Lungo il tracciato esistono località di grande attrazione, direttamente servite dalla ferrovia;
   in condizioni di particolari situazioni climatiche, soprattutto durante la stagione invernale, tale linea ferroviaria rappresenta l'unico mezzo di trasporto pubblico per collegare diverse località;
   inoltre, quotidianamente numerosi pendolari residenti nelle diverse località montane attraversate da tale linea si servono di questo mezzo per raggiungere le grandi città;
   da notizie giornalistiche si apprende che la regione Piemonte, in qualità di contraente nell'ambito del contratto di servizio di trasporto su rotaia con Trenitalia, avrebbe deciso di procedere alla chiusura della linea ferroviaria in questione;
   la diffusione di tale notizia ha creato e sta creando molta preoccupazione tra abitanti delle zone interessate dall'attraversamento della linea ferroviaria consapevoli che la chiusura di tale tratta comporterebbe l'isolamento dell'intera Val Roya e di numerosi comuni piemontesi e liguri che rimarrebbero privi di ogni collegamento pubblico soprattutto con città europee come Nizza e Torino e, a levante con la città d'Imperia;
   l'eventuale chiusura della tratta comporterebbe, inoltre, inevitabilmente, un significativo aumento del traffico veicolare di mezzi su gomma (automobili, pullman, TIR), con ricadute negative sia in termini di sicurezza per i cittadini, sia di velocità nei collegamenti, sia di impatto ambientale;
   ricadute negative si avrebbero inevitabilmente anche nel settore turistico-commerciale che per tali zone rappresenta il volano dell'intera economia –:
   se la notizia della chiusura della linea ferroviaria Cuneo-Limone-Ventimiglia corrisponda al vero;
   se non ritenga necessario attivarsi affinché si proceda in tempi brevi ad aggiornare il trattato internazionale tra l'Italia e la Francia per la manutenzione e la gestione di detta linea ferroviaria, così scongiurando l'eventuale chiusura di tale tratta non solo in considerazione del grande valore storico, ingegneristico ed ambientale di questa infrastruttura ma anche per l'importanza che essa riveste per l'economia di una ampia zona del nostro Paese. (5-00081)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI VITA, DI BENEDETTO, GRILLO, RIZZO, BARBANTI, PARENTELA, LOMBARDI, D'AMBROSIO, MASSIMILIANO BERNINI, ZACCAGNINI, PAOLO BERNINI, DE LORENZIS, BUSINAROLO, BARONI, DAGA, LIUZZI, TOFALO, ARTINI, D'UVA, COLONNESE, SPADONI, NUTI, VILLAROSA, VACCA, DEL GROSSO, CECCONI e NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati del rapporto Ansa-Eures sono 2061 le donne uccise in Italia dal 2000 al 2011, 7 su 10 dal proprio partner o conoscente, di cui circa la metà nella fascia di età compresa tra i 25 e i 54 anni, ovvero giovani donne e madri di famiglia, e il trend si mantiene tragicamente costante dal 2010 ad oggi, registrando 124 donne uccise nel 2012, e già 15 nei primi due mesi del corrente anno;
   nel 40 per cento dei casi, come emerge dallo studio della «Casa delle donne per non subire violenza» di Bologna, le vittime erano state oggetto di precedenti episodi di violenza da parte del proprio carnefice e il 15 per cento aveva presentato denuncia per stalking;
   secondo i dati dell'Istat nel 2011 sei milioni di donne hanno subito violenze fisiche e sessuali, il 69,7 per cento degli stupri a opera del partner, e dato ancora più allarmante, il 95 per cento delle vittime non denuncia la violenza subita;
   secondo l'Osservatorio nazionale stalking le denunce per stalking hanno registrato un calo del 25 per cento nel 2011;
   nel 2012 l'Italia è scesa dal 74° all'80° posto nella classifica del «Gender Gap Report» sulla condizione delle donne nel mondo stilata dal World Economic Forum;
   è stato approvato il piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking dall'allora Ministero delle pari opportunità in data 11 novembre 2010;
   il Governo ha ratificato la convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica in data 12 dicembre 2012;
   a fronte dei 5.700 posti letto necessari per le donne italiane in pericolo (secondo una delle raccomandazioni del Consiglio d'Europa) ne sono in realtà presenti sul territorio nazionale 500, ovvero oltre dieci volte al di sotto del numero ritenuto idoneo;
   l'Italia è, tra i Paesi europei, agli ultimi posti per contrasto al fenomeno della violenza di genere, infatti il report di Rashida Manjoo, relatore speciale sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite in visita nel nostro Paese nel 2012, ha condannato pesantemente l'Italia rilevando che «Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita»;
   non sono attualmente disponibili da parte degli enti governativi studi univoci sul fenomeno della violenza sulle donne a partire dall'approvazione del piano nazionale contro la violenza e lo stalking ad oggi –:
   se non ritenga di dover accertare quali misure contenute nel piano nazionale contro lo violenza di genere e lo stalking siano state realmente realizzate finora, quali siano gli effettivi progressi ottenuti dall'attuazione dello stesso e in che modo se ne monitori l'applicazione. (4-00197)


   NARDELLA, BONAFÈ, BONIFAZI, BOSCHI, DALLAI, ERMINI, FOSSATI, LOTTI, PARRINI, SIMONI, MANCIULLI, FANUCCI, CENNI e BINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la situazione delle aziende Selex Galileo e Selex Elsag, operanti nell'alta tecnologia delle comunicazioni satellitari e nell'elettronica per la difesa e delle telecomunicazioni, facenti capo al gruppo Finmeccanica, desta preoccupazioni che attengono al presente e al futuro delle aziende per le scelte strategiche e i comportamenti concreti del vertice Finmeccanica e, di conseguenza, dello stesso management delle due aziende;
   le vicende recenti delle due aziende sono state oggetto di più atti di sindacato ispettivo in Parlamento nel corso della XVI legislatura ed in particolare, per quanto concerne Selex Galileo di Campi Bisenzio (Firenze) – azienda, storicamente radicata nel territorio fiorentino è stata esclusa dal bando indetto dall'agenzia spaziale italiana (Asi) per la realizzazione del satellite ottico Opsis;
   per quanto riguarda Selex Elsag, nata nel 2011 dalla fusione tra Selex comunications e Elsag Datamat, è un'azienda leader in Italia per la tecnologia Tetra – adottata dall'Unione europea come standard digitale per le comunicazioni radio sicure delle Forze di polizia, necessario per l'ammodernamento dell'intero sistema di radiocomunicazione delle Forze dell'ordine – , il cui progetto è stato rifinanziato (10 milioni di euro per il 2013 e 50 milioni per il 2014) con l'approvazione dell'articolo 1, comma 209, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (cosiddetta legge di stabilità 2013);
   le preoccupazioni summenzionate derivano, anche e non da ultimo, dal silenzio del Governo proprio su tali scelte e comportamenti, in virtù della responsabilità che deriva per la golden share che detiene ed esercita su Finmeccanica, ma ancor di più per gli interessi strategici che riguardano il futuro anche prossimo del Paese;
   al fine di ricomporre il settore dell'elettronica per la difesa e la sicurezza all'interno del gruppo Finmeccanica, cercando di creare una realtà europea integrata, con massa critica e competenze tecnologiche adeguate a sostenere la sfida dei mercati in linea con quanto già intrapreso dai concorrenti, a settembre 2012 si è proceduto al raggruppamento delle società interamente controllate da piazza Monte Grappa, con la nomina ad amministratore delegato di Fabrizio Giulianini;
   la Selex Electronic Systems, conglomerata dell'elettronica per la difesa con capogruppo Finmeccanica e nata dalla summenzionata integrazione di Selex Sistemi Integrati, Selex Elsag e Selex Galileo, è divenuta quindi operativa da gennaio 2013. Essa si articola su tre business unit: una dedicata all'Avionica (il settore in cui opera in prevalenza Selex Galileo), una sui sistemi navali e terrestri (l'attività principale di Selex Sistemi Integrati) e una sulla sicurezza (una delle attività di riferimento di Selex Elsag);
   da mesi i lavoratori di Selex Galileo e Selex Elsag, di concerto con le rappresentanze sindacali, le istituzioni locali e i rappresentanti delle forze politiche, sollecitano risposte sul futuro delle aziende e, in particolare, sulle questioni relative a possibili eccedenze di personale e la riduzione dei siti in Italia e nel Regno Unito delle aziende;
   dopo quasi due anni in cui sono stati oggetto di stime, rumors e polemiche, solo il 5 aprile 2013 è stato presentato il piano di riorganizzazione e razionalizzazione del gruppo. A riguardo, nonostante la sottoscrizione della messa in mobilità per centinaia di addetti solo un mese fa, e senza che sia ancora chiaro a quanto ammontino gli investimenti della nuova Selex Es, il rilancio della conglomerata dell'elettronica per la difesa passa attraverso 2.529 esuberi complessivi e la chiusura di circa 25 siti tra Italia e Gran Bretagna: i prodotti passeranno dai circa 550 attuali a circa 350, gli investimenti verranno concentrati sulle tecnologie più richieste sul mercato, i costi di struttura verranno ridotti e i siti tagliati tra Italia e Gran Bretagna;
   in particolare, gli esuberi sono in totale 2.529, di cui 1.938 italiani, divisi tra indiretti (non collegati direttamente alla produzione, il 35 per cento del totale ossia 1.098) e diretti di produzione (il 10 per cento del totale ossia 840) su una popolazione aziendale di 12.261 unità produttive, e 591 europei (400 solo britannici). Questi comprendono al loro interno 810 posizioni già toccate dai precedenti piani di mobilità incentivata delle vecchie Galileo, Elsag e Sistemi Integrati, le tre imprese che fondendosi hanno dato vita a Selex Es. Inoltre, ci sono i 120 manager pre-pensionati da qui ai prossimi due anni. Numeri che vanno ad aggiungersi alla riduzione degli organici per 650 unità fatta nel 2012 dalle 3 ex Selex;
   in Italia, l'azienda intende gestire le posizioni «scoperte» facendo ricorso a mobilità finalizzata alla pensione cassa integrazione guadagni straordianaria a zero ore per chi ha i requisiti per mobilità o pensione, nonché cassa integrazione guadagni straordianaria a zero ore per chiusure collettive;
   è stata anche annunciata l'intenzione di procedere a una razionalizzazione dei siti produttivi, alcuni dei quali in sovrapposizione tra loro: entro il 2014 in Italia si passerà da 48 a 26 sedi, mentre in Gran Bretagna gli stabilimenti scenderanno da 16 a 10;
   a Firenze risulta che i siti di via Barsanti e via Petrocchi chiudano e i relativi addetti vengano trasferiti a Campi Bisenzio che ospiterà anche i lavoratori di due siti pisani. A Milano chiudono via Palmanova e Garbagnate con relativo trasferimento a Nerviano. A Genova chiudono le sedi di Fiumara, Ancifap e via Negrone per trasferirsi nei siti di via Hermada e via Puccini. In ultimo a Roma e nel Lazio chiudono via Laurentina 750, Mellini, Pomezia Castelli Romani e via Bona con trasferimenti previsti verso via Tiburtina 760, l'altro sito pometino e Cisterna Latina;
   Finmeccanica rappresenta il primo gruppo industriale italiano per investimenti nell'alta tecnologia e in attività di ricerca e sviluppo, nonché il secondo gruppo manifatturiero in Italia;
   la storia della Selex Es, una delle più grandi aziende europee di sistemi di sicurezza e la ottava al mondo, appare quindi il simbolo di scelte strategiche di Finmeccanica spesso non condivisibili e, più in generale, dell'assenza di una politica industriale del Paese, purtroppo da troppi anni;
   Selex Es rappresenta una realtà fondamentale per la Toscana con gli insediamenti della ex-Galileo e dell’ex-Elsag nell'area fiorentina, dell’ex-Amtec nell'area dell'Amiata, oltre a quelli di Pisa, Cecina e Bologna. Si tratta di una realtà produttiva tra le più avanzate a livello nazionale nei settori dell'avionica, della difesa e della sicurezza e che deve continuare a rappresentare una garanzia di salvaguardia del capitale di qualità, occupazione e ricerca che si è consolidato nel tempo in questa regione;
   gli stabilimenti della ex-Galileo e dell’ex-Elsag hanno contribuito in maniera significativa alla formazione della ricchezza della provincia di Firenze e rappresentano un asset strategico per il territorio in termini di importanza occupazionale e opportunità di sviluppo futuro;
   gli stabilimenti toscani di Finmeccanica e le loro maestranze hanno acquisito negli anni un grande patrimonio di esperienza in termini di ricerca, know how e innovazione del prodotto, fornendo così un decisivo contributo alla competitività del gruppo sui mercati nazionali ed internazionali;
   forte è la preoccupazione per le scelte aziendali, con l'incognita di quanto tali esuberi potranno incidere sul territorio toscano, in considerazione della scelta di chiudere i progetti legati alla radaristica, finora sviluppati nell'unico stabilimento di Selex destinato a rimanere aperto a Campi Bisenzio;
   non è comprensibile come si possa trattare di esuberi e chiusure strutturali con ricadute occupazionali così pesanti quando si è, tra l'altro, ancora in una fase non conclusiva del confronto sul piano industriale;
   è invece fondamentale proseguire il negoziato in sede nazionale e locale al fine di chiarire quali saranno le capacità competitive del più grande gruppo italiano dell'ICT sui sistemi di difesa e sicurezza –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano le loro valutazioni in merito alla situazione;
   quale sia la posizione e la politica industriale del Governo che, attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze, è l'azionista di riferimento di Finmeccanica e quale, conseguentemente, il quadro generale in cui si colloca la progressiva riorganizzazione di Finmeccanica nello specifico settore dell'elettronica per la difesa e la sicurezza;
   quali misure e quali strategie di politica industriale si intendano mettere in campo al fine di ricercare soluzioni virtuose e socialmente e industrialmente sostenibili, che salvaguardino il patrimonio industriale, produttivo e occupazionale di aziende che, oltre a costituire una realtà storicamente radicata e caratterizzante il territorio fiorentino, rappresentano il Paese intero su scala mondiale in settori strategici e a forte componente innovativa;
   se e come il Governo intenda operare in relazione al negoziato tra la controllante Finmeccanica, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali in merito al piano di riorganizzazione di Selex Es, al fine di garantire che le scelte di Finmeccanica vadano nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo di settori e stabilimenti che rappresentano un'importantissima risorsa strategica per il Paese, salvaguardando al contempo i livelli occupazionali. (4-00200)


   NARDUOLO, NACCARATO e MIOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane i Colli Euganei, sede di un importante parco regionale, hanno subito numerose frane interessando molti comuni di Torreglia, Teolo, Cinto Euganeo e Monselice;
   a Monselice è situato un maestoso complesso architettonico, denominato Rocca, edificato a partire dal XI secolo che si compone di una dimora signorile, una torre difensiva, una imponente cinta muraria e un mastio sulla sommità del colle;
   in particolare questo colle è stato colpito da ripetuti fenomeni di dissesto idro-geologico, con diversi episodi franosi tra domenica 24 marzo e martedì 2 aprile tanto da sollecitare l'intervento della protezione civile che in queste ore sta sorvegliando le pendici in elicottero;
   la sera del 24 marzo, massi di considerevoli dimensioni staccatisi dalla parete del rilievo sono precipitati sul cortile terrazzato di un'abitazione, rompendo le reti di protezione ivi posizionate in occasione di precedenti crolli;
   giunti in sopralluogo, i locali vigili del fuoco hanno dichiarato l'area dell'abitazione e la zona limitrofa non sicure, per cui il sindaco ha ordinato l'evacuazione delle 6 famiglie che vi risiedono. Si tratta di 17 persone (tra cui bambini ed anziani), 11 delle quali alloggiano ora presso un locale hotel, a spese dell'amministrazione comunale;
   nel primo pomeriggio di lunedì 25 marzo 2013, si sono verificate altre 3 frane lungo diversi versanti della collina;
   gli episodi sono continuati nei giorni successivi investendo spesso le strade provinciali che attraversano il territorio del parco e congiungono le frazioni dei comuni citati;
   nella notte tra sabato e domenica di Pasqua a Torreglia la Protezione civile è intervenuta per chiudere via Rina interessata in più punti da uno smottamento. Nella giornata di Pasqua sulla via che collega le abitazioni sui colli Pirio e Rina sono intervenute le ruspe e nel pomeriggio la strada è stata riaperta a senso unico alternato;
   tra sabato e lunedì il Comune di Teolo è intervenuto per chiudere alcune strade e per mettere in sicurezza diversi tratti delle vie comunali sulle quali si erano aperte grandi crepe che mettevano in pericolo la circolazione;
   il colle che si erge su Monselice è soggetto da anni ad episodi franosi di varia entità; fortunatamente non vi sono mai state vittime ma si sono sfiorate tragedie; i cittadini vivono in un persistente stato di allerta, mentre impotenti assistono a frane, smottamenti, e anche crolli delle mura di cinta, che oltre a metterne a repentaglio l'incolumità, stanno inesorabilmente distruggendo il patrimonio storico-artistico della città;
   dalla scorsa settimana i tecnici regionali del genio civile hanno effettuato dei sopralluoghi nei siti in cui si sono verificati gli ultimi episodi franosi; il comune di Monselice ha proclamato lo stato di emergenza ed ha chiesto alla regione di riconoscere lo stato di crisi; il sindaco ha dichiarato alla stampa di aver «raggiunto un accordo con il dirigente della protezione civile regionale; fino a che non verrà redatto un nuovo studio idrogeologico rimane lo stato di emergenza. Spero che Zaia riconosca lo stato di crisi. Vogliamo una risposta che assicuri che su tutto il colle non si corrono rischi e che è garantita la sicurezza dei residenti. Abbiamo ragione di credere che lo studio sarà predisposto nei prossimi giorni: serve capire quali lavori è necessario eseguire» –:
   quali azioni intenda intraprendere per garantire la sicurezza alle popolazioni di fronte alla situazione di grave dissesto idrogeologico;
   se il Governo intenda assumere iniziative urgenti che, tengano conto del pericolo per le persone e per le cose in particolare nel territorio di Monselice, considerato l'enorme valore storico e artistico dei beni messi a repentaglio dal grave dissesto idrogeologico dell'area.
(4-00215)


   VALLASCAS, CORDA, NICOLA BIANCHI, PINNA, LOMBARDI, BUSTO, TERZONI, SEGONI, TOFALO, D'AMBROSIO, RIZZO, MASSIMILIANO BERNINI, MUCCI, DI BATTISTA, BONAFEDE, ZOLEZZI, PRODANI, PETRAROLI, CURRÒ, MARZANA, FICO, CRISTIAN IANNUZZI, DIENI, TONINELLI, DE LORENZIS, DE ROSA e ARTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il parco geominerario storico ambientale della Sardegna, riconosciuto dall'UNESCO sin dal 1998 quale esempio emblematico della rete europea e mondiale dei GEOPARKS, è stato istituito con decreto del Ministero dell'ambiente del 16 ottobre 2001 in attuazione delle disposizioni contenute nell'articolo 114, comma 10, della legge 23 dicembre 200, n. 388;
   si è pervenuti all'istituzione del citato parco a seguito di una forte volontà popolare che a partire dalla rivendicazione delle associazioni culturali ed ambientali ha visto mobilitate unitariamente le istituzioni locali al fine di ottenere uno strumento capace di contribuire alla rinascita economica e sociale delle aree minerarie dismesse della Sardegna attraverso la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale, paesaggistico-ambientale e socio-antropologico connesso alla millenaria epopea mineraria della Sardegna;
   per quasi sei anni dalla sua istituzione è stato mantenuto nel più totale immobilismo a causa di numerosi vincoli di carattere burocratico, organizzativo e gestionale presenti nel decreto istitutivo e nello statuto del consorzio del parco che ne hanno impedito il regolare funzionamento e l'avvio dell'attività operativa;
   nel febbraio del 2007 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione Sardegna ha proceduto a commissariare il consorzio del parco al fine di poter provvedere con «tempestività» al suo riordino con la rimozione dei vincoli che ne avevano impedito il regolare funzionamento;
   fin dal mese di luglio del 2007, dopo avere ottenuto l'approvazione unanime della comunità del parco, il commissario del consorzio del parco ha trasmesso al presidente della regione Sardegna e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una proposta di riordino dello stesso consorzio da attuarsi attraverso la modifica del decreto istitutivo e dello statuto, previa intesa da stipulare tra lo stesso presidente della regione Sardegna e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   a causa della mancata attuazione della proposta di riordino il consorzio del parco versa in una mortificante e dannosa situazione di stallo che ha indotto l'UNESCO, oltre un anno fa, ad emettere un pesante ammonimento nei confronti dello stesso consorzio del parco quale preavviso di esclusione dalla rete europea e mondiale GEOPARKS;
   dopo aver appreso dell'ammonimento dell'UNESCO, la consulta delle associazioni del parco geominerario, alla quale aderiscono 60 associazioni culturali e ambientaliste, ha dato vita per 400 giorni a un presidio permanente davanti alla sede della presidenza della regione Sardegna, per denunciare questa incredibile situazione e per sollecitare l'attuazione della richiamata proposta di riforma come presupposto per il rilancio del parco geominerario ponendo fine al regime commissariale con la nomina dei nuovi organi collegiali di gestione previsti nella stessa proposta di riforma;
   la regione Sardegna, sulla spinta della protesta delle associazioni e delle pressanti sollecitazioni della comunità del parco ha inviato nel mese di aprile 2012 al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un aggiornamento dell'originaria proposta di riforma come risultanza di una strategia unitaria concordata con tutte le istituzioni e le parti sociali interessate (province, comuni, università, organizzazioni Sindacali e associazioni);
   la richiamata proposta di riforma è ancora bloccata, a quanto consta agli interroganti, la causa delle pretese del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e degli altri Ministeri interessati di mantenere ciascuno la propria rappresentanza (4 consiglieri) nel consiglio direttivo del consorzio del parco nonostante la drastica riduzione del numero dei consiglieri prevista dalla proposta di riforma del consorzio di gestione del parco le cui quote consortili di maggioranza siano detenute dai comuni e nonostante lo stesso consorzio goda di autonomia organizzativa e gestionale;
   nonostante le reiterate posizioni favorevoli espresse dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per fare del parco geominerario della Sardegna «uno strumento di eccellenza a livello nazionale e europeo», lo stesso Governo si è assunto la gravissima responsabilità di tenere bloccata la proposta di riforma del consorzio del parco per quelle che agli interroganti appaiono deleterie ragioni di esercizio del potere che contrastano con le esigenze di semplificazione della pubblica amministrazione e di contenimento della spesa pubblica;
   le istituzioni competenti non sono state ancora capaci di rendere operativo lo strumento che il Parlamento, il Governo e la regione Sardegna, hanno voluto istituire e finanziare 11 anni fa, nel rispetto degli impegni assunti con l'Unesco, per promuovere lo sviluppo e la rinascita culturale, sociale ed economica delle aree minerarie dismesse della Sardegna, come sta avvenendo con eccellenti risultati nei vecchi bacini minerari europei con la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro;
   tale grave e inaccettabile inadempienza è da considerare, ad avviso degli interroganti, politicamente irresponsabile e moralmente riprovevole alla luce della drammatica situazione di tensione sociale che stanno attraversando proprio in questi momenti gli stessi territori a causa degli effetti devastanti della crisi del settore industriale –:
   nell'ambito delle rispettive competenze, se siano a conoscenza di quanto evidenziato in premessa, se risulti corrispondente al vero e con quali atti e quali finalità siano intervenuti o intendano intervenire;
   quali siano le ragioni per le quali, dopo quasi 6 anni dall'approvazione da parte della comunità del parco, e dopo oltre 18 mesi dall'inizio della protesta della consulta delle associazioni, il Governo non abbia ancora provveduto a dare attuazione alla proposta di riforma e al rilancio del consorzio del parco geominerario storico ambientale della Sardegna nel rispetto della volontà espressa dalle istituzioni locali, dalle parti sociali e dalle popolazioni interessate. (4-00221)


   GREGORI, FASSINA, PASTORINO, TIDEI, FERRO, MICCOLI, MAZZOLI, TERROSI, MARRONI, STUMPO, MORASSUT, DAMIANO, VILLECCO CALIPARI, TINO IANNUZZI, CARELLA e VALIANTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta all'interrogante:
    a quattro anni dal terribile terremoto che ha colpito la città dell'Aquila, causando 309 vittime e 10 miliardi di danni, la ricostruzione leggera è a buon punto, ma quella pesante è partita solo nelle periferie, non occupandosi in maniera sufficientemente adeguata del centro storico;
    in occasione delle cerimonie di commemorazione per il quarto anniversario del sisma la popolazione tutta ha lanciato l'ennesimo grido di dolore e di denuncia nei confronti di una situazione sempre più insostenibile, dove alla tragedia si è aggiunta anche una profonda crisi sociale ed economica;
    la città dell'Aquila si candida a diventare Capitale europea della cultura per il 2019, un'iniziativa lodevole quale fattore di riaggregazione della comunità intorno ad un progetto ben avvertibile d'interesse generale, ma che tuttavia presuppone lo stanziamento di risorse certe e costanti, ed un chiaro impegno di ricostruzione economica e materiale del centro storico e dell’hinterland;
    le persone ancora assistite sono 22.206, di cui 12.318 vivono nelle C.a.s.e. (complessi antisismici sostenibili ecocompatibili), 2.700 in moduli provvisori, 240 in abitazioni del Fondo immobiliare, 259 sono alloggiati in varie strutture ricettive, come le 116 persone che vivono ancora presso la caserma a Coppito, mentre i 6.686 aquilani rimasti senza un tetto ricevono un contributo autonoma sistemazione, che il comune ha continuato con fatica ad erogare anche in assenza di trasferimenti dello Stato;
    secondo quanto riferito in una recente intervista radiofonica dal sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, nell'ultimo anno se ne sono andate via dalla città 6.000 persone e vi è il rischio concreto che, a questi ritmi, nel 2016, non ci saranno neanche 40 mila abitanti a popolare il capoluogo di regione;
    stando ai vertici di Confcommercio Abruzzo continuano le perdite economiche visto che con la chiusura del centro storico i negozi hanno dovuto spostarsi verso l'esterno della città e ciò ha fatto crollare gli acquisti d'impulso, che coprono il 50-60 per cento dell'attuale giro di affari;
    le principali associazioni di categoria, i commercianti, gli artigiani e gli imprenditori accusano la presenza di uno Stato che invece di semplificare e agevolare il rientro alla normalità ha, al contrario, messo in piedi un apparato burocratico fatto di decreti, ordinanze, leggi e direttive, per un totale di circa 1.109 disposizioni, che sembra giustificato solo in parte e certamente non aiuta chi, in buona fede e nel rispetto della legge, deve vedersi garantita la necessaria snellezza amministrativa e burocratica per poter far ripartire le proprie attività;
    il Ministro per la coesione territoriale, in qualità di inviato speciale del Governo per la ricostruzione dell'Aquila e dei comuni del cratere, ha recentemente illustrato le tappe future della ricostruzione e descritto l'attività svolta negli ultimi 14 mesi;
    solo qualche settimana fa, il Ministro dell'economia e delle finanze ha firmato il decreto di variazione di bilancio dei fondi per L'Aquila e i comuni del cratere e tali fondi, secondo quanto si apprende da fonti di stampa, consentiranno in primo luogo di avviare in modo sistematico la ricostruzione del centro storico dell'Aquila e degli altri comuni del cratere, sia nella parte privata che pubblica –:
   se alla luce di quanto esposto, non si ritenga doveroso, in accordo con il Commissario delegato per la ricostruzione e gli altri organi interessati, procedere ad una riduzione dello stock normativo intervenuto nel corso degli anni nella gestione post-sisma, al fine di semplificare e introdurre elementi di chiarezza e sistematicità amministrativa certamente utili alla ripresa economica e sociale della città dell'Aquila e dei comuni del cratere;
   quali iniziative di propria competenza il Governo intenda mettere in atto per cercare di accelerare le tappe della ricostruzione ordinaria e abbassare le attuali stime temporali di completamento dei lavori o comunque per fornire elementi di priorità che, ad oggi, sembrano essere particolarmente pressanti per la popolazione come, ad esempio, il ripristino dell'indotto commerciale nel centro storico o l'alleviamento delle condizioni di crisi in cui versano sia il settore edile che i lavoratori in cassa integrazione. (4-00224)


   RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale crisi economica, derivante dalla problematica dell'eccessivo peso dei debiti sovrani, impone certamente attenzione nella gestione dei conti pubblici al fine di non incrementare il deficit, ma non deve far smarrite, nel contempo, il criterio dell'equità sociale, tantomeno se il suo venir meno può recare pregiudizio non soltanto all'ordinato vivere civile ma alla vita stessa delle persone;
   il giorno 4 aprile 2013, intorno alle ore 20, a quanto si evince dall'articolo tratto dal sito Giornalettismo.it e riportato in allegato alla presente interrogazione in copia fotostatica, a causa di gravi difficoltà economiche si sono tolti la vita Romeo Dionisi, di 62 anni, e sua moglie Annamaria Sopranzi, di 68 anni;
   il fatto è avvenuto a Civitanova Marche, dove la coppia viveva e dove sono stati ritrovati in uno sgabuzzino con una corda stretta al collo;
   il particolare che colpisce maggiormente è l'estrema dignità della coppia, che ha deciso di dar luogo all'estremo gesto con abiti eleganti, a testimonianza del decoro cui marito e moglie, neppure in punto di morte, erano disposti a rinunciare;
   a ciò che sembra, infatti, il motivo del suicidio sarebbe dovuto al fatto che Romeo Dionisi, a quanto risulta da un articolo tratto da Il Messaggero.it e riportato in allegato, pur senza lavoro, si sarebbe trovato ad avere un debito consistente con l'Inps che, per sanare, l'aveva portato ad aprire ulteriori debiti con banche e finanziarie;
   il suddetto debito sarebbe stato contratto, nello specifico per pagare i contributi previdenziali arretrati;
   il fratello di Annamaria Sopranzi, Giuseppe di 72, sconvolto per il gesto della famiglia presso la quale abitava, si è suicidato poco dopo aver appreso la notizia gettandosi in mare e respingendo il salvagente che gli era stato gettato;
   ciò che rappresenta un fatto di estrema gravità, è che parte della popolazione ritenga responsabile moralmente di quanto avvenuto lo Stato nel suo complesso;
   è doveroso riportare al centro del dibattito parlamentare, per quanto sopra esposto, le situazioni in cui i cittadini toccano condizioni di estrema difficoltà dal punto di vista economico, specie se queste sono causate alla necessità di corrispondere cifre talvolta ingenti alle Pubbliche Amministrazioni –:
   quali siano le iniziative che il Governo intenda adottare per evitare il ripetersi di tragedie come quelle accadute a Civitanova Marche;
   se siano attualmente previsti appositi strumenti normativi per i cittadini che, svolgendo un'attività autonoma, si trovano in difficoltà economiche comprovate e non possono effettuare regolarmente i versamenti contributivi come nel caso esposto in premessa. (4-00225)


   ABRIGNANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   numerosi servizi giornalistici si occupano quotidianamente della vicenda relativa ai due militari italiani, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, attualmente in stato di arresto in India e di cui appare superfluo in questa sede ripercorrerne la vicenda;
   in particolare in un servizio giornalistico ANSA del 2 aprile 2013 si apprende che il dottor Carlo Sica, avvocato dello Stato che segue i legali indiani dei connazionali Latorre e Girone, ha dichiarato che «è necessario un processo rapido ed equo» tenendo presente che «i marò sono bloccati in India solo da una denuncia del proprietario del peschereccio», dopo che la Corte suprema il 18 gennaio ha invalidato quanto fatto dalle autorità dello Stato del Kerala per mancanza di giurisdizione;
   in un servizio televisivo del 31 marzo 2013 trasmesso da TG La7 - Cronache, realizzato dal giornalista Paolo Argentini, si citava la procura federale indiana che avrebbe definito l'inchiesta fatta in Kerala «incompleta», «falsata» e «illegittima»;
   appare del tutto evidente che se l'impianto accusatorio costruito dalle autorità del Kerala è crollato per stessa dichiarazione della Corte suprema e della procura federale indiane, i connazionali Girone e Latorre, fino alla formulazione di nuove e circostanziate accuse supportate dalle risultanze di nuovi elementi di indagine, non sono al momento imputati di nulla;
   né può bastare la denuncia del proprietario del peschereccio, Mr. Freddy Bosco, a trattenerli in una condizione di restrizione della libertà personale senza il supporto di nuovi elementi di prova o almeno di nuovi gravi elementi indiziari contro di essi raccolti dagli stessi inquirenti indiani. Non può bastare perché si tratta della sola parola di un privato cittadino che nel corso di questa vicenda ha continuamente rilasciato dichiarazioni pubbliche contraddittorie fra loro, e da notizie apparse sulla stampa indiana, contraddittorie anche con le dichiarazioni rese dalle altre persone presenti sul peschereccio St. Antony al momento dei fatti;
   poiché per stessa ammissione delle autorità indiane l'inchiesta finora condotta è stata definita incompleta, falsata e illegittima, e che sono ben noti grazie ad analisi fatte in Italia e supportate dai rapporti di organismi internazionali ICC (commercial crime services) e IMO (International maritime organization), le evidenze di mancate indagini verso altri potenziali colpevoli presenti sulla scena dei fatti, e l'affondamento del peschereccio St. Antony che rappresentava l'unico elemento su cui verificare i più importanti elementi di accusa alla presenza dei consulenti tecnici della difesa come in ogni procedimento giudiziario –:
   se siano stati acquisiti i documenti della Corte suprema e della Procura federale indiane a cui i servizi giornalistici fanno riferimento;
   se siano state acquisite le dichiarazioni del dottor Carlo Sica;
   se, stante la nuova situazione giuridica venutasi a creare con il crollo dell'impianto accusatorio indiano, si sia dato mandato agli avvocati difensori dei connazionali Girone e Latorre di presentare urgentemente una richiesta di scarcerazione o comunque la fine della restrizione della libertà personale, considerando che questo è quello che farebbe qualsiasi avvocato difensore quando cadono le accuse al proprio assistito;
   se, in vista delle nuove indagini che si prospettano in India:
    a) si sia provveduto alla nomina dei consulenti tecnici della difesa che dovranno partecipare alla nuova inchiesta su ogni punto;
    b) se sarà loro consentito dal nuovo tribunale speciale indiano, che avvia i suoi lavori il giorno 16 aprile 2013, di svolgere il loro lavoro nella pienezza della loro funzione;
    c) quali siano i loro nomi.
(4-00228)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'undici aprile 2013 l'operaio Dario Miceli, di 32 anni, è morto alla stazione Tiburtina di Roma – secondo le agenzie di stampa verso le ore 7,50 – investito dal treno «Frecciarossa» (in direzione Bologna) AV 9508, di Trenitalia, per come riportato sul web dal Giornale della Protezione Civile, durante l'attraversamento dei binari tra il 12 e il 13;
   secondo la cronaca di Repubblica.it e di altre testate, l'operaio era un dipendente della Manutencoop, che gestisce i servizi di pulizia a bordo dei treni «Italo» di Ntv;
   stando all'orario della stazione romana Tiburtina, disponibile sul sito Internet di Rete ferroviaria italiana, alle ore 7,55 era prevista dal binario 12 del predetto scalo la partenza del treno ad alta velocità «Italo», di Ntv, n. 9914, diretto a Torino Porta Susa con avvio da Napoli Centrale alle ore 6,45 e percorrenza Roma-Firenze Santa Maria Novella di un'ora e 22 minuti, dichiarata dal vettore sul proprio sito aziendale;
   il treno AV 9508 impiega, secondo l'orario di Trenitalia, un'ora e 26 minuti per la tratta Roma Termini-Firenze Santa Maria Novella, precisamente dalle ore 7,25 alle ore 8,51;
   il servizio on line pedaggio, di Rete ferroviaria italiana, fornisce una stima di percorrenza, tra Roma Termini e Roma Tiburtina di 4 minuti e 30 secondi, per una lunghezza di 4,505 chilometri e una velocità di 60 chilometri l'ora;
   il 28 novembre 2011 è stata inaugurata la stazione Tiburtina, dopo lavori di ammodernamento durati 4 anni;
   il 24 luglio 2011, verso le ore 4 del mattino, la stazione Tiburtina è stata interessata da un incendio di assai notevoli proporzioni che ha interessato la sala apparati;
   con articolo di Andrea Malan, apparso su Il Sole 24 Ore dell'otto novembre 2012, è stata riassunta l'offerta commerciale di Trenitalia, già da tempo impegnata nella riduzione dei tempi di percorrenza della tratta Roma-Milano, specie da ultimo, grazie all'impiego del treno «Frecciarossa 1000», il quale doveva essere inaugurato proprio il giorno della morte del lavoratore Dario Miceli –:
   se possono riferire, assumendo gli elementi necessari, sugli orari e i turni di lavoro di Dario Miceli, compresi gli spostamenti in area ferroviaria previsti riguardo all'ultimo ordine di servizio;
   quali controlli tecnici sulla sicurezza ferroviaria siano stati e vengano effettuati rispetto alle progressive riduzioni dei tempi di percorrenza della tratta ferroviaria Roma-Milano;
   di quali informazioni siano in possesso in ordine ai sistemi di controllo e sicurezza (moderazione della velocità, frenata et coetera), nei pressi delle stazioni di passaggio, circa l'avvicinamento e allontanamento dei convogli ferroviari dalle medesime, specie dei treni ad alta velocità;
   se sia possibile imporre una velocità ridotta e tassativa di passaggio dei treni che attraversano stazioni come la Tiburtina a Roma. (4-00234)


   SCUVERA, REALACCI e FERRARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sito di interesse nazionale (SIN) presente nel comune di Broni, in provincia di Pavia, è stato riconosciuto nel 2002 per la presenza dell'area dismessa «ex Fibronit»;
   in tale area sorgeva la Cementifera Italiana Fibronit s.p.a. (in seguito Fibronit spa, poi finanziaria Fibronit s.p.a.), già produttrice di cemento fin dal 1919 e che, nel 1932, avviava la lavorazione dell'amianto, mantenendola fino al giugno del 1993, anno nel quale ne fu inibita la produzione ai sensi della legge n. 257 del 1992 che dettava le «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», con specifica deroga che consentiva la produzione di tubi e lastre fino al 1994. Si osserva che la produzione a base di cemento-amianto della Fibronit riguardava principalmente tubi, lastre di copertura e pezzi speciali (camini, curve colmi e altro);
   la finanziaria Fibronit s.p.a. aveva costituito un ramo d'azienda per la produzione di tubi in fibrocemento c.p.c. sistema Ecored (senza amianto) che si insediò nella precedente azienda, quindi in locali ed ambienti inquinati da amianto; il ramo d'azienda venne poi ceduto nel 1998 dalla stessa finanziaria Fibronit s.p.a., allora in liquidazione, insieme ai prodotti finiti, alle merci e alle rimanenze di magazzino, ai macchinari e a parte degli immobili e dell'area (per un totale di circa 3,5 ettari) alla Ecored s.p.a., appositamente costituita (pertanto l'area ex Fibronit comprende anche l'area ex Ecored);
   il suddetto sito di interesse nazionale è l'unico, dislocato in Lombardia, inquinato da amianto. L'area ha un'estensione di circa 13,5 ettari, di cui il 35 per cento è coperto da capannoni e da uffici, mentre la parte residua, adibita a piazzale, è pavimentata quasi totalmente (cls/asfalto). Originariamente circondata dalla zona agricola, dista soltanto circa 600 metri dal centro storico di Broni, che rappresenta ancora oggi il nucleo con più elevata densità abitativa. Negli anni, l'insediamento è stato raggiunto dall'espansione residenziale ed artigianale e dal censimento effettuato dal comune medesimo risulta che le coperture in amianto hanno una superficie complessiva di circa 150.000 metri quadrati di cui circa 1.000 metri quadrati sono coperture di edifici pubblici, tra cui anche scuole;
   l'esposizione ad amianto comporta l'insorgere nelle persone esposte delle cosiddette patologie asbesto-correlate che si manifestano sotto forma di mesotelioma (tumore al polmone, alla laringe, all'ovaio e altro), come anche accertato dalla sentenza del 13 febbraio 2012 con cui il tribunale di Torino condannava i vertici della multinazionale elvetica Eternit. Broni è l'area con il più alto numero di decessi per mesotelioma rispetto al numero di abitanti in Italia, patologia che colpisce anche i soggetti non esposti per motivi professionali;
   le operazioni di bonifica programmate finora hanno determinato il completamento della sola messa in sicurezza di emergenza del sito (MISE), senza procedere alla effettiva bonifica dell'ambiente inquinato; scrive Lorenzo Bordoni nel suo Reportage «Broni, l'amianto killer» del 2011: «L'azienda si chiamava Fibronit, sorge a pochi passi dal centro di Broni e ha cambiato insegna vent'anni fa. Ma continua a fare strage: prima degli operai che si riempivano i polmoni di polvere d'amianto, poi delle loro mogli che lavavano i panni da lavoro, oggi dei loro figli. Quaranta morti all'anno, perché in quello stabilimento ci sono ancora trecentomila metri quadri da bonificare»;
   eppure la messa al bando dell'amianto di cui alla citata legge n. 257 del 1992 imponeva l'immediata bonifica del sito; tuttavia, a causa delle gravi carenze tecniche riscontrate, il progetto di bonifica ambientale, proposto più volte dalla finanziaria Fibronit all'amministrazione comunale, è stato sempre respinto dagli organi di controllo. Pertanto dal 1994 al 2000 non è stata operata alcuna operazione di bonifica;
   nel gennaio 2002 il comune di Broni ha attivato i poteri sostitutivi nei confronti dei soggetti obbligati inadempienti, ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997, e nel maggio 2002, ha affidato l'incarico per l'esecuzione del progetto preliminare di messa in sicurezza e smaltimento dei rifiuti contenenti amianto;
   ad oggi, sono stati complessivamente concessi e/o assentiti per le operazioni di bonifica 7.054.872 euro, di cui 1.382.145 euro dalla regione Lombardia e 5.572,727 euro dal Ministero competente; con tali finanziamenti sono stati realizzati interventi, relativi alla messa in sicurezza del sito, alla bonifica e allo smaltimento e, in particolare, dal 2002 al 2006 è stato effettuato il piano di caratterizzazione dell'area ex Fibronit e sono stati realizzati i relativi interventi di messa in sicurezza, consistenti nello smaltimento dei rifiuti e dei materiali contenenti amianto giacenti sui piazzali nonché di altri materiali pericolosi; complessivamente sono state smaltite 1.418 tonnellate di manufatti contaminati da amianto e 100 tonnellate di fanghi;
   nel 2009 la ditta Sadi Servizi Industriali S.p.A ha eseguito i lavori per la messa in sicurezza di emergenza, con il conseguente smaltimento di 27,4 tonnellate di materiali contaminati da amianto e 18,7 tonnellate di ferro e acciaio;
   sempre nel 2009 il comune di Broni ha acquisito a costo zero l'area ex Fibronit e l'area ex Ecored, che sono ancora oggi di proprietà dell'amministrazione che non ha ancora definito la destinazione dell'area;
   nel 2010 è stato presentato ed approvato il progetto della messa in sicurezza dell'intero sito ed è stato emanato il bando d'appalto per l'assegnazione dei lavori, consegnati alle imprese vincitrici nel luglio 2011 da Bronistradella spa, società partecipata dal comune di Broni, che gestisce l'attività di bonifica; sono, dunque, partiti i lavori relativi alla messa in sicurezza d'emergenza dell'intero sito e alla bonifica del primo lotto dell'area ex Fibronit ex Ecored;
   quindi, ad oggi, sono state poste in essere diverse attività, sia per la messa in sicurezza, attraverso misure per il contenimento del rischio di diffusione delle fibre d'amianto nell'ambiente, sia per l'avvio del primo stralcio di bonifica dei capannoni industriali; detti lavori hanno generato 2400 tonnellate di rifiuti pericolosi, 800 tonnellate di rifiuti non pericolosi, 800 tonnellate di altri rifiuti e 1500 tonnellate di materiali ferrosi;
   una stima aggiornata dei costi per il completamento delle operazioni di bonifica (escluso lo smaltimento) comprensivi del monitoraggio ambientale periodico e delle valutazioni epidemiologiche ammonterebbe ad euro 21.174.872; pertanto le risorse da reperire ammontano a oltre 14 milioni di euro;
   la gravità della situazione rende necessario «sbloccare» tali finanziamenti e procedere alla valutazione istruttoria della variante giacente al Ministero nel più breve tempo possibile: la messa in sicurezza di emergenza, infatti, è un intervento «tampone», ma il lavoro di bonifica deve proseguire; peraltro si stima che la preventiva messa in sicurezza dell'intero sito, senza procedere direttamente alla bonifica, abbia prodotto un aumento di costi almeno del 30-40 per cento rispetto all'intervento immediato di bonifica;
   il 25 marzo 2013 il sindaco di Broni con i gruppi consiliari di tutte le forze politiche e le associazioni ambientaliste ha chiesto con forza al presidente della regione Lombardia e all'assessore regionale all'ambiente, nelle more del finanziamento statale, di stanziare le necessarie risorse per finanziare la bonifica Fibronit; in particolare l'amministrazione locale scrive che – «è ormai riconosciuta la grave situazione sanitaria locale caratterizzata da un costante aumento delle vittime di malattie asbesto correlate, che hanno colpito non soltanto gli ex lavoratori (circa 3.800 tra uomini e donne) e i loro familiari, direttamente o indirettamente a contatto con la fonte di inquinamento, ma colpiscono in questi ultimi tempi cittadini che hanno soltanto la colpa di aver respirato all'epoca della produzione l'aria di Broni»;
   infatti, la dispersione di fibre legata alla produzione di manufatti, particolarmente forte negli anni settanta, ha provocato un gravissimo inquinamento ambientale e la conseguente mortalità si sta verificando dopo 35-40 anni, come spiegato dalla letteratura medica. Nel quaderno del Ministero della salute n. 15 del maggio-giugno 2012, il tasso grezzo di incidenza per 100.000 abitanti di mesotelioma pleurico osservato a Broni è di 82,02, addirittura superiore a quello di Casale Monferrato;
   nonostante le continue istanze delle amministrazioni locali che si sono succedute, delle associazioni ambientaliste e dei cittadini, la bonifica non è proseguita per la mancanza di fondi, mentre si sceglie un percorso di sviluppo del territorio basato su opere faraoniche – come l'autostrada Broni-Mortara – che continua a deprimere le potenzialità turistiche e le bellezze paesaggistiche dell'Oltrepò pavese, aggravandone l'inquinamento e danneggiando il tessuto socio-economico e, in particolare, l'impresa agricola –:
   quale sia lo stadio dell'istruttoria di approvazione della variante di progetto che consentirebbe lo sblocco di euro 800.000 coi quali il comune di Broni potrebbe dare l'avvio effettivo della bonifica;
   quali siano i motivi del ritardo dei finanziamenti per ultimare la bonifica;
   se il Governo non intenda individuare urgentemente, e rendere immediatamente disponibili, adeguate risorse economiche che consentano di ultimare la bonifica del sito di interesse nazionale ex Fibronit insistente a Broni. (4-00239)


   NESCI, PARENTELA, DIENI e BARBANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   nel 1978 fu approvato il progetto di realizzazione dell'invaso artificiale dell'Alaco, in provincia di Vibo Valentia, che attualmente rifornisce di acqua potabilizzata 88 comuni delle Province di Catanzaro e Vibo Valentia, circa 400 mila abitanti;
   dall'appalto, avvenuto nel 1985, vi furono sei perizie di variante e nove sospensioni dei lavori, con vizi procedurali (mancanza di nullaosta paesaggistico e di valutazione d'impatto ambientale, secondo l'interrogazione parlamentare a risposta scritta n. 4/12032 del 12 luglio 1995, dell'on. Giuseppe Soriero che non ricevette risposta) e con un iter che determinò un aumento esponenziale dei costi;
   nondimeno, nella fase di edificazione della diga dell'invaso, si manifestarono perplessità su dissesto idrogeologico e modificazioni dell'ecosistema, anche per il tramite di atti di sindacato ispettivo (interrogazione dell'on Soriero di cui sopra e analoga per tipo, iter concluso dell'on. Mauro Paissan, n. 4/15439, del 10 febbraio 1998);
   nel 2002, la Corte dei conti, sezione regionale, accertò un danno erariale di 68.505.369,28 euro;
   nel marzo del 2012 – per come ribadito nell'interrogazione parlamentare a risposta scritta dell'on. Angela Napoli, n. 4/16711 del 21 giugno 2012, che non ha ricevuto risposta – l'inchiesta giudiziaria denominata «Ceralacca», della DDA Reggio Calabria, portò in carcere nove persone, alcune delle quali legate a cosche di ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro e tre funzionari del gestore SoRiCal, con accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere, turbata libertà degli incanti, corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio;
   il 17 maggio 2012 i carabinieri del Nas di Catanzaro sequestrarono l'invaso e rimpianto di potabilizzazione, compresi gli apparati idrici dello schema d'acquedotto, con 26 indagati tra dirigenti e tecnici del gestore SoRiCal, responsabili di aziende sanitarie provinciali, dirigenti regionali e dell'Arpacal, formulando la procura di Vibo Valentia ipotesi di avvelenamento colposo e inadempimento di contratto di frode in pubblica fornitura;
   negli atti della predetta inchiesta, ed. «Acqua Sporca», precisamente nella relazione di Antonio Tomaino, esperto, CTU della Procura vibonese, è scritto che «l'acqua erogata risulta inutilizzabile per l'uso umano»;
   si legge – pubblicata sul blog del giornalista calabrese Emilio Grimaldi e ripresa nell'inchiesta video «Acquaraggia», in onda nella trasmissione «Crash» (Rai), del novembre 2012 – in un'intervista di Maurizio Remo Reale, ex dipendente presso l'impianto di potabilizzazione Alaco, che già nel 2006 «l'acqua dell'invaso presentava una grossa problematica a causa del disfacimento chimico delle piante del fondale», che «il disboscamento eseguito prima dell'invaso non era stato portato a termine o l'invaso era stato eseguito diverso tempo dopo aver pulito», che «l'impianto Alaco era dotato di un solo compattatore di fanghi, sottodimensionato», e che la stazione di filtraggio non aveva requisiti idonei;
   la custodia giudiziaria degli impianti sequestrati è affidata, oltre ad altri, al signor Marco Merante, il quale risulta essere il marito di una lavoratrice dell'ufficio legale del gestore SoRiCal;
   secondo la testata web «Il Vizzarro.it», nominati i custodi giudiziari, a tre mesi dal riferito provvedimento della Procura è stato accertato (solo) su segnalazione del Comitato Civico pro Serre il pascolo di bovini in aree sequestrate, con pericoli, peraltro, per la salubrità delle acque;
   l'allargamento dell'inchiesta «Acqua Sporca» portò a ulteriori 20 avvisi di garanzia, indirizzati a sindaci o ex sindaci di comuni serviti dal sistema dell'Alaco, che avrebbero omesso nel tempo di effettuare le analisi stabilite dal decreto legislativo n. 31 del 2001;
   il 6 dicembre 2012 l'Arpacal prelevò dei campioni in uscita dall'impianto, da cui emerse la presenza di benzene nell'invaso, con un valore 800 volte superiore alla norma;
   i risultati furono resi pubblici solo il 29 gennaio 2013 e il 30 gennaio l'Arpacal dichiarò che «per un mero errore di trascrizione, nelle acque dell'Alaco non è presente benzene ma, piuttosto, composti aromatici alogenati derivati dal benzene», aggiungendo che i medesimi non sono previsti nella tabella degli elementi indicati dal decreto legislativo n. 31 del 2001;
   agli interroganti risulta in corso un'indagine penale, dopo un intervento del prefetto di Vibo Valentia sulla questione della salubrità delle acque, per risalire ad eventuali responsabilità sul suddetto caso del benzene e per determinare compiutamente la potabilità o meno dell'acqua dell'invaso;
   nel febbraio scorso il biologo Silvio Greco dichiarò a Il Quotidiano della Calabria che sul piano scientifico la formula di giustificazione dell'Arpacal sarebbe stata vaga e nel campione del 6 dicembre scorso potevano esserci, in realtà, sostanze più pericolose del benzene;
   circa le analisi dell'Arpacal, diversamente da analoghe agenzie, non risulta esserci l'accreditamento di «Accredia», unico organismo nazionale autorizzato dallo Stato a svolgere attività di controllo in conformità agli standard internazionali della serie Iso 17.000;
   secondo Il Quotidiano della Calabria on line (articolo di Stefania Papaleo del 18 gennaio 2013), i vertici dell'Arpacal, di nomina politica, sono indagati per avere attestato falsamente di essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge, cioè una «comprovata esperienza tecnico scientifica in materia ambientale» e «cinque anni di attività professionale riconducibile all'incarico», mentre per abuso d'ufficio è invece indagato, nella stessa inchiesta, il presidente del consiglio regionale della Calabria, Francesco Talarico;
   il prefetto di Vibo Valentia ha richiesto all'Asp di Vibo Valentia la pubblicazione on line dei risultati delle analisi delle acque, ma detta pubblicazione non è ancora del tutto disponibile;
   il prefetto di Vibo Valentia ha richiesto analisi di campione dei fondali dell'invaso, per verificare eventuali tracce di radiogeni –:
   di quali elementi informativi disponga il Governo con riferimento alla richiamata vicenda e quale sia la propria valutazione con riguardo agli aspetti di competenza;
   quali misure ritengano opportune, alla luce dei fatti esposti, a tutela della salute della popolazione e della salvaguardia dell'ambiente;
   se non ritengano necessari interventi per la chiusura dell'invaso, in attesa delle verifiche circa i sedimenti e previa predisposizione, secondo competenze, di un piano per un diverso approvvigionamento idrico dei comuni finora serviti;
   se non intendano acquisire, per quanto finora narrato, ogni ulteriore elemento in relazione alla gestione del servizio idrico integrato in Calabria da parte di SoRiCal e ai protocolli di comunicazione tra questi, le aziende sanitarie provinciali e l'Arpacal;
   se siano a conoscenza di altri elementi, in ordine all'intera gestione dell'impianto, che determinino delle incompatibilità di ruoli. (4-00244)


   GALLINELLA, GAGNARLI, BENEDETTI, L'ABBATE, TERZONI, ZACCAGNINI, LUPO, PARENTELA, LIUZZI, SCAGLIUSI, MASSIMILIANO BERNINI e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 62 del decreto legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «decreto liberalizzazioni») convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012 ha introdotto l'obbligo dei contratti scritti nelle transazioni agricole e alimentari e termini di pagamento di 30 giorni per i prodotti reperibili e 60 per quelli non deperibili;
   la ratio del citato articolo 62 era quella di limitare il potere contrattuale da parte delle imprese acquirenti (in generale identificate con la grande distribuzione), proteggendo la filiera alimentare italiana indebolita dalla crisi;
   la regolamentazione di tali rapporti è stata da tempo oggetto di analisi e dibattito e l'articolo 62 sembrava aver posto diversi punti fermi sulla questione. Invece, poco dopo la sua approvazione è di fatto emerso un vero e proprio scontro tra il ministero dello sviluppo economico e quello delle politiche agricole. Il primo ha di fatto dichiarato abrogata la norma mentre il secondo ne ha difeso la piena legittimità ed operatività;
   rispondendo a quanto si apprende ad un quesito posto sulla questione da Confindustria il Ministero dello sviluppo economico con un parere espresso dal suo ufficio legislativo ha dichiarato «di fatto» abrogato l'articolo 62 del decreto legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «Decreto liberalizzazioni») convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2012. Tra le motivazioni di tale «cancellazione di fatto» ci sarebbe il recepimento della direttiva comunitaria sui pagamenti che ha introdotto una disciplina più flessibile riguardo alle transazioni tra le imprese quindi, sostiene il Ministro dello sviluppo economico «la disciplina di cui all'articolo 62 dovrebbe essere disapplicata per contrasto con il sopravvenuto diritto europeo»;
   da parte sua il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha, tramite il proprio ufficio legislativo, ribadito la piena operatività della norma perché l'articolo 62 si pone in un rapporto di specificità rispetto alla previsione di carattere generale delineata con la direttiva europea;
   il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali ha ricordato anche che «il principio contenuto in una normativa speciale risulta insuscettibile di essere abrogato tacitamente o implicitamente da una norma generale» e a questo proposito ha portato a sostegno della sua tesi: sentenze di Cassazione, norme comunitarie che autorizzano «disposizioni più favorevoli al creditore» e anche un parere del Consiglio di Stato;
   contro il parere del Ministro dello sviluppo economico si sono espresse diverse associazioni di industriali ed agricoltori. Il vicepresidente di Assocarni ha dichiarato: «inconsistente la base giuridica con cui un funzionario del ministero dello Sviluppo economico pretende di mettere in discussione una legge dello Stato e un obiettivo politico dichiarato prioritario e importante dai ministri delle Politiche agricole e dello Sviluppo economico» aggiungendo: «Può succedere solo in un paese come l'Italia che due ministri di un Governo annuncino come un importante obiettivo portato a casa quello di aver finalmente moralizzato i termini di pagamento dei prodotti alimentari e che un secondo prima della scadenza di tale Governo un solerte funzionario sostenga l'assenza di base giuridica di un provvedimento tra l'altro giudicato pienamente legittimo dallo stesso Consiglio di Stato»;
   Federalimentari da parte sua si è augurata che: «le divergenze interpretative vengano ricomposte, come sono state a suo tempo rapidamente modificate e migliorate le disposizioni che avevano dato luogo a difficoltà e complessità applicative con l'introduzione di opportune semplificazioni»;
   «l'articolo 62 è legge dello Stato ed è stato rispettato dall'industria alimentare, così come ci risulta da parte delle altre componenti della filiera, fin dalla sua entrata in vigore lo scorso 24 ottobre 2012, contribuendo a generare liquidità a favore, in particolare, delle pmi»;
   di certo su una questione così delicata tutto era necessario tranne che creare una situazione di incertezza e confusione, il contrasto emerso tra i due Ministeri coinvolti appare davvero come un vero e proprio controsenso sul piano politico, istituzionale e giuridico;
   sarebbero esistiti ed esistono comunque diversi punti specifici della norma su cui si dovrebbe fare chiarezza: per esempio occorrerebbe chiarire che cosa si intenda ad esempio con il principio di proporzionalità che deve essere applicato ai contratti tra le imprese, quali beni rientrano nella categoria definita deperibile, e a quali soggetti la normativa definita dall'articolo 62 si deve applicare. Su quest'ultimo punto Confcommercio ha diramato un comunicato sottolineando che la norma «attuativa dell'articolo 62 viene [...] indirizzata alle casistiche di rapporti commerciali con particolare riferimento alle relazioni economiche tra gli operatori della filiera connotate da un significativo squilibrio nelle rispettive posizioni di forza commerciale [...] se ne può dedurre che la norma risulta riferibile e applicabile alle sole relazioni economiche nelle quali sia chiaramente rilevabile lo «squilibrio di potere commerciale». Su tutti questi punti sarebbe stato ed e continua ad essere necessario fare chiarezza;
   su tutti questi e su altri aspetti che si sarebbero dovuti approfondire in senso costruttivo si è abbattuta la diatriba ad avviso degli interroganti paradossale tra i due Ministeri;
   è il caso di ricordare che sono in gioco migliaia di posti di lavoro, non si tratta di una questione tecnica di poco conto, la sua soluzione può determinare effetti enormemente positivi su tutto il settore ma è fondamentale che si faccia immediatamente chiarezza;
   appare necessario equilibrare il settore, difendere e proteggere la filiera italiana duramente colpita dalla crisi, riuscire a garantire, comunque, il necessario contenimento dei prezzi all'acquisto per i cittadini –:
   quale sia la situazione attuale, come sia stato possibile che due Ministeri siano entrati in evidente e palese contrasto tra loro creando una situazione di enorme confusione e quale sia l'interpretazione corretta a cui fare riferimento rispetto all'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «Decreto liberalizzazioni») convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2012;
   che cosa si intenda con il principio di proporzionalità esplicitato dall'articolo 62 che deve essere applicato ai contratti tra le imprese, quali beni rientrino nella categoria definita deperibile, sempre ai sensi di quanto disposto dall'articolo 62, e a quali soggetti la normativa definita dall'articolo 62 si debba applicare. (4-00247)


   MOSCA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 12 luglio 2011 è entrata in vigore la legge n. 120, con disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati;
   la legge in questione introduce l'obbligo di equilibrare le rappresentanze di genere negli organi di governo e di controllo – consigli di amministrazione e collegi sindacali; il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio deve essere applicato per tre mandati consecutivi e per organi con più di tre componenti;
   la stessa si applica dal primo rinnovo che interviene dopo un anno dall'entrata in vigore della legge, stabilendo che per il primo mandato in applicazione della legge il genere meno rappresentato abbia una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti;
   le disposizioni della citata legge si applicano anche alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati, e per tali società il monitoraggio e la vigilanza sull'attuazione della legge, sono affidati alla Presidenza del Consiglio o al Ministro delegato per le pari opportunità;
   nei prossimi mesi, e comunque entro la fine del 2013, andranno a rinnovo le cariche in consigli di amministrazione e collegi sindacali di numerose società controllate da pubbliche amministrazioni (solo per citarne alcune di grande rilievo: Invitalia, Cassa depositi e prestiti, Ferrovie dello Stato, Società lo sviluppo del mercato dei fondi pensione spa, Sogesid, Sogin, Enel, Anas, Arcus, Cassa Depositi e Prestiti, Rai, Rete autostrade mediterranee, Sicot, Società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione), e altre società a partecipazione statale delle quali non si ha esatta data di scadenza dei rispettivi consigli di amministrazione e collegi sindacali (tra le quali: Enav, Eur, Gse, Istituto Poligrafico, Italia Lavoro, Consap, Consip, Expo) –:
   come intenda procedere nell'applicazione della legge n. 120 del 2011 e quali azioni intenda avviare relativamente ai prossimi rinnovi delle cariche elettive delle società controllate da pubbliche amministrazioni;
   quale sia l'esatta data di scadenza dei consigli di amministrazione e dei consigli sindacali di tutte le società a partecipazione statale, al fine di monitorare la migliore e trasparente applicazione della legge n. 120 del 2011. (4-00252)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   oggi, 10 aprile 2013 ricorre il 22o triste anniversario della più grave tragedia che abbia mai colpito la marina mercantile italiana dal Secondo dopoguerra e la terza tragedia della marina italiana in tempo di pace per le 140 vittime perite in seguito alla collisione fra il traghetto Moby Prince e la nave Agip Abruzzi al largo del porto di Livorno;
   non è mai stata fatta piena luce rispetto alla dinamica dell'incidente nonostante l'attività della magistratura e le inchieste giornalistiche, tra cui la trasmissione televisiva dell'epoca «Mixer», da cui è stata tratta da Giovanni Minoli anche una puntata della serie «La storia siamo noi» di Rai Educational, dal titolo «Moby Prince: il porto delle nebbie», e quella del quotidiano il Tirreno da cui è emerso che in questi ventidue anni si sono succedute incongruenze processuali, omissioni, testimonianze parziali e inascoltate;
   come si evince poi da un articolo di Iacopo Gori, pubblicato, il 10 aprile 2013, sul Corriere della Sera e corredato nel sito internet del suddetto giornale anche da un supporto video, un ultimo tassello di una strage dimenticata ma piena di morti e strane coincidenze e misteri arriva a 22 anni esatti dalla tragedia. Nel pezzo Manfredi Lucibello, giovane regista che da due anni lavora a Centoquaranta - La strage dimenticata, un film documentarlo, sulla strage avvenuta nella rada del porto di Livorno, afferma che: «Il tribunale di Livorno non ha più le registrazioni audio del processo sulla Moby Prince, quelle che valgono a livello legale. Esistono le trascrizioni delle testimonianze ma non le registrazioni audio. Abbiamo fatto due richieste tramite avvocato per ottenerle, non ci hanno mai ufficialmente risposto ma ci hanno fatto capire che non ci sono. Scomparse»;
   l'interrogante è già stato primo firmatario il 26 aprile del 2005 (4-13911) e nella passata Legislatura il 20 aprile 2009 (4-02810) di una interrogazione a risposta scritta avente lo stesso oggetto, senza peraltro avere risposta sebbene essa sia stata sollecitata ben 14 volte nella sedicesima legislatura;
   appare ancora oggi poco credibile, come chiariva l'articolo pubblicato dal Tirreno ormai quattro anni fa, la dichiarazione del capo ufficio Responsabile dell'avvocatura militare del Dipartimento della Difesa Usa, che rispose: «Camp Darby non è in possesso di attrezzature in grado di intercettare le comunicazioni radio della Moby Prince. Poiché non si tratta di una base portuale, Camp Darby non ha motivo di intercettare le comunicazioni che le navi trasmettono a terra. Allo stesso modo Camp Darby non è dotata di attrezzatura radar. Il Governo Usa non aveva alcun motivo di monitorare il Porto di Livorno con un sistema di immagini satellitari e non lo stava facendo. Non sono quindi disponibili immagini o registrazioni di alcun tipo»; questa versione dei fatti risulta di dubbia veridicità poiché è stato accertato che in quei giorni si trovavano nel porto di Livorno almeno sette navi sottoposte al comando USA. Ufficialmente le navi dovevano effettuare il trasbordo di armamenti provenienti dal Golfo nella base militare di Camp Darby. Abitualmente le operazioni avvenivano con l'aiuto di imbarcazioni più piccole e attraverso una gestione coordinata terra-mare via radio. La sera del 10 aprile 1991, le operazioni di trasbordo vennero effettuate da una delle navi USA su un'altra nave, mai identificata. Risulta che le armi trasportate dalle imbarcazioni presenti nel porto di Livorno sono scomparse nel nulla e non sono mai arrivate alla base di Camp Darby;
   inoltre secondo un articolo de La Repubblica del 19 novembre 2007, il rinvenimento di nuovi elementi di indagine ha permesso all'avvocato Carlo Palermo, legale della famiglia del comandante Chessa del traghetto Moby Prince deceduto nella collisione, la riapertura del procedimento penale ed ha il risvolto inquietante dell'aggressione del consulente del legale: picchiato, stordito e chiuso in un'auto data alle fiamme. Il tutto poche settimane dopo la riapertura dell'inchiesta, proprio in seguito ad elementi nuovi portati dall'avvocato. Dall'auto del consulente sono scomparsi anche alcuni documenti di importante rilevanza processuale;
   vale la pena evidenziare come nel sito internet dell'Associazione «10 aprile 1991 – Familiari delle vittime del Moby Prince» si può ancora leggere un accorato appello dei familiari delle vittime in cui si coglie la legittima richiesta di «non dimenticare le persone innocenti morte senza ragione, senza spiegazione. Morte dopo ore di attesa, morte soffocate e bruciate. Morte con i loro affetti, le loro passioni, la loro vita. Morte perché si sono trovati al momento sbagliato, nel posto sbagliato. [...] Per questo bisogna ricordare che, il 10 aprile del 1991, 140 persone sono morte e aspettano ancora giustizia» –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati intendano attivarsi affinché sia data risposta alla richiesta di verità e al dolore delle famiglie e di tutto il Paese, raccogliendo anche l'appello di verità lanciato dal Presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso, e chiedendo al Governo degli Stati Uniti d'America di conoscere se esistano le immagini e le registrazioni dei tracciati satellitari delle navi presenti nella rada del porto di Livorno, il 10 aprile 1991 e, nel caso, chiederne l'acquisizione;
   se il Ministro della Giustizia voglia predisporre un'ispezione presso il tribunale di Livorno per verificare l'effettivo smarrimento delle registrazioni a valore legale e le circostanze in cui esso è avvenuto. (4-00261)

AFFARI ESTERI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà nel mese di aprile 2013 per discutere le conclusioni e raccomandazioni dell'iniziativa diplomatica svolta nel corso degli ultimi mesi dall'inviato personale delle Nazioni Unite per il Sahara Occidentale Christopher Ross e decidere sulla riconferma del mandato della missione ONU nel Sahara Occidentale, (MINURSO), in scadenza alla fine del mese di aprile, e alla quale l'Italia partecipa direttamente con alcuni militari;
   diverse risoluzioni del Parlamento italiano ed europeo chiedono da tempo il rispetto dei diritti umani in Sahara Occidentale;
   le risoluzioni delle Nazioni Unite, del Consiglio di Sicurezza e dell'Assemblea generale dell'Onu sul conflitto del Sahara Occidentale hanno ribadito più volte il diritto all'autodeterminazione del popolo sahrawi, da realizzarsi attraverso un referendum, al fine di arrivare ad una «soluzione politica giusta, durevole e mutuamente accettabile», che possa contribuire alla stabilità, allo sviluppo ed all'integrazione nella regione del Maghreb;
   l'attuale conflitto in Mali rischia di accrescere l'instabilità e l'insicurezza nel Sahel e rende la soluzione del conflitto del Sahara occidentale più urgente che mai;
   l'inviato personale del Segretario generale dell'ONU per il Sahara occidentale Christopher Ross, dal 20 marzo al 3 aprile 2013, ha realizzato una visita in Marocco, Sahara occidentale, nei campi di rifugiati sahrawi di Tindouf (Algeria), in Algeria e Mauritania, per preparare il prossimo round di negoziati diretti tra Marocco e Fronte Polisario, ipotizzato per la metà del 2013;
   il 15 marzo 2013, il Gruppo di Amici del Sahara occidentale (Francia, Stati Uniti, Spagna, Gran Bretagna e Russia) ha espresso il pieno appoggio agli sforzi di mediazione del Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e del suo inviato personale;
   le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dal Regno del Marocco nel Sahara Occidentale, così come evidenziato dai rapporti di Amnesty International, di Human Rights Watch, dall'Organizzazione mondiale contro la tortura, dall'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e dalla Fondazione Robert F. Kennedy suscitano viva preoccupazione per il possibile degenerare della situazione dei diritti umani in quest'area;
   i civili sahrawi, nel territorio non autonomo del Sahara occidentale, sono privati dei diritti più elementari (diritti di associazione, di espressione, di manifestazione) e la repressione nei loro confronti si è intensificata proprio durante la visita in Sahara occidentale dell'inviato personale del Segretario generale dell'ONU Christopher Ross, come ha denunciato Amnesty International;
   l'Ufficio delle Nazioni Unite dell'Alto commissario per i diritti umani ha espresso preoccupazione per le durissime sentenze emesse il 17 febbraio 2013 dal Tribunale militare di Rabat nei confronti di 25 civili sahrawi, arrestati la notte tra l'8 e il 9 novembre 2010, dopo lo smantellamento del campo della dignità di Gdeim Izik, nei pressi di El Aioun, la capitale del Sahara occidentale, senza aver tentato di fare chiarezza sui fatti e senza avere reali prove di colpevolezza, come hanno testimoniato i rapporti degli osservatori internazionali presenti al processo. Il tribunale ha emesso 9 condanne all'ergastolo, 4 a trent'anni, 8 a venticinque anni e 2 a vent'anni. Solo per due componenti del gruppo la pena è stata commisurata alla detenzione preventiva della pena (due anni). Gli accusati hanno dichiarato ai famigliari di essere stati torturati e maltrattati durante la detenzione, costretti, con la forza, a sottoscrivere le dichiarazioni rilasciate durante gli interrogatori della polizia;
   la riduzione degli aiuti ai profughi sahrawi dovuta alla crisi mondiale da parte di tutti i donatori internazionali che sta determinando effetti devastanti sulla popolazione sahrawi residente a Tindouf (Algeria) –:
   se il Governo intenda:
    a) adottare ogni iniziativa utile sul piano internazionale volta a favorire la ripresa dei negoziati diretti, sotto l'egida delle Nazioni Unite, tra Regno del Marocco e Fronte Polisario, al fine di giungere, nel più breve tempo possibile, a una soluzione conforme alle risoluzioni delle Nazioni Unite, che rispetti il diritto all'autodeterminazione del popolo sahrawi;
    b) attivarsi nelle opportune sedi internazionali, per ampliare il mandato della missione MINURSO al monitoraggio dei diritti umani in Sahara occidentale;
    c) sollecitare l'immediata scarcerazione dei condannati, l'avvio di un'inchiesta internazionale sui fatti di Gdeim Izik, affinché si proceda ad un nuovo e serio processo volto all'accertamento dei fatti;
    d) ottenere garanzie da parte del Governo del Marocco circa la preservazione dell'integrità fisica di tutte le persone detenute per reati di opinione e in generale sul rispetto dei diritti fondamentali, come il diritto di espressione, di associazione e di riunione e la libertà di ingresso e movimento nel proprio territorio, conformemente a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite;
    e) adottare, in raccordo con i partner europei e con le istituzioni comunitarie, ogni iniziativa utile sul piano diplomatico, volta a favorire l'effettivo riconoscimento della libertà di accesso e di circolazione in Sahara Occidentale di osservatori internazionali indipendenti, della stampa e delle organizzazioni umanitarie;
    f) stanziare fondi destinati agli aiuti umanitari per la popolazione sahrawi rifugiata nei campi di Tindouf (Algeria).
(2-00024) «Scotto, Beni, Claudio Fava».

Interrogazione a risposta orale:


   SCHIRÒ PLANETA, DAMBRUOSO, D'ALIA, VEZZALI, GITTI, ROSSI, ANTIMO CESARO, MARAZZITI, PIEPOLI e SANTERINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   alla fine della guerra coreana degli anni 1950-1953 fu firmato tra la Corea del Nord e la Corea del Sud un trattato di non aggressione, volto ad impegnare i due Paesi a risolvere le dispute in modo pacifico;
   il clima tra le due nazioni si è andato, tuttavia, deteriorando a partire dal 12 febbraio 2013 con il terzo test nucleare di Pyongyang, a seguito del quale il Consiglio di sicurezza dell'Onu aveva dato il via libera all'unanimità compresa la Cina, tradizionale alleato nordcoreano, all'estensione delle sanzioni contro la Corea del Nord;
   dopo l'avvio dell'esercitazioni militari congiunte «Key Resolve» tra Washington e Seul (decisione maturata dopo le minacce di compiere attacchi nucleari preventivi contro gli Stati Uniti) ed anche a seguito delle sanzioni ONU, con un commento del Rodong Sinmun, quotidiano del Partito dei lavoratori nordcoreano, la Corea del Nord ha comunicato la nullità del trattato di non aggressione precisando che era giunto «il tempo per la battaglia finale» e di essere «in attesa dell'ordine di attacco» considerando tali esercitazioni militari come crescita della tensione e come piano per «una vera e propria invasione»;
   da quel momento la Corea del Nord ha innalzato in maniera crescente il livello dello scontro, utilizzando anche un video postato su un sito internet semi-ufficiale in cui con un montaggio di sequenze, si simulava un attacco alle base militari statunitensi in Giappone e Guam e un blitz-krieg nella penisola, con l'occupazione della Corea del Sud in soli tre giorni;
   un ulteriore atto per esacerbare i contrasti con la comunità internazionale è stato l'annuncio della riattivazione del reattore nucleare Yongbyon, disattivato nel 2007 sulla base di accordi per deneuclarizzare la penisola in cambio di aiuti economici, ma che può garantire produzione di plutonio necessaria all'arsenale nucleare del regime nordcoreano;
   in via precauzionale gli Stati Uniti hanno posizionato il cacciatorpediniere Fitzgerald, dotata di sistema di difesa antimissilistica, al largo delle coste nordcoreane dove sono presenti anche bombardieri B-52 e caccia F-22, mentre la Presidente della Corea del Sud Park Geun-hye ha assicurato che «Seul avrebbe risposto sul piano militare ad ogni provocazione o minaccia contro i suoi cittadini»;
   secondo il segretario di Stato americano John Kerry «Quello scelto dal Kin jong-un è il cammino della provocazione, un cammino pericoloso, sconsiderato, e gli Stati Uniti non accetteranno una Corea del Nord nucleare»;
   fin dagli anni settanta, la Corea del Nord ha prodotto i propri missili partendo dalla tecnologia degli scud, oggi ha sviluppato testate a medio e lungo raggio, il Nodong, il Taepodong 1, il Musudan e il Taepodong 2, che secondo gli esperti potrebbe colpire obiettivi fino a 6000 chilometri di distanza e quindi anche il suolo degli Stati Uniti. Il Musudan può raggiungere Okinawa e le basi americane nel Pacifico;
   la Corea del Nord ha inoltre disposto il blocco del passaggio a lavoratori e veicoli sudcoreani diretti alla zona industriale di Keasong, che impiega più di 50 mila nordcoreani e diverse centinaia di sudcoreani;
   pochi giorni Kim-Jong-un ha ordinato il trasferimento e il posizionamento di due missili Musudan a media gittata sulla costa est puntati contro la base militare di Guam che ha spinto gli Stati Uniti a inviare il suo evoluto sistema di difesa antimissilistico alla base militare nell'Oceano Pacifico;
   al di la della retorica militare, secondo il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Mon, la crisi della penisola coreana rischi di sfuggire di mano, che «l'attuale livello di tensione è molto pericoloso» e basterebbe «un piccolo incidente causato da un errore di calcolo o di valutazione per creare una situazione incontrollabile»;
   peraltro il regime nordcoreano sembra essere sordo a tutti gli appelli, persino a quelli di Stati come la Russia o la Cina che fino a poco tempo fa costituivano i suoi unici alleati;
   secondo fonti di Seul, l'Esercito nordcoreano avrebbe completato i preparativi per il lancio di uno dei suoi missili a lungo raggio, i Musudan, posizionati su rampe di lancio semoventi lungo la costa est del Paese, con gittata di 4.000 chilometri;
   il Governo giapponese ha dispiegato nel centro di Tokyo, presso la sede del Ministero della difesa, due batterie di missili anti missile Patriot per difendere la popolazione da eventuali attacchi, altri Patriot saranno schierati in almeno altri due siti della capitale di Okinawa;
   gli Usa hanno confermato che intercetteranno l'eventuale missile nord coreano solo se minaccerà il territorio americano o quello di un alleato –:
   di quali informazioni disponga il Governo circa la situazione attuale e quale sia la posizione del nostro Paese in tale contesto;
   quali iniziative intenda porre in essere per mettere fine alle tensioni accumulatesi nel nordest asiatico e per far riflettere le parti in causa sul concreto rischio di un conflitto nucleare che potrebbe estendersi oltre i confini delle due nazioni asiatiche;
   se intenda sollecitare ulteriori iniziative in sede internazionale volte a condannare la Corea del Nord che attualmente rappresenta un pericolo incontrollabile per la proliferazione degli armamenti nucleari;
   quali misure intenda prevedere al fine di salvaguardare l'incolumità fisica dei nostri concittadini presenti nei Paesi direttamente o indirettamente interessati dall'attuale crisi politico-militare asiatica.
(3-00023)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUENO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 27 marzo 2008 è stato firmato dal Governo della Repubblica italiana e dal Governo della Repubblica federativa del Brasile il trattato sul trasferimento delle persone condannate affinché queste possano scontare la pena nel loro paese d'origine;
   dal 2008 ad oggi non è stato ancora presentato dal Governo al Parlamento lo strumento di ratifica del presente trattato;
   purtroppo le condizioni umane e carcerarie dei nostri connazionali, come dei detenuti di altre nazionalità, nelle carceri brasiliane sono intollerabili ed offensive per la dignità dell'uomo;
   l'articolo 27 della Costituzione della Repubblica italiana recita testualmente: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
   le autorità carcerarie brasiliane sottopongono i detenuti ad umiliazioni e a condizioni di vita in aperto contrasto con i princìpi contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e con il trattamento umanitario dei detenuti sancito da Carte e Accordi internazionali;
   la ratifica del provvedimento, oltre all'alto valore umanitario, consentirebbe dei significativi risparmi per l'erario che, ad esempio, potrebbero essere efficacemente dirottati al potenziamento della rete consolare in Brasile;
   da informazioni stampa si apprende che i circa cinquanta italiani detenuti nelle carceri brasiliane costano al nostro Paese 350.000 euro all'anno in termini di sussidi e costi per il lavoro di ambasciate e consolati, senza contare le enormi spese a carico delle famiglie per viaggi, soggiorni e assistenza legale;
   da dati risalenti al 2005, nelle carceri italiane erano detenuti oltre 350 brasiliani, che costano al nostro Paese circa 250 euro al giorno –:
   quali siano i dati a disposizione del Governo riguardo alla presenza di detenuti italiani nelle carceri brasiliane e viceversa di brasiliani nelle carceri italiane e i relativi costi;
   quali siano le ragioni per le quali il Governo, dopo cinque anni dalla firma del trattato del 27 marzo 2008, non abbia ancora presentato il disegno di legge di ratifica. (4-00211)


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sede INPS di Udine ha provveduto alla sospensione della prestazione di INVCIV n. 3038795, successivamente trasformata in assegno sociale, per la signora Rachele Pia Vicenzino in Del Colle, nata a San Giorgio di Nogaro (Udine) il 26 aprile 1936, e residente a Carlino (Udine) in Via Sante Badin 5/6, Udine;
   la signora Vicenzino Rachele Pia in Del Colle dichiara di avere fissato stabile e abituale dimora a Carlino, Udine, dove trascorre oltre sei mesi ogni anno e di trascorrere la rimanente parte dell'anno in Australia, dove non è iscritta all'anagrafe dei residenti all'estero ed ove non risulta residente ai fini fiscali e dove risulta domiciliata per un periodo limitato dell'anno, circa sei mesi;
   la legge 8 agosto 1995, n. 335, «Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 16 agosto 1995, n. 190) al comma 6, dell'articolo 3 «Disposizioni diverse in materia assistenziale e previdenziale» prevede che «con effetto dal 1o gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a lire 6.240.000, denominato “assegno sociale”»;
   la legge n. 355 del 1995, fissando un nuovo regime per l'assegno sociale, introduce, tra i vari requisiti, anche quello della residenza;
   il comma 6 dell'articolo 3 non introduce alcun riferimento esplicito relativamente alla dimora effettiva, stabile e abituale che viene successivamente chiarito dall'INPS in conseguenza della definizione di residenza come «indicazione del luogo in cui una persona ha stabilito la dimora abituale»;
   se la dichiarazione della Signora Vicenzino Rachele Pia in Del Colle, tesa a identificare la residenza, intesa come dimora stabile e abituale, a Carlino, Udine, costituisca o meno elemento sufficiente, ove corroborato dalle autorità consolari italiane e dalle autorità fiscali australiane, per riconoscere la residenza in Italia ai fini del pagamento dell'assegno sociale;
   se non si renda necessario un intervento normativo teso a chiarire ulteriormente i principi alla base della stabile ed effettiva dimora, anche relativamente al domicilio temporaneo all'estero;
   non si renda necessario un intervento normativo teso ad evitare una condizione di eccessiva discrezionalità dell'Inps «nell'assegnare» o meno la residenza agli interessati;
   se non si ritenga, nel caso specifico della Signora Vicenzino Rachele Pia, rivedere la decisione anche in base alle verifiche effettuate che dimostrano la residenza in Italia, ai fini AIRE, ed il domicilio in Australia per un breve periodo di tempo. (4-00241)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni, alcuni comunicati stampa e articoli di giornale, anche riportando articoli allarmanti degli anni novanta, hanno richiamato l'attenzione dei cittadini lombardi sull'incidente nucleare avvenuto, circa 24 anni fa, alla Luigi Premoli e figli spa, fonderia che produceva il materiale per i telai dell'Alfa 133 a Rovello Porro, in Lombardia;
   si trattava di una contaminazione radioattiva contenuta in un carico di alluminio probabilmente proveniente dall'Est Europa, sembrerebbe equivalente ad una radioattività stimata tra i 600 e i 6.000 Curie (22 - 222 TBq) di Cesio 137, dovuta ad una «sorgente orfana» inavvertitamente fusa, con il pericolo di immissione nell'ambiente di un'enorme quantità di particelle radioattive altamente nocive;
   la notizia è stata diffusa nel maggio 1990, a seguito della scoperta, da parte dei tecnici del Presidio multizonale di igiene e prevenzione (PMIP) milanese, di percolato di Cesio 137 nel Lura, nell'Olona e nel Lambro, successivamente sfociato nel Po, proveniente dal bacino di decantazione delle acque reflue della fonderia di Rovello Porro, situata a pochi metri dal torrente Lura;
   le notizie riportate alludono al timore di occultamento della verità e dei rischi che corrono i cittadini e alla mancanza di rigide misure di controllo e di protezione dei danni sulla salute e sull'ambiente;
   il caso sollevò grande attenzione anche a livello internazionale, e furono introdotte forme di controllo alle frontiere, e nelle aziende, per combattere la possibilità di altri casi simili: l'articolo 157 del decreto legislativo 230 del 1995 fu scritto alla luce di queste esperienze e con questo intendimento, sebbene fu poi per molto tempo non operativo a causa della cronica assenza della normativa applicativa;
   per quanto concerne gli avvenimenti della Premoli, immediatamente dopo la scoperta del 1990, fu effettuata una bonifica e messa in sicurezza di emergenza, e furono svolte tutte le valutazioni ambientali e sanitarie a suo tempo ritenute utili, con esito favorevole;
   l'unica soluzione possibile per la gestione del materiale di risulta della bonifica fu il suo immagazzinamento in un capannone della stessa azienda, sottoposto a sequestro giudiziario dalla magistratura, che aveva seguito puntualmente tutti gli aspetti del caso, determinando anche l'assenza di responsabilità della azienda Premoli;
   il materiale contaminato da Cesio 137 raccolto nel magazzino, circa 240 metri cubi, in parte è contenuto in fusti metallici, oggi fortemente corrosi, e in parte ancora accumulato alla rinfusa;
   ASL ed ARPA, attraverso i controlli congiunti effettuati sull'ambiente in varie occasioni, smentiscono, oggi, la presenza di una esposizione di qualsiasi rilievo sanitario per la popolazione. Sembra che negli ultimi anni siano stati svolti numerosi controlli congiunti tra Asl di Como e Arpa e i test hanno dimostrato che non sussiste alcun pericolo radiologico all'esterno del capannone e che non sono stati rilevati dati epidemiologici particolari tra i residenti della zona;
   tuttavia, il molto tempo passato dall'incidente di Rovello Porro ed il ricordo delle difficoltà di circolazione e la lacunosità delle informazioni per i 15 mesi antecedenti alla scoperta effettuata nel 1990 dal PMIP di Milano, costituiscono elementi di allarme e preoccupazione tra i cittadini, che chiedono chiarezza sugli interventi effettuati a suo tempo e sulle attuali condizioni di sicurezza;
   non è poi ritenuto giustificabile, a nessun livello, che un deposito creato sotto la spinta di una situazione emergenziale nel 1990, nella sola prospettiva di trovare una rapida soluzione, perduri immutato da oltre 23 anni. Infatti, il deposito non offre nessuna garanzia di resistenza a fenomeni naturali ormai praticamente normali anche in Lombardia, come trombe d'aria, forti colpi di vento, e relativamente a incendi e terremoti, con un conseguente forte rischio di dispersione incontrollata incidentale di contaminazione nell'ambiente;
   il punto della situazione sulla questione delle scorie radioattive depositate dal 1990 a Rovello Porro, è stato effettuato da ARPA Lombardia, ed uno specifico studio, effettuato dal suo direttore tecnico-scientifico, indica forme concrete per la messa in sicurezza del sito, anche contro il rischio di calamità naturali ed incidenti; il progetto potrebbe essere realizzato entro la fine dell'anno;
   le notizie, però, prospettano che sino all'identificazione di un sito nazionale idoneo al ritiro definitivo dei rifiuti radioattivo, i rifiuti resteranno comunque in loco e la situazione non potrà dirsi risolta;
   risulta inoltre che la situazione riscontrata nella Premoli di Rovello Porro è presente anche in altre realtà, e non è impossibile che in futuro possano verificarsi altre situazioni simili;
   risulta per altro che il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 52 «Attuazione della direttiva 003/122/CE Euratom sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane» preveda che lo Stato italiano, attraverso l’«Operatore Nazionale e gestore del servizio integrato» debba «garantire la messa in sicurezza di lungo periodo delle sorgenti radioattive dismesse ai fini del loro futuro smaltimento, assicurando un immagazzinamento in sicurezza per un periodo di almeno cinquanta anni»; ciononostante lo Stato non ha garantito il livello di sicurezza previsto da questa norma alla situazione della Premoli, certamente causata dalle conseguenze della fusione di una sorgente orfana;
   d'altro lato, solo il 27 marzo 2013 il Governo ha approvato il disegno di «Legge di delegazione europea 2013» con l'obiettivo della adozione, tra gli altri di un Decreto Legislativo di recepimento della direttiva comunitaria 2011/70/Euratom del Consiglio, del 19 luglio 2011, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi (termine di recepimento 23 agosto 2013); il recepimento di tale Direttiva Comunitaria potrebbe risolvere il problema delle giacenze di rifiuti radioattivi nelle aziende colpite da incidenti del tipo qui trattato, a iniziare dalla Luigi Premoli SPA –:
   quali provvedimenti immediati i Ministri intendano adottare, secondo la propria competenza, per rassicurare i cittadini, se ve ne è la possibilità, circa l'assenza di rischi per la propria salute e sulla regolarità e idoneità dei controlli svolti da parte dei soggetti competenti;
   quali provvedimenti immediati i Ministri intendano adottare, secondo la propria competenza, affinché l’«Operatore nazionale e gestore del servizio integrato» svolga, coerentemente con il mandato istituzionale, il proprio compito per la messa in sicurezza della situazione di giacenza di rifiuti derivanti dalla fusione di una «sorgente radioattiva orfana» presente presso la Luigi Premoli SPA;
   come il Governo, nell'esercizio della delega relativa al recepimento della direttiva comunitaria 2011/70/CE, intenda considerare adeguatamente il tema della gestione dei rifiuti radioattivi della stessa tipologia contenuta nello Stabilimento Premoli di Rovello Porro ed in altre situazioni analoghe, individuando soluzioni sufficientemente rapide per impedire l'incongruo e pericoloso permanere di materiale radioattivo in situazioni assolutamente inidonee alla conservazione di rifiuti radioattivi per un tempo prolungato, come invece oggi avviene. (5-00082)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel sito di Saluggia, in provincia di Vercelli, sono ospitati oltre i quattro quinti di tutte le scorie nucleari ad elevata radioattività presenti in Italia, e nella popolazione cresce l'allarme per la mancanza di informazioni tempestive, affidabili, verificabili sui rischi connessi alla gestione del sito;
   in particolare, nel sito sono presenti due vasche a cielo aperto, parzialmente interrate: le Waste Ponds WP719 e WP 718, costruite contestualmente all'impianto, negli anni sessanta;
   le vasche raccolgono le acque, generalmente poco contaminate, provenienti da vari punti dell'impianto, che periodicamente sono scaricate nella vicina Dora Baltea in condizioni che dovrebbero garantire la massima sicurezza ambientale e sanitaria;
   il rilascio degli effluenti liquidi è regolamentato da apposite prescrizioni, che costituiscono parte integrante degli atti autorizzativi dell'impianto, le quali limitano la concentrazione di radioattività presente nel liquido da scaricare. Lo scarico nella Dora Baltea è consentito a condizione che il livello di concentrazione di radioattività nelle acque delle suddette vasche non superi i valori limite stabiliti dall'ISPRA sulla base delle norme comunitarie di settore;
   in particolare, ISPRA ha imposto a SOGIN il rispetto dei seguenti limiti di attività radiologica per le acque da trattare nei Ponds e poi rilasciate nella Dora: attività alfa totale (Bq/1)=10; attività alfa+beta totale (Bq/1)=100;
   si sottolinea che nel mese di gennaio 2013 alcuni organi di stampa avevano segnalato che la vasca denominata WP719 si trovava in condizioni di «non utilizzo» da almeno un anno, e che la vasca stessa sarebbe a rischio di tracimazione in caso di pioggia, con rischio di sversamento diretto del contenuto sul terreno e poi nelle falde locali e dell'acquedotto del Monferrato, nonché di sversamento incontrollato nella vicina Dora Baltea;
   le notizie sopra citate traevano spunto dal sopralluogo congiunto eseguito da ISPRA e ARPA Piemonte, del 10 agosto 2012, a seguito del quale l'area vasche era stata delimitata. In data 6 settembre 2012 ISPRA ha prescritto a SOGIN, allo scopo di «migliorare ulteriormente i livelli di sicurezza dell'impianto e di monitoraggio ambientale», di intervenire sul «complesso delle vasche di raccolta effluenti liquidi denominate Waste Ponds». Successivamente ISPRA, il 21 settembre 2012, ha verificato la presenza di una «leggera» contaminazione eccedente la non rilevanza radiologica stabilita dalle norme comunitarie. Inoltre ISPRA ha chiesto a SOGIN di aggiornare la caratterizzazione radiometrica del contenuto del WP 719, di provvedere alla copertura del bacino, di fornire un programma di gestione del liquido finalizzato al suo trattamento e alla sua rimozione dal bacino, di delimitare l'area circostante i bacini;
   oggi si viene a conoscenza di una informativa di SOGIN, firmata dal responsabile per la disattivazione del sito di Saluggia Michele Gili e inviata a prefettura, ASL, ISPRA e ARPA in data 26 marzo 2013, con la quale si comunica che «nel corso dei lavori preparatori per la copertura delle vasche di stoccaggio dell'impianto Eurex, è stata riscontrata, alla profondità di circa 50 centimetri, (...) una limitata contaminazione del terreno circostante». «Sia il liquido trafilato sia il terreno – prosegue, l'informativa – risultano debolmente contaminati da radioattività e sono in corso le opportune azioni mirate ad evitare ogni aggravamento del rischio e ad acquisire un più completo quadro della situazione. Si evidenza comunque che i valori di radioattività riscontrati nel terreno e le valutazioni sull'intero contenuto della vasca, sono tali da escludere conseguenze radiologiche per l'ambiente e la popolazione circostante»;
   come dichiarato pubblicamente su La Stampa del 3 aprile da Davide Galli, responsabile SOGIN per la disattivazione degli impianti del Nord Italia, sulla parete della vasca 719 (che contiene circa 900 metri cubi di liquido) sono presenti due fessure, rinvenute mentre si stavano realizzando gli scavi per la copertura delle vasche. Inoltre, sempre secondo Galli: «Stiamo parlando di quantità minime. Al di sotto dell'area contaminata vi è una piastra di cemento, e nel terreno sottostante non vi è alcuna traccia di radioattività. L'informativa è stata inviata nell'ottica di totale trasparenza perseguita da SOGIN, anche se il rischio è solo potenziale»;
   queste rassicurazioni non hanno tranquillizzato Paola Olivero, consigliera di minoranza nel Consiglio comunale e di Saluggia: «Da tempo – ha dichiarato – chiediamo di verificare la reale situazione della vasca WP 719 e dei rischi connessi. Prima si negava la presenza di materiale anomalo nella vasca, poi lo stesso Ministero ha confermato che «la presenza per tempi prolungati in uno dei bacini di liquido con concentrazione superiore al criterio di non rilevanza radiologica, rappresenta un'anomalia rispetto alla normale conduzione dell'impianto. Quella vasca è diventata di fatto un deposito nucleare non autorizzato e non sottoposto ai controlli di un deposito. E quando sostenevamo che la struttura è vetusta e a rischio di fessure siamo stati accusati di allarmismo»;
   in forma del tutto irrituale la sopra citata consigliera, pur in qualità di capogruppo viene esclusa dalla convocazione dalla riunione convocata dal sindaco di incontro tra Sogin e gruppi consiliari che si terrà il 16 aprile 2013 per «fare il punto sulla situazione degli impianti esistenti ed in particolare delle vasche WP e dei nuovi impianti finalizzati a condizionare e mettere in sicurezza il materiale radioattivo presente nel sito EUREX» –:
   se non intenda immediatamente intervenire nei confronti della SOGIN affinché vengano resi pubblici i dati completi e certificati sulla situazione della vasca di stoccaggio WP719;
   quali azioni siano state intraprese a seguito dell'informativa inviata alla prefettura dalla Sogin;
   se non intenda urgentemente avviare un monitoraggio sulla situazione denunciata in premessa in modo da garantire una scrupolosa verifica dei dati dichiarati da SOGIN;
   se non intenda intraprendere verifiche sulla sicurezza, per l'ambiente e per i lavoratori, delle intense attività edificatorie in corso nel sito EUREX/SOGIN di Saluggia, che si svolgono accanto all'area risultata contaminata in modo anomalo, per la realizzazione del deposito nucleare D2 il cui progetto non è mai stato sottoposto a valutazione di impatto ambientale.
   (4-00212)


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel momento attuale di una crisi che si fa sempre più aspra e difficile, il Governo, invece di favorire la crescita economica e la semplificazione burocratica, pone ulteriori oneri e costi a carico delle imprese di installazione di impianti di condizionamento che proprio in primavera svolgono la loro maggiore attività e che rischiano di subire un danno insopportabile in termini economici, derivante dal fermo delle attività;
   l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43 (che da attuazione al regolamento (CE) n. 842 del 2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra), infatti ha istituito il registro informatico dei gas fluorurati serra a cui le imprese devono iscriversi entro 60 giorni, pena l'impossibilità di continuare a svolgere le proprie attività;
   tale obbligo è previsto anche per tutti gli operatori che installano apparecchiature contenenti gas serra (pompe di calore, gruppi frigoriferi, condizionatori d'aria, lavatrici industriali, climatizzatori in abitazioni e su auto);
   la stragrande maggioranza degli operatori deve ancora iscriversi al registro, di conseguenza circa 200.000 installatori di impianti e autoriparatori rischiano di trovarsi senza lavoro oppure di dover operare fuori legge, con il rischio di subire le pesanti sanzioni previste che partono da 10.000 euro;
   inoltre, l'obbligo di iscrizione al registro non è previsto dal regolamento europeo (CE) n. 842 del 2006. Rappresenta quindi un appesantimento burocratico della normativa italiana rispetto a quella europea (gold-plating), da cui derivano ulteriori oneri e costi a carico dei soli operatori italiani provocando un ulteriore gap competitivo con quelli europei;
   l'articolo 8 del citato decreto del Presidente della Repubblica 43 del 2012 sembra ricomprendere interi settori (autoriparazione e installazione di impianti di climatizzazione), costituiti da numerose piccole imprese e lavoratori autonomi, che non hanno in realtà ruolo nel gestire, controllare, recuperare, stoccare e smaltire i gas fluorurati oggetto e finalità della norma. Infatti, il termine «recupero» (definito dal regolamento (CE) 842 del 2006 come la raccolta e lo stoccaggio di f-gas) non si riferisce alla normale pratica di ricarica del gas per gli impianti di climatizzazione degli autoveicoli che non raccoglie né stocca tali materiali;
   in particolare, si prevede per le imprese del comparto dell'impiantistica (refrigerazione ed antincendio) la richiesta di un certificato provvisorio, della durata di 6 mesi che consenta alle imprese stesse di certificarsi e di qualificare il proprio personale operante con i gas fluorurati serra; per il settore dell'autoriparazione è previsto che il personale operante con i gas fluorurati serra, debba ottenere un attestato, rilasciato a seguito di frequenza di un corso, erogato da organismi di attestazione –:
   se non ritenga necessario e improcrastinabile assumersi l'impegno di un'iniziativa normativa urgente per ovviare ai numerosi problemi che il decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 2012 ha provocato ad alcune categorie imprenditoriali, così come più volte manifestato dalle associazioni imprenditoriali, per evitare altresì che si verifichi, ancora una volta, l'appesantimento di un regolamento europeo in fase di trasposizione a livello nazionale. (4-00232)


   MINARDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento all'allarme generale di questi mesi riguardo all'installazione delle antenne militari presso la vicina base americana di Niscemi divenuto più preoccupante tra la collettività in questi ultimi giorni a causa della ripresa dei lavori nonostante le revoche regionali; a causa di ciò si stanno intensificando le iniziative di mobilitazione e protesta contro il nuovo sistema di telecomunicazioni militari;
   è doveroso rendere edotta la popolazione su quanto si sta facendo e soprattutto sulle conseguenze o meno del Muos, visti i contrapposti punti di vista in materia;
   il Muos è capace di interferire con le strumentazioni tecnologiche dei voli civili, oltre che sull'aeroporto di Fontanarossa anche sull'aeroporto di Comiso di prossima apertura; quindi quest'installazione si potrebbe rilevare dannosa e un ingombrante ostacolo per il rilancio dell'economia territoriale;
   è di fondamentale importanza avere lumi sui tanti quesiti che si pone la collettività e fare chiarezza definitiva sulle conseguenze ambientali e sulla salute pubblica riguardo all'insediamento di questo mega impianto di comunicazione ad altissima frequenza, la cui installazione in territorio di Niscemi, peraltro in pieno centro abitato, avrebbe, come da più parti denunciato, ripercussioni anche nelle province iblea, aretusea e di Catania –:
   quali iniziative di competenza si intendano adottare per evitare l'attivazione del Muos al fine di salvaguardare la salute pubblica;
   se siano stati verificati gli effetti reali e le conseguenze rispetto alla salute dei cittadini e dell'ambiente e se esso interferisca con il vicino aeroporto di Comiso;
   quali iniziative si intendano adottare, ad esempio con uno studio capillare in merito, per comprendere quanto il Muos è funzionale alla comunicazione, quanto è tutelata la sicurezza, quale impatto ha sul territorio;
   se si intendano assumere interventi opportuni a sostegno delle popolazioni più direttamente interessate che sono in grande apprensione ed allarme. (4-00248)


   COVA e PELUFFO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006 veniva approvato, senza «valutazione ambientale strategica» di cui al decreto legislativo 152 del 2006, il piano cave della provincia di Milano con deliberazione del consiglio regione Lombardia n. 166 del 16 maggio 2006;
   il piano non è stato sottoposto a «Valutazione ambientale strategica» e neppure ha visto l'effettuazione della «Valutazione di Incidenza» di cui al decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 rispetto alla zps «Bosco Wwf di Vanzago», istituita nel 2006 e al sic «Bosc Wwf di Vanzago» istituito nel 2003;
   il piano provinciale, nella versione adottata dalla provincia di Milano, aveva espunto l'ampliamento dell'Ateg7, posto a poche centinaia di metri dal sic/zps «Bosco Wwf di Vanzago»;
   il consiglio regionale reintroduceva l'ampliamento senza il doveroso coinvolgimento degli enti locali interessati, tra cui il comune di Vanzago, e gli enti contitolari del potere pianificatorio in materia estrattiva, e senza l'acquisizione del parere dell'ente gestore del sito rete natura 2000;
   il Comune di Vanzago ricorreva allora avanti al giudice amministrativo avverso la previsione localizzativa decisa dalla regione Lombardia in contrasto con i pareri degli enti locali, sino alla pronuncia del Consiglio di Stato n. 3473 del 2012, che, accogliendo il ricorso del Comune, annullava il piano cave di Milano nella parte in cui aveva incluso l'ampliamento dell'ambito estrattivo ai margini dell'area protetta;
   i titolari dell'ambito estrattivo hanno chiesto alla regione Lombardia con nota dell'11 luglio 2012 protocollo 14148, che l'amministrazione «rinnovi con urgenza la procedura occorrente per disporre il reinserimento nel piano cave dell'area stralciata a seguito di detta sentenza, nel rispetto delle regole procedimentali affermate dal Consiglio di Stato, confermando integralmente nella sostanza le previsioni pianificatorie previste nel piano cave approvato» ed annullato;
   Regione Lombardia ha quindi avviato in relazione all'istanza della ditta di ricollocazione dell'Ate un procedimento ex legge 241 del 1990, chiedendo al Comune di Vanzago e alla provincia di Milano l'espressione dei loro pareri, al fine di reinsediare l'ambito estrattivo;
   la provincia di Milano con nota del 9 gennaio 2013 protocollo 9191, ha richiesto al comune di Vanzago e al Parco Agricolo sud l'espressione di un parere in merito entro 60 giorni, omettendo del tutto il coinvolgimento invece dell'ente gestore del sic-zps «Bosco WWF di Vanzago»;
   il WWF, quale ente gestore del predetto sic-zps, già inciso dall'attività estrattiva in corso, titolare di un potere di espressione di parere sulla «Valutazione di incidenza» dell'attività sul sito, solo casualmente veniva informato dell’iter in corso, per cui segnalava a Regione, Provincia e comune l'anomalia dell’iter e la necessità della previa «Valutazione di incidenza» ciò con nota 19 dicembre 2012»;
   la provincia di Milano, con nota protocollo 40005 del 4 febbraio 2013 del direttore del Parco agricolo Sud, confermava la necessità di previa «Valutazione di Incidenza»;
   a oggi la regione Lombardia, titolare dell’iter procedurale dell'ampliamento del piano cave non ha avviato alcuna procedura prvista dalla normativa vigente: «Valutazione Ambientale Strategica» e, soprattutto, la «Valutazione di Incidenza» in considerazione delle possibili interferenze dell'ampliamento dell'Ateg7 con il sito di Natura 2000 –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, garante dell'integrità dei siti di Natura 2000 nei confronti dell'Unione europea, in presenza della riconosciuta necessità di attivazione della procedura di cui alla direttiva 92/43/CEE, articolo 6, comma 3, sia garantito il principio di precauzione e di prevenzione del danno alla fonte determinando se e in che misura gli habitat che sono ritrovabili nell'area dell'ampliamento del piano e nella sua area di influenza, possano essere considerati in connessione ecologico-funzionale con gli habitat del SIC/ZPS IT2050006, ovvero siano da considerarsi habitat di specie, per le varie funzioni biologiche (migrazione, spostamento trofico, corteggiamento, fuga, volo territoriale, sosta e altro), per le molte specie elettive di interesse comunitario presenti nel SIC/ZPS stesso ovvero, ancora, siano da considerarsi habitat di specie per le specie di cui alla direttiva 92/43/CEE, articolo 12, alle quali il legislatore comunitario ha riservato una «rigorosa tutela». (4-00256)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PISANO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Salerno ha avviato la realizzazione di un devastante programma edilizio nell'area demaniale compresa tra il porto commerciale ed il centro storico;
   il progetto, redatto dall'architetto Ricardo Bofill, prevede la realizzazione di numerosi fabbricati e, tra questi, una smisurata cortina edilizia curvilinea, alta circa 30 metri e lunga 270 – nota come «Crescent» – che ha già modificato lo sky-line della città di Salerno; l'opera ostacolerà il rapporto con il mare ed introdurrà un elemento di forte ed irreversibile degrado dell'area vincolata ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, in cui si registra, peraltro, la cospicua presenza di edifici di rilevante interesse storico-artistico;
   la vasta area interessata dalle opere include parte dell'arenile della storica spiaggia di Santa Teresa e sconfina nello specchio d'acqua situato ad Est del molo Manfredi, essa costituisce, anche morfologicamente, l'inizio della Costiera Amalfitana e «bene paesaggistico», sottoposto a tutte le disposizioni di tutela della parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo n. 42 del 2004;
   tanto la scelta del progetto – operata da una commissione di tre dipendenti comunali (nessuno dei quali «architetto») – che la formazione dell'autorizzazione paesaggistica presentano aspetti inquietanti, ancora non sufficientemente chiariti né dal Ministero preposto alla tutela del paesaggio, né dall'autorità giudiziaria penale (indagini ancora in corso);
   infatti, l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal comune di Salerno ai sensi degli articoli 146 e 159 del decreto legislativo n. 42 del 2004, non fu scrutinata dalla locale soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici che – con procedura del tutto anomala rispetto al consueto modus operandi – evitò di pronunziarsi, determinando consapevolmente le condizioni perché decorresse il termine di 60 giorni previsto dalla legge, entro cui l'autorizzazione avrebbe potuto e dovuto essere annullata;
   tali omissioni si verificarono durante la dirigenza dell'allora, soprintendente, architetto Annamaria Affanni, già condannata in primo grado per abusi edilizi commessi nella sua proprietà nell'isola di Ponza;
   nel merito dello sciagurato intervento, il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, dottor Gregorio Angelini – con nota n. 14476 del 21 settembre 2009 – preso atto del mancato annullamento dell'autorizzazione paesaggistica, evidenziò al comune di Salerno (senza ottenere neanche riscontro) il rilevante impatto dell'opera e la conseguente esigenza di introdurvi – per la salvaguardia dei beni protetti – sensibili modifiche progettuali;
   i rapporti tra il comune di Salerno e la locale soprintendenza appaiono «viziati» dal conferimento, al soprintendente pro-tempore architetto Zampino (cui si devono successivi atti di assenso) di incarichi retribuiti, erogazione di fondi per sponsorizzazioni e promesse di incarichi futuri;
   per quanto è dato sapere il Ministero per i beni e le attività culturali avrebbe disposto un'indagine interna, di cui non si conoscono gli esiti, condotta da funzionari non noti;
   le opere in argomento, ben più devastanti dei famigerati (e oggi demoliti) mostri di «Fuenti» e di «Punta Perotti», sono in corso di costruzione anche per effetto di quelle che all'interrogante appaiono oggettive omissioni poste in essere da dirigenti e funzionari della soprintendenza di Salerno;
   l'intero intervento ha devastato e, in parte considerevole, privatizzato una straordinaria area demaniale – cerniera tra il mare ed il centro storico della città – per sua stessa natura vocata alla pubblica fruizione, ad avviso dell'interrogante potendo determinare la fattispecie prevista e punita dall'articolo 734 del codice penale –:
   se il Ministro interrogato ritenga:
    a) di rendere noti i risultati dell'ispezione (corredati dalle relative relazioni istruttorie) disposta dal dicastero da lui diretto per accertare la sussistenza – nei fatti narrati – di irregolarità e disfunzioni attribuibili ai dirigenti e funzionari della soprintendenza che – con le loro condotte secondo l'interrogante omissive ed acquiescenti – hanno determinato il consolidarsi dell'autorizzazione paesaggistica originaria e di quelle successivamente rilasciate dal comune di Salerno;
    b) di rendere noti i provvedimenti assunti all'esito di tale ispezione, nonché i nominativi degli ispettori incaricati e le relative funzioni esercitate nell'amministrazione;
    c) di disporre un supplemento di indagine, atto a verificare:
     1) la regolarità degli atti posti in essere;
     2) la sussistenza di situazioni di incompatibilità, determinate dall'eventuale conferimento contra legem – a soprintendenti e funzionari – di incarichi retribuiti;
     3) se le opere in argomento – autorizzate con le inquietanti modalità di cui si è detto – abbiano determinato e stiano per determinare irreversibili danni al patrimonio oggetto di tutela;

    d) di segnalare – all'esito delle verifiche di cui sopra – i fatti all'autorità giudiziaria penale, costituendosi parte civile nei procedimenti già avviati e in quelli che – riguardanti la stessa vicenda – saranno avviati. (4-00260)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:


   VACCA. — Al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono passati quattro anni dal sisma che sconvolse la città de L'Aquila e molti comuni abruzzesi. Come è purtroppo a tutti noto, la ricostruzione, in particolare quella del centro storico del capoluogo, deve ancora realmente avviarsi. A questo scopo sono stati emanati nello scorso anno una serie di provvedimenti tesi a dotare di idoneo personale gli uffici pubblici preposti alla ricostruzione delle aree colpite dal sisma, nel «convincimento che solo l'assunzione a tempo indeterminato potesse assicurare al cratere aquilano l'impegno e le certezze che la ricostruzione richiede», dando in questo modo priorità alle competenze e al merito;
   con decreto-legge n. 83 del 2012 (decreto sviluppo), convertito dalla legge n. 134 del 2012, il comune dell'Aquila e i comuni del cratere ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono stati autorizzati ad assumere a tempo indeterminato, dall'anno 2013, complessivamente 300 unità di personale presso due uffici speciali per la ricostruzione appositamente costituiti, uno per il comune dell'Aquila ed uno per i cinquantasei comuni del Cratere, previo espletamento di procedure selettive pubbliche;
   lo stesso decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, stabiliva che la dotazione di risorse strumentali e umane dei due uffici speciali per la ricostruzione fosse costituita, in aggiunta alle 300 a tempo indeterminato, da un massimo di 50 unità a tempo determinato, 25 unità per ciascun ufficio, per un triennio;
   lo stesso decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, stabiliva che dei 300 posti messi al concorso fosse prevista una riserva massima del 50 per cento dei posti per coloro che avevano maturato un'esperienza professionale di almeno un anno nell'ambito dei processi di ricostruzione, presso la regione, le strutture commissariali, le province interessate, il comune de L'Aquila e i comuni del cratere;
   il personale utilizzato durante lo stato di emergenza post terremoto è stato reclutato attraverso ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri di carattere straordinario;
   il comune dell'Aquila e i comuni del cratere ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno affidato la realizzazione della procedura selettiva, per le unità di personale da assumere a tempo indeterminato, alla commissione interministeriale Ripam, che si è avvalsa del supporto di Formez PA;
   la Commissione interministeriale Ripam, con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'11 settembre 2012, ha indetto quattordici concorsi pubblici per titoli ed esami (il cosiddetto «concorsone»), per il reclutamento di personale di ruolo con diversi profili professionali, per le complessive 300 unità sopra menzionate, di cui 128 presso il comune de L'Aquila e 72 presso i comuni del Cratere nelle categorie C e D, e 100 nelle aree funzionali seconda e terza presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da assegnarsi temporaneamente agli uffici speciali per la ricostruzione, alle province interessate e alla regione Abruzzo;
   il bando di concorso ha previsto una quota di riserva del 50 per cento dei posti per coloro che avevano maturato un'esperienza professionale di almeno un anno nell'ambito dei processi di ricostruzione, presso la regione, le strutture commissariali, le province interessate, il comune de L'Aquila e i comuni del cratere;
   le procedure di selezione per le 300 unità a tempo indeterminato si sono concluse con la pubblicazione delle 14 graduatorie sulla Gazzetta Ufficiale n. 12 del 12 febbraio 2013;
   le graduatorie contano complessivamente di 1730 idonei, di cui 300 vincitori, e la media dei punteggi attribuiti ai selezionati è altissima, sia quella dei vincitori che quella degli idonei. Alcuni candidati hanno riportato il punteggio massimo alle prove scritte ed orali (100/100) e sono risultati idonei, ma non vincitori, in quanto l'avere lavorato precedentemente nella macchina amministrativa della ricostruzione costituiva titolo preferenziale e dava diritto alla riserva stabilita dal bando pari al 50 per cento, comportando così – di fatto – che candidati riservatari con punteggi più bassi della media dei vincitori potessero scavalcare chi aveva ottenuto il massimo del punteggio;
   la selezione, come si legge in un comunicato di Formez PA, è stata «molto dura, iniziata con una preselezione basata su un test con 70 quiz (...) poi quattro prove scritte di diritto, specialistica, informatica e lingua, e una prova orale»;
   detta selezione inoltre, con una procedura rigorosa e trasparente (basti pensare allo svolgimento e correzione delle prove scritte in diretta streaming seguita da circa 93.000 utenti per un totale di 83 ore), ha premiato il merito, scegliendo i vincitori e gli idonei tra circa sedicimila candidati;
   nel mese di agosto 2012 con due intese tra Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale e gli enti coinvolti nella ricostruzione si è stabilito che i titolari dei due uffici speciali avrebbero dovuto individuare, sulla base di una selezione pubblica, il personale a tempo determinato e che questo sarebbe stato assunto dal sindaco del comune dell'Aquila, per l'ufficio dell'Aquila, e dal titolare dall'ufficio e dei comuni del cratere, nel secondo caso;
   con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 dicembre 2012 (con scadenza il 18 dicembre, dopo soli quattro giorni), i titolari degli uffici speciali per la città dell'Aquila e i comuni del cratere hanno indetto una selezione pubblica per titoli e colloquio per il reclutamento, per ciascuno degli uffici speciali, di cinquanta unità di categoria C e D (le stesse categorie delle 300 assunzioni del concorso sopra citato) da assumere a tempo determinato per un triennio;
   le procedure relative a tale selezione non hanno ancora visto la loro fine e ad oggi sono pubblicate sul sito del Formez solo alcune graduatorie provvisorie relative al concorso;
   inoltre in data 12 marzo 2013 il titolare dell'ufficio speciale della ricostruzione dell'Aquila Paolo Aielli ha indetto, con determina 4/2013, una selezione per titoli per n. 23 collaborazioni coordinate e continuative per: 7 profili coordinatore (ingegneri, architetti, geologi); 6 profili tecnici A (ingegneri, architetti, geometri); 5 profili tecnici B (ingegneri); 5 profili tecnici C (ingegneri e architetti);
   pur essendo i profili delle 23 collaborazioni coordinate e continuative, in termini di requisiti richiesti e mansioni da svolgere, i medesimi di quelli degli idonei già selezionati con il concorso per 300 posti, si è scelto di non attingere dalle graduatorie già pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, con una procedura, ad avviso dell'interrogante, meno rigorosa e trasparente, con un lasso di tempo tra la pubblicazione del bando e l'inoltro della domanda di partecipazione di soli quattro giorni;
   è necessario premiare il merito e garantire la massima trasparenza, secondo la quale il Ministro interrogato ha voluto un concorso pubblico per scegliere i lavoratori che si occuperanno della ricostruzione post-sisma;
   ogni selezione pubblica comporta un impiego di risorse economiche e di personale ingenti nonché una porzione di tempo che, nella specifica condizione dell'Aquila, non ci si può permettere –:
   se non si ritenga opportuno procedere in futuro ad utilizzare – nel reclutamento di personale per gli uffici deputati alla ricostruzione post-sismica della città de L'Aquila e dei comuni del cratere e per le esigenze dei Ministeri riguardo alle figure professionali selezionate per il «concorsone» – le graduatorie degli idonei al recente concorso pubblico effettuato ai sensi del decreto-legge n. 83 del 2012;
   chi abbia autorizzato le ulteriori assunzioni e con quali fondi verranno finanziati ulteriori 23 unità di personale bandite dall'ufficio speciale per la ricostruzione dell'Aquila;
   quale sia la ragione per la quale, una volta stabilito che fossero necessarie risorse umane aggiuntive rispetto a quelle già previste, le stesse non siano state individuate all'interno delle graduatorie di recente formazione, dal momento che i requisiti richiesti sono i medesimi posseduti dagli idonei del «concorsone».
(4-00223)

* * * 

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il servizio civile nazionale consente a tanti giovani dai 18 ai 28 anni di servire l'Italia in modo non armato e non violento, sviluppando un alto senso civico nell'aiuto concreto a persone svantaggiate (dai disabili ai rifugiati, dagli immigrati ai minori a rischio, ai malati terminali), nella cooperazione internazionale all'estero, nella tutela del patrimonio pubblico artistico, ambientale, culturale e nella protezione civile;
   le risorse finanziarie destinate al servizio civile nazionale sono state ridotte drasticamente di anno in anno: nel 2008 erano 299 milioni di euro, nel 2009 sono scese a 170 milioni, nel 2010-2011 a 100 milioni, nel 2012 a 68 milioni con conseguente inevitabile riduzione del numero complessivo dei giovani impegnati nelle varie attività;
   nel 2007 i posti a disposizione per i giovani del servizio civile erano 51.273 a fronte di 104.815 domande, nel 2011 sono scese a 20.157 a fronte di 86.571 domande;
   per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro; altre risorse dovrebbero derivare dal fondo di cui all'articolo 1 comma 270 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012;
   inoltre il Ministro interrogato ha reperito altri 50 milioni di euro che però non è chiaro se siano stati ancora assegnati al servizio civile nazionale e che comunque sono ancora insufficienti;
   nell'annunciare la disponibilità dei 50 milioni di euro aggiuntivi il Ministro aveva assicurato che si sarebbero potuti emanare i bandi 2013 e 2014 per un contingente di 18.800 volontari annui;
   ad oggi, al di là dello stanziamento aggiuntivo, ancora in corso di perfezionamento, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale non ha ancora annunciato il contingente di volontari che metterà a bando nel 2013;
   considerando che sul fondo nazionale per il servizio civile sono disponibili 71 milioni di euro per il 2013 e 76 milioni di euro per il 2014, ai quali si andranno ad aggiungere gli altri 50 milioni spalmati sul biennio 2013-2014, si dovrebbe avere una disponibilità annua di circa 98,5 milioni, non sufficiente per l'avvio di 18.800 volontari, per i quali occorrerebbero almeno 112,8 milioni di euro l'anno –:
   quali siano le effettive risorse destinate per il 2013 al servizio civile nazionale, quanti posti sia possibile mettere a bando e quale sia la reale volontà politica di aumentare le risorse destinate ad una attività di alto valore educativo ed essenziale per la formazione nei giovani di valori autenticamente costituzionali. (3-00020)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   le risorse destinate alla cooperazione internazionale allo sviluppo dal capitolo 2181 della legge di stabilità per il 2013, vanno rapidamente utilizzate, così come chiedono tutte le Ong italiane, dalla AOI (associazione delle Ong italiane) al CINI (coordinamento italiano Network internazionale) e a LINK 2007 (cooperazione in rete);
   il non impiego di tali risorse con il loro riassorbimento nel bilancio dello Stato sarebbe un grave colpo alla credibilità dell'Italia nelle politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo e provocherebbe un danno ingiusto al sistema della cooperazione non governativa;
   il Ministero per la cooperazione internazionale e l'integrazione ha prodotto nell'ultimo anno una prima parziale inversione di tendenza nella disponibilità di risorse finanziarie per l'APS che negli ultimi anni sono scese ad appena lo 0,13 per cento del PIL, facendo scivolare l'Italia all'ultimo posto tra i Paesi europei;
   i princìpi ispiratori delle nuove procedure in via di definizione per i programmi di cooperazione devono basarsi su efficienza, trasparenza, obiettività, che sono un patrimonio consolidato da anni del sistema europeo della cooperazione;
   il confronto tra la DGCS e i rappresentanti delle Ong per la definizione di regole efficaci e trasparenti nella selezione e nella gestione dei progetti di cooperazione deve consentire l'utilizzo rapido dei fondi a disposizione –:
   se non ritenga necessario accelerare i tempi per il rapido e integrale impiego delle risorse disponibili per la cooperazione non governativa per il 2013.
(4-00196)


   DANIELE FARINA, DURANTI, NICCHI e PIAZZONI. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 giugno 2008 è stato istituito il dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri con il compito di promuovere, indirizzare e coordinare le azioni di governo atte a contrastare il diffondersi delle tossicodipendenze e delle alcooldipendenze correlate, dipartimento da allora diretto da dottor Franco Serpelloni;
   per i soli progetti di ricerca, il dipartimento ha ricevuto in tre anni 43,5 milioni di euro: 26,5 milioni per il 2010 e 17 milioni per il biennio 2011/12;
   in un articolo apparso il 10 aprile 2013 su il quotidiano Il Tirreno, a firma di Natalia Andreani e Annalisa D'Aprile, si afferma che: «fra i tanti stanziamenti, ce ne sono alcuni per un totale di quasi un milione alla chiacchieratissima Fondazione Maugeri (...). Analizzando i dati del bilancio del Dipartimento saltano agli occhi alcuni particolari. Il primo è che tutto ruota intorno a Verona, alla Asl 20 che, come detto, è la Asl di provenienza di Serpelloni. È vero che Verona è stata in passato crocevia del traffico di stupefacenti, ma basta questo a dare alla Asl 20 il monopolio della gestione dei progetti del Governo italiano in fatto di prevenzione? È a Verona che fra il 2012 e il 2013 transiteranno, per gestione diretta o per essere girati ad altri enti, oltre 5 milioni di euro, quasi altri tre sono arrivati in anni precedenti, ma la Asl è comunque sempre l'ente a cui fa riferimento ogni progetto. Così come veronesi sono tutti i fornitori del Dipartimento, dalla cancelleria ai computer, ai telefonini. E dato che Verona è il centro di tutta l'attività sono decine di migliaia gli euro spesi per andare “in missione” nel capoluogo scaligero o venire da Verona a Roma (rigorosamente in aereo o in treno in prima classe). Tutto questo agitarsi per cosa? Per decine di progetti per i quali vengono create pagine web, che si avvalgono di campagne pubblicitarie (150 mila gli euro spesi per realizzare delle spillette), che poco incidono. Come “In marcia per la vita” (180 mila euro), “OutCome” (25 milioni di euro spalmati su vari anni), “Dream On”, una sorta di talent show sulla danza, (400 mila e gruppi veronesi fra i vincitori); “Nnidac 2011” con 40 Comuni e il consorzio universitario Cueim (destinatario per questo di 2 milioni e 150 mila euro). E così via. Il seguito di queste iniziative è verificabile sul web, analizzando i dati sugli utenti delle pagine realizzate (da società veronesi e gestite dalla Asl 20, naturalmente). Nnidac, per dire, ha due visitatori in media al giorno. E un altro dei fiori all'occhiello di Serpelloni, “Alert web monitoring rave party e internet” (250 mila euro di finanziamento solo nel 2013) nell'ambito del quale sono stati anche acquistati dei navigatori satellitari per individuare e impedire i rave party, ha una pagina web correlata che ha così pochi visitatori che non viene censita. D'altra parte la rete internet non dà grandi soddisfazioni a Serpelloni, nonostante il profondere di investimenti (270 mila euro in tre anni): la home page del Dipartimento ha, in media 13 utenti al giorno (meno dei dipendenti del Dipartimento)» –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di confermare la veridicità delle affermazioni esposte in premessa;
   in caso affermativo, se e quali provvedimenti intendano adottare. (4-00238)

DIFESA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   il poligono interforze del Salto di Quirra (PISQ), istituito nel 1956, ubicato in un'area di 13200 ettari situata nel territorio delle province d'Ogliastra e di Cagliari (Sardegna centro-orientale), sulla quale insistono i comuni di Perdasdefogu, Villaputzu, Escalaplano, Tertenia, Villasalto, Ballao, Armungia, San Vito, venne costituito con il compito precipuo di sperimentare nuovi sistemi d'arma;
   il PISQ è area di sperimentazione ed esercitazione dedicata non solo esclusivamente alle Forze Armate italiane ma anche a potenze straniere quali – ad esempio nel corso dei decenni – Israele, Libia, Turchia, Germania, Gran Bretagna ed in generale Paesi della Nato;
   il poligono attua le predisposizioni tecniche operative, tecniche e logistiche per la sperimentazione e la messa a punto e collaudo di velivoli, missili, razzi e radio bersagli, oltre all'addestramento del personale delle Forze Armate ed alle esigenze di molteplici enti scientifici nazionali e stranieri che ne usufruiscono per le loro ricerche (come ad esempio il Centro italiano ricerche aerospaziali e l'Agenzia spaziale europea);
   il PISQ ha – nel corso degli anni – assunto le caratteristiche di un vero e proprio «poligono in affitto», una vera e propria industria (o come è stato efficacemente definito dalla stampa isolana un «supermercato delle armi»);
   il Poligono è diviso in due aree: marittima – per un totale di 2000 ettari e 50 chilometri di costa – e terrestre, complessivamente 12000 ettari;
   nell'area di esercitazione a mare avvengono i lanci di missili terra-aria verso bersagli simulati; l'area a terra è utilizzata per l'addestramento al tiro dagli elicotteri, dai mezzi corazzati e d'artiglieria;
   nell'area adiacente l'attività di allevamento e pascolo di bestiame si attesta intorno ai 15.000 fra capi ovini e vaccini, ripartiti in decine di aziende a conduzione familiare;
   nel corso dei decenni di attività del poligono si stima si siano verificate migliaia di esplosioni, tra le quali assumono una particolare rilevanza – fino al 2003 – quelle di 1187 missili anticarro Milan di produzione francese, ritirati perché considerati pericolosi per il rilascio di Torio 232, sostanza radioattiva contenuto nei sistemi di guida dei medesimi;
   nel corso degli anni ’90 il verificarsi di una serie di morti sospette e la rilevazioni di una molteplicità di casi di persone ed animali nati con pesanti deformità fisiche ha sollecitato la mobilitazione della società civile, che ha iniziato una intensa attività di informazione e sensibilizzazione sul tema della presenza militare nell'isola, sul PISQ in particolare, sugli effetti dell'attività militare sull'ambiente, la fauna, la salute delle popolazioni locali;
   i riscontri ambientali confermano come nel territorio in oggetto, in particolare in prossimità del poligono, sia presente un massiccio inquinamento: diretto, ovvero dato dalla presenza dell'attività militare; indiretto, derivante dalla presenza di materiali pesanti naturali che, sommati agli effetti delle numerose esplosioni nell'area, diffondono ulteriore inquinamento derivante da nanoparticelle;
   tali dati sull'inquinamento risultano conclamati, certificati dal gruppo di esperti che fu chiamato a partecipare ai lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta insediata nel corso della XVI Legislatura; trattasi di circa 1000 ettari dei 13400 e sono quelle a più intensa attività militare, ciò senza considerare l'inquinamento da materiali d'esercitazione e la recente scoperta di una enorme discarica di sostanze tossiche e residui bellici provenienti da tutto il territorio nazionale e – con ogni probabilità – anche dall'estero;
   sono molteplici le segnalazioni riguardo la nascita di bestiame deforme nei pascoli adiacenti o situati nei dintorni del Poligono;
   negli ultimi decenni si è assistito a un crescente numero di morti sospette per leucemie ed in particolare causa linfoma di Hodgkin (malattia meglio nota come sindrome del Golfo) riscontrate sia fra i militari operativi nella base, sia fra i pastori che usufruivano dei pascoli adiacenti la stessa; per triste analogia si è parlato in questi anni di «Sindrome di Quirra»;
   dalle indagini fin qui svolte non è emersa la presenza di uranio impoverito, d'altro canto le tracce di torio ed altre sostanze radioattive e una multifattorialità di inquinamento ambientale mettono in evidenza i rischi di cui sopra;
   nel 2011 si è aperta una inchiesta del tribunale di Lanusei, condotta dal procuratore della Repubblica Domenico Fiordalisi;
   detta inchiesta vede indagati – a vario titolo e con differenti responsabilità – generali e comandanti della base di Quirra e del distaccamento a mare di San Lorenzo, professori e tecnici universitari dell'ateneo di Siena, chimici della Sgs Italia, il medico responsabile del Poligono e il sindaco uscente di Perdasdefogu per il forte sospetto di attività occultamento e falsificazione di perizie da parte delle autorità militari, sanitarie e locali coinvolte;
   i reati contestati sono di «omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri» e «falso ideologico» per aver tenuto nascosta l'entità del disastro ambientale e sanitario causato dall'area militare;
   il 27 marzo 2013 il procuratore della Repubblica di Lanusei ha chiesto al Gup Nicola Clivio il sequestro totale del PISQ, al fine di consentire al professor Mariani del Politecnico di Milano di portare avanti il lavoro di campionamento di terreno, suoli ed acque antistanti il Poligono e ricerca di materiali inquinanti;
   la Commissione d'Inchiesta del Senato – XVI Legislatura – ha redatto ed approvato una relazione intermedia predisposta dall'allora Senatore Gian Piero Scanu – in cui si avanzano una serie di proposte, di chiusura di alcuni poligoni ubicati in Sardegna (in particolare Capo Teulada e Capo Frasca), di riconversione del poligono di Quirra;
   si stima in 500 milioni di euro la somma minima da destinarsi ad una attività di disinquinamento e bonifica ambientale minimamente efficace nei tre poligoni di cui sopra, 300 milioni solamente per il poligono di Quirra;
   di tale cifra allo stato attuale risultano stanziati solamente 75 milioni, in tre anni, che consentirebbero l'avvio dell'attività di bonifica;
   in relazione alla specifica condizione del PISQ la suddetta Commissione ha indicato la necessità di procedere: al definitivo divieto di ogni attività suscettibile di produrre grave pregiudizio alla salute e all'ambiente; l'avvio senza ulteriore indugio dell'opera di bonifica radicale coerentemente con le indicazioni delle zone individuate dai progetti di caratterizzazione condotti e dall'indagine della procura della Repubblica di Lanusei; la conclusione in tempi brevi dell'indagine epidemiologica; l'attivazione del sistema informativo ambientale finalizzato al monitoraggio del territorio e a garanzia dell'accessibilità in tempo reale del medesimo agli organi istituzionali di controllo; riqualificazione dell'area con particolare riferimento allo sviluppo di attività attinenti alla protezione civile, alla ricerca scientifica e tecnologica in settori innovativi, alla tutela delle competenze tecniche e professionali sviluppate nei territori interessati;
   sul territorio sardo insiste la parte più consistente delle servitù militari di tutto il territorio nazionale –:
   quali siano le intenzioni del Governo circa la questione del poligono interforze del Salto di Quirra ed il suo futuro;
   se intenda il Governo dare seguito oppure meno alle risultanze, alle indicazioni ed alle proposte della Commissione d'inchiesta del Senato della XVI Legislatura;
   se intenda o meno dare avvio all'apertura di un tavolo istituzionale con il Governo regionale della Sardegna affinché si possa inaugurare un percorso condiviso che conduca alla ridefinizione della presenza militare nell'isola ed a un principio di dismissione di basi e poligoni militari che da decenni segnano il territorio sardo, mettendo a rischio la salute delle persone, i fattori ambientali e sottraendo migliaia di ettari all'economia civile ed alle vocazioni produttive del territorio.
(2-00023) «Piras, Duranti, Daniele Farina, Kronbichler, Lacquaniti, Melilla, Pellegrino».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. —Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni mesi periodicamente nel metapontino si registrano boati improvvisi che provocano non poca paura tra gli abitanti che vengono colti di sorpresa;
   da Pisticci a Policoro esplosioni improvvise creano apprensione e non trovano ancora esaustive risposte ufficiali;
   secondo alcuni organi di stampa potrebbe trattarsi di aerei militari impegnati in esercitazioni considerato che spesso nei pressi di Pisticci scalo e della sua area industriale si svolgono operazioni militari, ma anche in questo caso si è nel novero delle ipotesi –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda attivare per offrire alla popolazione dei comuni del metapontino una risposta ufficiale in merito ai boati avvertiti.
(5-00076)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO, CANCELLERI, GRILLO, NUTI, LOREFICE, DI BENEDETTO, MARZANA, VILLAROSA, CURRÒ, D'UVA, MANNINO, LUPO, BASILIO, GALLINELLA, CORDA e ALBERTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    in data 08 gennaio 2013 l'Assemblea regionale siciliana ha approvato all'unanimità una mozione con la quale ha impegnato il Governo regionale ad adottare ogni utile iniziativa finalizzata alla revoca delle autorizzazioni rilasciate per l'inizio dei lavori di realizzazione del sistema MUOS;
   sempre giorno 11 gennaio 2013, il presidente della regione in una pubblica conferenza stampa e su tutti i quotidiani ha annunciato la sospensione dei lavorati di cui trattasi;
    successivamente la presidenza della regione ha provveduto prima ad avviare il procedimento di revoca delle autorizzazioni poi ad emettere in data 30 marzo 2013 provvedimento di revoca delle autorizzazioni rilasciate per l'esecuzione dei lavori del MUOS;
   i residenti di Niscemi, i manifestanti e gli organi di informazione, anche attraverso diversi documenti fotografici riferiscono oltre ad attestare che lungi dall'essere sospesi, e/o revocati i lavori di realizzazione del MUOS stanno proseguendo anche alacremente, come se nulla fosse mai accaduto;
   addirittura, come ci riferiscono le popolazioni di Niscemi, pare che stiano per essere montate le parabole così da determinare la definitività dei lavori che non sarebbero potuti essere proseguiti a seguito della predetta revoca;
   se così realmente fosse, ciò costituirebbe non solo una violazione di quanto stabilito dall'assemblea attraverso la mozione ma soprattutto un'evidente violazione di un ordine di revoca emesso dal presidente della regione e dall'assessore del territorio e dell'ambiente e ciò è un fatto gravissimo;
   è urgente dare immediatamente seguito alla volontà dei siciliani manifestata espressamente sia dentro che fuori il Parlamento regionale assolutamente contraria alla realizzazione del sistema MUOS;
   in data 30 marzo 2013 si è svolta una manifestazione pacifica che ha visto coinvolte almeno 15.000 persone oltre la presenza di numerosi parlamentari regionali e nazionali per esprimere e ribadire in modo pacifico il netto dissenso avverso la realizzazione del sistema MUOS;
   se a fronte del provvedimento di revoca sia vero che i lavori del MUOS siano prossimi al completamento in quanto gli americani non hanno mai dato seguito al provvedimento di revoca delle autorizzazioni (atteso che stanno per essere montate le parabole), e quali provvedimenti il Governo intenda adottare a fronte di tale gravissimo oltre che illegittimo comportamento delle autorità americane assolutamente inadempienti rispetto alle leggi italiane, in particolare assicurando un immediato intervento di tutte le autorità competenti e del Governo italiano al fine di garantire il ripristino della legalità. (4-00210)


   LIUZZI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre 2012 il Cocer marina ha chiesto al Ministro della difesa, con delibera n. 21/XI, di prendere atto delle osservazioni e delle proposte che ha redatto e allegato allo stesso documento nel quale, tra l'altro, viene evidenziato l'oggetto: «...inerenti provvedimenti legislativi altamente demotivanti sia dal punto di vista etico che economico»;
   con successiva delibera n. 38/XI del 5 marzo 2013 il Cocer marina ha chiesto al Capo dello stato maggiore spiegazioni circa il blocco delle retribuzioni;
   in particolare, nella citata delibera, si sottolineano gli effetti dannosi della legge finanziaria del 2010 sulle retribuzioni del personale militare, solo in parte mitigate dalla «una tantum»;
   la mancata corresponsione degli effetti economici correlati alle promozioni ha minato nelle fondamenta il senso stesso delle progressioni di carriera connesse allo status di militare;
   i mancati adeguamenti stipendiali connessi all'anzianità hanno fatto venire meno una progressione economica sulla quale il personale basa spesso la possibilità di contrarre un mutuo per l'acquisto della prima casa;
   l’una tantum corrisposta per il 2012 ha coperto solo il 46 per cento delle mancate attribuzioni economiche e quanto previsto per il 2013 coprirà soltanto il 16 per cento;
   già il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010, prevedeva pesanti nuovi tagli agli organici;  
   per il 2014 esiste già una previsione di estensione del blocco retributivo del pubblico impiego (ex articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 16 luglio 2011, n. 164);  
   esistono numerosi ricorsi pendenti presso la Corte costituzionale circa il provvedimento di cui trattasi nella citata delibera 38/XI del 5 marzo 2013, dei quali si è in attesa di esito;
   in data 5 marzo 2013 il Capo dello stato maggiore risponde, prendendo atto di quanto rappresentato dalla delibera succitata, impegnandosi a promuovere «ogni possibile azione finalizzata al superamento del blocco stipendiale, nei confronti dei militari in difficoltà finanziarie con un intervento concertato del Ministero dell'economia e delle finanze, per il ripristino del trattamento economico». Nella risposta si evidenzia anche la necessità di un intervento concertato per il quale però «non è possibile formulare una previsione sui tempi di risoluzione della problematica» –:
   quali provvedimenti intendano adottare, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, per conseguire il superamento del blocco stipendiale in atto, e quali siano i tempi di attuazione dei relativi interventi. (4-00220)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'ARIENZO e CASELLATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   presso la officine ferroviarie veronesi SPA, in Verona, 207 lavoratori stanno vivendo un delicato momento;
   officine ferroviarie veronesi è un'azienda industriale storica nel tessuto veronese. Nata nel 1901 è diventata una delle più importanti realtà industriali italiane nel campo della progettazione e costruzione di materiale rotabile;
   negli ultimi anni l'azienda si è specializzata principalmente nella produzione di carrozze passeggeri per i treni regionali con particolare attenzione alla progettazione e produzione della costruzione dei telai in ferro e nell'allestimento;
   si tratta di un'azienda di eccellenza nel panorama italiano e mondiale;
   nel 2011 officine ferroviarie veronesi ha acquisito un'importante commessa dal gruppo Ansaldo che prevedeva la costruzione di 340 carrozze con un piano industriale di tre anni. AnsaldoBreda è la società Finmeccanica specializzata nella costruzione di materiale rotabile tecnologicamente avanzato;
   a seguito dell'acquisizione è stato potenziato l'organico occupazionale portando tra stabilimenti di Verona e di una succursale a Castelfranco Veneto a 464 gli occupati. Negli stabilimenti di Verona i lavoratori, a fine 2012, erano 350, di cui 162 con contratto di somministrazione;
   attualmente, Ansaldo ha rallentato i pagamenti degli stati di avanzamenti della commessa, creando una sofferenza finanziaria all'Azienda con conseguenti ritardi nei pagamenti degli stipendi e morosità nei confronti dei fornitori;
   ciò ha già determinato che dal 31 marzo non sono stati confermati i contratti a 67 lavoratori interinali;
   la preoccupazione è evidente, a maggior ragione in quanto si tratta di una società, l'Ansaldo, del gruppo Finmeccanica che a sua volta è partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze al 30,20 per cento;
   inoltre, negli ultimi incontri sindacali la direzione ha comunicato che Ansaldo aveva chiesto di ridiscutere la commessa delle 340 carrozze. Ne sono state consegnate 130, per le restanti Ansaldo ha chiesto una revisione della quantità;
   gli interroganti ritengono che la storica azienda veronese sia ancora protagonista sul mercato ferroviario e che occorra fare di tutto per salvaguardare questa storica produzione manifatturiera, perché il core business di officine ferroviarie veronesi è, di fatto, strategico anche nel prossimo futuro;
   infatti, si inserisce in un modello economico di sviluppo che guarda con interesse alla sostenibilità ambientale attraverso il trasporto ferroviario sia urbano che extraurbano –:
   se non ritengano urgente e improcrastinabile un intervento risolutorio per affrontare le criticità in essere e conferire impulso all'azienda FINMECCANICA-ANSALDO, affinché si faccia chiarezza rispetto ai contratti sottoscritti, a tutela del futuro della storica azienda veronese e dei tantissimi lavoratori impiegati;
   quali siano l'orientamento e le scelte di politica industriale del Governo riguardo a un settore strategico per l'economia nazionale quale quello della produzione di materiale rotabile. (5-00078)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAPPULLA, ALBANELLA, BARETTA e BOCCUZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi 380 e da 384 a 384, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, legge di stabilità 2013, interviene sulla disciplina dell'imposta municipale sugli immobili (IMU) prevista in via sperimentale dall'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, recando alcune modifiche applicabili negli anni 2013 e 2014;
   in particolare si attribuisce interamente ai comuni il gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo (che rimane destinato allo Stato) e contestualmente si sopprime il Fondo sperimentale di riequilibrio previsto dal decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale che viene sostituito da un Fondo di solidarietà comunale, alimentato da una quota dell'IMU di spettanza dei comuni;
   in ragione di tale soppressine, nonché della circostanza che la modifica all'IMU è per gli anni 2013 e 2014, viene sospesa per i medesimi anni la devoluzione ai comuni del gettito della fiscalità immobiliare prevista nel medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, nonché della compartecipazione comunale al gettito IVA;
   il sistema della fiscalità comunale poggia pertanto, con riferimento al biennio 2013-2014, su tre principali imposte, costituite dall'IMU, dalla Tares e dall'addizionale comunale all'Irpef; a queste si aggiungono, oltre ai trasferimenti non fiscalizzabili ed alle entrate extratributarie (quali il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, la Cosap, che costituisce un cespite anche provinciale, e l'addizionale comunale sui diritti di imbarco), le tradizionali entrate locali come l'imposta di soggiorno, la Tosap e l'imposta comunale sulla pubblicità; ulteriori entrate, che hanno però carattere eventuale, sono infine ravvisabili nei proventi derivanti dalla partecipazione dei comuni all'azione di contrasto all'evasione fiscale;
   le manovre attuate durante la XVI legislatura hanno prodotto una riduzione netta di risorse ai comuni di circa 4 miliardi nel 2012, 6,2 miliardi nel 2013, 6,4 miliardi nel 2014 e 6,5 miliardi di euro dal 2015 (il totale delle manovre dal 2008 al 2012 ha previsto tagli ai comuni per gli anni 2013 e 2014 rispettivamente di 12,3 miliardi e 12,6 miliardi di euro) determinando in alcuni casi l'impossibilità oggettiva per i comuni italiani di mantenere il livello minimo dei servizi richiesti dalle collettività amministrate e di garantire gli equilibri di bilancio e il rispetto dei parametri previsti dal patto di stabilità interno –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative normative al fine di attribuire, a decorrere dal 2014, l'intero gettito Imu, ivi incluso quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, a favore dei comuni italiani, in tal modo salvaguardando i principi di equità fiscale e restituendo all'imposta municipale i connotati previsti dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante norme di devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare in attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché dell'articolo 119 della Costituzione. (4-00191)


   CRIVELLARI, BARETTA, NARDUOLO, ZARDINI, ROTTA, NACCARATO, CRIMÌ, MORETTO e GINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in seguito agli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo il 20 e 29 maggio 2012, veniva emanato il decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2012, n. 122 «Interventi a favore delle popolazioni danneggiate dagli eventi sismici nei giorni 20 e 29 maggio 2012 nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto»;
   il comune di Frassinelle Polesine (Rovigo), in seguito all'evento sismico del 20 e 29 maggio 2012, riscontrava una serie di danni rilevanti a fabbricati privati e pubblici. Tra questi la sede del municipio risultava interessata da gravi ed evidenti lesioni che ne compromettevano la stabilità ed obbligavano l'amministrazione a trasferire la stessa sede municipale in altro edificio. In data 13 giugno 2012 veniva trasmessa dal comune al gabinetto del presidente della regione Veneto – unità di progetto protezione civile la scheda di ricognizione dei danni per evento sismico relativamente a immobili privati, per un importo stimato di euro 15.000,00 su n. 3 immobili, e su beni pubblici su n. 1 fabbricati per un importo complessivo di euro 250.000,00, relativamente ai danni stimati sulla sede municipale;
   in data 1o ottobre 2012 il sindaco di Frassinelle Polesine si rivolgeva al prefetto di Rovigo inviando la documentazione agli atti in merito agli eventi del sisma, chiedendo che il comune di Frassinelle potesse essere inserito nell'elenco dei Comuni destinatari di cui al decreto-legge n. 74 del 2012 convertito in legge n. 122 del 2012 ed aggiornato ai sensi dell'articolo 67-septies comma 2 del decreto-legge n. 83 del 2012 convertito in legge n. 134 del 2012;
   in data 18 ottobre 2012 il prefetto di Rovigo inviava la documentazione sopracitata alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze e per conoscenza anche alla regione Veneto;
   in data 21 novembre 2012 la Presidenza del Consiglio dei ministri scriveva al prefetto, invitando a coinvolgere il Presidente della regione Veneto in quanto Commissario delegato per i seguiti di competenza. Il 3 dicembre 2012 il Prefetto inviava al Presidente della regione Veneto – Commissario Delegato, la documentazione inerente il Comune di Frassinelle Polesine in merito agli interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nel territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo;
   in data 30 gennaio 2013 la regione Veneto in riscontro alle note inviate dal Prefetto, nel nome del presidente della regione – commissario delegato, chiedeva l'inserimento del comune di Frassinelle Polesine nell'elenco del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 1o giugno 2012 –:
   quale sia attualmente lo stato delle procedure per l'inserimento del comune di Frassinelle Polesine (Rovigo) nell'elenco di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 1o giugno 2012 «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo – il 20 e il 29 maggio 2012». (4-00192)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   già dall'inizio del 2012, nell'ambito del piano di razionalizzazione della propria rete di uffici dislocati sul territorio nazionale, Poste italiane spa ha previsto la progressiva limitazione delle aperture al pubblico, se non addirittura la chiusura, di numerosi uffici postali con conseguenti disagi per l'utenza: tale processo di razionalizzazione prevede ulteriori chiusure nell'anno in corso;
   del disagio dei cittadini si stanno facendo interpreti, in primis, i sindaci dei comuni ove si trovano uffici postali coinvolti nel piano di razionalizzazione suddetto;
   il problema è particolarmente sentito nelle aree più marginali, quali quelle montane, ove lo spopolamento progressivo ha già contribuito alla contrazione dei servizi locali e l'abbandono anche dei presìdi postali rappresenta un nuovo duro colpo alla vivibilità di queste aree;
   Poste Italiane spa ha assicurato che tale progressiva riduzione della rete degli sportelli postali potrebbe essere scongiurata qualora le amministrazioni locali interessate potessero attribuire all'azienda servizi aggiuntivi tali da poter consentire la sostenibilità economica per quegli uffici per i quali il mantenimento del servizio è messo in dubbio;
   infatti, alla base del depauperamento del servizio postale vi sarebbero motivazioni di non rimuneratività, poiché in tali uffici i dati di traffico rileverebbero un basso livello di saturazione che non consente a Poste Italiane di giustificarne l'apertura, nell'ottica sia del contenimento dei costi e dell'efficiente gestione che in applicazione del decreto del Ministero dello sviluppo economico 7 ottobre 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica» –:  
   attesa la configurazione giuridica di Poste Italiane spa quale società in house del Ministero dell'economia e delle finanze e al fine di reperire risorse per consentire ad essa di mantenere uno standard elevato del servizio postale a favore della collettività, se si ritenga possibile assegnare all'azienda l'erogazione di servizi, piani o progetti direttamente da parte delle amministrazioni centrali intervenendo quindi in tal senso in favore delle autonomie locali, che ovviamente non dispongono, causa i noti provvedimenti di contenimento della spesa pubblica, di risorse o servizi aggiuntivi da destinare a tal fine. (4-00198)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il gioco d'azzardo è la terza industria italiana per fatturato e assicura all'erario entrate per 8 miliardi di euro;
   il gioco d'azzardo aumenta a dismisura i costi familiari e socio-sanitari poiché la ludopatia (patologia che coinvolge 2 milioni di persone) provoca alla collettività un danno calcolato tra i 5,5 e i 6,6 miliardi di euro;
   dal 1o gennaio sale da gioco ed esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici devono esporre il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali, diretto a evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul territorio dei servizi di assistenza dedicati alle persone con patologie correlate al gioco d'azzardo patologico (GAP);
   al fine di prevenire i fenomeni di ludopatia e le varie forme di dipendenza connesse all'attività di gioco negli esercizi pubblici e commerciali, il decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012 (decreto Balduzzi), impone, a partire dal 1o gennaio 2013, ai «gestori di sale da gioco e di esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici, ovvero di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi», di esporre «il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali, diretto a evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul territorio dei servizi di assistenza pubblici e del privato sociale dedicati alla cura e al reinserimento sociale delle persone con patologie correlate alla G.A.P.»:
   il tentativo messo in atto dal Governo con l'emanazione del cosiddetto decreto Balduzzi, di regolamentare l'attività di comunicazione per scongiurare eventuali effetti negativi prodotti da un approccio al gioco non responsabile, non può che incontrare il più ampio consenso;
   recentemente diverse amministrazioni comunali sono intervenute modificando i regolamenti comunali al fine di contenere la diffusione di locali dove si pratica il gioco;
   le norme, studiate per disciplinare l'apertura di nuove sale giochi e l'installazione di slot e apparecchiature simili in bar, circoli e ristoranti, sono state approvate all'unanimità nei vari consigli comunali;
   i testi varati sono frutto di mesi di studio, da parte dei funzionari municipali, delle leggi su questa particolare materia. Lo Stato, infatti, considera le slot e i videopoker come «gioco lecito», non soggetto a limitazioni numeriche o territoriali. Per questo molte amministrazioni hanno escogitato alcune «scappatoie», connesse alla tutela della salute, del lavoro e dei minori, per redigere un regolamento che non fosse in contrasto con le leggi nazionali –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione e non intenda assumere iniziative per predisporre una nuova disciplina omogenea del settore, che tuteli i soggetti più deboli e che dia alle amministrazioni locali gli strumenti per limitare e selezionare i locali dove si pratica il gioco.
(4-00202)


   PELUFFO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il fondo strategico italiano spa (FSI), creato con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 3 maggio 2011, è una holding di partecipazioni il cui azionista strategico è la Cassa depositi e prestiti spa pubblica posseduta al 70 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   si apprende dalla stampa nazionale che il fondo strategico italiano ha siglato un accordo con Canova 2007 spa, holding di controllo del gruppo Finiper, diventando così azionista di 26 ipermercati a insegna «iper, La Grande I» e di 170 supermercati a insegna «Unes» e che il perfezionamento di tale accordo è previsto nel prossimo luglio 2013;
   il fondo strategico italiano, come si rileva dalla presentazione del fondo presente sul sito internet http://www.fondostrategico.it, opera «acquisendo quote di minoranza in imprese di rilevante interesse nazionale che siano in equilibrio economico-finanziario e abbiano adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo» ;
   con questa operazione il fondo strategico italiano dichiara di contribuire all'apertura dell'azionariato del gruppo ponendo le basi per la sua ulteriore crescita tramite consolidamento in un settore che, nel nostro Paese, è altamente frammentato e altamente concorrenziale;
   la tendenza alla concentrazione della grande distribuzione organizzata (GDO), secondo dati costanti, corrisponde a un progressivo depauperamento del commercio di vicinato, che rappresenta un valore economico e sociale, soprattutto per le più piccole realtà regionali;
   ai sensi dell'articolo 3 «oggetto strategico» dello statuto del fondo strategico italiano, si individua la possibilità per il fondo di assumere partecipazioni in società che «operino nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi»;
   nello stesso articolo si specifica che «i requisiti di cui sopra devono essere presenti e documentati al momento in cui l'operazione è deliberata dal consiglio di amministrazione della società» –:
   sulla base di quali elementi si siano ritenuti sussistenti i requisiti di «rilevante interesse nazionale», di «equilibrio economico-finanziario» e di «adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo» nella società Canova 2007, al punto di sottoscrivere un aumento di capitale per una quota di minoranza qualificata fino al 20 per cento in Finiper;
   se, a seguito dell'acquisto di tale quota del 20 per cento sia previsto un successivo aumento della quota di proprietà di Finiper posseduta dal fondo strategico italiano, con il conseguente apporto di capitali, segnatamente in considerazione del fatto che tale società sta attualmente operando in settori esterni a quello della grande distribuzione organizzata, quali i citati interventi nelle aree di Cascina Merlata e Arese;
   se ritenga che il perseguimento di una logica di concentrazione nel settore della grande distribuzione organizzata sia effettivamente un valore cui mirare, anche in considerazione della contemporanea costante perdita di posti di lavoro nel commercio di vicinato e il conseguente impoverimento sociale e culturale dei centri storici cittadini e il vulnus arrecato alla libera concorrenza in un settore altamente frammentato come quello della grande distribuzione e della distruzione organizzata;
   se, alla luce delle considerazioni sinora esposte, ritenga che l'operato del fondo sia stato in linea con la missione, gli obiettivi e, segnatamente, l'oggetto strategico del fondo stesso come sopra richiamato e, in particolare, a quale dei settori di intervento o delle fattispecie elencati all'articolo 3, comma 1, sia da ascrivere la società Canova 2007;
   se i requisiti richiesti fossero presenti e documentati al momento in cui l'operazione è stata deliberata dal consiglio di amministrazione e se, in tal caso, sia stato acquisito dal consiglio di amministrazione il parere del comitato per gli investimenti e del comitato strategico previsti, rispettivamente, all'articolo 26 e all'articolo 27 del citato statuto di fondo strategico italiano spa. (4-00235)


   LODOLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Banca Marche è capogruppo dell'omonimo gruppo bancario, che comprende anche la Carilo Cassa di risparmio di Loreto s.p.a. con sede in Loreto, la Focus Gestioni S.G.R. s.p.a. società di gestione del risparmio e la Medioleasing s.p.a. costituita nel 2005 ed avente ad oggetto l'esercizio del leasing finanziario ed operativo. Banca delle Marche s.p.a. è stata costituita tra il 1994 e il 1995 per effetto della fusione fra le Casse di risparmio di Macerata, Pesaro e Jesi;
   la compagine societaria vede la partecipazione di alcuni soci rilevanti: le fondazioni Cassa di Risparmio della provincia di Macerata, Cassa di risparmio di Pesaro e Cassa di risparmio di Jesi (le quali complessivamente detengono il 55,8 per cento del capitale) e, inoltre, il Gruppo Intesa Sanpaolo (5,84 per cento) e la Fondazione Cassa di Risparmio di Fano (3,35 per cento). Un'importante quota di capitale (circa il 32,2 per cento) è distribuita tra circa 40.000 piccoli azionisti, per lo più clienti di Banca Marche, che investendo propri capitali hanno partecipato al processo che ha condotto negli anni novanta alla privatizzazione della Società;
   Banca Marche pur sviluppando la propria attività prevalentemente nel territorio di tradizionale insediamento, è riuscita ad essere una delle realtà più solide nel settore finanziario italiano, collocandosi al nono posto nella classifica nazionale delle grandi banche (terzo posto per redditività, terzo posto per produttività, ventesimo posto per solidità) e al sesto posto nella classifica nazionale dei grandi gruppi bancari (12esimo posto per solidità, primo posto per redditività, primo posto per produttività) - fonte: BancaFinanza, ottobre 2011;
   Banca delle Marche sin dalla sua nascita ha posto, come obiettivo primario, quello di essere la Banca della regione, leader nello specifico mercato di riferimento e polo di attrazione per le realtà che operano dentro e fuori dei confini delle Marche;
   il consiglio di amministrazione di Banca Marche ha approvato il bilancio consolidato 2012 con un passivo di 527 milioni;
   l'obiettivo fondamentale deve essere il rilancio della Banca delle Marche, che deve innanzitutto rimanere marchigiana, senza stravolgimenti societari, e ricostruire la propria funzione di sostegno all'economia e all'occupazione, rappresentata in questi territori soprattutto dalla piccola e media impresa, dall'artigianato, dal commercio, dal turismo, dall'agricoltura, dall'imprenditoria giovanile: settori che hanno bisogno di accedere celermente al credito;
   di fronte a questa difficilissima situazione della banca marchigiana, la fondazione di Macerata ha chiesto un'iniziativa di responsabilità e comunque un'azione risarcitoria nei confronti di chi ha diretto la banca fino al dicembre 2011. Rispetto a tale richiesta sarebbe interessante conoscere nel dettaglio se le fondazioni Cassa di Risparmio di Pesaro e Cassa di Risparmio di Jesi condividono quanto richiesto dalla fondazione di Macerata o, nel caso, quali siano le ragioni del disaccordo;
   come si evince da talune dichiarazioni giornalistiche locali, il Cda di Banca Marche avrebbe dato seguito alle osservazioni della Banca d'Italia –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito a quanto rappresentato in premessa con particolare riferimento all'orientamento delle fondazioni bancarie in merito alla richiesta formulata dalla fondazione Cassa di risparmio della provincia di Macerata. (4-00245)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   CARELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel protocollo d'intesa tra la regione Lazio, la corte d'appello di Roma, la procura generale di Roma e il Ministero della giustizia del 20 maggio 2011, si concordavano una serie di interventi finalizzati all'orientamento, alla formazione ed al potenziamento delle competenze all'interno degli uffici giudiziari del distretto della corte di appello di Roma di lavoratori percettori di trattamenti di cassa integrazione guadagni e di mobilità e di altre categorie appartenenti alle fasce deboli del mercato del lavoro;
   «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, all'interno della legge di stabilità del 24 dicembre 2012 è stabilita la ripartizione in quote di risorse per essere destinate, in via prioritaria, all'assunzione di personale di magistratura ordinaria, nonché, per il solo anno 2013, per consentire ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e agli inoccupati, che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro. La titolarità del relativo progetto formativo è assegnata al Ministero della giustizia»;
   allo stato il Ministero interessato ancora non da continuità al completamento del percorso formativo nonostante le disposizioni di legge –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere affinché si metta in atto quanto stabilito dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228. (3-00021)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 31 marzo 2013, giorno di Pasqua, la prima firmataria del presente atto ha visitato il carcere di Pistoia accompagnata dagli esponenti del Partito Radicale Marco Pannella, Rita Bernardini e Matteo Angioli: la visita è stata guidata dal direttore Tazio Bianchi e dal vice-comandante Giuseppe Catullo;
   la situazione del carcere risulta in leggero miglioramento se si fa riferimento a precedenti atti di sindacato ispettivo presentati nella scorsa legislatura dalla delegazione radicale all'interno del gruppo parlamentare del Partito Democratico; i «progressi» sono dovuti in primo luogo alla diminuzione della popolazione detenuta (-38 unità), e all'impegno del nuovo direttore che ha preso in mano la gestione dell'istituto da alcuni mesi e dal recente insediamento del provveditore regionale, Carmelo Cantone;
   ciononostante le condizioni di detenzione permangono tuttora in un quadro di assoluta irregolarità: i detenuti presenti – tutti «comuni» – sono infatti 119 a fronte di una capienza regolamentare di 74 posti; i detenuti in attesa di primo giudizio sono 48, gli appellanti 16 e i ricorrenti in Corte di Cassazione 3; 11 i detenuti che godono della semilibertà; i detenuti stranieri, in tutto 67, risultano così divisi per nazionalità: 36 albanesi, 9 marocchini, 7 rumeni, 4 tunisini, 3 della Repubblica dominicana, 1 statunitense, 1 senegalese, 1 nigeriano, 1 serbo, 1 egiziano e 1 bulgaro; 1 jugoslavo; 1 della Bosnia Erzegovina;
   permane la carenza di agenti di polizia penitenziaria: a fronte di una pianta organica che ne prevede 78, gli agenti assegnati sono 58 ma gli effettivamente in servizio sono in tutto 48; lo psicologo ex articolo 80 che ha preso servizio recentemente ha un incarico per poche ore settimanali ed è oggettivamente impossibile che possa farsi carico della popolazione detenuta, in particolare dei nuovi giunti; gli educatori continuano ad essere solamente 2;
   la politica delle «celle aperte», in precedenza applicata solo alla piccola sezione riservata ai collaboratori di giustizia, ora riguarda tutto l'istituto, sebbene applicata alternativamente fra mattina e pomeriggio nelle diverse sezioni; restano ferme le quattro ore d'aria; nei giorni festivi le celle rimangono chiuse tutto il giorno, tranne le ore d'aria che i detenuti possono trascorrere nei cosiddetti «passeggi»;
   solo 18 sono i detenuti che lavorano: 17 alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria e 1 dipendente da ditte esterne; fra gli «eventi critici» si registrano 20 atti di autolesionismo nel 2012 e 4 nell'anno corrente; l'attività scolastica si limita alle scuole elementari e medie; ad avviso del nuovo direttore, i fondi destinati alle «mercedi» dovrebbero necessariamente aumentare perché «i detenuti, se lavorano, cambiano in meglio»; il dottor Tazio Bianchi definisce molto positivi i rapporti instaurati con il comune e la provincia; in particolare, quest'ultima, ha finanziato corsi per imbianchino che impegneranno una parte dei detenuti per i prossimi due anni;
   quanto ai lavori di ristrutturazione e manutenzione straordinaria, sono in corso:
    il rifacimento a norma dell'infermeria, che dovrebbe essere consegnata tra tre o al massimo quattro mesi;
    il rifacimento del muro di cinta, che sarà completato fra un mese;
    la ristrutturazione delle cucine, quasi ultimata;
   sono stati ultimati, invece, i lavori riguardanti i locali da adibire alla costituzione della banca dati del DNA;
   l'istituto richiederebbe seri interventi di adeguamento a quanto previsto dall'ordinamento penitenziario: le celle andrebbero ristrutturate prevedendo le docce all'interno e finestre più ampie sì da consentire una maggiore circolazione dell'aria e luminosità dei locali; inoltre, in aggiunta alla palestra già funzionante, occorrerebbe allestire un campo sportivo, vista la giovane età media della popolazione detenuta; tutti i passeggi andrebbero rifatti a norma essendo fatiscenti e, a dir poco, squallidi;
   le carenze registrate in precedenza sulle dotazioni di prodotti per l'igiene personale e dei detersivi per pulire le celle sono drasticamente diminuite grazie ad interventi esterni sollecitati dal direttore che ha anche risolto il problema dei prezzi del sopravvitto: ora i detenuti, per ogni prodotto, possono scegliere fra 4 opzioni di marche diverse, da quella relativamente più cara alla più economica;
   la delegazione ha visitato tutti i reparti detentivi e parlato, oltre che con il direttore e il vicecomandante, anche con i detenuti; nonostante la diminuzione delle presenze, la delegazione ha potuto vedere celle piccolissime di appena sei metri quadrati abitate da tre detenuti sistemati in letti a castello a tre piani; questo tipo di celle sono particolarmente invivibili per la mancanza totale di spazio, di aria e di luce, mentre i cosiddetti «camerotti» del piano superiore danno al detenuto maggiori possibilità di movimento e sono più luminose: le più grandi ospitano al massimo 9 detenuti e quelle di medie dimensioni ne ospitano al massimo 6, seppure anche qui a volte sistemati in letti a castello a tre piani;
   una buona percentuale dei detenuti incontrati si trovava nel carcere di Pistoia per scontare vecchi residui pena di pochi giorni o di pochi mesi, incarcerazioni intervenute nel momento in cui i soggetti avevano ormai intrapreso un sano percorso di reinserimento sociale attraverso il lavoro o la permanenza presso una comunità di recupero; in diversi hanno sottolineato la difficoltà ad incontrare gli educatori; anche nell'occasione di questa visita i detenuti hanno lamentato i non ottimali rapporti con la magistratura di sorveglianza che, secondo quanto confermato anche dal direttore, non visita le celle per verificare le condizioni di detenzione;
   si è potuto verificare la presenza di un'alta percentuale di detenuti affetti da patologie anche molto gravi: sieropositivi al test Hiv: un detenuto, sette positivi all'epatite C, diciannove con problemi di tossicodipendenza (in terapia metadonica soltanto 3): in terapia psicotropa è stata riscontrata la presenza di ben cinquantadue detenuti, inoltre molti sono risultati positivi al test Mantoux, quindi hanno avuto solo un contatto con il bacillo tubercolare, e soltanto due attualmente seguono la profilassi antibiotica (durata 6 mesi) derivata dalla positività al test Quantiferon TB Gold che segnala anche l'infezione tubercolare latente;
   il comma 1 dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali»;
   risulta all'interrogante che le visite del magistrato di sorveglianza siano state estremamente ridotte;
   anche nel carcere di Pistoia non esiste il regolamento interno di istituto previsto dall'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000, né una sintesi scritta dei diritti e dei doveri dei detenuti –:
   se sia a conoscenza dei fatti rappresentati in premessa, e quali interventi urgenti intenda mettere in atto per fronteggiare quella che si presenta come un'emergenza nella maggior parte degli istituti penitenziari italiani, e cioè un evidente sovraffollamento, che eccede di parecchio le dimensioni regolamentari, nel carcere di Pistoia, nonché per incrementare la pianta organica degli agenti penitenziari ivi impiegati, le attività formative per far rientrare il numero dei ristretti nel carcere di Pistoia alle dimensioni regolamentari, il monte ore di lavoro dello psicologo in servizio e per adeguare alle esigenze dell'istituto il numero degli educatori presenti;
   se esista un monitoraggio in merito alla costituzione delle banche dati del DNA a livello nazionale, con particolare riguardo alla spesa complessiva effettuata o da effettuare e se, a seguito dell'approvazione della legge di ratifica del trattato di Prum siano stati approvati e diramati una regolamentazione organica e standard operativi chiari che indichino criteri etici in grado di garantire il rispetto dei concorrenti diritti di riservatezza, libertà e pubblica sicurezza;
   se siano disponibili dati su quante e quali siano, ad oggi, in Italia, le carceri sprovviste del regolamento di istituto previsto dall'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000, e se intenda intervenire affinché le case circondariali e di reclusione ne siano dotate immediatamente in modo che i detenuti conoscano le regole interne di comportamento e i diritti che li riguardano, nonché quali siano i tempi previsti perché venga messa a disposizione dei detenuti la «Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati», prevista dal decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 2012, n. 136, entrata in vigore il 29 agosto 2012 e non ancora reperibile negli istituti penitenziari, tutto ciò nell'attesa che si vari, finalmente, una riforma che garantisca l'incremento e l'applicazione di forme alternative di esecuzione della pena, soprattutto per chi deve scontare un breve residuo di pena relativamente a fatti di reato commessi in epoca molto risalente nel tempo. (4-00203)


   MARTELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da diversi organi di informazione la procura di Mantova ha aperto un'inchiesta sulla morte di un detenuto dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere causata sembra da intossicazione alimentare. L'autopsia sul corpo di Christian Ubiali, 31 anni di Osio di Sotto (Bergamo), confermerebbe l'ipotesi dell'intossicazione dopo un pasto a base di pesce congelato. Con lui, il 2 aprile 2013, erano stati male altri ospiti dell'ospedale psichiatrico giudiziario –:
   quali iniziative, nel rispetto della diversa e autonoma iniziativa della magistratura competente, abbia posto in essere il Ministro interrogato per verificare quanto accaduto. (4-00219)


   PIRAS, MIGLIORE, NARDI, NICCHI, DANIELE FARINA, LAVAGNO, MELILLA, PELLEGRINO e ZAN. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la sera del 10 aprile 1991, in seguito alla collisione fra la petroliera «Agip Abruzzo» e la motonave «Moby Prince» (tratta Livorno-Olbia) della compagnia di navigazione Moby Lines, perdevano la vita, arse vive, 140 persone;
   a distanza di 22 anni la memoria delle vittime e i loro familiari non trovano giustizia né verità circa i reali accadimenti di una tragedia che ha progressivamente assunto i contorni di un giallo, che è stato già definito la «Ustica del mare»;
   gli eventi di contesto che hanno portato alla collisione fra le due imbarcazioni, inizialmente archiviata come frutto di errore umano, in realtà – anche in ragione dei supplementi di inchiesta condotti dai legali dei familiari delle vittime (in particolare dai figli del comandante Ugo Chessa) – lasciano emergere un quadro decisamente differente;
   un recente articolo del giornalista Piero Mannironi, comparso sul quotidiano «La Nuova Sardegna» del 9 aprile 2013, ha avuto il merito di riaccendere i riflettori su detta tragedia;
   le ulteriori inchieste e perizie condotte sul caso in questione – anche attraverso l'uso di materiali audiovisivi – avrebbero fatto emergere almeno due elementi che impongono una revisione della ricostruzione degli eventi: a) la posizione della Moby Prince e quella della petroliera Agip Abruzzo dimostrano che lo speronamento della petroliera avvenne nella rotta verso il porto di Livorno, invece che verso Olbia dove la nave passeggeri avrebbe dovuto essere diretta; b) la voce proveniente dalla misteriosa nave «Theresa II», allontanatasi a tutta velocità dal luogo di collisione, registrata dagli strumenti radio, che comunicò con la «Nave uno» la sera dell'incidente – in base alle comparazioni compiute dall'esperto di ingegneria forense Gabriele Bardazza – risulterebbe essere quella del comandante greco della nave militarizzata statunitense «Gallant 2» Theodossiou;
   non risulta chiara la ragione per cui il comandante Theodossiou abbia ritenuto di non utilizzare via radio il proprio nominativo;
   non risultano chiare le ragioni per le quali la Moby Prince avrebbe cambiato la rotta prevista facendo ritorno al porto di Livorno, invece che proseguire la crociera verso Olbia;
   la nave militare statunitense «Gallant 2» – insieme ad altre della medesima Marina militare – erano impegnate nel trasporto di armi verso la base Usa di Camp Darby, in una fase storica che coincide con l'ultimo giorno della missione «Desert Storm»;
   in seguito alle vicende ricordate la Gallant 2 scomparve e le armi di cui sopra non giunsero mai alla base Usa, come dimostra il tracciato dell'attività del ponte mobile di Calabrone, che fornisce accesso al canale di Navicello, rimasto chiuso dal pomeriggio del 10 aprile al mattino del giorno successivo;
   su istanza dell'avvocato Carlo Palermo, legale dei figli del comandante della Moby Prince Chessa, si è aperta una seconda inchiesta sul caso;
   l'ipotesi sulla quale si fonda l'inchiesta – acquisiti e rivisitati atti o addirittura documenti misteriosamente scomparsi – è che la nave civile sia finita in mezzo a un frenetico traffico d'armi segreto, organizzato dalle autorità militari statunitensi ed autorizzato da quelle italiane, che avrebbe animato in quelle ore il porto di Livorno;
   vanno ricordate le denunce dell'associazione ambientalista Legambiente e – successivamente – dello scrittore Roberto Saviano, circa l'avvenuto illegale smaltimento del relitto della Moby Prince presso la discarica So.ge.ri. di Castelvolturno, adiacente a quella di Bortolotto, gestita per anni dal clan camorristico dei Casalesi –:
   in che misura siano informati sui fatti citati ed ormai resi di dominio pubblico, ed in particolare, dell'istanza di riapertura dell'inchiesta depositata dall'avvocato Palermo per conto dei figli del Comandante Chessa;
   quali iniziative di competenza intenderebbero porre in essere per far emergere la verità sul caso in questione e per consentire che venga resa piena giustizia alla memoria del Paese ed ai familiari delle vittime. (4-00226)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da due anni lungo la strada statale 407 Basentana in prossimità del viadotto Calciano (provincia di Matera) si viaggia su unica carreggiata a doppio senso di marcia a seguito del crollo del viadotto in direzione Metaponto per l'alluvione del marzo 2011;
   l'Anas aveva annunciato, come da risposte agli atti di sindacato ispettivo dell'interrogante della scorsa legislatura, misure di consolidamento del viadotto rimasto salvo e la ricostruzione del viadotto crollato;  
   ad oggi nonostante le rassicurazioni e gli impegni assunti la situazione rischia ancora di più di aggravarsi;
   le piogge dei mesi invernali hanno eroso le gabbionature poste per la messa in sicurezza dei piloni del viadotto e della ricostruzione dell'altra campata non si ha alcuna notizia;
   l'eventuale collassamento del viadotto ancora al servizio della viabilità comporterebbe l'infartuazione del sistema viario di collegamento non solo per la Basilicata ma anche per la viabilità di collegamento tra la A3 e la strada statale 106 Jonica, da Salerno a Taranto, con gravissime conseguenze economiche per l'intero Mezzogiorno –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda attivare nei confronti dell'Anas per verificare quanto sta accadendo in relazione alle opere di cui in premessa e fornire garanzie sulla tempistica dei lavori e sulla loro sicurezza, anche dal punto di vista della stabilità idrogeologica al fine di evitare la chiusura della strada statale 407 Basentana. (3-00019)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Genova la cooperativa Radio Taxi Ge, operativa tassisti competente per il territorio comunale, denuncia da tempo l'esistenza di un sistema organizzato di taxi abusivi;
   sono state individuate circa trenta vetture che si suddividono il territorio genovese per zone e per nazionalità che offrono corse ad un prezzo forfettario di 5 euro a persona;
   tale sistema è organizzato tramite il passaparola fino alla «pubblicità» mediante biglietti da visita e volantini distribuiti in locali strategici oltreché il presidio di zone cruciali quali uscite di locali, stazioni ferroviarie e prossimità delle zone di sosta destinate ai taxi regolari con l'intendo di sviare i clienti ai taxi regolari offrendo corse al ribasso;
   il suddetto sistema si sta allargando e comincia ad offrire corse dal capoluogo ligure verso gli aeroporti del nord tramite un pullman da 50 posti;
   la cooperativa Taxi di Genova a causa della crisi ha visto diminuire del 30 per cento il numero delle corse effettuate;
   un tassista che svolge in maniera regolare la sua attività deve rispondere a requisiti di legge necessari all'ottenimento dell'idoneità di esercizio, deve essere iscritto nel ruolo presso la camera di commercio, ottenere certificato di abilitazione professionale alla guida ai sensi dell'articolo 116, comma 8, decreto legislativo n. 285 del 1992, richiedere al comune competente licenza per esercizio della professione o acquistarla seguendo i dettami di legge vigente; utilizzare autovettura avente caratteristiche, sistemi di riconoscibilità e allestimenti speciali dettati da legge regionale competente e dal regolamento comunale vigente, osservare i dettami richiesti in termini di sicurezza, e sostenere le relative spese, adempimenti come il collaudo vettura annuale;
   la cooperativa Radiotaxi Genova si sta organizzando per presidiare diversamente il territorio del comune e trasferire i park taxi in zone più strategiche ma tale azione di «disturbo» è difficoltosa perché le normative impongono ai taxi non possono sostare ovunque ma debbono recarsi nelle zone di sosta destinate ai taxi e anche il trasporto fatto senza chiamata deve essere di transito;
   l'attività della rete abusiva è estremamente pericolosa per i passeggeri in termini di sicurezza in quanto le vetture utilizzate spesso non risultano in regola sia per le dotazioni necessarie che per l'assicurazione del mezzo;
   Elisabetta Fiorini, assessore alla legalità del comune di Genova, sulla vicenda afferma ad un noto quotidiano genovese che «l'accertamento della pratica abusiva, soprattutto quando si parla di trasporto, non è semplice» e il comandante della polizia municipale Giacomo Tinella parla di «una realtà molto particolare spesso legata alle diverse nazionalità che compongono il tessuto cittadino. Per accertare l'abuso bisogna dimostrare che è avvenuto il pagamento. Chi utilizza il servizio abusivo è connivente, non collabora»;
   si sono registrate situazioni simili a Padova, Napoli, Arezzo, Milano Malpensa, Roma Termini –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative di competenza ritenga di assumere per fermare il sistema dei taxi abusivi e quali iniziative normative intenda predisporre per permettere alle istituzioni locali ed alle autorità competenti di poter intervenire e bloccare il proliferare di questo sistema abusivo parallelo che rischia di sfociare in un vero e proprio racket. (5-00079)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GINEFRA, BOCCIA, CASSANO, DECARO, GRASSI, LAFORGIA, LOSACCO, SCALFAROTTO e VENTRICELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   intimamente connessa alla precedente è la vicenda del programma straordinario di edilizia previsto dalla legge Gozzini (voluta dal compianto Giovanni Falcone), approvato per il comune di Toritto e fermo presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti da cinque anni;
   infatti, con delibera n. 51 del 26 novembre 2007 il consiglio comunale di Toritto ha adottato la proposta di programma integrato ex articolo 18 del decreto-legge n. 152 del 13 maggio 1991 convertito dalla legge n. 203 del 12 luglio 1991, e la conseguente variante urbanistica delle aree interessate;
   il 29 dicembre 2007 la giunta regionale Puglia ed il comune di Toritto (Bari) previa delibera della giunta regionale n. 2243 del 29 dicembre 2007 hanno stipulato il prescritto accordo di programma;
   con delibera n. 63 del 31 dicembre 2007 il consiglio comunale di Toritto (Bari) ha ratificato l'accordo di programma sottoscritto presso la regione Puglia;
   in data 31 marzo 2008 il presidente della regione Puglia ha decretato la variante alla struttura urbanistica;
   in data 10 aprile 2008 è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della regione Puglia il decreto di variante al piano regolatore generale vigente;
   dal 2008 il programma giace presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ad oggi non ha convocato la regione Puglia ed il comune di Toritto per sottoscrivere la convenzione attuativa, ultimo atto propedeutico all'avvio dell'intervento;
   l'intervento è di importanza sociale per il territorio in quanto è prevista la realizzazione di alloggi sociali di edilizia sovvenzionata, convenzionata e agevolata di cui Toritto ed i comuni limitrofi hanno estremo bisogno: infatti, la realizzazione di edilizia sociale comporterebbe l'accesso alla casa per numerose famiglie cui tale opportunità è ad oggi negata;
   inoltre, in questa fase di grave crisi economica e finanziaria, un intervento edilizio di ampio respiro come quello di Toritto, porterebbe una ricaduta economica sul territorio estremamente importante dando così ossigeno alle piccole e medie imprese che operano sul territorio, che vedrebbero aprirsi nuove possibilità di lavoro facendo ripartire quel volano economico di cui il comprensorio ha estremamente bisogno, dato l'alto tasso di disoccupazione che grava sul territorio;
   orbene, il Governo non può, quindi, fornire i mezzi normativi e spronare gli imprenditori a maggior efficacia e impegno e poi trasformarsi esso stesso in freno alle iniziative che gli vengono sottoposte aggravando, con le lungaggini burocratiche, i procedimenti amministrativi e rendendo così vani gli sforzi delle amministrazioni locali e dei privati che fanno del loro meglio per superare l'attuale fase di crisi;
   il trascorrere di ben cinque anni costituisce un insopportabile ritardo per un'iniziativa quanto mai necessaria in un territorio che da tempo avverte la necessità di una maggior presenza da parte di uomini e donne appartenenti alle forze dell'ordine, nonché di investimenti per il proprio sviluppo economico (si ricorda che sono bloccate risorse pubbliche impegnate da anni ed investimenti privati di rilevanti dimensioni), anche in termini di occupazione;
   da anni l'amministrazione comunale e le imprese interessate sollecitano la definizione della procedura ministeriale e la firma della convenzione attuativa –:
   quali siano i motivi per cui alla data odierna il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non abbia ancora provveduto a convocare regione Puglia e comune di Toritto per la sottoscrizione della convenzione attuativa relativa all'intervento in questione;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per verificare e individuare il perché dei ritardi degli uffici amministrativi competenti e per garantire che gli uffici stessi diano risposte immediate e chiare alle attese dei cittadini, dell'amministrazione comunale e delle imprese.
(4-00187)


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 della legge n. 84 del 1994, in tema di riordino della legislazione in materia portuale, stabilisce le procedure per la nomina del presidente dell'autorità portuale e che, nella fattispecie riferita all'autorità portuale di Ancona, tale figura viene nominata con decreto del Ministero dei trasporti e della navigazione (oggi Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), d'intesa con la regione Marche, nell'ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale, designati dai comuni di Ancona e Falconara Marittima, dalla provincia di Ancona e dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Ancona;
   il presidente dell'autorità portuale, a norma dell'articolo 8, comma 2, della citata legge 28 gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni ed integrazioni, resta in carica 4 anni e può essere riconfermato una sola volta;
   la nota protocollare n. 0039999 – 13 novembre 2012 con cui il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dando atto che il 23 marzo 2013 sarebbe giunto a scadenza il mandato del presidente dell'autorità portuale di Ancona ed ai fini della nomina del nuovo titolare ha richiesto agli enti interessati di voler comunicare le proprie designazioni corredate dei curricula dei candidati proposti;
   il 23 marzo 2013 è giunto, pertanto, a scadenza il secondo mandato del presidente dell'autorità portuale di Ancona, avvocato Luciano Canepa;
   gli enti interessati, ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 84 del 1994, hanno, entro i termini previsti, inviato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le designazioni di competenza per la nomina a presidente dell'autorità portuale di Ancona;
   la Camera di commercio di Ancona, il comune di Ancona, il comune di Falconara Marittima, la provincia di Ancona, ai fini della nomina, hanno tutti designato una medesima personalità, nell'ambito della terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuali;
   tutti gli enti interessati hanno, pertanto, dimostrato unità d'intenti e, dunque, condivisione relativamente alla proposta di una personalità che, oltre a possedere i requisiti richiesti per la designazione, dispone di una notevole conoscenza delle problematiche e delle questioni strategiche che riguardano lo sviluppo del porto di Ancona;
   il mandato del presidente dell'autorità portuale è scaduto il 23 marzo 2013 e dopo il periodo di prorogatio di 45 giorni si dovrà provvedere alla nomina di un commissario;
   il porto internazionale di Ancona rappresenta l'industria più grande delle Marche ed elemento fondamentale per far tornare a crescere il sistema produttivo marchigiano;
   vi sono scelte urgenti da compiere per il futuro di un'area così importante, strategica e al tempo stesso delicata, dalle grandi potenzialità e dalle grandi opportunità economiche, sociali e culturali;
   il brusco peggioramento dell'economia rende ancor più grave la situazione nella quale si trova l'Italia e sempre più stringente l'urgenza di dare risposte anche a livello locale senza perder tempo;
   l'incremento di aziende produttive e commerciali che nel Paese, purtroppo, chiudono ogni giorno, spesso strozzate da una crisi di liquidità dovuta all'asfissia del credito;
   la mancanza degli organismi di governo dell'autorità portuale rischiano di contribuire a determinare l'inasprimento della crisi commerciale, la riduzione dei servizi portuali –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per attivare celermente le procedure necessarie alla nomina del presidente dell'autorità portuale di Ancona, ai sensi della vigente legge n. 84 del 1994 onde consentire l'ordinario funzionamento dell'ente. (4-00189)


   LUPI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'11 aprile 2013 nella stazione ferroviaria tiburtina di Roma un operaio di 50 anni è stato travolto da un treno mentre si apprestava a prendere servizio sul mezzo che, invece di arrivare al binario 12 come previsto, transitava sul binario 13 travolgendo l'uomo;
   nell'ultimo anno come scrive il corriere.it in un articolo intitolato «Sui binari manutenzione carente; i controlli di sicurezza: 1 su 5 “non conforme”», si sono registrati 69 morti e 40 feriti gravi, «criticità» nei passaggi a livello, 5 deragliamenti e 7 collisioni motivate da frane –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere al fine di risolvere le criticità del servizio ferroviario indicate in premessa. (4-00237)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 aprile 2013, il tratto dell'autostrada A9 compreso tra Saronno e Turate è stato teatro di una rapina svoltasi con le tecniche di un vero e proprio attacco complesso, da parte di un commando composto da non meno di dieci uomini, che hanno interrotto il traffico con l'intraversamento di due camion, facendo uso di fumogeni ed armi da fuoco automatiche, fortunatamente senza fare vittime;
   i rapinatori avevano preventivamente provveduto anche a recidere un tratto di guard-rail, in modo tale da poter sfuggire con le loro tre auto ad eventuali posti di blocco allestiti ai caselli più vicini;
   per rallentare le azioni di soccorso ai portavalori attaccati, due furgoni blindati della società Battistolli, i membri del commando hanno altresì disseminato di chiodi il manto autostradale;
   la rapina ha fruttato un bottino di entità compresa tra i 5 ed il 15 milioni di euro, che non è l'unico costo sopportato dalla società per questo attacco, dovendosi computare nel conto anche i disagi e le perdite economiche conseguenti all'interruzione per diverse ore della circolazione stradale sulla A9 nel tratto interessato dalla rapina;
   stando alle ricostruzioni apparse sulla stampa, le rapine autostradali con la tecnica dell'intraversamento di mezzi pesanti non costituirebbero fatto inusuale in Lombardia –:
   quali misure preventive il Governo ritenga di dover adottare per rafforzare in tempi brevi la sicurezza sulle autostrade lombarde e contrastare più efficacemente queste nuove tecniche di rapina. (4-00190)


   GINEFRA, BOCCIA, CASSANO, DECARO, GRASSI, LAFORGIA, LOSACCO, SCALFAROTTO e VENTRICELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Toritto, comune in provincia di Bari di circa 8.700 abitanti, negli ultimi anni è stato funestato da episodi di violenza legati alla presenza di organizzazioni criminali dedite principalmente allo spaccio di sostanze stupefacenti;
   il più grave di questi è stato l'omicidio di Ilario Lorusso, il giovane di 22 anni ucciso in piazza con quattro colpi di pistola all'addome il 9 ottobre 2010 e i cui autori rei confessi, Francesco Laforgia di 23 anni e Alberto Modugno di 24 anni, sono stati condannati a 17 anni di reclusione;
   a seguito del sopra richiamato assassinio e su richiesta dell'amministrazione comunale, Toritto veniva ammessa, nel mese di luglio 2012, al finanziamento per il «progetto videosorveglianza». La gara prevedeva l'impegno di 190 mila euro per garantire maggiore sicurezza, fondi assegnati con decreto dell'Autorità di gestione del programma operativo di «sicurezza per lo sviluppo – obiettivo convergenza 2007-2013». Il sistema di videosorveglianza prevede l'installazione di telecamere in punti strategici del paese e nei vari centri di aggregazione come chiese, scuole e piazze;
   nei mesi successivi all'annuncio dell'aggiudicazione dei suddetti fondi avevano inizio gli attentati nei confronti dei componenti dell'amministrazione torittese;
   a fine gennaio, infatti, vandali prendevano d'assalto in località Quasano (Bari), la villa del sindaco di Toritto, l'avvocato Michele Geronimo. Dopo aver divelto le finestre e smontato le zanzariere, ignoti gettavano le stesse all'interno dell'abitazione, appiccando il fuoco;
   il successivo 7 febbraio, veniva data alle fiamme la Fiat Punto del presidente del consiglio comunale di Toritto, Fabrizio Mongelli. Il rogo divampava poco dopo mezzanotte e le fiamme venivano spente grazie all'intervento dei vigili del fuoco che poi trovavano, nei pressi della vettura, la bottiglia da cui sarebbe stato versato il liquido infiammabile;
   nelle ore successive era il turno dell'assessore alla polizia municipale, Domenico Turtolo. Nelle campagne di sua proprietà, alla periferia di Toritto, venivano segati dal fusto 44 alberi;
   l’escalation di minacce e intimidazioni finiva all'attenzione della prefettura di Bari. Il sindaco Geronimo, infatti, veniva ricevuto l'8 febbraio dal prefetto di Bari Mario Tafaro al quale veniva rappresentata la gravità della situazione e al quale veniva richiesto un repentino intervento. Questi, al termine dell'incontro, s'impegnava a garantire un rafforzamento della presenza delle forze dell'ordine nel comune del barese e assicurava una vigilanza «discreta» al sindaco;
   la notte del 24 dello stesso mese sconosciuti tentavano di dare fuoco all'auto del vicesindaco di Toritto, Sergio Borgia. Ad accorgersi di quanto stava per accadere era lo stesso Borgia che provvedeva a spegnere le fiamme che stavano avvolgendo la parte posteriore dell'auto, cosparsa di liquido infiammabile. La vettura era parcheggiata nelle vicinanze dell'abitazione del vicesindaco;
   da ultimo l'amministrazione comunale di Toritto (Bari) è stata colpita, nella persona del suo sindaco dal quinto attentato negli ultimi due mesi. Il sindaco è rimasto vittima nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2013 di un ennesimo attentato intimidatorio: persone non ancora identificate versavano olio per motori sul portone di ingresso del suo studio legale –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per offrire un immediato segnale di presenza dello Stato ad una comunità che qualcuno, attraverso i suddetti scellerati atti, tenta di intimidire e per garantire alla giustizia, in tempi brevi, i responsabili degli stessi. (4-00201)


   DADONE, COZZOLINO, DIENI, FRACCARO, LOMBARDI, NUTI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le guide spirituali di religioni non cattolica, presenti sul territorio dello Stato italiano, per ottenere il riconoscimento di «Ministri di culto acattolico» da parte dello Stato stesso devono farne opportuna richiesta;
   le richieste di cui sopra, effettuate nell'ultimo anno da parte dei Pastori di Chiese Evangeliche sono state di fatto rigettate in massa limitando la libertà di professare ed esercitare la propria fede religiosa come garantito da Costituzione;
   la mancanza di riconoscimento formale del ruolo di «ministro di culto acattolico», oltre a tutti gli altri inconvenienti può anche essere adoperata dalle amministrazioni pubbliche per impedire ad un pastore o ad un responsabile religioso in generale di aprire un locale di culto o di continuare a tenerlo aperto, con la conseguenza di impedire effettivamente alle persone di fede non cattolica di riunirsi a pregare e celebrare il culto nella loro libertà di fede;
   gli interroganti sono venuti a conoscenza del fatto che nel gennaio del 2012 il Consiglio di Stato emetteva un parere in materia (su richiesta del precedente Ministro dell'interno, Maroni) in particolar modo relativamente alla questione del numero minimo di membri di chiesa sufficiente al fine di concedere da parte dello Stato alla «guida religiosa» di un culto non-cattolico il riconoscimento ministeriale (introdotto dalle leggi fasciste del 1929/1930) di «ministro di culto»;
   il Consiglio di Stato in detto parere indicava la cifra di 500 persone quale soglia minima necessaria per concedere il riconoscimento ministeriale di «ministro di culto» alle guide religiose non cattoliche, motivando l'individuazione della citata soglia sulla base del fatto che non esistano chiese di culto cattolico con numero inferiore ai 500 fedeli;
   i 500 membri di cui sopra non vengono calcolati tenendo conto soltanto di coloro che effettivamente frequentino il luogo di culto, bensì calcolando territorialmente i battezzati presso una specifica chiesa, basandosi sugli elenchi comunali di pura residenza anagrafica nel territorio della parrocchia;
   le comunità religiose non-cattoliche, invece, non essendo mai (ad esclusione, in Italia, soltanto delle Valli Valdesi) comunità (di fatto) «territoriali» ma sempre e soltanto comunità «libere» (cioè Comunità «volontarie» di fede), a differenza delle parrocchie cattoliche non inglobano mai più di quanti vi si riconoscano effettivamente ed attivamente;
   il parere del Consiglio di Stato, una volta formulato avrebbe dovuto essere accettato o rifiutato dal Ministro competente entro 90 giorni dalla sua emissione ma il Ministro dell'interno Cancellieri di fatto non ha provveduto né in un senso né nell'altro;
   fino ad ora questo non era quasi mai successo (quantomeno negli ultimi 30/40 anni) perché l'amministrazione pubblica si è quasi sempre resa conto, lei stessa per prima, della mancanza di legittimità costituzionale delle normative fasciste che prevedono tali limitazioni ad avviso degli interroganti incostituzionali al diritto delle persone di riunirsi liberamente anche per fini religiosi, e ha dunque il più delle volte lei stessa per prima disapplicato dette normative;
   il personale ministeriale, decorsi i tre mesi di cui sopra, ha ritenuto in via del tutto discrezionale di doversi attenere al parere del Consiglio di Stato;
   il personale ministeriale ha rifiutato a partire dallo scorso aprile tutte le richieste di riconoscimento del ruolo di «ministro di culto» e rigettato in massa tutte le richieste inoltrate;
   nonostante moltissime unioni ecclesiali lo richiedano ormai da decenni, prendendo l'esempio della città come Cuneo, su 14 comunità evangeliche presenti con sala di culto aperta al pubblico nel territorio comunale, soltanto 2 sono membri di unioni ecclesiali che hanno avuto il privilegio di vedersi concedere dallo Stato un'intesa;
   la mancanza di riconoscimento formale del ruolo di «ministro di culto acattolico» rende molto difficile ai rappresentanti di comunità religiose non cattoliche di accedere a quelle convenzioni con le amministrazioni e istituzioni pubbliche locali necessarie ad esempio per poter visitare gli ammalati negli ospedali e effettuare cura pastorale dei propri membri di chiesa nelle carceri, nelle caserme ed in luoghi analoghi;
   detta mancanza, oltre a tutti gli altri inconvenienti, può anche essere adoperata dalle amministrazioni pubbliche per impedire ad un pastore o ad un responsabile religioso in generale di aprire un locale di culto o di continuare a tenerlo aperto, con la conseguenza di impedire effettivamente alle persone di fede non cattolica di riunirsi a pregare e celebrare il culto nella loro libertà di fede, tutte le volte che si tratti di una comunità locale inferiore alle 500 persone;
   in una parrocchia cattolica frequentano con regolarità l'espletamento della funzione religiosa dalle 20 alle 70 persone circa (molto raramente più di 150 persone), e questo sia per quanto riguarda il Protestantesimo, come anche, grosso modo, per le altre comunità religiose;
   molte persone non hanno mai chiesto la loro cancellazione dall'elenco dei battezzati presso la parrocchia cattolica in cui vennero battezzati da bambini a partire da 30, 40 o 50 anni fa, una cancellazione che di fatto non chiede mai nessuno, e quand'anche venisse richiesta, viene spesso negata o ottenuta intraprendendo le vie legali –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, quali siano i criteri adottati per stabilire in 500 unità la soglia di fedeli necessaria al fine di concedere da parte dello Stato alla «guida religiosa» di un culto non-cattolico il riconoscimento ministeriale di «ministro di culto» e se non ritenga inidonea la scelta di utilizzare il battesimo quale parametro in luogo della frequenza effettiva dei luoghi di culto cattolico, considerato che il battesimo è rito tipicamente cattolico e non può essere assunto quale parametro universale per tutte le confessioni o le associazioni religiose. (4-00209)


   BLAZINA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 38 del 2001 che detta norme di tutela della minoranza linguistica slovena prevede all'articolo 7 il diritto di avere il proprio nome e cognome scritti o stampati in forma corretta secondo l'ortografia slovena in tutti gli atti pubblici;
   nell'alfabeto della lingua slovena – diventata anche lingua ufficiale dell'Unione europea – ci sono alcune lettere (c, s e z) che portano in apice il segno diacritico, che non è un semplice accento aggiunto ad esse, ma un segno di lettere diverse e ricorrenti nei cognomi e nomi sloveni;
   tale disposizione è stata finora disattesa da molte amministrazioni pubbliche, soprattutto nel rilascio di documenti in forma elettronica (carta d'identità, codice fiscale, patente di guida e altro);
   l'omissione dei segni diacritici ha comportato notevoli disagi di carattere burocratico-amministrativo agli appartenenti alla minoranza slovena ed anche «inconvenienti» alla stessa amministrazione pubblica;
   a nulla sono valsi finora i diversi interventi nei confronti delle singole amministrazioni e non da ultimo dell'Agenzia delle entrate, che già nella lettera del 3 dicembre 2008 indirizzata al Ministero dell'interno aveva comunicato di aver completato la realizzazione della soluzione tecnica per acquisire in anagrafe tributaria i dati anagrafici comprendenti i segni diacritici;
   di tale problema sono stati investiti sia il Comitato istituzionale paritetico previsto dall'articolo 3 della legge n. 38 del 2001 nonché il tavolo istituzionale permanente sulle questioni attinenti la minoranza linguistica slovena presso il Ministero dell'interno;
   con il decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione in data 2 febbraio 2009 veniva approvata la tabella di traslitterazione dei caratteri diacritici contenuti in alfabeti con caratteri latini presenti nel nome e nel cognome dei cittadini italiani;
   il comune di Trieste ha già provveduto a trasmettere all'Agenzia delle entrate i dati anagrafici comprendenti segni diacritici tramite il canale INA SAIA;
   il Sottosegretario di Stato pro tempore Davico, rispondendo ad una simile interrogazione al Senato in data 9 giugno 2010, ha assicurato che il Ministero aveva predisposto il sistema di traslitterazione «al fine di consentire la fruizione da parte degli enti pubblici delle variazioni anagrafiche in entrata nel sistema» –:
   quali motivazioni impediscano tuttora la completa soluzione di tale problema, che si configura come mancato rispetto di un diritto oltre che di una norma di legge. (4-00213)


   ROSATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno consentono agli stranieri presenti sul territorio nazionale regolarmente di accedere ai servizi dello Stato; pertanto, l'esibizione del permesso di soggiorno o della carta è richiesta dagli uffici ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni od altri provvedimenti di interesse dello straniero;
   l'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1988, n. 286, così come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, prevede che siano fatti salvi dall'obbligo di esibizione di tale documenti da parte dello straniero, i provvedimenti che riguardino l’«accesso alle prestazioni sanitarie [...] e quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie»;
   in particolare, la legge 15 luglio 2009, n. 94, sostituisce la precedente previsione normativa che estendeva la non sussistenza dell'obbligo a tutti i provvedimenti inerenti «gli atti di stato civile o all'accesso a pubblici servizi»;
   il decreto legislativo, così novellato, escluderebbe – stando ad una interpretazione restrittiva – la possibilità per lo straniero irregolare di poter registrare anagraficamente la nascita di un figlio in territorio nazionale;
   eppure, l'articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, che anche l'Italia ha recepito con legge 27 maggio 1991, n. 176, dichiara che «Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi»;
   il Ministero dell'interno ha emanato una circolare del 7 agosto 2009, del dipartimento per gli affari interni e territoriali, nella quale si precisa che «per le attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti il soggiorno»;
   sebbene la circolare ministeriale abbia contribuito a dirimere il dubbio iniziale circa l'interpretazione dell'articolo 6 del decreto legislativo di cui sopra, affinché tale disposizione non si ponga in contrasto con l'articolo 10 della Costituzione per violazione di norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta, sarebbe necessaria una sua modifica –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative per attribuire ai contenuti della circolare un valore legislativo, almeno in relazione al punto 3 della stessa. (4-00229)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 febbraio 2011 il Governo italiano ha dichiarato con decreto lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale, in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa;
   i movimenti migratori hanno raggiunto picchi ulteriori dopo lo scoppio dell'insurrezione in Libia contro il regime di Gheddafi e l'intervento militare internazionale seguito alla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza;
   fra i migranti in fuga dalla Libia vi erano molti cittadini di Paesi sub-sahariani, prevalentemente provenienti da Nigeria, Somalia ed Eritrea, prima soggiornanti in Libia per ragioni di lavoro o di transito;
   il  28 febbraio 2013 si è chiuso il piano di accoglienza e protezione dei profughi, con oltre 13.000 persone soggiornanti, a quella data, nei centri di accoglienza;
   nei due anni di intervento lo Stato ha investito quasi un miliardo di euro in percorsi di supporto e formazione per le persone coinvolte nel programma;
   il nostro ordinamento, in assenza di una specifica normativa sul diritto di asilo, prevede tre possibilità, ovvero la concessione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria, la protezione umanitaria;
   la valutazione in merito alle richieste spetta in primis alla Commissione territoriale competente del Ministero dell'interno, con possibilità di ricorso per il richiedente presso l'organo giudiziario;
   sembrerebbe che nel tempo siano aumentati esponenzialmente, fino a divenire quasi prassi, i ricorsi del Ministero dell'interno, tramite Avvocatura dello Stato, avverso sentenze di primo grado favorevoli ai richiedenti protezione sussidiaria o umanitaria;
   se corrispondente al vero, tale prassi non potrebbe non porsi in contrasto con i principi generali di buona amministrazione, esponendo lo Stato a dover impiegare risorse per sostenere il ricorso tramite l'Avvocatura, ad impegnare il lavoro delle corti di appello, nonché a corrispondere le spese relative al gratuito patrocinio agli avvocati di parte –:
   di quali informazioni disponga il Ministro riguardo al numero dei ricorsi del proprio dicastero, tramite Avvocatura dello Stato, avverso le sentenze di primo grado favorevoli ai richiedenti protezione sussidiaria o umanitaria e, in particolare, se corrisponda al vero l'aumento esponenziale – sino a diventare prassi – degli stessi;
   in caso affermativo, se non ritenga che tale fenomeno confligga con i principi generali di buona amministrazione, alla luce di quanto evidenziato in premessa;
   se non ritenga irragionevole l'impugnazione di decisioni dell'autorità giudiziaria che, dopo l'impegno da parte dello Stato di risorse destinate a percorsi di integrazione e formazione lavoro, riconoscono il diritto alla protezione internazionale a soggetti soggiornanti già da anni sul territorio nazionale con sentenza, seppur di primo grado e, ancor più, la presentazione in modo sistematico di ricorsi contro il rilascio dei permessi di soggiorno di 3 anni o anche inferiori, considerato che i tempi di conclusione dei relativi procedimenti sono spesso più lunghi di quelli concernenti la durata dei permessi stessi.
(4-00230)


   PELLEGRINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 marzo 2010 con provvedimento sindacale a firma del sindaco Tiziano Manzini veniva ordinato lo sgombero dei locali scolastici sede dell'istituto comprensivo bilingue sloveno-italiano siti in San Pietro al Natisone, viale Azzida, a causa di una rilevata pericolosità sismica ed in parte statica dell'edificio;
   in seguito a ciò, le scuole dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado venivano alloggiate in via provvisoria in diversi edifici in San Pietro nella disponibilità dell'ente territoriale;
   l'istituto comprensivo statale con insegnamento bilingue istituito in base alla legge n. 38 del 2001 articoli 5 e 6, rappresenta tuttora l'unica istituzione scolastica in provincia di Udine che assicura agli appartenenti della comunità slovena l'istruzione in madrelingua e lo stesso interessa un territorio che si estende molto oltre l'ambito comunale;
   la specificità della scuola rende impossibile indirizzare le nuove e crescenti iscrizioni verso le scuole viciniori;
   le condizioni estremamente disagiate e non rispettose dei parametri normativi dei locali in cui attualmente si svolgono le attività didattiche (distribuzione su più sedi, mancanza di spazi, necessità di spostare gli alunni su tragitti pericolosi) rendono urgente ed improrogabile la ristrutturazione della sede scolastica originaria;
   con determinazione C.I.P.E (delibera CIPE n. 32/2010 – intervento n. 03210FRI001) sono stati stanziati dei fondi statali la cui somma ammonta a euro 1.092.000 derivanti dal programma straordinario di «interventi urgenti sul patrimonio scolastico finalizzati alla messa in sicurezza e alla prevenzione e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi, anche non strutturali, degli edifici scolastici» e destinati al recupero dell'edificio di viale Azzida;
   il D.G.R. del Friuli Venezia Giulia n. 1170 del 16 giugno 2010 di approvazione degli interventi prioritari e urgenti di adeguamento degli edifici scolastici caratterizzati da elevato rischio correlato ad eventi sismici indica nelle premesse di «assegnare prioritariamente il finanziamento di euro 553.000» alla sede dell'istituto comprensivo bilingue di San Pietro al Natisone;
   inoltre con una delibera della comunità montana Torre Natisone e Collio veniva stanziata la somma di euro 300.000 per la ristrutturazione dell'edificio bilingue di San Pietro al Natisone;
   quindi le opere di ristrutturazione della sede dell'I.C. bilingue sono state inserite nell'elenco dei lavori pubblici del comune di San Pietro al Natisone per il triennio 2011-2013 con il n. 2/2011 e ammontano a euro 1.945.000 già stanziati;
   inoltre, sono stati adottati i seguenti provvedimenti:
    a) per consentire la sistemazione delle 3 classi della scuola secondaria di primo grado I.C. bilingue è stato approvato con provvedimento della giunta comunale un progetto di manutenzione straordinaria di parte dell'edificio ospitante la scuola secondaria di primo grado «Dante Alighieri» di San Pietro al Natisone;
    b) con un D.G.R. per le suddette opere di manutenzione è stato concesso al comune di San Pietro al Natisone il finanziamento della somma di euro 400.000 con ratei ventennali e che la I rata di euro 22.000 è pervenuta in data 18 marzo 2013;
    c) è stata quindi stipulata una convenzione tra il comune di San Pietro al Natisone e l'ATER per l'appalto dei suddetti lavori;
   nel giugno 2011 è stata approvata la convenzione con il provveditorato interregionale delle opere pubbliche per il Veneto-Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia avente ad oggetto la progettazione e direzione tecnica dei lavori;
    d) sono stati erogati al comune di San Pietro al Natisone euro 491.000 quale acconto sulla maggior somma stanziata dal C.I.P.E. di cui sopra riportato;
    e) in data 20 febbraio 2013 è stato approvato il progetto esecutivo di ristrutturazione della sede scolastica viale Azzida presentato dallo studio di progettazione architetto Di Vittorio;
   la legge regionale n. 27 del 31 dicembre 2012 avente ad oggetto «Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale (legge finanziaria 2013)», all'articolo 14, comma 3 dispone: «Il concorso alla manovra di finanza pubblica degli enti locali soggetti al patto di stabilità interno, è determinato in relazione al saldo finanziario dell'anno 2011, espresso in termini di competenza mista, quale risulta dai certificati del rendiconto al bilancio, e al saldo programmatico di cui al comma 1 lett. a)»;
   il saldo finanziario di competenza mista, dato dalla differenza tra entrate finali e spese finali, è costituito dalla somma algebrica degli importi risultanti dalla differenza tra accertamenti e impegni per la parte corrente e dalla differenza tra incassi e pagamenti per la parte in conto capitale, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti;
   l'attuale situazione normativa rende impossibile per i comuni conseguire, per il 2013, un saldo pari o positivo, in particolare relativamente alla parte in conto capitale, pena il configurarsi di ipotesi di responsabilità erariale a danno di amministratori e tecnici;
   i pagamenti delle spese in conto capitale, comprendenti sia la gestione di competenza che quella dei residui, presentano diverse tipologie di finanziamento che per loro natura non hanno, negli anni, alcun collegamento tra la fase della riscossione e quella del pagamento degli stati di avanzamento o comunque dell'investimento (opere finanziate con proventi da alienazioni, oneri di urbanizzazione e contributi in conto capitale) e per la gran parte sono finanziati da mutui assunti dai comuni a fronte di contributi regionali pluriennali finalizzati a sostenere oneri di ammortamento;
   il comma 7 dell'articolo 14 della legge regionale n. 27 del 2012 stabilisce una sanzione per gli enti locali che non rispettino l'obiettivo di bilancio consistente, tra l'altro, in una diminuzione dei trasferimenti ordinari per gli anni successivi;
   l'entità delle sanzioni costringerà l'amministrazione comunale, nel caso specifico, a sospendere le procedure per la realizzazione delle opere pubbliche già programmate, progettate e finanziate con evidenti problematiche legate alla responsabilità erariale per le spese pagate o in corso di pagamento per le progettazioni –:
   quali iniziative di propria competenza intendano porre in essere i Ministri interrogati per risolvere la problematica descritta inerente l'istituto comprensivo bilingue di San Pietro al Natisone, che oltre a rappresentare una peculiarità culturale e di formazione scolastica, fornisce anche una tutela sociale per il territorio delle valli del Natisone già fortemente disagiato e spopolato. (4-00231)


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 marzo 2013 nella piazza Savonarola del comune di Ferrara il sindacato di polizia Coisp (Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia) ha svolto una manifestazione pubblica di solidarietà in favore degli agenti Paolo Forlani, Enzo Pontani, Luca Pollastri e Monica Segatto condannati in via definitiva a 3 anni e 6 mesi di reclusione per l'omicidio colposo del giovane Federico Aldrovandi;
   gli organi di stampa nazionale hanno descritto e considerato la sopra citata manifestazione del Coisp come un grave e intollerabile atto;
   lo stesso Ministro interrogato ha definito quale «episodio grave da stigmatizzare» quanto accaduto a Ferrara;
   i pochi manifestanti del Coisp protagonisti dello spiacevole avvenimento di piazza Savonarola non rappresentano la maggioranza dei poliziotti, poiché oltre a ledere gravemente l'immagine della polizia di Stato si riscontra un utilizzo strumentale e non idoneo di tale istituto;
   il Ministro ha annunciato nei giorni scorsi l'avvio di un'indagine interna per valutare eventuali responsabilità relative all'organizzazione della manifestazione e di chi ha concesso lo spazio –:
   considerata la drammaticità dei fatti, quali provvedimenti, disciplinari e non, intenda adottare il Ministero relativamente all'indagine avviata;
   se siano state effettuate correttamente tutte le necessarie comunicazioni del caso al Ministero relativamente all'autorizzazione al presidio;
   se e come il Ministero dell'interno intenda procedere al fine di assicurare l'espletamento di tutti i procedimenti disciplinari di competenza nei confronti degli agenti che hanno manifestato. (4-00233)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7 comma 31-ter del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha disposto la soppressione dell'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, istituita dall'articolo 102 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 ed ha previsto che il Ministero dell'interno succedesse a titolo universale alla predetta Agenzia con conseguente trasferimento al medesimo Ministero delle relative risorse strumentali e di personale ivi in servizio, comprensive del fondo di cassa;
   nell'ottica di continuità amministrativa del servizio, con decreto ministeriale del 31 luglio 2010, è stata istituita una unità di missione incaricata, tra l'altro, di svolgere le attività dei soppressi organi dell'agenzia fino al perfezionamento del processo di riorganizzazione previsto dal citato decreto-legge;
   precedentemente, la soppressa agenzia aveva bandito, con avvisi pubblicati sulle Gazzette Ufficiali n. 19 del 6 marzo 2007, n. 23 del 21 marzo 2008 e n. 86 del 6 novembre 2009, tre diversi concorsi denominati, rispettivamente, Coa III, Coa IV e Coa V;
   secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 524 della legge finanziaria 2007, il corso-concorso per l'accesso in carriera di segretari comunali e provinciali ha una durata di nove mesi ed è seguito da un tirocinio pratico di tre mesi presso uno o più comuni;
   per quanto riguarda il concorso Coa III, si è definitivamente concluso con l'approvazione, in data 16 dicembre 2010, della relativa graduatoria da parte della scuola superiore per la formazione e la specializzazione di dirigenti della pubblica amministrazione locale (Sspal);
   con decreto del presidente dell'unità di missione del 12 novembre 2010, è stata richiesta l'autorizzazione all'assunzione, in ossequio alle disposizioni di cui alla circolare del dipartimento della funzione pubblica del 18 ottobre 2010;
   con riferimento al Coa IV, tutti i candidati hanno sostenuto le prove orali del concorso ed è stata formata la graduatoria per l'accesso al corso;
   in relazione al concorso Coa V, il consiglio nazionale di amministrazione lo ha bandito con propria deliberazione n. 139 del 10 ottobre 2009 (260 borse di studio al fine di iscrivere 200 segretari comunali). Con successiva deliberazione n. 185 del 23 dicembre 2009, è stata nominata la commissione di concorso e sono pervenute 18.136 domande di partecipazione;
   nei giorni 1, 2 e 3 dicembre 2010, si sono tenute le prove preselettive e nella Gazzetta Ufficiale del 17 dicembre 2010 è stata pubblicata la graduatoria degli ammessi alle prove scritte che si sono tenute il 22, 23 e 24 marzo 2011;
   a distanza di due anni dallo svolgimento delle predette prove scritte, ad oggi, nessuna ulteriore informazione è data sapere circa l'esito delle stesse, né quando si svolgeranno le prove orali;
   la procedura concorsuale in questione riguarda ben 750 candidati e risulterebbe all'interrogante che, nonostante alcuni di essi stiano tentando da tempo di mettersi in contatto con le strutture competenti, nessuna risposta venga data loro e nessuna comunicazione ufficiale risulta pubblicata o diffusa dopo lo svolgimento delle prove scritte –:
   quali informazioni possa riferire in ordine agli esiti delle prove scritte del Coa V che si sono tenute il 22, 23 e 24 marzo 2011 e quando preveda che le procedure concorsuali del medesimo Coa V siano portate interamente a conclusione.
(4-00236)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2011 l'artigiano Sergio Gambino, allora trentanovenne di Serra San Bruno (Vibo Valentia) e figlio dello scrittore Sharo, noto in Italia per la sua attività antimafia, trovò un bossolo di lupara sulla soglia del portone di casa propria e denunciò il fatto alla polizia, come risulta da numerose cronache di stampa;
   già prima del predetto accaduto, delle iniziative civili sostenute da Gambino – membro del comitato «Pro-Serre» e dell'associazione «Il Brigante», entrambe espressioni d'impegno civico nel territorio – avevano avuto risalto sulla stampa nazionale, per esempio le denunce sull'invaso dell'Alaco e sul vicino hotel abbandonato, riprese dal giornalista Paolo Rumiz su La Repubblica del 16 maggio e del 7 agosto 2011;
   Sergio Gambino è uno dei referenti più riconosciuti dell'associazionismo nella provincia di Vibo Valentia, in quanto esposto sul fronte antimafia e sul tema dell'acqua bene comune, compresa la lunga vicenda dell'invaso dell'Alaco, il cui impianto di potabilizzazione rifornisce 88 comuni calabresi con anomalie (che sono state oggetto di un altro atto di sindacato ispettivo) e con il sequestro per sospetto avvelenamento;
   la stampa, anche nazionale, ha ipotizzato connessioni tra la riferita intimidazione subita dal Gambino nel 2011 e il suo ruolo nella lotta democratica riguardo all'invaso dell'Alaco, per esempio il quotidiano il Manifesto del 19 maggio 2012, articolo a firma di Claudio Dionesalvi;
   la provincia di Vibo Valentia è segnata da crimini di ’ndrangheta, da un dominio esteso di consorterie mafiose e dallo scioglimento di comuni per cosiddette «infiltrazioni», pari, stando ai dati di Legautonomie Calabria, al 24 per cento del totale;
   il 9 aprile 2013, tra le 22,30 e le 23, mentre era in corso una riunione, all'ingresso della sede dell'associazione «Il Brigante» di Serra San Bruno è stata recapitata la testa mozzata di una pecora, con sangue ancora caldo per lo sgozzamento, tipico messaggio intimidatorio di matrice ’ndranghetista;
   l'accaduto di cui sopra è stato denunciato alle forze dell'ordine;
   per i suoi ambiti di intervento e le iniziative registrate dalla stampa, l'associazione «Il Brigante» è a Serra San Bruno un centro di aggregazione, un laboratorio culturale, di impegno politico e civile nel territorio, attiva sulla vicenda dell'Alaco e sui principali nodi della legalità –:
   di quali elementi dispongano sull'intimidazione subita da Sergio Gambino nel 2011;
   se allo stato risultino collegamenti con l'ultima azione intimidatoria nei confronti dell'associazione «Il Brigante»;
   quali misure siano state adottate per la sicurezza delle vittime;
   quali siano le informazioni di cui dispongono in ordine a rischi di incolumità per associazioni e comitati che svolgono analoghe attività nel medesimo territorio;
   se non ritengano necessarie, in considerazione della particolare esposizione delle vittime in un'area a forte presenza mafiosa, delle misure di tutela personale;
   quali provvedimenti ritengano di dover adottare per garantire l'esercizio delle attività democratiche e civili di Cambino e dell'associazione «Il Brigante». (4-00246)


   PICIERNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni è divenuta tristemente nota alle cronache nazionali la vicenda del giovane Federico Aldrovandi, che la notte del 25 settembre 2005, tornando a casa dopo una notte trascorsa in discoteca, nei pressi di Viale Ippodromo a Ferrara, si imbatteva nella pattuglia «Alfa 3» della Polizia di Stato con a bordo gli agenti Enzo Pontani e Luca Pollastri. Questi ultimi descrivevano il giovane come «un invasato violento in evidente stato di agitazione», sostenendo di essere stati aggrediti dallo stesso, tanto da essere costretti a chiamare rinforzi. Sul posto, allora, giungeva un'altra volante, l’«Alfa 2» con a bordo Paolo Forlani e Monica Segatto, coinvolti anch'essi nella colluttazione che porterà di lì a poco alla morte del giovane Aldrovandi;
   con il giovane riverso a terra, in stato di incoscienza, gli agenti chiamavano i soccorsi che arrivano intorno alle 6.15 circa, constatando, dopo numerosi tentativi di rianimazione cardiopolmonare, la sopravvenuta morte dell'Aldrovandi per «arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale»; avvertita dell'accaduto solo 5 ore più tardi, la famiglia Aldrovandi, di fronte a 54 lesioni ed ecchimosi presenti sul corpo del ragazzo, ritenevano da subito poco credibile la ricostruzione degli agenti;
   è del 15 marzo 2006 la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati dei quattro agenti coinvolti nel caso Aldrovandi per omicidio colposo, che saranno formalmente rinviati a giudizio, per lo stesso reato, il 10 gennaio 2007. Il 21 giugno 2012 la Corte di cassazione condanna in via definitiva Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri a 3 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo;
   la Polizia di Stato, nel corso di una visita privata del defunto capo della Polizia Antonio Manganelli, ha rivolto le scuse ai genitori del giovane Aldrovandi;
   da quanto si apprende dagli organi di stampa, il 27 marzo 2013 circa venti agenti aderenti al COISP, il sindacato indipendente della polizia, si sono radunati in Piazza Savonarola sotto i locali del Municipio di Ferrara, dove lavora la madre del giovane Aldrovandi, per manifestare solidarietà ai quattro poliziotti condannati in via definitiva per omicidio colposo, affiggendo uno striscione che riportava la scritta «la legge non è uguale per tutti»;
   il primo ad intervenire, appena accortosi della provocatoria manifestazione del COISP, è stato il sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, che invitava i poliziotti manifestanti a spostare la protesta in un altro angolo della piazza, al fine di non turbare la sensibilità della madre del giovane, che lavorava in quegli uffici, e per evitare strumentalizzazioni e accuse di provocazione. L'europarlamentare Potito Salatto, intervenendo nella discussione, contestava duramente il sindaco affermando «non mi faccio mettere i piedi in testa da un semplice sindaco». Da quanto emergerebbe dalle cronache, peraltro, il sindaco sarebbe stato poi allontanato e spintonato dai manifestanti;
   la madre di Aldrovandi, scendendo in piazza, mostrava una foto del figlio, scattata subito dopo l'aggressione, con evidenti segni di percosse, e solo a quel punto i manifestanti del COISP lasciavano la piazza;
   appare del tutto evidente all'interrogante non solo che la manifestazione ideata dal COISP sia un fatto gravissimo e inaccettabile, e come tale da stigmatizzare, ma anche come uomini che vestono la divisa della Polizia di Stato non possano compiere atti di questo tipo, in totale disprezzo delle vittime, del dolore dei familiari e delle sentenze dei tribunali –:
   se e quali iniziative intenda assumere per far piena luce sull'accaduto individuando i responsabili del gravissimo atto provocatorio, e se intenda prendere provvedimenti disciplinari nei confronti degli agenti che, con quest'atto, hanno disonorato tutti quelli che indossano la divisa della Polizia di Stato con dignità e a garanzia dei diritti dei cittadini. (4-00250)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Capiago Intimiano, situato in provincia di Como, ospita cinque profughi africani: due nigerini, due nigeriani ed un ciadiano. Un sesto, ciadiano anch'egli, ha invece recentemente lasciato il Paese;
   i profughi avevano ottenuto ospitalità in una struttura appositamente posta a loro disposizione, in seguito agli eventi connessi allo scoppio della Primavera Araba e del conflitto di Libia, pur essendo già soggiornanti in Italia;
   dei profughi citati, due, i nigerini, lavorano da tempo come panettieri a Como, mentre i nigeriani, di confessione cristiana, si starebbero organizzando con altri connazionali per reperire una nuova sistemazione;
   non è conseguentemente detto che tutti costoro si trovino in condizione di oggettivo bisogno;
   ciò nonostante, stando almeno a quanto riportato dalla stampa locale, per incoraggiarne l'uscita dalla struttura messa a loro disposizione, i profughi dovrebbero beneficiare di un contributo economico, di entità variabile a seconda delle singole esigenze, ma comunque significativa: oltre ai 500 euro già ottenuti da ciascuno dalla prefettura di Como lo scorso anno, in vista dell'imminente chiusura del sito loro concesso, lo stesso comune di Capiago Intimiano ha stanziato ulteriori 4mila euro, a valere sulle risorse di un fondo a destinazione vincolata, che si afferma proveniente dal Ministero dell'interno;
   la ripartizione del contributo tra i singoli profughi sarebbe determinata discrezionalmente dal Comune di Capiago Intimiano ed il primo profugo a lasciare la struttura riceverà 1.500 euro –:
   se sia consentito impegnare i soldi messi a disposizione dallo Stato per fronteggiare l'emergenza profughi adesso, cioè in questa fase in cui viene considerata ormai superata, e per di più solo allo scopo di incoraggiare la più rapida uscita dei profughi da una struttura generosamente loro concessa in uso dal comune di Capiago Intimiano. (4-00251)


   COSTANTINO, PILOZZI, DURANTI, KRONBICHLER, PELLEGRINO e PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che, a Roma, tre minorenni stranieri non accompagnati, dopo essere stati mandati via dal centro di accoglienza, abbandonati in strada senza soldi e «scambiati» per maggiorenni, sarebbero stati condotti al centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Ponte Galeria, salvo poi scoprire, dopo accertamenti medici cui sarebbero stati invitati a sottoporsi, che si trattava effettivamente di minori;
   l'operazione sarebbe partita nelle ultime tre settimane, a Roma: l'unità operativa di sicurezza pubblica della polizia locale di Roma Capitale (la stessa impiegata per gli sgomberi nei campi rom) è stata inviata infatti ad eseguire ispezioni nei centri di accoglienza, e circa una quarantina di ragazzi stranieri, senza alcuna autorizzazione da parte della magistratura, e dunque senza alcuna garanzia processuale, sono stati invitati a presentarsi all'ospedale militare del Celio dove un’equipe specializzata li ha sottoposti a una visita, un'ennesima visita, per accertare la loro età. Trattasi di una seconda visita, peraltro molto invasiva, in quanto le persone che si trovano nei centri di accoglienza sono già state dichiarate minori da una struttura ospedaliera pubblica;
   tali controlli sanitari, e «di massa», disposti su minori stranieri non accompagnati ad avviso degli interroganti non possono che essere assolutamente illegittimi: il comune non ha alcuna autorità per disporli, in quanto, come noto, solo un magistrato può disporre una simile verifica e, peraltro, nell'ambito di un procedimento penale a carico di singole persone; certamente non è, quindi, consentito sottoporre una persona a visite mediche nel contesto di una mera procedura amministrativa;
   se le procedure per l'accertamento dell'età sono disciplinate dettagliatamente dalla normativa italiana solo con riferimento ai minori sottoposti a procedimento penale (decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo 8) e ai minori richiedenti protezione internazionale (decreto legislativo n. 25 del 2008, articolo 19), e non in specifico riguardo ai minori che non rientrino in tali fattispecie, tuttavia, alcune imprescindibili indicazioni relative ai diritti degli stessi sono già contenute nella circolare del Ministero dell'interno prot. 17272/7;
   tale circolare risulta ad oggi largamente inapplicata;
   peraltro, l'unico effetto ottenuto finora dall'operazione avviata dal comune di Roma è che alcuni minori stranieri, avendo saputo di tali controlli, a giudizio degli interroganti illegittimi, sono scappati dai centri di accoglienza, entrando nel circuito della clandestinità, mettendo quindi a repentaglio i loro diritti e la loro condizione di minori senza riferimenti familiari;
   forte è poi il dubbio che dietro una simile operazione vi sia una questione meramente economica: ad oggi, infatti, a Roma, si trovano circa 2.800 minori stranieri non accompagnati, molti dei quali giunti sull'onda della cosiddetta «emergenza Nord Africa» e per legge, il comune nel quale i ragazzi vengono identificati è tenuto alla loro accoglienza e protezione, garantendo loro tutti i diritti sanciti dalla convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989;
   in una comunicazione inviata dal sindaco di Roma, a fine febbraio 2013, al Ministro dell'interno, sarebbe riportato che «questi ragazzi hanno comportato una spesa straordinaria nel 2012 di quasi 20 milioni», risorse che dovrebbero ancora essere rimborsate dal Governo;
   non si può sottolineare che già nel 2009 il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha redatto un «protocollo per l'accertamento dell'età dei minori secondo il modello dell'approccio multidimensionale» (cosiddetto protocollo Ascone), in cui sono stabiliti fondamentali principi e garanzie riguardo alle relative procedure che seppur non ancora formalmente adottato, rappresenta un importante riferimento per la comunità scientifica e per le istituzioni, al fine di tutelare i diritti dei minori;
   nelle more dell'adozione di specifici provvedimenti per l'identificazione dei minori stranieri non accompagnati e di accertamento della loro età è in ogni caso imprescindibile rispettare una procedura basata su garanzie e rispetto degli stessi:
    a) l'accertamento dell'età attraverso esami medici può essere effettuato, su disposizione dell'autorità giudiziaria, solo ove sussistano fondati dubbi sulla minore età e ove non sia possibile ottenere prove documentali a riguardo;
    b) fino a quando non siano disponibili i risultati di tali accertamenti, la minore età deve essere presunta e, dunque, si devono applicare le norme in materia di protezione dei minori; il minore deve essere informato della possibilità che la sua età possa essere determinata attraverso visita medica e sulle sue conseguenze;
    c) l'accertamento medico può essere effettuato solo previo consenso informato del minore stesso o del suo rappresentante legale;
    d) l'accertamento dell'età deve essere effettuato in strutture pubbliche, da professionisti: a) indipendenti, il cui ruolo non sia in conflitto di interessi rispetto al minore; b) dotati di adeguata expertise e formazione sulle metodologie per l'accertamento dell'età (preferibilmente pediatri); c) consapevoli delle specificità relative all'origine etnica e culturale del minore;
    e) l'accertamento dell'età deve essere effettuato attraverso i metodi meno invasivi possibili, rispettando la dignità del minore e con modalità adeguate rispetto al genere. Deve essere adottato un approccio multidisciplinare, che tenga in considerazione lo sviluppo fisico e psico-sociale del minore. Sul referto deve essere sempre indicato il margine di errore relativo alla metodologia utilizzata;
    f) qualora anche dopo la perizia, tenendo in considerazione tale margine di errore, permangano dubbi circa la minore età dell'interessato, questa è presunta ad ogni effetto, come previsto in ambito penale dall'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988. Il risultato delle procedure di accertamento dell'età deve essere comunicato per scritto all'interessato, in una lingua a lui comprensibile, e con l'indicazione delle modalità per la presentazione del ricorso –:
   di quali informazioni disponga il Ministro sulla vicenda esposta in premessa e, in particolare, sulle ispezioni, ad avviso degli interroganti assolutamente illegittime, che sarebbero state avviate nei centri di accoglienza nel comune di Roma;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere perché operazioni, come quella di cui in premessa, secondo gli interroganti, assolutamente ingiustificate ed illegittime, non si verifichino mai più;
   se non ritenga urgente garantire il rispetto di quanto stabilito nella circolare prot. 17272/7, rimasta largamente inapplicata, nonché più in generale il rispetto dei diritti e delle garanzie nelle procedure per l'identificazione e l'accertamento dell'età dei minori stranieri, in ossequio agli obblighi costituzionali, internazionali e comunitari del nostro Paese e in conformità con le raccomandazioni elaborate a livello internazionale in materia, attraverso una apposita iniziativa normativa che attenga anche ai minori stranieri non accompagnati. (4-00255)


   LODOLINI e MANZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Matelica con gli atti consiliari n. 64 del 31 ottobre 2012 e n. 76 del 29 novembre 2012, ha adottato variante parziale al PRG riguardante la possibilità di insediamento, nel proprio territorio, di industrie insalubri di prima classe e seconda classe di cui al decreto ministeriale 5 settembre 1994;
   la giunta Provinciale con atto n. 443 del 28 dicembre 2012 ha espresso:
    parere di conformità, relativamente ai commi 1-2-3-4-5-6-7-8-9-10-11-12-15-16-17-18-19 del proponendo articolo 23-ter delle NTA del PRG, condizionatamente all'adeguamento, ai sensi dell'articolo 26, comma 6, della legge regionale n. 34 del 1992 e s.m.i. di specifici rilievi;
    parere di non Conformità relativamente al comma 13, riferito agli impianti tecnologici, e al comma 14, riferito alle industrie a rischio di incidente rilevante, del proponendo articolo 23-ter delle norme tecniche di attuazione del P.R.G.;
   nel suddetto atto la provincia di Macerata ha evidenziato come, stante la potestà del comune di Matelica di disporre la pianificazione urbanistica del proprio territorio, nel caso di insediamento di aziende a rischio di incidente rilevante le stesse «presentano problematiche, non solo legate alla salute umana ma anche al rischio ed alla sicurezza pubblica...» la presenza di queste tipologie di aziende deve essere coordinata con i piani di emergenza di protezione civile comunale e regionale;
   il consiglio comunale di Matelica con delibera n. 15 del 30 gennaio 2013 ha, in parte, controdedotto e, in parte, recepito le modifiche derivanti dalle prescrizioni di cui alla sopra citata delibera di giunta provinciale mediante riformulazione del proponendo articolo 23-ter;
   con atto deliberativo n. 75 del 25 marzo 2013 la provincia di Macerata ha espresso parere definitivo in ordine alle varianti al PRG del comune di Matelica per l'insediamento delle industrie insalubri;
   nell'atto deliberativo n. 75 del 25 marzo 2013 la provincia di Macerata ha evidenziato come, nel prendere atto delle prescrizioni, il comune di Matelica non abbia esaurientemente recepito la prescrizione relativa al rispetto delle prescrizioni impartite da vari enti;
   la provincia di Macerata ha deliberato il seguente parere definitivo:
    «1) l'articolo 23-ter della nota del PRG di cui alla delibera di C.C. n. 15 del 30 gennaio 2013, per le motivazioni sopra riportate, deve essere così modificato: 1. al comma 1 dell'articolo 23-ter riformulato le parole «a condizione che siano rispettate tutte le prescrizioni impartite dai vari enti nei rispettivi pareri di competenza», siano sostituite dalle parole «a condizione che siano rispettate tutte le prescrizioni impartite dall'ASUR area vasta 3 nel parere prot. 86664 del 18 ottobre 2012». In alternativa, nell'articolo 23-ter riformulato possono essere riportate letteralmente dette prescrizioni dell'ASUR;
    2) il comma 14 deve essere stralciato,»;
   pertanto, ai sensi della predetta delibera:
    a) sarebbe possibile l'insediamento di industrie insalubri di prima classe ma esso dovrà rispettare la normativa vigente, dimostrando la compatibilità e la mancanza di danno alla salute, previa predisposizione e dimostrazione del piano di emergenza comunale, seguendo il percorso previsto dalla normativa:
    b) sarebbe possibile l'insediamento di industrie insalubri a rischio di incidente rilevante (R.I.R.), ma esso non potrà essere effettuato a priori, all'interno dello strumento programmatorio urbanistico generale, ma dovrà aver luogo caso per caso, previa adozione di una specifica variante coerente con altri strumenti di settore sovraordinati che investono ambiti territoriali più estesi;
   l'elaborato tecnico della R.I.R. ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 334 del 1999 e normative collegate deve seguire la procedura per la valutazione del rapporto di sicurezza, che ai sensi dell'articolo 23 della citata norma deve essere sottoposto a consultazione della popolazione interessata che deve esprimere il proprio parere;
   sono oggettivi i rischi connessi all'inserimento di R.I.R. anche in comuni limitrofi a quello di Matelica, come Fabriano (Ancona) e Cerreto d'Esi (Ancona), i cui Sindaci si sono prontamente pronunciati prendendo posizione a difesa del territorio, della salute dei cittadini;
   la prefettura è competente a predisporre piani di sicurezza delle R.I.R. e del loro controllo, di concerto con la regione Marche;
   l'esigenza che il potere di controllo sia esercitato in modo puntuale anche nella fettispecie suddetta, al fine di evitare un esercizio improprio e generico, da parte del comune, del potere di individuazione sul proprio territorio delle aree destinate all'insediamento di industrie insalubri;
   con delibera di consiglio comunale del 10 aprile 2013, il comune di Matelica ha approvato in via definita la variante parziale al piano regolatore generale, recependo completamente i rilievi posti dalla provincia di Macerata con atto di G.P. n. 75 del 25 marzo 2013 sopracitato –:
   se il Ministro intenda verificare, per quanto di competenza e tramite le prefetture di Macerata e Ancona, che ogni azione legata all'insediamento di industrie R.I.R. venga sottoposta alla verifica di un preventivo piano di sicurezza, concertato con le amministrazioni confinanti, posto che non è sufficiente la generica individuazione di aree per industrie insalubri a rischio di incidente rilevante (R.I.R.), così come da parere espresso da parte della provincia di Macerata con atto deliberativo n. 75 del 25 marzo 2013 e recepito dal comune di Matelica con atto deliberativo del 10 aprile 2013. (4-00257)


   NACCARATO, NARDUOLO e MIOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   martedì 2 aprile 2013 Maria Giovanna Santolini, socia e amministratrice dell'impresa GS Scaffalature e Automazioni srl, insieme al signor Stefano Venturin, è stata aggredita da tre persone presso la sede della stessa impresa in via Postumia 17/D a Galliera Veneta in provincia di Padova;
   secondo le ricostruzioni degli organi di informazione gli aggressori sarebbero Sergio, Michele e Franco Bolognino;
   il nome di Michele Bolognino, nato a Locri (RC) il 24 marzo 1967, residente a Montecchio Emilia, è citato nella relazione della prefettura di Reggio Emilia depositata alla Commissione parlamentare contro le infiltrazioni mafiose nel settembre 2010. Nella relazione si legge che «Michele Bolognino, gravato da svariati pregiudizi per reati associativi contro il patrimonio ed in tema di stupefacenti, detenuto presso la casa circondariale di Reggio Emilia, è un personaggio di notevole interesse investigativo per i contatti che può vantare sia con soggetti dell'area della Locride (Bolognino nasce infatti a Locri il 24 marzo 1967 ed è residente a Montecchio Emilia ndr), che con personaggi riconducibili alla famiglia Grande-Aracri. Prima della detenzione, Bolognino era solito frequentare personaggi di origine calabrese gravitanti nel campo dell'edilizia, con i quali ha intrattenuto anche rapporti di lavoro. Artigiano edile, è contitolare della ditta “Moschetta Costruzioni”, con sede a Montecchio Emilia, con la quale ha eseguito lavori edili unitamente a imprese riconducibili a Nicolino Sarcone», il quale, secondo la relazione del Prefetto di Reggio Emilia, ricoprirebbe il «ruolo di diretto referente della “famiglia” per Reggio Emilia»;
   l'aggressione è oggetto di indagine dei carabinieri di Cittadella;
   le persone e le imprese coinvolte nella vicenda fanno emergere uno scenario preoccupante che indica una presenza di elementi riconducibili alla criminalità organizzata in provincia di Padova;
   la GS scaffalature e automazioni srl appartiene alla Sama Holding srl con sede a Camposampiero in via Filippetto 2 di proprietà di Maria Giovanna Santolini (60 per cento e di Massimo Polo (40 per cento). I due hanno acquistato il 28 marzo 2013 la società dal signor Parolin Nicola, residente presso il principato di Monaco, mediante l'acquisizione della società Carbenn Energie srl con sede a Catania;
   la Gs scaffalature è amministrata da Santolini Maria Giovanna (presidente CDA) Massimo Polo e Stefano Roma. Il collegio sindacale è composto da un unico sindaco effettivo Raffaella Iannicelli;
   Raffaella Iannicelli è sindaca effettiva anche di una società di proprietà di persone, che, secondo la relazione della prefettura di Reggio Emilia alla Commissione parlamentare antimafia del settembre 2010, sono collegate alle organizzazioni criminali presenti in Calabria e nella stessa provincia di Reggio Emilia;
   la società è la Giglio srl con sede a Crotone, di proprietà di Giuseppe e Giulio Giglio. La Giglio srl è coinvolta anche nell'indagine della procura antimafia di Venezia sulla costruzione della tenenza dei Carabinieri di Dueville (Vicenza);
   infatti il 18 novembre 2012 la procura antimafia di Venezia ha comunicato di aver iscritto nel registro degli indagati Pasqualino, Gennaro e Domenico Longo, titolari dell'impresa edile «Elle Due Costruzioni Srl» con sede in viale Mazzini, 88, a Dueville (Vicenza), ipotizzando a loro carico i reati di corruzione e turbativa d'asta aggravata da metodi mafiosi, nell'ambito dell'appalto per la costruzione della tenenza dei carabinieri a Dueville; in particolare, secondo gli inquirenti i titolari di «Elle Due Costruzioni Srl» avrebbero relazioni e collegamenti con un «clan» della ’ndrangheta di Lamezia Terme (Catanzaro) facente capo al «boss» Vincenzino Iannazzo, attualmente detenuto in carcere; dalla stessa indagine emerge, inoltre, il sospetto che nella costruzione della tenenza sia stato utilizzato cemento «depotenziato», mettendo a rischio la tenuta strutturale della caserma. A questo si aggiunge che i titolari dell'impresa «Elle Due Costruzioni Srl» avrebbero impiegato nel cantiere della tenenza operai dell'impresa «Giglio Srl» che risulta esclusa dagli appalti pubblici in quanto sospettata di legami con sodalizi mafiosi;
   sui lavori per la nuova tenenza dei carabinieri di Dueville lo scrivente ha presentato un'interrogazione al Ministro dell'interno in data 28 novembre 2012;
   la GS scaffalature e automazioni srl possiede il 50 per cento della Sae D. Group srl con sede a Campagna Lupia (VE). Gli altri soci della Sae D. Group srl sono Michere de Zanetti (40 per cento) e Noemi Andrea Bolognino (10 per cento);
   la famiglia De Zanetti è stata socia unica della Sae D. fino al 22 marzo 2012 quando ha ceduto il 50 per cento a GS scaffalature; ha poi ceduto il 10 per cento Bolognino Noemi Andrea il 26 novembre 2012;
   l'aggressione ai danni della Santolini costituisce un grave episodio di violenza che riproduce sistemi intimidatori caratteristici delle organizzazioni criminali;
   la presenza a Galliera Veneta di persone legate a organizzazioni criminali di stampo mafioso operanti in provincia di Reggio Emilia, come evidenziato nel citato documento del prefetto della stessa Reggio Emilia, e le relazioni tra imprese padovane, reggiane e imprese sottoposte a indagini per collegamenti con la criminalità organizzata destano preoccupazione e confermano gli allarmi più volte lanciati sulla infiltrazione di organizzazioni mafiose in provincia di Padova –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali ulteriori elementi intenda fornire in proposito;
   quali misure intenda adottare per prevenire e contrastare la presenza della criminalità organizzata in provincia di Padova. (4-00259)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI e CARLO GALLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la circolare n. 2 emanata il 5 febbraio 2013 dal dipartimento della Ragioneria dello stato, avente ad oggetto «Enti ed organismi pubblici – bilancio di previsione per l'esercizio 2013», riepiloga il quadro normativo di riferimento ai fini della predisposizione dei bilanci di previsione per l'esercizio 2013 degli enti ed organismi pubblici a carattere nazionale e fornisce indicazioni circa le misure di contenimento della spesa pubblica, in applicazione delle norme passate previste dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, alle quali si aggiungono quelle di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonché quelle stabilite dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge stabilità 2013);
   in particolare la succitata circolare fornisce elementi in ordine alle più recenti disposizioni, che, inserendosi nel quadro complessivo degli obiettivi finalizzati al contenimento e alla razionalizzazione della spesa pubblica, comportano significati effetti negativi nella gestione amministrativa-contabile degli enti;
   con riferimento alle «Spese per missioni» la circolare in oggetto ribadisce che resta fermo quanto previsto dalla vigente normativa di cui all'articolo 6, comma 12, del decreto-legge n. 78 del 2010, che ha fissato un limite di spesa da effettuare per le missioni che non superi il 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 e, in merito all'applicazione di tale norma, riporta alcune precisazioni che pregiudicano ulteriormente la possibilità di effettuare missioni nel sistema universitario la cui utilità è intuitivamente evidente per il buon esito dell'attività scientifica;
   tali precisazioni sono determinate alla luce della novella legislativa recata dall'articolo 29, comma 15, della legge n. 240 del 2010, che ha integrato il quarto periodo del comma 12 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, inserendo l'esclusione del limite del 50 per cento «per le spese effettuate dalle università e dagli enti di ricerca con risorse derivanti da finanziamenti dell'Unione europea ovvero di soggetti privati». La circolare interpreta tale novella nel senso che non possono ritenersi automaticamente sottratte dallo stesso tetto del 50 per cento le missioni delle Università ed enti di ricerca gravanti su fondi o finanziamenti pubblici, ritenendo di conseguenza superata la precedente circolare n. 40 del 2010;
   tale nuova interpretazione restrittiva sta avendo un notevole impatto sull'attività di ricerca universitaria e sta suscitando numerose perplessità sia con riferimento alla sostanza, sia con riferimento alle modalità di applicazione pratica –:
   se i ministri interrogati non ritengano opportuno, al fine di evitare la sospensione di molte missioni e quindi di pregiudicare l'attività scientifica, verificare l'eventuale possibilità di un'interpretazione che consenta di salvaguardare il regolare svolgimento della maggior parte delle attività di ricerca che non può prescindere dalla mobilità degli studiosi. (5-00077)


   BLAZINA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 marzo 2013 è stato approvato il decreto ministeriale n. 209 sull'introduzione a partire dall'anno scolastico 2014-2015 dell'adozione dei libri di testo nella versione digitale o mista;
   tale provvedimento è stato assunto in seguito ad altri interventi normativi, ultimo dei quali il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, recante ulteriori misure per la crescita del Paese in materia di Agenda digitale per l'istruzione;
   ciò comporterà per le famiglie italiane un abbassamento del tetto massimo di spesa per i libri scolastici;
   nel decreto si stabilisce che nella prima fase l'adozione dei libri digitali riguarderà le classi prima e quarta della scuola primaria, la prima classe della scuola secondaria di primo grado e la prima e terza classe della scuola secondaria di secondo grado;
   nell'ambito del sistema scolastico italiano operano scuole con lingua d'insegnamento diversa da quella italiana, che fanno riferimento alle minoranze linguistiche e cioè tedesca, francese e slovena;
   per tali scuole le modalità di scelta dei libri di testo sono diverse e più complesse, visto che molte volte vengono utilizzati libri che non si trovano sul mercato italiano; in particolare, per quanto riguarda le scuole con lingua di insegnamento slovena o bilingue slovena-italiana per i libri scolastici si ricorre al mercato della Repubblica di Slovenia oppure si procede alla traduzione a cura dell'ufficio scolastico regionale per le scuole slovene dei libri già editi in lingua italiana;
   nel decreto di cui sopra non ci sono disposizioni specifiche che riguardino tali scuole;
   già il decreto legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 sull'obbligo dell'iscrizione on-line a partire dall'anno scolastico 2013-2014 aveva escluso da tale modalità le scuole nelle province di Aosta, Trento e Bolzano e le scuole con lingua di insegnamento slovena;
   tale trattamento, ad avviso dell'interrogante, crea una situazione di diseguaglianza che di fatto penalizza tali scuole, ponendole in una situazione di emarginazione rispetto ai nuovi processi organizzativi, che hanno come obiettivo la modernizzazione e la informatizzazione della scuola italiana –:
   se il Ministro sia a conoscenza del fatto che il decreto in questione non prevede disposizioni specifiche per le scuole delle minoranze;
   se non ritenga opportuno rimuovere questa situazione di disagio, anche attraverso l'adozione di un provvedimento specifico, al fine di mettere tutte le scuole operanti sul territorio nazionale nelle stesse condizioni. (5-00080)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dallo studio di Eurostat nel mese di aprile, che compara la spesa pubblica nel 2011 tra i vari stati dell'Unione europea, risulta che l'Italia si attesta come fanalino di coda per la spesa nell'istruzione e nella cultura e che in particolare dai dati il nostro Paese risulta al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia, per percentuale di spesa in istruzione: l'8,5 per cento a fronte del 10,9 per cento dell'Unione europea;
   analizzando la percentuale rispetto al Pil l'Istat, sempre nelle sue tabelle sulla spesa delle amministrazioni pubbliche, sottolinea che la spesa per istruzione in percentuale sul Pil è diminuita passando dal 4,4 per cento del 2010 al 4,2 per cento nel 2011;
   le organizzazioni degli studenti hanno commentato che si tratta della «ennesima conferma» di quanto denunciato da anni e di spesa per l'istruzione nel nostro Paese «più che insufficiente»;
   mentre per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si tratterebbe di dati che costituiscono «uno stimolo a invertire la rotta», ma che bisogna «evitare una lettura fuorviante»: secondo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, infatti, «sarebbe più opportuno, e forse più indicativo, calcolare la percentuale di risorse investite nella scuola e nell'università al netto della spesa per gli interessi sul debito che, come emerge dallo stesso rapporto Eurostat, per l'Italia è di gran lunga superiore alla media Ue. Se escludessimo dal calcolo, quindi, gli interessi sul debito la percentuale salirebbe di quasi un punto percentuale, superando ampiamente il 9 per cento, poco al di sotto della media Ue» –:
   quale sia effettivamente l'attuale spesa pubblica per i settori istruzione, università e ricerca ed in particolare la spesa per il personale, distinto per i tre comparti e distinto dalla spesa per il personale del Ministero e delle sue diramazioni territoriali regionali e provinciali, la spesa corrente e le spese per progetti decisi dall'attuale Ministro. (4-00195)


   SANI, GHIZZONI, DALLAI, ROCCHI, CENNI, PES, CARROZZA, PARRINI, MANCIULLI e VELO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 36 della Costituzione sancisce che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;
   il 5 aprile 2013 gli organi di informazione hanno pubblicato una denuncia delle associazioni sindacali di categoria secondo la quale al liceo linguistico Antonio Rosmini di Grosseto è stato utilizzato il sorteggio per decidere quali docenti supplenti avrebbero dovuto ricevere lo stipendio;
   secondo quanto comunicato in una conferenza stampa a Firenze le organizzazioni sindacali hanno confermato che «le scuole ricevono un budget che molto spesso è non sufficiente. Questo fa sì che non tutti i precari possano essere pagati contestualmente, e allora qualche scuola provocatoriamente sta avanzando l'idea di fare un sorteggio. Così è successo al Rosmini: per pagare gli 11 docenti sarebbero serviti 12 mila euro, ma il ministero ne ha erogati solo cinquemila, sufficienti per cinque persone. I docenti sono stati messi in ordine alfabetico è stata estratta una lettera, e abbiamo cominciato a pagare a partire da quella lettera. Tutto alla presenza delle Rsu della scuola, perché fosse chiaro che non c'era nessuna forma di favoritismo»;
   gli altri sei docenti, secondo quanto riportato nella conferenza stampa, non sono stati ancora pagati: «Siamo in attesa che arrivino i fondi per pagare i residui di febbraio, ma ora scatta il mese di marzo. La ragione del ritardo sta anche nei problemi legati alla sperimentazione di nuove procedure. A metà anno scolastico il ministero ha deciso di cambiare la procedura di erogazione dei fondi per il pagamento dei supplenti temporanei, quelli che sostituiscono il personale scolastico malato, con l'effetto che il sistema si è bloccato. Abbiamo situazioni dove il personale deve riscuotere 3-4 mesi in arretrato»;
   la regione Toscana, per voce dell'assessore all'istruzione Stella Targetti, ha comunicato che anticiperà i soldi per il pagamento dello stipendio degli insegnanti supplenti del liceo linguistico Antonio Rosmini di Grosseto;
   secondo quanto emerge dal recente studio pubblicato da Eurostat, che compara la spesa pubblica nel 2011 in Europa, l'Italia è all'ultimo posto nell'Unione europea per la spesa in cultura e scuola. L'Italia ha speso infatti per il settore l'1,1 per cento del prodotto interno lordo contro una media comunitaria del 2,2 per cento;
   questo esposto tratteggia indiscutibilmente un fatto gravissimo non soltanto per ciò che riguarda il diritto, sancito dalla Costituzione, del lavoratore alla equa retribuzione, ma anche per la continua carenza di risorse adeguate all'istruzione pubblica, un settore continuamente sottoposto a tagli indiscriminati e che dovrebbe invece rappresentare un elemento fondamentale su cui costruire il futuro di una nazione;
   altrettanto grave è, a giudizio degli interroganti, il silenzio registrato in questi giorni da parte del Ministero competente sull'intera vicenda –:
   per quali reali motivi il liceo linguistico Antonio Rosmini di Grosseto non abbia ricevuto i finanziamenti necessari per poter corrispondere gli stipendi ai docenti secondo quando indicato nella tempistica contrattuale e quando tale risorse economiche saranno trasferite;
   da quanto tempo si registrino dilazioni nei pagamenti al liceo linguistico Antonio Rosmini;
   se queste dilazioni siano da attribuire anche a «problemi legati alla sperimentazione di nuove procedure da parte del ministero competente», come riportato in premessa dalle associazioni sindacali;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di fatti analoghi che riguardano altri istituti pubblici nazionali scolastici e nello specifico personale docente o tecnico amministrativo;
   quali iniziative o provvedimenti urgenti si intendano quindi intraprendere per evitare che tali episodi possano ripetersi e si possa ottenere una puntuale erogazione degli stipendi dei supplenti temporanei assunti dagli istituti pubblici scolastici. (4-00199)


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 3 aprile 2013 la famiglia di Marta, una bambina non vedente della Valle di Susa, ha visto respingere la domanda d'iscrizione al primo anno della scuola secondaria di I grado per mancanza di posti;
   l'istituto è una scuola di montagna, punto di riferimento dell'intera valle e al momento non ha disponibilità di posti, perché il criterio d'iscrizione è l'accettazione prioritaria degli allevi residenti che già frequentano la scuola primaria nell'istituto in questione e hanno effettuato nei plessi di competenza tutto l’iter scolastico;
   un'altra scuola sarebbe disponibile ad accogliere Marta, ma più distante e senza mezzi trasporto che collegano la sua residenza alla scuola;
   il testo unico, decreto legislativo n. 297 del 1994 nell'articolo 322, paragrafo III, afferma che c’è l'obbligo scolastico per gli alunni non vedenti nelle classi ordinarie della scuola primaria e nella scuola secondaria di I grado;
   la legge n. 517 del 1977 stabilisce con chiarezza presupposti e condizioni, strumenti e finalità per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, da attuarsi mediante la presa in carico del progetto di integrazione da parte dell'intero consiglio di classe e attraverso l'introduzione dell'insegnante specializzato per le attività di sostegno –:
   come il Ministro, dopo che ha rassicurato la famiglia con una telefonata e ha permesso l'iscrizione della bambina nell'istituto in questione, intenda procedere affinché i bambini con disabilità non vengano esclusi dalle istituzioni scolastiche. (4-00204)


   COSTANTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la stampa ha dato notizia che al dipartimento di sociologia dell'università della Calabria chiude uno dei primi corsi in «studi di genere» e uno dei pochi esistenti in Italia. Per evitare che ciò accada o per consentire che venga riattivato, è stato lanciato anche un appello;
   purtroppo l'abolizione di questo corso accompagna la silenziosa sparizione di decine di corsi di studi di genere diffusi e inaugurati negli ultimi anni presso le università italiane;
   come scritto da Paola Di Cori, docente di studi culturali e studi di genere all'università di Urbino: «la realtà degli studi di genere in Italia è avvolta in una misteriosa condizione di visibilità-invisibilità fin dagli anni ’70. Sono esistiti sotto denominazioni di comodo quando non era possibile inserirli in un piano di studi approvato dalle facoltà; quando sono divenuti finalmente riconoscibili, ammessi e inseriti istituzionalmente – soltanto dopo il 2000 – si sono immediatamente dovuti confrontare con i cosiddetti processi di razionalizzazione e snellimento dei programmi in seguito alla riforma del 3+2: erano sì possibili, ma assai ridotti in numero di ore e di crediti acquisiti, e raramente ci sono state docenti ordinarie in numero tale (mettendo da parte le differenze di opinione su quali fossero gli obiettivi preferibili) da poter imporre qualche soluzione non minoritaria alle facoltà o ai senati accademici. Si sono salvati qua e là alcuni dottorati nei settori della letteratura e della storia, attualmente massacrati dal taglio di finanziamenti che ha riguardato tutti i dottorati»;
   continua la docente: «È noto che questi studi non hanno visibilità alcuna nelle università italiane; chi li ha insegnati è stata punita nella carriera e ridotta per decenni a un isolamento faticoso e improduttivo in termini di risultati sul piano dell'aiuto concreto alle generazioni di donne e uomini nati/e dopo gli anni ’60. È una fortuna che tante giovani donne abbiano potuto contare sull'esistenza di un gran numero di corsi e di dottorati in università straniere; quando purtroppo tornano in Italia, con esperienze di ricerca e dottorati di tutto rispetto, non si devono confrontare soltanto con l'assenza di possibilità di inserimento, ma con una antiquata tradizione che ancora oggi porta la quasi totalità dei docenti e dei colleghi ad ammettere obtorto collo che si tratta di studi degni di questo nome»;
   a tenere il corso da 12 anni presso l'università della Calabria è Maria Laura Corradi, docente con grande esperienza di insegnamento prima all'università di California, poi in numerosi atenei italiani, da Trieste a Venezia, a Messina e che ha pubblicato decine di libri e saggi scientifici;
   la scelta di sopprimere il corso di studi di genere presso l'università della Calabria è stata deliberata nel corso del 2011 per l'adeguamento a quanto previsto dal decreto ministeriale 22 settembre 2010, n. 17, recante «Requisiti necessari dei corsi di studio», che chiede di sfoltire i corsi superflui. L'attuazione di questo decreto ha rappresentato l'occasione per fare tagli all'offerta formativa;
   come appreso direttamente dalla interrogante, l'insegnamento della Corradi è stato tagliato in maniera poco trasparente, nel corso di un consiglio di facoltà nel quale la docente era assente giustificata, senza raccogliere preventivamente il suo parere e senza che gli fosse comunicato successivamente, in alcun modo – anche solo per cortesia istituzionale – la soppressione;
   come scritto da un quotidiano «viene il sospetto che la scelta di eliminare il suo insegnamento sia avvenuto in base a logiche accademiche di cordata in cui trionfano gli interessi di coloro che hanno potere. Del resto il boicottaggio era nell'aria. A differenza degli anni passati, quando il corso era frequentato da circa un centinaio di studentesse, era stato messo in opzione con una nuova materia “Famiglia e mutamento” e per di più negli stessi orari di altri corsi obbligatori, con il risultato di una riduzione delle iscritte, ora appena una ventina»;
   il corso di studi di genere rappresenta un patrimonio di saperi essenziale per imparare il rispetto delle differenze e cambiare la cultura alla base di forme di sopraffazione come la violenza domestica, l'emarginazione delle donne nella vita politica o il disprezzo verso l'omosessualità maschile e femminile. Si tratta per giunta di un corso non solo teorico, ma multimediale e interattivo, con interviste via web, proiezioni video, laboratori;
   la professoressa Corradi spiega in un intervista: «Le mie studentesse andranno per lo più a fare le assistenti sociali e quindi si troveranno ad affrontare temi delicati come violenza, prostituzione, pedofilia, transessualità, la condizione delle donne migranti. Avranno come utenti sex workers, donne che hanno subìto maltrattamenti in famiglia o ancora donne che diventano aguzzine nei confronti dei figli. Discuterne è importante, in una società dove vige ancora un patriarcato vecchio stile e un sistema sociale che esclude le donne da ambiti decisionali e anche sociali. E che si riflette nella rappresentanza istituzionale: consigli comunali, provinciali e regionali spesso solo al maschile, in una costante svalutazione del lavoro e delle competenze delle donne»;
   Laura Corradi è stata una pioniera, per esempio con la prima tesi sulla prostituzione in Calabria discussa dieci anni fa da un'allieva che ora è assistente sociale a Catanzaro. Riferisce la docente: «Ricevo di continuo mail di ex studentesse che mi dicono “questo corso mi ha cambiato la vita», prima non riuscivo ad esprimermi su questi temi. Soprattutto insegno loro a fare ricerca sul campo, con strumenti che consentono di ricavare dati qualitativi. Un'assistente sociale deve saper studiare la realtà in cui opera e lavorare per la prevenzione dei problemi, di salute o di violenza, ovunque sia possibile»;
   il corso è fondamentale per i futuri assistenti sociali perché affronta temi non svolti sufficientemente altrove, differenze di genere e di classe, sessismo, femminicidio, prostituzione minorile. «I servizi sociali in Italia sono ancora molto arretrati – aggiunge Laura Corradi – affrontano i problemi quando sono già deflagrati e non tengono conto di alcuni ambiti fra cui la realtà GLBT (gay, lesbian, bisexual, and transgender). Molti tentati suicidi sono legati proprio alla mancata accettazione dell'orientamento sessuale. C’è una letteratura sulla prevenzione dei suicidi, si possono cogliere i segnali autolesionisti e questo fa parte della formazione dei social workers»;
   una studentessa ha dichiarato che: «Questo corso è importante soprattutto per noi ragazze e ragazzi del Sud che viviamo in un contesto sociale intriso di una visione cattolica del genere femminile sottoposto a continue “umiliazioni dovute”. Il corso non insegna certo ad odiare gli uomini, ma aiuta a riflettere senza pregiudizi sulle differenze di genere»;
   la professoressa Corradi fa sapere anche che: «In India gli studi di genere e sulle donne sono molto diffusi, come negli Stati Uniti, in America Latina, persino in Iran, dove sono rimasta a bocca aperta scoprendolo. E lo scorso anno il femminismo islamico è stato il tema più apprezzato dalle studentesse». Ironia della sorte, proprio l'università della Calabria conferisce martedì 9 aprile 2013 la laurea ad honorem a Vandana Shiva, madre dell'eco- femminismo, di cui Laura Corradi ha curato l'edizione italiana di un libro;
   aggiunge ancora la professoressa Corradi: «È impressionante vedere tra i commenti in rete quanti uomini credono ancora che gli studi di genere servano solo ad alimentare l'odio delle femministe verso gli uomini. Sul blog de Il Fatto quotidiano alcuni insulti mi lasciano esterrefatta: da certe affermazioni si capisce perché c’è ancora tanta violenza nei confronti delle donne in questo paese. Ma è vero anche che ci sono commenti di uomini eterosessuali che sono stanchi di dover indossare l'abito stereotipato della maschilità dominante e che cercano di esprimere una identità nuova. I giovani principalmente, ma non solo, vogliono relazioni paritarie e di rispetto reciproco con le donne, sia sul piano sessuale che affettivo, vogliono vivere anche le proprie emozioni di paternità, non solo pensare a lavoro, sport e politica. Gli studi di genere potenziano le ragazze e fanno riflettere i ragazzi, perché quello che studiamo contribuisce a liberare entrambi i sessi dalla gabbia d'acciaio di aspettative di ruolo ormai obsolete»;
   eppure in Italia, in contro tendenza rispetto al resto del mondo, si eliminano le poche classi esistenti. Poche e scarsamente coordinate a livello nazionale perché suddivise in materie storiche, filosofiche, linguistiche, che rendono difficile creare cordate accademiche, rigorosamente interdisciplinari –:
   se il Ministro non intenda verificare, per quanto di competenza, che la soppressione dell'insegnamento in studi di genere presso l'università degli studi della Calabria sia avvenuto nel rispetto della legge e delle procedure amministrative stabilite;
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per sostenere la diffusione degli insegnamenti in studi di genere e sessualità, ad esempio rendendoli obbligatori per tutti durante il primo anno del corso di studi universitari, come avviene in altri Paesi. (4-00242)


   LABRIOLA e FURNARI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 47 del 30 gennaio 2013 stabilisce le procedure per l'autovalutazione, l'accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari. Tra i requisiti di autovalutazione innalzati nettamente dal decreto si individuano, con facilità, quelli che più di altri costituiscono un ostacolo, difficile da sormontare, per le sedi decentrate periferiche quale quella di Taranto. Nello specifico il decreto ministeriale 47 determina:
    a) l'incremento del numero minimo di docenti di riferimento per ogni corso di laurea;
    b) la quantità massima di didattica assistita, ovvero il massimo numero di ore di didattica erogabili da ciascun docente;
   per comprendere al meglio quanto i punti sopra esposti condizionino la sopravvivenza della sede tarantina del politecnico di Bari si pensi che attualmente il numero di docenti garanti per corso di studio nei curriculum della sede di Taranto è, applicando la normativa precedente – decreto ministeriale n. 17 del 2012, di due docenti per corso di studio; con il nuovo decreto il due diventa 12 per un corso di laurea triennale e 8 per un corso di laurea magistrale;
   poiché i corsi di laurea triennali erogati a Taranto sono 3 (Ingegneria per l'ambiente e il territorio, Ingegneria Meccanica – curriculum sistemi industriali, Ingegneria elettronica e telecomunicazioni – curriculum elettronica per l'industria e l'ambiente), e altrettanti i corrispondenti corsi di laurea magistrale (Ingegneria per l'ambiente e il territorio, Ingegneria Meccanica – curriculum sistemi industriali, Ingegneria elettronica – curriculum elettronica per l'industria e l'ambiente), ne consegue che per mantenere l'attuale offerta formativa occorrerebbero ben 60 docenti, a fronte dei 12 sinora sufficienti;
   il limite sulle ore di didattica costringe il politecnico di Bari a riformulare la propria offerta formativa eliminando ben 5000 ore l'anno di didattica dal proprio carnet (valore comunicato, già in diverse occasioni, dal rettore del politecnico di Bari; professore ingegnere Nicola COSTANTINO);
   i dati attuali relativi alla sede di Taranto del politecnico dovrebbero far riflettere sull'opportunità di chiudere o anche ridurre questa importante risorsa per la formazione sul campo dei giovani, per il trasferimento tecnologico della ricerca alle imprese e per la crescita dello stesso territorio;
   i dati succitati risultano i seguenti:
    studenti iscritti: oltre 1000;
    studenti immatricolati ogni anno: oltre 200;
    laureati dal 2000 ad oggi: 1400, di cui il 50 per cento per Ingegneria per l'ambiente e il territorio, e il 25 per cento ciascuno per sistemi industriali e elettronica per l'industria e l'ambiente;
    dottori di ricerca: oltre 30;
    assegnisti di ricerca: oltre 40;
    progetti PON, POR, MiSE e altro oltre 50;
    convenzioni con enti pubblici e privati, associazioni di categoria: oltre 60;
    sede di spin-off: attualmente 3;
    sede di un centro interdipartimentale di ricerca («Magna Grecia»);
    sede del polo scientifico tecnologico «Magna Grecia», in associazione temporanea di scopo con università degli studi «Aldo Moro» di Bari, CNR e ARPA Puglia;
   l'impatto dell'incremento dei requisiti sopra descritti del decreto ministeriale 47 è amplificato dal taglio dei finanziamenti alle università pubbliche e della rimodulazione del turn-over, argomenti oggetto dell'ultima spending review;
   tali osservazioni rafforzano l'idea che il decreto ministeriale 47 raffigura un chiaro disegno di distruzione dell'università pubblica a favore del privato. La soluzione al problema deve essere trovata entro il 30 aprile 2013, limite entro il quale tutti gli atenei dovranno comunicare la propria offerta didattica per l'anno accademico 2013/2014 al Ministero;
   prendendo atto dell'organizzazione dei corsi di studio del politecnico di Bari risulta impensabile, se non come ipotesi alternativa al non accreditamento dell'ateneo, la chiusura di uno o più corsi della sede di Taranto;
   risulta, inoltre, necessario al fine di costruire un percorso virtuoso che riporti la realtà universitaria di Taranto ad essere riconosciuta come sede dipartimentale autonoma, al fine di garantire la permanenza del personale docente e l'attivazione di indirizzi esclusivi, che le scadenze stringenti poste dal decreto citato, ormai prossime, siano quantomeno prorogate o che sia concessa una deroga in quanto ci si trova di fronte ad un territorio la cui eccezionalità, per caratteristiche e contesto socio-culturale, è già stata riconosciuta da precedenti decreti;
   le ripercussioni della chiusura di uno o più corsi di laurea sarebbero sicuramente più sentite in un contesto come quello tarantino in cui ciò rappresenterebbe non solo un ulteriore danno per le popolazioni locali, in quanto graverebbero sulle famiglie i costi necessari per supportare il trasferimento dei figli presso sedi di altre città, ma anche per tutto il sistema dell'alta formazione pugliese che si vedrebbe deprivato di questo importante presidio di alta formazione e di produzione culturale, scientifica e di ricerca –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire affinché sia prorogato il termine del 30 aprile previsto dal decreto ministeriale 47/13, in quanto una proroga alle scadenze consentirebbe, di poter conteggiare, nei requisiti del decreto ministeriale 47, anche l'imminente incremento del capitale umano nelle file del politecnico di Bari, risultante dà un accordo di programma stilato con la regione Puglia, il quale prevede l'assunzione di 25 ricercatori a tempo indeterminato, che si spera in gran parte assegnati alla sede tarantina, e dall’upgrade previsto per il prossimo giugno di alcuni professori già di ruolo nell'ateneo. (4-00243)


   SCHIRÒ PLANETA, SANTERINI, AMICI, MIGLIORE, CLAUDIO FAVA, LORENZIN, QUINTARELLI, NISSOLI, GALGANO, NESI, CAPUA, ANDREA ROMANO, CAUSIN, ROSSI, PREZIOSI, GITTI, BAZOLI, VITELLI, SBERNA, RICHETTI, REALACCI, ERMINI, OLIARO, TABACCI, PICCIONE e CARUSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa un volantino del Movimento 5 Stelle dell'Empolese Valdelsa proponeva il taglio delle spese sostenute da alcuni comuni del circondario toscano per partecipare con le scolaresche ai viaggi della Memoria nei campi nazisti;
   nel volantino il taglio veniva giustificato per recuperare risorse da destinare all'ufficio del giudice di pace;
   per l'Aned la proposta del M5S rappresenta prima di tutto un affronto all'abnegazione con la quale, nel corso degli anni, i sopravvissuti alla deportazione hanno dedicato, con sofferenza e fino a che hanno potuto, le loro testimonianze ai viaggi educativi nei lager nazisti;
   è anche attraverso questi viaggi di omaggio, di conoscenza e di formazione che intere generazioni di questo Paese di fragile memoria, hanno intrapreso a ripercorrere la storia delle stragi persecutorie razziste, politiche e militari del nazifascismo nei lager sparsi nei territori dell'Europa occupata;
   sulla vicenda è intervenuto il presidente della regione Toscana secondo cui «il rischio è che passi il messaggio che in nome del risparmio e della lotta agli sprechi, giusta e sacrosanta (oggi e non solo oggi), tutto possa essere cancellato: anche il ricordo della memoria e i viaggi con studenti e ragazzi ad Auschwitz e in altri lager nazisti, perché il dramma di ieri non si ripeta. Questo rischio non possiamo correrlo e questo baratto non è accettabile: la memoria e l'istruzione sono un valore senza prezzo»;
   i costi dei viaggi della memoria vengono sostenuti da ciascun comune e dall'Aned in quota parte in base al numero dei partecipanti, di cui solo una parte sono amministratori, mentre molti sono insegnanti, che obbligatoriamente devono accompagnare i ragazzi in quanto minorenni e per scopi didattici –:
   se non ritengano, adottando un approccio di segno del tutto opposto a quello della proposta di cui in premessa, per quanto di competenza, di assumere ogni utile iniziativa affinché sia mantenuta in vita, anche attraverso l'omaggio ai simboli rimasti, la memoria della drammatica storia di quegli anni assicurando soprattutto il supporto finanziario per quelle istituzioni scolastiche che ne facciano richiesta;
   se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ritenga opportuno adottare iniziative volte ad incoraggiare il dibattito e promuovere dei viaggi nei luoghi della memoria europea.
(4-00263)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 29 maggio 2012 a Roma presso il Ministero dello sviluppo economico è stato sottoscritto con le parti sociali e le istituzioni abruzzesi e locali un accordo di riconversione dello stabilimento Golden Lady di Gissi, in provincia di Chieti, dalla produzione di calze a quella di calzature;
   la Silda Invest spa ha firmato quell'accordo sostenendo il progetto di riconversione industriale della Golden Lady e la conseguente salvaguardia dell'occupazione anche sulla base della norma cosiddetta «Training on the job» prevista dall'articolo 1 del decreto-legge n. 78 del 1o luglio 2009 convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;
   tale norma doveva essere applicata per 2 anni, unitamente alla Cassa integrazione guadagni per ristrutturazione;
   con la legge di stabilità del dicembre 2012, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, si è deciso di non prorogarne gli effetti creando così enormi problemi al progetto della riconversione industriale della Golden Lady, nonostante tale norma non abbia bisogno di nessuna copertura economica –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per il ripristino delle misure di cui alla suddetta norma al fine di consentire il progetto di riconversione della Golden Lady di Gissi e la salvaguardia dell'occupazione in un'area interessata da gravi processi di crisi industriale e occupazionale. (4-00188)


   CARRESCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a tutt'oggi l'Inps non ha ancora inviato comunicazioni riguardanti l'inserimento nelle cosiddette «liste SICO» ai soggetti «esodati» che hanno interrotto il rapporto di lavoro a seguito di accordi con il datore di lavoro dietro corresponsione di un incentivo all'esodo ed ai soggetti «derogati» (autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione prima dell'entrata in vigore della legge n. 214 del 22 dicembre 2011) provenienti da pubbliche amministrazioni e pertanto assoggettati a contribuzione Inps ex gestione Inpdap;
   di contro, i lavoratori del settore privato (pertanto soggetti versanti Inps) hanno ricevuto comunicazione da parte dell'Inps nella quale vengono certificati i requisiti pensionistici ed è indicata la decorrenza della pensione;
   le pensioni intestate a soggetti derogati «privati» con decorrenza 1o aprile 2013 sono già state messe in pagamento;
   con dichiarazioni pubbliche sia il Ministro interrogato sia il direttore generale dell'Inps hanno preso l'impegno di completare quanto prima il monitoraggio dei circa 65.000 «esodati» e «derogati», iscritti ex Inpdap ed ex Ipost e di provvedere poi di conseguenza –:
   quali siano i motivi per i quali non si è ancora provveduto a rispettare gli impegni assunti;
   se intendano definire tempi certi di invio delle comunicazioni di inserimento nelle liste «derogati/esodati», con conseguente indicazione della decorrenza pensionistica, anche per i soggetti potenzialmente beneficiari delle deroghe, iscritti alla gestione previdenziale ex Inpdap.
(4-00205)


   RUOCCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 545 del Codice di procedura civile, così come modificato dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 prevede che «le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altra indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.»;
   anche la Corte costituzionale ribadiva, nell'ordinanza 22-29 maggio 2002 n. 22, che era manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'articolo 32, 1° comma, della Costituzione, dell'articolo 545 del codice di procedura civile, nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto, in quanto il legislatore, nella sua discrezionalità, al fine di assicurare il contemperamento dell'interesse del creditore (per tributi e per ogni altro credito) con quello del debitore, che percepisca da un privato uno stipendio o salario, ha previsto un limite fisso percentuale ragionevolmente contenuto;
   a quanto si evince, tuttavia, dall'articolo «Abolito di fatto il limite del “quinto” pignorabile: pensioni integralmente aggredibili» dell'avvocato Angelo Greco sul sito www.laleggepertutti.it il limite del quinto pignorabile dello stipendio, ma soprattutto della pensione, sarebbe stato di fatto reso aggirabile dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2011, n. 300), cosiddetto «Salva Italia»;
   il decreto avrebbe infatti imposto all'Inps di versare le pensioni superiori a mille euro non più tramite le poste nelle mani del pensionato, ma in un conto corrente bancario o postale o anche su un libretto di risparmio, come conseguenza dell'obbligo di tracciabilità dei pagamenti superiori a mille euro;
   i pensionati che percepiscono trattamenti pensionistici superiori ai mille euro sono quindi obbligati di fatto ad aprite un conto corrente dove l'Inps può far pervenire mensilmente la quota dovuta;
   la legge consente al creditore la possibilità di pignorare la pensione, o i redditi di lavoro subordinato, nella misura massima di un quinto, ma tale limite opera solo se il pignoramento viene effettuato alla fonte, cioè direttamente a chi deve erogare l'emolumento e procedere all'accantonamento delle quote pignorate;
   citando sempre l'articolo dell'avvocato Angelo Greco, «se il pignoramento viene effettuato in un momento successivo (anche un giorno dopo), presso la banca dove il pensionato o il lavoratore deposita le somme, tale limite non opera più e il creditore può pignorare tutti, i risparmi che vi trova»;
   una volta che il denaro sia stato riversato sul conto corrente sarebbe quindi impossibile distinguere i redditi da pensione o da lavoro rispetto a quelli di altra natura e sarebbe quindi pignorare non solo il quinto degli stessi, ma la loro interezza;
   appare evidente che, se tale rischio fosse concreto, la normativa del codice di procedura civile che fissa il limite della quota pignorabile di reddito da pensione o da lavoro subordinato ad un quinto dell'ammontare complessivo, sarebbe, di fatto, resa vana e sarebbe pertanto garantito il minimo sostentamento che il legislatore e la Corte costituzionale sempre hanno inteso tutelare –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se l'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2011, n. 300), cosiddetto «Salva Italia» che fissa il limite dei pagamenti in contanti a 1000 euro, possa porsi in contrasto con l'articolo 545 del regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, codice di procedura civile e coi principi dell'ordinamento giuridico;
   quali iniziative di propria competenza intenda attuare al fine di garantire che il limite della quota sottoponibile a pignoramento di pensioni o reddito da lavoro dipendente non superi il quinto anche quando tali redditi eccedono i 1000 euro. (4-00217)


   COLLETTI, DEL GROSSO e VACCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 25 novembre 2011 ha chiuso lo stabilimento calzaturiero Golden Lady di Gissi (Chieti) licenziando 382 lavoratori (in maggioranza donne) perché l'impresa ha deciso di delocalizzare la produzione in Serbia come già fatto per la Omsa di Faenza. A detta del fondatore del gruppo, Nerino Grassi, la delocalizzazione è stata una scelta inevitabile, obbligata dal mercato, anche se l'azienda ha registrato negli ultimi anni una media di «fatturato stabile di circa 620 milioni di euro» (sono parole dello stesso Grassi);
   a luglio 2012, dopo mesi di protesta, la vertenza Golden Lady sembra sbloccarsi grazie alla vendita dello stabilimento e al collocamento di tutte le ex lavoratrici in due nuove aziende del settore: la Silda Invest, che si impegna ad assumere 214 lavoratrici a tempo indeterminato, e la fabbrica tessile New Trade, destinata ad assorbire 115 operai (40 dei quali poi andati in mobilità);
   alla fine di ottobre 2012, però, la New Trade ha dapprima licenziato con effetto immediato 20 lavoratrici «a causa del mancato superamento del periodo di prova», nonostante fossero trascorsi solo 10 giorni dall'assunzione e non 30 come previsto dal contratto; il 18 dicembre 2012, poi, lo stabilimento ha comunicato la definitiva sospensione delle attività. I dipendenti sono rimasti 12, tutti gli altri sono stati licenziati, chi dopo un mese, chi al rientro dalla festività natalizie;
   anche alla Silda Invest la situazione non è rosea. Vengono attualmente occupati circa 80 operai su 250 dal momento che l'azienda non riesce a sostenerne i costi, aggravati dalla decisione del ministro Fornero di non prorogare la Cassa integrazione per ristrutturazione e di non rinnovare gli incentivi legati alla «formazione on the job»;
   la Legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012 n. 228) sta dunque seriamente compromettendo il progetto di riconversione della Golden Lady di Gissi e le sorti dei suoi ex dipendenti a cui oggi non resta che scendere in strada per non cadere nel dimenticatoio;
   anche i Sindacati (Cgil, Cisl, Uil), forse tardivamente, si sono mobilitati, convocando un tavolo con le istituzioni e i sindaci del circondario che però da due mesi non hanno ancora dato risposta –:
   se il Governo intenda assumere un'iniziativa normativa idonea ad emendare la legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012 n. 228) nella direzione di una proroga della cassa integrazione per ristrutturazione, della concessione degli incentivi legati alla «formazione on the job» o di altri benefici a sostegno delle aziende impegnate nella ricollocazione del personale;
   se sia nelle intenzioni del Governo istituire un tavolo di concertazione con le parti sociali, i lavoratori ex dipendenti della Golden Lady di Gissi e, soprattutto, le proprietà delle due società per addivenire ad una quanto mai urgente risoluzione della vicenda che vede centinaia di famiglie versare in condizioni economiche disperate. (4-00240)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZACCAGNINI, MICILLO, L'ABBATE, MANLIO DI STEFANO, DE ROSA, GALLINELLA, SEGONI, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DELL'ORCO, VALLASCAS, SIBILIA, MANTERO, MARZANA, BONAFEDE, SIMONE VALENTE, PRODANI, DE LORENZIS, PARENTELA, D'AMBROSIO, ZOLEZZI, DI BENEDETTO e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerso dal Rapporto nazionale «Pesticidi nelle acque 2013» realizzato dall'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sulla base delle informazioni, relative al 2010, fornite dalle Regioni e dalle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente, circa la metà della acque territoriali italiane sarebbero contaminate da pesticidi;
   in particolare, si legge nel Rapporto, sono 166 i tipi di pesticidi rilevati nelle acque – a fronte dei 118 del biennio 2007-2008 – e 13,2 per cento delle stesse presenta livelli di tossicità per gli organismi acquatici superiori ai limiti consentiti dalla legge;
   nel 2010, secondo lo studio dell'Ispra, sono stati rinvenuti residui nel 55,1 per cento dei 1.297 punti di campionamento delle acque superficiali e nel 28,2 per cento dei 2.324 punti di quelle sotterranee;
   di una così elevata contaminazione delle acque, sono responsabili secondo l'Istituto soprattutto i residui di prodotti fitosanitari utilizzati in agricoltura. Infatti, in questo settore vengono utilizzati 5,6 chili di fitosanitari per ettaro (dati Istat), 350 sostanze tossiche diverse, 140 mila tonnellate all'anno, che da sole fanno il 33 per cento del totale usato in tutta l'Unione europea;
   la contaminazione italiana appare più diffusa nella pianura padano-veneta (a causa alle caratteristiche idrologiche di quell'area, del suo intenso utilizzo agricolo), ma anche al centro sud, i miglioramenti del monitoraggio stanno portando alla luce una contaminazione significativa;
   i pesticidi più rilevati nelle acque superficiali sono: glifosate, Ampa, terbutilazina, terbutilazina-desetil, metolaclor, cloridazon, oxadiazon, Mcpa, lenacil, azossistrobina;
   nelle acque sotterranee, con frequenze generalmente più basse, le sostanze presenti in quantità maggiore sono bentazone, terbutilazina e terbutilazina-desetil, atrazina e atrazina-desetil, 2,6-diclorobenzammide, carbendazim, imidacloprid, metolaclor, metalaxil;
   ancora molto diffusa risulta la contaminazione da erbicidi triazinici come la terbutilazina (sostanza più rinvenuta in assoluto in Italia), ma sono ancora largamente presenti anche sostanze fuori commercio da tempo, come l'atrazina e la simazina, poiché risulta molto forte la loro persistenza nel terreno;
   nonostante il dettagliato Rapporto, risulta complicato ad oggi aver un quadro completo e una mappatura il più possibile chiara dei livelli e della diffusione della contaminazione da pesticidi nel nostro Paese, poiché, mentre per i prodotti fitosanitari è più facile reperire informazioni circa le vendite e la diffusione, per i biocidi – pesticidi che includono i disinfettanti domestici, i preservanti del legno, gli anti-incrostanti per le imbarcazioni e gli insetticidi domestici, che spesso hanno, anche se in dosi diverse, lo stesso principio attivo di quelli usati in agricoltura – il monitoraggio risulta più difficile;
   secondo quanto dichiarato da Paolo Paris, coordinatore del Rapporto, inoltre, spesso sono le stesse regioni o agenzie regionali e provinciali per la protezione ambientale ad ostacolare il monitoraggio dell'Ispra. Mancano, infatti, nell'analisi dell'Istituto i dati di Liguria e Calabria e risultano troppo pochi per essere utili quelli di Campania, Sardegna, Basilicata, Lazio, Molise e più o meno di tutte le regioni a esclusione di quelle della pianura padano-veneta, in cui di conseguenza l'inquinamento appare maggiore;
   tali allarmanti dati, a parere dell'interrogante, dovrebbero muovere un'azione concreta e costante da parte del nostro Paese al fine di studiare in maniera approfondita l'inquinamento da pesticidi nel nostro Paese, proteggendo le nostre acque e di conseguenza la salute degli esseri viventi –:
   se, sulla base di dati esposti dal rapporto Ispra e nell'ambito delle proprie competenze non intendano promuovere un intervento atto a revocare l'uso di particolari pesticidi nelle coltivazioni italiane, non solo basandosi su quanto imposto dall'Unione europea in tale ambito, ma soprattutto in base ad esigenze e bisogni del nostro territorio, anche con il fine di prevenire drammatiche conseguenze derivanti dalla possibile portata di un inquinamento, quello da pesticidi, che non siamo ancora in grado di valutare nel dettaglio;
   se non intendano, nell'ambito delle proprie competenze e con la collaborazione fattiva delle Agenzie regionali per la protezione ambientale, prevedere la possibilità di creare un percorso che consenta all'Istituto – che non ha la possibilità di invocare adempimenti o scadenze – di ricevere i dati sulla contaminazione delle acque da parte di tutte le regioni italiane, ed in maniera completa ed esaustiva, al fine di avere un quadro chiaro della contaminazione delle acque italiane.
(4-00214)


   ZACCAGNINI, L'ABBATE, MICILLO, MANLIO DI STEFANO, GALLINELLA, LOREFICE, DE ROSA, SILVIA GIORDANO, PESCO, BONAFEDE, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, SIMONE VALENTE, SPADONI, PARENTELA, D'AMBROSIO, BATTELLI, DI BENEDETTO, ZOLEZZI, PRODANI, MARZANA, VALLASCAS e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con il Regolamento (CE) 1107 del 2009 relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, l'Unione europea ha messo al bando numerosi composti chimici ritenuti pericolosi per la salute umana – per gli effetti accertati, effetti tossici acuti e/o cronici (tumori, malattie neurologiche ed endocrine e altro) – e compromettenti per la qualità dei prodotti agricoli coltivati nel territorio europeo;
   in numerosi Paesi extra-Unione europea, in particolare nei paesi latinoamericani, tuttavia non è in vigore lo stesso tipo di regolamentazione e, pertanto, alcuni pesticidi e particolari composti chimici sono utilizzati quotidianamente nelle produzioni agricole;
   in Brasile, ad esempio, sono registrati molti composti chimici vietati dall'Unione europea utilizzati normalmente per la produzione di soia esportata nell'Unione. Società multinazionali, come Bayer, Basf o Syngenta, producono, infatti, in terra brasiliana i seguenti pesticidi utilizzati per produzioni agricole poi esportate verso l'Unione europea: Acefato, Acifluorfen, Cianazina, Endosulfan, Fluazifope-P-butilico, Flufenoxuron, Formosafen, Imazetapir, Lactofen, Paraquat dicloreto, Parationmetile, Permetrina, Profenofos, Setoxidim, Tiodicarb, Tolifluamide, Triazofos;
   è utile ricordare che il Brasile è il paese che detiene il record mondiale di produzione di soia e di consumo di pesticidi (12,5 litri/ha e 4,8 litri/abitante), dove la soia è responsabile del 51 per cento dei pesticidi commercializzati e che ha la terza flotta aerea a livello mondiale per la polverizzazione agricola;
   naturale conseguenza del Regolamento europeo succitato è che in Unione europea non dovrebbero essere importate derrate alimentari prodotte con pesticidi proibiti, ma non è chiaro all'interrogante quali siano i reali controlli messi in campo dall'Unione europea al fine di prevenire e/o ostacolare la diffusione di prodotti contaminati da tali pesticidi all'interno dell'Unione;
   il mercato mondiale della soia si regge soprattutto su cinque stati: gli Stati Uniti che detengono il 43 per cento delle esportazioni mondiali, il Brasile (22 per cento), l'Argentina (12 per cento) e il Paraguay (6 per cento);
   circa il 90 per cento della soia utilizzata negli allevamenti italiani – anche a causa dell'alto deficit proteico di cui soffre l'Unione europea: la produzione totale di colture proteiche dell'Unione europea occupa attualmente solo il 3 per cento dei terreni coltivabili dell'Unione e fornisce solo il 30 per cento delle colture proteiche utilizzate come alimenti per animali nell'Unione europea con una tendenza, negli ultimi dieci anni, all'aumento di tale deficit – viene importata dall'estero, in particolare da Argentina, Brasile e Paraguay. Questa soia è per la maggior parte coltivata in enormi monocolture e con semi transgenici (OGM) –:
   se esistano delle norme atte a controllare i prodotti importati nel nostro Paese coltivati in Paesi extra Unione europea, in particolare allo scopo di valutare realmente la contaminazione da pesticidi proibiti nell'Unione, al fine di garantire la sicurezza alimentare nel nostro Paese e tutelare la salute dei cittadini. (4-00218)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da diversi settimane gli abitanti di Crotone residenti nell'area compresa tra via Venezia e via Roma denunciano il diffondersi nell'area suddetta di intense e sgradevoli esalazioni che sempre più frequentemente invadono gli stessi appartamenti generando in gran parte della popolazione nausea, senso di vomito, difficoltà dell'apparato respiratorio, alterazioni del gusto e dell'olfatto, mal di testa, e malessere generale;
   il persistere di questi sintomi ha generato nelle famiglie preoccupazione, soprattutto perché non riescono a spiegarsi la causa di questo probabile inquinamento atmosferico e perché iniziano a temere sempre più per la salute dei propri bambini e degli anziani maggiormente esposti a rischi per loro salute;
   a causa del persistere di questa situazione alcuni cittadini, a quanto consta all'interrogante, hanno scritto una lettera al prefetto di Crotone, alle istituzioni locali e ai Ministri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, affinché si possa accertare con adeguati strumenti e nel tempo più celere possibile la causa che determina queste insopportabili esalazione in modo da porre rimedio ad una situazione che, protratta nel tempo, potrebbe generare danni irreparabili per la salute dei cittadini crotonesi;
   la situazione non è più tollerabile dato che il perdurare delle sgradevoli esalazioni che si protraggono, anche durante le ore notturne, determinano una vera e propria invivibilità nella zona suddetta –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare in risposta alle istanze avanzate dai cittadini per tutelare la salute degli stessi che è un diritto garantito dalla Costituzione, posto che la presenza di odori sgradevoli rappresenta un serio fattore di alterazione del benessere psicofisico, la cui lesione viene determinata da ogni immissione idonea a provocare stress, esasperazione e tensione psicologica anche a prescindere dalla prova dell'esistenza di patologie (tribunale di Mantova, Sezione II – giudice unico dottor Mauro Bernardi – sentenza del giorno 5 novembre 2004);
   quali provvedimenti di competenza intendano adottare i Ministri interrogati per garantire in tempi certi l'eventuale bonifica, e la riqualificazione dell'area suddetta, che rientra nel perimetro di un sito da bonificare di interesse nazionale anche in considerazione del fatto che l'intero territorio della provincia di Crotone negli ultimi decenni ha subito le conseguenze di un'intensa attività industriale, che ne ha compromesso gravemente gli equilibri ambientali. (4-00194)


   AMICI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto superiore di sanità ha consegnato al Ministero della salute un aggiornamento scientifico in merito alla pericolosità delle sigarette elettroniche contenenti nicotina. Esso contiene una «valutazione del rischio» per la salute umana delle sigarette elettroniche che contengono nicotina, effettuata sulla base di un complesso algoritmo. L'Istituto superiore di sanità conclude che le sigarette elettroniche contenenti nicotina «presentano potenziali livelli di assunzione di nicotina per i quali non si possono escludere effetti dannosi per la salute umana, in particolare per i consumatori in giovane età»;
   la nota dell'Istituto superiore di sanità fa riferimento a quanto affermato dall'OMS. «L'Oms ritiene che sebbene i produttori vendano gli ENDS (electronic nicotine delivery system) come dispositivi efficaci che aiutano a smettere di fumare, ad oggi non esiste evidenza scientifica sufficiente a stabilirne la sicurezza d'uso e l'efficacia come metodo per la disassuefazione da fumo e andrebbero regolamentati come dispositivi medici o prodotti farmaceutici e non come prodotti da tabacco». Il Ministero della salute segue da tempo l'evoluzione delle conoscenze sulla materia ed ha emanato, nel febbraio 2010, prescrizioni per l'etichettatura di tutti i prodotti, in particolare relativamente alla concentrazione di nicotina, alla presenza dei simboli di tossicità e alla necessita di tenere tali prodotti lontano dai bambini;
   sulla base dell'aggiornamento scientifico dell'Istituto superiore di sanità il Ministro della salute ha già adottato l'ordinanza 4 agosto 2011, reiterata il 28 settembre 2012 che vietava la vendita ai minori di 16 anni nonché da ultimo l'ordinanza del 2 aprile 2013 che innalza il divieto di vendita delle sigarette elettroniche da 16 a 18 anni prevedendo come sanzioni le stesse del divieto di vendita di prodotti del tabacco a minori di anni 18;
   in seguito il Ministro della salute ha chiesto un ulteriore parere al Consiglio superiore di sanità. In particolare, il Consiglio superiore di sanità è chiamato a valutare lo studio condotto dall'Istituto superiore di sanità in merito alla pericolosità delle sigarette elettroniche nonché a stabilire se le sigarette elettroniche, e le ricariche contenenti nicotina o altre sostanze, possano ricadere nella definizione di «medicinale per funzione», pur in assenza di un'esplicita destinazione d'uso in tal senso da parte del responsabile dell'immissione in commercio. Il Consiglio superiore di sanità ha iniziato l'esame della questione in 19 marzo –:
   se il Ministro interrogato sulla base degli studi avviati dall'Istituto superiore di sanità nonché in attesa dell'intervento del Consiglio superiore di sanità, non ritenga opportuno predisporre un proprio atto volto ad estendere il divieto dell'uso delle sigarette elettroniche nei luoghi pubblici ed in particolare negli ospedali. (4-00206)


   CAPEZZONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane su alcune testate giornalistiche è apparsa la notizia dell'imminente approvazione di un decreto del Presidente della Repubblica che produrrebbe il dimezzamento del risarcimento del danno biologico per gli incidenti stradali e responsabilità medica nei casi di menomazioni all'integrità psico-fisica comportante una macro invalidità permanente compresa tra i 10 e i 100 punti percentuali;
   tale esito sarebbe determinato dall'abolizione delle tabelle elaborate dall'Osservatorio della giustizia civile del tribunale di Milano cosiddette «Tabelle di Milano 2013» applicate, attualmente, su tutto il territorio nazionale, per effetto della sentenza del 7 giugno 2011 n. 12408/2011 della Suprema Corte di Cassazione che le ha definite come le più congrue, sia per il metodo di calcolo che per i valori risarcitori (pari a circa il doppio di quelli di cui alla bozza circolata di decreto del Presidente della Repubblica);
   dalle indiscrezioni di stampa risulterebbe, oltretutto, che la riduzione dell'ammontare dei risarcimenti non comporterebbe alcuna contropartita quale, ad esempio, una riduzione del premio delle polizze in misura percentuale pari almeno a quella dei risarcimenti e il monitoraggio dei sinistri con conseguenti lesioni personali;
   l'eventuale adozione di tali misure priverebbe le vittime di gravi e devastanti handicap psico-fisici di un giusto risarcimento;
   l'I.P.S.E.G. (Istituto piemontese di studi economici e giuridici) ha inviato una missiva ai più alti vertici istituzionali per sottolineare gli effetti negativi di tale provvedimento;
   a seguito, altresì, delle proteste sollevate nei giorni scorsi dagli avvocati e dalle associazioni delle vittime della strada, si è tenuto un incontro tra il Ministero della salute e la presidente dell'A.I.F.V.S. (Associazione italiana familiari vittime della strada) come riportato nel comunicato stampa della stessa associazione in data 6 aprile 2013 –:
   se corrisponda al vero la notizia che, a seguito di tale incontro, il Ministero abbia preso in considerazione l'ipotesi di congelare l'approvazione del testo con conseguente integrale revisione dello schema di decreto;
   quali iniziative, alla luce di quanto esposto, intenda intraprendere il Ministero al fine di garantire un giusto risarcimento alle vittime di gravi handicap psico-fisici, tenuto conto dell'importanza che riveste in tale settore l'utilizzo, come parametro di riferimento, dei valori risarcitori previsti nelle tabelle del tribunale di Milano.
(4-00208)


   ZACCAGNINI, L'ABBATE, MICILLO, MANLIO DI STEFANO, GALLINELLA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DE ROSA, SIBILIA, SPADONI, MANTERO, DE LORENZIS, BONAFEDE, BIANCONI, SIMONE VALENTE, PARENTELA, D'AMBROSIO, MARZANA, ZOLEZZI, VALLASCAS e BENEDETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni gli enti pubblici responsabili della gestione della viabilità, come ANAS e province, tendono ad utilizzare per la pulizia delle strade erbicidi in modo massiccio e spesso incontrollato, piuttosto che metodi più tradizionali di falciatura manuale o meccanica;
   la motivazione di questa diffusa tendenza risiede, con tutta probabilità, sia in un risparmio economico sia in un'ottimizzazione del tempo da parte degli enti, tuttavia i rischi, derivanti dall'uso di diserbanti, per l'ambiente e per la salute umana non vengono, a parere dell'interrogante, adeguatamente tenuti in considerazione;
   diversi sono stati i casi segnalati dalle regioni italiane per l'uso e l'abuso di diserbanti utilizzati nella pulizia dei bordi delle strade;
   solo qualche giorno fa, ad esempio, la regione Sardegna, per voce dell'assessore all'ambiente Andrea Biancareddu ha chiesto all'ANAS di sospendere immediatamente il trattamento a base di diserbanti e di ritornare ai metodi più tradizionali per la pulizia dei bordi delle strade e delle cunette;
   l'utilizzo dei diserbanti, secondo quanto si legge nella nota della giunta sarda, produce conseguenze che appaiono lesive e mette in pericolo diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti ovvero quelli alla «salute» e alla necessità di dover vivere in un ambiente sano;
   in particolare, sempre secondo quanto riferito da Biancareddu, il prodotto usato sembra essere un erbicida disseccante a base di glyphosate, che è la materia prima di numerose sostanze usate anche in agricoltura;
   il più diffuso erbicida a base di glyphosate è il Roundup, prodotto dalla multinazionale americana Monsanto e sul quale pesano molti dubbi circa la biodegradabilità e la capacità di non lasciare residui tossici dopo la sua applicazione. Proprio su questo prodotto, da alcune autorità sanitarie regionali è stato più volte disapprovato;
   Biancareddu afferma inoltre che l'uso di simili prodotti in aree che ricadono all'interno delle zone Siti di Importanza Comunitaria (Sic) e Zone Speciali di Conservazione (Zps) può produrre effetti nocivi a specie animali e vegetali poste sotto tutela specifica e, più in generale, possa arrecare danni gravi a insetti come le api, con il rischio di alterare la biodiversità e la funzionalità degli ecosistemi;
   pericoli vengono riscontrarti anche per ciò che riguarda la salubrità delle acque e la sopravvivenza degli organismi acquatici, considerando che il diserbante rilasciato ai bordi delle strade va a mischiarsi con le acque che defluiscono dall'asfalto verso le cunette e attraverso queste può arrivare alle falde acquifere. L'irrorazione del glyphosate, infatti, è, secondo quanto affermato dal professor Fabio Taffetani, ordinario di botanica sistematica dell'università politecnica delle Marche «altamente vietata nei pressi dei corsi d'acqua e delle zone umide a causa della sua accertata tossicità, anche a basse concentrazioni, sugli organismi acquatici»;
   non possiamo dimenticare, inoltre, che distruggere completamente le piante ai bordi delle strade comprometterebbe anche la sicurezza del territorio, in quanto le radici, che con una falciatura tradizionale resterebbero intatte nel terreno vengono completamente distrutte dall'uso del diserbante, alzando il rischio di frane o smottamenti;
   diversi studi negli ultimi anni hanno dimostrato la nocività a tutto tondo degli erbicidi a base di glyphosate. In particolare, i prodotti a base di glyphosate sono biodegradabili solo in piccole percentuali – come si legge nella scheda informativa in materia di sicurezza del glyphosate; la sostanza non è prontamente biodegradabile e nell'ambiente e negli impianti di trattamento dei reflui viene degradato lentamente;
   secondo il rapporto ISPRA del 2013, glyphosate e il suo metabolita AMP sono tra gli inquinanti più abbondanti nelle acque superficiali; il glyphosate è devastante per la vegetazione in quanto tossico per tutte le piante verdi;
   infine, il glyphosate è riconosciuto da diversi studi come possibile causa di malformazioni fetali e fortemente sospettato di correlazione con l'insorgenza di tumori del tipo linfoma non-Hodgkin's (vedi rivista Cancer, 15 marzo 1999, studio svedese di Hardell e Eriksonn sulla connessione tra glifosate e linfoma non-Hodgkin);
   l'uso che viene fatto dall'ANAS e da numerose province del diserbante è spesso sistematico e copre superfici contigue lungo numerose strade nazionali e regionali, anche in aree protette o di elevato interesse paesaggistico, naturalistico e ambientale –:
   se, in base a quanto esposto in premessa il Ministro interrogato non intenda, nell'ambito delle proprie competenze e a tutela della salute e del nostro ecosistema, chiedere ai responsabili della gestione della viabilità, come ANAS e province, di attivarsi al fine di limitare il ricorso ad erbicidi altamente tossici, come il glyphosate per la manutenzione della viabilità;
   se non intenda, in ogni caso, escludere dalle aree protette o di particolare interesse naturalistico l'uso dei diserbanti, in modo da evitare danni alla salute per le popolazioni, nonché alla biodiversità animale e vegetale. (4-00227)


   D'OTTAVIO, ROSSOMANDO, AIRAUDO, SCALFAROTTO e PES. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari ha avuto inizio con l'emanazione del decreto del Presidente del consiglio dei ministri del 1° aprile 2008 e tra gli obiettivi ha indicato la realizzazione di strutture sanitarie residenziali extraospedaliere destinate ad accogliere pazienti psichiatrici autori di reato;
   la regione Piemonte ha avuto l'idea di realizzare una di queste strutture nell’ex ospedale psichiatrico di Collegno, come è stato comunicato al sindaco in data 9 aprile 2013, scelta che gli interroganti giudicano inopportuna posto che avrebbe l'effetto di riportare la città di Collegno e la struttura dell’ex ospedale psichiatrico indietro nel tempo;
   sarebbe necessario che la regione Piemonte individui altre e condivise soluzioni per raggiungere il proposito, senza interrompere quel processo di superamento dell'ospedale psichiatrico di Collegno per cui l'amministrazione comunale tanto si è impegnata –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in relazione a quanto descritto in premessa. (4-00253)


   ZACCAGNINI, MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, GALLINELLA, GAGNARLI, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la qualità dell'acqua potabile destinata al consumo umano è disciplinata dalla direttiva dell'Unione europea 98/83/CE che ha fissato 48 parametri microbiologici, chimici e organolettici per assicurare la sicurezza e la qualità dell'acqua potabile;
   ogni Stato membro ha il dovere, in base alla direttiva suddetta di monitorare questi parametri, informare la cittadinanza ed inviare alla Commissione dell'Unione europea una relazione, ogni tre anni, sullo stato delle cose, facendo riferimento agli obblighi previsti dalla direttiva stessa;
   tra questi rientrano i parametri massimi dell'arsenico, per i quali l'Italia ha già ottenuto due deroghe alla direttiva, poiché 128 comuni italiani presentano livelli di arsenico ben oltre il limite consentito dall'Unione europea, causando concreti rischi per la salute umana;
   in particolare la Commissione europea ha respinto la terza richiesta di deroga da parte del nostro Paese poiché secondo l'Organizzazione mondiale della sanità e il comitato scientifico dei rischi sanitari e ambientali possono essere consentite «deroghe temporanee fino a 20 microgrammi per litro, mentre valori di 30, 40 e 50 microgrammi per litro determinerebbero rischi sanitari superiori, in particolare talune forme di cancro. Pertanto occorre autorizzare unicamente deroghe per valori di arsenico fino a 20 microgrammi per litro;
   i limiti di arsenico, fissati dalla Unione europea in 10 microgrammi per litro, vengono superati dai comuni italiani «incriminati» raggiungendo anche i 50 microgrammi;
   la situazione più grave è, senza dubbio quella della regione Lazio che vede coinvolti ben 50 comuni nelle province di Roma, Viterbo e Latina, superando anche i 50 microgrammi nel comune di Velletri, alle porte di Roma;
   secondo l'ultimo studio dell'Istituto superiore di sanità che ha preso in esame 269 cittadini (da 1 a 88 anni di età) residenti a Viterbo ed in 16 comuni della provincia, la concentrazione della sostanza nell'organismo dei viterbesi è oltre il doppio rispetto a quella nella popolazione generale, ed alte concentrazioni sono state rilevate anche nei bambini;
   in particolare, nei viterbesi la concentrazione della sostanza nelle unghie è risultata pari a 200 nanogrammi per grammo contro gli 82 nanogrammi di un gruppo di controllo nella popolazione generale;
   sempre secondo i risultati dello studio Istituto superiore di sanità, nei comuni del Lazio interessati all'emergenza arsenico, sarebbe in pericolo anche la catena alimentare. In particolare alte concentrazioni di arsenico sono state riscontrate nel pane viterbese, mentre gli ortaggi sono al vaglio di un ulteriore approfondimento;
   ciò è preoccupante poiché dimostra che i cittadini delle aree interessate sono esposti ad una duplice minaccia da parte dell'arsenico: l'acqua che bevono ed il cibo che mangiano, contaminato a sua volta a causa dell'acqua usata per lavorarlo, produrlo o coltivarlo;
   in molti comuni diverse ordinanze sindacali proibiscono l'uso dell'acqua per bere, cucinare, lavarsi o lavare gli alimenti, ma, a parere dell'interrogante è necessaria un'azione più concreta ed incisiva – e soprattutto trasparente nei confronti dei cittadini, che spesso sono ignari della gravità della situazione e dei concreti rischi che, loro malgrado, corrono ogni giorno – da parte della regione Lazio. Ad oggi, infatti, sono pochissimi gli impianti in funzione per rendere potabile l'acqua, non più di cinque in tutta la provincia di Viterbo;
   la regione Lazio nell'ottobre 2012 aveva previsto la realizzazione di 33 potabilizzatori in 16 comuni per la prima fase (quella con concentrazioni di arsenico oltre i 20 microgrammi), di cui 20 da ultimare entro il 31 dicembre 2012 e 13 al 31 marzo 2013; ad oggi però non si è ancora ultimata questa prima fase della potabilizzazione;
   a proposito degli effetti dell'arsenico sulla salute umana, l'ISDE – Associazione dei medici per l'ambiente, per voce della referente viterbese Antonella Litta, ha affermato che «nella fase della gravidanza, l'esposizione all'arsenico aumenta i rischi legati all'autismo e ai tumori cerebrali dei nascituri», inoltre «i limiti imposti dall'Unione europea sono stati calcolati basandosi solo su individui adulti sani e questo è molto grave: i bambini hanno infatti un metabolismo diverso, bevono maggiori quantitativi di acqua e quindi sono più esposti. Servirebbero norme di estrema cautela. Non a caso l'Unione europea ha concesso le deroghe a patto che per donne in stato di gravidanza e bambini al di sotto dei 3 anni il limite fosse da subito sotto i 10 microgrammi per litro». Sempre secondo l'ISDE, inoltre, l'arsenico potrebbe influire negativamente «nella fase evolutiva, ovvero nello sviluppo della persona» –:
   se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, assumere con urgenza ogni iniziativa per garantire a tutti i cittadini dei comuni interessati dall'emergenza arsenico l'uso di un'acqua incontaminata, al fine di garantire a tutti il diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione. (4-00258)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPI, MOSCA, MAURI, CASATI, LAFORGIA, CIMBRO, QUARTAPELLE PROCOPIO e GASPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Alcatel-Lucent Italia impiega in Italia 2.045 dipendenti di cui 686 nel campo della ricerca e dello sviluppo delle reti di trasmissione ottica, reti di trasmissione wireless, sistema di gestione delle reti e delle reti fotoniche di nuova generazione indispensabili per l'implementazione della banda larga ed extra larga del nostro Paese e nel mondo;
   Alcatel-Lucent Italia ha guidato l'affermazione di Alcatel-Lucent come leader mondiale delle reti ottiche per molti anni, confermandola anche nel 2011 come il secondo fornitore mondiale di apparati per reti ottiche;
   a gennaio 2012 l'azienda comunicò un esubero di 490 lavoratori a seguito della decisione della nuova multinazionale di interrompere lo sviluppo degli apparati ottici in Italia, spostando l'attività nel Nord America e grazie all'intervento diretto del Ministro Passera nei confronti del CEO di Alcatel-Lucent Italia nel giugno 2012 si è sottoscritto un accordo al Ministero dello sviluppo economico che ha portato ad una significativa riduzione degli esuberi e dei costi, tutti caricati sulle spalle dei lavoratori con esuberi gestiti in vista di un rilancio dell'attività di Alcatel-Lucent Italia;
   ad oggi l'azienda non ha rispettato l'accordo, non ha presentato un nuovo piano industriale e ha continuato il trasferimento di attività delle reti ottiche sul Nord America proseguendo verso un disimpegno della sua presenza in Italia;
   in primo luogo le vite di diverse centinaia di persone sono messe in crisi dall'incertezza del proprio futuro e contestualmente esiste il rischio concreto di perdere competenze di prim'ordine in un settore strategico nello sviluppo del Paese –:
   quali siano le informazioni in possesso del Governo in merito;
   quali iniziative si intenda prendere per rilanciare questo settore strategico per il Paese;
   quali progetti di politiche industriali si intendano realizzare in questo campo;
   a che punto sia il finanziamento di «Agenda digitale», elemento chiave dell'accordo di giugno 2012. (4-00193)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel primo incontro del tavolo di crisi del gruppo Lucchini, svoltosi il 22 gennaio 2013 a Roma presso il Ministero dello sviluppo economico, il Governo ha preso l'impegno per una rapida apertura del confronto con i territori in cui sono presenti gli stabilimenti Lucchini di maggiore dimensione (impianto di Piombino e la Ferriera di Servola a Trieste), affinché venga riconosciuto il caso di crisi industriale complessa e l'avvio della discussione sui processi di riconversione produttiva;
   è stato espresso il parere favorevole del 24 gennaio 2013 da parte della Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell'articolo 27, comma 8, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico recante: «Riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva delle aree di crisi industriale complessa»;
   è prossimo il varo dell’action plan sulla siderurgia della Commissione europea previsto per il 5 giugno a Bruxelles, cui è interessato il gruppo Lucchini –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di dare attuazione al percorso scaturito dall'ultimo tavolo sopracitato del 24 gennaio 2013;
   se intenda attivarsi al fine di avviare le procedure in corso per l'effettivo inserimento dello stabilimento Ferriera di Servola di Trieste del gruppo Lucchini nell'area di crisi complessa, quali siano i criteri di attuazione e se sia stata formulata la bozza di programma che avrebbe dovuto essere inviata dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. (4-00207)


   BRAGA, GUERRA, MOLTENI, TENTORI e FRAGOMELI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia le procedure per l'installazione degli impianti all'interno degli edifici sono regolate dal decreto ministeriale 22 gennaio 2008, n. 37, attuativo del comma 13 dell'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248;
   la norma riprende sostanzialmente il quadro normativo delineato con la legge 5 marzo 1990, n. 46, recante «Norme per la sicurezza degli impianti», in relazione al quale si è cercato di introdurre meccanismi finalizzati a contemperare le esigenze di sicurezza e di semplificazione delle procedure burocratiche;
   in particolare la norma aveva confermato la possibilità di concedere agli operatori la qualificazione sia in base alla presenza di titoli ed esperienza, sia sulla base della sola esperienza professionale;
   tra i requisiti tecnico-professionali indicati dal citato decreto ministeriale n. 37 del 2008, la lettera d) dell'articolo 4, si prevede: «prestazione lavorativa svolta, alle dirette dipendenze di una impresa abilitata nel ramo di attività cui si riferisce la prestazione dell'operaio installatore per un periodo non inferiore a tre anni, escluso quello computato ai fini dell'apprendistato e quello svolto come operaio qualificato, in qualità di operaio installatore con qualifica di specializzato nelle attività di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione degli impianti»;
   allo stato attuale, circa il 60 per cento delle aziende hanno conseguito l'abilitazione attraverso il requisito di cui alla citata lettera d) dell'articolo 4 del decreto ministeriale n. 37 del 2008;
   a seguito dell'esigenza di adeguare il quadro normativo a livello comunitario, il Governo ha varato il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE», che azzera completamente la situazione attuale e dispone, all'articolo 15, che a partire dal 1o agosto 2013 le imprese che hanno ottenuto l'abilitazione esclusivamente sull'esperienza non potranno più installare impianti relativamente a caldaie, caminetti a stufe a biomassa, sistemi solari fotovoltaici e pompe di calore;
   la ratio della nuova norma appare condivisibile ed è evidente l'obiettivo di garantire la massima professionalità degli operatori e aumentare il livello di sicurezza, ma rischia di penalizzare fortemente professionisti che operano nel settore da moltissimi anni, la cui esperienza è un indubbio valore e che potrebbero subire gravi conseguenze economiche nella già preoccupante situazione di crisi attuale;
   la situazione è resa ancora più critica dall'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 2012, il quale obbliga le imprese che installano impianti di raffrescamento e pompe di calore, ad iscriversi ad un registro ad hoc e ad ottenere un patentino, mentre, nei fatti, viene loro impedito, a decorrere dal 1o agosto, di installare (o anche semplicemente svolgere lavori di manutenzione) un impianto che utilizzi la tecnologia in pompa di calore;
   le associazioni di categoria hanno inviato una lettera al Ministero dello sviluppo economico per evidenziare come l'attuale formulazione dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011 appaia iniqua, errata e fonte di ingenti danni oltre che di disparità di trattamento per la categoria degli installatori –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per salvaguardare l'esperienza, la professionalità e la competenza degli operatori del settore, individuando le opportune soluzioni di transizione al quadro normativo comunitario, posto che una sua eventuale inerzia potrebbe determinare conseguenze pesantissime in un settore economico molto importante, rischiando di bloccare migliaia di imprese e di far perdere moltissimi posti di lavoro. (4-00216)


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   SIRE SPA, in liquidazione, è una società operante nel campo di produzione del klinker, ovvero una ceramica di particolare resistenza e durata che si ottiene da un processo produttivo di estrusione e da una cottura lenta a temperature tra le più elevate del settore pari a 1300o;
   la società, con sede legale a Torino e unità produttive a Roreto di Cherasco (Cuneo), occupa complessivamente n. 179 unità lavorative, al 20 agosto 2012;
   la società ha presentato, in data 25 febbraio 2013, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, istanza di esame congiunto, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 218 del 2000 finalizzato al ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) per crisi aziendale per cessazione totale di attività, di durata biennale, a cui è seguita la convocazione delle parti;
   alla data del 10 luglio 2012 presso la regione Piemonte era stato sottoscritto un verbale di accordo che precedeva il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi, successivamente autorizzata con decreto n. 70237 del 20 dicembre 2012, per un numero massimo 179 lavoratori;
   il piano di risanamento aziendale previsto dal predetto accordo è stato in gran parte realizzato con immissione di liquidità nuova per circa 4 milioni di euro per concretizzare quasi tutte le azioni previste in risposta alla crisi;
   nel frattempo il trend negativo di settore ha ulteriormente contratto l'attività della società e con essa la sua capacità di rimborsare il debito bancario, producendo la decadenza della convenzione interbancaria con conseguente perdita del requisito di continuità aziendale;
   nel mese di dicembre 2012 l'assemblea dei soci, preso atto dello stato di insolvenza finanziaria e di mancanza della continuità aziendale, ha posto in liquidazione volontaria la società con cessazione totale dell'attività produttiva;
   le parti coinvolte, nel corso di numerosi incontri tenuti in sede sindacale, hanno valutato tutti i possibili ammortizzatori sociali previsti dalla normativa al fine di ridurre l'impatto sociale sul piano occupazionale dovuto alla decisione della società di cessare totalmente l'attività, ed hanno convenuto di ricorrere alla cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per cessazione totale dell'attività per un arco temporale di 24 mesi, vista la complessità delle iniziative da porre in essere per la gestione delle eccedenze, definendo un adeguato piano di gestione, sebbene le sospensioni siano già iniziate a decorrere dal 19 agosto 2012 in virtù del Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 70237 del 20 dicembre 2012;
   l'articolo 1, comma 205, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), ha rifinanziato da ultimo gli interventi previsti dal decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, che consente, in caso di cessazioni di attività, il trattamento di integrazione salariale straordinaria per crisi aziendale per un periodo annuale, prorogabile per un secondo anno, con la predisposizione di un piano biennale che preveda interventi da adottare nel corso del periodo di riferimento ai fini delle gestioni delle eccedenze occupazionali;
   le parti, in considerazioni di quanto esposto, hanno individuato i seguenti strumenti per la gestione degli esuberi da attuarsi per il primo e secondo anno della cassa integrazione guadagni straordinaria:
    a) trasferimento di ramo d'azienda: la società sta ricevendo, da parte di alcune aziende terze, manifestazioni di interesse per l'acquisizione di un ramo d'azienda dell'unità di Roreto di Cherasco, con conseguente passaggio alle dipendenze dell'eventuale cessionario del personale addetto del ramo stesso ed interessato dall'intervento dell'ammortizzatore sociale. Le trattative sono attualmente in corso e si ipotizza l'affitto di ramo di azienda finalizzato all'acquisto di parte degli impianti produttivi, delle superfici e dei relativi lavoratori. Si prevede il trasferimento del personale potrebbe avvenire in maniera progressiva e successivamente alla scadenza dei primi 12 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria;
    b) ricollocazione esterna del personale, sulla base della disponibilità volontaria del lavoratore, presso le aziende presenti nel territorio nazionale ed estero. La società si adopererà direttamente per presentare, ad aziende sul territorio sue clienti e/o fornitrici, le candidature dei propri lavoratori interessati dalla cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione di attività affinché, nei loro programmi di assunzione, valutino la possibilità di esaminare le candidature delle figure eccedenti;
    c) ricorso all’outplacement finalizzato alla ricollocazione: la società si è già attivata attraverso il ricorso a primarie e certificate società di outplacement accreditate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per fornire alle maestranze interessate un servizio di ricollocazione sul mercato del lavoro che tenga conto delle esperienza professionali acquisite;
    d) attivazione presso le istituzioni locali di percorsi di politica attiva del lavoro mediante la predisposizione di specifiche iniziative formative e di riqualificazione professionale, funzionali alla ricollocazione del personale sospeso. A tal proposito la provincia di Cuneo con nota n. 0008619 del 4 febbraio 2013 ha affermato la disponibilità ad attivare un programma di ricollocazione compatibilmente con le esigenze del centro per l'impiego e con la nuova programmazione relativa alle risorse messe a disposizione dal FSE;
    e) Confindustria Cuneo, associazione alla quale la società aderisce, si è impegnata, attraverso il proprio servizio di borsa lavoro, ad operare per favorire la ricollocazione del personale in esubero;
    f) nel periodo di fruizione della cassa integrazione guadagni straordinaria la società attiverà una procedura di licenziamento collettivo, subordinata al requisito della non opposizione del lavoratore, al fine di favorire la ricollocazione presso aziende terze, la realizzazione di progetti di auto imprenditorialità e il raggiungimento dei requisiti pensionistici. La società e i patronati hanno verificato che circa 5 lavoratori matureranno i requisiti necessari per accedere al trattamento pensionistico nel corso del primo anno di cassa integrazione guadagni straordinaria, mentre nel corso del secondo anno tale numero dovrebbe avvicinarsi alle 15 unità;
   la società dichiara che ad oggi il piano di gestione degli esuberi ha consentito di ricollocare n. 8 suoi dipendenti –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per dare soluzione alla crisi della società SIRE ed, in particolare se ritenga di prorogare la cassa integrazione guadagni straordinaria per i dipendenti di tale società, anche in assenza della ricollocazione di parte della manodopera. (4-00222)


   CORDA, VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, LOMBARDI, PINNA, TOFALO, TERZONI, D'AMBROSIO, DE ROSA, BUSTO, SEGONI, RIZZO, MASSIMILIANO BERNINI, MUCCI, ARTINI, DI BATTISTA, BONAFEDE, ZOLEZZI, PRODANI, CURRÒ, PETRAROLI, MARZANA, FICO, CRISTIAN IANNUZZI, DIENI, TONINELLI e DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è in atto in tutta Italia una corsa alle trivellazioni per la ricerca di giacimenti di idrocarburi;
   in Sardegna le attività di ricerca della società privata Saras spa interessano quasi 40 comuni e in particolare i comuni di Assemini, Decimomannu, Decimoputzu, Cagliari, Capoterra, Elmas, Monastir, Nuraminis, San Sperate, Sestu, Uta, Villasor, Villaspeciosa, Oristano, Cabras, Riola Sardo, Nurachi e Baratili San Pietro, Zeddiani, Tramatza, Siamaggiore, Solarussa, Arborea, Palmas Arborea, Santa Giusta, Marrubiu, Terralba, San Nicolò Arcidano, Uras, Guspini, Mogoro, San Gavino Monreale, Villacidro, Samassi, Sanluri, Serramanna, Serrenti;
   il rilascio di decine di concessioni per la ricerca di idrocarburi sia in mare che in terraferma, da parte del Ministero dello sviluppo economico, ha fatto della Sardegna un territorio assai ambito per l'avviamento di attività di ricerca di giacimenti di gas naturali e idrocarburi;
   tra le numerose istanze presentate al Ministero dello sviluppo economico, i due permessi a mare richiesti da Saras Spa sembrerebbero essere stati respinti, mentre, invece, non risulta essere stato respinto il Progetto Eleonora, previsto nel Comune di Arborea (provincia di Oristano), che prevedrebbe svariate attività a forte rischio ambientale tra le quali perforazioni esplorative che potrebbero raggiungere i 3.000 metri di profondità, innescando un processo di irreversibile salinizzazione dei terreni agricoli;
   il sito di Arborea è conosciuto in tutta Europa per l'elevata qualità della sua produzione agricola e zootecnica, e costituisce un insieme di realtà economiche tra le più floride dell'Isola, con importanti ricadute economiche e occupazionali; le attività invasive del Progetto Eleonora sarebbero effettuate in una zona che, come già denunciato da esperti e associazioni ambientaliste, è prossima ad aree tutelate dalla convenzione internazionale di Ramsar (2 febbraio 1971) sulle zone umide d'importanza internazionale (decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1976), dal vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modifiche e integrazioni), da vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23 del 1993), dal Piano paesaggistico regionale (decreto del Presidente della Regione n. 82 del 7 settembre 2006), sito che rientra nella rete Natura 2000, tutelato per la presenza di uccelli palustri, destinato a riserva naturale regionale (Legge regionale n. 31 del 1989, allegato A), oltre che essere Sito di Importanza comunitaria (SIC) e Zona di protezione speciale (ZPS) (Direttiva n. 92/43/CEE);
   in caso di scoperta di giacimenti, i diritti di produzione, le cosiddette royalties, sarebbero riconosciute alla regione Sardegna (si parla del 10 per cento dei ricavi, cioè, a seconda delle stime, tra 1 e 3 milioni di euro l'anno), mentre nulla sembra previsto per comune e provincia;
   analoghi miraggi di ricadute positive, per i territori locali, in termini di ricavi e posti di lavoro, si sono rivelati, nei decenni passati, amarissime disillusioni, avendo questo tipo di iniziative industriali lasciato dietro di sé solo disoccupazione, inquinamento e fondati sospetti di malattie anche genetiche;
   grazie all'azione del comitato popolare «No al progetto Eleonora», impegnato nella mobilitazione dei cittadini contro il progetto, la regione Sardegna ha avviato una procedura di VIA;
   oltre al progetto Eleonora la società privata Sargas (sotto il diretto controllo della Saras spa) intende avviare nel comune di Arbus un progetto denominato Igia, che prevede attività di ricerca di idrocarburi in un'area di circa 187 chilometri quadrati nel Medio Campidano;
   anche contro la realizzazione di questo progetto, come di tutti gli altri, si è registrata una forte presa di posizione da parte delle popolazioni interessate e degli stessi consigli comunali, fra cui Marrubiu (26 aprile 2012), Arborea (7 maggio 2012), San Nicolò Arcidano (11 giugno 2012), Solarussa (27 giugno 2012), Terralba (23 agosto 2012), Uras (28 settembre 2012), Santa Giusta (30 gennaio 2013) i quali hanno formalizzato la totale contrarietà a ogni ipotesi di trivellazione per ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi;
   il consiglio provinciale di Oristano in data 19 luglio 2012 ha espresso la sua totale contrarietà nei confronti del progetto Eleonora e quindi alle perforazioni finalizzate alla ricerca di gas naturale nel territorio –:
   nell'ambito delle rispettive competenze, se siano a conoscenza di quanto evidenziato nella premessa, se risulti corrispondente al vero e con quali atti e quali finalità siano intervenuti o intendano intervenire;
   se non ritengano di voler promuovere l'avvio di una conferenza di servizio e/o un tavolo di confronto tra tutte le istituzioni interessate a livello nazionale, regionale e locale, sospendendo nel frattempo ogni autorizzazione già concessa e ogni procedura di concessione tuttora in corso relativa a progetti di ricerca di giacimenti di idrocarburi nel territorio della Sardegna, con particolare riferimento a quelli denunciati in premessa;
   in quale modo ritengano di intervenire per la tutela dell'ambiente, della salute, dello sviluppo economico e delle politiche agricole, essendo tali progetti (e gli sfruttamenti industriali di eventuali giacimenti) potenzialmente disastrosi per gli ecosistemi della zona, per la salute delle popolazioni e per le attività economiche attualmente esistenti anche intervenendo ove ne ricorrono i presupposti alle procedure di valutazione di impatto ambientale avviata dalla regione autonoma Sardegna. (4-00249)


   SIBILIA, FICO, COLONNESE, CRIPPA, NESCI, CASO, NUTI, LUIGI GALLO, D'UVA, LUIGI DI MAIO, FRACCARO, TOFALO, DI BATTISTA, PISANO, TACCONI, DEL GROSSO, GRANDE, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, ARTINI, DALL'OSSO, DI VITA, CASTELLI, SORIAL, CARINELLI, SPESSOTTO, BRUGNEROTTO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, CECCONI, D'INCÀ, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, COLLETTI e SCAGLIUSI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso:
   la città di Solofra è famosa in Italia e nel mondo per la concia della pelle, attività che da secoli caratterizza la vita economica e sociale dell'intero territorio e dei comuni limitrofi;
   il comune di Solofra occupa una superficie di 21,9 chilometri quadrati di cui a valle, ovvero superficie abitata 5,5 chilometri quadrati, di cui il 25 per cento è definito «zona industriale ASI» e nella quale sono stati realizzati nel corso degli anni oltre 250 immobili che occupano oltre 500.000,00 metri quadrati. Numeri importanti e rilevanti che fanno capire di come sia stato utilizzato il territorio;
   il tessuto industriale di Solofra, in provincia di Avellino, sta subendo da diversi anni ormai, gli effetti della grave crisi economica globale, per cui gli imprenditori locali registrano una fortissima contrazione del volume di affari dell'area conciaria, da sempre comparto trainante della realtà economica solofrana;
   la situazione generale non lascia intravedere prospettive positive di soluzioni future;
   per combattere tale vasto fenomeno economico negativo, diversi imprenditori solofrani operanti nel settore conciario avvertono la necessità di differenziare il segmento merceologico di mercato nel quale impegnarsi con le proprie attività, e intendono reinvestire le proprie disponibilità economiche nell'azienda, riconvertendo gli opifici in attività diverse dalla concia;
   il comune di Solofra ha aderito al consorzio per l'area di sviluppo industriale (ASI) della provincia di Avellino, approvandone, tra l'altro, lo statuto consortile, con delibera del consiglio comunale n. 25 del 2000, nella sua ultima edizione;
   l'area industriale di Solofra ricade nella zona D1 – zona ASI del piano regolatore generale, adottato con delibera n. 393 del 21 giugno 1989, approvato con DS n. 190 del 25 ottobre 1994;
   l'articolo 39 del piano regolatore generale cita:
  «D1 – zona ASI. Tali zone sono comprese nel perimetro ASI e per esse sono da intendersi prescrittive tutte le norme tecniche di attuazione, le integrazioni alle stesse e relative modalità di attuazione emanate dall'ASI. A tali norme pertanto viene fatto riferimento per quanto attiene alle modalità di attuazione del piano regolatore generale. Anche per quanto riguarda i grafici per eventuali discordanze tra il presente piano regolatore generale ed il piano ASI hanno prevalenza i grafici di quest'ultimo»;
   la zona industriale del comune di Solofra è disciplinata quindi da un altro strumento urbanistico, il piano regolatore territoriale del nucleo di sviluppo industriale della provincia di Avellino, approvato con DPGR n. 721 del 28 maggio 1974, le cui norme di attuazione sono state variate in parte nel lontano 19 febbraio del 1988, con adozione da parte del comitato direttivo del consorzio e successivamente adottate il 15 settembre 1994 e approvate con DPGR della regione Campania n. 8844 del 29 settembre 1995;
   tale strumento urbanistico, di livello superiore al piano regolatore generale è uno strumento urbanistico a tutti gli effetti così come disciplinato anche dall'articolo 18, comma 9, della legge regionale della Campania n. 16 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni «norme sul governo del territorio» pubblicata sul BURC il 10 gennaio 2011, n. 2;
   già nella relazione al piano regolatore territoriale del nucleo industriale di Avellino – variante dell'agglomerato di Pianodardine: zona di espansione Solofra, redatta dal professor architetto Marcello Angrisani e professor ingegner Renato Di Martino, era stata proposta, a pagina 14, la diversicazione delle attività, per evitare, nel caso di un eventuale crisi del settore delle pelli, che questa avesse potuto colpire la maggioranza degli abitanti di Solofra;
   la deliberazione n. 2010/6/209 del comitato direttivo dello stesso Consorzio ASI della provincia di Avellino che ha posto in essere ogni e qualsiasi atto finalizzato all'approvazione della variante al piano regolatore territoriale adottato nella seduta del 25 luglio 2007 e addirittura precisando che qualora l'approvazione di detto piano regolatore territoriale (che a distanza di altri tre anni non è mai avvenuta) dovesse protrarsi nel tempo, gli uffici consortili provvederanno a formulare una variante-stralcio dello stesso nella parte che riguarda l'agglomerato industriale di Solofra ed in particolare i problemi messi in evidenza dallo stesso comune di Solofra, ovvero cambio di destinazione d'uso e frazionamenti;
   lo stesso consorzio ASI, nella variante al piano regolatore territoriale, adottata nella seduta del 25 luglio 2007 con deliberazione n. 2007/2/5, al titolo IV, norme specifiche di agglomerato, articolo 29, agglomerato industriale di Solofra, introduceva la possibilità di consentire il frazionamento degli opifici;
   l'ASI quale ente di diritto pubblico-economico, secondo quanto stabilito all'articolo 3 del citato statuto, ed in conformità all'articolo 4 della legge della regione Campania 13 agosto 1998, n. 16 «... promuove, nell'ambito degli aggiornamenti industriali, delle aree, delle zone e dei nuclei di sviluppo industriale attrezzati... le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo delle attività imprenditoriali nei settori dell'industria e dei servizi alle imprese»;
   a tal fine, il consorzio ASI, redige, tra gli altri atti amministrativi, il piano regolatore territoriale di assetto ai sensi della citata legge della regione Campania n. 16 del 1998, per il corretto sviluppo delle aree industriali del territorio di competenza;
   in tal senso, l'ASI Avellino, esercita funzioni di pianificazione territoriale;
   in ogni caso, il comune di Solofra quale ente locale, è istituzionalmente impegnato nell'attivare ogni diversificato strumento operativo di promozione e gestione dello sviluppo economico e industriale, quale lo sportello unico per le attività produttive, modelli integrati di pianificazione territoriale e ambientale, anche allo scopo di agevolare il mantenimento dei livelli occupazionali e di scongiurare l'emergenza sociale conseguente alla disoccupazione;
   il consiglio comunale di Solofra, nella seduta numero 8 del 15 febbraio 2013, ha deliberato di impegnare il comune di Solofra, e, per tutti gli organi di questo ente locale, sia quelli elettivi collegiali, quali il consiglio comunale, sia quelli burocratici, affinché, ciascuno per quanto di rispettiva competenza, ponga in essere ogni azione ed adotti ogni provvedimento perché trovi concreta attuazione il ricorso agli strumenti di cui all'articolo 5, comma 13, lettera a) n. 106 del 12 luglio 2011, per realizzare la deroga agli strumenti urbanistici, con la modalità di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, purché di destinazioni tra loro compatibili complementari, in favore di tutti i soggetti interessati al cambio di destinazione d'uso nell'area industriale di Solofra, nonché alla suddivisione degli immobili in più unità il tutto nel rispetto degli standard urbanistici previsti dal piano regolatore territoriale in zona ASI e, altresì, di assumere ogni necessario impulso, in riferimento alle istanze già presentate, in tal senso al comune di Solofra, e di dare corso alla loro valutazione, secondo la legge n. 106 del 2011 «e con le modalità di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380»;
   occorre tener conto di quanto previsto dall'articolo 14 (L) comma 1), del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380, «Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia»;
   l'articolo 5, comma 13), lettera a) del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, prevede la deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, anche per il mutamento della destinazione d'uso (ferma restando, la destinazione d'uso residenziale onde evitare di «tirare la volata» alla speculazione edilizia), purché di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
   sarebbe opportuno che il consorzio ASI di Avellino predisponesse una variante al citato piano regolatore territoriale ASI, strumento urbanistico ormai non più al passo con i tempi e con le richieste imprenditoriali, rendendolo più adeguato alle esigenze di innovazione del tessuto produttivo (green economy, eco design, bioedilizia, servizi sociali, servizi turistici, riassetto idrogeologico ed altro) che necessitano della produzione di beni e servizi –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra e se non ritenga di assumere iniziative normative per rendere più agevole il ricorso agli strumenti di cui all'articolo 5, comma 13, lettera a), della legge n. 106 del 12 luglio 2011 per realizzare la deroga agli strumenti urbanistici, con le modalità di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, purché per destinazioni tra loro compatibili o complementari, in favore di tutti i soggetti che ne hanno facoltà inclusi gli interessati al cambio di destinazione d'uso nell'area industriale di Solofra. (4-00254)


   RAMPI, MOSCA, MAURI, CASATI, LAFORGIA, CIMBRO e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i collegamenti della regione urbana milanese sono uno dei fattori cruciali dello sviluppo del Paese;
   esiste un progetto sviluppato fino al livello esecutivo per il prolungamento della metropolitana 2 dall'attuale terminal di Cologno Monzese a quello nuovo di Vimercate;
   tale nuova tratta collegherebbe una delle aree più popolose della regione urbana milanese e una delle più dense dal punto di vista produttivo mettendo in connessione diretta Milano e di conseguenza tutto il Paese con l'area del distretto tecnologico che vede la presenza di alcuni dei più importanti soggetti nazionali nel campo delle tecnologie (tra gli altri STM, MICRON, ALCATEL-LUCENT, CISCO, IBM oltre che l'emergente polo tecnologico sviluppato da SEGRO e tutto l'indotto connesso);
   tale tratta si sviluppa su una delle arterie di maggior traffico dell'attuale mobilità della regione urbana milanese che coinvolge ogni giorno pendolari provenienti da Bergamo, Lecco, Varese con gravi danni per le persone e per l'economia, gravi ritardi e incertezze nel trasporto delle merci, difficoltà per il raggiungimento del posto di lavoro, gravi danni per l'inquinamento e quindi la salute dei cittadini;
   la tratta progettata liberando dal traffico pendolari l'attuale tangenziale est di Milano non solo sgraverebbe significativamente, migliorandola, la mobilità delle merci, ma renderebbe molto più raggiungibile l'aeroporto urbano di Linate, oggi gravemente penalizzato dal traffico permanente dei pendolari a inizio e fine giornata;
   tale progetto era costitutivo del sistema di riprogettazione della mobilità della regione urbana milanese e vincolante per la realizzazione delle nuove tratte autostradali in particolare della est esterna;
   tale prolungamento della metropolitana costituisce uno degli impegni assunti con l'accordo di programma siglato nel 2007 tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia, province di Milano e Lodi, CAL, ANAS e rappresentanti dei comuni;
   i comuni interessati e la regione Lombardia si sono detti disponibili a partecipare all'investimento; anche diverse aziende private hanno dimostrato questo interesse ed esistono i margini per una riduzione dei costi di intervento, ad esempio portando l'intero tracciato in superficie –:
   a che punto sia l’iter del finanziamento del progetto;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per rilanciarlo;
   se il Governo intenda attivare immediatamente un tavolo di confronto con il nuovo Governo regionale della Lombardia, con tutti i parlamentari eletti nel territorio e con tutti i comuni interessati alla tratta per assumere provvedimenti urgenti per il rilancio del progetto e il suo certo finanziamento anche in vista di Expo 2015.
(4-00262)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00003, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Leonori.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00007, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 marzo 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Casellato, Moretto, De Maria.

  La mozione Cenni e altri n. 1-00015, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Tullo, Terrosi.

Pubblicazione di un testo riformulato e modifica dell'ordine dei firmatari.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Pellegrino n. 1-00012, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 5 del 27 marzo 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    allo stato, considerando complessivamente le esistenti fonti di approvvigionamento del gas, i progetti degli impianti di rigassificazione in itinere autorizzativo sul territorio italiano presentano una capacità produttiva complessiva di gran lunga superiore a quella della domanda specifica di prodotto, che è diminuita negli ultimi anni a causa della ridotta domanda da parte dell'industria;
    la diminuita richiesta di prodotto sul mercato non giustifica economicamente la loro costruzione;
    tutti, indistintamente, i progetti di impianti di rigassificazione costituiscono attività a rischio di incidente rilevante, i cui esiti, in caso di avaria, possono avere effetti catastrofici sull'ambiente e gli insediamenti antropici;
    gli organismi preposti alle valutazioni dell'impatto ambientale dei progetti di rigassificazione attualmente in itinere, avendo l'obbligo di adempiere ai doveri d'ufficio nell'interesse dell'Amministrazione e dei cittadini per il pubblico bene, devono ispirarsi ai più elevati principi dell'etica che nello specifico non sono stati seguiti poiché, a fronte di gravi carenze riscontrate negli elaborati progettuali di alcuni degli impianti attualmente in fase di autorizzazione, come di seguito esaurientemente esposto, gli organismi medesimi avrebbero dovuto rigettarli già nella fase dell'istruttoria preliminare. I progetti sono stati invece ammessi alle varie procedure autorizzative secondo i firmatari del presente atto di indirizzo minimizzando il pericolo di tali impianti e facendo venir meno il ruolo di controllori degli organismi preposti;
    detti impianti – proposti all'interno di una crisi economica gravissima, le cui ricadute incideranno sull'economia di questa nazione, condizionandone pesantemente per generazioni i livelli occupazionali – risultano tutti progettati in assenza di un piano energetico nazionale;
    in assenza di un piano energetico nazionale ed europeo, condiviso con i territori interessati, lo scenario energetico mondiale ed italiano ha subito e subirà rilevanti mutazioni per effetto dei seguenti fattori:
    a) la costruzione del gasdotto Southstream, che porterà annualmente in Europa 63 miliardi di metri cubi di gas, dei quali 22 miliardi – pari circa alla produzione di tre rigassificatori standard come quello di Trieste – entreranno nella rete italiana;
    b) il basso tasso di incremento della domanda di gas in Italia che, nell'ipotesi di una ripresa economica nazionale, ammonterà al 2 per cento dell'attuale fabbisogno annuo (ossia, meno di 2 miliardi di metri cubi);
    c) lo sviluppo di nuove modalità di trasporto del gas, ossia trasporto di gas compresso con navi CNG (compressed natural gas), che non necessiterà né di liquefattore nei campi di estrazione/produzione, né di rigassificatore alla consegna; tale soluzione è la più economica per il trasporto di gas nel Mediterraneo, con minima necessità di infrastrutture marine, tutte in mare aperto, e con impatti ambientali e di rischio pressoché nulli;
    nella certezza del grave impatto ambientale conseguente all'uso del cloro nel processo di rigassificazione a circuito aperto, con particolare riferimento agli impianti on-shore di Gioia Tauro e Trieste si constata inoltre che: il progetto di rigassificazione di Gioia Tauro non ha recepito le prescrizioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici che, per ben due volte, ha espresso un parere negativo in quanto gli elaborati presentati sono «incompleti e non definiti con l'estensione e gli approfondimenti necessari all'espressione di un compiuto parere sulla fattibilità dell'opera»; detto Consiglio ha altresì evidenziato il fatto che il territorio in cui dovrà sorgere la mega struttura è una delle maggiori aree a rischio sismico del Paese;
    nel progetto del rigassificatore di Trieste le osservazioni contenute nei pareri negativi deliberati dagli enti locali coinvolti nelle procedure autorizzative sono basate su elementi di indubbia evidenza scientifica, quali, ad esempio, gli studi che al riguardo i professori di chiara fama Giorgio Trincas, Radoslav Nabergoj, Marino Valle e Federico Grim già componenti del tavolo tecnico rigassificatori Trieste, hanno prodotto, prestando disinteressatamente per spirito civico la loro opera per analizzare gli elaborati progettuali, formulando circostanziate osservazioni che puntualmente sono state trasmesse ai funzionari preposti alle procedure autorizzative di tali impianti, affinché ne tenessero conto, a fronte della loro dirimente importanza scientifica;
    gli importanti contributi scientifici forniti agli organismi preposti alle procedure autorizzative di tali impianti, anziché indurli a riflessione, agendo di conseguenza in tutela amministrativa, sarebbero stati, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, sistematicamente ignorati;
    i suddetti organismi con il loro comportamento, ad avviso dei firmatari del presente atto, hanno dato un'immagine negativa della Repubblica in ambito internazionale, procurando così non poco danno all'Erario con delle procedure inutili e fuorvianti, che l'Unione europea potrebbe inevitabilmente mettere a nudo aprendo procedure di infrazione contro l'Italia a fronte di quelle che ai firmatari del presente atto di indirizzo appaiono palesi violazioni procedurali commesse violando quelle norme comunitarie che il nostro Paese ha sottoscritto e recepito nel proprio ordinamento;
    da anni sono disponibili soluzioni tecniche alternative al problema della rigassificazione di gas naturale liquefatto;
    per quanto attiene la fornitura diversificata di metano dallo spot market il gas va rigassificato in mezzo al mare, in acque internazionali, utilizzando soluzioni di pressoché nullo impatto ambientale e che abbiano come utenza i servizi energetici e le popolazioni croate, italiane e slovene dell'Alto Adriatico;
    per risolvere il problema di un rifornimento flessibile e diversificato devono essere applicate soluzioni impiantistiche da allocare in mare aperto che abbiano come requisiti primari di essere invisibili da terra, di essere lontane da città, aree industriali e centri turistici di essere sicure, pulite, efficienti, economiche;
    le soluzioni navali, con un livello crescente di flessibilità e sicurezza sono:
    FSRU (Floating Storage Regasification Unit) – navi di stoccaggio di gas liquido con rigassificatore a bordo, da ancorare ad almeno 10-12 miglia dalla costa, connesse ad una boa dalla quale il gas è inviato ad una stazione già esistente mediante gasdotto sistemato sotto il fondale marino; in Italia due progetti: SAIPEM: Livorno; Gaz de France, Falconara;
    LNG-RV (Liquefied Natural Gas – Regasification Vessel) – classica nave metaniera con rigassificatore a bordo, connessione e trasmissione come per le Floating Storage Regasification Unit: applicazioni recenti in Corea del Sud ed in Belgio;
    TORP System (Sorgenia) è un rigassificatore mobile che fa da interfaccia tra la metaniera cui si attacca e la connessione al gasdotto subacqueo; è la soluzione più avanzata, più flessibile e forse la meno costosa; le prime soluzioni nel Golfo del Messico, dove, dopo il disastro della BP, le navi metaniere devono consegnare il gas in mare aperto;
    le soluzioni navali sono pronte ed affidabili. Mediamente costano metà delle soluzioni a terra (onshore come a Zaule) o in mare come piattaforme fisse (offshore fisso come a Porto Viro – Rovigo). Fincantieri progettò per SNAM due Floating Storage Regasification Unit oltre 10 anni fa, ma in assenza di una preveggente politica industriale le due navi-piattaforma non furono costruite;
    il TRIPLETE, cosiddetto perché dovrebbe servire i tre Paesi limitrofi, sarà la soluzione marina (FSRU, o LNG-RV, o TORPE), sicura ed economica agli eventuali bisogni di gas (a prezzo inferiore) delle industrie e dei servizi nei territori intorno all'Alto Adriatico. Queste soluzioni alternative potrebbero essere messe in campo nell'ottica di creare uno sviluppo sinergico ed armonioso del territorio nazionale. Come alternativa agli impianti onshore, i firmatari del presente atto di indirizzo propongono la costruzione di impianti, adeguatamente dimensionati,

impegna il Governo:

   a fronte delle gravi carenze evidenziate e delle sostanziali modifiche riscontrate, a revocare immediatamente, agendo in base al principio dell'autotutela amministrativa, le autorizzazioni concesse, riesaminando tutti i pareri acquisiti durante tali procedure, che recano un tal numero di prescrizioni e condizioni da configurarsi quali valutazioni negative sul progetto e quindi tali da porsi come pronunciamenti negativi sulla loro realizzabilità;
   ad assumere iniziative per chiedere la revisione completa di tutta la progettazione e la rinnovazione integrale della procedura di valutazione di impatto ambientale, viste le gravi carenze evidenziate e le sostanziali modifiche apportate posizionando le apparecchiature di processo dell'impianto in maniera diversa rispetto al progetto preliminare, rendendo così il progetto definitivo un elaborato sostanzialmente diverso dal progetto che era stato a suo tempo autorizzato;
   a subordinare ogni e qualsiasi ulteriore decisione in merito ad un piano energetico nazionale;
   a predisporre in tempi ristretti un piano energetico nazionale che sia adeguato alle esigenze del Paese e armonizzato, nel caso di Trieste, con quelle dei Paesi europei immediatamente confinanti;
   a predisporre iniziative normative che vincolino i funzionari preposti alle procedure di valutazione di impatto ambientale ai principi dell'etica della sicurezza, stabilendo i parametri di quale debba essere il rischio accettabile per un insediamento antropico sul territorio in funzione del modello di sviluppo sociale, economico ed ambientale che gli enti preposti al controllo amministrativo del territorio si saranno dati.
(1-00012)
(Nuova formulazione) «Pellegrino, Aiello, Costantino, Migliore, Melilla, Kronbichler, Ricciatti, Nicchi, Duranti, Placido, Claudio Fava, Magorno, Parentela, Dieni, Nesci, Prodani, Rizzetto».