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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 26 marzo 2013

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle notizie di stampa cartacea e ai servizi di telegiornali regionali e nazionali, si apprende dell'intensa attività parossistica verificatasi nei giorni scorsi sul vulcano Etna;
   la violenta eruzione, così come descritta da alcuni organi di stampa, tra cui il «Corriere del Mezzogiorno», da «Livesicilia.it», dall'agenzia di stampa «Agi», prodottasi nel cratere siciliano è avvenuta a partire da sabato sera 16 marzo 2013, letteralmente sommergendo di sabbia vulcanica i paesi etnei del versante orientale, che adesso si trovano alle prese con l'ennesima «emergenza cenere»;
   anche il dipartimento regionale della Sicilia dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ha dato ampio risalto alla pericolosità dell'evento;
   infatti dalla relazione che si può leggere sullo stesso sito dell'Ingv risulta che la grande fontana di lava del nuovo cratere di sud-est, durante la manifestazione effusiva del 16 marzo 2013, ha prodotto l'ottavo episodio di attività parossistica nell'arco di meno di quattro settimane, dopo un intervallo di calma di dieci giorni;
   questo evento, secondo la relazione dell'istituto, è «uno dei più violenti nell'attuale serie di parossismi»; è stato preceduto da una lunga fase di «preludio», inteso come attività stromboliana. Quest'ultima è caratterizzata da espulsione, con cadenza spesso ritmica, di brandelli di magma incandescente (bombe, lapilli e ceneri) ad altezze da pochi fino a centinaia di metri, o anche alcuni chilometri. A quel punto cenere e lapilli, sospinti lateralmente dai venti dominanti formano una specie di ombrello dal quale iniziano a cadere depositandosi a terra;
   questa volta la quantità di scorie emesse dal «pit crater» di sud-est è stata particolarmente ingente e per i sindaci la conta dei danni è quanto mai amara;
   tra i centri più colpiti, occorre menzionare Zafferana etnea, insieme al triangolo di territorio che ha ai suoi vertici Santa Venerina, Acireale e le cittadine di Giarre e Riposto. In media si calcola che, a Zafferana, la densità di materiale piroclastico versatosi ammonta a circa 12 chilogrammi al metro quadro, contro gli 800 grammi della scorsa volta;
   già dieci giorni prima, tra il 5 e il 6 marzo, l'attività di espulsione di ceneri aveva interessato lo stesso territorio. E l'attività parossistica era continuata con un progressione sempre minore all'interno della voragine del cratere fino al quasi totale silenzio dello scorso 14 marzo. Nel pomeriggio del 15 invece, i sismografi hanno iniziato a registrare «numerosi segnali di attività esplosiva», e si è osservato un «aumento dell'ampiezza del tremore vulcanico, continuato in maniera graduale», fino a raggiungere le esplosioni della notte del 16 marzo, con annessi trabocchi frequenti di lava, e «fontane alte fino a 2 chilometri sopra l'orlo craterico». A quel punto gli agenti atmosferici hanno contribuito a sospingere le ceneri sulle abitazioni dei centri sul lato est del vulcano;
   nella città di Zafferana, secondo le dichiarazioni del sindaco Alfio Russo, raccolte dal Corriere del Mezzogiorno, «la comunità è in ginocchio e ci vorranno almeno due mesi per riportare la situazione alla normalità». Dall'esperienza del primo cittadino del comune etneo si ricava pure che tra le ultime «trenta emergenze di sabbia vulcanica degli ultimi anni, questa rappresenta un evento eccezionale»; si calcola che lo spessore del deposito di lapilli scoriacei abbia raggiunto in codesto comune «circa 10 centimetri», e molti frammenti avevano un diametro «fra i 5 e 8 centimetri», fino a 10, che hanno determinato anche danni a numerose autovetture. Fino al pomeriggio del 17 marzo, a fasi alterne, l'attività esplosiva è continuata; l'amministrazione comunale ha diramato un comunicato con il quale ha sancito la chiusura dei plessi scolastici del centro urbano e delle frazioni per due giorni, 18 e 19 marzo, «al fine di consentirne la pulizia, riscontrare eventuali danni e prevenire potenziali pericoli per la viabilità e (...) l'incolumità» delle persone in caso di pioggia. È stato chiesto l'aiuto della Protezione civile e, sebbene nei primi giorni si è avuto scarso riscontro, Russo ha riconosciuto che negli ultimi giorni l'impegno della direzione regionale del dipartimento di protezione civile è stato avviato «con forza»;
   sempre il comune di Zafferana ha inoltrato alle istituzioni regionali e statali la richiesta dello stato di calamità poiché, «a causa delle eccezionali proporzioni dell'evento calamitoso, non è in condizioni di fronteggiare, questa volta, detta emergenza con proprie risorse, uomini e mezzi, né di assicurare il giusto ristoro al gravissimo pregiudizio sofferto dalla popolazione» per la «riparazione dei veicoli», nonché per «gli ingenti costi occorrenti per la pulizia dei tetti e delle grondaie»; un'altra conseguenza negativa sul paese etneo è quella relativa ai «danni incalcolabili al turismo ed allo sviluppo economico» di Zafferana, denominata «Centro turistico estivo ed invernale per l'Etna»;
   a Santa Venerina, città più volte colpita in passato da eventi tellurici, l'amministrazione comunale ha diramato l'ennesimo comunicato con cui invita i cittadini a tenersi al chiuso nelle abitazioni e, laddove necessario, a circolare a moderata velocità «al fine di evitare il sollevamento di sabbie e polveri sottili»; ha disposto la chiusura degli istituti scolastici per un paio di giorni e degli stessi cimiteri;
   nel paese di Acireale, ha dichiarato negli scorsi giorni il sindaco di Acireale Nino Garozzo alla stampa, mentre ruspe e bobcat lavoravano senza sosta per ripulire le strade, «i residenti hanno dovuto rimboccarsi le maniche e cavarsela da soli, ammucchiando i sacchi con la cenere lungo i marciapiedi e liberando le grondaie prima dell'arrivo delle piogge». Rivolgendo anche un rimprovero alle istituzioni regionali e statali per «l'imbarazzante assenza, anche solo di conforto»; dal portale internet del comune di Acireale si ricava un comunicato stampa dal sapore amaro. In cui si legge che «a seguito della copiosa caduta di cenere e lapilli vulcanici (...) tra le frazioni di S.M. Ammalati, Guardia, Mangano, S. Giovanni Bosco, Pozzillo, Stazzo, S. Tecla, si è tenuta una riunione» con i maggiori responsabili istituzionali del settore di protezione civile. E, dopo una ricognizione dei danni, oltre alla richiesta dello «stato di calamità, sono stati assunti alcuni provvedimenti immediati»; l'apertura delle scuole delle su menzionate frazioni acesi è stata resa possibile grazie all'intervento dei volontari. E ancora oggi è in atto la raccolta dei sacchetti di cenere, attività che si protrarrà fino al prossimo 3 aprile. Il comune ha iniziato ad intervenire «secondo quanto previsto dal Piano di protezione civile, a partire dal centro delle frazioni, fino ad allargarsi sui perimetri stradali»;
   anche a Giarre la situazione non è migliore. È iniziata la pulizia delle arterie viarie, tra polemiche tra le fazioni politiche per presunti «ritardi e rimbalzi responsabilità tra enti locali» comunali, provinciali e regionali; la situazione è tale infatti che alla prossima seduta del consiglio comunale è stato aggiunto un punto integrativo che ha come obiettivo la «riapprovazione della delibera consiliare» già emanata qualche settimana fa per un evento simile, in modo da disporre della dichiarazione dello stato di emergenza e di «somme per iniziative necessarie in conseguenza dell'intensa e ricorrente attività vulcanica» sulla zona;
   tutti i comuni su citati, del resto, hanno invitato i propri cittadini ad armarsi di buona volontà per porsi a disposizione e coadiuvare le istituzioni nella raccolta delle ceneri e disporle in appositi sacchetti;
   i comuni sono impossibilitati ad intervenire economicamente per non sforare il patto di stabilità, così come dai loro rappresentanti dichiarato ai vari tavoli di coordinamento dell'attività di intervento;
   anche il prefetto di Catania si è attivato per convocare nei giorni scorsi un tavolo straordinario, promettendo che si sarebbe rivolto direttamente alle istituzioni regionali;
   la sera del 20 marzo 2013, infatti, si è riunito il vertice per l'emergenza cenere dell'etneo, convocato dal Presidente della regione. Sotto la coordinazione dell'assessore regionale Nicolò Marino e la partecipazione dei dirigenti generali regionali della protezione civile e del dipartimento di acqua e rifiuti, oltre al commissario della provincia catanese, dall'incontro è scaturito l'impegno del dipartimento regionale della protezione civile a proporre alla giunta del presidente Crocetta la dichiarazione dello stato di calamità e di avanzare al Governo nazionale la dichiarazione dello stato di emergenza per i comuni che hanno subìto i danni. Sarà definito, inoltre, un piano di interventi del sistema di protezione civile, «da attuare in modo automatico e strutturato per affrontare tempestivamente ed efficacemente un fenomeno che ormai si ripete con una frequenza sempre crescente, che contempli una dotazione di mezzi ed attrezzature»;
   lo stato d'emergenza è necessitato, secondo quanto risulta da fonti di stampa che hanno ripreso il dibattito dei vari tavoli istituzionali e la relazione dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, è necessitato dal fatto che l'intensa attività esplosiva del vulcano Etna avrebbe colpito oltre tutto in maniera grave le colture, in particolare delle zone intorno al comune di Zafferana etnea;
   gli agricoltori della zona ricadente nel comune di Zafferana etnea e di quelli limitrofi, che in passato si erano costituiti in una cooperativa agricola, hanno diramato un comunicato in cui specificano i danni subiti dalle attività produttive. In particolare, secondo la cooperativa «Zaufanah», «l'evento del 16 marzo è stato quello più violento verificatosi negli ultimi sessant'anni, sia per il quantitativo di lapilli che per le dimensioni»; se nel centro urbano sono ricaduti tra gli 11 e i 12 chilogrammi di sabbia e cenere vulcanica, invece «nella zona montana coltivata a frutteti, e distante dal cratere di sud-est solamente 5 chilometri», la densità di materiale piroclastico ammonta a circa «30 chilogrammi al metro quadrato». Ciò ha provocato negli alberi da frutto, come i meli, «rotture e fessurazioni alle branche primarie, secondarie e terziarie e sulle gemme a frutto». Le conseguenze si riverbereranno non solo sulla mancata produzione fruttifera dell'annata in corso, ma «anche su quelle successive»;
   gli agricoltori dell'est etneo ribadiscono che «gli eventi vulcanici degli ultimi tre anni, per il loro susseguirsi con cadenza e periodicità spesso ravvicinata, assumono carattere di continuità e non di eccezionalità». Tanto da rendere non più procrastinabile «l'adozione di provvedimenti anche di natura legislativa per dotare la Protezione civile e i comuni di strumenti e mezzi idonei a fronteggiare l'emergenza»;
   si tratta, invero, di una circostanza di gravissima crisi in un'area determinata del territorio, che deve essere fronteggiata con mezzi e poteri straordinari. E, così come previsto dalla legge n. 225 del 1992, lo stato di emergenza è finalizzato a consentire l'adozione dei provvedimenti straordinari idonei al suo superamento (e all'avvio della ripresa) –:
   se non ritenga di dover adoperarsi per approntare un adeguato piano di aiuti in termini di mezzi, risorse umane ed economiche;
   se non ritenga di disporre l'immediata convocazione del Consiglio dei ministri per approvare la dichiarazione dello stato di emergenza non appena giunga la richiesta da parte della regione siciliana;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative dirette a consentire ai comuni sopra menzionati lo sforamento del patto di stabilità, proprio al fine di tutelare la salute pubblica e la circolazione piena di persone, mezzi e merci. (4-00108)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRATTI, MARIANI e FERRANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ad esito del controllo effettuato in date 5-6-7 marzo 2013 presso lo stabilimento ILVA in Taranto, finalizzato alla verifica dello stato di attuazione degli interventi strutturali e gestionali previsti dal decreto di riesame prot. DVADEC-2012-547 del 26 ottobre 2012, facendo seguito alla precedente comunicazione ISPRA prot. 11587 in data 12 marzo 2013, nella successiva comunicazione ISPRA ha rilevato che:
    l'ammodernamento del sistema di carico scarico materiali trasportati via mare, collocato presso gli impianti marittimi, a parere del gestore risulta completato (prescrizione 5). Il sistema attuale è per taluni scaricatori tuttora a benna, ed è stato automatizzato asservendo il movimento del sistema ad una «logica» che comanda, senza possibilità di intervento degli operatori, spostamenti laterali e altezze di carico e scarico. Durante il sopralluogo, effettuato presso il secondo sporgente DM3 e DM2, si è constatato che il sistema opera senza pendolamenti visibili, con una costante ripetizione delle operazioni, senza errate aperture/chiusure delle benne e con la contestuale bagnatura della tramoggia di scarico ai nastri;
    gli interventi di chiusura dei nastri e cadute di materiali sfusi (prescrizione 6) risultano, come noto, non completati entro il 27 gennaio 2013; ILVA con nota DIR 257/12 del 17 dicembre 2012 ha richiesto modifica dell'atto autorizzativo e con DIR 19/2013 del 21 gennaio 2013 ha trasmesso il nuovo crono programma, prevedendo l'ultimazione di circa il 90 per cento degli adeguamenti entro fine 2014 e il completamento entro il 2015; come desumibile da detto nuovo crono-programma, trattasi di interventi tecnici molto articolati nel tempo, i cui lavori di esecuzione risultano alla data del sopralluogo sostanzialmente nelle fasi di avvio (emissione di richieste di acquisto, emissione di ordini, attivazione di cantieri) e solo in pochi casi completati;
    la nuova rete idranti per la bagnatura dei cumuli (prescrizione 11 indicata tra le misure gestionali da attuare subito) risulta ad oggi non realizzata; ILVA ha emesso specifico ordine di acquisto con previsione di completamento entro febbraio 2014; i soli lavori eseguiti in relazione alla rete idrica sono preliminari e riguardano i sondaggi per la caratterizzazione degli scavi, e non è risultato visibile nei parchi alcun componente ovvero alcun tratto di scavo ai fini della realizzazione della rete idrica;
    la nebulizzazione di acqua mediante apposite macchine (fog-cannon) per la riduzione delle particelle di polveri sospese generate dalla movimentazione e stoccaggio dei materiali nei parchi primari, OMO, Coke Nord e GRF (prescrizione 12 indicata tra le misure gestionali da attuare subito) risulta al momento non attiva; durante il controllo è stato acquisto il numero dell'ordine di acquisto con previsione d'installazione delle prime macchine fog-cannon entro giugno 2013 e delle rimanenti macchine entro ottobre 2013, per un totale di 8;
    l'attuale depolverazione stock house dell'AFO/2 (prescrizione 16 indicata tra gli interventi strutturali da attuare subito) in funzione risulta al momento non potenziata in vista della chiusura dell'edificio SH2; ILVA ha emesso ordine di acquisto, prevedendo la durata dei lavori in 18 mesi, con previsione di ultimare gli interventi entro il mese di luglio 2014; alla data del controllo erano in corso i primi rilievi per l'esecuzione dei lavori di chiusura, inoltre i tempi di realizzazione risultano oggi significativamente estesi rispetto a quanto già comunicato all'autorità competente e accertato nel precedente controllo di dicembre 2012; si consideri qui che la prescrizione 16 riguarda anche altri interventi strutturali di chiusura edifici per i quali l'autorizzazione indica tempi più lunghi in altre prescrizioni (40, 51, 58, 60, 65, 67);
    le emissioni gassose fuggitive dagli impianti di trattamento dei gas (prescrizione 36) degli sfiati asserviti ai serbatoi di catrame non sono state adeguate alla BAT 47, come richiesto; ILVA ha dichiarato che è prevista la consegna del progetto entro il 31 maggio 2013; al progetto farà seguito la realizzazione delle captazioni, ma non è stato possibile acquisire una previsione aggiornata per il completamento dell'intervento;
   assenza di un sistema di nebulizzazione di acqua per l'abbattimento delle particelle di polveri sospese generate dalle emissioni diffuse (prescrizione 70 quarto punto), nelle more della realizzazione dell'intervento di copertura area GRF e area di svuotamento scoria liquida dalle parole e ripresa scoria raffreddata; per la prescrizione suddetta il gestore ha adottato la soluzione impiantistica unica già esposta al punto 3, che prevede la nebulizzazione di acqua mediante apposite macchine (fog-cannon) con previsione, come detto, d'installazione delle prime macchine fog-cannon, entro giugno 2013 e completamento entro ottobre 2013, per un totale di 8;
   in relazione all'esercizio, invece, è stato accertato quanto segue:
    superamento della durata delle emissioni visibili durante il caricamento della miscela nelle batterie della cokeria (prescrizione 41); in base alle registrazioni fornite da ILVA e relative all'esercizio di fine anno 2012, sono stati riscontrati tempi quasi sempre superiori ai 30 secondi prescritti per le batterie 3-4 e 5-6, allo stato attuale ferme, e per le batterie 9-10 della cokeria, attualmente in funzione;
    superamento del limite di 20 mg/Nm3 di concentrazione di polveri per le batterie 9-10 nel reparto cokefazione della cokeria (prescrizione 42); le registrazioni (acquisite in allegato 14 al verbale d'ispezione del 7 marzo 2013) rilevano alcuni emissivi per il parametro polveri; le registrazioni fornite da ILVA, per le batterie 3-4 e 5-6 nell'ultimo trimestre di esercizio prima della chiusura, rilevano altresì alcuni superamenti, del limite di 20 mg/Nm3 di concentrazione di polveri e di 300 mg/Nm3 di concentrazione di SO2;
   superamento del valore di 25 g/t coke nell'emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento (prescrizione 49); in base alle registrazioni fornite da ILVA e relative all'esercizio di fine anno 2012, sono stati riscontrate emissioni di particolato, in alcuni casi superiori a 25 g/t coke, sia per le torri 1 e 3 (si osservi che nella lettera ISPRA prot. 11587 in data 12 marzo 2013 la torre 3 è stata per un mero errore di scrittura denominata torre 2), asservite alle batterie 3-4 e 5-6 della cokeria oggi non più in esercizio, sia per la torre di spegnimento n. 7 asservita alle batterie 11-12, attualmente in funzione;
   tale comunicazione è pervenuta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al garante di Governo per l'ILVA di Taranto, alla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 14 marzo 2013 produceva un comunicato stampa dal titolo AIA: ILVA: non risultano inadempienze dell'azienda, di fatto in contraddizione con gli accertamenti fatti dall'ISPRA;
   l'Arpa Puglia secondo le dichiarazioni riportate il 13 marzo 2013 su la Gazzetta del Mezzogiorno sosteneva la non ottemperanza delle prescrizioni dell'AIA da parte dell'ILVA;
   il garante con nota del 18 marzo 2013 comunicava alla Presidenza del Consiglio dei ministri la sua non competenza a vigilare sulle prescrizioni ambientali impartite all'ILVA –:
   quali siano le ragioni per cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è espresso in maniera opposta rispetto alle conclusioni riportate nei verbali dell'ISPRA e dalle dichiarazioni dell'ARPA Puglia;
   se intenda specificare pubblicamente quali siano i compiti del garante per giustificare il suo considerevole compenso;
   poiché il garante sostenga di non avere compiti di vigilanza ma solo di controllo amministrativo se non sia il caso di indirizzare le risorse che oggi vengono destinate al garante per potenziare l'attività di controllo;
   se non ritenga necessario che vi sia un maggior coordinamento tra l'Arpa Puglia e Ispra;
   se, alla luce dello scarso coordinamento in atto non sia il caso di favorire al più presto una riforma del sistema delle agenzie ambientali per poter dare al Paese un sistema dei controlli più moderno ed efficace. (5-00058)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a norma dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) e successive modificazioni, i soggetti residenti in Italia sono tassati su tutti i redditi posseduti, ovunque prodotti;
   a seguito dell'abrogazione della lettera c) del comma 3 del medesimo articolo 3, che prevedeva l'esclusione dalla formazione del reddito Irpef dei redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, i soggetti residenti in Italia che prestano lavoro dipendente all'estero sono soggetti, a decorrere dall'anno 2000, ad imposizione in Italia su tali redditi;
   a seguito di tale previsione è stata successivamente disposta una franchigia fiscale resasi necessaria al fine di mitigare l'imposizione fiscale su un reddito che subisce il prelievo anche nello Stato estero della fonte, in quanto erogato da un soggetto ivi residente;
   pertanto il lavoratore dipendente residente in Italia incorrerebbe in una doppia tassazione, che verrebbe solo in parte mitigata dal credito d'imposta per la parte pagata all'estero (riconosciuta fino a concorrenza della quota di imposta italiana) ai sensi dell'articolo n. 165 del testo unico sull'imposta sui redditi;
   l'articolo 29, comma 16-sexies, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, novellando l'articolo 1, comma 204, della legge finanziaria per il 2008, fissa in 6.700 euro per il 2012 la franchigia di esenzione per i redditi di lavoro dipendente prestati all'estero in zone di frontiera, che, pertanto, risulta ridotta rispetto all'esenzione pari ad euro 8.000 prevista negli anni precedenti (2008-2011);
   la franchigia inoltre non è estesa agli ammortizzatori sociali, malattia maternità e ai redditi di pensione e pertanto sembrerebbe una misura equitaria l'assimilazione del trattamento di tali redditi a quelli da lavoro dipendente;
   appare altresì prioritaria una proroga e un innalzamento della franchigia – che invece dal 2012 risulta essere stata decurtata da 8.000 a 6.700 euro – ormai inadeguata sia rispetto al progressivo aumento del costo della vita che al continuo inasprimento fiscale prodotto dalla doppia tassazione;
   il citato comma 16-sexies prevede inoltre che ai fini della determinazione della misura dell'acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuto per l'anno 2013 non si tenga conto della suddetta franchigia di esenzione;
   in sostanza, il lavoratore frontaliero deve calcolare l'imposta in acconto dovuta come se non fosse prevista alcuna esenzione dal reddito e dunque facendo concorrere integralmente il reddito di lavoro dipendente;
   l'articolo 1, comma 549, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), proroga anche per l'anno 2013 la franchigia fiscale di 6.700 euro per i redditi derivanti da lavoro dipendente prestato e prevede che anche ai fini della determinazione della misura dell'acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuto per l'anno 2014 non si tenga conto del citato beneficio fiscale;
   i lavoratori frontalieri sono quindi costretti per gli anni 2013 e 2014 ad anticipare le imposte dovute attraverso il pagamento di acconti calcolati sul cento per cento del reddito senza tener conto in fase di anticipazione delle reali tasse dovute in relazione alla franchigia fiscale;
   bisogna, inoltre, sottolineare la necessità di correggere la differenza di trattamento dell'indennità di fine rapporto per i lavoratori frontalieri: il fisco infatti tratta l'indennità di fine rapporto di tali soggetti come una normale mensilità, mentre per l'equivalente trattamento di fine rapporto italiano è prevista una diversa e più bassa tassazione;
   i lavoratori frontalieri sono considerati da sempre una risorsa per il nostro Paese, in quanto «importatori» di conoscenze in grado di produrre redditi assoggettabili a tassazione in Italia;
   secondo la relazione tecnica allegata alla legge di stabilità, risulta che il numero di lavoratori interessati dalla modifica normativa in esame, escludendo quindi i frontalieri con la Svizzera e con lo Stato della Città del Vaticano, già esenti da imposizione in Italia, è di circa 11.000 unità –:
   se non ritenga utile prevedere una proroga ed un'estensione della franchigia fiscale per i lavoratori dipendenti frontalieri sia in termini di innalzamento del limite che di inclusione dei redditi da pensione e nei casi di malattia, maternità, cassa integrazione e disoccupazione, in considerazione del progressivo aumento del costo della vita e dell'inasprimento fiscale prodotto dalla doppia tassazione cui sono incorsi i soggetti interessati;
   se non ritenga doveroso ristabilire una tassazione del trattamento di fine rapporto egualitaria tra i lavoratori frontalieri e i lavoratori italiani che sono assoggettati a una tassazione dell'indennità che risulta essere più bassa;
   se non ritenga necessario applicare, anche nel computo dell'acconto Irpef dei lavoratori dipendenti frontalieri, la citata franchigia, al fine di evitare, soprattutto in questo difficile periodo di crisi finanziaria, che gli stessi debbano anticipare le imposte attraverso il pagamento dell'acconto calcolato sul cento per cento del reddito imponibile. (3-00010)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella sua seduta del 20 marzo 2013, il consiglio provinciale della provincia di Barletta-Andria-Trani ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che chiede un intervento urgente, da parte del Ministero della giustizia, per la riapertura immediata del carcere di Spinazzola (BT), una struttura all'avanguardia moderna e perfettamente attrezzata inizialmente destinata ad ospitare detenuti sex offender;
   nel 2011 il Ministero della giustizia, nell'ambito di un piano di riordino e razionalizzazione delle strutture carcerarie, decretò la chiusura della struttura alla luce dello scarso numero di detenuti lì presenti;
   tale decisione diede il via a molte proteste sia da parte del territorio che delle istituzioni locali e regionali nella consapevolezza che fosse uno sperpero chiudere una delle poche strutture carcerarie d'eccellenza di tutto il Paese e non utilizzarla per contribuire, ad esempio, a decongestionare altri carceri che al contrario registrano situazione di estremo disagio;
   a seguito di un attento e scrupoloso lavoro condotto sia alla Camera che al Senato dai parlamentari del territorio sia con contatti diretti con i vertici politici del Ministero sia con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), nel mese di ottobre 2011 il direttore di quest'ultimo comunicò la decisione di mantenere in funzione il carcere di Spinazzola alla luce delle sue caratteristiche di eccellenza e della sua grande utilità nel contesto generale delle strutture carcerarie italiane, ma poi nulla di concreto è accaduto nonostante i numerosi solleciti (compresa una lettera dell'interrogante indirizzata al Ministro) nei confronti del Governo;
   a parere dell'interrogante, che condivide in pieno l'ordine del giorno approvato dal consiglio provinciale, sarebbe invece necessario rivedere una decisione che appare davvero inspiegabile nel momento in cui l'Italia vive una grave emergenza legata al sovraffollamento delle carceri, come da ultimo affermato dalla Corte europea dei diritti umani che in una recentissima sentenza ha condannato l'Italia per la quarta volta –:
   quali urgenti iniziative si ritenga di assumere in merito a quanto esposto in premessa, così da salvare il valore economico di una struttura all'avanguardia ma ormai lasciata in stato di abbandono e soprattutto da contribuire, in modo razionale e a costi minimi, ad alleviare la difficile situazione di sovraffollamento carcerario per la quale l'Italia è stata già più volte condannata in sede europea. (4-00107)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   ARLOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Nuovo trasporto viaggiatori spa (NTV) ha annunciato l'intenzione di fornire un servizio di collegamento ad Alta velocità, con tre coppie di treni, a partire da giugno 2013; il servizio interesserà la tratta Milano-Ancona, con fermate intermedie a Bologna, Forlì, Rimini e Pesaro al fine di collegare la dorsale ferroviaria adriatica con la linea dell'Alta Velocità esistente tra Bologna e Milano, servendo un potenziale bacino di oltre 1 milione e 200 mila utenti;
   i treni Italo di NTV percorreranno da Ancona fino a Bologna la tradizionale linea adriatica, per poi immettersi nel nodo emiliano sulla nuova linea ad Alta velocità. Il tempo di viaggio da Milano ad Ancona sarà così ridotto a sole tre ore. Anche se ancora non sono stati formalizzati gli orari, NTV propone tre coppie di treni da Milano ad Ancona e viceversa;
   tuttavia, da notizie di stampa risulta che ci sarebbero delle difficoltà tecniche che ostacolano il progetto; infatti le strutture delle banchine ferroviarie esistenti non sono strutturate sui modelli dei treni di NTV e quindi non ne consentono la fermata in tutte le stazioni; in particolare, tale situazione risulta estremamente penalizzante per la città di Rimini che con un bacino di utenza superiore ai 15 milioni di presenze annue turistiche, fieristiche e congressuali non potrebbe usufruire del servizio di trasporto offerto da NTV in relazione alla propria stazione centrale che non presenta le adeguate strutture;
   il Gruppo ferrovie dello Stato – RFI – ha dichiarato in varie occasioni sulla stampa di non avere intenzione, almeno per il 2013, di eseguire i lavori di adeguamento delle banchine, nonostante tali lavori siano poco più di una manutenzione ordinaria e che sia possibile svolgerli in poco tempo e con costi limitati, come avvenuto nel caso della stazione di Bologna;
   la stazione centrale di Rimini è un importante polo intermodale che serve l'intera riviera riminese con il suo bacino turistico e le sue attività produttive valorizzando importanti infrastrutture quali la fiera di Rimini, i palacongressi di Rimini e di Riccione e l'aeroporto Federico Fellini, rappresentando una componente essenziale nello sviluppo socio-economico del territorio;
   il ruolo di volano economico che il territorio della città di Rimini può e deve svolgere in un momento di crisi economica come quello attuale è con forza sostenuto e difeso dal sistema delle autonomie locali che stanno mettendo in campo tutte le loro energie per migliorare e valorizzare una importante destinazione quale viene riconosciuta anche a livello europeo;
   anche Trenitalia ha annunciato l'intenzione di voler portare l'alta velocità da Milano a Rimini, a partire dal 12 aprile 2013, e tale iniziativa conferma l'importanza per l'economia del Paese derivante dal pieno sviluppo dell'area romagnola che potrebbe contare su un servizio significativo di alta velocità che la collegherebbe alla rete nazionale e europea;
   la competitività di un importante distretto turistico quale è quello riminese deve poter contare su una programmazione e pianificazione dei sistemi di collegamento veloci e integrati realizzata con l'apporto di tutte le componenti pubbliche e private, che siano messe nelle stesse condizioni di operare per il bene della collettività e per la crescita del territorio garantendo alla stazione di Rimini lo standard necessario per ospitare le fermate anche dei treni di NTV –:
   se il Ministro interrogato sia informato dei fatti esposti in premessa e se non ritenga urgente intervenire per verificare la possibilità di un pronto intervento che garantisca alla stazione di Rimini lo standard necessario per consentire le fermate di tutti i treni predisponendo i necessari lavori di adeguamento delle banchine. (3-00012)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI, PARIS e FAMIGLIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento stradale Salerno-Avellino, nel tratto fra Mercato San Severino e Salerno, svolge una funzione di indubbia valenza nazionale;
   infatti, tale arteria collega le autostrade A30 Caserta ed A3 Salerno-Reggio Calabria, fungendo, quindi, da raccordo autostradale;
   di conseguenza, questa rete stradale è interessata da un enorme volume di traffico che, spesso, determina veri e propri ingorghi con code chilometriche di veicoli che paralizzano per ore la circolazione e che rappresentano un pericolo per gli utenti;
   il potenziamento e l'adeguamento di tale strada sono necessari per alleggerire e per rendere scorrevoli il traffico e le comunicazioni verso il Sud e dal Sud, attraverso il collegamento fra le autostrade A30 e A3;
   il raccordo Salerno-Avellino, allo stato, presenta condizioni di sicurezza assolutamente inadeguate, proprio per la ristrettezza e l'insufficienza della sede stradale – due sole corsie per ogni senso di marcia – e per l'elevato livello del traffico;
   il potenziamento del raccordo è una priorità assoluta nella politica infrastrutturale del Paese, essendo parte integrante dell'asse autostradale Roma-Caserta-Salerno-Reggio Calabria;
   dopo anni di discussioni in merito alla soluzione progettuale più idonea, l'Anas, ha indetto nel 2002 una gara pubblica per la progettazione dell'adeguamento dell'attuale tracciato stradale, ampliando da due a tre corsie per ogni direzione di marcia, oltre alla striscia dell'emergenza ed alla messa in sicurezza dell'intero raccordo;
   l'incarico di progettazione è stato aggiudicato alla società Bonifica Core di Roma, per il tratto da Salerno fino alla galleria di Solfora, e ad un libero professionista per il tratto ulteriore fino ad Avellino;
   da tempo la società Bonifica ha consegnato gli elaborati del progetto preliminare, unitamente alla valutazione di impatto ambientale;
   l'accelerazione dell’iter progettuale è indispensabile, attesa la rilevanza straordinaria dell'opera;
   il finanziamento del primo lotto del raccordo «Mercato San Severino-Fratte», il cui costo complessivo è stato stimato in 246 milioni di euro, venne inserito dal Governo Prodi nel piano regionale della mobilità 2007-2013 per l'importo di 190 milioni di euro; la quota residua di 56 milioni di euro avrebbe dovuto ricadere sulle risorse della legge obiettivo;
   tale finanziamento è stato tuttavia revocato e cancellato dal Governo Berlusconi con il decreto-legge n. 112 del 2008 promosso dal Ministro pro tempore Tremonti. Il Cipe, solamente nella seduta del 3 agosto 2011, ha riassegnato parzialmente il finanziamento del 1o lotto, destinando all'ammodernamento del tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino 123 milioni di euro; in seguito nessuna ulteriore risorsa è stata assegnata a questa opera di tanta rilevanza strategica per l'intero sistema autostradale italiano; né il Governo Monti ha provveduto a completare il finanziamento del 1o lotto di questa infrastruttura;
   è indispensabile acquisire tale finanziamento, tenuto conto che il progetto può e deve essere realizzato in fasi e stadi diversi e graduali, iniziando proprio dal tratto di massima rilevanza nazionale Mercato San Severino-Fratte, la cosiddetta «barriera»;
   è necessario adeguare il raccordo per garantire che il traffico veicolare dalle tre corsie della A30 raggiunga la A3 con tre corsie nel tratto salernitano, attraverso un collegamento Mercato San Severino-Salerno anche esso dotato delle necessarie tre corsie ed in regola con una moderna e funzionale messa in sicurezza –:
   in quali tempi e con quali provvedimenti il Governo intenda assegnare le ulteriori risorse (123 milioni di euro), occorrenti per finanziare integralmente la realizzazione del 1o lotto dell'accordo, nel tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, che costituisce una sorta di «lotto zero», di «porta di accesso» all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, che assolve alla funzione, così essenziale e di assoluta valenza nazionale, di raccordare le autostrade A30 ed A3 e che, come tale, è parte integrante del sistema autostradale italiano e provvede a collegare il Nord ed il Centro con il Sud del Paese;
   se il Ministero e l'ANAS intendano autorizzare, come è assolutamente necessario ed urgente, la immediata utilizzazione dei 123 milioni di euro, già assegnati e disponibili, per appaltare, senza ulteriori e dannosi rinvii e ritardi, i lavori relativi ad una parte, ad un primo stralcio del 1o lotto del Raccordo «Mercato San Severino-Fratte». (5-00059)

Interrogazione a risposta scritta:


   META, VELO, TULLO e BONAVITACOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in diversi porti sede di autorità portuale sono in scadenza o sono scaduti i presidenti delle medesime autorità avendo gli stessi svolto il mandato per quattro anni, limite previsto dal comma 2 dell'articolo 8 della legge n. 84 del 1994;
   in particolare sono cessati dal mandato i presidenti delle autorità portuali di Catania, Palermo e Napoli, mentre sono in prossima scadenza quelli di Ancona, Piombino e Olbia;
   risulta agli interroganti che il Ministro interrogato stia commissariando le predette autorità con procedimenti alquanto singolari, senza alcun criterio omogeneo e, in qualche caso, con scelte che forzano l'interpretazione della legge. Ad esempio per l'autorità portuale di Palermo è stato nominato commissario l'ex presidente che ha già svolto due mandati consecutivi. Ciò benché la citata norma stabilisca che «il Presidente ha la rappresentanza dell'autorità portuale, resta in carica quattro anni e può essere riconfermato una sola volta». Ad esempio a Catania è stato nominato un commissario per sei mesi, termine ulteriormente prorogato senza che nel predetto periodo si sia proceduto alla nomina del presidente. A Napoli è stato nominato commissario il presidente che ha cessato il proprio mandato, personalità che non figura nella terna proposta dagli enti locali al Ministero per raggiungere la prevista intesa sulla nomina del nuovo Presidente –:
   con quali criteri il Ministro interrogato abbia provveduto ai commissariamenti delle predette autorità, se siano stati coinvolti nelle scelte i rappresentanti degli enti locali preposti e quali atti intenda compiere per affermare il principio di leale collaborazione con gli enti locali, sia per i commissariamenti già disposti sia per le prossime scadenze riguardanti altre autorità portuali. (4-00101)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'OTTAVIO, MORANI e MORETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è in corso una protesta dei dirigenti scolastici appartenenti a tutte le sigle sindacali e alle associazioni di categoria in merito alle disposizioni relative ai test antialcol per gli insegnanti da effettuarsi a cura e spesa delle singole autonomie scolastiche;
   in Piemonte, in particolare, il giorno 25 marzo 2013 si è tenuta una affollatissima assemblea presso l'istituto Avogadro di Torino dove da tutti i presenti è stata denunciata l'ennesima norma teorica in materia di sicurezza che non fa i conti con la realtà;
   avere inserito gli insegnanti tra le categorie a rischio in fatto di assunzione di alcol senza accompagnare questa disposizione con le adeguate risorse economiche per assolvere ad un nuovo impegno scarica sui dirigenti scolastici-datori di lavoro una ulteriore responsabilità alla quale non sono in grado di fare fronte –:
   se sia al corrente della protesta ricordata in premessa e se intenda ascoltare le proteste dei dirigenti scolastici e quali misure intenda assumere per revocare il provvedimento o renderlo praticabile non solo sulla carta, ma con le risorse adeguate. (4-00102)


   MATTIELLO, D'OTTAVIO e BOCCUZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'acquisto dei testi per sostenere gli esami universitari per numerosi studenti è molto oneroso, al limite da negare il diritto allo studio;
   il consiglio regionale del Piemonte ha approvato un ordine del giorno avente ad oggetto «Agevolazioni per acquisto o prestito di testi universitari»;
   8000 studenti su 12000 richieste dell'università di Torino non hanno ottenuto la borsa di studio nel corso dell'anno accademico 2011-2012, pur essendo essi idonei per requisiti di merito e di reddito a ricevere tale Borsa;
   peraltro la polizia municipale di Torino in data 28 Febbraio 2013 ha disposto il sequestro di 30 copisterie nel centro di Torino a causa della violazione dei diritti di proprietà intellettuale di tipo economico;
   il decreto legislativo n. 68 del 2012, in vigore dal 15 giugno 2012, ha previsto che il fabbisogno finanziario per garantire gli strumenti ed i servizi per il pieno successo formativo di cui all'articolo 7, comma 2, della medesima disposizione, e in particolare le borse di studio, siano finanziati nelle more della completa definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e di quanto previsto dal decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, con le seguenti modalità:
    a) dal fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, appositamente istituito a decorrere dall'anno finanziario 2012 nello stato di previsione del Ministero;
    b) dal gettito derivante dall'importo della tassa regionale per il diritto allo studio istituita, ai sensi dell'articolo 3, commi 20, 21, 22 e 23, della legge 28 dicembre 1995, n. 549;
    c) dalle risorse proprie delle regioni in misura pari ad almeno il 40 per cento dell'assegnazione relativa al fondo integrativo statale –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione rappresentata in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di rafforzare il diritto allo studio universitario anche valutando la possibilità di incrementare la dotazione del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio. (4-00109)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la notizia del mancato invio a domicilio da parte dell'Inps della certificazione dei redditi da lavoro dipendente, pensione e assimilati attraverso il CUD, conseguente alle disposizioni della legge di stabilità che hanno previsto per le pubbliche amministrazioni l'utilizzo del canale telematico per l'invio di comunicazioni e certificazioni al cittadino, sta destando preoccupazione e disorientamento tra i pensionati italiani, chiamati a doversi far carico di procedure complesse, farraginose ed onerose per ottenere la documentazione di cui hanno potuto sinora beneficiare per gli adempimenti fiscali;
   si tratta di una misura che scarica sugli utenti, in particolare su una categoria debole come i pensionati, gli effetti dei tagli di spesa per le pubbliche amministrazioni;
   la disponibilità e la consuetudine nell'utilizzo dei canali telematici rappresentano per molti pensionati un ostacolo insormontabile, soprattutto per coloro che appartengono alle classi di età più avanzate. Secondo una ricerca del 2011 sulla diffusione dell’«online» in Italia, condotta dalla società Audiweb, preso a riferimento un giorno medio di accessi alla rete, solo il 14,3 per cento degli utenti è rappresentato da cittadini di età tra i 55 e i 74 anni, e lo 0,6 per cento da cittadini di età superiore a 74 anni –:
   quali iniziative si intendano adottare al fine di limitare quanto più possibile i disagi per i pensionati italiani derivanti dall'applicazione di dette disposizioni;
   se non ritenga di dover attivare una diffusa iniziativa di comunicazione che consenta di avvalersi dei servizi – da intendersi in ogni caso a titolo completamente gratuito – alternativi alla comunicazione telematica;
   se non ritenga che possa essere data applicazione graduale a tale procedura, garantendo comunque ai pensionati più anziani il mantenimento dell'invio a domicilio della documentazione relativa alla loro condizione reddituale. (3-00011)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOCCUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24, comma 1, del decreto «Salva Italia» fa espresso riferimento «all'abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli»;
   i lavoratori esposti all'amianto che hanno contratto o potrebbero contrarre malattie gravi che possono portare alla morte, non sono rientrati in tale deroga, nonostante il «tempo di latenza» delle malattie correlate possa essere anche di 40 anni;
   non aver previsto deroghe allunga l'età pensionabile a chi ha un aspettativa di vita ridotta applicando gli aumenti di tre mesi in funzione della speranza di vita e applica le penalizzazioni per pensionamento prima dei 62 anni a chi usufruisce di un beneficio di legge;
   di fatto si tratta di una norma del tutto ingiustificata che finisce per penalizzare una categoria di lavoratori tra i più a rischio e che meriterebbe il massimo delle attenzioni e delle tutele, così come previsto dalla previgente disciplina –:
   alla luce delle prime evidenze emerse dall'applicazione della citata disposizione, se non ritenga necessario verificare le conseguenze sui lavoratori interessati, tenendo conto delle loro peculiari condizioni di salute, anche ai fini di una possibile revisione della norma. (5-00060)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MIOTTO, LENZI, ARGENTIN, BOSSA, BURTONE, D'INCECCO, GRASSI, MURER e SBROLLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sezione lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza n. 7320 del 22 marzo 2013, è intervenuta nuovamente sulla questione dei limiti reddituali da applicare ai fini della concessione della pensione agli invalidi civili affermando che il reddito a cui fare riferimento non è solo quello individuale, ma deve essere sommato a quello del coniuge, se presente, ribadendo, quindi, quanto già affermato nella sentenza del 2011 (sezione lavoro, n. 4677 del 25 febbraio 2011);
   in precedenza con la sentenza n. 4677 del 25 febbraio 2011, la Corte di cassazione aveva stabilito che il limite reddituale previsto per la concessione della pensione di invalidità civile agli invalidi al 100 per cento (fissato nel 2011 a 15.154,24 euro) non era solo quello personale, ma anche quello dell'eventuale coniuge;
   già la sentenza del 2011 era di segno contrario rispetto a precedenti – fra l'altro recenti – pronunzie della Corte stessa (sentenze numeri 18825 del 2008, 7259 del 2009 e 20426 del 2010);
   gli interventi della Corte di cassazione, trovano fondamento nella farraginosità della normativa vigente e, benché, non pronunciati a sezioni unite, rappresentino solo un orientamento giurisprudenziale che può essere motivatamente superato da altre sentenze, vanno letti con grande prudenza in quanto mettono a rischio le pensioni di oltre 850.000 persone;
   già a fine 2012 l'INPS aveva emanato una circolare che prevedeva il computo del reddito coniugale (e non più individuale) ai fini della concessione della pensione e, solo in seguito alle proteste delle associazioni e dei sindacati e al conseguente intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la circolare era stata ritirata dall'INPS in attesa, appunto, di un'istruttoria fra il Dicastero e l'Istituto;
   la nuova sentenza, non essendo legge non incide immediatamente sulle prestazioni di milioni di invalidi civili, ma potrebbe comunque condizionare il confronto in corso fra INPS e Ministero del lavoro e delle politiche sociali proprio su questo tema –:
   a che livello sia il confronto tra l'INPS e il Ministro interrogato, quali siano gli orientamenti del Governo e se il Governo non ritenga doveroso assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza affinché non solo sia fatta chiarezza sulla normativa in questione ma vengano garantiti i diritti di tutte quelle persone che a fronte di una invalidità del 100 per cento si vedono corrispondere 275 euro mensili. (4-00103)


   CARELLA e PIAZZONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la società Montebovi Industrie Roma Srl è una storica industria italiana sita nel comune di Lanuvio specializzata nella produzione e distribuzione di tipici prodotti italiani da forno, biscotti, torte e panificati. Nello stabilimento sono operativi 90 dipendenti tra operai, impiegati e quadri;
   la direzione aziendale il giorno 5 ottobre 2012 comunicava per iscritto alle rappresentanze sindacali che le quote della società erano state vendute ad altra società e che da visure camerali la nuova proprietà risultava il consorzio Pulisystem società cooperativa di pulizia e facchinaggio di proprietà del signor Fabrizio Coscioni, con sede legale ad Aprilia;
   la direzione aziendale attraverso la stessa comunicazione comunicava lo spostamento dello stipendio di settembre a fine ottobre 2012, dividendo in due tranche lo stesso pagamento;
   in data 12 ottobre 2012 sono stati collocati in ferie forzate 21 dipendenti a far data 15 ottobre 2012 fino esaurimento, facendo riferimento all'eventuale futuro impiego di ammortizzatori sociali;
   in data 12 ottobre è stata presentata alle organizzazioni sindacali e alle rappresentanze una comunicazione per attivazione della procedura di consultazione sindacale per trasferimento, tramite affitto, della produzione con 59 operai – articolo 47 della legge n. 428 del 1990 e articolo 2112 del codice civile in favore di una società neo costituita con denominazione Dolciaria Srl;
   quest'ultima società, da visura camerale, è risultata di proprietà del signor Fabrizio Coscioni;
   la procedura di cui sopra prevede che almeno 30 dipendenti, tra manutentori, impiegati ed operai rimangano con la Montebovi Industrie Roma Srl;
   il 17 ottobre 2012 in seguito a tre giorni di sciopero è stato redatto un verbale d'incontro tra le organizzazioni sindacali e la direzione aziendale per verificare in un incontro successivo fissato per il 19 ottobre 2012 l'opportunità e la gestione della cassa integrazione guadagni ordinaria;
   nell'incontro del 19 ottobre 2012 le organizzazioni sindacali chiedevano la possibilità di concordare una cassa integrazione guadagni ordinaria a rotazione visto la grande polifunzionalità delle maestranze e che la direzione aziendale della Montebovi Industrie Roma Srl non accettava, insistendo su un percorso di cassa integrazione guadagni ordinaria solo per le persone messe in ferie forzate individuate in maniera unilaterale;
   in data 25 ottobre 2012 è stata presentata dalla Montebovi Industrie Roma Srl alle organizzazioni sindacali e alle rappresentanze sindacali una procedura licenziamento collettivo ex articolo 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 per 21 lavoratori tra operai, manutentori ed impiegati;
   il giorno 30 ottobre 2012 la direzione aziendale Montebovi Industrie comminava, a seguito dello sciopero pomeridiano, le contestazioni disciplinari a 3 dipendenti di cui 1 rappresentante sindacale, inoltrando gravi accuse smentite per iscritto da almeno 30 dipendenti, sospendendoli cautelativamente;
   per l'espletamento della consultazione obbligatoria prevista dalle normative vigenti sul trasferimento del ramo d'azienda, articolo 47 della legge n. 428 del 1990 e articolo 2112 del codice civile, la direzione aziendale convocava presso il proprio stabilimento le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali per il giorno 2 novembre 2012;
   il giorno 2 novembre 2012 la direzione aziendale della MIR Srl non permetteva l'accesso nei locali aziendali, in violazione a quanto previsto dalla legge n. 300 del 1970, al rappresentante sindacale sospeso in seguito al provvedimento disciplinare di cui sopra;
   a seguito del diniego aziendale l'incontro del 2 novembre è stato svolto presso l'aula consiliare del comune di Lanuvio, alla presenza dell'assessorato delle attività produttive. A cui facevano seguito n. 2 verbali:
    nel primo le organizzazioni sindacali prendevano atto della richiesta aziendale di congelare la procedura per l'articolo 47 della legge n. 428 del 1990 e l'articolo 2112 del codice civile in favore di Dolciaria Srl fino al successivo incontro che veniva fissato per 12 novembre 2012, sempre presso l'aula consiliare del comune di Lanuvio;
    nel secondo verbale le parti concordavano il reintegro in servizio dei dipendenti messi in ferie forzate che da precisa verifica non ne risultavano avere più capienza, cioè non avevano ferie e permessi residui;
   il 7 novembre 2012 veniva fatta recapitare alle organizzazioni sindacali la notizia che il rappresentante della MIR Srl che aveva condiviso l'accordo del 2 novembre non rappresentava più la società datrice dal 26 ottobre 2012;
   quanto concordato in data 2 novembre non veniva rispettato, in quanto diversi dipendenti senza ferie residue venivano lasciati in ferie forzata;
   le organizzazioni sindacali nel manifestare tutto il proprio sdegno e la propria indignazione contestavano l'operato dell'azienda MIR Srl;
   l'azienda lo stesso 7 novembre comunicava le modalità del pagamento dello stipendio di ottobre dilazionando ancora in 2 tranche, l'ultima della quale al 30 novembre 2012 per lo stipendio;
   l'azienda Montebovi Industrie Roma Srl il giorno 12 novembre 2012 non si presentava all'incontro prefissato presso la sala comunale di Lanuvio, senza almeno preavvertire della sua assenza né le organizzazioni sindacali né l'assessorato stesso;
   le maestranze della Montebovi e della Dolciaria Srl di proprietà del signor Coscioni Fabrizio sono in sciopero dal 26 novembre 2012 per 24 licenziamenti, illegittimo affitto di rapporti di lavoro nonché per ferie forzate di 21 dipendenti e ritardo degli stipendi;
   si intende segnalare anche che nei turni notturni del 27 e 28 novembre 2012 in sostituzione dei dipendenti in sciopero è stato impiegato nelle linee di produzione personale esterno fatto entrare in azienda dai vigilanti presenti in azienda –:
   se si intenda verificare se la società di cui in premessa agisca nel pieno rispetto delle leggi vigenti e se ci siano anche i presupposti per la denuncia di comportamenti antisindacali. (4-00106)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione di Francavilla a Mare (provincia di Chieti) nel 2012 ha deciso di abbattere ben 55 tigli cinquantenari, nel pieno centro cittadino, col pretesto di dover rifare i marciapiedi (attività per la quale non è necessario l'abbattimento degli alberi, come giustamente sostiene il Corpo forestale dello Stato);
   contro questo progetto sono scese in campo tutte le maggiori associazioni ambientaliste (WWF, Legambiente, Italia nostra, CONALPA, ecc.) ed è nato un comitato di cittadini per contrastare il progetto, proponendo soluzioni alternative al tagli di alberi che, per quanto ragionevoli, sono rimaste inascoltate. È stato inoltre inviato un esposto all'autorità giudiziaria contro il taglio dei 55 tigli;
   il comune ha già approvato il progetto esecutivo e ha aggiudicato l'appalto a una ditta che a breve potrebbe radere al suolo gli alberi;
   nel frattempo è entrata in vigore la legge 10 del 14 gennaio 2013 recante «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani» che disciplina la tutela degli alberi di particolare pregio in ambito urbano e stabilisce che tali alberi possono essere abbattuti solo in determinati casi e previo parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato. In particolare l'articolo 7 della legge 10 del 2013 inserisce tra le piante monumentali anche «i filari e le alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, storico e colturali» come è appunto il caso dei 55 tigli di Francavilla a Mare (CH);
   il Corpo forestale dello Stato ha avuto un incontro con l'amministrazione comunale di Francavilla a Mare e successivamente ha scritto una lettera a firma della comandante provinciale di Chieti con la quale si evidenzia un parere negativo all'abbattimento invitando l'amministrazione ad adottare un atteggiamento prudente nei confronti dei suddetti tigli, che sono stati piantati negli anni cinquanta ed hanno un importante valore, non solo ambientale, per la capacità di abbattere l'inquinamento e le polveri sottili, ma anche storico e paesaggistico, per le dimensioni, per il fatto di essere disposti a doppio filare per più di due chilometri, per la loro bellezza. La lettera del Corpo forestale dello Stato di Chieti si conclude «confermando il concetto per cui appare difficilmente accettabile, anche alla luce del recente inquadramento normativo, un taglio a raso come unica soluzione percorribile»;
   secondo stime scientifiche del «Coordinamento Nazionale per gli alberi e il Paesaggio» ognuno di quei tigli ha un valore economico di 8 mila euro per un totale di 440 mila euro per non parlare del decoro e della bellezza che conferiscono al centro di Francavilla a Mare, e della tutela della salute dei cittadini per il contrasto che operano nei confronti dell'inquinamento;
   ciononostante l'amministrazione comunale di Francavilla a Mare è intenzionata a procedere al taglio dei 55 tigli –:
   quali iniziative intendano assumere per evitare una scelta irreparabile che contraddice la legge nazionale n. 10 del 2013, laddove prevede un parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato che ha proposto soluzione radicalmente diverse dall'abbattimento a raso. (4-00100)


   DAL MORO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, relativo al federalismo municipale, modifica profondamente l'imposta di registro, prevedendo due sole aliquote: 9 per cento per i trasferimenti degli immobili in genere e 2 per cento se si tratta di prima casa;
   la norma prevede che il nuovo regime entri in vigore dal 2014;
   lo stesso intervento prevede nel comma 4 dell'articolo 10 di eliminare tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie anche se previste in leggi speciali;
   questa specificazione eliminerebbe di fatto l'agevolazione per la piccola proprietà contadina;
   sopprimendo questa agevolazione si creerebbe un ulteriore ostacolo all'ingresso di giovani imprenditori nel settore agricolo, uno dei pochi comparti che cresce in termini di occupazione e che vede un crescente interesse da parte delle nuove generazioni –:
   come il Governo intenda intervenire e quali iniziative intenda assumere per evitare che questa agevolazione fiscale riguardante la piccola proprietà contadina venga cancellata. (4-00105)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   le cronache giornalistiche hanno trattato nel tempo i drammatici casi di alcuni bambini affetti da patologie incurabili, quali ad esempio il caso di Celeste, malata di atrofia muscolare;
   in questo, nonché negli altri casi di patologie terribili che affliggono numerosi bambini, quali ad esempio il morbo di Krabbe, non esistono al momento cure che consentano di arrestare o far regredire la malattia, pertanto chi ne è colpito è destinato ad una morte certa che giunge al termine di un decorso della malattia particolarmente devastante, a cui i familiari sono condannati ad assistere impotenti;
   l'unica possibilità, in relazione a tali drammatici casi, è rappresentata dalle cure cosiddette compassionevoli, disciplinate dal decreto ministeriale 5 dicembre 2006, la cui efficacia è stata prorogata poi dal Ministro Fazio nel 2008 (decreto Turco/Fazio), recante «Utilizzazione di medicinali per terapia genica e per terapia cellulare somatica al di fuori di sperimentazioni cliniche e norme transitorie per la produzione di detti medicinali»;
   a tali cure possono accedere pazienti affetti da malattie per le quali non sussistono valide alternative terapeutiche, nei casi di urgenza ed emergenza che pongono il paziente in pericolo di vita, nonché nei casi di grave patologia a rapida progressione;
   le cure compassionevoli possono quantomeno alleviare le sofferenze connesse alle patologie e, in tal senso, hanno dimostrato particolare efficacia le iniezioni di cellule staminali mesenchimiali, ricavate dal midollo osseo di un donatore. Tali cellule non hanno un costo a carico del Sistema sanitario nazionale, a differenza di quelle delle cosiddette cell factory dell'AIFA che, invece, vengono pagate;
   la nuova cura, messa a punto dalla Stamina e dal dottor Andolina (già responsabile dei trapianti del midollo all'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico «Burlo Garofolo» di Trieste) ha mostrato, dopo una sola infusione delle cinque previste, positivi risultati terapeutici e potrebbe portare sollievo a migliaia di persone affette da gravi malattie neurodegenerative che attendono di essere curate;
   tali tipi di cure, nel nostro Paese, sono state prestate solo negli spedali riuniti di Brescia e dalla Stamina Foundation, a fronte di numerosissimi casi di famiglie che chiedono il trapianto di staminali; il Ministero della salute autorizzò tali cure compassionevoli e l'AIFA espresse, a riguardo, un parere favorevole;
   in data 15 maggio 2012 è intervenuto il provvedimento dell'AIFA che ha imposto il divieto alla somministrazione delle cellule staminali secondo il cosiddetto «metodo Stamina» in quanto ritenuto potenzialmente pericoloso per la salute;
   conseguentemente, ad oggi, per l'accesso alle cure menzionate vi è la necessità di ricorrere al tribunale, nella funzione di giudice del lavoro, unica istituzione legittimata a rimuovere il divieto imposto dall'Alfa che si interpone alla realizzazione dei diritti dei piccoli;
   l'ordinanza n. 1/2012 del 15 maggio 2012 emessa dall'AIFA è stata oggetto di opposizione innanzi al T.A.R. di Brescia sia da parte dell'azienda ospedaliera, sia da parte della regione Lombardia, la quale è intervenuta volontariamente ad adiuvandum della stessa azienda ospedaliera. Entrambi i convenuti chiedono al TAR di «annullare l'ordinanza n. 1/2012 del 15 maggio 2012 e, per quanto possa e occorrere, gli atti istruttori che hanno preceduto l'emanazione» ritenendola priva di fondamenta e illegittima;
   desta perplessità che, nonostante le pesanti motivazioni contenute nell'ordinanza dell'AIFA in relazione alla mancanza dei necessari requisiti di affidabilità dal punto di vista strutturale e medico – scientifico del laboratorio degli spedali riuniti di Brescia, questo non sia stato chiuso del tutto, ma siano state vietate solo le attività della Stamina;
   in favore della terapia con Stamina si sono schierati circa 40.000 medici associati a Consulcesi, nonché i genitori che reclamano la continuazione della relativa terapia per i loro familiari e migliaia di genitori che reclamano tale terapia per la prima volta;
   il blocco della terapia con Stamina, protratto fino all'esito finale della sperimentazione clinica, significherebbe cagionare volontariamente lesioni psicofisiche e morte a tutte le migliaia di malati che non potranno accedervi;
   va segnalato che il dottor Marino Andolina, preannunciando una querela nei confronti di una giornalista del Corriere della Sera che aveva attribuito effetti limitati e controproducenti alla terapia con Stamina, in relazione ad alcuni casi non andati a buon fine, ha precisato «... Il punto che non le perdono è quello di aver scritto che le cellule usate erano di Stamina. Non escluso che questa affermazione non le costi una querela, in carenza di rettifica. Le cellule che io e poi altri del Burlo abbiamo usato a Trieste nei bambini con SMA, in attesa che si aprisse l'esperienza di Stamina a Brescia, venivano dalla stem cell factory di Monza, autorizzata dall'AIFA. Queste cellule sono “farmaci” e non possono essere trattate che in un solo modo. Quando ho chiesto di modificare di poco la metodica per evitare che le cellule fossero iniettate nel sistema nervoso centrale ormai prossime alla maturazione in osso, mi hanno risposto che l'AIFA non avrebbe permesso tale modifica. Le cellule di Monza e di tutti i laboratori “autorizzati” non rigenerano i tessuti nervosi, ma come dimostrato da un brillante ricercatore del Burlo (poi imbavagliato) hanno un effetto anti-infiammatorio bloccando con una proteina l'attività dei macrofagi cerebrali (microglia). Quando una cellula nervosa è sofferente la microglia la uccide (apoptosi). Quindi a Celeste ed agli altri bambini noi avevamo impedito temporaneamente la morte cellulare “programmata” con un effetto praticamente farmacologico. Tale effetto dura esattamente 30 giorni. Due bambini che hanno sospeso la terapia sono morti. Celeste e Sebastian che avevano sospeso per 3 mesi la terapia al Burlo sono arrivati a Brescia completamente paralizzati. Nessuna persona in buona fede può dubitare, anche senza leggere i referti dei neurologi di Brescia, vedendola muoversi su TGCom e Le Iene, che la terapia Stamina funzioni...»;
   tutto ciò considerato, appare senza dubbio positiva la notizia dell'approvazione, in data 21 marzo 2013, di un decreto-legge sulla materia da parte del Consiglio dei ministri che, in particolare, autorizzerebbe l'uso delle staminali per chi ha iniziato la terapia con il metodo Stamina; tuttavia, sarebbe auspicabile un intervento che, più in generale, garantisse a tutti la possibilità del ricorso a tali terapie, così come finora eseguite a Brescia –:
   se il Ministro interpellato, pur durante una eventuale sperimentazione, non ritenga di dover contemporaneamente intraprendere iniziative urgenti per garantire a tutti la terapia con Stamina già praticata a Brescia ed estenderla a tutto il territorio nazionale, nelle strutture sanitarie che ne facciano richiesta, in tal modo garantendo il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione, anche alla parte di persone affette da patologie incurabili, quali ad esempio il morbo di Krabbe, la malattia di Nieman Pick, la leucodistrofia metacromatica, l'atrofia muscolare, rispetto alle quali i tempi di attesa di vita della terapia sono incompatibili con quelli di una sperimentazione.
(2-00013) «Ricciatti, Migliore, Ferrara, Aiello, Nardi, Quaranta, Piras, Scotto, Paglia, Di Salvo, Piazzoni, Pellegrino, Melilla, Pannarale, Kronbichler, Marcon, Pilozzi, Lavagno, Claudio Fava».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ha destato molto interesse e grande preoccupazione il caso della piccola Sofia, la bimba fiorentina di 3 anni e mezzo affetta da leucodistrofia metacromatica, malattia degenerativa terminale che porta a progressiva paralisi e cecità;
   i genitori di Sofia hanno dato l'autorizzazione, seguendo la strada di molte altre famiglie, a sottoporre la bimba al nuovo metodo di cura sperimentato da «Stamina Foundation». Dopo la prima infusione di staminali, un giudice di Firenze ha imposto l'interruzione della cura, mentre altri giudici, in Italia, si sono pronunciati in maniera opposta;
   l'ampia discrezionalità in materia è possibile in mancanza di una specifica regolamentazione, perché non ci sono ancora sufficienti dati scientifici che confermino l'oggettiva validità della cura, per cui il responso è spesso completamente divergente sia in ambito clinico che tra gli stessi magistrati;
   sul caso è intervenuto anche il consiglio comunale di Firenze con un appello al Ministro della salute affinché la piccola Sofia possa essere curata con le staminali prodotte da «Stamina Foundation»;
   il Ministro della salute ha risposto che: «non è il Ministero a decidere se una terapia deve essere interrotta oppure no: nei mesi scorsi l'Aifa ha effettuato accertamenti e ispezioni, mentre la magistratura ha aperto alcune inchieste sul caso della “Stamina Foundation”, il cui protocollo è contestato sia dal Ministero della salute che dall'Aifa»;
   i risultati dell'indagini dell'Aifa – ha precisato il Ministro – sostengono che «il trattamento al quale era sottoposta Sofia era dannoso per la sua salute. Per questo la cura è stata interrotta». Obiezione a cui la mamma di Sofia ha ribattuto dicendo: «Dopo la prima infusione mia figlia è migliorata sotto diversi aspetti e soprattutto ha avuto salva la vita»;
   il Ministro della salute Renato Balduzzi ha comunque garantito a Sofia e a tutti gli altri bambini che hanno già iniziato questo protocollo di cura, la possibilità di fare la seconda infusione della cura già avviata; nel decreto-legge del 21 marzo si parla di: «una norma basata sul principio etico per un trattamento sanitario avviato, se non da gravi effetti collaterali, va proseguito»;
   in questo caso sembra esserci un evidente stato di conflitto tra il diritto dei genitori a garantire alla figlia il miglior trattamento disponibile in un determinato momento, anche se di natura semplicemente compassionevole e il dovere del Ministero di garantire la qualità dei trattamenti disponibili sulla base di specifiche evidenze scientifiche: resta sempre valido infatti l'antico imperativo ippocratico: «Primum non nocere»;
   se infatti il trattamento per Sofia proseguirà presso gli spedali civili di Brescia, restano fuorilegge i casi di molti altri bambini, il cui trattamento deve essere autorizzato dai giudici e successivamente condiviso e sostenuto sul piano operativo dal Ministero della salute; la disparità di posizioni nelle diverse regioni è vissuta dai genitori dei bambini affetti da patologia analoghe come una profonda ingiustizia, che aggiunge dolore a dolore e sofferenza a sofferenza;
   che sia la magistratura a decidere se si debba o meno proseguire una determinata sperimentazione esula dalla natura stessa della ricerca scientifica, dei suoi canoni teorici e dalla valutazione dei suoi risultati; all'ospedale Burlo-Garofalo di Trieste i risultati ottenuti con la sperimentazione in questione sono decisamente negativi e sono stati sospesi per ragioni cliniche: su cinque bambini sottoposti alla sperimentazione due sono morti e gli altri tre hanno dovuto sospendere la «cura», perché non solo non ne ricavavano vantaggi ma c'erano anche segni di peggioramento;
   d'altra parte la ricerca sulle cause e sulle possibilità di cura delle malattie rare in Italia è ancora fortemente penalizzata da una carente normativa specifica che sostenga gli investimenti nel campo dei cosiddetti farmaci orfani, mentre in Francia – ad esempio – esistono specifiche norme che facilitano gli investimenti e sostengono la sperimentazione;
   per una serie di ragioni di natura prevalentemente commerciale, la necessità di brevettare tempestivamente i metodi sperimentali per tutelarli da una forte concorrenza industriale, rendono più complessa una tempestiva trasparenza scientifica, indispensabile per garantire il malato da potenziali sperimentazioni prive di adeguato fondamento scientifico, che lo ridurrebbero ad una sorta di cavia; ma proprio per questo serve una normativa chiara a forte tutela del diritto dei malati ad una cura sicura –:
   quale sia il parere dato dai rispettivi comitati etici degli ospedali in cui si realizza la sperimentazione della «Stamina Foundation» (Brescia, Pesaro, Trieste, e altri);
   in che modo e in base a quali criteri si stia affrontando il caso di Sofia attorno al quale si è concentrata l'opinione pubblica e quali iniziative si intendano prendere per garantire a tutti i pazienti con malattie rare un equo accesso alle cure, anche a quelle di carattere sperimentale, e ai servizi socio-sanitari, per non lasciare sole le persone malate e le loro famiglie;
   se non ritenga necessario intervenire anche sul piano normativo, per garantire, per quanto di propria competenza, che, per quanto riguarda le malattie rare e i possibili trattamenti sperimentali, vengano adottate misure analoghe in tutto il Paese, per tutelare il diritto alla salute senza distinzioni regionali;
   se non ritenga urgente avviare uno studio scientifico rigoroso per sgombrare il campo da polemiche, di ricercatori e personaggi di cultura, favorevoli o contrari all'uso di terapie che non sembrano avere una comprovata efficacia e appaiono addirittura pericolose. (3-00009)

Interrogazione a risposta scritta:


   MIOTTO, NACCARATO e NARDUOLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal 1997 presso l'ospedale di Conselve, collocato nella ULSS 17, opera il Centro multidisciplinare per la riabilitazione, previsto dalla programmazione regionale del Veneto, gestito in collaborazione con l'azienda ospedaliera di Padova che non disponeva di idonei spazi per i servizi abilitativi;
   nei mesi scorsi è intervenuta un'intesa fra l'azienda ospedaliera di Padova e l'azienda sanitaria locale n. 17 che modifica il precedente accordo fra le due aziende ed affida l'intera gestione del centro riabilitativo all'azienda n. 17, in assenza del reperimento dei necessari spazi presso l'azienda ospedaliera di Padova ed in mancanza di idoneo aggiornamento della programmazione sanitaria regionale;
   nel frattempo sono stati completati i lavori di ristrutturazione dell'ospedale di Conselve, finanziati quasi interamente dallo Stato, e due nuovi piani sono da tempo completati per ospitare fino ad ottanta posti letto in coerenza con l'originaria impostazione programmatoria che prevedeva a Conselve la riconversione dell'ospedale in un centro di eccellenza per la riabilitazione, a disposizione anche per le esigenze dei pazienti provenienti da Padova;
   il Patto per la salute prevedeva come indice di riferimento standard per le attività di lungodegenza e riabilitazione lo 0,7 per cento e la programmazione sanitaria per il raggiungimento di tale obiettivo teneva conto anche degli ottanta posti letto presso l'ospedale di Conselve;
   nell'atto – sopra citato – contenente la modifica delle intese esistenti fra le due aziende è stato peraltro stabilito il termine del 31 marzo 2013 per il diritto di opzione del personale dipendente dall'azienda ospedaliera di Padova, – medici esclusi –, che ha finora garantito il servizio a Conselve;
   questa scadenza così ravvicinata e l'assenza della programmazione regionale hanno determinato una situazione di grande preoccupazione nei pazienti e fra gli operatori ed hanno legittimamente creato allarme fra la cittadinanza, perché si potrebbe creare un vuoto decisionale e di governo, pericoloso per la sopravvivenza del Centro e soprattutto per il mantenimento dei livelli di assistenza che finora sono stati garantiti;
   la programmazione non definita, la scadenza per l'opzione dei dipendenti in assenza di prospettive definite, locali nuovi non attivati, rappresentano fattori di grande preoccupazione per il futuro nella erogazione di un servizio essenziale per garantire i livelli essenziali di assistenza ai cittadini che ne hanno diritto –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto rappresentato in premessa, anche in relazione all'intesa tra l'azienda ospedaliera di Padova e l'azienda sanitaria locale n. 17, con particolare riferimento al rischio della compromissione dei livelli essenziali di assistenza nella provincia di Padova considerato che i cittadini malati provenienti da Padova e dal territorio della azienda sanitaria locale n. 17 che necessitano di prestazioni riabilitative che finora erano assicurate a Conselve e che ora rischiano di subire un forte ridimensionamento, potrebbero non godere di una adeguata copertura sanitaria nel delicatissimo settore della riabilitazione;
   quanto siano costati i lavori di ristrutturazione del quarto e quinto piano dell'Ospedale di Conselve, finanziati quasi esclusivamente dallo Stato, e se risulti quando sia prevista l'apertura dei servizi nei locali ristrutturati. (4-00104)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, BRATTI e BARUFFI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 luglio 2002, la società Independent gas management srl (IGM), ha presentato al Ministero delle attività produttive istanza per concessione di stoccaggio sotterraneo di gas naturale nell'area di «Rivara», provincia di Modena, comprendendo porzioni territoriali dei comuni di San Felice Sul Panaro, Finale Emilia, Camposanto, Medolla, Mirandola, e Crevalcore in provincia di Bologna;
   il progetto prevede uno stoccaggio di 3,2 miliardi di gas in un'area di 120 chilometri quadri e sarebbe, in Italia, il primo impianto di questo tipo;
   nel 2005 è stato espresso parere favorevole sull'idoneità tecnica del progetto. Nel novembre 2006 è iniziata l'istruttoria per la valutazione di impatto ambientale conclusasi, nel luglio 2007, con la richiesta al soggetto proponente di fornire ulteriori chiarimenti e integrazioni in mancanza dei quali, la procedente commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non avrebbe potuto esprimere un parere positivo;
   nell'agosto del 2009 la società Erg Rivara Storage, costituita dalla precedente richiedente e dalla società Erg Power e Gas, ha presentato un nuovo progetto di stoccaggio nel medesimo sito allo scopo di esperire la procedura di compatibilità ambientale;
   il 25 maggio 2011 la Commissione ambiente e lavori pubblici ha approvato una risoluzione con la quale impegna il Governo «ad assumere una posizione politica precisa sull'inopportunità della scelta della realizzazione del deposito di gas Rivara, allo scopo di evitare di sottoporre il territorio e i cittadini a rischi imprevedibili conseguenti alla mancanza di sicurezza sismica e geologica del sito che dovrebbe ospitare il deposito, oltre che per ragioni di criticità ambientale»;
   con parere approvato il 17 giugno del 2011 la citata Commissione VIA-VAS, non essendo in condizione di valutare ipotesi alternative e concludere, comunque, la procedura di compatibilità ambientale, esprime il proprio consenso all'avvio di una campagna di indagini geognostiche secondo il programma e con le finalità indicate dal proponente, vale a dire delle indagini dirette ad accertare in concreto la realizzabilità dell'impianto di stoccaggio, facendo presente che l'autorizzazione definitiva, come previsto dalla normativa vigente, è di competenza del Ministro dello sviluppo economico d'intesa con la regione Emilia Romagna;
   risulta agli interroganti che la Commissione ministeriale VIA-VAS si sia nuovamente riunita, il 25 novembre 2011, per esprimere un nuovo parere favorevole, quindi sostanzialmente identico a quello già espresso precedentemente, circa la realizzazione della suddetta «fase di accertamento»;
   la regione Emilia Romagna, che già nell'ottobre 2009, con la risoluzione del consiglio regionale n. 4903/2009, aveva invitato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a valutare soluzioni alternative, ha espresso parere contrario al progetto con delibera in data 8 febbraio 2011 e ancora con nota inviata dall'assessore regionale competente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 29 novembre 2011, fornendo «oggettivi, ineludibili e incontestabili elementi di pericolosità presenti nell'area di Rivara» che renderebbero il sito incompatibile con «operazioni di immissione ed estrazione del gas», ed esporrebbero la popolazione e l'ambiente ad un «rischio difficilmente quantificabile anche a seguito di ulteriori studi e pertanto non valutabile con il margine di certezza necessario in applicazione del principio di precauzione sancito dal diritto comunitario»;
   ripetutamente a partire dal 2005, i comuni interessati e la provincia di Modena, hanno espresso, sulla scorta delle indicazioni fornite da numerosi esperti, la contrarietà all'intervento, in quanto l'impianto non fornisce sufficienti garanzie in termini di sicurezza e tutela ambientale;
   oltre alle istituzioni e agli enti locali, anche i comitati dei cittadini, appositamente costituiti, e le forze politiche, sia di maggioranza sia di opposizione, hanno più volte manifestato analoga contrarietà al progetto, evidenziandone l'insufficiente sicurezza;
   l'area interessata dal citato progetto è compresa, com’è noto, nella vasta zona interessata dai disastrosi eventi sismici dello scorso maggio. I comuni di San Felice Sul Panaro, Finale Emilia, Camposanto, Medolla, Mirandola, e Crevalcore, interessati dal deposito sotterraneo, sono tutti compresi nell'elenco, di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 1o giugno 2012, relativo ai comuni danneggiati del terremoto;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dopo l'avverarsi degli eventi sismici citati, ha ripetutamente rilasciato dichiarazioni alla stampa locale dalle quali emergeva chiaramente l'intenzione di negare ogni autorizzazione relativa allo stoccaggio di gas di Rivara, motivando tale nuovo orientamento con la evidente drammatica consapevolezza della sopraggiunta inidoneità del sito;
   già nella scorsa legislatura gli interroganti con la presentazione di diversi atti di sindaco ispettivo (5-06464; 5-08419), hanno più volte sollecitato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa l'opportunità di negare ogni autorizzazione relativa all'istanza per concessione di stoccaggio sotterraneo di gas naturale nell'area di «Rivara», presentata dalla Erg Rivara Storage da ultimo nell'agosto 2009;
   sempre il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispondendo, in data 18 ottobre 2012, all'interrogazione n. 5-08154, con la quale si chiedeva di fornire assicurazioni circa il rigetto definitivo del progetto di realizzazione del deposito di gas a Rivara, specificava che con nota del 7 agosto 2012 il Ministero dello sviluppo economico ha comunicato di aver respinto, con decreto direttoriale del 6 agosto 2012, l'istanza di autorizzazione del programma di ricerca «Rivara – Verifica di fattibilità dello stoccaggio» presentata dalla società Erg Rivara Storage e che con tale atto si è concluso con esito negativo l’iter amministrativo della domanda di verifica di fattibilità presentata dalla società Erg Rivara Storage;
   nella risposta fornita alla succitata interrogazione n. 5-08154, si riferisce «quanto attiene al supplemento di istruttoria citato nell'interrogazione, esso è stato richiesto alla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS antecedentemente alla data di respingimento dell'istanza da parte del Ministero dello Sviluppo Economico ed immediatamente a valle degli eventi sismici del 20 e 29 maggio scorso. Dal momento che le finalità di questa attività superano il caso specifico, si è comunque ritenuto di non interrompere il summenzionato supplemento istruttorio, perché i dati che esso potrà fornire si inquadrano nel più generale tema delle eventuali correlazioni tra stoccaggi in acquifero profondo ed eventi sismici, anche di eccezionale gravità, il Ministro interrogato non ravvisi un palese contrasto con le procedure previste dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, che stabilisce che le procedure di valutazioni di impatto ambientale siano attivabili solo a fronte di progetti concreti»;
   il 5 febbraio 2013, la società Erg Rivara Storage ha annunciato tramite un comunicato ufficiale sul proprio sito web la volontà di disimpegnarsi dal progetto di Rivara e a quanto risulta agli interroganti da notizie di stampa di sollevare dall'incarico di amministratore delegato Mr. Nash;
   nonostante le considerazioni di merito di cui sopra, il supplemento d'istruttoria citato non ha modificato il parere precedentemente fornito;
   la normativa vigente prevede l'obbligatorietà dell'intesa con la regione competente, in questo caso l'Emilia Romagna, che nell'agosto 2012 con delibera delle giunte regionale ha dinegato la stessa confermando le motivazioni tecniche e giuridiche dei precedenti propri atti, così come delle risoluzioni approvate dall'assemblea legislativa nonché quelli contenuti nelle delibere dei comuni coinvolti e della provincia di Modena –:
   se i Ministri interrogati, alla luce delle suesposte considerazioni, non ritengano opportuno adottare un atto di definitivo diniego dell'autorizzazione dello stoccaggio di gas di Rivara, il cui sito è già stato da più parti definito inequivocabilmente inidoneo, mettendo così fine ad una situazione di tensione e preoccupazione nella quale vivono da molti anni le popolazioni e le imprese residenti nei luoghi coinvolti dal progetto di stoccaggio, e colpiti gravemente dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. (5-00057)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00003, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bobba.

  La mozione Mariani e altri n. 1-00004, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Donati.

Pubblicazione di un testo riformulato, apposizione di firme e modifica ordine dei firmatari.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Baretta n. 1-00006, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 3 del 25 marzo 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares) è stato introdotto nel nostro ordinamento dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, in sostituzione della Tarsu e della Tia, con l'obiettivo di risolvere la questione della tassa comunale sui rifiuti, con particolare riferimento alla qualificazione della natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti, con particolare riferimento all'obbligo di assoggettare o meno le somme all'imposta sul valore aggiunto. Si tratta di una problematica che è stata oggetto di diverse interpretazioni e di ampio contenzioso, sul quale si è pronunciata anche la Corte costituzionale;
    l'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha previsto l'entrata in vigore del nuovo tributo a decorrere dal 1o gennaio 2013, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni;
    la Tares, così come configurata dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, è composta da due tributi, una tassa e un'imposta. La tassa è prevista a fronte del servizio di gestione dei rifiuti urbani, mentre l'imposta è genericamente riferita ai servizi indivisibili dei comuni. Il gettito della tassa ha un vincolo legislativo di destinazione, dovendo finanziare per intero il costo del servizio di gestione dei rifiuti urbani;
    il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e la tariffa è commisurata all'anno solare nonché alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. La superficie assoggettabile alla Tares è pari all'80 per cento della superficie catastale;
    la tariffa, che deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, da una quota rapportata alla quantità di rifiuti conferiti al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione e dai costi di smaltimento dei rifiuti nelle discariche. Alla tariffa così determinata, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni;
    sul tributo come introdotto dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201, sono state sollevate da più parti, ed in particolare dall'Anci, preoccupazioni ed osservazioni critiche, con particolare riguardo alla determinazione della base imponibile, alla gestione del regime transitorio, alle modalità di affidamento della gestione dei rifiuti urbani, alla tempistica e alle modalità di versamento del tributo, nonché con riguardo all'aggravio delle imposte a carico dei cittadini stimato in circa 2 miliardi di euro rispetto al previgente regime;
    la legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha introdotto diverse modifiche alla disciplina della Tares e differito ad aprile 2013 la concreta operatività del tributo. Il quadro normativo finale che si delinea con le predette modifiche ha visto stemperare alcune rigidità iniziali, ma non ha contribuito ad eliminare tutte le criticità della disciplina, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti gestionali;
    successivamente, con l'articolo 1-bis del decreto-legge 14 gennaio 2013, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 1o febbraio 2013, n. 11, è stato posticipato al 1o luglio 2013 il termine per il versamento della prima rata della Tares;
    la disciplina relativa alla Tares, a seguito delle modifiche introdotte con la legge di stabilità e dal decreto-legge n. 1 del 2013 evidenzia alcune contraddizioni che richiedono un'attenta ed approfondita valutazione e l'adozione di urgenti interventi correttivi;
    in relazione alle scadenze collegate ai versamenti della Tares per l'anno 2013, emerge in tutta evidenza la necessità di definire con maggiore certezza l'articolazione e la scadenza delle rate, che nell'attuale formulazione rischiano di essere accorpate in due sole scadenze, con conseguente ulteriore aggravio per i contribuenti;
    lo slittamento della prima rata del versamento della Tares al 1o luglio 2013 non è coerente con l'impianto normativo della Tares, che impone la copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento. In assenza di adeguati correttivi non è verosimile che i pagamenti dovuti ai gestori del Servizio di igiene urbana possano procedere con normale cadenza, in assenza dei flussi finanziari derivanti dalle prime due rate del tributo, tradizionalmente incassate nel corso del primo semestre dell'anno;
    il comma 23 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, ha una formulazione generica che rischia di generare un possibile contenzioso che potrebbe minare il fondamento stesso del prelievo. L'approvazione del piano finanziario annuale, presupposto essenziale per la determinazione delle tariffe per la componente rifiuti del tributo, è previsto che sia approvato «dall'autorità competente» senza individuarla con certezza;
    l'articolo 3-bis, comma 1-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, introdotto con il decreto-legge n. 179 del 2012, ipotizza un ampliamento delle competenze degli «enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei», anche nel caso del servizio rifiuti, fino a comprendere la determinazione delle tariffe sia pure per quanto di competenza. Tale formulazione è in evidente contrasto con le potestà regolamentari comunali in materia di Tares, che includono, ai sensi dell'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, la determinazione delle tariffe, sulla base dei costi determinati con il piano finanziario e nell'ambito dei criteri dettati dal decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158,

impegna il Governo:

   ad assumere le necessarie iniziative per prorogare di un anno, al 1o gennaio 2014, l'entrata in vigore della Tares;
   ad adottare immediatamente iniziative normative dirette a raccordare la vecchia e la nuova disciplina del prelievo sui rifiuti, tenendo conto dell'impatto della pressione fiscale sui cittadini e sulle imprese anche al fine di valutare una sua completa modifica;
   ad avviare immediatamente la revisione della disciplina vigente e rinnovare l'apparato attuativo del nuovo tributo, in modo da renderlo coerente con le esigenze di efficiente copertura degli oneri complessivi della gestione del ciclo dei rifiuti.
(1-00006)
(Nuova formulazione) «Baretta, Rughetti, Tullo, Fassina, Basso, Carra, Mariani, Pastorino, Vazio, Carocci, Rosato, Rossomando, Benamati, Sani, Moretti, Stumpo, Zoggia, Bini, Cuperlo, Boccia, Burtone, Giacobbe, Manciulli, Naccarato, De Maria, Bargero, Gribaudo, Fiorio, Biondelli, Antezza, Bressa, Amendola, Salvatore Piccolo, Paolucci, Giorgio Piccolo, Bossa, Guerra, Lorenzo Guerini, Palma, Faraone, Gelli, Braga, Picierno, Coppola, Donati, Nardella, Ermini, Boschi, Bonafè, Realacci, Bonavitacola, Valiante, Lotti, Carbone, Lattuca, Rostan, Borghi, Iannuzzi, Richetti, Pastorelli, Magorno, Orfini, Garofani, Crimì, Giacomelli, Patriarca, Pini, Fregolent, Fioroni, Grassi, Fragomeli, Giuseppe Guerini, Famiglietti, Bonomo, Narduolo, Paris, Cenni, Rubinato, Fanucci, Casellato, Moretto, Parrini, De Menech».