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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 15 marzo 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il tribunale di Torino ha condannato i due imputati Louis Cartier De Marchienne e Stephan Schmidheiny a 16 anni di reclusione per avere nella loro qualità di questori di fatto delle industrie eternit in Italia violando coscientemente le normative in tutela della salute dei lavoratori, provocato dolosamente un disastro esteso oltre i confini degli stabilimenti e causato la morte di migliaia di persone per malattie riconducibili all'amianto;
    gli stessi imputati, in solido con i responsabili civili, sono stati condannati a risarcire i danni in favore delle parti civili costituite;
    le parti civili costituite sono varie centinaia di familiari deceduti e numerosi enti locali oltre le organizzazioni sindacali e di tutela ambientale, enti locali, INAIL, INPS e varie ASL;
    sono state previste per i soli casi più documentati, condanne provvisoriamente esecutive per un importo complessivo di 95.115.000 euro;
    tali condanne prevedono importi pro capite di circa 35.000 euro per i malati di mesotelioma e 30.000 euro per i familiari dei deceduti;
    agli enti sono state riconosciute le seguenti somme: all'INAIL 15 milioni di euro, al comune di Casale 25 milioni di euro, all'ASL di Alessandria 5 milioni di euro, alla regione Piemonte 20 milioni di euro;
    le condanne al pagamento delle provvisionali prevedono che i condannati spontaneamente diano esecuzione alla sentenza, ma nonostante ciò, ad oggi non vi è stato alcun pagamento;
    nel caso in oggetto, i due imputati risiedono all'estero e non risultano avere proprietà in Italia;
    la soluzione può passare attraverso la cosiddetta «esecuzione forzata», ossia procedere ad un precetto esecutivo internazionale di sequestro di beni relativamente alle società che fanno capo allo svizzero Schmidheiny e alla Etex Group di De Cartier;
    si tratta di una procedura costosa, sia per la traduzione giurata della sentenza che andrebbe tradotta in tedesco e in fiammingo, sia per la relativa parcella;
    il costo è di circa 2.500 euro per ciascuna parte civile avente diritto al risarcimento, per ognuna delle procedure, una per gli svizzeri ed una per i belgi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative di competenza per:
   a) procedere alla traduzione della sentenza attraverso le ambasciate;
   b) anticipare le somme per coprire il procedimento di «esecuzione forzata» e fornire tutta l'assistenza necessaria ai parenti delle vittime per far valere i loro diritti rispetto a quanto stabilito nella sentenza.
(1-00001) «Boccuzzi, Bargero, Mattiello, Portas, Giorgis, Rossomando, D'Ottavio, Paola Bragantini, Fregolent, Biondelli, Bobba».


   La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari, anche se nessuno, allo stato attuale, è in grado di quantificare il costo finale dell'intero progetto e quindi di ogni singolo aereo, comunque oggi stimato intorno ai 190 milioni di dollari;
    tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Defence and Security Review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un pesante voto contrario al progetto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35; la Norvegia ha minacciato di ripensare le sue scelte sul JSF; la Danimarca ha riaperto la gara per decidere entro il 2015 di quale aereo dotarsi ed il Canada ha sospeso la gara per l'acquisto del nuovo caccia;
    il Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo: uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno infatti stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte dal Governo;
    ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si potrebbero aggiungere anche ipotesi di tagli da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti, questo comporterebbe un ulteriore aumento del costo unitario per tutti gli acquirenti;
    il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate sia dal Government Accountability Office (GAO) che dal Pentagono. Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, al lievitare dei costi;
    i problemi del casco del pilota, la vulnerabilità ai fulmini, i problemi al motore che hanno portato allo stop dei voli dell'aereo, la denuncia dei piloti dell'incapacità di combattere non avendo nessuna chance di successo in uno scontro reale con un aereo sono solo alcuni dei maggiori problemi finora riscontrati nell'F-35;
    l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili» perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AMX e gli AV-8 B, senza tuttavia alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, considerati gli impegni internazionali italiani;
    nel 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
    tali condizioni, in parte già espresse anche in precedenza, non hanno trovato riscontro nell'avanzamento del progetto: gli oneri previsti per l'Italia nelle prime tre fasi ammontano a 1.942 milioni di dollari a cui vanno aggiunti gli oltre 800 milioni di euro per la costruzione della FACO a Cameri (Novara); contestualmente le nostre industrie hanno ottenuto appalti per circa 800 milioni di dollari, a fronte dei circa 3 miliardi di euro spesi fanno un ritorno di poco sopra al 20 per cento delle spese, che difficilmente renderà possibile un ritorno di circa 14 miliardi di euro, cioè il 100 per cento più volte sbandierato dai Governi che hanno sostenuto questo progetto;
    fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbe al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l'Eurofighter;
    il Parlamento ha recentemente approvato una legge delega al Governo che prevede un taglio di 30.000 militari e del 30 per cento delle strutture, portando i risparmi conseguiti all'investimento, in particolare sull'F35;
    il programma dell'F35 è diventato un progetto dal costo elevato a fronte di prestazioni peraltro incerte e non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative;
    in una scuola su tre (su due al Sud) mancano i certificati di sicurezza. Migliaia stanno su territori a rischio sismico o idrogeologico. Non sono solo l'intonaco che cade, l'infiltrazione d'acqua, l'umidità. Lo stato dell'edilizia scolastico nel nostro Paese è drammatico, al punto che in alcune città le amministrazioni si trovano nel dilemma se aprire una scuola non a norma o lasciare a casa i bambini;
    dei 42mila edifici scolastici presenti in tutta Italia il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 47,81 per cento non rispetta le norme anti incendio. Più del 60 per cento non è dotato neppure di scale di sicurezza o porte anti panico. E poi ci sono le strutture con l'amianto (11,13 per cento e quelle con il radon, un gas radioattivo. Oltre il 60 per cento delle scuole ha più di 40 anni. Se poi si aggiunge che per via della loro ubicazione territoriale le nostre scuole sono soggette al rischio sismico, idrogeologico, vulcanico, industriale, il panorama assume tratti drammatici tanto da connotarsi come un'emergenza;
    ma non è solo la messa in sicurezza straordinaria a mancare. Gli enti locali non hanno più i fondi neanche per la manutenzione: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento;
    secondo un'indagine di Legambiente, sono ben 6.633 i comuni in cui sono presenti aree ad alta criticità idrogeologica, l'82 per cento del totale delle amministrazioni comunali italiane. Dal 1950 al 2009 sono state oltre 6.300 le vittime del dissesto idrogeologico;
    gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto, sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni ’90, a 4-5 all'anno;
    secondo i recenti dati forniti dal Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico, e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
    a questo si aggiunge il crescente grado di rischio di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
    nell'anno scolastico 2010/2011, secondo l'Istat, risultano iscritti agli asili nido comunali 157.743 bambini di età tra zero e due anni, mentre altri 43.897 usufruiscono di asili nido convenzionati o sovvenzionati dai comuni, per un totale di 201.640 utenti;
    nel 2010 la spesa imperniata per gli asili nido da parte dei comuni o, in alcuni casi, di altri enti territoriali delegati dai comuni stessi è di circa 1 miliardo e 227 milioni di euro, al netto delle quote pagate dalle famiglie;
    fra il 2004 e il 2010, nonostante il graduale ampliamento dell'offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9 per cento dei residenti tra zero e due anni dell'anno scolastico 2003/2004 all'11,8 per cento del 2010/2011, mentre rimangono molto ampie le differenze territoriali: la percentuale di bambini che usufruisce di asili nido comunali o finanziati dai comuni varia dal 3,3 per cento al Sud al 16,8 per cento al Nord-est,

impegna il Governo:

   a sospendere immediatamente la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35;
   a procedere in tempi rapidi ad una attenta ridefinizione del modello di difesa italiano sulla base del dettato costituzionale e della politica estera italiana, affermando un ruolo centrale per la politica europea e sostenendo il ruolo di peacekeeping per le Forze armate;
   a destinare le somme così risparmiate ad un programma straordinario di investimenti pubblici riguardanti piccole opere e finalizzato – ad esempio – alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, alla tutela del territorio nazionale dal rischio idro-geologico, e alla realizzazione di un piano pluriennale per l'apertura di asili nido.
(1-00002) «Vendola, Marcon, Migliore, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Scotto, Smeriglio, Zan».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri il 2 febbraio 2012 ha presieduto una riunione a palazzo Chigi sulla vertenza Sardegna nella quale sono state affrontate le diverse questioni relative alle vertenze in atto con particolare riferimento alla situazione industriale, finanziaria ed economica della regione sarda;
   in quell'occasione è stata annunciata la costituzione di un «tavolo» per seguire la vertenza;
   quasi venti giorni dopo, in data 20 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, annunciava con un comunicato di palazzo Chigi la costituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di un «tavolo» per la Sardegna;
   nonostante tali iniziative di immagine si registra che ancor oggi la Gazzetta Ufficiale non ha pubblicato nessun decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla questione preannunciata;
   risulta pleonastico ricordare che la Presidenza del Consiglio dei ministri con la costituzione preannunciata di un nuovo tavolo sulla Sardegna rischia di trasformarsi nella sede di inutili e defatiganti confronti;
   prima di annunciare un nuovo decreto e un nuovo tavolo sulla Sardegna, ad avviso dell'interrogante, la Presidenza del Consiglio avrebbe fatto bene a verificare l'abnorme produzione di tavoli di confronto inconcludenti sulla vertenza sarda;
   tra tutti i tavoli costituiti si ricorda quello istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 6 dicembre 2006 per «individuare un percorso privilegiato su cui far convergere le azioni e le scelte dei territori e quelle del Governo per accelerare il processo di sviluppo regionale»;
   il dichiarato intento del tavolo è stato in particolare verificare l'attuazione dell'intesa istituzionale di programma stipulata tra il Governo e la giunta della regione autonoma della Sardegna il 21 aprile 1999, rimodularla e attualizzarla, apportando, ove necessario, alcune integrazioni considerato che la stessa intesa, a giudizio dell'interrogante, generica e inconcludente non aveva prodotto nessun risultato tangibile;
   nel corso di tale «tavolo» si richiamavano ancora una volta problemi della regione Sardegna che venivano così elencati: il regime delle entrate fiscali, il sistema dei trasporti (gestione dei trasporti ferroviari in concessione, ruolo del porto di Cagliari, continuità territoriale), le problematiche regionali connesse al demanio marittimo e al demanio militare, le politiche industriali (chimica, energia, tessile, nautica, aeronautica, aerospaziale), la soluzione della circoscritta crisi occupazionale emergente nell'arcipelago di La Maddalena a seguito della chiusura della base militare statunitense, le zone franche, i beni culturali (richiesta di gestione delle soprintendenze), l'ambiente (parchi naturali e bonifiche dei siti industriali e minerari dismessi);
   il tavolo produsse dei «mostri giuridici» come il trasferimento alla regione della continuità territoriale, che sul piano della competenza naturale e finanziaria non può che essere in capo allo Stato, che, così come per le altre regioni, ha l'obbligo di garantire i collegamenti interni al territorio nazionale;
   il tavolo ha prodotto anche modifiche allo statuto regionale, tra cui nuove regole in materia di compartecipazione ai tributi erariali, che hanno ipotizzato per la Sardegna maggiori entrate pari a 850 milioni di euro nel periodo 2007-2009 e ad 1,6 miliardi di euro l'anno a partire dal 2010, se non fosse che le stesse risorse oltre ad essere insufficienti per coprire il costo della sanità e della continuità territoriale addossate alla Sardegna, risultano a tutt'oggi del tutto inesistenti nel bilancio dello Stato;
   altri «tavoli» vengono costituiti nel tempo, questa volta «tavoli tecnici» presso il dipartimento degli affari regionali e presso il Ministero dello sviluppo economico (tavoli tecnici riguardanti le politiche industriali della chimica e dell'energia);
   appare evidente l'inutilità di tali «tavoli», considerato che a giudizio dell'interrogante niente vi è da approfondire ma tutto da decidere;
   l'attesa per la realizzazione di questo nuovo ed ennesimo tavolo porterà alla chiusura dello stabilimento Alcoa, considerato che ad oggi nessuno esponente del Governo, secondo l'interrogante, ha in modo deciso affrontato la questione di un accordo bilaterale decennale tra l'Enel e lo stabilimento di Portovesme;
   l'attesa di un ennesimo tavolo sulla continuità territoriale marittima porterà alla perdita di una nuova stagione, oltre al degrado continuo del servizio da parte di Tirrenia;
   l'attesa di un nuovo tavolo porterà la regione sarda verso il dissesto finanziario, considerato che l'articolo 8 dello statuto è risultato non solo inattuato ma anche un danno per la Sardegna chiamata a pagare sanità e trasporti senza aver avuto nessuna compensazione;
   l'attesa di un nuovo tavolo lascerà indefinita la vertenza sarda con Equitalia che vede centinaia di migliaia di famiglie sul lastrico per l'ingiusto costo di una riscossione che appare all'interrogante di dubbia legittimità e insostenibile –:
   se non si ritenga di dover desistere da quella che all'interrogante appare la persistente e desueta produzione di «tavoli» di confronto inconcludenti e di predisporre senza ulteriori indugi atti risolutivi sulle vertenze in atto;
   se non si ritenga di dover intervenire presso l'Enel perché cessi l'azione di monopolio in Sardegna e sottoscriva un accordo bilaterale decennale per le industrie energivore sarde alla pari degli altri Stati europei;
   se non si ritenga di assumere iniziative affinché vengano definite nuove convenzioni con la Tirrenia al fine di abbattere i prezzi del trasporto marittimo da e per la Sardegna evitando la sottrazione indebita di oltre 72 milioni di euro annui senza lo svolgimento del servizio oltre che della funzione di calmiere del mercato;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative affinché le compagnie aeree accettano entro il 12 marzo 2012 l'onere del servizio pubblico per la continuità territoriale aerea da e per la Sardegna, evitando l'inaccettabile proposta di gara pubblica formulata contemporaneamente all'imposizione dell'onere del servizio che porterebbe ad una grave distrazione di fondi pubblici (quasi 200 milioni di euro) per quello che appare un palese aiuto di Stato per le compagnie aeree;
   se non si ritenga di intervenire sulla questione Equitalia con la cancellazione di tutti gli oneri accessori della riscossione di dubbia legittimità a partire da un aggio contrario ai princìpi costituzionali proprio perché notevolmente superiore al reale costo del servizio di riscossione. (5-00006)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le decisioni della Commissione europea di bloccare l'esportazione suinicola della Sardegna costituisce il presupposto per un disastro economico sociale gravissimo per il quale si rendono necessari provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni al settore zootecnico sardo già duramente gravato dalla condizione insulare e oggi pesantemente condizionato da emergenze sanitarie illogiche e irrazionali;
   occorre definire e attivare quanto prima un corridoio sanitario fattivamente e puntualmente controllato che garantisca la salvaguardia delle 469 aziende suinicole virtuose accreditate come indenni dalla peste suina e certificate secondo le regole della biosicurezza;
   il blocco rappresenta un danno gravissimo per la filiera suinicola sarda distogliendo dal libero mercato carni che risultano sotto ogni punto di vista sane e controllate;
   sarebbe assolutamente illogico, irrazionale e illegittimo avere tutte le certificazioni e poi vietare le esportazioni –:
   se il Governo non ritenga necessario individuare e proporre provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni ai settori lattiero caseario e zootecnico sardo già duramente gravati dalla condizione insulare e oggi aggravati da fantomatiche emergenze sanitarie. (5-00014)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 31 luglio 2008 risulta pubblicata da parte del Ministero dell'economia e delle finanze l'attribuzione e assegnazione dei beni appartenenti alla soppressa Federazione cassa mutua artigiana, all'ente nazionale per la previdenza degli infortuni (ENPI) e all'Istituto nazionale assicurazioni malattia (INAM) ubicati nella regione Sardegna;
   con decreto interministeriale del 7 luglio 2008 del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con la regione Sardegna, ai sensi e per gli effetti del quarto comma dell'articolo 65 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, all'Ispettorato generale di finanza, settore enti in liquidazione, già Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti (IGED), del Ministero dell'economia e delle finanze, è stata disposta l'attribuzione – per essere realizzati dei seguenti beni immobili e dei relativi beni mobili in essi allocati, appartenenti:
    alla ex Federazione nazionale cassa mutua artigiani, ubicato in Nuoro, in via Gramsci, 11;
    all'ex Ente nazionale per la previdenza degli infortuni (ENPI), ubicato in Iglesias, in via del Buon Cammino o via Trexenta, 21;
    all'Istituto nazionale assicurazioni malattia (INAM), ubicati in provincia di Sassari nei comuni di Monti, in via Prato snc; di Pozzomaggiore, in via San Pietro snc e di Burgos, in via RG Pianu (oppure via E. Costa);
   la Gazzetta Ufficiale G.U. – Serie generale – n. 276 del 26 novembre 2009 – ha pubblicato il decreto 11 novembre 2009 recante: Individuazione della società trasferitaria dei patrimoni degli enti disciolti di cui all'articolo 41, comma 16-ter, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14 e del soggetto liquidatore degli enti di cui al comma 16-octies dello stesso articolo 41, nonché elencazione degli enti disciolti estinti;
   l'articolo 41, commi da 16-ter a 16-novies, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, che, per le finalità di cui all'articolo 1, comma 484, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, prevede alla data del 1° luglio 2009, il trasferimento, alla società Fintecna o società da essa interamente controllata, dei rapporti in corso, delle cause pendenti e del patrimonio immobiliare degli enti disciolti in essere alla data del 30 giugno 2009, con esclusione degli enti di cui al comma 16-octies, nonché di quelli posti in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'articolo 9, comma 1-ter, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112 e ad esclusione, altresì, delle questioni riguardanti i pregressi rapporti di lavoro con gli enti disciolti e la gestione del relativo contenzioso;
   il comma 16-ter del sopracitato articolo 41, il quale prevede, inoltre, che, alla data del trasferimento, gli enti disciolti in essere al 30 giugno 2009 sono dichiarati estinti;
   con nota del 4 maggio 2009, n. 3798 la Fintecna Spa comunica di aver designato la società interamente controllata denominata «Ligestra Due Srl» quale trasferitaria e soggetto liquidatore ai sensi della sopra richiamata normativa;
   il ragioniere generale dello Stato Canzio l'11 novembre 2009 con proprio decreto ha disposto:
    «Articolo 1 – La società trasferitaria dei rapporti in corso, delle cause pendenti e del patrimonio immobiliare degli enti disciolti in essere alla data del 30 giugno 2009 di cui all'articolo 41, comma 16-ter del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, ad esclusione delle questioni riguardanti i pregressi rapporti di lavoro con gli enti disciolti e la gestione del relativo contenzioso, nonché soggetto liquidatore degli enti di cui al comma 16-octies dello stesso articolo 41, è individuata in Ligestra Due Srl, con sede in Roma, via Versilia, n. 2;
    l'Articolo 2 – Gli enti disciolti dichiarati estinti alla data del 1° luglio 2009, ai sensi dei sopracitato articolo 41, comma 16-ter, sono quelli di cui all'allegato elenco che fa parte integrante del presente decreto»;
   con decreto 21 dicembre 2010 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 28 dicembre 2010 il Ministero dell'economia e finanze (ragioniere generale dello Stato) ha pubblicato la ricognizione del patrimonio immobiliare degli enti disciolti, in essere al 30 giugno 2009, trasferito a Ligestra Due Srl, ai sensi dell'articolo 41, comma 16-ter, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14;
   il comma 16-sexies del sopracitato articolo 41 prevede che la «società trasferitaria» proceda alla liquidazione del patrimonio trasferito;
   il ragioniere generale dello Stato Canzio con il proprio decreto del 21 dicembre 2010 ha disposto:
    «Articolo 1. – 1. Alla data del 30 giugno 2009 sono di proprietà degli enti disciolti elencati nel decreto dirigenziale del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato dell'11 novembre 2009 citato in premessa, e pertanto costituiscono oggetto di trasferimento ai sensi della normativa richiamata, gli immobili di cui all'allegato A che fa parte integrante del presente decreto, anche qualora gli immobili stessi risultino essere formalmente intestati ad enti in precedenza estinti. In detto allegato A per ciascun immobile è indicato il relativo ente proprietario alla data del 30 giugno 2009.
     2. Il trasferimento dei beni di cui ai numeri 38, 40 e 46 dell'allegato A è sottoposto alla condizione risolutiva del mancato riconoscimento, in sede di conferenza di servizi con la Regione interessata, dell'assegnazione dei beni medesimi al Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 65 della legge n. 833 del 1978.
     3. Il trasferimento dei beni di cui ai numeri 36, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 261, 346 e 370 dell'allegato A è sottoposto alla condizione risolutiva dell'esito dei giudizi pendenti per la rivendica della proprietà dei beni immobili medesimi.
    Articolo 2. – Il presente decreto ha effetto dichiarativo della proprietà degli immobili in capo agli Enti di cui all'articolo 1 in assenza di precedenti trascrizioni e produce gli effetti previsti dall'articolo 2644 del codice civile, nonché effetti sostitutivi dell'iscrizione dei beni in catasto.
    1. La «società trasferitaria» citata in premessa provvede, se necessario, alle conseguenti attività di trascrizione, intavolazione e voltura.
    2. Eventuali accertate difformità relative ai dati catastali indicati non incidono sulla titolarità del diritto sugli immobili.
    Articolo 3. – Contro l'iscrizione dei beni nell'elenco di cui all'articolo 1 è ammesso ricorso amministrativo al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della ragioneria generale dello Stato entro sessanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, fermi gli altri rimedi di legge»;
   nel medesimo decreto risultano iscritti i seguenti immobili riportati con riferimenti catastali e comunali come segue:
    351 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 804;
    352 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 431;
    353 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 433;
    354 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 434;
    355 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 430;
    356 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 189;
    357 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 191;
    358 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 192;
    359 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 193;
    360 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 108-109;
    361 EGAS Sardegna Alghero (SS) – località Fertilia – 49 133;
    362 CMC/CA Sardegna Cagliari – Via Maddalena, 52 – 18 1476 37;
    363 ENPI Sardegna Iglesias (CA) Via Trexenta, 21 – L 2 104 9;
    364 INAM Sardegna Monti (SS) – Via Sebastiano Ledda – 15 468;
    365 CMA/FED Sardegna Nuoro – Via Gramsci, 11 – 52 2894 7;
    366 CMA/FED Sardegna Nuoro – Via Gramsci, 11 – 52 2894 25;
    367 INAM Sardegna Pozzo Maggiore (SS) – Via S. Pietro, 39 – 22 49-50;
    368 ANCC Sardegna Sassari – Via Amendola 82 int. A – 109 4562 91;
    369 ANCC Sardegna Sassari – Via Amendola 82 int. B – 109 4562 91;
   tra gli enti disciolti risulta l'ente giuliano autonomo di Sardegna che rappresenta una parte fondamentale della storia di Fertilia e quindi della Sardegna ed appare evidente che i beni provenienti dall'ente disciolto rientrino senza dubbio alcuno nella fattispecie dei beni di cui all'articolo 14 dello statuto autonomo della Sardegna;
   analoga valutazione di pertinenza all'articolo 14 del citato statuto sardo va proposta per l'intero patrimonio immobiliare iscritto nell'allegato al decreto del 21 dicembre 2010 a firma del ragioniere generarle dello Stato;
   in data 19 aprile 2011, oltre i sessanta giorni previsti dal decreto del ragioniere generale dello Stato, la regione Sardegna avrebbe rivendicato i beni indicati nel decreto stesso contraddistinti con i numeri da 351 a 369 dell'allegato A del decreto dirigenziale;
   sempre nella missiva del 19 aprile 2011 seppur tardivamente la regione Sardegna avrebbe diffidato la ragioneria generale dello Stato dal compiere qualunque atto possa ledere il diritto della Regione di vedersi riconosciuta la titolarità dei beni richiamati;
   nella stessa comunicazione la regione ha formulato la richiesta di annullamento parziale in autotutela del decreto dirigenziale nella parte in cui prevede il trasferimento alla Ligestra Due dei beni immobili in questione;
   il 19 settembre 2011 la società Ligestra Due con propria raccomandata A.R. ha comunicato alla Regione che «entrambe le richieste debbono essere fermamente respinte, non configurandosi nella specie il presupposto giuridico suscettibile in astratto di fondare l'invocata rivendicazione»;
   la stessa società Ligestra Due ritiene «dirimente la circostanza che l'effetto traslativo della proprietà del patrimonio immobiliare degli enti questione a favore della scrivente società conferitaria è stato prodotto direttamente dalla norma di legge contestualmente alla declaratoria di estinzione degli enti suddetti»;
   la Ligestra Due nella missiva arriva a sostenere che «risulta evidente che i diritti dominicali sui beni in questione sono stati acquisiti da Ligestra Due in applicazione di un atto normativo di rango primario il quale, oltre ad essere insuscettibile di qualsivoglia sindacato diretto, è assistito da una forza cogente che ne rende ontologicamente indisponibile il contenuto precettivo, rendendo dunque in radice impraticabile qualunque ipotesi di autotutela»;
   analoga posizione di rigetto delle istanze della regione sarda sarebbe stata proposta dalla ragioneria generale dello Stato il 29 agosto 2011 il cui contenuto non risulta noto;
   a prescindere dalla tardiva azione di rilievo da parte della regione e l'assenza di un atto di impugnazione di rango costituzionale, è da ritenere ad avviso dell'interrogante inopportuno e irrispettoso del leale rapporto di collaborazione tra soggetti istituzionali il comportamento e le argomentazioni proposte dalla società Ligestra Due nella risposta alla regione Sardegna;
   pur essendo in presenza di una dichiarata intesa della regione Sardegna al decreto interministeriale del 7 luglio 2008 con il quale sono stati attribuiti all'ispettorato generale di finanza, settore enti in liquidazione, già Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti (IGED), del Ministero dell'economia e delle finanze, i beni immobili e dei relativi beni mobili in essi allocati richiamati nello stesso decreto del 28 dicembre 2010, si tratta sempre secondo l'interrogante di una violazione delle norme che regolano il rapporto tra Stato e regione Sardegna con particolare riferimento all'articolo 14 dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna in materia di immobili;
   l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58 dispone: «1) La Regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo; 2) i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella Regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione»;
   la Corte costituzionale con sentenza n. 383 del 1991, in merito al ricorso proposto da altra regione a statuto speciale, la regione Valle d'Aosta, aveva sostenuto l'automatico passaggio dei beni alla stessa regione anche in virtù del seguente esplicito riferimento alle regione Sardegna: «Del resto l'articolo 14 dello Statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) mentre stabilisce, al primo comma, che la regione, nell'ambito del suo territorio, succede allo Stato nei beni demaniali e, al secondo comma, che restano allo Stato i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale, da rilievo alla sopravvenienza, in quanto prevede che la detta causa di esclusione possa cessare, con l'effetto in tal caso che la successione si realizza, in un momento posteriore all'entrata in vigore dello Statuto»;
   la Corte costituzionale nella stessa sentenza disponeva: «Va dunque dichiarato che non spetta allo Stato porre in vendita a privati, con l'impugnato avviso d'asta, l'immobile in questione, appartenendo questo al demanio della Regione Valle d'Aosta»;
   le disposizioni contenute nei primi due commi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna di rango costituzionale dispongono che la Regione succeda, nell'ambito del suo territorio, nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare, regola generale esplicitata nel primo comma;
   il secondo comma del citato articolo 14 introduce un'eccezione: la successione non avviene e i beni restano di proprietà dello Stato quando sono utilizzati (connessi) per servizi di pertinenza statale;
   l'eccezione, però, ha un limite ben preciso: l'utilizzazione deve essere attuale, di guisa che se tale utilizzo viene a cessare cade il presupposto della medesima eccezione ed i beni non più utilizzati ricadono nella regola generale e seguono la sorte degli altri beni statali e, cioè, la loro proprietà è trasferita ope legis alla regione;
   la chiara e univoca statuizione dell'articolo 14, secondo cui «i diritti patrimoniali connessi a servizi di competenza statale» restano allo Stato «finché duri tale condizione» non può dare luogo a dubbi interpretativi;
   la congiunzione temporale «finché» attribuisce, infatti, un sicuro valore dinamico alla norma. Nel senso che transitano nel patrimonio regionale non solo i beni che, alla data di entrata in vigore dello statuto speciale, non erano più connessi a servizi statali, ma anche quelli la cui connessione sia venuta meno successivamente;
   l'applicazione di tale disposto si rileva nella nota n. 2/20680/10-1-20-20/89 dell'aprile 1989, quando l'allora Ministro della difesa Zanone comunicava al presidente della regione di aver impartito disposizioni agli organi tecnici della difesa, per l'avvio della procedura prevista per la cessione all'amministrazione finanziaria dei beni demaniali non più necessari alle Forze armate;
   il significato proprio dato dal legislatore alla norma porta sicuramente a dare rilievo alla sopravvenienza e, cioè, al sopravvenuto venir meno della connessione del bene con il servizio statale;
   tale sopravvenienza rappresenta il limite all'eccezione di cui al secondo comma dell'articolo 14 e fa, quindi, rivivere la regola generale della successione della regione Sardegna nella proprietà dei beni dello Stato;
   la cessazione di connessione a servizi statali come dispone la richiamata sentenza della Corte costituzionale è venuta a cessare proprio nel momento in cui l'amministrazione dello Stato ha posto in vendita o attivato forme di concessione e comodato a soggetti privati o pubblici del bene stesso;
   con riferimento alla regione Sardegna non esiste nessuna disposizione normativa che possa configurarsi come ostativa al trasferimento dei beni statali alla regione stessa, quando la «dismissione» avvenga in data successiva all'entrata in vigore dello statuto sardo;
   il Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere della terza sezione del 12 febbraio 1985 n. 158 ha espresso formale parere su richiesta del Ministero della difesa proprio sull'applicazione dello statuto sardo;
   l'organo consultivo in quel parere, – in estrema sintesi – si è pronunziato nel senso che l'articolo 14, secondo comma dello statuto sardo stabilisce che i beni immobili connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato soltanto finché duri tale condizione, riconoscendo, così, allo Stato la funzione di uso e non anche di disposizione degli immobili stessi;
   lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze nel 2002-2004 dovette soccombere rispetto all'attuazione dell'articolo 14 proprio in relazione ai beni di enti dismessi come per esempio la manifatture tabacchi di Cagliari di proprietà dell'ETI –:
   se non ritenga il Ministro dell'economia e delle finanze di dover adottare urgenti atti verso la società Ligestra Due al fine di evitare l'inaccettabile violazione di una norma statutaria della regione autonoma della Sardegna;
   se non intenda il Ministro di dover revocare con proprio atto i decreti richiamati e in particolar modo quello relativo all'inserimento della parte sarda del patrimonio degli enti disciolti (28 dicembre 2010) al fine di evitare un contenzioso costituzionale che ha già di fatto sancito l'automaticità del passaggio del patrimonio dello Stato una volta dismesso e non funzionale alla regione Sardegna;
   se non ritenga necessario predisporre un provvedimento-circolare che stabilisca con chiarezza le procedure per l'individuazione e il trasferimento alla regione autonoma della Sardegna del patrimonio dello Stato e delle società collegate;
   se non ritenga necessario avviare un'urgente e puntuale ricognizione dei beni immobili dello Stato in Sardegna, per procedere ad una rapida cessione degli stessi alla regione autonoma della Sardegna in base ai dettati dello statuto autonomo della Sardegna, articolo 14, legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58. (5-00015)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 22 ottobre 2008 nel comune di Capoterra in provincia di Cagliari hanno perso la vita quattro persone in seguito ad una gravissima alluvione conseguente ad un temporale violentissimo;
   il Presidente del Consiglio dei ministri in data 31 ottobre 2008 ha emanato un proprio decreto con il quale, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, è stato dichiarato, sino al 31 ottobre 2009, lo stato di emergenza in Sardegna nel territorio della provincia di Cagliari per gli eventi alluvionali del 22 ottobre 2008;
   il Presidente del Consiglio dei ministri con propria ordinanza n. 3711 del 31 ottobre 2008 ha nominato il presidente della regione autonoma della Sardegna commissario delegato per il superamento dell'emergenza derivante dagli eventi alluvionali predetti;
   l'articolo 1, comma 3, lettera b), della predetta ordinanza che dispone che il commissario delegato provvede al ripristino, in condizioni di sicurezza, delle infrastrutture pubbliche danneggiate, agli interventi urgenti di manutenzione straordinaria della viabilità e degli alvei dei corsi d'acqua e alle opere di prevenzione dei rischi idrogeologici ed idraulici;
   a distanza di quasi due anni dall'evento calamitoso con nota protocollo n. 1774 del 10 agosto 2010 integrata con nota n. 1971 del 16 settembre 2010, l'assessore regionale dei lavori pubblici evidenziava la necessità di attuare gli interventi relativi alle aree oggetto degli eventi alluvionali con sollecitudine ed urgenza in considerazione che «... al momento nelle aree colpite dai citati eventi calamitosi permangono situazioni di rischio e pericolosità che, in occasione di eventi eccezionali anche di minore entità rispetto a quelli verificatisi nel 2008, potrebbero pregiudicare la pubblica incolumità...» e richiede l'emanazione di apposita ordinanza commissariale che oltre a programmare gli interventi di cui sopra, integrando la precedente ordinanza commissariale n. 20 del 17 dicembre 2009, consenta di derogare alla vigente normativa, secondo quanto previsto dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3711 articolo 8 e dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3734 articolo 6;
   a distanza di quasi tre anni dall'evento calamitoso la giunta regionale della Sardegna con deliberazione n. 34/20 del 18 agosto 2011 relativamente all'intervento «Sistemazione idraulica del rio San Gerolamo – Masone Ollastu e interventi di ricostruzione delle opere pubbliche danneggiate nella località Poggio dei Pini ed altre frazioni nel comune di Capoterra (Cagliari)» modificava nuovamente i tempi e le stesse soluzioni progettuali;
   a marzo 2011 la regione, assessorato ai lavori pubblici, ha presentato l'istanza di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale relativa all'intervento «Sistemazione idraulica del rio San Gerolamo – Masone Ollastu e interventi di ricostruzione delle opere pubbliche danneggiate nella località Poggio dei Pini ed altre frazioni nel comune di Capoterra (Cagliari)», ascrivibile alla categoria di cui al punto 7 lettera m) «Opere di regolazione del corso dei fiumi e dei torrenti, canalizzazione ed interventi di bonifica ed altri simili destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio fluviale e lacuale», dell'allegato B1 alla delibera di giunta regionale n. 24/23 del 23 aprile 2008;
   gli interventi, il cui costo complessivo è stimato in 65.234.771 di euro, sono parzialmente finanziati con risorse P.O.R. F.E.S.R. 2007-2013, regionali e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   le soluzioni progettuali in esame derivano anche dalle indicazioni contenute nello Studio «Analisi dell'assetto fisico del rio San Gerolamo – Masone Ollastu a seguito dell'evento di piena del 22 ottobre 2008: rivisitazione e integrazione dello studio denominato piano stralcio delle fasce fluviali, per la verifica della delimitazione delle fasce fluviali e per l'individuazione delle prime necessarie azioni (opere, vincoli e direttive), per il conseguimento di un assetto del corso d'acqua compatibile con la sicurezza idraulica del territorio e la salvaguardia delle componenti naturali e ambientali» predisposto, su incarico dell'amministrazione regionale, a seguito dell'eccezionale evento alluvionale che il 22 ottobre 2008 ha colpito il territorio della provincia di Cagliari, e, in particolare, il comune di Capoterra;
  gli interventi, prevedono:
   1. Tronco SG02 – da località C. Musiu a località San Gerolamo:
    1.1. ampliamento del manufatto di attraversamento esistente mediante la realizzazione, in destra idraulica, di nuove campate che comportano l'arretramento della spalla dall'alveo inciso; l'obiettivo è di incrementare la sezione di deflusso in corrispondenza della struttura;
    1.2. realizzazione di opere di difesa spondali, in massi, allineate con le spalle dell'attraversamento, al fine di contrastare fenomeni erosivi localizzati e permettere il regolare deflusso delle portate di piena del corso d'acqua;
   2. Tronco SG03 – da località San Gerolamo al ponte della strada comunale n. 52 per Capoterra:
    2.1. realizzazione di un nuovo attraversamento, a tre campate, con luce netta complessiva di 80 metri;
   3. Tronco SG04-1 – dal ponte della strada comunale n. 52 per Capoterra al ponte per Poggio dei Pini:
    3.1. realizzazione di un nuovo manufatto di attraversamento, a tre campate di 40 metri, ripercorrendo, sostanzialmente il sedime stradale esistente;
    3.2. sistemazione dell'alveo lungo entrambe le sponde, mediante opere di difesa longitudinali, a tutela della nuova viabilità e per regimare le confluenze dei rii laterali, in destra idraulica;
    3.3. disalveo del materiale inerte di sovralluvionamento, proveniente dall'asta principale e dai rii secondari del bacino montano;
   4. Tronco SG04-2 – messa in sicurezza dei corsi d'acqua secondari nell'area urbanizzata di Poggio dei Pini:
    4.1. lungo i tratti a monte delle aree urbanizzate, interventi di regolarizzazione del profilo di fondo e opere di controllo/intercettazione del trasporto solido;
    4.2. nei tratti in corrispondenza delle aree urbanizzate, rifacimento dei manufatti di attraversamento inadeguati;
    4.3. riconfigurazione dell'alveo, mediante la rimozione di depositi e di materiale vegetale, la sistemazione del profilo di fondo, la realizzazione di opere trasversali e di rivestimento delle sponde;
   5. Tronco SG06 – dalla diga in terra dell'invaso di Poggio dei Pini alla traversa del lago minore:
    5.1. demolizione completa del ponticello, a valle del lago, crollato in seguito all'evento dell'ottobre 2008; la viabilità sarà comunque garantita con la realizzazione di un nuovo attraversamento, già previsto nella pianificazione comunale, ubicato a valle della soglia rocciosa;
    5.2. ripristino della traversa in muratura, parzialmente crollata a seguito dell'evento del 2008, escludendo, tuttavia, il rifacimento del rialzo in calcestruzzo, realizzato successivamente alla prima costruzione dell'opera;
    5.3. disalveo del materiale litoide, accumulato a monte della traversa, e ricalibratura dell'alveo nell'intero tratto;
   6. Tronco SG07 – dalla traversa del lago minore all'area sportiva di Poggio dei Pini:
    6.1. realizzazione, in destra idraulica e lungo tutto lo sviluppo del tratto, di difese spondali, in massi di cava, al fine di preservare, da fenomeni erosivi laterali, gli insediamenti sportivi e la viabilità esistente;
   7. Tronco SG09 e tronco SC10 – da località Isca Su Loi (zona serre) a mare:
    7.1. lungo l'intera lunghezza del tratto del rio San Gerolamo e della parte terminale di confluenza del rio Masone Ollastu, realizzazione di un nuovo canale, avente nuovo tracciato planimetrico, sezione incisa doppia trapezia, e un'ampia fascia golenale, delimitata da argini continui; il profilo di fondo, non prevede salti di fondo per garantire una pendenza costante lungo il tratto; le sponde del canale saranno protette al piede con massi di cava, mentre, per favorire la manutenzione in alveo (sfalcio della vegetazione, rimozione depositi inerti), non si prevede il rivestimento del fondo canale, che, tuttavia, per il mantenimento e il vincolo della sezione trasversale è provvisto di soglie in gabbioni, a passo costante; gli argini golenali, di altezza media pari a 1,5 metri sul piano campagna, hanno pendenza dei paramenti variabile, in funzione della loro localizzazione rispetto all'asse dei corsi d'acqua e dei rilevati stradali, mentre il corpo arginale è costituito con materiale selezionato, di risulta degli scavi, e nucleo di irrigidimento, costituito da elementi in gabbioni metallici riempiti di pietrame ed avvolto in un telo di geotessile;
    7.2. alla foce, a chiusura del tratto canalizzato, messa in opera di una soglia con taglione profondo antierosione e antisifonamento;
    7.3. adeguamento della rete dei sottoservizi, in particolare per garantire la riprofilatura del fondo alveo, in corrispondenza delle soglie esistenti;
    7.4. rifacimento dei due attraversamenti della strada statale n. 195, al fine di garantire i requisiti minimi di compatibilità idraulica; nello specifico, il ponte sul rio San Gerolamo avrà lunghezza complessiva pari a circa 120 metri, articolato su 3 campate, mentre quello sul rio Masone Ollastu sarà a campata unica, di circa 40 metri; sarà, inoltre, opportunamente adeguato il tracciato plano-altimetrico delle rampe d'accesso e degli svincoli di collegamento con la viabilità secondaria e con il nuovo sistema di presidio idraulico;
   il 22 aprile 2011, entro il termine di 45 giorni dalla presentazione dell'istanza, sono pervenute osservazioni, accompagnate da consulenze tecniche, che sono state comunicate dal servizio sostenibilità ambientale, valutazione impatti e sistemi informativi ambientali (S.A.V.I.) al proponente che, a giugno 2011, ha trasmesso le proprie controdeduzioni, con allegate due distinte relazioni tecniche;
   il servizio S.A.V.I., a conclusione dell'istruttoria, ha rilevato le seguenti criticità con riferimento agli aspetti tecnico-ambientali:
   1. le osservazioni trasmesse dai privati e le controdeduzioni prodotte dal servizio interventi sul territorio non escludono la possibilità di realizzare soluzioni progettuali alternative che garantiscano lo stesso livello di mitigazione del rischio, e, pertanto, risulta necessario un confronto tra dette alternative e altre eventualmente percorribili, anche sotto il profilo degli impatti a carico delle diverse matrici ambientali, che solo la predisposizione di uno studio d'impatto ambientale e un livello di progettazione più di dettaglio possono garantire;
   2. in particolare per qualunque soluzione progettuale è necessario approfondire, anche col supporto dell'analisi costi-benefici, predisposta ai sensi dell'allegato A2 alla delibera di giunta regionale n. 24/23 del 23 aprile 2008:
    2.1. le interferenze con la viabilità principale e secondaria, attraverso una maggior definizione degli interventi sulla stessa;
    2.2. la gestione delle «terre e rocce da scavo», stimate in 240.000 metri cubi, per gli interventi di sistemazione idraulica nel tratto vallivo del rio San Gerolamo – Masone Ollastu;
    2.3. le modalità di rimozione e la gestione del materiale accumulatosi lungo gli alvei, a seguito dell'evento alluvionale dell'ottobre 2008, stimato in circa 200.000 metri cubi, per il solo rio San Gerolamo;
    2.4. la necessità di predisporre, a scala di bacino idrografico, un piano di manutenzione del sistema rio San Gerolamo-Masone Ollastu, con specifico riferimento alla gestione dei sedimenti e della vegetazione;
    2.5. la fase di cantierizzazione, al fine di valutare gli impatti cumulativi, tenuto conto della durata dei lavori e che le opere previste insistono su aree densamente urbanizzate;
    2.6. le interferenze, sotto il profilo idraulico, della manutenzione delle opere e degli impatti cumulativi con l'intervento «Sistemazione e rinaturalizzazione delle difese litoranee, bonifica e sistemazione della fascia costiera – Progetto definitivo – esecutivo delle opere marittime di difesa del litorale», proposto dal comune di Capoterra e di prossima realizzazione;
    il Servizio S.A.V.I. ha concluso l'istruttoria con la proposta di sottoporre alla procedura di valutazione di impatto ambientale l'intervento denominato «Sistemazione idraulica del rio San Gerolamo-Masone Ollastu e interventi di ricostruzione delle opere pubbliche danneggiate nella località Poggio dei Pini ed altre frazioni nel comune di Capoterra (Cagliari)», in quanto soltanto lo studio di impatto ambientale (S.I.A.), ed un livello di progettazione adeguato, consente di individuare e valutare più approfonditamente l'entità degli impatti potenziali, l'analisi di alternative progettuali orientate in maniera tale da minimizzare gli stessi, nonché indicare le opportune misure di mitigazione/compensazione;
    lo studio di impatto ambientale (S.I.A.), che, nel rispetto della normativa, dovrà – secondo il S.A.V.I – contemplare l'esame dell'opzione zero, di soluzioni alternative e contenere un'analisi costi-benefici che non si limiti ad analizzare gli aspetti finanziari, ma quantifichi anche gli oneri ed i vantaggi economici, ambientali e sociali, dovrà nello specifico esaminare in maniera puntuale tutte le problematiche sopra evidenziate e dovrà essere corredato della relazione paesaggistica. In conformità a quanto previsto dalla delibera di giunta regionale n. 24/23 del 23 aprile 2008;
    la giunta regionale in data 18 agosto 2011 ha, dunque, deciso di sottoporre all'ulteriore procedura di valutazione di impatto ambientale l'intervento denominato «Sistemazione idraulica del rio San Gerolamo-Masone Ollastu e interventi di ricostruzione delle opere pubbliche danneggiate nella località Poggio dei Pini ed altre frazioni nel comune di Capoterra (Cagliari)», proposto dall'assessorato dei lavori pubblici – servizio interventi sul territorio;
    tale decisione provoca non poco sconcerto per la contraddittorietà delle affermazioni relative ai rischi per l'incolumità ancora in essere per le persone, come rilevato dallo stesso assessorato dei lavori pubblici della regione Sardegna, e dall'altra con un livello di «definizione» procedurale e progettuale degli interventi che rendono biasimevoli i continui rinvii a cui per l'ennesima volta si va incontro;
   i rilievi posti alla base delle valutazioni tecniche renderebbero all'interrogante evidente l'inconsistenza progettuale da una parte e, dall'altra, la scarsa se non inesistente azione di coordinamento tra i vari uffici regionali;
   appare sconcertante che dopo tre anni si debba ancora vagliare l'impatto ambientale degli interventi proposti con la predisposizione di uno «studio di impatto ambientale (S.I.A.), ed un livello di progettazione adeguato»;
   nell'ambito degli interventi di messa in sicurezza e sistemazione idraulica della zona si opera con poteri commissariali governativi dunque nell'ambito della competenza statale;
   risulta incomprensibile che risorse statali ed europee destinate ad una simile emergenza risultino inutilizzate a distanza di tre anni e che l’iter progettuale e autorizzativo risulti di fatto ancora nemmeno avviato;
   i rischi che le popolazioni corrono con l'approssimarsi della stagione autunnale e invernale sono di tale gravità che dovrebbero suggerire non ulteriori ritardi ma procedure straordinarie per recuperare il tempo perso e i gravi ritardi accumulati –:
   se non ritenga il Governo di intervenire sia per la verifica dell'utilizzo dei poteri commissariali sia per quanto riguarda l'utilizzo delle risorse finanziarie che sino ad oggi risultano inutilizzate;
   se non intendano inviare in Sardegna con somma urgenza la protezione civile nazionale a verificare l’iter relativo alla realizzazione delle opere previste dal piano di sistemazione idraulica della zona;
   se non intendano effettuare apposite verifiche lungo i corsi d'acqua oggetto dell'intervento di sistemazione al fine di verificare lo stato dei luoghi ed i rischi che ancora sussistono nonostante anni di commissariamento;
   se non ritengano di dover avocare allo Stato l'intera procedura commissariale o affiancare quella regionale al fine di non risultare responsabile di una delega affidata ad altro soggetto istituzionale senza che la stessa sia stata esercitata nel modo corretto. (5-00016)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica Euromediterranea è fondamentale nella definizione di nuovi assetti di riequilibrio e coesione economica e sociale;
   l'articolo 22 (perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
    (...) g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
   risulta, quindi decisivo introdurre elementi oggettivi di misurazione e compensazione del divario insulare;
   nel caso delle infrastrutture di trasporto, un indicatore in grado di misurare in maniera soddisfacente la dotazione infrastrutturale di una realtà territoriale come la Sardegna deve necessariamente tenere conto, non solo degli aspetti quantitativi (come ad esempio la lunghezza complessiva della rete viaria e la sua tipologia, o il numero di snodi ferroviari), ma anche degli aspetti qualitativi e prestazionali legati alla qualità della rete, all'orografia del territorio e alla topologia del reticolo di trasporto. In questo modo è possibile ipotizzare e selezionare alcuni indicatori di tipo nuovo in grado di condurre alla costruzione di specifici indici;
   è indispensabile predisporre un sistema di indicatori di dotazione infrastrutturale definito a seguito di un opportuno processo di media, che assuma come riferimento «indici di accessibilità» definiti a livello territoriale;
   in attesa di definire con apposite norme l'individuazione di tali indici sono sufficienti a comprendere il divario insulare che grava sulla Sardegna quelli messi a disposizione dall'atlante infrastrutturale (CNEL e Istituto Tagliacarte), dal quale emergono dati di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale;
   per quanto riguarda le reti energetiche, l'indice è di 100 per l'Italia; di 64,54 per il Mezzogiorno: di: 35,22 per la Sardegna;
   per quanto riguarda le reti stradali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,10 per il Mezzogiorno; di 45,59 per la Sardegna;
   per quanto riguarda le reti ferroviarie, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,81 per il Mezzogiorno; di 15,06 per la Sardegna;
   per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 84,45 per il Mezzogiorno; di 66,16 per la Sardegna;
   è indispensabile per questo motivo proporre e definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale –:
   se il Governo non ritenga dover adottare atti e quali relativamente alla questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea così come, tra l'altro, previsto nel parere formulato dalla competente immissione parlamentare della Camera in occasione dell'esame del documento di economia e finanza 2011. (5-00020)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la vertenza Equitalia e il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde costituisce priorità assoluta per il mantenimento dell'assetto produttivo e per non gravare ulteriormente la già drammatica crisi occupazionale e sociale dell'isola;
   la vertenza Equitalia è sintetizzata con i seguenti dati: sono 70.430 le imprese sarde che risultano gravemente indebitate per complessivi 4.273.745.722 euro;
   2.351 le imprese fallite che avevano complessivamente un debito verso lo Stato e gli altri enti pari a 1.216.297.600;
   la situazione complessiva dell'indebitamento delle imprese sarde non ha precedenti nel resto del Paese e quadro che emerge dalla lettura dei dati analitici rischia di travolgere l'intero sistema economico della Sardegna;
   i dati analitici al 2011 relativi alla Sardegna e alle singole province statali risultano essere i seguenti:
    nella provincia di Cagliari il numero delle imprese è pari a 33.956 con un debito pari a 2.232.506.018,92 euro (di cui 215.968.829,76 euro rateizzati) così ripartiti: 1.460.040.661,45 all'erario, 496.564.809,70 all'Inps, e 275.900.547,77 ad altri. Di tali somme 761.223.955,78 euro sono da riferire a 1.192 imprese fallite (500.054.367,62 euro nei confronti dell'erario, 157.401.588.13 nei confronti dell'Inps e 103.768.000,03 euro ad altri creditori);
    nella provincia di Nuoro il numero delle imprese è pari a 8.840 con un debito pari a 417.859.431,51 euro (di cui 35.357.635,18 euro rateizzati) così ripartiti: 259.058.923,18 all'erario, 79.517.547,70 all'Inps, e 79.282.960,63 ad altri. Di tali somme 117.833.940,07 euro sono da riferire a 220 imprese fallite (67.798.552,98 euro nei confronti dell'erario, 15.718.110,29 nei confronti dell'Inps e 34.317.276,80 euro ad altri creditori);
    nella provincia di Oristano il numero delle imprese è pari a 4.685 con un debito pari a 207.362.065,67 euro (di cui 19.331.868,51 euro rateizzati) così ripartiti: 121.735.683,08 all'erario, 38.655.364,83 all'Inps, e 46.971.017,76 ad altri. Di tali somme 74.127.027,82 euro sono da riferire a 204 imprese fallite (40.124.957,50 euro nei confronti dell'erario, 7.887.374,76 nei confronti dell'Inps e 26.024.695,56 euro ad altri creditori);
    nella provincia di Sassari il numero delle imprese è pari a 22.949 con un debito pari a 1.416.018.206,85 euro (di cui 123.972.079,80 euro rateizzati) così ripartiti: 953.107.148,25 all'erario, 300.544.393,31 all'Inps, e 162.366.665,29 ad altri. Di tali somme 263.112.676,48 euro sono da riferire a 735 imprese fallite (194.004.841,67 euro nei confronti dell'erario, 49.002.900,79 nei confronti dell'Inps e 20.104.934,02 euro ad altri creditori);
    nella regione Sardegna il numero delle imprese è pari a 70.430 con un debito pari a 4.273.745.722,95 euro (di cui 394.630.413,25 euro rateizzati) così ripartiti: 2.793.942.415,96 all'erario, 915.282.115,54 all'Inps, e 564.521.191,45 ad altri. Di tali somme 1.216.297.600,15 euro sono da riferire a 2.351 imprese fallite (802.072.719,77 euro nei confronti dell'erario, 230.009.973,97 nei confronti dell'Inps e 184.214.906,41 euro ad altri creditori);
   i dati riportati costituiscono il più oggettivo riscontro di una situazione che rischia il tracollo dell'apparato produttivo della Sardegna;
   la definizione di un'iniziativa normativa emergenziale già proposta dall'interrogante e da decine di parlamentari costituisce la soluzione inderogabile al problema che ha assunto connotati drammatici –:
   se il Governo non intenda assumere adeguate iniziative normative alla pari di quelle avanzate con la proposta di legge Camera dei deputati n. 4702 della precedente legislatura relativamente alla vertenza Equitalia e il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde.
(5-00029)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, recante: «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» ha disposto, al Capo II, disposizioni in materia di maggiori entrate e all'articolo 13 l’«anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria»;
   tale norma sull'IMU prevede: «1. L'istituzione dell'imposta municipale propria è anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall'anno 2012, ed è applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014 in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono. Conseguentemente l'applicazione a regime dell'imposta municipale propria è fissata al 2015»;
    il Titolo III – finanze – Demanio e patrimonio all'articolo 7 dello statuto autonomo della Sardegna dispone: «La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»;
   la Sardegna dispone di competenza esclusiva regionale in materia di «ordinamento degli enti locali» e di «finanza locale» e della competenza concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»;
   la natura speciale e autonoma della regione Sardegna non esime lo Stato dall'applicazione del principio di ragionevolezza e di leale collaborazione con conseguente violazione dei principi di perequazione e di solidarietà fiscale;
   la norma che introduce l'applicazione dell'imposta municipale unica produrrà i propri effetti anche sul sistema fiscale delle regioni a statuto speciale (secondo l'interrogante in contrasto della legge n. 42 del 2009 in particolare con l'articolo 1, comma 2), in riferimento all'articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 68 del 2011, appare in contrasto con gli articoli 3, 7 e 8 dello statuto della regione Sardegna e con l'articolo 117 e 119 della Costituzione, in quanto detta disposizione sull'imposta municipale unica si applicherebbe anche nei confronti della regione Sardegna nonostante la clausola di salvaguardia recata dalla medesima legge n. 42 del 2009 e, pertanto, comprimerebbe senza un valido fondamento normativo la competenza legislativa esclusiva della regione nella materia «ordinamento degli enti locali» di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), dello statuto di autonomia, e la sua competenza legislativa concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», di cui all'articolo 117, comma 3, della Costituzione;
   la norma sull'imposta municipale unica incide, direttamente, sulle entrate tributarie degli enti locali;
   egualmente lesa è la competenza legislativa esclusiva della regione Sardegna nella materia «finanza locale». Essa è di sicura spettanza regionale, in ragione dell'articolo 3, comma 1, lettera b) («la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: [...] b) ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni)» e 7 («La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale [...]») dello Statuto speciale;
   la Corte costituzionale, peraltro, ha ribadito che la competenza della regione Sardegna in materia di finanza locale è esclusiva e come tale deve essere tutelata. Come si legge nella sentenza n. 275 del 2007, infatti, la «materia della finanza locale, [...] per la regione sarda, è devoluta alla competenza legislativa esclusiva della regione in forza dell'articolo 3, lettera b) del relativo statuto speciale» (ma anche la sentenza n. 102 del 2008 circa la specifica autonomia che lo statuto attribuisce alla regione Sardegna nella materia dell'imposizione fiscale e, seppure in maniera meno esplicita, la sentenza n. 229 del 2011);
   si configura nell'introduzione dell'imposta municipale unica in Sardegna un possibile contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione, con gli articoli 3, 7 e 8 dello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale n. 3 del 1948), settore agricolo che, sino ad oggi, hanno determinato l'applicazione in contrasto con gli articoli 117 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 117 della Costituzione nella misura in cui attua un regime che produce effetti notevoli sulla finanza pubblica regionale e locale;
   da tale norma risulta pregiudicata l'autonomia finanziaria della regione Sardegna, tutelata dalle disposizioni statutarie e costituzionali sopra richiamate, nonché la sua competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento degli enti locali» e «finanza locale», come pure la sua competenza legislativa concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» (articoli 117, comma 3, della Costituzione);
   è disatteso il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 117 della Costituzione, in primo luogo perché lo Stato si è limitato a individuare la nuova tassa sugli immobili, salvaguardando il proprio interesse a massimizzare il gettito fiscale, senza tenere in alcun conto le esigenze di coordinamento con la finanza pubblica e con il sistema tributario delle regioni a statuto speciale;
   lo Stato ha applicato da subito un regime dannoso per la regione Sardegna, rinviando ad un momento futuro e indeterminato l'adozione di misure compensative a partire dalla questione insulare, il calcolo del divario e la relativa compensazione così come previsto all'articolo 22 della legge 42 del 2009;
   in considerazione del danno grave e irreparabile che deriverebbe all'applicazione della norma si rende indispensabile intervenire con riferimento alle regioni a statuto speciale e in particolar modo alla Sardegna gravata da una condizione insulare che lo Stato non ha ancora provveduto a misurare e compensare;
   l'articolo 3 dello statuto della regione autonoma della Sardegna dispone: «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: ... d) agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario»;
   l'Unione europea con il regolamento (CE) n. 247 del 2006 recante misure specifiche nel settore dell'agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell'Unione ha indicato le seguenti strategie relative al settore agricolo e alle regioni insulari:
    «(1) La particolare situazione geografica delle regioni ultraperiferiche, rispetto alle fonti di approvvigionamento di prodotti essenziali al consumo umano, alla trasformazione o in quanto fattori di produzione agricoli, impone a queste regioni costi aggiuntivi di trasporto. Una serie di fattori oggettivi connessi all'insularità e all'ultraperifericità impongono inoltre agli operatori e ai produttori di tali regioni vincoli supplementari che ostacolano pesantemente le loro attività. In taluni casi, operatori e produttori sono soggetti ad una doppia insularità. Tali svantaggi possono essere mitigati riducendo il prezzo dei suddetti prodotti essenziali. Risulta dunque opportuno, per garantire l'approvvigionamento delle regioni ultraperiferiche e per ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, instaurare un regime specifico di approvvigionamento.
    (2) A tal fine, in deroga all'articolo 23 del trattato, è opportuno esentare dai dazi le importazioni di taluni prodotti agricoli provenienti da paesi terzi. Per tener conto della loro origine e del trattamento doganale loro applicabile ai sensi delle disposizioni comunitarie, occorrerebbe equiparare ai prodotti importati direttamente, ai fini della concessione del regime specifico di approvvigionamento, i prodotti che sono stati oggetto di perfezionamento attivo o deposito doganale nel territorio doganale della Comunità.
    (3) Per realizzare efficacemente l'obiettivo di ridurre i prezzi nelle regioni ultraperiferiche e di ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, salvaguardando nel contempo la competitività dei prodotti comunitari, è opportuno concedere aiuti per la fornitura di prodotti comunitari nelle regioni ultraperiferiche. Tali aiuti dovrebbero tenere conto dei costi aggiuntivi di trasporto verso le regioni ultraperiferiche e dei prezzi praticati all'esportazione verso i paesi terzi nonché, nel caso di fattori di produzione agricoli e di prodotti destinati alla trasformazione, dei costi aggiuntivi dovuti all'insularità e all'ultraperifericità»;
   il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, recante «Disposizioni urgenti per la crescita l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» prevede che l'imposta municipale unica (IMU), istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011, sia applicata a partire dal 2012;
   all'imposta (sostitutiva dell'ICI e dell'IRPEF sulla rendita catastale) risultano essere assoggettati sia i terreni agricoli, sia i fabbricati rurali;
   si tratta di una modifica sostanziale della fiscalità, applicata al settore primario, e, in particolare, ai beni funzionali all'esercizio dell'attività agricola, che vengono assimilati, in buona parte, a puro e semplice patrimonio;
   viene meno il regime di fiscalità speciale sino ad oggi riconosciuto al settore, in virtù dei ruoli che l'agricoltore svolge e dei beni prodotti dallo stesso, non limitando, tali ultimi, alla pur essenziale produzione di cibo. Si pensi, per esempio alla salvaguardia del territorio e del paesaggio: attività connaturata all'esercizio dell'agricoltura, di cui tutti i cittadini godono, ma che, certamente, non risulta remunerata dal mercato;
   questa tipologia di immobili, come d'altra parte i terreni, costituiscono gli strumenti da lavoro dell'agricoltore e non possono, come tali, essere considerati alla stregua di pura e semplice ricchezza accumulata;
   l'imposta municipale unica va a colpire l'agricoltura in un suo punto debole, costituito dalla forte immobilizzazione di capitali a bassissima redditività;
   l'applicazione ai fabbricati rurali ad uso strumentale di un aliquota ridotta allo 0,2 per cento, pur combinata con la facoltà riconosciuta ai comuni di ridurre dello 0,1 per cento detta aliquota, produrrà comunque effetti devastanti, in considerazione del fatto che, a base del calcolo vengono inseriti anche i terreni. Tanto si tradurrà in un aggravio considerevole per le aziende agricole;
   emerge una forte preoccupazione circa gli effetti che l'applicazione di questa nuova imposta possa avere su un settore strutturalmente fragile, dal punto di vista economico, ed alle prese con gli effetti di una crisi particolarmente grave;
   l'applicazione dell'imposta municipale unica potrebbe, verosimilmente, accelerare il processo di dismissione del settore agricolo, che l'ultimo censimento ha fotografato in modo inequivocabilmente in declino. L'appesantimento tributario si pone in antitesi, anche, rispetto agli auspicati, e mai attuati, interventi di politica agraria nazionale indispensabili per lo sviluppo di questo comparto;
   ad essere colpite maggiormente saranno le aree a minor redditività (aree svantaggiate in genere come le regioni insulari), che spesso collimano con territori di particolare pregio ambientale e paesaggistico; l'abbandono dell'attività agricola, in tali casi, determinerebbe conseguenze devastanti ed irreversibili a danno dell'intera collettività (si pensi, in primis, alla compromissione degli equilibri idrogeologici);
   si tratta di un'imposta che avrà un impatto molto pesante sul settore agricolo, una nuova imposta che sconvolge anche il principio fondamentale che il valore dei fabbricati rurali deve essere visto in tutt'uno con la terra;
   il peso dell'imposta municipale unica per le imprese agricole italiane, fra 1,3 miliardi di euro di nuove imposte e 2/3 miliardi di euro per l'accatastamento dei fabbricati rurali, è prossimo al valore della Pac per il nostro Paese;
   si tratta di un'imposta le cui indicazioni attuative appaiono oggi discutibili e contraddittorie, anche rispetto alle posizioni assunte da gran parte dei governi e dei parlamentari europei in ordine alla politica agricola comune, di cui si discute attualmente la riforma;
   l'imposta municipale unica colpirà pesantemente terreni agricoli e fabbricati rurali, dalle stalle ai fienili fino ai capannoni necessari per proteggere trattori e attrezzi, andando di fatto a tassare quelli che sono a tutti gli effetti mezzi di produzione per le imprese agricole;
   questa nuova «patrimoniale agricola» si abbatte pesantemente sugli agricoltori, in quanto colpisce il «bene terra» in quanto tale, non riconoscendone più il carattere di ruralità e la funzione di bene strumentale (ed indispensabile) all'esercizio dell'attività di impresa;
   le competenze statutariamente attribuite alla regione Sardegna in materia di agricoltura e la disposizione che prevede un sistema fiscale coordinato e armonico rendono l'introduzione dell'imposta municipale propria per le zone agricole, secondo l'interrogante, una violazione delle peculiarità autonomistiche dello Statuto sardo e conseguentemente violano le prerogative costituzionali;
   gli indirizzi comunitari relativamente alle politiche agricole nelle aree periferiche e insulari prescrivono l'esigenza di compensare e ridurre il gap insulare che si abbatte sulle produzioni agricole di questi territori;
   l'introduzione dell'imposta municipale unica anche per le zone agricole rende di fatto sempre più oneroso il divario gestionale e mette ancor più fuori mercato le produzioni agricole delle regioni insulari disattendendo le disposizioni comunitarie –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative per assicurare le necessarie esenzioni relativamente alle competenze delle regioni a statuto autonomo che hanno competenze esclusive per l'agricoltura e concorrenti sulla fiscalità;
   se il Governo non ritenga necessario per le regioni a statuto speciale e in particolar modo per la regione Sardegna, considerate le ragioni in premessa, assumere le iniziative di competenza per sospendere con immediatezza l'applicazione dell'imposta municipale unica;
   se non ritenga di procedere, così come richiamato in premessa, ad una nuova procedura di concertazione, costituzionalmente obbligatoria, per l'intera partita fiscale relativa alle competenze in materia;
   se non ritenga di dover provvedere ad individuare immediata copertura finanziaria per il mancato gettito per l'anno 2012 a favore degli enti locali della Sardegna anche alla luce della mancata applicazione, disposta anche con sentenza della Corte costituzionale, dell'articolo 8 dello statuto nella parte dei trasferimenti di tributi, e in considerazione del fatto che risultano già in carico alla regione Sardegna oneri aggiuntivi come l'intero costo della sanità e della continuità territoriale;
   se non si ritenga, alla luce delle precise indicazioni comunitarie, di dover esentare le regioni insulari e/o ultraperiferiche da un ulteriore aggravio che va a sommarsi al già pesantissimo divario legato proprio all'insularità;
   se non ritenga di dover adottare o proporre iniziative che esentino dal pagamento dell'imposta i fabbricati rurali ad uso strumentale, con particolare riferimento a quelli dislocati in aree svantaggiate;
   se non ritenga necessario rivedere il meccanismo di calcolo relativo ai terreni condotti dagli agricoltori, in considerazione delle peculiarità del specifiche regole fiscali;
   se non ritenga indispensabile e urgente l'immediata apertura di un confronto, Governo-regioni, volto ad individuare criteri alternativi di applicazione dell'imposta municipale unica senza pregiudicare la sussistenza del settore agricolo italiano e quello sardo in particolar modo. (5-00034)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 42 del 2009 all'articolo 22, dispone:
   «(Perequazione infrastrutturale) 1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro delle riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
    a) estensione delle superfici territoriali;
    b) valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno;
    c) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo;
    d) densità della popolazione e densità delle unità produttive;
    e) particolari requisiti delle zone di montagna;
    f) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
    g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. 2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma da effettuare nelle aree sottoutilizzate sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e» 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443;
   in sede di prima applicazione della legge, il programma delle infrastrutture strategiche (PIS) è stato approvato con la delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121, e, per gli anni successivi, l'elenco delle opere è stato integrato ed aggiornato per mezzo di un apposito allegato al DPEF;
   l'articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con i Ministri competenti e le regioni o province autonome interessate predisponga un programma destinato ad essere inserito, previo parere del CIPE e previa intesa della Conferenza unificata, nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), con l'indicazione dei relativi stanziamenti; il Parlamento si pronuncia sul programma in sede di esame del DPEF;
   il successivo comma 1-bis (aggiunto dall'articolo 13, comma 4, della legge n. 166 del 2002 «Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti») prevede che il programma contenga le seguenti indicazioni:
    a) l'elenco delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da realizzare;
    b) i costi stimati per ciascuno degli interventi;
    c) le risorse disponibili e relative fonti di finanziamento;
    d) lo stato di realizzazione degli interventi previsti nei programmi precedentemente approvati;
    e) il quadro delle risorse finanziarie già destinate e degli ulteriori finanziamenti necessari per il completamento degli interventi;
   uno dei più rilevanti limiti competitivi per l'Italia è rappresentato dal divario infrastruttura le con il resto dei Paesi europei;
   nella classifica del World economic forum per il 2008-2009, tra 134 ordinamenti, l'Italia è al 54o posto nel comparto delle infrastrutture;
   nella qualità infrastrutturale, il nostro Paese scende addirittura al 73o posto, ben lontano sia dalla Germania e dalla Francia (che ricoprono, rispettivamente, il terzo e il quarto posto), che da Paesi quali la Spagna, la Grecia o l'Irlanda;
   è rilevabile un progressivo divario tra la situazione italiana e quella degli altri principali Stati comunitari; la relazione della Banca d'Italia all'assemblea ordinaria dei partecipanti (29 maggio 2009) rilevava che: «Il divario tra la dotazione infrastrutturale dell'Italia e quella media degli altri principali paesi dell'Unione europea è più che triplicato negli ultimi vent'anni»;
   l'evidente inadeguatezza della dotazione infrastrutturale incide in modo rilevante sull'efficienza del sistema dei trasporti, proprio quando quest'ultimo, in seguito alla nuova logistica e all'introduzione su vasta scala dell'informatica e della telematica, assume un ruolo decisivo nella competizione tra territori; nel DPEF 2009-2013 si afferma che la produzione industriale italiana nel 2007 è stata pari a 903,8 miliardi di euro: l'incidenza del trasporto e della logistica su tale valore è pari al 20-22 per centro, cioè pari a 186 miliardi di euro;
   alla comparazione tra l'Italia e gli altri Paesi europei, va aggiunta una questione rilevante interna al Paese relativa al divario infrastrutturale tra Nord e Sud e all'interno di queste due aree tra le diverse regioni; sul piano infrastrutturale in Italia si rilevano due questioni specifiche – valutate di rilevanza nazionale ed evidenziate negli ultimi DPEF – che richiedono di essere considerate all'interno del quadro generale:
    a) la «questione settentrionale», con una domanda di accessibilità e di mobilità – per persone e merci – debolmente soddisfatta da un'offerta infrastrutturale con rilevanti deficit qualitativi e quantitativi;
    b) la «questione meridionale», evidenziata da un rilevante ritardo infrastrutturale, in una situazione nazionale già di per sé precaria;
   gli indicatori di dotazione infrastrutturale elaborati nel 2008 dall'istituto Tagliacarne segnalano il persistere di rilevanti divari regionali e provinciali: le prime province per indice di dotazione stradale sono tutte in Italia settentrionale (Savona, Vercelli, Novara, Alessandria e Imperia). Nella classifica, la prima provincia dell'Italia centrale che compare è Frosinone al 7o posto; mentre del sud Italia è Teramo al 10o; l'indice di dotazione ferroviario rileva dati analoghi;
   un recente studio della Confindustria (check up Mezzogiorno, 2009), registra un divario infrastrutturale del Sud di 25 punti al di sotto della media nazionale, esattamente come avveniva all'inizio di questo decennio; in questo quadro d'insieme dei divari infrastrutturale interni ed esterni al nostro Paese si inserisce l'analisi relativa al piano strategico infrastrutturale messo a punto per recuperare tale rilevante divario sia sul piano europeo che interno;
   in materia di rilevazione e analisi infrastrutturale si rilevano importanti cambiamenti di impostazione mirati al raggiungimento di più obiettivi:
    a) ampliare il campo di osservazione alle infrastrutture cosiddette «sociali»;
    b) isolare le componenti di mera dotazione da quelle di «qualificazione» delle risorse presenti;
    c) creare un sistema di indicatori e di pesi stabile, che consentirà di ottenere misurazioni comparabili dei fenomeni oggetto di studio;
   in questo nuovo contesto d'analisi si inserisce il rapporto del 2 luglio del 2010 predisposto a seguito della deliberazione dell'VIII Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici del 22 luglio 2009;
   nell'analisi che si propone, prescindendo da ulteriori articolazioni e interdipendenze, come per esempio il divario conseguente all'insularità, sono stati presi in esame due parametri oggettivi quali quello territoriale (spesa per chilometri quadrati) e quello demografico (spesa pro capite);
   con riferimento allo stanziamento per chilometro quadrato il primo parametro preso in esame è quello della superficie territoriale dal quale emerge: il valore medio nazionale del costo dell'intero Programma risulta pari a circa un milione e 190 mila euro per chilometri quadrati;
   nove sono le regioni con valori superiori a questa media nazionale: innanzitutto la Liguria, che sfiora i 4 milioni a chilometro quadrato, seguita dalla Calabria, con 3 milioni. Tra il milione e i due milioni si attestano alcune regioni più grandi, nell'ordine la Lombardia, il Veneto, la Sicilia e la Campania. Seguono tra le altre il Molise, il Friuli e il Piemonte. Leggermente al di sotto della media il Lazio. Ultime della graduatoria risultano la Sardegna con 237.000 euro per chilometro quadrato e il Molise con 225.000 euro per chilometro quadrato;
   i dati elaborati sull'intero programma infrastrutture strategiche, il cui valore complessivo è attualmente pari a 358 miliardi, in base ad una ripartizione sul parametro territoriale, fanno emergere la seguente graduatoria regionale – monitoraggio aprile 2010 – (euro per chilometro quadrato):
    Liguria 3.884.719 euro/chilometro quadrato;
    Calabria 3.074.912 euro/chilometro quadrato;
    Lombardia 1.646.189 euro/chilometro quadrato;
    Veneto 1.625.508 euro/chilometro quadrato;
    Sicilia 1.408.644 euro/chilometro quadrato;
    Campania 1.379.566 euro/chilometro quadrato;
    Molise 1.302.502 euro/chilometro quadrato;
    Friuli Venezia Giulia 1.289.567 euro/chilometro quadrato;
    Piemonte 1.217.754 euro/chilometro quadrato;
    Lazio 1.125.066 euro/chilometro quadrato;
    Emilia Romagna 1.069.755 euro/chilometro quadrato;
    Umbria 868.401 euro/chilometro quadrato;
    Basilicata 837.065 euro/chilometro quadrato;
    Abruzzo 767.266 euro/chilometro quadrato;
    Toscana 649.124 euro/chilometro quadrato;
    Puglia 448.032 euro/chilometro quadrato;
    Trentino Alto Adige 446.560 euro/chilometro quadrato;
    Valle d'Aosta 290.038 euro/chilometro quadrato;
    Sardegna 237.463 euro/chilometro quadrato;
    Marche 225.478 euro/chilometro quadrato;
   in relazione a questa analisi risulta evidente un gravissimo disequilibrio della pianificazione infrastrutturale tra le singole regioni;
   tale squilibrio emerge in tutta la sua gravità nella simulazione predisposta per questo atto parlamentare dalla quale emerge la differenza tra le regioni che hanno avuto un'attribuzione superiore e inferiore, rispetto al dato medio nazionale di 1.188.379 per chilometro quadrato;
   i dati seguenti costituiscono la dimostrazione oggettiva dello squilibrio del piano infrastrutturale strategico rispetto ad un equo riparto delle risorse per regione parametrato sullo stanziamento medio nazionale per euro/chilometro quadrato (il segno (+) contrassegna gli stanziamenti non dovuti rispetto alla media nazionale, il segno (-) i mancati stanziamenti conseguenti al mancato rispetto di un parametro unitario nazionale):
    Liguria +14.614.162.800;
    Calabria +28.450.804.173;
    Lombardia +10.924.720.030;
    Veneto +8.039.239.439;
    Sicilia +5.661.471.295;
    Campania +2.598.231.330;
    Molise +506.477.874;
    Friuli Venezia Giulia +794.932.928;
    Piemonte +746.125.000;
    Lazio -1.089.490.104;
    Emilia Romagna -2.624.318.752;
    Umbria -2.705.733.968;
    Basilicata -3.511.383.430;
    Abruzzo -4.545.914.835;
    Toscana -12.397.472.450;
    Puglia -14.337.560.002;
    Trentino Alto Adige -10.093.931.133;
    Valle d'Aosta -2.931.286.683;
    Sardegna -22.907.566.440;
    Marche -9.334.362.294;
   la rappresentazione economica del divario nella pianificazione infrastrutturale del Paese rende il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa Carta costituzionale in termini di coesione nazionale, uguaglianza tra cittadini e libertà;
   tale analisi assume una valenza ancor più significativa nel dato relativo al valore pro capite dell'investimento infrastrutturale nel nostro Paese;
   con riferimento allo stanziamento procapite – dall'esame dello studio richiamato il valore procapite del costo dell'intero programma infrastrutturale ad oggi stimato è pari a circa 6.000 euro ad abitante se si considera l'intero costo, quindi compresa la quota non ripartibile a livello regionale (14.143 milioni/euro); il dato procapite fa registrare la Calabria con circa 23.000 euro, il Molise (oltre 18.000 euro ad abitante), la Basilicata (14.000 euro), la Liguria (13.000 euro), il Friuli e l'Umbria (oltre 8.000 euro). Tra le regioni più grandi, ai di sopra della media regionale si collocano la Sicilia con oltre 7.000 euro; il Piemonte, con un importo leggermente inferiore (6.978 euro);
   il Veneto (oltre 6.000 euro). L'Emilia Romagna supera i 5.000 euro, la Lombardia registra un valore intorno ai 4.000 euro, come la Toscana, mentre Lazio e Campania si attestano sui 3.000 euro. La Sardegna si attesta sui 3.423 euro procapite;
   il divario procapite tra regioni è rappresenta dai seguenti dati (euro per persona):
    Piemonte 6.978;
    Valle d'Aosta 7.449;
    Lombardia 4.032;
    Liguria 13.037;
    Trentino Alto Adige 5.965;
    Veneto 6.119;
    Friuli Venezia Giulia 8.231;
    Emilia Romagna 5.456;
    Toscana 4.025;
    Umbria 8.212;
    Marche 1.393;
    Lazio 3.441;
    Abruzzo 6.206;
    Molise 18.018;
    Campania 3.225;
    Puglia 2.127;
    Basilicata 14.165;
    Calabria 23.085;
    Sicilia 7.187;
    Sardegna 3.423;
   il rilevante squilibrio nei riparto regionale, relativamente alla quota procapite, è ancora più evidente nei dati seguenti che rappresentano il divario tra le regioni nella proiezione sul numero degli abitanti. Con il segno (+) si registra lo stanziamento non dovuto e con il segno (-) quello sottratto in seguito al mancato rispetto di un parametro unitario nazionale:
    Piemonte +4.494.626.994;
    Valle d'Aosta +188.691.525;
    Lombardia -18.822.850.032;
    Liguria +11.423.347.672;
    Trentino Alto Adige +1.018.657;
    Veneto +757.259.940;
    Friuli Venezia Giulia +2.790.531.912;
    Emilia Romagna -2.203.693.332;
    Toscana -7.189.459.102;
    Umbria +2.010.211.056;
    Marche -7.174.541.038;
    Lazio -14.196.189.330;
    Abruzzo +322.991.350;
    Molise +3.866.862.930;
    Campania -22.304.335.194;
    Puglia -15.653.816.574;
    Basilicata +4.843.518.801;
    Calabria +10.111.679.721;
    Sicilia +6.161.228.177;
    Sardegna -4.246.013.541;
   con riferimento ad opere deliberate CIPE procapite – dallo studio citato si rileva che la media nazionale del valore pro-capite della spesa ad oggi prevista per le opere con delibera CIPE è di 2.180 euro;
   superano la media l'Umbria, con quasi 7.500 euro ad abitante, la Calabria, con oltre 6.000 euro, il Trentino e la Liguria, con più di 5.000, Veneto e Sicilia, con oltre 3.000 e la Lombardia (2.456). In fondo alla classifica Sardegna (836), Molise (611), Marche (473), Abruzzo (437) e Puglia (216);
   con riferimento ad opere deliberate CIPE per chilometro quadrato – i dati analitici sulla quota procapite regionale relativamente agli stanziamenti deliberati dal Cipe fanno emergere un profondo divario tra regioni, sia del Sud che del Nord come si evince dai dati seguenti:
    Umbria 7.476 euro/persona;
    Calabria 6.276 euro/persona;
    Trentino 5.965 euro/persona;
    Liguria 5.298 euro/persona;
    Veneto 3.174 euro/persona;
    Sicilia 3.010 euro/persona;
    Lombardia 2.456 euro/persona;
    Basilicata 2.305 euro/persona;
    Piemonte 1.913 euro/persona;
    Emilia Romagna 1.570 euro/persona;
    Lazio 1.548 euro/persona;
    Friuli Venezia Giulia 1.371 euro/persona;
    Campania 1.142 euro/persona;
    Toscana 1.136 euro/persona;
    Sardegna 836 euro/persona;
    Molise 611 euro/persona;
    Marche 473 euro/persona;
    Abruzzo 437 euro/persona;
    Puglia 216 euro/persona;
   la media nazionale dello stanziamento CIPE per chilometro quadrato è di poco meno di 434 mila euro a chilometro quadrato. Superano la media 9 regioni, tra le quali emerge la Liguria, con oltre un milione e mezzo di euro, la Lombardia, con oltre un milione. Intorno agli 800 mila euro troviamo Veneto, Calabria e Umbria. Oltre la media nazionale anche Sicilia, Veneto, Campania e Trentino. In fondo alla classifica, con meno di 60.000 euro a chilometro quadrato Sardegna, Abruzzo, Puglia e Molise;
   con riferimento delle opere deliberate CIPE per chilometro quadrato – i dati relativi al parametro territoriale mettono ancor più in luce una macroscopica differenza tra regioni e fanno emergere una totale assenza di riparto omogeneo degli stanziamenti sul territorio nazionale come emerge dall'elaborazione seguente sullo stanziamento regionale CIPE per chilometro quadrato:
    Liguria 1.578.755 euro/chilometro quadrato;
    Lombardia 1.002.655 euro/chilometro quadrato;
    Veneto 843.211 euro/chilometro quadrato;
    Calabria 835.982 euro/chilometro quadrato;
    Umbria 790.587 euro/chilometro quadrato;
    Sicilia 589.958 euro/chilometro quadrato;
    Lazio 506.295 euro/chilometro quadrato;
    Campania 488.570 euro/chilometro quadrato;
    Trentino 446.560 euro/chilometro quadrato;
    Piemonte 333.866 euro/chilometro quadrato;
    Emilia Romagna 307.836 euro/chilometro quadrato;
    Friuli Venezia Giulia 214.741 euro/chilometro quadrato;
    Toscana 183.197 euro/chilometro quadrato;
    Basilicata 136.220 euro/chilometro quadrato;
    Marche 76.602 euro/chilometro quadrato;
    Sardegna 58.020 euro/chilometro quadrato;
    Abruzzo 54.083 euro/chilometro quadrato;
    Puglia 45.555 euro/chilometro quadrato;
    Molise 44.191 euro/chilometro quadrato;
   la proiezione delle differenze tra la media nazionale per chilometro quadrato e le risorse finanziarie assegnate dal Cipe alle singole regioni rappresenta un quadro iniquo che si evince dai seguenti dati (in euro):
    Liguria +6.202.095.160;
    Lombardia +13.558.908.874;
    Veneto +7.517.394.814;
    Calabria +6.055.398.525;
    Umbria +3.011.435.280;
    Sicilia +3.996.842.203;
    Lazio +1.236.188.304;
    Campania +735.395.670;
    Trentino +164.685.521;
    Piemonte -2.555.011.400;
    Emilia Romagna -2.801.236.383;
    Friuli Venezia Giulia -1.726.088.896;
    Toscana -5.776.467.400;
    Basilicata -2.980.878.815;
    Marche -3.469.046.370;
    Sardegna -9.068.367.330;
    Abruzzo -4.106.137.330;
    Puglia -7.531.476.132;
    Molise -1.732.000.508;
   i dati emersi configurano un gravissimo divario di trattamento tra regioni che, anche escludendo opere interregionali o di interesse nazionale, costituiscono un vero e proprio ulteriore limite alla coesione nazionale;
   il mancato perseguimento di un riequilibrio infrastrutturale nella pianificazione strategica si aggiunge ad un divario strutturale che diventa ancor più rilevante per regioni come la Sardegna che, oltre ad avere stanziamenti decisamente di gran lunga inferiori a quanto gli spetterebbe in base ai dato medio nazionale sia per quanto riguarda la proiezione sulla superficie territoriale che su quella procapite, deve scontare un divario permanente legato alla condizione insulare –:
   se non ritenga di dover intervenire sin dal prossimo allegato al Dpef con un piano di recupero sia del divario infrastrutturale, come previsto dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, che sul grave squilibrio di stanziamenti registrato ed evidenziato in premessa;
   se non ritenga di dover immediatamente predisporre un piano di riequilibrio sin dalla prossima riunione del Cipe, con lo sblocco dei fondi Fas delle singole regioni penalizzate da tale ripartizione e utilizzare i fondi indistinti a disposizione del Governo per iniziare a colmare i mancati stanziamenti sin qui registrati; se non intenda proporre un criterio parametrato che consenta nel futuro di evitare uno squilibrio economico finanziario di tale rilevanza evitando di mettere in essere atti che violano la coesione nazionale, attentano all'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e minano la stessa unità nazionale. (5-00035)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 aprile 2012 è stato approvato con proprie risoluzioni dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica in data 26 aprile 2012 il documento di economia e finanza (def) 2012;
   il decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201 reca «disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 dicembre 2011;
   il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, cosiddetto decreto liberalizzazioni, coordinato con la legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, reca «disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale di sabato (g.u. n. 71 del 24 marzo 2012 - supplemento ordinario n. 53);
   il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, reca disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Gazzetta Ufficiale n. 143 del 22 giugno 2011);
   con l'approvazione da parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica delle relative risoluzioni è stato approvato e reso esecutivo l'atto finale del Documento economia e finanza 2012 approvato il 26 aprile 2012;
   tale documento risulta essere, nel combinato disposto, la pianificazione attuativa di leggi e decreti legislativi che avevano il precipuo obiettivo della coesione territoriale e sociale attraverso la definizione di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42;
   nel Documento di economia e finanza, relativamente e in particolar modo alle infrastrutture strategiche del sistema Paese, è enunciato, declinato e adottato un disegno pianificatorio che ad avviso dell'interrogante non solo non tiene conto degli obiettivi legislativi contenuti nella legge delega del 5 maggio 2009, n. 9, comunemente detta legge sul federalismo fiscale, ma disattende, violandoli, precisi disposti costituzionali relativi al diritto all'equità, alla coesione e all'unitarietà della nazione;
   in particolar modo si enunciano quattro fondamentali decisioni strategiche che si richiamano sinteticamente:
    nel capitolo del DEF 2012 concernente i finanziamenti e l'attrazione del capitale privato si afferma quanto segue: «A fronte della scarsità di risorse pubbliche, e partendo dall'assunto che “per crescere serve esportare, e per esportare serve trasportare”, il Governo intende concentrare i finanziamenti pubblici, nel rispetto di una valutazione costi-benefici e della reale validità strategica, da reperire anche attraverso il coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti, della BEI e dei privati entro schemi di PPP, su quelle infrastrutture di trasporto (porti, interporti, aeroporti, strade e ferrovie) maggiormente capaci di effetti di produttività e competitività, ossia su quelle infrastrutture capaci di ridurre il costo del trasporto e della logistica per l'economia italiana, e, in particolare, per il complesso produttivo settoriale/territoriale dedicato alle esportazioni. Si tratta di una norma assolutamente nuova che consente di dotarsi di un moderno strumento di finanziamento, all'avanguardia in Europa e nel resto del mondo, in linea con lo schema proposto dalla Commissione europea attraverso l'iniziativa “Prestiti obbligazionari Europa 2020” per il finanziamento di progetti. La disposizione è importante non solo per la novità dello norma in sé, ma anche perché è stata emanata nel contesto di un corpus di disposizioni mirate a dare finalmente le certezze necessarie all'operatore privato. Tra queste regole rientrano l'allungamento fino a cinquant'anni della durata delle concessioni, una progettazione più chiara attraverso anche asseverazioni sulla bancabilità dell'opera, un migliore rapporto tra le risorse pubbliche e private. Con la nuova disciplina in materia di emissione delle obbligazioni da parte delle società di progetto si introduce uno strumento, di natura privatistica, atto ad alimentare flussi di finanziamento per la costruzione di infrastrutture e a garantire la copertura dei rischi di costruzione; a differenza degli attuali strumenti di finanziamento dei partenariati pubblico-privati, dove le obbligazioni vengono ripagate dagli introiti (pedaggi, canoni, e altro) delle opere infrastrutturali già interamente realizzate;
   nell'ambito delle priorità di intervento e secondo questo presupposto il DEF individua in modo dettagliato le aree e i nodi che dovranno essere oggetto di finanziamento e afferma quanto segue: «In questa prospettiva, le priorità d'intervento nazionali coincidono con il sottoinsieme delle infrastrutture strategiche comprese nella rete essenziale transeuropea di trasporto TEN-T, con il duplice vantaggio di abbinare un valore aggiunto di crescita europea al valore aggiunto di crescita italiana e di utilizzare al meglio i cofinanziamenti europei per le stesse infrastrutture. L'obiettivo è di realizzare, progressivamente, le tratte italiane dei quattro corridoi “Adriatico-Baltico”, “Mediterraneo”, “Helsinki - La Valletta” e “Genova - Rotterdam”, partendo dai principali colli di bottiglia, costituiti dai nodi urbani (Roma, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Torino, Venezia e Palermo), portuali marittimi (Ancona, Bari, Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Palermo, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia) e fluvio-marittimi (Cremona, Mantova, Ravenna, Trieste e Venezia), aeroportuali (Roma Fiumicino, Milano Linate e Malpensa, Venezia Tessera, Bergamo Orio al Serio, Bologna Borgo Panigale, Genova Sestri, Napoli Capodichino, Palermo Punta Raisi e Torino Caselle) interportuali (Ancona, Bari, Bologna, Cervignano, Firenze, Genova, Livorno, Milano, Napoli, Novara, Orbassano, Padova, Pomezia e Verona) e di valico alpino (Fréjus, Domodossola, Chiasso, Brennero, Tarvisio, Trieste) e dagli archi congestionati della rete transeuropea di trasporto essenziale (Ten-T core network) concordati in sede di revisione delle reti TEN-T e del “meccanismo per collegare l'Europa” (Connecting Europe Facility)»;
   nel medesimo documento di Economia e Finanza si definiscono le tipologie degli interventi ammessi: «Per ridurre il “tempo verso la crescita” (time to growth) e sempre con riferimento ad opere ed interventi relativi alle tratte italiane dei quattro corridoi europei sopra menzionati, il Governo intende seguire la seguente priorità logica e cronologica: interventi, prevalentemente di tecnologia di informazione e comunicazione, che consentano di ottenere migliori servizi dagli archi e dai nodi infrastrutturali esistenti: l'esempio più rappresentativo è costituito dall'istallazione dei sistemi di segnalamento controllo ferroviario ERTMS (European Rail Traffic Management System) sulle reti anche convenzionali, che sono prevalentemente dedicate al traffico merci, allo scopo di aumentare l'offerta ferroviaria a partire dalle infrastrutture esistenti; interventi di collegamento dei nodi strategici, porti e aeroporti, alla rete esistente in modo da esaltare lo sfruttamento della intermodalità oggi possibile; ovviare il completamento degli orchi e dei nodi mancanti, a partire dai nodi portuali e aeroportuali dove maggiori sono i guadagni di efficienza prevedibili a minor costo possibile»;
   nel DEF sono quindi enunciate le esigenze finanziarie così argomentate: «Si è, pertanto, ritenuto opportuno articolare le varie finalità strategiche nelle seguenti quattro distinte priorità funzionali limitando al massimo le esigenze legate all'annualità 2013: 1. priorità obbligate; 2. priorità legate alle decisioni assunte a scala comunitaria sul nuovo assetto delle Reti TEN-T; 3. priorità supportate da un reale coinvolgimento di capitali privati nella realizzazione delle opere; 4. priorità legate a dare continuità ad impegni assunti;
   fanno parte del primo filone funzionale interventi che nel triennio richiedono risorse globali, in conto capitale, per circa 5.400 milioni di cui circa 2.700 milioni relativi alla annualità 2013. Un simile importo consente, sempre nel triennio, la realizzazione dei seguenti interventi: 1) Contratti di programma 2013 dell'ANAS e di RFI; 2) Ulteriori tranche per il completamento della messa in sicurezza della città di Venezia e della laguna (Mo.S.E); 3) Nuovo asse ferroviario Torino-Lione; 4) Nuovo valico ferroviario del Brennero (quota italiana); 5) Messa in sicurezza ponti e viadotti ANAS; 6) Interventi di completamento di opere già cantierate e bloccate; 7) Fondo mirato ad evitare l'ennesima proroga degli sfratti;
   fanno parte del secondo filone una serie di interventi che a livello strategico sono coerenti con il quadro delle priorità definito a livello comunitario in termini di core network;
   l'importo delle esigenze finanziarie del triennio è pari a circa 1.900 milioni di cui circa 1.700 milioni relativi all'annualità 2013. Trattasi, in particolare, di interventi relativi a:
    a) assi viari;
    b) nodi metropolitani;
    c) nodi logistici di particolare rilievo (porti, aeroporti, interporti);
   fanno parte del terzo filone una serie di interventi che, grazie alla norma sulla defiscalizzazione, possono consentire un forte ridimensionamento delle risorse pubbliche necessarie per la realizzazione di assi strategici fondamentali ed al tempo stesso assicurare un coinvolgimento di rilevanti capitali privati. Con una base pubblica di circa 3 miliardi di cui circa un miliardo a partire dal 2013, si rende possibile l'avvio di investimenti superiori a 15 miliardi. Trattasi, in particolare, dei seguenti interventi: a) Asse autostradale Orte Mestre; b) Asse autostradale Termoli- San Vittore; c) Asse autostradale Telesina; d) Asse autostradale Roma-Latina; e) Completamento asse autostradale Salerno-Reggio Calabria;
   fanno parte del quarto filone una serie di azioni che invocano sia impegni in conto capitale che in conto esercizio. Il valore globale di tali finalità, in conto capitale, si attesta su un valore di circa 400 milioni, di cui circa 200 milioni per l'annualità 2013, ed è essenzialmente finalizzato a completare il Piano delle «opere piccole e medie nel Mezzogiorno» e su un valore di circa 750 milioni, in conto esercizio, relativo, tra l'altro sia agli interventi a sostegno del settore dell'autotrasporto di merci per conto di terzi, sia ad agevolazioni fiscali anche per i project bond»;
   il documento di economia e finanza come premessa a queste disposizioni riporta la seguente affermazione: «Le linee guida di seguito indicate, sono elaborate nel rispetto dei decreti attuativi previsti negli articoli 16 e 22 della legge n. 42/2009 e del Programma Nazionale di Riforma»;
   nel Documento di Economia e Finanza risulta secondo l'interrogante totalmente eluso e palesemente violato l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 con particolare riferimento alla lettera g) relativa alla misurazione e alla compensazione del divario insulare che richiama gli interventi previsti nell'ambito dell'articolo 19 della Costituzione;
   la legge n. 42 del 2009, infatti, all'articolo 22, dispone: «(Perequazione infrastrutturale):
  1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
    a) estensione delle superfici territoriali;
    b) valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno;
    c) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo;
    d) densità della popolazione e densità delle unità produttive;
    e) particolari requisiti delle zone di montagna;
    f) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
    g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;
   2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma da effettuare nelle aree sottoutilizzate sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443»;
   in sede di prima applicazione della legge, il programma delle infrastrutture strategiche (PIS) è stato approvato con la delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121, e, per gli anni successivi, l'elenco delle opere è stato integrato ed aggiornato per mezzo dì un apposito allegato al DPEF;
   l'articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; d'intesa con i Ministri competenti e le regioni o province autonome interessate predisponga un programma destinato ad essere inserito, previo parere del CIPE e previa intesa della Conferenza unificata, nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), con l'indicazione dei relativi stanziamenti;
   il Parlamento si pronuncia sul programma in sede di esame del DPEF;
   il successivo comma 1-bis (aggiunto dall'articolo 13, comma 4, della legge n. 166/2002 «Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti») prevede che il programma contenga le seguenti indicazioni: a) l'elenco delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da realizzare; b) i costi stimati per ciascuno degli interventi; c) le risorse disponibili e relative fonti di finanziamento; d) lo stato di realizzazione degli interventi previsti nei programmi precedentemente approvati; e) il quadro delle risorse finanziarie già destinate e degli ulteriori finanziamenti necessari per il completamento degli interventi;
   sul piano infrastrutturale in Italia si rilevano tre questioni specifiche – valutate di rilevanza nazionale ed evidenziate negli ultimi DPEF – che richiedono di essere considerate all'interno del quadro generale:
    la «questione settentrionale», con una domanda di accessibilità e di mobilità – per persone e merci – debolmente soddisfatta da un'offerta infrastrutturale con rilevanti deficit qualitativi e quantitativi;
    la «questione meridionale», evidenziata da un rilevante ritardo infrastrutturale, in una situazione nazionale già di per sé precaria;
    la «questione insulare» con macroscopici evidenti e oggettivi aggravi del divario territoriale e infrastrutturale, economico e sociale legati alla condizione insulare;
    la questione insulare, con particolare riferimento alla regione autonoma della Sardegna, totalmente esclusa da qualsiasi ordine di priorità e pianificazione, è l'indifferibile oggetto della presente interrogazione;
   al fine della più compiuta valutazione della condizione attuale della regione Sardegna risulta necessario produrre analisi e dati oggettivi che rendono i provvedimenti richiamati inficiati da assenza di analisi, di legittimità costituzionale per palese violazione delle norme che dispongono il riequilibrio sociale ed economico, territoriale e infrastrutturale e di falsità di presupposti relativamente al dichiarato perseguimento delle norme dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009;
   al fine di richiamare dati oggettivi si propongono le analisi di un soggetto terzo, l'istituto Tagliacarne che rileva attraverso l'atlante delle infrastrutture elementi di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale:
    per quanto riguarda le reti energetiche: indice 100 per l'Italia; 64,54 per il Mezzogiorno; 35,22 per la Sardegna;
    per quanto riguarda le reti stradali indice 100 per l'Italia; 87,10 per il Mezzogiorno; 45,59 per la Sardegna;
    per quanto riguarda le reti ferroviarie: indice 100 per l'Italia; 87,81 per il Mezzogiorno; 15,06 per la Sardegna;
    per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali: indice 100 per l'Italia; 84,45 per il Mezzogiorno; 56,16 per la Sardegna;
   tali dati non tengono conto del divario insulare, che risulta indefinito proprio per l'assenza strutturale di tale parametro nell'ambito di una corretta pianificazione territoriale e di coesione nazionale;
   a questi indici infrastrutturali di dotazione si aggiungono le analisi compiute da Cresme relativamente alle risorse finanziarie pro capite e territoriali stanziate negli ultimi dieci anni relativamente alle infrastrutture contenute nel rapporto del 2 luglio del 2010 predisposto a seguito della deliberazione dell'ufficio di presidenza dell'VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici del 22 luglio 2009;
   nell'analisi che si propone, a prescindere da ulteriori articolazioni e interdipendenze, come per esempio l'effetto conseguente all'insularità, sono stati presi in esame due parametri oggettivi quali quello territoriale (spesa per chilometri quadrati) e quello demografico (spesa pro capite);
   il primo parametro preso in esame è quello della superficie territoriale dal quale emerge: il valore medio nazionale del costo dell'intero Programma risulta pari a circa un milione e 190 mila euro per chilometro quadrato. Nove sono le regioni con valori superiori a questa media nazionale: innanzitutto la Liguria, che sfiora i 4 milioni a chilometro quadrato, seguita dalla Calabria, con 3 milioni. Tra il milione e i due milioni si attestano alcune regioni più grandi, nell'ordine la Lombardia, il Veneto, la Sicilia e la Campania. Seguono tra le altre il Molise, il Friuli e il Piemonte. Leggermente al di sotto della media il Lazio. Ultime della graduatoria la Sardegna con 237.000 euro per chilometro quadrato e il Molise con 225.000 euro per chilometro quadrato;
   i dati elaborati sull'intero Programma infrastrutture strategiche, il cui valore complessivo del Programma è attualmente pari a 358 miliardi, rileva nel dettaglio il seguente rapporto regionale sulla base della superficie territoriale e dei costi dell'intero programma – monitoraggio aprile 2010 – (euro per chilometro quadrato):

Euro 
Liguria 3.884.719
Calabria 3.074.912
Lombardia 1.646.189
Veneto 1.625.508
Sicilia 1.408.644
Campania 1.379.566
Molise 1.302.502
Friuli Venezia Giulia 1.289.567
Piemonte 1.217.754
Lazio 1.125.066
Emilia Romagna 1.069.755
Umbria 868.401
Basilicata 837.065
Abruzzo 767.266
Toscana 649.124
Puglia 448.032
Trentino Alto Adige 446.560
Valle d'Aosta 290.038
Sardegna 237.463
Marche 225.478
   in relazione a questa analisi risulta evidente un gravissimo disequilibrio di pianificazione infrastrutturale tra le singole regioni;
   tale dato emerge in tutta la sua evidenza nell'elaborazione predisposta per questo atto parlamentare se si raffronta il dato regionale rispetto al dato medio nazionale di riparto di 1.188.379 euro per chilometro quadrato preso come riferimento base dell'analisi;
   i dati seguenti costituiscono la dimostrazione oggettiva dello squilibrio nazionale nell'ambito del piano infrastrutturale rispetto ad un equo riparto delle risorse per regione parametrato sullo stanziamento medio nazionale per chilometro quadrato:

Liguria +14.614.162.800
Calabria +28.450.804.173
Lombardia +10.924.720.030
Veneto +8.039.239.439
Sicilia +5.661.471.295
Campania +2.598.231.330
Molise +506.477.874
Friuli Venezia Giulia +794.932.928
Piemonte +746.125.000
Lazio -1.089.490.104
Emilia Romagna -2.624.318.752
Umbria -2.705.733.968
Basilicata -3.511.383.430
Abruzzo -4.545.914.835
Toscana -12.397.472.450
Puglia -14.337.560.002
Trentino Alto Adige -10.093.931.133
Valle d'Aosta -2.931.286.683
Sardegna -22.907.566.440
Marche -9.334.362.294
   la rappresentazione economica del divario rende il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa carta costituzionale in termini di coesione nazionale, uguaglianza tra cittadini e libertà;
   tale analisi assume una valenza ancor più significativa nel dato relativo al valore pro capite dell'investimento infrastrutturale nel nostro Paese;
   dall'esame dello studio richiamato il valore pro capite del costo dell'intero Programma infrastrutturale ad oggi stimato è pari a circa 6.000 euro ad abitante se si considera l'intero costo, quindi compresa la quota non ripartibile a livello regionale (14.143 milioni di euro);
   il dato pro capite fa registrare la Calabria con circa 23.000 euro, il Molise (oltre 18.000 euro ad abitante), la Basilicata (14.000 euro), la Liguria (13.000 euro), il Friuli e l'Umbria (oltre 8.000 euro). Tra le regioni più grandi, al di sopra della media regionale si collocano la Sicilia con oltre 7.000 euro; il Piemonte, con un importo leggermente inferiore (6.978 euro); il Veneto (oltre 6.000 euro). L'Emilia Romagna supera i 5.000 euro, la Lombardia registra un valore intorno ai 4.000 euro, come la Toscana, mentre Lazio e Campania si attestano su 3.000 euro. La Sardegna si attesta sui 3.423 euro pro capite;
   il divario tra regioni rispetto alla media nazionale è rappresenta dai seguenti dati (euro per persona):

Piemonte 6.978
Valle d'Aosta 7.449
Lombardia 4.032
Liguria 13.037
Trentino-Alto Adige 5.965
Veneto 6.119
Friuli Venezia Giulia 8.231
Emilia Romagna 5.456
Toscana 4.025
Umbria 8.212
Marche 1.393
Lazio 3.441
Abruzzo 6.206
Molise 18.018
Campania 3.225
Puglia 2.127
Basilicata 14.165
Calabria 23.085
Sicilia 7.187
Sardegna 3.423
   il rilevante squilibrio nel riparto regionale, relativamente alla quota pro capite, è ancora più evidente nei dati seguenti che rappresentano il divario tra le regioni:

Piemonte +4.494.626.994
Valle d'Aosta +188.691.525
Lombardia -18.822.850.032
Liguria +11.423.347.672
Trentino-Alto Adige +1.018.657
Veneto +757.259.940
Friuli Venezia Giulia +2.790.531.912
Emilia Romagna -2.203.693.332
Toscana -7.189.459.102
Umbria +2.010.211.056
Marche -7.174.541.038
Lazio -14.196.189.330
Abruzzo +322.991.350
Molise +3.866.862.930
Campania -22.304.335.194
Puglia -15.653.816.574
Basilicata +4.843.518.801
Calabria +10.111.679.721
Sicilia +6.161.228.177
Sardegna -4.246.013,541
   dallo studio predisposto si rileva che la media nazionale del valore pro capite della spesa ad oggi prevista per le opere con delibera CIPE è di 2.180 euro;
   superano la media l'Umbria, con quasi 7.500 euro ad abitante, la Calabria, con oltre 6.000 euro, il Trentino e la Liguria, con più di 5.000, Veneto e Sicilia, con oltre 3.000 e la Lombardia (2.456 euro). In fondo alla classifica Sardegna (836 euro), Molise (611 euro), Marche (473 euro), Abruzzo (437 euro) e Puglia (216 euro);
   il combinato disposto dei provvedimenti richiamati e per tutti l'atto finale del Documento di economia e finanza 2012 approvato dal Consiglio dei ministri n. 25 in data 18 aprile e sul quale il 26 aprile 2012 si sono espressi attraverso apposite risoluzioni il Senato della Repubblica e della Camera dei deputati prevede in sintesi:
    a) l'inserimento tra le opere strategiche e finanziabili con risorse pubbliche e private esclusivamente quelle contenute nell'ambito dei 4 corridoi europei;
    b) le opere sono declinate in modo puntuale sia nell'ambito territoriale che logistico nel DEF 2012 ed escludono totalmente la regione Sardegna;
    c) il finanziamento prioritario ed esclusivo, sia pubblico che privato, di quelle opere che risultino in termini di economicità produttive e redditive, escludendo di fatto quegli interventi tesi al riequilibrio e alla coesione nazionale;
    d) il finanziamento privato come elemento imprescindibile dell'infrastrutturazione del Paese non valutando che tale vincolo costituisce un ulteriore limite al recupero del divario insulare considerato che la Sardegna non può in alcun modo sopportare oltre all'onere del divario stesso anche quello di pedaggi e tariffazioni logistico infrastrutturali che renderebbero doppiamente penalizzata la regione;
   tale documento di economia e finanza costituisce a tutti gli effetti un atto che lede gravemente e in modo esplicito la coesione nazionale e nel contempo lede diritti e principi sanciti a livello costituzionale;
   si rileva la totale violazione per mancata applicazione della legge n. 42 articolo 22 del 2009;
   l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 dispone: g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;
   è evidente che tale norma che richiama il comma quinto dell'articolo 119 della Costituzione risulti totalmente violato in quanto la regione Sardegna in base alla pianificazione contenuta nel Documento di economia e finanza risulta totalmente esclusa da qualsiasi tipo di infrastrutturazione sia strategica che funzionale all'eliminazione degli effetti economici legati appunto al divario geografico;
   è fin troppo evidente che, alla già di per sé grave mancata predisposizione di un apposito decreto attuativo relativo alla questione insulare, così come avrebbe suggerito la stessa disposizione normativa, si deve registrare una previsione pianificatoria che non solo non restringe la forbice del divario insulare ma che in prospettiva la rende ancora più ampia con effetti devastanti sull'economia della regione Sardegna;
   si rileva la violazione della Costituzione relativamente agli articoli 2-3-4-5;
   appare palesemente violato il disposto dell'articolo 2 della Costituzione che affida alla «Repubblica» il compito di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il DEF 2012 ignora tale disposto sia sul piano del diritto ad un'equa ripartizione di interventi e risorse tese al riequilibrio territoriale e infrastrutturale che su quello dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale;
   è sostanzialmente violato l'articolo 3 della Costituzione che ha riconosciuto a «tutti i cittadini pari dignità sociale» considerato che con tale pianificazione prevista dal DEF 2012 si amplia il divario economico e sociale tra la Sardegna e il resto del Paese con un evidente venir meno di quelle condizioni di pari dignità auspicate e prescritte dal dettato costituzionale;
   lo stesso articolo 4 del dettato costituzionale laddove «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto» risulta palesemente violato perché appare evidente che l'ampliamento del divario economico e sociale legato a quello infrastrutturale farà venir meno per i cittadini sardi quel diritto fondamentale al lavoro. In tal senso viene precluso lo stesso comma 2 dell'articolo 4 laddove è disposto che «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»;
   risulta, con il combinato disposto del Documento di economia e finanza, violato lo stesso articolo 5 della Costituzione laddove si afferma la Repubblica è «una e indivisibile». In tal senso, l'aver sostanzialmente e strategicamente escluso dalla pianificazione del Paese una regione insulare come la Sardegna rappresenta un vulnus costituzionale di gravità inaudita proprio per la coesione nazionale e istituzionale alla quale si richiama la Costituzione;
   risulta violato il diritto alla mobilità di cui all'articolo 16 della costituzione;
   l'articolo 16 della Costituzione recita: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche;
   l'articolo 3, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e – rettifiche – GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34), così dispone:
    «La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo»;
   risulta evidente che l'esclusione della Sardegna da qualsiasi piano infrastrutturale strategico costituisce, proprio per la sua aggravante condizione insulare, costituisca un grave impedimento alla mobilità e che pertanto per il pieno esercizio del predetto diritto risulta indispensabile un piano adeguato di infrastrutturazione teso proprio all'eliminazione sia sul piano infrastrutturale che economico di quel divario;
   il Documento di economia e finanza 2012 risulta illegittimo proprio perché non tiene conto delle disposizione normative, oltre a quelle costituzionali, relative al riconoscimento alla Sardegna di un ruolo strategico nell'area del Mediterraneo considerato che la risoluzione sul Def 2011, approvata lo scorso anno, aveva richiamato la legge obiettivo del 2001 che individuava l'isola come piastra logistica EuroMediterranea;
   risulta illogico prevedere anche per le regioni insulari e nella fattispecie la Sardegna una previsione di capitali privati a cui far seguire l'imposizione di pedaggi e tariffe che finirebbero per aggravare ulteriormente il già rilevante costo della mobilità a cui la Sardegna è costretta a sottostare proprio per via della sua condizione insulare;
   risulta un chiaro ed evidente eccesso di potere introdurre surrettiziamente in una regione a statuto speciale una tariffazione infrastrutturale che violerebbe le stesse disposizioni dello statuto autonomo della Sardegna e delle norme di attuazione;
   dall'esecuzione dei provvedimenti citati si rileva come i danni non attengono solo ad una dimensione propriamente economica, già di per sé rilevantissima, considerato che si aggiunge alla mancata attuazione del disposto dell'articolo 8 dello statuto autonomo della Sardegna quanto anche alla sfera della indispensabile tutela dei diritti fondamentali dei cittadini sardi e della stessa regione autonoma –:
   se non ritengano di dover valutare se sussistano i presupposti per ricorrere agli strumenti previsti dall'ordinamento per intervenire sulla definizione degli obiettivi indicati dal documento di economia e finanza alla luce di quanto indicato in premessa;
   se non ritengano di dover attuare un piano di riequilibrio sostanziale nei confronti delle regioni insulari, sia per quanto riguarda la parte infrastrutturale interna sia per quanto riguarda il divario insulare in attuazione anche delle norme vigenti in materia e nella fattispecie all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009;
   se non ritengano di dover proporre e sostenere nell'ambito europeo una rimodulazione dei corridoi europei al fine di predisporre strategie funzionali all'inserimento anche delle regioni insulari all'interno di siffatti corridoi di trasporto e mobilità;
   se non ritengano nell'ambito delle risorse da pianificare e quelle già pianificate e non utilizzate un'equa ripartizione delle stesse con parametri oggettivi eliminando quelle evidenti e assolutamente inique ripartizioni che danneggiano in modo irreversibile la regione Sardegna;
   se non ritengano necessario predisporre un decreto attuativo relativamente alla questione insulare in relazione alla lettera g) dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 al fine di prevedere un piano di misurazione e riequilibrio del divario insulare. (5-00048)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI, ERMINI, PARRINI, DALLAI, GELLI, CENNI, DONATI e TARICCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'olivicoltura italiana rappresenta un settore produttivo strategico per il Made in Italy agroalimentare e per l'economia locale, essendo presente in quasi tutte le regioni, caratterizzandone il paesaggio ed assicurando la produzione di oli di oliva vergini di elevata qualità;
   l'identità dei prodotti nazionali e la lotta alle frodi alimentari risultano strategici per garantire la solidità, la competitività e la distintività del made in Italy e delle imprese agricole italiane;
   il mercato mondiale dell'olio di oliva, soprattutto nei segmenti qualitativamente meno caratterizzati, è influenzato da Paesi con un'organizzazione produttiva e commerciale, diversa da quella Italiana, in cui l'olivicoltura intensiva e superintensiva, con raccolta meccanizzata e stoccaggio di massa delle olive, consente di immettere sul mercato prodotti economicamente più vantaggiosi, a discapito della qualità degli stessi;
   in una delle più recenti operazioni poste in essere dal comando provinciale della Guardia di finanza di Bari – in collaborazione con funzionari dell'Ispettorato centrale qualità repressione frodi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e delle Agenzie delle dogane di Bari – sono state eseguite 37 perquisizioni presso aziende, uffici e depositi commerciali ubicati nelle province di Cosenza, Catanzaro, Crotone, provincia Barletta Andria Trani e Foggia, conclusesi con il sequestro di circa 400 tonnellate di olio di oliva, per un valore commerciale di circa un milione di euro. Le frodi, in particolare, sono state poste in essere con l'utilizzo di falsa documentazione e false etichettature, attraverso le quali l'olio extravergine di oliva di provenienza straniera veniva fatto risultare come made in Italy e l'olio di oliva «non biologico» veniva fatto risultare come «biologico»;
   recentemente, inoltre, sono emerse diverse criticità, perché la normativa, pur definendo i contenuti essenziali delle diciture obbligatorie previste nell'etichettatura dei prodotti offerti in vendita, non indica con precisione le modalità grafiche con cui l'obbligo deve essere attuato e ciò consente alle imprese di apporre le indicazioni di interesse con modalità o caratteri che ne rendono difficile la corretta percezione da parte dei consumatori;
   le normative relative all'indicazione della designazione dell'origine dell'olio extravergine di oliva – approvate, con le modifiche al regolamento comunitario 1019/2002/CEE e, a livello nazionale, con il decreto ministeriale 10 novembre 2009 – non sono risultate sufficienti per prevenire e contrastare fenomeni fraudolenti;
   l'attuale quadro normativo di riferimento, inoltre, consente di «legalizzare» vere e proprie frodi ai danni dei consumatori, che vengono poste in essere adottando pratiche finalizzate a deodorare oli con caratteristiche organolettiche non adeguate;
   con riferimento all'applicazione della normativa comunitaria (regolamento comunitario 24 gennaio 2011, n. 61/2011 (CE) che definisce alcune caratteristiche fisiche e chimiche degli oli d'oliva nonché i relativi metodi di valutazione, i limiti fissati a livello comunitario per la presenza di alchil esteri negli olii extravergini sono troppo elevati e rischiano di incentivare la messa in commercio di oli di scarsa qualità spesso miscelati ad oli di migliore fattura;
   accreditati studi scientifici riferiscono che, nell'ambito di una produzione artigianale o a regola d'arte di olio extravergine di oliva, posta in essere rispettando le buone pratiche di raccolta e di estrazione dell'olio, la sommatoria degli alchil esteri non supera i 25/30 mg/kg, tanto che la presenza di un valore elevato di etil esteri è indice di fermentazione e di cattiva conservazione delle olive;
   in tale contesto, sebbene fino ad ora l'attività di controllo e repressiva, svolta a tutela dei consumatori, abbia consentito di sottrarre dal mercato una significativa quantità di olio di scarsa qualità, contraddistinto con informazioni ingannevoli o non veritiere, le risultanze di tali iniziative fanno registrare una dilagante diffusione del fenomeno di illeciti nel settore oleario, posti in essere tramite operazioni tendenti a spacciare oli stranieri, deodorati e di bassa qualità, come oli di oliva extra vergini di provenienza italiana;
   per tutte le indicate ragioni, l'articolo 43, comma 1-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante Misure urgenti per la crescita del Paese ha disposto che: «al fine di prevenire frodi nel settore degli oli di oliva e di assicurare la corretta informazione dei consumatori, in fase di controllo gli oli di oliva extravergini che sono etichettati con la dicitura «Italia» o «italiano», o che comunque evocano un'origine italiana, sono considerati conformi alla categoria dichiarata quando presentano un contenuto in metil esteri degli acidi grassi ed etil esteri degli acidi grassi minore o uguale a 30 mg/kg. Il superamento dei valori, salve le disposizioni penali vigenti, comporta l'avvio automatico di un piano straordinario di sorveglianza dell'impresa da parte delle Autorità nazionali competenti per i controlli operanti ai sensi del regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004»;
   successivamente, con la legge 14 gennaio 2013, n. 9, sono state approvate le Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini;
   la richiamata legge introduce una serie di strumenti finalizzati a tutelare i consumatori, la produzione made in Italy e le imprese nazionali da fenomeni di abuso e contraffazione;
   in particolare, nel capo 1 della legge sono previste norme sulla indicazione dell'origine e la classificazione degli oli di oliva vergini, precisando le modalità delle diciture concernenti la designazione di origine degli oli di oliva vergini, al fine di ottimizzare le condizioni di leggibilità di tali informazioni che sono essenziali per la scelta dell'olio, da parte del consumatore. Inoltre, al fine di garantire corrispondenza merceologica alle caratteristiche di qualità dei prodotti viene attribuito valore probatorio ai risultati dei test di verifica delle caratteristiche organolettiche effettuati dai panel di assaggiatori riconosciuti, ai sensi del Regolamento (CEE) n. 2568/91, dell'11 luglio 1991 relativo alle caratteristiche degli oli di oliva vergini nonché ai metodi ad essi attinenti. Ancora, al fine di assicurare la corretta informazione dei consumatori e tutelare la qualità degli oli nazionali, viene previsto che nell'ambito delle attività di controllo, venga analizzato il parametro degli alchil esteri negli oli extravergini anche per valori inferiori rispetto a quelli limite previsti in ambito comunitario, ad un livello che consenta di identificare gli oli migliori;
   il capo 2 della legge introduce norme sulla trasparenza e sulla tutela del consumatore. In particolare, sfruttando le difficoltà di percezione delle diciture obbligatorie previste nell'etichettatura dei prodotti offerti in vendita, i consumatori possono essere facilmente indotti in errore sull'effettiva località di provenienza. Ne consegue la contestuale dichiarazione di decadenza di marchi con diciture e segni grafici che evochino una specifica zona geografica che non coincide con l'effettiva origine delle olive, considerando che vengono distorte le scelte commerciali dei consumatori che acquistano un prodotto nella convinzione erronea che possieda caratteristiche di cui, in concreto, non è dotato. Viene estesa, quindi, l'applicazione di più rigorose disposizioni penali a tutela del commercio nelle ipotesi di fallace indicazione nell'uso del marchio, quando abbia per oggetto oli di oliva vergini. Ai medesimi fini di prevenzione delle frodi, sono state disciplinate le modalità di presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi;
   il capo 3 della legge introduce norme sul funzionamento del mercato e della concorrenza. In particolare, è previsto, da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, un più incisivo controllo sulle pratiche commerciali dell'olio, al fine di ostacolare intese restrittive della concorrenza che hanno ad oggetto l'illegittimo aumento dei prezzi di vendita da applicare al settore distributivo. Viene, inoltre, colmata una lacuna del quadro normativo vigente nel quale manca una disciplina specifica per assicurare al consumatore l'accesso ad una serie di informazioni – quali, ad esempio, quelle relative all'origine delle materie prime impiegate – con riferimento agli oli che provengono da mercati esteri;
   il capo 4 della legge introduce norme sul contrasto delle frodi, in particolare, estendendo anche ai reati alimentari e di frodi nel settore alimentare una responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato e prevedendo il rafforzamento degli istituti processuali ed investigativi anche attraverso intercettazioni telefoniche;
   la Commissione europea ha deciso di avviare un EU PILOT 4632/13/AGR sulla legge 14 gennaio 2013, n. 9, «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini», lamentando la violazione, da parte dell'Italia, delle procedure e dei termini previsti dalla direttiva 22 giugno 1998, n. 98/34/CE che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione;
   in particolare, la Commissione lamenta il mancato rispetto dell’iter di notifica e del termine assegnato all'Italia per l'adozione delle disposizioni in materia di dimensione dei caratteri e tipologie dei sistemi di apertura per le confezioni di olio di oliva vergine, in quanto previsioni già oggetto di discussione presso il Comitato di gestione per l'organizzazione comune dei mercati agricoli;
   sulla base di ulteriori valutazioni effettuate successivamente alle comunicazioni trasmesse ai sensi della predetta direttiva, la Commissione ha censurato gli articoli 1, commi 2, 3 e 4; 4, comma 3; 7, comma 2; articolo 16, comma 1, per la violazione di altre disposizioni comunitarie –:
   quali iniziative si intendano assumere per difendere, a livello europeo, l'iniziativa legislativa censurata;
   quali misure si intendano promuovere per garantire il tempestivo avvio di un sistema adeguato ed efficiente di controlli nel settore della produzione e del commercio degli oli di oliva vergini;
   se non si ritenga necessario proseguire l'impegno delle istituzioni nazionali per una revisione del quadro comunitario di riferimento in modo da assicurare la tutela dell'identità e della qualità dei prodotti agroalimentari nazionali e, nello specifico, degli oli di oliva vergini, posto che, soprattutto nella menzionata categoria merceologica, l'origine territoriale dei prodotti agricoli, è il criterio primario di riferimento per individuarne e garantirne le caratteristiche qualitative attraverso la leggibilità dei caratteri delle diciture riportate in etichetta e la presentazione al pubblico in imballaggi muniti di tappo cosiddetto antirabbocco;
   se non si ritenga indispensabile confermare la necessità dell'adozione di incisive e dissuasive misure atte a scoraggiare, prevenire e contrastare ipotesi di illecito anche in altri settori agroalimentari.
(4-00015)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il rappresentante del gruppo di democrazia partecipativa «Parlamentares» Giannetto Satta, consigliere comunale di Valledoria, ha segnalato al sottoscritto interrogante la gravissima situazione venutasi a creare ripetutamente anche nelle scorse settimane nella piana del Coghinas, nel territorio del Comune di Santa Maria Coghinas, in seguito ad un'imponente inondazione provocata dall'apertura delle paratie della diga di Casteldoria con campagne allagate, bestiame disperso e annegato e danni ingenti per il settore agricolo, già martoriato da una gravissima crisi;
   la piana del Coghinas a seguito dell'inondazione improvvisa si presenta come un grande lago, con l'area completamente devastata dall'imponente massa d'acqua che viene riversata;
   la grave inondazione è stata provocata dalla decisione improvvisa dell'Enel di aprire le paratie della diga a monte, decisione attribuita a motivi di sicurezza dopo le eccezionali precipitazioni dell'ultimo periodo;
   la violenta massa d'acqua ha travolto in modo irreversibile carciofaie, vigneti, frutteti e orti. La forza dell'acqua ha praticamente trascinato via tutto, comprese alcune mandrie di bovini al pascolo;
   notevoli disagi sono stati creati anche nel nuovissimo impianto termale di Casteldoria, dove alcune pompe di sollevamento sono state sommerse dall'acqua e danneggiate, con conseguente rallentamento dell'attività;
   i danni per il comparto agricolo, il settore più importante dell'economia dell'Anglona, sono ingenti e ancora non sono stati quantificati;
   l'Enel, responsabile della diga di Casteldoria, ha sostenuto di aver allertato tutte le istituzioni del territorio;
   i sindaci del territorio è scritto nella segnalazione del rappresentante di «Parlamentares» Giannetto Satta non sono stati avvisati tempestivamente rendendo impossibile il tentativo di alleviare i danni e i disagi provocati dall'alluvione;
   i danni nella valle del Coghinas sono conseguenti non solo del tardivo allarme da parte delle autorità preposte ma anche dalla scarsa manutenzione degli argini che, secondo i calcoli previsti dal Pai (piano assetto idrogeologico regionale), sono insufficienti a contenere eventi meteorologici eccezionali;
   l'inondazione ha interessato la golena che va dalla piana di Viddalba fino a quella limitrofa di Valledoria;
   gli amministratori dei comuni interessati all'inondazione hanno preannunciato di volersi costituire parte civile per il risarcimento dei danni patrimoniali all'ambiente;
   lo sbarramento della diga di Muzzone ha una capacità, a pieno carico di 223.900.000 metri cubi d'acqua. La centrale è classificata a «Serbatoio», chiamata così perché è alimentata dal lago. La diga ha un salto di 101,50 metri; la turbina è in grado di fornire una potenza di 22700 chilowatt;
   la portata di questa inondazione ha posto tutta una serie di questioni relative al grado di sicurezza dei sistemi di gestione dell'invaso, da quelli relativi all'efficacia dell'allarme e dall'altra quella relativa alla sistemazione idraulica a valle del bacino;
   l'inondazione ha proposto nuovamente l'esigenza di valutare la concessione idroelettrica in relazione sia agli aspetti della sicurezza delle popolazioni che delle aree interessate sia sul piano ambientale che paesaggistico;
   lo spreco di imponenti risorse idriche con danni irreparabili per l'intero territorio, da quelli ambientali a quelli economici per il mancato utilizzo produttivo dell'acqua stessa, ripropone con forza l'esigenza dell'interconnessione dei bacini idrografici della Sardegna –:
   se non ritenga il Governo di dover valutare nell'ambito delle proprie competenze in materia di protezione civile le cause, i pericoli e i danni provocati dalla gestione idroelettrica del bacino del Coghinas;
   se non ritenga di intervenire con un urgente sopralluogo dei propri tecnici proprio per valutare se vi siano ancora pericoli e se attraverso la gestione delle precipitazioni prevedibili possano essere prevenuti negli effetti;
   se non ritenga di verificare alla luce delle normative nazionali il protocollo di sicurezza messo in atto in occasione dell'inondazione sulla Piana del Coghinas e se lo stesso sia a norma con le disposizioni nazionali in materia di sicurezza e protezione civile;
   se non ritenga di dover valutare la possibile dichiarazione di stato di calamità per le aree interessate e provvedere di concerto con le autorità locali a definire l'ammontare dei danni e chiedere all'ente gestore della stazione idroelettrica il pagamento dell'intero danno causato al territorio e ai singoli;
   se non ritenga il Governo di dover proseguire nell'intervento di connessione dei bacini idrografici della Sardegna così come previsto nella legge obiettivo e nell'accordo di programma quadro sulle risorse idriche del 24 febbraio 2002.
(4-00024)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   occorre definire un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione dell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 138 inserito dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148;
   il decreto-legge n. 138 prevede: «Art. 5-bis. – (Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano sud). Ha previsto al comma 1: Al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del Piano per il sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, può eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo. 2. Al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonché le modalità di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento»;
   tale dispositivo, deve essere obbligatoriamente esteso anche alla Sardegna in quanto compresa tra le regioni oggetto delle finalità del Piano per il sud –:
   se il Governo non ritenga indispensabile e urgente assumere iniziative, se del caso normative, dirette a definire un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare e per la piena corrispondenza con gli obiettivi del Piano per il sud con l'attuazione dell'articolo 5-bis della legge n. 148 del 14 settembre 2011. (4-00031)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la situazione economica della regione Sardegna ha raggiunto livelli allarmanti, senza precedenti, sia sul piano finanziario che economico sociale;
   sono 70.430 le imprese che risultano gravemente indebitate per complessivi 4.273.745.722 euro;
   risultano 2.351 le imprese fallite che avevano complessivamente un debito verso lo Stato e gli altri enti pari a 1.216.297.600;
   la situazione complessiva dell'indebitamento delle imprese sarde non ha precedenti nel resto del Paese e il quadro che emerge dalla lettura dei dati analitici rischia di travolgere l'intero sistema economico della Sardegna;
   i dati analitici al 2011 relativi alla Sardegna e alle singole province statali risultano essere i seguenti:
    nella provincia di Cagliari il numero delle imprese è pari a 33.956 con un debito pari a 2.232.506.018,92 euro (di cui 215.968.829,76 euro rateizzati) così ripartiti: 1.460.040.661,45 all'Erario, 496.564.809,70 all'Inps, e 275.900.547,77 ad altri. Di tali somme 761.223.955,78 euro sono da riferire a 1.192 imprese fallite (500.054.367,62 euro nei confronti dell'Erario, 157.401.588.13 nei confronti dell'Inps e 103.768.000,03 euro ad altri creditori);
    nella provincia di Nuoro il numero delle imprese e pari a 8.840 con un debito pari a 417.859.431,51 euro (di cui 35.357.635,18 euro rateizzati) così ripartiti: 259.058.923,18 all'Erario, 79.517.547,70 all'Inps, e 79.282.960,63 ad altri. Di tali somme 117.833.940,07 euro sono da riferire a 220 imprese fallite (67.798.552,98 euro nei confronti dell'Erario, 15.718.110,29 nei confronti dell'Inps e 34.317.276,80 euro ad altri creditori);
    nella provincia di Oristano il numero delle imprese e pari a 4.685 con un debito pari a 207.362.065,67 euro (di cui 19.331.868,51 euro rateizzati) così ripartiti: 121.735.683,08 all'Erario, 38.655.364,83 all'Inps, e 46.971.017,76 ad altri. Di tali somme 74.127.027,82 euro sono da riferire a 204 imprese fallite (40.124.957,50 euro nei confronti dell'Erario, 7.887.374,76 nei confronti dell'Inps e 26.024.695,56 euro ad altri creditori);
    nella provincia di Sassari il numero delle imprese e pari a 22.949 con un debito pari a 1.416.018.206,85 euro (di cui 123.972.079,80 euro rateizzati) così ripartiti: 953.107.148,25 all'Erario, 300.544.393,31 all'Inps, e 162.366.665,29 ad altri. Di tali somme 263.112.676,48 euro sono da riferire a 735 imprese fallite (194.004.841,67 euro nei confronti dell'Erario, 49.002.900,79 nei confronti dell'Inps e 20.104.934,02 euro ad altri creditori);
    nella regione Sardegna il numero delle imprese e pari a 70.430 con un debito pari a 4.273.745.722,95 euro (di cui 394.630.413,25 euro rateizzati) così ripartiti: 2.793.942.415,96 all'Erario, 915.282.115,54 all'Inps, e 564.521.191,45 ad altri. Di tali somme 1.216.297.600,15 euro sono da riferire a 2.351 imprese fallite (802.072.719,77 euro nei confronti dell'Erario, 230.009.973,97 nei confronti dell'Inps e 184.214.906,41 euro ad altri creditori);
   i dati riportati costituiscono il più oggettivo riscontro di una situazione che rischia il tracollo dell'apparato produttivo della Sardegna;
   in attesa che la regione Sardegna valuti la richiesta di attivare in base all'articolo 51 dello statuto della regione autonoma della Sardegna la procedura d'urgenza per la sospensione dell'applicazione di una legge o di un provvedimento dello Stato in materia economica o finanziaria che risulti manifestamente dannoso all'Isola;
   i provvedimenti di riscossione notificati alle imprese sarde sono secondo l'interrogante inficiati da gravi vizi di legittimità costituzionale;
   la Corte costituzionale si è, infatti, pronunciata in merito con la sentenza n. 217 del 17 giugno 2010, riconoscendo, doverosamente, la sospensiva dell'esecutività della sentenza nel processo tributario (articoli 283 e 373 del codice di procedura civile);
   l'articolo 17, comma 1, decreto legislativo n. 112 del 13 aprile 1999 stabilisce che l'attività dei concessionari (agenti della riscossione) è remunerata con un aggio. L'aggio ha natura tributaria;
   il sistema di affidamento in concessione è stato soppresso e le relative funzioni sono attribuite soltanto all'Agenzia delle entrate, la quale le esercita attraverso la società Equitalia spa (prima riscossione spa) al cui capitale partecipa, oltre la suddetta Agenzia nella misura del 51 per cento anche l'INPS al 49 per cento. L'entità dell'aggio ha subito rilevanti modifiche, il succitato articolo 17 decreto legislativo n. 112 del 1999 è stato più volte corretto;
   l'articolo 17 del decreto legislativo richiamato, a seguito delle ulteriori e più rilevanti modifiche apportate dal decreto-legge n. 185 del 29 novembre 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 28 gennaio 2009 (in supplemento ordinario n. 14 alla Gazzetta Ufficiale n. 22 del 28 gennaio 2009), a far data dal 1o gennaio 2009, stabilisce che:
    a) l'attività degli agenti della riscossione è remunerata con un aggio pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che è a carico del debitore;
    b) in misura del 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella; in tal caso, la restante parte dell'aggio è a carico dell'ente creditore;
    c) integralmente a carico del debitore, in caso contrario, senza tenere conto della sospensione feriale dei termini;
   limitatamente alla riscossione spontanea a mezzo ruolo (pagamento di entrate extratributarie, di imposte relative a redditi soggetti a tassazione separata o quando la somma che deve pagare il debitore deve essere suddivisa in più rate su richiesta dello stesso), l'aggio spetta agli agenti della riscossione nella percentuale dell'1 per cento, come stabilito dal decreto del 4 agosto 2000 del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2000;
   tutte le percentuali di cui sopra possono essere rideterminate con decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, nel limite di due punti percentuali di differenza rispetto a quelle sopracitate, tenuto conto del carico dei ruoli affidati, dell'andamento delle riscossioni e dei costi del sistema;
   l'agente della riscossione trattiene l'aggio all'atto del riversamento all'ente impositore delle somme riscosse;
   quindi, la percentuale dell'aggio, oggi, è calcolata su due voci:
    a) somme iscritte a ruolo riscosse;
    b) interessi di mora;
   in definitiva, oggi, il contribuente deve pagare ad Equitalia spa le seguenti percentuali di aggio:
    4,65 per cento in caso di pagamento entro 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale, senza tenere conto della sospensione feriale dei termini;
    9 per cento caso contrario, senza alcun frazionamento annuale e senza tenere conto della sospensione feriale dei termini;
    1 per cento limitatamente alla riscossione spontanea a mezzo ruolo (articolo 32 decreto legislativo n. 46 del 26 febbraio 1999);
    9 per cento sui relativi interessi di mora (in sostanza, pari allo 0,615 per cento annuo), in caso di pagamento dopo 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale (novità rispetto agli anni precedenti) e senza tenere conto della sospensione feriale dei termini;
   l'articolo 17, decreto legislativo n. 112 del 1999 presenta profili di illegittimità costituzionale per evidente irragionevolezza (articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione) per i seguenti motivi:
    a) risulta una sproporzione palesemente ingiustificata sul piano economico tra l'aggio dell'1 per cento e del 9 per cento a seconda della spontaneità o meno del pagamento a mezzo ruolo;
    b) il limite di pagamento dei 60 giorni (articolo 25, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 cit.) ignora, ad avviso dell'interrogante illegittimamente, la sospensione feriale dei termini per proporre ricorso (articolo 21, decreto legislativo n. 546 del 1992 ed articolo 1, legge n. 742 del 7 ottobre 1969);
    c) l'aggio al 9 per cento senza nessun limite annuo, interamente a carico del debitore-contribuente, è previsto in caso di mancato pagamento entro 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale, e anche in questo caso senza la previsione della sospensione feriale dei termini, quando il suddetto mancato pagamento può dipendere dalla sospensione della riscossione a cura del giudice tributario (articolo 47, decreto legislativo n. 546 del 1992) o della stessa amministrazione finanziaria (articolo 39, decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973) o per cause di forza maggiore (articolo 6, comma 5, decreto legislativo n. 472 del 1997) o per evidenti condizioni di incertezza sull'applicazione della norma tributaria (articolo 9, legge n. 212 del 27 luglio 2000 – statuto dei diritti del contribuente);
   la parametrazione economica e sociale territoriale risulta essere l'altro vero elemento di ragionevolezza che risulta totalmente inapplicato nell'azione di riscossione;
   nella determinazione dell'aggio nella misura unica e fissa del 9 per cento non si è tenuto in alcun modo conto della situazione sociale ed economica dei singoli territori, da esaminare attraverso indici e parametri di sviluppo economico elaborati da organismi istituzionali;
   nel precedente comma 1 dell'articolo 17, decreto legislativo n. 112 del 1999, con le ultime modifiche di cui al decreto-legge n. 185 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009 richiamato, totalmente sostituito, sono state, infatti, eliminate le limitazioni geografiche, e conseguentemente è stato parzialmente abrogato il decreto ministeriale del 4 agosto 2000, che prevedeva tale differenziazione, che invece è rimasto solo per la determinazione dell'aggio dell'1 per cento limitatamente alla riscossione spontanea a mezzo ruolo (articolo 17, comma 5-bis);
   è fin troppo evidente che non prendere in considerazione la situazione economica e sociale dei singoli ambiti territoriali, ignorando totalmente il divario economico tra aree geografiche del Paese, e tra singole regioni, costituisce un evidente elemento di irragionevolezza;
   la Corte costituzionale con sentenza del 1993 aveva, infatti, sostanzialmente ritenuto irragionevole l'aggio quando questo non viene contenuto in un importo minimo e massimo che non superi di molto la soglia di copertura del costo della procedura;
   con l'attuale importo fisso del 9 per cento è evidente l'irragionevolezza (articoli 3, 53 e 97 della Costituzione), tenendo conto del rilievo economico del servizio pubblico non più gestito da concessionari privati, come è stato nel passato, ma da Equitalia S.p.A., che è un ente pubblico economico;
   è indispensabile ridurre l'aggio dovuto all'agente della riscossione dal 9 al 2 per cento in considerazione del fatto che, stante la celerità e semplificazione di questa procedura, la remunerazione – e, di conseguenza, l'onere gravante sul contribuente – non risulta in alcun modo più commisurato all'attività svolta dall'agente medesimo;
   per questa ragione oggi diventa indispensabile intervenire radicalmente per ridefinire gli indebiti e sovradimensionati compensi di Equitalia S.p.A. tagliando drasticamente gli aggi ed eliminando tutti gli oneri accessori che risultano dei veri e propri balzelli ai danni del cittadino contribuente;
   alle difficoltà nell'ottemperare agli oneri elevati delle imposte il cittadino-debitore deve, infatti, sopportare l'indebito ed ingiustificato peso di somme che non trovano alcuna logica e si inquadrano nell'ambito della peggiore azione di riscossione che si possa perpetrare ai danni della stessa azione di recupero crediti;
   è evidente che una gestione ad avviso dell'interrogante dissennata, invasiva e ingiustificata della riscossione in molti casi porta al fallimento del soggetto contribuente sia esso persona fisica che impresa, provocando all'Erario un danno di fatto notevolmente superiore a quello della mancata riscossione del capitale;
   il caso della regione Sardegna con 70.430 imprese indebitate con il fisco, con l'Inps o con l'Inail per un ammontare complessivo di 4 miliardi 273 milioni, su 160.000 imprese che operano in Sardegna risultano indebitate con il fisco quasi il 50 per cento;
   delle oltre 70.430 aziende 2.351 hanno dichiarato fallimento: a loro carico c'era un debito complessivo pari a 1.216 milioni;
   delle oltre 70 mila società finite nel mirino dell'agenzia di riscossione, solo 6.648 stanno procedendo a pagare attraverso la rateizzazione;
   tale grave situazione debitoria si aggiunge ad una crisi profonda a cui si affianca alle previsioni negative anche per tutto il 2011 e lo stesso 2012. Il quadro economico già abbondantemente compromesso vede le imprese gravemente a rischio per le posizioni debitorie aperte, mancanza di liquidità, difficoltà di accesso al credito e ritardi di pagamento da parte dei grandi committenti soprattutto pubblici;
   risulterebbero, dunque, applicati aggi del 9 per cento sul riscosso, rilevanti interessi di mora e altri oneri a livelli irragionevoli e insostenibili;
   risulta evidente dai dati in premessa che il sistema produttivo nazionale con particolare riferimento alle aree più deboli del Paese rischia di essere travolto da una situazione che risulta essere gravissima per la stessa sopravvivenza di decine di migliaia di imprese. Si tratta quindi di una situazione insostenibile e che sta creando non poche tensioni sociali nell'intero Paese e in particolare in Sardegna e che le stesse potrebbero sfociare in clamorose quanto dure azioni di protesta oltre a generare un vero e proprio tracollo economico;
   all'elevato onere sociale ne va aggiunto uno di natura economica con una duplice valenza, una diretta sul Pil e l'altra sul mancato gettito;
   gli effetti vessatori e irragionevoli di una politica di riscossione priva di equilibrio hanno generato nella sola Sardegna fallimenti di 2.351 aziende con a carico un debito complessivo pari a 1.216 milioni di euro ora non più recuperabile –:
   se il Governo non ritenga con urgenza di dover assumere un'iniziativa normativa urgente o provvedimenti attuativi di norme vigenti in materia di dichiarazione di stato di crisi, sia finanziaria che economica e sociale, al fine di prevenire il tracollo dell'intero sistema produttivo sardo;
   se non si ritenga di dover valutare l'ipotesi di un immediato intervento attraverso i relativi uffici periferici affinché si predispongano con urgenza provvedimenti settoriali e territoriali in grado di evitare il fallimento di altrettante aziende con una perdita insostenibile sia sul piano dell'apporto produttivo e sociale ma anche in termini di recupero dei crediti da parte dello Stato e degli altri enti;
   se non si ritenga di dover convocare un apposita conferenza di servizi con la regione autonoma della Sardegna al fine di definire le procedure per la dichiarazione di stato di crisi per la regione sarda. (4-00032)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le questioni industriali della Sardegna, dalla realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis-Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana rappresentano le questioni prioritarie dell'agenda industriale del sistema Sardegna;
   in particolar modo le relative vertenze sono così articolate:
    a)  Carbosulcis – ciclo integrato «miniera centrale» – il progetto prevede la realizzazione di un processo di produzione di energia elettrica attraverso l'estrazione del carbone Sulcis e l'utilizzo in una nuova centrale con cattura e stoccaggio di CO2. I termini prevedono una gara d'appalto internazionale che si farebbe dovuta bandire entro e non oltre il 31 dicembre 2011. Termine per il quale è stata prevista una ulteriore proroga nel cosiddetto decreto-legge «mille proroghe». A tutt'oggi niente è stato ancora fatto dalla regione Sardegna relativamente al bando di gara internazionale e niente risulta definito con la Commissione europea relativamente alle osservazioni che la stessa ha avanzato sul progetto. È indispensabile un immediato intervento presso la Commissione europea e un'azione decisionale dello Stato relativamente all'indizione della gara d'appalto internazionale da parte della regione sarda;
    b)  Vinyls – lo stabilimento di Porto Torres attende ancora una risposta per la ripresa produttiva interrotta ormai due anni fa. Si rende improcrastinabile intervenire per vagliare nuove offerte di acquisto finalizzate al rilancio produttivo. Il Ministero dello sviluppo economico è chiamato a vagliare in ordine di tempo l'ultima offerta di acquisto da parte della Bp Oil che dovrà garantire non solo la ripresa produttiva ma anche la piena occupazione dei lavoratori Vinyls;
    c)  Eurallumina – lo stabilimento di Portovesme che produce allumina, materia prima del ciclo produttivo dell'alluminio, è chiuso da ormai 4 anni. I proprietari della Rusal hanno chiesto garanzie sul fronte dell'approvvigionamento elettrico con la predisposizione di una nuova centrale a servizio dello stabilimento. Occorre individuare il percorso tecnico amministrativo per rendere fattibile in tempi rapidi il soddisfacimento di quel piano delineato per il rilancio dello stabilimento, non ultimo un processo integrato della metallurgia non ferrosa capace di salvaguardare le produzioni di Piombo Zinco e Alluminio –:
   se il Governo non ritenga indispensabile proporre adeguate soluzioni alle principali questioni industriali della Sardegna, dalla realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis-Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana. (4-00033)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   riveste importanza strategica per la Sardegna la definizione dell’iter relativo all'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria-Sardegna-Europa;
   il 9 gennaio 2003 si è costituita la società Galsi spa per sviluppare lo studio di fattibilità di una nuova infrastruttura di importazione di gas naturale dall'Algeria all'Italia, nelle quote azionarie entra a far parte anche la regione Sardegna, attraverso le controllate Sfirs e Progemisa;
   il 31 luglio 2008 la società Galsi presenta l'istanza di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio del gasdotto presso i Ministeri competenti dando avvio alla procedura autorizzativa;
   il 25 luglio 2011 il dipartimento per l'energia direzione generale per la sicurezza dell'approvvigionamento e le infrastrutture energetiche divisione VI ha pubblicato l'avviso di procedimento;
   la società Galsi spa ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio, per la parte ricadente nelle aree di giurisdizione italiana, di un metanodotto per l'importazione di gas dall'Algeria. L'istanza è stata presentata ai sensi dell'articolo 52-quinquies, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 330 del 2004 relativamente alle espropriazioni per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche. L'autorizzazione comprende anche la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza naturalistico ambientale, l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni interessati e la variazione degli strumenti urbanistici. Il provvedimento finale comprende inoltre l'approvazione del progetto definitivo e determina l'avvio del procedimento di esproprio;
   dopo oltre 4 anni il 22 dicembre 2011 si è concluso l’iter autorizzativo con la convocazione da parte del responsabile del procedimento della conferenza dei servizi per l'autorizzazione finale;
   tale autorizzazione risulta indispensabile agli investitori internazionali per poter avviare entro il mese di gennaio la definizione degli investimenti e nel contempo dall'esigenza di non perdere lo stanziamento di 120 milioni di euro dell'Unione europea il cui termine ultimo fissato è il 31 dicembre 2011 e per il quale occorre richiedere una proroga –:
   se il Ministro dello sviluppo economico dopo la definizione dell'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria-Sardegna-Europa non intenda attivarsi con gli operatori internazionali al fine di definire entro il mese di gennaio il planning operativo per l'avvio della realizzazione del metanodotto;
   se il Governo non intenda attivarsi al fine di richiedere all'Unione europea una proroga relativa al finanziamento ottenuto per la realizzazione del metanodotto;
   se il Governo non intenda attivarsi per sollecitare la convocazione di un confronto con le associazioni datoriali al fine di garantire la massima trasparenza e tutela per le imprese sarde nell'esecuzione dei lavori relativi alla realizzazione del metanodotto. (4-00034)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'insediamento di un nuovo Parlamento comporta sempre il rischio di ulteriori e gravi ritardi sulla già complessa questione sarda;
   questioni di rilevanza strategica per la questione sarda nelle prossime settimane andranno incontro a scadenze inderogabili per le quali non sarà ammissibile alcun tipo di rinvio;
   l'esigenza di affrontare con urgenza tali problemi riveste priorità assoluta al fine di evitare il rischio di pregiudicare i risultati perseguiti sinora;
   la questione sarda è caratterizzata dalle seguenti tematiche:
    a) la definizione della continuità territoriale aerea e marittima, passeggeri e merci;
    b) l'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria – Sardegna – Europa;
    c) la vertenza Equitalia e il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde;
    d) la questione insularità e l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009;
    e) le questioni industriali della Sardegna, dalla realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis – Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Portotorres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
    f) la questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea;
    g) la definizione di un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione dell'articolo 5 del decreto luglio 2011;
    h) la definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte Costituzionale;
    i) l'individuazione di provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni ai settori lattiero caseario e zootecnico sardo già duramente gravati dalla condizione insulare e oggi aggravati da fantomatiche emergenze sanitarie;
    l) la dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate;
   la definizione della continuità territoriale aerea e marittima, passeggeri e merci costituisce la più delicata e prioritaria questione sulla quale è indispensabile il più urgente intervento del Governo tenendo conto in particolar modo dei seguenti elementi:
    la Commissione Trasporti della Camera dei deputati in data 21 aprile 2010 ha approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva relativa alla modifica della continuità territoriale aerea da e per la Sardegna;
   nel dispositivo della richiamata risoluzione si impegna il Governo:
    1) ad avviare un immediato confronto per ridefinire, nell'ambito della conferenza di servizi che il Presidente della Regione Sardegna è stato delegato ad istituire e presiedere dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; la disciplina della continuità territoriale, superando quella vigente, che risulta inadeguata sia sotto il profilo concettuale che sotto quello dei servizi e dei costi, per pervenire a un modello di continuità territoriale intesa come un fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità per i territori svantaggiati, tenendo conto anche di quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
    2)  in particolare, ad assumere le appropriate iniziative per definire e attuare una continuità territoriale che, tenga conto, oltre che degli effetti del processo di liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, anche dei seguenti obiettivi:
     a) favorire l'individuazione di un maggior numero di voli e di rotte aeree da e per la Sardegna che consenta, nel contesto dello sviluppo potenziale della domanda, di avere più operatori sulla stessa rotta;
     b) favorire la possibilità di determinare, sulla base del principio di riequilibrio legato alle condizioni insulari della Sardegna, di una tariffa massima a cui si applichi il regime degli oneri di servizio pubblico, applicando, come parametro, le condizioni più favorevoli del costo ferroviario;
     c) favorire la possibilità, per tutte le compagnie aeree di poter viaggiare sulle rotte di collegamento con gli aeroporti della Sardegna, proponendo, nell'ambito di una situazione di concorrenza, ribassi rispetto alla tariffa massima prestabilita in relazione agli oneri di servizio pubblico;
    3) ad assumere le appropriate iniziative volte a verificare, con i competenti organismi comunitari e nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli indirizzi stabiliti dalla Commissione europea, la possibilità di estendere il regime di continuità territoriale a tutti i cittadini, in ottemperanza al principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, a prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del princìpio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
   i nuovi decreti per la continuità territoriale aerea da e per la Sardegna devono riaffermare procedure già richiamate dalla Commissione trasporti della Camera e in particolar modo, al fine di evitare discriminazioni, l'applicazione della tariffa unica per residenti e non;
   tale obiettivo previsto nei decreti emanati dal Ministro competente nel dicembre 2011 lascia presupporre, se la norma adottata è quella che contempla nel costo complessivo del biglietto indicato nell'onere del servizio pubblico anche un ragionevole utile d'impresa, l'assoluto divieto di compensazioni illogiche e illegittime alle compagnie aeree che farebbero bloccare la continuità territoriale per palese aiuto di Stato;
   per la continuità territoriale marittima è indispensabile, considerata l'apertura di una procedura d'infrazione europea sulla vendita della compagnia Tirrenia, ridefinire entro giugno 2013 le convenzioni relative agli oneri di servizio pubblico con la verifica della congruità del contributo statale;
   la ridefinizione delle convenzioni costituisce elemento imprescindibile al fine di evitare il ripetersi dei gravi danni alla Sardegna dal comportamento irresponsabile della compagnia Tirrenia e degli armatori privati che hanno duramente penalizzato la passata stagione estiva;
   il riesame delle convenzioni deve avvenire tenendo conto dei reali costi di produzione e di un margine limitato di utile d'impresa e della compensazione assegnata per quel tipo di servizio;
   riveste importanza strategica per la Sardegna la definizione dell'iter relativo all'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria – Sardegna – Europa considerato che:
    il 9 gennaio 2003 si è costituita la società Galsi spa per sviluppare lo studio di fattibilità di una nuova infrastruttura di importazione di gas naturale dall'Algeria all'Italia, nelle quote azionarie entra a far parte anche la regione Sardegna, attraverso le controllate Sfirs e Progemisa;
    il 31 luglio 2008 la società Galsi presenta l'istanza di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio del gasdotto presso i Ministeri competenti dando avvio alla procedura autorizzativa;
    in 25 luglio 2011 il dipartimento per l'energia direzione generale per la sicurezza dell'approvvigionamento e le infrastrutture energetiche divisione VI ha pubblicato l'avviso di procedimento;
   la società Galsi spa ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio, per la parte ricadente nelle aree di giurisdizione italiana, di un metanodotto per l'importazione di gas dall'Algeria. L'istanza è stata presentata ai sensi dell'articolo 52-quinquies, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 330 del 2004 relativamente alle espropriazioni per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche. L'autorizzazione comprende anche la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza naturalistico ambientale, l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni interessati e la variazione degli strumenti urbanistici. Il provvedimento finale comprende inoltre l'approvazione del progetto definitivo e determina l'avvio del procedimento di esproprio;
   dopo oltre 5 anni si è concluso l'iter autorizzativo con la convocazione da parte del responsabile del procedimento della conferenza dei servizi per l'autorizzazione finale;
   tale autorizzazione risulta indispensabile agli investitori internazionali per poter avviare entro il mese di gennaio la definizione degli investimenti e nel contempo dall'esigenza di non perdere lo stanziamento di 120 milioni di euro dell'Unione europea il cui termine ultimo fissato ora il 31 dicembre 2011 e per il quale occorre richiedere una proroga;
   la vertenza Equitalia e il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde costituisce priorità assoluta per il mantenimento dell'assetto produttivo e per non gravare ulteriormente la già drammatica crisi occupazionale e sociale dell'isola;
   la vertenza Equitalia è sintetizzata con i seguenti dati: sono 70.430 le imprese sarde che risultano gravemente indebitate per complessivi 4.273.745.722 euro; 2.351 le imprese fallite che avevano complessivamente un debito verso lo Stato e gli altri enti pari a 1.216.297.600 euro;
   la situazione complessiva dell'indebitamento delle imprese sarde non ha precedenti nel resto del Paese e il quadro che emerge dalla lettura dei dati analitici rischia di travolgere l'intero sistema economico della Sardegna;
   i dati analitici al 2011 relativi alla Sardegna e alle singole province statali risultano essere i seguenti:
    a) nella provincia di Cagliari il numero delle imprese è pari a 33.956 con un debito pari a 2.232.506.018,92 euro (di cui 215.968.829,76 euro rateizzati) così ripartiti: 1.460.040.661,45 all'erario, 496.564.809,70 all'Inps, e 275.900.547,77 ad altri. Di tali somme 761.223.955,78 euro sono da riferire a 1.192 imprese fallite (500.054.367,62 euro nei confronti dell'erario, 157.401.588,13 nei confronti dell'Inps e 103.768.000,03 euro ad altri creditori);
    b) nella provincia di Nuoro il numero delle imprese e pari a 8.840 con un debito pari a 417.859.431,51 euro (di cui 35.357.635,18 euro rateizzati) così ripartiti: 259.058.923,18 all'erario, 79.517.547,70 all'Inps, e 79.282.960,63 ad altri. Di tali somme 117.833.940,07 euro sono da riferire a 220 imprese fallite (67.798.552,98 euro nei confronti dell'erario, 15.718.110,29 nei confronti dell'Inps e 34.317.276,80 euro ad altri creditori);
    c) nella provincia di Oristano il numero delle imprese e pari a 4.685 con un debito pari a 207.362.065,67 euro (di cui 19.331.868,51 euro rateizzati) così ripartiti: 121.735.683,08 all'erario, 38.655.364,83 all'Inps, e 46.971.017,76 ad altri. Di tali somme 74.127.027,82 euro sono da riferire a 204 imprese fallite (40.124.957,50 euro nei confronti dell'erario, 7.887.374,76 nei confronti dell'Inps e 26.024.695,56 euro ad altri creditori);
    d) nella provincia di Sassari il numero delle imprese e pari a 22.949 con un debito pari a 1.416.018.206,85 euro (di cui 123.972.079,80 euro rateizzati) così ripartiti: 953.107.148,25 all'erario, 300.544.393,31 all'Inps, e 162.366.665,29 ad altri. Di tali somme 263.112.676,48 euro sono da riferire a 735 imprese fallite (194.004.841,67 euro nei confronti dell'erario, 49.002.900,79 nei confronti dell'Inps e 20.104.934,02 euro ad altri creditori);
    e) nella regione Sardegna il numero delle imprese è pari a 70,430 con un debito pari a 4.273.745.722,95 euro (di cui 394.630.413,25 euro rateizzati) così ripartiti: 2.793.942.415,96 all'erario, 915.282.115,54 all'Inps, e 564.521.191,45 ad altri. Di tali somme 1.216.297.600,15 euro sono da riferire a 2.351 imprese fallite (802.072.719,77 euro nei confronti dell'erario, 230.009.973,97 nei confronti dell'Inps e 184.214.906,41 euro ad altri creditori);
   i dati riportati costituiscono il più oggettivo riscontro di una situazione che rischia il tracollo dell'apparato produttivo della Sardegna;
   la definizione di un provvedimento legislativo emergenziale già proposto dal sottoscritto e da decine di parlamentari costituisce la soluzione inderogabile al problema che ha assunto connotati drammatici;
   la questione insularità e il suo pieno ed attuativo riconoscimento rappresenta elemento centrale del rapporto Stato-regione;
   l'articolo 22 (perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
    (...) g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
   risulta urgente predisporre un apposito decreto attuativo ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 relativamente al divario insulare, alla sua misurazione e alla conseguente compensazione;
   è indispensabile intervenire sin dalla prossima decisione di finanza pubblica con un piano di recupero sia del divario infrastrutturale, come previsto dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, sia del grave squilibrio di stanziamenti registrato ed evidenziato nel rapporto decennale sull'infrastrutturazione del Paese e l'attuazione della legge obiettivo;
   risulta indispensabile predisporre con urgenza un piano di riequilibrio da sottoporre al Cipe che preveda l'immediato sblocco dei fondi per le aree sottoutilizzate (Fas) delle singole regioni, già penalizzate da tale ripartizione; e ad utilizzare i fondi indistinti a disposizione del Governo per colmare i mancati stanziamenti sin qui registrati;
   è necessario definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale;
   le questioni industriali della Sardegna, dalla vicenda Alcoa e dal rilancio dell'alluminio primario alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, dalla realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis – centrale alla ripresa produttiva della Vinilys di Portotorres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana rappresentano le questioni prioritarie dell'agenda industriale del sistema Sardegna;
   in particolar modo le relative vertenze sono così articolate:
    ALCOA – la decisione della multinazionale Alcoa di chiudere lo stabilimento di Portovesme costituisce il più grave rischio per il sistema produttivo della Sardegna oltre all'impatto economico sul sistema Italia che vedrebbe scomparire sostanzialmente la produzione di alluminio primario. Appare decisiva la definizione di un accordo bilaterale tra produttori energetici e lo stabilimento Alcoa per consentire la necessaria competitività degli impianti e il rilancio dell'alluminio primario nel nostro Paese con un contratto di programma nella filiera energetico-metallurgica;
    CARBOSULCIS – ciclo integrato miniera centrale – il progetto prevede la realizzazione di un processo di produzione di energia elettrica attraverso l'estrazione del carbone Sulcis e l'utilizzo in una nuova centrale con cattura e stoccaggio di CO2. I termini prevedono una gara d'appalto internazionale che si sarebbe dovuta bandire entro e non oltre il 31 dicembre 2011, termine per il quale è stata prevista una ulteriore proroga nel cosiddetto mille proroghe. A tutt'oggi niente è stato ancora fatto dalla regione Sardegna relativamente al bando di gara internazionale e niente risulta definito con la Commissione europea relativamente alle osservazioni che la stessa ha avanzato sul progetto. È indispensabile un immediato intervento presso la Commissione europea e un'azione decisionale dello Stato relativamente all'indizione della gara d'appalto internazionale da parte della regione sarda;
    VINYLS – lo stabilimento di Porto Torres attende ancora una risposta per la ripresa produttiva interrotta ormai due anni fa. Si rende improcrastinabile intervenire per vagliare nuove offerte di acquisto finalizzate al rilancio produttivo. Il Ministero dello sviluppo economico è chiamato a vagliare in ordine di tempo l'ultima offerta di acquisto da parte della Bp Oil che dovrà garantire non solo la ripresa produttiva ma anche la piena occupazione dei lavoratori Vinyls;
    EURALLUMINA – lo stabilimento di Portovesme che produce allumina, materia prima del ciclo produttivo dell'alluminio, è chiuso da ormai 4 anni. I proprietari della Rusal hanno chiesto garanzie sul fronte dell'approvvigionamento elettrico con la predisposizione di una nuova centrale a servizio dello stabilimento. Occorre individuare il percorso tecnico-amministrativo per rendere fattibile in tempi rapidi il soddisfacimento di quel piano delineato per il rilancio dello stabilimento, non ultimo un processo integrato della metallurgia non ferrosa capace di salvaguardare le produzioni di piombo, zinco e alluminio;
   la questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea è fondamentale nella definizione di nuovi assetti di riequilibrio e coesione economica e sociale;
   risulta, quindi decisivo introdurre elementi oggettivi di misurazione e compensazione del divario insulare:
    nel caso delle infrastrutture di trasporto, un indicatore in grado di misurare in maniera soddisfacente la dotazione infrastrutturale di una realtà territoriale come la Sardegna deve necessariamente tenere conto, non solo degli aspetti quantitativi (come ad esempio la lunghezza complessiva della rete viaria e la sua tipologia, o il numero di snodi ferroviari), ma anche degli aspetti qualitativi e prestazionali legati alla qualità della rete, all'orografia del territorio e alla topologia del reticolo di trasporto. In questo modo è possibile ipotizzare e selezionare alcuni indicatori di tipo nuovo in grado di condurre alla costruzione di specifici indici;
   è indispensabile predisporre un sistema di indicatori di dotazione infrastrutturale definito a seguito di un opportuno processo di media, che assuma come riferimento «indici di accessibilità» definiti a livello territoriale;
   in attesa di definire con apposite norme l'individuazione di tali indici sono sufficienti a comprendere il divario insulare che grava sulla Sardegna quelli messi a disposizione dall'atlante infrastrutturale (CNEL e Istituto Tagliacarte), dal quale emergono dati di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale;
   per quanto riguarda le reti energetiche, l'indice è di 100 per l'Italia; di 64,54 per il Mezzogiorno; di 35,22 per la Sardegna;
   per quanto riguarda le reti stradali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,10 per il Mezzogiorno; di 45,59 per la Sardegna;
   per quanto riguarda le reti ferroviarie, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,81 per il Mezzogiorno; di 15,06 per la Sardegna;
   per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 84,45 per il Mezzogiorno; di 66,16 per la Sardegna;
   è indispensabile per questo motivo proporre e definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale;
   va definito un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione dell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 138 inserito dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148;
   il decreto-legge n. 138 «Art. 5-bis. – (Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud)» ha previsto al comma 1: «Al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del Piano per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, può eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo. 2. Al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonché le modalità di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalia legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento»;
   tale dispositivo, come d'intesa con il precedente Governo, deve essere obbligatoriamente esteso anche alla Sardegna in quanto compresa tra le regioni oggetto delle finalità del piano per il Sud;
   la definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte costituzionale è questione fondamentale per il rispetto delle norme statutarie e la salvaguardia dell'equilibrio finanziario della regione Sardegna;
   la legge finanziaria per il 2007, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006, suppl. ord. n. 244 (finanziaria 2007), era intervenuta, all'articolo 1, commi 838 e seguenti, sull'attuazione delle previsioni dell'articolo 8 dello statuto della regione autonoma della Sardegna;
   l'articolo 1, comma 838, della legge finanziaria dello Stato per il 2007 aveva, dunque, inciso su alcune disposizioni relative alle entrate della regione Sardegna come previste dallo statuto speciale della regione. Tale norma prevede altresì che l'attuazione delle previsioni relative alla compartecipazione al gettito delle imposte non possa determinare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato quantificati in alcune cifre precise per gli anni dal 2007 al 2009 (344 milioni di euro per il 2007, 371 milioni di euro per il 2008 e 482 milioni di euro per l'anno 2009);
   sempre il comma 838 prevede – all'ultimo periodo del comma stesso – che la nuova compartecipazione della regione Sardegna al gettito erariale entra a regime dal 2010;
   il comma 840 stabilisce che per gli anni 2007, 2008 e 2009 gli oneri relativi alle funzioni trasferite alla regione Sardegna – come previsto dal comma 837 – restino a carico dello Stato;
   comparando le norme si evince che tutte le competenze che lo Stato ha previsto di «scaricare» alla regione dal 2010 saranno a totale carico della regione senza che sia stata definita la tempistica, la modalità e la quantità delle risorse che lo Stato deve trasferire in funzione delle nuove competenze alla regione rispetto al nuovo assetto delle compartecipazioni;
   tale accordo recepito nella finanziaria per il 2007 risultava sin dall'inizio non chiaramente compensato tra le risorse che lo stato doveva trasferire alla regione e l'assunzione di nuovi oneri da parte della regione stessa;
   il rinvio al 2010 delle relative compensazioni da parte dello Stato era risultato sin dal primo istante aleatorio e indefinito ai fini di una certezza economica, finanziaria e contabile per le entrate della regione Sardegna;
   l'iscrizione delle somme delle entrate compensative nella proposta di bilancio e nella finanziaria, sin dal 2010, della regione impone una risposta immediata sulle procedure che la ragioneria generale dello Stato intende adottare per compensare quelle risorse;
   avendo Stato e regione deciso di definire attraverso quelle che all'interrogante appaiono ulteriori, inutili e pleonastiche norme attuative la definizione di quelle risorse da trasferirsi e poiché le stesse norme, approvate dalla commissione paritetica, sono state ratificate dalla regione Sardegna ma non dal Governo si rende indispensabile definire una soluzione senza attendere il pronunciamento della Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi su ricorso della regione Sardegna;
   le decisioni della commissione europea di bloccare l'esportazione suinicola della Sardegna costituisce il presupposto per un disastro economico sociale gravissimo per il quale si rendono necessari provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni al settore zootecnico sardo già duramente gravato dalla condizione insulare e oggi pesantemente condizionato da emergenze sanitarie illogiche e irrazionali;
   occorre definire e attivare quanto prima un corridoio sanitario fattivamente e puntualmente controllato che garantisca la salvaguardia delle 469 aziende suinicole virtuose accreditate come indenni dalla «peste suina» e certificate secondo le regole della biosicurezza. Il blocco delle esportazioni rappresenta un danno gravissimo per la filiera suinicola sarda distogliendo dal libero mercato carni che risultano sotto ogni punto di vista sane e controllate. Sarebbe assolutamente illogico, irrazionale e di dubbia legittimità avere tutte le certificazioni e poi vietare le esportazioni;
   la mancata attuazione di accordi per la dismissione del patrimonio militare già individuato e la dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate rende indispensabile un nuovo tavolo di concertazione Stato-regione;
   risulta indispensabile attivare con urgenza un tavolo di concertazione tra lo Stato e la regione Sardegna al fine di definire l'attuazione degli accordi già sottoscritti. Nel contempo è indispensabile avviare un confronto sulla dismissione delle aree strategiche nei centri abitati della Sardegna a partire da quelle ubicate sul lungo mare della città di Cagliari. Risultano aree e immobili sottoutilizzati che potrebbero essere facilmente rifunzionalizzati a progetti di sviluppo strategici per l'isola –:
   se il Presidente del Consiglio non ritenga di dover attivare la ripresa di un apposito confronto di verifica e di attuazione relativamente alla questione sarda;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché vi sia l'accettazione degli oneri del servizio pubblico da parte delle compagnie aeree così come previsto nei propri decreti scongiurando il ricorso alla gara internazionale che rischia di compromettere sia la prossima stagione estiva che l'ordinario servizio che verrebbe in quel caso assegnato in regime di esclusiva ad una sola compagnia aerea;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non intenda attivarsi nelle more della definizione del contenzioso europeo sulla vendita di Tirrenia, per una revisione sostanziale delle convenzioni per la continuità territoriale marittima al fine di garantire per il 2012 un servizio di trasporto marittimo commisurato alle sovvenzioni già garantite alla Tirrenia per oltre 72 milioni di euro all'anno;
   se il Ministro dello sviluppo economico dopo la definizione dell'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria-Sardegna-Europa non intenda attivarsi con gli operatori internazionali al fine di definire entro il mese di gennaio il planning operativo per l'avvio della realizzazione del metanodotto stesso;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non intenda assumere adeguate iniziative normative in linea con quanto contenuto nella proposta di legge presentata alla Camera dei deputati n. 4702 relativamente alla vertenza Equitalia e al rischio di fallimento per decine di migliaia di imprese sarde;
   se il Ministro della coesione territoriale, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, non ritenga di dover promuovere iniziative normative urgenti al fine di definire la questione insularità con l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009;
   se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga indispensabile proporre adeguate soluzioni alle principali questioni industriali della Sardegna, dalia vicenda Alcoa e dal rilancio produttivo dell'alluminio primario alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, dalla realizzazione del sistema integrato miniera Carbosulcis – centrale, alla ripresa produttiva della Vinilys di Portotorres fino alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non ritenga di adottare iniziative e quali relativamente alla questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga indispensabile e urgente promuovere la definizione di un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna, in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione dell'articolo 5-bis della legge n. 148 del 14 settembre 2011;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga necessario predisporre adeguati e urgenti iniziative necessarie alla definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte costituzionale;
   se il Ministro della salute non ritenga necessario individuare e proporre iniziative o provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni ai settori lattiero caseario e zootecnico sardo già duramente gravati dalla condizione insulare e oggi aggravati da quelle che all'interrogante appaiono inesistenti emergenze sanitarie;
   se il Ministro della difesa non intenda promuovere un processo di dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate.
(4-00041)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte costituzionale è questione fondamentale per il rispetto delle norme statutarie e la salvaguardia dell'equilibrio finanziario della regione Sardegna;
   la legge finanziaria per il 2007, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006, supplemento ordinario n. 244 (finanziaria 2007), aveva disposto, all'articolo 1, comma 838 e seguenti, la modifica dell'articolo 8 dello Statuto della regione autonoma della Sardegna;
   l'articolo 1, comma 838, della legge finanziaria dello Stato per il 2007 aveva, dunque, modificato alcune disposizioni relative alle entrate della regione Sardegna come previste dallo Statuto speciale della regione. Tale norma prevede altresì che l'attuazione delle previsioni relative alla compartecipazione al gettito delle imposte non possa determinare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato quantificati in alcune cifre precise per gli anni dal 2007 al 2009 (344 milioni di euro per il 2007, 371 milioni di euro per il 2008 e 482 milioni di euro per l'anno 2009);
   sempre il comma 838 prevede – all'ultimo periodo del comma stesso – che la nuova compartecipazione della regione Sardegna al gettito erariale entri a regime dal 2010;
   il comma 840 stabilisce che per gli anni 2007, 2008 e 2009 gli oneri relativi alle funzioni trasferite alla regione Sardegna – come previsto dal comma 837 – restino a carico dello Stato;
   comparando le norme si evince che tutte le competenze che lo Stato ha previsto di «scaricare» alla regione dal 2010 saranno a totale carico della regione senza che sia stata definita la tempistica, la modalità e la quantità delle risorse che lo Stato deve trasferire in funzione delle nuove competenze alla regione rispetto al nuovo assetto delle compartecipazioni;
   tale accordo recepito nella finanziaria per il 2007 risultava sin dall'inizio non chiaramente compensato tra le risorse che lo Stato doveva trasferire alla regione e l'assunzione di nuovi oneri da parte della regione stessa;
   il rinvio al 2010 delle relative compensazioni da parte dello Stato era risultato sin dal primo istante aleatorio e indefinito ai fini di una certezza economica, finanziaria e contabile per le entrate della regione Sardegna;
   l'iscrizione delle somme delle entrate compensative nella proposta di bilancio e nella finanziaria sin dal 2010 della regione impone una risposta immediata sulle procedure che la ragioneria generale dello Stato intende adottare per compensare quelle risorse;
   avendo Stato e regione deciso di definire attraverso ulteriori (e, ad avviso dell'interrogante, inutili e pleonastici) norme attuative la definizione delle risorse da trasferirsi e considerato che le stesse norme, approvate dalla commissione paritetica, sono state ratificate dalla regione Sardegna ma non dal Governo, si rende indispensabile ad avviso dell'interrogante, definire una soluzione senza attendere il pronunciamento della Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi su ricorso della regione Sardegna –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga necessario predisporre adeguate e urgenti iniziative necessarie alla definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte costituzionale. (4-00046)


   ATTAGUILE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 2 novembre 2012, n. 187, «Misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina s.p.a. ed in materia di trasporto pubblico locale», testualmente recita:
    «1. In considerazione dell'attuale condizione di tensione dei mercati finanziari internazionali che impone, a tutela della finanza pubblica, particolari esigenze di cautela nella verifica della sostenibilità del piano economico finanziario del collegamento stabile viario e ferroviario tra Sicilia e continente (di seguito Ponte), anche in relazione alle modalità di finanziamento previste, la Società Stretto di Messina s.p.a. ed il contraente generale stipulano apposito atto aggiuntivo al contratto vigente per l'attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo;
    2. Entro 60 giorni dalla stipula dell'atto aggiuntivo la Società Stretto di Messina s.p.a. presenta al CIPE, ai fini di un primo esame in linea tecnica del progetto definitivo dell'opera, unitamente agli elaborati tecnici nonché ai necessari pareri e autorizzazioni, i piani economico finanziari accompagnati da una completa e dettagliata analisi dell'intervento che attesti la sostenibilità dell'investimento, con riguardo sia alle condizioni praticate nel mercato dei capitali sia alle varie ipotesi di finanziamento pubblico. Il CIPE in sede di esame tecnico può valutare parti progettuali dotate di autonoma funzionalità;
    3. In esito all'esame in linea tecnica del progetto definitivo dell'intervento, la società Stretto di Messina s.p.a. avvia le necessarie iniziative per la selezione della migliore offerta di finanziamento dell'infrastruttura con capitali privati, senza che ciò dia luogo ad impegni contrattuali vincolanti per la concessionaria. In caso di mancata individuazione del soggetto finanziatore entro il termine per l'esame del progetto definitivo di cui al comma 4, sono caducati tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società concessionaria. In tale circostanza, a definitiva e completa tacitazione di ogni diritto e pretesa, gli effetti della caducazione dei vincoli contrattuali comportano esclusivamente il riconoscimento di un indennizzo costituito dal pagamento delle prestazioni progettuali contrattualmente previste e direttamente eseguite e dal pagamento di una ulteriore somma pari al 10 per cento dell'importo predetto.
    4. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto fino all'approvazione del progetto definitivo da parte del CIPE delle opere come individuate dal comma 2, entro e non oltre 1 540 giorni successivi al completamento dell'esame del progetto in linea tecnica, tutti gli effetti dei contratti stipulati dalla con il Contraente generale e gli altri soggetti affidatari dei servizi connessi alla realizzazione dell'opera sono sospesi e per il periodo di sospensione non potranno essere avanzate dai contraenti pretese risarcitorie o di altra natura a nessun titolo. Sono altresì sospesi gli adeguamenti economici a qualsiasi titolo previsti. Per le parti progettuali non esaminate dal CIPE la sospensione degli effetti contrattuali permane, con le modalità sopra indicate, fino al reperimento della integrale copertura finanziaria. Le parti dovranno improntare il loro comportamento secondo i principi della buona fede.
    5. La mancata approvazione del progetto definitivo dell'opera da parte del CIPE, ai sensi del comma 4, comporta la caducazione di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società concessionaria, secondo le modalità e per gli effetti di cui al comma 3.
    6. La Società Stretto di Messina S.p.A. può essere autorizzata, previa approvazione dei progetti definitivi da parte del CIPE, ad eseguire lavori infrastrutturali funzionali all'esigenza dell'attuale domanda di trasporto anche in caso di mancata realizzazione del Ponte, ricompresi nel progetto definitivo generale, a carico del bilancio dello Stato nei limiti delle risorse che saranno individuate con successivi provvedimenti.
    7. Con atto di indirizzo del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono impartite direttive finalizzate all'immediato contenimento dei costi di gestione e di personale della società Stretto di Messina s.p.a..
    8. Nel caso in cui l'atto aggiuntivo di cui al comma 1 non venga stipulato entro il termine perentorio del 1° marzo 2013 sono caducati, con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto, tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società concessionaria secondo le modalità e per gli effetti di cui al comma 3.
    9. Nei casi di caducazione di cui ai commi 3, 5 e 8, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, la Società Stretto di Messina s.p.a. è posta in liquidazione e, per lo svolgimento delle attività liquidatorie, è nominato un commissario liquidatore che dovrà concludere le operazioni entro e non oltre un anno dalla nomina;
    10. Agli oneri derivanti dagli eventuali indennizzi conseguenti all'attuazione del presente articolo si provvede mediante utilizzo dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successivi rifinanziamenti, relativa al Fondo per lo sviluppo e la coesione. A tale fine le risorse del Fondo sono coerentemente riprogrammate dal CIPE a valere sulle assegnazioni destinate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti»;
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)» prevede all'articolo 1, comma 213, l'assegnazione al Fondo per lo sviluppo e la coesione di una dotazione finanziaria aggiuntiva di 250 milioni di euro per l'anno 2013 da destinare alla attuazione delle misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la società Stretto di Messina Spa. Ulteriori risorse fino alla concorrenza di 50 milioni di euro sono destinate alla medesima finalità a valere sulle risorse rivenienti dalle revoche di cui all'articolo 32, commi 2, 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
   l'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, (cosiddetto decreto-legge di sviluppo) recita testualmente: «Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base delle norme del decreto-legge 2 novembre 2012, n. 187, recante misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la società Stretto di Messina s.p.a. ed in materia di trasporto pubblico locale, non convertite in legge»;
   il ponte sullo stretto è un'opera compresa nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui all'articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 (cosiddetta «legge obiettivo»);
   il 26 febbraio 2013 al Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha svolto una relazione sul ponte sullo Stretto di Messina, sottolineando l'assenza delle condizioni necessarie per l'emanazione di un decreto-legge di proroga del termine per la stipula dell'atto aggiuntivo (fissato al 1o marzo 2013, dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, cosiddetto decreto-legge di sviluppo), come era stato richiesto dal contraente generale;
   in assenza della proroga e non essendo stata possibile la stipula dell'atto aggiuntivo, anche in considerazione delle condizioni poste, il primo marzo di quest'anno si è determinata di fatto la caducazione – cioè la perdita di efficacia giuridica – dei contratti in essere stipulati e della concessione;
   la decisione del Governo di rendere nei fatti impossibile la costruzione del ponte sullo Stretto determinerà penali che si ritiene possano oscillare tra i cinquecento milioni di euro e il miliardo e duecento milioni, ossia all'incirca la cifra che la parte pubblica avrebbe dovuto spendere per la costruzione del Ponte, (cifra stimata di spesa per lo Stato: un miliardo e cinquecentomila euro);
   salta insieme al ponte anche la possibilità di dare occupazione per diversi anni ad oltre 10.000 persone e di dare respiro all'economia dell'isola che vive un momento di enorme difficoltà;
   si conferma la scelta di non costruire nel sud l'unica vera grande opera che avrebbe consentito un parziale riequilibrio infrastrutturale di tipo perequativo tra il sud e il nord. Si tratta di una scelta che nei fatti divide l'Italia e separa la Sicilia dal resto del Paese –:
   se il Governo non ritenga di dover assumere urgenti iniziative, anche normative, per consentire al prossimo Governo di assumere ogni decisione relativa al ponte sullo Stretto. (4-00051)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   il sistema economico del nord-ovest della Sardegna sin dal 2002 ha avuto notevoli benefici dai collegamenti a basso costo con le più importanti mete internazionali;
   tali benefici sono stati raggiunti grazie al contributo co-marketing della Regione avviato con i protocolli d'intesa tra la SOGEAAL e la Ryanair per la promozione della Sardegna nei paesi stranieri disposti e autorizzati con deliberazione giunta regionale 40/13 del 13 dicembre 2002; 25/13 del 1o agosto 2003 e 23/26 del 20 maggio 2004;
   il rapporto con la principale compagnia aerea operante nello scalo di Alghero (Ryanair) non può essere annoverato come di esclusiva pertinenza della Regione Sardegna ma, per le implicazioni nazionali e internazionali, riveste un interesse diretto dello Stato;
   la decisiva iniziativa statale a difesa dei collegamenti low cost in sede comunitaria ha di fatto sancito l'interesse statale nel salvaguardare tali rotte e il meccanismo di finanziamento avviato dalla regione Sardegna nel 2002;
   la difesa delle misure adottate per sostenere a livello comunitario tali collegamenti verteva tra gli altri punti sulla convenzione sottoscritta nel 2002 dalla regione Sardegna con Ryanair e la SOGEAAL con la quale si sanciva un rapporto contrattuale sino al 2013 rinnovabile per altri dieci anni;
   gli accordi tra soggetti privati stranieri e soggetti pubblici sono, comunque, tutelati dai rapporti internazionali in capo alla competenza statale;
   nell'aeroporto di Alghero il livello di traffico passeggeri registrato è superiore ad 1 milione di passeggeri all'anno, la capacità aeroportuale è superiore ai 2 milioni di passeggeri all'anno;
   nel piano industriale dell'aeroporto di Alghero, disposto nel 2003 dalla giunta regionale, del 5 marzo 2004, elaborato da Roland Berger («il piano industriale 2004»), il traffico passeggeri registrato nel periodo 2002-2003 è aumentato in modo considerevole (+34 per cento), grazie soprattutto alla presenza di operatori low cost, che attualmente rappresentano il 35,5 per cento del traffico totale;
   Ryanair ha sottoscritto il 24 gennaio 2002 un protocollo con la regione Sardegna;
   il protocollo definisce il rapporto relativo ai servizi aerei di linea della compagnia Ryanair sulle rotte Londra (Stansted)-Alghero e i benefici che apportano all'economia della Sardegna e prevede la cooperazione tra la regione Sardegna e Ryanair allo scopo di sviluppare nuove rotte internazionali per sviluppare il turismo e l'occupazione nella regione;
   in data 25 gennaio 2002 (il giorno successivo alla firma del citato protocollo) Ryanair ha firmato un accordo con la società SOGEAAL Spa inteso ad incrementare il traffico passeggeri dell'aeroporto di Alghero;
   in base all'accordo 2002, viene assegnato a Ryanair un contributo in conto promozione definito «contributo marketing»;
   il 1o settembre 2003, SOGEAAL ha firmato con Ryanair altri due accordi per un periodo di 11 anni (dal 30 ottobre 2003 al 31 dicembre 2014, prorogabili di altri 10 anni) allo scopo di ampliare i collegamenti di Ryanair da e verso l'aeroporto di Alghero;
   il primo dei due accordi («Marketing Agreement 2003») stabilisce principalmente che Ryanair percepirà contributi di co-marketing a fronte dell'apertura di una nuova rotta internazionale e di una seconda frequenza sulla medesima rotta (annuale e stagionale);
   l'accordo fissa anche un contributo una tantum per le attività di co-marketing per il primo anno di operazioni su ciascuna rotta internazionale;
   in base alle disposizioni stabilite al punto K del Marketing Agreement 2003, disposizioni analoghe a quelle stabilite nell'accordo sono applicabili a tutte le compagnie aeree di linea europee che intendono assumere impegni equivalenti, con un equivalente livello di rischio, e capaci di apportare competenze comparabili nel marketing di nuove rotte da e verso gli aeroporti italiani minori;
   il 30 dicembre 2002 è stato firmato un accordo («convenzione 2002») tra la regione Sardegna e SOGEAAL Spa;
   in applicazione della convenzione:
    la regione Sardegna riconosce che l'accordo decennale sottoscritto il 25 gennaio 2002 tra la compagnia aerea irlandese Ryanair e la società di gestione SOGEAAL, e finalizzato all'incremento del traffico passeggeri all'aeroporto di Alghero con rimborso delle spese sostenute, è stato adottato in forza del protocollo firmato tra Ryanair e la regione stessa il 24 gennaio 2002, al quale viene fatto riferimento come «accordo 2002»;
   SOGEAAL dichiara di aver versato (tra 400.000 e 600.000 euro) a Ryanair in base all'accordo 2002 firmato con il vettore aereo irlandese e si impegna a rafforzare la sua azione nell'intento di sviluppare il traffico aereo tra l'aeroporto di Alghero e la Gran Bretagna con tutti i vettori che sono in grado di attivare voli di linea giornalieri a prezzi contenuti per almeno dieci mesi all'anno;
   la regione si impegna a versare (tra 400.000 e 600.000 euro) a SOGEAAL per le spese già sostenute e che sosterrà in relazione agli impegni concordati tra SOGEAAL e Ryanair;
   la compagnia aerea irlandese in seguito a quegli accordi ha progressivamente avviato servizi di traffico aereo sulle seguenti rotte: Alghero-Londra (Stansted); Alghero-Hahn e Alghero-Gerona. Ryanair effettua collegamenti anche tra Alghero e Liverpool, Düsseldorf (Weeze), Dublino, East Midlands e Pisa, Alghero e Milano (Orio al Serio), Brema e Stoccolma (Skavsta);
   in base alle condizioni stabilite nel Marketing Agreement 2003, Ryanair offre servizi aerei di linea giornalieri per passeggeri tra Alghero e Londra Stansted e si impegna ad attivare ulteriori servizi aerei giornalieri per passeggeri tra Francoforte Hahn e altre destinazioni della rete Ryanair. Ryanair provvede altresì ai servizi relativi alla pubblicità, alle vendite promozionali e alle relazioni pubbliche;
   il Marketing Agreement 2003 dispone che SOGEAAL verserà all'anno in relazione alla prima frequenza giornaliera su base annua per ciascuna rotta internazionale e (tra 200.000 e 450.000 euro) all'anno per ogni seconda frequenza giornaliera durante la sola stagione estiva. Qualora Ryanair non raggiunga il livello minimo di servizi indicato tra gli obiettivi, l'importo versato da SOGEAAL è ridotto in misura proporzionale;
   il Marketing Agreement 2003 prevede inoltre un contributo una tantum (tra 100.000 e 300.000 euro) per il primo anno di sfruttamento di ciascuna rotta internazionale, ad eccezione di Londra (Stansted), e (tra 25.000 e 100.000 euro) per il secondo e terzo anno (ciascuno) di sfruttamento di tale nuova rotta;
   tutte le somme sono versate a Ryanair a fronte di fatture corredate della documentazione giustificativa e sono ridotte pro rata nell'eventualità che Ryanair non riesca a conseguire le prestazioni minime stabilite;
   a titolo comparativo, il piano industriale 2004 indica un ricavo netto per passeggero di SOGEAAL pari a 7,7 euro per passeggero nel 2003;
   il Marketing Agreement è valido fino al 2013, ed è rinnovabile per un ulteriore periodo di dieci anni –:
   se il Governo italiano intenda adoperarsi con urgenza in ogni sede, per sviluppare e rafforzare il rapporto con le compagnie low cost assicurare il maggior numero di collegamenti possibili, con le destinazioni aeroportuali europee e non;
   se non intenda il Governo italiano, di concerto con la regione Sardegna, attivare un immediato tavolo di trattativa, con i rappresentanti delle compagnie low cost, al fine di proseguire nella positiva collaborazione tra la Ryanair e la Sardegna.
(4-00057)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   domenica 26 agosto 2012 alle ore 22.30 i minatori della Carbosulcis occupavano la miniera di Nuraxi Figus, Gonnesa, nel Sulcis Iglesiente per sollecitare l'avvio delle procedure relative alla realizzazione del progetto integrato miniera – centrale – cattura e stoccaggio CO2 di cui all'articolo 11, comma 14, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, concernente «Disposizioni urgenti nell'ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale», così modificato dalla legge n. 99 del 2009: « 14. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 8, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 56 del 9 marzo 1994, la regione Sardegna assegna una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica con la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica prodotta»;
   due giorni dopo, il 28 agosto 2012, la struttura Enel delegata alle relazioni esterne, responsabile per gli affari istituzionali, predisponeva in tutta fretta una nota sul tema Sulcis con l'effetto ad avviso dell'interrogante di sminuire, disinformare e conseguentemente bloccare il progetto di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 28 gennaio 1994;
   tale struttura Enel guidata dal responsabile degli affari istituzionali avvocato Francesco Giorgianni, senior vice president, nelle stesse ore in cui i minatori erano impegnati in una durissima protesta con l'occupazione delle gallerie, predisponeva una nota denominata «considerazioni sul polo energetico del Sulcis» che, negli intenti dell'Enel, doveva bloccare la montante onda emozionale legata alla protesta dei pozzi e nel contempo indurre le forze politiche e istituzionali condizionate e/o condizionabili a depotenziare il progetto Sulcis;
   negli uffici di viale Regina Margherita 137 a Roma, dove, secondo informazioni in possesso dell'interrogante, veniva redatta la nota richiamata, la struttura dei rapporti istituzionali aveva avuto dal management dell'Enel il preciso obiettivo di fornire dati macroscopici tesi a condizionare dichiarazioni di Ministri, rappresentanti istituzionali e politici sino alle più alte cariche dello Stato che in quelle ore erano intervenute direttamente sulla vicenda dei minatori della Carbosulcis;
   in tal senso la nota veniva vistata dal responsabile degli affari istituzionali avvocato Giorgianni nella sera del 29 agosto 2012 con l'obiettivo di trasmettere a tutti i potenziali referenti istituzionali e politici la nota, sin dalla serata del 29 e della giornata del 30;
   dalla mattina del 30 per l'intera giornata dalla mail dell'avvocato Francesco Giorgianni, (francesco.giorgianni@enel.com) la nota veniva trasmessa a vari uffici pubblici, sia per le vie brevi che a mano;
   sin dalle prime parole della nota «Considerazioni sul polo energetico Sulcis» si lascia intendere l'obiettivo evidente di tutelare gli interessi dell'Enel a scapito del progetto Sulcis e infatti si parla di «diversi interessi afferenti al polo energetico del Sulcis Iglesiente»;
   questa la premessa del documento inviato: «Nella presente nota si riassumono sinteticamente i diversi interessi afferenti al polo energetico del Sulcis Iglesiente e le posizioni di Enel al riguardo»;
   la nota è articolata in 3 paragrafi: Alcoa; Eurallumina, Carbosulcis e progetto integrato;
   per quanto riguarda l'Alcoa è espressamente scritto: «riguardo la vicenda Alcoa l'Enel è stata interessata per una possibile fornitura dedicata attraverso la centrale elettrica del Sulcis. La questione è stata approfondita in un tavolo tecnico dove si è dimostrato che tale soluzione non è perseguibile in quanto i soli cash cost della produzione, senza cioè nemmeno considerare una necessaria remunerazione del capitale investito, sono già dell'ordine dei 90 euro/MWh contro i circa 75 euro/MWh di mercato. Alcoa, grazie ai meccanismi regolatori vigenti, si approvvigiona di energia elettrica a prezzi in linea con la media europea per il settore dell'alluminio (33 euro/MWh). Per raggiungere questa competitività nel costo dell'energia è necessario che si proroghino/implementino interventi della stessa natura di quelli in essere (interrompibilità, interconnector)»;
   per quanto riguarda l'Eurallumina è scritto: «Enel è stata interessata per la possibile fornitura di vapore necessaria ai loro processi industriali. Il tavolo tecnico che ne è conseguito ha analizzato nel dettaglio tutte le possibili soluzioni, tra le quali la costruzione di una caldaia ad hoc da parte di Eurallumina nel proprio perimetro di impianto risulta essere la più efficace da un punto di vista tecnico, gestionale ed economico. Enel conferma la propria disponibilità a fornire carbone per il funzionamento della nuova caldaia al proprio costo di approvvigionamento, trasporto e movimentazione franco punto di consegna, mettendo a disposizione la propria struttura logistica»;
   per quanto riguarda la Carbosulcis e progetto integrato è scritto nella nota: la miniera di carbone del Sulcis Iglesiente ha una storia produttiva complessa, la struttura geologica associata alla pessima qualità del carbone estratto (basso potere calorifico, alto contenuto in zolfo e ceneri) rendono l'estrazione del carbone del tutto anti-economica»;
   «di seguito – prosegue la nota – si riportano i principali parametri che descrivono la qualità del carbone del Sulcis confrontati con quello importato per la centrale esistente»;
   Parametro: Potere calorifico inferiore; kcal/kg: Carbone Sulcis 5.000; Carbone importato 5.000;
   Parametro: percentuale di Zolfo; Carbone Sulcis 6; Carbone importato 0,6;
   Parametro: percentuale di Ceneri; Carbone Sulcis 16; Carbone importato 6;
   Parametro: temperatura fusione ceneri Co Carbone Sulcis 1250; Carbone importato 1340;

  «per rendere industrialmente compatibile il mantenimento in produttività della miniera (e dei relativi livelli occupazionali) – prosegue la nota – la soluzione individuata sin dal 1994 è quella di realizzare una nuova centrale a carbone che garantisca un adeguato consumo di carbone locale e con prestazioni ambientali all'avanguardia tali da giustificare un ritiro dell'energia a prezzi analoghi a quelli garantiti per lo sviluppo delle energie rinnovabili dal provvedimento CIP6/92»;
   negli anni Novanta (a partire dal decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994) si è ricercata tale soluzione con lo sviluppo di una centrale – afferma la nota – che puntasse sulla gassificazione del carbone (IGCC) ma i rischi connessi all'implementazione industriale di tale tecnologia hanno fatto sì che nessun operatore la ritenesse concretamente realizzabile»;
   la legge n. 80 del 2005 – prosegue l'Enel – ha cercato di superare tale criticità, allargando anche ad altre tecnologie la logica del decreto originario a patto di ottenere performance ambientali equivalenti e da questa legge derivò poi un bando di gara internazionale promosso a dicembre 2006 dalla regione Sardegna»;
   «Enel, – afferma la nota – pur avendo dedicato uno sforzo particolare in termini di risorse allocate alla valutazione dell'iniziativa ed avendo contattato potenziali partner con cui intraprendere il progetto, decise nel 2007 di non presentare l'offerta al citato bando di gara, che peraltro andò completamente deserto a testimonianza della criticità economico-industriale del progetto stesso»;
   «a valle di alcune indicazioni pervenute nel frattempo dalla Commissione europea, continua in quella che all'interrogante appare un'opera di disinformazione la struttura Enel – che aveva comunque chiarito che con ogni probabilità non avrebbe approvato lo schema del bando di gara in quella forma, la vicenda è stata di nuovo contestualizzata con la legge n. 99/09 che ha rimosso le condizioni di fornitura di energia elettrica a costo ridotto per le imprese industriali della zona e ha invece introdotto l'obbligo di realizzare un sistema di cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica prodotta dall'impianto (CCS)»;
   «in ogni caso resta centrale il tema del riconoscimento di una remunerazione CIP6 all'impianto – continua secondo l'interrogante a disinformare e screditare la nota dell'Enel – (400 Meuro/anno per i primi 8 anni, 150 Meuro/anno negli anni successivi), che aldilà dell'onerosità risulta fragile in termine di accettabilità europea (aiuti di Stato, vedi procedura di infrazione C36/2008)»;
   «si sottolineano – ribadisce ulteriormente la «velina» di viale Regina Margherita – quindi i consistenti rischi dell'iniziativa, dalla parte dei ricavi per la fragilità dello schema di incentivazione, e dalla parte dei costi e rischi industriali per le difficoltà estrattive connesse alla miniera ed alle incertezze legate ai progetti CCS»;
   la disinformazione e la distorta rappresentazione dei dati raggiungono, ad avviso dell'interrogante, il livello più alto della nota quando essa affronta i costi del progetto integrato nuova centrale + impianto CCS sostenendo che «la realizzazione di una nuova centrale a carbone da 660 MW nel Sulcis comporta un costo del 30 per cento più alto rispetto a impianti più grandi come Civitavecchia o Porto Tolle (1980 MW), non potendo beneficiare delle economie di scala. L'investimento diventa ancora più oneroso se si aggiunge la CCS alla nuova centrale. Guardando a progetti CCS simili, occorrerebbe investire circa altri 1,2 miliardi di euro per l'impianto, oltre a circa 100 milioni di euro l'anno in più per i costi gestionali»;
   è sufficiente richiamare alcuni dei dati riportati nella nota per comprendere la distorta rappresentazione della situazione e il tentativo ad avviso dell'interrogante maldestro di manipolare la realtà;
   il documento dei manager dell'Enel, che doveva restare segreto, inviato a vari organi istituzionali forniva un quadro ad avviso dell'interrogante alterato di tutti i dati relativi al progetto energetico del Sulcis;
   si trattava di quella che all'interrogante appare una vera e propria azione di «killeraggio» politico, economico e industriale messa in campo da soggetti ben individuati dell'ente di Stato, un'operazione maldestra giocata sulla pelle dei lavoratori e della Sardegna pur di continuare ad esercitare un'azione devastante di monopolio sull'isola;
   tra il 29 e il 30 agosto, durante le fasi più concitate dell'occupazione mineraria, il manager delegato ai rapporti con le istituzioni avrebbe avuto l'input superiore di predisporre un dossier «avvelenato» per indurre Ministri e esponenti politici non solo a denigrare ma a bocciare come antieconomico e insostenibile il progetto della Carbosulcis;
   l'avvocato Francesco Giorgianni, senior vice president responsabile degli affari istituzionali dell'Enel, direttamente dalla sua posta elettronica trasmetteva a più riprese il dossier e in alcuni casi lo stesso veniva caldeggiato su più tavoli;
   l'Enel dunque, per quanto consta all'interrogante, agiva attraverso il suo delegato ai rapporti istituzionali per indurre esponenti politici e uomini delle istituzioni a rappresentare numeri falsi, destituiti di ogni fondamento pur di affossare i progetti sardi;
   risultavano dati che all'interrogante appaiono palesemente inventati, come il costo dichiarato dall'Enel nel dossier di 400 milioni di euro all'anno per 8 anni per la centrale elettrica a fronte di costi reali di meno della metà. Tre miliardi e duecento milioni di euro a fronte di un costo reale di un miliardo e mezzo;
   l'Enel, dunque, pur di screditare il progetto, in quelle ore di concitata occupazione della miniera, divulgava con una nota una cifra del tutto non corrispondente alla realtà con il solo obiettivo di far giungere ai propri referenti nelle istituzioni dati tali da far respingere il progetto a suon di dichiarazioni mediaticamente utili a proteggere l'Enel e i suoi interessi a scapito di quelli della Sardegna;
   nella «velina elettrica» dell'Enel si cita la realizzazione di una nuova centrale a carbone da 660 megawatt dichiarando un costo superiore a Civitavecchia o Porto Tolle del 30 per cento, anche in questo caso una cifra che all'interrogante risulta infondata;
   nel progetto Sulcis la centrale è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica del 1994 che fissa un tetto minino di 350 megawatt e un massimo di 450 megawatt. Si tratta anche in questo di dati secondo l'interrogante infondati inviati nei gangli delle istituzioni con l'effetto di mettere fuori gioco il progetto integrato Miniera – centrale Sulcis – cattura e stoccaggio CO2;
   nel dossier l'Enel affronta, poi, la realizzazione degli impianti per la cattura e lo stoccaggio di CO2 per i quali, secondo il dossier, occorrerebbe investire 1,2 miliardi di euro quando invece il progetto sardo ne prevede la metà. Anche in questo caso si tratta secondo l'interrogante di un palese tentativo di mettere in cattiva luce il sistema integrato della miniera – centrale – cattura e stoccaggio CO2 a fronte di un costo della centrale di Porto Tolle dell'Enel di fatto uguale a quello sardo;
   risultano ad avviso dell'interrogante imbarazzanti e addirittura vergognose le argomentazioni pseudo giuridiche sull'incentivazione proposte nel dossier: quando si afferma che «la Commissione Europea aveva chiarito con ogni probabilità che non avrebbe approvato lo schema del bando» si manifesta a giudizio dell'interrogante la totale insipienza di questo dossier proprio perché se l'Unione europea avesse «chiarito» non si sarebbe dovuta usare la formulazione «con ogni probabilità»;
   appaiono, infine, sul versante Carbosulcis, davvero esaustive le considerazioni finali dove si «sottolineano i consistenti rischi dell'iniziativa, dalla parte dei ricavi per la fragilità dello schema di incentivazione e dalla parte dei costi e rischi industriali per le difficoltà estrattive connesse alla miniera ed alle incertezze legate ai progetti CCS»;
   resta da domandarsi per quale motivo l'Enel si preoccupa così tanto dei costi e dei rischi industriali, per quale motivo si sente in dovere e in diritto di censurare l'incentivazione, la stessa che dovrebbe utilizzare a Porto Tolle;
   ci si chiede per quale motivo reputi incerti i progetti legati alla cattura e stoccaggio della CO2 se sono gli stessi che deve realizzare a Porto Tolle;
   quasi a prevenire le azioni successive dei lavoratori dell'Alcoa l'Enel apre nel dossier «anti Sardegna» un capitolo Alcoa dove afferma che la centrale Sulcis è antieconomica perché ha un costo della produzione di 95 euro a MWh, senza calcolare, dice il dossier, la remunerazione del capitale investito, a fronte di circa 75 euro a MWh di mercato;
   dati che, secondo l'Enel, renderebbero impossibile un contratto bilaterale con Alcoa;
   resta da domandarsi per quale motivo quella centrale abbia costi così elevati; per quale motivo abbia una così scarsa redditività; per quale motivo si scarichi quell'inefficienza tutta sul sistema sardo e del Sulcis e non sull'intero territorio nazionale; se sia forse responsabilità dei lavoratori di Alcoa o dell'Eurailumina se l'Enel ha impianti inefficienti –:
   se i Ministri interrogati abbiano ricevuto tale dossier, in qualsiasi forma, cartacea o elettronica, o se ne fossero venuti a conoscenza e in quale modo;
   se i dati in loro possesso relativamente alle questioni affrontate corrispondano a quelli del dossier;
   se intendano fornire i dati reali rispetto ai progetti presentati nei rispettivi dicasteri;
   se intendano esprimere, in che tempi e con quali procedure, un parere conforme alle norme vigenti relativamente al sistema integrato miniera – centrale e cattura e stoccaggio CO2 così come previsto dalle leggi in materia a partire dal decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994;
   se intendano dare piena attuazione alle previsioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 gennaio 1994, con particolare riferimento alle fonti di finanziamento e ai meccanismi di incentivazione previsti;
   se intendano dare piena attuazione alle disposizioni di tale decreto del Presidente della Repubblica in relazione al fatto che il dimensionamento della centrale deve attestarsi rispetto ad un minimo e un massimo stabilito nel decreto;
   se intendano ridimensionare il progetto a favore di progetti intervenuti successivamente rispetto a quello già decretato nel 1994 violando così ad avviso dell'interrogante il principio che tutela gli atti assunti precedentemente a quelli ultimi. (5-00013)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   alla vigilia di ferragosto, in data 14 agosto 2012, con prot. Apamb/appb/2888/GB/gr la società Syndial – attività diversificate – di San Donato Milanese trasmetteva una missiva ad un gruppo ristretto e ben selezionato di imprese avente ad oggetto: «Invito a presentare manifestazione di interesse relativamente ad attività riguardanti la bonifica di alcune aree poste all'interno del sito Syndial di Porto Torres: Minciaredda, area palte fosfatiche, area peci DMT, trattamento terreni da bonifica on site e smaltimento dei rifiuti derivanti dalle demolizioni dell'impianto acido fosforico e di altri impianti presso il sito»;
   nella stessa missiva si riporta: SYNDIAL S.p.A., attività diversificate, con sede legale in San Donato Milanese (Milano), Piazza Boldriui I, Capitale sociale euro 445.534.60,48 i.v., Codice Fiscale, Partita IVA e Registro imprese di Milano n. 09702540155, iscritta al R.E.A. Milano al n. 1309478, intende procedere all'acquisizione e valutazione di candidature per la definizione di una vendor list di gara per le attività di cui all'oggetto, dettagliate nel seguito, da svolgersi all'interno dello stabilimento di Porto Torres;
   nella stessa comunicazione si afferma: la presente non è una richiesta di offerta, ma più propriamente una richiesta di «manifestazione di interesse» all'effettuazione delle suddette attività. Nessun obbligo o impegno sarà a carico di SYNDIAL in ragione delle risposte che vorrete fornire;
   nella comunicazione si precisano le attività oggetto della procedura ristretta attivata dalla società del gruppo Eni: nell'ambito del sito di Porto Torres, SYNDIAL intende promuovere un progetto di riqualificazione di alcuni settori attraverso un approccio volto all'applicazione di criteri di sostenibilità. Tali driver si possono sintetizzare attraverso l'applicazione di tecnologie in situ ed on site per la bonifica del sottosuolo delle aree di stabilimento al fine di ottenere la riduzione di volumi di rifiuti da trattare e soprattutto la minimizzazione di smaltimenti off site;
   a tal fine la società indica alcune metodologie che ritiene di dover applicare nell'espletamento dell'intervento: in questa ottica SYNDIAL ha manifestato l'intenzione di orientare il progetto di bonifica del sito promuovendo interventi di bonifica/gestione rifiuti in un'ottica di sostenibilità, ad esempio attraverso:
    messa in sicurezza di aree e realizzazione discariche;
    installazione di hub per il trattamento dei rifiuti con impianti on site comprese le necessarie utilities e le strutture accessorie;
    installazione di sistemi di trattamento on site a piè d'opera delle aree da bonificare comprese le necessarie utilities e le strutture accessori;
   nella comunicazione si indicano alcuni requisiti richiesti alle società candidate che «dovranno fornire, sulla base dei migliori e più aggiornati dati ambientali ad oggi disponibili e degli elaborati di progetto già redatti da SYNDIAL (qui allegati), elementi di valutazione a SYNDIAL circa le proprie caratteristiche tecnico amministrative per poter eseguire le seguenti attività»:
    Minciaredda: «si tratta di un'area di circa 35 ettari; il progetto di bonifica è in corso di elaborazione. Si allega alla Presente il precedente progetto, che prevedeva la messa in sicurezza permanente del sito contenente i dati relativi alla caratterizzazione (60 milioni)»;
    palte fosfatiche: l'area oggetto dei depositi detti «palte fosfatiche» è ubicata all'interno dell'area C dello stabilimento di Porto Torres e occupa una superficie di circa 3 ettari. Si tratta di residui di produzione e lavorazione dell'acido fosforico a partire dalla fosforite. È previsto il risanamento dell'area mediante scavo e smaltimento delle palte fosfatiche e dei terreni contaminati e successivo rinterro delle aree con materiale certificato. È prevedibile l'allocazione dei rifiuti in discariche dedicate da realizzare in loco (15 milioni);
    peci DMT: l'area di deposito delle peci DMT si trova nel settore meridionale dello stabilimento di Porto Torres e occupa una superficie di circa 1,5 ettari. Si tratta, in particolare, di vasche contenenti i residui del processo di produzione del dimetiltereftalato. Gli interventi previsti riguardano la rimozione, il trattamento e lo smaltimento delle pecie, la bonifica dei terreni e dei materiali da esse contaminati (10 milioni);
    trattamento/smaltimento dei terreni per cui non sarà possibile effettuare la bonifica in situ;
    smaltimento rifiuti derivanti dalle demolizioni impianto acido fosforico ed altri impianti e fabbricati: l'attività di demolizione è esclusa;
   vengono richiesti alle imprese invitate i seguenti requisiti minimi richiesti a ciascun candidato (singola società, RTI o consorzio) da considerarsi vincolanti per la «manifestazione di interesse»:
    a) qualifica Eni;
    b) iscrizione alla Categoria 8B, 9A* presso l'albo gestori ambientali;
    c) fatturato medio annuo complessivo > 80 milioni;
    d) fatturato medio annuo per attività di bonifica > 60 milioni;
    e) disponibilità documentata di almeno 15.000 ore/anno di ingegneria, con indicazione della ripartizione tra ingegneri civili, meccanici ed ambientali;
    f) proprietà/gestione impianti (fissi e/o mobili) di trattamento rifiuti per una capacità complessiva di 200.000 tonnellate/anno;
    g) proprietà/disponibilità di impianti mobili di trattamento rifiuti per le seguenti tipologie:
     inertizzazione;
     soil washing;
     vagliatura;
     frantumazione;
     desorbimento termico;
   nella comunicazione riservata si prescrive che il «Requisito Qualificazione Eni» che deve possedere sicuramente almeno la Capogruppo;
   nella missiva è previsto anche che: dovrà essere garantita una capacità complessiva di trasporto per rifiuti pericolosi e non pericolosi poi almeno a 100.000 tonnellate/anno che potrà essere soddisfatta, in caso di unico soggetto, attraverso il possesso dell'Iscrizione almeno alle categorie 4B e SC ed in caso di più soggetti mediante l'iscrizione almeno alle categorie 4C e SD;
   nella comunicazione di ferragosto si precisa che: tale requisito potrà essere soddisfatto anche attraverso il subappalto, con indicazione dei nominativi dei subappaltatori e delle evidenze del rispetto dei requisiti, come previsto al successivo articolo 4;
   nella richiesta di manifestazione d'interesse si precisa inoltre la forma giuridica dei candidati: è consentita la partecipazione di ciascun candidato in raggruppamenti di imprese e consorzi. Il destinatario della presente non dovrà necessariamente essere Capogruppo. Per ciascun componente dell'eventuale Raggruppamento di Imprese o Consorzio, dovrà essere specificato il ruolo, l'attività che dovrà svolgere e la quota di partecipazione all'interno del raggruppamento (si veda successivo articolo 4);
   tra la documentazione richiesta risulta anche: Lista di referenze documentate relative agli ultimi 5 anni su:
    progettazione e realizzazione di interventi di bonifica integrati in siti complessi;
    progettazione, costruzione e gestione di discariche;
    progettazione e realizzazione diaframmi plastici;
    progettazione e realizzazione di messe in sicurezza permanenti di aree contaminate;
    gestione rifiuti;
    gestione rifiuti contenenti TENORM; referenze di insediamento in Sardegna per attività ambientali;
   sempre secondo la comunicazione le referenze presentate dovranno dimostrare l'avvenuta effettuazione di almeno due lavori di «punta» del valore non inferiore a 20 milioni di euro ciascuno, dei quali almeno uno dovrà avere come oggetto la realizzazione e/o messa in sicurezza di discariche; tale requisito potrà essere soddisfatto numericamente da eventuali RTI, ma il valore del singolo lavoro non potrà essere considerato come cumulativo di più interventi eseguiti dai componenti il RTI;
   la valutazione della documentazione presentata, in risposta alla presente richiesta da parte di ciascun candidato, verrà valutata secondo i seguenti parametri: Rispetto dei requisiti minimi; Grado di adeguatezza del raggruppamento proposto rispetto allo scope of work;
   in forma generica è previsto che la compliance della proposta alla normativa ambientale con particolare riferimento ai parametri di sostenibilità saranno oggetto della successiva fase di gara;
   in altrettanta forma generica è prevista: la valorizzazione del contesto locale e dello sviluppo del territorio, con particolare riferimento a quanto previsto nel «Protocollo d'Intesa per la “chimica verde” a Porto Torres»;
   infine nella missiva è previsto che: soltanto le società che avranno ottenuto una valutazione positiva dall'analisi dei documenti presentati nella manifestazione di interesse, verranno invitate alla successiva fase di gara che si svolgerà, in ambito privatistico, utilizzando la procedura del «Dialogo Competitivo»;
   la data di invio della richiesta (14 agosto) rappresenta secondo l'interrogante l'emblematico agire di chi intende perseguire una logica privatistica e non trasparente nella gestione di un intervento, così rilevante e di interesse pubblico, come la bonifica dei sito industriale, o una parte di esso, di Porto Torres;
   la modalità assolutamente ignota di selezione delle imprese invitate alla manifestazione di interesse costituisce la dimostrazione di un intervento tutto definito nelle stanze dell'Eni senza che si possano valutare criteri e metodi di selezione delle stesse imprese;
   la definizione, tra i parametri, della obbligatoria qualificazione delle imprese da parte dell'Eni costituisce un elemento privatistico e poco trasparente decisamente contrario a tutte le regole di trasparenza che dovrebbero regolare un intervento di tale natura pubblica come la bonifica dei siti industriali di Porto Torres;
   a poco valgono le disquisizioni tecnico giuridiche sul fatto che l'Eni sia una società per azioni, considerata la partecipazione pubblica al suo capitale e considerato che si sta attuando un intervento di natura pubblica come la bonifica di un'area per la quale esistono delle pubbliche diffide e prescrizioni per la loro esecuzione;
   aver definito come obbligatoria la qualificazione Eni ha di fatto escluso qualsiasi impresa sarda;
   aver individuato come soglia di partecipazione un fatturato medio annuo complessivo minimo di 80 milioni di euro e di 60 milioni per le attività di bonifica rappresenta secondo l'interrogante il più eloquente elemento di una manifestazione di interesse ad excludendum;
   si tratta di un'indicazione vincolante che viene reiterata in più parti della manifestazione di interesse elevando sempre di più le prescrizioni partecipative;
   il fatto che la manifestazione d'interesse è stata inviata a 24 imprese e nessuna di queste è sarda conferma sempre ad avviso dell'interrogante l'impostazione ad excludendum seguita dall'Eni nella prima fase dell'appalto;
   le imprese invitate alla gara sono le seguenti: Astaldi – Roma; Bonifiche spa – Roma; CH2MHILL – South Jamaica CO USA; Consorzio CORRIVAL – Valbormida; Consorzio Stabile Opere pubbliche; De Vizia transfer – Torino-Avellino; Demont Ambiente – Mestre-Venezia; EMIT – Milano; Foster Wheeler – Baar (Canton Zugo), Svizzera; Furia srl – Borghetto di Noceto (Parma); General Smontaggi – San Pietro Mosezzo (Novara); Herambiente – Bologna; Maltauro – Vicenza; Indaver – Origgio-Varese – sede Italia-Belgio; Intercantieri Vittadello – Limena (Padova); MWH – Broomfield, Colorado 80021 USA; Ondeo – Milano; Petroltecnica – Cerasolo di Coriano – Rimini; Riccoboni – Parma; Sadi – Segrate; Teseco – Pisa; Trevi – Rimini; Unieco – Reggio Emilia; VIPP – Angiari-Verona;
   appare allarmante la dichiarazione riportata nel punto delle palte fosfatiche dove si sostiene: è prevedibile l'allocazione dei rifiuti in discariche dedicate da realizzare in loco;
   tale affermazione in loco significa realizzare nella medesima area nuove discariche dove si sposteranno i rifiuti che passeranno così da una parte all'altra della stessa area industriale senza l'intervento fondamentale di eliminazione, o inertizzazione del rifiuto attraverso procedure e tecniche di trattamento chimico fisiche degli stessi rifiuti;
   tale obiettivo relativo alla realizzazione di nuove discariche è ribadito nel punto 1 della manifestazione di interesse dove si prevede la messa in sicurezza di aree e la realizzazione discariche –:
   se la società Syndial abbia presentato progetti esecutivi relativi agli interventi di cui nella richiesta di manifestazione d'interesse;
   se siano intervenute le necessarie autorizzazioni ed eventuali prescrizioni;
   se siano state autorizzate nuove discariche di rifiuti nell'area industriale di Porto Torres sito da bonificare di interesse nazionale;
   se gli organi competenti abbiano valutato possibili inertizzazioni dei rifiuti da smaltire evitando la realizzazione di nuove discariche che oltre a non affrontare il tema di fondo del risanamento dell'area, comportano un evidente vantaggio economico al soggetto obbligato al ripristino totale dell'area;
   se la procedura di selezione delle imprese appaia congrua rispetto agli impegni sottoscritti nei vari accordi e protocolli d'intesa relativamente all'area industriale di Porto Torres;
   se non ritengano, nell'ambito della propria attività politica e di persuasione istituzionale, di indurre l'Eni a bloccare tale procedura al fine di predisporre un atto d'intesa con i Ministeri competenti e la stessa regione Sardegna al fine di individuare forme trasparenti e meno restrittive dell'individuazione dei soggetti esecutori delle opere al fine di un massimo coinvolgimento delle imprese locali nell'esecuzione dei lavori indicati in premessa. (5-00019)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come emerso da vari articoli e campagne di inchiesta sulla stampa locale e nazionale, la «Terra dei Fuochi» è una vasta area della provincia di Napoli compresa tra i comuni di Qualiano, Villaricca e Giugliano caratterizzata dallo sversamento illegale di rifiuti, perlopiù tossici, da parte delle organizzazione criminali. In molti casi, i cumuli di rifiuti, illegalmente riversati nelle campagne, o ai margini delle strade, vengono incendiati dando luogo a roghi i cui fumi diffondono sostanze tossiche, tra cui la cancerogena diossina, nell'atmosfera e nelle terre circostanti. Il fenomeno è in forte crescita ed interessa attualmente anche la provincia di Caserta, aree della Campania e isolatamente purtroppo altre aree del Sud Italia;
   questo fenomeno criminale interessa una terra di alcuni milioni di abitanti ed è alimentato dal nocivo smaltimento illegale di rifiuti tossici di natura industriale, raramente da rifiuti solidi urbani di origine domestica;
   i roghi tossici e illeciti negli ultimi anni sono aumentati a dismisura, fino a diventare parecchie decine al giorno con lo sprigionarsi di diossine e metalli pericolosissimi nell'aria circostante. Dati recenti dell'Istituto superiore di sanità e dell'Istituto Tumori Pascale, contenuti nel dossier «Campania, terra di veleni» confermano senza dubbio che l'impressionante aumento di patologie tumorali è determinata in maniera certa da questo disastro ambientale senza precedenti;
   da articoli di stampa e indagini delle forze di polizia si apprende che lo smaltimento illegale di rifiuti industriali e tossici sono determinati da:
    a) smaltimento illegale di rifiuti che arrivano da fuori regione ed in particolar modo dal Nord dell'Italia;
    b) smaltimento di rifiuti industriali di piccole aziende campane (tessile, calzaturifici, e altro) che operano in regime di evasione fiscale;
    c) comunità rom e comunità di clandestini che si occupano del mercato illegale di metalli di valore, quali il rame;
   numerose comunità di liberi cittadini campani si sono organizzate in associazioni spontanee per manifestare contro questa pratica criminale, denunciare il degrado e sensibilizzare l'opinione pubblica sulla gravissima situazione ambientale e sanitaria della «Terra dei fuochi»;
   l'interrogante aveva già presentato sulla vicenda atti di sindacato ispettivo nella XVI legislatura senza però alcuna risposta –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per rafforzare, anche con maggiori risorse e mezzi, il controllo da parte delle forze di polizia nelle sopracitate zone interessate dagli incendi illeciti di rifiuti tossici e se non ritengano poi utile promuovere tra enti locali, cittadini e forze di polizia un tavolo di coordinamento ad hoc per prevenire pratiche criminali connesse al traffico illecito di rifiuti;
   se non sia utile istituire un sistema satellitare di tracciabilità dei flussi di rifiuti industriali a livello nazionale e costituire un presidio permanente di monitoraggio sanitario per le patologie connesse all'inquinamento ambientale.
(4-00013)


   LEGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha recentemente novellato la normativa relativa alle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare. In particolare, il comma 1 del citato articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha sostituito l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che disciplina le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
   la principale modifica consiste nella fissazione per olio e per gas di un'unica e più rigida fascia di rispetto, fino alle dodici miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Rimane immutato, invece, il divieto con riferimento alle attività suddette all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette;
   a fronte di tale disposizione, tuttavia, il nuovo articolo 6 stabilisce che il divieto di cercare ed estrarre idrocarburi non riguardi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Così disponendo, esso fa, dunque, salvi in modo retroattivo i procedimenti autorizzatori già in corso prima del 26 agosto 2010, data di entrata in vigore del decreto legislativo;
   in applicazione della nuova disciplina, in data 21 gennaio 2013, la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale esprime un giudizio positivo di compatibilità ambientale sul «Progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi “Ombrina Mare” nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD»;
   l'area del progetto si trova a 6,5 chilometri dalla costa, area protetta in cui l'articolo 8, comma 3, della legge 8 marzo 2001, n. 93 prevede l'istituzione del parco nazionale «Costa teatina»;
   nel dispositivo del parere si legge la presa d'atto che non risulta pervenuto alcun parere da parte della regione Abruzzo;
   la Regione Abruzzo, per tramite del suo presidente Chiodi, ha inviato una lettera al Ministero dell'ambiente in cui si afferma che non è mai arrivata a destinazione la missiva nella quale si chiedeva l'espressione di un parere dell'Ente sul progetto di coltivazione;
   in questo caso, il procedimento amministrativo risulterebbe gravemente viziato difettando di un presupposto essenziale per il rilascio della VIA e il testo del parere conterrebbe una affermazione non vera –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questa situazione, quali iniziative intenda intraprendere rispetto ad un procedimento di autorizzazione in cui sembrerebbe mancare, per omissione o negligenza, un elemento fondamentale di perfezionamento dell'atto e se, per questo, intenda revocarlo. (4-00021)


   REALACCI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende oggi dalle maggiori agenzie di stampa nazionali e dal «Quotidiano della Calabria», il Capitano Natale De Grazia, l'ufficiale che indagava sulla nave dei veleni e morto 17 anni fa sarebbe stato avvelenato. La sua morte non sarebbe avvenuta per arresto cardiocircolatorio, così come accertato a suo tempo dall'autopsia, ma a causa della presenza nel corpo di elementi tossici. La notizia è contenuta in alcuni documenti in possesso della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti che il 20 dicembre 2012 avrebbe dovuto tenere una conferenza stampa poi annullata;
   sulla morte di De Grazia e sulle cosiddette «navi dei veleni» da anni si concentrano sospetti di scarsa chiarezza sulle dinamiche anche da parte di associazioni ambientaliste e comitati di cittadini;
   sarebbe auspicabile la riapertura dell'inchiesta sulla morte di Natale De Grazia per rendere giustizia a questo straordinario servitore dello Stato; sono stati presentati dall'interrogante diversi atti di sindacato ispettivo nella XVI legislatura sul tema dei rifiuti tossici e delle «navi dei veleni» (4-12995, 4-07697, 4-07359, 4-19325) ai quali non è stata data risposta –:
   quali iniziative di competenza intendano mettere in atto per ripristinare la sicurezza e la salute ambientale dei tratti di mare e di costa interessati dall'inabissamento e dall'arenamento della Jolly Rosso. (4-00022)


   ZACCAGNINI, GALLINELLA, PARENTELA, LUPO, ZAN e MIGLIORE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di organismi geneticamente modificati (OGM), estranee all'interesse comune dei cittadini comunitari, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell'Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
   la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integri, ossia non inquinati da organismi geneticamente modificati pericolosi per la salute umana, per quella degli animali e per l'ambiente, i territori a produzioni agricole di qualità per mantenere un grado elevato di eccellenza del patrimonio di agro biodiversità europeo, a salvaguardia anche delle generazioni future e della libertà di mercato degli agricoltori europei per l'acquisto e la produzione delle diverse varietà di sementi di graminacee e leguminose a fini di alimentazione umana;
   coloro, che a torto o a ragione, hanno introdotto sul proprio territorio la coltivazione degli OGM, non riescono in modo efficace a produrre vegetali privi di OGM, stante l'inquinamento irreversibile che gli stessi organismi, una volta introdotti nell'ambiente, provocano in tutte le aree agricole;
   questo inquinamento irreversibile è attestato dalla stessa direttiva 2001/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001, che per l'emissione deliberata nell'ambiente degli OGM, al 4 punto dei considerando riporta: «gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili»;
   in presenza di comportamenti incerti e a volte contraddittori del legislatore comunitario e nazionale, nel disciplinare la materia vi è il pericolo che scelte improvvise possano distruggere definitivamente e irreversibilmente l'ambiente e la qualità della nostra produzione agricola, convenzionale e biologica, di sicura eccellenza a livello mondiale;
   è necessario tutelare la qualità delle produzioni agroalimentari nazionali, eccellenza del made in Italy, che anche in questo momento di forte recessione rappresenta una dei pochi settori nazionali in controtendenza, in attivo per gli elevati valori di export raggiunti e per il ragguardevole numero di occupati, soprattutto giovani, sul territorio nazionale, posto che il settore agricolo contribuisse non solo alla stabilità sociale ed economica delle nostre campagne ma anche all'equilibrato assetto idrogeologico dei territori –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere nell'ambito delle rispettive competenze, per promuovere l'azione governativa di adozione della clausola di salvaguardia che blocchi la diffusione degli OGM nel nostro territorio nazionale e per potenziare, soprattutto nelle regioni del Nord-Italia e in questo periodo primaverile d'inizio della messa a dimora dei semi, l'impiego straordinario dei reparti specializzati del Corpo forestale dello Stato dislocati in modo capillare sul territorio nazionale in attività di sicurezza agroalimentare e agro ambientale, per la sorveglianza e il contrasto delle tentate semine illegali di OGM. (4-00050)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ENI avrebbe in animo di realizzare sulla costa nord occidentale della Sardegna, nel sito industriale di Porto Torres un parco serbatoi con una capacità di un milione e 650 mila metri cubi di combustibile;
   nel Golfo dell'Asinara a seguito di questo imponente parco serbatoi potrebbero transitare seicento petroliere all'anno quadruplicando il traffico navale rispetto a quello legato al polo chimico;
   l'impatto occupazione sarebbe di non più di quarantacinque posti di lavoro diretti;
   l'intervento del quale non si conoscono le procedure autorizzative avviate ricade in un'area di bonifica e ripristino ambientale dell'area industriale e dell'area marina antistante lo stabilimento industriale di Porto Torres;
   all'interno del perimetro dell'area definito dal decreto del Ministero dell'ambiente del 26 febbraio 2003 sono presenti:
    Polo Petrolchimico: stabilimento Syndial S.p.A., Sasol Italy S.p.A., EVC S.p.A., Turris Espansi, Turris Pack, Coseplast, Isoex, SarEuroplast, Officina meccanica Ormes;
    Laterizi Torres della Sarda Laterizi;
    Distoms S.r.l.;
    Deposito costiero ENI S.p.A.;
    Deposito costiero ESSO Italiana S.r.l.;
    Deposito costiero Liquigas S.r.l.;
    Ex Ferriere Sarde;
    Endesa S.p.A.;
    Wanda (impianto itticultura dismesso);
    area marino costiera  prospiciente il sito di bonifica di interesse nazionale di Porto Torres;
   l'area a terra interna alla perimetrazione occupa una superficie di circa 1.830 ettari ha nel territorio del comune Porto Torres (provincia di Sassari) ed è caratterizzata dalla presenza di nuclei industriali di notevole entità, quali:
    1) il polo petrolchimico: costituito da 19 unità (di cui alcune chiuse nel 1992) in cui si ha la produzione di cloro-soda, dicloroetano, VCM, PVC, polietilene, poliolefine, benzene, detergenti, derivati del carbone, fertilizzanti, cicloesano, ciclesanone, fenolo, rumene, solventi organici, acido solforico, anidride italica;
   lo stabilimento petrolchimico è nato agli inizi degli anni ’60 ad opera della Sarda Industria Resine (S.I.R.) ed ha un'estensione complessiva pari a 1.165. All'interno dello stabilimento, la società Syndial rappresenta la maggior presenza industriale, ma sono anche presenti attività gestite dalla EVC (Italia) S.p.A. e dalla Sasol S.p.A. (già Conda Augusta) ed operano inoltre autonomamente altre piccole realtà;
    2) la centrale Endesa Italia di Fiume Santo: centrale termoelettrica in cui viene utilizzato come combustibile Orimulsion e carbone;
   all'interno dell'area sono presenti il Porto commerciale ed il Porto industriale di Porto Torres nonché un'elevato numero di serbatoi di stoccaggio di materie prime e prodotti petroliferi;
   l'area marina perimetrata ha un'ampiezza complessiva pari a circa 2.700 ha e si estende, fra la diga foranea del porto industriale e la foce del fiume Santo;
   l'intera area perimetrata risulta fortemente antropizzata e le numerose attività presenti comportano un notevole impatto su un territorio che si trova inserito in un contesto ambientale di notevole pregio come il Golfo dell'Asinara (area marina protetta);
   sono presenti stabilimenti che producono DCE/CVM, PVC e prodotti chimici, depositi di prodotti petroliferi, discariche, aree con presenza di notevoli quantità di coperture in eternit, aree industriali dismesse, una centrale di produzione termoelettrica, l'area marina antistante il polo industriale;
   l'area di stabilimento è caratterizzata soprattutto da un inquinamento da composti organici, sia in fase disciolta che in galleggiamento, nelle acque di infiltrazione superficiale e in quelle dell'acquifero calcarenitico;
   all'interno dell'insediamento Syndial sono presenti numerosi impianti dismessi e, nel settore occidentale dello stabilimento, discariche controllate e non controllate;
   nel sito Endesa Italia di Fiume Santo nel febbraio 2000 si è verificato il versamento accidentale di circa 700 mc di combustibile Orimulsion a seguito della rottura di una tubazione di ricircolo;
   l'area marina antistante il sito di Porto Torres presenta diversi gradi di compromissione in relazione alla vicinanza al porto industriale, alla città di Porto Torres ed alla foce del Rio Mannu;
   il progetto presentato alle organizzazioni sindacali per il colossale deposito costituirebbe di fatto una potenziale bomba ecologica essendo risaputi i pericoli legati alle sostanze depositabili;
   i codici di sicurezza adottati per analoghi serbatoi descrivono tali materiali come infiammabili, estremamente infiammabili, nocivi per inalazione, nocivi per ingestione, irritante per gli occhi, le vie respiratorie, pelle, pericolo di effetti irreversibili, possono provocare il cancro, altamente tossici per gli organismi acquatici, possono provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente, possono ridurre la fertilità, l'inalazione dei vapori può provocare sonnolenza e vertigini;
   le organizzazioni sindacali esplicitano un «palese disimpegno produttivo dell'Eni sulla chimica» e dichiarano: «il deposito è un'operazione commerciale e non produttiva»;
   le organizzazioni sindacali parlano «di progetto fuori da ogni logica» con «volumetrie incredibili» –:
   se il ministro dell'Ambiente sia a conoscenza del progetto di serbatoio di un milione e seicentomila metri cubi nell'area industriale di Porto Torres davanti all'area marina protetta;
   se non ritenga di dover preventivamente dichiarare la propria decisa contrarietà ad un'ipotesi che pregiudicherebbe in maniera ulteriore e irrimediabile lo sviluppo turistico del Nord Sardegna e in tal caso se non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze, disporre le azioni necessarie al fine di evitare che si possa perpetrare ai danni di quel territorio un ulteriore grave danno ambientale anche convocando immediatamente i responsabili dell'Eni per valutare lo stato delle operazioni di bonifiche nelle aree di loro proprietà, e sollecitare l'avvio concreto del piano e non con cifre che appaiono irrisorie rispetto a quelle realmente necessarie;
   se non ritenga, il Ministro dello sviluppo economico di convocare l'Eni per conoscere la reale situazione legata alla ripresa produttiva non solo del cracking di Porto Torres ma dell'intero comparto chimico sardo considerato che si continua con la politica degli annunci da parte dell'Eni senza nessuna concreta azione;
   se non ritenga, il Ministro dello sviluppo economico di intervenire al fine di evitare che l'Eni avvii contrattazioni in ambito locale su progetti che appaiono all'interrogante un vero e proprio ricatto ai danni della Sardegna e dei lavoratori, utilizzando la Sardegna come piattaforma di depositi petroliferi senza nessun tipo di sviluppo serio e credibile. (4-00054)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici della Sardegna ingegner Gabriele Tola, il 22 luglio 2009, Prot. 7157/Ca, ha dato «comunicazione dell'inizio del procedimento di riconoscimento di notevole interesse storico artistico» ex articolo 10, comma 1, comma 3 lett. a), comma 4, lett. h), articolo 13, comma I e articolo 14, c. 1 decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni – del «complesso minerario industriale di Tuvixeddu», perché «si rende necessario esplicitare la dichiarazione di interesse culturale del complesso di cui all'oggetto ... avviando d'ufficio il procedimento di verifica dell'interesse culturale per la porzione di proprietà pubblica» ...e del «particolare interesse storico-artistico ...per la restante parte di proprietà privata»;
   in data 8 luglio 2010 il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna, dottoressa M. Assunta Lorrai, ha firmato il decreto con il quale viene apposto il vincolo all'immobile definito «complesso minerario industriale di Tuvixeddu» sito nel comune di Cagliari;
   l'area oggetto della proposta di vincolo è denominata «Colli di San Avendrace» («Colli di Tuvixeddu e Tuvumannu»). Un compendio collinare della città di Cagliari, di circa 50 ettari di superficie, dove venivano coltivate insignificanti cave, causa di una rilevante aggressione e degrado del paesaggio urbano, per l'estrazione del tufo per l'edilizia e dove fino agli anni ’80 del secolo scorso era attiva una modesta e invasiva fabbrica di calce, a significare che si trattava di una zona ritenuta marginale e sulla quale, sin dall'istituzione della Soprintendenza ai giorni nostri, non si era mai ritenuto di dover intervenire proprio per l'evidentissima insignificanza del tipo di intervento minerario che aveva degradato oltre misura l'intero comparto;
   considerato lo stato dei luoghi, secondo l'interrogante appare evidente, anche ad un profano, che gli interventi di tutela posti in essere dalla Soprintendenza mai avrebbero potuto prendere in considerazione la possibile apposizione di un vincolo di natura mineraria che qualsiasi esperto della materia avrebbe ritenuto improponibile sia sul piano tecnico che storico culturale un simile vincolo di tutela;
   è evidente da tutti i verbali dei sopralluoghi richiamati negli atti adottati negli ultimi vent'anni dagli organismi preposti che mai nessuno aveva ipotizzato e proposto l'apposizione di un vincolo di natura mineraria sul colle di Tuvixeddu;
   l'atto con il quale viene apposto il vincolo minerario, ad avviso dell'interrogante, costituisce, infatti, una vera e propria sconfessione per tutti i tecnici e per lo stesso Ministero per i beni e le attività culturali, che in almeno due decenni di storia amministrativa e di tutela non si sarebbero mai accorti dell'esistenza del valore minerario di quell'area;
   sul piano del diritto e delle soggettive responsabilità emerge, dunque, l'esigenza di comprendere come sia stato possibile ignorare tale «immenso» valore minerario sul quale viene ora apposto un vincolo che si dice teso a salvaguardare pezzi rari di un complesso minerario intriso di storia e cultura;
   in realtà, chiunque, con un minimo di buon senso, decidesse di recarsi sul posto, così come hanno fatto negli ultimi vent'anni insigni studiosi, mai riuscirebbe ad individuare valenze di archeologia mineraria e tantomeno quello che pomposamente viene definito addirittura «complesso minerario di Tuvixeddu»;
   l'atto di apposizione del vincolo pone l'esigenza che il Ministro per i beni e le attività culturali si faccia carico di individuare eventuali responsabilità in capo all'indistinta struttura del Ministero o a precise figure dirigenziali, relativamente all'omissione storica del cosiddetto bene minerario; a detta dell'interrogante si è dinnanzi ad un atto illogico, irrazionale, che volontaria mente o involontariamente persegue l'obiettivo di pregiudicare l'attuazione degli interventi di valorizzazione dell'intera area con il potenziale effetto di spostare l'interesse immobiliare verso altre aree urbane e non della città;
   le numerose sentenze, che per sintesi non si enunciano, hanno reiteratamente accertato che i tentativi posti in essere dall'amministrazione regionale precedente (2004-2009) di bloccare il progetto di riqualificazione di Tuvixeddu-Tuvumannu fossero in realtà atti riconducibili all'esercizio di un «potere deviato»;
   tali atti della regione Sardegna, riconducibili secondo l'interrogante in maniera inequivocabile al tentativo di bloccare la riqualificazione di quell'area, hanno coinciso con reiterate azioni poste in essere dal precedente direttore regionale dottor Garzillo, il quale in accordo e a sostegno dell'amministrazione regionale precedente, ha posto in essere innumerevoli azioni tese di fatto a rimettere in discussione l'operato dei suoi predecessori e della stessa Soprintendenza archeologica che ha sempre, e puntualmente, sconfessato le affermazioni del direttore regionale in merito all'esigenza di estendere il vincolo su quell'area;
   è agli atti di questa vicenda quella che appare una pervicace disposizione messa in atto contro il piano di riqualificazione urbana e la valorizzazione del parco archeologico di Tuvixeddu;
   l'atteggiamento dello Stato, e in particolar modo della direzione regionale, sia con la direzione Garzillo sia con quella successiva che ne ha avallato e confermato l'operato, ha posto in essere, ad avviso dell'interrogante, delle oggettive responsabilità a carico dell'amministrazione statale che, anche alla luce dell'avviato arbitrato per definire i danni causati alle imprese appaltataci delle opere pubbliche e quelle sottoscrittrici dell'accordo di programma su Tuvumannu-Tuvixeddu, rischia di provocare un grave danno erariale allo Stato;
   tale atteggiamento a giudizio dell'interrogante ostruzionistico può essere sintetizzato con la seguente cronologia autorizzativa, vincolistica e le sentenze conseguenti al tentativo di bloccare il progetto parco archeologico urbano Tuvixeddu;
   il 20 ottobre 1998 Prot. 4904/1, il Ministero per i beni culturali ed ambientali – soprintendenza archeologica di Cagliari – ha espresso il proprio parere favorevole alla «linea di indirizzo dell'Accordo di Programma» per il Progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei colli di S. Avendrace;
   con deliberazione del 20 febbraio 2003 la giunta comunale di Cagliari ha approvato il «progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione primaria inerente al progetto di Riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace – PIA – CA17 sistema colli, relativo alle aree di Tuvixeddu-Tuvumannu in Cagliari, composta da n. 167 elaborati», dando atto che sul progetto hanno espresso parere favorevole tutte le competenti divisioni del comune, la commissione edilizia comunale, la soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici (con atto 27 maggio 2002), la soprintendenza per i beni archeologici (con atto 11 giugno 2002), l'ufficio tutela del paesaggio della regione (con atto 21 maggio 2002);
   con la determinazione 11 gennaio 2007, n. 4 – oggetto «provvedimento cautelare di sospensione dei lavori in corso nel Colle di Tuvixeddu-Tuvumannu» – il Direttore del servizio tutela del paesaggio di Cagliari (in seguito a direttiva 11 gennaio 2007 n. 19/Gab/XIV.12.2 impartitagli dall'assessore regionale ad interim della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport) ha «inibito» e «sospeso» tutti i lavori relativi ad opere pubbliche e private in corso di realizzazione nelle zone del Colle di Tuvixeddu-Tuvumannu;
   in seguito a «verificazione tramite sopralluogo», disposta con ordinanza collegiale 30 luglio 2007 n. 102, ed espletata dal Collegio il 20 settembre 2007, con sentenza 8 febbraio 2008 n. 127, la Seconda Sezione del Tribunale amministrativo regionale della Sardegna ha annullato la deliberazione della giunta regionale 12 dicembre 2006 n. 51/12 istitutiva della Commissione regionale per il paesaggio, la proposta di vincolo della commissione del 21 febbraio 2007, la deliberazione della giunta regionale 22 agosto 2007 n. 31/12 di approvazione della proposta della commissione regionale per il paesaggio e tutti gli atti del procedimento;
   il Consiglio di Stato non ha concesso la richiesta misura cautelare e, con sentenza 4 agosto 2008 n. 3894, ha respinto l'appello della regione, confermando integralmente la sentenza del TAR ed integrandola con ulteriori motivazioni;
   con ordinanza 18 settembre 2008 n. 366 la sezione seconda del TAR Sardegna ha accolto la domanda incidentale cautelare. L'ordinanza n. 366/2008 è stata poi riformata dalla sezione sesta del Consiglio di Stato, con ordinanza 11 novembre 2008 n. 6026, perché «ferme le conclusioni cui la Sezione è pervenuta con sentenza n. 3894/2008» «il provvedimento amministrativo impugnato in primo grado ... è destinato a perdere irreversibilmente effetti alla data del 4 dicembre 2008» e, «per espressa previsione normativa, il potere esercitato dall'Amministrazione regionale non potrà essere reiterato»;
   prima della pubblicazione delle due sentenze n. 541-542/2009, con decreto 15 aprile 2009 n. 27 il Soprintendente ingegner Gabriele Tola ha sottoposto a vincolo «culturale-storico-artistico, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, e articolo 10, comma 3, lettera a) decreto legislativo n. 42 del 2004» il «Complesso delle pertinenze della Villa Mulas già Massa», compresa nell'areale di Tuvixeddu;
   dagli atti adottati dal 2007 dalla regione Sardegna e avallati con atti e interventi in giudizio della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna si evince come quell'area sia stata reiteratamente dichiarata «esente dal diritto», considerato che l'altalenarsi di provvedimenti tesi a pregiudicare in ogni modo l'intervento di riqualificazione appare all'interrogante, palesemente ostruzionistico e manifestamente pretestuoso;
   il nuovo vincolo minerario apposto dalla Direzione regionale è l'ennesimo di una lunga serie di pretestuosi tentativi di impedire la realizzazione dell'intervento di riqualificazione in quell'area strategica e degradata di Cagliari;
   la pretestuosità di tali atti risulta in maniera emblematica dai presupposti adotti per argomentare il vincolo minerario: «trattasi – è scritto nella relazione di accompagnamento alla proposta di vincolo minerario – di un complesso minerario impiantato alla fine dell'Ottocento ed attivo per quasi un secolo in ambito urbano, comprendente manufatti, gallerie sotterranee, tunnel di trasporto dei materiali, nastri trasportatori, tramogge, piani di carico, fronti di cava ed altre evidenti tracce dell'attività estrattiva che costituiscono un unicum di particolare interesse culturale»;
   la definizione di «sito minerario di interesse storico od antropologico» è, poi, il coronamento di una relazione di accompagnamento secondo l'interrogante superficiale, che suscita dubbi sul piano delle valutazioni tecniche e che lascia intravedere un'azione che niente ha a che vedere con la tutela e la salvaguardia;
   il confondere, poi, l'attività di cava con quella di miniera rappresenta la palese infondatezza sostanziale, giuridica, tecnica e concettuale del vincolo stesso, considerato che nessun tecnico confonderebbe i siti di cava né i siti di torbiera con miniere;
   non a caso la normativa in materia di tutela del paesaggio fa riferimento esclusivamente ai «siti minerari» ed appare, dunque, illegittimo e illogico equiparare ad essi i «siti di cava»;
   i «siti minerari di interesse storico ed etnoantropologico» che la norma tutela, non sono e non possono essere devastanti scavi su terra, con arrugginiti e insignificanti «nastri trasportatori» e «tramogge», ma quelli che formano un complesso di opere – edifici, industriali e abitativi – che abbiano un particolare interesse storico od etnoantropologico;
   con l'apposizione di questo ennesimo vincolo si blocca di fatto un intervento di rilevante importanza per la città capitale della Sardegna, con un danno rilevantissimo allo sviluppo economico, culturale e infrastrutturale;
   con il blocco di tale intervento viario e di riqualificazione archeologica e urbana si potrebbe generare l'effetto, diretto o indiretto, di favorire lo sviluppo immobiliare di inedite aree periferiche, basti pensare che alla periferia di Cagliari, nell'area e nei volumi della ex Fas di Elmas, è stato presentato un progetto di sviluppo immobiliare per migliaia di nuovi residenti e quasi mezzo milione di metri cubi;
   l'accordo di programma relativo ai Colli di Cagliari persegue tre sostanziali obiettivi: a) la valorizzazione del Colle di Tuxixeddu con la realizzazione del parco archeologico; b) la realizzazione di una strategica mobilità infrastrutturale interna capace di collegare con efficacia i due poli est ed ovest di Cagliari; c) la realizzazione di un piano pubblico/privato destinato alla riqualificazione urbana e residenziale dell'area più degradata di quel comparto;
   i primi due effetti di tali reiterati vincoli, tralasciando quelli di natura privata, per i quali, come detto, è avviata la procedura per la definizione e il risarcimento dei danni causati ai privati, sono appunto quelli di impedire la realizzazione del grande parco archeologico di Cagliari e di determinare il blocco di quel progetto infrastrutturale teso a connettere le parti est e ovest di Cagliari attraverso un'asse viario centrale che dalla via San Paolo arriva sino all'asse mediano opposto;
   è fin troppo evidente dall'esame dell'accordo di programma che il parco archeologico si può realizzare solo se tutte le parti contraenti sono adempienti rispetto ai propri obblighi contrattuali;
   nel momento in cui viene meno uno solo degli obblighi è evidente che l'intero accordo risulta inficiato;
   l'effetto di questo ulteriore vincolo, ben lungi dal tutelare un bene minerario che non esiste, è quello di compromettere per sempre il patrimonio archeologico di Tuvixeddu, che risulta essere nel più completo stato di abbandono;
   il vincolo minerario che di fatto blocca il progetto di valorizzazione del Parco archeologico di Tuvixeddu, a meno di uno stanziamento del Ministero per realizzare a proprie spese quanto previsto nell'accordo;
   l'area di Tuvixeddu e Tuvumannu è un'area strategica per la città di Cagliari che da sempre risente di innumerevoli problemi a partire dal grave problema di traffico, e conseguente degrado ambientale, che caratterizza non solo il bacino in questione, ma tutto il più ampio territorio comunale che lo circonda;
   gli assi viari di viale Trieste, la via Pola, il viale Merello, la via V.Veneto, la via Is Mirrionis, la via Cadello, risultano oggi fortemente congestionati perché pur avendo la conformazione di una viabilità di quartiere sono chiamate ad assolvere alla gravosa funzione di viabilità di attraversamento e a questo si aggiunge che lo snodo principale di queste arterie urbane è la piazza d'Armi oggetto di gravi crisi statiche che la rendono pericolosa e instabile;
   la viabilità in fase di realizzazione, per la quale le pubbliche amministrazioni hanno stanziato ingenti risorse e le cui opere sono oggi in avanzato stato di esecuzione, ha la funzione di collegare la città lungo un asse est-ovest, ad oggi inesistente, restituendo alle strade locali le originarie funzioni di quartiere rispetto allo stato attuale che le vede utilizzate per itinerari di lunga percorrenza;
   la viabilità è parte fondamentale e imprescindibile dell'accordo di programma, di questo ne è perfettamente consapevole il Ministero, che, attraverso le proprie Soprintendenze, il 27 maggio 2002 ha dato parere favorevole all'esecuzione delle opere;
   le premesse del verbale della conferenza di servizi che approvò l'opera precisano in maniera inequivocabile la rilevanza dell'opera;
   a distanza di pochi anni da quell'autorizzazione e nel pieno delle attività, nonostante le innumerevoli sentenze di TAR e Consiglio di Stato passate in giudicato che hanno chiarito la legittimità dell'intervento, nonostante un chiarimento dell'amministrazione regionale che ha rinnovato la propria volontà a proseguire nell'attuazione dell'accordo di programma, nonostante il comune ritenga strategico l'asse di interconnessione in questione e nonostante i lavori per la sua realizzazione siano stati avviati con un'ingente impegno di risorse pubbliche, il Ministero, attraverso la Direzione Regionale, ha proposto un nuovo vincolo che inequivocabilmente preclude la prosecuzione delle opere della viabilità con evidenti gravissime ripercussioni per le casse pubbliche, che si vedono esposte a una lunga serie di contenziosi e azioni risarcitorie, e per i cittadini che rimarranno privi di un asse di collegamento strategico che garantirebbe una migliore vivibilità della città di Cagliari;
   in funzione dell'approvazione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali dell'opera di viabilità avvenuta il 27 maggio 2002 sono stati sottoscritti tutti i successivi accordi (tra cui la Convenzione del 2003 con il comune di Cagliari) in ottemperanza ai quali i privati:
    a) hanno trasferito al comune di Cagliari la proprietà di tutte le aree necessarie per la realizzazione del «Parco Archeologico e Parco Urbano», ivi incluse tutte le aree di interesse archeologico presenti sul colle di Tuvixeddu;
    b) hanno ceduto al comune di Cagliari la proprietà delle aree da destinare agli standard aggiuntivi per il riequilibrio urbanistico dei due complessi di edilizia economica popolare limitrofi all'area d'intervento (ulteriori 11 ettari con una capacità edificatoria complessiva di 44.000 metri cubi);
    c) hanno trasferito al comune di Cagliari la proprietà delle aree e i fabbricati dell'ex cementificio, per la realizzazione del polo museale archeologico mirato alla catalogazione ed esposizione di tutti i reperti rinvenuti nell'area archeologica circostante;
    d) hanno eseguito, a proprie spese, la progettazione esecutiva del recupero della Villa Mulas, edificio storico di proprietà della «Nuove Iniziative Coimpresa», destinato da progetto ad un utilizzo pubblico quale centro per attività culturali e tempo libero;
    e) hanno bonificato integralmente, a proprie spese, tutti i 44 ettari del sito industriale dismesso interessati dal progetto;
    f) hanno avviato, a proprie spese, i lavori propedeutici alla messa in sicurezza degli oltre due chilometri di pareti rocciose (parte sulla via Is Maglias, parte all'interno del cosiddetto canyon) rese instabili dalle attività di cava;
    g) hanno avviato, a proprie spese, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria così come previste dal Piano Attuativo e autorizzato dal comune di Cagliari;
   l'approvazione da parte del Ministero di tale opera infrastrutturale viaria e l'apposizione intervenuta successivamente di un vincolo su quella stessa area dove prima l'opera era stata autorizzata fa emergere ad avviso dell'interrogante un'evidente responsabilità oggettiva e soggettiva sull'operato del Ministero e dei suoi uffici periferici;
   il vincolo minerario apposto in data 8 luglio 2010 costituisce di per sé il blocco definitivo dei cantieri già avviati con importanti risorse già spese per realizzare quell'asse stradale di strategica rilevanza per la città di Cagliari;
   il cantiere della nuova arteria viaria presenta rilevanti opere ingegneristiche già realizzate con il pericolo che si trasformino presto in eterne incompiute con grave danno per la comunità e per lo sviluppo della città stessa;
   la strada bloccata riguarda la realizzazione del collegamento del nuovo «asse mediano» e della via San Paolo con la rete locale in diversi nodi urbani ed in particolare con quelli localizzati all'interno del Progetto di Riqualificazione Urbana ed Ambientale dei Colli di Sant'Avendrace – PIA CA 17 – Sistema dei Colli;
   l'infrastruttura stradale nel suo complesso, infatti, sviluppandosi tra l'asse litoraneo cagliaritano (Via San Paolo, svincolo Scaffa, Via Roma, Viale Colombo appartenente alla rete principale) e l'asse mediano (554,131 dir., svincolo ex Motel Agip, svincolo Viale Marconi, Genneruxi, Amsicora anch'esso appartenente alla rete principale) consente di collegare la viabilità principale (gli assi litoraneo e mediano) con la rete locale;
   l'asse viario si inquadra nel processo di completamento dell'assetto viabilistico della città di Cagliari ed, in particolare, nella strategia di «rottura» della attuale configurazione radiale delle principali direttrici di accesso urbano e di integrazione interquartiere;
   il collegamento, infatti, nel suo sviluppo trasversale (rispetto alla longitudinalità dell'asse litoraneo e di quello mediano) favorisce il riequilibrio degli effetti di gravitazione consentendo di meglio diffondere e ripartire il traffico sul territorio locale urbano (penetrazione dei flussi);
   la realizzazione di questa infrastruttura viaria, restituisce a diverse strade le originarie funzioni locali rispetto allo stato attuale che le vede utilizzate per itinerari di media percorrenza, ed avvia in modo significativo il processo di gerarchizzazione funzionale della rete urbana cagliaritana. Ambedue questi effetti sono quantitativamente valutati dalle simulazioni dei flussi di traffico riportate nella relazione di impatto trasportistico della nuova infrastruttura e dei nuovi insediamenti;
   il collegamento in progetto costituisce attuazione delle indicazioni del piano urbanistico comunale di Cagliari, in quanto realizza parte del «sistema di strade interquartiere trasversali (fronte mare – entroterra urbano)» che il piano urbanistico comunale ha posizionato, in modo equilibrato rispetto ai pesi insediativi, tra i tre assi longitudinali, litoraneo, mediano e tangenziale (viabilità principale);
   nel piano urbanistico comunale sono state studiate diverse soluzioni alternative che hanno riguardato sia ipotesi di nuove viabilità che l'utilizzo di quelle esistenti, ma la scelta non è stata semplice in quanto l'ambito di intervento era caratterizzato da diversi vincoli sia di natura orografica, che insediativa, ambientale, paesistica ed archeologica;
   la soluzione inserita nel piano urbanistico comunale ha cercato di mediare le diverse esigenze con una soluzione che risulta essere razionale convincente sia dal punto di vista trasportistico che di inserimento nel contesto urbano attraversato;
   la strada servirà anche gli insediamenti residenziali, universitari e di servizio previsti dal progetto di riqualificazione urbana ed ambientale e il Parco archeologico urbano di Tuvixeddu, previsto dal piano integrato d'area approvato dalla giunta regionale con delibera n. 32/8 il 30 agosto 1997 –:
   se non ritenga, in sede di autotutela propria e dello Stato, di proporre, anche formalmente, la revoca con immediatezza del vincolo di cui al decreto n. 81 dell'8 luglio 2010, al fine di evitare il rischio di danni erariali;
   se non ritenga di dover con immediatezza intervenire per porre rimedio al grave danno che tale nuovo vincolo genera sulla tutela del grande patrimonio archeologico della città con il blocco dei progetti riqualificazione e realizzazione del parco archeologico di Cagliari;
   se non ritenga di dover urgentemente favorire un confronto con l'amministrazione del comune di Cagliari e la regione Sardegna, al fine di riavviare l'accordo di programma relativo al progetto di riqualificazione urbana ed ambientale del Colle di S. Avendrace-sistema Colli;
   se non ritenga indispensabile porre in essere tutte le azioni necessarie per far riprendere con urgenza i lavori relativi all'asse viario est-ovest di Cagliari nella consapevolezza che, oltre al grave danno ai cittadini, per ogni giorno che passa aumenta la richiesta di risarcimento danni da parte delle imprese esecutrici delle medesime opere pubbliche;
   se non ritenga necessario valutare il comportamento tenuto dalle direzioni regionali in relazione al progetto richiamato, considerato che, soprattutto con quest'ultimo vincolo minerario, si è inteso di fatto mettere sotto accusa il lavoro delle precedenti direzioni generali e quindi dello stesso Ministero;
   se non ritenga necessario, per quanto di propria competenza, nominare un commissario straordinario, al fine di favorire la rapida ripresa ed esecuzione dei lavori tesi a salvaguardare e valorizzare il compendio archeologico di Tuvixeddu;
   se non ritenga necessario valutare le eventuali responsabilità relativamente alle procedure seguite per apporre i vincoli poi annullati, anche al fine di far fronte ad una possibile richiesta di risarcimento.
(5-00030)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la cloaca massima dell'antica Roma è una delle più antiche condotte fognarie. Il nome, Cloaca Maxima, in latino, significa letteralmente «la fogna più grande» e rappresenta un unicum nel patrimonio archeologico mondiale: è infatti l'unica opera idraulica del mondo antico, se ben tenuta, ancora perfettamente funzionante;
   fu costruita alla fine del VI secolo a.C. al tempo degli ultimi re di Roma, anche se il re che ne ufficializzò la costruzione fu Tarquinio Prisco. La Cloaca Massima usufruiva dell'esperienza sviluppata dall'ingegneria etrusca, con l'utilizzo dell'arco a volta che la rendeva più stabile e duratura nel tempo. Fu una delle prime grandi opere di urbanizzazione della Roma imperiale;
   la cloaca massima fu accuratamente mantenuta in buono stato per tutta l'età imperiale. Si ha notizia di regolari ispezioni e lavori di drenaggio e spurgo ad esempio, opera di Agrippa nel 33 a.C. Le indagini archeologiche rivelano tracce di interventi di epoche diverse, con diversi materiali e tecniche costruttive. Si hanno notizie certe del suo funzionamento anche molto tempo dopo la data tradizionale della caduta dell'impero romano nel V secolo d.C;
   come lamenta il FAI, Fondo ambiente italiano, ma anche un articolo apparso su La Repubblica l'8 novembre 2012, a minare lo stato di salute del complesso archeologico e funzionante ancora oggi, è lo stato di degrado causato dalla scarsa manutenzione. Fasce di cavi elettrici dismessi e detriti di varia natura che creano un «effetto diga», allacci non autorizzati, scarichi di acque melmose e sfaldamenti in più punti delle strutture delle volte, sono tutti fenomeni che mettono in serio pericolo la tenuta della cloaca. E le ultime recenti ed abbondanti piogge ne hanno svelato tutta la debolezza. Va ricordato che anche nell'alluvione del 20 ottobre 2011 che ha fatto esondare la fogna allagando per oltre due metri d'acqua Colosseo e Foro romano, la situazione di questa condotta aveva mostrato la sua attuale fragilità;
   uno studio su questa opera grandiosa di ingegneria idraulica, ad opera dell'Istituto nazionale di studi romani, rivela come «la Cloaca sia inadeguata di fronte al carico delle acque e soggetta a diffusi intasamenti. Il rischio di inondazioni, allagamenti e smottamenti delle strutture portanti è troppo alto per poter essere tollerato. Per questo è stato avviata nell'ultimo anno una revisione del sistema fognario nell'area archeologica centrale, mettendo in evidenza tutte le criticità e per queste ragioni è stata elaborata per la Cloaca Massima una mappa dei rischi» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dello stato della cloaca maxima e quali iniziative urgenti intenda assumere per mettere in sicurezza un bene archeologico, non solo di notevole interesse storico, ma anche di estrema utilità per la sicurezza idraulica di Roma e se non ritenga opportuno rendere fruibile turisticamente alcuni tratti di questo complesso archeologico, cosicché possano essere reperite risorse per un suo adeguato mantenimento. (4-00012)


   PILI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   l'anfiteatro romano di Cagliari da ormai dieci anni rappresenta il più importante e affascinante sito per lo svolgimento di attività culturali e musicali dell'intera Sardegna;
   prima dell'avvio dell'imponente attività culturale, musicale e teatrale, che ha consentito lo svolgimento nell'anfiteatro delle più prestigiose e importanti rappresentazioni internazionali, il sito risultava totalmente abbandonato e ridotto ad una vera e propria discarica a cielo aperto nonostante la rilevanza archeologica dell'anfiteatro;
   al fine di rendere fruibile l'anfiteatro romano in piena sicurezza furono installate nel sito delle gradinate lignee per rendere utilizzabili in tutta la loro ampiezza le originarie gradinate;
   le strutture lignee posizionate sulla struttura rocciosa rendevano comunque visitabile l'intero sito rendendo possibile un costante monitoraggio delle condizioni strutturali del monumento;
   con reiterati provvedimenti veniva autorizzato l'utilizzo della struttura per lo svolgimento delle suddette iniziative culturali;
   negli ultimi anni, con propri provvedimenti, la soprintendenza regionale dei beni culturali disponeva la rimozione delle gradinate lignee;
   tale provvedimento della soprintendenza è stato reiterato anche per l'anno in corso perché nel frattempo, a seguito dei ricorsi del comune di Cagliari avverso i provvedimenti di rimozione richiamati, non si era provveduto allo smantellamento delle sovrastrutture;
   non risultano disponibili al momento progetti di smantellamento della struttura sovrastante che, per complessità e delicatezza dell'intervento nel sito stesso, devono essere predisposti tenendo conto di numerosi elementi, compresa la staticità della roccia in cui è «inserito» l'anfiteatro;
   l'amministrazione comunale di Cagliari ha preannunciato un concorso di idee che avrà ad oggetto la progettazione per il recupero e valorizzazione dell'Anfiteatro Romano e dell'area archeologico-ambientale vicinale;
   la partecipazione al concorso sarà aperta a tutti i professionisti italiani ed europei in possesso di laurea quinquennale (vecchio ordinamento) in architettura e/o ingegneria o provvisti di titoli di studio equipollenti, regolarmente abilitati secondo la legislazione dello Stato di appartenenza, ai quali non sia inibito al momento dell'iscrizione al concorso l'esercizio della libera professione sia per legge sia per contratto sia per provvedimento disciplinare, in base alle direttive della Unione europea, fatte salve le condizioni limitative alla partecipazione che verranno eventualmente esplicitate nel successivo bando;
   le caratteristiche storico-architettoniche dell'area, sotto la tutela dei beni culturali, comportano per lo svolgimento del concorso l'obbligatoria presenza anche di un architetto per tutti gli aspetti del progetto relativi al recupero e alla valorizzazione di beni culturali e archeologici interessati;
   i tempi per l'espletamento del concorso di idee, l'aggiudicazione e la redazione del progetto comportano tempi tecnici che si protrarranno oltre la stessa stagione estiva;
   la rimozione delle sovrastrutture non può, quindi, avvenire senza le necessarie precauzioni progettuali e strutturali e non potrà essere realizzata se non attraverso un progetto ben definito e con conseguente gara ad evidenza pubblica per l'individuazione dell'impresa preposta alla svolgimento dell'intervento;
   il diniego dell'autorizzazione allo svolgimento delle manifestazioni sta comportando, oltre al mantenimento delle sovrastrutture che non potranno comunque essere eliminate per i suddetti motivi, anche il totale abbandono della struttura con il rischio che la stessa si trasformi in un ricettacolo di rifiuti e degrado;
   la mancata disponibilità dell'anfiteatro, in attesa della predisposizione di una nuova e adeguata struttura, comporterebbe alla città di Cagliari un gravissimo danno sia sul piano culturale che economico, considerato che gran parte degli artisti già scritturati per la prossima stagione avevano sottoscritto appositi contratti per l'esibizione proprio nell'esclusiva area dell'anfiteatro romano –:
   se non ritenga di dover dare una precisa direttiva agli uffici del Ministero al fine di reiterare l'autorizzazione allo svolgimento delle manifestazioni culturali nel compendio dell'anfiteatro di Cagliari al fine di evitare il totale abbandono della struttura in attesa di qualsivoglia progetto di recupero e rifunzionalizzazione dell'area;
   se non ritenga di dover garantire che la Sardegna e la città di Cagliari possano usufruire dell'importante struttura archeologico-culturale garantendo nel contempo il proseguo dell’iter relativo al ripristino del sito archeologico e del progetto di valorizzazione così come previsto dal concorso di idee bandito dal comune di Cagliari;
   se non ritenga di dover convocare un'apposita conferenza di servizi con i soggetti interessati al fine di valutare se sussista l'esigenza di un intervento urgente sulla struttura archeologica considerato che la stessa risulta essere fruibile e ispezionabile anche in presenza della sovrastruttura lignea. (4-00023)


   PILI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Cabras Cristiano Carrus e l'assessore comunale Sergio Troncia hanno rivolto all'interrogante l'appello di un'intera comunità affinché le statue dei giganti di Monte Prama trovino accoglienza nel comune dove è stato fatto lo straordinario ritrovamento;
   i giganti di Monte Prama assieme alla testa di Narbolia sono sculture sarde i cui frammenti sono stati trovati casualmente nel marzo del 1974 presso un terreno agricolo del comune di Cabras, in provincia di Oristano;
   attualmente è in corso il loro restauro mediante l'assemblaggio di circa 5172 frammenti, tra i quali 15 teste, e 22 busti. A seconda delle ipotesi, la datazione, oscilla dal VIII secolo a.C. al IX o addirittura al X secolo a.C., ipotesi che ne fanno comunque le più antiche statue del bacino mediterraneo occidentale, ed antecedenti ai Kouroi greci. Dalle valutazioni più recenti si stima che i frammenti appartengano a circa 40 statue. Finora sono state individuate e restaurate 25 figure umane e 13 modelli di Nuraghe. Sono inoltre stati rinvenuti diversi betili del tipo cosiddetto Oraggiana;
   le statue furono rinvenute presso quella che poi si rivelerà una necropoli formata da 33 tombe a pozzetto irregolare e prive di corredo funerario eccetto che per uno scarabeo. La necropoli di Monte Prama si trova in un territorio che registra un'altissima densità di monumenti nuragici. Quasi ogni rilievo collinare ha sulla sua sommità un nuraghe, di dimensioni variabili. Il colle Monte Prama ne ha uno; immediatamente di fronte, spostato a sud di poche centinaia di metri, si trova il Nuraghe Cann'e Vadosu dopo pochi altri centinaia di metri un altro e così via. Non di molto distante c’è poi un monumento imponente e gigantesco: il nuraghe S'Uraki di San Vero Milis, spostato a circa chilometri 13 a nord-est rispetto alla necropoli;
   l'altezza delle statue non è mai inferiore ai 2 metri e talvolta giunge ai 2,50 metri. Sono state scolpite su pietra di arenaria estratta da cave nei pressi di Oristano. Raffigurano pugili, arcieri e guerrieri, tutti in posizione eretta;
   si tratta di statue fortemente stilizzate e geometriche improntate a quello che gli studiosi definiscono lo stile dedalico, che le rende un modello unico nel panorama mediterraneo e mondiale;
   la tipologia e il numero dei frammenti, così come il loro stato di conservazione, fanno di questo ritrovamento uno degli eventi culturali più importanti di fine millennio;
   le statue, di dimensioni monumentali, rappresentano la manifestazione di una civiltà che non ha uguali in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo e proiettano nuova luce sull'arte e la cultura delle popolazioni della Sardegna;
   i frammenti delle sculture di Monte ’e Prama sono raccolte nel Centro di conservazione e restauro di Sassari, a Li Punti;
   l'attuale intervento di conservazione e restauro comprende anche alcuni frammenti già restaurati negli anni settanta;
   le sculture di Monte ’e Prama costituiscono una manifestazione molto significativa dell'arte antica, in quanto materializzano in un'unica collezione valori storico-archeologici e artistici;
   la salvaguardia, lo studio, la conoscenza e la divulgazione di tutto questo sono il presupposto del progetto culturale concepito con l'obiettivo di facilitare il passaggio dei 4880 frammenti lapidei dal loro attuale stato di reperti a quello di attori protagonisti del patrimonio culturale regionale;
   il Centro di conservazione archeologica opera nel settore delle conservazione archeologica e fin dai progetti eseguiti nei primi anni ’80 ha investito grandi risorse nel trasformare gli interventi di restauro tipicamente tecnici, in programmi dal forte contenuto culturale: sono di quella data le prime aperture al pubblico dei cantieri, le iniziative di sensibilizzazione dei cittadini e dei media e di divulgazione;
   il sindaco di Cabras e l'intera amministrazione comunale con il sostegno di quella provinciale hanno chiesto l'intervento del Ministro per i beni e le attività culturali affinché venga definito un piano culturale espositivo che riporti nel luogo del ritrovamento le straordinarie statue di Monte ’e Prama;
   le amministrazioni statali hanno promosso un incontro al fine di esaminare la questione;
   l'amministrazione comunale ha espresso la propria insoddisfazione perché non sarebbe stata prospettata nessuna ipotesi di allocazione del patrimonio nel luogo del ritrovamento;
   la collocazione nel comune di Cabras, nel luogo e nelle modalità da definire, è quella più naturale e costituirebbe la più consona valorizzazione delle statue nell'ambito dello straordinario contesto paesaggistico, archeologico e culturale del Sinis;
   risulterebbe del tutto incomprensibile una sistemazione del patrimonio in un sito diverso, considerato che il contesto storico in cui le statue si inseriscono è unico ed esclusivo;
   una decisione di diversa natura vedrebbe il comune di Cabras, l'intera provincia di Oristano ma la Sardegna tutta schierarsi contro una decisione illogica e irrispettosa della storia, fuori dal contesto ambientale e naturale in cui l'eccezionale ritrovamento è stato fatto;
   l'esigenza di ricomporre l'unitarietà, sia sul piano storico che culturale, del grande patrimonio archeologico del Sinis rappresenta un obiettivo irrinunciabile anche sul piano economico e strategico per la crescita di quel territorio, vero museo a cielo aperto del Mediterraneo –:
   se non ritenga di dover promuovere un incontro con gli amministratori comunali di Cabras e della provincia di Oristano al fine di definire un percorso di valorizzazione dell'immenso patrimonio dei giganti di Monte ’e Prama a partire dalla sistemazione degli stessi nel loro contesto naturale;
   se non ritenga di dover intervenire affinché nessuna iniziativa venga assunta in contrasto con le comunità locali e con le legittime aspettative delle stesse;
   se non ritenga di dover valutare tutte le possibili soluzioni al fine di riallocare nel luogo originario le statue e predisporre, con gli organi competenti e di concerto con le amministrazioni locali, un piano di valorizzazione e promozione delle stesse;
   se non ritenga di dover promuovere un intervento finanziario al fine di individuare le soluzioni logistiche più idonee e adeguate per la riallocazione delle statue nel territorio nel quale sono state rinvenute. (4-00060)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO, MIGLIORE, GIANCARLO GIORDANO e RAGOSTA. — Al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Tess-Costa del Vesuvio è una società nata nel febbraio 1994 in un primo momento per la gestione del contratto d'area Torrese/Stabiese e che successivamente ha acquisito funzioni, competenze e servizi per conto dei comuni dell'area caratterizzandosi sempre più come una vera e propria Agenzia di sviluppo territoriale;
   la società Tess è partecipata per il 51 per cento dalla regione Campania, per il 10 per cento dalla provincia di Napoli e per un altro 10 per cento da Invitalia e le restante quote suddivise per i comuni dell'area;
   nel gennaio del 2012 l'assemblea dei soci, su proposta della giunta regionale, socio di maggioranza, ha votato la messa in liquidazione sottoscrivendo un accordo con le organizzazioni sindacali per un impegno alla ricollocazione delle 28 professionalità operanti in Tess;
   dopo mesi di discussioni si è venuti ad un accordo, firmato e verbalizzato presso la cabina per la gestione delle crisi della giunta regionale, per una ricollocazione dei 28 lavoratori suddivisi per quota parte tra tutti i soci. Accordo per il quale successivamente, da parte di alcuni soci di minoranza (comuni e Invitalia) veniva ritirata la disponibilità sottoscritta;
   il 26 febbraio il commissario liquidatore, in accordo con il socio di maggioranza, avviava la procedura di licenziamento collettivo dei lavoratori (legge n. 223 del 1991) nel mentre era in corso un confronto tra le parti per individuare soluzioni per la ricollocazione di tutti e 28 dipendenti, e non solo per la quota parte della regione, così come ribadito in tutti i verbali di accordo oltre alle dichiarazioni pubbliche del Presidente della giunta regionale onorevole Stefano Caldoro;
   nel mese di gennaio la giunta regionale ha annunciato l'accordo con il Ministero della coesione territoriale per lo sblocco di 150 milioni di euro per le aree di crisi della Campania di cui 40 destinati all'area Torrese/Stabiese;
   con delibera n. 30 del 29 gennaio 2013 la giunta regionale affidava la gestione per il monitoraggio e la valutazioni di tutte le attività connesse, che su quell'area erano state sempre ad appannaggio della TESS, alla società partecipata regionale Sviluppo Campania;
   la società Invitalia fa capo direttamente al Ministero dello sviluppo economico;
   ad avviso degli interroganti non appare corretto e leale che una società, che rappresenta il braccio operativo del Ministero, possa venir meno agli impegni presi anche in considerazione che, per una quota parte, lo sforzo richiesto rappresenta davvero poca cosa posto che tali atteggiamenti non solo offuscano la serietà e l'affidabilità del management di Invitalia ma possono contribuire ad incrinare ulteriormente la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni –:
   se il Ministro della coesione territoriale alla luce di quanto esposto, non ritenga di assumere le iniziative di competenza affinché, nell'ambito delle attività previste per il monitoraggio di tali investimenti, possano essere utilizzate tutte le professionalità dei lavoratori della TESS attraverso la ricollocazione immediata nella società Sviluppo Campania;
   in virtù di tutto ciò se il Ministro dello sviluppo economico intenda intervenire presso i vertici di Invitalia affinché non si sottragga alle proprie responsabilità e mantenga gli impegni presi seppur non rilevanti. (4-00010)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   VILLECCO CALIPARI e VERINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Il Messaggero del 4 marzo 2013 ha riportato la notizia che alla fine di febbraio, presso la Scuola di Fanteria dell'Esercito italiano a Cesano si è svolto un convegno sulla seconda guerra mondiale dal titolo «Carattere di una guerra»;
   all'interno della conferenza che era di carattere storico e verteva su eventi bellici della seconda guerra mondiale, è stata tenuta una lezione da Mario Merlino, un simpatizzante fascista e amico dichiarato del capitano delle SS Erich Priebke, che ha sempre rivendicato la sua appartenenza ideologica all'estrema destra, sodale dell'ex terrorista nero Stefano delle Chiaie, con il quale militò in Avanguardia Nazionale, ancora oggi punto di riferimento dell'area neofascista;
   Merlino, che in più di una occasione ha esaltato gli anni del fascismo, anche sul suo blog, www/liquida.it/mario-merlino, ha criticato quella che, a suo dire, sarebbe una differenza di trattamento ricevuta, dopo la seconda guerra mondiale, dai «camerati» e dai partigiani morti;
   al convegno, ha scritto Merlino sempre sul suo blog, ha preso anche parte la signora «Gina R., con la camicia nera e il basco del S.A.F.», in rappresentanza del servizio ausiliario femminile della Repubblica sociale italiana. «Gina ha conosciuto le radiose giornate della Liberazione sulla sua pelle. Sono le donne le vittime prime, le più deboli e facili prede desiderate, quando gli uomini, trasformati in branco, pretendono di arrogarsi ogni diritto in quanto vincitori – ha sottolineato ancora Merlino, commentando il periodo della Liberazione – quei partigiani erano l'avanguardia di coloro che avrebbero comandato in questo Paese e, sebbene la fisiognomica non sia una scienza, i loro volti erano la premessa di quelli che vediamo, ad esempio in questi giorni, sorriderci in osceni ghigni dai manifesti sui muri e sui tabelloni»;
   è evidente che nella sua relazione Merlino ha quindi utilizzato la presenza di una ex repubblichina del servizio femminile, per sostenere le sue tesi di parificazione tra partigiani e repubblichini, esaltando gli anni del fascismo;
   è inammissibile che davanti a giovani militari di una istituzione repubblicana come l'Esercito italiano, che fra i suoi compiti ha quelli di ispirarsi e salvaguardare i valori democratici nati dalla Resistenza e dalla lotta di liberazione dal nazifascismo, si sia potuta tenere una simile lezione;
   è inaccettabile che in questo momento della storia della Repubblica italiana, si debba ricordare alle istituzioni, che furono i partigiani del Corpo volontari per la libertà, assieme alle forze armate del Corpo italiano di liberazione ed agli alleati, a scacciare dall'Italia un terribile nemico che la occupava, combattendo anche contro i fascisti di Salò, persecutori degli ebrei, oppressori di ogni diversa opinione politica e alleati dei nazisti. Sulla seconda guerra mondiale e sulle sue conseguenze, non sono plausibili revisionismi tra le vicende belliche, fra Esercito italiano, Repubblica sociale e Resistenza;
   la lezione tenuta da Mario Merlino appare agli interroganti una palese apologia del fascismo, in violazione della legge 20 giugno 1952, n. 645 (contenente «Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione»), che all'articolo 4 sancisce il reato commesso da chiunque «pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche» –:
   quali siano le valutazioni che hanno portato alla scelta di Mario Merlino come relatore del convegno;
   quale fosse il titolo della lezione tenuta da Mario Merlino;
   se risultino avviate indagini in relazione a quanto esposto in premessa.
(3-00004)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   l'articolo 227, comma 2 del Tuel, così come modificato dall'articolo 2-quater, comma 6, lettera a) e c), del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, stabilisce che il rendiconto debba essere deliberato dall'organo consiliare dell'ente entro il 30 aprile dell'anno successivo, tenuto conto della relazione dell'organo di revisione e fermo restando che la proposta di rendiconto sia messa a disposizione dei componenti dell'organo consiliare prima dell'inizio della sessione consiliare in cui tale documento verrà esaminato entro un termine non inferiore a venti giorni stabilito dal regolamento di contabilità;
   il medesimo articolo dispone inoltre, al comma 2-bis, inserito dall'articolo 3, comma 1, lettera l), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, che, in caso di mancata approvazione del rendiconto entro il termine del 30 aprile dell'anno successivo, si applichi la procedura di cui all'articolo 141, comma 2, del Tuel di scioglimento e sospensione dei consigli comunali (e provinciali), procedura con evidenti e rilevanti conseguenze di natura sanzionatoria sull'ente;
   in particolare, in virtù della previsione di cui all'articolo 13, comma 12-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, introdotto dall'articolo 4, comma 5, lettera i), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, modificato dall'articolo 9, comma 3, lettera a), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, i comuni devono iscrivere nel bilancio di previsione l'entrata da I.M.U. in base agli importi stimati dal dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze operando un corrispondente accertamento «convenzionale» dell'entrata, in deroga agli ordinari principi contabili in materia;
   il metodo dell'accertamento convenzionale applicato ad un tributo di nuova istituzione ed oggetto di numerosi interventi legislativi realizzati in tempi ravvicinati nonché i riflessi delle revisioni operate dal Ministero dell'economia e delle finanze sulle stime di gettito dello stesso e sulle assegnazioni statali (fondo sperimentale di riequilibrio o trasferimenti) a favore dei comuni, hanno, di fatto ed al di là delle intenzioni, determinato, per i comuni, uno stato generalizzato di incertezza sulla dimensione reale delle entrate a titolo di I.M.U. e di fondo sperimentale di riequilibrio;
   come peraltro statuito con decreto ministeriale 4 maggio 2012 pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 23 giugno 2012 e in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali del 1o marzo 2012, nonché precisato successivamente con il comma 6-bis dell'articolo 9 del decreto-legge n. 174 del 2012, il processo di revisione delle stime I.M.U. avrebbe dovuto essere chiuso entro il mese di febbraio 2013 in ragione del pagamento a saldo del tributo entro il mese di dicembre 2012, con conseguente eventuale regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e i comuni, nell'ambito delle dotazioni del fondo sperimentale di riequilibrio e dei trasferimenti erariali previste a legislazione vigente;
   non risulta, invece, a tutt'oggi, essere stato pubblicato dal Ministero dell'economia e delle finanze il dato definitivo tanto atteso relativo al gettito I.M.U. ed ai conseguenti adeguamenti del fondo sperimentale di riequilibrio;
   ai sensi dell'articolo 13, comma 12-bis, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, l'accertamento convenzionale non dà diritto al riconoscimento, da parte dello Stato, dell'eventuale differenza tra gettito accertato convenzionalmente e gettito reale; un'eventuale sovrastima delle previsioni ministeriali rispetto all'introito effettivo determina, per i comuni, residui attivi privi, almeno al momento, di un'effettiva possibilità di incasso nonché un effetto negativo sul fondo sperimentale di riequilibrio ad essi assegnato;
   ad oggi i comuni non hanno ancora certezza in merito alle entrate da iscrivere nel consuntivo 2012 e di conseguenza nel bilancio di previsione 2013;
   questa circostanza di fatto non consente ai comuni medesimi di programmare ed erogare i servizi minimi essenziali ai propri cittadini;
   appare opportuno ed urgente scongiurare l'applicazione dell'articolo 141, comma 2, del Tuel, con lo scioglimento e la sospensione dei consigli comunali (e provinciali), che rischia di diventare generalizzata;
   è, altresì, necessario ed urgente garantire l'erogazione dei servizi ai cittadini in un momento storico ed economico difficile e caratterizzato da forte instabilità –:
   quali iniziative intenda il Governo assumere al fine di:
    a) comunicare ai comuni, in tempi brevissimi, i dati definitivi relativi al gettito I.M.U. ed ai conseguenti adeguamenti del fondo sperimentale di riequilibrio;
    b) garantire, in via d'urgenza, un differimento del termine per l'approvazione del rendiconto di gestione 2012.
(2-00001) «Rubinato, Rughetti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'articolo 13-ter del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, «Misure urgenti per la crescita del Paese» convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha individuato i soggetti responsabili per il versamento di somme all'Erario nel caso di appalto di opere e di servizi;
   in particolare ha stabilito che i soggetti responsabili in solido dei versamenti siano l'appaltatore e il subappaltatore oltre che per le ritenute sul lavoro dipendente, anche per l'IVA dovuta dal subappaltatore per le prestazioni effettuate nel rapporto di subappalto;
   la responsabilità solidale dell'appaltatore viene meno solo se questi verifica il corretto adempimento degli obblighi del subappaltatore;
   è inoltre espressamente disposto che il pagamento del corrispettivo dovuto dal committente all'appaltatore sia subordinato all'esibizione della documentazione che attesti il corretto adempimento di tali obblighi;
   le disposizioni dell'articolo 13-ter si applicano ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che operano nell'ambito di attività rilevanti a fini IVA, dai soggetti IRES, dallo Stato e dagli enti pubblici; sono invece escluse dalle disposizioni in materia di responsabilità solidale le stazioni appaltanti di cui all'articolo 3, comma 33, del decreto legislativo n. 163 del 2006, cosiddetto Codice dei contratti pubblici, ovvero amministrazioni aggiudicatrici, concessionari di servizi e di lavori pubblici, società con capitale pubblico anche non maggioritario che non sono organismi di diritto pubblico, le quali hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere;
   in particolare l'articolo 13-ter, che ha sostituito il comma 28 dell'articolo 35 del decreto-legge n. 223 del 2006 nonché introdotto i commi aggiuntivi 28-bis e 28-ter in tema di soggetti responsabili per il versamento di somme all'Erario nel caso di appalto di opere e di servizi, in luogo della previsione di una responsabilità solidale di committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori per il versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e per l'IVA dovuta in rapporto alle fatture inerenti alle prestazioni effettuate nell'ambito dell'appalto – stabilisce che i soggetti responsabili in solido dei versamenti siano l'appaltatore e il subappaltatore (e non più, pertanto, il committente imprenditore);
   ha inoltre stabilito che tale responsabilità riguardi, oltre alle ritenute sul lavoro dipendente, la sola IVA dovuta dal subappaltatore per le prestazioni effettuate nel rapporto di subappalto e che non operi la limitazione temporale della responsabilità che nell'articolo 35 del decreto-legge n. 223 del 2006 era stabilita in due anni dalla cessazione dell'appalto;
   viene altresì stabilito che gli atti da notificare al subappaltatore entro un termine di decadenza debbano essere notificati entro lo stesso termine anche al responsabile in solido;
   l'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 40/E dell'8 ottobre 2012 e da ultimo con la circolare n. 2/E del 1o marzo 2013 ha precisato che la documentazione prevista per non incorrere nella responsabilità solidale e nelle sanzioni deve essere richiesta solamente in relazione ai pagamenti delle ritenute e dell'IVA effettuati a partire dall'11 ottobre 2012, per contratti stipulati a partire dal 12 agosto 2012; viene consentito alle imprese di utilizzare un'autocertificazione, in luogo della prescritta asseverazione rilasciata da un professionista abilitato o da un responsabile di un CAP per le imprese;
   con la circolare n. 2/E del 1o marzo 2013 è stato ristretto l'ambito oggettivo di applicazione della disciplina; l'Agenzia delle entrate ha precisato che la norma si applica solo alle fattispecie riconducibili al contratto di appalto, come definito dall'articolo 1655 del codice civile; ha, inoltre, espressamente escluso dalla disciplina le seguenti tipologie di contratto: gli appalti di fornitura dei beni, il contratto d'opera (articolo 2222 del codice civile), il contratto di trasporto (articoli 1678 e seguenti del codice civile), il contratto di subfornitura (legge 18 giugno 1998, n. 192), le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile; è stato reso più agevole il rilascio della certificazione, consentendo in alcuni casi la certificazione unica e il rilascio con cadenza periodica (di particolare interesse per le imprese di medie-grandi dimensioni); in caso di più contratti tra le medesime parti, la certificazione attestante la regolarità dei versamenti delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'IVA relativi al contratto d'appalto può essere rilasciata in modo unitario; tale certificazione può essere fornita anche con cadenza periodica, fermo restando che, al momento del pagamento, deve essere attestata la regolarità di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all'IVA scaduti a tale data;
   restano tuttavia aperti una serie di problemi applicativi, in particolare legati alla concreta qualificazione del contratto di appalto (difficoltà di qualificare determinate tipologie di contratti nel novero dei contratti d'opera piuttosto che in quelli di appalto, corretta interpretazione del concetto di appalto di fornitura di beni eccetera);
   la responsabilità solidale dell'appaltatore, viene meno solo a seguito di apposita verifica del corretto adempimento degli obblighi da parte del subappaltatore; a tal fine, viene data all'appaltatore la possibilità di sospendere i pagamenti nei confronti del subappaltatore fino all'esibizione della documentazione che attesti i corretti adempimenti fiscali;
   l'inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 200.000 se gli adempimenti fiscali e contributivi non sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore e dal subappaltatore; in tal caso, ai fini della sanzione si applicano le disposizioni previste per la violazione commessa dall'appaltatore;
   la non chiara individuazione dei limiti di responsabilità dei soggetti coinvolti ha determinato la sospensione dei pagamenti da parte dei committenti/appaltatori a favore di appaltatori e subappaltatori;
   si aggrava così la situazione in cui si trovano le imprese, già molto difficile anche a causa della stretta creditizia e dei ritardi dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione;
   Confindustria il 12 marzo 2013 ha presentato una formale denuncia (complaint) alla Commissione dell'Unione europea per segnalare l'incompatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni, limitatamente ai profili IVA; la medesima Associazione ha evidenziato che la nuova disciplina non rispetta i principi più volte richiamati dalla Corte di giustizia europea, tra cui:
    a) le amministrazioni fiscali non possono trasferire sui contribuenti i propri compiti di controllo;
    b) i casi di responsabilità solidale sono ammessi solo qualora sia comprovato un concorso dell'obbligato solidale nella frode dell'obbligato principale;
    c) le sanzioni devono essere proporzionate alla gravità delle violazioni commesse;
    d) è necessario salvaguardare il rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri (in base al principio di non discriminazione);
   sebbene tale denuncia si limiti alla censura dei profili IVA, la medesima Associazione ha evidenziato che l'intera disciplina prevista dall'articolo citato genera grandi criticità alle imprese, sia per quanto riguarda l'IVA, sia per i profili concernenti le ritenute IRPEF sui redditi di lavoro dipendente per l'estrema difficoltà applicativa, per l'onerosità degli adempimenti trasferiti sulle imprese, per l'irragionevolezza di addossare responsabilità e sanzioni ad imprese in regola per fenomeni dei quali non hanno il controllo, nonché per l'inefficacia di tali disposizioni sul piano della lotta all'evasione fiscale, che si configurano così come norme inutilmente vessatorie, e dannose per l'intero sistema –:
   quali iniziative urgenti intenda il Governo assumere al fine di provvedere all'abrogazione di tali norme ancor prima che il ricorso formale presentato da Confindustria alla Commissione europea determini l'avvio di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano.
(2-00002) «Rubinato, Ginato, Gribaudo».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 216 del 14 settembre 2011 all'articolo 5-bis dispone le seguenti norme sullo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del «Piano Sud»:
  «1. Al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del Piano per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, può eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo.
  2. Al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonché le modalità di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento»;
   l'articolo 5-bis, introdotto al Senato, reca, dunque, una deroga in favore delle regioni ricomprese nell'Obiettivo convergenza e delle regioni rientranti nel piano del Sud ai limiti di spesa introdotti dalla disciplina del patto di stabilità interno per le regioni a statuto ordinario stabiliti dall'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 3 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011) relativamente alla spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna regione a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse del Fondo infrastrutture;
   la legge di stabilità 2011, all'articolo 1, commi 126-127, stabilisce gli obiettivi di risparmio per le regioni a statuto ordinario. Il complesso delle spese finali di ciascuna regione, considerate sia in termini di competenza che di cassa, non può essere superiore, per ciascuno degli anni 2011-2013, alla media delle corrispondenti spese finali del triennio 2007-2009 ridotta delle seguenti percentuali:
    per l'anno 2011 del 12,3 per cento (competenza) e 13,6 per cento (cassa);
    per l'anno 2012 del 14,6 per cento (competenza) e 16,3 per cento (cassa);
    per l'anno 2013 del 15,5 per cento (competenza) e 17,2 per cento (cassa);
   il comma 128 specifica le modalità di calcolo della media della spesa finale del triennio 2007-2009, mentre il comma 129 esclude dal computo alcune tipologie di spesa, tra cui le spese correnti e in conto capitale per interventi cofinanziati correlati ai finanziamenti dell'Unione europea, con esclusione delle quote di finanziamento statale e regionale (lettera c);
   gli obiettivi di risparmio richiamati sono funzionali alla riduzione dei trasferimenti erariali disposta nei confronti delle regioni a statuto ordinario dall'articolo 14, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010) pari a 4.000 milioni di euro nel 2011 e a 4.500 milioni di euro a decorrere dal 2012;
   tale deroga è finalizzata al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del piano per il sud;
   in base alla programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali comunitari nell'obiettivo Convergenza (aree in cui il PIL pro capite risulta inferiore al 75 per cento della media comunitaria), sono incluse, per l'Italia le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Nell'ambito dello stesso obiettivo si aggiunge la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (cosiddetto di phasing-out) per favorirne l'uscita dall'obiettivo;
   per le regioni a statuto speciale, la disciplina del patto di stabilità è dettata dalla legge di stabilità 2011, articolo 1 commi 131-134, 136-137 e 139. In particolare per ciò che attiene alla norma in esame, il comma 132 conferma la necessità della definizione dell'intesa tra ciascun ente e il Ministero – da raggiungere entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente – per determinare il livello complessivo delle spese e dei pagamenti, anche se – contrariamente a quanto avveniva in passato – la misura del concorso agli obiettivi di finanza pubblica è già determinato;
   il comma 131 determina la ripartizione tra gli enti delle somme complessive di contributo agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dall'articolo 14, comma 1 lettera b) del decreto-legge n. 78 del 2010, in 500 milioni di euro per l'anno 2011 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013;
   la tabella 1 allegata legge di stabilità (concordata con le regioni interessate) reca, per ciascuna regione e provincia autonoma, la quota di risparmio da realizzare per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013. Ciascuna regione e provincia autonoma dovrà ridurre il proprio tetto di spesa tendenziale della somma indicata in tabella. Il tetto di spesa tendenziale deve essere considerato come da osservanza del patto di stabilità degli esercizi precedenti;
   ai fini del rispetto dei saldi di finanza pubblica il comma 2 prevede che i maggiori oneri derivanti dalla deroga ai tetti di spesa fissati dalla legge per il patto di stabilità interno in favore delle regioni oggetto dell'articolo 5-bis, debbano essere compensati attraverso l'attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri. In particolare il comma specifica che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, e di intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, da adottarsi entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari, nonché le modalità di attribuzione allo Stato e alle restanti regioni di tali oneri;
   la relazione tecnica relativa al provvedimento sostiene che la norma non determinerebbe effetti finanziari negativi, in quanto la deroga «è operata solo a fronte di cessione facoltativa di spazi finanziari da parte dello Stato e/o delle regioni e per importi pari agli eventuali spazi finanziari ceduti»;
   per quanto riguarda le risorse considerate in deroga dalla disposizione si tratta di quelle relative a: Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale: previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, in sostanza risulta essere la nuova denominazione del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS);
   il decreto-legge n. 185 del 2008 (convertito, con modificazioni dalla legge n. 2 del 2009), all'articolo 18 ha previsto che il FAS sia ripartito in tre Fondi settoriali, al fine di favorire la concentrazione delle risorse nazionali disponibili destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate su obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell'economia italiana: Fondo infrastrutture; Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale; Fondo sociale per l'occupazione e la formazione;
   per il periodo di programmazione 2007-2013 erano stati stanziati inizialmente risorse FAS pari a 63,3 miliardi. A marzo 2009 alcune delibere del CIPE hanno provveduto a ripartire le risorse residuali disponibili (52,4 miliardi) nella seguente misura:
    27 miliardi alle amministrazioni regionali, per la realizzazione dei programmi di interesse strategico regionale;
    21,8 miliardi al Mezzogiorno e 5,2 miliardi al Centro-Nord;
    25,4 miliardi alle amministrazioni centrali;
   il riparto delle risorse FAS tra i tre fondi è stato effettuato dal CIPE, nei seguenti importi: Fondo infrastrutture: 12,4 miliardi; Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale: 9 miliardi; Fondo sociale per l'occupazione e la formazione: 4 miliardi;
   rispetto al quadro programmatico degli interventi a valere sulle risorse del FAS definito dal CIPE per le annualità 2007-2013, nel bilancio di previsione dello Stato per gli anni 2011-2013 (legge n. 221 del 2010) e nella legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220 del 2010) sono riportate le autorizzazioni pluriennali di spesa per 44,9 miliardi, così ripartiti: 9,1 miliardi per il 2011, 7,1 miliardi per il 2012 e 13,9 miliardi per il 2013. Ulteriori 14,8 miliardi sono relativi al 2014 e anni successivi;
   oltre al completamento delle verifiche previste dalla delibera del CIPE n. 79 del 30 luglio 2010, relativa alla ricognizione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate 2000-2006 ancora disponibili, il Piano per il Sud, approvato dal Consiglio dei ministri il 26 novembre 2010, è previsto venga realizzato attraverso le seguenti fasi:
    l'avvio della riprogrammazione dei fondi per il Sud di fonte nazionale e comunitaria, secondo distinte modalità successivamente definite con la delibera CIPE n. 1 del 2011;
    l'approvazione del decreto legislativo di attuazione dell'articolo 16 della legge n. 42 del 2009: decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, recante «Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali»;
    l'adozione del decreto interministeriale di attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009: decreto interministeriale 26 novembre 2010 sulla perequazione infrastrutturale;
   al fine di chiarire l'ambito di applicazione dell'articolo 5-bis richiamato, considerato che le regioni interessate all'attuazione Piano del Sud comprendono la Sardegna e la Sicilia, l'interrogante a seguito di interlocuzioni con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore, dottor Gianni Letta e il Ministro degli affari regionali pro tempore onorevole Raffaele Fitto chiese che in sede di predisposizione del decreto interministeriale attuativo della norma fosse esplicitato che le regioni beneficiarie della deroga al patto di stabilità fossero tutte quelle comprese nel piano per il Sud e non solo quelle ricadenti nell'obiettivo convergenza;
   a seguito di tali interlocuzioni la Presidenza del Consiglio dei ministri e il dipartimento degli affari regionali, attraverso il Ministro, dichiararono ufficialmente: «In merito alla possibile esclusione della Sardegna, insieme a Sicilia, Basilicata e Molise, dall'ambito di applicazione dell'articolo 5-bis della manovra in fase di approvazione alla Camera comprendo l'allarme trattandosi di una norma che assume importante rilievo per la rapida ed efficace attuazione del Piano Sud e dunque a questo proposito intendo ribadire che la norma trova applicazione per tutte le 8 Regioni interessate al Piano. Forte è l'impegno del Governo in questa direzione e di tanto si potrà trovare conferma nel decreto interministeriale di attuazione della norma che, ricordo, è anche soggetto all'intesa con la Conferenza Stato-Regioni»;
   ad oggi, nonostante le molteplici sollecitazioni, tale provvedimento interministeriale non risulta ancora adottato;
   in assenza della tempestiva adozione di atti che escludano la compartecipazione regionale dai vincoli discendenti dal Patto di stabilità interno ad opera del Governo italiano, la Sardegna e la gran parte delle regioni del Mezzogiorno, non potranno conseguire gli imprescindibili obiettivi di accelerazione della spesa comunitaria per il conseguimento del pieno impiego dei fondi europei assegnati ai programmi regionali –:
   se il Governo, anche alla luce delle argomentazioni richiamate, intenda confermare gli impegni già assunti dal precedente Governo per comprendere nell'ambito della deroga al patto di stabilità di cui all'attuazione dell'articolo 5-bis della legge n. 148 del 14 settembre 2011 tutte e otto le regioni comprese nel cosiddetto Piano per il sud;
   se e quando intenda emanare l'apposito decreto interministeriale previsto dalla norma richiamata;
   se non ritenga di valutare la possibilità di prevedere un'ulteriore estensione della deroga al patto di stabilità per tutte quelle spese in conto capitale, investimenti infrastrutturali, che rientrassero nelle priorità previste dalle intese Stato-regioni già sottoscritte o in fase di definizione. (5-00018)


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   64.184 imprese sarde sono indebitate con il fisco, con l'Inps o con l'Inail per un ammontare complessivo di 3 miliardi 516 milioni;
   su 160.000 imprese che operano in Sardegna risultano indebitate con il fisco quasi il 40 per cento;
   delle oltre 64 mila aziende – ha confermato la stessa Equitalia (la società pubblica che si occupa della riscossione dei tributi) – 2.354 hanno dichiarato fallimento: a loro carico c'era un debito complessivo pari a 950 milioni di euro;
   delle oltre 64 mila società finite nel mirino dell'agenzia di riscossione, solo 4.007 stanno procedendo a pagare attraverso la rateizzazione;
   in questo momento di crisi profonda e previsioni negative anche per il 2011, le imprese risultano gravemente a rischio per le posizioni debitorie aperte, mancanza di liquidità, difficoltà di accesso al credito e ritardi di pagamento da parte dei grandi committenti soprattutto pubblici;
   in Sardegna sarebbero state accordate cinquemila rateizzazioni per un importo complessivo di 300 milioni di euro;
   tali rateizzazioni risultano particolarmente onerose se si considera che, a titolo di esempio documentabile, nella sola prima rata a fronte di una quota capitale di euro 1.559,84 risultano calcolati interessi di mora per 566,49 euro, 715,78 quota interessi di dilazione, 287,60 per quota compensi di riscossione, 939,97 per spese esecutive e 245,63 per diritti di notifica della cartella;
   a fronte di una quota capitale per la prima rata di 1.559,84 viene richiesto un importo pari a 4.315,31 euro;
   la rateizzazione in 72 rate mensili comporta un onere che da 113.458,20 euro di quota capitale passa ad un complessivo importo delle rate pari a 181.392,37 euro, ovvero oneri aggiuntivi pari 67.934,17 euro;
   circa 3 milioni di euro di rimborsi per i contribuenti, notificati da Equitalia Sardegna sono rientrati nella disponibilità dello Stato perché i destinatari non hanno ritirato le comunicazioni presumibilmente per il timore che le stesse contenessero ulteriori oneri da pagare;
   risulterebbero applicati aggi del 9 per cento sul riscosso, rilevanti interessi di mora e altri oneri sono a livelli insostenibili;
   nella sola città di Nuoro risulterebbero notificati 3.000 preavvisi di fermo amministrativo in appena sei mesi;
   nella sola città di Sassari, secondo notizie diffuse dalla televisione di Sassari, Telegì, rischierebbero di essere pignorati 12.500 immobili e 20.000 automezzi circa;
   in aree geografiche ancora più deboli come il Sulcis Iglesiente, l'Ogliastra e il Medio Campidano risultano gravissime le condizioni di centinaia di aziende e imprese familiari che rischiano il fallimento;
   l'ente riscossore, Equitalia, è il braccio operativo degli enti come Agenzia delle entrate, Inps, Inail ed altri enti locali e previdenziali;
   Equitalia è la società per azioni, a totale capitale pubblico (51 per cento in mano all'Agenzia delle entrate e 49 per cento all'Inps) incaricata dell'esercizio dell'attività di riscossione dei tributi;
   la legge n. 248 del 2 dicembre 2005, ha ricondotto l'attività di riscossione sotto la competenza pubblica, attribuendo le relative funzioni all'Agenzia delle entrate che le esercita tramite Equitalia (da ottobre 2006 a marzo 2007 il nome era Riscossione spa). In precedenza, il compito era affidato in concessione a circa 40 enti privati;
   Equitalia è presente sul territorio nazionale, con esclusione della sola regione Sicilia, attraverso 16 società partecipate (nel 2006 erano 38);
   tra le regioni dove la società Equitalia esercita vi è anche la regione Sardegna nonostante sia dotata di statuto speciale pari a quello della regione Sicilia; la cui competenza alla riscossione sul territorio regionale per quanto riguarda la Sardegna dovrebbe essere definita proprio in attuazione di un sistema coordinato di finanza locale inquadrato nel nuovo ordinamento del federalismo fiscale;
   l'articolo 9 dello statuto autonomo della Sardegna dispone che: «La Regione può affidare agli organi dello Stato l'accertamento e la riscossione dei propri tributi. La regione collabora all'accertamento delle imposte erariali sui redditi dei soggetti con domicilio fiscale nel suo territorio»;
   risulta evidente dai dati in premessa che il sistema produttivo sardo rischia di essere travolto da una situazione che risulta essere gravissima per la stessa sopravvivenza di decine di migliaia di imprese sarde;
   tale tracollo economico rischia di avere conseguenze nefaste sia sulla già grave situazione economica e occupazionale dell'isola che per quanto riguarda la stessa riscossione dei tributi considerato che ben 2.354 hanno dichiarato fallimento con a loro carico un debito complessivo pari a 950 milioni di euro che difficilmente potrà essere riscosso;
   si tratta quindi di una situazione insostenibile e che sta creando non poche tensioni sociali in tutta l'isola, considerato che sono ormai decine le assemblee popolari affollatissime che si susseguono in ogni centro della Sardegna e che le stesse potrebbero sfociare in clamorose quanto dure azioni di protesta;
   la vertenza Equitalia Sardegna rischia di far franare il sistema produttivo sardo senza che niente sia stato fatto per evitare un effetto terremoto che risulterà impossibile gestire sia sul piano economico che sociale –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di avviare con urgenza una verifica sulla situazione delle riscossioni in Sardegna con particolare attenzione alla corretta gestione della stessa riscossione;
   se non ritenga il Ministro di valutare quale possa essere l'impatto sia sull'economia che sull'effettiva capacità di riscossione di taluni oneri considerato che gli stessi provocano un tracollo economico e finanziario dell'impresa portandola al fallimento risultando poi difficile riscuotere non solo gli oneri aggiuntivi ma la stessa quota capitale;
   se non ritenga, alla luce della gravissima crisi economica e occupazionale che sta attraversando tutti i comparti produttivi dell'isola, da quelli industriali a quelli agricoli, comprendendo il quasi completo blocco degli investimenti pubblici in particolare quelli infrastrutturali anche in conseguenza delle misure previste dal patto di stabilità, di dover prevedere misure correttive sia sugli studi di settore che sulla stessa imposizione fiscale per le aree duramente colpite dalla crisi economica;
   se non ritenga di dover intervenire, anche insieme alla stessa regione Sardegna, al fine di individuare opportuni atti tesi ad eliminare gli eccessivi e insostenibili oneri aggiuntivi che appaiono improponibili per una società di riscossione, per giunta di natura pubblica;
   se non ritenga di dover valutare, con la dovuta attenzione, anche alla luce delle sempre crescenti tensioni sociali, l'opportunità di assumere un'apposita iniziativa, se necessario anche normativa, tesa a sospendere, almeno per un anno, il pagamento degli oneri aggiuntivi al fine di valutarne la congruità e l'eventuale completa soppressione;
   se non ritenga di dover valutare le procedure seguite in sede di notifica delle stesse imposte di riscossione considerato che è stato pubblicamente rilevato l'utilizzo di società e personale non legittimato a svolgere tali funzioni di notifica.
   (5-00024)


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la manovra triennale di finanza pubblica, approvata con il decreto-legge n. 112 del 2008, è stata impostata una strategia di razionalizzazione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), volta, da un lato, al recupero delle risorse disponibili sul Fondo per le aree sottoutilizzate e, dall'altro, alla concentrazione delle risorse del Fondo a favore di settori e di interventi considerati di rilevanza strategica nazionale;
   in particolar modo, la manovra triennale prevede le disposizioni di seguito sintetizzate;
   l'articolo 6-quater del decreto-legge n. 112 del 2008, ha disposto il recupero delle risorse relative al periodo di programmazione 2000-2006 assegnate dal CIPE in favore di amministrazioni centrali e regionali che, alla data del 31 maggio 2008, non risultavano ancora impegnate, disponendo la revoca di tali assegnazioni ed imponendo ai soggetti assegnatari il versamento delle somme revocate all'entrata nel bilancio dello Stato, ai fini della loro riassegnazione al FAS;
   l'articolo 6-sexies del medesimo decreto-legge dispone la ricognizione, ad opera della Presidenza del Consiglio dei ministri e la riprogrammazione da parte del CIPE delle risorse rimborsate dal bilancio comunitario per progetti originariamente finanziati con fonti diverse dai Fondi strutturali europei e successivamente inseriti nei programmi cofinanziati dai predetti Fondi;
   l'articolo 6-quinquies dello stesso decreto-legge ha disposto l'istituzione di un nuovo Fondo infrastrutture, per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastruttura le di livello nazionale;
   il decreto-legge n. 185 del 2008, ha disposto un nuovo percorso di intervento attraverso la costituzione di fondi settoriali: il Fondo per le infrastrutture, le cui risorse sono assegnate dal CIPE alle amministrazioni competenti; il Fondo sociale per l'occupazione e formazione, gestito autonomamente dal Ministro del lavoro della salute e delle politiche sociali; il Fondo strategico a sostegno dell'economia reale, gestito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Conseguentemente, le disponibilità del Fondo per le aree sottoutilizzate riguardano pressoché esclusivamente gli interventi di competenza delle amministrazioni regionali;
   il decreto-legge n. 185 del 2008, all'articolo 18, ponendosi in linea di continuità rispetto a quanto disposto in materia dal decreto-legge n. 112 del 2008, ed in considerazione della eccezionale situazione di crisi economica internazionale in atto, ha previsto la riprogrammazione delle risorse nazionali disponibili destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate del Paese, al fine di concentrare tali risorse su obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell'economia italiana, in primis le opere pubbliche e l'emergenza occupazione;
   il Fondo per le infrastrutture è stato istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico. Le somme assegnate a tale Fondo sono destinate anche alla messa in sicurezza delle scuole, alla realizzazione di opere di risanamento ambientale, all'edilizia carceraria, alle infrastrutture museali ed archeologiche, all'innovazione tecnologica e alle infrastrutture strategiche per la mobilità;
   le risorse che all'inizio della legislatura risultavano stanziate per gli interventi del FAS nell'ambito del nuovo ciclo di programmazione 2007-2013 (oltre 64 miliardi di euro sino all'anno 2015, cui si affiancano i 28,7 miliardi di fondi comunitari e 31,6 miliardi di cofinanziamento nazionale) sono state utilizzate sia a copertura della manovra disposta dal decreto-legge n. 112 del 2008, per oltre 8,5 miliardi di euro nel triennio 2009-2011, sia a copertura di oneri recati da numerosi provvedimenti legislativi intervenuti (3 miliardi di euro complessivi). Ulteriori riduzioni sono state poi disposte a valere sulle risorse destinate al Fondo per le infrastrutture (3,7 miliardi complessivi) e al Fondo strategico (1,4 miliardi complessivi);
   a seguito delle numerose riduzioni apportate a carico delle risorse del Fondo dalla normativa adottata nel corso del 2008, il CIPE ha provveduto ad aggiornare la dotazione del Fondo e a riprogrammare la destinazione delle risorse relative al periodo 2007-2013;
   rispetto ai 63,3 miliardi di euro iniziali, stanziati con la legge finanziaria per il 2007, sono state apportate riduzioni alle risorse del FAS della programmazione 2007-2013 per 10,5 miliardi di euro;
   con le delibere CIPE adottate in data 6 marzo 2009, in attuazione dell'Accordo siglato tra Governo e regioni in data 12 febbraio 2009, l'ammontare complessivo delle risorse disponibili del FAS per il periodo 2007-2013 è stato rideterminato in 52,768 miliardi di euro, che sono stati assegnati per 25.409 milioni alle Amministrazioni centrali, ai fini del successivo riparto tra i tre Fondi suindicati, e per 27.027 milioni alle Amministrazioni regionali, per la realizzazione dei programmi di interesse strategico regionale;
   con l'avvio della XVI legislatura, a seguito della riprogrammazione del Fondo per le aree sottoutilizzate dettata dai decreti-legge n. 112 del 2008 e n. 185 del 2008, le risorse destinate agli interventi delle Amministrazioni centrali, pari a 25.409 milioni di euro, risultano articolate nei seguenti tre nuovi Fondi:
   Fondo infrastrutture;
   Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale; Fondo sociale per l'occupazione e la formazione;
   il riparto delle risorse tra i tre Fondi è effettuato dal CIPE con apposite delibere, nel rispetto del criterio di ripartizione tra Mezzogiorno e Centro-Nord, nella misura, rispettivamente, dell'85 per cento e del 15 per cento;
   il Fondo per le infrastrutture, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, è destinato al finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, comprese le reti di telecomunicazione e le reti energetiche, alla messa in sicurezza delle scuole, alla realizzazione di opere di risanamento ambientale, all'edilizia carceraria, alle infrastrutture museali ed archeologiche, all'innovazione tecnologica e alle infrastrutture strategiche per la mobilità;
   per quanto concerne la dotazione del Fondo, con delibera 18 dicembre 2008, n. 112, il CIPE ha assegnato al Fondo 7,356 miliardi di euro. Con una ulteriore delibera 6 marzo 2009, n. 3, sono stati assegnati al Fondo altri 5 miliardi di euro per interventi di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui 1 miliardo destinato alla messa in sicurezza delle scuole e 200 milioni all'edilizia carceraria;
   relativamente alle disponibilità finanziarie del Fondo, si segnala che 3,7 miliardi risultano già utilizzati a copertura finanziaria di oneri recati da provvedimenti approvati nel corso del 2008 e che il decreto-legge) n. 39 del 2009, (terremoto Abruzzo) prevede, all'articolo 14, comma 1, che il CIPE assegni una quota di risorse del Fondo infrastrutture, pari a 408,5 milioni di euro da ripartire in quote annuali, al finanziamento degli interventi di ricostruzione delle zone colpite dal sisma. Con delibera del 26 giugno 2009, il CIPE ha destinato 226,4 milioni di euro in favore della regione Abruzzo per il finanziamento degli interventi di edilizia scolastica connessi agli eventi sismici;
   a seguito della riprogrammazione del Fondo per le aree sottoutilizzate, dettata dai decreti-legge n. 112 del 2008, è n. 185 del 2008, e delle riduzioni apportate a carico delle risorse del FAS da numerose norme adottate con l'avvio della XVI legislatura, con la delibera n. 1 del 6 marzo 2009, il CIPE ha provveduto ad aggiornare la dotazione del Fondo e a ripartire tali disponibilità tra le amministrazioni centrali e le regioni e province autonome;
   rispetto all'importo complessivamente disponibile (52.768 milioni di euro), alle Amministrazioni regionali sono state assegnate risorse per complessivi 27.027 milioni di euro, destinate alla realizzazione dei programmi strategici di interesse regionale, dei programmi interregionali e degli obiettivi di servizio agli interventi. La restante quota, pari a 25.409 milioni di euro, è stata assegnata alle Amministrazioni centrali, ai fini del successivo riparto in favore dei tre nuovi Fondi di destinazione (Fondo per le infrastrutture, Fondo strategico per il Paese e Fondo soda e per occupazione e formazione);
   le risorse destinate alle regioni e alle province autonome sono state ripartite per 21.831,5 milioni in favore delle regioni del Mezzogiorno e per 5.195,5 milioni in favore del Centro-Nord);
   il riparto regionale è definitivo nel seguente modo:
    Programmi di interesse strategico regione:
     Mezzogiorno 21.831,494;
     Abruzzo 811,128;
     Molise 452,316;
     Campania 3,896,401;
     Puglia 3.105,064;
     Basilicata 854,412;
     Calabria 1.773,267;
     Sicilia 4.093,784;
     Sardegna 2.162,486.
   è indispensabile l'immediata approvazione del programma attuativo della Sardegna relativo ai fondi Fas che inspiegabilmente vengono ancora tenuti fermi nonostante siano stati approvati, altrettanto inspiegabilmente, solo quelli della Sicilia e delle regioni del nord;
   qualora, come si evince dall'ultima nota della Corte dei Conti relativa alle criticità del bilancio dello Stato, il Governo non avesse immediata disponibilità delle stesse risorse si rende necessario che il Governo individui di concerto con la regione soluzioni immediate in grado di attivare comunque la spesa di quelle risorse e l'avvio dei relativi cantieri;
   le risorse dei Fondi Fas, viste le predette delibere, sono risorse certe e programmate per le quali già da tempo si verificano ritardi nella effettiva erogazione;
   tale garanzia, seppur senza una tempistica certa e una definita modalità di erogazione, impone una soluzione immediata che consenta di avviare effettivamente entro il mese di gennaio 2010 le opere relative alla realizzazione della strada statale Sassari-Olbia che risulta essere strada prioritaria di connessione territoriale, anche alla luce dei gravi incidenti verificatisi in quell'arteria;
   la soluzione adottabile per avviare le opere della Sassari-Olbia potrebbe essere quella di un meccanismo di anticipazione che prevede la procedura già adottata per i progetti cosiddetti «sponda», i quali vengono rendicontati e quindi rimborsati anche se realizzati con risorse proprie, come già attuato per i progetti comunitari;
   il Governo potrebbe con proprio atto autorizzativo esentare la regione Sardegna, anche in virtù del proprio Statuto speciale, dal vincolo del patto di stabilità relativo alle opere infrastrutturali inserite nell'intesa Stato-regione;
   la regione, previo preliminare parere del Ministero competente, attraverso risorse proprie rinvenibili mediante le soluzioni di seguito indicate potrebbe provvedere in tempi rapidissimi, entro gennaio, all'apertura dei relativi cantieri proseguendo nell’iter d'appalto già avviato dall'unità di missione dell'unità d'Italia 2011;
   i fondi anticipati dalla regione da rendicontare secondo procedure europee e statali dovrebbero essere restituiti alla regione stessa ad ogni stato d'avanzamento delle opere;
   nella fattispecie di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, per quanto di competenza potrebbero rendersi disponibili risorse proprie della regione attraverso le seguenti modalità:
    a) un apposito intervento legislativo regionale che provveda alla ridefinizione oggettiva, effettiva e reale dei residui passivi che oltre ad ingessare il bilancio costituiscono un consistente vincolo rispetto al patto di stabilità (i residui passivi ammontano ad oltre 9 miliardi euro);
    b) provvedendo d'intesa con il Comitato di sorveglianza e il Ministero competente, ad una rimodulazione dei fondi Por rispetto ai progetti immediatamente cantierabili rimandando quelli ancora senza progetti definitivi;
    c) qualora i Fondi Por non fossero disponibili perché tutti in progetti esecutivo impossibile visti i livelli di impegno sinora registrati), la regione, con il supporto del Ministero dell'economia e delle finanze, potrebbe attivare intese con la Banca europea degli investimenti per l'anticipazione delle risorse strettamente necessarie alle opere immediatamente realizzabili e quindi rendicontabili;
    d) iniziative, anche di carattere normativo, volte a prevedere e autorizzare, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, un Fondo anticipazione opere infrastrutturali esentato sia dal patto di stabilità che, eventualmente, se necessario, attraverso apposita norma, dalla soglia di indebitamento regionale –:
   se i Ministri interrogati intendano attivare l'immediata attribuzione dei fondi spettanti alla regione Sardegna previsti dalla ripartizione del Cipe dei fondi destinati alle aree sottoutilizzate;
   se i Ministri interrogati intendano esaminare la possibilità di ricorrere ad una procedura di anticipazione dei fondi, di concerto con la regione Sardegna, attraverso le modalità sopraindicate, che consentirebbero di disporre delle necessarie risorse all'avvio dei cantieri;
   se i Ministri interrogati intendano valutare la possibilità di avviare iniziative, anche di carattere normativo per la definizione di una procedura che esenti le anticipazioni regionali, relativamente ai progetti già oggetto di Intesa Stato-Regione, dal patto di stabilità. (5-00036)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la questione insularità e il suo pieno ed attuativo riconoscimento rappresenta elemento centrale del rapporto Stato-Regione;
   l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 (Perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
    (...) g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
   risulta urgente predisporre un apposito decreto attuativo ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 relativamente al divario insulare, alla sua misurazione e alla conseguente compensazione;
   è indispensabile intervenire sin dalla prossima decisione di finanza pubblica con un piano di recupero sia del divario infrastrutturale, come previsto dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, sia del grave squilibrio di stanziamenti registrato ed evidenziato nel rapporto decennale sull'infrastrutturazione del Paese e l'attuazione della legge Obiettivo;
   risulta indispensabile predisporre con urgenza un piano di riequilibrio da sottoporre al Cipe che preveda l'immediato sblocco dei fondi per le aree sottoutilizzate (Fas) delle singole regioni, già penalizzate da tale ripartizione, e ad utilizzare i fondi indistinti a disposizione Governo per colmare i mancati stanziamenti sin qui registrati;
   è necessario definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale –:
   se il Ministro della coesione territoriale di concerto con quello dell'economia, dello sviluppo economico e delle infrastrutture non ritengano di dover promuovere iniziative normative urgenti al fine di definire la questione insularità con l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009. (4-00002)


   NACCARATO e MIOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Pu.ma di Tribano è leader mondiale nella progettazione, costruzione e manutenzione di impianti per produzioni industriali, che conta su una struttura imponente per soddisfare l'esigenza delle industrie russe e cinesi ed è affiancata da un gruppo di aziende satelliti Tecnopuma, Nuova Mas, Imep, De Flo Mas, Puma Steel coinvolte nel processo produttivo che sono parte integrante del tessuto economico locale;
   l'azienda principale conta circa 200 dipendenti e un indotto di altri 300 addetti che continuano a lavorare per salvare lo stabilimento pur non ricevendo le dovute retribuzioni da circa 3 mesi;
   a causa di notevoli problemi gestionali, già nello scorso dicembre l'azienda versava in grosse difficoltà nel reperire la liquidità necessaria a far fronte al pagamento di stipendi e fornitori e ha fatto ricorso a diverse linee di credito raggiungendo una forte esposizione con gli istituti bancari locali;
   tuttavia l'azienda può contare su un portafoglio ordini per oltre 30 milioni di euro in un settore che per le specifiche professionalità affronta con successo la concorrenza internazionale;
   in questo quadro, all'inizio di febbraio le organizzazioni sindacali hanno organizzato il primo sciopero in venticinque anni di attività per chiedere un serio piano industriale per salvare una realtà produttiva all'avanguardia che soffre di una gestione inadeguata a far fronte alla difficile congiuntura;
   lunedì 18 febbraio 2013 è stato convocato un incontro tra la proprietà, i rappresentanti sindacali e gli istituti di credito coinvolti che non ha sortito effetti anche perché è già in corso una procedura fallimentare che restringe le possibilità di intervento;
   il 7 marzo 2013 è intervenuto l'accordo tra le parti sociali circa la domanda di cassa integrazione per 90 lavoratori di cui 64 operai e 26 impiegati –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti fin qui esposti;
   in che modo i Ministri intendano adoperarsi per evitare che la situazione sopra descritta possa degenerare sino a comportare il blocco dello stabilimento;
   quali concrete misure i Ministri intendano adottare per evitare che la crisi della Pu.ma ricada sui dipendenti dell'azienda e possa trasformarsi in una crisi occupazionale che coinvolgerebbe l'intero territorio dei comuni della zona;
   se i Ministri intendano coinvolgere la regione Veneto per salvaguardare una realtà produttiva affermata sui mercati internazionali evitando di perdere le importanti commesse del mercato russo e cinese, indispensabili a far ripartire il gruppo Pu.ma. (4-00008)


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   recentissimi interventi normativi del Governo compromettono in definitiva l'autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome riducendo «inaudita altera parte» fondi di perequazione e compartecipazioni erariali in contrasto con le procedure costituzionalmente previste;
   il capo II del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitari all'articolo 21 «Autonomia di entrata delle province prevede Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale» prevede:
    «1) Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attribuzione alle province dell'autonomia di entrata, è istituito, a decorrere dall'anno 2012, un fondo sperimentale di riequilibrio. Il Fondo, di durata biennale, cessa a decorrere dalla data di attivazione del fondo perequativo previsto dall'articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009;
    2) Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 18, comma 6, il Fondo è alimentato dal gettito della compartecipazione provinciale all'IRPEF di cui all'articolo 18, comma 1;
    3) Previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in coerenza con la determinazione dei fabbisogni standard sono stabilite le modalità di riparto del Fondo sperimentale di riequilibri»;
   il medesimo decreto legislativo all'articolo 23 «Fondo perequativo per le province e per le città metropolitane» prevede:
    «1. Il Fondo perequativo di cui all'articolo 13 del citato decreto legislativo n. 23 del 2011 è alimentato, per le province e per le città metropolitane, dalla quota del gettito della compartecipazione provinciale all'IRPEF di cui all'articolo 18 del presente decreto non devoluto alle province e alle città metropolitane competenti per territorio. Tale fondo è articolato in due componenti, la prima delle quali riguarda le funzioni fondamentali delle province e delle città metropolitane, la seconda le funzioni non fondamentali. Le predette quote sono divise in corrispondenza della determinazione dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali e riviste in funzione della loro dinamica. Per quanto attiene alle funzioni non fondamentali, la perequazione delle capacità fiscali non deve alterare la graduatoria dei territori in termini di capacità fiscale per abitante;
   2. Ai sensi dell'articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009, sono istituiti nel bilancio delle regioni a statuto ordinario due fondi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province e delle città metropolitane, alimentati dal fondo perequativo dello Stato di cui al presente articolo»;
   con riferimento invece alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, il connotato più forte dell'autonomia finanziaria è rappresentato dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali;
   ogni statuto elenca le imposte erariali delle quali una quota percentuale è attribuita alla regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun tipo di imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione. Talune specificazioni di dettaglio sono rimesse poi alle norme di attuazione;
   le compartecipazioni possono essere considerate tributi regionali solo ai fini della destinazione del gettito (in tal senso sono «tributi propri»). Non sono regionali, però, per alcun punto della loro disciplina: istituzione, soggetti passivi e base imponibile, sanzioni, contenzioso e altro;
   i tributi erariali sono diversamente articolati diversi statuti in sintesi, con relative ed evidenti diseguaglianze tra le stesse singole regioni a statuto speciale;
   il primo comma dell'articolo 116 della Costituzione dispone che il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Valle d'Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale;
   la perequazione e conseguentemente le misure di riequilibrio richiamate costituiscono fondamento della Costituzione e dello stesso processo federalista dello Stato –:
   se il Governo non intenda verificare ed eventualmente riconsiderare eventuali provvedimenti che ledano i principi e le procedure costituzionali riferite alle regioni a statuto speciale con particolare riferimento ai fondi perequativi di cui ai decreti legislativi richiamati in premessa e di cui all'articolo 119 della Costituzione e se non ritenga di dover avviare una procedura negoziale con le regioni a statuto speciale per l'attuazione dei citati decreti legislativi;
   se non ritenga di attivare con urgenza un confronto sull'inderogabile esigenza di definire un apposito decreto attuativo relativo all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 con particolare riferimento al parametro insulare, da misurare e compensare per attuare un corretto piano perequativo finanziario economico e infrastrutturale che contempli il rispetto del riequilibrio e della coesione nazionale. (4-00028)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie assunte dall'interrogante l'amministrazione penitenziaria avrebbe predisposto o starebbe predisponendo un piano relativo all'attivazione dei nuovi carceri sardi che prevedrebbe il trasferimento dal resto d'Italia in Sardegna di oltre 2.000 nuovi detenuti;
   se tale piano fosse confermato ci si troverebbe dinanzi ad un deprecabile tentativo di scaricare sulla Sardegna la tensione carceraria del resto d'Italia;
   occorre cominciare a prevedere un riparto di tali assegnazioni rispetto alla localizzazione territoriale dei reati e degli stessi carcerati;
   non si può in alcun modo ritornare a quella che all'interrogante appare la tribale concezione di isola uguale maggiore sicurezza, considerato che questo sarebbe un tentativo inaccettabile;
   in questi ultimi giorni sarebbero giunti in Sardegna quasi 100 nuovi detenuti provenienti dal resto d'Italia e già dislocati nelle carceri sarde;
   tale trasferimento non può essere rilevato come fatto di routine, perché tutto ciò non sarebbe credibile;
   la Sardegna ha solo oggi una carenza di almeno 200 uomini di polizia penitenziaria, per non contare gli aspetti rieducativi e socio sanitari interni alle carceri;
   l'arrivo di nuovi detenuti porterebbe al collasso il sistema carcerario sardo;
   i tanti operatori del sistema penitenziario sardo hanno espresso gravissima preoccupazione per l'accelerazione messa in atto sul piano di trasferimento di detenuti dal Nord Italia verso la Sardegna;
   risulta, all'interrogante che nelle prossime settimane si punterà ad incrementare in modo consistente il numero della popolazione carceraria sarda senza aver affrontato in modo attento e organico la questione prioritaria e fondamentale della carenza del personale;
   appare indefinito il piano di riempire le nuove carceri senza aver definito in alcun modo la logistica relativa alla chiusura delle vecchie e senza aver in alcun modo affrontato la questione del personale;
   i dati delle nuove carceri e soprattutto le nuove imminenti aperture porterebbero ad un incremento considerevole della popolazione carceraria sarda di 200 nuovi detenuti;
   il carcere di Massama, che rispetto all'attuale capienza del carcere di Oristano di 142 detenuti, avrà una capienza di 320 posti e una tollerabilità di 480;
   nei giorni scorsi si è avviata l'apertura del carcere di Nuchis a Tempio che avrà una capienza di circa 300 detenuti a fronte degli attuali 20;
   si sta predisponendo l'apertura della nuova ala del carcere di Bade è Carros a Nuoro con 200 nuovi posti;
   il carcere di Bancali di Sassari avrà una capienza tollerabile di oltre 900 detenuti a fronte di circa 180 attuali di San Sebastiano (Sassari);
   il nuovo carcere di Uta, la cui apertura risulta ancora incerta per i noti problemi legati alla conclusione dei lavori, dispone di oltre 1.000 posti a fronte di 500 detenuti nel carcere di Buon Cammino;
   tale situazione lascia prevedere un dislocamento verso l'isola di almeno 2.000 nuovi detenuti che andranno a sommarsi agli attuali detenuti –:
   se non ritenga necessario fornire elementi sul piano di riempimento delle carceri sarde, sulla tempistica, sulla logistica e soprattutto sul personale da utilizzare nell'attivazione di tale piano;
   se non ritenga necessario far conoscere in modo trasparente e preventivo la tipologia dei reati commessi dai detenuti destinati ad eventuale trasferimento in Sardegna;
   se non ritenga di dover adottare nuovi criteri di riparto dei detenuti tenendo conto eventualmente, a seconda del reato, della territorialità non solo del detenuto ma anche dell'effettivo compimento dello stesso reato;
   se non ritenga necessario coinvolgere le istituzioni sarde al fine di definire tale delicata situazione del sistema carcerario sardo, anche alla luce dei problemi già sollevati in altri atti di sindacato ispettivo relativamente alla condizione e all'assistenza sanitaria nelle carceri sarde;
   se non ritenga di valutare la dislocazione in Sardegna dei tanti operatori penitenziari residenti o nati in Sardegna che avessero o volessero fare domanda di assegnazione nella propria regione d'origine. (5-00002)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi da 2 a 5, della legge 14 settembre 2011, n. 148, reca delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
   tali disposizioni rientrano in un più ampio contesto di razionalizzazione della spesa delle amministrazioni dello Stato, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
   tra i principi e criteri direttivi della delega all'articolo 1, comma 2, della citata legge n. 148 del 2011 sono, in particolare, indicati i seguenti: alla lettera a), ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, ferma la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011; alla lettera b), ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane; alla lettera d), procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b); alla lettera f), garantire che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di 3 degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica; alla lettera l), prevedere la riduzione degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, da operare tenendo in specifico conto, in coerenza con i criteri di cui alla lettera b), la specificità del territorio, con particolare riferimento alla sua orografia ed al deficit strutturale, la distribuzione della popolazione;
   le garanzie costituzionali in favore della regione autonoma della Sardegna costituiscono elementi imprescindibili per una corretta valutazione del processo riorganizzativo della giustizia nell'isola;
   le sedi distaccate di Iglesias e Carbonia, facenti capo al tribunale di Cagliari, risultano ubicate in due capoluoghi di provincia e come tali rispondenti al primo criterio utile che ripetutamente è stato indicato per la dislocazione e il mantenimento delle sedi staccate dei tribunali;
   l'ipotesi di una possibile chiusura di queste due sedi rappresenterebbe un evidente danno all'intero territorio, oltre che al corretto funzionamento dei servizi e degli uffici giudiziari;
   l'esigenza di mantenere in attività le sedi distaccate di Iglesias e Carbonia nasce non solo dall'esame del carico di lavoro delle stesse strutture ma anche e soprattutto dall'elevata domanda di giustizia e da una particolare intensità dei servizi resi ad imprese e famiglie;
   la sezione distaccata di Iglesias del tribunale civile di Cagliari ha complessivamente 1.108 procedimenti pendenti al 31 dicembre 2011 tra contenzioso, esecuzioni e non contenzioso;
   i procedimenti pendenti nel tribunale penale di Iglesias al 31 dicembre 2011 sono complessivamente 395;
   l'ufficio del giudice di pace ha complessivamente 276 procedimenti civili pendenti al 31 dicembre 2011, mentre i procedimenti penali sono 200;
   i dati evidenziano un'attività costante che, se non svolta nelle sedi decentrate, finirebbe per gravare integralmente sulla struttura centrale di Cagliari, già di per sé costretta in spazi angusti e insufficienti;
   l'accentramento nel capoluogo di importanti servizi statali e di quelli giudiziari in particolar modo comporta in un territorio quale quello del Sulcis Iglesiente un ulteriore impoverimento sociale, culturale ed economico;
   la sede staccata di Iglesias dispone di uno stabile nuovo con un dimensionamento tale che potrebbe abbondantemente farsi carico di sovraintendere ad esigenze giudiziarie di altre realtà o da integrarsi, come era stato autorizzato dal Ministero negli anni 97/98, con servizi di giustizia integrativi anche di livello nazionale;
   la richiesta finalizzata alla salvaguardia delle sezioni distaccate di Iglesias e Carbonia giunge dal mondo forense sulcitano, dalle istituzioni a tutti i livelli, da associazioni e organizzazioni datoriali e sindacali;
   il servizio «giustizia» si svolge tanto meglio quanto migliore è il tessuto connettivo che lo lega con il territorio circostante e la sua realtà socio-economica –:
   se non ritenga di valutare positivamente la richiesta proveniente da istituzioni, associazioni e ordini professionali di mantenere in attività le sedi staccate di Iglesias e Carbonia;
   se non ritenga necessario valutare le sedi di Iglesias e Carbonia non solo come capoluoghi di provincia ma anche come aree geografico-sociali caratterizzate dall'elevata domanda di giustizia e da una particolare intensità dei servizi resi ad imprese e famiglie;
   se non ritenga ipotizzabile la dislocazione nel tribunale di Iglesias di funzioni integrative di natura nazionale, così come autorizzato negli anni 97/98 in considerazione degli ampi spazi disponibili;
   se non ritenga di dover coinvolgere la regione autonoma della Sardegna, perché si pronunci ufficialmente sul riassetto degli uffici giudiziari nell'isola. (5-00005)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il carcere San Sebastiano di Sassari è a rischio collasso;
   il Sappe, il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria, ha sollecitato un intervento urgente e non più procrastinabile per ripristinare condizioni umane all'interno delle celle;
   il carcere di Sassari ospita in questi giorni 195 uomini, 18 donne e, con una di loro, anche un bambino in tenera età;
   nelle celle dell'istituto penitenziario di via Roma si sta per arrivare ad inserire la quarta branda a castello per dare un posto letto a tutti;
   i detenuti, che superano la capienza regolamentare di 190, sono stipati nel primo piano;
   il secondo piano, con circa 90 posti letto, è inagibile ed è chiuso da anni a causa di cedimenti strutturali;
   il muro di cinta di S. Sebastiano risulterebbe inagibile;
   il problema del sovraffollamento è legato anche all'attuale inagibilità del nuovo carcere di Tempio;
   dal mese di febbraio 2012 il territorio di competenza di San Sebastiano si è raddoppiato, in quanto la nuova struttura di Tempio è stata consegnata ma di fatto non riceve detenuti e così vale per la vecchia struttura;
   nella struttura carceraria di San Sebastiano risultano ospitati soggetti particolari e di difficile gestione, i quali oltre a non poter essere ubicati in branda «al quarto posto verticale», devono esser obbligatoriamente collocati in camera singola, e con accorgimenti e raccomandazioni per la vigilanza;
   il sindacato di polizia penitenziaria ha chiesto anche una verifica dell'agibilità del terzo braccio nel quale per le condizioni igienico-sanitarie non si dovrebbero far vivere persone –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questa gravissima situazione;
   se intenda mettere in atto urgenti interventi in grado di risolvere le questioni enunciate;
   se si intenda intervenire al fine di assegnare il personale necessario, con particolare riferimento a quello sardo dislocato nelle strutture del nord Italia, per attivare nel più breve tempo possibile le nuove carceri di Sassari e Tempio;
   se intenda con urgenza attivare le verifiche strutturali richieste dalle organizzazioni sindacali e provvedere alle soluzioni utili a rimuovere i problemi eventualmente riscontrati. (5-00007)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il provveditore regionale ha convocato nelle scorse ore i segretari regionali delle organizzazioni sindacali per alcune comunicazioni urgenti;
   oggetto di tali informazioni l'imminente apertura del nuovo istituto di Tempio Pausania per far fronte alle necessità della casa circondariale di Sassari;
   in particolare verranno trasferiti 30 detenuti da Sassari a Tempio ed il personale verrà reperito mediante provvedimenti di missione personale attualmente in servizio in altri istituti della Sardegna;
   in particolare 6 unità dalla casa circondariale di Sassari e una unità da tutti gli istituti della regione ad eccezione dell'istituto di Alghero;
   è stato altresì richiesto al dipartimento l'invio di dieci unità sulla base delle risultanze della mobilità ordinaria;
   forti critiche e dubbi sono stati espressi dall'UGL polizia penitenziaria;
   l'UGL polizia penitenziaria ha dichiarato di respingere tutte le ipotesi di nuove aperture di istituti e/o diramazioni senza il relativo adeguamento dell'organico di polizia penitenziaria;
   si contesta lo spostamento in nuovi istituti di detenuti provenienti da realtà in grosse difficoltà strutturali le quali devono essere poste in condizione di far fronte alle loro difficoltà sostenute dalla stessa amministrazione penitenziaria;
   in tutti gli istituti penitenziari della Sardegna la misura è ormai colma e la soluzione delle problematiche non può più essere quella di tamponare sempre e comunque l'emergenza ma semmai la ricerca di soluzioni definitive a partire dagli organici di polizia penitenziaria;
   è stato ribadito il diniego a missioni del personale di polizia penitenziaria durante questo periodo dell'anno tradizionalmente dedicato alla rotazione delle unità per il piano ferie estivo;
   si sollevano rilievi, anche per il mancato coinvolgimento dei comandanti di reparto, spesso e volentieri i veri destinatari delle decisioni e delle disposizioni dei vertici dell'amministrazione penitenziaria;
   risulta confermato il tentativo di apertura degli altri nuovi Istituti a partire dal carcere di Oristano-Massama dove al termine dei dovuti collaudi previsti entro il 15 agosto 2012, l'apertura sarà certamente successiva al completamento del piano ferie estivo del personale di polizia penitenziaria; nessuna novità per gli altri istituti –:
   se non ritenga di dover preventivamente all'apertura delle nuove strutture penitenziarie mettere a punto un piano complessivo e organico del personale al fine di garantire sia la sicurezza delle strutture che degli stessi operatori carcerari;
   se non ritenga di dover evitare di smobilitare le già precarie strutture esistenti garantendo quel rapporto agente detenuto che garantirebbe la corretta gestione delle strutture penitenziarie;
   se non ritenga di dover promuovere un bando di mobilità per il personale sardo dislocato nel resto del Paese desideroso di rientrare in Sardegna;
   se non ritenga di dover predisporre un piano organico e complessivo per la corretta apertura delle nuove strutture carcerarie della Sardegna. (5-00032)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 15 e 16 giugno 2012 nelle carceri sarde sono stati trasferiti oltre cento detenuti provenienti dalle strutture carcerarie del Nord Italia;
   i detenuti sono stati distribuiti tra le carceri di Alghero, Is Arenas, Mamone, Sassari e Cagliari;
   la decisione repentina del Ministero della giustizia attraverso i competenti dipartimenti sarebbe stata motivata con la giustificazione poco plausibile del terremoto ma che in realtà si configura come una prima azione di sfollamento dei carceri del Nord Italia a scapito della Sardegna;
   l'interrogante nella giornata di domenica 17 giugno 2012 ha compiuto una visita ispettiva nel carcere di Alghero per rendersi personalmente conto della situazione e verificare gli effetti di questa prima ondata di trasferimenti di detenuti in Sardegna che sta mettendo in ginocchio il sistema penitenziario sardo;
   il mondo carcerario sardo rischia il collasso logistico, operativo gestionale e sanitario da un momento all'altro;
   si è dinanzi a decisioni insostenibili sotto ogni punto di vista considerato che, dopo la visita del Ministro della giustizia, ci si attendeva ben altre azioni da parte del Governo;
   non è trascorso nemmeno un mese dalla visita del Ministro competente alle carceri sarde che tale decisione di trasferire cento detenuti dal Nord Italia alla Sardegna pesa come una dura ed ennesima azione unilaterale sul sistema carcerario sardo;
   anziché aprire le nuove carceri, coprire le spaventose carenze di personale, far ritornare in Sardegna le centinaia di agenti sardi sparsi nelle carceri del Nord Italia il Governo non fa altro che trasferire in Sardegna oltre 100 detenuti in un solo giorno;
   dalla visita del Ministro si sarebbero aspettate ben altre risposte considerato che in quell'occasione si era impegnata alla consegna del carcere di Massama tre giorni dopo la visita, quello di Nuchis a Tempio in tempi rapidi;
   tutte le nuove strutture carcerarie risultano chiuse e inutilizzate;
   nonostante tutto ciò si decide in maniera improvvida di trasferire 100 detenuti dal Nord Italia nelle vecchie carceri sarde dove, oltre il limite logistico e della vetustà delle strutture, si contano carenze d'organico di oltre 40 per cento;
   la realtà è che il Ministro della giustizia ha ignorato l'unico problema che si può risolvere in tempi rapidi e con un proprio provvedimento urgente: il trasferimento in Sardegna degli agenti sardi dislocati nel Nord Italia;
   la decisione di trasferire oltre 100 detenuti dal Nord Italia e dislocarli nelle carceri di Alghero, Is Arenas e Cagliari è la dimostrazione evidente della scelta del Ministro di considerare la Sardegna come una vera e propria cayenna;
   la percentuale di oltre l'80 per cento di detenuti extracomunitari tra quelli trasferiti tra il 15 e il 16 giugno scorsi secondo l'interrogante conferma che il Ministero sta agendo con l'unico intento di stivare nell'isola il maggior numero di detenuti prima delle ferie estive, proprio per le difficoltà di trasporto dei detenuti legati alle carenze di personale nel periodo estivo;
   tutto questo è inaccettabile;
   i parametri di sicurezza ormai non sono più sostenibili considerato che per esempio la struttura penitenziaria di Alghero ha una pianta organica di 92 agenti per tre sezioni, mentre adesso ne ha 66 con ben 7 sezioni funzionanti. Siamo dinanzi a carenze che vanno ben oltre il 50 per cento;
   risulta insostenibile anche il carico dei detenuti Alghero con i suoi attuali 221 detenuti considerato che potrebbe contenerne massimo 158;
   basterebbe questo dato per far comprendere l'atteggiamento ad avviso degli interroganti superficiale alla base di queste scelte di nuovi e reiterati trasferimenti di detenuti in Sardegna ignorando i problemi veri delle carceri sarde;
   nel corso della visita ispettiva in carcere con gli operatori sanitari è stata riscontrata anche la gravissima situazione che si potrebbe generare sin dal prossimo primo luglio quando la gestione sanitaria passerà dall'amministrazione penitenziaria a quella sanitaria regionale;
   si sta rischiando un vero e proprio collasso sanitario nelle carceri sarde considerato che vengono messe a rischio le prestazioni specialistiche da parte delle professionalità che hanno maturato all'interno delle strutture penitenziarie un'esperienza unica nella casistica sanitario penitenziaria –:
   se non intenda recedere da nuovi e ulteriori trasferimenti di detenuti dalle carceri del Nord Italia verso la Sardegna;
   se non intenda intervenire con determinazione al fine di predisporre un piano di apertura delle nuove carceri che parta dall'esigenza di dotare le nuove strutture di personale adeguato sul piano operativo gestionale;
   se non intenda promuovere un'apposita mobilità del personale nato in Sardegna in forze alla polizia penitenziaria per dislocarlo nelle nuove strutture carcerarie dell'isola;
   se non intenda affrontare con urgenza il problema relativo alla sicurezza delle strutture sanitarie in relazione alla situazione che si sta venendo a creare relativamente al passaggio di competenze tra la gestione penitenziaria della sanità interna alle strutture carcerarie e quella di competenza delle aziende sanitarie locali. (5-00033)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel carcere denominato casa circondariale di Macomer (Nuoro) nella zona industriale Bonu Trau – nella giornata di venerdì 17 febbraio 2012 – nell'ala destinata ai detenuti in regime di Alta Sorveglianza 2, un agente penitenziario ha rischiato la vita per una gravissima aggressione subita da un detenuto in regime di alta sorveglianza per terrorismo islamico;
   l'aggressione subita dall'agente di polizia penitenziaria di Macomer da parte del terrorista islamico, che risulterebbe riconducibile all'organizzazione criminale Al Qaeda, poteva avere conseguenze tragiche;
   uno dei cinque terroristi presenti al fatto – secondo la ricostruzione dei fatti – rifiutava di farsi perquisire provocando l'agente e un altro lanciava sull'agente Valerio Agus una caffettiera in faccia, provocandogli un gravissimo trauma cranico con perdita di coscienza, profonde ferite lacero contuse in regione frontale poi suturate in ospedale e un trauma cervicale con stato commotivo;
   tale fatto poteva anche preludere ad un tentativo di sommossa;
   si tratta di un'aggressione che – hanno detto i medici – poteva avere conseguenze drammatiche considerato il corpo contundente utilizzato per aggredire l'agente;
   il detenuto ritenuto responsabile del gravissimo gesto è stato posto in isolamento per quindici giorni ma è sin troppo evidente che si tratta di una misura restrittiva assolutamente inadeguata alla rilevanza dei fatti;
   con lettera circolare n. 3619/6069 del 21 aprile 2009 l'amministrazione penitenziaria aveva proceduto alla riorganizzazione del circuito destinato al contenimento di detenuti ed internati appartenenti alla criminalità organizzata, ristretti per reati di mafia, di terrorismo nazionale ed internazionale o posti al vertice di associazioni dedite al traffico di sostanze stupefacenti;
   in tale riorganizzazione è previsto il sottocircuito A.S. 2, dove vengono inseriti automaticamente i soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza (delitti di cui agli articoli 270, 210-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quinquies, 280, 280-bis, 289-bis, 306 codice penale);
   appare fin troppo evidente che, anche alla luce del gravissimo episodio, il braccio A.S. 2 del carcere di Macomer, destinato ai terroristi islamici, deve essere immediatamente chiuso considerata l'assenza di compatibilità ambientale, di requisiti di sicurezza e di personale sufficiente a gestire la struttura in termini adeguati;
   l'edificio è stato costruito negli anni Ottanta e utilizzato dal 1994, inizialmente come casa mandamentale, e in seguito, senza alcuna sostanziale modifica, destinato anche a detenuti sottoposti a regime di alta sicurezza;
   risulta improcrastinabile che i soggetti legati al terrorismo islamico e dislocati nel carcere vengano immediatamente allontanati dalla Sardegna, considerata l'inadeguatezza delle strutture penitenziarie sarde a un certo tipo di detenuti;
   si rende urgente l'immediata adozione di un provvedimento di allontanamento dall'istituto di Macomer di questi soggetti;
   tale situazione è stata riscontrata dall'interrogante nel corso di una visita al carcere tenutasi domenica 20 febbraio, accompagnato dal vice sindaco di Macomer dottor Giovanni Biccai e nel corso di incontri con i dirigenti del carcere, i medici che hanno prestato primi soccorsi all'agente, i sindacati e gli agenti;
   dal sopralluogo nel carcere di Macomer si evince, a giudizio dell'interrogante, che la dislocazione di tali detenuti in quell'istituto ha il solo obiettivo di utilizzare la Sardegna come una sorta di terra di confino pur non avendo strutture e personale sufficiente a gestire simili situazioni –:
   se abbia acquisito gli atti relativi alla gravissima aggressione di cui è stato vittima un agente penitenziario nel carcere di Macomer;
   se il detenuto autore del grave gesto rientri tra quelli sottoposti a regime di alta sorveglianza e se lo stesso sia coinvolto in fatti legati al terrorismo islamico;
   se non ritenga necessario provvedere con urgenza ad adottare iniziative finalizzate ad allontanare dal carcere di Macomer i detenuti sottoposti a regime di alta sorveglianza legati al terrorismo internazionale e islamico, considerata la loro pericolosità e la carenza di personale rispetto a questo tipo di detenzione.
(5-00040)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di ottobre 2012, in almeno quattro contingenti, sono stati dislocati nel carcere di Tempio Nuchis 24 mafiosi e camorristi con pene variabili tra l'ergastolo e i 20 anni di carcere;
   si tratta di uno «sbarco» di mafiosi e camorristi senza precedenti nell'isola;
   il trasferimento è avvenuto in gran segreto e compiuto in meno di tre giorni nel luogo dove erano meno attesi, il carcere di Tempio Nuchis;
   si è trattato di un vero e proprio blitz che conferma il progetto scellerato del Ministero della giustizia di trasformare la Sardegna in vero e proprio circuito penitenziario destinato a mafiosi e camorristi;
   i tentativi dei responsabili del Ministero di minimizzare questa grave decisione ad avviso dell'interrogante goffi sono sinonimo di prevaricazione, scarsa conoscenza delle più elementari regole di corrette relazioni tra istituzioni e di gestione di scelte così delicate senza alcuna condivisione con il territorio circostante;
   sottovalutare tale situazione è scelta irresponsabile che necessita una mobilitazione istituzionale in grado di fermare questa decisione così lesiva dell'autonomia regionale;
   un trasferimento di detenuti mafiosi e camorristi tutti reclusi in alta sicurezza 3 per la Sardegna un pericolo rilevante per infiltrazioni mafiose e camorriste, che considerati i numeri e i detenuti trasferiti sono molto di più di un pericolo;
   tale grave situazione è stata personalmente riscontrata dal sottoscritto interrogante in una visita ispettiva nella giornata di domenica 14 ottobre, tra le ore 18 e le 20.30;
   nel carcere di Tempio Nuchis nella giornata di sabato 13 si è registrato l'ennesimo trasferimento di altri sei detenuti mafiosi provenienti dal carcere di Opera- Milano;
   in poco meno di quindici giorni sono già arrivati 24 detenuti pericolosissimi, condannati per mafia e camorra, 5 ergastolani, altri con pene tra i 48 anni e i 25 anni di carcere;
   si tratta di una vera e propria calata di detenuti mafiosi e camorristi nell'isola;
   l'azione del Ministero è stata compiuta nel più totale silenzio con trasferimenti a gruppi di quattro o sei dai carceri di Opera di Milano, di Santa Maria Capua Vetere, di Lanciano e Benevento;
   le modalità e i tempi lasciano intendere si tratti di una strategia pianificata per trasferire in Sardegna i detenuti con le pene maggiori legate a mafia, camorra e traffico internazionale di droga;
   si tratta di una scelta in totale contrasto con tutte le linee guida legate alla regionalizzazione della pena detentiva e che va ad incidere in maniera devastante sul tessuto sociale esterno al carcere;
   all'interno del carcere, nonostante le carenze d'organico ancora rilevanti, il personale penitenziario e lo stesso comando riescono a sopperire con professionalità e abnegazione, all'esterno il rischio di infiltrazioni è gravissimo così come si evince da tutti i rapporti dello stesso Ministero su questa tipologia di detenuti;
   nel carcere di Tempio Nuchis sarebbero previsti in totale altri 46 mafiosi e camorristi considerato che la struttura trasformata in alta sicurezza ha a disposizione 70 posti;
   questo trasferimento di detenuti si configura come la realizzazione al carcere di Nuchis di una vera e propria testa di ponte per il trasferimento in terra sarda di così tanti mafiosi;
   tale situazione risulta insostenibile proprio perché non solo non era prevista ma per le modalità con le quali è avvenuta omettendola alle istituzioni locali e regionali;
   si conferma una drammatica previsione di qualche mese fa con l'obiettivo del Ministero di trasferire nell'isola i personaggi più pericolosi pensando di utilizzare le nuove carceri per alleggerire quelle del resto del Paese, ignorando il fatto che tutte le carceri sarde hanno detenuti in quantità quasi doppia rispetto a quelle previste dalla capienza;
   con questa decisione gravissima non solo non si vogliono ottimizzare le carceri esistenti ma si tenta da subito di rendere sovraffollate le nuove con detenuti pericolosi all'interno e soprattutto per l'esterno;
   i reati per i quali scontano la pena i detenuti appena arrivati sono di una gravità inaudita e non si può giustificare in alcun modo una tale concentrazione di tali personaggi in una realtà come la Sardegna;
   il quadro che si prospetta è di una gravità inaudita: 70 detenuti mafiosi nel carcere di Tempio a cui si dovranno sommare quelli preannunciati a Massama, 125, ed oltre 300 prossimi 41-bis destinati alle carceri di Nuoro, Sassari e Cagliari;
   un quantitativo di mafiosi di 500 unità che rischia di stravolgere lo stato sociale e la sicurezza dell'isola;
   tale piano deve essere fermato perché si tratta di un carico detentivo che non può essere concentrato in un'unica regione –:
   se non ritenga di dover bloccare qualsiasi trasferimento in Sardegna di detenuti legati alle organizzazioni criminali mafia, camorra e ’ndrangheta proprio in virtù del principio di regionalizzazione della pena detentiva;
   se non ritenga di dover impedire una siffatta concentrazione di detenuti legati alle suddette organizzazioni malavitose in Sardegna;
   se non ritenga di dover sottoporre alle autorità regionali il piano di utilizzo del sistema carcerario sardo al fine di valutarne la congruità con le implicazioni sociali prima di tutto;
   se non ritenga di dover preventivamente rendere compatibile la nuova organizzazione carceraria sarda con l'esigenza di riportare a regime tutte le strutture sarde ripristinando i livelli di capienza evitando il ricorso ai parametri insostenibili della tollerabilità;
   se non ritenga di dover attuare tutte le norme vigenti che favoriscono e inducono alla territorializzazione della detenzione;
   se non ritenga di dover dar corso ad uno specifico interpello al fine di coprire i posti in organico nelle strutture penitenziarie sarde con il trasferimento in Sardegna di tutte le professionalità sarde dislocate nelle strutture carcerarie del resto del Paese. (5-00044)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 21 settembre 2012 il sottoscritto interrogante ha svolto una visita ispettiva nel carcere cagliaritano di Buon Cammino;
   tale visita si inquadra nell'ambito di un'azione di verifica sul sistema carcerario sardo dal quale emerge in modo inequivocabile che le nuove carceri sarde restano chiuse e le vecchie scoppiano senza agenti;
   delle quattro nuove carceri solo una è parzialmente aperta, quella di Tempio, le altre restano irrimediabilmente chiuse senza organico;
   nel sistema penitenziario sardo le promesse del Ministro restano illusioni e dei 450 agenti necessari ne arriveranno meno della metà;
   il piano del Ministero della giustizia per la Sardegna appare sconcertante: tagli agli organici delle carceri aperte e il tentativo di aprire senza organico e solo parzialmente alcune delle nuove;
   la sanità penitenziaria è nel caos, con gravi rischi non solo per l'interno ma anche per l'esterno, con nuove gravi patologie in allarmante crescita;
   è evidente il rischio che le carceri nuove possano restare ancora a lungo chiuse;
   nel corso della visita è emerso chiaramente che il Ministero prevede, per aprire le nuove carceri, meno della metà degli agenti necessari riducendo ulteriormente gli organici, già all'osso, delle strutture penitenziarie in funzione;
   ad oggi le strutture carcerarie sarde hanno una carenza di organico che supera il 30 per cento della pianta organica;
   in questo quadro emergono le situazioni drammatiche di Cagliari-Buon Cammino con 267 in pianta organica e 209 unità amministrate, Alghero con 92 in pianta organica e appena 63 unità amministrate, Mamone con 127 in organico e 95 unità amministrate, il caso Nuoro con 212 in organico e 154 unità disponibili, Sassari con 212 in pianta organica e appena 144 in servizio, senza parlare di Tempio dove il nuovo carcere resta praticamente aperto solo in un braccio con 40 agenti mentre ne sarebbero necessari almeno 200;
   si tratta di una situazione sull'orlo del collasso con tutto il personale sottoposto a turni massacranti e senza la possibilità di usufruire di una regolare gestione di riposi e ferie;
   tutto questo si ripercuote in modo gravissimo sia sulla sicurezza che sulla gestione del rapporto detenuto-agenti con crescenti difficoltà in ogni struttura;
   nel carcere di Buon Cammino, nonostante l'alta professionalità degli agenti e l'indiscutibile ed evidente autorevolezza e capacità della direzione e del comando restano, infatti, ingestibili tutte quelle aree rieducative e aggregative che senza personale restano impraticabili sul piano della sicurezza sia del personale che degli stessi detenuti;
   le assegnazioni alla Sardegna del personale derivanti dalla graduatoria della mobilità ordinaria sono del tutto insufficienti e i numeri confermano che le nuove carceri non potranno essere aperte;
   la preventivata crescita a dismisura della popolazione detenuta custodita in Sardegna, con l'apertura delle nuove carceri, sarebbe di fatto ingestibile con i trasferimenti disposti dall'amministrazione penitenziaria nell'ultimo provvedimento, molti dei quali solo fittizi perché confermerebbero personale già in forza seppur formalmente dipendente da altre realtà;
   risulta del tutto insufficiente l'assegnazione di molto meno della metà di quanto sarebbe necessario in base alla pianta organica delle carceri sarde;
   una situazione che sarebbe aggravata nella nuova configurazione con l'apertura delle nuove carceri;
   ad oggi il Ministero ha previsto l'assegnazione di circa 165 unità tra Tempio ed Oristano, 14 ad Alghero, 13 a Sassari, 11 a Nuoro, 7 a Cagliari, 11 a Mamone, 6 a Macomer, 3 a Is Arenas-Arbus, 2 a Iglesias, 1 ad Isili;
   cifre irrilevanti se confrontate con la carenza in organico, oltre 300 agenti mancanti nelle vecchie carceri, e di almeno 500 con l'apertura delle nuove;
   in questo quadro va rilevato che un numero ingente di agenti risulta già in servizio negli Istituti della Sardegna in quanto precedentemente distaccati dalle sedi di appartenenza, senza determinare quindi alcun incremento d'organico;
   a questo si aggiungono i movimenti interni tra le sedi regionali che hanno finito per provocare in alcuni Istituti saldi assolutamente negativi sull'organico tra unità assegnate e unità in uscita, anche in considerazione di alcune assegnazioni dall'isola verso istituti del continente;
   si registrano situazioni paradossali con l'invio di appena 6 unità femminili a fronte della grave crisi in cui versano i reparti detentivi femminili;
   a questa situazione insostenibile e che vede ancora chiusi delle nuove carceri di Bancali a Sassari, di Uta a Cagliari, di Massama ad Oristano e una minima apertura del nuovo carcere di Tempio si deve aggiungere l'allarme sanità penitenziaria che rischia di provocare nelle prossime settimane un vero e proprio caos nel passaggio di consegne tra la vecchia e la nuova gestione;
   la mancata definizione del ruolo dei medici penitenziari che da sempre gestiscono le strutture carcerarie rischia di paralizzare l'intero funzionamento del sistema carcerario sardo;
   in questo caso appare indispensabile mettere a punto un'azione urgente per garantire l'azione dei medici penitenziari che hanno maturato una tale esperienza non sostituibile su patologie e casistiche tipiche dell'ambiente penitenziario;
   occorre da una parte predisporre un ruolo ad esaurimento per tali figure e dall'altra avviare un percorso formativo specialistico di alta formazione che consenta di mettere a frutto l'esperienza maturata dagli operatori sanitari penitenziari;
   questo passaggio gestionale professionale diventa non solo una priorità verso il sistema carcerario ma assume un rilievo decisivo anche per le ripercussioni esterne considerato l'incremento di patologie gravi come la Tbc legata ad una popolazione carceraria sempre più proveniente da aree geografiche soggette a questo tipo di malattie –:
   se non ritenga di dover predisporre un piano complessivo di riassetto del sistema gestionale carcerario sardo che consenta l'apertura delle nuove strutture portando a regime numerico sia gli organici degli agenti penitenziari che gli stessi detenuti in abbondante sovrannumero rispetto alla capienza delle strutture;
   se non ritenga di dover operare un'azione tesa a rendere il sistema carcerario sardo un modello di efficienza da cui trarre beneficio per gli assetti gestionali corretti dell'intero sistema penitenziario;
   se non ritenga di dover disporre interventi puntuali al fine di garantire la più rapida apertura delle nuove carceri dotandole immediatamente di quel personale indispensabile per il corretto funzionamento delle nuove strutture;
   se non ritenga di dover disporre tutte quelle azioni necessarie al fine di concludere i lavori nel nuovo carcere di Uta che risente di problematiche cantieristiche e gestionali dell'appalto che rischiano di allungare notevolmente i tempi per l'apertura della struttura;
   se non ritenga di dover promuovere analoga azione per le carceri di Massama ed in particolar modo per quello di Bancali-Sassari;
   se non ritenga di dover intervenire per promuovere un'apposita conferenza di servizi indispensabile per affrontare le tematiche relative alla gestione sanitaria dei carcerati all'interno delle strutture penitenziarie di competenza del Ministero della giustizia. (5-00045)


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo carcere di Oristano sorge a Massama, località Is Argiolas;
   la data di inizio lavori per la realizzazione della casa circondariale di Massama (Oristano) riportata negli atti di affidamento lavori era quella del 12 aprile 2007;
   la data di ultimazione e consegna dei lavori il 29 settembre 2009;
   il nuovo carcere costato quaranta milioni di euro sorge su un'area estesa 23 mila metri quadrati per 86 mila metri cubi di volume, ha una capienza di progetto di circa 240 detenuti nella sezione circondariale e dieci in stato di semilibertà;
   l'importo complessivo dei lavori per la costruzione del complesso di circa 40 milioni di euro è stato suddiviso tra prima (24 milioni) e seconda fase (16 milioni);
   il progetto e la realizzazione sono stati affidati attraverso gara d'appalto all'Ati Uniland e Cimas srl, la prima è legata al gruppo Intini di Bari, la seconda è una srl con sede a Roma e in Sardegna;
   la struttura prevede una caserma per gli agenti di polizia con 30 posti e 4 alloggi;
   in data 13 aprile 2012 l'interrogante svolgeva nella struttura una visita ispettiva riscontrando che:
    a) non è presente alcun tipo di personale, nessuna lavorazione risulta in corso e la custodia del carcere affidata ad una guardia giurata incaricata dall'impresa;
    b) tutte le aree interne ed esterne al carcere risultano in un totale stato di abbandono;
    c) non risultano allacciate le linee elettriche necessarie per il funzionamento della struttura e, da notizie assunte, non si conosce ancora la data per l'allaccio stesso da parte dell'Enel;
    d) non risulta allacciata la struttura depurativa interna con i collettori esterni rendendo di fatto inutilizzabili gli impianti interni;
    e) non risulta eseguito nessun tipo di collaudo così come previsto prima della consegna delle opere alla struttura penitenziaria;
    f) non risultano presenti arredi di alcun tipo;
    g) non risultano attivati gli impianti di allarme per la mancata disponibilità di corrente elettrica;
   la ritardata esecuzione dei collaudi e della conseguente consegna costituisce un grave danno per l'amministrazione statale considerato che la struttura apparentemente conclusa risulta di fatto totalmente inutilizzabile;
   è evidente che il mancato utilizzo dell'investimento di 40 milioni di euro rappresenta un danno incalcolabile per le stesse casse dello Stato con evidente danno erariale;
   la consegna ufficiale della struttura non risulta essere programmata così come non si conosce la programmazione dei collaudi strutturali, statici e di sicurezza;
   in un recente incontro al provveditorato dell'amministrazione penitenziaria a Cagliari era stato annunciato la possibile contestuale consegna con il nuovo carcere di Tempio ma così non è stato;
   a questi elementi oggettivamente riscontrabili il mancato collaudo della struttura rappresenta un indubbio motivo di incertezza sulla futura apertura del carcere stesso;
   a tutt'oggi non risultano ancora disponibili gli arredi necessari e quelli acquistati sarebbe di tipo sovrapponibile lasciando intendere che la struttura possa arbitrariamente ospitare il doppio dei detenuti individuati nella capienza progettuale;
   non risulta predisposto un piano per la gestione del carcere per quanto riguarda la disponibilità di nuovi agenti in grado di coprire tutti posti vacanti necessari a garantire la massima sicurezza della struttura considerato che, proprio per la sua articolazione, risulta di gran lunga ben più complessa sia sul piano gestionale che dell'impiego di personale rispetto a quella vecchia di piazza Manno ad Oristano;
   è ovvio e necessario che venga promosso un accurato controllo statico e di sicurezza della struttura, comprese, come è scontato in questi casi, le verifiche della qualità e delle quantità dei materiali utilizzati nel rafforzamento della sicurezza, con particolare riferimento alle intercapedini dei muri sia interni, tra celle, che quelli esterni;
   è indispensabile promuovere tale verifica anche nell'ambito dei diversi lotti esecutivi articolatisi nel tempo al fine di garantire una costante qualità esecutiva nell'ambito di tutta la struttura –:
   se non ritenga di sollecitare ogni tipo di collaudo con particolare riferimento a quello della sicurezza, comprese le verifiche delle quantità e qualità di materiali utilizzati per il rafforzamento delle intercapedini tra celle e muri esterni;
   se non ritenga di dover predisporre un immediato dispiegamento di personale indispensabile alla piena efficienza del nuovo carcere tenendo in considerazione le richieste di trasferimento avanzate da agenti di polizia penitenziaria che hanno chiesto l'avvicinamento in Sardegna per ragioni di famiglia e residenza;
   se non ritenga necessario evitare di predisporre o ordinare letti a castello al fine di raddoppiare il numero dei detenuti accoglibili nella nuova struttura considerato che sarebbe assolutamente inaccettabile un utilizzo abnorme della casa circondariale. (5-00047)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 28 dicembre 2012 il capo dipartimento per l'organizzazione giudiziaria del Ministero della giustizia ha inviato al Ministro una relazione dettagliata sullo stato degli uffici giudiziari, redatta anche alla luce dell'intervenuta soppressione di numerosi uffici giudiziari e del giudice di pace sull'intero territorio nazionale;
   la suddetta relazione contiene anche la proposta finale di una nuova pianta organica degli uffici giudiziari di primo grado (tribunali e procure);
   la proposta di nuova pianta organica penalizza fortemente gli uffici giudiziari del distretto di corte d'appello di Caltanissetta;
   in particolare, secondo la proposta ministeriale, la nuova pianta organica conterebbe 6 e 2 magistrati in meno rispettivamente presso il tribunale e la procura di Caltanissetta. Allo stesso modo vengono tagliati gli organici degli altri tribunali del distretto, meno 6 unità al tribunale di Enna e meno 3 unità in quello di Gela, meno 2 unità alla procura di Enna e un'unità in meno in quella di Gela;
   è indubbio che si tratta di aree del Paese ad alta densità mafiosa e che non possono essere valutate solo in base ai dati statistici relativi ai procedimenti in corso e pendenti o alla popolazione residente;
   notoriamente il tribunale, la procura e la direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta rappresentano infatti baluardi di eccezionale importanza nella lotta alla criminalità organizzata;
   questa proposta di rideterminazione delle piante organiche ha giustamente provocato forti preoccupazioni negli avvocati, allarmati dalla drastica riduzione di magistrati che potrebbe creare ritardi ancora maggiori nell'aspettativa di giustizia dei cittadini;
   attualmente, secondo la camera civile di Caltanissetta, un procedimento avanti al tribunale civile viene mediamente definito in cinque anni, mentre per un procedimento avanti il tribunale penale ne occorrono quattro; termini decisamente contrastanti con quanto previsto dalla normativa comunitaria –:
   quali modifiche, alla luce di quanto esposto in premessa, il Ministro interrogato intenda apportare alla proposta di rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudiziari, prima che essa sia valutata dal Consiglio superiore della magistratura. (4-00004)


   REALACCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione della Repubblica italiana stabilisce chiaramente che la pena detentiva non possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debba tendere alla rieducazione del condannato;
   ad oggi, anche secondo gli ultimi dati elaborati dall'Istat nel rapporto «Noi Italia 2012» si apprende che il numero di detenuti presenti negli istituti di prevenzione e di pena per adulti è, alla fine del 2012, pari a circa 65.961 unità, pressoché 112 persone ogni 100 mila abitanti. Sebbene nell'anno 2006 sia stato approvato un provvedimento di clemenza di carattere generale, ovvero l'indulto con legge n. 241 del 2006, che ha portato alla scarcerazione del 44,2 per cento dei detenuti da 60.710 a 33.847 presenti all'epoca, a poco più 7 anni di distanza si è tornati ad una situazione di gravissima emergenza;
   il sovraffollamento è a livelli record: per ogni 100 detenuti che gli istituti di prevenzione e pena dovrebbero ospitare, ve ne sono mediamente 151, emerge dallo studio Istat. Gli stranieri dietro le sbarre italiane sono il 36,7 per cento;
   nel mese di gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell'uomo, a Strasburgo, ha condannato la Repubblica italiana, come descritto anche da un articolo pubblicato su La Stampa l'8 gennaio 2013, per lo stato delle proprie strutture carcerarie. La Corte di Strasburgo riconosce infatti che negli istituti di pena italiani c’è ormai un problema strutturale di sovraffollamento e per questo chiede alle autorità italiane di mettere in campo entro un anno soluzioni adeguate per invertire la tendenza e garantire che le violazioni non si ripetano;
   l'Italia ha tempo un solo anno per porre rimedio al problema delle carceri in caso contrario dovrà affrontare pesanti sanzioni, anche in termini pecuniari;
   la maggior parte delle carceri nazionali versa in condizioni al limite dell'umanità: strutture vecchie, qualcuna risalente al XIX secolo, sporche, sovraffollate, si parla di 3 metri quadrati a disposizione per detenuto, in cui i diritti umani minimi, come, ad esempio quello alla salute, sono pressoché negati;
   i detenuti e gli internati, come ricordato anche in un atto di sindacato ispettivo presentato nella XVI legislatura, hanno infatti diritto al pari dei cittadini in stato di libertà all'erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza individuati nel piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali ed in quelli locali;
   l'affermazione di principio della parità di accesso alle cure per i detenuti è contenuta nel decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, riguardante il riordino della medicina penitenziaria, e altresì costituisce l'attuazione del principio sancito dall'articolo 32 della Costituzione in materia di diritto alla salute nella parte in cui la carta stabilisce che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo» e che «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»;
   ugualmente alle strutture di detenzione, la medicina penitenziaria versa in condizioni di assoluta precarietà per mancanza di mezzi e risorse e i medici e gli infermieri che lavorano nei 206 istituti penitenziari italiani continuano a portare avanti con difficoltà un'opera particolarmente importante e delicata a tutela della salute della popolazione detenuta, sebbene impossibilitati a provvedere al rinnovamento delle strutture e all'adeguamento del personale in sottorganico;
   da ultimo è utile ricordare che dall'anno 2000 al marzo 2013 sono 759 i suicidi nelle carceri nazionali e 2.123 le morti in prigione, non tutte naturali. Dati, che nella loro crudezza, ben descrivono la disumanità di questa situazione –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Ministro interrogato per affrontare l'emergenza carceri nel nostro Paese, per dare sì effettività alla pena ma anche al processo di rieducazione del reo;
   se il Ministro non intenda presentare un piano aggiornato di edilizia carceraria che possa sanare le condizioni inumane di detenzione della popolazione carceraria e permettere così anche condizioni accettabili di lavoro per gli operatori di polizia;
   se non si intenda dare effettiva attuazione alla riforma della medicina penitenziaria per permettere il pieno godimento di questo diritto ai detenuti e quali iniziative possano essere messe in campo affinché siano trasferite alle regioni le risorse spettanti al servizio sanitario penitenziario. (4-00016)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 settembre 2012 è stato consegnato il nuovo carcere di Oristano-Massama;
   la struttura – secondo quanto recita una nota del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – riportata dall'agenzia ADN Kronos – «la cui consegna è avvenuta perfettamente nei tempi previsti, ospiterà 250 detenuti (125 di media sicurezza e 125 di alta sicurezza) che cominceranno ad affluire dal prossimo 11 ottobre»;
   il nuovo carcere di Oristano sorge a Massama, località Is Argiolas;
   la data di inizio lavori per la realizzazione della casa circondariale di Massama (Oristano) riportata negli atti di affidamento lavori era quella del 12 aprile 2007;
   la data di ultimazione e consegna dei lavori il 29 settembre 2009;
   il nuovo carcere costato quaranta milioni di euro sorge su un'area estesa 23 mila metri quadrati per 86 mila metri cubi di volume, ha una capienza di progetto di circa 240 detenuti nella sezione circondariale e dieci in stato di semilibertà;
   l'importo complessivo dei lavori per la costruzione del complesso di circa 40 milioni di euro è stato suddiviso tra prima (24 milioni) e seconda fase (16 milioni);
   la struttura prevede una caserma per gli agenti di polizia con 30 posti e 4 alloggi;
   alla data del 28 settembre risultavano aver aderito al trasferimento al carcere di Massama, 56 agenti sugli 80 destinati alla struttura, oltre a quelli già in carico alla casa circondariale di Oristano;
   tale numero di agenti risultava non sufficiente nemmeno per coprire le ordinarie esigenze di una struttura carceraria ampia e articolata e con un carico di detenuti rilevante;
   a questo elemento fondamentale nell'organizzazione e nella sicurezza della struttura e dello stesso personale operante si aggiunge che secondo la comunicazione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sarebbero destinati alla nuova struttura di Massama ben 125 detenuti di Alta sicurezza;
   in particolar modo risulta al sottoscritto, e nessuna smentita è giunta da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria stesso, che subito dopo il trasferimento dei 117 detenuti del carcere vecchio di piazza Mannu si procederà a trasferire nel carcere di Massama, dal resto d'Italia, i detenuti appartenenti alle categorie AS 1 e AS 3;
   secondo le informazioni in possesso dell'interrogante sarebbero settanta tra camorristi, mafiosi, trafficanti internazionali di droga i detenuti che già dalla settimana successiva all'undici di ottobre prossimo giungeranno nel carcere di Oristano;
   si tratterebbe secondo l'interrogante di un vero e proprio blitz del Ministro della giustizia che avrebbe dato disposizioni alle strutture periferiche per un trasferimento senza precedenti di detenuti pericolosissimi legati alle più pericolose organizzazioni criminali in Sardegna;
   la decisione del Ministero, resa pubblica attraverso una nota ufficiale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria costituisce un atto gravissimo predisposto nel più totale silenzio a conferma dell'intenzione di trasformare la Sardegna in una vera e propria prigione di Stato;
   si tratta di un trasferimento che deve essere respinto in tutti i modi proprio perché si tratterebbe di una deportazione malavitosa in Sardegna ingiustificata e spropositata rispetto alla originaria destinazione delle carceri sarde;
   il carcere di Massama sarà, dunque, aperto nella prima decade di ottobre con una decisione che sarebbe già trasmessa con atti interni alle rispettive carceri di provenienza dei detenuti mafiosi, camorristi e trafficanti internazionali di droga;
   la destinazione ad Oristano di settanta detenuti di alta sicurezza, dei livelli 1 e 3, contrasta palesemente con il nuovo carcere nato come casa circondariale e non certo come carcere destinato a questo elevato grado di sicurezza;
   si tratta di un problema non solo logistico ma di una scelta inopportuna, grave e non gradita dalla Sardegna e dai sardi proprio per le possibili infiltrazioni della malavita organizzata nella società sarda;
   trasferire ad Oristano i detenuti più pericolosi in circolazione nel nostro Paese, ai quali si aggiungerà oltre un terzo di detenuti del 41-bis, con i 180 posti che saranno ricavati tra Sassari, Cagliari e Nuoro significa aver assegnato alla Sardegna un ruolo di collettore principale nello scacchiere penitenziario nazionale;
   sin dall'inizio si era percepita la posizione inopportuna e anacronistica del Ministro che ha ripetutamente attribuito alla condizione insulare una condizione positiva per la gestione detentiva dei carcerati;
   a giudizio dell'interrogante questa idea di carcere di Stato alla quale si ispira questo Ministro per rifunzionalizzare le carceri sarde è una visione fuori luogo e destituita del più elementare senso della logica, basti pensare ai trasferimenti dei detenuti per i processi dalla Sardegna al resto d'Italia;
   l'articolazione naturale sarebbe quella che ognuno governi il proprio quantitativo di detenuti, senza steccati, ma nemmeno con la dislocazione massiccia in un'unica regione come si sta verificando in questo caso;
   ad Oristano è stato previsto, contro le indicazioni progettuali e iniziali, un braccio di alta sicurezza al quale sono destinati 70 detenuti appartenenti ai sottocircuiti di alta sicurezza 1 e 3;
   il primo, A.S. 1, accoglierà i detenuti e internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis;
   si tratta della soglia di sicurezza prossima al 41-bis, quella riservata ai capi mafiosi e camorristi;
   a questi si aggiungono i detenuti del circuito A.S. 3 detenuti per mafia, sequestro di persona, traffico internazionale di sostanze stupefacenti;
   ciò che è più grave è la ratio di questo abnorme trasferimento di detenuti mafiosi, camorristi e trafficanti internazionali di droga considerato che l'alta sorveglianza è riservata più che alla pericolosità individuale, all'appartenenza degli stessi ad una organizzazione, e dunque – come recita la circolare istitutiva dei tre livelli di alta sorveglianza – alla potenzialità di interagire con le compagini criminali operanti all'esterno della realtà penitenziaria, ovvero di determinare fenomeni di assoggettamento e reclutamento criminale;
   secondo la circolare «A meritare una attenzione maggiore e dunque una “elevata” o “maggiore sicurezza” non è quindi solo l'individuo in sé, ma la compagine cui egli appartiene, con la sua capacità di condizionare, dentro e fuori il circuito penitenziario, l'ordinario svolgersi dei rapporti sociali, e di fungere da moltiplicatore dei fenomeni criminali»;
   per la Sardegna è un rischio senza precedenti di infiltrazioni delle più pericolose organizzazioni malavitose, da quelle mafiose a quelle camorristiche, sino alle organizzazioni internazionali di traffico di droga;
   ad avviso dell'interrogante, si rende indispensabile e urgente fermare questo nefasto utilizzo delle carceri sarde perché non si può e non si deve pensare al sistema carcerario sardo come contenitore delle criminalità più pericolose e fare della Sardegna una vera e propria concentrazione delinquenziale della più pericolosa;
   a questo si aggiunge una carenza di organico del personale penitenziario che già oggi è in gravissime condizioni con vacanze in organico tra il 30 e 40 per cento –:
   se il Ministro sia a conoscenza e abbia disposto un piano di trasferimenti di 125 detenuti di alta sicurezza nel carcere di Oristano Massama a partire dalla prima decade di ottobre;
   se non ritenga necessario anche dinanzi alle dure prese di posizione delle istituzioni a partire dal presidente della provincia di Oristano, il presidente della Confindustria, le organizzazioni sindacali territoriali, cittadini e associazioni varie revocare tale disposizione eventualmente adottata dagli organi del Ministero;
   se non ritenga necessario aprire le nuove carceri sarde attraverso il riempimento sino e non oltre la soglia della capienza, consentendo alle altre di non trovarsi in regime di tollerabilità, ovvero con un numero di detenuti quasi il doppio rispetto alla capienza;
   se non ritenga di predisporre un piano straordinario che consenta di dotare le nuove carceri di un numero di agenti adeguato con il trasferimento in Sardegna dei tantissimi agenti sardi dislocati nelle carceri del nord d'Italia che da tempo manifestano il desiderio di ritornare a lavorare nella loro terra. (4-00025)


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 230 del 1999 trasferisce alle regioni l'organizzazione ed alle Asl la gestione dei servizi sanitari negli istituti penitenziari;
   al fine di dare concreta attuazione alle disposizioni della predetta legge, l'articolo 2, comma 283, della legge del 24 dicembre 2007, n. 244, ha previsto l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per definire «il trasferimento al Servizio sanitario nazionale di tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia», nonché «le modalità e procedure (...) per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di lavoro in essere, anche sulla base della legislazione speciale vigente, relativi all'esercizio di funzioni sanitarie nell'ambito del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile»;
   il comma 284 dell'articolo 2 citato ha poi previsto nelle more del trasferimento, la proroga dei rapporti di incarico, di collaborazione o convenzionali del personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena, non appartenente ai ruoli organici dell'amministrazione penitenziaria, in corso alla data del 28 settembre 2007;
   in attuazione dell'articolo 2 citato è stato emanato il Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, il cui stabilisce che «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto (cioè dal 14 giugno 2008), vengono trasferite al servizio sanitario nazionale tutte le funzioni sanitarie svolte dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 ha, dunque, sancito il passaggio funzioni di assistenza sanitaria nelle carceri dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale, prevedendo la costruzione di nuovi «modelli organizzativi» in grado, da un lato, di rispondere alle peculiarità del carcere e che possono integrarsi nei piani socio-sanitari regionali, dall'altro, le predette norme seguono gli indirizzi generali di intervento che devono essere ulteriormente declinate alla luce delle specificità territoriali e della variegata popolazione composta dalle persone detenute o limitate della libertà dalla loro crescente domanda di salute e dagli istituti sempre più sovraffollati;
   in questo quadro normativo si innesta il decreto legislativo n. 140 del 2011, il quale prevede il trasferimento delle funzioni sanitarie svolte nell'ambito territoriale regionale dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della giustizia al servizio sanitario della regione (articolo 2 del decreto legislativo n. 140 del 2011);
   l'articolo 3 prevede che la regione autonoma della Sardegna, nell'ambito della propria autonomia statutaria, disciplini con i propri provvedimenti l'esercizio delle funzioni trasferite e le relative modalità organizzative, gli obiettivi e gli interventi del servizio sanitario nazionale da attuare a tutela delle salute delle persone detenute;
   la regione Sardegna non ha dato seguito e attuazione al quadro normativo nazionale precedentemente evidenziato ed in conseguenza ciascuna azienda USL della Sardegna, in merito ai rapporti di lavoro del personale sanitario, delibera, secondo le organizzazioni di categoria e i ricorsi presentati dagli operatori, sulla materia in modo assolutamente autonomo e contraddittorio in danno alla salute delle persone detenute e in danno alla professionalità, all'immagine e, in definitiva, ai diritti della persona scaturenti dal citato rapporto di lavoro;
   il personale sanitario rischia di essere sostituito con evidenti conseguenze sul piano della competenza alle patologie medico-sanitarie dei detenuti;
   è appena il caso di ricordare la raccomandazione R(2006)2 del Consiglio d'Europa sulle regole penitenziarie europee: ogni istituto deve avere del personale adeguatamente formato per il servizio sanitario;
   la conseguente mancata adozione di qualsiasi provvedimento tendente a disciplinare l'esercizio delle funzioni trasferite e le relative modalità organizzative in grado, da un lato, di rispondere alle peculiarità del carcere e di integrarsi nel piano socio-sanitario regionale, dall'altro in grado di individuare gli obiettivi e gli interventi del servizio sanitario nazionale da attuare a tutela della salute delle persone detenute, comporta alcune conseguenze:
    la prima riguarda la circostanza che tale inerzia dell'amministrazione regionale possa provocare un'improvvisa interruzione dell'erogazione del servizio sanitario all'interno degli istituti penitenziari con grave pregiudizio delle persone detenute;
    la seconda riguarda i rapporti di lavoro del personale sanitario non di ruolo. In merito l'articolo 3, comma 4, del decreto stabilisce che: «I rapporti di lavoro del personale sanitario instaurati ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740, in essere alla data del 15 marzo 2008 sono trasferiti, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia alle Aziende sanitarie locali del Servizio sanitario nazionale nei cui territori sono ubicati gli istituti e servizi penitenziari e i servizi minorili di riferimento»;
   sono indiscusse la competenza dei medici e degli infermieri attualmente in servizio e la loro specifica e riconosciuta preparazione, anche in virtù dei rapporti di lavoro, in alcuni casi, ultraventennali –:
   se il Governo, nell'ambito della propria competenza specifica in materia di indirizzo e controllo sulla materia carceraria più in generale, non ritenga necessario promuovere con urgenza una verifica della situazione in atto nelle carceri sarde relativamente alla questione sanitaria;
   se il Governo non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per la definizione immediata della questione relativa al passaggio delle competenze dal Ministero della giustizia al servizio sanitario della regione, che prevede, appunto, l'utilizzo del personale medico e paramedico già formatosi nel tempo nella gestione delle complesse patologie medico-sanitarie che si rilevano in carcere. (4-00035)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'organizzazione sindacale UGL Polizia penitenziaria, nelle persone dei segretari regionali Salvatore Argiolas e Alessandro Cara, ha sottoposto all'interrogante la questione relativa al personale distaccato a vario titolo presso l'amministrazione penitenziaria in Sardegna;
   a quanto risulta all'interrogante, l'amministrazione penitenziaria avrebbe predisposto o starebbe predisponendo un piano relativo all'attivazione di nuove carceri sarde ed, in particolare, dei nuovi istituti penitenziari di Tempio Pausania e Oristano-Massama, che comporterebbe un notevole incremento della popolazione detenuta ristretta nella regione Sardegna;
   la polizia penitenziaria soffre attualmente una carenza in organico di almeno 300 unità, carenza destinata ad aggravarsi ulteriormente proprio a causa dell'apertura dei nuovi istituti, con maggiore capienza detentiva e, conseguentemente, maggiore necessità di poliziotti penitenziari per la gestione del servizio di custodia e riabilitazione;
   attualmente il personale di polizia penitenziaria distaccato a vario titolo, specie per l'espletamento del mandato amministrativo o per usufruire della legge n. 104 del 1992, da istituti della penisola, garantisce un importante apporto all'organico;
   tale personale svolge servizio nell'isola da diverso tempo, anche quindici-venti anni, in una situazione di assoluta precarietà, stante l'incertezza sulla durata del provvedimento che motiva il distacco;
   è indispensabile un significativo incremento dell'organico della polizia penitenziaria presso la regione Sardegna per l'apertura dei nuovi istituti, stimato in circa 500 unità da reperirsi comunque attraverso la mobilità ordinaria –:
   se non ritenga necessario, nell'ambito di un più articolato piano di reclutamento per l'apertura delle nuove carceri e il soddisfacimento delle carenze attuali, promuovere un provvedimento sanatorio di tali unità attualmente distacco negli istituti penitenziari della Sardegna – cosiddetta sanatoria –, almeno negli istituti di nuova apertura, come già avvenuto negli anni precedenti, che consenta a tale personale e alle rispettive famiglie di stabilirsi definitivamente nella regione d'origine per poi procedere all'incremento dell'organico, così come previsto attraverso gli interpelli nazionali di mobilità. (4-00036)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 luglio 2012, alle ore 13.30, il sottoscritto effettuava una visita ispettiva nel carcere di San Sebastiano di Sassari;
   nel corso della visita veniva riscontrata una situazione che non può che essere definita di una gravità inaudita pari ad un vero e proprio lager;
   si tratta di un inferno umano con celle di 7 metri quadri per 3 detenuti stipati in altezza e larghezza, rubinetti a secco per gran parte della giornata, condizioni strutturali al limite del crollo, carenze di organico superiori al 40 per cento;
   è stata riscontrata una situazione insostenibile sul piano igienico-sanitario e di totale invivibilità della struttura;
   l'assenza dell'acqua che il sottoscritto, alla presenza di testimoni, ha personalmente rilevato in gran parte delle celle è il fatto più grave che si possa riscontrare in una struttura carceraria come questa;
   l'interrogante ha personalmente verificato condizioni strutturali dell'edificio che mettono a rischio l'incolumità di personale e detenuti;
   l'ultimo piano della struttura carceraria risulta precluso all'accesso per problemi definiti strutturali, il tetto sarebbe pericolante con lesioni importanti che, come ovvio, mettono a rischio tutta la struttura sottostante;
   nella rotonda di smistamento dei bracci viene segnalato un pericolo crolli che ha fatto interdire lo spazio a qualsiasi tipo di incontri e manifestazioni, compreso anche il tradizionale candeliere di metà agosto;
   il trasferimento di 30 detenuti previsto per domani mattina nel carcere di Tempio non cambierà in alcun modo il contesto di degrado del carcere di San Sebastiano di Sassari;
   in qualsiasi struttura pubblica senza acqua, a prescindere dalle ragioni di tale mancanza, si deve obbligatoriamente disporre l'immediata chiusura;
   in questo caso, invece, si è preferito omettere una situazione che anche in virtù del caldo di questi mesi rende la struttura carceraria un vero e proprio inferno in grado di mettere in pericolo l'incolumità degli stessi agenti penitenziari;
   nel corso della visita l'interrogante ha parlato con decine di detenuti e con gli stessi operatori i quali hanno confermato la carenza ormai strutturale dell'acqua nelle celle, già di per sé invivibili, che sta rendendo esplosiva la situazione in carcere;
   le condizioni igienico-sanitarie della struttura rendono la gestione del carcere non più sostenibile sotto alcun punto di vista, da quello igienico-sanitario a quello della sicurezza e dell'incolumità del personale addetto e degli stessi detenuti;
   la struttura appare nel suo complesso gravemente compromessa sia sul piano strutturale che igienico-sanitario: il carcere venne aperto nel 1871;
   nel corso della visita al 3° braccio l'interrogante ha potuto rilevare una condizione da vero e proprio lager con sottospecie di celle con muffa stratificata nelle pareti tale da renderle verdi con calcinacci sempre pendenti;
   si riscontra l'impossibilità per i detenuti di stare in tre contemporaneamente in piedi per mancanza di spazio, 3 letti a castello, l'ultimo dei quali ad un'altezza che rende impossibile al detenuto di stare seduto sul letto perché a diretto contatto con il soffitto;
   una stanza inferiore agli 8 metri quadri, dove 3 detenuti trascorrono dalle 20 alle 22 ore giornaliere e in tali spazi devono adempiere a tutte le necessità che la giornata comporta, dalla preparazione e consumazione del cibo (impossibile contemporaneamente per tutti e tre dato lo spazio insufficiente) all'espletamento delle loro esigenze igieniche e corporali;
   su di un approssimato piano di cemento è riposto una specie di cucinino e contiguo a questo un filo che con uno straccio appeso «oscura» il bagno alla turca;
   la mancanza di qualsiasi tipo di privacy, la gravissima restrizione degli spazi, la mancanza di qualsiasi tipo d'igiene rendono il carcere di San Sebastiano afflittivo e disumano con grave nocumento e pericolo per i detenuti e per tutto il personale penitenziario che opera nella struttura;
   la gravissima emergenza idrica rischia di provocare sommosse e tensioni difficilmente arginabili considerato che tutti i detenuti sentiti hanno manifestato un grado di tensione che lascia intendere un pericoloso stato di alterazione del già precario e compromesso equilibrio psicologico;
   i dati relativi al carcere di San Sebastiano sono eloquenti:
   nell'anno 2010:
    a) rapporti disciplinari 145;
    b) sciopero della fame 54;
    c) autolesionismo 43;
    d) tentati suicidi 8;
    e) suicidi 1;
   nell'anno 2011:
    a) rapporti disciplinari 222;
    b) sciopero della fame 52;
    c) autolesionismo 31;
    d) tentati suicidi 4;
   dai dati acquisiti risulta che nell'anno in corso il carcere è giunto ad ospitare 220 detenuti;
   la capienza dell'istituto, secondo la definizione da parte della direzione generale dei detenuti e del trattamento, prevede una ricettività regolamentare complessiva pari a 190 posti;
   la capienza tollerabile si eleva invece a 266 posti, ma la capienza regolamentare (ricalcolata con l'esclusione dei posti letto del secondo piano inagibile) è di 93 detenuti e quella tollerabile di 136;
   la popolazione detenuta attualmente è più del doppio di quella regolamentare e supera di ben 53 unità la capienza tollerabile;
   a questo si aggiunge una cronica e reiterata carenza di polizia penitenziaria (si oscilla tra il 40 e il 50 per cento);
   la struttura deve essere urgentemente chiusa con l'immediato trasferimento dei detenuti in una delle strutture nuove a disposizione del sistema carcerario sardo;
   qualsiasi ulteriore omissione deve essere perseguita, anche penalmente, in base alle norme relative alla salute pubblica, alla sicurezza dei luoghi adibiti a servizi pubblici e al soggiorno di persone;
   nella qualità di parlamentare e di cittadino a conoscenza del fatti e delle situazioni qui riportate il sottoscritto non esiterà a trasmettere entro le prossime 48 ore tali ipotizzate notizie di reato alle autorità competenti perché adottino le necessarie e conseguenti azioni –:
   se il Ministro della giustizia non intenda disporre già dalle prossime ore, con proprio atto contingibile ed urgente, lo svuotamento integrale del carcere di San Sebastiano con il trasferimento dei detenuti nel carcere di Tempio Nuchis da dotare delle relative misure di sicurezza con l'invio di almeno 150 nuovi agenti penitenziari;
   se il Ministro sia a conoscenza di tali condizioni disumane in cui operano decine di operatori penitenziari oltre che gli stessi detenuti;
   se non ritenga di dover disporre con provvedimento urgente e straordinario il trasferimento nelle nuove strutture carcerarie di quegli agenti nati e residenti in Sardegna che operano nelle carceri del Nord Italia al fine di sopperire alla cronica carenza di personale nelle carceri sarde consentendo nel contempo la chiusura del «lager» di San Sebastiano e l'apertura effettiva delle nuovi carceri costate all'amministrazione statale centinaia di milioni di euro. (4-00038)


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 230 del 1999 trasferisce alle regioni l'organizzazione ed alle Asl la gestione dei servizi sanitari negli istituti penitenziari;
   al fine di dare concreta attuazione alle disposizioni della predetta legge, l'articolo 2, comma 283, della legge del 24 dicembre 2007, n. 244, ha previsto l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per definire «il trasferimento al Servizio sanitario nazionale di tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia», nonché «le modalità e procedure (...) per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di lavoro in essere, anche sulla base della legislazione speciale vigente, relativi all'esercizio di funzioni sanitarie nell'ambito del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile;
   il comma 284 del citato articolo 2 ha poi previsto nelle more del trasferimento, la proroga dei rapporti di incarico, di collaborazione o convenzionali del personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena, non appartenente ai ruoli organici dell'amministrazione penitenziaria, in corso alla data del 28 settembre 2007;
   in attuazione al suddetto articolo 2 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008, il cui articolo 2 stabilisce che «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto (cioè dal 14 giugno 2008), vengono trasferite al servizio sanitario nazionale tutte le funzioni sanitarie svolte dal dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e dal Dipartimento della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 ha, dunque, sancito il passaggio definitivo delle funzioni di assistenza sanitaria nelle carceri dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale, prevedendo la costruzione di nuovi «modelli organizzativi» in grado, da un lato, di rispondere alle peculiarità del carcere e che possono integrarsi nei piani socio sanitari regionali, dall'altro, le predette norme seguono gli indirizzi generali di intervento che devono essere ulteriormente declinati alla luce delle specificità territoriali e della variegata popolazione composta dalle persone detenute o limitate della libertà dalla loro crescente domanda di salute e dagli istituti sempre più sovraffollati;
   in questo quadro normativo si innesta il decreto legislativo n. 140 del 2011, il quale prevede il trasferimento delle funzioni sanitarie svolte nell'ambito territoriale regionale dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal dipartimento per la giustizia minorile del Ministro della giustizia al servizio sanitario della regione (articolo 2 decreto legislativo n. 140 del 2011);
   l'articolo 3 del suddetto decreto legislativo prevede che la regione autonoma della Sardegna, nell'ambito della propria autonomia statutaria, disciplini con i propri provvedimenti l'esercizio delle funzioni trasferite e le relative modalità organizzative, gli obiettivi e gli interventi del servizio sanitario nazionale da attuare a tutela delle salute delle persone detenute;
   la regione Sardegna non ha dato seguito e attuazione al quadro normativo nazionale precedentemente evidenziato ed in conseguenza ciascuna azienda sanitaria locale della Sardegna, in merito ai rapporti di lavoro del personale sanitario, delibera, secondo le organizzazioni di categoria e i ricorsi presentati dagli operatori, sulla materia in modo assolutamente autonomo e contraddittorio in danno alla salute delle persone detenute e in danno alla professionalità, all'immagine e, in definitiva, ai diritti della persona scaturenti dal citato rapporto di lavoro;
   la conseguente mancata adozione di qualsiasi provvedimento tendente a disciplinare l'esercizio delle funzioni trasferite e le relative modalità organizzative comporta alcune conseguenze:
    la prima riguarda la circostanza che tale inerzia dell'amministrazione regionale possa provocare un'improvvisa interruzione dell'erogazione del servizio sanitario all'interno degli Istituti penitenziari, con grave pregiudizio per la salute delle persone detenute;
    la seconda riguarda i rapporti di lavoro del personale sanitario instaurati ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740;
   il personale sanitario rischia di essere sostituito con evidenti conseguenze sul piano della competenza alle patologie medico sanitarie dei detenuti;
   è appena il caso di ricordare la raccomandazione R(2006)2 del Consiglio d'Europa sulle regole penitenziarie europee: ogni istituto deve avere del personale adeguatamente formato per il servizio sanitario;
   la conseguente mancata adozione di qualsiasi provvedimento tendente a disciplinare l'esercizio delle funzioni trasferite e le relative modalità organizzative in grado, da un lato, di rispondere alle peculiarità del carcere e che possano integrarsi nel piano socio sanitario regionale, dall'altro in grado di individuare gli obiettivi e gli interventi del servizio sanitario nazionale da attuare a tutela delle salute delle persone detenute, comporta alcune conseguenze:
    a) la prima riguarda la circostanza che tale inerzia dell'amministrazione regionale possa provocare un'improvvisa interruzione dell'erogazione del servizio sanitario all'interno degli istituti penitenziari;
    b) la seconda riguarda i rapporti di lavoro del personale sanitario non in ruolo. In merito l'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo n. 140 del 2011 stabilisce che «I rapporti di lavoro del personale sanitario instaurati ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740, in essere alla data del 15 marzo 2008 sono trasferiti, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia alle Aziende sanitarie locali del Servizio sanitario nazionale nei cui territori sono ubicati gli istituti e servizi penitenziari e i servizi minorili di riferimento»;
   l'indiscussa competenza dei medici e degli infermieri attualmente in servizio, la loro specifica e riconosciuta preparazione, anche in virtù dei rapporti di lavoro, in alcuni casi, ultraventennali –:
   se nell'ambito della propria competenza specifica in materia carceraria più in generale, non ritenga necessario promuovere con urgenza una verifica della situazione in atto nelle carceri sarde relativamente alla questione sanitaria;
   se non ritenga indispensabile assumere ogni iniziativa di competenza per la definizione immediata della questione relativa all'attuazione della normativa nazionale che prevede, appunto, l'utilizzo del personale medico e paramedico già formatosi nel tempo nella gestione delle complesse patologie medico sanitario che si rilevano in carcere;
   se non ritenga di dover concordare con la regione Sardegna un piano funzionale al fine di recepire le disposizioni normative nazionali e comunitarie vigenti in materia di riforma della sanità penitenziaria, salvaguardando le professionalità e l'esperienza del personale medico già impegnato nelle strutture penitenziarie sarde;
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire il diritto alla salute dei detenuti delle carceri sarde, tutelando la professionalità sanitaria che sinora hanno operato nel sistema penitenziario. (4-00039)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la situazione nell'istituto penale per i minorenni di Quartucciu è stata rappresentata al sottoscritto da un'accorata e puntuale segnalazione del Sindacato autonomo polizia penitenziaria – segreteria regionale Sardegna e sottoscritta da decine di operatori;
   nella segnalazione si evidenzia come la situazione sia ormai divenuta insostenibile a causa della cronica carenza di personale di polizia penitenziaria che incide pesantemente sull'organico in servizio;
   nel corso degli anni l'organico nel carcere minorile ha subito una graduale e inesorabile decurtazione a causa del collocamento in congedo di unità mai reintegrate, passando, da un organico di 47 unità, alle attuali 27 (9 delle quali distaccate dal DAP);
   nel succitato già esiguo numero sono ricomprese le unità assenti per malattia (ad oggi 8, la maggior parte delle quali di lungo periodo ed a disposizione dell'ospedale militare);
   il quadro preciso della situazione è così rappresentato: otto unità sono in malattia, di cui tre con gravi problemi di salute e due in convalescenza a seguito dell'aggressione avvenuta lo scorso 10 ottobre 2011; un ispettore svolge le funzioni di comandante, oltre ad assicurare le mansioni dell'ufficio comando, ufficio servizi e ufficio conti correnti dei detenuti, inoltre, sempre per mancanza di personale è obbligato a svolgere in prima persona le traduzioni dei detenuti; due unità, si alternano nell'essenziale ufficio matricola, garantendo ogni giorno un turno operativo nella zona detentiva; una unità è parzialmente idonea al servizio, tanto da essere utilizzata limitatamente ai compiti di portineria e di centralinista; 1 unità è adibita al servigio sedentario, anche se, previo consenso della medesima, viene impiegata ugualmente a servizio a turno stante la drammatica situazione dell'organico; alcune unità attualmente sono in congedo ordinario (frequentemente richiamati in servizio per ovviare a impreviste incombenze);
   le restanti 11 unità sono impiegate in servizio operativo a turno H24, traduzione detenuti, avendo anche l'incombenza della ricezione degli arrestati presso il centro di prima accoglienza (esterno all'istituto) e di intervento su richiesta da parte della cooperativa addetta alla sorveglianza, in caso di arrestati di «difficile» gestione;
   il fabbisogno giornaliero (come stabilito in sede di contrattazione decentrata), per poter garantire un minimo di sicurezza, nonché garantire le attività trattamentali dei detenuti e di 15 unità operative, sono così suddivise: 6 la mattina, 6 il pomeriggio, 3 la notte (senza contare l'incombenza del centro di prima accoglienza);
   dai dati riportati si evince l'impossibilità di poter programmare il servizio, se non con massiccio ricorso allo straordinario e grazie alla dedizione di operatori della Polizia Penitenziaria i quali pur sacrificando i propri bisogni personali e familiari assicurano la continuità del servizio, con doppi e tripli turni lavorativi, superando ampiamente quanto stabilito dalla legge che prevede un massimo di 9 ore;
   il personale di polizia penitenziaria di Quartucciu usufruisce dei seguenti benefici, dettati dalle normative vigenti:
    6 unità beneficiarie di legge 104;
    2 beneficiari di permessi studio;
    6 unità beneficiano di congedi parentali;
   a tutt'oggi risultano non fruiti:
    307 giorni di congedo ordinario anno 2010, 860 giorni di congedo ordinario anno 2011;
    1141 giorni di congedo ordinario anno 2012, 222 giorni di riposi compensativi, 126 ore di recupero straordinario;
   risulta una media pro capite di circa 100 giorni di ferie ordinarie con punte di 130 giorni, nonché di una media di 12 riposi settimanali arretrati, con punte di 30 giorni;
   da quanto su esposto si evince l'impossibilità di poter fruire dei basilari diritti soggettivi quali: riposi settimanali e/o compensativi, il congedo ordinario ridotto ai minimi termini (anche in considerazione del piano ferie estivo), tutti i benefici sanciti dal regolamento del corpo di polizia penitenziaria e dall'accordo nazionale quadro;
   occorre inoltre tenere nel debito conto le assenze giornaliere legate a possibili malattie emergenti;
   si rileva il livello ormai preoccupante della sicurezza, in considerazione della nuova escalation di reati perpetrati dalla popolazione detenuta nei confronti dei vari operatori, sfociata nell'ultima aggressione di 1 poliziotto in data 22 giugno 2012 da parte di un giovane adulto sud americano;
   vani sono stati i tentativi di chiedere personale al centro giustizia minorile di Cagliari e al dipartimento giustizia minorile di Roma i quali da anni, pur impegnandosi a fornire personale, continuano ad avere una totale indifferenza nei confronti dei problemi della polizia penitenziaria dell'istituto penitenziario minorile di Quartucciu;
   il problema del personale non è temporaneo, ma si trascina da anni parallelamente al livello della sicurezza, sempre più compromessa, sino a raggiungere gli attuali standard, ripercuotendosi anche sulle attività trattamentali; le quali non possono essere seguite con la dovuta attenzione e fanno sì che il carcere minorile sia da considerarsi una vera e propria polveriera;
   i ristretti, beneficiano pienamente del trattamento previsto per i minori (un minimo di 8 ore di attività in comune e pasti consumati sempre in comune nella locale mensa) e, pur usufruendo pienamente dei propri diritti, sentono sempre meno la presenza delle istituzioni, anche in virtù del fatto che la poca Polizia Penitenziaria presente, è ormai «fiaccata» da turni massacranti (ciò si ripercuote inesorabilmente sulla qualità del servizio) e non ha la possibilità di fronteggiare possibili fatti di importante gravità, in quanto l'agente nel posto di servizio è spesso solo e impossibilitato a comunicare anche in casi estremi con gli altri componenti del turno;
   tutto questo fa si che gli agenti siano esposti al rischio di eventi critici e aggressioni ormai abituali, e che non si possa garantire l'incolumità personale, sia della popolazione detenuta, che dei vari operatori, nonché la sicurezza dell'istituto stesso –:
   se non ritenga di dover immediatamente intervenire con provvedimenti urgenti al fine di sanare la difficile e cronica situazione del carcere minorile di Quartucciu;
   se non intenda con urgenza disporre la copertura dei posti in organico al fine di evitare il ripetersi di fatti incresciosi che minano l'incolumità stessa degli agenti di polizia penitenziaria e mettono a repentaglio la stessa sicurezza della struttura penitenziaria;
   se non intenda consentire al personale di polizia penitenziaria di poter usufruire di tutti i diritti previsti dai contratti di lavoro e che secondo quanto risulta all'interrogante risultano nella struttura di Quartucciu nella sostanza totalmente ignorati;
   se non ritenga di dover valutare l'opportunità di un'immediata ricognizione dell'intera struttura anche in relazione allo svolgimento delle attività trattamentali che in un carcere minorile assumono urgenza e importanza ancora più rilevante proprio perché trattasi di minori. (4-00040)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della giustizia ha in animo di trasferire detenuti pericolosi di alta sicurezza 1 presso gli istituti penitenziari sardi;
   la possibilità di trasferire i detenuti più pericolosi negli istituti penitenziari dell'isola riveste una serie di rilevanti problemi di varia natura da quelli sociali ed ambientali sino a quelli trattamentali e di natura economica;
   prima di tutto esistono gravi problematiche sociali ed ambientali, legate alle infiltrazioni mafiose camorristiche ecc.;
   in Sardegna, il problema di contatto con la criminalità organizzata è ben minore rispetto ad altre regioni meridionali, dove c’è la mafia, la camorra, la ’ndrangheta;
   la Sardegna risulta estranea da infiltrazioni di questo tipo;
   il trasferimento di tali detenuti comporterebbe un altissimo rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata, basti considerare il disagio delle famiglie di questi di doversi spostare per effettuare colloqui, consegnare pacchi di beni di consumo e di vestiario, che indurrebbe le stesse a trasferirsi in Sardegna pur di stare a contatto diretto e costante con i propri congiunti detenuti;
   la Sardegna in questo momento particolare si trova in una posizione di estrema vulnerabilità, ha diversi problemi strutturali e congiunturali che potrebbero aggravarsi ulteriormente comportando un'ulteriore disgregazione sociale e territoriale;
   rispetto a tele debolezza è necessario intervenire con progetti di sviluppo che fungano piuttosto da collante nei confronti della popolazione, che mitighino il senso di insicurezza individuale e collettivo e salvaguardino l'isola quale terra incontaminata da tale tipo di criminalità;
   la commistione che si vuole creare tra le varie culture rischia di incidere in modo determinante sui fattori di criticità enucleati e sul senso identitario;
   si vuole impiegare lo spazio penitenziario a disposizione con detenuti (peraltro pericolosi) di altre regioni mentre i detenuti sardi si trovano in altri istituti della penisola e chiedono, da tempo, di poter rientrare in Sardegna;
   tale condizione dei detenuti sardi contrasta inoltre con il principio di territorializzazione della pena che preferisce la collocazione dei detenuti in prossimità dei luoghi di origine per stare più vicini alla famiglia;
   stessa considerazione va fatta, con una più pressante e dovuta attenzione, per i poliziotti penitenziari sardi che si trovano nella penisola e che vorrebbero tornare nella propria terra natale;
   la vicinanza culturale, linguistica, è fondamentale nelle carceri;
   i detenuti sardi dovrebbero essere dislocati in istituti sardi e confrontarsi, anche da un punto di vista trattamentale, con operatori del luogo di origine che sono sicuramente più in grado di interpretarne le specifiche esigenze;
   così stabilisce l'articolo 13 dell'ordinamento penitenziario sulla individualizzazione del trattamento rieducativo;
   tale trattamento, infatti, (così stabilisce la legge) deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto e l'osservazione deve essere orientata a rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale;
   la conoscenza del retroterra culturale per l'individuazione delle cause del disadattamento sociale, da parte degli operatori di riferimento, è da considerarsi elemento preferenziale nella scelta della collocazione penitenziaria del detenuto;
   nella scelta, quindi, bisognerebbe privilegiare l'aspetto di conoscenza, dimestichezza ed esperienza degli operatori piuttosto che fattori di tipo politico-strategico;
   sul piano educativo-trattamentale valgono le seguenti considerazioni: l'alta concentrazione di detenuti appartenenti alla criminalità organizzata e alla delinquenza più efferata, di rilevante pericolosità sociale (e individuale) potrebbe creare problemi di gestione per gli educatori che sono già in numero inadeguato e non hanno, inoltre, la formazione specifica per tale trattamento;
   molti educatori sono stati, infatti, reclutati di recente e non dispongono di una preparazione ad hoc per il trattamento di questi soggetti poiché il Ministero, nonostante il progetto di cui si discute, non ha ancora attivato corsi di formazione specifici per la gestione educativa di tale particolare categoria di detenuti;
   anche le «vecchie leve», non essendo mai sorto il problema in passato, risultano sprovviste di un'impostazione criminologica di tipo operativo del genere descritto e si trovano impreparati nel fronteggiare questa nuova ondata delinquenziale;
   esistono poi problemi di carattere economico: i trasferimenti, le diverse traduzioni, pesano enormemente sulle casse del Ministero;
   queste risorse economiche potrebbero, invece, essere utilizzate in modo più adeguato e mirato alle reali esigenze sarde;
   è indispensabile intervenire per eliminare gli sprechi pubblici e programmare una gestione oculata delle risorse finanziarie in funzione degli obiettivi che si vogliono raggiungere –:
   se non ritenga, alla luce delle predette valutazioni e considerazioni, di dover revocare i massici trasferimenti di detenuti AS1 nella regione Sardegna con particolare riferimento al carcere di Massama-Oristano;
   se non ritenga alla luce dell'articolo 13 dell'ordinamento penitenziario sulla individualizzazione del trattamento rieducativo di dover attuare una politica tesa a favorire la dislocazione dei detenuti sardi in istituti sardi al fine di confrontarsi, anche da un punto di vista trattamentale, con operatori del luogo di origine che sono sicuramente più in grado di interpretarne le specifiche esigenze;
   se non ritenga di dover favorire nelle carceri della Sardegna la vicinanza culturale e linguistica;
   se non ritenga di dover privilegiare l'aspetto di conoscenza, dimestichezza ed esperienza degli operatori piuttosto che fattori di tipo politico-strategico;
   se non ritenga alla luce delle considerazioni in premessa di dover perseguire nella pianificazione gestionale delle carceri sardi e non solo il principio di territorializzazione della pena che preferisce la collocazione dei detenuti in prossimità dei luoghi di origine per stare più vicini alla famiglia;
   se non ritenga, proprio alla luce delle dichiarate esigenze di risparmio economico e gestionale, di dover scongiurare tale trasferimento di detenuti provenienti dal 41-bis e collocati nell'AS1, proprio perché appaiono rilevanti i problemi di carattere economico legati ai trasferimenti, alle diverse traduzioni che pesano enormemente sui bilanci del Ministero e dello Stato in termini più complessivi.
(4-00044)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 5 ottobre 2012 il sottoscritto interrogante unitamente ad una delegazione dell'Ugl composta da Salvatore Argiolas – segretario regionale –, Libero Russo – segretario provinciale di Nuoro – e Marco Arca –rappresentante locale, ha visitato la casa circondariale di Macomer;
   la drammaticità in cui versa l'istituto a causa della forte carenza di personale di polizia penitenziaria è apparsa ancor più evidente di quella ampiamente rappresentata in precedenti atti di sindacato ispettivo rivolti al Ministero della giustizia;
   a titolo esemplificativo si rappresenta un dato numerico che rappresenta la gravità della situazione nel carcere di Macomer: a fronte delle 34 unità di polizia penitenziaria necessarie per il normale espletamento di ogni singolo turno di servizio, risultano attualmente disponibili solo 37 unità complessive in organico, per l'articolazione dei quattro turni di servizio giornalieri, al netto di assenze a vano titolo ma comunque, quotidiane;
   appare scandaloso e inaccettabile sul piano gestionale e della sicurezza degli stessi agenti, nonostante l'elevata professionalità, che quelli in servizio nel turno serale del 4 ottobre fossero appena 3 con gravissimi rischi per l'intera struttura;
   a seguito degli ultimi movimenti relativi alle assegnazioni del personale nella regione Sardegna, specialmente per l'apertura dei nuovi istituti penitenziari di Tempio ed Oristano, l'istituto di Macomer risulta gravemente carente di personale;
   nel dettaglio, si specifica che, in attuazione dei trasferimenti suddetti, a fronte di n. 16 unità in uscita, risultano in ingresso solo n. 4 unità in quanto altre due erano già distaccate in Istituto;
   risultano inoltre trasferite l'unità addetta al sopravvitto, quella all'ufficio segreteria, quella all'ufficio paghe e ben 6 unità precedentemente in servizio presso la sezione AS col risultato che in tale reparto nei turni serali e notturni presta servizio una sola unità;
   non c’è giorno che non venga chiesto ulteriore sacrificio personale alle unità impiegate al nucleo traduzioni e piantonamenti e si segnalano perfino casi limite di ispettori costretti ad effettuare il servizio di portineria;
   sei unità risultano assenti da tempo per aspettativa ed ormai prossimi al collocamento in quiescenza, come d'altronde già avvenuto nel mese di settembre con un sovrintendente per sopraggiunti limiti di età;
   in estrema sintesi l'organico risulterebbe deficitario di oltre 20 unità, cifra certamente precaria in considerazione della particolare tipologia dello stesso Istituto e dei soggetti ivi ristretti;
   la situazione attuale crea evidenti problemi gestionali nell'organizzazione del servizio: non si riesce a coprire i posti di servizio essenziali col personale costretto a ricoprire più posti di servizio contemporaneamente, spesso non si riesce ad usufruire del riposo settimanale o addirittura del congedo ordinario e straordinario per far fronte ad improvvise esigenze familiari;
   nel corso della visita si è riscontrata nonostante l'emergenza, l'operatività ed il forte spirito di abnegazione del personale di polizia penitenziaria in servizio e dell'eccellenza del nucleo operativo cinofili;
   la criticità, a Macomer come nel resto degli istituti penitenziari della Sardegna, è aggravata dalla mancata applicazione delle linee guida emesse dalla regione Sardegna in materia di sanità penitenziaria, a seguito del passaggio della relativa competenza alla ASL;
   situazione questa che rischia di minare la sicurezza sanitaria e la logistica delle strutture con oltre 200 detenuti;
   le due strutture che si riferiscono alla ASL n. 3 di Nuoro sono palesemente inadempienti, Nuoro e Mamone, con un servizio irregolare che mina l'impianto della garanzia della salute dei detenuti e, ovvio riflesso, degli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria;
   risulta molto grave l'incuria nella mancata apertura dei punti di primo intervento (P.I.P.), obbligatori per le strutture suddette entro i termini della stessa messa a regime del passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della giustizia alle ASL –:
   se non ritenga dover intervenire per garantire la copertura dei posti in organico in un carcere di alta sicurezza come quello di Macomer;
   se non ritenga necessario ripristinare le più elementari condizioni di sicurezza messe a repentaglio dalla cronica e aggravata carenza di organico destinato alla vigilanza e alla gestione della struttura carceraria;
   se non ritenga di dover intervenire al fine di riassegnare al carcere di Macomer quelle figure professionali necessarie al corretto funzionamento della struttura;
   se non ritenga di dover intervenire nel quadro del passaggio della sanità penitenziaria alla regione Sardegna al fine di raccordare l'organizzazione e l'ottimizzazione delle competenze sanitarie con quelle della sicurezza penitenziaria posto che appare indissolubile il legame tra queste due competenze gestionali;
   se non ritenga di dover sollecitare l'attuazione all'interno delle strutture penitenziarie di quei presidi di primo intervento che risultano indispensabili nelle strutture con oltre 200 detenuti;
   se non ritenga di dover disporre il trasferimento nel sistema penitenziario dell'isola di quel personale nato e residente in Sardegna che abbia chiesto l'avvicinamento nella propria terra d'origine al fine di colmare le oltre 500 unità necessarie per l'apertura dei nuovi carceri e l'ottimizzazione funzionale degli altri.
(4-00045)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nella legge finanziaria relativa all'anno 2008/2009 non sono stati inseriti parte dei fondi destinati ai cosiddetti «servizi universali» delle FS;
   la cifra mancante dovrebbe essere di 300 milioni di euro, di cui 24 riguarderebbero il trasporto delle merci da e per la Sardegna;
   Trenitalia ha deciso di interrompere il traghettamento delle merci, in parte minima per la Sicilia e in misura totale per la Sardegna;
   in Sardegna non esiste trasporto ferroviario interno delle merci, ma solo da e per il continente; dai prossimi giorni sarà completamente assente tale modalità di trasporto;
   nel passato, fino ai primi anni ’90, il collegamento col continente era garantito da sei navi miste (carri ferroviari, auto e passeggeri) che hanno consentito di raggiungere punte di due milioni di tonnellate annue trasportate;
   con la progressiva dismissione delle navi, mai sostitute, dal 2003 è in funzione la sola Garibaldi, con una capacità di circa 40 carri merci, poco efficiente, obsoleta, molto costosa e con lunghi periodi di fermo per manutenzione;
   le tonnellate annue trasportate sono ridotte a meno di 600.000, prevalentemente minerali (argilla, sabbie e feldspati per Modena-Sassuolo, granito, prodotti chimici di Ottana e Porto Torres);
   il traghettamento ferroviario ha un costo interno circa doppio rispetto alla concorrenza privata e per questo motivo nel 1999 è stato finanziato uno studio di fattibilità per razionalizzare il trasporto ferroviario merci in Sardegna e trovare soluzioni alternative al traghettamento del carro;
   lo studio è stato affidato nel 2001, ed è stato consegnato nel marzo 2003;
   lo studio propone, dopo un'analisi dei costi delle modalità di trasporto interno ed esterno, di realizzare le strutture che consentono l'intermodalità diretta ferro-nave dai due principali porti del nord Sardegna, innanzitutto Olbia (porto industriale) e in seconda battuta Porto Torres, e di attuare il trasporto interno all'isola con carri ferroviari atti al trasporto di contenitori e semirimorchi;
   lo studio propone anche la realizzazione di un centro intermodale a Borore che consentirebbe di servire tutta la zona di Ottana e il comprensorio delle argille di Orani, ed evidenzia la poca utilità del centro intermodale di Porto Torres lontano dal porto e dalla stazione ferroviaria, approvato e finanziato negli anni ’90;
   dette strutture sono indispensabili perché la Sardegna possa avere le condizioni operative e logistiche che consentano di abbattere i costi di trasporto;
   la Sardegna, già penalizzata per via dell'insularità, è l'unica regione d'Italia a non avere i porti e le zone industriali collegati con la ferrovia;
   Olbia, dove si concentra circa l'ottanta per cento delle merci in ingresso e in uscita (si parla del mercato di trasporto privato), prevalentemente riguardanti il sud Sardegna collegato via camion (circa 600 pezzi al giorno) non ha alcun raccordo ferroviario col porto, e per realizzarlo occorre una linea di 4 chilometri e un fascio di binari sul porto industriale;
   a Porto Torres esiste un collegamento ferroviario oggi inutilizzato, di proprietà dell'Area di sviluppo industriale, che arriva a poche centinaia di metri dal porto commerciale; l'intervento sarebbe quindi poco costoso;
   il porto di Golfo Aranci non ha gli spazi necessari per realizzare l'intermodalità e l'Autorità portuale ha già deliberato, su richiesta del comune, di spostare l'attracco della nave FS al porto industriale di Olbia, per destinare Golfo Aranci a servizi passeggeri e turistici;
   ma è stato accantonato proprio dal gruppo FS che al contrario della Regione non doveva sostenere alcun costo;
   lo studio consente non solo di dimezzare i costi di traghettamento delle merci, evitando l'attuale trasporto marittimo del vagone che incide per oltre il 30 per cento del peso trasportato, ma anche di utilizzare il libero mercato delle navi private con la possibilità di scegliere i porti di destinazione più opportuni;
   dopo la scelta dell'interruzione del trasporto da parte di Trenitalia seppure con notevole ritardo la Regione si è dichiarata disponibile a finanziare il collegamento al porto di Olbia;
   Trenitalia avrebbe deciso di non aspettare la realizzazione e ha ribadito la decisione di interrompere il servizio di trasporto dai prossimi giorni;
   il Consorzio industriale Nord Est di Olbia ha commissionato da tempo il progetto del raccordo ferroviario e del Centro intermodale nel porto industriale;
   detto progetto è stato esaminato e condiviso da una commissione mista FS-Regione;
   il costo stimato è di 75 milioni di euro e comprende 4 chilometri di linea, il centro intermodale, le gru per il carico dei contenitori e l'invasatura per una nave FS;
   le opere indispensabili possono farsi con risorse molto inferiori –:
    se il Governo intenda intervenire al fine di far proseguire il trasporto ferroviario in Sardegna fino alla realizzazione delle opere;
   se il Governo sia a conoscenza del rischio di chiusura di aziende come la Keller di Villacidro e l'Equypolimers di Ottana, che utilizzano la ferrovia;
   se il Governo sia a conoscenza dell'impossibilità della sopravvivenza dell'Equypolimers in caso di chiusura del trasporto ferroviario;
   se il Governo non intenda intervenire al fine di impedire la sospensione del servizio di trasporto ferroviario, impartendo apposite urgenti direttive agli organismi competenti.
(2-00004) «Pili».

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è verificato un crollo di un ponte lungo la ex strada statale 176 Pozzitello-Craco in provincia di Matera;
   si tratta di un'arteria molto importante che collega la Val d'Agri alla Val Basento e serve importanti comunità che dopo il crollo sono isolate;
   a seguito di un vertice in prefettura si è stabilito un intervento tampone per un percorso alternativo che però è comunque complicato per via di una viabilità tutta da aggiustare e inadatta e non risolutiva della vera emergenza che si è venuta a determinare. Anche se si tratta di viabilità provinciale è impossibile non valutare la gravità della situazione anche per lo Stato e quindi poiché la strada in questione collega due statali la strada statale 407 Basentana con la strada statale 598 Fondovalle dell'agri diventa fondamentale un interessamento anas –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per attivare interventi in grado di risolvere il problema creato dal crollo del ponte e ripristinare la viabilità ordinaria che non pochi disagi sta creando a studenti, lavoratori, operatori economici e comunità del materano. (3-00002)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea il 20 gennaio 2012 ha avviato un'indagine approfondita sulla proposta di concentrazione tra CIN e Tirrenia;
   nella comunicazione ufficiale è scritto che la Commissione europea ha aperto, ai sensi del regolamento sulle concentrazioni, un'indagine approfondita sulla prevista acquisizione del controllo congiunto di un ramo del gruppo Tirrenia, di proprietà statale, da parte di Compagnia italiana di navigazione («CIN»). La Commissione ha dubbi sulla conformità dell'operazione alle norme in materia di concorrenza: infatti, le parti in causa detengono congiuntamente quote di mercato molto elevate – se non una vera e propria posizione di monopolio – su numerose rotte marittime italiane, soprattutto da e verso la Sardegna. La decisione di procedere a un esame approfondito non pregiudica l'esito finale dell'indagine. Da questo momento, la Commissione dispone di 90 giorni lavorativi, fino al 4 giugno 2012, per decidere in via definitiva se la concentrazione proposta è tale da ostacolare in modo significativo la concorrenza effettiva all'interno dello Spazio economico europeo (SEE);
   sino alla data del 4 giugno 2012 resta dunque sospesa e indefinita la procedura di privatizzazione della Tirrenia;
   appare evidente che nessuna pianificazione gestionale potrà essere svolta per l'anno 2012 se non dalla gestione commissariale pubblica della Tirrenia che dispone di imponenti risorse pubbliche al fine di garantire la continuità territoriale marittima da e per la Sardegna;
   la fallimentare gestione commissariale della Tirrenia, che per responsabilità dirette ha provocato lo scorso anno un disastro economico senza precedenti per la Sardegna, si è resa responsabile non solo di non aver svolto la funzione di calmiere del mercato ma ha contribuito con l'eliminazione di rotte strategiche convenzionate come la rotta Olbia-Genova all'incremento, se non alla generazione, di un processo speculativo di una gravità inaudita;
   in tale contesto appare fin troppo evidente che la Tirrenia ha proposto tariffe analoghe a quelle dei privati, utilizzando, però, nel contempo oltre 72 milioni di euro all'anno per quelle stesse tratte;
   risulta totalmente incomprensibile che una compagnia pubblica applichi tariffe di fatto private pur percependo ingenti risorse pubbliche per la sovvenzione di tratte iscritte nelle convenzioni come soggette al regime di servizio pubblico;
   è il caso di richiamare il caso della rotta Olbia-Genova che risulta iscritta tra quelle in regime di continuità territoriale come si evince dal seguente articolo: «Art. 3. (Servizi da eseguire). – 1. La Società si impegna ad esercitare per tutta la durata della presente Convenzione i seguenti servizi di collegamento marittimo: a prevalente trasporto passeggeri: Napoli-Palermo (stagionale invernale); Genova-Porto Torres (stagionale invernale); Genova-Olbia-Arbatax; Napoli-Cagliari; Cagliari-Palermo; Cagliari-Trapani; Civitavecchia-Cagliari-Arbatax; Civitavecchia-Olbia (stagionale invernale); Termoli-Tremiti»;
   nella stessa convenzione è disciplinata la tipologia di servizio a partire dalle frequenze del servizio e così come si rileva nel dispositivo della convenzione di seguito riportati si prevede un servizio annuale della rotta Genova-Olbia: «Allegato A – Assetto dei servizi per singola linea; 2) Periodicità Del Servizio e Frequenze Minime:
    a) Periodicità annuale: I. verso la Sardegna: almeno tre partenze settimanali, in giorni diversi, da Genova verso Olbia, con almeno due prolungamenti settimanali ad Arbatax, distanziati di almeno due giorni; II. verso Genova: almeno due partenze settimanali da Arbatax con approdo intermedio ad Olbia, più un'ulteriore partenza da Olbia;
    b) Frequenze nel periodo di alta stagione (periodo che va dalla terza settimana di luglio alla prima settimana di settembre): I. verso la Sardegna: almeno cinque partenze settimanali, in giorni diversi, da Genova verso Olbia, con almeno due prolungamenti settimanali ad Arbatax, distanziati di almeno due giorni; II. verso Genova: almeno due partenze settimanali da Arbatax con approdo intermedio ad Olbia, più ulteriori tre partenze da Olbia;
    c) Gli orari per i collegamenti notturni devono prevedere una partenza a partire dalle 18,00 ed arrivo il giorno seguente»;
   dal sito internet della società Tirrenia si evince, invece, che la rotta Olbia-Genova e viceversa è stata interrotta senza alcuna giustificabile e credibile motivazione se non quella di favorire i soggetti privati che operano su quelle stesse rotte, oltre che per il periodo invernale anche per quello estivo con un disorientamento dei possibili clienti della stessa stagione estiva;
   tra le rotte che sta esercitando la Tirrenia risulta la Civitavecchia-Olbia e viceversa;
   nella simulazione dei costi, in data analoga con altra compagnia e con analoghe caratteristiche del servizio richiesto appare sin troppo evidente che la compagnia Tirrenia stia lucrando sul servizio di continuità territoriale per il quale fruisce di ben 72 milioni di euro all'anno;
   per una sola andata Civitavecchia-Olbia, con la Tirrenia un passeggero non residente, con un'auto sotto i 4 metri in cabina esterna paga 122 euro, comprendendo oltre 55 euro di oneri vari, diritti portuali e prevendita;
   la compagnia Saremar, di proprietà regionale, svolge lo stesso analogo servizio con una partenza nello stesso giorno, ma 15 minuti dopo con un costo di 104 euro, ovvero con 17 euro in meno;
   la stessa compagnia Saremar calcola tasse complessive per 13,70 euro a fronte di 55 euro di Tirrenia;
   un maggior costo che non solo appare ingiustificato ma che risulta gravissimo se si considera che la Tirrenia per quello stesso servizio invernale riceve una compensazione di oltre 72 milioni di euro;
   sulle principali rotte da e per la Sardegna da ormai oltre un anno è in atto, ad avviso degli interroganti, una vera e propria speculazione sui costi dei trasporti marittimi da e per la Sardegna con incrementi dal 60 a oltre il 100 per cento sulle tariffe rispetto alla precedente stagione;
   sono state censite dalle associazioni degli emigrati sardi che operano nel Nord Italia situazioni di aggravio che in alcuni casi registrano incrementi superiori al 100 per cento;
   un indebito aumento dei costi dei biglietti di navigazione che non solo non trova riscontro in oggettive motivazioni, considerato che nessun fattore di costo risulta incrementato in un anno di tale entità, ma proprio per la Sardegna tale aumento risulta essere illogico, irragionevole e discriminatorio;
   tutti gli indicatori sulle prenotazioni per la stagione estiva 2012 fanno registrare una grave contrazione delle potenziali presenze facendo registrare considerevoli cali sia nelle strutture ricettive che in quelle residenziali che si aggiungono alla già disastrosa stagione 2011;
   tale ormai insostenibile situazione provoca, come sta provocando, un danno insostenibile al già precario sistema economico della Sardegna con particolare riferimento a quello turistico sardo;
   alla luce del perdurare di questa palese distorsione del mercato appare indispensabile a giudizio degli interroganti valutare se le compagnie di navigazione non stiano perseguendo una condotta ai limiti dell'abuso di posizione dominante e della costituzione di un cartello speculativo ai danni della Sardegna;
   la mancata corretta predisposizione e gestione dei piani tariffari solleva il legittimo sospetto di una grave alterazione del mercato dei trasporti marittimi da e per la Sardegna;
   la grave situazione perpetrata ai danni della Sardegna risulta del tutto intollerabile in considerazione del fatto che un'intera regione risulta essere in una situazione di vero e proprio isolamento dal punto di vista dei trasporti sia nei mari che nei cieli, rendendo proibitiva la mobilità tra regioni e minando alla radice il diritto costituzionale alla mobilità, alla coesione e ad un equo trattamento tra regioni e cittadini europei;
   il danno che stanno subendo la Sardegna e i sardi rischia di essere irrimediabile sia per le ripercussioni sul sistema integrato del turismo che per le gravi ricadute sul piano occupazionale;
   il profilo che s'intende sollevare relativamente all'ipotizzato abuso di posizione dominante si configura in maniera ancora più evidente considerato che tale incremento indiscriminato delle tariffe di viaggio ha coinciso con l'assenza sul mercato della società Tirrenia che, con la reiterata decisione immotivata e ingiustificabile, confermata nella stagione 2012, di non attivare alcune tratte tra la Sardegna e i porti italiani, ha di fatto favorito secondo gli interroganti fenomeni e pratiche speculative;
   la Tirrenia, infatti, non attuando il contratto di servizio e l'obbligo alla continuità territoriale da e per la Sardegna, non ha svolto la consueta e obbligatoria funzione calmieratrice del mercato, consentendo di fatto, di fatto in concorso con le compagnie di navigazione private di svolgere una vera e propria azione speculativa ai danni della Sardegna e dei sardi;
   le norme in materia di concorrenza vietano le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, come sta accadendo sui trasporti da e per la Sardegna;
   in base alla normativa vigente è vietato fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali e di fatto realizzare un cartello anti-Sardegna;
   la norma risulta essere esplicita anche per quanto riguarda l'abuso di posizione dominante di una o più compagnie di navigazione all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante;
   risulta, secondo la normativa vigente, vietato imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. È vietato impedire o limitare la mobilità a danno dei consumatori;
   il diritto alla mobilità è diritto fondamentale ed inalienabile e la sua limitazione costituisce un'esplicita limitazione di un servizio pubblico fondamentale;
   uno dei temi centrali è chiaramente quello della posizione dominante. In particolare nel caso in questione si può configurare secondo gli interroganti «una posizione dominante collettiva, nel senso previsto dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia»;
   l'evoluzione del concetto di posizione dominante collettiva si può sinteticamente così riassumere: «la Corte di Giustizia ha più volte ribadito che la posizione dominante collettiva di più imprese è costituita dalla sussistenza in comune, a causa dei fattori di correlazione tra esse esistenti, dei potere di adottare nel mercato una medesima linea di azione e di agire prevalentemente in maniera indipendente dagli altri contraenti, dalla loro clientela e dagli stessi consumatori». I fattori di correlazione tra le due imprese, in particolare, sono stati individuati nella partecipazione azionaria in una delle imprese, nella rappresentanza sussistente nel consiglio di amministrazione, nei legami economici diretti per lo scambio tra acquisti e finanziamenti, per le attività di promozione e di pratica degli sconti (tutto ciò nell'ambito di una relazione commerciale verticale, con società madre e società figlia);
   la considerazione della posizione dominante collettiva è stata determinata con chiarezza inizialmente dalla sentenza Vetro Piano (tribunale I grado 10 marzo 1992, cause riunite T-68, 77 e 78/89), che ha considerato come partecipanti alla posizione collettiva dominante due o più imprese, anche se reciprocamente indipendenti, ma unite da vincoli economici tali da condizionare il mercato in virtù di tale posizione congiuntamente detenuta (nel periodo precedente si era sostenuto da alcuni che una posizione dominante collettiva ai sensi dell'articolo 82 del Trattato CE era possibile solo tra imprese appartenenti allo stesso gruppo e cioè prive di autonomia economica, anche se indipendenti sotto il profilo giuridico, con una interpretazione restrittiva contrastante con la stessa nozione di impresa elaborata dal giudice comunitario con riferimento all'articolo 81 del Trattato, come soggetto autonomo; la Commissione ha invece nella specie sostenuto la tesi di più imprese in posizione dominante anche se autonome sia sotto il profilo giuridico che economico; ha inoltre inteso estendere l'istituto della posizione dominante collettiva anche in materia di disciplina delle concentrazioni, onde poter controllare i mercati a struttura oligopolistica);
   la successiva evoluzione del concetto di posizione dominante collettiva comprende anche il campo del duopolio (pronuncia della Commissione sul caso di concentrazione Nestlé/Perrier del 22 luglio 1992), con l'estensione della tutela del regolamento sulle concentrazioni al caso di posizione dominante di oligopolio da parte di più imprese, di cui una esterna all'accordo di concentrazione (non diverso ai fini concreti da quello in cui è una sola l'impresa dominante nel mercato);
   una ulteriore evoluzione nella considerazione della tutela ai sensi dell'articolo 82 del Trattato CE è costituita da altre decisioni della Corte di giustizia e del tribunale del I grado in materia di posizione dominante collettiva;
   quest'ultimo, con sentenza del 25 marzo 1999 (causa T-102/96; Gencor Ltd c. Commissione europea, pubblicata in Foro it., 2000, IV, 328, con nota di M. Giordano) ha condiviso la tesi sostenuta dalla Commissione, ritenendo applicabile il regolamento (CE) n. 4064/1989 anche al caso di posizione dominante di imprese, che agiscono su un mercato in condizione di oligopolio, senza necessità di vincoli strutturali tra le imprese, ma con una situazione di mercato in cui si determina una forte tendenza conseguenziale ad allineare i comportamenti nel senso dell'aumento dei prezzi, con la ricerca del massimo profitto (in tal senso è anche la decisione della Corte di giustizia del 31 marzo 1998 – Kali und salz Gmbh, pubblicata in Foro it., 1999, IV, 183, con nota di Tesauro);
   una soluzione diversa, si osserva nella decisione, avrebbe comportato una vanificazione dell'applicabilità delle prescrizioni del regolamento (CE) n. 4064/89 sulla concorrenza, che sarebbe stato non estensibile al caso di partecipazione di imprese esterne al rafforzamento della posizione dominante; viene così confermato il superamento della tesi iniziale della giurisprudenza che limitava la tutela della posizione dominante collettiva all'applicazione dell'articolo 82 del Trattato CE, caratterizzata dall'esistenza di vincoli strutturali tra le imprese, e viene estesa la tutela al caso dell'esistenza tra le imprese interessate di una situazione di oligopolio ristretto;
   l'articolo 16 della Costituzione recita: ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche;
   l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e – rettifiche – GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34), così dispone: «La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo»;
   è evidente che il costo del servizio può essere un grave impedimento alla mobilità e che pertanto per il pieno esercizio del predetto diritto risulta indispensabile anche un costo dello stesso accessibile;
   in questo senso si richiama la proposta del Presidente di Assoutenti Mario Finzi di definizione del servizio pubblico in generale: costituisce «servizio universale» il servizio pubblico ovvero di pubblico utilità, anche regionale e locale, ovvero di preminente interesse nazionale, svolto da soggetti pubblici a privati, che deve essere reso obbligatoriamente dai concessionari a tutti gli utenti, sull'intero territorio nazionale, indipendentemente dalla ubicazione geografica degli stessi, e a prezzi accessibili;
   il sistema delle infrastrutture influenza in maniera considerevole i flussi verso le località turistiche (in particolare verso le Isole) specialmente alla luce delle attuali tendenze nell'uso del prodotto che vedono l'abbreviarsi della durata delle vacanze e una loro ripetizione nell'arco dell'anno. La facilità e la velocità di accesso (oltre ai costi) diventano, dunque, variabili essenziali nelle potenzialità di sviluppo. In merito al traffico marittimo di passeggeri la Sardegna si trova a competere sul mercato italiano con la Campania, la Sicilia, la Toscana, la Calabria, mentre sul piano internazionale con la Grecia, la Francia, la Croazia e la Spagna che segnala una crescita costante. È immaginabile il danno che deriverà alla Sardegna e in particolare alle province della Gallura, di Sassari e Cagliari; è infatti innegabile la rilevanza economica del comparto nell'isola. È sufficiente ricordare che per comprendere l'apporto economico del turismo in Sardegna occorre considerarlo non solo come economia allargata dei viaggi e del turismo, secondo quanto definito dal WTTC (World Travel and Tourism Council), ma è necessario ed indispensabile considerare altre attività come quelle per investimenti (ad esempio la costruzione di un albergo che viene, appunto, solitamente classificata all'interno del settore delle costruzioni), o ancora «quelle che le pubbliche amministrazioni svolgono direttamente per fornire informazioni ai turisti», o per promuovere la destinazione, o quelle relative alle infrastrutture ed ai servizi aggiuntivi indotti dalla domanda turistica;
   nel caso di specie rilevano, dunque, due aspetti: il primo relativo all'esigenza di una forte tutela del consumatore e degli operatori economici; dall'altro, l'alto tasso di rilevanza del turismo nell'economia regionale;
   è evidente che la descritta situazione rischia, infatti, di vanificare ciò che è stato costruito negli anni per sostenere e rilanciare la competitività strategica del turismo sardo, sia da parte della regione autonoma della Sardegna sia da parte degli operatori del settore che si sono adoperati per migliorare la capacità di accoglienza e proporre a prezzi concorrenziali le risorse culturali e ambientali disponibili;
   non solo, è opportuno ricordare che «il turismo può essere definito come l'insieme dei fenomeni che sono causati dal movimento volontario e temporaneo di singoli individui o di gruppi verso luoghi che non siano la loro abituale residenza a fini di ricreazione e o di arricchimento culturale. Il turismo rientra pertanto in quel diritto di mobilità che è riconosciuto ad ogni persona dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Foro amm. TAR2006, 03, 1170)»;
   la dottrina ha definito il turismo «un fenomeno collettivo che assurge a comportamento tipico, consistente nelle relazioni originate dal viaggio o dal soggiorno temporaneo in luoghi diversi dalla normale residenza, la cui rilevanza sociale, culturale, economica, ambientale, impone una specifica azione politica ed una regolamentazione giuridica a tutela della libertà e degli interessi del singoli e della collettività»;
   anche il danno di immagine appare incalcolabile;
   occorre valutare se siano stati compiuti atti illeciti e lesivi dei diritti dei consumatori e degli operatori economici del settore della ricezione, della ristorazione e dell'iniziativa turistica e culturale e, conseguentemente, adottare, in via urgente, i provvedimenti ritenuti idonei all'eliminazione delle conseguenze dannose a partire dall'immediata ridefinizione delle convenzioni della società Tirrenia –:
   se non ritenga il Governo di dover intervenire con urgenza nel settore del trasporto marittimo merci e passeggeri al fine di scongiurare una nuova disastrosa annata per la Sardegna;
   se il Governo non ritenga, alla luce dell'apertura di una procedura d'infrazione europea sulla vendita della compagnia Tirrenia, ridefinire con somma urgenza le convenzioni relative agli oneri di servizio pubblico con la verifica della congruità del contributo statale e dello svolgimento del servizio di continuità territoriale marittima merci e passeggeri tra la Sardegna e il continente;
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per la modifica delle convenzioni al fine di evitare il ripetersi dei gravi danni alla Sardegna derivanti dal comportamento irresponsabile della compagnia Tirrenia e degli armatori privati che hanno duramente penalizzato la passata stagione estiva;
   se non ritenga che il riesame delle convenzioni debba avvenire tenendo conto dei reali costi di produzione e di un margine limitato di utile d'impresa e della compensazione assegnata per quel tipo di servizio;
   se il Ministro interrogato non intenda attivarsi al fine di definire, nelle more della definizione del contenzioso europeo sulla vendita di Tirrenia, una revisione sostanziale delle convenzioni per la continuità territoriale marittima al fine di garantire per il 2012 un servizio di trasporto marittimo commisurato alle sovvenzioni già garantite alla Tirrenia per oltre 72 milioni di euro all'anno;
   se non ritenga il Ministro di dover assumere iniziative per l'immediato ripristino integrale di tutte le rotte previste nelle convenzioni della continuità territoriale senza esclusione alcuna;
   se non ritenga di dover rinegoziare con la regione Sardegna tutte le nuove esigenze della continuità territoriale marittima merci e passeggeri;
   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa per ridefinire immediatamente le convenzioni al fine di abbattere i costi di trasporto, imponendo e verificando l'obbligo di far utilizzare i 72 milioni di euro per una reale compensazione della continuità territoriale da e per la Sardegna;
   se non ritenga di dover promuovere un'intesa con il coinvolgimento della regione sarda e della Tirrenia per evitare una concorrenza destituita di ogni ragionevolezza tra due soggetti pubblici, tra cui uno che stanzia risorse a tal fine destinate e l'altro no, come nel caso richiamato della Olbia-Civitavecchia;
   se non ritenga di dover promuovere, per quanto di competenza, l'avvio di una verifica attenta sugli incidenti dichiarati e accaduti che hanno sostanzialmente sempre messo fuori uso navi traghetto destinate alla Sardegna;
   se non ritenga di dover formare elementi dettagliati su tutti gli incidenti occorsi alle navi Tirrenia nell'ultimo triennio;
   se non ritenga di dover revocare l'incarico al commissario straordinario della Tirrenia in considerazione della fallimentare gestione della compagnia e per il grave danno recato al principale servizio di continuità territoriale da e per la Sardegna;
   se non ritenga di dover immediatamente definire una road map per la gestione della continuità territoriale, anche alla luce della procedura di infrazione comunitaria, compreso un bando pubblico per l'assegnazione delle compensazioni al fine di garantire una reale concorrenza nella continuità territoriale da e per la Sardegna. (5-00003)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con nota n. 0052194 del 23 dicembre 2009 ha conferito al presidente della regione autonoma della Sardegna, ai sensi del comma 3 dell'articolo 36 della legge del 17 maggio 1999 n. 144, la propria delega ad indire e presiedere una conferenza di servizi, con il compito di individuare il contenuto dell'imposizione di oneri di servizio pubblico sulle rotte da e per la regione Sardegna in conformità al Regolamento (CE) n. 1008/2008;
   il 14 gennaio 2011 dopo oltre un anno dalla delega conferita dal Ministro al presidente della regione veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto di imposizione dell'onere del servizio pubblico e le relative procedure e oneri per la realizzazione del servizio;
   gli stessi decreti dopo qualche settimana venivano revocati perché le risultanze della conferenza dei servizi e il contenuto degli stessi decreti risultavano in totale contrasto con le risoluzioni e mozioni approvate dalla competente commissione della Camera presentate a prima firma dal sottoscritto interrogante;
   in particolare i decreti revocati non contenevano nell'imposizione dell'onere del servizio pubblico la tariffa unica che doveva uniformare il costo dei biglietti dei non residenti a quello dei residenti;
   ad oggi, risulta ancora totalmente inattuata la procedura per l'imposizione dell'onere del servizio pubblico;
   tale situazione oltre che incomprensibile e inaccettabile genera un indebito guadagno delle compagnie aeree a scapito del servizio pubblico imposto dalle norme comunitarie provocando un danno diretto ai passeggeri non residenti che devono subire tariffe fuori controllo e dall'altra un danno incalcolabile all'economia della Sardegna;
   i decreti revocati contenevano, però, un presupposto ancor oggi valido che affermava: «la necessità di continuare a garantire la continuità territoriale tra la Regione Sardegna e gli scali di Roma Fiumicino e Milano Linate attraverso la sola imposizione di oneri di servizio pubblico, senza procedere alla concessione del servizio aereo di linea in esclusiva e senza compensazione finanziaria»;
   i decreti emanati e poi revocati non prevedevano, dunque, in alcun modo compensazioni finanziarie;
   la Commissione trasporti della Camera dei deputati in data 21 aprile 2010 ha approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva relativa alla modifica della continuità territoriale aerea da e per la Sardegna;
   nel dispositivo della richiamata risoluzione parlamentare si impegnava il Governo:
   ad avviare un immediato confronto per ridefinire, nell'ambito della conferenza di servizi che il Presidente della Regione Sardegna è stato delegato ad istituire e presiedere dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la disciplina della continuità territoriale, superando quella vigente, che risulta inadeguata sia sotto il profilo concettuale che sotto quello dei servizi e dei costi, per pervenire a un modello di continuità territoriale intesa come un fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità per i territori svantaggiati, tenendo conto anche di quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
   in particolare, ad assumere le appropriate iniziative per definire e attuare una continuità territoriale che, tenga conto, oltre che degli effetti del processo di liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, anche dei seguenti obiettivi:
    a) favorire l'individuazione di un maggior numero di voli e di rotte aeree da e per la Sardegna che consenta, nel contesto dello sviluppo potenziale della domanda, di avere più operatori sulla stessa rotta;
    b) favorire la possibilità di determinare, sulla base del principio di riequilibrio legato alle condizioni insulari della Sardegna, di una tariffa massima a cui si applichi il regime degli oneri di servizio pubblico, applicando, come parametro, le condizioni più favorevoli del costo ferroviario;
    c) favorire la possibilità, per tutte le compagnie aeree di poter viaggiare sulle rotte di collegamento con gli aeroporti della Sardegna, proponendo, nell'ambito di una situazione di concorrenza, ribassi rispetto alla tariffa massima prestabilita in relazione agli oneri di servizio pubblico;
   la risoluzione infine prevedeva l'estensione del regime di continuità territoriale a tutti i cittadini, in ottemperanza al principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, a prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
   il regolamento comunitario nella definizione dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico non prevede compensazioni in quanto lo stesso onere viene calcolato valutando i costi effettivi di produzione del servizio e un «margine di profitto ragionevole», riconosciuto tra il 5/10 per cento;
   il regolamento comunitario individua, dunque, due capisaldi per la definizione dell'onere del servizio pubblico sommando i seguenti fattori:
    a) i costi netti sostenuti per la prestazione dell'onere di un servizio pubblico;
    b) un margine di profitto ragionevole;
   occorre, dunque, individuare gli elementi del costo netto e definire un margine di profitto ragionevole;
   il costo netto appare elemento fondamentale per soddisfare il requisito di trasparenza posto come elemento chiave dal regolamento europeo e della stessa autorità garante per la concorrenza che nel 2006 aveva così definito le compensazioni utilizzate nella continuità territoriale della Sardegna: «tale sistema di sussidi è caratterizzato da particolare opacità e non consente di individuare correttamente i confini degli oneri di servizio pubblico imposti, impedendo al contempo una minimizzazione dei costi per la collettività»;
   occorre scongiurare in tutti i modi possibili infrazioni comunitarie e censure di varia natura, vedasi caso Tirrenia con l'apertura della procedura di infrazione, definendo nel modo più analitico e puntuale il costo netto richiamato dalla normativa comunitaria per la prestazione dell'onere del servizio pubblico;
   il principale elemento di valutazione del costo netto, internazionalmente riconosciuto nell'ambito aeronautico, è quello del costo ora/volo;
   il costo ora/volo è definito da organismi terzi che hanno utilizzato metodi analitici per tutte le voci di costo necessarie per definire con precisione il dato;
   in particolar modo uno dei primari operatori mondiali nel settore aeronautico ha individuato tutti i fattori di costo necessari per determinare il costo ora/volo sommando le seguenti voci:
   operazioni di volo: costo equipaggi, costo carburante, spese aeroportuali e assistenza al volo, assicurazioni sull'aereo, spese di leasing e affitti;
   manutenzione diretta: riguarda i costi sostenuti per la manutenzione di aerei, quali costo del lavoro, dei materiali e servizi acquistati da terzi, costi delle riparazioni o di revisione di tutti i sistemi e delle attrezzature necessarie;
   manutenzione indiretta: riguardano i costi fissi e le spese generali sostenute per riparazioni e revisioni secondo gli standard delle autorità internazionali preposte al controllo. Comprendono le spese di gestione delle scorte, dei magazzini e rilevazioni contabili;
   servizi ai passeggeri: sono costi di assistenza ai passeggeri in volo (comfort, sicurezza), stipendi del personale di cabina (e non quello degli equipaggi), costi di ristorazione e costo di assicurazione dei passeggeri;
   servizi ai velivoli: costi di rifornimento, dei controlli, protezione e programmazione dei voli;
   servizi di traffico: riguardano i costi delle operazioni al terminal (trasferimento bagagli e altri servizi), stipendi per il personale che fornisce servizi a terra, costi delle attrezzature e il loro leasing, affitti (non le tasse aeroportuali);
   servizi amministrativi;
   servizio prenotazione e vendite: comprende le remunerazioni per il personale delle biglietterie e le spese dei sistemi di prenotazione;
   comunicazione e pubblicità: riguarda i costi sostenuti per convincere i potenziali clienti a preferire una data compagnia;
   spese generali e amministrative: riguardano il complesso delle attività della compagnia aerea e le spese di contabilità, acquisti, assistenza legale e amministrazione;
   ammortamento: riguarda l'ammortamento dei costi dei velivoli, dei motori, delle attrezzature di volo, dei costi e attrezzature e immobili a terra (hangar, aeroporti), e dei costi sostenuti per acquisire attività intangibili (marchi, avviamento e progettazioni);
   per le voci di tosto richiamate vengono esplicitate alcune variabili contenute nell'analisi che risulta utile riportare al fine di comprendere il dettaglio di, analisi posto alla base della definizione del costo ora/volo:
   costo carburante – costo al litro di carburante. Si basa su un sondaggio Conklin & de Decker di un certo numero di operatori di base fissa (FBO) presso i principali aeroporti aviazione generale negli Stati Uniti. Il prezzo include tutte le tasse e le imposte;
   consumo di carburante – Il consumo di carburante medio è rappresentato in galloni all'ora per la marca/modello di velivolo. Tutti i dati sono generalmente derivati da manuali di volo ed il consumo è calcolato a velocità di crociera tipica e comprende carburante a terra. L'altitudine di crociera per velivoli assunta in assenza di pressione, è di 8.000 piedi;
   al dato del consumo oggettivo di carburante tecnicamente individuato è sommato un 15 per cento per tenere conto di condizioni operative non ideali. Un 15 per cento legato ai seguenti possibili accadimenti:
    a) tecniche di pilotaggio – utilizzo di diverse impostazioni di potenza rispetto a quelle consigliate;
    b) restrizioni di controllo del traffico aereo – che impongono all'aereo volare ad un'altitudine minore di quelle ottimali. Quote più basse di solito aumentano il consumo di carburante;
    c) ritardi ferra;
    d) carburante tankering – utilizzo di più carburante del necessario per un unico volo;
   fuel additivi – Il costo di additivi per carburanti utilizzati per l'anti-formazione di ghiaccio o come fungicida;
   lubrificanti (Aircraft Pistone Only) – Costo di tutti i lubrificanti come olio motore e olio trasmissione;
   manutenzione – lavoro. Inclusa routine in programma (tutti i giorni e ispezioni minori), non in programma e in condizioni di lavoro di manutenzione. Completo piano di manutenzione garantita. Comprende anche tutti i lavori necessari per la sostituzione della linea di pezzi, la rimozione/sostituzione incidente, il lavoro di revisione di componenti e manodopera connesse alla realizzazione di direttive di navigabilità e bollettini di servizio obbligatorio. Nuovi costi di manutenzione degli aeromobili al fine di dimostrare il beneficio di copertura della garanzia. Un fattore di invecchiamento è applicato in base all'età degli aeromobili;
   manutenzione – parti. Comprende anche parti associate con le direttive di aeronavigabilità e i bollettini di servizio obbligatorio. Un parametro di invecchiamento è applicato in base all'età degli aeromobili;
   sbarco e tariffe parcheggio. Rappresenta i costi associati di atterraggio e parcheggio dell'aereo fuori dalla caso base. Viene utilizzata una formula in base che fa riferimento al peso lordo massimo del velivolo;
   equipaggio spese. Le spese sostenute dal personale per alloggi, trasporti e pasti sostenute dall'equipaggio quando si è lontani da casa base. I costi sono tipici di una grande area metropolitana;
   forniture piccole e ristorazione. Le spese sostenute per forniture o per la cabina e la cabina di pilotaggio (batterie torcia, tovaglioli, carta igienica) e tutti gli in-flight catering per l'equipaggio e i passeggeri. Viene utilizzata una formula basata sul numero di passeggeri più equipaggio e, le dimensioni del velivolo;
   i costi ora/volo relativi alla categoria dei principali aeromobili tra i quali sono compresi tra gli altri, alcuni utilizzati nelle rotte tra la Sardegna e i principali aeroporti italiani secondo quanto indicato dalla società Conklin & de Decker ed in particolare:
   tipo Aeromobile Airbus ACJ320, Categoria Jets, Costo ora/volo 6,916 dollari;
   l'analisi sopra riportata costituisce la base e il metodo di partenza dal quale determinare gli oneri di servizio pubblico in modo trasparente e rispettoso di quel parametro europeo del «ragionevole margine di profitto» oltre il quale è vietato andare senza incorrere in un palese aiuto di stato;
   su tali costi effettivi e misurabili va, infatti, sommato un 8 per cento di utile di impresa ritenuto sin dalla prima analisi di applicazione dell'onere del servizio pubblico nel 1999 uno base ragionevole di guadagno sull'onere del servizio pubblico;
   al fine di individuare il costo finale del biglietto a passeggero si rende necessario calcolare un load factor non sul pregresso che, considerati i costi dei biglietti soprattutto per i non residenti, sarebbe assolutamente fuorviante e non veritiero, ma su un margine di incremento, legato all'applicazione della tariffa unica anche per i non residenti, tale da superare la soglia minima del 70 per cento di capacità di riempimento;
   l'analisi di tutta una serie di dati e la loro elaborazione per difetto fa emergere un danno per la Sardegna di notevoli dimensioni non solo in termini di accessibilità ma anche economici e conseguentemente sociali;
   la tratta Roma-Cagliari e viceversa nel 2010 ha registrato complessivamente 742.267 passeggeri di cui si calcola un dato attendibile forfettario del 35 per cento di non residenti, per un valore assoluto di 259.793 passeggeri. I non residenti hanno pagato una tariffa media tra i 120/140 euro a tratta;
   assumendo il dato minimo di 120 euro (netto tasse) e la percentuale minima del 35 per cento di non residenti si determina l'indebito guadagno delle compagnie se fosse in vigore la tariffa unica così come è obbligo fare per attuare correttamente la normativa comunitaria;
   in particolare per la rotta Roma-Cagliari-Roma considerata una tariffa base di 43 euro (al netto tasse) si genera un indebito guadagno per le compagnie aeree superiore ai 20.000.000 di euro;
   per la tratta Cagliari-Milano-Cagliari passeggeri (2010) 441.535 di cui non residenti 154.537 con un costo medio per un non residente 140/160 euro a fronte di una tariffa unica di 54 euro si genera un indebito guadagno per le compagnie aeree superiore ai 13 milioni di euro;
   per la tratta Olbia-Milano-Olbia passeggeri (2010) 237.373 di cui non residenti 83.080 con un costo medio per un non residente 190/210 euro a fronte di una tariffa unica di 54 euro si genera un indebito guadagno per le compagnie aeree di 11 milioni 300 mila euro;
   per la tratta Olbia-Roma-Olbia passeggeri (2010) 280.548 di cui non residenti 98.191 con un costo medio per un non residente di 160/180 euro a fronte di una tariffa unica di 43 euro si genera un indebito guadagno per le compagnie aeree di 11 milioni 488 mila euro;
   per la tratta Alghero-Roma-Alghero passeggeri (2010) 254.335 di cui non residenti 89.017 con un costo medio per un non residente di 140/160 euro a fronte di una tariffa unica di 43 euro si genera un indebito guadagno per le compagnie aeree di 8 milioni 600 mila euro;
   per la tratta Alghero-Milano-Alghero passeggeri (2010) 167.105 di cui non residenti 58.486 con un costo medio per un non residente di 150/170 euro a fronte di una tariffa unica di 54 euro si genera un indebito guadagno per le compagnie aeree di 5 milioni 600mila euro;
   il complessivo guadagno indebito che è stato generato dalle compagnie aeree in seguito alla mancata attivazione dell'onere del servizio pubblico della tariffa unica è pari a 69.988.000 euro;
   tale dato che si presume essere calcolato per difetto considerato che il 35 per cento di non residenti non risulta omogeneo, basti pensare al dato di Olbia per via della stagione estiva, rappresenta la gravità del ritardo sin qui accumulato e del vantaggio generato a favore delle compagnie aeree che continuano a gestire i collegamenti con la Sardegna in termini esclusivamente commerciali e di fatto monopolistici;
   all'evidente e insostenibile ritardo che genera guadagni in totale contrasto con la prevista imposizione dell'onere del servizio pubblico;
   alla data odierna non risulta da nessun atto ufficiale pubblico la definizione da parte della conferenza dei servizi della proposta di imposizione dell'onere del servizio pubblico con l'individuazione della tariffa unica, già definita come base di calcolo per i residenti nei decreti poi revocati; qualsiasi compensazione sarebbe illegittima proprio perché la base di calcolo della tariffa unica è generata dalla somma dei costi di produzione e dell'utile di impresa alla base della normativa comunitaria –:
   se non ritenga di dover sollecitare la regione Sardegna, delegata dal Governo, a definire urgentemente la proposta di imposizione dell'onere del servizio pubblico con la definizione della tariffa unica nell'ambito della conferenza dei servizi;
   se non ritenga di proporre alla conferenza di servizi una propria proposta al fine di evitare ulteriori perdite di tempo prevedendo un puntuale ed esaustivo metodo di calcolo dell'onere del servizio pubblico in modo da non incorrere in violazioni sia comunitarie che statali considerato che i decreti saranno emanati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   se non ritenga proprio alla luce dei ritardi sin qui accumulati nella definizione dell'onere del servizio pubblico e considerato il conseguente e ingiustificabile guadagno da parte delle compagnie aeree di dover assumere tutte le iniziative istituzionali necessarie per risolvere positivamente e urgentemente una questione fondamentale per lo sviluppo della Sardegna. (5-00004)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione trasporti della Camera dei deputati in data 21 aprile 2010 ha approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva relativa alla modifica della continuità territoriale aerea da e per la Sardegna;
   nel dispositivo della richiamata risoluzione si impegna il Governo:
    ad avviare un immediato confronto per ridefinire, nell'ambito della conferenza di servizi che il Presidente della Regione Sardegna è stato delegato ad istituire e presiedere dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la disciplina della continuità territoriale, superando quella vigente, che risulta inadeguata sia sotto il profilo concettuale che sotto quello dei servizi e dei costi, per pervenire a un modello di continuità territoriale intesa come un fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità per i territori svantaggiati, tenendo conto anche di quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
   in particolare, ad assumere le appropriate iniziative per definire e attuare una continuità territoriale che, tenga conto, oltre che degli effetti del processo di liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, anche dei seguenti obiettivi:
    a) favorire l'individuazione di un maggior numero di voli e di rotte aeree da e per la Sardegna che consenta, nel contesto dello sviluppo potenziale della domanda, di avere più operatori sulla stessa rotta;
    b) favorire la possibilità di determinare, sulla base del principio di riequilibrio legato alle condizioni insulari della Sardegna, di una tariffa massima a cui si applichi il regime degli oneri di servizio pubblico, applicando, come parametro, le condizioni più favorevoli del costo ferroviario;
    c) favorire la possibilità, per tutte le compagnie aeree di poter viaggiare sulle rotte di collegamento con gli aeroporti della Sardegna, proponendo, nell'ambito di una situazione di concorrenza, ribassi rispetto alla tariffa massima prestabilita in relazione agli oneri di servizio pubblico;
   ad assumere le appropriate iniziative volte a verificare, con i competenti organismi comunitari e nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli indirizzi stabiliti dalla Commissione europea, la possibilità di estendere il regime di continuità territoriale a tutti i cittadini, in ottemperanza al principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, a prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
   le disposizioni comunitarie in materia disciplinano in modo esaustivo e puntuale il significato di continuità territoriale esplicitando che l'obiettivo è quello di collegare in modo efficace e permanente territori altrimenti non collegati;
   il regolamento comunitario 1008/2008 in particolare dispone: «previa consultazione con gli altri Stati membri interessati e dopo aver informato la Commissione, gli aeroporti interessati e i vettori aerei operanti sulla rotta, uno Stato membro può imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale dello regione servita dall'aeroporto stesso. Tale onere è imposto esclusivamente nella misura necessaria a garantire che su tale rotta siano prestati servizi aerei di linea minimi rispondenti a determinati criteri di continuità, regolarità, tariffazione o capacità minima, cui i vettori aerei non si atterrebbero se tenessero conto unicamente del loro interesse commerciale»;
   il regolamento comunitario prevede inoltre: «criteri specifici imposti sulla rotta oggetto dell'onere di servizio pubblico sono stabiliti in modo trasparente e non discriminatorio»;
   il richiamo al modo non discriminatorio esplicita la volontà del legislatore europeo di affermare il concetto di collegamento tra territori escludendo qualsiasi tipo di discriminazione tra cittadini europei;
   nella fattispecie della continuità territoriale da e per la Sardegna il regolamento comunitario prevede che lo Stato prescriva, nell'ambito degli oneri del servizio pubblico, che i vettori aerei accettino le condizioni dell'onere del servizio pubblico;
   il regolamento a proposito dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico dispone: «Qualora altre modalità di trasporto non possano garantire servizi ininterrotti con almeno due frequenze giornaliere, gli Stati membri interessati hanno la facoltà di prescrivere, nell'ambito degli oneri di servizio pubblico, che i vettori aerei comunitari che intendono operare sulla rotta garantiscano tale prestazione per un periodo da precisare, conformemente alle altre condizioni degli oneri di servizio pubblico»;
   lo Stato nel valutare la necessità e l'adeguatezza di un onere di servizio pubblico tiene conto:
    a) dell'equilibrio tra l'onere previsto e le esigenze in materia di sviluppo economico della regione interessata;
    b) della possibilità di ricorrere ad altre modalità di trasporto e dell'idoneità di queste ultime a soddisfare il concreto fabbisogno di trasporto, in particolare nel caso in cui i servizi ferroviari esistenti servano la rotta prevista con un tempo di percorrenza inferiore a tre ore e con frequenze sufficienti, coincidenze e orari adeguati;
    c) delle tariffe aeree e delle condizioni proposte agli utenti;
    d) dell'effetto combinato di tutti i vettori aerei che operano o intendono operare sulla rotta di cui trattasi;
   le disposizioni comunitarie rendono ancora più vincolante l'applicazione dell'onere del servizio pubblico quando disciplinano l'esclusività dell'utilizzo del servizio aereo per l'effettuazione dei collegamenti sottoposti all'onere del servizio pubblico: «Qualora sia stato imposto un onere di servizio pubblico conformemente ai paragrafi 1 e 2, il vettore aereo comunitario può mettere in vendita il solo posto a condizione che il servizio aereo in questione soddisfi tutti i requisiti dell'onere di servizio pubblico. Di conseguenza, siffatto servizio aereo è considerato un servizio aereo di linea»;
   il regolamento comunitario nella definizione dell'imposizione del onere del servizio pubblico non prevede compensazioni in quanto lo stesso onere viene calcolato valutando i costi effettivi di produzione del servizio e un «margine di profitto ragionevole», indicato tra il 5/10 per cento;
   l'accesso ai servizi aerei di linea su una rotta sulla quale nessun vettore aereo comunitario abbia istituito o possa dimostrare di apprestarsi a istituire servizi aerei di linea sostenibili conformemente all'onere di servizio pubblico imposto su tale rotta, può essere limitato dallo Stato membro interessato ad un unico vettore aereo comunitario per un periodo non superiore a quattro anni, al termine del quale si procederà ad un riesame della situazione;
   il regolamento comunitario prevede che il diritto di effettuare i servizi limitati ad un solo soggetto è concesso tramite gara pubblica, per rotte singole o, nei casi in cui ciò sia giustificato per motivi di efficienza operativa, per serie di rotte a qualsiasi vettore aereo comunitario abilitato a effettuare tali servizi;
   la gara d'appalto prevista per la seconda fase dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico, qualora nessun vettore abbia accettato l'imposizione dell'onere, avviene secondo le modalità indicate all'articolo 17 del medesimo regolamento comunitario 1008/2008;
   il bando di gara ed il successivo contratto devono contemplare tra l'altro i punti seguenti:
    a) le norme prescritte dall'onere di servizio pubblico;
    b) le norme relative alla modifica e alla scadenza del contratto, in particolare per tener conto di cambiamenti imprevedibili;
    c) il periodo di validità del contratto;
    d) le sanzioni in caso di inadempimento del contratto;
    e) i parametri obiettivi e trasparenti sulla base dei quali è calcolata la compensazione, ove prevista, per la prestazione dell'onere di servizio pubblico;
   il regolamento comunitario disciplina, infine, la possibile compensazione, ribadendo in più parti del documento, l'obbligatorietà di un procedimento trasparente nella definizione dell'eventuale compenso;
   il comma 8 dell'articolo 17 del regolamento 1008/2008 disciplina in modo puntuale l'eventuale compenso;
   lo Stato membro interessato può compensare un vettore aereo che soddisfi i requisiti di onere di servizio pubblico prescritti a norma dell'articolo 16; tale compensazione non può superare l'importo necessario per coprire i costi netti sostenuti per la prestazione dell'onere di servizio pubblico, tenendo conto dei conseguenti ricavi ottenuti dal vettore aereo e di un margine di profitto ragionevole;
   il regolamento individua, dunque, due capisaldi per la definizione dell'onere del servizio pubblico:
    a) i costi netti sostenuti per la prestazione dell'onere di un servizio pubblico;
    b) un margine di profitto ragionevole;
   occorre, dunque, individuare gli elementi del costo netto e definire un margine di profitto ragionevole;
   la definizione del costo netto appare elemento fondamentale per soddisfare il requisito di trasparenza posto come elemento chiave dal regolamento europeo e della stessa Autorità garante per la concorrenza che nel 2006 aveva così definito le compensazioni utilizzate nella continuità territoriale della Sardegna: «tale sistema di sussidi è caratterizzato da particolare opacità e non consente di individuare correttamente i confini degli oneri di servizio pubblico imposti, impedendo al contempo una minimizzazione dei costi per la collettività»;
   occorre scongiurare in tutti i modi possibili infrazioni comunitarie e censure di varia natura definendo nel modo più analitico e puntuale il costo netto richiamato dalla normativa comunitaria per la prestazione dell'onere del servizio pubblico;
   il principale elemento di valutazione del costo netto, internazionalmente riconosciuto nell'ambito aeronautico, è quello del Costo Ora/Volo;
   il costo ora/volo è definito da organismi terzi che hanno utilizzato metodi analitici per tutte le voci di costo necessarie per definire con precisione il dato;
   in particolar modo uno dei primari operatori mondiali nel settore aeronautico ha individuato tutti i fattori di costo necessari per determinare il costo ora/volo sommando le seguenti voci:
   operazioni di volo: costo equipaggi, costo carburante, spese aeroportuali e assistenza al volo, assicurazioni sull'aereo, spese di leasing e affitti;
   manutenzione diretta: riguardano i costi sostenuti per la manutenzione di aerei, quali costo del lavoro, dei materiali e servizi acquistati da terzi, costi delle riparazioni o di revisione di tutti i sistemi e delle attrezzature necessarie;
   manutenzione indiretta: riguardano i costi fissi e le spese generali sostenute per riparazioni e revisioni secondo gli standard delle autorità internazionali preposte al controllo. Comprendono le spese di gestione delle scorte, dei magazzini e rilevazioni contabili;
   servizi ai passeggeri: sono costi di assistenza ai passeggeri in volo (comfort, sicurezza), stipendi del personale di cabina (e non quello degli equipaggi), costi di ristorazione e costo di assicurazione dei passeggeri;
   servizi ai velivoli: costi di rifornimento, di controlli, protezione e programmazione dei voli;
   servizi di traffico: riguardano i costi delle operazioni al terminal (trasferimento bagagli è altri servizi), stipendi per il personale che fornisce servizi a terra, costi delle attrezzature e il loro leasing, gli affitti (no le tasse aeroportuali);
   servizi amministrativi;
   servizio prenotazione e vendite: comprende le remunerazioni per il personale delle biglietterie e le spese del sistemi di prenotazione;
   comunicazione e pubblicità: riguarda i costi sostenuti per convincere i potenziali clienti a preferire una data compagnia;
   spese generali e amministrative: riguardano il complesso delle attività della compagnia aerea e spese di contabilità, acquisti, assistenza legale e altre attività di amministrazione;
   ammortamento: riguarda l'ammortamento dei costi dei velivoli, dei motori, delle attrezzature di volo, dei costi e attrezzature e immobili a terra (hangar, aeroporti), e dei costi sostenuti per acquisire attività intangibili (marchi, avviamento e progettazioni);
   per le voci di costo richiamate vengono esplicitate alcune varìabili contenute nell'analisi che risulta utile riportare al fine di comprendere il dettaglio di, analisi posto alla base della definizione del costo ora/volo:
   Costo Carburante – costo al litro di carburante. Si basa su un sondaggio Conklin & de Decker di un certo numero di operatori di base fissa (FBO) presso i principali aeroporti aviazione generale negli Stati Uniti. Il prezzo include tutte le tasse e le imposte;
   Consumo di Carburante – Il consumo di carburante medio è rappresentato in galloni all'ora per la marca/modello di velivolo. Tutti i dati sono generalmente derivati da manuali di volo ed è calcolato a velocità di crociera tipica e comprende carburante a terra. L'altitudine di crociera per velivoli assunta in assenza di pressione, è di 8.000 piedi;
   al dato del consumo oggettivo di carburante tecnicamente individuato è sommato un 15 per cento per tenere conto di condizioni operative non ideali. Un 15 per cento legato ai seguenti possibili accadimenti:
    a) tecniche di pilotaggio – utilizzo di diverse impostazioni di potenza rispetto a quella consigliate;
    b) restrizioni di controllo del traffico aereo – che impongono all'aereo volare ad un'altitudine minore di quelle ottimali. Quote più basse di solito aumentano il consumo di carburante;
    c) ritardi terra;
    d) carburante tankering – utilizzo di più carburante del necessario per un unico volo;
   Fuel Additivi – Il costo di additivi per carburanti utilizzati per l'anti-formazione di ghiaccio o come fungicida;
   Lubrificanti (Aircraft Pistone Only) – Costo di tutti i lubrificanti come olio motore e olio trasmissione;
   Manutenzione – Lavoro. Inclusa routine in programma (tutti i giorni e ispezioni minori), non in programma e in condizioni di lavoro di manutenzione. Completo piano di manutenzione garantita. Comprende anche tutti i lavori necessari per la sostituzione della linea di pezzi, la rimozione/sostituzione incidente, il lavoro di revisione di componenti e manodopera connesse alla realizzazione di direttive di navigabilità e bollettini di servizio obbligatorio. Nuovi costi di manutenzione degli aeromobili al fine di dimostrare il beneficio di copertura della garanzia. Un fattore di invecchiamento è applicato in base all'età degli aeromobili;
   Manutenzione – Parti. Comprende anche parti associate con le direttive di aeronavigabilità e i bollettini di servizio obbligatorio. Un parametro di invecchiamento è applicato in base all'età degli aeromobili;
   Sbarco e Tariffe Parcheggio. Rappresenta costi associati di atterraggio e parcheggio dell'aereo fuori dalla casa base. Viene utilizzata una formula in base al peso lordo massimo del velivolo;
   Equipaggio Spese. Le spese sostenute dal personale per alloggi, trasporti e pasti sostenute dall'equipaggio quando si è lontani da casa base. I costi sono tipici di una grande area metropolitana;
   Forniture piccole e Ristorazione. Le spese sostenute per forniture o per la cabina e la cabina di pilotaggio (batterie torcia, tovaglioli, carta igienica) e tutti gli in-flight catering per l'equipaggio e i passeggeri. Viene utilizzata una formula basata sul numero di passeggeri più equipaggio e, le dimensioni del velivolo;
   Di seguito si riportano i costi ora/volo relativi alla categoria dei principali aeromobili tra i quali sono compresi tra gli altri alcuni utilizzati nelle rotte tra la Sardegna e i principali aeroporti italiani secondo quanto indicato dalla società Conklin & de Decker:
    Tipo Aeromobile Airbus ACJ318, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 5,981;
    Tipo Aeromobile Airbus ACJ319, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 6,330;
    Tipo Aeromobile Airbus ACJ320, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 6,916;
    Tipo Aeromobile Boeing B737-200, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 8,742;
    Tipo Aeromobile Boeing B737-300, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 7,787;
    Tipo Aeromobile Boeing B737-400, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 8,038;
    Tipo Aeromobile Boeing B737-500, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 7,574;
    Tipo Aeromobile Boeing B737-600, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 6,171;
    Tipo Aeromobile Boeing B737-700, Categoria Jets, Costo ora/volo dollari 6,387;
   l'analisi sopra riportata costituisce la base e il metodo di partenza dal quale determinare gli oneri di servizio pubblico in modo trasparente e rispettoso di quel parametro europeo del «ragionevole margine di profitto» oltre il quale è vietato andare senza incorrere in un palese aiuto di stato;
   su tali costi effettivi e misurabili va, infatti, sommato un 8 per cento di utile di impresa ritenuto sin dalla prima analisi di applicazione dell'onere del servizio pubblico nel 1999 una base ragionevole di guadagno sull'onere del servizio pubblico;
   al fine di individuare il costo finale del biglietto a passeggero si rende necessario calcolare un load factor non sul pregresso che, considerati i costi dei biglietti soprattutto per i non residenti, sarebbe assolutamente fuorviente e non veritiero, ma su un margine di incremento, legato all'applicazione della tariffa unica anche per i non residenti, tale da superare la soglia minima del 70 per cento di capacità di riempimento –:
   se non ritenga di dover predisporre con proprio atto un puntuale ed esaustivo metodo di calcolo dell'onere del servizio pubblico ove non incorrere in violazioni sia comunitarie che statali considerato che i decreti saranno emanati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   se non ritenga di dover intervenire sull'Enac al fine di disporre l'applicazione del medesimo metodo di calcolo nell'imposizione dell'onere del servizio pubblico relativamente ai bandi e contratti futuri;
   se non ritenga, anche alla luce della necessitata revoca dei decreti sulla continuità territoriale della Sardegna, di intervenire della conferenza dei servizi convocata dalla regione Sardegna su delega del Ministro affinché siano evitati ulteriori e dannosi ritardi conseguenti ad un'attuazione della continuità territoriale non rispettosa dell'indicazione data dalla Camera dei deputati con la risoluzione richiamata in premessa;
   se non ritenga di dover incaricare apposito soggetto esterno garante per la definizione dei costi effettivi dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico al fine di evitare richiami da parte della stessa autorità garante per la concorrenza relativamente alla richiamata «particolare opacità dei sussidi erogati per la continuità territoriale da e per la Sardegna» segnalata dall'autorità garante per la concorrenza;
   se non ritenga opportuno proporre e condividere il documento stesso sul metodo di calcolo dell'onere del servizio pubblico all'attenzione delle competenti commissioni parlamentari. (5-00008)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle giornate del 27-28-29 agosto 2011 la possibilità di collegamento dalla Sardegna verso gli aeroporti di Roma e Milano è risultata di fatto preclusa a residenti e non residenti per l'indisponibilità su qualsiasi fascia oraria di posti sulle rotte di linea con particolare riferimento agli aeroporti di Cagliari e Olbia;
   l'impossibilità di trovare un solo posto nelle rotte in uscita dalla Sardegna si palesa come una reiterata interruzione di un pubblico servizio di primaria importanza per la regione Sardegna quale il collegamento aereo da e per la Sardegna con grave violazione del diritto fondamentale alla mobilità delle persone;
   la regione Sardegna, a seguito della sua condizione insulare, rientra tra quelle aree comunitarie dove il trasporto aereo è garantito dall'imposizione dell'onere del servizio pubblico e come tale risulta regolato da apposite disposizioni di legge e contrattuali;
   tale impossibilità è verificabile sia attraverso i documenti disponibili sia con opportune verifiche nei call center delle varie compagnie che nei sistemi di prenotazione on line;
   risulterà evidente da più approfondite verifiche che questa situazione era palesemente prevedibile e riscontrabile anche attraverso verifiche oggettive;
   la mancanza, prevedibile e riscontrabile con congruo anticipo, di posti nelle rotte di collegamento dalla Sardegna verso gli aeroporti di Roma e Milano ha di fatto impedito a qualsiasi cittadino-utente di poter lasciare l'isola precludendo il diritto alla mobilità riconosciuto come tale non solo nel diritto costituzionale ma anche nelle normative comunitarie;
   lo svolgimento del servizio pubblico di collegamento aereo non solo è disciplinato da norme di carattere generale ma per quanto riguarda la Sardegna rientra nella fattispecie dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico di emanazione comunitaria;
   lo Regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008 reca infatti norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità ed in particolare l'articolo 16;
   l'articolo 36 della legge 17 maggio 1999, n. 144, assegna al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la competenza di disporre con proprio decreto, in conformità alle disposizioni del Regolamento CEE n. 2408/92, ora abrogato e sostituito dal Regolamento (CE) n. 1008/2008 e alle conclusioni della Conferenza di servizi prevista dal comma 2 dello stesso articolo, l'imposizione di oneri di servizio pubblico sui servizi aerei di linea effettuati tra gli scali aeroportuali della Sardegna ed i principali aeroporti nazionali;
   i decreti ministeriali pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nell'anno 2008 avente per oggetto imposizione di oneri di servizio pubblico impone disposizioni sullo svolgimento del servizio che acclarano, se ce ne fosse ulteriore bisogno, la funzione di servizio pubblico per quanto riguarda i collegamenti aerei richiamati;
   i decreti reiterati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ribadiscono «la necessità di continuare a garantire la continuità territoriale tra la Regione Sardegna e gli scali di Roma Fiumicino e Milano Linate attraverso la sola imposizione di oneri di servizio pubblico, senza procedere alla concessione del servizio aereo di linea in esclusiva e senza compensazione finanziaria» –:
   se non ritenga necessario valutare con urgenza i motivi di tale situazione e individuare gli eventuali responsabili di questa indecorosa e grave situazione che ha impedito l'estensione e l'incremento del servizio di continuità territoriale aerea nei periodi dell'anno in cui si fosse reso necessario in seguito ad una domanda superiore rispetto a quella precedentemente pianificata;
   se non ritenga necessario valutare chi avesse il compito di pianificare una congrua estensione dei servizi stessi di continuità territoriale evitando una grave e reiterata violazione del diritto al servizio pubblico di continuità aerea;
   se non ritenga di dover valutare se segnalare tale situazione all'autorità giudiziaria posto che ad avviso dell'interrogante potrebbero sussistere gli estremi di una interruzione di pubblico servizio.
(5-00009)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Camera dei deputati il 23 giugno 2011 ha approvato apposite mozioni con le quali si è impegnato il Governo:
    a riferire urgentemente nelle competenti sedi parlamentari sullo stato d'attuazione delle procedure di privatizzazione della Tirrenia prima della definizione del contratto di vendita; ad assicurare che l'amministrazione straordinaria della Tirrenia dia corretta attuazione al contratto di servizio relativamente alla continuità territoriale da e per la Sardegna, garantendo efficienti collegamenti sia con il nord che con il sud Sardegna; a fare in modo che, nell'attuale fase di vera e profonda emergenza, la compagnia di navigazione Tirrenia svolga pienamente la propria missione pubblica di garanzia dei collegamenti marittimi, assicurando la continuità territoriale, ai residenti e ai non residenti, e la naturale funzione di calmiere delle tariffe;
    a definire e garantire, preventivamente alla vendita della Tirrenia, e d'intesa con le regioni interessate, il rispetto di tutte le clausole relative alla continuità territoriale marittima, compresa l'attivazione di tutte quelle rotte indispensabili, al fine di evitare comportamenti monopolistici diretti alla sola massimizzazione del profitto da parte di altre compagnie di navigazione, definendo in modo chiaro e preciso: tipologia di navi, periodi, frequenze e tariffe in regime di continuità territoriale;
    ad attivare, per quanto di propria competenza, una verifica sulla legittimità degli aumenti proposti dalle compagnie di navigazione operanti sulle tratte sarde;
    a promuovere la definizione delle necessarie iniziative, anche normative, che, in accordo con l'Unione europea e nel rispetto delle prerogative della regione Sardegna, risolvano in maniera definitiva la continuità territoriale marittima con la Sardegna, così come previsto nella risoluzione unitaria già approvata dalla Commissione trasporti della Camera dei deputati per il trasporto aereo, garantendo una tariffa unica per residenti e non residenti;
   nessuno dei dispositivi di impegno risulta essere stato adempiuto;
   nessuna formale comunicazione relativamente alle convenzioni per l'esercizio della continuità territoriale risulta essere stata fatta alla Camera dei deputati;
   risulterebbero allegati al paventato contratto di vendita della società Tirrenia denominati: Convenzione per l'esercizio di servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le Isole maggiori e minori, stipulati ai sensi dell'articolo 1, comma 998 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dell'articolo 19-ter del decreto legislativo n. 135 del 2009 convertito con modificazioni dalla legge n. 166 del 2009;
   da tali schemi di convenzione risulterebbero disciplinati i collegamenti relativamente alle seguenti tratte:
    Genova-Olbia-Arbatax;
    Genova-Porto Torres;
    Napoli-Cagliari;
    Cagliari-Palermo;
    Cagliari-Trapani;
    Civitavecchia-Olbia;
    Civitavecchia-Cagliari-Arbatax;
   per le merci vengono previste esclusivamente le seguenti rotte:
    Napoli-Cagliari;
    Livorno-Cagliari;
   la tratta Genova-Olbia-Arbatax prevede le seguenti periodicità del servizio e frequenze minime:
   periodicità annuale verso la Sardegna: almeno tre partenze settimanali, in giorni diversi, da Genova verso Olbia con almeno due prolungamenti settimanali ad Arbatax, distanziati di almeno due giorni;
   verso Genova: almeno due partenze settimanali da Arbatax con approdo intermedio ad Olbia più ulteriore partenza da Olbia;
   frequenze nel periodo di alta stagione (periodo che va dalla terza settimana di luglio alla prima settimana di settembre):
    a) verso la Sardegna: almeno cinque partenze settimanali, in giorni diversi, da Genova verso Olbia, con almeno due prolungamenti settimanali ad Arbatax, distanziati di almeno due giorni;
    b) verso Genova: almeno due partenze settimanali da Arbatax con approdo intermedio ad Olbia, più ulteriori tre partenze da Olbia;
   la tratta Genova-Olbia risulta essere la più rilevante sia per i passeggeri che per le merci;
   risulta inspiegabile e incomprensibile una frequenza limitata rispetto a quella quotidiana per la Civitavecchia-Olbia, Civitavecchia-Cagliari;
   risulta incomprensibile e ingiustificato il quadro tariffario proposto che prevede che per due terzi dell'anno un costo dei biglietti più oneroso per i cittadini sardi residenti piuttosto che per i non residenti;
   la previsione di un costo maggiore per i sardi nella tratta prioritaria risulta contraddittoria rispetto a tutte le altre rotte e pertanto tale previsione di costi risulta essere inaccettabile sul piano della razionalità e del buon senso, oltre a celare il sospetto che tale previsione possa avvantaggiare altri operatori privati, coincidenti con gli acquirenti della Tirrenia stessa;
   un cittadino residente in Sardegna nella tratta Olbia-Genova dovrà pagare, nei quattro mesi di media stagione, per un posto in una doppia cabina esterna 85,30 euro, mentre un cittadino non residente 63,02;
   nei tre mesi di alta stagione un cittadino sardo dovrà pagare 105,75 mentre uno non residente 73,39;
   tale quadro tariffario risulta invertito in tutti gli altri porti;
   tale divario tariffario non esiste per i mezzi trasportati che risultano essere uniformati a prescindere dalla residenza dei proprietari;
   risulta inspiegabile per quale motivo, nonostante un preciso indirizzo della Camera in tal senso, non si sia provveduto a modificare preventivamente le convenzioni stesse nella direzione della tariffa unica tra residenti e non residenti, posto che sia in un caso che nell'altro, un divario costituisce una chiara ed evidente discriminazione una volta a favore dei residenti e un'altra a favore dei non residenti;
   i codici di adeguamento tariffario ex articolo 6 previsti nello schema di convenzione appaiono frutto di alchimie di calcolo che generano i più svariati coefficienti dal 17,1 per cento del Cagliari-Palermo, al 26,3 del Cagliari-Trapani, al 36,7 del Civitavecchia-Cagliari, al 59,8 del Genova-Olbia;
   coefficienti di adeguamento che dovrebbero essere applicati bimestralmente come se l'oscillazione dei costi del carburante dovesse essere applicato come se si trattasse di un normale rifornimento in una stazione di carburante;
   appare evidente che tale previsione di adeguamento tariffario interpolato con diversi elementi non prende in considerazione l'opportunità delle compagnie di acquistare rilevanti stock di carburante nei periodi di basso costo per poi generare un vantaggio qualora questo subisse degli aumenti;
   la tratta Olbia-Genova nessun traffico esclusivo per le merci privando il principale porto della Sardegna di un elemento che dovrebbe calmierare e garantire la concorrenza del mercato –:
   se non ritenga di dover eliminare le enunciate contraddizioni degli schemi di convenzione e definire una compiuta valutazione delle stesse con il coinvolgimento dei competenti organi parlamentari;
   se non ritenga di dover intervenire con le apposite procedure previste per introdurre una tariffa unica passeggeri e merci che sia commisurata al costo chilometrico ferroviario così come parametro universalmente riconosciuto per la continuità territoriale con le regioni insulari;
   se non ritenga necessario ridefinire le condizioni convenzionali anche per evitare un ulteriore gravo danno economico alla regione Sardegna dopo le omissioni gestionali della Tirrenia che hanno in questi mesi favorito i privati acquirenti della stessa Tirrenia a scapito della Sardegna e dei sardi. (5-00011)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulle principali rotte da e per la Sardegna da ormai diversi anni è in atto una vera e propria speculazione sui costi dei trasporti marittimi;
   il protrarsi dell'inaccettabile speculazione in atto sui trasporti marittimi da e per la Sardegna ha registrato incrementi dal 60 al 100 per cento sulle tariffe;
   l'interrogante il 12 gennaio 2011 aveva presentato apposito atto di sindacato ispettivo sullo stesso argomento, ottenendo il 2 febbraio 2011, una risposta sugli intendimenti del Governo rispetto a questa ormai insostenibile situazione che provoca un danno insostenibile al già precario sistema turistico sardo;
   il Governo nel rispondere all'interrogazione aveva affermato che «vigilerà, altresì, nei limiti delle proprie competenze, affinché non intervengano operazioni distorsive della concorrenza e si adopererà per garantire la ripresa del normale traffico con la Sardegna»;
   alla luce del perdurare di questa palese distorsione del mercato appare indispensabile che il Governo convochi immediatamente le compagnie per ricondurle a comportamenti rispettosi del libero mercato così evitando quella che all'interrogante pare una condotta ai limiti dell'abuso di posizione dominante e della costituzione di un cartello speculativo ai danni della Sardegna;
   occorre valutare e verificare se dinnanzi a tale gravissimo comportamento non vi siano strumenti tecnico-giuridici che riconducano le compagnie di navigazione ad un corretta gestione dei piani tariffari, facendo venir meno il legittimo sospetto di una grave alterazione del mercato dei trasporti marittimi da e per la Sardegna;
   occorre valutare se non ricorrano le condizioni per disporre provvedimenti sanzionatori non ultima la sospensione delle stesse autorizzazioni ministeriali all'esercizio delle rotte sarde per quelle compagnie di navigazione che si fossero eventualmente rese colpevoli dell'abuso di posizione dominante;
   risulta indispensabile, ad avviso dell'interrogante, che il Governo richieda, nel rispetto delle reciproche competenze, all'Autorità per la concorrenza e il mercato di pronunciarsi rispetto all'abuso della posizione dominante;
   la grave situazione perpetrata ai danni della Sardegna risulta del tutto intollerabile in considerazione del fatto che un'intera regione risulta essere in una situazione di vero e proprio isolamento dal punto di vista dei trasporti sia nei mari che nei cieli, rendendo proibitiva la mobilità tra regioni e minando alla radice il diritto costituzionale alla mobilità, alla coesione e ad un equo trattamento tra regioni e cittadini europei;
   il danno che stanno subendo la Sardegna e i sardi rischia di essere irrimediabile per le ripercussioni sul sistema integrato del turismo e le gravi ricadute sul piano occupazionale;
   le condizioni di libero mercato devono essere garantite, ma risulta indispensabile impedire quella che appare all'interrogante una situazione da valutare sotto il profilo dell'abuso di posizione dominante che sfrutta l'assenza sul mercato della società Tirrenia che, con la decisione di non attivare alcune tratte tra la Sardegna e i porti italiani, favorire le speculazioni;
   la Tirrenia, non attuando il contratto di servizio e l'obbligo alla continuità territoriale da e per la Sardegna, non svolge la funzione di calmiere del mercato, consentendo di fatto, a giudizio dell'interrogante, alle compagnie di navigazione private di svolgere una vera e propria azione speculativa ai danni della Sardegna e dei Sardi;
   si rende indispensabile valutare con urgenza l'esigenza di un decreto emergenziale apposito per impedire il protrarsi di quella che appare una vera e propria sottrazione di un diritto costituzionale alla mobilità interna;
   un decreto emergenziale urgente si rende necessario proprio per tutelare un diritto sacrosanto alla mobilità sancito da tutti i trattati internazionali e dalla stessa Costituzione italiana;
   le norme in materia di concorrenza vietano le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, come sta accadendo sui trasporti da e per la Sardegna;
   in base alla normativa vigente è vietato fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali e di fatto realizzare un cartello anti Sardegna;
   la norma risulta essere esplicita anche per quanto riguarda l'abuso di posizione dominante di una o più compagnie di navigazione all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante;
   risulta, secondo la normativa vigente, vietato imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose. È vietato impedire o limitare la mobilità a danno dei consumatori;
   il diritto alla mobilità è diritto fondamentale ed inalienabile e non è accettabile la palese limitazione di un servizio pubblico fondamentale –:
   se non ritenga di dover convocare con urgenza le compagnie di navigazione che operano nelle tratte da e per la Sardegna per ripristinare una corretta definizione delle tariffe da applicare sulle stesse tratte;
   se non ritenga di dover rivolgere una segnalazione all'Autorità per la concorrenza e il mercato perché valuti l'inaccettabile aumento dei prezzi dei biglietti per le tratte da e per la Sardegna, l'eventuale abuso della posizione dominante e l'eventuale violazione della norma che vieta in modo diretto o indiretto la definizione di tariffe in regime di monopolio o di intesa tra soggetti operanti;
   se non ritenga di dover valutare la necessità di iniziative normative urgenti per evitare che venga perpetrata quella che all'interrogante appare una palese violazione del diritto costituzionale alla mobilità;
   se non ritenga di dover valutare l'eventuale sospensione delle autorizzazioni di competenza ministeriale per l'esercizio di quelle rotte, proprio alla luce di eventuali violazioni della normativa vigente relativa al diritto alla mobilità, all'abuso della posizione dominate e alla concorrenza. (5-00023)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 18 del Trattato dell'Unione europea riconosce il diritto al cittadino dell'Unione di «circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri secondo le procedure e le condizioni previste dal trattato stesso e dalla legislazione successiva»;
   il trasporto marittimo non rientra fra le materie attribuite dall'articolo 117 della Costituzione alla legislazione dello Stato, né fra quelle rimesse alla legislazione concorrente Stato-regioni. Tuttavia, le disposizioni volte a garantire la continuità del servizio pubblico di trasporto marittimo, sono riconducibili alla materia «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, di competenza statale;
   in sede di conversione del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125, sono stati definiti gli obiettivi al fine di assicurare il conseguimento della privatizzazione di cui all'articolo 19-ter del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, garantendo la continuità del servizio pubblico di trasporto marittimo e la continuità territoriale con le isole;
   le convenzioni di cui al comma 6 del predetto articolo 19-ter del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009, sono state conseguentemente prorogate dal 1o ottobre 2010 fino al completamento della procedura competitiva limitatamente alle clausole necessarie alla gestione del servizio pubblico per assicurare la continuità territoriale;
   in base al suddetto decreto dell'agosto 2010, per far fronte alla gestione di criticità del settore del trasporto marittimo, legate all'esigenza di garantire la continuità territoriale, e per favorire la conclusione dei processi di privatizzazione in atto, le regioni possono utilizzare le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate relative ai programmi di interesse strategico regionale di cui alla delibera del CIPE n. 1/2009 del 6 marzo 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 16 giugno 2009;
   tali precise indicazioni contenute nel decreto richiamato obbligavano l'amministrazione straordinaria della Tirrenia a porre in essere tutte le iniziative necessarie al fine di garantire la continuità territoriale tra la Sardegna e gli altri scali portuali del Paese;
   risulta fin troppo evidente che se tali procedure tese a garantire il rispetto della continuità territoriale di cui alle convenzioni richiamate non venissero messe in atto si continuerebbe a favorire, come sta gravemente avvenendo, quello che all'interrogante appare un vero e proprio «sequestro» di massa ai danni dei sardi e un isolamento senza precedenti della regione;
   tale previsione conferma anche per la prossima stagione una situazione gravissima sul piano del rincaro dei prezzi dei biglietti da parte delle altre compagnie che dinnanzi a questo scenario indefinito e complice finiscono per agire, ad avviso dell'interrogante, in regime di cartello monopolistico ai danni della Sardegna;
   sono stati denunciati rincari dei prezzi dei biglietti da parte delle compagnie marittime che risultano in alcuni casi quasi raddoppiati;
   la generica affermazione delle stesse compagnie secondo le quali si tratterebbe di un rincaro dovuto al prezzo del carburante risulta ingiustificata e non plausibile se non con il tentativo di approfittare di una situazione di totale assenza di controllo sul rispetto della continuità territoriale marittima da e per la Sardegna;
   la privatizzazione del gruppo Tirrenia favorisce direttamente e indirettamente gli stessi soggetti acquirenti –:
   se non ritenga di dover urgentemente riferire sulla privatizzazione della Tirrenia e le sue convenzioni;
   se non ritenga di dover intervenire al fine di assicurare da parte della Tirrenia la corretta attuazione del contratto di servizio relativamente alla continuità territoriale da e per la Sardegna;
   se non ritenga di dover garantire il rispetto di tutte le clausole relative alla continuità territoriale e l'attivazione di tutte quelle rotte indispensabili al fine di evitare comportamenti monopolistici e finalizzati solo alla massimizzazione dei profitti parte di altre compagnie di navigazione;
   se non ritenga di dover attivare, per quanto di propria competenza, una verifica sulla legittimità degli aumenti proposti dalle compagnie di navigazione operanti sulle tratte sarde;
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative relative alla continuità territoriale marittima da e per la Sardegna, anche con l'eliminazione del doppio regime residenti-non residenti che risulta anacronistico e non rispettoso del principio di eguaglianza, di pari di diritti di movimento dei cittadini europei in tutte le regioni, e a pari condizioni. (5-00025)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il sistema dei trasporti in Sardegna è ancora caratterizzato da condizioni di grave disagio e deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo che producono non solo una bassa qualità del servizio offerto ma costituiscono un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico;
   alle oggettive difficoltà derivanti dalla insularità, dalla conformazione prevalentemente montuosa del territorio regionale, dalla bassa densità insediativa, si somma uno storico deficit di infrastrutturazione complessiva, che incide negativamente sullo sviluppo «sistemico» dell'intera regione, costituendo un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico;
   al costo ed alle difficoltà proprie della condizione insulare, col conseguente basso livello di accessibilità alla rete nazionale ed europea, si unisce la debolezza delle connessioni interne all'isola, causate sia da forti carenze della rete stradale, sia dalla insufficiente dotazione infrastrutturale e dai mediocri livelli di servizio in particolare sulle linee ferroviarie;
   nel futuro del sistema ferroviario in Sardegna permangono gravissimi motivi di preoccupazione, peraltro posti in maggiore evidenza dai recenti incidenti mortali:
    in data 15 giugno 2007 lungo la tratta a scartamento ridotto Nuoro-Macomer, nel quale hanno perso la vita due passeggeri e un macchinista e in data 27 dicembre 2009 lungo la tratta a scartamento ordinario Chilivani-Sassari, nel quale ha perso la vita un macchinista;
   nelle Ferrovie sarde persiste, da oltre un ventennio, una condizione di criticità grave, che rischia di condurre l'intera regione ad un assetto trasportistico monomodale (tutto strada) in totale controtendenza rispetto alle tendenze nazionali ed europee;
   alcune carenze assimilabili ai contesti del Mezzogiorno e della Sardegna si riferiscono ai bassi livelli di accessibilità alla rete nazionale ed europea, nonché al proprio interno, causati da insufficienti dotazioni infrastrutturali ed ancora più da mediocri livelli di servizio sia delle linee che delle infrastrutture, ad una disomogenea distribuzione territoriale delle residenze e delle attività che evidenziano aree a bassa densità di popolazione;
   l'infrastruttura regionale risulta essere collegata solo teoricamente alla direttrice tirrenica, afferente l'asse Ferroviario n. 1 Berlino-Verona/Milano Bologna-Napoli-Messina-Palermo, attraverso i collegamenti marittimi e il tratto ferroviario di connessione con il porto di Civitavecchia;
   la necessità di un effettivo ammodernamento del sistema ferroviario della Sardegna, risulta ad avviso dell'interrogante a tutt'oggi non condivisa ed estranea alla pratica operativa, di RFI, Trenitalia, Cargo, confermandosi una situazione di deficit d'esercizio sintetizzabile a partire dal dato, antistorico, di una velocità media (lungo la rete ferroviaria nazionale) nell'ordine dei 70 chilometri all'ora;
   la condizione di criticità prefigura un futuro di abbandono per un patrimonio costituito da 436 chilometri di tracciato a scartamento ordinario, non elettrificata, per grandissima parte a semplice binario, sin qui gestita da FS spa, e da altri 626 chilometri da linee a scartamento ridotto, passati alla gestione regionale con l'assenso secondo l'interrogante non giustificabile della precedente giunta regionale, ma in assenza di qualsiasi risorsa sufficiente ad una seppur minima messa in sicurezza né tantomeno al suo adeguamento infrastrutturale;
   la provincia di Cagliari, la più popolosa, per fare un esempio, risulta 98a fra le province italiane, terzultima nel Mezzogiorno, ha un indice relativo alla rete ferroviaria di 24,7, leggermente superiore alla media regionale (24,5) ma comunque, nettamente al di sotto della media delle regioni del Mezzogiorno (84,7);
   la dotazione regionale di infrastrutture ferroviarie, la rete di livello nazionale, gestita da RFI, è costituita da 437 chilometri di linea (2,6 per cento del totale nazionale) a scartamento ordinario, semplice binario e non elettrificata. Solo 16,6 chilometri sono a doppio binario (Cagliari-Decimomannu), cui s'aggiungono circa 8 chilometri nella nuova tratta in galleria a Bonorva;
   la densità ferroviaria, indice d'accessibilità del territorio, rapporto tra estesa delle linee e superficie regionale, è di 18 metri/chilometro quadrato, contro un valore medio nazionale di 55; il grado di diffusione ferroviario della Sardegna è quindi un terzo di quello nazionale;
   la rete è suddivisa in linee fondamentali (Cagliari-Chilivani-Olbia), complementari (Chilivani-P. Torres) e secondarie (Decimomannu-Iglesias; Villamassargia-Carbonia) con riferimento alla relativa funzione e all'entità del traffico;
   il Piano regionale dei trasporti, ed il Piano regionale delle merci, come da ultimo approvato dalla giunta regionale con deliberazione n. 12/26 in data 16 aprile hanno indicato tra i progetti prioritari l'ammodernamento e velocizzazione della rete ferroviaria sarda;
   l'Intesa generale quadro stipulata l'11 ottobre 2002 tra il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il presidente della regione autonoma della Sardegna, nella quale sono indicate quali opere «di preminente interesse nazionale» ha individuato gli interventi ricadenti nel territorio sardo tra quelli inseriti nel 1o programma delle infrastrutture strategiche;
   in tale Intesa le parti hanno convenuto che le risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione degli interventi ivi previsti «saranno comunque rese disponibili fino alla completa realizzazione delle opere secondo gli importi che risulteranno dai quadri economici dei progetti approvati» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «si impegna fin d'ora a sostenere, con risorse proprie e/o delle aziende vigilate, gli oneri economici per la progettazione di specifiche opere rientranti fra quelle per le quali le parti determineranno di collaborare»;
   il documento n. 161 del 22 gennaio 2003, sottoscritta, tra il capo del dipartimento coordinamento e sviluppo del territorio del Ministero delle infrastrutture e trasporti e il capo del dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero dell'economia e delle finanze, è finalizzato ad armonizzare i contenuti delle intese istituzionali di programma e degli accordi di programma quadro con quanto previsto nelle intese generali quadro in ordine al 1o Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla citata delibera CIPE 21/2001 anche ai fini dell'appropriata gestione e rafforzamento delle attività di monitoraggio;
   il programma attuativo, conseguente all'intesa del 2002 e all'accordo approvato dalla giunta regionale nel 2003, per quanto riguarda il trasporto ferroviario, prevedeva di:
    a) ampliare, potenziare e velocizzare la rete ferroviaria, al fine di renderla idonea a garantire un adeguato livello di qualità nonché ad aumentare l'offerta del servizio esistente, anche attraverso una sostanziale riduzione dei tempi di percorrenza. A questo fine le parti concordano che gli interventi infrastrutturali previsti nel presente Accordo, con le risorse disponibili e quelle programmate, sono funzionali all'obiettivo di ridurre, entro il quadriennio 2004-2007, i tempi di percorrenza sulle due relazioni Cagliari-Sassari-Porto Torres e Cagliari-Chilivani-Olbia-Golfo Aranci, in misura tale da elevarne il livello di concorrenzialità con le altre modalità di trasporto;
    b) potenziare le principali linee ferroviarie per realizzare un significativo spostamento modale di quote di traffico dal sistema su gomma a quello su ferro. Tale obiettivo, peraltro, dovrà essere realizzato anche attraverso un riordino dei sistemi su gomma diretto ad eliminare eventuali parallelismi nell'offerta e, viceversa, a favorire l'interscambio gomma/ferro in prossimità delle stazioni;
    c) realizzare interventi di collegamento ai nodi urbani ed ai servizi portuali ed aeroportuali;
   la definitiva attribuzione delle risorse del Programma operativo nazionale (PON) trasporti 2000-2006 registra una pesante penalizzazione subita dalla regione Sardegna, in particolare nel settore delle ferrovie, ove il responsabile nazionale delle misure 1.1 e 2.1 risulta non aver proceduto a sviluppare la progettualità necessaria all'attuazione di un complesso di intervento mirati alla velocizzazione della principale linea ferroviaria regionale (Cagliari/Porto Torres/Golfo Aranci);
   il recente documento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «Selezione dei progetti per la realizzazione del PON Trasporti 2000/2006 – Lista Progetti CdS 25 maggio 2009» mostra, per il settore delle ferrovie una situazione che emerge in tutta la sua gravità;
   il Programma operativo nazionale trasporti 2000-2006 in Sardegna alla misura 1.1 – Miglioramento della rete e del servizio ferroviario attraverso l'adeguamento della linea – con una dotazione di euro 1.518.420.228 (il 33,6 per cento dell'intero PON trasporti) ha totalmente escluso dall'intervento la Regione Sardegna;
   la misura 3.3 – Sviluppo delle infrastrutture finalizzate all'intermodalità delle merci, che ha avuto grosse difficoltà anche alla scala nazionale, per incertezze connesse al rispetto delle regole della concorrenza, ed alla conseguente impossibilità di finanziare infrastrutture destinate ad operatori privati ha anche in questo caso escluso la Sardegna;
   nei bilanci di RFI, responsabile delle misure 1.1 e 2.1 del PON Trasporti 2000-2006, è effettivamente presente una assegnazione complessiva di euro 2.086.936.887. L'ammontare di risorse teoricamente destinato alla Regione, stimabile sulla base della quota dell'11,95 per cento, in euro 249 milioni circa, in ragione dell'assenza di progettazione, è stato distribuito sui territori delle altre regioni del Mezzogiorno;
   nella programmazione 2007-2013 si rende necessario recuperare con somma urgenza tali risorse, opportunamente rivalutate anche per non perseverare nella seguente, ad avviso dell'interrogante inaccettabile programmazione 2007-2013 in quanto:
    a) il Programma nazionale «reti e mobilità», inizialmente destinato a tutte le regioni del Mezzogiorno non ha infatti ricompreso Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna, risultando a tutt'oggi operativo solamente nella sezione finanziata del FERS, per le sole regioni rimaste nell'Obiettivo 1 (giova al riguardo rilevare che lo sforamento statistico di taluni indici economici non equivale ad un recupero del deficit infrastrutturale pregresso);
    b) il programma di interventi relativo all'alta velocità e all'adeguamento infrastrutturale delle dorsali ferroviarie nazionali non ricomprende, tra le regioni destinatarie, la Sardegna;
    c) gli interventi del Fondo infrastrutture sin qui definiti interessano solo marginalmente la regione sarda, comunque esclusa dagli interventi di adeguamento della rete ferroviaria;
    d) gli interventi previsti dal decreto-legge 29 novembre 2008 n. 185 convertito con modificazioni dalla legge n. 2 del 2009, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale, destinano una specifica sezione di intervento, per 2400 milioni di euro al sostegno delle ferrovie e del trasporto pubblico locale, utilizzando a tal fine le risorse del FAS 2007-2013;
    e) l'articolo 25 della medesima disposizione, al comma due cita esplicitamente i soli contratti di servizio di Trenitalia con le sole regioni a statuto ordinario «Per assicurare i necessari servizi ferroviari di trasporto pubblico, al fine della stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle Regioni a statuto ordinario con Trenitalia spa, è autorizzata la spesa di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011»: una restrittiva applicazione di tale norma condurrebbe quindi ad una paradossale penalizzazione di tutte le regioni a statuto speciale, contraddicendo lo stesso principio ispiratore dell'omogeneità del sistema ferroviario italiano;
    f) analoga perplessità riguarda la ripartizione delle risorse, al cui onere (1440 milioni di euro per l'anno 2009 e 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011), ai sensi dei commi 3 e 4 del citato articolo 25, «si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 61, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, relativa al Fondo per le aree sottoutilizzate, a valere sulla quota destinata alla realizzazione di infrastrutture ai sensi dell'articolo 6-quinquies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133», (...) «Ferrovie dello Stato spa presenta annualmente al Ministro dell'economia e delle finanze una relazione sui risultati della attuazione del presente articolo, dando evidenza in particolare del rispetto del criterio di ripartizione, in misura pari rispettivamente al 15 per cento e all'85 per cento, delle quote di investimento riservate al nord e al sud del Paese.»;
   risulta inaccettabile che tali risorse relative al fondo aree sottoutilizzate, all'interno del contesto nazionale, ed in particolare del Mezzogiorno contrastino con i criteri di ripartizione che non dovrebbero discostarsi per alcuna ragione da quelli assunti dal Quadro strategico nazionale 2007-2013, che hanno da tempo codificato, in favore della Sardegna, una quota di ripartizione pari al 12,61 per cento del totale delle risorse dedicate al Mezzogiorno (Delibera CIPE 166/2007, tabella 4);
   un eventuale scostamento da tali criteri di ripartizione andrebbe adeguatamente motivato, ad esempio sulla base di una compensazione per il pregresso non assegnato, ovvero assumendo criteri specifici relativi al fabbisogno infrastrutturale, misurabile attraverso fattori oggettivi quali l'estesa chilometrica, o l'insufficienza della velocità commerciale lungo linea: va detto sin d'ora che criteri di assegnazione delle risorse fondati sul riconoscimento dell'effettivo deficit infrastrutturale, condurrebbero a coefficienti di ripartizione delle risorse destinate al Mezzogiorno sensibilmente superiori al quantum sin qui solo teoricamente riconosciuto alla regione Sardegna. E di fatto comunque negato nell'ambito della richiamata programmazione;
   i criteri di ripartizione di tali somme all'interno del contesto nazionale, ed in particolare del Mezzogiorno non devono discostarsi in alcun modo se non per incrementarli, ai fini di ulteriore compensazione del pregresso sottratto, da quelli che il quadro strategico nazionale utilizza per la distribuzione delle risorse alla scala regionale, com’è noto pari 12,61 per cento per ciò che attiene la regione Sardegna (delibera CIPE 166/2007, tabella 4);
   i criteri di riparto dovrebbero essere sensibilmente superiori a tale quota, sopratutto se si prendesse in considerazione ad esempio il dato di fabbisogno infrastrutturale (rilevabile dalla estesa chilometrica, e dalla modesta velocità commerciale lungo linea);
   la stima del quantum di risorse FAS, riparto nazionale, da assegnarsi alla regione Sardegna va comunque effettuata con la massima celerità al fine di recuperare i divari registrati e incrementati negli anni;
   il citato comma due dell'articolo 25 del decreto-legge n. 185 del 2008, non ha esplicitamente inserito nel riparto le regioni a Statuto speciale, richiamando esclusivamente le sole regioni a statuto ordinario;
   una restrittiva applicazione della norma costituirebbe una paradossale penalizzazione per tutte le regioni a statuto speciale, contraddicendo lo stesso principio ispiratore dell'omogeneità del sistema ferroviario italiano;
   il sostanziale disimpegno di RFI ha condotto ad un progressivo abbattimento dei livelli di servizio sul sistema ferroviario della Sardegna:
    come emerge dalla lettura degli orari riportati dal sito Trenitalia a velocità commerciale media sulla rete RFI s'aggira, in Sardegna, sui 65-70 chilometri orari;
   soltanto uno dei 5 collegamenti Cagliari-Sassari (261 chilometri in ferrovia, 215 chilometri sulla strada statale 131) è infatti effettuato dal treno più veloce in 2 ore e 50 minuti (velocità commerciale 92 chilometri orari); gli altri quattro impiegano delle 3 ore e 30 minuti alle 4 ore, con una velocità commerciale media oscillante tra i 75 ed i 65 chilometri orari: tempo superiore del 50 per cento rispetto a quello «impiegabile» da un'autovettura di media cilindrata sulla strada statale 131;
    il collegamento Sassari-Olbia (116 chilometri) è coperto in circa 1 ora e 50 minuti, alla velocità commerciale inferiore ai 65 chilometri orari;
   la tratta «inter-city» a più alto traffico (Cagliari-Oristano, 94 chilometri), che si sviluppa su tracciato in piano, è percorsa da circa 18 treni giornalieri, ma solamente 2 corse/die effettuano la tratta in 56 minuti circa, alla velocità commerciale di oltre 100 chilometri orari: per le altre, i tempi di connessione giungono ai 70, 80, 110 minuti, segnate quindi da uno standard di esercizio che abbatte le velocità commerciali sino ai 60 e addirittura ai 47 chilometri orari;
    a tale rete si aggiungono 620 chilometri di rete ferroviaria a scartamento ridotto, passata dalla gestione governativa alla gestione regionale in assenza di alcun progetto di ammodernamento, sulla quale la velocità di percorrenza oscilla tra i 60 chilometri orari della Sassari-Alghero e della Cagliari-Mandas, per ridursi ai 33 chilometri sulle tratte a valenza turistico e paesistica: Sorgono-Mandas-Arbatax, Palau-Arzachena-Tempio-Nulvi, Nuoro-Macomer-Bosa;
   per tale sottosistema ferroviario regionale, sono necessari importanti momenti di riqualificazione:
    sulle tratte a maggiore valenza urbana, per le quali si prospetta (con fondi regionali, nazionali e comunitari) il completamento delle azioni già avviate con le metropolitane leggere di Cagliari e Sassari, con la estensione delle tratte elettrificate, e la semplificazione degli attuali passaggi a livello, da ricondurre a normali intersezioni semaforiche;
    per le tratte gravitanti sui centri urbani, per le quali occorre a ricondurre a standard, in particolare sulle tratte pianeggianti, le velocità di esercizio;
    sulle tratte che attraversano i territori montani, segnandone paesaggio e storia, sulla quali la domanda di «turismo ambientale» ha mantenuto trend di crescita nell'ordine del 7-8 per cento all'anno, sino a lasciare inevase quote elevate di domanda, per l'insufficienza dei treni (dedicati alla domanda pendolare) e per la carenza di figure rare quali quelle dei macchinisti, in favore dei quali sono state peraltro applicate le norme relative al prepensionamento degli addetti;
   ai sensi del comma 837 dell'articolo 1 della legge Finanziaria per il 2007 tali linee sono passate alla gestione regionale. Senza alcuna risorsa aggiuntiva, e senza registrare, e quantificare, i danni conseguenti ad oltre un cinquantennio di sostanziale assenza di investimenti, all'interno di un accordo a tutt'oggi privo delle risorse necessarie alla messa in sicurezza ed all'ammodernamento dell'infrastruttura;
   il «Corridoio plurimodale Sardegna continente» è privo del servizio di traghettamento ferroviario delle merci, sospeso da Trenitalia a partire dal luglio 2008;
   risultano disattesi anche gli impegni assunti da Trenitalia per garantire almeno il transito delle carrozze ferroviarie destinate alla Keller di Villacidro: che sono invece a tutt'oggi ferme a Civitavecchia, impossibilitate ad essere imbarcate, mentre per le maestranze dell'azienda, impossibilitata ad operare nonostante la presenza di specifiche commesse, si prospetta la cassa integrazione;
   sulla tratta ferroviaria Nuoro-Macomer, dopo l'incidente del 15 giugno 2007 nel quale hanno perso la vita due passeggeri e un macchinista non è stato, a tutt'oggi, effettuato alcun intervento;
   la tratta ferroviaria Chilivani-Sassari, sulla quale per un fenomeno franoso ha perso la vita, il 27 dicembre 2009, nel quale ha perso la vita un macchinista delle Ferrovie, non è a tutt'oggi riaperta all'esercizio, dimostrando in tutta la sua gravità lo stato di abbandono in cui versa la rete ferroviaria sarda, con particolare riferimento alle condizioni di sicurezza;
   risulta evidente la penalizzazione subita dalla Sardegna sia in termini di mancata assegnazione di risorse pregresse, sia in termini di continuo decadimento del livello di servizio ferroviario;
   appare impegno inderogabile la stima del quantum da assegnare alla Regione a valere sul riparto nazionale (e/o sul fondo infrastrutture) delle risorse FAS 2007-2013, risorse statali, riparto nazionale, da effettuarsi con la massima celerità, al fine di recuperare i divari registrati e incrementati negli anni, col concorso del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la regione autonoma della Sardegna;
   la legge 5 maggio 2009, n. 42 «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 103 del 6 maggio 2009, all'articolo 22, prevede:
    (Perequazione infrastrutturale)
  1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
   a) estensione delle superfici territoriali;
   b) valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno;
   c) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo;
   d) densità della popolazione e densità delle unità produttive;
   e) particolari requisiti delle zone di montagna;
   f) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
   g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

  2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma da effettuare nelle aree sottoutilizzate sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 –:
   se il Governo non ritenga urgente definire un piano di riequilibrio delle condizioni infrastrutturali e strutturali del sistema trasporti ferroviari della Sardegna a partire dalla definizione di progetti capaci di eliminare i consistenti divari su tutti i parametri di efficienza delle reti ferroviarie sarde;
   se il Governo non ritenga di dover assumere decise iniziative nei confronti di Ferrovie dello Stato e RFI, prima di qualsiasi trasferimento di competenze alla regione, per un adeguamento strutturale dei tracciati delle principali dorsali ferroviarie, con il conseguente inserimento anche della Sardegna tra le regioni destinatarie degli interventi dedicati all'alta velocità ed all'effettivo ammodernamento della rete ferroviaria nazionale;
   se il Governo non intenda, prima di qualsiasi attuazione di norme di trasferimento di competenze alla regione Sardegna, di attribuire apposite risorse tese al riequilibrio infrastrutturale e funzionale del sistema ferroviario sardo;
   se il Governo non ritenga di dover ridefinire i mancati stanziamenti di risorse degli anni passati, per responsabilità diretta dei soggetti che non hanno definito adeguate progettazioni per l'ammodernamento e la velocizzazione della rete ferroviaria della Sardegna;
   se il Governo non ritenga di dover imporre, prima di qualsiasi trasferimento di competenze alla regione, alle Ferrovie dello Stato e RFI un adeguamento strutturale dei tracciati delle principali dorsali ferroviarie della Sardegna con il conseguente inserimento anche della Sardegna tra le regioni destinatarie degli interventi dell'alta velocità considerato l'appartenenza della regione stessa allo Stato italiano;
   se il Governo, alla luce della fallimentare esperienza del precedente governo regionale che aveva rinunciato al miglioramento della rete ferroviaria affidandolo a paventati «miracolistici» treni, non ritenga di dover valutare l'urgente necessità di definire una correzione dei rettifili dei tracciati ferroviari tali da poter favorire anche in Sardegna l'utilizzo di mezzi adeguati al parametro nazionale ed europeo;
   se il Governo anche alla luce dei mancati stanziamenti di risorse degli anni passati, per responsabilità diretta di soggetti che non hanno definito adeguate progettazioni per l'ammodernamento e la velocizzazione della rete ferroviaria regionale, non ritenga di dover ridefinire, all'interno del contratto di programma RFI, gli stanziamenti in favore della Regione Sardegna;
   se non ritenga di dover assumere le opportune iniziative, eventualmente normative, per applicare l'articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 185 del 2008 includendo anche le regioni a statuto speciale tra quelle destinatarie della ripartizione dei fondi destinati al miglioramento delle ferrovie;
   se il Governo non ritenga necessario ed urgente coinvolgere la Sardegna nella procedura prevista al comma 1 dell'articolo 22 della legge 5 maggio 2009 n. 103, predisponendo quindi ai sensi del comma 2, dell'articolo 22 citato, d'intesa con la regione, un concreto piano attuativo per il recupero del deficit infrastrutturale pregresso. (5-00037)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 febbraio 2012 nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea C 38/7 è stata pubblicata la comunicazione di informazioni provenienti dagli Stati membri relativamente alla procedura prevista dall'articolo 17, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità;
   nella stessa comunicazione si informa sul «bando di gara per l'esercizio di servizi aerei di linea in conformità degli oneri di servizio pubblico di cui all'informativa pubblicata nella GU C 10 del 12 gennaio 2012»;
   tale comunicazione è conseguente alla pubblicazione da parte della regione autonoma della Sardegna delle determinazioni di seguito richiamate:
    determinazione n. 41 del 1o febbraio 2012:
     oggetto: procedura di gara d'appalto per gli oneri di servizio pubblico ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 9 e 10, e articolo 17 del regolamento (CE) 1008/2008. Rotta Alghero-Roma Fiumicino e viceversa. Approvazione atti e indizione procedura di gara;
    determinazione n. 42 del 1o febbraio 2012:
     oggetto: procedura di gara d'appalto per gli oneri di servizio pubblico ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 9 e 10, e articolo 17 del regolamento (CE) 1008/2008. Rotta Alghero-Milano Linate e viceversa. Approvazione atti e indizione procedura di gara;
    determinazione n. 43 del 1o febbraio 2012:
     oggetto: procedura gara d'appalto per gli oneri di servizio pubblico ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 9 e 10, e articolo 17 del regolamento (CE) 1008/2008. Rotta Cagliari-Roma Fiumicino e viceversa. Approvazione atti e indizione procedura di gara;
    determinazione n. 44 del 1o febbraio 2012:
     oggetto: procedura di gara d'appalto per gli oneri di servizio pubblico ai sensi dell'articolo 16 paragrafo 9 e 10 e articolo 17 del regolamento (CE) 1008/2008. Rotta Cagliari-Milano Linate e viceversa. Approvazione atti e indizione procedura di gara;
    determinazione n. 45 del 1o febbraio 2012:
     oggetto: procedura di gara d'appalto per gli oneri di servizio pubblico ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 9 e 10 e articolo 17 del regolamento (CE) 1008/2008. Rotta Olbia-Roma Fiumicino e viceversa. Approvazione atti e indizione procedura di gara;
    determinazione n. 46 del 1o febbraio 2012:
     oggetto: procedura di gara d'appalto per gli oneri di servizio pubblico ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 9 e 10, e articolo 17 del regolamento (CE) 1008/2008. Rotta Olbia-Milano Linate e viceversa. Approvazione atti e indizione procedura di gara;
   con la nota informativa di cui all'articolo 16, paragrafo 4, del regolamento (CE) 1008/2008 pubblicata in data 12 gennaio 2012 nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea (2012/C 10/03) sono state sottoposte ad oneri di servizio pubblico le rotte Cagliari-Milano Linate e viceversa, Cagliari-Roma Fiumicino e viceversa, Olbia-Milano Linate e viceversa, Olbia-Roma Fiumicino e viceversa, Alghero-Milano Linate e viceversa, Alghero-Roma Fiumicino e viceversa, con decorrenza 25 marzo 2012;
   la suddetta nota informativa disponeva il termine di 60 giorni dalla pubblicazione (12 gennaio 2012) per l'accettazione degli oneri di servizio pubblico da parte delle compagnie;
   tale termine risulta fissato per l'undici marzo;
   a tale procedura sarebbe dovuta seguire, qualora nessuna compagnia avesse accettato l'imposizione dell'onere del servizio pubblico, una procedura di gara per l'individuazione del soggetto che per ogni singola rotta avrebbe, in regime di esclusiva, effettuato tali rotte;
   appare sin troppo evidente ed elementare che la pubblicazione delle richiamate determinazioni con probabilmente laute e a giudizio dell'interrogante totalmente ingiustificate compensazioni, nell'ambito dei termini ancora aperti per l'accettazione senza oneri dell'imposizione dell'onere servizio pubblico, risulta non solo incomprensibile ma sul piano procedimentale di dubbia legittimità e lesiva del principio di buona condotta della pubblica amministrazione;
   risulta evidente che, dinanzi ad una ipotesi di elargizione di denaro pubblico, senza alcuna verifica della congruità e della legittimità della stessa, nessuna compagnia viene indotta ad accettare, come avrebbe dovuto indicare una condotta di buona, corretta, equa, imparziale amministrazione, gli oneri di servizio pubblico senza alcuna compensazione;
   la gravità del provvedimento, che investe interamente la competenza dell'amministrazione statale, considerato che lo stesso viene adottato in regime di delega statale alla regione, risiede tra gli altri rilievi nella violazione del preciso disposto comunitario che indica in modo puntuale la scansione temporale con la quale articolare la procedura;
   aver sovrapposto all'imposizione dell'onere del servizio pubblico senza oneri per la pubblica amministrazione una gara d'appalto con la previsione di compensazioni ritenute dall'interrogante di dubbia legittimità e ingiustificate costituisce di fatto una turbativa della procedura d'imposizione dell'onere del servizio pubblico;
   nel dispositivo di imposizione dell'onere servizio pubblico decretato dal Ministro delle infrastrutture e di trasporti è contemplato un ragionevole utile d'impresa che, così come previsto nelle disposizioni comunitarie, deve essere contabilizzato sin dalla prima fase nelle tariffe imposte;
   le compagnie aeree, dunque, accettando l'imposizione dell'onere del servizio pubblico avrebbero due ordini di guadagno:
    a) il ragionevole utile d'impresa compreso tra il 4 e l'8 per cento;
    b) l'intero guadagno tra il coefficiente di riempimento del 70 per cento e 100 per cento considerato che le tariffe sono state calcolate su un load factor del 70 per cento;
   oltre alla gravità della sovrapposizione procedurale, ad avviso dell'interrogante potrebbe configurarsi come aiuto di Stato l'eventuale elargizione di compensi che andrebbero a sommarsi al già guadagno nell'ambito dell'onere del servizio pubblico;
   la scansione temporale della tempistica procedurale recita: lo Stato membro entro 2 mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea della nota informativa di cui all'articolo 16, paragrafo 4, del regolamento CE 1008/2008, comunica la propria intenzione di istituire servizi aerei di linea rispondenti agli oneri di servizio pubblico sulle rotte indicate, a decorrere dalla data di entrata in vigore degli oneri di servizio pubblico sulla medesima rotta, senza usufruire di diritti esclusivi e senza ricevere un corrispettivo finanziario; il Governo italiano – Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 9 e 10, del regolamento (CE) 1008/2008, può limitare l'accesso alla stessa ad un unico vettore e concedere il diritto all'esercizio dei servizi aerei di linea sulla rotta sopra citata tramite gara pubblica secondo la procedura prevista dall'articolo 17 del regolamento (CE) n. 1008/2008;
   è evidente che la tempistica prevede prima la conclusione della procedura di imposizione dell'onere del servizio pubblico e poi la gara, con o senza compensazione;
   la gara, anche in considerazione del ragionevole utile d'impresa calcolato nell'imposizione dell'onere del servizio pubblico, si sarebbe dovuta svolgere, eventualmente, con un ribasso sulla tariffa e non sulle compensazioni;
   le cifre indicate nelle determinazioni all'interrogante appaiono frutto di analisi superficiali, incongrue e totalmente infondate sul reale costo dell'ora volata, e sulla stessa parametrazione oraria che assimila tratte diverse nonostante rilevanti differenze chilometriche;
   le compensazioni previste raggiungono cifre insostenibili e ingiustificabili così indicate nelle determinazioni:
    a) per l'affidamento dei servizi aerei onerati sulla rotta Cagliari-Roma Fiumicino e viceversa con compensazione finanziaria da assumere a base di gara per l'affidamento di euro 17.056.370,91 al netto dell'IVA (pari a euro 18.762.008,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per ciascun anno, per un totale complessivo pari a euro 68.225.483,64 al netto di IVA (pari a euro 75.048.032,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per un periodo pari a quattro anni;
    b) per l'affidamento dei servizi aerei onerati sulla rotta Alghero-Roma Fiumicino e viceversa con compensazione finanziaria da assumere a base di gara per l'affidamento di euro 5.389.868,18 al netto dell'IVA (pari a euro 5.928.855,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per ciascun anno, per un totale complessivo pari a euro 21.559.472,73 al netto di IVA (pari a euro 23.715.420,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per un periodo pari a quattro anni;
    c) per l'affidamento dei servizi aerei onerati sulla rotta Alghero-Milano Linate e viceversa con compensazione finanziaria da assumere a base di gara per l'affidamento di euro 2.244.341,82 al netto dell'IVA (pari a euro 2.468.776,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per ciascun anno, per un totale complessivo pari a euro 8.977.367,27 al netto di IVA (pari a euro 9.875.104,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per un periodo pari a quattro anni;
    d) per l'affidamento, per un periodo pari a quattro anni, del servizio di trasporto aereo per la rotta Cagliari-Milano Linate e viceversa, in euro 12.720.149,09 al netto dell'IVA (pari a euro 13.992.164,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per ciascun anno, per un totale complessivo pari a euro 50.880.596,36 al netto di IVA (pari a euro 55.968.656,00 comprensivo di IVA al 10 per cento);
    e) per l'affidamento dei servizi aerei onerati sulla rotta Olbia-Roma Fiumicino e viceversa con compensazione finanziaria da assumere a base di gara per l'affidamento di euro 3.616.200,00 al netto dell'IVA (pari a euro 3.977.820,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per ciascun anno, per un totale complessivo pari a euro 14.464.800,00 al netto di IVA (pari a euro 15.911.280,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per un periodo pari a quattro anni;
    f) per l'affidamento dei servizi aerei onerati sulla rotta Olbia-Milano Linate e viceversa con compensazione finanziaria da assumere a base di gara per l'affidamento di euro 4.104.542,73 al netto dell'IVA (pari a euro 4.514.997,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per ciascun anno, per un totale complessivo pari 16.418.170,91 al netto di IVA (pari a euro 18.059.988,00 comprensivo di IVA al 10 per cento) per un periodo pari a quattro anni;
   la somma delle singole compensazioni è di circa 200 milioni di euro –:
   se non ritenga di dover intervenire per verificare la correttezza della procedura adottata e la sua tempistica, che, di fatto, ad avviso dell'interrogante inficia i provvedimenti del Ministro sull'imposizione dell'onere del servizio pubblico;
   quali siano i suoi intendimenti in merito alle compensazioni, considerato che il Ministero ha partecipato alle conferenze di servizio dai cui verbali, a parere dell'interrogante, si evince che le compensazioni risultano prive di una qualsiasi attenta analisi di costi;
   se non ritenga di dover informare gli organi competenti relativamente a possibili gravi turbative intervenute sull'imposizione dell'onere del servizio pubblico;
   se non ritenga di dover fornire elementi sugli atti procedimentali relativi all'imposizione dell'onere del servizio pubblico. (5-00041)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 dicembre il sottoscritto interrogante, nella sua qualità di deputato della Repubblica, rivolgeva alla Direzione generale per gli aeroporti ed il trasporto aereo richiesta di copia integrale degli atti relativi alla conferenza dei servizi sulla continuità territoriale aerea formalmente trasmessi dalla regione Sardegna al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   in data 21 dicembre la Direzione generale, dopo non poche e a parere dell'interrogante pretestuose difficoltà, con verbale di accesso agli atti della Direzione generale per gli aeroporti ed il trasporto aereo, relativi al procedimento amministrativo di imposizione di oneri di servizio pubblico sulla regione Sardegna veniva consegnata all'interrogante copia della seguente documentazione:
    verbale della conferenza di servizi in data 7 settembre 2011;
    verbale della conferenza di servizi in data riunione n. 2 del 5 ottobre 2011;
    verbale della conferenza di servizi in data riunione n. 3 del 26 ottobre 2011;
    allegato tecnico della conferenza dei servizi;
    schema di imposizione di OSP;
   l'accesso veniva consentito previa apposizione delle marche relative al costo delle copie, pari a euro 4,94;
   dagli atti consegnati emergeva sin dal primo esame un'approssimazione disarmante sia per quanto riguarda l'impostazione delle conferenze di servizio sia per le stesse analisi accompagnatorie;
   il primo riscontro riguardava l'approssimazione relativa all'impostazione della procedura di calcolo delle tariffe che appariva confusa e contraddittoria;
   il regolamento comunitario, infatti, prevede la definizione della tariffa da sottoporre all'accettazione dell'onere del servizio pubblico senza oneri attraverso la definizione del costo effettivo del servizio (costo ora/volo) con l'aggiunta di un ragionevole utile d'impresa;
   tale calcolo, dunque, avrebbe dovuto definire sia un costo che un ragionevole guadagno;
   la procedura seguita, invece, definisce prima una tariffa risultante dalla somma dei costi e dell'utile al 4 per cento e poi, argomentando in modo secondo l'interrogante confuso e contraddittorio, una compensazione da affidare in seconda fase alle compagnie aeree, qualora nessuno avesse accettato l'imposizione dell'onere del servizio pubblico;
   di per sé, il solo aver sovrapposto in fase di elaborazione queste due ipotesi, denota a parere dell'interrogante, se non una confusione delle procedure, una chiara ed evidente volontà di elargire in tutti i modi contributi alle compagnie aeree;
   tale evidente volontà appare manifesta nei verbali delle conferenze dai quali si evince, anche per via di una verbalizzazione di per sé eloquente del modo di operare, che un consulente della Presidenza della regione ripetutamente richiama l'indizione delle gare, con esplicito e chiaro riferimento all'utilizzo delle compensazioni ignorando la fase dell'imposizione degli oneri del servizio pubblico e la loro accettazione;
   nella riunione n. 2 della conferenza dei servizi è addirittura riportata la seguente affermazione: «il professor Deiana ribadisce la volontà della RAS, già espressa dal Presidente Cappellacci, di voler concludere celermente i lavori della conferenza per poter espletare l'iter delle gare entro febbraio 2012»;
   tra gli atti della conferenza dei servizi risulta un documento denominato «Allegato tecnico» con le firme in calce dei funzionari presenti;
   in tale documento si riporta una tabella di calcolo con la quale si sarebbe definito il costo dell'ora/volo attraverso la quale definire il costo dei biglietti;
   da subito si evince che sono state prese in considerazione tre tipologie di aeromobili tra loro diverse sia per anno di fabbricazione che per consumi e in particolare aeromobili che gran parte delle compagnie stanno dismettendo, come gli MD83 proprio per la loro vetustà;
   tali elementi di riferimento costituiscono di fatto il primo evidente elemento riconducibile a compagnie aeree ben individuate e individuabili sulle quali sembra essere stato predisposto l'allegato tecnico;
   nell'analisi compaiono, dunque, le cifre relative al «costo medio di acquisizione» degli aeromobili lasciando intravedere come base di calcolo una potenziale flotta di una determinata compagnia aerea;
   il costo di acquisizione medio degli aeromobili che si riporta, pur essendo decisivo nella determinazione del costo finale dell'ora/volo, non viene in alcun modo circoscritto all'anno di acquisizione, elemento non di secondo piano considerato che si sta definendo un valore di ammortamento da far ricadere nel costo finale del biglietto;
   nell'allegato tecnico, senza indicare a quale anno di acquisizione si riferiscono i dati, si indica una valutazione di 50.000.000 di euro per un Airbus A320, 12.000.000 per un Boeing 737-400 e 6.500.000 per un MD83;
   nell'analisi successiva relativa ai «costi indiretti annuali» viene riportata una rata annua per i tre tipi di aeromobili pari a 5.000.000 euro per l'A320, 1.200.000 per il Boeing 737-400 e 650.000 euro per l'MD83;
   da tale previsione di rata si desume che per quella tipologia di aeromobili sia stata prevista una rateizzazione decennale;
   tale rateizzazione comporta un costo indiretto per ora/volo pari 1.786 euro/ora/volo per l'Airbus A320, 429 euro/ora/volo per il Boeing 737-400 e 232 euro/ora/volo;
   nell'analisi sull'ammortamento non vengono riportati gli elementi essenziali necessari alla definizione della rata di ammortamento (annualità e valore di partenza) si rende necessario fare alcune valutazioni di natura economica finanziaria;
   la prima valutazione da compiersi è sul valore degli aeromobili;
   la discrepanza di valore di acquisizione lascia intendere che si tratti di aeromobili di annualità diverse oltre che di diversa tipologia;
   l'analisi appare evidente su tutte e tre le casistiche, a partire dall'Airbus 320 dove la previsione di acquisizione viene fissata in 50.000.000 di euro;
   gli airbus 320 che operano nelle rotte sarde risultano immatricolati tra il 1995 e il 2000, quindi con un'anzianità tra i 17 e i 12 anni;
   se il calcolo della rata di ammortamento è corretto significherebbe che nel primo caso (17 anni) sarebbero stati già pagati per l'ammortamento (17 x 5.000.000) 85.000.000 di euro e ne resterebbero da pagare altri 50.000.000 (10 x 5.000.000) per un complessivo valore di 135.000.000 di euro;
   il mercato fa oscillare il valore di un Airbus 320 nuovo tra i 45/55 milioni di euro e che l'ammortamento degli stessi viene pianificato tra gli 8/10 anni a seconda delle componenti dell'aeromobile;
   analogo ragionamento va proposto per la valutazione dell'MD83 valutato in acquisizione 6.500.000 euro, senza indicare data di immatricolazione e tempi di ammortamento;
   un'analisi a ritroso può essere compiuta con un dato oggettivo: tale aeromobile non risulta in produzione e che quelli utilizzati nelle rotte sarde da Meridiana hanno per esempio date di immatricolazione che oscillano tra il 1984 e il 1999 e risultano gli unici ancora in esercizio su quelle rotte;
   ipotizzando come anno intermedio il 1991, tali aerei avrebbero una vetustà di 21 anni;
   moltiplicando 21 anni per 650.000 euro, quanto viene indicata la rata annua, avremo un dato di 13.650.000 ai quali andrebbero aggiunti ulteriori dieci anni per un ammontare complessivo di 20.150.000 euro;
   emerge da questa analisi un dato emblematico facilmente rilevabile sull'A320: con la previsione di ammortamento si arriva a pagare l'aeromobile quasi 3 volte il suo valore nuovo;
   questo costo si ripercuote ovviamente sul costo dei biglietti e sulla congruità del costo dell'ora/volo arrivando a ipotizzare compensazioni che risultano prive di qualsiasi fondatezza a partire dall'inverosimile onere di ammortamento;
   in relazione al dato di partenza di acquisizione discende non solo l'errato calcolo dell'ammortamento ma anche quello degli oneri assicurativi che passano dai 300.000 euro per l'A320 ai 113.000 per l'MD83. È evidente che anche in questo caso risulta sconosciuto il parametro di calcolo, considerato che il valore iniziale di 50.000.000 di euro per un AA320 appare inverosimile proprio perché sulle rotte sarde operano aeromobili del 1995/2000;
   altra voce di costo dell'allegato tecnico è quella dell'handling con una previsione di costo per volo di 957 euro e 689 di tasse e diritti per un costo di tratta pari a 1.646 euro;
   da dati acquisito tra le società di gestione risulta un costo inferiore alla metà sui costi dell'handling e la genericità delle tasse riportate in quell'entità risulta priva di qualsiasi fondamento;
   il dato del catering risulta eloquente del sovradimensionamento dei costi funzionale alla compensazione finale. Nel caso del servizio a bordo viene ipotizzato un costo di 2,5 euro a passeggero per una stima complessiva di 250 euro per ora/volo. Tale previsione viene maggiorata di quasi il 100 per cento rispetto ai reali costi della bevanda fornita nel servizio in volo;
   a questi dati si aggiunge un'arbitraria indicazione di un 9 per cento di spese generali che risultano infondate sotto ogni punto di vista considerato che vengono applicate sull'ammortamento, sul costo del carburante, sulle assicurazioni, sulla manutenzione e sullo stesso costo del personale;
   il dato del 9 per cento risulta del tutto inammissibile sia nelle dimensioni che nella ratio e diventa di fatto secondo l'interrogante un'ulteriore manipolazione finanziaria per generare un costo ora/volo tale da giustificare una compensazione milionaria alle compagnie aeree;
   il costo ora/volo già di per sé abbondantemente «gonfiato», secondo l'interrogante, nei fattori di costo precedentemente richiamati, viene poi applicato ad ogni singola tratta senza tener conto di alcun tipo di dato oggettivo;
   la tratta Alghero-Fiumicino, per esempio, viene equiparata in termini di tempo (1 ora) di percorrenza all'Alghero-Linate, a fronte di una differenza in linea d'aria di 190 chilometri;
   per gli altri aeroporti, sia Cagliari che Olbia, la differenza tra Linate e Fiumicino risulta calcolata seppur con proporzionalità sui percorsi e sui costi tutt'altro che chiare;
   appare ulteriormente grave il dato relativo al calcolo del load factor che non tiene in alcun conto le dinamiche del mercato relativamente all'introduzione della tariffa unica che prevede costi di 45 e 55 euro dagli aeroporti sardi rispettivamente verso Roma e Milano;
   è fin troppo evidente che l'introduzione di una tariffa certa e contenuta avrà una ricaduta positiva in termini di copertura dei posti e che tale valutazione non può prescindere dal fatto che il load factor debba prevedere un incremento considerevole proprio per questo motivo;
   la stessa regione nel recepire la tariffa unica votata dalla Camera dei deputati ha dichiarato in un comunicato ufficiale: «La filosofia è quella di un ponte aereo permanente che colleghi la Sardegna con il Continente e che garantisca sia il diritto alla mobilità dei Sardi sia la possibilità di raggiungere la Sardegna ai non residenti. Questo secondo aspetto sarà foriero di effetti positivi per la nostra economia, con ricadute importanti anche per quanto riguarda l'occupazione. Infatti prevediamo un aumento dei flussi per circa due milioni di persone»;
   la previsione dei due milioni non risulta calcolata in nessun load factor considerato che il calcolo dei passeggeri a base della definizione delle cosiddette compensazioni risulta essere di 2.150.000 passeggeri, quindi con le previsioni dichiarati della tariffa unica si sarebbe dovuto calcolare un incremento del 100 per cento;
   è evidente che la cifra di 2.000.000 di nuovi passeggeri appare sovradimensionata ma è altrettanto vero che appare davvero inverosimile una previsione inesistente di incremento fatta nella base di gara –:
   se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia contribuito alla redazione dell'allegato tecnico alla conferenza di servizi;
   se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in sede di conferenza dei servizi abbia votato, approvandolo, l'allegato tecnico con tali previsioni di costi riportate in premessa;
   se non ritenga di dover urgentemente intervenire su tale situazione al fine di correggere quelle che l'interrogante giudica macroscopiche distorsioni delle previsioni di costo e rendere corretta la gara senza prevedere alcun tipo di compensazione che sempre ad avviso dell'interrogante risulterebbe palesemente illegittima e configurerebbe aiuto di Stato;
   se non ritenga di dover invitare, proprio in virtù della delega ministeriale, la regione Sardegna a riconvocare urgentemente la conferenza dei servizi prima della scadenza dei termini della gara d'appalto al fine di evitare che la continuità territoriale sia manifestamente inficiata da tali gravi errori di analisi;
   se non ritenga di dover intervenire al fine di individuare un percorso che consenta di chiarire i termini della delega alla regione Sardegna fissando i criteri di individuazione e di calcolo dei costi, sia per quanto riguarda i costi indiretti annuali che per ora volo, i costi diretti per volo e costi aeroportuali;
   se non ritenga opportuno alla luce del codice degli appalti intervenire sull'indebito calcolo del 9 per cento sui costi generali che appare all'interrogante irragionevole e illogico oltre che di dubbia legittimità, considerato che fanno parte del calcolo il carburante, l'ammortamento, il costo del personale, il catering e i servizi aeroportuali;
   se non ritenga di dover individuare un corretto standard di previsione dei costi aeroportuali, definendo in modo univoco i costi aeroportuali e i relativi oneri di tasse e diritti, applicando per le tratte in regime di continuità territoriale tariffe minime e codificate;
   se non ritenga di dover prevedere obbligatoriamente il divieto di calcolare l'iva negli oneri tariffari della continuità territoriale che all'interrogante appare un'evidente macroscopico costo aggiuntivo ingiustificato;
   se non ritenga di dover promuovere accertamenti per verificare chi eventualmente nelle strutture del Ministero abbia avallato tali procedure e tali previsioni di costo e le relative compensazioni.
(5-00042)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 maggio 2012, il Compartimento marittimo di Porto Torres il Comandante del compartimento marittimo di Porto Torres e comandante della capitaneria di porto di Porto Torres ha pubblicato un avviso con il quale è stato comunicato l'avvio del procedimento per l'istruttoria afferente alla domanda di concessione demaniale marittima ai sensi dell'articolo 36 del cod. nav. datata 23 giugno 2012, pervenuta in data 30 maggio 2012, ed assunta al protocollo generale in data 3 maggio 2012 al n. 09282 con la quale la Soc. SEVA srl, con sede in Gressan – Aosta – «Grande Gorraz Centrale Termica» Praz. Pila 78 – amministratore unico Stefano De Benedetti;
   nella domanda è contenuto il modello D1 corretto ed integrato necessario per verifiche sistema SID;
   agli atti è allegata la carta nautica con indicato lo specchio acqueo e relative coordinate nautiche perimetrali e di allocazione di ogni aerogeneratore;
   è allegato alla domanda il progetto definitivo dell'impianto implementato da uno studio correntometrico, simulazione fotografica del parco eolico;
   è compresa negli atti la documentazione tecnica relativa al passaggio dei cavi sottomarini e documentazione amministrativa societaria, il tutto volto all'ottenimento dell'autorizzazione per la costruzione e l'esercizio di un nuovo impianto industriale off-shore per la produzione di energia elettrica da realizzarsi al largo della costa del comune di Sassari e Porto Torres costituito da 28 megawatt aerogeneratori da 3,6 megawatt cadauno;
   la Soc. SEVA srl, con l'istanza ricevuta in data 30 aprile 2012, ha chiesto la concessione demaniale marittima di uno specchio acqueo di metri quadrati 2.845.908 complessivi per installare e mantenere 28 aerogeneratori da 3,6 megawatt cadauno – torri alte 90 metri dal livello medio del mare – diametro del rotore 120 metri – costituenti un impianto industriale off-shore per produzione di energia elettrica;
   la localizzazione è prevista nelle acque territoriali del nord Sardegna – largo della costa dei comuni di Porto Torres e Sassari – Golfo dell'Asinara;
   la durata della concessione richiesta è di 50 (cinquanta) anni;
   lo scopo della concessione è realizzare e mantenere un impianto di generazione di fonte eolica off-shore;
   le coordinate nautiche afferenti la perimetrazione dello specchio acqueo l'ubicazione degli aerogeneratori sono le seguenti:
    A 1 latitudine 40o 51’ 30" A 4 latitudine 40o 51’ 58" A 22 latitudine 40o 51’ 21" A 21 latitudine 40o 51’ 12" A 28 latitudine 40o 50’ 57" A 26 latitudine 40o 50’ 39" A 19 latitudine 40o 50’ 53 " A 18 latitudine 40o 50’ 44" A 13 latitudine 40o 50’ 52" A 16 latitudine 40o 52’ 10" A 7 latitudine 40o 51’ 41" A 5 latitudine 40o 51’ 23" longitudine 08o 17’ 31" longitudine 08o 17’ 53" longitudine 08o 19’ 56" longitudine 08o 19’ 47" longitudine 08o 20’ 35" longitudine 08o 20’ 17" longitudine 08o 19’ 30" longitudine 08o 19’ 20" longitudine 08o 18’ 57" longitudine 08o 19’ 24" longitudine 08o 18’ 13" longitudine 08o 17’ 55";
   la Soc. S.EV.A srl si propone di realizzare e mantenere un parco eolico off-shore che prevede l'installazione di 28 aerogeneratori Siemes da 3,6 megawatt cadauno per una potenza complessiva di 100,8;
   l'impianto industriale per la produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento sarebbe in grado, secondo quanto dichiarato, di produrre all'incirca 250.000 megawattora all'anno pari al fabbisogno di circa 100.000 famiglie considerando il consumo medio di 2,5 megawattora per famiglia;
   l'impianto nel suo complesso è costituito da:
    1) 28 aerogeneratori Siemes SWT –3.6 –120 da 3,6 megawatt ciascuno organizzati in 4 file parallele, orientate NO-SE distanziati l'uno dall'altro 600 metri;
    2) tre cavi di collegamento tra gli aerogeneratori e la cabina di trasformazione a terra;
    3) cabina di trasformazione a terra;
    4) un cavo di collegamento interrato che dall'arrivo del cavo a terra convoglia l'energia al sistema di trasmissione aerea;
    5) rete elettrica interrata di collegamento con la cabina di trasformazione primaria Terna per l'allacciamento al sistema di distribuzione nazionale;
   la pubblicazione degli atti avverrà dal 1o giugno sino al 30 giugno 2012, termine entro il quale sarà possibile presentare formali opposizioni;
   la società Seva avrebbe in atto ulteriori iter autorizzativi nei comuni di Rodi Garganico, Ischitella e Cagnano Varano per la realizzazione di impianti eolici con una potenza complessiva di 528 megawatt;
   lo specchio acqueo interessato al progetto risulta inquadrato nel più ampio areale territoriale dove è ubicato il parco nazionale dell'Asinara;
   il parco dell'Asinara è istituito con Decreto del Presidente della Repubblica 3 ottobre 2002, (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale italiana n. 298 del 20 dicembre 2002);
   l'area del parco è sottoposta a vincoli di tutela particolarmente rigorosi ed è articolato i tre zone:
    zona 1 – di eccezionale interesse naturalistico, ambientale e paesaggistico;
    zona 2 – di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale;
    zona 3 – di rilevante valore paesaggistico, agricolo-ambientale e storico-culturale;
   in tutte tre le zone è richiamato il valore paesaggistico che, considerato il compendio oggetto dell'intervento, interesserebbe il paesaggio circostante il parco stesso;
   il progetto appare all'interrogante la palese reiterazione di un analogo progetto già presentato lo scorso anno e costituisce di fatto un ulteriore vero e proprio assalto paesaggistico allo straordinario golfo di Porto Torres – Asinara con gravissimo pregiudizio ambientale, naturalistico dell'intera costa inserita in un contesto di tutela di primario livello;
   è indispensabile fermare chi progetta, sul mare della Sardegna quella che l'interrogante giudica una devastazione paesaggistico ambientale inaudita; la grave inadeguatezza di questi progetti emerge proprio quando tutte le istituzioni regionali e non solo hanno manifestato la totale contrarietà a tale tipo di realizzazioni;
   è indispensabile che questo tipo di progetti registrino risposte immediate, chiare forti e nette da parte dello stesso Governo nazionale;
   la materia ambientale paesaggistica nelle regioni a statuto speciale ha specificità e competenze diversamente articolate rispetto alle regioni ordinarie;
   nella procedura avviata da questa società, come per le altre, si configurano chiari conflitti di attribuzione tra lo Stato e la regione Sardegna;
   va interrotta e revocata la procedura relativa all'assegnazione dello specchio acqueo davanti al tratto di mare Porto Torres – Asinara;
   l'avvio di una procedura autorizzativa di un impianto eolico off-shore su un bene «pubblico» come il mare, senza disporre di nessuna concessione demaniale, si potrebbe configurare un'automatica concessione delle stesse aree;
   norme e giurisprudenza obbligano ad una procedura concorsuale in regime di evidenza pubblica per assegnare un'area o un tratto di mare demaniale;
   lo Stato attraverso l'avvio della procedura da parte del Ministero competente ha di fatto attivato una procedura unilaterale secondo l'interrogante in palese contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione sancito dalla Costituzione;
   l'avvio di procedura a favore della società SEVA appare lesivo delle competenze regionali concorrenti, costituzionalmente riconosciute, sia delle norme di attuazione dello Statuto autonomo della regione Sardegna;
   le norme di attuazione dello statuto speciale garantiscono specifiche competenze esercitate attraverso il provvedimento da impugnare. L'articolo 6, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (recante Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna) dispone che «sono trasferite alla Regione autonoma della Sardegna le attribuzioni già esercitate dagli organi centrali e periferici del Ministero della pubblica istruzione (...) ed attribuite al Ministero per i beni culturali e ambientali con decreto-legge 14 dicembre 1974, n. 657, convertito in legge 29 gennaio 1975, n. 5, nonché da organi centrali e periferici di altri Ministeri. Il trasferimento predetto riguarda altresì la redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all'articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497»;
   le norme di attuazione, adottate per la Sardegna attraverso i decreti legislativi di cui all'articolo 56 dello Statuto speciale, possono espletare una funzione interpretativa se non addirittura integratrice delle disposizioni statutarie. Esse svolgono, da un lato, il ruolo di norme sulla competenza che definiscono in termini concreti l'autonomia della regione, trattenendo in capo alla sfera statale di gestione le funzioni che siano di interesse generale, e, dall'altro, seppure in casi particolari, un'opera di integrazione e accordo con il principio fondamentale dell'autonomia regionale e con le altre disposizioni statutarie;
   la regione Sardegna può, nell'esercizio della potestà legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica di cui alla lettera f) del medesimo articolo, altresì «intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico ambientale e quindi può sollevare un conflitto di attribuzione per la revoca del procedimento avviato dallo Stato;
   la prevalente giurisprudenza afferma che le concessioni di aree demaniali marittime rilasciate per finalità imprenditoriali devono ritenersi sempre sottoposte ai principi dell'evidenza pubblica, cioè sia nell'ipotesi in cui il relativo procedimento abbia inizio per volontà dell'amministrazione, sia nel caso in cui venga avviato a seguito di una specifica richiesta proveniente da uno dei soggetti interessati all'utilizzo del bene;
   la scelta del concessionario incontra i limiti indicati dalle norme del trattato dell'Unione Europea in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario in materia di non discriminazione, trasparenza e parità di trattamento;
   l'affidamento in concessione di beni demaniali suscettibili di uno sfruttamento economico deve essere sempre preceduto dal confronto concorrenziale, anche nel caso in cui non vi sia una espressa prescrizione normativa, e che tale principio vada quindi a rafforzare ogni disciplina di settore che già preveda – come accade nel caso dell'articolo 37 cod. nav. – il ricorso alla procedura di evidenza pubblica, imponendo l'adozione di specifiche misure volte a garantire un effettivo confronto concorrenziale quali, ad esempio, forme idonee di pubblicità o di comunicazione rivolte ai soggetti potenzialmente interessati a partecipare alla procedura, dei quali l'Amministrazione sia a conoscenza;
   la pubblicità obbligatoria per i procedimenti concessori è oggi disciplinata con le disposizioni, normative e regolamentari, del codice della navigazione: tuttavia, si tratta di norme assai vetuste che non garantiscono (per intrinseca natura) la benché minima possibilità di aderire all'attuale contesto ordinamentale se non a prezzo di vistose incongruenze;
   la presenza del nostro Paese nell'Unione europea infatti, impone un adeguamento degli standard qualitativi e degli strumenti dell'azione amministrativa a livelli minimi capaci di garantire, primariamente, la concorrenza e la salvaguardia dei meccanismi del libero mercato;
   la pubblicazione delle domande concessorie soltanto agli albi pretori o delle capitanerie, o in organi di informazione non primari, regionali e nazionali, si palesa assolutamente insufficiente per garantire un livello di pubblicità adeguato, soprattutto se il valore per il mercato di un determinato bene è un valore economico assai elevato nonché un valore funzionale altissimo (dettato, ad esempio, dal fatto che l'essere concessionari di quel bene diventa essenziale e indispensabile per accedere all'esercizio di quella determinata attività di impresa e per garantire pertanto, lo sviluppo di una concorrenza autentica);
   in Sardegna da tempo è in atto un'imponente mobilitazione bipartisan con un solo obiettivo, tutelare la Sardegna da chi vorrebbe trasformare il mare sardo in una distesa di improponibili pale eoliche che andrebbero a rafforzare un devastante principio delle grandi industrie inquinanti: la possibilità di continuare a inquinare vantando i crediti verdi delle pale eoliche della Sardegna;
   la devastazione ambientale è palese e l'assenza di regole lascia spazio ad una discrezionalità concessoria che tradurrebbe ogni atto in vantaggi illegittimi nei confronti dell'uno o dell'altro;
   la Sardegna non ha tratti di costa disponibili per progetti eolici a mare e qualsiasi contesto sarebbe leso nella sua specificità e naturale bellezza la condotta di chi, nonostante le dichiarate contrarietà di tutte le istituzioni locali, insiste su tali progetti fa pensare che la Sardegna oltre la terra del vento sia anche terra di nessuno –:
   se non ritenga il Ministro di revocare le procedure avviate perché qualsiasi autorizzazione sarebbe palesemente contraria a tutte le norme di tutela e salvaguardia di compendi sottoposti a tutela paesaggistica, ambientale e naturalistica;
   se il Governo non intenda intervenire con proprio vincolo sull'intera area considerata la vicinanza con lo stesso parco dell'Asinara;
   se il Governo non ritenga di verificare preliminarmente l'esistenza già rilevata da tutti i soggetti preposti di presuppostici paesaggistico ambientali che necessitano apposito atto di tutela preventiva;
   se il Ministro dell'infrastrutture e dei trasporti non ritenga di dover revocare il dispositivo di avvio di qualsiasi procedura autorizzativa perché palesemente discrezionale;
   se non ritenga il Governo, di concerto con la regione di non consentire nella regione Sardegna, proprio per le sue caratteristiche naturalistiche ambientali delle coste, qualsiasi progetto relativo a impianti eolici off-shore. (5-00046)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   da anni la questione del trasporto pubblico locale e del pendolarismo costituisce uno dei più gravi problemi per la mobilità urbana ed extraurbana nazionale e attribuisce all'Italia un triste primato europeo in termini di mobilità sostenibile, sicurezza, abbattimento delle emissioni da traffico veicolare e diritti dei passeggeri;
   dalla campagna sulla mobilità sostenibile Pendolaria 2012 promossa da Legambiente, i cui dati salienti recentemente anticipati hanno avuto largo spazio sulla stampa nazionale, come ad esempio sul quotidiano Avvenire, si evince che i recenti tagli, la riduzione delle corse e i disservizi, ritardi orari e la lentezza, senza contare il sovraffollamento e l'aumento del costo dei biglietti, affliggono gravemente il trasporto ferroviario, in particolare quello dedicato alle tratte locali maggiormente usate dai pendolari;
   è stata inoltre redatta nel sopraccitato dossier una mappa delle tratte peggiori del trasporto ferroviario locale italiano che vede in testa la Circumvesuviana a Napoli, seguita dalla Roma-Viterbo, Pinerolo-Torre Pellice, Padova-Venezia Mestre, Genova Voltri-Genova Nervi, Palermo-Messina, Viareggio-Firenze, Stradella-Milano, Bologna-Ravenna, Potenza-Salerno;
   a fronte di tagli del servizio e aumenti importanti del prezzo dei biglietti in diverse regioni non si è avuto un miglioramento del servizio con razionalizzazione degli orari e nuovi treni. Al contrario i disagi del trasporto pubblico su ferro sono aumentati in particolare per i cittadini di Campania, Lombardia, Lazio, Veneto e Sicilia;
   è utile ricordare, a titolo esemplificativo, alcune situazioni di trasporto ai limiti del credibile: la Palermo-Messina è una delle tratte più lente d'Italia con il record di 4 ore per 225 chilometri. Per il 55 per cento della linea c’è ancora il binario unico, i ritardi sono costanti, come le soppressioni dei treni e le carrozze sempre più sporche e le stazioni sono messe fuori uso dai vandali. Impossibile poi trovare un posto nell'orario di punta sui treni tra Padova e Mestre, la tratta più affollata del Veneto: una regione che in questi anni ha investito poco nel trasporto ferroviario pendolare. Da ultimo, sulla Viareggio-Lucca-Firenze, secondo le previsioni, saranno chiuse 7 stazioni con una conseguente drastica diminuzione del servizio a fronte di un aumento del 20 per cento delle tariffe regionali in Toscana;
   nel triennio 2010-2012 la media delle risorse stanziate è diminuita del 22 per cento rispetto al 2007-2009. Il 2009 risulta infatti essere un «parametro-indice», poiché è stato l'ultimo anno in cui sono stati destinati dal Governo alle regioni fondi sufficienti a garantire un servizio decoroso per i cittadini –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e della grave situazione in cui versa il trasporto locale e pendolare nelle maggiori aree metropolitane del Paese e se non si ritenga utile verificare la possibilità di assumere iniziative per stanziare fondi ad hoc, magari quelli afferenti al capitolo di fondi europei destinati al nostro Paese, per rilanciare la mobilità sostenibile in Italia e se non sia utile verificare se, a fronte di trasporti ferroviari così affollati in certi orari della giornata, la sicurezza del trasporto sia comunque garantita. (4-00011)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   numerose amministrazioni pubbliche sono costrette a districarsi nell'applicazione di norme in materia paesaggistica che rendono complessa la realizzazione di opere pubbliche;
   tale difficoltà si riscontra anche in materia di validità dell'autorizzazione paesaggistica;
   l'articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004) stabilisce – quale norma generale – che l'autorizzazione è valida per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione (comma 4);
   al contrario l'articolo 46 del testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità (decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327) prevede, con riferimento alle opere per le quali sia stata dichiarata la pubblica utilità, che dal rilascio del provvedimento di autorizzazione paesistica e sino all'inizio dei lavori decorre il termine di validità di cinque anni dell'autorizzazione stessa;
   al comma 2 dello stesso articolo 46 del testo unico richiamato si dispone che: «Qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio, l'autorizzazione si considera valida per tutta la durata degli stessi»;
   il richiamato articolo 46 del testo unico introduce di fatto e in diritto una norma speciale (che deroga quindi alla normativa generale sopra richiamata) applicabile esclusivamente alle opere di pubblica utilità –:
   se i Ministri non ritengano di dover fornire una propria interpretazione rispetto all'applicazione delle norme richiamate al fine di evitare ulteriori dannosi pregiudizi alla realizzazione di opere di pubblica utilità sia in ambito regionale che comunale;
   se non ritengano di dover disporre una propria circolare interpretativa su questo punto al fine di evitare interpretazioni contraddittorie e fuorvianti.
(4-00029)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con una formale comunicazione agli utenti la società Tirrenia spa ha reso note le nuove tariffe relative al trasporto merci da e per la Sardegna;
   tali nuovi tariffe si configurano secondo l'interrogante come l'ennesimo abuso della compagnia sul trasporto marittimo ai danni dei sardi e della Sardegna;
   la società Tirrenia con un atto gravissimo, nella forma e nella sostanza, ha aumentato tutte le tariffe per il trasporto merci, comprese le rotte in regime di continuità territoriale;
   si tratta di un fatto di una gravità inaudita che rappresenta l'ennesimo duro colpo inferto all'economia dell'isola sempre più condizionata dalle insostenibili tariffe applicate dalla Tirrenia con il grave silenzio del Governo che risulta di fatto essere complice della compagnia di navigazione;
   i dati relativi agli aumenti sono eloquenti: sulla tratta Porto Torres-Genova l'incremento è del 36,4 per cento e del 20 per cento, circa su Olbia-Civitavecchia per tutti i semi-rimorchi;
   si tratta di un danno gravissimo alle produzioni e alle merci che arrivano e partono dalla Sardegna nei porti principali dell'isola;
   tali aumenti generano un aumento gravissimo con ripercussioni su tutta l'economia della Sardegna;
   si tratta di aumenti ingiustificati coperti da una voce denominata «diritto di transito» che la Tirrenia incassa su ogni mezzo che attraversa il mare da e per l'isola;
   secondo la comunicazione formale della Tirrenia un semirimorchio da Porto Torres verso Genova e ritorno prima pagava 74 euro ora ne pagherà 102 per sola andata;
   il nuovo corso partirà dal 1o di ottobre 2012;
   incrementi rilevanti si registrano anche sulle rotte Cagliari verso Napoli-Palermo e Trapani;
   con una decisione comunicata tra ieri e oggi agli operatori del settore vengono praticamente azzerati tutti i precedenti contratti mettendo in ginocchio l'intero sistema dei trasporti merci dell'isola;
   tali aumenti rappresentano secondo l'interrogante un gesto di evidente arroganza della compagnia, considerato lo stato dei trasporti dell'isola;
   un aumento che conferma il regime di monopolio che caratterizza i collegamenti marittimi e ribadisce il predominio assoluto della Tirrenia e delle compagnie collegate che si coniuga con l'evidente incapacità e complicità del Governo e della stessa regione di contrastare questa situazione;
   a giudizio dell'interrogante, gli aumenti che riguardano tratte in regime di continuità territoriale non possono essere applicati perché il Ministero, nell'ambito delle convenzioni con la Tirrenia, non può non essersi riservato un controllo e una potestà autorizzativa sugli aumenti e sulle tariffe;
   se nelle nuove convenzioni fosse stata omessa una clausola in tal senso significherebbe che la Sardegna sarebbe ormai in mano a dei veri e propri predatori del mare, senza alcun tipo di salvaguardia del diritto alla continuità territoriale;
   ad avviso dell'interrogante, il Ministro competente non può continuare a ignorare questi fatti gravissimi coprendo di fatto tutte le operazioni più maldestre sui mari della Sardegna senza assumere immediatamente una posizione netta e chiara a tutela della continuità territoriale da e per la Sardegna;
   la vendita della Tirrenia si conferma in questo senso un gravissimo raggiro dello Stato contro la Sardegna e i sardi che risultano privi di qualsiasi tutela;
   nell'ambito della continuità territoriale marittima risulta esserci una grande e grave zona d'ombra: quella delle convenzioni funzionali al privato che doveva comprare la Tirrenia che, oltre a sovvenzioni per oltre 560 milioni di euro nei prossimi 8 anni, può con gli aumenti di oggi incrementare il suo già ingiustificato elevatissimo guadagno;
   questo ennesimo ingiustificato aumento delle tariffe merita ad avviso dell'interrogante l'attenzione dell'Autorità garante per la concorrenza e ai mercati al fine di valutare il comportamento della società Tirrenia –:
   se non ritenga di dover immediatamente adottare tutti gli atti necessari ai fine di conseguire la revoca degli aumenti proposti da Tirrenia nell'ambito delle tratte in regime di continuità territoriale;
   se non ritenga di far conoscere con quali atti ministeriali siano state autorizzate le nuove tariffe con gli aumenti richiamati al trasporto merci;
   se non ritenga di dover urgentemente intervenire per ripristinare tariffe da concreta e riscontrabile continuità territoriale. (4-00042)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con telex battuto nel primo pomeriggio del 12 ottobre 2012 da Assoclearance sono stati cancellati altri tre voli sulla rotta Cagliari-Milano;
   la cancellazione è di fatto firmata da Meridiana che, con un'azione che all'interrogante appare di tutta evidenza precostituita e concertata sostanzialmente con Alitalia, cancella due voli in partenza da Milano per Cagliari e un volo in partenza da Cagliari per Milano;
   il risultato è l'isolamento più totale: non si potrà più andare e tornare da Milano in giornata;
   si tratta ad avviso dell'interrogante di un vera e propria indebita pressione tesa a introdurre elementi funzionali a condizionare la gara d'appalto per la continuità territoriale da e per la Sardegna;
   Enac e Governo dovrebbero intervenire pesantemente per vietare questi comportamenti lesivi del diritto alla mobilità di una regione insulare e tesi a sfruttare la Sardegna a proprio uso e consumo stagionale; diversamente, si rendono secondo l'interrogante corresponsabili di tale situazione;
   la comunicazione ufficiale di Assoclearance, battuta nel centro coordinamento voli di Linate a fine mattinata è chiara: il volo IG 1500 in partenza da Linate 10.30 e quello IG 1506 delle 20.30 sono cancellati dal 28 ottobre al 30 marzo. Cancellato anche l'IG 1501 in partenza da Cagliari per Milano delle 07.00. Avendo Alitalia già cancellato i voli tra Milano e Cagliari resta schedulato un solo volo delle 18.40 in partenza da Cagliari;
   il risultato è chiaro: Cagliari e Sardegna isolati con il nord Italia, impossibile andare e tornare in giornata;
   a giudizio dell'interrogante si tratta di una operazione maldestra con la quale di fatto il controllo dei cieli passa dall'Enac alle compagnie aeree monopoliste della Sardegna che fanno quello che vogliono sulla testa dei sardi;
   si tratta, secondo l'interrogante, di un'operazione apparentemente messa a punto per, ad avviso dell'interrogante, speculare sulla continuità territoriale con la complicità di chi non ha sanzionato le compagnie aeree per le palesi violazioni delle fasce orarie tutte non autorizzate;
   tale fatto si può configurare ad avviso dell'interrogante come un vero e proprio atto di arroganza che mette a repentaglio uno dei più elementari diritti dei sardi, quello alla mobilità;
   su questa vicenda si registrano troppe silenziose complicità e numerose omissioni;
   dopo la denuncia, relativamente alla mancata autorizzazione delle bande orarie per Alitalia, nessuno dei responsabili ha detto niente, né smentendo né confermando la gravità di quei fatti denunciati;
   il blitz descritto è la dimostrazione ancora più evidente di un cartello che ha coperture a tutti i livelli considerato che comunicare un simile ulteriore taglio significa condizionare chi deve predisporre la nuova gara sulla continuità territoriale;
   tali atti vanno censurati sino al ritiro degli slot dedicati alla continuità territoriale considerata l'inadempienza proprio in virtù dell'esistenza di una banda oraria destinata esclusivamente per l'isola alla continuità territoriale;
   si tratta di un diritto naturale, costituzionale, inviolabile che occorre salvaguardare e tutelare con atti urgenti e indifferibili –:
   se non ritenga opportuno e dovuto il ripristino della legalità nell'ambito dell'esercizio delle rotte sottoposte a regime di imposizione dell'onere del servizio pubblico;
   se non ritenga di dover adottare ogni iniziativa di competenza affinché siano sanzionate le compagnie inadempienti rispetto alle regole e al disciplinare della continuità territoriale;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per attivare un vero e proprio corridoio aereo tutelato per la continuità territoriale così come indicato nelle norme e disposizioni vigenti;
   se non ritenga di dover imporre il ripristino obbligato del servizio della continuità territoriale anche in funzione del diritto alla mobilità del popolo sardo;
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per impedire la cancellazione di voli da e per la Sardegna che siano contemplati nelle bande orarie destinate alla continuità territoriale.
(4-00047)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la IX Commissione, il 21 aprile 2010, ha approvato all'unanimità una risoluzione relativa alla continuità territoriale aerea per la Sardegna;
   il regolamento (CEE) n. 2408/92 del Consiglio, del 23 luglio 1992, sull'accesso dei vettori aerei della Comunità alle rotte intracomunitarie, ha stabilito un'apposita disciplina in materia di oneri di servizio pubblico, definendo come onere di servizio pubblico «qualsiasi onere imposto a un vettore aereo di prendere tutte le misure necessarie, relativamente a qualsiasi rotta sulla quale sia stato abilitato a operare da parte di uno Stato membro, per garantire la prestazione di un servizio che soddisfi determinati criteri di continuità, regolarità, capacità e tariffazione, criteri cui il vettore stesso non si atterrebbe se tenesse conto unicamente del suo interesse commerciale»;
   il medesimo regolamento ha previsto che uno Stato membro possa imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea effettuati verso un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto regionale nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico della regione in cui si trova l'aeroporto stesso;
   ai sensi della predetta normativa comunitaria, ai fini dell'imposizione degli oneri di servizio pubblico, gli Stati membri devono tener conto di una serie di parametri e, in particolare: del pubblico interesse; della possibilità, in particolare per le regioni insulari, di ricorrere ad altre forme di trasporto e dell'idoneità di queste ultime a soddisfare il concreto fabbisogno di trasporto; delle tariffe aeree e delle condizioni proposte agli utenti; dell'effetto combinato di tutti i vettori aerei che operano o intendono operare sulla rotta;
   laddove altre forme di trasporto non possano garantire servizi adeguati e ininterrotti, gli Stati membri interessati possono prescrivere, nell'ambito degli oneri di servizio pubblico, che i vettori aerei che intendono operare sulla rotta garantiscano tale prestazione per un periodo da precisare, conformemente alle altre condizioni degli oneri di servizio pubblico; il regolamento ha stabilito altresì che l'accesso ad una rotta, sulla quale nessun vettore aereo abbia istituito o si appresti a istituire servizi aerei di linea, conformemente all'onere di servizio pubblico imposto, possa essere limitato dallo Stato membro ad un unico vettore aereo per un periodo non superiore a tre anni, al termine del quale si procederà ad un riesame della situazione;
   l'articolo 4 del regolamento ha previsto quindi un meccanismo in due fasi: nella prima fase, (paragrafo 1, lettera a) lo Stato membro interessato impone oneri di servizio pubblico su una o più rotte accessibili a tutti i vettori comunitari, a condizione che essi rispettino i suddetti oneri. Se nessun vettore si presenta per gestire tale rotta onerata, lo Stato membro può passare ad una seconda fase (paragrafo 1, lettera d) che consiste nel limitare l'accesso della rotta ad un solo vettore, selezionato sulla base di una gara d'appalto comunitaria, per un periodo massimo di tre anni, rinnovabile. Il vettore designato può allora ricevere una compensazione;
   il Parlamento europeo, nella risoluzione del 3 febbraio 2003, in materia di libro bianco sulla politica dei trasporti, recita «la necessità imperativa che la politica dei trasporti contribuisca alla coesione economica e sociale, tenendo conto della peculiare natura delle regioni periferiche insulari»;
   il Comitato economico e sociale, nel documento «Regioni gravate da svantaggi strutturali», enuncia fra i principi in materia di continuità territoriale quello di «discriminazione positiva», in base al quale le misure destinate a taluni territori e volte a controbilanciare i vincoli strutturali permanenti non costituiscono vantaggi indebiti, bensì elementi che contribuiscono a garantire un'autentica parità. L'articolo 154 del Trattato di Amsterdam, con la dichiarazione n. 30 ad esso allegata, recita: «la conferenza riconosce che le regioni insulari soffrono, a motivo della loro insularità, di svantaggio strutturale il cui perdurare ostacola il loro sviluppo economico e sociale»;
   da ultimo il regolamento di rifusione n. 1008 del 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità, ha ridefinito, all'articolo 16, la disciplina degli oneri di servizio pubblico, prevedendo la facoltà per uno Stato membro di imporre tali oneri riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale della regione servita dall'aeroporto stesso e individuando i criteri in base ai quali deve essere valutata la necessità e l'adeguatezza dell'onere di servizio pubblico; in particolare, il comma 10 ha previsto che il diritto di effettuare tali servizi sia concesso tramite gara pubblica, per rotte singole o, nei casi in cui ciò sia giustificato per motivi di efficienza operativa, per serie di rotte a qualsiasi vettore aereo comunitario abilitato a effettuarli;
   l'articolo 17 del citato regolamento n. 1008/2008 disciplina la procedura della gara di appalto stabilendo, al paragrafo 3, i contenuti del bando di gara e del successivo contratto e, in particolare, prevedendo, alla lettera e), i parametri obiettivi e trasparenti sulla base di quali è calcolata la compensazione, ove prevista, per la prestazione dell'onere di servizio pubblico;
   l'articolo 36 della legge n. 144 del 1999 ha recato la disciplina della continuità territoriale per la regione Sardegna e le isole minori della Sicilia dotate di scali aeroportuali, prevedendo che il Ministro dei trasporti e della navigazione, con proprio decreto, stabilisca gli oneri di servizio pubblico relativamente ai servizi aerei di linea effettuati tra gli scali aeroportuali della Sardegna e delle isole minori della Sicilia e i principali aeroporti nazionali;
   come previsto dal citato articolo 36, la determinazione dei contenuti degli oneri di servizio pubblico deve avere luogo, senza oneri per il bilancio dello Stato, in conformità alle conclusioni di una conferenza di servizi tra le regioni interessate e le pubbliche amministrazioni competenti, indetta e presieduta dai presidenti delle regioni interessate, che individua gli aeroporti nazionali interessati e deve altresì indicare: le tipologie e i livelli tariffari; i soggetti che usufruiscono di sconti particolari; il numero dei voli; gli orari dei voli; i tipi di aeromobili; la capacità di offerta;
   il medesimo articolo stabilisce che, qualora nessun vettore istituisca servizi di linea con assunzione di oneri di servizio pubblico, sia indetta dal Ministro dei trasporti e della navigazione, d'intesa con i presidenti delle regioni Sardegna e Sicilia, una gara d'appalto europea per l'assegnazione delle rotte; con decreto del Ministro dei trasporti 1o agosto 2000, successivamente modificato limitatamente all'importo delle tariffe, dal decreto del ministro dei trasporti 21 dicembre 2000, sono stati imposti oneri di servizio pubblico su sei rotte tra gli aeroporti della Sardegna e quelli di Roma e Milano;
   con decreto del Ministro dei trasporti 8 novembre 2004 è stato previsto un nuovo regime relativo agli oneri di servizio pubblico sulle rotte aeree con la Sardegna, che ha individuato diciotto rotte e relativi oneri, precisando che esse costituivano un unico pacchetto che doveva essere accettato interamente ed integralmente dai vettori interessati senza compensazioni di qualsivoglia natura o provenienza; a seguito della decisione del tribunale amministrativo regionale del Lazio del 17 marzo 2005, le autorità italiane hanno sospeso l'efficacia del suddetto decreto;
   anche sulla base degli esiti della conferenza di servizi, nella quale era stata chiesta una sostanziale modifica del contenuto della precedente imposizione di oneri, il successivo decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 15 novembre 2005 ha abrogato il decreto 8 novembre 2004, stabilendo di procedere ad una integrale riformulazione dell'intero contenuto del provvedimento;
   il regime di continuità territoriale previsto dai decreti del Ministro dei trasporti del 2000 è stato quindi, di fatto, prorogato ben oltre la data prestabilita, provocando tuttavia una sostanziale alterazione del principio iniziale, senza tenere conto del nuovo scenario del mercato aereo, né delle diverse esigenze della regione Sardegna in ordine alla stessa continuità territoriale;
   da ultimo i decreti del Ministero dei trasporti 29 dicembre 2005, n. 35, e, n. 36, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dell'11 gennaio 2006, hanno imposto oneri di servizio pubblico complessivamente su 16 collegamenti tra i tre scali aeroportuali della Sardegna e una serie di aeroporti nazionali, più ampia che in precedenza e comprensiva, oltre che degli aeroporti di Roma e Milano, anche degli aeroporti di Bologna, Torino, Firenze, Verona, Napoli e Palermo;
   la precedente continuità territoriale aerea era quindi limitata ai sardi, compresi gli emigrati residenti fuori Sardegna. Tuttavia la Commissione europea (CE) ha vincolato lo Stato italiano alla cancellazione di quel regime tariffario in quanto «contraria al Trattato europeo perché discriminatoria» (decisione della Commissione europea del 23 aprile 2007). La posizione della Commissione europea è definita con estrema chiarezza dalla decisione del 23 aprile 2007, n. 332, nella quale si precisa che gli oneri di servizio pubblico (OSP) possono essere utilizzati anche per la Sardegna, a condizione che lo si faccia «nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità. Essi devono essere debitamente giustificati», in quanto «sono definiti come un eccezione al principio del regolamento, ai sensi del quale, lo (gli) Stato(i) membro(i) interessato(i) permette (permettono) ai vettori aerei comunitari di esercitare diritti di traffico su rotte all'interno della Comunità»;
   la citata decisione della Commissione europea del 23 aprile 2007 reca pertanto penetranti rilievi in ordine alla nuova disciplina in materia di continuità territoriale; in particolare, la Commissione europea, nel riconoscere la necessità che i collegamenti aerei con la Sardegna siano sottoposti al regime degli oneri di servizio pubblico in ragione dell'insularità e dell'assenza di effettivi mezzi di trasporto alternativi, con la propria decisione ha tuttavia richiesto che l'applicazione dei citati decreti ministeriali n. 35 e 36 del 2005 abbia luogo alle seguenti condizioni:
    a) i vettori aerei che intendono rispettare gli oneri di servizio pubblico operano la rotta interessata, a prescindere dal momento in cui essi hanno notificato la loro intenzione di iniziare a prestare i loro servizi, e dalla data in cui è stata trasmessa tale notifica;
    b) i vettori aerei non sono vincolati ad una continuità di servizi, nel quadro degli oneri di servizio pubblico, superiore ad un anno;
    c) le autorità italiane si impegnano a riesaminare la necessità di mantenere l'imposizione di oneri di servizio pubblico su una rotta, nonché il livello degli oneri imposti a ciascun vettore, quando un nuovo vettore inizia ad operare, o notifica la sua intenzione di operare su tale rotta e, in ogni caso, una volta l'anno;
    d) le autorità italiane si impegnano a non impedire a vettori aerei di prestare servizi sulle rotte interessate al di là delle esigenze minime, per quanto riguarda le frequenze e le capacità previste dagli oneri di servizio pubblico;
    e) i vettori aerei non hanno l'obbligo di offrire tariffe agevolate ai nati in Sardegna, anche se residenti fuori Sardegna;
    f) le autorità italiane si impegnano a non subordinare il diritto di prestare servizi su una rotta tra due città all'obbligo di operare un'altra rotta tra due città;
   il successivo decreto del Ministro dei trasporti 3 luglio 2007, n. 87-T ha modificato il precedente decreto 29 dicembre 2005, n. 35, sottoponendo al regime degli oneri di servizio pubblico i soli aeroporti di Roma Fiumicino e di Milano Linate;
   il decreto del Ministro dei trasporti 1o agosto 2007, n. 117-T ha abrogato, a decorrere dal 26 ottobre 2008, il decreto 29 dicembre 2005, n. 35, che imponeva gli oneri di servizio pubblico tra i tre aeroporti sardi e gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Linate, in vista degli esiti di una nuova conferenza di servizi che determinasse, anche in relazione alle valutazioni espresse dalla Commissione europea, il contenuto della nuova imposizione di oneri di servizio pubblico sulla regione Sardegna;
   il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 5 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 199, del 23 agosto 2008, ha imposto, a decorrere dal 27 ottobre 2008, oneri di servizio pubblico tra i tre aeroporti sardi e gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Linate, tenendo conto delle valutazioni espresse in sede comunitaria e delle risultanze della conferenza di servizi riunitasi con il compito di modificare l'assetto della continuità territoriale della regione Sardegna, alla luce della decisione della Commissione europea del 23 aprile 2007, prevedendo che le tariffe onerate agevolate ammontino, rispettivamente, ad euro 49 per i collegamenti con l'aeroporto di Roma Fiumicino ovvero ad euro 59 per i collegamenti con l'aeroporto di Milano Linate, comprensive di IVA ed al netto delle tasse ed oneri aeroportuali;
   il predetto decreto ministeriale ha previsto una procedura tesa a modificare le tariffe in caso di rilevanti scostamenti, rilevati trimestralmente, del costo del carburante e/o del rapporto di cambio euro/dollaro USA; in base ad un'istruttoria effettuata da ENAC, le cui risultanze sono state esaminate in data 30 settembre 2009 da ENAC, regione Sardegna e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le tariffe per le categorie agevolate sono state rimodulate nel modo seguente: 41 euro per i collegamenti con l'aeroporto di Roma Fiumicino e 50 euro per i collegamenti con gli aeroporti di Milano Linate;
   in base alla risposta resa in data 29 ottobre 2009 dal Sottosegretario Reina alle interrogazioni a risposta in Commissione n. 5-01647, 5-01838 e 5-02000, svolte congiuntamente, non risulta ancora inviata dall'ENAC la comunicazione alle compagnie aeree in ordine al ribasso delle tariffe agevolate che le compagnie medesime sono tenute ad operare in conseguenza alla verifica operata;
   da ultimo il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 9 marzo 2009, considerata la necessità di uniformarsi alla decisione della Commissione europea per quanto riguarda l'individuazione delle categorie di passeggeri a cui è riservata la tariffa agevolata, ha modificato il precedente decreto ministeriale n. 36 del 2005, relativo agli oneri di servizio pubblico tra i tre aeroporti della Regione Sardegna e altri aeroporti nazionali diversi da Roma Fiumicino e Milano Linate, precisando che tali tariffe sono applicabili a: residenti in Sardegna; disabili; giovani dai 2 ai 21 anni; anziani al di sopra dei 70 anni; studenti universitari fino al compimento del ventisettesimo anno di età (queste ultime tre categorie senza alcuna discriminazione legata al luogo di nascita, di residenza e nazionalità);
   occorre rilevare che la mancata estensione della continuità territoriale a tutti i cittadini europei in transito dagli aeroporti italiani verso e dalla Sardegna costituisce una grave discriminazione ai danni della regione, a causa degli svantaggi permanenti derivanti dalla sua insularità, e viola il diritto alla mobilità verso territori disagiati;
   lo svantaggio dell'insularità rende il costo dei trasporti, per e dalla Sardegna, sia per i cittadini che per le merci, sia marittimo che aereo, di gran lunga più caro rispetto a quello della penisola e del resto d'Europa. Ad essere penalizzati non sono solo i sardi, residenti ed emigrati, ma tutti i cittadini europei; il riconoscimento del principio dell'insularità, da parte del Parlamento italiano, nella legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, apre nuove prospettive per il riconoscimento delle misure di perequazione dello svantaggio;
   è necessario mantenere una continuità territoriale volta a garantire non solo la perequazione degli svantaggi dell'insularità e con essa migliori condizioni di sviluppo per la Sardegna, ma anche una migliore e più moderna «mobilità» per tutti i cittadini europei;
   l'applicazione della tariffa agevolata ai soli residenti in Sardegna colpisce in particolar modo i cittadini europei emigrati dalla Sardegna, che non possono mantenere i legami con la propria terra di origine a causa dei costi elevati che caratterizzano il trasporto da e verso la regione; è questo, tra l'altro, l'effetto della recente decisione di Alitalia di cancellare il regime tariffario che la continuità territoriale aerea metteva a disposizione degli emigrati sardi, cioè di quelle persone nate in Sardegna ma residenti fuori dall'isola;
   ulteriori disagi e penalizzazioni derivano dal fatto che l'obbligo, per cui, ai sensi della convenzione stipulata tra l'ENAC e le compagnie aeree, in ottemperanza a quanto previsto dal punto 4.3 del bando di gara, i posti a tariffa agevolata non sono sottoposti ad alcuna limitazione e alla tariffa medesima non si possono applicare restrizioni né penali, risulta largamente disatteso dalle compagnie aeree;
   le compagnie aeree, infatti, in modo che all'interrogante appare molto discutibile, limitano i posti a tariffa agevolata ed emettono biglietti a tariffa intera a cittadini residenti in Sardegna, riservandosi la definizione di eventuali e arbitrari sconti, senza prevedere, per le tariffe non agevolate, gli scaglioni previsti dalla normativa al fine di conseguire un prezzo medio di vendita significativamente inferiore alla tariffa massima non agevolata; tale comportamento provoca un grave danno economico ai cittadini sardi che sono costretti, per quella che all'interrogante appare una palese violazione delle norme contrattuali, a sopportare costi non dovuti con un conseguente indebito arricchimento delle compagnie aeree;
   come effetto di questa situazione, le tariffe per i cittadini non residenti risultano insostenibili e raggiungono cifre inaccettabili, tipiche di un regime monopolistico, e il comportamento delle compagnie aeree rende evidente come l'attuale modello di continuità territoriale sia diventato sempre di più un ostacolo alla libertà di movimento dei cittadini da e verso la Sardegna piuttosto che un fattore di riequilibrio;
   occorre inoltre segnalare che appare grave e lesivo dei più elementari diritti di movimento e di libertà di circolazione, che ai cittadini sardi malati e obbligati a viaggiare in barella, sia applicata la tariffa agevolata per uno solo dei quattro biglietti che le compagnie obbligano ad acquistare in tale circostanza;
   risulta inaccettabile che un cittadino sardo residente debba pagare quattro biglietti, di cui tre per non residenti, per potersi recare in un centro specializzato a curarsi; questo rappresenta un caso emblematico di un modello di continuità territoriale che deve essere radicalmente modificato senza ulteriori ritardi;
   in generale, infine, un grave ostacolo all'attuazione della continuità territoriale con la Sardegna è rappresentato dal trasferimento alla regione delle relative funzioni, senza una revisione della normativa che disciplina la continuità territoriale e senza il trasferimento di apposite risorse; l'articolo 1, comma 837, della legge 29 dicembre 2006, n. 296, ha previsto che le funzioni relative alla continuità territoriale vengono trasferite alla regione Sardegna e il successivo comma 840 ha stabilito che per gli anni 2007, 2008 e 2009 gli oneri relativi alle funzioni trasferite ai sensi del comma 837 rimangano a carico dello Stato;
   tale modifica, che ha assegnato alla regione autonoma Sardegna la competenza della continuità territoriale, non ha modificato le norme che regolano la continuità territoriale in base all'articolo 36 della legge n. 144 del 1999;
   il trasferimento di competenze in ordine alla continuità territoriale desta preoccupazione in quanto non appaiono definite in termini puntuali le competenze conferite alla regione Sardegna, e comunque non sembra corretto che la regione Sardegna provveda, con risorse proprie, alla continuità territoriale, stante il fatto che il riequilibrio territoriale è un obiettivo riconosciuto dall'Unione europea, e cui lo Stato è chiamato far fronte con propri stanziamenti e intervenendo in via diretta, come attualmente previsto dall'articolo 36 della legge n. 144 del 1999;
   la risoluzione approvata unanimemente dalla Commissione trasporti della Camera dei deputati impegnava il Governo:
    1) ad avviare un immediato confronto per ridefinire, nell'ambito della conferenza di servizi che il presidente della regione Sardegna è stato delegato ad istituire e presiedere dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la disciplina della continuità territoriale, superando quella vigente, che risulta inadeguata sia sotto il profilo concettuale che sotto quello dei servizi e dei costi, per pervenire a un modello di continuità territoriale intesa come un fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità per i territori svantaggiati, tenendo conto anche di quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
    2) in particolare, ad assumere le appropriate iniziative per definire e attuare una continuità territoriale che, tenga conto, oltre che degli effetti del processo di liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, anche dei seguenti obiettivi:
     a) favorire l'individuazione di un maggior numero di voli e di rotte aeree da e per la Sardegna che consenta, nel contesto dello sviluppo potenziale della domanda, di avere più operatori sulla stessa rotta;
     b) favorire la possibilità di determinare, sulla base del principio di riequilibrio legato alle condizioni insulari della Sardegna, di una tariffa massima a cui si applichi il regime degli oneri di servizio pubblico, applicando, come parametro, le condizioni più favorevoli del costo ferroviario;
     c) favorire la possibilità, per tutte le compagnie aeree di poter viaggiare sulle rotte di collegamento con gli aeroporti della Sardegna, proponendo, nell'ambito di una situazione di concorrenza, ribassi rispetto alla tariffa massima prestabilita in relazione agli oneri di servizio pubblico;
    3) ad assumere le appropriate iniziative volte a verificare, con i competenti organismi comunitari e nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli indirizzi stabiliti dalla Commissione europea, la possibilità di estendere il regime di continuità territoriale a tutti i cittadini, in ottemperanza al principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, a prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
    4) a proporre una puntuale definizione delle competenze dello Stato e della regione Sardegna relativamente alla continuità territoriale, in relazione al trasferimento alla regione Sardegna delle funzioni in materia, disposto dall'articolo 1, comma 837, della legge 29 dicembre 2006, n. 296, con la contestuale individuazione delle risorse necessarie per l'esercizio di tali funzioni;
    5) ad assumere le opportune iniziative per sollecitare gli enti competenti in materia di vigilanza sul trasporto aereo a comunicare tempestivamente alle compagnie aeree, le nuove e più basse tariffe di trasporto aereo per i cittadini residenti in Sardegna, applicabili a seguito delle risultanze emerse dall'istruttoria effettuata da ENAC in merito alla revisione delle tariffe prevista dal paragrafo 5.6. dell'Allegato del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 5 agosto 2008, e a verificare che le compagnie aeree pratichino tariffe scaglionate per i cittadini non residenti, al fine di rimuovere in tempi rapidi ogni ostacolo alla corretta attuazione della continuità territoriale da e per la Sardegna;
    6) ad assumere le opportune iniziative per promuovere, nei limiti delle competenze in materia delegate alla regione Sardegna e del mantenimento degli attuali costi ricadenti sul bilancio dello Stato, la revisione, anche in ragione dell'impegno assunto dal rappresentante del Governo nelle dichiarazioni rese presso la IX Commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni) in data 29 ottobre 2009, delle condizioni di trasporto dei passeggeri che necessitano della barella, in particolare per quanto riguarda la tariffa agevolata –:
   se intenda fornire elementi con somma urgenza in merito alle determinazioni adottate al fine di attuare quanto indicato dalla risoluzione della Commissione trasporti di cui in premessa;
   se non intenda adottare con urgenza, entro marzo 2013, i decreti di imposizione degli oneri di servizio pubblico, così come indicato nella risoluzione della Commissione, sulla quale il Governo pro tempore ha espresso il parere favorevole;
   se non intenda convocare con urgenza un incontro tra i soggetti istituzionali per verificare gli adempimenti da espletare per favorire la più rapida attuazione della continuità territoriale così come indicato nella risoluzione della Commissione di cui in premessa;
   se non intenda attivarsi con urgenza al fine di evitare ulteriori indebite pressioni delle compagnie aeree che, pubblicamente e non, esprimono una esplicita contrarietà all'estensione della continuità territoriale ai non residenti, così come invece indicato dalla risoluzione della Commissione trasporti della Camera.
(4-00048)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società S.E.V.A, con sede ad Aosta, ha presentato alla capitaneria di Porto Torres un progetto di impianto eolico off shore relativamente al tratto di mare antistante Porto Torres-Golfo dell'Asinara;
   l'impianto eolico off shore per la produzione di energia elettrica prevede l'installazione di 26 aerogeneratori da 36 mega-watt ciascuno, con torri alte 90 metri sul mare;
   la società Seva avrebbe in atto ulteriori iter autorizzativi nei comuni di Rodi Garganico, Ischitella e Cagnano Varano per la realizzazione di impianti eolici con una potenza complessiva di 528 mega-watt;
   lo specchio acqueo interessato al progetto risulta inquadrato nel più ampio areale territoriale dove è ubicato il parco nazionale dell'Asinara;
   il parco dell'Asinara è istituito con decreto del Presidente della Repubblica 3 ottobre 2002 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale italiana n. 298 del 20 dicembre 2002);
   l'area del parco è sottoposta a vincoli di tutela particolarmente rigorosi ed è articolato in tre zone:
    zona 1 – di eccezionale interesse naturalistico, ambientale e paesaggistico;
    zona 2 – di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale;
    zona 3 – di rilevante valore paesaggistico, agricolo-ambientale e storico-culturale;
   in tutte tre le zone è richiamato il valore paesaggistico che, considerato il compendio oggetto dell'intervento, interesserebbe il paesaggio circostante il parco stesso;
   il progetto rappresenta ad avviso dell'interrogante un ulteriore vero e proprio assalto paesaggistico allo straordinario golfo di Porto Torres-Asinara con gravissimo pregiudizio ambientale, naturalistico dell'intera costa inserita in un contesto di tutela di primario livello;
   è indispensabile fermare chi, progetta, sul mare della Sardegna, una devastazione paesaggistico ambientale inaudita;
   l'inaccettabilità di questi progetti emerge proprio quando tutte le istituzioni regionali e non solo hanno manifestato la totale contrarietà a tale tipo di realizzazioni;
   è indispensabile che questo tipo di progetti registrino risposte immediate, chiare forti e nette da parte dello stesso Governo nazionale;
   la materia ambientale paesaggistica nelle regioni a statuto speciale ha specificità e competenze diversamente articolate rispetto alle regioni ordinarie;
   nella procedura avviata da questa società, come per le altre, si configurano chiari conflitti di attribuzione tra lo Stato e la regione Sardegna;
   va interrotta e revocata la procedura relativa all'assegnazione dello specchio acqueo davanti al tratto di mare Porto Torres-Asinara;
   l'avvio di una procedura autorizzativa di un impianto eolico off shore su un bene «pubblico» come il mare, senza disporre di nessuna concessione demaniale, si potrebbe configurare un'automatica concessione delle stesse aree;
   norme e giurisprudenza obbligano ad una procedura concorsuale in regime di evidenza pubblica per assegnare un'area o un tratto di mare demaniale;
   lo Stato attraverso l'avvio della procedura da parte del Ministero competente ha di fatto attivato una procedura unilaterale in palese contrasto con il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione sancito dalla costituzione;
   l'avvio di procedura a favore della società SEVA è secondo l'interrogante lesivo delle competenze regionali concorrenti, costituzionalmente riconosciute, sia delle norme di attuazione dello statuto autonomo della regione Sardegna;
   le norme di attuazione dello statuto speciale garantiscono specifiche competenze esercitate attraverso il provvedimento da impugnare. L'articolo 6, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (recante Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna) dispone che «sono trasferite alla regione autonoma della Sardegna le attribuzioni già esercitate dagli organi centrali e periferici del Ministero della pubblica istruzione (...) ed attribuite al Ministero per i beni culturali e ambientali con decreto-legge 14 dicembre 1974, n. 657, convertito in legge 29 gennaio 1975, n. 5, nonché da organi centrali e periferici di altri Ministeri. Il trasferimento predetto riguarda altresì la redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici di cui all'articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497»;
   le norme di attuazione, adottate per la Sardegna attraverso i decreti legislativi di cui all'articolo 56 dello statuto speciale, possono espletare una funzione interpretativa se non addirittura integratrice delle disposizioni statutarie. Esse svolgono, da un lato, il ruolo di norme sulla competenza che definiscono in termini concreti l'autonomia della regione, trattenendo in capo alla sfera statale di gestione le funzioni che siano di interesse generale, e, dall'altro, seppure in casi particolari, un'opera di integrazione e accordo con il principio fondamentale dell'autonomia regionale e con le altre disposizioni statutarie;
   la regione Sardegna può, nell'esercizio della potestà legislativa primaria in materia di edilizia e urbanistica di cui alla lettera f) del medesimo articolo, altresì «intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico ambientale e quindi può sollevare un conflitto di attribuzione per la revoca del procedimento avviato dallo Stato»;
   la prevalente giurisprudenza afferma che le concessioni di aree demaniali marittime rilasciate per finalità imprenditoriali devono ritenersi sempre sottoposte ai principi dell'evidenza pubblica, cioè sia nell'ipotesi in cui il relativo procedimento abbia inizio per volontà dell'amministrazione, sia nel caso in cui venga avviato a seguito di una specifica richiesta proveniente da uno dei soggetti interessati all'utilizzo del bene;
   la scelta del concessionario incontra i limiti indicati dalle norme del Trattato dell'Unione europea in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario in materia di non discriminazione, trasparenza e parità di trattamento;
   l'affidamento in concessione di beni demaniali suscettibili di uno sfruttamento economico deve essere sempre preceduto dal confronto concorrenziale, anche nel caso in cui non vi sia una espressa prescrizione normativa, e tale principio va quindi a rafforzare ogni disciplina di settore che già preveda – come accade nel caso dell'articolo 37 codice navale – il ricorso alla procedura di evidenza pubblica, imponendo l'adozione di specifiche misure volte a garantire un effettivo confronto concorrenziale quali, ad esempio, forme idonee di pubblicità o di comunicazione rivolte ai soggetti potenzialmente interessati a partecipare alla procedura, dei quali l'amministrazione sia a conoscenza;
   la pubblicità obbligatoria per i procedimenti concessori è oggi disciplinata con le disposizioni, normative e regolamentari, del codice della navigazione: tuttavia, si tratta di norme assai vetuste che non garantiscono (per intrinseca natura) la benché minima possibilità di aderire all'attuale contesto ordinamentale se non a prezzo di vistose incongruenze;
   l'ingresso del nostro Paese nell'organismo europeo, infatti, impone un adeguamento degli standard qualitativi e degli strumenti dell'azione amministrativa a livelli minimi capaci di garantire, primariamente, la concorrenza e la salvaguardia dei meccanismi del libero mercato;
   la pubblicazione delle domande concessione soltanto agli albi pretori o delle capitanerie, o in organi di informazione non primari, regionali e nazionali, si palesa assolutamente insufficiente per garantire un livello di pubblicità adeguato, soprattutto se il valore per il mercato di un determinato bene è un valore economico assai elevato nonché un valore funzionale altissimo (dettato, ad esempio, dal fatto che l'essere concessionari di quel bene diventa essenziale e indispensabile per accedere all'esercizio di quella determinata attività di impresa e per garantire, pertanto, lo sviluppo di una concorrenza autentica);
   in Sardegna da tempo è in atto un'imponente mobilitazione bipartisan con un solo obiettivo, tutelare la Sardegna da chi vorrebbe trasformare il mare sardo in una distesa di improponibili pale eoliche che andrebbero a rafforzare un devastante principio delle grandi industrie inquinanti: inquinare utilizzando i crediti verdi delle pale eoliche della Sardegna;
   la devastazione ambientale è palese e l'assenza di regole lascia spazio ad una discrezionalità concessoria che tradurrebbe ogni atto in vantaggi ad avviso dell'interrogante illegittimi nei confronti dell'uno o dell'altro;
   la Sardegna non ha tratti di costa disponibili per progetti eolici a mare e qualsiasi contesto sarebbe leso nella sua specificità e naturale bellezza –:
   se non ritengano i Ministri competenti di far revocare le procedure avviate posto che, secondo l'interrogante, qualsiasi autorizzazione sarebbe palesemente contraria alle norme di tutela e salvaguardia di compendi sottoposti a tutela paesaggistica, ambientale e naturalistica;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda intervenire con proprio vincolo sull'intera area considerata la vicinanza con lo stesso parco dell'Asinara;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga di verificare preliminarmente l'esistenza già rilevata da tutti i soggetti preposti di presupposti paesaggistico ambientali che necessitano apposito atto di tutela preventiva;
   se il Ministro dell'infrastrutture e dei trasporti non ritenga di dover revocare il dispositivo di avvio di qualsiasi procedura autorizzativa che all'interrogante appare discrezionale;
   se non ritenga il Governo, con la regione, di interdire nella regione Sardegna, proprio per le sue caratteristiche naturalistiche ambientali delle coste, qualsiasi progetto relativo a impianti eolici off shore. (4-00053)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 23 novembre 2010 RFI Rete ferroviaria italiana, gruppo Ferrovie dello Stato, con il suo amministratore delegato intervenendo nella commissione trasporti della Camera dei deputati ha presentato nel corso di un'audizione informale lo schema di aggiornamento del contratto di programma 20072011 per la gestione degli investimenti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana;
   nei testi depositati alla Camera dei deputati e nell'illustrazione proposta alla commissione si evince che:
    l'articolo 3 comma 2 del contratto di programma (CdP) 2007-2011, parte investimenti, stabilisce che, entro il mese di gennaio di ciascun anno, le parti definiscano eventuali modifiche ai contenuti delle tabelle e delle tavole allegate al contratto stesso, per tenere conto delle variazioni alle coperture finanziarie disposte dalla legge finanziaria e dalle leggi ad essa collegate per l'anno di riferimento;
    per l'aggiornamento 2009, il termine contrattuale fissato è stato prorogato, al fine di definire gli aspetti rilevanti evidenziati nel corso dell'interlocuzione tecnica tra il Ministero ed RFI, a valle delle sedute del CIPE (6 marzo, 26 giugno, 15 luglio, 31 luglio e 22 settembre 2009) in materia di programmazione e finanziamento delle opere strategiche;
    la situazione attuale del CdP 2007-2011 è la seguente: malgrado il contratto di programma preveda che le modifiche annuali siano perfezionate entro il mese di gennaio, non è stato ancora approvato l'aggiornamento 2009;
    l’iter per l'aggiornamento 2010 è nella sua fase iniziale e saremmo già prossimi alla scadenza dell'aggiornamento 2011;
    nell'aggiornamento 2009 gli investimenti precedentemente ricompresi nelle tabelle programmatiche (B, C e D), sono stati riuniti in un unico documento denominato «Opere programmatiche per lo sviluppo della Rete ferroviaria nazionale» con la relativa pianificazione indicativa dei fabbisogni finanziari di competenza;
   il gestore è impegnato nella realizzazione delle opere ricomprese nella tabella A che mantiene la denominazione di «Opere in corso», in essa sono ricompresi unicamente interventi dotati di copertura finanziaria e articolati in classi, come di seguito rappresentato:
    manutenzione straordinaria, manutenzione migliorativa/evolutiva (upgrading) ed adeguamento agli obblighi di legge;
    tecnologie per la sicurezza, la circolazione, nonché per l'efficientamento gestionale;
    potenziamento e sviluppo infrastrutturale rete convenzionale, ivi compreso il potenziamento degli impianti di stazione, degli impianti merci, degli impianti industriali, nonché delle infrastrutture ferroviarie a servizio dei porti;
    sviluppo infrastrutturale rete alta capacità;
    sviluppo infrastrutturale rete alta velocità/alta capacità Torino-Milano-Napoli;
   per tutti gli investimenti presenti nella tabella A sono state iscritte risorse in misura da garantire la copertura di intere opere o di fasi funzionali;
   nell'aggiornamento 2009 del contratto, ai sensi dell'articolo 2 comma 232 della legge finanziaria per il 2010, è stata introdotta una nuova categoria di opere, aventi il requisito di opere strategiche, di complessità tecnica e di impegno finanziario rilevante, che vengono ricomprese nella Tabella A1:
    alta velocità/alta capacità Treviglio-Brescia;
    tunnel di Base del Brennero – quota italiana;
     alta velocità/alta capacità Milano-Genova: terzo valico dei Giovi;
   per tali interventi è stata prevista dallo Stato una modalità di finanziamento «a tranches» per consentirne l'avvio e la realizzazione tramite l'esecuzione di «lotti costruttivi» anche non funzionali, a fronte di una serie di formali condizioni autorizzative essenziali così come stabilito dall'articolo 2 commi 233 e 234 della stessa legge finanziaria per il 2010. Nel contratto, per questi progetti, vengono indicati gli impegni programmatici che lo Stato assume a garanzia della completa realizzazione delle opere che complessivamente ammontano a 8.446 milioni di euro, così ripartiti:
    919 milioni di euro per il completamento della linea alta velocità/alta capacità Treviglio-Brescia;
    2.847 milioni di euro per il completamento del nuovo tunnel di base del Brennero;
    4.680 milioni di euro per il completamento della linea alta velocità/alta capacità Milano-Genova: terzo valico dei Giovi;
   il rallentamento nel processo di aggiornamento del contratto di programma è stato inoltre determinato dalle misure di definanziamento degli investimenti;
   in particolare, nel 2009 (come effetto della relativa legge finanziaria e di altri atti normativi quali il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9/2008 e il decreto-legge 180/2008) si è verificata una complessiva riduzione delle coperture finanziarie già contrattualizzate pari a 3.677 milioni di euro, di cui 3.669 milioni di euro per la rete convenzionale (capitolo 7122) ed 8 milioni di euro per il sistema alta velocità/alta capacità Torino-Milano-Napoli (capitolo 7124);
   per far fronte a tale definanziamento rete ferroviaria italiana ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), dichiara RFI, hanno proceduto concordemente ad individuare i progetti che disponevano di risorse finanziarie, «immobilizzate» nelle tabelle del contratto di programma cosiddette «programmatiche», non già impegnate con atti negoziali con terzi, sulla base dei criteri contenuti nella delibera CIPE n. 10 del 6 marzo 2009;
   tuttavia, poiché il definanziamento, riguardante unicamente gli stanziamenti sul capitolo 7122 del bilancio dello Stato, non ha trovato piena capienza nelle risorse iscritte nella parte programmatica, la riduzione è stata estesa anche alla tabella A per interventi previsti oltre l'arco temporale di validità del contratto;
   per quanto riguarda le opere su cui incidono le variazioni in riduzione, si riportano qui di seguito comunque i principali:
    il completamento del raddoppio Genova-Ventimiglia (– 576,7 milioni);
    il raddoppio Giampilieri-Fiumefreddo, l'itinerario Messina Siracusa (– 1.711,8 milioni);
    il raddoppio Spoleto-Terni (– 511,4 milioni);
    le disponibilità residue per la copertura degli oneri finanziari alta velocità relativi al sistema di finanziamento ISPA – società infrastrutture S.p.a. (– 346 milioni);
    il potenziamento del collegamento tra porti e rete ferroviaria (quota parte, – 133 milioni);
   con l'aggiornamento 2009 sono state iscritte coperture aggiuntive a valere su fonti con vincolo di destinazione su investimenti ben individuati (legge obiettivo, FAS, TEN, FESR, eccetera), per un importo pari a 3.778 milioni di euro;
   le principali opere che risultano beneficiarie delle nuove risorse contrattualizzate sono le seguenti:
    tratta Treviglio-Brescia della linea alta velocità/alta capacità Milano-Verona (565 milioni);
    terzo valico dei Giovi (500 milioni);
    tunnel di base del Brennero (443 milioni), nuova linea Torino-Lione (470,7 milioni);
    adeguamento rete ferroviaria meridionale (391 milioni);
    potenziamento Gallarate-Rho (292,5 milioni);
    raddoppio Berceto-Chiesaccia e Parma-Fornovo (234,6 milioni);
    partecipazione ponte sullo Stretto di Messina (133 milioni);
    adeguamento Siracusa-Ragusa-Gela (120 milioni);
    itinerario Napoli-Bari (107 milioni);
    nodo di Torino: tratta Susa-Stura (52,7 milioni);
    ammodernamento infrastrutturale (95,2 milioni);
   la situazione finanziaria per la futura programmazione degli investi menti si presenta critica particolarmente per i prossimi anni;
   continuano, infatti, a non trovare copertura gli interventi definiti improcrastinabili, cioè quelli di manutenzione straordinaria (annualità 2010 e 2011) e quelli legati al piano della sicurezza definito dall'Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria (esempio rilevamento termico boccole, portali multifunzionali, SSC, pese dinamiche), che necessitano, nel periodo 2010-2013, di un fabbisogno medio annuo pari a circa 950 milioni di euro (di cui 860 milioni/anno per la sola manutenzione straordinaria della rete e degli impianti). Si tratta di un fabbisogno prioritario per esigenze irrinunciabili, essendo destinato al rinnovo o alla sostituzione delle infrastrutture ferroviarie, al fine di mantenerne o migliorarne affidabilità, sicurezza e produttività;
   a quanto sopra si aggiunge la manovra finanziaria 2010 che, ai sensi della legge n. 122/2010, ha previsto la riduzione definitiva delle dotazioni finanziarie di cassa iscritte a legislazione vigente per gli anni 2011 e seguenti per un importo complessivo di 922 milioni di euro. Ciò comporterà, inevitabilmente, una pari riduzione delle risorse di competenza sulle opere in corso;
   la conseguenza di quanto descritto è l'ulteriore contrazione degli investimenti con conseguenti flessioni nella capacità realizzativa e allungamento dei tempi di ultimazione delle opere, incidendo anche sulla situazione già critica relativa alla disponibilità di risorse per la manutenzione straordinaria;
   nel corso del 2008 si sono succeduti una serie di atti normativi che hanno determinato, a valere sui capitoli del bilancio dello Stato dedicati agli investimenti di RFI, una significativa riduzione di risorse per un totale di 3.677 milioni di euro, di cui 3.669 milioni di euro per la rete convenzionale (capitolo 7122) ed 8 milioni di euro per il sistema alta velocità/alta capacità Torino-Milano-Napoli   (capitolo 7124);
   il suddetto definanziamento deriva dai seguenti provvedimenti:
    3.561 milioni di euro per gli effetti del decreto-legge n. 112 del 2008;
    40 milioni di euro di cui 32 milioni sulla rete convenzionale e 8 milioni sulla rete alta velocità/alta capacità per gli effetti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 settembre 2008;
    25 milioni di euro per gli effetti del decreto-legge n. 180 del 2008;
    50 milioni di euro per la riduzione dalle dotazioni del bilancio dello Stato di quanto accantonato e reso indisponibile per gli anni 2007 e 2008, ai sensi dell'articolo 1 comma 507 della legge finanziaria per il 2007;
   per la concreta applicazione del definanziamento di legge si sono attese le indicazioni del CIPE che, con delibera n. 10/2009, ha definito le linee di azioni da seguire: ridurre prioritariamente le disponibilità finanziarie degli interventi ricompresi nelle Tabelle programmatiche (Tabelle B, C e D) non ancora oggetto di atti negoziali verso terzi e, ove fosse necessario, anche quelle delle opere incluse in Tabella A;
   in linea con tali principi la riduzione è stata ripartita nel seguente modo:
    346 milioni di euro relativi alle disponibilità residue per la copertura degli oneri finanziari alta velocità/alta capacità relativi al sistema di finanziamento ISPA cessato a seguito della soppressione della società infrastrutture S.p.A. e del passaggio alla Cassa depositi e prestiti di tutti i diritti e i rapporti giuridici in essere (legge finanziaria per il 2006);
    3.068 milioni di euro su coperture finanziarie relative ad investimenti delle tabelle programmatiche (B-C-D);
    255 milioni di euro su coperture finanziarie relative a progetti della tabella A;
   si tratta – sostiene RFI nella relazione alla Camera dei deputati – di un definanziamento che non è in nessun modo associabile a volontà della società RFI, in quanto deriva da disposizioni normative alle quali il gestore dell'Infrastruttura ferroviaria nazionale deve obbligatoriamente attenersi;
   altro aspetto rilevante – secondo RFI – è rappresentato dalla circostanza che il definanziamento non ha in alcun modo pregiudicato le attività in corso sui singoli progetti di investimento, sia in termini di rescissione di atti negoziali, sia in termini di interruzione di progettazioni già avviate nell'ambito del Gruppo ferrovie dello Stato. In questo senso si conferma la prosecuzione delle attività di progettazione relative ai seguenti investimenti:
    raddoppio Spoleto-Terni;
    completamento del raddoppio Genova-Ventimiglia: tratta Andora-Finale;
    nodo di Novara;
    completamento del raddoppio Messina-Catania: tratta Giampilieri-Fiumefreddo;
   in sostanza il definanziamento ha riguardato risorse destinate ad attività realizzative che erano previste oltre l'arco di piano oppure sospese per vincoli di natura autorizzativa;
   gli interventi interessati dalle suddette riduzioni ricompresi nelle «Opere programmatiche per lo sviluppo della Rete Ferroviaria Nazionale» risultano essere i seguenti:
    nuovo terminai intermodale di Sesto San Giovanni: la riduzione delle risorse previste nella tabella D è pari a 10,2 milioni di euro. Casalmaggiore: riallocazione scalo e polo logistico: la riduzione delle risorse previste nella tabella D è pari a 11,3 milioni di euro. Potenzia mento collega mento tra porti e rete ferroviaria: la riduzione delle risorse previste nella tabella C è pari a 133 milioni di euro;
    rete sarda: ulteriore fase d i potenzia mento Cagliari-Oristano: la riduzione è pari a 23,3 milioni di euro e riguarda risorse di competenza previste in Tabella C, non impegnate con atti negoziali con terzi. L'investimento in questione resta classificato nelle «Opere programmatiche per lo sviluppo della Rete Ferroviaria Nazionale»;
    itinerario Messina-Siracusa, raddoppio Giampilieri-Fiumefreddo: la riduzione delle risorse previste in Tabella C è pari a 1.711,8 milioni di euro e riguarda finanziamenti non operativi destinati alla fase realizzativa dell'investimento;
    nodo di Novara, passante ferroviario merci: la riduzione riguarda risorse previste in tabella C pari a 45,4 milioni di euro, destinate alla fase realizzativa e non impegnate con atti negoziali con terzi;
    nuova linea Ferrandina-Matera La Martella-Venusio (nell'arco di piano esclusa la realizzazione Matera La Martella-Venusio;
    completamento raddoppio Genova-Ventimiglia, tratta Andora-Finale: la riduzione è pari a 576,7 milioni di euro, riguarda il completamento del raddoppio della linea Genova-Ventimiglia ed in particolare le risorse destinate a parziale copertura della fase realizzativa previste nella Tabella C;
    raddoppio Spoleto-Terni: la riduzione è pari a 511,4 milioni di euro, interessa le risorse previste nella Tabella B e quindi non operative;
    altri interventi minori: la riduzione si riferisce ad un importo complessivo di 5 milioni di euro;
   la documentazione prodotta in commissione trasporti della Camera dei deputati da RFI prevede anche una rappresentazione grafica degli interventi futuri 2011-2015;
   in tale rappresentazione grafica risulta evidente la cancellazione della regione Sardegna non solo da gli stanziamenti ma anche dalla cartina geografica dell'Italia, dove sono illustrate tutte le regioni italiane tranne la Sardegna;
   l'articolata proposta di definanziamento proposta da Rfi risulta alquanto iniqua, discriminante e viola il principio sancito dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 relativamente alle misurazioni e compensazioni derivanti dal divario insulare;
    si tratta di un'articolazione che non tiene in alcun modo conto delle precedenti attribuzioni e, soprattutto, per quanto riguarda lo stanziamento che viene cancellato per la Sardegna, si aggiunge ad una situazione gravissima già denunciata in precedente atto di sindacato ispettivo dal quale si evince che la Sardegna ha subito una sottrazione di 629.876.683 euro nell'ultimo periodo di programmazione;
    il sistema dei trasporti in Sardegna è ancora caratterizzato da condizioni di grave disagio e deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo che producono non solo una bassa qualità del servizio offerto ma costituiscono un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico;
   alle oggettive difficoltà derivanti dalla insularità, dalla conformazione prevalentemente montuosa del territorio regionale, dalla bassa densità insediativa, si somma uno storico deficit di infrastrutturazione complessiva, che incide negativamente sullo sviluppo «sistemico» dell'intera regione, costituendo un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico;
   al costo ed alle difficoltà proprie della condizione insulare, col conseguente basso livello di accessibilità alla rete nazionale ed europea, si unisce la debolezza delle connessioni interne all'isola, causate sia da forti carenze della rete stradale, sia dalla insufficiente dotazione infrastrutturale e dai mediocri livelli di servizio in particolare sulle linee ferroviarie;
   nel futuro del sistema ferroviario in Sardegna permangono gravissimi motivi di preoccupazione, peraltro posti in maggiore evidenza dai recenti incidenti mortali;
   in data 15 giugno 2007 lungo la tratta a scartamento ridotto Nuoro-Macomer, nel quale hanno perso la vita due passeggeri e un macchinista;
   in data 27 dicembre 2009 lungo la tratta a scartamento ordinario Chilivani-Sassari, nel quale ha perso la vita un macchinista. La tratta, interessata da fenomeni franosi, è a tutt'oggi chiusa all'esercizio;
   nelle Ferrovie sarde persiste, da oltre un ventennio, una condizione di criticità grave, che rischia di condurre l'intera regione ad un assetto trasportistico monomodale (tutto strada) in totale controtendenza rispetto alle tendenze nazionali ed europee;
   alcune carenze assimilabili ai contesti del Mezzogiorno e della Sardegna si riferiscono ai bassi livelli di accessibilità alla rete nazionale ed europea, nonché al proprio interno, causati da insufficienti dotazioni infrastrutturali ed ancora più da mediocri livelli di servizio sia delle linee che delle infrastrutture, ad una disomogenea distribuzione territoriale delle residenze e delle attività che evidenziano aree a bassa densità di popolazione;
   l'infrastruttura regionale risulta essere collegata solo teoricamente alla direttrice tirrenica, afferente l'asse ferroviario numero 1 Berlino-Verona/Milano Bologna-Napoli-Messina-Palermo, attraverso i collegamenti marittimi e il tratto ferroviario di connessione con il porto di Civitavecchia;
   la necessità di un effettivo ammodernamento del sistema ferroviario della Sardegna, risulta a tutt'oggi non condivisa ed estranea alla pratica operativa, di RFI, TRENITALIA, CARGO, confermandosi una situazione di deficit d'esercizio sintetizzabile a partire dal dato, antistorico, di una velocità media (lungo la rete ferroviaria nazionale) nell'ordine dei 70 chilometri/ora;
   la condizione di criticità prefigura un futuro di abbandono per un patrimonio costituito da 436 chilometri di tracciato a scartamento ordinario, non elettrificata, per grandissima parte a semplice binario, sin qui gestita da FS-SpA, e da altri 626 chilometri da linee a scartamento ridotto, passati alla gestione regionale con l'ingiustificabile e grave assenso della precedente giunta regionale, ma in assenza di qualsiasi risorsa sufficiente ad una seppur minima messa in sicurezza né tantomeno al suo adeguamento infrastrutturale;
   la provincia di Cagliari, la più popolosa, per fare un esempio, risulta 98o tra le province italiane, terzultima nel Mezzogiorno, ha un indice relativo alla rete ferroviaria di 24,7, leggermente superiore alla media regionale (24,5) ma comunque, nettamente al di sotto della media delle regioni del Mezzogiorno (84,7);
   la dotazione regionale di infrastrutture ferroviarie, la rete di livello nazionale, gestita da RFI, è costituita da 436 chilometri di linea (2,6 per cento del totale nazionale) a scartamento ordinario, semplice binario e non elettrificata. Solo 16,6 chilometri sono a doppio binario (Cagliari-Decimomannu), cui s'aggiungono circa 8 chilometri nella nuova tratta in galleria a Bonorva;
   la densità ferroviaria, indice d'accessibilità del territorio, rapporto tra estesa delle linee e superficie regionale, è di 18 metri/chilometro quadrato, contro un valore medio nazionale di 55; il grado di diffusione ferroviario della Sardegna è quindi 1/3 di quello nazionale;
   la rete è suddivisa in linee fondamentali (Cagliari-Chilivani-Olbia), complementari (Chilivani-Porto Torres) e secondarie (Decimomannu-Iglesias; Villamassargia-Carbonia) con riferimento alla relativa funzione e all'entità del traffico;
   il piano regionale dei trasporti, ed il piano regionale delle merci, come da ultimo approvato dalla giunta regionale con deliberazione n. 12/26 in data 16 aprile 2002 hanno indicato tra i progetti prioritari l'ammodernamento e velocizzazione della rete ferroviaria sarda l'intesa generale quadro stipulata l'11 ottobre 2002 tra il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e del territorio, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ed il presidente della regione autonoma della Sardegna, nella quale sono indicate quali opere «di preminente interesse nazionale» ha individuato gli interventi ricadenti nel territorio sardo tra quelli inseriti nel 1o programma delle infrastrutture strategiche;
   in tale intesa le parti hanno convenuto che le risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione degli interventi ivi previsti «saranno comunque rese disponibili fino alla completa realizzazione delle opere secondo gli importi che risulteranno dai quadri economici dei progetti approvati» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «si impegna fin d'ora a sostenere, con risorse proprie e/o delle aziende vigilate, gli oneri economici per la progettazione di specifiche opere rientranti fra quelle per le quali le parti determineranno di collaborare»;
   il documento n. 161 del 22 gennaio 2003, sottoscritto tra il capo del dipartimento coordinamento e sviluppo del territorio del Ministero delle infrastrutture e trasporti e il capo del dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero dell'economia e delle finanze, è finalizzato ad armonizzare i contenuti delle intese istituzionali di programma e degli accordi di programma quadro con quando previsto nelle Intese generali quadro in ordine al 1o programma delle infrastrutture strategiche di cui alla citata delibera CIPE 21/2001 anche ai fini dell'appropriata gestione e rafforzamento delle attività di monitoraggio;
   il programma attuativo, conseguente all'Intesa del 2002 e all'accordo approvato dalla giunta regionale nel 2003, per quanto riguarda il trasporto ferroviario, prevedeva:
    ampliare, potenziare e velocizzare la rete ferroviaria, al fine di renderla idonea a garantire un adeguato livello di qualità nonché ad aumentare l'offerta del servizio esistente, anche attraverso una sostanziale riduzione dei tempi di percorrenza. A questo fine le parti concordano che gli interventi infrastrutturali previsti nel presente accordo, con le risorse disponibili e quelle programmate, sono funzionali all'obiettivo di ridurre, entro il quadriennio 2004-2007, i tempi di percorrenza sulle due relazioni Cagliari-Sassari-Porto Torres e Cagliari-Chilivani-Olbia-Golfo Aranci, in misura tale da elevarne il livello di concorrenzialità con le altre modalità di trasporto;
    potenziare le principali linee ferroviarie per realizzare un significativo spostamento modale di quote di traffico dal sistema su gomma a quello su ferro. Tale obiettivo, peraltro, dovrà essere realizzato anche attraverso un riordino dei sistemi su gomma diretto ad eliminare eventuali parallelismi nell'offerta e, viceversa, a favorire l'interscambio gomma/ferro in prossimità delle stazioni;
    realizzare interventi di collegamento ai nodi urbani ed ai servizi portuali ed aeroportuali;
   la definitiva attribuzione delle risorse del PON Trasporti 2000-2006 registra una pesante penalizzazione subita dalla regione Sardegna, in particolare nel settore delle ferrovie, ove il responsabile nazionale delle Misure 1.1 e 2.1 risulta non aver proceduto a sviluppare la progettualità necessaria all'attuazione di un complesso di intervento mirati alla velocizzazione della principale linea ferroviaria regionale (Cagliari/Porto Torres/Golfo Aranci);
   il recente documento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «Selezione dei progetti per la realizzazione del PON Trasporti 2000/2006 - Lista Progetti CdS 25/05/09» mostra, per il settore delle ferrovie una situazione che emerge in tutta la sua gravità;
   il Programma operativo nazionale trasporti 2000-2006 in Sardegna alla misura 1.1 - miglioramento della rete e del servizio ferroviario attraverso l'adeguamento della linea - con una dotazione di 518.420.228 euro (il 33,6 per cento dell'intero PON Trasporti) ha totalmente escluso dall'intervento la regione Sardegna;
   la misura 3.3 - sviluppo delle infrastrutture finalizzate all'intermodalità delle merci, che ha avuto grosse difficoltà anche alla scala nazionale, per incertezze connesse al rispetto delle regole della concorrenza, ed alla conseguente impossibilità di finanziare infrastrutture destinate ad operatori privati ha anche in questo caso escluso la Sardegna nei bilanci di RFI, responsabile delle misure 1.1 e 2.1 del PON trasporti 2000-2006, è effettivamente entrata una assegnazione complessiva di 2.086.936.887 euro. L'ammontare di risorse teoricamente destinato alla regione, stimabile sulla base della quota dell'11,95 per cento in 249 milioni di euro circa, in ragione dell'assenza di Progettazione, è stato distribuito sui territori delle altre regioni del Mezzogiorno;
   nella programmazione 2007-2013 si rende necessario recuperare con somma urgenza tali risorse, opportunamente rivalutate anche per non perseverare nella seguente inaccettabile programmazione 2007-2013:
   il Programma nazionale «Reti e Mobilità», inizialmente destinato a tutte le regioni del Mezzogiorno non ha infatti ricompreso Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna, risultando a tutt'oggi operativo solamente nella sezione finanziata del FERS, per le sole regioni rimaste nell'obiettivo 1 (giova al riguardo rilevare che lo sforamento statistico di taluni indici economici non equivale ad un recupero del deficit infrastrutturale pregresso);
   il programma di interventi relativo all'alta velocità e all'adeguamento infrastrutturale delle dorsali ferroviarie nazionali non ricomprende, tra le regioni destinatarie, la Sardegna;
   gli interventi del Fondo infrastrutture sin qui definiti interessano solo marginalmente la regione sarda, comunque esclusa dagli interventi di adeguamento della rete ferroviaria;
   gli interventi previsti dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che approva con modifiche, il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il Quadro strategico nazionale, destinano una specifica sezione di intervento, per 2.400 milioni di euro al sostegno delle ferrovie e del trasporto pubblico locale, utilizzando a tal fine le risorse del FAS 2007-2013;
   l'articolo 25 della legge 28 gennaio 2009, n. 2, al comma due cita esplicitamente i soli contratti di servizio di Trenitalia con le sole regioni a statuto ordinario «Per assicurare i necessari servizi ferroviari di trasporto pubblico, al fine della stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle regioni a statuto ordinario con Trenitalia s.p.a., è autorizzata la spesa di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011»: una restrittiva applicazione di tale norma condurrebbe quindi ad una paradossale penalizzazione di tutte le regioni a statuto speciale, contraddicendo lo stesso principio ispiratore dell'omogeneità del sistema ferroviario italiano;
   analoga perplessità riguarda la ripartizione delle risorse, al cui onere (1.440 milioni di euro per l'anno 2009 e 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011), ai sensi dei commi 3 e 4 del citato articolo 25, «si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 61, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, relativa al Fondo per le aree sottoutilizzate, a valere sulla quota destinata alla realizzazione di infrastrutture ai sensi dell'articolo 6-quinquies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133» ... «Ferrovie dello Stato s.p.a. presenta annualmente al Ministro dell'economia e delle finanze una relazione sui risultati della attuazione del presente articolo, dando evidenza in particolare del rispetto del criterio di ripartizione, in misura pari rispettiva mente al 15 per cento e all'85 per cento, delle quote di investimento riservate al nord e al sud del Paese»;
   risulta, secondo l'interrogante, inaccettabile che tali risorse relative al fondo aree sottoutilizzate, all'interno del contesto nazionale, ed in particolare del Mezzogiorno violino i criteri di ripartizione che non dovrebbero discostarsi per alcuna ragione da quelli assunti dal Quadro strategico nazionale 2007-2013, che hanno da tempo codificato, in favore della Sardegna, una quota di ripartizione pari al 12,61 per cento del totale delle risorse dedicate al Mezzogiorno (Delibera CIPE l66/2007, tabella 4);
   un eventuale scostamento da tali criteri di ripartizione andrebbe adeguatamente motivato, ad esempio sulla base di una compensazione per il pregresso non assegnato, ovvero assumendo criteri specifici relativi al fabbisogno infrastrutturale, misurabile attraverso fattori oggettivi quali l'estesa chilometrica, o l'insufficienza della velocità commerciale lungo linea: va detto sin d'ora che criteri di assegnazione delle risorse fondati sul riconoscimento dell'effettivo deficit infrastrutturale, condurrebbero a coefficienti di ripartizione delle risorse destinate al Mezzogiorno sensibilmente superiori al quantum sin qui solo teoricamente riconosciuto alla regione Sardegna. E di fatto comunque negato nell'ambito della richiamata programmazione;
   i criteri di ripartizione di tali somme all'interno del contesto nazionale, ed in particolare del Mezzogiorno non devono discostarsi in alcun modo se non per incrementarli, ai fini di ulteriore compensazione del pregresso sottratto, da quelli che il QSN utilizza per la distribuzione delle risorse alla scala regionale, com’è noto pari l2,61 per cento per ciò che attiene la regione Sardegna (delibera CIPE 166/2007, tabella 4);
   i criteri di riparto dovrebbero essere sensibilmente superiori a tale quota, sopratutto se si prendesse in considerazione ad esempio il dato di fabbisogno infrastrutturale (rilevabile dalla estesa chilometrica, e dalla modesta velocità commerciale lungo linea);
   la stima del quantum di risorse FAS, riparto nazionale, da assegnarsi alla regione Sardegna va comunque effettuata con la massima celerità al fine di recuperare i divari registrati e incrementati negli anni il citato comma due della legge 28 gennaio 2009, n. 2, non ha esplicitamente inserito nel riparto le regioni a Statuto speciale, richiamando esclusivamente le sole regioni a statuto ordinario;
   una restrittiva applicazione della norma costituirebbe una paradossale penalizzazione per tutte le regioni a statuto speciale, contraddicendo lo stesso principio ispiratore dell'omogeneità del sistema ferroviario italiano;
   il sostanziale disimpegno di RFI ha condotto ad un progressivo abbattimento dei livelli di servizio sul sistema ferroviario della Sardegna:
   come emerge dalla lettura degli orari riportati dal sito Trenitalia a velocità commerciale media sulla rete RFI) s'aggira, in Sardegna, sui 65-70 chilometri/ora;
   soltanto uno dei 5 collegamenti Cagliari-Sassari (261 chilometri in ferrovia, 215 chilometri sulla SS 131) e infatti effettuato dal treno più veloce in 2 ore e 50 mm (velocità commerciale 92 chilometri/ora), gli altri quattro impiegano delle 3 ore e 30 minuti alle 4 ore, con una velocità commerciale media oscillante tra i 75 ed i 65 chilometri/ora tempo superiore del 50 per cento rispetto a quello «impiegabile» da un'autovettura di media cilindrata sulla strada statale 131;
   il collegamento Sassari-Olbia (116 chilometri) è coperto in circa 1 ora e 50 minuti, alla velocità commerciale inferiore ai 65 chilometri/ora;
   la tratta «inter-city» a più alto traffico (Cagliari-Oristano, 94 chilometri), che si sviluppa su tracciato in piano, è percorsa da circa 18 treni giornalieri, ma solamente 2 corse/die effettuano la tratta in 56 minuti circa, alla velocità commerciale di oltre 100 chilometri/ora: per le altre, i tempi di connessione giungono ai 70, 80, 110 minuti, segnate quindi da uno standard di esercizio che abbatte le velocità commerciali sino ai 60 e addirittura ai 47 chilometri/ora;
   a tale rete si aggiungono 620 chilometri di rete ferroviaria a scartamento ridotto, passata dalla gestione governativa alla gestione regionale in assenza di alcun progetto di ammodernamento, sulla quale la velocità di percorrenza oscilla tra i 60 chilometri/ora della Sassari-Alghero e della Cagliari-Mandas, per ridursi ai 33 chilometri sulle Tratte a valenza turistico e paesistica: Sorgono-Mandas-Arbatax, Palau-Arzachena-Tempio-Nulvi, Nuoro-Macomer-Bosa;
   per tale sottosistema ferroviario regionale, sono necessari importanti momenti di riqualificazione:
   sulle tratte a maggiore valenza urbana, per le quali si prospetta (con fonti regionali, nazionali e comunitari) il completamento delle azioni già avviate con le metropolitane leggere di Cagliari e Sassari, con la estensione delle tratte elettrificate, e la semplificazione degli attuali passaggi a livello, da ricondurre a normali intersezioni semaforiche;
   per le tratte gravitanti sui centri urbani, per le quali occorre a ricondurre a standard in particolare sulle tratte pianeggianti, le velocità di esercizio;
   sulle tratte che attraversano i territori montani, segnandone paesaggio e storia, sulla quali la domanda di «turismo ambientale» ha mantenuto trend di crescita nell'ordine del 7-8 per cento all'anno, sino a lasciare inevase quote elevate di domanda, per l'insufficienza dei treni (dedicati alla domanda pendolare) e per la carenza di figure rare quali quelle dei macchinisti, in favore dei quali per i quali sono state peraltro applicate le norme relative al prepensionamento degli addetti;
   ai sensi dell'articolo 837 dell'articolo 1 della Finanziaria 2007 tali linee sono passate alla gestione regionale. Senza alcuna risorsa aggiuntiva, e senza registrare, e quantificare, i danni conseguenti ad oltre un cinquantennio di sostanziale assenza di investimenti, all'interno di un accordo a tutt'oggi privo delle risorse necessarie alla messa in sicurezza ed all'ammodernamento dell'infrastruttura;
   il «Corridoio Plurimodale Sardegna Continente» è privo del servizio di traghettamento ferroviario delle merci, sospeso da Trenitalia a partire dal luglio 2008;
   la rete ferroviaria sarda, con particolare riferimento alle condizioni di sicurezza risulta evidente la penalizzazione subita dalla Sardegna sia in termini di mancata assegnazione di risorse pregresse, sia in termini di continuo decadimento dei livello di servizio ferroviario;
   appare impegno inderogabile la stima del quantum da assegnarsi alla regione a valere sul riparto nazionale (e/o sul fondo infrastrutture) delle risorse FAS 2007-2013, risorse statali riparto nazionale, da effettuarsi con la massima celerità, al fine di recuperare i divari registrati e incrementati negli anni, col concorso del Ministero dell'economia e del Ministero delle infrastrutture, d'intesa con la regione autonoma della Sardegna;
   la legge 5 maggio 2009, n. 42 «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 103 del 6 maggio 2009 all'articolo 22 prevede:
(Perequazione infrastrutturale).

  1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
   a) estensione delle superfici territoriali;
   b) valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno;
   c) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo;
   d) densità della popolazione e densità delle unità produttive;
   e) particolari requisiti delle zone di montagna;
   f) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
   g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

  2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma da effettuare nelle aree sottoutilizzate sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 –:
   se il Governo non ritenga di dover disporre un'immediata rimodulazione dell'aggiornamento del contratto di Programma di rete ferroviaria italiana tesa a restituire alla regione Sardegna le risorse parametrate ad essa spettanti;
   se non ritenga di dover disporre non solo la rassegnazione delle risorse che le sono state sottratte con la proposta di aggiornamento del contratto di programma ma a provvedere ad una assegnazione congrua del periodo di programmazione 2011/2015 dove la Sardegna risulta totalmente esclusa;
   se non ritenga di dover provvedere alla definizione di parametri certi per l'attribuzione delle risorse dei contratti di programma che risultano totalmente sbilanciati su alcune regioni a scapito di altre, su tutte la regione Sardegna;
   se non ritenga di dover inserire la Sardegna nelle regioni dotate di una rete ad alta velocità capace di riequilibrare la dotazione infrastrutturale che vede sempre maggiore il divario proprio nel settore ferroviario tra l'Italia e la Sardegna;
   se non ritenga di dover richiamare RFI al rispetto della regione Sardegna che non può essere ignorata come invece risulta dagli elaborati proposti da RFI scongiurando l'impugnazione degli atti adottati.
(4-00058)


   PILI. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il sistema dei trasporti in Sardegna è ancora caratterizzato da condizioni di grave disagio e deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo che producono non solo una bassa qualità del servizio offerto ma costituiscono un ostacolo al decollo della crescita e dello sviluppo economico;
   alcune carenze assimilabili ai contesti del Mezzogiorno e della Sardegna si riferiscono ai bassi livelli di accessibilità alla rete nazionale ed europea, nonché al proprio interno, causati da insufficienti dotazioni infrastrutturali ed ancora più da mediocri livelli di servizio sia delle linee che delle infrastrutture, ad una disomogenea distribuzione territoriale delle residenze e delle attività che evidenziano aree a bassa densità di popolazione;
   l'infrastruttura regionale sarda dovrebbe essere teoricamente collegata alla Direttrice Tirrenica, afferente l'Asse Ferroviario n. 1 Berlino-Verona/Milano Bologna-Napoli-Messina-Palermo, attraverso:
    a) i collegamenti marittimi e il tratto ferroviario di connessione con il porto di Civitavecchia;
    b) le infrastrutture economiche più critiche sono quelle legate in particolar modo alla rete ferroviaria;
    c) la provincia di Cagliari, la più popolosa, risulta 98a tra le province italiane, terzultima nel Mezzogiorno, ha un indice relativo alla rete ferroviaria di 24,7, leggermente superiore alla media regionale (24,5) ma comunque, nettamente al di sotto della media delle regioni del Mezzogiorno (84,7);

   la dotazione regionale di infrastrutture ferroviarie, la rete di livello nazionale, gestita da RTI, è costituita da 437 km di linea (2,6 per cento del totale nazionale) a scartamento ordinario, semplice binario e non elettrificata. Solo 16,6 km sono a doppio binario (Cagliari-Decimomannu), cui s'aggiungono circa 8 km nella nuova tratta in galleria a Bonorva;
   la densità ferroviaria, indice d'accessibilità del territorio, rapporto tra estensione delle linee e superficie regionale, è di 18 metri/kmq, contro un valore medio nazionale di 55; il grado di diffusione ferroviario della Sardegna è quindi 1/3 di quello nazionale;
   la rete è suddivisa in linee fondamentali (Cagliari-Chilivani-Olbia), complementari (Chilivani-Porto Torres) e secondarie (Decimomannu-lglesias; Villamassargia-Carbonia) con riferimento alla relativa funzione e all'entità del traffico;
   la velocità commerciale media su tutta la rete sarda per i treni viaggiatori più veloci (diretti) s'aggira sui 65-70 km/h;
   il collegamento Cagliari-Sassari (261 km in ferrovia, 215 km sulla SS 131) è effettuato dal treno più veloce in 3 ore e 19 minuti (velocità commerciale 79 km/h), tempo superiore del 50 per cento rispetto a quello «impiegabile» da un'autovettura di media cilindrata sulla SS 131;
   il collegamento Sassari-Olbia (116 km) è coperto dai treni diretti in circa 2 ore, alla velocità commerciale di appena 58 km/h;
   la tratta «intercity» a più alto traffico (Cagliari-Oristano, 94 km), che si sviluppa su tracciato in piano, è percorsa dai treni più veloci in 56 minuti circa, alla velocità commerciale di circa 100 km/h;
   il Piano regionale dei trasporti, ed il Piano regionale delle merci, approvato dalla Giunta Regionale con deliberazione n. 12/26 in data 16 aprile 2002 avevano per la prima volta indicato tra i progetti prioritari l'ammodernamento e velocizzazione della rete ferroviaria sarda;
   l'intesa generale quadro stipulata l'11 ottobre 2002 tra il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e del territorio, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ed il Presidente della Regione autonoma della Sardegna, ha indicato le opere «di preminente interesse nazionale» ricadenti nel territorio sardo inserite nel 1o Programma delle infrastrutture strategiche;
   in tale intesa le parti avevano convenuto che le risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione degli interventi ivi previsti «saranno comunque rese disponibili fino alla completa realizzazione delle opere secondo gli importi che risulteranno dai quadri economici dei progetti approvati» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «si impegna fin d'ora a sostenere, con risorse proprie e/o delle aziende vigilate, gli oneri economici per la progettazione di specifiche opere rientranti fra quelle per le quali le parti determineranno di collaborare»;
   il documento n. 161 del 22 gennaio 2003, sottoscritto tra il Capo del dipartimento coordinamento e sviluppo del territorio del Ministero delle infrastrutture e trasporti e il Capo del dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero dell'economia e delle finanze, era finalizzato ad armonizzare i contenuti delle intese istituzionali di programma e degli accordi di programma quadro con quanto previsto nelle Intese generali quadro in ordine al 1o Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla citata delibera CIPE 21/2001 anche ai fini dell'appropriata gestione e rafforzamento delle attività di monitoraggio;
   il programma attuativo, conseguente all'Intesa del 2002 e all'Accordo approvato dalla giunta regionale nel 2003 per quanto riguarda il trasporto ferroviario, prevedeva:
    ampliare, potenziare e velocizzare la rete ferroviaria, al fine di renderla idonea a garantire un adeguato livello di qualità nonché ad aumentare l'offerta del servizio esistente, anche attraverso una sostanziale riduzione dei tempi di percorrenza. A questo fine le parti concordano che gli interventi infrastrutturali previsti nel presente Accordo, con le risorse disponibili e quelle programmate, sono funzionali all'obiettivo di ridurre, entro il quadriennio 2004-2007, i tempi di percorrenza sulle due relazioni Cagliari-Sassari-Porto Torres e Cagliari-Chilivani-Olbia-Golfo Aranci, in misura tale da elevarne il livello di concorrenzialità con le altre modalità di trasporto;
    potenziare le principali linee ferroviarie per realizzare un significativo spostamento modale di quote di traffico dal sistema su gomma a quello su ferro. Tale obiettivo, peraltro, dovrà essere realizzato anche attraverso un riordino dei sistemi su gomma diretto ad eliminare eventuali parallelismi nell'offerta e, viceversa, a favorire l'interscambio gomma/ferro in prossimità delle stazioni;
    realizzare interventi di collegamento ai nodi urbani ed ai servizi portuali ed aeroportuali; la definitiva attribuzione delle risorse del Pon Trasporti 2000-2006 registra una pesante penalizzazione subita dalla Regione Sardegna, in particolare nel settore delle ferrovie, ove il responsabile nazionale delle Misure 1.1 e 2.1 non risulta aver proceduto a sviluppare la progettualità necessaria all'attuazione di un complesso di intervento mirati alla velocizzazione della principale linea ferroviaria regionale (Cagliari/Porto Torres/Golfo Aranci);
   il recente documento del Ministero delle infrastrutture «Selezione dei progetti per la realizzazione del Pon Trasporti 2000/2006 – Lista Progetti CdS 25 maggio 2009» mostra, per il settore delle ferrovie, una situazione che emerge in tutta la sua gravità;
   il Programma operativo nazionale trasporti 2000-2006 in Sardegna alla misura 1.1 – Miglioramento della rete e del servizio ferroviario attraverso l'adeguamento della linea – con una dotazione di 1.518.420.228 (il 33,6 per cento dell'intero Pon Trasporti) ha totalmente escluso dall'intervento la Regione Sardegna;
   la misura 3.3 – Sviluppo delle infrastrutture finalizzate all'intermodalità delle merci, che ha avuto grosse difficoltà anche su scala Nazionale, per incertezze connesse al rispetto delle regole della concorrenza, ed alla conseguente impossibilità di finanziare infrastrutture destinate ad operatori privati, ha, anche in questo caso, escluso la Sardegna;
   nei bilanci di RFI, responsabile delle misure 1.1 e 2.1 del Pon Trasporti 2000-2006, è stata attribuita una somma complessiva di euro 2.086.936.887. L'ammontare di risorse teoricamente destinato alla regione, stimabile sulla base della quota dell'11,95 per cento, in euro 181.451.217,25, in ragione dell'assenza di progettazione, è stato distribuito sui territori delle altre regioni del Mezzogiorno;
   nella programmazione 2007-2013 si rende necessario recuperare tali risorse sottratte, riassegnandole con le opportune rivalutazioni;
   il decreto-legge n. 185 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha approvato con modifiche, il decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il Quadro strategico nazionale;
   l'articolo 25 della citata normativa recita:
   «Ferrovie e trasporto pubblico locale
  1. Nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito un fondo per gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato s.p.a. con una dotazione di 960 milioni di euro per l'anno 2009. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione del fondo e sono definiti tempi e modalità di erogazione delle relative risorse.
  2. Per assicurare i necessari servizi ferroviari di trasporto pubblico, alfine della stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle Regioni a statuto ordinario con Trenitalia s.p.a., è autorizzata la spesa di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011. L'erogazione delle risorse è subordinata alla stipula dei nuovi contratti di servizio che devono rispondere a criteri di efficientamento e razionalizzazione per garantire che il fabbisogno dei servizi sia contenuto nel limite degli stanziamenti di bilancio dello Stato, complessivamente autorizzati e delle eventuali ulteriori risorse messe a disposizione dalle Regioni per i contratti di servizio di competenza, nonché per garantire che, per l'anno 2009, non vi siano aumenti tariffari nei servizi di trasporto pubblico regionale e locale. Quota parte delle risorse deve essere finalizzato all'incremento e al miglioramento del materiale rotabile dedicato al trasporto pubblico ferroviario. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi entro 30 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, sono individuate la quota destinata all'acquisto di nuovo materiale rotabile e la destinazione delle risorse per i diversi contratti.
  3. All'onere derivante dall'attuazione dei commi 1 e 2 pari a 1.440 milioni di euro per l'anno 2009 e 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 61, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, relativa al Fondo per le aree sottoutilizzate, a valere sulla quota destinata alla realizzazione di infrastrutture ai sensi dell'articolo 6-quinquies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
  4. Ferrovie dello Stato s.p.a. presenta annualmente al Ministro dell'economia e delle finanze una relazione sui risultati della attuazione del presente articolo, dando evidenza in particolare del rispetto del criterio di ripartizione, in misura pari rispettivamente al 15 per cento e all'85 per cento, delle quote di investimento riservate al nord e al sud del Paese.
  5. Gli importi oggetto di recupero conseguenti all'applicazione delle norme dell'articolo 24 sono riassegnati ad un Fondo da ripartire tra gli enti pubblici territoriali per le esigenze di trasporto locale, non ferroviario, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza Unificata, sulla base di criteri che assicurano l'erogazione delle somme agli enti che destinano le risorse al miglioramento della sicurezza, all'ammodernamento dei mezzi ed alla riduzione delle tariffe; i criteri di ripartizione di tali somme all'interno del contesto nazionale, ed in particolare del Mezzogiorno non devono discostarsi in alcun modo se non per incrementarli, ai fini di ulteriore compensazione del pregresso sottratto, da quelli che il QSN utilizza per la distribuzione delle risorse alla scala regionale, com’è noto pari 12,61 per cento per ciò che attiene la regione Sardegna (delibera CIPE 166/2007, tab. 4);
   i criteri di riparti dovrebbero essere sensibilmente superiori a tale quota, soprattutto se si prendesse in considerazione ad esempio il dato di fabbisogno infrastrutturale (rilevabile dalla estesa chilometrica, e dalla modesta velocità commerciale lungo linea);
   la stima del quantum di risorse FAS, riparto nazionale, da assegnarsi alla Regione Sardegna va comunque effettuata con la massima celerità al fine di recuperare i divari registrati e incrementati negli anni;
   il citato comma due della legge 28 gennaio 2009, n. 2, non ha esplicitamente inserito nel riparto le regioni a Statuto Speciale, richiamando esclusivamente le sole regioni a statuto ordinario;
   una restrittiva applicazione della norma costituirebbe una paradossale penalizzazione per tutte le regioni a Statuto Speciale, contraddicendo lo stesso principio ispiratore dell'omogeneità del sistema ferroviario italiano;
   la legge 5 maggio 2009, n. 42 «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 103 del 6 maggio 2009 all'articolo 22 prevede:
    (Perequazione infrastrutturale)
  1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
   a) estensione delle superfici territoriali;
   b) valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno;
   c) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo;
   d) densità della popolazione e densità delle unità produttive;
   e) particolari requisiti delle zone di montagna;
   f) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
   g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

  2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma da effettuare nelle aree sottoutilizzate sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443; i rilevantissimi investimenti sull'alta velocità, compreso l'ultimo bando per l'acquisto di altro materiale rotabile destinato al servizio Freccia rossa, ha totalmente escluso dalla ripartizione la regione Sardegna che paga doppiamente l'esclusione da una rete ferroviaria efficiente e funzionale, da una parte con un servizio totalmente inadeguato e dall'altra con l'esclusione, conseguente, dai fondi per l'alta velocità –:
   se i Ministri non ritengano urgente definire un piano di riequilibrio delle condizioni infrastrutturali e strutturali del sistema trasporti ferroviari della Sardegna a partire dalla definizione di progetti capaci di eliminare i consistenti divari su tutti i parametri di efficienza delle reti ferroviarie sarde;
   se il Governo non intenda definire prima di qualsiasi attuazione di norme di trasferimento di competenze alla Regione Sardegna di stanziare apposite risorse tese al riequilibrio infrastrutturale e funzionale del sistema ferroviario sardo;
   se il Governo non ritenga di dover ridefinire alla luce dei mancati stanziamenti di risorse degli anni passati per responsabilità diretta dei soggetti che non hanno definito adeguate progettazioni per l'ammodernamento e la velocizzazione della rete ferroviaria della Sardegna;
   se il Governo non ritenga di dover imporre, prima di qualsiasi trasferimento di competenze alla Regione, alle Ferrovie dello Stato e RTI un adeguamento strutturale dei tracciati delle principali dorsali ferroviarie della Sardegna con il conseguente inserimento anche della Sardegna tra le regioni destinatarie degli interventi dell'alta velocità considerata l'appartenenza della Regione stessa allo Stato italiano;
   se il Governo, alla luce della fallimentare esperienza del precedente governo regionale che aveva rinunciato al miglioramento della rete ferroviaria affidando il miglioramento medesimo a paventati «miracolistici» treni, non ritenga di dover valutare l'urgente necessità di definire una correzione dei rettifili dei tracciati ferroviari tali da poter favorire anche in Sardegna l'utilizzo di mezzi adeguati ai parametri nazionale ed europeo;
   se non ritenga di dover assumere iniziative, eventualmente normative, per estendere la portata del decreto-legge n. 185 del 2008, includendo anche le regioni a statuto speciale tra quelle destinatarie della ripartizione dei fondi destinati al miglioramento delle ferrovie;
   se non ritenga di predisporre un concreto piano attuativo della norma di riequilibrio contenuta all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 relativamente alle infrastrutture ferroviarie della Sardegna.
(4-00059)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è sempre più evidente la seguente grave situazione in cui versa la viabilità primaria della città di Cagliari e la connessione della stessa con i principali servizi di trasporto, ferrovia, porto e aeroporto;
   sono materie di legislazione concorrente tra Stato e regioni il governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione;
   la legge 21 dicembre 2001, n. 443, ha avviato l'azione della cosiddetta «legge obiettivo», con il compito di rilanciare il sistema infrastrutturale del nostro Paese;
   la legge 1o agosto 2002, n. 166, reca «Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti»;
   in Sardegna, la viabilità interessa 49.800 chilometri di strade asfaltate. Di questi, 3.100 chilometri sono di competenza statale ed attribuiti in concessione all'ANAS S.p.a., mentre i restanti 46.700 chilometri rientrano nelle competenze delle amministrazioni provinciali e comunali. L'ANAS S.p.A. e gli altri enti sono pertanto competenti nella realizzazione di nuove tratte stradali e nella manutenzione di quelle esistenti;
   la delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, ai sensi della «legge obiettivo», ha approvato il 1o programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, che assumono carattere strategico e di preminente interesse nazionale per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese;
   il Governo e la regione autonoma della Sardegna hanno sottoscritto apposite intese quadro e accordi di programma quadro relativamente alla materia della viabilità statale d'interesse nazionale ricadenti nel territorio della regione Sardegna con particolare riferimento alla città di Cagliari;
   l'intesa generale quadro, stipulata in data 11 ottobre 2002 tra il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il presidente della regione autonoma della Sardegna, ha stabilito che le risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione degli interventi ivi previsti «saranno comunque rese disponibili fino alla completa realizzazione delle opere secondo gli importi che risulteranno dai quadri economici dei progetti approvati» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «si impegna fin d'ora a sostenere, con risorse proprie e/o delle aziende vigilate, gli oneri economici per la progettazione di specifiche opere rientranti fra quelle per le quali le Parti determineranno di collaborare»;
   l'11 luglio 2003 viene sottoscritto l'Accordo di programma quadro della viabilità (A.P.Q. Viabilità) per realizzare un programma di opere viarie per un importo complessivo stanziato pari a 1.078,228 milioni di euro;
   l'accordo suddetto prevede come obiettivi fondamentali:
    a) Rete fondamentale, rivolta al completamento della grande maglia di intercomunicazione nazionale, mediterranea ed europea e alla connessione dei capoluoghi di provincia, dei porti, degli aeroporti e dei poli rappresentativi di ogni singola area programma e tale da possedere, anche attraverso interventi di adeguamento, elevate caratteristiche di percorribilità, sicurezza e velocità;
    b) Rete di interesse regionale (e di connessione nazionale) di primo e secondo livello, rivolta all'ottimizzazione dei collegamenti, entro le singole aree-programma, dei sistemi urbani di riferimento e dei principali nodi di interscambio, a completamento della rete fondamentale;
    c) Sistema dell'accessibilità ai nodi urbani, portuali ed aeroportuali, oggetto di riordino al fine di eliminare disorganiche articolazioni, elevati livelli di incidentalità e congestione ed incrementare le soglie di servizio, attualmente inadeguate rispetto alle reali esigenze del traffico, in coerenza con le scelte strategiche del Piano nazionale dei trasporti e dello strumento operativo per il Mezzogiorno;
   nell'ambito degli interventi strategici era stato inserito un ampio progetto per l'area metropolitana di Cagliari con l'interconnessione sotterranea nella centrale via Roma tra la via san Paolo e l'asse mediano di scorrimento;
   la mancata realizzazione di tale opera strategica fondamentale per l'interconnessione tra l'asse mediano di circonvallazione della città di Cagliari e il fronte mare congestione l'intera area metropolitana rende di difficile fruizione i principali servizi portuali, ferroviari e aeroportuali;
   con la mancata realizzazione di tale opera viene praticamente reso inutilizzabile a scopi turistici il fronte mare della città di Cagliari;
   il fronte mare risulta inutilizzabile per la stessa attività diportistica che se fosse sviluppata causerebbe ulteriore congestionamento nella ricaduta a terra –:
   se il Governo non ritenga di voler rendere noto lo stato dei progetti e dei finanziamenti relativamente a tale infrastruttura primaria;
   se non ritenga di dover urgentemente promuovere un incontro con i soggetti interessati al fine di avviare le procedure necessarie per la realizzazione dell'opera;
   se non ritenga di dover stanziare, di concerto con la regione Sardegna, tutte le risorse necessarie alla realizzazione dell'intervento e inserire lo stesso intervento tra le opere urgenti e inquadrabili nelle opere commissariali dell'Unità d'Italia considerata la funzione strategica della connessione della città di Cagliari e quindi della Sardegna con porti e aeroporti;
   se non ritenga necessario e corretto destinare a tale opera la somma di 30 milioni di euro già stanziati per un'opera che l'interrogante giudica inutile e irrealizzabile sia sul piano tecnico che normativo come il Betile inserito proprio nell'ambito della programmazione dei fondi dell'Unità d'Italia. (4-00061)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco e il segretario generale della Cisl Federazione della sicurezza Nino Manca hanno sottoposto all'interrogante la grave situazione in cui versa la situazione relativa al servizio antincendio e l'apporto dei vigili del fuoco alla stessa campagna antincendio;
   i vigili del fuoco della Sardegna non partecipano alla campagna estiva antincendi nonostante la convenzioni sottoscritte fra la direzione regionale dei vigili del fuoco e la regione Sardegna;
   i distaccamenti stagionali dei vigili del fuoco previsti in quella convenzione sono ancora chiusi;
   i contenuti della convenzione secondo le principali organizzazioni sindacali e la Cisl in particolare sarebbero lesivi della dignità e della professionalità dei vigili del fuoco, prevedendo solamente soluzioni «tampone» e non risolutive degli annosi e non più procrastinabili problemi della Sardegna;
   nella convenzione era prevista l'assegnazione definitiva, entro e non oltre il mese di giugno 2012, del personale necessario per garantire la piena operatività del neo distaccamento di Porto Torres, la cui istituzione è stata decretata solo il 18 luglio 2011 e di quelli di Arzachena, La Maddalena, Tortoli e Ghilarza, già decretati dal 2004;
   si rende indispensabile il riconoscimento alla Sardegna, da parte del Ministero dell'interno, della specificità attribuita alle Isole siciliane di Pantelleria e Lampedusa, garantendo con uomini e mezzi, il soccorso tecnico urgente alla regione Sardegna;
   è inderogabile l'esigenza dell'immediato pagamento di tutti gli emolumenti maturati e dovuti al personale che ormai attende da oltre un anno;
   il personale del reparto volo dei vigili del fuoco di Alghero, ad esempio, non riceve le indennità previste da diversi anni;
   risulta indispensabile che venga rivista e modificata la convenzione siglata, senza il consenso delle organizzazioni sindacali, nelle parti in cui, secondo le organizzazioni sindacali, vengono lese la dignità e la professionalità dei vigili del fuoco;
   risulta necessario altresì l'adeguamento della tariffa oraria prevista per la partecipazione, in turno libero, dei vigili del fuoco alla campagna estiva antincendi 2011, considerata l'inadeguatezza di un compenso di sette euro l'ora;
   risulta indispensabile che il personale che volontariamente decida di partecipare alla C.E.A. 2013, percepisca quanto dovuto dal punto di vista economico;
   risulta urgente l'anticipo della prevista mobilità del personale capo squadra dislocando, da subito, quelli sardi in servizio nelle sedi della penisola insieme ad un contingente di vigili permanenti –:
   se non ritenga urgente attivare le procedure tecnico-amministrative per l'attuazione di quanto richiamato in premessa, con particolare riferimento all'attivazione di quel servizio di sicurezza che il corpo dei vigili del fuoco ha sempre con grande professionalità garantito nell'ambito della campagna estiva antincendio in Sardegna;
   se non ritenga, con urgenza, di dislocare il personale caposquadra di origine sarda nella stessa regione, al fine di facilitare la stabilizzazione del personale nell'ambito operativo della regione Sardegna;
   se non ritenga indispensabile assumere iniziative per adeguare i compensi dei vigili del fuoco, al fine di riconoscere il notevole apporto di professionalità che gli stessi forniscono nell'ambito della campagna antincendi in Sardegna. (5-00010)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   annualmente in Sardegna gli incendi percorrono diverse migliaia di ettari di superficie boscata;
   quarantadue comuni della Sardegna sono classificati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a potenziale rischio frane e alluvioni (oltre il 28 per cento dei comuni a rischio);
   innumerevoli abitazioni e fabbricati industriali si trovano in aree golenali, in prossimità degli alvei dei fiumi e in aree a rischio frana. Limitate le delocalizzazioni delle strutture dalle aree più a rischio, scarsa la manutenzione dei corsi d'acqua e delle opere di difesa idraulica. Carente anche la predisposizione di piani di emergenza;
   in Sardegna gli incendi non hanno il carattere di rischio di tipo naturale in relazione alle cause innescanti per la maggior parte di natura dolosa (72 per cento) e colposa (11 per cento);
   in Sardegna gli incendi rappresentano un fenomeno tipicamente estivo. Tuttavia i dati statistici rivelano frequenti insorgenze d'incendio anche durante l'inizio della primavera, soprattutto nella parte meridionale dell'isola, dopo prolungati periodi di siccità e temperature superiori alle medie stagionali. Da ciò deriva l'esigenza di disporre di una struttura operativa in grado di fronteggiare le emergenze in tutti i periodi dell'anno;
   la dotazione organica stabilita dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 1997, integrata dalle dotazioni relative alla successiva istituzione del distaccamento di San Vito e del distaccamento cittadino di Cagliari, risulterebbe essere di 141 unità capi squadra e di 52 unità capi reparto;
   risulterebbe rispetto alla situazione attuale una carenza delle dotazioni di capo squadra del 17 percento (corrispondente a 25 unità di carenza) e di capo reparto del 56 per cento (corrispondente a 29 unità di carenza);
   risulta indispensabile utilizzare parte dei capi squadra nella mansione superiore di capo reparto, per coprire gli indispensabili servizi di gestione dei turni dei distaccamenti e della sede aeroportuale, il che porta ad una ulteriore diminuzione dei capi squadra disponibili per tale mansione;
   la carenza complessiva di qualificati del comando (capi squadra + capi reparto) risulterebbe del 29 per cento rispetto all'organico;
   si registra la crescente e quotidiana difficoltà nella copertura dei servizi minimi, nonché a fronteggiare le situazioni di emergenza che periodicamente si verificano e che da ultimo, nella trascorsa stagione estiva, hanno determinato notevoli difficoltà operative;
   la condizione di insularità condiziona gravemente l'intero apparato di prevenzione e sicurezza in capo ai vigili del fuoco rendendo di fatto impossibile il temporaneo e tempestivo rinforzo dai comandi limitrofi in occasione del verificarsi di emergenze diffuse sul territorio;
   si rende inderogabile la necessità che le procedure di mobilità e messa a concorso di posti per capo squadra tengano conto delle notevoli carenze del comando e della situazione conseguente all'insularità e che, pertanto, venga previsto un cospicuo reintegro delle dotazioni organiche carenti dei qualificati nella loro complessità;
   la condizione insulare e la conseguente impossibilità di raggiungere la Sardegna nei tempi utili ad un pronto ed efficace intervento di protezione civile rendono necessario un provvedimento urgente del Ministro al fine di garantire l'immediata copertura, attraverso bandi di mobilità, o con provvedimenti d'urgenza che pure sono stati adottati per altre regioni e che ancora sono in vigore –:
   se non ritenga indispensabile anche alla luce delle sempre più numerose segnalazioni di carenze nell'ambito degli interventi di sicurezza e protezione civile in Sardegna di adottare provvedimenti straordinarie urgenti proprio in virtù delle condizioni insulari;
   se non ritenga, alla pari di altre regioni, e in considerazione delle gravi conseguenze causate da fenomeni alluvionali che hanno anche nei giorni scorsi colpito la Sardegna, con particolare riferimento alla provincia di Cagliari e dell'Ogliastra, di verificare la disponibilità di personale per le figure vacanti disponibile ad operare con immediatezza in Sardegna;
   se non ritenga di dover dotare i distaccamenti dei vigili del fuoco delle zone maggiormente a rischio di alluvioni di mezzi adeguati al fine di poter sopperire all'impossibilità di disporre di apporti esterni da altre regioni in tempi ragionevoli per il primo intervento su possibili fenomeni alluvionali e non solo. (5-00028)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dispone:
  «Art. 6. – 1. Il personale del Corpo nazionale si distingue in permanente e volontario.
  ... omissis ... il personale volontario non è legato da un rapporto d'impiego all'Amministrazione ed iscritto in appositi elenchi istituiti presso i comandi provinciali dei vigili del fuoco, secondo quanto previsto nel regolamento di cui all'articolo 8, comma 2, ed è chiamato a prestare servizio secondo quanto previsto nella sezione II del presente capo.
  Art. 9. Richiami in servizio del personale volontario.
  1. Il personale volontario può essere richiamato in servizio temporaneo in occasione di calamità naturali o catastrofi e destinato in qualsiasi località.
  2. Il personale di cui al comma 1 può inoltre essere richiamato in servizio:
   a) in caso di particolari necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale;
   b) per le esigenze dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale, connesse al servizio di soccorso pubblico;
   c) per frequentare periodici corsi di formazione, secondo i programmi stabiliti dal Ministero dell'interno.

  3. I richiami in servizio di cui al comma 2, lettera a), sono disposti nel limite di centosessanta giorni all'anno per le emergenze di protezione civile e per le esigenze dei comandi provinciali dei vigili del fuoco nei quali il personale volontario sia numericamente insufficiente. Con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinate le modalità di avvicendamento del personale volontario richiamato in servizio.
  4. Al personale volontario può essere affidata, con provvedimento del direttore regionale dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, la custodia dei distaccamenti. L'incaricato della custodia ha l'obbligo di ricevere le comunicazioni e le richieste di intervento e di dare l'allarme; è tenuto inoltre alla manutenzione ordinaria dei locali ed alla conservazione del materiale antincendio».
   la legge 12 novembre 2011, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, n. 183, reca all'articolo 4:
  «... omissis. .. 12. Al comma 1 dell'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dopo la lettera c) è aggiunta la seguente:
    c-bis) i richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, non costituiscono rapporti di impiego con l'Amministrazione;
   a seguito di autorizzazione della direzione centrale delle risorse umane e della direzione regionale dei vigili del fuoco per la Sardegna è stata inviata una nota ai vigili del fuoco volontari con la quale vengono richiamati in servizio temporaneo per essere impiegati presso i comandi provinciale dei vigili del fuoco della Sardegna;
   in tale comunicazione si precisa che, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006 n. 139, come ribadito al comma 12 dell'articolo 4 della legge 12 novembre 2011, n. 183 – il richiamo in questione non costituisce rapporto di impiego con l'Amministrazione;
   sono quasi mille i vigili del fuoco volontari in Sardegna;
   tale forza professionale costituisce un valore imprescindibile dell'intero comparto della sicurezza e della stessa protezione civile anche in considerazione dell'insularità della Sardegna;
   la previsione normativa che riguarda il rapporto di impiego con l'amministrazione statale risulta di fatto in contrasto con le più elementari norme sul diritto del lavoro, considerato che la precarietà dei vigili volontari dispiegata in tanti anni ha invece di fatto costituito un rapporto di fatto continuativo;
   a conferma di un'anomala definizione di precarietà è la graduatoria predisposta periodicamente funzionale proprio alla stabilizzazione di tali lavoratori;
   la firma in questione richiesta dai comandi provinciali rappresenta una palese violazione del diritto al lavoro perché di fatto con l'apposizione di quella firma per poter essere richiamati in servizio si vorrebbe cancellare tutti i diritti acquisiti dai vigili volontari;
   tale coercizione è ad avviso dell'interrogante un vero e proprio ricatto che non può essere ne accettato ne proposto da una pubblica amministrazione a dei lavoratori che hanno con grande professionalità servito il Paese –:
   se non intenda il Ministro intervenire con urgenza per bloccare questa procedura ad avviso dell'interrogante coercitiva che finirà per privare il Paese di migliaia di figure professionali con l'avvio di un contenzioso infinito nel quale lo Stato non potrà che essere soccombente;
   se non si intenda intervenire, anche attraverso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di sospendere, l'applicazione di quella nefasta forma che nega diritti acquisiti e condiziona l'apporto dei vigili volontari al servizio di protezione civile a cui sono chiamati;
   se non si intenda assumere urgentemente un'iniziativa normativa correttiva che sani questa situazione incresciosa e ponga fine a questo calvario dei vigili del fuoco volontari che costituiscono una vera e propria risorsa per la Sardegna e il Paese tutto. (4-00005)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco del comune di Barrali, Fausto Spiga, ha rappresentato all'interrogante le preoccupazioni per le sorti future del piccolo comune che amministra;
   Barrali, un bellissimo paese situato nella provincia di Cagliari abitato da poco più di 1000 abitanti, è ubicato nell'incrocio di quattro importanti zone del sud Sardegna, confina con Donori che appartiene al Parteolla, con Sant'Andrea Frius per il versante Gerrei, Ortacesus e Pimentel che sono all'interno della Trexenta, e con Samatzai che si trova nel Campidano;
   il sindaco segnala ripetute voci sull'eventuale chiusura della stazione dei carabinieri di Barrali;
   nel comune di Barrali la presenza di un presidio fisso dell'Arma rappresenta un ottimo deterrente, tuttavia negli ultimi anni i reati registrati sono in aumento ed aspetto preoccupante è la gravità di tali episodi, dinamica che sottolinea una situazione in continuo peggioramento;
   due attentati dinamitardi (settembre del 2000 e maggio del 2004, quest'ultimo ai danni di un amministratore comunale), una rapina all'ufficio postale (ottobre 2000), un'intimidazione ai danni di un candidato sindaco (febbraio 2011), un arresto per traffico di droga (agosto 2010), un'intimidazione ai danni di un vigile urbano (luglio 2012), tentato furto con intimidazione vandalica ai danni di un edificio comunale (novembre 2012), infine recente chiusura di un locale pubblico al fine di tutelare la pubblica sicurezza come su indicazione del prefetto della provincia di Cagliari, senza poi dimenticare i gravi danni economici amministrativi subiti negli ultimi mesi a seguito di furti di linee elettriche, pluviali in rame, griglie in ghisa e simili;
   a Barrali è presente una piccola comunità anarchica ancora operante che tiene sempre vivo il ricordo di Tommaso Serra, uno dei maggiori rappresentanti dell'anarchismo sardo;
   detta comunità non ha mai creato problemi, ma di questi tempi il potenziale pericolo legato a logiche anarchiche sarebbe meglio non sottovalutarlo;
   l'amministrazione comunale di Barrali nell'ambito della riduzione della spesa pubblica ha accettato di buon grado una riduzione del canone di locazione dello stabile comunale adibito a caserma, a dimostrazione della sensibilità al tema sicurezza;
   sono forti le preoccupazioni in merito alle paventate voci di chiusura del presidio dell'Arma dei carabinieri di Barrali;
   la caserma di Barrali non può chiudere, sarebbe un grave errore di valutazione proprio perché esiste ha un problema sicurezza in crescita, che non può essere trascurato;
   Barrali geograficamente, con la strada statale 128 e la strada provinciale 11 è crocevia della Trexenta, del Parteolla, del Campidano e del Gerrei, e la presenza dell'attuale stazione dei carabinieri giova non poco all'espletamento celere e ottimale di indagini che riguardano un vasto territorio e non solo quello di Barrali;
   inoltre, nei prossimi mesi numerose attività produttive (sono stati assegnati già 17 lotti su 20) si insedieranno nella nuova zona industriale. Ciò rappresenta un motivo in più per supporre una sempre più necessaria tutela immediata dell'ordine pubblico –:
   se non ritenga di dover fornire rassicurazioni al sindaco del comune di Barrali relativamente al mantenimento in pieno esercizio della caserma dei carabinieri di Barrali al fine di proseguire e rafforzare quell'azione indispensabile di presidio del territorio;
   se non ritenga di dover dare indicazioni utili non solo al mantenimento ma anche al rafforzamento di tale presenza considerata anche la delicatezza del quadro sociale di quell'area geografica;
   se non ritenga di promuovere azioni di sinergia e collaborazione tra le forze dell'ordine presenti nel territorio e le stesse amministrazioni comunali interessate a tale problema di sicurezza.
(4-00006)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo stadio comunale Is Arenas nel comune di Quartu S.Elena concesso al Cagliari Calcio con determinazione dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive n. 42 del 9 novembre 2012 è stato dichiarato «a norma». La commissione provinciale di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo ha autorizzato con verbale n. 43/2012 del 21 novembre 2012 la capienza del suddetto stadio per un totale di n. 16.261 spettatori;
   riguardo allo stadio in questione, si attende l'ottenimento dell'agibilità di carattere generale di cui al decreto ministeriale 18 marzo 1996. A tal proposito, proprio recentemente – così come risulta dalla comunicazione inviata dalla società in data 31 gennaio 2013 al comune di Quartu Sant'Elena – sono stati portati a compimento pressoché tutte le prescrizioni e gli interventi prescritti dalla commissione provinciale di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo di cui al verbale n. 02/2013;
   per la disputa delle gare casalinghe della squadra, la società ha richiesto ed ottenuto il rilascio, da parte del sindaco di Quartu, delle licenze d'uso ex articolo 68 TULPS. Ciò è accaduto per le gare Cagliari/Pescara, Cagliari/Genoa, Cagliari/Napoli e Cagliari/Palermo, nel pieno rispetto delle condizioni dell'ordine e della sicurezza pubblica, tanto è vero che non si è verificato, in quelle occasioni, alcun episodio di disordine. Grazie alla collaborazione delle forze dell'ordine del gruppo operativo sicurezza (GOS), e del servizio d'ordine e alle misure e interventi approntati dalla società, quella che era considerata tra le più a rischio tra le partite in calendario (Cagliari-Napoli) si è svolta nel più assoluto rispetto dell'ordine e della sicurezza pubblica;
   lo stadio, pur in pendenza della definizione del procedimento di cui al decreto ministeriale 18 marzo 1996, non ha fatto emergere in quelle occasioni e, tanto più ora che quasi tutti gli interventi prescritti dall'autorità competenti sono stati realizzati, carenze e/o incompletezze strutturali tali da mettere a repentaglio o rendere impossibile la gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica;
   la prefettura in data 4 febbraio 2013 ha diramato una nota, secondo cui il comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica si sarebbe determinato in senso negativo dopo aver «preso atto del prevedibile afflusso molto elevato di sostenitori della squadra locale e della squadra ospite, anche in virtù degli ultimi risultati positivi ottenuti dalle due squadre...»; la nota si basa su elementi, per quanto concerne il primo, non supportato da alcun riscontro concreto, e, per quanto concerne il secondo, invece, irrilevanti come tali ed, anzi, meritevoli di valutazione di segno opposto. Come pure, la conclusione secondo cui permarrebbero «carenze strutturali dello stadio tuttora incompleto per quanto concerne rilevanti profili attinenti alla gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica» non trova secondo l'interrogante alcun fondamento. In buona sostanza, si tratta di determinazione assai singolare, in quanto in precedenza, nonostante si siano tenute partite considerate anche più a rischio di Cagliari-Milan (id est: Cagliari-Napoli), non si sono mai registrate affermazioni del genere da parte del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica. Affermazioni che destano meraviglia anche laddove si consideri che il comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica – nonostante i singoli membri che lo compongono ne siano stati informati da parte della società – sembra ignorare gli interventi che sono stati realizzati che, come visto, le autorità competenti ben si sono guardate dal fare oggetto di sopralluogo nonostante l'esplicita richiesta in tal senso della società ricorrente del 4 febbraio 2013;
   la prefettura, senza tener minimamente conto del fatto che fossero stati realizzati gli interventi e che la società avesse chiesto un sopralluogo, comunicava all'Osservatorio, al questore e alla Lega nazionale di serie A, le proprie decisioni negative precludendo qualsiasi possibilità di rilascio della licenza d'uso per lo svolgimento della partita Cagliari-Milan;
   con nota 8627 del 5 febbraio 2012, la prefettura rilevava la persistenza di alcune carenze riguardanti ad esempio, «la videosorveglianza ed il sistema di registrazione audio...» e altre misure tese a tenere separate le diverse tifoserie prima del loro accesso alle rispettive tribune;
   i sistemi di videosorveglianza e di registrazione audio sono stati perfettamente realizzati, come pure sin dal 28 gennaio 2013 il GOS aveva individuato le misure idonee per evitare qualsivoglia rischio di commistione tra le due tifoserie; ciò che lascia perplessi leggendo la nota prefettizia è la circostanza che, dopo aver asserito che lo stadio presenta le carenze strutturali di cui sopra, la nota afferma che «si evidenzia, in ogni caso, che, pur anche fossero state superate tutte le criticità riscontrate, le misure di cui il Club sportivo interessato comunica l'ultimazione non sono state ancora verificate....»;
   l'affermazione della prefettura appare all'interrogante come una palese omissione considerato che è improponibile rilevare la sussistenza di carenze e l'inidoneità dell'impianto senza aver prima effettuato le verifiche del caso;
   con la nota prefettizia n. 9202 del 6 febbraio 2013, in modo definitivo, si preclude qualsiasi possibilità di far rilasciare la licenza d'uso richiesta (e per questo deve ritenersi anche immediatamente lesiva), dal momento che si sancisce in modo categorico l'inidoneità dell'impianto in questione a «supportare» lo svolgimento della partita per presunti motivi «di ordine e sicurezza pubblica connessi alla situazione strutturale dell'impianto». La nota citata, invero, pur rimarcando che la decisione prefettizia viene presa, salvo diverse indicazioni dell'Osservatorio nazionale delle manifestazioni sportive, non tiene affatto conto del contenuto della stessa nota dell'Osservatorio prot. n. 555/42/2013 che sebbene ricevuta e richiamata dalla prefettura nella sua nota di cui sopra, non è stata considerata nella sua effettiva portata;
   l'Osservatorio non ha affermato affatto che l'incontro non potesse svolgersi regolarmente, ma ha solo assegnato alla gara l'indice di rischio 2 (giusta determinazione dell'Osservatorio n. 32/2007 del 14 giugno 2007 – l'indice di rischio 2 costituisce un esplicito nulla osta all'utilizzo dello stadio, atteso che l'unica precauzione richiesta è provvedere alla sensibilizzazione delle misure organizzative);
   la prefettura con nota prot. n. 9202 del 6 febbraio 2013 ha secondo l'interrogante assolutamente pretermesso la nota dell'Osservatorio nazionale delle manifestazioni sportive e, non solo non ha indicato le misure organizzative da seguire, ma si è spinta ben oltre ribadendo l'inidoneità dello stadio Is Arenas a supportare lo svolgimento della partita Cagliari-Milan per motivi di ordine e sicurezza pubblica connessi alla situazione strutturale dell'impianto;
   la partita Cagliari – Milan si è svolta alla fine regolarmente senza alcun tipo di problema né sul piano dell'ordine pubblico e tantomeno per quanto riguarda la sicurezza;
   la situazione attuale dell'impianto di Is Arenas risulta, però, sempre condizionata dall'assenza di un'autorizzazione definitiva e questo, oltre all'incertezza gestionale di una squadra di calcio di serie A, comporta un grave e crescente problema di tensione tra le istituzioni e l'opinione pubblica sarda;
   tale situazione costituisce una grave discriminazione tra la squadra del Cagliari e le altre squadre dello stesso campionato, considerato che le condizioni di gran parte degli altri stadi italiani risultano molto peggiori di quelle dello stadio Is Arenas;
   i recentissimi crolli verificatisi negli stadi San Paolo di Napoli o dall'Ara di Bologna, l'assenza di zone di prefiltraggio in gran parte degli stadi italiani, con le problematiche connesse a stadi inseriti nel tessuto urbano senza particolari accorgimenti viari esterni rendono di fatto univoco il problema della sicurezza degli stadi italiani;
   le forze dell'ordine, l'impegno delle società, il buon senso e il senso di responsabilità hanno sino ad ora consentito il regolare svolgimento del campionato garantendo la piena funzionalità degli impianti sportivi;
   la situazione dello stadio Is Arenas costituisce di fatto una discriminazione palese, evidente sotto ogni punto di vista, formale e sostanziale, che mira a colpire la squadra sarda costringendola a giocare fuori casa anche le partite che dovrebbe giocare in casa;
   è evidente che tale situazione risulta insostenibile sia sul piano del diritto che delle normali relazioni tra società sportive e istituzioni e che, a giudizio dell'interrogante, si configura un vero e proprio accanimento burocratico contro la squadra sarda –:
   se non ritenga necessario affrontare la questione personalmente, compreso un proprio personale sopralluogo all'impianto sportivo, al fine di evitare che tale impianto possa essere precluso ai tifosi con il rischio di alimentare tensioni che possono sfociare in gravi problemi di ordine pubblico;
   se non ritenga di dover effettuare con somma urgenza un monitoraggio da rendere pubblico della situazione degli stadi italiani di serie A al fine di poter comparare le situazioni sia sul piano burocratico che della logistica e della sicurezza;
   se non ritenga di dover valutare, l'opportunità, al fine di evitare ulteriori e gravi discriminazioni, che le determinazioni assunte dalle prefetture vengano uniformate in un senso o nell'altro, o consentendo il pieno utilizzo a pari condizioni di tutti gli stadi, compreso quello di Is Arenas o, a pari condizioni, di precludere tutti quegli impianti che risultassero nelle stesse condizioni dello stadio Is Arenas.
(4-00007)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie provenienti da organi di stampa locali e nazionali emerge che, a seguito di una frana verificatasi il 12 febbraio 2013, è stato chiuso al traffico un tratto di strada provinciale che collega la città di Salerno con Vietri sul Mare;
   suddetta arteria, denominata «Via Benedetto Croce», è percorsa quotidianamente da migliaia di cittadini della provincia di Salerno e rappresenta, di fatto, l'unica strada di collegamento diretto tra il capoluogo ed i comuni della costiera amalfitana;
   l'interruzione del tratto interessato dall'evento franoso, ha causato un inevitabile e spropositato aumento del traffico sull'autostrada Napoli-Salerno, con disagi e caos per i cittadini che dalla costiera devono raggiungere Salerno, costretti ad utilizzare l'autostrada a Cava de Tirreni per poi percorrere a ritroso il tratto verso il capoluogo;
   l'evento franoso, inoltre, rischia di mettere in pericolo l'incolumità dei cittadini e dei tanti automobilisti che ogni giorno hanno necessità di raggiungere la città di Salerno;
   il tratto stradale interessato dalla frana costituisce un nodo strategico la cui chiusura ha in questi giorni paralizzato il traffico e, come riferiscono gli organi di stampa, ha di fatto «tagliato in due» la parte nord della provincia di Salerno, costringendo tutti gli utenti ad utilizzare l'autostrada, pagando un pedaggio per percorrere pochi chilometri, ed effettuare giri interminabili prima di arrivare alla meta;
   in particolare, oltre ai disagi per il traffico urbano, ulteriori difficoltà si verificano lungo il tratto autostradale Salerno-Cava de Tirreni, in direzione nord, in quanto la necessità di percorrere obbligatoriamente l'autostrada a causa della chiusura di via Benedetto Croce crea pericolose code proprio in uscita al casello di Cavi de Tirreni;
   i suddetti disagi sono ulteriormente amplificati dalle caratteristiche del tratto autostradale in questione, che presenta soltanto due corsie di marcia ed è interessato da tempo anche da lavori di manutenzione, con la presenza dei relativi cantieri;
   la necessità di accedere all'autostrada per gli utenti interessati al tratto Cava de Tirreni-Salerno rende opportuno prevedere in tali situazioni emergenziali la gratuità del pedaggio per gli automobilisti;
   il dissesto idrogeologico e le precarie condizioni di alcune aree del territorio della provincia di Salerno hanno più volte causato frane, smottamenti e comportato la chiusura di tratti stradali nevralgici, causando disagi e caos per i cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per provvedere, con mirati interventi urgenti, a mettere in sicurezza le aree del territorio della provincia di Salerno maggiormente interessate dal rischio idrogeologico;
   se il Governo sia a conoscenza dell'entità del dissesto idrogeologico e dell'alto indice di pericolosità dello stesso nel territorio della provincia di Salerno;
   se non ritenga opportuno, anche al fine di accelerare i processi decisionali, istituire tavoli permanenti e forme di cooperazione tra Governo ed enti locali per la gestione e la pianificazione dell'emergenza idrogeologica in Campania, attraverso un maggiore coinvolgimento degli enti locali e lo stanziamento di nuove e ulteriori risorse. (4-00009)


   REALACCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le tratte ad alta velocità di Rete ferroviaria italiana permettono rapidi collegamenti tra le principali città del Paese, particolarmente vantaggiosi in termini di comfort e velocità tra il Nord e il Sud Italia. Un fortunato slogan usato per promuovere il trasporto ad alta velocità è stato: «È arrivata la metropolitana d'Italia». Peccato che oggi questo spot possa purtroppo associarsi, non solo all'accorciarsi dei tempi di viaggio, ma anche ai più comuni pericoli presenti nelle metropolitane urbane: borseggi, furti, venditori ambulanti abusivi e un nuovo tipo di «racket» quello del facchinaggio non autorizzato, sovente ad opera di persone straniere;
   come riportano reclami dei clienti, articoli di stampa locale, agenzie di stampa e siti internet il fenomeno sopradescritto interessa maggiormente le stazioni ferroviarie delle città di Napoli, Roma e Firenze dove nonostante la presenza di dipendenti delle Ferrovie dello Stato e di poliziotti, ci sono alcune persone vestite in tuta da lavoro, abbigliamento che sembra farli appartenere allo staff di Trenitalia o ad altro personale autorizzato, che operano invece in modo totalmente abusivo. Questi ultimi puntualmente afferrano in maniera decisa i bagagli a turisti stranieri o a persone anziane mentre sono in procinto di salire in treno e solo dopo aver sistemato loro le valigie pretendono una sorta di mancia che varia per lo più dai cinque ai venti euro;
   in caso di rifiuto o di intervento del personale viaggiante di Trenitalia gli abusivi assumono atteggiamenti di particolare aggressività, formulando anche chiare minacce e pretendendo comunque il denaro richiesto;
   sull'importante tratta Napoli-Roma si aggiunge poi, oltre al citato facchinaggio abusivo, un altro fenomeno che vede nei vagoni aggirarsi diversi ambulanti che, senza alcun titolo di viaggio, percorrono gratis la tratta no-stop da Napoli a Roma, anche più volte nella stessa giornata, utilizzando il treno come mercatino illegale e proponendo ai passeggeri qualsiasi tipo di mercanzia, spesso contraffatta, sia lungo il corridoio tra i passeggeri sia nei vestiboli di entrata/uscita delle carrozze;
   le più recenti guide turistiche internazionali già segnalano come avvenimenti da tener conto e di cui temere quanto accade nelle più frequentate stazioni delle più belle città d'arte italiane –:
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per combattere questo fenomeno di illegalità che mette in pericolo sia i passeggeri, vista anche l'aggressività degli abusivi, sia il personale viaggiante, assegnando più personale di polizia ferroviaria nei maggiori scali ferroviari italiani;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere ogni iniziativa di competenza affinché Grandi Stazioni spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce le maggiori stazioni del Paese, impieghi il personale di guardiania privata già presente per combattere efficacemente questi episodi di microcriminalità anche per tutelare l'immagine dell'Italia che può essere gravemente danneggiata dai sopraddetti fatti, soprattutto nel vitale comparto del turismo nazionale. (4-00019)


   PILI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la Guardia di finanza ha pianificato la realizzazione in Sardegna di quattro radar all'interno di un piano nazionale di prevenzione delle coste;
   i siti individuati sono a Capo Pecora nel comune di Fluminimaggiore, Capo Sperone (Sant'Antioco), Punta Foghe (Tresnuraghes) e all'Argentiera nel comune di Sassari;
   la denominazione conferita all'appalto è la seguente: installazione di cinque radar già acquisiti con le risorse del Fondo per le frontiere esterne-formazione, attraverso 4 corsi, del personale della Guardia di finanza-manutenzione evolutiva ed estensione della garanzia per ulteriori anni 5;
   i radar si inquadrano nel progetto Potenziamento del sistema di comando, controllo, comunicazioni, computer ed informazioni – C4I mediante l'installazione, l'integrazione e la remotizzazione presso le rispettive sale operative, di 5 radar già acquisiti con le risorse del Fondo per le frontiere esterne, con i programmi annuali 2007-2008, a seguito di gara informale esperita per la realizzazione di una Rete di sensori radar di profondità per la sorveglianza costiera-formazione, attraverso 4 corsi, del personale della Guardia di finanza-manutenzione evolutiva ed estensione della garanzia per ulteriori anni 5;
   il valore finale totale degli appalti è di 5.461.669,67 euro;
   la Commissione dell'Unione europea non è mai stata informata dalle competenti autorità italiane e non risulta che queste ultime abbiano mai provveduto a svolgere le necessarie valutazioni di incidenza previste dalla legge;
   per la realizzazione dei radar si è seguita una procedura negoziata senza indizione di gara;
   la motivazione della decisione di aggiudicare l'appalto senza la previa pubblicazione di un bando di gara nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea è la seguente:
    a) i lavori/le merci/i servizi possono essere forniti unicamente da un determinato fornitore/imprenditore/prestatore di servizi per ragioni: se alla tutela di diritti esclusivi;
    b) lavori/forniture/servizi complementari ordinati conformemente alle rigorose condizioni fissate dalla direttiva. La «Almaviva» SpA, fornitrice dei materiali per i quali si deve procedere all'installazione, possiede le prescrizioni di natura tecnica e i diritti esclusivi previsti dal comma 2, lettera b) dell'articolo 57 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   i consigli comunali dei comuni interessati hanno deliberato la propria contrarietà a tale insediamenti considerati i siti prescelti considerato il pregio paesaggistico e ambientale;
   il rappresentante di parlamentares della provincia Carbonia-lglesias, avvocato Ignazio Locci, capogruppo del Pdl nel consiglio provinciale di Carbonia-lglesias e consigliere comunale, i rappresentanti del comitato contrario all'installazione del radar in località Capo Pecora-S. Antioco, amministratori comunali e provinciali hanno sottoposto all'interrogante, a seguito di un sopralluogo sull'area prescelta nel comune di S. Antioco, l'esigenza di proporre la questione all'attenzione dei Ministri competenti;
   le aree indicate per posizionare i cosiddetti «radar antisbarco» non costituiscono una scelta di buon senso capace di rispettare i valori paesaggistico ambientali del patrimonio costiero della Sardegna;
   si rende indispensabile promuovere un'azione di condivisione più approfondita che possa scongiurare ulteriori scontri istituzionali che possono essere evitati con valutazioni meno segrete e più condivise;
   pur non entrando nel merito dell'utilità o meno di questi radar, anche se in tempi in cui i sistemi satellitari riscontrano l'accensione di una sigaretta a terra qualche dubbio si può averlo, è necessario revocare, anche in sede di autotutela, l’iter autorizzativo sia statale che regionale per consentire una più attenta valutazione che probabilmente è mancata nei passaggi decisionali iniziali;
   è indispensabile una rapida rinegoziazione dei siti per evitare un percorso irto di contenziosi capace di bloccare sia l'installazione dei radar che qualsiasi progetto di valorizzazione di quelle stesse aree;
   il posizionamento dei radar può facilmente essere modificato prevedendo lo spostamento in aree più consone e funzionali alle esigenze;
   in pochi giorni si potrebbero riconsiderare i progetti e individuare nuovi siti con la piena condivisione delle istituzioni e delle comunità locali;
   è indispensabile che i Ministri competenti si facciano carico delle sensibilità locali per trovare, com’è possibile fare, una rapida e condivisa soluzione;
   i siti prescelti per l'installazione di questi radar sono tutti pianificati in prossimità di aree militari che, a loro volta, dispongono di stazioni di rilevamento che certamente non confliggono con i radar pianificati e che, anzi, possono essere integrate con le funzioni stesse dei radar;
   l'eventuale installazione dei nuovi radar può avvenire senza contrasto alcuno all'interno delle stesse aree militari, garantendo anche l'opportuno presidio attivo di controllo;
   appare improcrastinabile una riprogrammazione del posizionamento di tali radar al fine di accogliere le legittime osservazioni delle amministrazioni comunali e prevenire anche il giudizio dei tribunali amministrativi che, come nel caso di Tresnuraghes, stanno adottando provvedimenti di sospensione delle opere di installazione dei radar;
   nel caso del radar nel comune di S. Antioco la giunta regionale della Sardegna con delibera N. 36/22 del 4 novembre 2010 ha concesso in comodato d'uso alla Guardia di finanza, reparto tecnico logistico amministrativo della Sardegna una porzione dell'immobile denominato «ex Stazione radio in Sant'Antioco, località Capo Sperone – Su Monti de su Semaforu», al fine di installare una rete di sensori radar di profondità per la sorveglianza costiera e a mare;
   l'area interessata all'installazione del radar di profondità per la sorveglianza costiera si trova all'interno di una Zona di protezione speciale codice ITB043032 denominata «Isola di Sant'Antioco, Capo Sperone». L'area è individuata come zone H1 nel vigente PUC;
   la sommità della collina de Su Semafuru prescelta per l'installazione del radar nel territorio del comune di S. Antioco è inserita in un contesto paesaggistico assolutamente delicato, si tratta di un sito di incomparabile pregio paesaggistico, da cui si ammira un panorama a 360o sul golfo di Palmas, sulla costa sud occidentale della Sardegna, sulle isole della Vacca e del Toro, sull'intero versante meridionale dell'isola di Sant'Antioco e sulla costa orientale dell'isola di San Pietro. Per questo motivo è infatti meta di tanti cittadini e visitatori;
   nella cima della collina insistono dei fabbricati particolarmente significativi sotto l'aspetto storico-culturale e architettonico;
   l'intera isola di Sant'Antioco è tutelata con vincolo paesaggistico (Codice Urbani decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42);
   l'intera parte sud dell'isola è stata individuata quale Zona di protezione speciale codice ITB043032 denominata «Isola di Sant'Antioco, Capo Sperone» per la presenza di specie di rilevante interesse faunistico, alcune a rischio di estinzione quali l’Alectoris barbara l'unica pernice presente in Sardegna e per l'importante presenza di emergenze botaniche alcune delle quali endemiche. L'isola di Sant'Antioco, e in particolare il tratto di costa a falesia del sud, è uno dei pochi siti in Italia in cui nidifica e si riproduce il falco della regina. Si tratta pertanto di un ecosistema sensibile che potrebbe subire ripercussioni negative dai potenziali effetti dell'inquinamento elettromagnetico;
   qualunque intervento previsto in aree a protezione speciale (SIC o ZPS) deve essere sottoposto a un'appropriata valutazione di incidenza ai sensi della direttiva habitat 92/43 CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, cosiddetta direttiva habitat, e del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 attuativo della suddetta direttiva;
   nel sito interessato sono presenti numerose specie faunistiche protette di cui all'allegato 1 della legge regionale n. 23/98 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l'esercizio della caccia in Sardegna) per le quali «durante il periodo di nidificazione dell'avifauna è vietata qualsiasi forma di disturbo della medesima»;
   il Golfo di Palmas è stato inserito all'interno dell'Area marina di reperimento denominata «Isola di San Pietro» (ex articolo 36 legge n. 394 del 1991). Da tempo è stato avviato l’iter per la realizzazione nel Golfo di un'Area Marina Protetta;
   gli interventi in aree S.I.N. devono essere preventivamente autorizzati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare previ specifici piani di caratterizzazione (articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni) ai fini delle opportune e necessarie bonifiche e risanamenti ambientali: il progetto del radar rientra nel sito di bonifica di interesse nazionale – S.I.N. (decreto ministeriale Ambiente n. 468 del 2001) perimetrato con decreto ministeriale Ambiente 12 marzo 2003 –:
   se non ritengano i Ministri di valutare la promozione delle giuste intese al fine di evitare il protrarsi di un contenzioso tra le amministrazioni dello Stato e gli enti locali;
   se il Governo non ritenga in sede di autotutela di riconsiderare e se del caso revocare per quanto di competenza statale pareri, autorizzazioni amministrative o concessioni a favore dell'installazione dei radar, dei relativi tralicci, delle strutture di pertinenza e delle cabine destinate a contenere gli apparati di trasmissione, considerato che in alcuni casi si tratta di ambiti costieri vincolati dal punto di vista paesaggistico e caratterizzati dalla presenza di fabbricati, aventi oltre 50 anni, vincolati dal punto di vista storico-culturale ed architettonico;
   se non ritenga il Governo di dover dare mandato alle autorità competenti affinché promuovano una soluzione condivisa che preveda la collaborazione tra soggetti delle forze dell'ordine, della sicurezza e lo stesso Esercito per valutare l'opportunità di installare tali radar all'interno delle strutture militari senza gravare ulteriormente sul territorio regionale sardo già pesantemente compromesso dalla presenza di rilevanti basi militari. (4-00027)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di San Sperate (Cagliari) Enrico Collu ha segnalato all'interrogante la delicata situazione che si è verificata nelle scorse ore nel proprio comune in seguito allo sgombero del campo rom sulla strada statale 554 e la decisione del comune di Cagliari di dislocare i nuclei di rom anche nei paesi della cintura cagliaritana;
   il sindaco di San Sperate ha appreso dell'arrivo di questi nuclei rom dai propri concittadini e non dagli amministratori di Cagliari e solo a posteriori è stato informato dalla prefettura di Cagliari;
   per una questione di equità e di rispetto delle norme edilizio-sanitarie il sindaco ha chiesto di verificare se le normative soprattutto igienico-sanitarie di queste locazioni siano in regola;
   appare improprio il metodo utilizzato e il mancato coordinamento tra comuni e risultano, ad avviso dell'interrogante, inaccettabili certi metodi che violano la leale collaborazione tra enti di pari livello istituzionale oltre alla mancanza di rispetto dell'autonomia locale e della sua comunità costrette a subire decisioni altrui senza alcun tipo di condivisione;
   una quarantina di abitanti del comune di San Sperate si sono ritrovati in municipio per protestare contro il repentino trasferimento deciso dal comune di Cagliari;
   appare fuori luogo l'argomentazione che si tratti di contratti di locazione di natura privatistica;
   in via Pio La Torre e nella strada provinciale 4, a Ponti Becciu, a San Sperate secondo quanto riferiscono gli abitanti della zona sarebbero stati dislocati più di venti nuovi abitanti, tra bambini e adulti insieme a roulotte;
   alcuni residenti delle zone urbane interessate ai trasferimenti hanno fatto rilevare che le case sarebbero inadatte a contenere un così gran numero di persone –:
   se non intenda il Ministro dell'interno verificare le implicazioni di ordine pubblico delle modalità del trasferimento di questi nuclei rom in dispregio delle più elementari regole di rapportarsi tra enti locali e istituzioni preposte al coordinamento di tali situazioni;
   se non ritenga di dover assumere iniziative tali da garantire i cittadini e la sicurezza dell'intera area interessati a questi fenomeni;
   se non ritenga di dover assumere iniziative, anche normative, per supportare le amministrazioni locali nella gestione di queste delicate situazioni sia in termini finanziari che operativi;
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative tali da impedire trasferimenti di comunità viaggianti senza la preventiva autorizzazione del comune ricevente, alla luce dei profili di ordine pubblico che vi sono sottesi. (4-00037)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere — premesso che:
   il rappresentante del gruppo di democrazia partecipativa «Parlamentares», il professor Ignazio Ferra, ha sottoposto al sottoscritto interpellante il problema relativo al riconoscimento del diploma accademico di secondo livello a coloro che risultano essere in possesso sia del diploma di scuola secondaria superiore, sia del diploma del conservatorio di musica conseguito con il percorso tradizionale di studi, che di un'abilitazione all'insegnamento;
   la Costituzione della Repubblica richiama le università e le accademie quali istituti di alta cultura (articolo 33), dunque paritetiche sul piano del valore delle competenze disciplinari;
   la legge n. 734, 6 luglio 1912, il decreto-legge n. 1852, 5 maggio 1918, il regio decreto 4 maggio 1925 n. 653, regio decreto-legge n. 214, 7 gennaio 1926, il regio decreto 11 dicembre 1930 n. 1945, la legge n. 812 del 22 maggio 1939, la legge n. 262 del 2 marzo 1963, l'ordinanza ministeriale 28 marzo 1985 chiariscono che i conservatori di musica statali, al pari dell'accademia per le belle arti, nonché dell'accademia per l'arte drammatica, sono da considerarsi pienamente accademie ad indirizzo musicale ovvero luoghi, al pari delle accademie sopra citate e delle università, destinati a produrre alta cultura;
   la legge 21 dicembre 1999, n. 508 disciplina la materia (in Gazzetta Ufficiale 4 gennaio 2000, n. 2 «Riforma delle Accademie di belle arti, dell'accademia nazionale di danza, dell'accademia nazionale di arte drammatica, degli istituti superiori per le industrie artistiche, dei conservatori di musica e degli istituti musicali pareggiati»);
   il decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509 (in Gazzetta Ufficiale 4 gennaio 1999, n. 2) dispone il «Regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei»);
   la legge 22 novembre 2002, n. 268 (comma 3-bis) decreta la parificazione dei diplomi di conservatorio di musica alle lauree triennali di I livello ai fini dell'accesso ai pubblici concorsi e postula l'istituzione di un biennio specialistico al quale si accede tramite concorso ovvero esame di ammissione, per il conseguimento del diploma accademico di II livello;
   il decreto ministeriale 5 maggio 2004 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 196 del 21 agosto 2004, decreta l'equiparazione dei diplomi di laurea secondo il vecchio ordinamento alle nuove classi delle lauree specialistiche ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici;
   la legge 21 dicembre 1999 n. 508 dà origine ad una disparità (sia in merito alla durata del corso che alla spendibilità del titolo) fra coloro che sono in possesso del diploma di conservatorio (conseguito con il percorso tradizionale di studi previsto dal conservatorio statale di musica prima dell'entrata in vigore della legge predetta, che attualmente è ancora possibile intraprendere, la cui durata varia fra i 5 e i 10 anni) e del diploma di scuola secondaria superiore e coloro che hanno conseguito o conseguiranno i titoli di primo e secondo livello con il nuovo ordinamento previsto dalla legge in argomento;
   nonostante le modifiche apportate all'articolo 4 della legge in argomento (con il decreto-legge n. 212 del 2002, convertito dalla legge n. 268 del 22 novembre 2002) non vengono risolte le disparità esposte nel precedente punto;
   il Ministro dell'università e della ricerca con decreto ministeriale n. 137 del 28 settembre 2007 (articolo 3, comma 1) ha previsto l'attivazione del biennio di II livello per la formazione dei docenti di educazione musicale (classe 31/A e 32/A) e di strumento musicale nella scuola media (classe 77/A) rivolto ai docenti in possesso del diploma di conservatorio o di istituto musicale pareggiato congiunto al diploma di istruzione secondaria di secondo grado, nonché ai docenti in possesso del diploma accademico di I livello;
   in base al decreto ministeriale n. 137 del 28 settembre 2007 (articolo 3, comma 1) al termine dei corsi organizzati ai sensi dell'articolo 1, comma 1 del decreto ministeriale in argomento è rilasciato il diploma accademico di secondo livello che abilita (a seconda del corso abilitante per cui si è stati ammessi a frequentare) all'insegnamento dell'educazione musicale (nella scuola secondaria di I e II grado) o dello strumento musicale nella scuola secondaria di I grado;
   nella nota ministeriale del 2 novembre 2007, protocollo n. AOODGPER 20974, si precisa che non possono partecipare ai corsi predetti coloro che hanno già conseguito un'abilitazione ai sensi del decreto ministeriale n. 100 del 2004, decreto ministeriale n. 21 del 2005 e decreto ministeriale n. 85 del 2005, i docenti con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali o già inseriti nelle graduatorie ad esaurimento nella classe 77/A;
   la limitazione di cui al precedente punto è stata ribadita anche dalla Nota ministeriale, protocollo n. AOODGPER 21590 del 12 novembre 2007 in applicazione dell'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 137 del 28 settembre 2007;
   le limitazioni previste dal decreto ministeriale n. 137 del 28 settembre 2007 e dalle relative note ministeriali ad esso inerenti danno origine ad un'evidente disparità di trattamento, di validità del titolo e di anni di studio fra coloro che hanno usufruito dei benefici del decreto ministeriale predetto (o hanno conseguito o conseguiranno i titoli di primo e secondo livello con il nuovo ordinamento previsto dalla legge in argomento) e:
   a)  coloro che hanno già conseguito un'abilitazione all'insegnamento negli ambiti disciplinari in argomento;
   b)  fra i docenti con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali o già inseriti nelle graduatorie ad esaurimento nella classe 77/A;
   c)  soprattutto fra coloro che sono in possesso del diploma di conservatorio (conseguito con il percorso tradizionale di studi previsto dal Conservatorio), del diploma di scuola secondaria superiore e dell'abilitazione all'insegnamento di educazione musicale e/o strumento musicale nella scuola statale;
   le attuali norme ledono diritti acquisiti, declassando i diplomi rilasciati fino ad oggi dai conservatori statali di musica;
   tali norme creano disparità di trattamento tra corsi di studio diverbi, poiché, attraverso il decreto ministeriale 5 maggio 2004 (Gazzetta Ufficiale n. 196 del 21 agosto 2004) tutte le lauree quadriennali conseguite presso le università italiane sono state equiparate alle lauree di II livello, l'anomalia, quindi, è rimasta solo negli studi musicali, per i quali i possessori di un diploma di conservatorio, dovrebbero per ottenere la parificazione al II livello, compiere ulteriori due anni di studio;
   coloro che sono in possesso del diploma di conservatorio (conseguito con il percorso tradizionale di studi previsto dal conservatorio statale di musica prima dell'entrata in vigore della legge predetta che ancora è possibile intraprendere, la cui durata varia fra i 5 e i 10 anni), del diploma di scuola secondaria superiore e dell'abilitazione all'insegnamento di educazione musicale e/o strumento musicale nella Scuola Statale hanno effettuato un percorso di studi di durata di gran lunga superiore rispetto a coloro che hanno conseguito il titolo e l'abilitazione in base a quanto previsto dal nuovo ordinamento per i conservatori statali di musica (ai sensi della legge 21 dicembre 1999, n. 508 e successive modificazioni) e dal decreto ministeriale n. 137 del 28 settembre 2007;
   è necessario adottare provvedimenti utili ad un'equivalenza di trattamento per coloro che hanno dedicato tanti anni di studio ed impegno costante in questo comparto dell'istruzione sulla base delle normative vigenti prima dell'entrata in vigore della legge 21 dicembre 1999, n. 508 –:
   se non ritenga necessario, analogamente a quanto disposto per i diplomi di laurea attraverso il decreto ministeriale 5 maggio 2004 (Gazzetta Ufficiale n. 196 del 21 agosto 2004) e/o attraverso iniziative volte a modificare l'articolo 4 della legge 21 dicembre 1999, n. 508 e/o altro iniziative legislativa e/o attraverso specifiche norme in materia (che risolvano le disparità attualmente esistenti in questo ambito dell'istruzione):
    a) riconoscere il diploma accademico di secondo livello (di cui all'articolo 2 della legge 21 dicembre 1999, n. 508, e successive modificazioni) e il diploma di didattica della musica a coloro che sono in possesso sia del diploma di conservatorio (conseguito con il percorso tradizionale di studi), sia del diploma di scuola secondaria superiore (conseguito anche successivamente all'entrata in vigore della legge 21 dicembre 1999, n. 508 e all'ottenimento del diploma di conservatorio) sia dell'abilitazione all'insegnamento dell'educazione musicale (nella scuola secondaria di I e II grado) o dello strumento musicale nella scuola secondaria di I grado;
    b) che il corso abilitante della durata di 1 anno (disposto dal decreto ministeriale n. 137 del 28 settembre 2007 nei confronti di coloro che erano in possesso dei 360 giorni e finalizzato al conseguimento del diploma accademico di secondo livello che abilita, a seconda del corso abilitante per cui si è stati ammessi a frequentare, all'insegnamento dell'educazione musicale, nella scuola secondaria di I e II grado, o dello strumento musicale nella scuola secondaria di I grado) venga istituito in via riservata anche per i docenti a tempo indeterminato e/o inseriti nella graduatoria permanente in possesso sia del diploma di conservatorio (conseguito con il percorso tradizionale di studi), sia del diploma di scuola secondaria superiore (conseguito anche successivamente all'entrata in vigore della legge 21 dicembre 1999, n. 508 e all'ottenimento del diploma di conservatorio) che di almeno 360 giorni di insegnamento nella disciplina e/o nelle discipline per cui possono conseguire il titolo abilitante.
(2-00003) «Pili».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in seguito all'attivazione dei corsi ministeriali nell'anno 2008 e per gli anni 2008-2010 (cfr. decreto ministeriale n. 137 del 1997) 35 laureati nella sola città di Cagliari, in tutta Italia si arriva a circa 20.000, alcuni già docenti precari hanno intrapreso il corso di studi biennale e abilitante (per definizione dello stesso decreto ministeriale n. 137 del 1997) all'insegnamento dello strumento musicale nelle scuole medie per la classe di concorso A77;
   detto biennio prevedeva una selezione iniziale a valore concorsuale, la frequenza obbligatoria, un piano di studi di 30 esami più tirocinio elaborativo e pratico, esame finale diviso in tre prove e una quota obbligatoria divisa in rate, in tutto per una spesa complessiva di 3.000 euro;
   tale impegno formativo e l'ingente spesa finanziaria era finalizzata all'abilitazione e all'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, così come è accaduto agli omologhi del 2009, iscritti ed abilitati ai sensi dello stesso decreto ministeriale;
   si registra quindi un'evidente disparità di trattamento, in quanto coloro che risultano abilitati un anno prima hanno goduto di un emendamento ad hoc per l'inserimento;
   risultano di fatto tagliati fuori, eliminati, coloro che, nonostante abbiamo seguito io stesso iter e in possesso dello stesso titolo, registrano l'unica differenza nell'anno di immatricolazione;
   usufruiscono del diritto di entrare nelle graduatorie anche coloro i quali, immatricolatisi l'anno precedente anni 2007/2008, hanno conseguito l'abilitazione essendo finiti fuori corso;
   nella stessa situazione di esclusi si trovano i docenti abilitati quest'anno, i quali hanno iniziato lo stesso corso «abilitante» l'anno successivo (2009/2010) e che si sono tutti abilitati regolarmente entro la riapertura delle graduatorie ad esaurimento, lo scorso maggio;
   sono oltre 50 i docenti abilitati privati dei propri diritti solo per la città di Cagliari, ma a questi si sommano anche quelli di Sassari e di tutti gli altri conservatori italiani;
   in seguito a un ricorso al Tar si è riusciti ad ottenere l'inserimento con riserva (decreto ministeriale 44/111 sull'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento);
   riserva che si auspicava potesse essere sciolta alla riapertura delle graduatorie, lo scorso giugno 2011, ma così non è stato –:
   se non ritenga di dover assumere le opportune iniziative al fine di sanare una grave discriminazione che preclude a numerosi docenti la possibilità di essere inseriti nelle apposite graduatorie ad esaurimento;
   se non ritenga di dover uniformare il trattamento riservato ai docenti negli anni precedenti a tutti coloro che hanno seguito analogo iter informativo e abilitativo;
   se non ritenga necessario promuovere le opportune iniziative ai fine di rendere effettivo il valore legale del titolo acquisito nella fattispecie richiamata, compreso più quello dei docenti in scienza della formazione primaria ai fini dell'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento;
   se non ritenga di dover adottare opportuni e urgenti provvedimenti considerato che, come per lo specifico insegnamento dello strumento musicale nella scuola media – classe di concorso A77 –, le graduatorie permanenti risultino essere pressoché esaurite in gran parte del territorio nazionale e occorre quindi procedere al reclutamento per scorrimento delle graduatorie d'istituto senza tenere in considerazione il possesso dell'abilitazione o meno. (5-00012)


   CENNI, DALLAI e MARIANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono presenti sul territorio italiano 21 «istituti musicali pareggiati» destinati allo studio professionale della musica ed autorizzati al rilascio di titoli di studio legalmente riconosciuti: centri che svolgono una attività didattica e formativa che rappresenta il 30 per cento dell'offerta nazionale e che promuove e valorizza la millenaria e diversificata tradizione melodica e musicale del nostro paese. Basti pensare infatti che tali scuole formano ogni anno, ad esempio, oltre mille orchestrali;
   con la legge n. 508 del 1999 (Riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati) gli istituti musicali pareggiati sono stati trasformati in istituti superiori di studi musicali, dotati di personalità giuridica, autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e contabile, riconosciuti come sedi primarie di alta formazione, di specializzazione, produzione e di ricerca nel settore artistico e musicale;
   dopo 13 anni dalla entrata in vigore, la legge sopracitata non è stata ancora applicata integralmente, mancano infatti alcuni regolamenti attuativi. In sintesi gli istituti sono stati equiparati ai conservatori statali tranne che per la provenienza dei finanziamenti. I costi del personale (docente e tecnico-amministrativo) di tali istituti, nonché la gestione delle strutture, ricadono ancora quasi interamente sui bilanci dei comuni e delle province di appartenenza. Gli enti locali attendono infatti il completamento della statizzazione prevista dalla legge stessa;
   oggi gli istituti musicali pareggiati sono pienamente riconosciuti nel circuito universitario europeo;
   la crisi economica, il taglio dei finanziamenti agli enti locali, ed i vincoli imposti ai bilanci delle amministrazioni stanno compromettendo lo svolgimento delle attività didattiche e formative degli istituti musicali pareggiati;
   sono circa 700 gli insegnanti che rischiano il posto di lavoro e 8000 gli studenti che potrebbero essere privati del servizio scolastico;
   l'ultimo finanziamento risale al periodo 2006-2008, con uno stanziamento di 10 milioni di euro;
   va ricordato, in questo contesto, che i presidenti degli istituti musicali pareggiati hanno firmato un appello al Governo affinché vengano individuate le modalità per salvare «strutture di altissimo valore formativo, indispensabili per la diffusione della cultura musicale»;
   i presidenti di alcuni istituti musicali hanno recentemente dichiarato che la prossima carenza di finanziamenti da parte degli enti locali rischia seriamente di non impedire le deliberazioni sui bilanci e di «aprire la strada al commissariamento»: tale situazione porterebbe inevitabilmente alla interruzione dell'attività didattica e formativa;
   sono stati numerosi, in questi anni, i solleciti della Conferenza delle regioni, dell'Upi e dell'Anci affinché il Governo predisponga un piano progettuale concreto che preveda la statizzazione del personale insegnante degli istituti musicali pareggiati;
   secondo quanto comunicato, nel mese di ottobre 2012, da Stella Targetti assessore regionale della Toscana e coordinatrice della commissione istruzione della Conferenza Stato-regioni «sono 41 milioni di euro» gli stanziamenti necessari, da parte del Governo, per completare «il processo di statizzazione degli insegnanti» previsto dalla legge n. 508 del 1999;
   è stato istituito sulla vicenda un tavolo tecnico composto dai rappresentanti dei Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dell'economia e delle finanze, delle regioni, delle province e dei comuni. Nel corso delle riunioni i dicasteri competenti hanno avanzato la proposta di procedere ad accorpamenti tra i conservatori statali e gli istituti superiori di studi musicali, che diverrebbero sezioni distaccate dipendenti in tutto dal Ministero, con un passaggio graduale del personale docente nei ruoli dello Stato man mano che si renderanno disponibili i posti nei conservatori di riferimento per pensionamento o cattedre inattive;
   la disparità di tutele delle due tipologie di dipendenti (degli istituti musicali pareggiati da un lato e dei conservatori dall'altro) appare inoltre immotivata, dal momento che ad entrambe le categorie di lavoratori è applicato lo stesso contratto collettivo nazionale;
   la problematica relativa agli istituti musicali pareggiati è stata oggetto di alcune interrogazioni parlamentari nella scorsa legislatura:
    il sottosegretario di Stato all'istruzione, all'università e dalla ricerca Elena Ugolini in data 26 giugno 2012 rispondendo ad una interrogazione presentata dal senatore Andrea Marcucci in VII Commissione (interrogazione numero 3/02845) ha dichiarato che «la legge n. 508 del 1999, all'articolo 2, comma 8, lettera e) prevede la possibilità di statizzazione degli istituti musicali pareggiati, purché ciò avvenga senza oneri aggiuntivi per lo Stato»; il sottosegretario ha inoltre precisato «che detta disposizione può avere seguito soltanto dopo l'avvenuta emanazione del regolamento per la programmazione, il riequilibrio e lo sviluppo del sistema dell'AFAM, attuativo della medesima legge»;
    il Sottosegretario di Stato all'istruzione, università e ricerca Marco Rossi Doria, in data 18 ottobre 2012, rispondendo ad una interrogazione presentata dalla prima firmataria del presente atto (interrogazione a risposta in commissione n. 5/07600) ha segnalato come «la questione è stata trattata in Conferenza Stato-Regioni e in tale sede è stata raggiunta l'intesa di costituire un tavolo tecnico presso il MIUR con il compito di analizzare le soluzioni percorribili. Quanto all'adozione di altre eventuali soluzioni operative per conseguire il medesimo obiettivo, queste dovrebbero passare per un apposito provvedimento legislativo condiviso anche dal Ministero dell'economia e delle finanze che ha già rappresentato la primaria esigenza che tale operazione non comporti maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
   nelle scorse legislature alla Camera dei deputati sono state discusse proposte di legge finalizzate alla valorizzazione e specializzazione artistica e musicale che prevedono, tra l'altro, di equiparare lo status giuridico dei docenti delle istituzioni Afam (alta formazione artistica, musicale e coreutica, di cui fanno parte anche gli istituti musicali pareggiati) a quello del personale universitario –:
   in quali tempi verranno assunte le iniziative normative di attuazione della legge n. 508 del 1999 (ricordato dai rappresentanti del Governo nelle risposte alle interrogazioni citate in premessa) e quali contenuti e linee guida presenteranno;
   come il governo intenda completare definitivamente il processo di statizzazione degli insegnanti, previsto dalla legge n. 508 del 1999, rispettando al tempo stesso la continuità didattica degli istituti musicali pareggiati, i diritti e le tutele dei lavoratori e degli studenti, il prestigio ed il ruolo formativo e culturale di tali scuole, con strumenti normativi che non prevedano maggiori oneri per la finanza dello Stato. (5-00022)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre del 1957 il senatore Emilio Lussu rivolse un'epica interrogazione all'allora Presidente del Consiglio dei ministri senatore Zoli con la quale sollecitava la realizzazione di un piccolo modesto ponte passerella che consentisse di collegare le due sponde del Flumendosa dando la possibilità ai contadini del piccolo paese di Armungia di coltivare anche l'altra sponda del fiume;
   nell'argomentare tale richiesta Lussu scrive a Zoli: «Faccio seguito alla tua promessa, che io prendo sul serio, sul ponte-passerella. La zona interessata è a cavallo del medio Flumendosa, dopo il Tirso, il fiume principale della Sardegna. Appartiene al Gerrei, provincia di Cagliari. Capoluogo del mandamento è San Nicolò Gerrei, dove cento anni fa fu scoperta la “tavola trilingue” che, con epigrafe in latino, greco e punico, ha dato la chiave approssimativa della lingua che parlavano i cartaginesi. A giudizio di quanti, continentali e sardi, conoscono l'Isola, è la regione più povera: per la mia esperienza, la più povera di tutta l'Europa occidentale. Un tempo ricca di foreste e pastorizia, con pochi passaggi obbligati, poté difendere i suoi pascoli e la sua caccia dalle scorrerie delle tribù più nomadi. Per questi stretti passaggi, fu delle ultime ad essere occupata dai romani, insieme all'Ogliastra che può considerarsi il prolungamento sud occidentale delle Barbagie. Perciò non fu mai toccata dalle irruzioni saracene provenienti dal Sarrabus, lungo la vallata del Flumendosa»;
   da allora ad oggi, nonostante quel modesto ponte-passerella che Lussu invocava sia stato realizzato, le condizioni di isolamento di quella sponda del Flumendosa restano gravi ed evidenti a chiunque avesse l'ardire di verificarlo di persona;
   non certo una cartina geografica e tantomeno un calcolo parametrico su tabelle ministeriali potrà mai dare l'idea di quale «sacrilego delitto» verrebbe commesso se quell'area, già duramente compromessa, perdesse l'apporto dell'istituzione scolastica;
   a tale inaccettabile ipotesi della soppressione delle scuole nell'area si giungerebbe senza aver valutato appieno le condizioni e le esigenze della comunità locale che anche attraverso le sue massime istituzioni civiche ha ribadito la totale contrarietà ad un'ipotesi così grave per i propri figli che sarebbero costretti ad un pendolarismo inaccettabile proprio per le condizioni di cui Lussu parlava nella sua Oratio pro-ponte;
   con questo atto di sindacato ispettivo si vuole dar voce all'appello forte del sindaco di Armungia Antonio Quartu, insieme all'intero consiglio comunale, i quali in tutti i modi invocano l'attenzione delle istituzioni scolastiche affinché venga scongiurata una soppressione inaccettabile del presidio educativo;
   il consiglio comunale di Armungia riunitosi in seduta straordinaria ha ribadito con un proprio documento l'esigenza di dare agli studenti delle scuole dell'obbligo di Armungia, e più in generale agli studenti del Gerrei, una scuola degna di tale nome dove il primo obiettivo sia quello di somministrare agli alunni conoscenze e competenze adeguate;
   il sindaco di Armungia ha richiamato la delibera del consiglio comunale di Ballao n. 16 dell'8 giugno 2012 avente ad oggetto «relazione del Sindaco su riunione e proposte formulate dall'ufficio scolastico provinciale in ordine alla situazione scolastica dell'Istituto Comprensivo di Villasalto» che in questo documento viene sostanzialmente e integralmente richiamato per quanto concerne la situazione degli alunni dei comuni di Armungia, Ballao e Villasalto, nonché per la parte riguardante l'incontro con il provveditore agli studi nella provincia di Cagliari, svoltosi ad Elmas presso la sede del provveditorato in data 10 maggio 2012;
   gli alunni della scuola primaria di Armungia, in vista del nuovo anno scolastico 2012/2013, sono stati regolarmente iscritti nel plesso scolastico di Villasalto nel mese di febbraio 2012, scelta avvalorata dal fatto che la situazione scolastica di Armungia prevede a tutt'oggi un'unica pluriclasse;
   con l'assegnazione dell'organico di diritto per le scuole primarie, si è venuti a conoscenza che nel plesso di Villasalto sono state create diverse pluriclassi, senza tener conto delle classi contigue ma, procedendo soltanto ad un'attribuzione numerica (per esempio sono state accorpate la 1a con la 3a e la 2a con la 4a);
   anche per quanto riguarda la scuola secondaria, in Armungia, la situazione risulta essere assai grave: è da anni infatti che gli studenti si ritrovano a frequentare un'unica pluriclasse. Inoltre, all'assegnazione dell'organico di diritto è emerso che non è stato assegnato nessun docente per il plesso di Armungia, perché il numero degli iscritti non era sufficiente;
   in seguito, i genitori degli alunni coinvolti, hanno inoltrato richiesta di chiarimenti al sopracitato provveditore, il quale ha riunito i genitori per discutere della grave situazione in cui si trovano le diverse scuole dei comuni del Gerrei, in primis il comune di Armungia per l'esiguo numero di bambini che risiedono nel territorio;
   l'incontro purtroppo non ha dato gli esiti sperati;
   lo stesso provveditorato ha incontrato i sindaci di Armungia, Villasalto e Ballao in apposita riunione, dove sono emerse tutte le problematiche della situazione scolastica nel territorio del Gerrei, con particolare riferimento a quelle dell'istituto comprensivo di Villasalto;
   nella predetta riunione il sindaco di Armungia Antonio Quartu ha avanzato una proposta di ripartizione del sistema scolastico, ipotizzando di ospitare ad Armungia una scuola dell'infanzia, vista la posizione centrale tra i tre paesi che limiterebbe il viaggio ai bambini più piccoli; quindi a Ballao la scuola primaria, dato che l'edificio è già idoneo ad ospitare una scuola con il tempo pieno e consente altresì l'erogazione del servizio mensa, e, infine, a Villasalto la scuola secondaria;
   in questo modo si addiverrebbe alla soluzione ottimale in cui si garantirebbe una scuola «normale» ai ragazzi adolescenti e bambini del Gerrei sia in termini culturali che sociali;
   la proposta di cui sopra, ancora in fase provvisoria, è stata accettata oltre che dal sindaco di Armungia anche dal sindaco di Ballao. Per quanto riguarda invece l'amministrazione di Villasalto a tutt'oggi non si è ancora avuta una risposta definitiva;
   Armungia in alternativa alle materne può a pieno titolo ospitare le scuole secondarie, in quanto tra breve saranno indette le gare per l'appalto dei lavori di ammodernamento dell'edificio scolastico che attualmente ospita le medie e le elementari, della palestra e per l'eliminazione delle barriere architettoniche con l'installazione di un ascensore;
   il comune di Armungia con l'appoggio delle famiglie chiede ad alta voce per i suoi piccoli cittadini, senza discriminazione alcuna, un'istruzione pari alle altre scuole italiane, con orari non ridotti e insegnanti validi e competenti e chiede, inoltre, mezzi di trasporto adatti e sicuri, senza gravare sul bilancio delle famiglie (come già successo negli anni precedenti), qualora si decidesse di condurre gli studenti nei paesi limitrofi, tenendo fermo quanto esposto nella principale proposta circa l'equa ripartizione del sistema scolastico nel territorio;
   l'amministrazione comunale unita alle famiglie, infine, chiede a tutte le istituzioni competenti una soluzione tempestiva, al fine di tutelare il diritto all'istruzione –:
   se non ritenga di dover valutare con particolare attenzione la grave situazione scolastica del Gerrei, con particolare riferimento ai comuni di Armungia, Villasalto e Ballao;
   se non ritenga proprio in virtù delle gravissime condizioni economiche, geografiche e geomorfologiche della zona e delle scarsissime infrastrutture di collegamento di dover assumere iniziative, anche normative, per una deroga a eventuali parametri che risultassero ostativi alla definizione di una positiva soluzione della vicenda;
   se non ritenga di dover accogliere l'invito-proposta del sindaco di Armungia al fine di prevedere un equilibrato riparto delle pertinenze scolastiche, e meglio gestire il presidio educativo nell'intero territorio del Gerrei. (5-00031)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con D.D.G del 30 gennaio 2008 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale IV serie speciale numero 10 del 5 febbraio 2008, è stato indetto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, direzione generale per le risorse umane del Ministro, acquisti e affari generali, ufficio II, un concorso pubblico, per esami, a centoquarantacinque posti di dirigente tecnico, da assegnare agli uffici dell'amministrazione centrale e periferica del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al fine di concorrere alla realizzazione delle finalità di istruzione e di formazione, affidate alle istituzioni scolastiche ed educative, oltre all'attività di studio, di ricerca e di consulenza tecnica per il Ministro e i direttori generali;
   l'esame consisteva in tre prove scritte della durata di otto ore ciascuna ed una prova orale, preceduto, ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 272 del 2004, da prove preselettive effettuatesi presso l'ambito territoriale dell'ufficio scolastico regionale prescelto;
   la prova di preselezione, consistente in una serie di quesiti a risposta multipla sulle materie oggetto del concorso, si è svolta – dopo innumerevoli rinvii rispetto ai quali l'amministrazione non ha mai esplicitato le cause – in data 21 settembre 2009 su tutto il territorio nazionale e la pubblicazione degli ammessi alle successive prove scritte è avvenuta in data 29 gennaio 2010;
   le successive prove scritte (tre per ogni candidato) – anche queste hanno subito innumerevoli rinvii rispetto ai quali l'amministrazione non ha mai esplicitato le cause – si sono svolte a partire dal 28 febbraio fino al 24 marzo 2011. Per correggere i 2.700 elaborati la commissione ha impiegato ben 21 mesi: in media si è proceduto al ritmo di sei al giorno: la pubblicazione degli ammessi alle prove orali è avvenuta, infatti, in data 19 dicembre 2012;
   non sono mai stati resi pubblici, né prima né dopo lo svolgimento delle prove, i criteri di valutazione adottati dalle commissioni giudicatrici, non è stata data la possibilità di capire se e quanto abbia inciso il superamento di tutte e tre le prove scritte o se bastasse non superare la soglia dei 7/10 nella prima prova per esonerare la commissione dall'onere di correggere le altre due (tenuto conto che era proprio la terza prova quella maggiormente deputata a delineare, più e meglio, le competenze disciplinari del dirigente tecnico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le uniche a giustificare le suddivisioni in settori);
   non sono mai state rese note le date di pubblicazione degli ammessi alle prove orali, ma sono semplicemente apparse sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella data di cui sopra;
   il suddetto concorso è stato bandito nel mese di gennaio 2008 e l'esito delle sole prove scritte giunge nel mese di dicembre 2012 (quasi 5 anni dopo), ma la strada è ancora lunga: la commissione dovrà esaminare gli ammessi durante la prova orale e, infine, compilare e pubblicare la graduatoria di merito;
   da questo concorso sono stati esclusi, dopo aver superato la prova di preselezione e aver sostenuto le prove scritte, docenti che avevano il requisito minimo di nove anni di servizio come previsto dal bando, ma maturati in più ordini di scuola, magari docenti che avevano iniziato la loro carriera presso la scuola primaria e poi, quali vincitori di concorso e/o in possesso dell'abilitazione prevista, avevano ottenuto il passaggio presso la scuola secondaria di 1o o 2o grado, con un avanzamento di carriera;
   appare quindi assurdo che un docente che ha cumulato più anni di servizio maturato con una progressione negli ordini di scuola debba essere escluso nel corso di una prova per posto dirigenziale il cui profilo professionale richiede conoscenze ampie ed articolate e che paradossalmente si è venuta a profilare la condizione per la quale un insegnante che avesse effettuato otto anni di servizio nella scuola primaria e otto nella secondaria per un totale di 16 anni di esperienza lavorativa non avesse il diritto di accedere ad un concorso ispettivo;
   va inoltre sottolineato che il requisito dei nove anni di effettivo servizio indicato dal bando di concorso potesse essere ragionevolmente interpretato come condizione necessaria, vale a dire che doveva essere escluso chi non aveva maturato il servizio minimo; del resto anche per partecipare al recente concorso da dirigente scolastico, ove non era più prevista l'obsoleta distinzione in settori elementare, medie e superiori, contava l'anzianità complessiva cumulata, cinque anni minimo;
   dai 16.000 concorrenti alla prova preselettiva sono risultati ammessi agli iscritti in 900, dopodiché si è giunti – dopo una correzione delle prove durata ben 21 mesi (circa 2 anni) – al critico risultato emerso pochi giorni fa, cioè di appena 79 ammessi agli orali;
   non è accettabile un tale abbattimento di candidati aspiranti (da 16.000 a 79) posto che, di fatto, si ottiene come unico, oggettivo ed incontrovertibile risultato quello di avere come potenziali vincitori prevalentemente personale già distaccato o comandato;
   non si comprende cosa possa aver giustificato una così inedita severità nelle correzioni delle prove scritte tale da rasentare, assai ragionevolmente, quella che all'interrogante appare un'incomprensibile arroganza nei confronti di 900 tra docenti e presidi che avevano già superato una preselezione decisamente severa (da 16.000 a 900);
   a tutto quanto sopra descritto debbono aggiungersi numerosi ricorsi e pronunciamenti dei giudici amministrativi, a causa della assoluta mancanza di trasparenza in tutte le fasi dello svolgimento della procedura concorsuale, a partire dal bando di concorso, di non chiara ed univoca interpretazione in alcune sue parti –:
   se quanto segnalato corrisponda al vero;
   se la tempistica, le modalità di conduzione e i risultati non compromettano i princìpi di trasparenza, di efficienza e di efficacia cui è tenuta, per legge, tutta la pubblica amministrazione, considerato che non è accettabile che un concorso possa impiegare 5 anni per l'espletamento parziale e che gli orali si devono ancora svolgere;
   se e come nel frattempo, si copriranno i posti vacanti, ora non più 145 come nel 2008, ma molti di più tenendo conto che ad oggi la situazione degli ispettori in Italia è la seguente: in Veneto, Molise, Toscana ad esempio sono andati tutti in pensione e in altre regioni, come la Sicilia, è rimasto in servizio un solo ispettore che deve farsi carico di oltre mille scuole. L'organico dei dirigenti tecnici prevede 335 posti, ma al momento la macchina scolastica del Paese può contare soltanto su 36 ispettori e anche quando i 79 ammessi agli orali (che scenderebbero almeno a 67 in quanto ben 12 candidati sono ammessi su più settori e dovranno, quindi, optare) dovessero tutti entrare in servizio rimarrebbero scoperti ben 220 posti: il 65 per cento del totale; se si intenda attuare una tacita spending review o si proseguirà nella prassi dei comandi che poi si tramutano in quelle che all'interrogante appaiono nomine politiche;
   se non ritenga di fornire anche all'Italia, come accade in altri Paesi europei, un corpo ispettivo consistente ed efficiente, avendo constatato lo sperpero di tempo, energie, denaro che deriva dalla mancata soluzione di un problema fondamentale circa il sistema di valutazione nazionale;
   se non ritenga che anche coloro che hanno cumulato il servizio minimo richiesto in più ordini di scuola avessero diritto a partecipare alla procedura concorsuale al pari di quelli che hanno sempre lavorato in un solo settore, dal momento che, considerata la competenza varia, articolata e multiforme che dovrebbe possedere un dirigente tecnico, tenuto a contribuire al miglioramento del sistema scolastico nella suo complesso, l'esclusione di figure con esperienza maturata in una progressione di carriera appare anacronistica ed irragionevole e che, anzi, tali figure, proprio per le competenze plurime acquisite, dovrebbero essere considerate una risorsa nell'ambito di un sistema scolastico come, recentemente e giustamente, è accaduto per il concorso a dirigente scolastico che ha abbattuto la distinzione in settori formativi;
   se, alla luce di quanto esposto, non si intenda promuovere una rapida verifica su tutti i punti di cui sopra e definire una possibile soluzione in merito. (4-00001)


   FUCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la «riforma Gelmini», di revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei e di riordino degli istituti tecnici e professionali, elaborata ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha previsto tre fondamentali percorsi di studio, disciplinati da altrettanti distinti regolamenti: i licei, gli istituti professionali e gli istituti tecnici;
   per i licei sono individuati sei profili, ai sensi dell'articolo 3 del regolamento relativo, tra cui quello denominato: «liceo delle scienze umane con opzione economico-sociale». Invece sia per gli istituti professionali (due settori e sei indirizzi) che per gli istituti tecnici (due settori e undici indirizzi) non vi è alcun riferimento all’«opzione economico-sociale»;
   all'articolo 9 del regolamento relativo alla riforma dei licei è riportato il percorso attinente al liceo delle scienze umane. Al comma 2, in particolare, si prescrive: «Nell'ambito della programmazione regionale dell'offerta formativa, può essere attivata, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l'opzione economico-sociale che fornisce allo studente competenze particolarmente avanzate negli studi afferenti alle scienze giuridiche, economiche e sociali»;
   l'inserimento di tale prescrizione nel testo regolativo del riordino dei licei identifica l'opzione economico-sociale quale prerogativa specifica di tale tipo di istituzione scolastica, il liceo appunto, precisamente il liceo delle scienze umane;
   il liceo delle scienze umane nasce dall'istituto magistrale, poi divenuto liceo socio-psico-pedagogico e liceo sociale nelle varie sperimentazioni che si sono sviluppate nel tempo, fino al presente assetto. Il percorso ad esso relativo ha una storia ed una identità culturale che si incardina senza alcun dubbio in un indirizzo di studi di tipo classico e umanistico. La stessa riforma dei licei nella sua stesura propositiva premetteva il rispetto di tali origini nel definire le competenze del nuovo ordinamento dei licei;
   la riforma, in ognuno dei regolamenti propri dei tre percorsi di studio, rimette alle singole istituzioni scolastiche, nell'ambito degli indirizzi definiti dalle regioni in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale di ciascuno di essi, una quota percentuale di autonomia dei curricoli da destinare al potenziamento degli insegnamenti obbligatori e/o all'attivazione di ulteriori insegnamenti, finalizzati al raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano dell'offerta formativa, nei limiti del contingente di organico assegnato, tenuto conto delle richieste degli studenti e delle loro famiglie;
   tale «quota di flessibilità» si prefigura come un'opportunità che ciascuna scuola, nell'ambito del proprio percorso didattico, decide di cogliere per adeguare il proprio piano dell'offerta formativa alle esigenze del territorio e della comunità scolastica. Tuttavia, non rientra nella quota di flessibilità l'attivazione di opzioni già previste dalla riforma stessa nei diversi piani di studi. Nonostante ciò, vi sono casi concreti nei quali tale «quota di flessibilità» diviene oggetto di un'interpretazione tanto estensiva da andare a stravolgere il senso e il dettato della «riforma Gelmini» e dei conseguenti regolamenti attuativi;
   l'interrogante si riferisce, come esempio in riferimento alla realtà del proprio territorio, alla prevista attivazione per il prossimo anno scolastico 2013/14 di un liceo delle scienze umane presso l'Istituto tecnico commerciale «Carafa» di Andria, rispetto alla quale ha elevato opposizione il liceo statale cittadino «Carlo Troya»;
   in due documenti (entrambi inviati anche all'attenzione dell'ufficio scolastico regionale) diretti alla provincia di Barletta-Andria-Trani (4 dicembre 2012) e alla giunta regionale della Puglia (6 febbraio 2013), il dirigente scolastico e il consiglio d'istituto del liceo «Carlo Troya» argomentano come, in base ai riferimenti normativi di rango statale sopra richiamati, le richieste di nuovi indirizzi debbano essere «coerenti con l'identità e la storia degli istituti, funzionali ai bisogni formativi del territorio, non in concorrenza con le realtà limitrofe, compatibili con strutture e risorse strumentali esistenti, in linea con i dati previsionali certi relativi agli iscritti per l'anno scolastico 2013/14» –:
   quali indicazioni di competenza il Ministro interrogato ritenga di dare sulla coerenza o meno, rispetto al contenuto della «riforma Gelmini» in vigore, dell'attivazione di indirizzi diversi da quelli previsti per i singoli percorsi di studio;
   se il caso esposto in premessa, portato all'attenzione del Ministro interrogato come esempio significativo, possa indurre il Governo ad assumere iniziative per una corretta interpretazione delle modalità di concreta attuazione, da parte delle istituzioni scolastiche e degli enti locali, delle norme in vigore sull'ordinamento delle scuole superiori. (4-00003)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo di democrazia partecipativa Parlamentares dell'università di Cagliari attraverso uno dei suoi rappresentanti Pierpaolo Batzella ha segnalato al sottoscritto interrogante la gravissima situazione dell'università di Cagliari relativamente all'applicazione del regolamento sulla decadenza degli studenti fuori corso;
   il 28 maggio 2010 con decreto rettorale n. 456 del 2010 è stato, infatti, emanato il regolamento carriere amministrative approvato per quanto di competenza dal Consiglio di amministrazione e dal Senato accademico dell'università di Cagliari;
   gli articoli 37 e 57, che recano norme sulla decadenza dallo status di studente, prevedono diverse modalità per cui si incorrerebbe nella decadenza, «senza necessità di comunicazione preventiva da parte dell'Ateneo e con conseguente impossibilità di rinnovare l'iscrizione»;
   l'articolo 37 prevede la decadenza qualora si verificassero le seguenti situazioni:
    a) gli studenti a tempo pieno, iscritti al primo anno dell'ordinamento ex decreto ministeriale n. 509 del 1999 o decreto ministeriale n. 270 del 2004 e al corso di laurea in scienze della formazione primaria (V. O.), che non abbiano terminato gli esami previsti per il loro piano di studi entro un numero di anni pari al massimo al doppio della durata normale del corso;
    b) gli studenti a tempo parziale, iscritti al primo anno dell'ordinamento ex decreto ministeriale n. 509 del 1999 o decreto ministeriale n. 270 del 2004 e al corso di laurea in Scienze della formazione primaria (V. O.) a tempo parziale, che non abbiano terminato gli esami previsti entro un numero di anni pari al massimo al doppio della durata del corso stabilita nel loro contratto;
    c) gli studenti morosi totalmente per due anni consecutivi;
   l'articolo 57 – Disposizioni transitorie – prevede la decadenza per le seguenti situazioni a decorrere dall'anno accademico 2010/2011:
    a) gli studenti già iscritti negli ordinamenti precedenti al decreto ministeriale n. 509 del 1999 decadono qualora non abbiano concluso gli studi entro e non oltre il 30 aprile 2012;
    b) gli studenti già iscritti nell'ordinamento ex decreto ministeriale n. 509 del 1999 o decreto ministeriale n. 270 del 2004 decadono qualora non conseguano il titolo entro un numero di anni pari al massimo al triplo della durata normale del corso;
   in particolare:
    a) gli studenti che, alla data del 1o ottobre 2010, hanno superato il triplo della durata normale del corso di studio decadono se non conseguono il titolo entro il 30 aprile 2012;
    b) gli studenti a cui, alla data del 1o ottobre 2010, manca un anno al raggiungimento del triplo della durata normale del corso di studio decadono se non conseguono il titolo entro il 30 aprile 2013;
    c) gli studenti a cui, alla data del 1o ottobre 2010, mancano due anni al raggiungimento del triplo della durata normale del corso di studio decadono se non conseguono il titolo entro il 30 aprile 2014;
   negli articoli 37 e 57 del succitato regolamento viene introdotta la norma della decadenza dagli studi per gli studenti fuori corso e/o morosi, per gli studenti iscritti negli ordinamenti precedenti al decreto ministeriale n. 509 del 1999 che «non abbiano concluso gli studi entro e non oltre il 30 aprile 2012» (articolo 37) e per gli studenti già iscritti nell'ordinamento ex decreto ministeriale n. 509 del 1999 o decreto ministeriale n. 270 del 2004 che «non conseguano il titolo entro un numero di anni pari al massimo al triplo della durata normale del corso» (articolo 57);
   viene così, ad avviso dell'interrogante, illegittimamente inserita la decadenza dalla qualità di studente poiché gli odierni fuoricorso si iscrissero all'università di Cagliari senza che il decorso del tempo o la permanenza «fuoricorso» (o ancora la mora nel versamento delle tasse universitarie) potessero comportare in alcun modo la decadenza degli studenti dall'iscrizione all'università;
   l'unica normativa nazionale che prevede la decadenza dallo status di studente universitario stabilita dall'ordinamento vigente è riferibile all'articolo 149 del regio decreto n. 1592 del 31 agosto 1933 (Approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore) che testualmente recita «Coloro i quali... non sostengano esami per otto anni consecutivi, debbono rinnovare l'iscrizione ai corsi e ripetere le prove già superate»;
   il succitato articolo 149 è sempre stato interpretato correttamente dalla giurisprudenza amministrativa evidenziando che «L'articolo 149, t.u. 31 agosto 1933, n. 1592, che prevede la decadenza dalla qualità di studente universitario di coloro i quali “non sostengono esami per otto anni consecutivi”, non consente interpretazioni discrezionali per l'amministrazione in ordine all'apprezzamento e alla valutazione di eventuali motivazioni determinanti l'interruzione dell'attività universitaria, costituendo fonte di attività amministrativa vincolata» (Consiglio Stato, sez. VI, 9 settembre 2005, n. 4670);
   la disposizione che prevede la decadenza emanata dall'università di Cagliari col regolamento carriere amministrative appare all'interrogante in contrasto con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 270 del 22 ottobre 2004 che all'articolo 13, comma 5, espressamente, stabilisce – nell'ambito della riorganizzazione dell'autonomia didattica degli atenei – che: «A seguito dell'adozione dei regolamenti didattici di ateneo di cui al comma 1, le università assicurano la conclusione dei corsi di studio e il rilascio dei relativi titoli, secondo gli ordinamenti didattici previgenti, agli studenti già iscritti alla data di entrata in vigore dei regolamenti stessi e disciplinano, altresì, la facoltà per gli studenti di optare per l'iscrizione a corsi di studio previsti dai nuovi ordinamenti»;
   le disposizioni emanate dall'ateneo cagliaritano producono, quindi, effetti a sfavore degli studenti già iscritti. Nell'ambito dell'ordinamento universitario non esiste una norma che consenta alle facoltà universitarie di imporre agli studenti la conclusione del corso universitario entro un certo numero di anni, pena il trasferimento al nuovo ordinamento che, nel frattempo, possa essere stato istituito;
   viene riconosciuto espressamente il diritto degli studenti di completare comunque i propri studi sulla base delle regole esistenti al momento della loro iscrizione;
   la previsione di imporre agli studenti di cambiare il corso di studi se esso non viene concluso entro un certo termine, non ha un supporto normativo che la giustifichi. L'unico che può imporre e specificare le cause che portano alla decadenza è il legislatore nazionale;
   una differente articolazione in ambito nazionale dei presupposti che possono portare al provvedimento di decadenza appare manifestamente illegittimo per violazione dell'articolo 3 della Costituzione e dell'articolo 34 sul diritto allo studio che risulterebbe de facto, illegittimamente e irragionevolmente, differente tra ateneo e ateneo;
   non appare congruo e ragionevole, quindi, legittimo ad avviso dell'interrogante che vi sia una disarticolazione di posizioni tra i vari atenei tale da consentire che a Roma, Napoli o Modena la decadenza non sia stata stabilita e che, invece, a Cagliari e Palermo sia stata imposta; il già citato decreto ministeriale n. 270 del 2004 non sembra proprio offrire ad atenei e rettori la facoltà di inserire, regolamentare e irrogare provvedimenti di decadenza; le disposizioni relative ai regolamenti di ateneo (articoli 11 e 12 del decreto ministeriale n. 270 del 2004) sono ben lungi dall'attribuire un tale potere alle università;
   l'unica decadenza stabilita dall'ordinamento vigente, infatti, è stata normata dal legislatore nazionale e prevista dall'articolo 149 del regio decreto n. 1592 del 1933 –:
   se non intenda il Ministro, assumere, nell'ambito delle proprie competenze, un'apposita iniziativa normativa o istituzionale diretta ad assicurare un'univoca condotta in tema di decadenza rispettando gli attuali ordinamenti come previsto dall'articolo 149 t.u. 31 agosto 1933, n. 1592 e il decreto ministeriale n. 270 del 2004 articolo 13, comma 5 che consenta di salvaguardare tutti quegli studenti che rischiano di essere gravemente penalizzati come nel caso esposto concernente le norme emanate dall'ateneo cagliaritano nel 2010 con il regolamento carriere amministrative, proponendo un'uniformazione delle procedure e delle regole proprio per evitare discriminazioni evidenti, ingiustificabili e dannose per centinaia di studenti e famiglie;
   se non intenda il Ministro intervenire al fine di assumere un'iniziativa normativa ed istituzionale per unificare tra le varie università italiane quanto sopra esposto sin dal prossimo anno accademico, disponendo, che le decadenze possano essere disposte dagli atenei solo pro futuro e che, quindi, non si vedano applicate agli studenti già iscritti sulla base delle disposizioni vigenti. (4-00052)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il call center Almaviva di Misterbianco rischia la chiusura per una indefinita delocalizzazione all'estero dei servizi e conseguentemente rischiano di perdere il posto di lavoro i 2.850 lavoratori di cui: 1.350 assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato e di altri 1.500 a progetto;
   è stato infatti preannunciato dalle aziende che operano su commessa Vodafone un esubero drastico della forza lavoro assunta con contratto a tempo indeterminato;
   se tale processo dovesse essere confermato, l'impatto sui livelli occupazionali e sulla tenuta sociale nell'intero territorio sarebbe devastante e soprattutto lo sarebbe nei Comuni del comprensorio e a rischio diventerebbe anche il call center operante su Palermo con altre migliaia di posti a rischio –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere con la massima urgenza per attivare un tavolo di confronto con l'azienda per evitare delocalizzazioni di servizi che possano mettere a rischio migliaia di posti di lavoro in un comprensorio drammaticamente segnato dalla disoccupazione in particolar modo giovanile. (3-00003)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GNECCHI, FASSINA, LENZI, DAMIANO, MADIA, CINZIA MARIA FONTANA, FIORIO e CENNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, approvata nel dicembre 2011, è intervenuta sul nostro sistema previdenziale penalizzando fortemente coloro che erano prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici previgenti, allungando oltremodo il periodo di attesa;
   le deroghe previste, che consentono per alcune situazioni particolari di poter mantenere i previgenti requisiti di accesso alla pensione, non coprono comunque tutte le gravi situazioni che si sono prodotte nel corso di questi anni di crisi occupazionale;
   nello specifico si rappresenta il caso degli esodi individuali operati dal Gruppo IBM, stipulati a partire dal mese di aprile 2011, i cui verbali di conciliazione prevedono in modo esplicito la data di cessazione del rapporto di lavoro e l'assoluta impossibilità di revisione dell'accordo, ma formalmente si prevede contestualmente un periodo di aspettativa non retribuita a partire dalla sottoscrizione dell'accordo, a fine aspettativa la cessazione effettiva del rapporto di lavoro con la società, nel mese in cui il singolo dipendente avrebbe maturato i requisiti di accesso alla pensione, vigenti alla sottoscrizione degli accordi stessi;
   i dipendenti IBM usufruiscono, pagando una quota annuale, della Cassa di assistenza dipendenti gruppo IBM, che dà diritto al rimborso parziale delle spese mediche e il cui regolamento prevede che detti dipendenti possono continuare ad usufruire della stessa, anche in qualità di pensionati, a condizione che non vi sia soluzione di continuità tra attività lavorativa e maturazione del requisito pensionistico;
   durante il periodo di aspettativa non retribuita, i dipendenti non hanno mai ripreso attività lavorativa all'IBM, non c’è alcun versamento di contributi previdenziali da parte dell'impresa e neanche alcun effetto sul TFR e altri istituti contrattuali;
   viene comunque consentito a questi lavoratori, a fronte di autorizzazione INPS, di poter coprire con la contribuzione volontaria, il periodo di aspettativa non coperta da contribuzione previdenziale;
   proprio perché si tratta di un periodo di aspettativa che al termine prevede la cessazione del lavoro e non la ripresa, come nei normali periodi di aspettativa, non si comprende quindi l'interpretazione restrittiva dell'INPS (messaggio 13343/2012) che esclude questi lavoratori dalla salvaguardia, solo perché l'effettiva chiusura del rapporto di lavoro, è intervenuta successivamente al periodo di aspettativa –:
   se il Ministro interrogato ritenga, di poter procedere in via amministrativa per sanare questa specifica casistica, peraltro afferente ad accordi legittimamente stipulati fra le parti ante manovra Salva Italia, (precisa è la data dell'accordo e precisa la cessazione del lavoro), posto che non si poteva prevedere la situazione successiva al decreto-legge n. 201 del 2011 e risulta incomprensibile l'esclusione di questi lavoratori dalla salvaguardia. (5-00038)


   GNECCHI e BOBBA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Inps ha precisato, con il messaggio n. 20286/2012, che, durante il periodo di godimento dell'indennità di disoccupazione o dell'indennità di mobilità, può essere rilasciata l'autorizzazione ai versamenti volontaria;
   precisazione che era stata già fatta con la circolare n. 50 del 17 aprile 2008; in quell'occasione l'Inps ricordava che la domanda di prosecuzione volontaria, presentata in costanza d'indennità di disoccupazione, doveva essere accolta e per analogia anche durante la mobilità;
   quindi le richieste di autorizzazione al versamento di contributi volontari, da parte di coloro che sono in mobilità possono essere accolte, fermo restando il vincolo di effettuare versamenti volontari per i soli periodi successivi alla mobilità, queste specificazioni si sono rese necessarie perché da sempre sia i patronati che le sedi INPS suggerivano ai lavoratori e lavoratrici di attendere la fine della disoccupazione e/o della mobilità per la speranza di trovare un nuovo lavoro;
   a riguardo si rammenta che i versamenti volontari possono essere effettuati dai lavoratori che hanno cessato o interrotto l'attività lavorativa, sia per perfezionare i requisiti di assicurazione e di contribuzione, necessari per raggiungere il diritto ad una prestazione pensionistica oppure, qualora siano già stati perfezionati i requisiti contributivi richiesti, per incrementare l'importo del trattamento pensionistico a cui si avrebbe diritto;
   nel messaggio 20286/2012 l'INPS afferma: «È stato segnalato a questa Direzione che, malgrado quanto ribadito nella citata circolare, non sono state accolte domande di autorizzazione ai versamenti volontari con la motivazione che il richiedente era in stato di mobilità o di disoccupazione. Pertanto, le sedi il cui comportamento ha disatteso precise disposizioni in materia dovranno immediatamente rivedere le autorizzazioni ai versamenti volontari respinte ed accoglierle con la decorrenza originaria se il motivo della reiezione era fondato sullo stato di mobilità o disoccupazione del richiedente»;
   giova qui rilevare che il suddetto messaggio menziona solo coloro che hanno ricevuto rifiuto su domanda presentata, ma nulla dice su coloro ai quali INPS e Patronati non hanno consentito proprio di fare la domanda di contribuzione volontaria, adducendo come motivo che la domanda andava presentata alla fine della mobilità o periodo di disoccupazione. Si hanno molte testimonianze, infatti, di persone alle quali non è stato consentito di fare domanda, oltre a tutte quelle cui è stato suggerito non farla. Ora tali soggetti si trovano defraudati del giusto diritto alla salvaguardia prevista dall'articolo 1, comma 231, della legge n. 228 del 2012 legge di stabilità;
   se l'Inps dichiara pubblicamente che ci sono stati comportamenti da parte delle proprie sedi territoriali che hanno disatteso precise disposizioni dell'istituto, la sanatoria non può esclusivamente riguardare coloro che si sono visti respingere la domanda di autorizzazione alla contribuzione volontaria, ma va anche estesa, consentendo di far domanda di autorizzazione alla contribuzione con il principio «ora per allora», a tutti quei soggetti interessati, ai quali è stato letteralmente impedito di presentare la domanda, al fine di poter accedere, se in possesso dei requisiti previsti, alle salvaguardie introdotte con l'articolo 1, comma 231, della richiamata legge di stabilità 2013; era normale fare domanda dopo la mobilità, proprio perché poteva sempre esistere la speranza di trovare un lavoro e di non averne bisogno –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, a fronte di una precisa ammissione di colpa da parte dell'INPS, di assumere iniziative, ove possibile, anche con atto amministrativo per sanare una palese discriminazione che consenta ai soggetti interessati di potere produrre domanda, «ora per allora», per l'autorizzazione ai versamenti volontari dei contributi.
(5-00039)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – che:
   il concordato preventivo con continuità aziendale ex articolo 161 e 186-bis della legge fallimentare, così come introdotto dall'articolo 33, comma 1, lettera b) della legge 7 agosto 2012, n. 134, (decreto sviluppo), consente all'azienda in difficoltà di poter continuare a svolgere in via ordinaria la propria attività di impresa;
   l'articolo 168 della legge fallimentare prevede che, dalla data di pubblicazione dell'istanza di concordato preventivo nel registro delle imprese è fatto divieto alla istante di pagare crediti anteriori alla domanda di pagamento, ivi compresi quelli contributivi, mentre, al contrario, i debiti contributivi maturati successivamente alla presentazione del ricorso per concordato, trattandosi di concordato in continuità, potranno essere adempiuti ex articolo 184 della legge fallimentare;
   il decreto-legge n. 83 del 2012 (decreto sviluppo) in vigore dal 26 giugno 2012 ha introdotto importanti modifiche alla procedura del concordato preventivo. Questo, per facilitare la gestione della crisi aziendale;
   grazie a tale decreto oggi è possibile depositare una semplice richiesta di accedere alla procedura di concordato preventivo che consente: la prosecuzione dell'attività aziendale, la cessione dell'azienda in esercizio, oppure il conferimento della stessa in una o più società, anche appena costituite, una moratoria fino ad un anno dalla omologazione, per il pagamento dei privilegiati, pegno o ipoteca e altre agevolazioni;
   per i crediti vantati dall'INPS prima della presentazione dell'istanza di concordato preventivo ricorre l'ipotesi di sospensione dei pagamenti a seguito delle disposizioni legislative di cui all'articolo 5, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale 24 ottobre 2007, con conseguente rilascio di Durc regolare, e ciò in quanto un eventuale pagamento da parte dell'operatore economico comporterebbe una violazione dell'articolo 168 della legge fallimentare;
   per le stesse ragioni, non è neppure possibile applicare la previsione di trattenimento delle somme da parte delle pubbliche amministrazioni interessate di quanto spettante ai creditori previdenziali di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, in quanto ciò darebbe luogo ad un pagamento di debiti maturati in data anteriore alla presentazione dell'istanza di concordato con violazione dell'articolo 168 della legge fallimentare –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per risolvere le problematiche citate in premessa. (4-00014)


   REALACCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sulla spinta di un pesante rincaro dei carburanti ma anche di una crescente sensibilità ai temi dell'ambiente e del progressivo aumento delle piste ciclabili, il ricorso alla bicicletta, la propria o una di quelle disponibili tramite i servizi di bike-sharing, si sta sviluppando anche quale valido mezzo di trasporto per coprire il «tragitto casa-luogo di lavoro»;
   il crescente uso della bicicletta si contrappone poi a strade sempre più caotiche e trafficate con gravi pericoli per i ciclisti;
   a questo proposito, anche attraverso un'efficace azione di sensibilizzazione e di tutela per quanti scelgono la bicicletta per recarsi a lavoro promossa dalla FIAB-Federazione italiana amici della bicicletta, l'Inail si è pronunciato nel senso di ritenere che, ai fini dell’«indennizzabilità» dell'infortunio in itinere, l'indagine sul carattere di necessità d'uso della bici sia valida in mancanza di altro mezzo utile e/o solamente nei casi di evento lesivo avvenuto su strade aperte al traffico di veicoli a motore. Perciò vanno quindi tenuti distinti gli incidenti occorsi su piste ciclabili o zone interdette al traffico o misti;
   la bicicletta è come detto un mezzo di trasporto al quale ricorrono un numero sempre crescente di cittadini per i trasporti urbani anche come proposta di mobilità sostenibile nelle città. Inoltre non si dimentichi come il ciclo turismo stia diventando un tipo di vacanza sempre più diffusa tra gli italiani;
   una rete di piste ciclabili estesa, percorsi davvero protetti, segnaletica ad hoc, ciclo-parcheggi sono peraltro presupposti indispensabili per favorire la mobilità in bicicletta, insieme ad un'adeguata politica di sensibilizzazione all'uso di questo mezzo di trasporto;
   si pensi ad esempio che anche il consiglio comunale di Bologna, città importante e in cui l'uso della bicicletta è ampiamente diffuso, ha approvato più di un anno fa e all'unanimità, il 23 gennaio 2012, un ordine del giorno a sostegno della campagna FIAB per una copertura INAIL completa anche in presenza di possibile utilizzo di altro mezzo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione e non ritenga utile assumere ogni iniziativa di competenza, anche valutando la possibilità di adottare una circolare ministeriale, per dare seguito alla petizione popolare promossa dalla FIAB in cui viene chiesto che l'infortunio occorso al lavoratore che si reca a lavoro in bicicletta sia sempre riconosciuto a prescindere dal luogo in cui esso accade o dalla necessità di utilizzare la bicicletta come solo mezzo di trasporto per recarsi dalla propria abitazione al luogo di lavoro. (4-00018)


   PILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 276 del 2003 agli articoli 21, comma 1, lettere i) e j) e all'articolo 23, comma 1, dispone quanto segue:
    «articolo 21: Il contratto di somministrazione di manodopera è stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi:
     i) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro;
     j) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili»;
    «articolo 23: I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte»;
   il trattamento economico riservato ai lavoratori somministrati è quindi parificato rispetto a quello dei colleghi direttamente assunti dall'impresa utilizzatrice (Stazione Appaltante);
   l'utilizzatore (Stazione Appaltante) deve pertanto comunicare all'Agenzia per il lavoro i trattamenti economici applicabili ai lavoratori comparabili e deve vigilare affinché il somministratore retribuisca regolarmente i lavoratori somministrati, versando, altresì, i contributi dovuti agli enti previdenziali ed assicurativi;
   ai sensi e per gli effetti dell'articolo 23, comma 3 del decreto legislativo n. 276 del 2003, «L'utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali»;
   la disciplina legale che regola i rapporti tra somministratore ed utilizzatore con riferimento al trattamento economico e normativo riservato ai lavoratori somministrati, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 81 del decreto legislativo n. 163 del 2006, prevede che la stazione appaltante, anche nelle gare relative alla somministrazione di lavoro, sia libera di effettuare la scelta tra il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa o quello del prezzo più basso;
   nei casi in cui venga individuato quale metodo di aggiudicazione quello del prezzo più basso, le stazioni appaltanti (utilizzatrici della manodopera) danno luogo, sempre più frequentemente, alla illegittima e deleteria prassi di fissare come prezzo a base di gara il costo del lavoro dalle stesse sostenute per lavoratori comparabili a quelli richiesti in somministrazione o, ancor peggio, non indicano alcun costo di riferimento, così nei fatti costringendo le agenzie per il lavoro, che devono per bando di gara formulare un'offerta competitiva sulla base del costo del lavoro, a scendere al di sotto dei minimi tabellari, con ovvie ed intuibili ripercussioni sulle garanzie in ordine alla giusta retribuzione ex articolo 36 Cost. e sui correlati oneri contributivi;
   tale prassi, come si è detto, è illegittima perché lede il principio di giusta retribuzione ex articolo 36 Cost. così come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ed altresì in contrasto con quanto disposto dagli articoli 88 e 89 del decreto legislativo n. 163 del 2006, ai sensi dei quali la Stazione appaltante è tenuta a verificare se vi siano offerte «anormalmente basse» in quanto non remunerative. Con riferimento alla somministrazione di lavoro, quindi, tale illegittima prassi delle pubbliche amministrazioni potrebbe essere agevolmente contrastata ab origine fissando all'interno del bando di gara un prezzo minimo corrispondente al costo minimo tabellare del lavoro, maggiorato di una percentuale rappresentante il margine minimo di guadagno, indispensabile affinché l'appalto possa essere considerato remunerativo ed obbligando le stazioni appaltanti ad applicare, per tali tipologie di servizi, quale criterio di aggiudicazione quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa –:
   se, alla luce di quanto testé illustrato, i Ministri interrogati non intendano intervenire al fine di garantire che le gare di appalto relative ai servizi di somministrazione di lavoro ex decreto legislativo n. 276 del 2003 vengano aggiudicate ad un prezzo che non sia inferiore al costo minimo tabellare del lavoro, permettendo inoltre, così come previsto dalla legge, che si realizzi un margine di agenzia, indispensabile per rendere «remunerativo» l'appalto. (4-00055)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo scandalo della carne di cavallo non dichiarata negli alimenti, le cui dimensioni internazionali hanno confermato come sia elevata l'infiltrazione della criminalità organizzata nell'ambito delle attività fraudolente e di dolo nel settore agroalimentare in particolare nei riguardi dei prodotti made in Italy, evidenzia soprattutto i ritardi da parte dell'Unione europea nell'introdurre misure strutturali destinate a durare nel tempo, volte ad una accelerazione nell'entrata in vigore di una legislazione più trasparente sull'etichettatura della carne e degli altri alimenti a livello comunitario;
   la vicenda iniziata nel mese di febbraio 2013, a seguito della decisione da parte della Nestlé di ritirare dalla vendita ravioli e tortellini di manzo Buitoni, a causa del ritrovamento di tracce di dna di carne di cavallo pari all'1 per cento, ha determinato una serie di effetti negativi e penalizzanti per l'intero settore agroalimentare italiano ed in particolare per la filiera interessata, come dimostra il calo delle macellazioni e del consumo di carne rossa, accentuatosi dopo il sequestro di 300 mila confezioni all'interno del ragù Star di carne di cavallo macinata e proveniente dalla Romania;
   il fenomeno della contraffazione agroalimentare nel nostro Paese è particolarmente diffuso, ed ha caratteristiche e peculiarità non riscontrabili in altri settori dell'industria e determina inoltre, oltre ad ingenti danni economici per i produttori e per l'economia nazionale, situazioni di allarme alimentare e di psicosi nei confronti dei consumatori;
   a giudizio dell'interrogante, lo scandalo della carne equina sebbene configurato al momento come una truffa commerciale, avvalora la necessità di introdurre norme a livello europeo, chiare e trasparenti come già suindicato, in grado di contrastare fenomeni o tentativi fraudolenti nel delicato settore agroalimentare, ed evitare il perpetuarsi della sfiducia da parte dei consumatori i quali (oltre 6 su 10) secondo alcune indagini delle associazioni agricole sono diffidenti su quanto consumano a tavola, mentre il 45 per cento evita di comprare cibo «contaminato» per un certo periodo di tempo;
   il nostro Paese, grazie al precedente Governo Berlusconi, che attraverso la legge 3 febbraio 2011, n. 4, ha introdotto una serie di disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, volte alla definizione di regole certe relative all'etichettatura e alla tracciabilità dei prodotti agroalimentari, ha anticipato la legislazione europea sulla medesima materia; l'operato della Commissione europea, anche in questo settore particolarmente importante, procede con evidente lentezza e confusione, anche a causa di Paesi del nord Europa restii a costruire un serio sistema di tracciabilità degli alimenti;
   la decisione da parte del medesimo organismo istituzionale europeo di anticipare soltanto in autunno la presentazione del rapporto sull'etichetta attesa per fine anno, a giudizio dell'interrogante, conferma la scarsa volontà di accelerare l'introduzione dell'obbligo dell'origine in etichetta per tutti i prodotti alimentari in Europa, indispensabile per prevenire frodi e garantire al contempo la trasparenza degli scambi;
   le dimensioni dello scandalo come precedentemente riportato, di portata internazionale, ribadiscono inoltre, a giudizio dell'interrogante, come il piano limitato dei controlli con test del dna approvato dall'Unione europea, rappresenti un semplice provvedimento palliativo e certamente non risolutivo, se non accompagnato da misure strutturali destinate a durare negli anni come l'obbligo dell'indicazione in etichetta della provenienza di tutti i tipi di alimenti;
   l'interrogante rileva fra l'altro la necessità di affiancare alla predetta disposizione, un coordinamento a livello europeo di contrasto alle frodi alimentari, con il compito di fronteggiare e respingere prodotti alimentari di dubbia qualità provenienti in particolare dalla Cina, dall'India e dalla Turchia, attività attualmente svolta dall'Usmaf (uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera), che tuttavia necessita di essere potenziata;
   l'interrogante evidenzia altresì la necessità da parte del Ministro interrogato di introdurre in tempi rapidi così come recentemente dichiarato, una nuova anagrafe degli equidi per tracciare la storia sanitaria dell'animale, attraverso la notifica di tutti gli esami sanitari effettuati sui cavalli, per evitare in particolare che esemplari inizialmente impiegati nell'attività sportiva, possano essere successivamente introdotti illecitamente nella catena alimentare umana;
   allo stato attuale inoltre, l'obbligo normativo previsto dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, che impone l'indicazione della provenienza della carne commercializzata nel nostro Paese si applica alla carne bovina per la quale avviene invece viene tracciata l'intera filiera, vi è pertanto il ragionevole sospetto, a giudizio dell'interrogante, che all'estero o anche in Italia, finiscano nella catena alimentare equini trattati con sostanze pericolose per la salute umana;
   l'interrogante, in definitiva, evidenzia le evidenti lacune normative a livello comunitario in tema di etichettatura e di tracciabilità, soprattutto quella degli alimenti composti, che determinano l'esigenza di introdurre adeguate misure sanzionatorie di carattere penale, nella legislazione nazionale, configurate quale pena accessoria dell'interdizione dall'esercizio di attività agricole, industriali e commerciali nel settore alimentare a carico di coloro che siano condannati per il reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti alimentari;
   i suddetti interventi legislativi possono costituire il presupposto per invertire un trend preoccupante ed in costante aumento a livello nazionale ed internazionale contrastando la contraffazione agroalimentare e garantendo la sicurezza degli alimenti –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano opportuno, in considerazione di quanto esposto in premessa, assumere iniziative per sospendere in via cautelativa le importazioni di cavalli vivi e di carne di cavallo, quantomeno dai Paesi che non danno sufficienti garanzie per la salate dei consumatori;
   se non ritengano altresì opportuno intervenire, nell'ambito delle rispettive competenze, sia attraverso l'immediata introduzione dell'anagrafe degli equidi, che in ambito europeo, affinché sia anticipata entro il prossimo mese, la presentazione del rapporto sull'etichettatura dei prodotti a base di carne, al fine di accelerare il prima possibile l'entrata in vigore delle nuove norme, posto che lo scandalo descritto in premessa ha dimostrato il grave ritardo della legislazione europea di fronte ai rischi di frodi commerciali causati dalla globalizzazione dei mercati;
   se non ritengano opportuno inoltre confermare l'assenza di eventuali rischi per la salute dei consumatori, derivante dalla presenza di carne di cavallo, ma non dichiarata in etichetta, nei prodotti alimentari in vendita nel nostro Paese;
   quali iniziative infine intendano intraprendere in aggiunta a quelle esposte in premessa, al fine di ridurre l'incidenza di ulteriori attività fraudolente nel settore agroalimentare a scopo commerciale, il cui susseguirsi sta minando pesantemente la fiducia dei consumatori con prevedibili e gravi ricadute sia nell'ambito degli allevamenti nazionali, che per l'intera economia del Paese. (5-00001)


   PILI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 dello statuto della regione autonoma della Sardegna dispone: «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: ... d) agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario»;
   il titolo III – finanze – demanio e patrimonio, all'articolo 7, dispone: «La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»;
   l'Unione europea con il regolamento (CE) n. 247/2006 recante misure specifiche nel settore dell'agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell'Unione ha indicato le seguenti strategie relative al settore agricolo e alle regioni insulari:
    «1) La particolare situazione geografica delle regioni ultraperiferiche, rispetto alle fonti di approvvigionamento di prodotti essenziali al consumo umano, alla trasformazione o in quanto fattori di produzione agricoli, impone a queste regioni costi aggiuntivi di trasporto. Una serie di fattori oggettivi connessi all'insularità e all'ultraperifericità impongono inoltre agli operatori e ai produttori di tali regioni vincoli supplementari che ostacolano pesantemente le loro attività. In taluni casi, operatori e produttori sono soggetti ad una doppia insularità. Tali svantaggi possono essere mitigati riducendo il prezzo dei suddetti prodotti essenziali. Risulta dunque opportuno, per garantire l'approvvigionamento delle regioni ultraperiferiche e per ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, instaurare un regime specifico di approvvigionamento.
    2) A tal fine, in deroga all'articolo 23 del trattato, è opportuno esentare dai dazi le importazioni di taluni prodotti agricoli provenienti da paesi terzi. Per tener conto della loro origine e del trattamento doganale loro applicabile ai sensi delle disposizioni comunitarie, occorrerebbe equiparare ai prodotti importati direttamente, ai fini della concessione del regime specifico di approvvigionamento, i prodotti che sono stati oggetto di perfezionamento attivo o deposito doganale nel territorio doganale della Comunità.
    3) Per realizzare efficacemente l'obiettivo di ridurre i prezzi nelle regioni ultraperiferiche e di ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, salvaguardando nel contempo la competitività dei prodotti comunitari, è opportuno concedere aiuti per la fornitura di prodotti comunitari nelle regioni ultraperiferiche. Tali aiuti dovrebbero tenere conto dei costi aggiuntivi di trasporto verso le regioni ultraperiferiche e dei prezzi praticati all'esportazione verso i paesi terzi nonché, nel caso di fattori di produzione agricoli e di prodotti destinati alla trasformazione, dei costi aggiuntivi dovuti all'insularità e all'ultraperifericità»;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 del recante «Disposizioni urgenti per la crescita l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito dalla legge n. 214 del 2011, prevede che l'imposta municipale unica (IMU), istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011, sia applicata a partire dal 2012;
   all'imposta (sostitutiva dell'ICI e dell'IRPEF sulla rendita catastale) risultano essere assoggettati sia i terreni agricoli, sia i fabbricati rurali;
   si tratta di una modifica sostanziale della fiscalità, applicata al settore primario, e, in particolare, ai beni funzionali all'esercizio dell'attività agricola, che vengono assimilati, in buona parte, a puro e semplice patrimonio;
   viene meno il regime di fiscalità speciale sino ad oggi riconosciuto al settore, in virtù dei ruoli che l'agricoltore svolge e dei beni prodotti dallo stesso, non limitando, tali ultimi, alla pur essenziale produzione di cibo. Si pensi, per esempio alla salvaguardia del territorio e del paesaggio: attività connaturata all'esercizio dell'agricoltura, di cui tutti i cittadini godono, ma che, certamente, non risulta remunerata dal mercato;
   questa tipologia di immobili, come d'altra parte i terreni, costituiscono gli strumenti di lavoro dell'agricoltore e non possono, come tali, essere considerati alla stregua di pura e semplice ricchezza accumulata;
   l'IMU va a colpire l'agricoltura in un suo punto debole, costituito dalla forte immobilizzazione di capitali a bassissima redditività;
   l'applicazione ai fabbricati rurali ad uso strumentale di un aliquota ridotta allo 0,2 per cento, pur combinata con la facoltà riconosciuta ai comuni di ridurre dello 0,1 per cento detta aliquota, produrrà comunque effetti devastanti, in considerazione del fatto che, a base del calcolo vengono inseriti anche i terreni. Tanto si tradurrà in un aggravio considerevole per le aziende agricole;
   emerge una forte preoccupazione circa gli effetti che l'applicazione di questa nuova imposta possa avere su un settore strutturalmente fragile, dal punto di vista economico, ed alle prese con gli effetti di una crisi particolarmente grave;
   l'applicazione dell'IMU potrebbe, verosimilmente, accelerare il processo di dismissione del settore agricolo, che l'ultimo censimento ha fotografato in modo inequivocabilmente in declino. L'appesantimento tributario si pone in antitesi, anche, rispetto agli auspicati, e mai attuati, interventi di politica agraria nazionale indispensabili per lo sviluppo di questo comparto;
   ad essere colpite maggiormente saranno le aree a minor redditività (aree svantaggiate in genere come le regioni insulari), che spesso collimano con territori di particolare pregio ambientale e paesaggistico; l'abbandono dell'attività agricola, in tali casi, determinerebbe conseguenze devastanti ed irreversibili a danno dell'intera collettività (si pensi, in primis, alla compromissione degli equilibri idrogeologici);
   si tratta di un'imposta che avrà un impatto molto pesante sul settore agricolo, una nuova imposta che sconvolge anche il principio fondamentale che il valore dei fabbricati rurali deve essere visto in tutt'uno con la terra;
   il peso dell'IMU per le imprese agricole italiane, fra 1,3 miliardi di euro di nuove imposte e 2/3 miliardi di euro per l'accatastamento dei fabbricati rurali, è prossimo al valore della politica agricola comune per il nostro Paese;
   si tratta di un'imposta le cui indicazioni attuative appaiono oggi discutibili e contraddittorie, anche rispetto alle posizioni assunte da gran parte dei Governi e dei parlamentari europei in ordine alla politica agricola comune, di cui si discute attualmente la riforma;
   l'Imu colpirà pesantemente terreni agricoli e fabbricati rurali, dalle stalle ai fienili fino ai capannoni necessari per proteggere trattori e attrezzi, andando di fatto a tassare quelli che sono a tutti gli effetti mezzi di produzione per le imprese agricole;
   questa nuova «patrimoniale agricola» si abbatte pesantemente sugli agricoltori, in quanto colpisce il «bene terra» in quanto tale, non riconoscendone più il carattere di ruralità e la funzione di bene strumentale (ed indispensabile) all'esercizio dell'attività di impresa;
   le competenze statutariamente attribuite alla regione Sardegna in materia di agricoltura e la disposizione che prevede un sistema fiscale coordinato e armonico rendono, ad avviso dell'interrogante, l'introduzione dell'lmu per le zone agricole una palese violazione delle peculiarità autonomistiche dello Statuto sardo e conseguentemente sono in contrasto le prerogative costituzionali;
   gli indirizzi comunitari relativamente alle politiche agricole nelle aree periferiche e insulari prescrivono l'esigenza di compensare e ridurre il gap insulare che si abbatte sulle produzioni agricole di questi territori;
   l'introduzione dell'lmu anche per le zone agricole rende di fatto sempre più oneroso il divario gestionale e mette ancor più fuori mercato le produzioni agricole delle regioni insulari, disattendendo le disposizioni comunitarie –:
   se non ritenga di dover adottare immediate iniziative normative volte a escludere dalla disciplina di cui in premessa le regioni a statuto autonomo che hanno competenze esclusive per l'agricoltura e concorrenti sulla fiscalità;
   se non si ritenga alla luce delle precise indicazioni comunitarie, di dover assumere iniziative per esentare le regioni insulari e/o ultraperiferiche da un ulteriore aggravio che va a sommarsi al già pesantissimo divario legato proprio all'insularità;
   se non si ritenga di dover adottare iniziative normative che esentino dal pagamento dell'imposta i fabbricati rurali ad uso strumentale, con particolare riferimento a quelli dislocati in aree svantaggiate;
   se non ritenga necessario promuovere una revisione del meccanismo di calcolo relativo ai terreni condotti dagli agricoltori, in considerazione delle peculiarità del settore agricolo che, sino ad oggi, hanno determinato l'applicazione di specifiche regole fiscali;
   se non ritenga indispensabile e urgente l'immediata apertura di un confronto tra Governo e regioni, volto ad individuare criteri alternativi di applicazione dell'IMU senza pregiudicare la sussistenza del settore agricolo italiano.
(5-00017)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN, ZACCAGNINI, DI SALVO e MIGLIORE. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea svolge un ruolo fondamentale in materia di legislazione agroalimentare occupandosi degli aspetti normativi di tutta la filiera agroalimentare e dettando regolamenti e direttive per gli Stati membri così da ampliare ancora di più la tutela del consumatore e del cittadino europeo;
   tale visione riflette il concetto di human security che è parte della più ampia eccezione di global security, per cui, ogni cittadino europeo è titolare del diritto di sicurezza, proveniente per lo più da ambiti esterni (global security) ma anche quale soggetto di sicurezza individuale nell'accezione più ampia del termine, da minacce multiformi, come quella provocata dal degrado dell'ambiente o dalla scarsità o dalla scarsa qualità delle risorse agroalimentari (human security);
   l'azione comunitaria si muove secondo alcune direttrici principali quali: a) la protezione della vita e della salute dei cittadini; b) la protezione degli interessi dei consumatori, tenendo conto della tutela dell'ambiente, realizzando la libera circolazione nell'Unione dei prodotti alimentari;
   sono due i principi applicati su cui si fonda la sicurezza agroalimentare: a) la non commercializzazione dei prodotti pericolosi per la salute; b) la tracciabilità dei prodotti alimentari, degli alimenti per animali, degli animali produttori di carne e derrate alimentari e di qualsiasi altra sostanza introdotta nei prodotti alimentari, dove viene accertata la provenienza in tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione;
   per migliorare ulteriormente il livello di sicurezza agroalimentare, su mandato del Consiglio europeo di Helsinki del dicembre del 1999, nel 2000 il commissario David Byrne, responsabile per la politica dei consumatori della UE presenta a Bruxelles il «Libro Bianco» sulla sicurezza agroalimentare, in cui uno dei punti principali della politica europea in materia consiste nell'aver distinto le azioni politiche dalle analisi scientifiche prevedendo la creazione di un'apposita Authority – l'EFSA (European Food Security Authority – Autorità europea per la Sicurezza Alimentare) separando quindi la funzione di indirizzo della Commissione da quella di controllo e di analisi del rischio dell’Authority, per cui la politica sulla sicurezza agroalimentare è di competenza della Commissione svolgendo invece l’Authority compiti di analisi del rischio e di verifica scientifiche;
   l'EFSA, ha sede in Italia, a Parma, con il compito di curare gli aspetti di consulenza scientifica, di valutazione e di gestione del rischio dei prodotti alimentari, con tre compiti fondamentali: a) collaborare con esperti di tutti gli Stati membri b) condividere dati e risultati di studi scientifici, c) armonizzare i sistemi nazionali per la valutazione del rischio;
   la principale attività dell’Authority consiste nel fornire consulenza scientifica in merito a qualsiasi tema riguardante la sicurezza alimentare e animale e i pareri sono utilizzati dagli organi che devono successivamente mettere a punto gli aspetti legislativi e le politiche di sicurezza di settore;
   le politiche europee di sicurezza alimentare si basano sul principio di precauzione che è uno strumento essenziale per fronteggiare quelli che sono definiti rischi di natura alimentare, prevenendo una soluzione certa ai rischi incerti, per cui l'impegno dell'Unione europea in questo settore strategico per la salute e il benessere dei cittadini è minimizzare il più possibile i rischi tendendo al più alto livello di sicurezza;
   la suddetta autorità, dopo lo scandalo della mucca pazza (bse) del 2000/2001 è stata vista come una garanzia contro la violazione del principio della tracciabilità dei prodotti agroalimentari;
   purtroppo l'Autorità stessa è invece accusata da numerose organizzazioni di agricoltori e consumatori di scarsa indipendenza come ben evidenziato proprio nella rubrica «Madre Terra» nel numero del settimanale il Punto di venerdì 8 marzo, presente anche nella rassegna stampa della Camera dei deputati;
   nonostante l'obbligo europeo l'Italia ad anni di distanza non ha ancora provveduto a dotarsi dell'Autorità Nazionale per la sicurezza agro-alimentare anche per il mancato accordo tra i ministeri competenti;
   la gravità della situazione è confermata dai recenti casi di contraffazione dei prodotti alimentari con carne di cavallo non dichiarata in etichetta, di prodotti di frutticoltura (ciliegie e kiwi) e di animali in cui sono stati utilizzati sostanze ormonali illecite, di produzioni di olio extra vergine di oliva di qualità non rispondente all'etichetta:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere:
   a) per promuovere, anche attraverso le opportune azioni in ambito UE, il potenziamento della funzione di terzietà dell'Autorità europea di sicurezza alimentare – EFSA, rispetto alle multinazionali agroalimentari, per la salvaguardia degli interessi dei consumatori europei;
   b) per valutare l'opportunità e la necessità dell'istituzione in Italia di un'Agenzia di tutela delle produzioni agroalimentari sia per gli aspetti di sanità che di qualità dell'alimento, con il compito di coordinare le azioni dei diversi organismi dipendenti dai due Ministeri, attraverso un nuovo organismo centrale di raccolta delle informazioni e impulso delle indagini e controlli;
   c) per accertare le responsabilità della sostanziale presenza del Ministero delle politiche agricole in tutta la prima fase di emergenza relativa alla presenza di carne di cavallo non dichiarata in etichetta proprio mentre ciò causava sconcerto nei consumatori ed un crollo della vendite anche di prodotti assolutamente di qualità ma non distinguibili da quelli truffaldini. (4-00020)


   PILI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la rilevante filiera del comparto ippico, da sempre radicato nella cultura e nella tradizione del nostro Paese rischia di scomparire in seguito a provvedimenti legislativi e non solo che hanno gravemente condizionato l'attività e il suo sviluppo;
   la trasformazione dell'UNIRE in Agenzia per lo sviluppo del settore ippico, struttura tecnico-operativa di interesse nazionale posta sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, non consente una gestione finanziaria ed economica a seguito anche della mancata attuazione delle previsioni finanziarie necessarie al comparto;
   secondo i dati aggiornati diffusi dall'UNIRE, risultano censiti in Italia 463.961 capi con 48.500 operatori diretti del comparto ippico;
   risultano essere 610.000 gli ettari dedicati all'allevamento e alla produzione alimentare per cavalli;
   l'indotto del comparto ippico è rilevantissimo dalle produzioni di fieno e mangimi al trasporto di cavalli, sellerie e finimenti;
   i dati finanziari del settore sono evidenti: novantasei milioni all'Erario, 11 milioni per Amministrazione autonoma di monopoli di Stato, 58 milioni Iva, Irpeg e Irpef (dati 2009, fonte Unire);
   le scommesse ippiche hanno perso circa il 70 per cento del movimento in appena 5 anni: i giochi hanno avuto incrementi rilevantissimi tanto che quest'anno il loro movimento raggiungerà circa 75 miliardi ma l'ippica ne rappresenterà, appena l'1,5 per cento;
   il finanziamento statale ridotto da 150 milioni a 129 nel 2011;
   la gravità della situazione del settore ippico si registra particolarmente rilevante in alcune regioni quali la Sardegna, regione da sempre tradizionalmente legata al settore anche per la presenza della rinomata specie anglo-arabo-sarda;
   il coordinatore provinciale di Unidos e capogruppo del Popolo della Libertà nel consiglio provinciale della provincia del Medio Campidano Dario Piras con i consiglieri Daiana Cara, Gianni Lampis e Fernando Scanu hanno rappresentato, oltre alle difficoltà degli ippodromi storici della Sardegna, l'incomprensibile situazione dell'ippodromo di Villacidro, nella provincia del Medio Campidano, dove l'ippodromo ormai da anni concluso in ogni suo dettaglio e costato milioni di euro di denaro pubblico rischia di non poter essere aperto per le lungaggini burocratiche e per i ritardi con i quali si esaminano le autorizzazioni necessarie;
   le vicende legate all'ippodromo di Villacidro hanno inizio nel 2001 quando il comune di Villacidro, incontra il commissario straordinario dell'Unire Riccardo Andriani per verificare la fattibilità di realizzazione di un ippodromo a Villacidro, per il quale la regione Sardegna avrebbe destinato dieci miliardi di lire (euro 5 milioni centosessantacinquemila) come primo stanziamento;
   il commissario dell'Unire manifesta entusiasmo per l'iniziativa totalmente finanziata da fondi della regione Sardegna, esprime certezza sulle possibilità di avere le corse che dice essere l'ultimo dei problemi;
   il 3 maggio 2004, dopo aver realizzato il progetto, per il quale è intervenuto il costante confronto con i tecnici UNIRE per discutere i dettagli tecnici e realizzare un impianto all'avanguardia, viene posata la prima pietra ed inizia la costruzione dell'impianto;
   nel 2005 viene terminata la realizzazione della struttura utilizzando tutti i fondi previsti in tale fase euro 5.165.000;
   nel 2006 vengono effettuati e superati i collaudi di legge;
   nel 2007 il comune in seguito a gara pubblica assegna la gestione dell'impianto al Consorzio Corse Cavalli Villacidro scarl (società consortile alla quale partecipa la società che gestisce l'ippodromo di Grosseto, una società esperta in telematica, impiantistica e manutenzioni);
   nel marzo 2008 l'ippodromo viene inaugurato e inizia l'attività come centro d'allenamento;
   nel giugno 2008 – 1a giornata di corse – ippofestival – la regione Sardegna finanzia euro 25.000,00 e la provincia euro 3.850,00. Nonostante i premi al traguardo ripartiti tra le sei corse previste siano bassi, i partenti sono sufficienti e soprattutto l'affluenza di pubblico è elevatissima; si superano le 5.000 persone e, nonostante gli sportelli per le scommesse siano pochissimi e non ancora efficienti si realizzano oltre 10.000 euro di scommesse sul campo;
   nel dicembre 2008 – con determina della regione Sardegna n. 58912/3866/SOC del 22 dicembre 2008, la regione ha previsto lo stanziamento di euro 2.300.000,00 da destinare ad un ulteriore qualificazione funzionale dell'impianto;
   nell'aprile 2009 il tecnico inviato dall'UNIRE effettua il sopralluogo per abilitare l'impianto, dichiara che l'ippodromo presenta qualità superiori alla media per i requisiti tecnici delle strutture, ben curate, con elementi che le rendono peculiari rispetto a quelle di altri complessi. In particolare, ad esempio, la torretta multipiano nella relazione sull'impianto è stata commentata dallo stesso tecnico nel seguente modo: «per la propria tipologia e funzionalità essa si presenta senz'altro innovativa ed all'avanguardia nel panorama degli impianti ippici tradizionali». Al fine di garantire la piena rispondenza alla normativa UNIRE ed il raggiungimento di un'elevata classificazione, visto che l'impianto si presenta già qualitativamente valido, durante tale visita vengono prescritti alcuni adeguamenti sulle strutture presenti;
   nell'ottobre 2010 sono stati conclusi i lavori richiesti;
   nel dicembre 2010 gli ippodromi sardi, su proposta dell'ippodromo di Villacidro, proseguono nella strada, già avviata da tempo, della creazione di un consorzio sardo per le corse dei cavalli. Il motivo che spinge gli ippodromi a cercare una forma di gestione aggregata è un coordinamento ottimale delle attività, realizzando economie di scala con lo svolgimento di servizi comuni sotto forma di out sourcing; i punti nevralgici di cui il consorzio si vorrà occupare saranno primariamente:
    a) creazione di un efficiente e moderno sistema di sorveglianza centralizzato che garantisca un elevato grado di sicurezza e controllo degli impianti consorziati;
    b) centralizzazione della redazione per una più efficace promozione radiofonica, televisiva, giornalistica e pubblicitaria in generale;
    c) investire in marketing e comunicazione, promuovendo i valori caratteristici dell'ippica, di natura sportiva, sociale, culturale, ambientale e naturalistica;
    d) snellimento delle pratiche organizzative, grazie alla costituzione di una segreteria tecnica centralizzata che coordini la programmazione delle corse nelle tre strutture e che provveda alla contabilità scuderie, ai passaggi di proprietà e alla documentazione necessaria;
    e) investire nella spettacolarità delle corse: gli ippodromi sardi, per caratteristiche tecniche, presentano peculiarità che li rendono complementari (corse su sabbia ed erba su tutte le distanze e in pista dritta sui 1.000 metri) e una programmazione del calendario unitaria e concertata permetterà di avere corse con numerosi partenti, quindi molto spettacolari, rapporti con gli enti preposti al settore;
    f) mediante una stretta collaborazione degli ippodromi con la F.I.S.E., in risposta alle oltre 90 associazioni ippiche distribuite sul territorio regionale, promuovere iniziative che interessano diverse discipline agonistiche e non, proponendo gli ippodromi come «Centri universali del cavallo». Infatti, grazie alla natura e alla polifunzionalità delle strutture tali impianti assumerebbero il ruolo di centri di riferimento per il territorio;
   l'obiettivo, che la creazione di un'unica forte ed innovativa gestione si vuol porre, è il pieno sviluppo del potenziale ippico sardo, perseguendo il raggiungimento di alti livelli qualitativi, nel rispetto delle proprie tradizioni;
   il 26 gennaio 2011 nel corso dell'incontro tenuto da tutti i responsabili degli ippodromi sardi di Sassari Chilivani e Villacidro con il segretario generale dell'Unire, in base a valutazioni legate in particolare alla valorizzazione del cavallo anglo-arabo-sardo, si prevedeva un correttivo per l'isola, in relazione alle giornate assegnate in prima istanza per il 2011;
   dopo aver previsto rispetto al 2010, un taglio di otto giornate di corse complessive per la Sardegna, il segretario generale stabiliva di «riassegnare» 6 giornate all'isola, nel seguente modo: 1 giornata di corse al «Don Meloni» di Chilivani ed 1 al «Pinna» di Sassari, portandole rispettivamente a 15 e 9 e assegnandone 4 all'ippodromo di Villacidro;
   la Sardegna sarebbe passata da 30 giornate di corse nel 2010 alle 28 del 2011 limitando così i danni causati sul comparto del cavallo da corsa in Sardegna dal nuovo sistema di assegnazione delle giornate di corsa;
   le giornate previste per Villacidro, si sarebbero dovute svolgere nel 2011 una volta chiuso l’iter abilitativo;
   il sopralluogo tecnico per l'abilitazione era stato già richiesto sin dal mese di ottobre 2010;
   dall'agosto 2011 l'ippodromo di Villacidro si trova, quindi, in attesa del sopralluogo finale abilitativo, in attesa di vedere inserite le quattro giornate formalmente nel palinsesto UNIRE, e, soprattutto, in attesa di rispondere ad un investimento di denaro pubblico di oltre 7 milioni di euro –:
   se non ritenga il Governo di assumere con sollecitudine ogni iniziativa di competenza affinché venga definito l’iter abilitativo dell'ippodromo di Villacidro al fine di poter avviare l'attività anche in considerazione delle ingenti somme stanziate per la realizzazione dell'opera;
   se non ritenga, in considerazione della condizione insulare della Sardegna, di dover promuovere un incremento del numero di corse assegnate al fine di rendere economicamente sostenibile l'attività già gravata dai maggiori costi legati ai trasporti e dalla grave crisi economica;
   se non ritenga di dover valutare positivamente l'attività di coordinamento degli ippodromi sardi e di assumere iniziative per attivare un meccanismo premiale che consenta di incentivare sia sul piano della ripartizione delle corse che sul piano economico tale tipo di coordinamento;
   se non ritenga di dover predisporre un piano di rilancio del comparto ippico valorizzando una tradizione e un valore economico che da sempre ruota attorno al comparto ippico in Italia e in Sardegna.
(4-00030)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa nazionale, sui media della rete e in particolare da due articoli pubblicati da «Il Fatto Quotidiano» e «La Stampa» rispettivamente il 7 e l'8 marzo 2013, si apprende che tracce di Cesio 137, oltre la soglia prevista dal regolamento in caso di incidente nucleare, sono stati trovati nella lingua e nel diaframma di 27 cinghiali del comprensorio alpino della Valsesia, in provincia di Vercelli;
   le analisi sono state compiute su campioni di capi abbattuti nel 2012/2013. Dopo i risultati il Ministro della salute ha attivato i carabinieri del Nas e del Noe;
   i campioni erano stati prelevati per essere sottoposti ad una indagine sulla trichinellosi, una malattia parassitaria che colpisce prevalentemente suini e cinghiali. In seguito gli stessi campioni sono stati sottoposti a un test di screening per la ricerca del radionuclide Cesio 137, così come previsto dalla raccomandazione della Commissione europea (2003/274/CE). I risultati hanno però evidenziato la presenza di un numero consistente di campioni con livelli di Cesio 137 superiori a 600 Becquerel per Kilo;
   come sostiene, Aldo Grasselli – segretario nazionale del Sindacato italiano veterinari medicina pubblica, è importante ricordare che: «i cinghiali sono degli animali sentinella delle condizioni di inquinamento dei territori in cui vivono, perché ci forniscono delle informazioni precise grazie ad un certo modo si sfruttare l'ambiente. Quindi una contaminazione degli animali deve richiedere approfondimenti e analisi del contesto ambientale, meteorologico e idrogeologico in cui vivono» –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per indagare sulla vicenda dei cinghiali contaminati dal Cesio 137 e se intendano estendere i controlli a tutte le regioni italiane ed altresì verificare se i reparti specializzati dei carabinieri e dei veterinari di sanità pubblica abbiano gli strumenti adeguati e le risorse utili ad un'analisi approfondita per un puntuale monitoraggio della fauna e dell'ambiente, stante anche il fatto che nei pressi della Valsesia insistono due siti nucleari: la centrale di Trino Vercellese smantellata nel 1987 e il sito sperimentale dell'Enea a Saluggia (VC). (4-00017)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in data 23 maggio 2012, protocollo 0065284/DG, il direttore generale dell'Enac, Ente nazionale aviazione civile dottor Alessio Quaranta ha trasmesso alla direzione generale per gli aeroporti ed il trasporto aereo dottor Gerardo Pelosi, a regione Sardegna assessore dei trasporti e, per conoscenza al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti capo di gabinetto ministro, presidente Mario Torsello e all'ufficio legislativo una propria comunicazione con oggetto: Regione Sardegna – oneri servizio pubblico;
   nella comunicazione richiamata è scritto: «Le condizioni che caratterizzano attualmente il regime onerato dello Sardegna (cosiddetti CT1 e CT2), a causa delle continue proroghe che si susseguono dal 2006 per la CT2 e dal 2007 per la CT1 non sono, al momento riconducibili a quelle previste nei relativi decreti di imposizione a suo tempo emanati»;
   la stessa comunicazione riporta le seguenti violazioni: «Infatti i vettori che operano non hanno più accettato espressamente secondo le previsioni del decreto di imposizione le condizioni previste, gli operativi non corrispondono a quelli indicati nell'allegato tecnico del decreto di imposizione, le fasce orarie non sono rispettate, eccetera»;
   a seguito delle richiamate considerazioni il direttore generale dell'Enac comunica che: «Alla luce di ciò è opportuno sottolineare che ogni iniziativa che sarà non potrà che essere ricondotta entro i termini del regime impositivo, comunque scaduto, limitatamente al tempo necessario per l'espletamento della nuova gara»;
   infine il direttore generale comunica le seguenti determinazioni: «Ciò comporta ovviamente che, per la prosecuzione dei servizi, così come previsto nel decreto di imposizione del 2007, i vettori dovranno procedere ad una nuova accettazione delle condizioni previste entro il mese di agosto e rispettare le condizioni accettate e gli operativi dei voli»;
   le comunicazioni dell'ENAC proseguono con una determinazione del direttore centrale sviluppo economico responsabile delle gare e delle relative convenzioni trasmessa in data 4 giugno 2012 alla direzione generale per gli aeroporti ed il trasporto aereo dottor Gerardo Pelosi e alla regione Sardegna – assessore dei trasporti avente ad oggetto: regione Sardegna – oneri servizio pubblico;
   il direttore centrale della sviluppo economico avvocato Fabio Marchiandi scrive: «Si fa riferimento alla riunione tenutasi presso la sede della Direzione Generale per gli aeroporti ed il trasporto aereo in data 23 maggio 2012 con l'obiettivo di individuare le possibili soluzioni per la prosecuzione del regime onerato della Sardegna dopo la gara andata deserta»;
   nella stessa missiva si afferma: «Nel corso dell'incontro i vettori Meridiana e Alitalia/Air One si sono impegnati a rinnovare l'accettazione delle previsioni dei decreti di imposizione relativi alle 6 rotte storiche della Sardegna e alle rotte della continuità minore»;
   la comunicazione prosegue con il richiamo a precisi adempimenti: «La regione autonoma della Sardegna avrebbe dovuto quindi rivolgere ai vettori un formale invito ad accettare nuovamente gli oneri e l'ENAC, a seguito di espressa indicazione del Ministero, insieme alla Regione, avrebbe dovuto consentire formalmente l'operatività degli oneri secondo quanto sopra evidenziato»;
   il direttore centrale nella sua ultima comunicazione, rimasta senza risposta alcuna, alla luce degli accessi agli atti del sottoscritto in data 4 ottobre 2012, comunica nella missiva del 4 giugno che: «Alla data odierna non si ha notizia di alcuna abrogazione dei nuovi oneri da parte di codesto Ministero né di alcuna accettazione da parte dei vettori di cui trattasi»;
   di seguito si riporta lo stralcio della comunicazione con l'affermazione più rilevante e grave della comunicazione dell'Enac con la quale si afferma: «La situazione di incertezza che si è venuta a creare non consente all'ENAC di procedere all'assegnazione degli slot di continuità territoriale in favore dei vettori i quali, dal 1o giugno scorso, stanno comunque effettuando i voli secondo l'operativo della scorsa omologa stagione di traffico senza la dovuta autorizzazione. Di tale questione se ne era data espressa menzione nel corso della riunione del 23 maggio sopra riportata»;
   infine il direttore centrale dichiara che l'intera gestione della continuità territoriale appare in totale violazione delle norme vigenti e mette nero su bianco che: «I vettori in questione quindi, ponendosi in violazione dell'articolo 807 del C.d.N., risultano essere soggetti all'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dal decreto legislativo n. 172/07 per l'atterraggio ed il decollo senza il preventivo ottenimento delle bande orarie»;
   il direttore centrale dichiara, in conclusione, l'omissione da parte della stessa Enac degli obblighi di legge: «Tale situazione, da un lato espone l'ENAC, Organismo deputato all'applicazione del citato decreto legislativo, a responsabilità per il mancato assolvimento degli obblighi di legge e, dall'altro, crea difficoltà al regolare svolgimento dell'attività aeroportuale negli aeroporti coordinati di Cagliari, Linate e Fiumicino»;
   la comunicazione si conclude con una pressante sollecitazione: «Tutto quanto sopra esposto, si resta in attesa di urgenti indicazioni, per quanto di rispettiva competenza, da parte di codeste Amministrazioni»;
   alla comunicazione sopra richiamata non sono seguite, anche per puntuale richiesta e verifica all'atto dell'accesso agli atti del 4 ottobre 2012, altre comunicazioni e la violazione richiamata risulta tale sino alla data odierna anche in considerazione delle reiterate richieste di sottoscrizione delle convenzioni da parte dello stesso Enac alle compagnie aeree rimaste inevase da parte della compagnia Alitalia;
   la stessa Alitalia CAI ha trasmesso in data 22 marzo 2011 e in data 19 aprile 2011 al presidente della regione Sardegna, al direttore generale dell'Enac e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti due comunicazioni aventi oggetto: continuità territoriale Sardegna, Vostre comunicazioni del 10 marzo 2011 sulla proroga delle convenzioni al 29 ottobre 2011;
   nelle comunicazioni dell'amministratore delegato ingegner Rocco Sabelli, è scritto: «Con riferimento alle comunicazioni in oggetto, Alitalia ed AirOne, anche tenuto conto dell'esperienza applicativa delle convenzioni in scadenza, tengono a rappresentare quanto segue: Nel regime attuale gli operatori aggiudicatari del bando risultano fortemente penalizzati. A fronte dell'assenza di compensazione finanziaria rispetto alla cosiddetta CTI (tratte da Roma Fiumicino e Milano Linate su Cagliari e Alghero), i vettori in questione, infatti:
    non possono gestire la capacità offerta, essendo imposta per decreto secondo modalità che non consentono di adeguare i livelli di offerta commerciale alla effettiva stagionalità della domanda di traffico (il giorno medio invernale esprime poco più della metà del traffico rispetto ad un giorno di operativo estivo), ciò che espone i vettori per più mesi dell'anno a un load factor di circa il 50 per cento;
    non controllano i prezzi dei biglietti, che almeno per residenti, giovani ed anziani, rispondono a tariffe prefissate che non consentono di coprire neppure i costi operativi;
    subiscono la concorrenza asimmetrica degli operatori low cost (LCC), i quali, al contrario, operano in Sardegna senza essere assoggettati ai vincoli della continuità territoriale da scali appartenenti agli stessi sistemi aeroportuali (Bergamo a Milano e Campino a Roma), concentrano gli operativi nei mesi più remunerativi dell'anno, gestiscono liberamente le politiche tariffarie modulandole in funzione dei riempimenti dei voli, e percepiscono peraltro forti incentivazioni dagli aeroporti sardi. Le LCC godono dunque al contempo dei benefici del libero mercato sotto il profilo delle leve commerciali gestita e dei benefici di un sistema assistito»;
   nella stessa comunicazione Alitalia arriva a indicare le condizioni per la nuova continuità territoriale: «Al fine di superare le criticità appena richiamate, ove l'ipotesi di libero mercato apparisse incompatibile con le esigenze della Regione Sardegna, Alitalia propone di rivedere le logiche attuali e di adottare a regime una Nuova Continuità Territoriale, fondata sui seguenti principi cardine:
    assicurare un livello di flessibilità industriale (aerei di minori dimensioni e/o minore frequenze fuori stagione) coerente con la stagionalità del mercato; in alternativa prevedere livelli adeguati di compensazione finanziaria (modello CT2 già operativo per le rotte minori) per quei periodi dell'anno e/o per quella parte dell'offerta di collegamenti che si ritiene di preservare per ragioni di utilità pubblica;
    garantire livelli di prezzo per le categorie aventi diritto che siano in grado almeno su base annua di remunerare i costi operativi diretti»;
   l'Alitalia nel prosieguo della comunicazione arriva persino ad indicare la gestione del transitorio e afferma: «in attesa della costruzione della nuova continuità territoriale, sarebbe tuttavia auspicabile l'introduzione almeno di una maggiore flessibilità in termini di capacità, frequenze ed orari, che già per la imminente stagione Summer 2011 preveda le ottimizzazioni rappresentate nella citata riunione del 21 marzo scorso»;
   nella lettera dell'amministratore delegato di Alitalia è, infine, confermata l'indisponibilità della Società a sottoscrivere le convenzioni di proroga: «L'accettazione della proroga, da parte di Alitalia ed Airone, è dunque subordinata all'ottenimento di garanzie in tal senso»;
   la lettera dell'amministratore delegato di Alitalia si conclude con la seguente formula: «Si resta in attesa di un riscontro, riservandosi di inviare alla Regione Sardegna ed all'Enac una formale comunicazione in ordine alle motivazioni che giustificano una minore capacità e la riduzione dei voli, con relativa quantificazione»;
   dalle comunicazioni Enac e dalle condizioni poste da Alitalia CAI si evince in modo inequivocabile che la stessa Alitalia stia operando senza aver sottoscritto le convenzioni, come risulta obbligata da tutte le comunicazioni richiamate, e che, così come in modo esplicito dichiarato dal direttore centrale dello sviluppo economico, le compagnie stiano operando «ponendosi in violazione dell'articolo 807 del C.d.N., risultano essere soggetti all'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dal decreto legislativo n. 172/07 per l'atterraggio ed il decollo senza il preventivo ottenimento delle bande orarie»;
   l'articolo 807 del Codice della navigazione – Utilizzazione degli aeroporti coordinati recita: «La partenza e l'approdo di aeromobili negli aeroporti coordinati, come definiti dalla normativa comunitaria, sono subordinati all'assegnazione della corrispondente banda oraria ad opera del soggetto allo scopo designato. L'assegnazione delle bande orarie, negli aeroporti coordinati, avviene in conformità delle norme comunitarie e dei relativi provvedimenti attuativi. Si applica, altresì, la disciplina sanzionatoria attuativa delle norme comunitarie direttamente applicabili»;
   il decreto legislativo 4 ottobre 2007, n. 172 dispone la «Disciplina sanzionatoria in materia di assegnazione di bande orarie negli aeroporti italiani relativamente alle norme comuni stabilite dal regolamento (CE) n. 793/2004 che modifica il regolamento (CEE) n. 95/93 in materia di assegnazione di bande orarie negli aeroporti comunitari»;
   l'articolo 1 del decreto legislativo n. 172 del 2007 dispone l'ambito di applicazione e recita: 1. Il presente decreto reca la disciplina sanzionatoria per la violazione del regolamento (CE) n. 793/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che modifica il regolamento (CEE) n. 95/93 del Consiglio, del 18 gennaio 1993, relativo all'assegnazione di bande orarie negli aeroporti della Comunità, di seguito denominato: regolamento;
   in base all'articolo 3 del medesimo decreto l'ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.) è responsabile dell'applicazione del regolamento e dell'irrogazione delle sanzioni amministrative previste all'articolo 4;
   l'articolo 4 dispone le norme sulle violazioni amministrative e sanzioni:
    1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 14, paragrafo 4, del regolamento, l'ENAC, verificata l'assenza di cause di esclusione dello responsabilità di cui all'articolo 5, irroga le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie, per le violazioni di seguito elencate:
    a) l'atterraggio o il decollo in un aeroporto coordinato, senza l'ottenimento preventivo della banda oraria, comporta la sanzione amministrativa di centomila euro;
    b) non corretto utilizzo della banda oraria, assegnata dal coordinatore, nelle operazioni di atterraggio o decollo in un aeroporto coordinato, per più di quattro volte consecutive, comporta la sanzione amministrativa da trentamila euro a settantamila euro;
    c) lo spostamento, il trasferimento o lo scambio di bande orarie in difformità da quanto previsto dal regolamento comporta la sanzione amministrativa da diecimila euro a cinquantamila euro;
    d) la mancata o non corretta informativa fornita al coordinatore dal vettore, che incida sulla regolare assegnazione delle bande orarie, comporta la sanzione amministrativa da duemila euro a diecimila euro;
   sono fatti salvi dal regolamento, articolo 5, i seguenti «Casi di esclusione della responsabilità»:
    1. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, le sanzioni previste all'articolo 4 non si applicano in caso di:
    a) fermo operativo, non programmato, del tipo di aeromobile generalmente usato per il servizio in questione;
    b) chiusura di un aeroporto o di uno spazio aereo;
    c) gravi perturbazioni delle operazioni negli aeroporti interessati, comprese le serie di bande orarie presso altri aeroporti comunitari connesse a rotte che sono state interessate da tali perturbazioni, durante una parte sostanziale della pertinente stagione di traffico;
    d) interruzione dei servizi aerei a causa di un'azione che è intesa ad influire su detti servizi, che impedisce, praticamente e/o tecnicamente, al vettore aereo di effettuare le operazioni come previsto;
   l'Enac al fine di assegnare le bande orarie e quindi gli slot operativi, così come affermato dal direttore centrale dello sviluppo economico, avrebbe dovuto disporre dell'accettazione dell'atto aggiuntivo della convenzione tra ENAC, Ente nazionale per l'aviazione civile, regione autonoma della Sardegna e società Alitalia Cai;
   tale atto non è stato mai sottoscritto;
   Enac, regione autonoma della Sardegna e società Alitalia CAI hanno sottoscritto una convenzione per l'affidamento dei servizi di trasporto aereo di linea sulla rotta Cagliari-Milano Linate e v.v., in conformità all'imposizione di oneri di servizio pubblico pubblicata sulla G.U.U.E. 232 del 10 settembre 2008 ed al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 103 del 5 agosto 2008;
   la vigenza di tale convenzione, nelle more del perfezionamento della procedura per la nuova continuità territoriale, è stata prorogata, a garanzia della mobilità dei cittadini sardi, sino al 29 ottobre 2011 con note n. 90993/ENAC/DG del 5 agosto 2010 e 31334/DG del 10 marzo 2011 alle stesse condizioni tecnico-operative;
    alla data del 30 ottobre 2011, a causa della revoca dei decreti ministeriali che avrebbero introdotto dal 27 marzo 2011 il nuovo regime onerato sulle rotte da e per gli scali sardi, la procedura per la determinazione di tale nuovo regime non è ancora stata finalizzata;
   sulla G.U.U.E. 10 del 12 gennaio 2012 è stata pubblicata l'informativa relativa alla nuova imposizione di oneri di servizio pubblico sulle sei rotte storiche della Sardegna di cui al decreto ministeriale n. 413 del 29 novembre 2011;
   l'articolo 2 del citato decreto n. 413 del 29 novembre 2011 prevede che «gli oneri di servizio pubblico diventano obbligatori a decorrere dal 25 marzo 2012»;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota 4485 del 28 ottobre 2011 ha chiesto all'ENAC di adottare ogni iniziativa per consentire la prosecuzione degli attuali oneri di servizio;
   è stato predisposto l'atto aggiuntivo che, in analogia con la prima convenzione sarebbe dovuto essere stipulato tra ENAC, regione autonoma della Sardegna ed Alitalia CAI;
   l'atto aggiuntivo non sottoscritto prevedeva:
    «Articolo 1 – (Oggetto dell'atto aggiuntivo). – Il presente atto aggiuntivo alla Convenzione di cui alle premesse ha per oggetto la proroga del regime onerato di cui al decreto ministeriale 103 del 5 agosto 2008 per l'affidamento dell'esercizio del servizio di trasporto aereo di linea sulle rotte Cagliari-Roma Fiumicino e v.v, Cagliari-Milano Linate e v.v., alle stesse condizioni di cui al decreto ministeriale citato.
   Articolo 2 – (Decorrenza e termine). – Il presente atto aggiuntivo ha decorrenza 30 ottobre 2011 e scadenza il giorno precedente l'entrata in vigore del nuovo regime di oneri di servizio pubblico sulle rotte Cagliari-Roma Fiumicino e v.v, Cagliari-Milano Linate e v.v.
   Articolo 3 – (Disposizioni finali). – Tutte le disposizioni contenute nella Convenzione di cui alle premesse per l'affidamento del servizio di trasporto aereo di linea sulle rotte Cagliari-Roma Fiumicino e v.v, Cagliari-Milano Linate e v.v, rimangono valide ed efficaci, fatto salvo quanto espressamente previsto e convenuto con il presente atto»;
   nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 2 luglio 2012 Ministero delle infrastrutture e dei trasporti veniva pubblicato il decreto 18 giugno 2012 relativo a «Differimento della data di entrata in vigore degli oneri di servizio pubblico sulle rotte Alghero-Roma Fiumicino e viceversa, Alghero-Milano Linate e viceversa, Cagliari-Roma Fiumicino e viceversa, Cagliari-Milano Linate e viceversa, Olbia-Roma Fiumicino e viceversa, Olbia-Milano Linate e viceversa»;
   nel decreto 18 giugno 2012 vengono richiamati:
    il decreto n. 413 del 29 novembre 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – serie generale – n. 294 del 19 dicembre 2011 che ha imposto nuovi oneri di servizio pubblico sulle rotte sopra indicate ed in particolare l'articolo 2 e l'articolo 6 con i quali è stata fissata al 25 marzo 2012 la data per l'entrata in vigore dei nuovi oneri e la cessazione degli effetti del decreto ministeriale n. 103 del 5 agosto 2008;
    il decreto n. 102 del 23 marzo 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – serie generale – n. 82 del 6 aprile 2012 ed in particolare l'articolo 1 che ha posticipato al 1o giugno la data di entrata in vigore dei nuovi oneri di servizio sulle rotte sopra indicate, nonché la cessazione degli effetti del decreto ministeriale n. 103 del 5 agosto 2008;
    la comunicazione della Commissione europea relativa all'imposizione di nuovi oneri di servizio pubblico sulle rotte stesse, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea serie C 10 del 12 gennaio 2012, ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 4, comma 1, del Regolamento (CE) n. 1008/2008;
    la comunicazione della Commissione europea relativa ai bandi di gara per la concessione in esclusiva e con compensazione finanziaria dei collegamenti aerei di linea sulle rotte in questione, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea serie C 38 dell'11 febbraio 2012, ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 4, del Regolamento (CE) n. 1008/2008, nella quale viene indicato il termine ultimo per la presentazione delle offerte;
   nello stesso decreto si prendeva atto che:
    nessun vettore comunitario ha accettato di effettuare i collegamenti, senza compensazione finanziaria, con le modalità previste nel decreto n. 413 del 29 novembre 2011;
    sono state esperite le gare europee relative alle rotte interessate, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea serie C 38 dell'11 febbraio 2012, con Comunicazione della Commissione serie C 38 dell'11 febbraio 2012 e che le stesse sono andate deserte;
    con la nota n. 3018 del 12 aprile 2012, la regione autonoma della Sardegna ha comunicato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed all'Ente nazionale per l'aviazione civile che, entro il termine ultimo di presentazione delle offerte, nessun vettore aereo ha presentato offerta di partecipazione alle gare sopra citate;
    con la nota ministeriale n. 2517 del 24 maggio 2012, è stata informata la Commissione europea, per il tramite della rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea, del risultato della gara;
    la nota del presidente della regione autonoma della Sardegna prot. n. 3695 del 28 maggio 2012 ha richiesto il differimento del termine di entrata in vigore degli oneri di servizio pubblico sulle rotte in questione, alla data del 27 ottobre 2012 e con la quale la regione rappresenta la necessità di approfondire l'analisi delle mutate e mutevoli condizioni di mercato che hanno condotto all'esito negativo della gara, anche procedendo ad una revisione del contenuto degli oneri ovvero ad una loro mera rimodulazione;
   al fine di consentire la proroga del regime onerato di cui al decreto ministeriale n. 103 del 5 agosto 2008, fino alla fine della stagione aeronautica Summer 2012 il Ministro ha emanato un proprio decreto con il quale ha disposto che a decorrere dal 1o giugno 2012, l'articolo 1 del decreto ministeriale n. 102 del 23 marzo 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – serie generale – n. 82 del 6 aprile 2012, è così modificato: Articolo 1. – Gli oneri di servizio pubblico di cui all'articolo 1 diverranno obbligatori a partire dal 27 ottobre 2012;
   dal 1o giugno 2012, l'articolo 2 del decreto ministeriale n. 102 del 23 marzo 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – serie generale – n. 82 del 6 aprile 2012, è così modificato: «Articolo 6. – A decorrere dalla data del 27 ottobre 2012 cessano gli effetti del decreto n. 103 del 5 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – serie generale – n. 199 del 26 agosto 2008, avente per oggetto “Imposizione da parte dell'Italia degli oneri di servizio pubblico sui servizi aerei di linea tra Alghero-Roma Fiumicino e viceversa, Alghero-Milano Linate e viceversa, Cagliari-Roma Fiumicino e viceversa, Cagliari-Milano Linate e viceversa, Olbia-Roma Fiumicino e viceversa, Olbia-Milano Linate e viceversa”»;
   l'articolo 3 ha previsto che a decorrere dal 1o giugno 2012, l'articolo 3 del decreto ministeriale n. 102 del 23 marzo 2012, è così modificato: «Il paragrafo 8.1 dell'allegato tecnico al decreto ministeriale n. 413 del 29 novembre 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – serie generale – n. 294 del 19 dicembre 2011 è così modificato: “8.1. – Gli oneri di servizio pubblico disciplinati dalla presente imposizione diventano obbligatori alla data del 27 ottobre 2012”»;
   tale quadro tecnico-amministrativo e giuridico si può sintetizzare con l'affermazione riportata dall'Enac nella propria comunicazione del 4 giugno 2012 al Ministero dei trasporti e alla Regione Sardegna dove si afferma l'impossibilità dell'Enac «di procedere all'assegnazione degli slot di continuità territoriale in favore dei vettori i quali, dal 1o giugno scorso, stanno comunque effettuando i voli secondo l'operativo della scorsa omologa stagione di traffico senza la dovuta autorizzazione»;
   la mancata autorizzazione ad effettuare i voli per mancata assegnazione delle bande orarie, oltre alla gravità in sé, e al libero arbitrio che la compagnia Alitalia esercita sull'intero sistema aeroportuale sardo, si configura come una evidente, conclamata, accertata e dichiarata violazione delle norme del codice della navigazione;
   in tal senso è l'Enac stessa a rappresentare che i vettori in violazione dell'articolo 807 del codice della navigazione risultano essere soggetti all'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dal decreto legislativo n. 172 del 2007 per l'atterraggio ed il decollo senza il preventivo ottenimento delle bande orarie;
   le norme attuative del decreto legislativo n. 172 del 2007 fanno configurare tali sanzioni nella prima fattispecie prevista per l'aeroporto coordinato di Cagliari che prevedono che «l'atterraggio o il decollo in un aeroporto coordinato, senza l'ottenimento preventivo della banda oraria, comporta la sanzione amministrativa di centomila euro»;
   la compagnia Alitalia ha effettuato dall'aeroporto coordinato di Cagliari dal 1o giugno ad oggi una media di 18/20 voli giornalieri (atterraggi e decolli) per complessivi 2.340 voli;
   la sanzione da applicare, pur non essendo specificata nel regolamento la metodologia di calcolo, se si intenda a volo o autorizzazione complessiva delle bande orarie, risulterebbe di cifre rilevantissime che sono state omesse all'erario e che risultano non elevate nei confronti della società Alitalia CAI;
   la mancata, palese e reiterata, firma delle convenzioni aggiuntive di proroga con una dichiarata indisponibilità alla sottoscrizione rappresenta di per sé un elemento che renderebbe, da solo, inconfutabile la possibile omissione d'atti d'ufficio, il favoreggiamento e l'abuso d'atti d'ufficio, oltre all'evidente danno all'erario;
   l'esercizio delle rotte e degli slot senza la necessaria autorizzazione, che non risulta possibile rilasciare proprio per via della mancata accettazione degli oneri di servizio pubblico che costituiscono il presupposto per la concessione delle bande orarie, rappresenta un fatto di una gravità inaudita per il quale si rende necessario un immediato e urgente intervento in grado di ripristinare la legalità in tale delicato settore del trasporto aereo;
   le argomentazioni secondo l'interrogante pretestuose, illogiche, prive del più elementare senso del diritto, e palesemente fuori luogo dell'amministratore delegato dell'Alitalia che, non comprendendo la ratio dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico per le regioni insulari, ritiene di dover proporre flessibilità tariffaria, la differenziazione tra residenti e non, oltre a voler contrastare il positivo apporto delle compagnie low cost allo sviluppo economico dell'isola;
   il palese tentativo di venir meno alla tariffa unica tra residenti e non residenti che costituisce un fondamento del diritto alla mobilità e alla continuità territoriale per regioni insulari e ultraperiferiche costituisce di per sé un attentato al diritto fondamentale alla mobilità delle persone e delle merci;
   il tentativo esplicito delle compagnie aeree di impedire l'applicazione di questo elementare principio di pari diritti e non discriminatorio tra cittadini europei è un fatto di gravità inaudita se le istituzioni a tutti i livelli, nazionale e regionale, si fanno ad avviso dell'interrogante condizionare da tale atteggiamento prevaricatorio, arrogante e ricattatorio;
   risulta altresì di gravità inaudita, sul piano amministrativo, giuridico e penale che due compagnie aeree partecipino, condizionino, e di fatto indirizzino i bandi di gara relativi al servizio pubblico di continuità territoriale;
   risulta dai verbali di riunione in possesso del sottoscritto che in un contesto di analisi delle procedure di gara, dei risultati delle stesse gare e delle procedure da seguire per il nuovo bando abbiano esplicitamente e fattivamente partecipato le compagnie aeree Alitalia e Meridiana che avrebbero, secondo i verbali, accolto favorevolmente la disponibilità a poter disporre di flessibilità nella scelta dell'operativo;
   non risulta chiaro chi tra gli interlocutori abbia dato questa disponibilità e se questa indicazione riguardasse il regime di proroga o quello futuro del nuovo bando, ma di certo costituisce una violazione delle più elementari regole della pubblica amministrazione in relazione alla trasparenza e al trattamento equo tra concorrenti;
   le reiterate azioni messe in atto dalle compagnie aeree nei confronti del sistema low cost della Sardegna e le gravi dichiarazioni del Sottosegretario Improta, che per opportunità e buon senso dovrebbe astenersi dal condurre egli stesso un'azione devastante rispetto ad un potenziale economico decisivo e rilevante per la Sardegna, inducono a pensare che si stia tentando di mettere in atto un'azione di ricatto e di stampo monopolista del trasporto aereo in Sardegna;
   sull'argomento è stata già presentata un'interpellanza, urgente nella XVI legislatura; la risposta resa dal Governo in tale sede è apparsa tuttavia all'interpellante del tutto insoddisfacente –:
   se non si ritenga opportuno aprire un'inchiesta interna al fine di accertare se vi siano state omissioni nei confronti delle procedure sanzionatorie nei confronti della compagnia Alitalia-Cai e chi ne siano i responsabili;
   se non si intenda procedere all'elevazione delle sanzioni previste e all'urgente riscossione al fine di ripristinare la legalità operativa e gestionale della continuità territoriale da e per la Sardegna;
   se non si intenda prendere atto dell'inconsistenza giuridica dell'accordo sottoscritto con la regione Sardegna relativamente al passaggio delle competenze e procedere come previsto per casi analoghi con la predisposizione di norme attuative che individuino con certezza e puntualità funzioni, compiti e responsabilità nella gestione della continuità territoriale;
   se non si intenda richiamare tutti i responsabili del Ministero e degli organismi competenti a non partecipare più a nessuna riunione dove siano presenti responsabili di compagnie aeree, lasciando il compito di verificare gli adempienti contrattuali solo ed esclusivamente ad un unico responsabile del procedimento;
   se non si ritenga di dover disporre che il calcolo dell'ora volata proposto nell'allegato tecnico della precedente conferenza dei servizi sia definito ufficialmente da un soggetto che se ne assume, sotto ogni punto di vista, anche penale, la responsabilità;
   se non si ritenga di dover disporre che, in via cautelare, i funzionari del Ministero rigettino la base di calcolo dell'ora volata prevista nell'allegato tecnico della precedente conferenza di servizi considerato che lo stesso calcolo è frutto di interventi del tutto evidenti che ne hanno alterato il senso e la cui condivisione costituirebbe un'evidente corresponsabilità;
   se non si ritenga di dover disporre che i funzionari preposti verifichino che il prossimo bando per la continuità territoriale non escluda tipologie di compagnie aeree attraverso clausole identificative o limitanti che renderebbero il bando viziato all'origine;
   se non si ritenga di dover chiarire le responsabilità evidenti per la mancata pubblicazione del nuovo bando che costituisce di fatto un elemento che oggettivamente favorisce una sorta di anarchia nei cieli della Sardegna tutto teso ad avvantaggiare le compagnie aeree operanti nell'isola e che puntano ad esercitare un monopolio evidente sulle rotte da e per l'isola.
(2-00005) «Pili».

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio postale di Pisticci Scalo è stato oggetto pochi giorni fa di una rapina;
   dal giorno della rapina l'ufficio postale non è stato più riaperto con gravi conseguenze per l'utenza costretta a dover spostarsi presso altri uffici postali;
   l'ufficio di Pisticci scalo oltre a servire un quartiere residenziale e anche diverse contrade rurali è situato in un'area industriale e quindi rappresenta un servizio fondamentale;
   non sono chiare le ragioni di questa chiusura l'interrogante paventa possa trattarsi di un pretesto per procedere ad una chiusura inaccettabile –:
   se e quali iniziative il Governo intenda promuovere per verificare con poste italiane quanto deciso per l'ufficio di Pisticci Scalo e se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza per la piena operatività dell'ufficio postale.
(3-00001)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 gennaio 2012 la società Alcoa, con un comunicato ufficiale, annunciava la decisione di fermare le proprie produzioni in tre stabilimenti di alluminio primario in Europa nel quadro di una ristrutturazione già annunciata nella globale attività primaria, tra cui quello di Portovesme;
   il 27 marzo presso il Ministero dello sviluppo economico veniva siglato un accordo che prevede il ritiro della procedura di mobilità e il mantenimento della produzione che, proseguirà fino al 31 ottobre 2012 se non vi sarà un compratore, con conseguente avvio della Cassa integrazione per i lavoratori a partire dal 1° novembre. Ma è prevista l'inizio della fermata dal 1o settembre qualora nessun acquirente abbia sottoscritto una lettera d'intenti per l'acquisto dello stabilimento entro il 31 luglio;
   al 22 di agosto 2012 non risulta sottoscritta nessuna lettera d'intenti con il risultato che non è stata perseguita e raggiunta nessuna soluzione concreta per il costo dell'energia elettrica nel Sulcis e dall'altra risulta totalmente fallita la ricerca di nuovi acquirenti dello stabilimento Alcoa di Portovesme;
   nel mese di agosto, nella fase più delicata della vertenza, a poche settimane dalla data di avvio della fermata dell'impianto di Portovesme, con una mobilitazione durissima delle forze sindacali e operaie del Sulcis tesa a scongiurare la chiusura dello stabilimento di Portovesme il Governo ha sostanzialmente dato il via libera ad incassare la sanzione di 300 milioni di euro da parte della società Alcoa;
   il board americano della società americana ha comunicato formalmente la decisione di pagare la sanzione;
   il pagamento della sanzione europea di 300 milioni di euro appare in contrasto con la linea difensiva sin qui seguita dallo Stato italiano che si è affiancato ad Alcoa nel giudizio di secondo grado per contrastare la decisione comunitaria;
   alla luce di questa situazione e dei risultati praticamente inesistenti si può affermare senza tema di smentita che la vertenza Alcoa e in più generale quella del Sulcis sia stata gestita con una superficialità senza precedenti dimostrando che il Governo non ha fatto niente per scongiurare l'imminente chiusura dello stabilimento;
   con il via libera alla Cassa Conguaglio di ottenere l'immediato pagamento della sanzione senza attendere la sentenza di secondo grado si sancisce irrimediabilmente la rottura dei rapporti con Alcoa e si porta direttamente sul baratro lo stabilimento di Portovesme;
   il risultato è eloquente: niente energia e niente acquirenti;
   si tratta di un fallimento politico e strategico di questo Governo che ha voluto pervicacemente perseguire la strada di individuare un compratore piuttosto che risolvere la questione centrale, ovvero quella energetica;
   il sottoscritto interrogante aveva ripetutamente ribadito che non si trattava di un problema di insegne e di proprietà, ma vi era una questione sostanziale e irrinunciabile da affrontare e risolvere: il costo energetico;
   il Governo, pur di coprire l'Enel contraria ad una soluzione di contratto bilaterale, l'unico percorso legittimato dall'Unione europea, ha tergiversato sino a far portare ad un binario morto la vertenza, sino alla chiusura dello stabilimento di Portovesme;
   restano ignote le ragioni per le quali il Governo non abbia evitato la rottura con Alcoa e per quale ragione abbia voluto fare cassa in piena trattativa e soprattutto in attesa di un giudizio definitivo sulla sanzione;
   resta ignoto l'utilizzo da parte della Cassa Conguagli di quelle risorse, considerato che si tratta di un caso che non appare simile a nessun precedente;
   quei trecento milioni, sia nell'impostazione tecnico giuridica che sostanziale, non erano destinati ad Alcoa, ma costituivano di fatto l'onere del riequilibrio del costo energetico del Sulcis;
   con una legge dello Stato, votata dal Parlamento, si era, infatti, deciso di riequilibrare il costo energetico del Sulcis rispetto alla media europea, non in funzione di Alcoa ma in conseguenza di una strutturale carenza elettrico energetica della Sardegna su cui si abbatteva la speculazione monopolista dell'Enel;
   l'atto compiuto dal Governo e dalla Cassa Conguagli è gravissimo;
   con questo comportamento il Governo di fatto sta avallando la tesi della Commissione europea pregiudicando qualsiasi altro provvedimento in direzione del riequilibrio dei costi energetici per la Sardegna, per il Sulcis, per le industrie energivore e per l'Alcoa nella fattispecie;
   se lo Stato italiano, che ha adottato quel provvedimento, anziché difenderlo sino in fondo, decide di far pagare ad Alcoa i 300 milioni della sanzione europea sta ottenendo in un colpo solo due risultati: rompe definitivamente i rapporti con Alcoa e soprattutto rende impossibile un qualsiasi atto o provvedimento finalizzato al riequilibrio del costo energetico;
   la decisione del board americano di pagare tutto e subito, comunicata nelle scorse ore al Governo e alla Cassa Conguagli, rende tutto la vertenza sempre più difficile;
   la società Alcoa, a questo punto, non avrà nessun tipo di condizionamento e, non avendo più niente da perdere, potrà sancire senza mediazione alcuna la decisione definitiva chiusura dello stabilimento;
   una situazione che pregiudica in modo forse irreversibile la vertenza Sulcis e quella Alcoa in particolar modo, proprio oggi che sarebbe stato necessario avere dalla società americana una disponibilità a far slittare ulteriormente il fermo degli impianti;
   si tratta di un Governo che ha scelto una strada irresponsabile che ha fatto cadere nel vuoto gli appelli reiterati ad affrontare subito e senza perdite di tempo la questione energia;
   ad oggi non esiste un percorso, né tecnico né legislativo, per affrontare la questione e qualsiasi ulteriore dilazione rispetto a questo tema risulterà letale per l'industria dell'alluminio in Sardegna;
   esiste un solo percorso che passa attraverso l'accordo bilaterale tra l'Enel e lo stabilimento di Portovesme. Un accordo tra privati, alla pari delle altre realtà europee, a partire dalia Spagna dove l'Endesa di proprietà della stessa Enel ha fatto un analogo accordo bilaterale con le industrie dell'alluminio primario;
   i tempi sono ormai strettissimi e le soluzioni limitate;
   risulta indispensabile e irrinunciabile che il Governo predisponga un immediato «Decreto Sulcis» che ponga in essere tutte le azioni necessarie per favorire la soluzione del problema energetico, dai presupposti per l'accordo bilaterale sino all'approvazione del progetto Miniera Centrale della Carbosulcis, alla definizione della soluzione strutturale dell'Eurallumina e alla restituzione al Sulcis di quei fondi che la Cassa Conguagli riscuoterà da Alcoa;
   non è reiterabile la strategia delle vacue promesse e del continuo tergiversare;
   se si dovesse chiudere lo stabilimento di Portovesme si assesterebbe un colpo mortale sia ai presente che al futuro del Sulcis Igiesiente e verranno di fatto cancellati progetti di sviluppo futuro che non potranno reggersi in alcun modo con il crollo dell'apparato produttivo attuale;
   risulta eloquente nel quadro della vertenza Sulcis il comportamento tenuto dal Governo che secondo l'interrogante ha garantito copertura e complicità alle politiche monopoliste e sostanzialmente ricattatorie dell'Enei, in ogni sua opposizione sia al contratto bilaterale che all'approvazione del progetto Miniera Centrale della Carbosulcis;
   sul progetto Carbosulcis e la realizzazione del sistema integrato Miniera Centrale cattura e stoccaggio della CO2 il Governo sino ad oggi ha fatto solo finta di appoggiarlo a Bruxelles ma in realtà non lo ha approvato e tantomeno finanziato nonostante un decreto del Presidente della Repubblica che lo annovera tra quelli inseriti tra i fruitori del CIP 6;
   per smentire questi elementi gravi e reiterati il Governo deve adottare entro questo mese un «decreto ricognitivo-attuativo» dello stesso progetto Carbosulcis, dargli copertura finanziaria e sostenerlo concretamente in Europa;
   se il Governo dovesse continuare a non decidere e tergiversare renderebbe palese l'avallo alla contrarietà dell'Enel che punta tutto sulla centrale di Porto Tolle in Veneto –:
   se non ritenga il Governo di dover rimuovere, con tutte le iniziative persuasive o istituzionali che riterrà opportune, la situazione che lo Stato italiano rileva nelle dichiarazioni riportate nella decisione della Commissione europea del 29 novembre 2009, dove ha sostenuto che «con la sovraccapacità di generazione di elettricità prevalente in Sardegna Alcoa normalmente avrebbe un notevole potere di negoziazione e otterrebbe un prezzo concorrenziale soltanto leggermente superiore al costo di produzione marginale del produttore. Il fatto che ciò non sia possibile in Sardegna è da imputare al comportamento dell'operatore dominante, che può fissare il prezzo in Sardegna e non ha alcun interesse commerciale a vendere a un prezzo inferiore, sapendo che Alcoa non può acquistare altrove l'elettricità di cui ha bisogno. Inoltre, in situazione di duopolio (ENEL e ENDESA-oggi E.ON) entrambi gli operatori possono avere interesse ad applicare un prezzo superiore al prezzo economicamente ottimale, onde evitare di creare «un cattivo precedente» nel resto d'Italia»;
   se non ritenga di dover porre in essere tutte le autorevoli ed urgenti iniziative necessarie a scongiurare la decisione annunciata dalla società Alcoa, a partire dalla promozione di giuste intese con la società Enel affinché vengano garantite, attraverso contratti bilaterali, tariffe uniformi ad altri analoghi contesti europei gestiti direttamente dalla società Enel attraverso la controllata Endesa;
   se non ritenga necessario promuovere attraverso le opportune e persuasive azioni la definizione di accordi bilaterali decennali con le società di produzione elettrica al fine di riequilibrare il mercato che risulta distorto da posizioni dominanti e monopoliste;
   se non ritenga al fine di definire un piano strategico di rilancio dell'industria dell'alluminio primario in Italia, e proporre alla Commissione europea un vertice dei Ministri competenti per definire con sollecitudine una strategia che scongiuri la delocalizzazione dall'Europa dell'industria primaria di alluminio, non solo attivando quelle azioni indispensabili per favorire il mantenimento degli asset produttivi in Europa;
   a promuovere un apposito provvedimento d'urgenza con il quale venga definito:
    a) un contratto di programma per la filiera dell'alluminio primario che consenta la razionalizzazione del processo produttivo sia per quanto riguarda la produzione elettrica che la ripresa produttiva dello stabilimento Eurallumina;
    b) l'approvazione e il finanziamento del progetto integrato Miniera – Centrale – cattura e Stoccaggio CO2 in attuazione del decreto apposito del Presidente della Repubblica del 1994 che aveva inquadrato tale progetto nell'ambito di quelli sostenibili nell'ambito degli incentivi CIP6;
    a dare indirizzi alla Cassa Conguagli affinché le risorse finanziarie provenienti da sanzioni comunitarie vengano interamente finalizzate al provvedimento d'urgenza sopra indicato come «decreto Sulcis» e all'ottenimento di tutte quelle misure atte a consentire l'ottenimento di un reale e duraturo riequilibrio del costo energetico nell'area industriale del Sulcis Iglesiente. (5-00021)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la continuità territoriale marittima risulta essere per la Sardegna elemento imprescindibile e vitale;
   considerata l'apertura di una procedura d'infrazione europea sulla vendita della Compagnia Tirrenia, è indispensabile ridefinire entro giugno 2013 le convenzioni relative agli oneri di servizio pubblico con la verifica della congruità del contributo statale;
   la ridefinizione delle convenzioni costituisce elemento imprescindibile al fine di evitare il ripetersi dei gravi danni alla Sardegna dal comportamento irresponsabile della compagnia Tirrenia e degli armatori privati che hanno duramente penalizzato la passata stagione estiva;
   il riesame delle convenzioni deve avvenire tenendo conto dei reali costi di produzione e di un margine limitato di utile d'impresa e della compensazione assegnata per quel tipo di servizio –:
   se il Ministro interrogato non intenda attivarsi al fine di definire, nelle more della definizione del contenzioso europeo sulla vendita di Tirrenia, una revisione sostanziale delle convenzioni per la continuità territoriale marittima al fine di garantire per il 2013 un servizio di trasporto marittimo commisurato alle sovvenzioni già garantite alla Tirrenia per oltre 72 milioni di euro all'anno. (5-00026)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la definizione della continuità territoriale aerea e marittima, passeggeri e merci costituisce la più delicata e prioritaria questione sulla quale è indispensabile il più urgente intervento del Governo tenendo conto in particolar modo dei seguenti elementi:
    la Commissione trasporti della Camera dei deputati in data 21 aprile 2010 ha approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva relativa alla modifica della continuità territoriale aerea da e per la Sardegna;
   nel dispositivo della richiamata risoluzione si impegna il Governo:
    ad avviare un immediato confronto per ridefinire, nell'ambito della conferenza di servizi che il presidente della regione Sardegna è stato delegato ad istituire e presiedere dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la disciplina della continuità territoriale, superando quella vigente, che risulta inadeguata sia sotto il profilo concettuale che sotto quello dei servizi e dei costi, per pervenire a un modello di continuità territoriale intesa come un fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità per i territori svantaggiati, tenendo conto anche di quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
    in particolare, ad assumere le appropriate iniziative per definire e attuare una continuità territoriale che tenga conto, oltre che degli effetti del processo di liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, anche dei seguenti obiettivi:
     a) favorire l'individuazione di un maggior numero di voli e di rotte aeree da e per la Sardegna che consenta, nel contesto dello sviluppo potenziale della domanda, di avere più operatori sulla stessa rotta;
     b) favorire la possibilità di determinare, sulla base del principio di riequilibrio legato alle condizioni insulari della Sardegna, di una tariffa massima a cui si applichi il regime degli oneri di servizio pubblico, applicando, come parametro, le condizioni più favorevoli del costo ferroviario;
     c) favorire la possibilità, per tutte le compagnie aeree di poter viaggiare sulle rotte di collegamento con gli aeroporti della Sardegna, proponendo, nell'ambito di una situazione di concorrenza, ribassi rispetto alla tariffa massima prestabilita in relazione agli oneri di servizio pubblico;
    ad assumere le appropriate iniziative volte a verificare, con i competenti organismi comunitari e nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli indirizzi stabiliti dalla Commissione europea, la possibilità di estendere il regime di continuità territoriale a tutti i cittadini, in ottemperanza al principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, a prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
   dopo molti mesi dalla delega alla regione Sardegna non si è addivenuti alla definizione di nuovi decreti relativi alla continuità territoriale;
   i nuovi decreti per la continuità territoriale aerea da e per la Sardegna devono riaffermare le procedure già richiamate dalla Commissione trasporti della Camera e in particolar modo, al fine di evitare discriminazioni, l'applicazione della tariffa unica per residenti e non;
   tale obiettivo previsto nei decreti emanati dal Ministro competente nel dicembre 2011 lascia presupporre, se la norma adottata è quella che contempla nel costo complessivo del biglietto indicato nell'onere del servizio pubblico anche un ragionevole utile d'impresa, l'assoluto divieto di compensazioni illogiche e illegittime alle compagnie aeree che farebbero bloccare la continuità territoriale per palese aiuto di Stato –:
   se il Ministro interrogato non intenda attivarsi al fine di favorire l'accettazione degli oneri del servizio pubblico da parte delle compagnie aeree, scongiurando il ricorso alla gara internazionale che rischia di compromettere sia la prossima stagione estiva che l'ordinario servizio che verrebbe in quel caso assegnato in regime di esclusiva ad una sola compagnia aerea.
(5-00027)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Confida, Associazione italiana distribuzione automatica, aderente a Confcommercio, Imprese per l'Italia, ha segnalato all'interrogante la seguente situazione: la transazione per l'acquisto di prodotti dai distributori automatici avviene diffusamente per contante che – gestito direttamente dall'azienda e/o per il tramite di società di service – ha necessità di essere successivamente depositato presso le banche oppure divenire strumento di transazione con terzi (ad esempio supermercati o altri soggetti commerciali che hanno carenza e necessità di poter disporre – a loro volta – di un ammontare consistente di monete);
   nella pratica quotidiana le imprese si trovano ad affrontare aspetti di problematicità nei rapporti con le banche. Queste ultime, infatti, non accettano moneta contante, se non, in alcuni casi, applicando una cospicua «commissione» per accettarne il versamento;
   da un lato il Governo impone alle imprese e ai cittadini, in genere, di limitare significativamente l'uso del contante e, dall'altro, le banche chiedono il pagamento di una commissione per ricevere il versamento del contante stesso;
   il fenomeno, peraltro, presenta anche un rilievo sotto il profilo della sicurezza e dell'ordine pubblico. Infatti, la permanenza di quantità significative di denaro contante presso le aziende per effetto dei ritardi e/o impossibilità di deposito presso banche e/o transazioni con fornitori e terzi, costituisce un pericoloso «richiamo» per la criminalità;
   numerosi, in tutta Italia, sono i fatti di cronaca caratterizzati da furti e rapine, anche con pregiudizio per l'incolumità delle persone, presso aziende del settore;
   per effetto dell'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Riduzione del limite per la tracciabilità del pagamento a 1.000,00 euro e contrasto all'uso del contante», convertito – con modificazioni – dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, è vietato il trasferimento di denaro in contanti di importo pari o superiore a 1.000,00 euro tra soggetti diversi. L'operazione può avvenire solo per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste italiane spa;
   la recente disposizione legislativa aggrava ulteriormente la situazione richiamata in premessa, arrecando particolare pregiudizio, sotto il profilo finanziario, alle imprese che gestiscono i distributori automatici dal momento che viene meno la sola possibilità residuale che era rappresentata – come sopra accennato – da forme dirette di transazione con fornitori e soggetti terzi;
   si realizza – di fatto – uno stallo nella gestione del contante, di una gravità tale da generare in tempi molto rapidi il paradosso per il quale l'impresa si trova nell'impossibilità di depositare in banca e/o trasferire a soggetti diverse importanti somme di denaro in moneta. Tutto questo, in ultima analisi, si traduce nell'impossibilità di provvedere alle normali operazioni amministrative e finanziarie necessarie per l'attività d'impresa con conseguenze devastanti ed, in alcuni casi, letali per l'azienda stessa –:
   se non ritenga il Governo di porre in essere con urgenza tutte le autorevoli ed urgenti iniziative, anche normative, volte a rendere obbligatorio per le banche il ritiro, il deposito e l'accreditamento del contante in moneta senza l'applicazione di commissioni che rappresentano un costo aggiuntivo per le imprese non tollerabile, anche alle luce delle recenti disposizioni normative promosse dal Governo;
   se, in subordine, non ritengano i Ministri interrogati di attivare urgentemente un tavolo di confronto con l'associazione Confida – che rappresenta la quasi totalità delle imprese del settore della distribuzione automatica – per elaborare iniziative normative in deroga al comma 1 dell'articolo del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. (5-00043)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'intesa tra la regione Sardegna e il Governo il 21 dicembre 2001, (delibera n. 121 Gazzetta Ufficiale n. 51/2002 supplemento ordinario), il CIPE, ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 443 del 2001 ha approvato il primo programma delle opere strategiche, che include, nell'allegato, tra i collegamenti per potenziare il sistema di trasmissione nazionale, il «Nuovo collegamento sottomarino in corrente continua SA.PE.I.» (Sardegna – Penisola Italiana);
   la regione Sardegna (aprile 2003) ha approvato il piano Energetico ambientale regionale che ha assunto la scelta di far della Sardegna una «piattaforma energetica del Mediterraneo», privilegiando tutte le fonti di energia endogene e inserendo l'elettrodotto Sardegna Italia come infrastruttura strategica per la realizzazione di questo obiettivo;
   il 17 marzo 2011 il Ministro dello sviluppo economico ha inaugurato l'importante infrastruttura elettrica;
   l'elettrodotto è costato 750 milioni di euro;
   l'infrastruttura collega la Sardegna e il Lazio arrivando a 1.600 metri di profondità, la più alta al mondo, 435 chilometri di estensione, con una capacità di 1.000 megawatt di potenza;
   il SA.PE.I. collegherà la Sardegna alla penisola italiana con un doppio cavo sottomarino in corrente continua a 500 kV;
   il SA.PE.I. è una delle opere strategiche più importanti programmate dal governo italiano, d'intesa con la regione Sardegna, attraverso la società Terna per potenziare il sistema elettrico nazionale;
   è il secondo collegamento più lungo al mondo, dopo quello tra Olanda e Norvegia;
   l'imponente infrastruttura decisa nel dicembre 2001 era stata inserita nei programmi di governo sia nazionali che regionali con l'obiettivo di rompere l'isolamento energetico della Sardegna e favorire una produzione energetica finalizzata anche all'esportazione, consentendo, da una parte, un abbattimento dei costi di produzione e favorendo dall'altra la concorrenzialità tra i vari soggetti importatori e produttori;
   il SA.PE.I. determina un aumento della sicurezza del sistema elettrico sardo (i 1.000 megawatt del SA.PE.I. corrispondono a oltre il 50 per cento del fabbisogno dell'isola);
   l'entrata in funzione dell'elettrodotto rappresenta una decisiva opportunità per gli operatori elettrici della Sardegna di partecipare con minori vincoli di scambio alle contrattazioni del mercato elettrico, garantendo allo stesso tempo maggiore flessibilità, minori costi e sicurezza di esercizio del sistema;
   i sardi e la Sardegna dovrebbero risparmiare circa 70.000.000 euro/anno dall'entrata in funzione dell'elettrodotto e la connessione consentirà, grazie all'esportazione verso il continente, la normalizzazione del prezzo zonale dell'energia elettrica, incidendo, conseguentemente sul prezzo unico nazionale –:
   se non ritenga opportuno promuovere con gli operatori del settore elettrico-energetico regionale e nazionale un'apposita conferenza di servizi, al fine di valutare gli effetti sul mercato elettrico sardo conseguenti all'entrata in funzione dell'elettrodotto tra la Sardegna e la penisola;
   se non ritenga, nell'ambito della stessa conferenza, definire insieme agli operatori un quadro gestionale dell'infrastruttura teso a definire gli obiettivi strategici futuri e a monitorare gli effetti su larga scala e diretti sulle attività produttive sarde;
   se non ritenga di dover individuare apposite procedure di monitoraggio tese a rendere trasparenti e verificabili i benefici dell'elettrodotto garantendo che la gestione favorisca l'effettiva concorrenza tra soggetti;
   se non ritenga di proporre procedure commissariali, o comunque tese ad accelerare, per l'avvio della realizzazione del metanodotto Algeria-Sardegna-Italia, considerato il ritardo accumulatosi, e nell'ambito dello sviluppo produttivo energetico conseguente, se non ravvisi la necessità di utilizzare a pieno la nuova infrastruttura strategica dell'elettrodotto. (4-00026)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   con un comunicato ufficiale la società Alcoa ha annunciato il 9 gennaio 2012 che intendeva fermare le proprie produzioni in tre stabilimenti di alluminio primario in Europa nel quadro di una ristrutturazione già annunciata nella globale attività primaria;
   la ristrutturazione ridurrà – secondo il comunicato ufficiale – la capacità globale di fusione della Società del 12 per cento pari a 531.000 tonnellate;
   gli stabilimenti interessati da questa fermata sono quello di Portovesme in Italia, La Coruna e Avilés, in Spagna;
   nel comunicato ufficiale si legge: le strutture hanno tra i più alti costi dei produttori nel sistema Alcoa;
   a Portovesme, Alcoa avvierà – è scritto nel comunicato – il processo di consultazione per chiudere definitivamente l'impianto. Per gli stabilimenti di La Coruna e Avilés sono previste riduzioni parziali e temporanee;
   nel comunicato ufficiale si sostiene: un costo energetico non competitivo, combinato con l'aumento dei costi delle materie prime e la caduta dei prezzi di alluminio; ha portato alla fermata delle strutture;
   Alcoa ha chiuso il quarto trimestre del 2011 con ricavi pari a 6 miliardi di dollari, in calo del 7 per cento rispetto ai 6,4 miliardi del trimestre precedente ma in rialzo del 6 per cento rispetto ad un anno fa quando si erano attestati a 5,7 miliardi;
   la perdita netta è stata di 193 milioni di dollari, ossia 0,18 dollari per azione, rispetto ai 172 milioni, ossia 0,15 dollari per azione, del terzo trimestre e i 258 milioni (0,24 dollari per azione) dello stesso periodo dell'anno scorso. L'Ebitda rettificato trimestrale si è attestato a 445 milioni di dollari;
   per quanto riguarda l'intero 2011, la società ha riportato ricavi pari a 25 miliardi di dollari contro i 21 miliardi del 2010, mentre l'utile netto è stato di 611 milioni di dollari (0,55 dollari per azione) rispetto ai 254 milioni (0,24 dollari per azione) di un anno fa;
   l'alluminio è un materiale cruciale per qualsiasi sistema economico che si prefigga una crescita compatibile con il rispetto dell'ambiente;
   il tasso di crescita della domanda di alluminio è attualmente superiore a quello di ogni altro metallo, oltre che del prodotto interno lordo delle diverse economie mondiali;
   l'alluminio è una «commodity»: il prezzo internazionale si forma nelle negoziazioni di borsa al London Metal Exchange e le variazioni locali dei costi di produzione della materia prima non sono trasferibili sul prezzo finale del metallo;
   l'andamento di detto prezzo è caratterizzato da una discreta volatilità e, in termini reali, risulta decrescente, con un tasse di riduzione annuo prossimo al 2 per cento, conseguenza anche del miglioramento dell'efficienza dei processi produttivi;
   un'industria di trasformazione tecnologicamente all'avanguardia e alla capacità di innovazione e sviluppo delle applicazioni fa dell'Europa il secondo mercato mondiale dell'alluminio, con ulteriori e significativi margini di crescita;
   la produzione europea di metallo primario non è stata in alcun modo in grado di contribuire allo sviluppo di detta domanda, ed il tasso di copertura sul mercato attuata con metallo autoprodotto è sceso dal 60 per cento del 1980 al 27 per cento del 2003;
   l'import di alluminio primario dai Paesi extra – Unione europea è costantemente cresciuto oltre il 36,5 per cento del fabbisogno totale di alluminio ed il 56 per cento del fabbisogno di alluminio primario;
   il mercato interno europeo è fortemente deficitario di alluminio e il tasso di import, è a livelli mai prima raggiunti;
   l'industria europea non è in grado di coprire il deficit di metallo con una crescita delle produzioni primarie da lungo tempo a livelli stazionari;
   le produzioni secondarie sono state sviluppate sino al limite massimo della disponibilità di rottame, utilizzando pienamente la generazione interna e trovando difficoltà crescenti al reperimento di rottame dall'esterno;
   l'industria dell'alluminio primario è ad alta intensità di capitale con investimenti ad elevata durata di vita economica;
   l'industria dell'alluminio primario è, per sua natura, un'industria energy intensive; l'energia elettrica è la vera materia prima del processo produttivo incidendo per oltre il 30 per cento sui costi operativi;
   la disponibilità energetica a prezzi sostenibili è, quindi, il principale fattore di sopravvivenza economica degli impianti esistenti, ed è elemento chiave per la localizzazione dei nuovi impianti di produzione primaria (i cosiddetti smelters);
   negli ultimi anni alla posizione competitiva degli impianti italiani, e di quello sardo in particolar modo, anche per le condizioni insulari della Sardegna, si è aggiunto l'aumento del costo dell'energia elettrica, indotto non solo da fattori congiunturali attinenti alle oscillazioni dei costi delle materie prime energetiche (olio e carbone), ma anche dall'attuazione delle politiche dell'Unione europea in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia;
   il processo di liberalizzazione del mercato dell'energia in Europa è lontano dall'avere realizzato gli obiettivi di ampliamento della base produttiva, di competitività e di riduzione di prezzo attesi;
   il mercato al momento non è equilibrato, funziona ancora in un regime di oligopolio, non è affatto trasparente e, conseguentemente, non è competitivo per i clienti energy intensive, quali i produttori di alluminio;
   la carenza di riserva di generazione elettrica ed i vincoli di varia natura alla trasmissione dell'energia pongono un evidente limite strutturale ad uno sviluppo equilibrato dello stesso;
   le attuali regole di funzionamento del mercato, che opera ancora in difetto di reale concorrenza, soprattutto in Sardegna, e di negoziazione dei prezzi, e che vedono una posizione di forza preponderante dei fornitori, non sono adeguate per negoziare acquisti di energia a lungo termine;
   la formulazione del prezzo di borsa è svincolata dai fondamentali elementi di costo, o è volta a remunerare il costo marginale del produttore meno competitivo;
   l'industria dell'alluminio primario, data l'intensità del consumo energetico, è di gran lunga la più esposta all'imperfetto funzionamento del mercato energetico ed ai conseguenti aumenti dei costi;
   nelle condizioni attuali del mercato dell'energia, senza adeguati interventi strategici e contingenti si prefigura il seguente scenario:
    a) sarà impossibile la rinegoziazione dei contratti a condizioni e prezzi internazionalmente competitivi;
    b) l'incremento del prezzo dell'energia risulterà incompatibile con la sopravvivenza economica degli impianti che conseguentemente non saranno più in condizioni di operare;
    c) la produzione verrà delocalizzata in Paesi che adottano politiche energetiche compatibili con le loro ambizioni di sviluppo industriale;
    d) per la natura di «capital intensive» dell'industria del primario la delocalizzazione sarà per lungo tempo irreversibile;
    e) il metallo prodotto in tali aree, spesso a condizioni agevolate ed incentivate da risorse pubbliche, sarà importato nei Paesi della comunità;
    f) l'Europa pagherà i costi sociali ed economici connessi con la delocalizzazione;
    g) l'Europa perderà la corrispondente occupazione diretta ed indotta;
   la competitività europea sarà penalizzata in quanto:
    a) l'industria di trasformazione perderà il supporto che deriva dalla disponibilità in loco di metallo primario;
    b) l'industria manufatturiera perderà le ricadute tecnologiche apportate dalle attività primarie;
    c) il sistema europeo si troverà a dipendere completamente da importazioni extra Unione europea con ricadute negative, nel lungo periodo, anche sui consumatori;
   è indispensabile che le attuali distorsioni del mercato dell'energia vengano corrette al fine di ristabilire un bilanciamento tra fornitori e consumatori energy intensive creando un mercato competitivo che renda attraente per i produttori negoziare contratti competitivi a lungo termine con utenti «baseload»;
   l'Italia, con un consumo di alluminio di oltre 1.600.000 tonnellate/annue è il secondo Paese consumatore del metallo leggero in Europa, e dispone di una industria di trasformazione (laminazione ed estrusi) ancora importante e relativamente competitiva; la produzione nazionale di primario è pari a circa 190.000 tonnellate/annue, e copre quindi solo il 12 per cento del fabbisogno interno, il valore più basso tra i Paesi industrializzati;
   la produzione di alluminio secondario, derivante dal riciclo dell'alluminio, assomma a 700.000 tonnellate/annue, pari al 43 per cento dell'intera domanda;
   l’import assomma a circa 764.000 tonnellate/annue, pari al 47 per cento del fabbisogno;
   la produzione di alluminio primario in Italia è effettuata in due stabilimenti, entrambi appartenenti alla multinazionale Alcoa, che li ha acquistati in seguito alla privatizzazione dell'industria nazionale dell'alluminio:
    a) Portovesme, nel Sulcis Iglesiente (Sardegna) con capacità di 150.000 tonnellate/annue;
    b) Fusina, nel Veneto, con capacità di 45.000 tonnellate/annue;
   nel caso italiano, la produzione di alluminio primario risulta particolarmente strategica per le motivazioni seguenti:
    a) è integrata all'industria di trasformazione a monte e a valle della filiera produttiva, e ne costituisce una importante salvaguardia;
    b) costituisce un indiretto sostegno dell'industria del secondario, la più evoluta in Europa, che incontra difficoltà crescenti nell'approvvigionamento dall'estero del rottame;
   in Sardegna la produzione del primario costituisce l'attività principale del nucleo industriale del Sulcis Iglesiente, e fornisce un contributo insostituibile al tessuto socio-economico della regione;
   il comparto dell'alluminio primario italiano è stato privatizzato nel 1996 con l'acquisizione degli stabilimenti da parte della multinazionale Alcoa, leader mondiale del settore;
   condizione essenziale per il perfezionamento di tale privatizzazione fu la fornitura ai suddetti stabilimenti di energia elettrica ad un prezzo allineato a quello medio applicato nel resto dell'Europa per un periodo di almeno dieci anni, ossia sino al 31 dicembre 2005;
   alle intese sottoscritte all'atto della privatizzazione si diede attuazione tramite il decreto del Ministero dell'industria del commercio e dell'artigianato del 19 dicembre 1995, in forza del quale i due smelter italiani usufruirono di un regime tariffario speciale restato in vigore sino a tutto il 2005;
   l'accordo sul prezzo dell'elettricità fu approvato dalla Unione europea, riconoscendo i termini dell'intesa finalizzata a garantire il prezzo medio dell'energia a livello europeo senza configurare un ricorso ad «aiuti di Stato»; nel definire una durata decennale del provvedimento si era ipotizzato che il mercato dell'elettricità si sarebbe evoluto in maniera da poter offrire, trascorso tale periodo, prezzi sostenibili da uno smelter in competizione sul mercato mondiale;
   oggi si deve, invece, prendere atto del fatto che il lento e difficile processo di liberalizzazione del mercato dell'energia, (liberalizzazione ad oggi solo parziale e in Sardegna assolutamente inesistente) è ancora ben lontano dal realizzare gli effetti di riduzione dei prezzi e aumento dell'offerta giustamente auspicati;
   non si intravede alcuna ragionevole possibilità di negoziare in Italia (e, più in genere, all'interno del mercato europeo) una fornitura di energia, sul cosiddetto «libero mercato», in quantitativi ed a prezzi che consentano l'esercizio economicamente sostenibile di uno smelter di alluminio;
   le distorsioni al funzionamento del mercato, la sua natura essenzialmente oligopolistica, (e, spesso, di fatto ancora monopolistica, specie per quantitativi di energia particolarmente significativi) i vincoli tecnici alla produzione e distribuzione dell'energia e le inefficienze del sistema determinano una effettiva carenza di offerta, e un conseguente aumento dei costi, non giustificabile in base a quelle che sarebbero le logiche di un mercato effettivamente sviluppato;
   in tutti i Paesi dell'Unione europea la produzione di alluminio, sia primario che secondario, come detto, risulta fortemente deficitaria rispetto al fabbisogno interno generando un deficit strutturale, sia in relazione sia allo sviluppo della domanda, sia per la struttura del costo dei fattori produttivi in Europa, con particolare riferimento alla disponibilità ed al costo dell'energia, fattori a loro volta negativamente influenzati dall'imperfetto e distorto funzionamento del «libero mercato» dell'energia;
   il mantenimento in produzione della ridotta capacità di primario in Italia (12 per cento della domanda nel Paese) non può quindi togliere quote di mercato a nessun concorrente europeo, né può ostacolare l'ingresso di nuovi operatori sul mercato;
   il mantenimento per la produzione italiana di alluminio di un prezzo dell'energia equiparato alla media della concorrenza non può influenzare in alcun modo il corso del prezzo del metallo;
   il mantenimento di tale prezzo dell'energia non può danneggiare alcun concorrente europeo sotto il profilo del prezzo praticabile negli scambi intracomunitari;
   il mantenimento di condizioni di fornitura dell'energia elettrica a condizioni competitive, apporta dei concreti benefici al mercato ed al sistema socio economico non solo della Sardegna ma dell'intera nazione;
   il mantenimento della produzione dell'alluminio primario in Italia riduce il rischio di delocalizzazione delle produzioni (gli annunci della Hydro in Germania evidenziano quanto questa eventualità sia reale) a vantaggio di produzioni effettuate in Paesi dove l'energia è fornita sottocosto, e dove le tutele legali sociali ed ambientali sono a livelli infinitamente più bassi rispetto agli standard comunitari, e tali da consentire spesso l'importazione in dumping all'interno del mercato comunitario di metallo prodotto al di fuori dell'Unione;
   il mantenimento della produzione evita la conseguente distruzione e/o depauperamento sia di risorse private (per sostenere i costi di chiusura degli impianti e la loro delocalizzazione) che pubbliche (per la riconversione del personale, gli ammortizzatori sociale ed il sostegno alle economie dei territori interessati alle chiusure), a danno del mercato europeo ed a vantaggio di produzioni extra – Unione europea;
   il mantenimento delle produzioni evita la perdita di competitività del sistema industriale nel suo complesso sul mercato globale, perdita che conseguirebbe inevitabilmente alle ricadute di varia natura connesse con la rinuncia ad una forma di approvvigionamento interna di metallo, con la conseguente totale dipendenza economica da importazioni extra – Unione europea, e con la crescente carenza di materia prima, sempre più desinata ai consumi interni, che scaturisce dallo sviluppo dei Paesi tradizionalmente esportatori (tra cui la Cina, la Russia, ed il Sud-est asiatico);
    il mantenimento di tariffe ad hoc per le produzioni energivore dell'alluminio primario in Italia non può confliggere con quanto previsto dall'articolo 87 del Trattato, in base al quale «sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza»;
   non si riscontrerebbero, nel caso di specie, né la richiesta «incidenza sugli scambi tra Stati membri», né, soprattutto, sarebbe favorita la «falsificazione», o «minaccia di falsificazione», della concorrenza a livello comunitario; al contrario, ci si limiterebbe a consentire la sopravvivenza, sul mercato globale, di un'importante industria europea altrimenti destinata ad un irreversibile declino per la concorrenza attuata da aree del mondo le cui regolamentazioni normative del mercato non sono neppure comparabili con quelle comunitarie;
   la fornitura di energia elettrica a prezzi internazionalmente competitivi è assolutamente essenziale per la produzione di alluminio primario;
   la legge n. 80 del 2005 finalizzata al mantenimento della competitività del sistema industriale nazionale ha esteso al 2010 il regime energetico speciale per la produzione di alluminio primario allora in vigore ed a suo tempo approvato nel 1996 dalla Commissione europea nel quadro della privatizzazione dell'industria italiana dell'alluminio;
   nel luglio 2006, la Commissione, ritenendo che il suddetto regime potesse costituire un aiuto di Stato, ha aperto un'indagine conoscitiva conclusasi con una pesante, quanto ingiustificabile, condanna per il Governo italiano, e conseguentemente per Alcoa, al pagamento di oltre 300.000.000 di euro;
   il 17 maggio 2010 presso il Ministero dello sviluppo economico veniva definito e sottoscritto un accordo tra Alcoa, le organizzazioni sindacali e il Governo con il quale si stabilivano nuove condizioni per l'approvvigionamento energetico e la ripresa produttiva sia a Portovesme che Fusina;
   nello stesso accordo era scritto: «l'azienda conferma la propria volontà di rimanere in Italia nei due siti produttivi di Portovesme e Fusina, quest'ultimo costituito dai reparti di elettrolisi e laminazione, secondo le linee guida del Piano industriale»...;
   è del tutto evidente che tale decisione di chiudere gli impianti sardi dell'Alcoa debba essere energicamente respinta considerato che lo stesso stabilimento di Portovesme fu acquisito dall'Alcoa attraverso il piano di dismissione dell'Efim con conseguente obbligo al mantenimento produttivo dell'impianto stesso;
   appare evidente che occorre avviare con urgenza un tavolo negoziale con l'Alcoa ai massimi livelli per scongiurare in tutti i modi una decisione che costituirebbe proprio per gli elementi sopra richiamati un grave danno al sistema Italia e al comparto industriale in particolar modo;
   risulta improponibile sul piano sociale la chiusura di uno stabilimento che vede impegnati oltre 2000 lavoratori tra diretti e indiretti, considerando nel sistema alluminio anche l'Eurallumina di Portovesme –:
   se non ritenga il Governo di porre in essere tutte le autorevoli ed urgenti iniziative necessarie al fine dell'immediata ripresa produttiva dello stabilimento della società Alcoa;
   se non ritenga il Governo indispensabile e prioritario, al fine di definire un piano strategico di rilancio dell'industria dell'alluminio primario in Italia, proporre alla Commissione europea un vertice dei Ministri competenti per definire con sollecitudine una strategia che scongiura la delocalizzazione dall'Europa dell'industria primaria di alluminio, non solo attivando quelle azioni indispensabili per favorire il mantenimento degli asset produttivi in Europa. (4-00043)


   BOCCUZZI, D'OTTAVIO, MATTIELLO, PAOLA BRAGANTINI, GIORGIS, ROSSOMANDO, FREGOLENT e BONOMO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   quattro anni fa la Romi Brasile aveva rilevato dall'amministrazione straordinaria l'allora Sandretto impegnandosi a garantire l'occupazione attraverso gli investimenti che avrebbero dovuto innovare la produzione di presse per rendere il prodotto più competitivo;
   nel marzo 2012, nel corso di un incontro all'Unione industriale di Torino, la multinazionale brasiliana ha annunciato l'intenzione di chiudere i due stabilimenti del torinese;
   tutto ciò non è avvenuto e la Romi Brasile, lo scorso anno ha annunciato la chiusura delle attività produttive, di fatto determinando il licenziamento di tutti i lavoratori;
   a luglio, fu firmato un accordo legato alla cassa integrazione, per crisi e non per cessata attività, al fine di un approfondimento sull'interessamento di potenziali acquirenti;
   all'inizio di gennaio una cordata di imprenditori ha presentato un impegno di acquisto, con un dettagliato piano industriale che garantirebbe l'attività produttiva e occupazionale;
   la Romi si era dichiarata, a parole, disponibile alla vendita, ma nei fatti, continua a sottrarsi a qualsiasi ipotesi concreta, forse con l'obiettivo non dichiarato di mantenere il marchio chiudendo l'attività produttiva;
   la Romi, in un primo momento è sembrato volesse dichiararsi disponibile alla vendita, in concreto sembra sottrarsi a qualsiasi ipotesi concreta che potrebbe salvare l'occupazione nei due stabilimenti del torinese –:
   quali iniziative si intendano assumere dal momento che l'eventuale chiusura dei siti torinesi è sicuramente un grave problema dal punto di vista sociale in una situazione di grave crisi produttiva nell'area piemontese. (4-00049)


   PILI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'alluminio è un materiale cruciale per qualsiasi sistema economico che si prefigga una crescita compatibile con il rispetto dell'ambiente;
   il tasso di crescita della domanda di alluminio è attualmente superiore a quello di ogni altro metallo, oltre che del prodotto interno lordo delle diverse economie mondiali;
   l'alluminio è una commodity: il prezzo internazionale si forma nelle negoziazioni di borsa al London Metal Exchange e le variazioni locali dei costi di produzione della materia prima non sono trasferibili sul prezzo finale del metallo;
   l'andamento di detto prezzo è caratterizzato da una discreta volatilità e, in termini reali, risulta decrescente, con un tasso di riduzione annuo prossimo al 2 per cento, conseguenza anche del miglioramento dell'efficienza dei processi produttivi;
   un'industria di trasformazione tecnologicamente all'avanguardia e alla capacità di innovazione e sviluppo delle applicazioni fa dell'Europa il secondo mercato mondiale dell'alluminio, con ulteriori e significativi margini di crescita;
   la produzione europea di metallo primario non è stata in alcun modo in grado di contribuire allo sviluppo di detta domanda, ed il tasso di copertura sul mercato attuata con metallo autoprodotto è sceso dal 60 per cento del 1980 al 27 per cento del 2003;
   l’import di alluminio primario dai Paesi Extra-UE è costantemente cresciuto oltre al 36.5 per cento del fabbisogno totale di alluminio ed al 56 per cento del fabbisogno di alluminio primario;
   il mercato interno europeo è fortemente deficitario di alluminio e il tasso di import, è a livelli mai prima raggiunti;
   l'industria europea non è in grado di coprire il deficit di metallo con una crescita delle produzioni primarie da lungo tempo a livelli stazionari;
   le produzioni secondarie sono state sviluppate sino al limite massimo della disponibilità di rottame, utilizzando pienamente la generazione interna e trovando difficoltà crescenti al reperimento di rottame dall'esterno;
   l'industria dell'alluminio primario è ad alta intensità di capitale con investimenti ad elevata durata di vita economica;
   l'industria dell'alluminio primario è, per sua natura, un'industria energy intensive;
   l'energia elettrica è la vera materia prima del processo produttivo incidendo per oltre il 30 per cento sui costi operativi;
   la disponibilità energetica a prezzi sostenibili è, quindi, il principale fattore di sopravvivenza economica degli impianti esistenti, ed è elemento chiave per la localizzazione dei nuovi impianti di produzione primaria (i cosiddetti smelters);
   negli ultimi anni la posizione competitiva degli impianti italiani, e quello sardo in particolar modo, anche per le condizioni insulari della Sardegna, si è andata deteriorando significativamente;
   alla naturale evoluzione del costo del lavoro, si sono infatti aggiunti due ulteriori elementi negativi:
    a) il rafforzamento dell'Euro, particolarmente penalizzante in un business che, come nel caso del Primario Europeo, sostiene i costi pressoché interamente in euro ed ha i ricavi interamente in dollari,
    b) l'aumento del costo dell'energia elettrica, indotto non solo da fattori congiunturali attinenti le oscillazioni dei costi delle materie prime energetiche (olio e carbone), ma dalla attuazione delle politiche dell'Unione europea in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia;
   il processo di liberalizzazione del mercato dell'energia in Europa è lontano dall'avere realizzato gli obiettivi di ampliamento della base produttiva, di competitività e di riduzione di prezzo attesi;
   il mercato al momento non è equilibrato, funziona ancora in un regime di oligopolio, non è affatto trasparente e, conseguentemente, non è competitivo per i clienti energy intensive quali i produttori di alluminio;
   la carenza di riserva di generazione elettrica ed i vincoli di varia natura alla trasmissione dell'energia pongono un evidente limite strutturale ad uno sviluppo equilibrato dello stesso;
   le attuali regole di funzionamento del mercato, che opera ancora in difetto di reale concorrenza, soprattutto in Sardegna, e di negoziazione dei prezzi, che vedono una posizione di forza preponderante dei fornitori, non sono adeguate per negoziare acquisti di energia a lungo termine;
   la formulazione del prezzo di borsa è svincolata dai fondamentali elementi di costo, o è volta a remunerare il costo marginale del produttore meno competitivo;
   l'industria dell'Allumino Primario, data l'intensità del consumo energetico, è di gran lunga la più esposta all'imperfetto funzionamento del mercato energetico ed ai conseguenti aumenti dei costi;
   nelle condizioni attuali del mercato dell'energia, senza adeguati interventi strategici e contingenti, si prefigura il seguente scenario:
    a) sarà impossibile la rinegoziazione dei contratti a condizioni e prezzi internazionalmente competitivi;
    b) l'incremento del prezzo dell'energia risulterà incompatibile con la sopravvivenza economica degli impianti che conseguentemente non saranno più in condizioni di operare;
    c) la produzione verrà delocalizzata in Paesi che adottano politiche energetiche compatibili con le loro ambizioni di sviluppo industriale;
    d) per la natura di «capital intensive» dell'industria del primario la delocalizzazione sarà per lungo tempo irreversibile;
    e) il metallo prodotto in tali aree, spesso a condizioni agevolate ed incentivate da risorse pubbliche, sarà importato nei Paesi della Comunità;
    f) l'Europa pagherà i costi sociali ed economici connessi con la delocalizzazione;
    g) l'Europa perderà la corrispondente occupazione diretta ed indotta;
   la competitività europea sarà penalizzata in quanto:
    a) l'industria di trasformazione perderà il supporto che deriva dalla disponibilità in loco di metallo primario;
    b) l'industria manufatturiera perderà le ricadute tecnologiche apportate dalle attività primarie;
    c) il sistema europeo si troverà a dipendere completamente da importazioni extra UE con ricadute negative, nel lungo periodo, anche sui consumatori;
   è indispensabile che le attuali distorsioni del mercato dell'energia vengano corrette al fine di ristabilire un bilanciamento tra fornitori e consumatori energy intensive creando un mercato competitivo che renda attraente per i produttori negoziare contratti competitivi a lungo termine con utenti «baseload»;
   l'Italia, con un consumo di alluminio di oltre 1.600.000 tonnellate all'anno è il secondo Paese consumatore del metallo leggero in Europa, e dispone di una industria di trasformazione (laminazione ed estrusi) ancora importante e relativamente competitiva,
   la produzione nazionale di primario è pari a circa 190.000 tonnellate all'anno, e copre quindi solo il 12 per cento del fabbisogno interno, il valore più basso tra i Paesi industrializzati;
   la produzione di alluminio secondario, derivante dal riciclo dell'alluminio, assomma a 700.000 tonnellate all'anno, pari al 43 per cento dell'intera domanda;
   l'import assomma a circa 764.000 tonnellate all'anno, pari al 47 per cento del fabbisogno;
   la produzione di alluminio primario in Italia è effettuata in due stabilimenti, entrambi appartenenti alla multinazionale Alcoa, che li ha acquistati in seguito alla privatizzazione dell'industria nazionale dell'Alluminio:
    a) Portovesme, nel Sulcis Iglesiente (Sardegna) con capacità di 150.000 tonnellate all'anno;
    b) Fusina, nel Veneto, con capacità di 45.000 tonnellate all'anno;
   nel caso italiano, la produzione di alluminio primario risulta particolarmente strategica per le motivazioni seguenti:
    a) è integrata all'industria di trasformazione a monte valle della filiera produttiva, e ne costituisce importante salvaguardia;
    b) costituisce un indiretto sostegno della industria del secondario, la più evoluta in Europa, che incontra difficoltà crescenti nell'approvvigionamento dell'estero del rottame;
   in Sardegna la produzione del primario costituisce l'attività principale del nucleo industriale del Sulcis Iglesiente, e fornisce un contributo insostituibile al tessuto socio-economico della Regione;
   il comparto dell'alluminio primario italiano è stato privatizzato nel 1996 con l'acquisizione degli stabilimenti da parte della multinazionale Alcoa, leader mondiale del settore;
   condizione essenziale per il perfezionamento di tale privatizzazione fu la fornitura ai suddetti stabilimenti di energia elettrica ad un prezzo allineato a quello medio applicato nel resto dell'Europa per un periodo di almeno dieci anni, ossia sino al 31 dicembre 2005;
   alle intese sottoscritte all'atto della privatizzazione si diede attuazione tramite il decreto del 19 dicembre 1995 del ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, in forza del quale i due smelters italiani usufruirono di un regime tariffario speciale restato in vigore sino a tutto il 2005;
   l'accordo sul prezzo dell'elettricità fu approvato dalla UE, riconoscendo i termini dell'intesa finalizzata a garantire il prezzo medio dell'energia a livello europeo senza configurare un ricorso ad «aiuti di stato»;
   nel definire una durata decennale del provvedimento si era ipotizzato che il mercato dell'elettricità si sarebbe evoluto in maniera da poter offrire, trascorso tale periodo, prezzi sostenibili da uno smelter in competizione sul mercato mondiale;
   oggi si deve, invece, prendere atto del fatto che il lento e difficile processo di liberalizzazione del mercato dell'energia, (liberalizzazione ad oggi solo parziale e in Sardegna assolutamente inesistente) è ancora ben lontano dal realizzare gli effetti di riduzione dei prezzi e aumento dell'offerta giustamente auspicati;
   non si intravede alcuna ragionevole possibilità di negoziare in Italia (e, più in genere, all'interno del mercato europeo) una fornitura di energia, sul cosiddetto «libero mercato», in quantitativi ed a prezzi che consentano l'esercizio economicamente sostenibile di uno smelter di alluminio;
   le distorsioni al funzionamento del mercato, la sua natura essenzialmente oligopolistica, (e, spesso, di fatto ancora monopolistica, specie per quantitativi di energia particolarmente significativi) i vincoli tecnici alla produzione e distribuzione dell'energia e le inefficienze del sistema determinano una effettiva carenza di offerta, e un conseguente aumento dei costi, non giustificabile in base a quelle che sarebbero le logiche di un mercato effettivamente sviluppato;
   in tutti i Paesi della Comunità la produzione di alluminio, sia primario che secondario, come detto, risulta fortemente deficitaria rispetto al fabbisogno interno generando un deficit strutturale, in relazione sia allo sviluppo della domanda, sia per la struttura del costo dei fattori produttivi in Europa, con particolare riferimento alla disponibilità ed al costo dell'energia, fattori a loro volta negativamente influenzati dall'imperfetto e distorto funzionamento del «libero mercato» dell'energia;
   il mantenimento in produzione della ridotta capacità di primario in Italia (12 per cento della domanda nel Paese) non può quindi togliere quote di mercato a nessun concorrente europeo, né può ostacolare l'ingresso di nuovi operatori sul mercato;
   il mantenimento per la produzione Italiana di alluminio di un prezzo dell'energia equiparato alla media della concorrenza non può influenzare in alcun modo il corso del prezzo del metallo;
   il mantenimento di tale prezzo dell'energia non può danneggiare alcun concorrente Europeo sotto il profilo del prezzo praticabile negli scambi intracomunitari;
   il mantenimento di condizioni di fornitura dell'energia elettrica a condizioni competitive, apporta dei concreti benefici al mercato ed al sistema socio economico non solo della Sardegna ma dell'intera nazione;
   il mantenimento della produzione dell'alluminio primario in Italia riduce il rischio di delocalizzazione delle produzioni (gli annunci i della Hydro in Germania evidenziano quanto questa eventualità sia reale) a vantaggio di produzioni effettuate in paesi dove l'energia è fornita sottocosto, e dove le tutele legali sociali ed ambientali sono a livelli infinitamente più bassi rispetto agli standard comunitari, e tali da consentire spesso l'importazione in dumping all'interno del mercato comunitario di metallo prodotto al di fuori dell'Unione;
   il mantenimento della produzione evita la conseguente distruzione e/o depauperamento sia di risorse private (per sostenere i costi di chiusura degli impianti e la loro delocalizzazione) che pubbliche (per, la riconversione del personale, gli ammortizzatori sociali ed il sostegno alle economie dei territori interessati alle chiusure), a danno del mercato europeo ed a vantaggio di produzioni extra-UE;
   il mantenimento delle produzioni evita la perdita di competitività del sistema industriale nel suo complesso sul mercato globale, perdita che conseguirebbe inevitabilmente alle ricadute di varia natura connesse con la rinuncia ad una forma di approvvigionamento interna di metallo, con la conseguente totale dipendenza economica da importazioni extra-UE, e con la crescente carenza di materia prima, sempre più destinata ai consumi interni, che scaturisce dallo sviluppo dei paesi tradizionalmente esportatori (tra cui la Cina, la Russia, ed il Sud-Est asiatico);
   il mantenimento di tariffe ad hoc per le produzioni energivore dell'alluminio primario in Italia non può confliggere con quanto previsto dall'articolo 87 del Trattato, in base al quale «sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza»;
   non si riscontrerebbero, nel caso di specie, né la richiesta «incidenza sugli scambi tra stati membri», né, soprattutto, sarebbe favorita la «falsificazione», o «minaccia di falsificazione», della concorrenza a livello comunitario; al contrario, ci si limiterebbe a consentire la sopravvivenza, sul mercato globale, di un'importante industria europea altrimenti destinata ad un irreversibile declino per la concorrenza attuata da aree del mondo le cui regolamentazioni normative del mercato non sono neppure comparabili con quelle comunitarie;
   la fornitura di energia elettrica a prezzi internazionalmente competitivi è assolutamente essenziale per la produzione di alluminio primario;
   la legge n. 80 del 2005 finalizzata al mantenimento della competitività del sistema industriale nazionale ha esteso al 2010 il regime energetico speciale per la produzione di alluminio primario allora in vigore ed a suo tempo approvato nel 1996 dalla Commissione EU nel quadro della privatizzazione dell'industria italiana dell'alluminio;
   nel luglio 2006, la Commissione europea, ritenendo che il suddetto regime potesse costituire un aiuto di Stato, ha aperto un'indagine conoscitiva conclusasi con una pesante, quanto ingiustificabile, condanna per il governo italiano, e conseguentemente per Alcoa, al pagamento di oltre 300.000.000 di euro;
   nel gennaio 2007, la Commissione Europea ha formalmente suggerito al Governo italiano, di adottare un programma biennale di phase out dal regime sostituendolo con uno strumento di mercato (il Virtual Power Plant o VPP);
   nel luglio 2008 il Governo italiano, aderendo alla proposta della Commissione EU, ha confermato l'intenzione di darvi corso con apposita legislazione;
   alla notizia della possibilità di introduzione del VPP, i produttori di energia elettrica non solo italiani ma anche europei, hanno visto nel VPP una potenziale minaccia al loro attuale potere di controllare il prezzo sul mercato dell'energia e molto verosimilmente hanno esercitato la loro capacità di lobby non solo in Italia ma anche presso la Commissione EU per limitare gli aspetti per loro negativi del VPP;
   a conclusione di tutte le interazioni che verosimilmente ne sono conseguite, in data 8 luglio 2009, tre anni dopo l'apertura dell'indagine, il DL «Sviluppo» è stato definitivamente approvato e per quanto concerne Alcoa, stabilisce che:
    entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge il Ministero dell'Economia stabilirà le condizioni del VPP;
    entro i successivi 90 giorni, e comunque entro Ottobre 2009, cioè subito, la tariffa speciale per l'alluminio verrà a cessare;
   la legge n. 99 del 2009 contiene degli ulteriori meccanismi che possono contribuire a ridurre il costo dell'energia per utenti energivori italiani per i quali non risulta ancora verificata la compatibilità;
   il mantenimento operativo degli stabilimenti italiani e in particolare quello in Sardegna sono necessarie due condizioni:
    a) che i meccanismi suddetti vengano messi realmente in funzione (Autorità, Ministero, Terna) con le necessarie compatibilità comunitarie riconosciute;
    b) che i produttori di energia (ENEL, E.On) stipulino un contratto bilaterale di fornitura ad Alcoa, così come è stato fatto per altre aziende energivore sia in Sardegna che in altre realtà europee;
   l'accordo bilaterale tra soggetti produttori di energia elettrica e consumatori energivori risulta essere decisivo per scongiurare il blocco della produzione e per consentire agli impianti sardi di proseguire nel ruolo strategico nell'economia nazionale;
   il Governo, soprattutto per quanto riguarda l'Enel ma anche per E.On, ha l'autorevolezza e gli strumenti per impedire l'atteggiamento monopolista da parte dei soggetti produttori e favorire l'accordo bilaterale tra le parti;
   Enel Produzione dispone di impianti termici nell'area del Sulcis alimentati a carbone aventi potenza complessiva di 580 MW e di impianti di produzione di energia eolica già in esercizio nella regione Sardegna, e continua a sviluppare a condizioni sempre più favorevoli nuovi progetti nel settore eolico sia in Sardegna così come E.On che avanza richieste analoghe al governo e alla stessa Regione;
   l'Enel negli accordi bilaterali che ha sottoscritto risulta essere secondo l'interrogante in molti punti inadempiente e trae vantaggi evidenti anche per le modificate prerogative legislative e di mercato;
   il mancato consumo del quantitativo energetico da parte dell'Alcoa che deriva dal blocco della produzione costituisce per l'Enel e quindi conseguentemente per lo Stato, in quanto azionista, un danno economico e finanziario di rilevanti proporzioni;
   il danno economico e finanziario risulterebbe rilevante sia per la conseguenza diretta sulla quotazione in Borsa della società ma anche sul piano produttivo considerato che la Sardegna non dispone ancora di collegamenti di trasmissione elettrica in grado di esportare un simile quantitativo di energia elettrica generando, quindi, un mancato guadagno ma un pari costo produttivo a meno di drastiche riduzioni delle produzioni elettriche stesse;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha già positivamente valutato analoghe situazioni ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 287 del 1990 –:
   se non ritenga il Governo e il Ministro dello Sviluppo economico di porre in essere tutte le autorevoli ed urgenti iniziative necessarie e nel potere dello stesso Ministro al fine di promuovere attraverso accordi bilaterali ad azienda/e energivora/e, ritenute strategiche per la propria economia nazionale come Alcoa, il riconoscimento di un quantitativo di energia elettrica necessario a tali impianti ad un prezzo medio di vendita pari alla media europea, già praticato per analoghi impianti energivori, come già previsto peraltro in analoghi protocolli d'intesa tra soggetti pubblici, come regione Sardegna ed Enel, secondo modalità concordate, e già attuate, con l'autorità antitrust e con l'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
   se non ritenga di dover verificare i vantaggi competitivi, economici e di mercato che Enel e E.On hanno ottenuto e si predispongono ad ottenere in tutta Italia, con particolare riferimento alle politiche di incentivazione di energie alternative e il valore stesso, attualizzato, dei certificati verdi afferenti l'energia già prodotta;
   se non ritenga indispensabile e prioritario al fine di definire un piano strategico di rilancio dell'industria di alluminio primario in Italia promuovere preventivamente un accordo bilaterale tra le società produttrici in Sardegna di energia elettrica e lo stabilimento al fine di favorire l'immediato riavvio dello stabilimento di Portovesme;
   se non ritenga di dover impugnare negli organi comunitari la decisione della Commissione Europea che «condanna» Alcoa al risarcimento di oltre 300.000.000 di euro per aver usufruito di una norma di «riequilibrio» del costo dell'energia elettrica, e «non di vantaggio», approvata dal Parlamento italiano;
   se non ritenga, al fine di rilanciare il comparto produttivo isolano, di dover favorire progetti, già avanzati nel 2003 e 2004 al Ministero dello sviluppo economico, tendenti alla realizzazione di una centrale di autoproduzione energetica legata alla miniera della Carbosulcis e promossa dalle industrie energivore del territorio;
   se non ritenga di dover chiedere un rapido e urgente confronto con la commissione europea sugli ulteriori strumenti di liberalizzazione del mercato energetico necessari in Europa per non perdere la produzione industriale primaria a favore di Paesi extraeuropei. (4-00056) 

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BARBATO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   «pitture e affreschi della villa di Poppea Sabina a Oplonti sono in grave pericolo: alcuni sono già stati gravemente attaccati e devastati da umidità e intemperie. Occorre intervenire subito, prima che la stessa sorte tocchi alle opere più pregiate e significative», è l'appello lanciato dal presidente dell'Osservatorio Patrimonio Culturale, Antonio Irlando, che già aveva denunciato a più riprese lo stato gravissimo di altre opere degli scavi di Oplonti, tra cui i mosaici della villa imperiale;
   l'intervista è stata pubblicata da metropolisweb.it in data 19 novembre 2012 a firma di Giovanni Taranto;
   le pitture della villa di Poppea ad Oplontis rappresentano le più significative testimonianze della ricca archeologia vesuviana delle patrizie ville romane del suburbio pompeiano;
   le pitture più colpite sono sulle pareti degli ambienti a ridosso della straordinaria piscina e nell'area che confina con l'attuale via Sepolcri;
   intonaci rigonfi che si staccano dai muri, crollano e si frantumano al suolo;
   tracce diffuse di umidità e di sali minerali biancastri affiorano e coprono intere pareti affrescate;
   umidità ed intemperie hanno ormai aggredito molti muri della «villa di Poppea»;
   il celebre «rosso pompeiano», in molti preziosi ambienti della villa romana, sta progressivamente svanendo, perdendo di tono e consistenza;
   diversi quadretti decorativi, una volta dettagliati e ricchi di sfumature cromatiche, sono ormai illeggibili;
   in altre stanze si osservano sfogliature progressive e irreversibili che trasformano pareti preziose in murature grezze;
   prima gli intonaci e poi la «pelle» cromatica delle pitture, in assenza di azioni continue di manutenzione ordinaria, si disgregano e si polverizzano;
   una tipologia di degrado di cui le domus della vicina Pompei sono ormai piene;
   «Un nuovo sconcertante caso di degrado che è sotto la lente di osservazione dell'Unesco che sta valutando le circostanze per cancellare anche gli scavi di Oplonti dalla lista dei siti culturali dichiarati «Patrimonio dell'Umanità» dice Irlando» –:
   di quali notizie dispone il Ministro circa eventuali interventi e quando se operati da parte della soprintendenza di riferimento che è ad avviso dell'interrogante evidente come trascuri il patrimonio archeologico che risulta abbandonato dalle necessarie cure di conservazione, in più parti della villa sono evidenti episodi di degrado che si traducono in inesorabile distruzione degli affreschi, cosa ad avviso dell'interrogante gravissima poiché tale istituzione dovrebbe vigilare sulle preziose opere territoriali ed adoperarsi affinché sia individuata la soluzione migliore atta alla conservazione del bene storico culturale;
   se sia vero inoltre che si è giunti ad uno stadio tale di abbandono del bene per cui le eventuali azioni di restauro si rivelerebbero del tutto inutili oltre che tardive a conservare l'integrità del monumento;
   se intenda disporre di un immediato intervento di restauro e conservazione degli affreschi e della Villa citata oltre a rimuovere il soprintendente. (4-18675)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede di quali notizie disponga questo Ministero in ordine alle condizioni di degrado della villa di Poppea in Oplonti e quali iniziative si intendano adottare per il restauro e la conservazione della villa e degli affreschi in essa contenuti, si rappresenta quanto segue.
  La villa di Poppea Sabina è sottoposta ad un continuo e costante monitoraggio a cura del personale tecnico e di vigilanza della competente soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei.
  L'opera di vigilanza e le risorse finanziarie, impiegate dalla citata soprintendenza, hanno consentito un potenziamento ed un costante controllo del monumento, in modo da poter evidenziare con tempestività eventuali elementi di degrado, allo scopo di evitare maggiori ed irreversibili danni.
  Tale opera di monitoraggio ed immediato intervento è già in funzione da anni ed ha consentito di presentare al pubblico un monumento in condizioni decisamente ottimali, anche in considerazione degli anni trascorsi dai più antichi ai più recenti scavi.
  Recenti interventi operati sulla villa di Poppea hanno consentito, inoltre, il restauro dei pavimenti e di alcune pitture, nonché la messa in sicurezza di alcuni settori particolarmente soggetti a degrado.
  Tali lavori sono stati finanziati con i fondi ordinari della citata soprintendenza ed hanno consentito il restauro della quasi totalità delle parti di pavimento a mosaico soggette all'usura ed al danneggiamento provocato dal passaggio quotidiano dei visitatori e di alcune decorazioni ad affresco, delle quali è stato ripristinato il supporto di adesione alla parete.
  Attualmente, è in fase di realizzazione un intervento di somma urgenza riguardante gli affreschi custoditi non solo negli ambienti a ridosso della piscina segnalati nell'interrogazione, ma anche tutti gli altri ove sono stati riscontrati i maggiori rischi di degrado.

  Si rappresenta, infine, che sono stati programmati ulteriori interventi di restauro strutturale per la messa in sicurezza delle murature e dei solai, nonché una attenta programmazione di interventi cadenzati di manutenzione delle pitture e dei mosaici, al fine di consentire una costante e continua opera di salvaguardia del monumento.
Il Ministro per i beni e le attività culturaliLorenzo Ornaghi.


   BARBATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni aumentano le chiusure delle stazioni ferroviarie di piccoli comuni con disagi comprensibili per i viaggiatori;
   in particolare, da Napoli al Cilento è possibile notare lungo la tratta regionale come in molte stazioni vi sia un orario di sportello ridotto, chiusure nel fine settimana o mancanza di sportelli all'interno delle stazioni ferroviarie (vedasi Angri);
   vanno considerate la vocazione altamente turistico-ricettiva delle province di Salerno e Napoli e la perdita economica che la mancanza di biglietto comporta per le casse di Trenitalia, nonché le difficoltà per turisti, pendolari e viaggiatori vari di poter reperire il biglietto per il viaggio nei festivi o nelle ore notturne –:
   se non si intenda disporre l'istituzione di biglietterie automatiche in tutte le stazioni ferroviarie oramai chiuse al pubblico in termini di servizio di sportello;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano promuovere per venire incontro alla reale esigenza dei viaggiatori, favorendo anche maggiori introiti per Trenitalia. (4-18828)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame riguardante il servizio di biglietteria nelle stazioni ubicate sulla direttrice Napoli-Salerno-Sapri, con particolare riferimento alle località del Cilento, si fa presente quanto segue.
  Occorre premettere che la programmazione e gestione dei servizi regionali è di competenza delle singole regioni, nel caso in esame della regione Campania, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da un contratto di servizio nell'ambito del quale vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili.
  In ordine alla problematica evidenziata dall'interrogante si precisa che, in base a quanto previsto dal contratto di servizio attualmente in essere, la regione Campania ha individuato le biglietterie di stazione in attività tenendo conto dei volumi di vendita e di traffico viaggiatori riscontrati per ciascun impianto.
  Ciò premesso, al fine di fornire comunque una risposta all'interrogazione in esame, sono state chieste informazioni a Ferrovie dello Stato che ha fornito l'elenco delle biglietterie con i relativi orari di svolgimento del servizio delle stazioni ubicate sulla linea che serve il Cilento e precisamente:
   Portici, dalle 6.30 alle 13.18, dal lunedì al venerdì;

   Torre Annunziata Centrale, dalle 6.30 alle 13.18, dal lunedì al venerdì;
   Pompei, dalle 6.30 alle 20.30 (dal lunedì al venerdì) e dalle 6.30 alle 13.18 la domenica;
   Nocera inferiore, dalle 6.30 alle 20.30, dal lunedì al venerdì;
   Cava dei Tirreni, dalle 6.30 alle 13.18, dal lunedì al venerdì;
   Salerno, dalle 5.50 alle 21.00 (aperta tutti i giorni compresi i festivi);
   Battipaglia, dalle 6.30 alle 20.30 (dal lunedì al venerdì) e dalle 6.30 alle 13.18 la domenica;

   Agropoli, dalle 6.30 alle 13.18, dal lunedì al venerdì;
   Vallo della Lucania, dalle 6.30 alle 20.30, dal lunedì al venerdì;
   Pisciotta, dalle 6.30 alle 13.18, dal lunedì al venerdì;
   Sapri, dalle 6.50 alle 20.50 (aperta tutti i giorni compresi i festivi).

  Inoltre, Ferrovie dello Stato ha fatto presente che nella regione Campania è previsto un sistema tariffario integrato a cui aderiscono le varie imprese di trasporto operanti nella regione, riunite nel Consorzio «Unico Campania», del quale fa parte anche Trenitalia.
  In particolare, il consorzio «Unico Campania», attraverso circa 4.000 punti vendita, dislocati su tutto il territorio regionale, cura la stampa e la distribuzione dei relativi titoli di viaggio, che – non essendo soggetti a scadenza – possono essere acquistati anche con largo anticipo. 
  Inoltre una recente deliberazione della giunta regionale della Campania ha disposto che, a partire dal 2013, le imprese aderenti a detto consorzio «Unico Campania» emettano propri titoli di viaggio aziendali, utilizzabili su un solo vettore, che andranno ad aggiungersi a quelli del consorzio, utilizzabili su più vettori.
  In base a tale provvedimento, Trenitalia ha programmato un ampliamento della propria rete di vendita mediante l'apertura di circa 500 punti vendita esterni.
  Infine, si informa che Trenitalia ha previsto l'installazione di 70 nuove emettitrici automatiche di biglietti in altrettante stazioni delle linee regionali (tra cui la linea del Cilento). Tali emettitrici, oltre ad essere abilitate alla erogazione di titoli di viaggio Trenitalia, potranno emettere anche titoli integrati «Unico Campania».
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   BARBATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da un'agenzia dei giorni scorsi dell'AgenParl si apprende di cibi al «sapore di ammoniaca» serviti in alcuni ospedali romani. Le denunce dei pazienti sono più di una: «In tre giorni di ricovero – hanno riferito – sono arrivati cibi che emanavano odore di ammoniaca. Addirittura le zucchine oltre ad avere un coloraccio sapevano di detersivo. Non è possibile servire ai degenti cibo di questo tipo. Capiamo l'esigenza delle amministrazioni di ridurre i budget, ma non possiamo essere sempre noi malati a pagarne le conseguenze», lamenta uno dei pazienti ascoltati dall'agenzia di stampa;
   non si tratta purtroppo di un caso isolato visto che, anche sul quotidiano La Repubblica, recentemente, al centro della cronaca finiscono i pasti serviti dall'ospedale San Camillo: «Non ne posso più di mangiare così male. Ieri sera ci hanno servito del palombo al forno: la stanza si è riempita di una puzza tremenda di ammoniaca. Nessuno di noi l'ha toccato – racconta un altro testimone, indicando i compagni di stanza – e poi da dieci giorni il catering ha sostituito le scodelle in ceramica con i piatti di plastica, e da allora ogni giorno mancano o i bicchieri o le posate. Anche il sale merce rara qui dentro», si legge nella denuncia di un paziente al quotidiano –:
   se il ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premesso;
   se non ritenga opportuno un intervento del Nucleo antisofisticazioni e sanità dell'Arma dei carabinieri onde verificare le eventuali irregolarità all'interno delle mense ospedaliere romane. (4-18968)

  Risposta. — In merito alla problematica segnalata nell'interrogazione in esame, si rammenta che il cibo e gli alimenti somministrati in ospedale, come qualsiasi altro tipo di alimento preparato, confezionato, commercializzato e somministrato, devono sottostare alle norme igienico-sanitarie previste dai regolamenti CE n. 178 del 2002 e n. 852 del 2004.
  Si assicura che il Ministero della salute ha tempestivamente interessato le autorità sanitarie della regione Lazio ed il comando dei carabinieri per la tutela della salute sulla problematica in questione, e si è a tutt'oggi in attesa di acquisire eventuali elementi di valutazione.
  A ciò aggiungasi che oltre all'importanza del rispetto delle vigenti norme igienico-sanitarie, assume particolare rilievo l'espletamento di attività di controllo sul territorio, mirata a far applicare agli operatori socio-assistenziali (OSA) i principi fondamentali delle stesse norme sull'igiene degli alimenti, garantita dalle istituzioni locali.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è svolto il 20 settembre 2012 un incontro tra le organizzazioni del Tavolo nazionale immigrazione e rappresentanti del Governo coinvolti nella procedura di emersione prevista dal decreto-legge n. 109 del 2012 attuativo della direttiva europea n. 52;
   alla riunione, i rappresentanti del tavolo hanno esposto le preoccupazioni derivanti dall'estrema difficoltà di utilizzare il provvedimento a causa di alcune condizioni previste per accedervi e che impedirebbe di fatto a una parte dei datori di lavoro di far emergere i rapporti di lavoro in corso. In particolare, l'esperienza dei primi giorni dall'entrata in vigore conferma il rischio di un insuccesso dell'intervento di emersione in assenza di chiarimenti sui principali punti critici;
   la richiesta della prova di presenza in Italia al 31 dicembre 2011, è a parere degli interroganti, incongrua e ingiustificata e si configura come una vessazione sia nei confronti dei lavoratori che dei datori di lavoro. Si ricorda infatti che le pubbliche amministrazioni non possono produrre documentazione, salvo in casi molto particolari, per stranieri irregolarmente presenti nel territorio;
   una potenziale conseguenza negativa è rappresentata dal fatto che il provvedimento potrebbe essere applicato in maniera restrittiva e disomogenea e che, in assenza di una circolare esplicativa, si alimenti il mercato delle prove false e l'attività di faccendieri e frodatori –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative si intendano eventualmente assumere, a partire dalla circolare esplicativa citata, in considerazione del fatto che è necessario chiarire al più presto almeno cosa si intenda per organismi pubblici, ampliando il più possibile il novero dei soggetti che possono rientrare in questa categoria, non escludendo il potenziale ricorso a certificazioni emesse da enti privati poiché l'attuale situazione determina fra l'altro uno scenario che potrebbe dar luogo a un ampio contenzioso giurisdizionale. (4-17880)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede alcuni chiarimenti in merito al ravvedimento operoso previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109.
  In proposito, va ricordato, innanzitutto, che la legislazione comunitaria, con la cosiddetta direttiva «sanzioni» (direttiva 2009/52/CE), ha introdotto norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
  La direttiva è stata recepita nell'ordinamento nazionale prevedendo, tra l'altro, la disciplina transitoria per consentire ai datori di lavoro, famiglie ed imprese, di ravvedersi nel mantenere il rapporto di lavoro illegale, evitando così di incorrere in severe sanzioni anche di carattere penale.
  La presentazione della dichiarazione di ravvedimento, che è stata estesa a tutti i settori di occupazione, ha comportato, infatti, la sospensione dei procedimenti penali ed amministrativi per la violazione delle norme relative all'impiego di lavoratori.
  Dal 15 settembre al 15 ottobre 2012 i datori di lavoro hanno avuto la possibilità di regolarizzare i dipendenti impiegati irregolarmente, presenti in Italia almeno dal 31 dicembre 2011, adempiendo a tutti gli obblighi previsti in materia retributiva, contributiva (previdenza ed assistenza) e fiscale.
  Il rigore nella definizione delle condizioni per poter beneficiare della procedura di ravvedimento, testimonia la volontà non di favorire un accesso indiscriminato, bensì di offrire una opportunità per riportare nell'alveo della legalità – con benefici sia individuali che di sistema – i rapporti di lavoro già consolidati.
  Per garantire l'efficiente gestione del procedimento sono stati sensibilizzati gli sportelli unici per l'immigrazione presso le Prefetture per provvedere agli adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.
  La presentazione delle domande è avvenuta esclusivamente tramite modalità informatiche, appositamente potenziate.
  Turismo, edilizia e agricoltura sono i settori in cui è maggiore la presenza degli irregolari. Senza dimenticare coloro che svolgono lavori domestici presso le famiglie.
  Sono proprio questi ultimi a far registrare i numeri più elevati: delle 134.576 istanze pervenute, 115.969 riguardano collaboratori familiari, che si dedicano in prevalenza all'assistenza delle persone. Sono 18.607 le istanze relative agli altri lavoratori subordinati.
  Al riguardo, si fa presente che non sono state previste quote massime di ammissione. A differenza di altri precedenti procedimenti informatizzati in materia di immigrazione, non è stato necessario, dunque, concentrare la presentazione delle domande nella fase iniziale della procedura.
  In particolare, circa le specifiche questioni poste dall'interrogante si osserva che con il recente parere del 4 ottobre 2012, l'Avvocatura generale dello Stato ha fornito chiarimenti sull'individuazione «dell'organismo pubblico» legittimato a rilasciare la documentazione volta ad attestare la presenza del lavoratore straniero almeno alla data del 31 dicembre 2011.
  In tale parere, l'organo legale ha specificato che nel termine «organismi pubblici» possono essere inclusi «anche soggetti, pubblici, privati o municipalizzati che istituzionalmente o per delega svolgono una funzione o un'attribuzione pubblica di servizio pubblico». In particolare, tale documentazione, «pur non provenendo da una amministrazione pubblica, è comunque rilasciata da soggetti che erogano servizi o intrattengono relazioni di carattere latu sensu pubblici, e ciò indipendentemente dalla condizione di regolarità dell'utente».
  L'Avvocatura ha anche elencato, a titolo di esempio, la documentazione ammissibile.
  In considerazione di tale parere, l'amministrazione dell'interno ha fornito tutti i chiarimenti necessari sull'ulteriore documentazione da considerare utile ai fini dell'attestazione della presenza in Italia, anche tramite le risposte ai quesiti pubblicate sul sito del Ministero dell'interno.
  Cordiali saluti.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazioneAndrea Riccardi.


   BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella galleria di accesso alla stazione della metropolitana di piazza di Spagna a Roma e nella diramazione verso il parcheggio sotterraneo di Villa Borghese, ogni pomeriggio dalle ore 17, in poi si svolge, da anni, un mercato clandestino di merci contraffatte senza che, a quanto consta all'interrogante, vi sia un adeguato contrasto da parte delle forze dell'ordine che sono, invece, largamente presenti nell'arco della mattinata in misura a volte superiore alle necessità;
   tale punto di passaggio, frequentatissimo anche da turisti stranieri, tutti i pomeriggi diventa praticamente una terra di nessuno dove si svolgono impunemente varie attività illegali, determinando una situazione di pericolo per l'incolumità pubblica e fornendo una pessima immagine ai turisti stranieri;
   in condizioni analoghe si trovano molti accessi alla metropolitana di Roma –:
   se non si ritenga necessario ed urgente impartire direttive ai responsabili locali di polizia e carabinieri, per un più equilibrato impiego delle forze dell'ordine, prevedendo interventi di prevenzione e contrasto dei reati sia nell'importante sito citato in premessa, sia nelle altre stazioni della metropolitana di Roma, anche nelle ore pomeridiane e serali. (4-16818)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame presentata dall'interrogante, la prefettura di Roma ha riferito che, dall'inizio del 2012, nell'area antistante l'entrata della metropolitana «Spagna», nel tratto di strada denominato «Vicolo del Bottino», sono stati effettuati dalle forze dell'ordine ripetuti controlli in diverse ore della giornata, al fine di contrastare il fenomeno della vendita ambulante abusiva ed in particolare quella di merce contraffatta.
  Pertanto si è proceduto al sequestro amministrativo di diverso materiale e al deferimento all'autorità giudiziaria delle persone ritenute responsabili dello specifico reato.
  Recentemente, in aggiunta all'attività esercitata dal personale della polizia di Stato, sono intervenute pattuglie della polizia municipale e della Guardia di finanza, con equipaggi stazionanti nei pressi della strada sopra menzionata. Tali interventi hanno impedito lo svolgimento del mercato clandestino.
  Peraltro, in adesione a quanto concordato nell'ambito del «patto per Roma sicura», analoga attività è stata e viene tuttora effettuata nelle restanti zone del centro cittadino, dove è più alto il grado di incidenza del fenomeno.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   BINETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i recenti fatti di cronaca mettono in evidenza che il problema connesso alla diffusione di droghe non è stato mai debellato, al contrario è possibile rilevare che sia in termini di prevenzione che di contrasto, l'azione dei media e delle istituzioni a ciò preposte è notevolmente ridimensionata rispetto agli anni passati;
   secondo il rapporto dell'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze relativo al biennio 2007-2008 si registrano alcuni fatti particolarmente significativi come la conferma che in Europa marijuana e cocaina sono rispettivamente al primo e al secondo posto nei consumi dei ragazzi e dei giovani professionisti. Ma soprattutto sta tornando di moda l'uso dell'eroina che si affianca alle droghe sintetiche in miscele sempre più pericolose. In questa classifica l'Italia si trova tra le prime cinque nazioni a più alto consumo di cocaina, dopo la Spagna e l'Inghilterra, seguita da Danimarca e Irlanda;
   dal 2004 nel nostro Paese il consumo di cocaina è in costante aumento e coinvolge il 5,5 per cento della popolazione compresa tra i 15 e i 34 anni; ormai il fenomeno cocaina è diventato particolarmente preoccupante, sia per la grande diffusione che questa sostanza sta avendo tra gli adulti, sia per il coinvolgimento di fasce giovanili in cui si rileva spesso anche uso contemporaneo di altre droghe e sostanze alcoliche;
   si sta passando da un uso «elitario» riservato a quella fetta di popolazione che poteva acquisire questa costosissima droga, ad un uso generalizzato che non distingue più le classi sociali in quanto il costo di tale sostanza è talmente basso che è possibile acquistarla facilmente. Questa strategia di mercato, messa in atto dagli spacciatori per acquisire sempre nuovi clienti, amplifica il fenomeno rendendolo ancora più preoccupante e di vaste dimensioni;
   la forte rilevanza dei fenomeni collegati all'uso di cocaina e la gravità delle conseguenze acute nel lungo termine che ne derivano, determinano quindi, la necessità di disporre di nuovi ed efficaci modelli di intervento in grado di rispondere ai tanti problemi connessi all'assunzione di tale sostanza. È ormai chiaro che serve una nuova politica socio-sanitaria che impegna i sistemi regionali e le amministrazioni centrali dello Stato in una lotta coordinata e comune che non può essere più procrastinata. Servono nuove ed innovative forme di prevenzione ma anche cura e riabilitazione affinché sempre meno giovani si avvicinino e restino intrappolati in questa sostanza e sempre più persone con dipendenza da cocaina possano uscire da tale schiavitù e riprendere il loro ruolo attivo e positivo all'interno della società;
   i dati evidenziano «l'urgenza» di affrontare il tema delle sostanze stupefacenti in termini di prevenzione e non solo di intervento sulle conseguenze derivate dall'uso prolungato delle droghe; siamo in presenza di un fenomeno preoccupante che va adeguatamente trattato soprattutto in termini di formazione e informazione nelle scuole superiori;
   nelle scuole, il fronte formativo delude le aspettative degli studenti e l'informazione spesso porta dietro di sé l'induzione a trasgredire, anche perché non agisce a livello di motivazioni positive, ma fa leva solo su paure che i giovani tendono a bypassare sentendosi spesso onnipotenti;
   in termini di contrasto e prevenzione non esiste attualmente, a parere dell'interrogante, un'azione chiaramente leggibile, soprattutto in un momento in cui il tasso di disoccupazione tra i giovani crea un forte disagio e spinge quanti sono più fragili a fare esperienze che consentano una evasione dal grigiore sempre più marcato della loro esistenza quotidiana: il ricorso alle droghe potrebbe rappresentare un alienazione dalla realtà, per questo le «nuove tossicodipendenze» dovrebbero essere trattate con maggiore cautela;
   la droga va considerata come effetto di un malessere interiore che la persona si porta dietro. Senza la consapevolezza di quel malessere e senza la capacità di rimuoverlo non ci sono possibilità di uscirne definitivamente. I grafici ci dicono che è tutto sotto controllo, ma l'evidenza dimostra che non è così e soprattutto che ci sono delle inadempienze sul versante della prevenzione, che aumentano l'inconsistenza del contrasto all'uso e abuso di sostanze;
   oltre ai giovani e ai giovanissimi da tutelare soprattutto sul piano della prevenzione-informazione, si sta creando una nuova classe di tossicodipendenti rappresentata da giovani disoccupati o inoccupati; gli effetti si iniziano a vedere anche in termini di ansia e depressione; l'incertezza per un posto di lavoro sempre meno accessibile, mette a dura prova quanti risentono di un disagio battezzato «mal di crisi». La crescente disoccupazione, rilevano gli specialisti, è infatti una delle concause strettamente collegate all'aumento del tasso dei suicidi. In Europa per ogni incremento del 3 per cento della disoccupazione, crescono del 30 per cento le morti dovute a eccesso di alcol e aumenta di quasi il 5 per cento il tasso dei suicidi;
   uno studio appena pubblicato sull’American Journal of Public Health, rileva che la disoccupazione è un forte fattore di rischio per la depressione negli adulti fra i 30 e 40 anni: quanto più tempo si trascorre fuori dal mercato del lavoro, tanto maggiore è la probabilità di sviluppare sintomi depressivi. L'avere sperimentato lunghi periodi di disoccupazione aumenta il rischio di sviluppare depressione anche nel resto della vita –:
   quali urgenti misure intendano porre in essere per potenziare, in accordo con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica e con gli esperti del settore, un adeguato sistema di prevenzione della diffusione di tutte le tipologie di droga attraverso la formazione e l'informazione;
   quali iniziative prevedano, in accordo con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per venire incontro alle nuove esigenze dettate dalla crisi economica in atto, che crea un effettivo rischio di tossicodipendenza, legato alla forte ansia di futuro e ad una sempre più diffusa sindrome di fallimento sociale. (4-16801)

  Risposta. — In qualità di Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, delegato anche all'esercizio delle funzioni relative alla promozione e all'indirizzo delle politiche per prevenire, monitorare, contrastare il diffondersi delle tossicodipendenze e alcoldipendenze correlate, ho trasmesso al Parlamento la Relazione sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, che è stata curata dal Dipartimento per le politiche antidroga.
  Nella relazione è descritta l'attività, nel corso dell'anno 2011, riconducibile per oltre dieci mesi alla responsabilità politica del precedente Governo.
  Dalle risultanze della relazione emerge il ruolo primario delle attività di informazione e prevenzione, soprattutto per le giovani generazioni.
  Tali attività devono essere mantenute in forma permanente, al fine di ridurre il consumo di sostanze stupefacenti, l'abuso alcolico e lo sviluppo di altre forme di dipendenza, senza trascurare il coinvolgimento attivo dei genitori e degli insegnanti.
  L'attività di prevenzione deve, infatti, essere attuata precocemente, a partire dall'età scolare, attraverso la trasmissione di regole e stili di vita sani che escludano l'uso di tutte le sostanze stupefacenti, l'abuso alcolico, il tabagismo e il consumo di farmaci non prescritti.
  L'uso, anche occasionale, di sostanze può portare le persone vulnerabili a sviluppare forme di dipendenza. Perciò, occorre continuare a promuovere e mantenere campagne di prevenzione orientate soprattutto a creare un alto grado di consapevolezza sul rischio droga.
  Il Governo ha già intrapreso alcune iniziative rivolte ai giovani al fine di dare corrette informazioni sui pericoli derivanti dall'uso di sostanze stupefacenti.
  Con il progetto «Edu», il dipartimento per le politiche antidroga ed il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intendono creare una rete nazionale di portali informativi ed interattivi per le scuole finalizzati al supporto e all'informazione del mondo della scuola, volto a scoraggiare il preoccupante aumento dell'uso di droghe tra i giovani. Il progetto si rivolge ad insegnanti, genitori e studenti delle scuole medie e superiori e si avvale della professionalità di medici ed esperti in materia di tossicodipendenze, nonché di una rete di dirigenti scolastici e referenti per l'educazione alla salute.
  Il tema della droga viene affrontato con un approccio multidisciplinare volto ad evidenziare le numerose implicazioni del fenomeno dagli effetti sulla salute alle ripercussioni nella sfera individuale e sociale.
  Nell'ambito di tale progetto è prevista la diffusione di materiale informativo per organizzare momenti di discussione e confronto sia in ambito scolastico che nel contesto familiare, anche al fine di promuovere abitudini e stili di vita sani ed una maggiore conoscenza e consapevolezza degli effetti derivanti dall'utilizzo di sostanze stupefacenti. Inoltre, sono stati messi a disposizione gratuita delle scuole una serie di portali informativi.
  Il progetto quadro «Edu.Care» del dipartimento per le politiche antidroga, in collaborazione con il dipartimento per le politiche della famiglia, intende fornire un supporto alle famiglie al fine di affrontare correttamente i problemi correlati al rischio dell'uso di droghe da parte dei figli.
  L'intento è quello di prevenire il fenomeno del consumo di sostanze, tra gli adolescenti di età compresa tra i tredici e i diciotto anni, e di informare sui fattori di rischio che favoriscono l'uso potenziale di droghe da parte dei bambini in età compresa tra gli otto e i dodici anni, attraverso interventi educativi ed aiuti di carattere specialistico.
  Infine, il dipartimento per le politiche antidroga ha attivato il progetto Sgs, che ha come finalità principale quella di sensibilizzare i giovani sull'importanza di una guida sicura anche attraverso la realizzazione di uno spot video per offrire un'opportunità di riflessione sulle tematiche inerenti la sicurezza stradale, sulle misure da adottare per scongiurare i pericoli legati alla guida sotto l'uso di sostanze stupefacenti e prevenire anche «le stragi del sabato sera».
  Tale progetto coinvolge le Asl presenti su tutto il territorio nazionale nella produzione ed invio di materiale informativo sulla prevenzione dall'uso di sostanze correlato alla guida ai ragazzi delle scuole secondarie di primo e secondo grado.
  Sotto il profilo della prevenzione, intesa nella sua accezione più ampia, pur nella consapevolezza che il problema delle dipendenze non riguarda solo i giovani, voglio sottolineare la valenza particolare che assume per le nuove generazioni.
  Pur ritenendo opportuno sottolineare che la lettura dei dati, contenuti nella relazione, e la loro interpretazione deve prescindere da qualsiasi forma di generalizzazione, occorre rilevare che dalla stessa emerge un incremento dell'età media di coloro che per la prima volta si rivolgono ai servizi per le tossicodipendenze, pari a circa trentuno anni.
  Se è vero che l'uso di sostanze stupefacenti, assunte in giovane età, possono interferire fortemente con i processi di maturazione cerebrale e con lo sviluppo di importanti funzioni neurocognitive quali la memorizzazione, la motivazione, l'attenzione e conseguentemente le capacità di apprendimento, è anche vero che occorre interrogarsi sulle motivazioni profonde della dipendenza da sostanze dei trentenni.
  In relazione al secondo quesito, per gli aspetti rientranti nella delega a me conferita, desidero segnalare che il dipartimento della gioventù sta svolgendo un programma di lavoro volto all'attuazione di misure idonee a diffondere una «cultura di attenzione» in favore dei giovani, creando una rete d'informazione e formazione.
  Il progetto denominato «diritto al futuro» è un insieme di azioni per le quali vi è lo stanziamento complessivo di 216 milioni di euro (300 milioni di euro grazie al cofinanziamento privato).
  Sono stati costituiti alcuni fondi, attraverso i quali si intende dare sostegno e fiducia ai giovani, per aiutarli a superare le difficoltà strutturali e di sistema del mercato del lavoro:
   1. Il «fondo precari» (51 milioni di euro) ha come obiettivo la stabilizzazione di 10 mila potenziali posti di lavoro prevedendo che un giovane precario o disoccupato con meno di 35 anni e con figli porti in dote un bonus di 5 mila euro all'azienda. Con un accordo di collaborazione sono stati messi a disposizione dell'INPS i 51 milioni di euro stanziati ed è stata istituita la «banca dati per l'occupazione dei giovani genitori», cui possono iscriversi i giovani genitori di figli minori, in cerca di un'occupazione stabile. È prevista l'erogazione di un incentivo di 5 mila euro in favore delle imprese private e delle società, cooperative, che provvedano ad assumere a tempo indeterminato le persone iscritte alla banca dati stessa;
   2. il «fondo prima casa» è costituito da 50 milioni di euro stanziati per l'accesso al credito agevolato per l'acquisto della prima casa. I destinatari sono le giovani coppie e i nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, il cui reddito complessivo non superi i 35 mila euro e derivi, per più della metà, da contratti di lavoro atipici. In questo modo è possibile concedere 10 mila mutui a giovani coppie di precari. L'obiettivo è quello di offrire garanzie bancarie e permettere l'acquisto della prima casa alle coppie al di sotto dei 35 anni, che hanno difficoltà ad ottenere il mutuo;
   3. il «fondo Mecenati» è costituito da 100 milioni di euro destinati per l'impresa giovanile, il talento e l'innovazione tecnologica. È finanziato per 60 milioni di euro da privati (grandi aziende e fondazioni) che decidono di investire in proprio sulle capacità e sul talento dei giovani under 35. Con il cofinanziamento pubblico al 40 per cento si intende sostenere il rischio assunto da soggetti privati con le iniziative intraprese. L'obiettivo è stabilire un'alleanza tra istituzioni e nuovi mecenati con lo scopo comune di liberare nuove giovani energie in ogni campo del made in Italy ed, in particolare, promuovere l'avvio di nuove imprese con specifico riguardo ai settori dell'eco-innovazione e dell'innovazione tecnologica, del recupero delle arti e dei mestieri tradizionali, della responsabilità sociale d'impresa, della promozione dell'identità italiana ed europea. Si intende, altresì, sostenere lo sviluppo del talento nel campo della cultura, della musica, del cinema, del teatro, dell'arte, della moda e del design dei giovani attraverso la concessione di premi o borse di studio. Il fondo mecenati ha, dunque, la finalità di stimolare i privati ad investire sulle giovani eccellenze;
   4. il «fondo diamogli futuro» è costituito da 19 milioni euro stanziati per il finanziamento di prestiti garantiti per gli studenti meritevoli che desiderino proseguire gli studi dopo la scuola superiore iscrivendosi all'università, frequentando specializzazioni post-laurea o approfondendo la conoscenza di una lingua. Il fondo di garanzia, attivabile presso gli istituti di credito che aderiscono all'iniziativa, prevede erogazioni, a cadenza annuale, tra i 3 mila e i 5 mila euro, per un massimo di 25 mila euro complessivi. La restituzione dei finanziamenti inizia 30 mesi dopo l'erogazione dell'ultima rata del finanziamento e sarà effettuata in un periodo compreso tra i tre e i quindici anni. Lo scopo è consentire ai giovani privi di mezzi economici di scommettere su se stessi;
   5. segnalo il «progetto Campus Mentis», che ha ricevuto anche l'Alto patronato del Presidente della Repubblica ed è realizzato in collaborazione con una pluralità di università e centri di ricerca pubblici e privati presenti sull'intero territorio nazionale, per la realizzazione di campus che accolgano i migliori laureati italiani, finalizzati al job placement. I campus sono finalizzati a far incontrare domanda e offerta di lavoro, orientare i giovani nelle scelte che possano dare maggiori opportunità occupazionali ed impartire formazione sulle modalità più efficaci di candidatura. L'obiettivo è presentare i giovani alle aziende e facilitare il loro ingresso nel mondo dell'occupazione e lo sviluppo dell'impresa;
   6. il «progetto OstHello», invece, è frutto della collaborazione con l'Associazione italiana alberghi per la gioventù. Attraverso il circuito degli ostelli per la gioventù italiani, sono gratuitamente a disposizione dei giovani, laboratori e strutture dove poter verificare e potenziare le proprie attitudini artistiche. Pertanto si favorisce l'aggregazione giovanile attraverso il turismo culturale, trasformando gli ostelli, in una sorta di «residenze artistiche», punto di riferimento sia per i viaggiatori che per i giovani del territorio. Il numero dei giovani coinvolti è stato significativo, tale da rendere necessario un ampliamento del progetto e un prolungamento temporale delle attività.

  Tutte le misure che compongono il progetto «diritto al futuro» sono state interamente finanziate.
  Per quanto riguarda gli enti locali, in collaborazione con Anci e Upi sono in corso di realizzazione una serie di iniziative finalizzate a cofinanziare i migliori progetti presentati dalle autonomie locali.

  Lo stanziamento complessivo ammonta a circa 9 milioni di euro.
  Per quanto riguarda le attività finalizzate a «facilitare l'accesso dei giovani alle opportunità offerte dall'Unione europea», è stata sottoscritta una convenzione con l'agenzia nazionale giovani, per un importo di 7 milioni di euro.
  La strategia elaborata dalla Commissione europea per il rilancio dell'economia comunitaria nel prossimo decennio, Europa 2020, ha previsto cinque assi di intervento: occupazione, ricerca e sviluppo e innovazione, cambiamenti climatici ed energia, istruzione, povertà e emarginazione.
  Nell'ambito della riprogrammazione dei fondi comunitari per lo sviluppo del Sud, in linea con le indicazioni del Consiglio europeo, con la fase II del piano azione coesione sono stati previsti interventi a favore dei giovani per 220 milioni di euro mirati alla crescita (nuovi finanziamenti per l'autoimpiego e l'imprenditorialità giovanile), ad iniziative per l'apprendistato e l'uscita della condizione giovanile «dei senza studio e senza lavoro».
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazioneAndrea Riccardi.


   BITONCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Helios Technology, società per azioni con sede legale in via Postumia 9/b a Carmignano di Brenta (Padova) – soggetta alla direzione e al coordinamento della società Kerself Spa con sede in Prato di Correggio (Reggio Emilia), ed una delle più importanti realtà a livello nazionale nella produzione di celle e moduli fotovoltaici presente sul mercato mondiale da alcuni decenni, ha iniziato nei primi giorni di novembre 2010 la cassa integrazione per parte dei suoi 200 dipendenti;
   l'azienda, nonostante negli ultimi anni abbia usufruito di numerose commesse, ha dovuto sospendere, in data 15 dicembre 2010, la produzione fino a nuova comunicazione, con ovvie conseguenze per i dipendenti che in essa operano e per le famiglie delle stesse, già provate sia dalle conseguenze della grave crisi economica e dalla cassa integrazione adottata nelle settimane precedenti;
   secondo notizie di stampa, in ragione di situazione di difficoltà legata a motivazioni giudiziarie, una ditta fornitrice della Helios, la cinese Ldk, avrebbe chiesto il sequestro conservativo dei beni a tutela di un credito che quest'ultima vanta nei confronti dell'azienda emiliana –:
   quali concrete misure i Ministri intendano adottare per evitare che la crisi della Helios Technology spa si riversi sui dipendenti della azienda e quali iniziative si intendano perseguire per salvaguardare i livelli occupazionali delle famiglie del territorio interessato. (4-10120)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la crisi della società Helios Technology e le conseguenti ricadute occupazionali, sulla base degli elementi informativi acquisiti dalla regione Veneto e dai competenti uffici di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  La Helios Technology s.p.a., con sede legale e stabilimento produttivo in Carmignano di Brenta (Padova) produce celle e moduli fotovoltaici e occupa attualmente circa 164 dipendenti. La società fa parte, dal 2006, del gruppo Kerself, leader italiano nella produzione di impianti fotovoltaici e campi solari per uso privato e industriale.
  Nel primo semestre del 2010, il gruppo Kerself è entrato in crisi, registrando un calo del valore della produzione e un incremento delle perdite e dell'indebitamento complessivo.
  Analogo trend negativo è stato registrato a partire dal 2010 anche dalla Helios Technology s.p.a., tale condizione è stata determinata dalla difficoltà dell'azienda di approvvigionarsi di materie prime a causa della carenza di liquidità.
  A partire dal 2009, infatti, la Helios Technology s.p.a. ha sostenuto forti investimenti finalizzati all'acquisto di nuovi impianti ad alta tecnologia; ad aggravare la situazione di crisi è intervenuta, nell'ottobre del 2010, la conclusione in senso sfavorevole per la Helios dell'arbitrato internazionale della International chamber of commerce di Parigi che ha imposto all'azienda il pagamento di 30 milioni di euro alla società cinese Ldk Solar Co.Ldt (Ldk), in relazione ad un contratto di fornitura di silicio stipulato fra le due aziende.
  In seguito alle forti preoccupazioni espresse dalle organizzazioni sindacali circa lo stato dell'azienda, si sono svolti presso le istituzioni comunali e provinciali vari incontri con le parti sociali, nel corso dei quali si è convenuto di ricorrere alla cassa integrazione guadagni ordinaria, di cui Helios Technology s.p.a. ha usufruito nell'anno 2010 e nel 2011.
  Nel contempo, la Helios Technology s.p.a. ha avviato un processo di risanamento del debito e il gruppo Kerself ha approvato, in data 16 dicembre 2010, il piano industriale 2010-2014 che prevede l'afflusso di nuove risorse economiche necessarie al rilancio industriale.
  Nei mesi di gennaio e febbraio 2011, si sono tenuti altri incontri presso il comune di Carmignano di Brenta a cui hanno partecipato il sindaco e il vicesindaco, le organizzazioni sindacali e i vertici dell'azienda. In esito a tali incontri, la Helios Technology s.p.a. si è impegnata a far ripartire la produzione e a mantenere i livelli occupazionali.
  Successivamente, sono proseguiti gli incontri tra l'azienda e le organizzazioni sindacali al fine di monitorare il nuovo piano aziendale di lavoro collegato a quello finanziario.
  Tuttavia, le difficoltà dell'azienda e del gruppo Aiòn Renewables, succeduto al gruppo Kerself, non sono state risolte anche a causa della crisi del settore del fotovoltaico e il 12 ottobre 2012 la Helios Technology s.p.a. ha aperto la procedura di mobilità per 85 lavoratori.
  Si segnala che a tutt'oggi le parti sociali non hanno richiesto alcun incontro presso questo Ministero per l'esame della situazione occupazionale e non è pervenuta altra segnalazione al riguardo. In ogni caso, si manifesta la disponibilità ad aprire un tavolo di confronto qualora le parti lo richiedano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMichel Martone.


   BITONCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Helios Technology, società per azioni con sede legale in via Postumia 9/b a Carmignano di Brenta (Padova) — soggetta alla direzione e al coordinamento della società Kerself Spa con sede in Prato di Correggio (Reggio Emilia), ed una delle più importanti realtà a livello nazionale nella produzione di celle e moduli fotovoltaici presente sul mercato mondiale da alcuni decenni, tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011 ha adottato, per parte degli oltre duecento dipendenti alle proprie dipendenze, la stato di cassa integrazione;
   l'azienda, nonostante negli ultimi anni abbia usufruito di numerose commesse, ha dovuto altresì sospendere per determinati periodi la produzione di parte delle proprie linee, con negative conseguenze sia per i dipendenti che in essa operano che per le famiglie delle stesse, già provate dalle conseguenze della grave crisi economica e dalla cassa integrazione adottata nelle settimane precedenti;
   organi di stampa locali (Mattino di Padova di giovedì 2 febbraio 2012) riportano la notizia secondo la quale, a fronte delle recenti decisioni del Governo in materia di «conto energia», parte delle agevolazioni previste a favore di aziende operanti nel fotovoltaico e di progetti già avviati, potrebbero venire meno, spingendo la Kerself ad investire risorse economiche e di investimento in altri Paesi –:
   quali concrete iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per evitare che la crisi della Helios Technology si riversi sui dipendenti dell'azienda, e quali iniziative, all'interno delle rispettive competenze, si intendano adottare per salvaguardare i livelli occupazionali delle famiglie interessate. (4-14772)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la crisi della società Helios Technology spa e le conseguenti ricadute occupazionali, sulla base degli elementi informativi acquisiti dalla regione Veneto e dai competenti uffici di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  La Helios Technology spa con sede legale e stabilimento produttivo in Carmignano di Brenta Padova, produce celle e moduli fotovoltaici e occupa attualmente circa 164 dipendenti. La società fa parte, dal 2006, del gruppo Kerself, leader italiano nella produzione di impianti fotovoltaici e campi solari per uso privato e industriale.
  Nel primo semestre del 2010, il gruppo Kerself è entrato in crisi, registrando un calo del valore della produzione e un incremento delle perdite e dell'indebitamento complessivo.
  Analogo trend negativo è stato registrato a partire dal 2010 anche dalla Helios Technology spa, tale condizione è stata determinata dalla difficoltà dell'azienda di approvvigionarsi di materie prime a causa della carenza di liquidità.
  A partire dal 2009, infatti, la Helios Technology spa ha sostenuto forti investimenti finalizzati all'acquisto di nuovi impianti ad alta tecnologia; ad aggravare la situazione di crisi è intervenuta, nell'ottobre del 2010, la conclusione in senso sfavorevole per la Helios dell'arbitrato internazionale della International Chamber of Commerce di Parigi che ha imposto all'azienda il pagamento di 30 milioni di euro alla società cinese Ldk Solar co.ldt (Ldk), in relazione ad un contratto di fornitura di silicio stipulato fra le due aziende.
  In seguito alle forti preoccupazioni espresse dalle organizzazioni sindacali circa lo stato dell'azienda, si sono svolti presso le istituzioni comunali e provinciali vari incontri con le parti sociali, nel corso dei quali si è convenuto di ricorrere alla cassa integrazione guadagni ordinaria, di cui Helios Technology spa ha usufruito nell'anno 2010 e nel 2011.
  Nel contempo, la Helios Technology spa ha avviato un processo di risanamento del debito e il gruppo Kerself ha approvato, in data 16 dicembre 2010, il piano industriale 2010-2014 che prevede l'afflusso di nuove risorse economiche necessarie al rilancio industriale.
  Nei mesi di gennaio e febbraio 2011, si sono tenuti altri incontri presso il comune di Carmignano di Brenta a cui hanno partecipato il Sindaco e il Vicesindaco, le organizzazioni sindacali e i vertici dell'azienda. In esito a tali incontri, la Helios Technology spa si è impegnata a far ripartire la produzione e a mantenere i livelli occupazionali.
  Gli incontri tra l'azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali sono proseguiti, al fine di monitorare il nuovo piano aziendale di lavoro collegato a quello finanziario.
  Ciò nonostante, anche a causa della crisi del settore del fotovoltaico nel suo complesso, le difficoltà dell'azienda e del gruppo Aiòn Renewables, succeduto al gruppo Kerself, non sono state risolte e il 12 ottobre 2012 la Helios Technology spa ha aperto la procedura di mobilità per 85 lavoratori.
  Nell'ottobre del 2012, la regione Veneto ha rappresentato che, in assenza di incentivi finalizzati a sostenere l'acquisto di moduli fotovoltaici, in prospettiva si potrebbe arrivare alla chiusura degli impianti stante l'attuale mancanza di nuovi ordini.
  Si segnala, infine, che a tutt'oggi le parti sociali non hanno richiesto alcun incontro presso questo Ministero né presso il Ministero dello sviluppo economico per l'esame della situazione occupazionale e non è pervenuta altra segnalazione al riguardo. In ogni caso, si manifesta la disponibilità ad aprire un tavolo di confronto qualora le parti lo richiedano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMichel Martone.


   BOBBA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con nota 11 marzo 2011, protocollo 8761, la direzione centrale delle risorse umane dei vigili del fuoco definiva il trasferimento del personale operativo della sede centrale dei vigili del fuoco di Vercelli e del distaccamento ad essa afferente;
   in particolare la sede centrale e il distaccamento di Livorno Ferraris sono composti da un organico pari a 96 unità, che verranno ridotte a 76, a seguito della mobilità sopra citata;
   le 76 unità, dovendo essere ripartite per turno, risulteranno 19, causando problematiche non solo nella ripartizione di congedi ed assenze, ma anche per ciò che attiene alla sicurezza del territorio, in quanto ci si ritroverebbe al di sotto del numero minimo di 13 unità per turno, al fine di garantire 2 squadre da 5 unità ed una di mezzi speciali con 2 permanenti;
   da quanto premesso, emerge la difficoltà a garantire l'operatività del dipendente organico del distaccamento di Livorno Ferraris, attivato mediante l'organizzazione dei servizi nella forma regolare dal 22 gennaio 2005, senza riconoscimento della stessa pianta organica;
   la mobilità annunciata oltre alle problematiche relative al distaccamento di Livorno Ferraris, non considera la necessità di potenziamento organico del comando stesso, del distaccamento e della scuola nazionale «Monte Rosa» di Varallo Sesia;
   le conseguenze di tale situazione si ripercuoteranno su di un territorio che necessita per propria vocazione geografica e imprenditoriale, di servizi di sicurezza per i cittadini e per i lavoratori del settore;
   non appare accettabile la soluzione, che pare essere stata paventata, di compensare, anche temporaneamente, le carenze d'organico con la chiusura dei distaccamenti permanenti periferici cui sarebbe costretto il dirigente provinciale in assenza di idonei provvedimenti degli organi centrali, vanificando la logica operativa della distribuzione capillare delle strutture operative sul territorio della provincia che individua proprio nei distaccamenti permanenti lo strumento operativo necessario ed inderogabile per garantire che il soccorso tecnico urgente alla cittadinanza sia reso in modo professionale, efficiente ed efficace;
   lo stesso comandante provinciale dei vigili del fuoco di Vercelli, in data 18 marzo 2011, aveva inviato una missiva ai dipartimenti competenti al fine di trovare una soluzione in breve termine vista la gravità della situazione;
   a parere dell'interrogante appare lesivo e quantomeno inopportuno proporre la compensazione con la messa a disposizione del comando di un congruo monte ore straordinario in attesa di una assegnazione di nuovo personale che non potrà essere disponibile prima di fine giugno –:
   come mai si sia proceduto a definire un piano di mobilità così invasivo per i dipartimenti provinciali e locali dei vigili del fuoco;
   se non si intenda agire con urgenza al fine di scongiurare la chiusura del distaccamento di Livorno Ferraris, senza attendere il mese di giugno per le assegnazioni di nuovo personale. (4-18910)

  Risposta. — Le problematiche esposte nell'interrogazione attengono a procedure di mobilità ed assegnazione di personale con qualifica di vigile del fuoco, disposte ed attuate nel primo semestre 2011, che hanno avuto effetti transitori.
  Sulla base dei criteri generali di classificazione delle sedi operative, uniformemente applicati per l'intero territorio nazionale, a ciascun ufficio territoriale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è attribuita una pianta organica che, per quanto riguarda il comando provinciale dei vigili del fuoco di Vercelli, consta di 16 capi reparto, 40 capi squadra e 84 vigili del fuoco, distribuiti tra la sede centrale del Comando Provinciale ed i due distaccamenti permanenti di Varallo Sesia e di Livorno Ferraris.
  Sulla base di tale pianta organica, il 19 aprile 2011 fu attuata una procedura di mobilità nazionale per personale con qualifica di vigile del fuoco.
  I trasferimenti peraltro furono concomitanti con l'assegnazione di operatori assunti al termine dei previsti corsi di ingresso.
  In particolare, per quanto riguarda il comando di Vercelli, i movimenti di personale effettuati nel primo semestre 2011 determinarono una temporanea riduzione del numero di vigili del fuoco. Già con le stesse assegnazioni del luglio 2011, tuttavia, l'organico è stato potenziato rispetto alla consistenza numerica antecedente alla procedura di mobilità.
  Allo stato attuale, lo scostamento fra la pianta organica effettiva e quella teorica del comando di Vercelli è pienamente in linea con la media nazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   BOBBA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Società Jolly Club srl con sede in Cigliano (Vc) Via S.Clara 7 P.I. 001728410026 nella persona dell'amministratore unico signor Bonino Maria Rita svolge attività commerciale turistica, nello specifico una piscina estiva con idroscivoli, con periodo di apertura 1° giugno fino al 31 agosto di ogni anno solare;
   negli anni 2010-2011-2012 la citata società ha assunto alle proprie dipendenze, tramite consulente del lavoro ragazzi dai 18 ai 25 anni, con regolare autocertificazione che attesta la frequenza a corsi di studio, muniti di brevetto di «assistente bagnanti» in qualità di bagnini, con il metodo dei vouchers;
   l'attività esercitata dalla società non può prescindere dalla presenza di personale addetto all'assistenza ai bagnanti, e la commissione provinciale di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo, nel verbale di visita, raccomandava la presenza di almeno 4 bagnini;
   la società Jolly Club nel solo 2012, per garantire standard di sicurezza garantiva la presenza di almeno 10 assistenti ai bagnanti, provvedendo per 9 di questi ad una contrattazione di tipo accessorio corrispondendo i voucher e 1 assunto come lavoratore dipendente;
   tali assunzioni regolarmente inviate agli enti di competenza, e secondo le normative pubblicate sul sito INPS vengono contestate, a seguito di sopralluogo degli stessi ispettori INPS, in quanto non risponderebbero ai requisiti di lavoro accessorio ma ascrivibili nella categoria di lavoro dipendente subordinato;
   nel verbale del 16 settembre 2012, redatto dall'INPS, viene contestato all'amministratore unico della società la violazione dell'articolo 39, comma 1 e 2 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge 21 agosto 2008, n. 133, essendo appunto riferita a più di dieci lavoratori, il rapporto contrattuale di assunzione;
   a parere dell'interrogante la vicenda in premessa evidenzia problematiche interpretative riguardo alla normativa sul lavoro accessorio occasionale in particolar modo relativamente al tipo di rapporto, ai soggetti e ai settori produttivi interessati e alla mansione che si può richiedere al prestatore;
   venerdì 28 settembre 2012, dopo sollecitazione da parte del sindaco di Cigliano, signor Corgnati, al fine di avere chiarimenti sulla legislazione, l'ufficio relazioni esterne del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, faceva presente tramite e-mail di aver provveduto ad inoltrare la richiesta ai competenti uffici, ma ad oggi non vi è stata ancora risposta –:
   se non si ritenga urgente e doveroso specificare il merito della legge n. 191 del 23 dicembre 2009, nonché la gestione del lavoro accessorio occasionale, anche al fine di evitare che aziende come quella in premessa, pur volendo rispettare tutte le previsioni di legge e garantire la sicurezza della propria attività, si ritrovino sanzionati. (4-18938)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede al Governo di specificare i limiti e le modalità di ricorso al lavoro accessorio, con particolare riferimento al caso della società Jolly Club con sede in Cigliano in provincia di Vercelli che svolge attività commerciale in campo turistico.
  In via generale, si rappresenta che, il lavoro accessorio costituisce uno strumento attraverso il quale ricondurre nell'ambito della regolarità talune prestazioni di carattere occasionale che diversamente sarebbero di fatto escluse da qualsiasi formalizzazione.
  In seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 di riforma del mercato del lavoro, la disciplina del lavoro accessorio è stata fortemente semplificata, in particolare, attraverso l'eliminazione delle causali soggettive e oggettive che consentivano il ricorso a tale istituto.
  Al fine di chiarire la portata applicativa delle nuove disposizioni introdotte dalla legge di riforma del mercato del lavoro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha emanato la circolare n. 4 del 2013.
  Con la citata circolare si chiarisce che il nuovo articolo 70 del decreto legislativo n. 276 del 2003 consente oggi di ricorrere sempre e comunque al lavoro accessorio con l'unico limite di carattere economico costituito dal compenso massimo di 5.000 euro che il lavoratore può percepire nel corso dell'anno solare indipendentemente dal numero dei committenti.
  Si tratta, quindi, di una attività meramente occasionale, che, considerando il modesto apporto economico, non può costituire per il lavoratore l'unico sostentamento economico.
  Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i committenti devono acquistare presso le rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni orari, il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
  Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso dell'anno solare, il legislatore del 2012 ha previsto che nei confronti di committenti imprenditori commerciali le prestazioni di lavoro accessorio non possono dare luogo a compensi maggiori di 2.000 euro.
  Tali limiti sono stati posti al fine di evitare che il lavoro accessorio venga utilizzato in luogo di altre tipologie contrattuali con possibili effetti di dumping sociale a sfavore di contratti di lavoro più stabili e duraturi.
  Le principali violazioni in materia di lavoro accessorio attengono principalmente al superamento dei limiti di compenso massimo nonché all'utilizzo di voucher al di fuori del periodo consentito di 30 giorni dall'acquisto.
  Il superamento dell'importo massimo consentito e l'utilizzo dei voucher in un periodo di tempo diverso da quello permesso, sussistendo determinati presupposti, potrebbero comportare la trasformazione del rapporto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con applicazione delle relative sanzioni civili e amministrative.
  Con riferimento al periodo transitorio i buoni lavoro acquistati prima del 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge di riforma del mercato del lavoro, potranno essere spesi entro il 31 maggio 2013, rispettando la precedente disciplina, soprattutto con riferimento al campo di applicazione soggettivo e oggettivo. Ne consegue che tali buoni non saranno conteggiati al fine del raggiungimento del limite dei 5.000 euro e dei 2.000 euro e rispetto ad essi non sussiste alcun vincolo di parametrazione oraria.
  Con specifico riferimento alla vicenda citata dall'interrogante, in seguito ad informazioni assunte presso gli uffici territoriali di questo Ministero, si comunica che il Comitato regionale per i rapporti di lavoro del Piemonte, nella seduta del 20 novembre 2012, ha accolto a maggioranza il ricorso presentato dalla società Jolly Club con sede in Cigliano avverso i verbali elevati dall'Inps di Vercelli.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMichel Martone.


   BORGHESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Gruppo Kerself, protagonista della nuova green economy, è leader italiano nell'attività di system integration di impianti fotovoltaici e campi-solari di qualsiasi dimensione sia per l'uso privato sia per quello industriale ed è composto da 5 realtà aziendali;
   Helios Technology, con sede e stabilimento produttivo a Carmignano di Brenta (Padova), è entrata a far parte del Gruppo Kerself nel 2006 diventando la più importante realtà italiana nella produzione di celle e moduli fotovoltaici, con circa 200 dipendenti;
   Thermosolar nasce a Formigine (Modena) nel 1983; oggi l'azienda realizza impianti fotovoltaici «chiavi in mano»;
   nata nel 1992 a Cori (Latina), Dea è uno dei principali distributori italiani di prodotti termici e fotovoltaici;
   fondata nel 1998 ad Altamura (Bari), la SAEM si occupa della progettazione e installazione di piccoli, medi e grandi impianti fotovoltaici;
   leader in Italia nella realizzazione e fornitura di impianti fotovoltaici «chiavi in mano» (EPC Contract) e dell'ingegnerizzazione, progettazione, produzione, realizzazione e installazione di impianti solari fotovoltaici di grandi dimensioni (campi solari pari ad almeno 1 megawatt) Ecoware ha sede a Padova;
   nel complesso risultano dunque occupati circa 350 lavoratori;
   nel primo semestre 2010 il Gruppo Kerself ha realizzato un valore della produzione consolidato pari a 112,1 milioni di euro, con una diminuzione rispetto al 30 giugno 2009, del 14,8 per cento;
   il risultato netto complessivo al 30 giugno 2010 ha registrato una perdita pari a 10,9 milioni di euro in diminuzione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, che era positivo per un ammontare di 5,9 milioni di euro;
   l'indebitamento finanziario netto del gruppo Kerself, senza considerare il settore delle risorse idriche, ammonta a 136,9 milioni di euro;
   alla data del 30 giugno 2010 il Gruppo Kerself ha un portafoglio ordini firmato pari a circa 400 milioni di euro. Inoltre risulta aver stipulato frame work agreement per oltre 850 milioni di euro per gli anni 2011-2012 in grado di coprire quasi interamente il valore della produzione previsto dal piano industriale attualmente in essere per quei due anni;
   banca Imi ritiene che i risultati deludenti siano dovuti principalmente alla situazione finanziaria difficile del gruppo, ai problemi legati alla produzione, alle scorte della controllata Helios e alla performance debole della divisione risorse idriche (-3,8 milioni nel primo semestre), che Kerself sta cercando di dismettere;
   visto il debito elevato e il basso livello di equity, banca IMI si attende inoltre che il gruppo approvi nel breve termine un sostanzioso aumento di capitale;
   Pier Angelo Masselli, presidente e azionista di controllo della Kerself di Correggio, ha prelevato dalle casse dell'azienda quasi 1 milione di euro, classificati nella contabilità come anticipi sulle trasferte. Le spese sostenute da Masselli, secondo quanto dicono la società di revisione e il collegio sindacale, non sono accompagnate dalla documentazione giustificativa la Consob ha posto al consiglio di amministrazione della società di Correggio in relazione a tali fatti diversi quesiti;
   secondo taluni osservatori, sarà la vendita di una partecipazione societaria a consentire a Pier Angelo Masselli di saldare i suoi debiti verso Kerself, l'azienda di Correggio di cui è presidente e azionista di controllo. Nel dicembre 2008 Kerself vendette per 10 milioni il 15 per cento di Helios Technology, un'azienda del gruppo che produce celle e moduli fotovoltaici. La quota fu acquistata da una finanziaria di Masselli, la Immobiliare Ve-Ga;
   due mesi fa la società di revisione segnala al collegio sindacale che il presidente Masselli ha prelevato dalle casse dell'azienda 965 mila euro. Secondo quanto sostengono i revisori, le operazioni non sono «documentate e non appaiono coerenti rispetto alle finalità che si deducono dalle scritture contabili», che classificano quei prelievi come anticipi per trasferte. A questi debiti, si sommano i 4 milioni e 683 mila euro che l'immobiliare Ve-Ga deve ancora versare a Kerself per il pagamento del 15 per cento di Helios Technology. Totale dei soldi dovuti da Masselli a Kerself: 5 milioni e 648 mila euro. È il 25 marzo;
   pochi giorni dopo, arriva la soluzione. Al collegio sindacale viene mostrato un contratto, datato proprio 25 marzo. Masselli salderà i debiti vendendo il 15 per cento di Helios Technology a Kerself. Non si comprende la ragione per la quale l'azienda di Correggio dovrebbe ricomprare una quota che aveva venduto solo un anno fa, dovrebbe acquistare il 15 per cento di una società di cui detiene già il 70 per cento, secondo il consiglio di amministrazione, per razionalizzare le partecipazioni. Il prezzo pattuito è lo stesso dell'operazione precedente: 10 milioni. Masselli e Immobiliare Ve-Ga hanno 5,6 milioni di euro di debiti, quindi ne incasseranno quasi 4 e mezzo da Kerself;
   anche in ottemperanza a specifica richiesta formulata da Consob ai sensi dell'articolo 114 del codice penale, e decreto legislativo n. 59 del 1998, in data 25 maggio 2010 il tribunale di Latina ha depositato un'ordinanza con la quale – in riforma della precedente decisione resa dallo stesso tribunale in composizione monocratica – è stato accolto il ricorso presentato dal signor Luigi Sellaroli, socio della Società DEA S.r.l. al 40 per cento, e contestualmente sono stati revocati dalla carica gli amministratori della citata Società, signor Pier Angelo Masselli e signor Giuseppe Pellacani;
   nella mattina del 17 settembre 2010, invece, Kerself ha annunciato nuove commesse nel settore delle energie rinnovabili. Nel dettaglio la società ha sottoscritto tramite la controllata Ecoware un contratto innovativo per la realizzazione di parchi solari fotovoltaici per un totale di 60 megawatt con Eopily new energy technology. Uno dei principali produttori cinesi di moduli fotovoltaici. Il progetto, che si realizzerà in Italia entro il 2010 e valutato circa 200 milioni di euro, verrà realizzato con moduli del partner cinese;
   Banca IMI ora prevede che la società chiuda il 2010 con una perdita netta di 8,6 milioni di euro, mentre in precedenza gli analisti stimavano un utile netto di 12,8 milioni di euro;
   Kerself è stata sospesa in Borsa con un rialzo teorico del 10,70 per cento sulla scia del contratto sottoscritto con la cinese Eopily New Energy Technology tramite la controllata Ecoware per la realizzazione entro il 2011 di parchi solari fotovoltaici;
   a Carmignano del Brenta si vivono momenti di grande apprensione poiché, nonostante gli ordinativi, l'attività produttiva sembra subire forti rallentamenti e vi è incertezza per il futuro. In effetti a fronte di un numero di ordini molto alti l'azienda sta lavorando al 50 per cento della sua potenzialità e dunque in perdita –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto appena esposto;
   se e di quali elementi dispongano in relazione ai comportamenti a dire poco discutibili del signor Masselli, e cosa intendano fare per garantire che i lavoratori non paghino le conseguenze di vicende societarie poco chiare, ciò a salvaguardia dei livelli occupazionali. (4-09313)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la crisi della società Helios Technology e le conseguenti ricadute occupazionali, sulla base degli elementi informativi acquisiti dalla regione Veneto e dai competenti uffici di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  La Helios Technology spa, con sede legale e stabilimento produttivo in Carmignano di Brenta (Padova), produce celle e moduli fotovoltaici e occupa attualmente circa 164 dipendenti. La società fa parte, dal 2006, del gruppo Kerself, leader italiano nella produzione di impianti fotovoltaici e campi solari per uso privato e industriale.
  Nel primo semestre del 2010, il gruppo Kerself è entrato in crisi, registrando un calo del valore della produzione e un incremento delle perdite e dell'indebitamento complessivo.
  Analogo trend negativo è stato registrato a partire dal 2010 anche dalla Helios Technology spa, tale condizione è stata determinata dalla difficoltà dell'azienda di approvvigionarsi di materie prime a causa della carenza di liquidità.
  A partire dal 2009, infatti, la Helios Technology spa ha sostenuto forti investimenti finalizzati all'acquisto di nuovi impianti ad alta tecnologia; ad aggravare la situazione di crisi è intervenuta, nell'ottobre del 2010, la conclusione in senso sfavorevole per la Helios dell'arbitrato internazionale della International Chamber of Commerce di Parigi che ha imposto all'azienda il pagamento di 30 milioni di euro alla società cinese Ldk Solar co.ldt (Ldk), in relazione ad un contratto di fornitura di silicio stipulato fra le due aziende.
  In seguito alle forti preoccupazioni espresse dalle organizzazioni sindacali circa lo stato dell'azienda, si sono svolti presso le istituzioni comunali e provinciali vari incontri con le parti sociali, nel corso dei quali si è convenuto di ricorrere alla cassa integrazione guadagni ordinaria, di cui Helios Technology spa ha usufruito nell'anno 2010 e nel 2011.
  Nel contempo, la Helios Technology spa ha avviato un processo di risanamento del debito e il gruppo Kerself ha approvato, in data 16 dicembre 2010, il piano industriale 2010-2014 che prevede l'afflusso di nuove risorse economiche necessarie al rilancio industriale.
  Nei mesi di gennaio e febbraio 2011, si sono tenuti altri incontri presso il comune di Carmignano di Brenta a cui hanno partecipato il Sindaco e il Vicesindaco, le organizzazioni sindacali e i vertici dell'azienda. In esito a tali incontri, la Helios Technology spa si è impegnata a far ripartire la produzione e a mantenere i livelli occupazionali.
  Successivamente, sono proseguiti gli incontri tra l'azienda e le organizzazioni sindacali al fine di monitorare il nuovo piano aziendale di lavoro collegato a quello finanziario.
  Tuttavia, le difficoltà dell'azienda e del gruppo Aiòn Renewables, succeduto al gruppo Kerself, non sono state risolte anche a causa della crisi del settore del fotovoltaico e il 12 ottobre 2012 la Helios Technology spa ha aperto la procedura di mobilità per 85 lavoratori.
  Si segnala che a tutt'oggi le parti sociali non hanno richiesto alcun incontro presso questo Ministero per l'esame della situazione occupazionale e non è pervenuta altra segnalazione al riguardo. In ogni caso, si manifesta la disponibilità ad aprire un tavolo di confronto qualora le parti lo richiedano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMichel Martone.


   BORGHESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 aprile 2006, è stato emanato un decreto ministeriale riguardante la deroga del decreto legislativo n. 66 del 2003, che riguarda l'organizzazione dell'orario di lavoro, classificando alcuni servizi della vigilanza privata come servizi di sicurezza sussidiaria per i quali si può applicare tale deroga, dimenticando che il decreto legislativo n. 66 in questione, prevede già deroghe in caso di eventi eccezionali e imprevedibili, e che appare all'interrogante in contrasto con le direttive europee 93/104/CE e 2000/34/CE che decretano il limite massimo di ore lavorative settimanali a 48;
   appare evidente l'intento di aumentare l'orario di lavoro ordinario in quanto la maggioranza dei servizi rientrerebbe in tale deroga, disapplicando la volontà del legislatore di garantire e tutelare la qualità della vita dei lavoratori;
    con la sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea del 13 dicembre 2007 C-465/05 si sancisce definitivamente la natura privatistica e a scopo di lucro delle imprese di vigilanza privata, (quindi appare evidente la non assoggettabilità a compiti di sicurezza sussidiaria, salvo specifiche richieste di PS). Nonostante questo, il Governo italiano, tramite il decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, riguardante: modifiche al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 «Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'orario di lavoro» ha escluso completamente la vigilanza privata dal sopracitato decreto legislativo 66 con la conseguenza di aumentare spropositatamente l'orario di lavoro giornaliero dei lavoratori di questo settore portandolo a 12/14 o più ore, contravvenendo a quanto sentenziato dalla Corte di giustizia sopracitata e alle direttive europee 93/104/CE e 2000/34/CE trasposte nel decreto legislativo n. 66 del 2003 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e se intenda assumere iniziative per abrogare le disposizioni penalizzanti previste in tali decreti, in primis il decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, successivamente il decreto ministeriale 27 aprile 2006, facendo sì che la vigilanza privata sia assoggettata completamente al decreto legislativo n. 66 del 2003. (4-14687)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la disciplina dell'orario di lavoro degli agenti privati di vigilanza e custodia, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto legislativo n. 66 del 2003, adottato in attuazione della direttiva 93/104/CE, modificata dalla direttiva 2000/34/CE e poi abrogata dalla direttiva di codificazione 2003/88/CE, in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, prevedeva che i servizi di vigilanza privata potessero essere oggetto di una disciplina derogatoria, al fine di realizzare una gestione più flessibile dell'orario di lavoro in presenza di particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica.
  In attuazione di tale disposizione, è stato emanato il decreto interministeriale 27 aprile 2006 relativo ai servizi di vigilanza attribuiti alle guardie particolari giurate, il quale ha disposto che i limiti massimi della prestazione lavorativa giornaliera, notturna e straordinaria venissero determinati dalla contrattazione collettiva nazionale.
  Tale decreto non conteneva, tuttavia, una deroga tout court all'orario normale di lavoro, ma elencava quali servizi di sicurezza giustificavano un'organizzazione più flessibile dell'orario di lavoro e poneva comunque quale limite al libero esplicarsi della contrattazione collettiva il rispetto della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
  Più recentemente, l'articolo 41, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008 ha modificato l'articolo 2 del decreto legislativo n. 66 del 2003, prevedendo espressamente l'esclusione del settore della vigilanza privata dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 66 del 2003. Ciò ha comportato la perdita di efficacia del decreto interministeriale 27 aprile 2006 emanato in virtù della precedente disciplina.
  Allo stato attuale, dunque, l'organizzazione dell'orario di lavoro del settore della vigilanza privata, comprensiva della disciplina delle ferie, dei riposi e delle pause dal lavoro, trova la propria regolamentazione esclusivamente nella fonte contrattuale, la quale in ogni caso non può contravvenire alla normativa in tema di sicurezza e salute dei lavoratori stante il carattere precettivo ed inderogabile della stessa.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMichel Martone.


   BORGHESI. – Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Sindacato italiano appartenenti polizia (SIAP) in persona del segretario generale Luigi Empirio lamenta che la polizia di Stato della Polaria Malpensa (500 poliziotti) non ha la mensa di servizio e si appoggia alla mensa della SEA, Società di gestione dell'aeroporto della Malpensa;
   in particolare, dopo la cessazione del contratto con la società SEASERVICE e la nuova stipula del contratto in essere con la Società SERIST, la mensa presente al «Terminal 2» il pomeriggio e la sera non è in funzione; situazione che di fatto «impone» al personale che deve espletare il turno 19.00/24.00 di recarsi in mensa non oltre le ore 17.15, dato che il «Terminal 1» dista circa 3 chilometri dalla caserma della polizia di Stato e circa 4/5 chilometri dal «Terminal 2». Da ciò ne risulta che il personale, libero dal servizio, esce dalla caserma della polizia di Stato e deve percorrere 3 chilometri per raggiungere la mensa, dove, dopo aver atteso il proprio turno per prelevare le pietanze e consumare la cena, nel caso in cui risulta comandato di servizio al «Terminal 2», deve percorrere ben 5/6 chilometri per raggiungere la postazione di lavoro (da calcoli orientativi, arrotondati anche per difetto, risulta che i tempi minimi per detta operazione non sono inferiori a 60 minuti). Risulta, inoltre, che la mensa della SEA offra una qualità delle pietanze non ritenuta soddisfacente; inoltre sembra non organizzata a fornire il cosiddetto «sacchetto» sostitutivo del pasto (pasto da asporto);
   in data 29 maggio 2012 è stato richiesto l'accesso agli atti amministrativi, in virtù della vigente normativa, finalizzata all'acquisizione del contratto stipulato tra l'ufficio territoriale del Governo di Varese e la ditta «SEA» o, comunque, qualsivoglia contratto di convenzione in essere, relativamente alla somministrazione del vitto al personale della polizia di Stato per le sedi mensa del «Terminal 1 e 2» di Malpensa. Lo scopo è di fornire la giusta informazione relativa agli obblighi della ditta. Da uno stralcio del contratto (valido dal 1o giugno 2005 al 31 dicembre 2006) stipulato tra l'ufficio territoriale del Governo di Napoli e la ditta «Ladina Ristorazione S.r.l.», rep. N. 18899, per la somministrazione del vitto al personale della polizia di Stato presso i locali del IV Reparto Mobile di Napoli si evidenzi come il servizio reso comporta una spesa pari a 4,65 euro per pasto, mentre il corrispettivo previsto per Malpensa è di 7,00 euro. La prefettura di Varese quindi, elargisce annualmente alla società SEA circa 870.000,00 euro (il tutto si apprende dai verbali della commissione provinciale mensa e salubrità annuali);
   è evidente che ciò comporta un doppio danno: il primo all'erario, che spende risorse per un pranzo poi sostanzialmente non consumato, ed il secondo per i poliziotti, che, pur vedendo formalmente riconosciuto un loro diritto sostanziale, rimangono a digiuno o quasi;
   il sindacato SIAP ha segnalato, inoltre, che non risulta se si sia tenuta una gara d'appalto per il servizio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
   se il Ministro non intenda procedere ad immediata verifica del rispetto degli obblighi contrattuali per le conseguenti determinazioni del caso;
   come intenda procedere per far fronte «all'emergenza» mensa mediante l'erogazione, per il tempo strettamente necessario, a tutti gli aventi diritti della mensa obbligatoria, del ticket restaurant e/o se intenda procedere a stipulare una convenzione con punti di ristorazione allocati nelle immediate vicinanze dell'aeroporto di Malpensa. (4-16828)

  Risposta. — Il servizio mensa per il personale dell'ufficio di specialità di Malpensa è fornito dalla società «Serist», sulla base del contratto stipulato con la prefettura di Varese. Tale società eroga analoga prestazione ai dipendenti della società di gestione dell'aeroporto (circa 3.500 persone), nonché ad altri operatori aeroportuali.
  L'ubicazione delle strutture di ristoro, situate nel «terminal 1» e nel «terminal 2», permette all'utenza un'agevole fruizione dei pasti, anche in considerazione dei turni e del luogo in cui questi devono essere espletati.
  Il «terminal 2» tuttavia, dallo scorso mese di maggio, non fornisce il pasto serale a causa del numero limitato di commensali. Il personale della polizia di frontiera, pertanto, deve recarsi presso l'altra struttura.
  Per compensare tale situazione di disagio, sono state previste alcune agevolazioni, quali, ad esempio, la possibilità di usufruire gratuitamente dei parcheggi. Sono previsti, inoltre, pasti da asporto confezionati in sostituzione del pasto caldo.
  Sono state, comunque, avviate specifiche iniziative per individuare soluzioni alternative.
  Circa le problematiche igienico-sanitarie, si rappresenta che l'azienda viene sottoposta periodicamente a controlli da parte dell'A.S.L., nell'ambito del piano integrato di prevenzione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   BOSSA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   lungo le sponde del Lago Fusaro, a Bacoli, in provincia di Napoli, insistono alcuni siti di particolare valore ambientale e culturale;
   tra questi vale la pena ricordare le «Grotte dell'acqua» (resti di una cisterna termale d'età imperiale) e il «Parco Vanvitelliano» (riserva di caccia e di pesca dei Borboni, abbellito dalla celebre Casina Vanvitelliana);
   nella zona c’è anche una pista ciclabile costata circa 5 milioni di euro, nel 2006, che avrebbe dovuto distendersi lungo i 3 chilometri di periplo del lago, raggiungendo proprio le «Grotte dell'acqua» e il Parco;
   tali siti di proprietà pubblica sono in condizioni di abbandono e di degrado, così come denunciato ripetutamente da varie associazioni, tra cui il coordinamento dei comitati e dei cittadini delle periferie, che ha indirizzato alle autorità territoriale numerose istanze;
   in particolare le «Grotte dell'acqua» cadono a pezzi, sono sorrette da ponteggi ossidati, sono invasi da erbacce e rifiuti; il parco, a sua volta, in numerosi punti, è uno sversatoio a cielo aperto di materiali di risulta dai cantieri, di cumuli di plastica, di fogliame, di attrezzature depositate e mai installate;
   la pista ciclabile, a sua volta, è stata realizzata solo per un quarto del suo tracciato; ed è coperta da vegetazione incolta, rifiuti, al punto che il percorso è quasi del tutto scomparso alla vista;
   le condizioni pietose in cui versano questi piccoli gioielli del patrimonio culturale, archeologico e storico dei Campi flegrei sollevano indignazione e stupore nei tanti turisti stranieri che arrivano sui siti, indicati su guide e mappe, ritrovandosi di fronte rifiuti e abbandono –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, se non ritenga di intervenire, per quanto di propria competenza, per la nascita di un progetto di recupero e valorizzazione degli straordinari beni culturali sopra menzionati. (4-16930)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede se questo Ministero non ritenga di intervenire, per quanto di propria competenza, per la nascita di un progetto di recupero e valorizzazione delle Grotte dell'Acqua e del Parco Vanvitelliano, riserva di caccia e di pesca dei Borboni, in provincia di Napoli, si comunica quanto segue.
  L'attuale lago Fusaro, posto al centro del suburbio meridionale di Cuma antica, è individuato da fonti storico-letterarie come Acherusia Palus, mitica palude generata dal fiume infernale Acheronte, forse a causa di vapori e sorgenti termali presenti in antico sulle sponde e presenti ancora oggi quali fenomeni vulcanici secondari dovuti alle sue origini solfatariche.
  In età storica, il lago fu un'ampia insenatura sul mare, forse usato da popolazioni indigene per coltivarvi mitili, la cui immagine è costantemente presente sul retro delle monete greche di Cuma, verosimilmente come simbolo caratterizzante il luogo di fondazione della colonia greco-euboica (740/730 a.C.).
  In età romana, le colline circostanti si riempirono di ville e insediamenti rustici, noti da resti; in particolare, sul promontorio di Torregaveta e nell'area retrostante vi era la villa marittima di Publio Servilio Vatia, unica di cui si conosca l'attribuzione della proprietà, grazie allo scrittore latino Seneca, della quale avanzano numerosi resti a terra e nell'antistante area sommersa, tra cui la Foce Vecchia o Foce Romana del Fusaro, corrispondente a un lungo tratto in galleria e allo scoperto della strada, tagliata nel tufo, dall'arenile antico alla villa, entrambi oggi sommersi nel mare a –2,00 metri circa; resti di un'altra villa sono presenti sulle alture della sponda sud, entro il complesso industriale Alenia.
  L'attuale lago, il cui nome si deve all'uso d'età medievale e moderna quale irueusarium per macerarvi canapa e lino, si formò per chiusura della barra dunale, come documentano fonti storico-letterarie; tra gli altri resti sulle sue sponde orientali vi sono quelli del settore termale marittimo, appartenenti a un'ampia villa, con accesso da un diverticolo della via collinare Cumis Misenum, noti come «Grotte dell'Acqua», dall'uso delle acque geotermiche, ancora ivi scorrenti in due ambienti rettangolari voltati, dal XVII – XVIII sec. e fino al secondo dopoguerra; la villa, d'età romana repubblicana, modificata in seguito, fu edificata sui terrazzamenti della retrostante collina de «La Mofeta» e i suoi resti si sviluppano in corrispondenza e attorno al piccolo borgo, forse d'origine medievale, costituito da basse case ubicato poco distante a monte delle «Grotte dell'Acqua», in area archeologicamente vincolata con decreto ministeriale 17 ottobre 1989, ai sensi della legge n. 1089 del 1939, ora decreto legislativo n. 42 del 2004.
  Altri resti del settore marittimo di questa villa, importante, perché di vaste dimensioni (24.000 metri quadri circa), si sviluppano ancora, come verificato durante indagini archeologiche nel 2000, sul lato sud della proprietà del centro ittico campano di Bacoli e la cui acquisizione sarebbe essenziale per tutela e valorizzazione.
  Per i motivi sopra esposti, specchio lacustre, sponde, foci e il litorale marino antistante, ricadenti in zona di protezione integrale del piano territoriale paesistico dei Campi Flegrei, di «verde vincolato» e «verde standard» del piano regolatore generale del comune di Bacoli, sono, altresì, archeologicamente vincolati con decreti ministeriali 20 novembre 1987 e 22 dicembre 1987.
  Il lago Fusaro, con sponde, foci e molti immobili circostanti, ricade attualmente nel compendio del centro ittico campano di Bacoli, appartenente allo stesso comune e comprendente anche il bacino del lago Miseno o Maremorto; a fronte di annosi stati di degrado e abbandono del Fusaro stesso e dei resti archeologici sulle sponde, appartenenti al centro ittico campano o ricadenti in proprietà privata, la competente soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, con maggiore impegno a partire dagli anni ’90 del secolo appena trascorso, si è sempre attivata per la tutela e la valorizzazione, ottenendo finalmente nel 2000, come sopra anticipato, che prime indagini archeologiche, a carattere parziale, fossero svolte all'interno della maggiore delle due «Grotte», per comprenderne l'originaria destinazione e l'aspetto (il caliclarium del settore termale, in base alle caratteristiche architettoniche finora note), seguiti da regolare pubblicazione su fondi del centro ittico campano, nonché realizzare prime opere provvisionali e di consolidamento al monumento, atte a scongiurarne il crollo.
  La soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei ha sollecitato ulteriormente il comune e il centro ittico campano di Bacoli a sottoporle, al più presto, un idoneo progetto di restauro e valorizzazione, comprensivo di indagini archeologiche e scavo alle strutture emergenti e a quelle parzialmente sommerse per subsidenza, nonché ad altre verosimilmente sommerse nell'antistante bacino lacustre sotto direzione e sorveglianza della medesima soprintendenza.
  La richiesta è stata reiterata in occasione della manifesta volontà del comune, che avrebbe ricevuto l'attribuzione di fondi regionali a tale scopo, di recuperare l'uso delle acque geotermiche, anche per successivi interventi di valorizzazione e fruizione dei resti antichi, che non può prescindere da preliminari indagini esaustive e da consolidamento e restauro del monumento, in considerazione dell'eccezionale interesse storico archeologico che le «Grotte dell'Acqua» rivestono, sia dal punto di vista della tutela, sia della conoscenza dei luoghi, anche in termini geoarcheologici.
  Si fa, inoltre, presente che i primi lavori di pulizia dei fondali della Foce Romana, effettuati nel 2010 dal centro ittico campano, sono stati controllati da personale scientifico e tecnico della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, e che la medesima ha espresso parere favorevole alla rifunzionalizzazione delle altre due foci del lago, a condizione di effettuare preliminarmente carotaggi geoarcheologici sui fondali.
  Quanto al percorso ciclo-pedonale del lago Fusaro, esso è stato realizzato nell'ambito dell'intervento di restauro che ha interessato parte del periplo del lago. Per quanto concerne lo stato di degrado del percorso, in data 18 novembre 2010, la soprintendenza per i Beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia ha segnalato al sindaco di Bacoli la necessità di avviare un piano di manutenzione del tratto di banchina restaurato e riconsegnato al comune proprietario ed alla società di gestione, il già citato centro ittico campano.
  Da allora non si registrano nuovi interventi manutentivi nelle aree in questione, né ha avuto attuazione la stesura di una intesa di programma tra gli enti interessati, finalizzata a concretizzare gli aspetti manutentivi e gestionali dell'area di banchina restaurata, nonché estendere l'intervento di recupero all'intera fascia circumlacuale, comprendente anche il sito delle Grotte dell'Acqua.
  Il comune di Bacoli, interpellato al riguardo dalla soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e provincia, ha dato notizia di un finanziamento di euro 100.000,00, deliberato dalla regione Campania.
  Tale somma, non sufficiente per un restauro completo, consentirà la realizzazione degli interventi più urgenti per la messa in sicurezza del sito.
Il Ministro per i beni e le attività culturaliLorenzo Ornaghi.


   BRIGUGLIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il promontorio di Capo Milazzo, compreso fra il golfo di Patti ed il golfo di Milazzo, nel paesaggio naturale delle coste settentrionali della Sicilia orientale caratterizzate da coste basse con modesta importanza ambientale e paesaggistica, rappresenta l'elemento più fragile e maggiormente soggetto ai danni indotti dall'antropizzazione;
   nonostante i problemi che l'affliggono, questo territorio presenta ancora grandi potenzialità che, utilizzate correttamente attraverso un'azione integrata di gestione, potrebbero garantire la salvaguardia dell'ambiente e uno sviluppo turistico sostenibile, offrendo, addirittura, nuova occupazione;
   l'importanza ambientale di questo territorio si evince anche dalla circostanza che il promontorio di Capo Milazzo è stato inserito nell'elenco dei siti d'importanza comunitaria (SIC) per la regione biogeografica mediterranea ai sensi della direttiva 92/43/CEE (supplemento ordinario n. 167 alla Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 2007);
   la creazione di una area marina protetta «Promontorio di Capo Milazzo» potrebbe avere un ruolo rilevante in una ipotesi di gestione integrata della fascia costiera, sia per il suo significato culturale e turistico che per il suo ruolo ecologico. Se correttamente gestita, l'area marina protetta potrebbe contribuire al mantenimento dell'equilibrio e della produttività dell'ecosistema marino, difendere habitat critici, preservare la biodiversità, e contribuire anche all'uso sostenibile delle zone costiere utilizzando gli ecosistemi e le loro risorse biologiche in maniera razionale, limitandosi a prelevare una parte della produzione, lasciando integra un'adeguata quantità di individui in grado di riprodursi e moltiplicarsi;
   un'attenta valorizzazione dell'area, attraverso la realizzazione di misure di protezione e di mantenimento dei valori biologici ed ecologici, il monitoraggio, la ricerca, l'educazione ambientale favorirebbero lo sviluppo di un nuovo tipo di turismo, più attento alla qualità ambientale e maggiormente distribuito nell'arco dell'anno, i cui benefici economici potrebbero essere distribuiti all'interno della società ospitante (alberghi, ristoranti, negozi, e altro);
   il percorso verso la creazione dell'area marina protetta è largamente condiviso con la popolazione ed ha portato alla sottoscrizione di un protocollo di intesa fra amministrazione comunale e associazioni di categorie (pescatori professionisti, pescatori dilettanti, associazioni ambientaliste, associazioni sportive, associazioni culturali ed università di Palermo) –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative normative per individuare quale area marina di reperimento la zona del promontorio di Capo Milazzo, compreso fra il golfo di Patti ed il golfo di Milazzo. (4-16446)

  Risposta. — Per quanto indicato nell'interrogazione in esame, riguardante la creazione di un'area marina protetta promontorio di Capo Milazzo, si rappresenta quanto segue.
  Il comune di Milazzo, con deliberazione della giunta municipale numero 260 del 23 novembre 2011, ha approvato un protocollo d'intesa con le associazioni e i comuni locali con l'obiettivo di promuovere l'istituzione dell'area marina protetta e, autorizzando il sindaco a compiere tutti gli atti necessari per l'avvio della procedura istitutiva, che fa seguito a una specifica previsione legislativa, come quella dell'articolo 36 della legge n. 394 del 1991 che individua le aree marine di reperimento e l'istituzione di aree marine protette.
  La proposta del comune di Milazzo volta a inserire tra le aree marine di reperimento «Promontorio Capo Milazzo» è agli atti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Si evidenzia che l'attuale congiuntura economica ha prodotto una consistente riduzione delle risorse assegnate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per le aree marine protette che non consentono di avviare le istruttorie per l'istituzione delle aree marine protette già previste dalla legge.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   BUCCHINO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Messico rappresenta per l'Italia un Paese di notevole interesse sia sul piano delle relazioni bilaterali che su quello dell'interscambio economico, per la sua collocazione geopolitica e per il trend espansivo di cui gode da alcuni anni la sua economia;
   la comunità italiana assicura nel paese un ruolo di riferimento e di mediazione dell'immagine dell'Italia che va ben al di là della sua dimensione quantitativa;
   la promozione della cultura e della lingua italiana all'estero, come è stato confermato nei recenti lavori seminariali svolti presso il Ministero degli affari esteri, riveste una funzione strategica per la proiezione globale del Paese, non solo come strumento di affermazione del suo profilo culturale e politico, ma anche come supporto all'internazionalizzazione delle nostre imprese e dei nostri prodotti;
   l'offerta culturale fatta negli anni passati dall'Istituto italiano di cultura ha risposto in modo adeguato alla domanda della nostra comunità e a quella abbastanza estesa dei messicani, interessati alla nostra cultura e all'apprendimento della nostra lingua;
   l'attività culturale del nostro istituto ha conosciuto negli ultimi tempi una flessione di ordine quantitativo e qualitativo, dovuta sia alla riduzione delle risorse destinate in generale alla rete dei nostri istituti che a motivi specifici attinenti alla programmazione e alla realizzazione in loco dell'intervento;
   in particolare, è diminuito il numero degli eventi culturali, alcuni dei quali realizzabili a costo minimo o nullo, e dell'insegnamento linguistico, come testimonia il fatto che i corsi nell'anno corrente sono diminuiti del 14 per cento rispetto a quelli dell'anno precedente e gli utenti di circa il 18 per cento;
   non si avvertono apprezzabili segni di rilancio promozionale dei corsi di lingua né di riorganizzazione per quanto attiene al rinnovamento dei programmi didattici e all'elaborazione del materiale didattico; sono altresì scomparse le attività di aggiornamento e specializzazione degli insegnanti;
   la stessa promozione dell'Istituto mediante le reti sociali appare parziale, statica e poco attraente, con informazioni datate e saltuariamente aggiornate;
   il rapporto autoritario e privo di regole con il personale adibito all'espletamento dei corsi contribuisce ad accentuare la precarietà della situazione e a insidiare la stabilità e la continuità del servizio; importanti prerogative previste nei contratti a favore del personale e le indicazioni contenute nel Contratto etico del personale insegnante, sottoscritto fin dal 2008, ricevono scarsa considerazione –:
   se non ritenga di dovere sollecitare, tramite un intervento diretto della nostra rappresentanza diplomatico-consolare, un rilancio dell'offerta culturale italiana in Messico attraverso una più incisiva attività del locale istituto di cultura, perché essa diventi più adeguata alla domanda culturale e linguistica presente nel Paese e più attenta ai diritti del personale che a vario titolo concorrono a realizzarla;
   se non ritenga opportuno fare in modo che le relazioni professionali del personale a contratto presso gli istituti di cultura si svolgano in un quadro di regole certe e rispettose dei fondamentali diritti di lavoro, con beneficio degli stessi istituti e della stabilità del rapporto con gli utenti. (4-19077)

  Risposta. — In risposta alle osservazioni dell'interrogante, si evidenzia che la qualità dell'attività culturale italiana in Messico è assicurata dall'istituto italiano di cultura, in raccordo con la nostra ambasciata, attraverso un'incisiva attività che tiene conto della domanda culturale e linguistica locale. Nel corso del 2012 si è registrato un potenziamento dell'attività culturale dell'istituto di cultura, così come, con particolare riferimento ai corsi di lingua, un incremento del numero degli iscritti, delle tipologie di corsi attivati e delle iniziative di aggiornamento destinate ai docenti.
  Tutte le attività culturali e di promozione della lingua sono inserite sul sito web dell'istituto unitamente alle informazioni sul panorama culturale ed accademico del nostro Paese.
  Le relazioni professionali del personale locale in servizio presso l'istituto si svolgono nel quadro delle regole previste dalla normativa sul diritto del lavoro in loco ed in attuazione a quanto previsto dalla normativa specifica vigente per gli istituti di cultura.
  A supporto di quanto esposto, si trasmette qui di seguito un quadro della programmazione culturale più significativa, nonché delle iniziative realizzate dall'istituto di cultura in materia di promozione linguistica.

1. Attività culturali.

  L'istituto ha organizzato nel corso dell'anno 2012 circa 30 eventi di alta qualità (come da relazioni quadrimestrali sulla programmazione), quali ad esempio la mostra «doppio sogno dell'arte» inaugurata nel museo de la Estampa della capitale e ospitata, in seguito, nei musei di Queretaro, Toluca, Texcoco e Morelia o il «Convegno internazionale di rivitalizzazione dei monumenti storici», organizzato in collaborazione con l'istituto nazionale archeologico messicano e con l'istituto culturale spagnolo o la tournee del Mo Giorgio Camini che ha rappresentato l'Italia nei festival internazionali di organo nella cattedrale di Città del Messico (con più di 1.200 spettatori), di Puebla, di Toluca e di San Louis Potosi.

2. Corsi di lingua italiana.

  Nel 2011 i corsi organizzati dal l'istituto italiano di cultura avevano registrato 2500 iscritti, mentre nel 2012, il numero degli studenti è salito a 2609 (come risulta dai dati registrati nel sistema informatico ministeriale perforMAE).

Dislocazione e diversificazione offerta

  Sono stati attivati dei nuovi corsi sia in località periferiche, lontane dalla capitale, sia presso alcune scuole locali. È stata ad esempio istituita in Playa del Carmen una scuola di italiano per rispondere alla crescente domanda di lingua italiana in quella zona. Sono stati inoltre stipulati degli accordi con alcune scuole primarie messicane come la scuola sperimentale paedeia, (un istituto di ottimo livello che gode di metodologie all'avanguardia) dove insegnanti dell'istituto già vi tengono corsi.

Programmi didattici per i corsi di lingua

  Sono stati introdotti nuovi corsi di storia dell'arte, storia del cinema, gastronomia, enologia, storia delle regioni d'Italia ed altri nuovi corsi sono previsti per il 2014.

Aggiornamento docenti di lingua italiana.

  A fine Novembre si è concluso un corso tenutosi dall'AMIT (Associazione messicana di italianisti) presso l'auditorium dell'istituto al quale hanno partecipato i vari docenti dell'istituto stesso, nonché altri docenti provenienti da città limitrofe. Era inoltre presente il responsabile didattico della casa editrice Alma di Firenze – specializzato in metodologie per l'insegnamento della lingua italiana a stranieri – che ha presentato gli ultimi libri di testo pubblicati sull'argomento, lasciandone un congruo numero a disposizione dei docenti.

3. Comunità italiana

  Particolare attenzione è stata riservata alla comunità italiana, che trova negli spazi dell'istituto un punto di riferimento a sostegno delle proprie attività di beneficenza. Al riguardo si segnala la riuscitissima manifestazione «domenica italiana», organizzata nei giardini dell'istituto per la raccolta fondi dell'Associazione italiana di assistenza (AIA).

4. Promozione delle attività attraverso rete internet

  Le varie attività dell'istituto sono pubblicizzate sulla relativa pagina Web, dove si possono trovare tutte le informazioni aggiornate sui corsi di italiano, sugli eventi (cliccando su «calendario degli eventi») e sulle università italiane.

5. Rapporti con il personale

  Al fine di garantire la qualità dei corsi per l'insegnamento della lingua italiana, l'istituto, in piena sintonia con la nostra Ambasciata competente in materia di indirizzo e vigilanza sull'istituto stesso, ha avviato una progressiva operazione di adeguamento del corpo docente, tuttora in corso.
  Come evidenziato dalla sede, gli aspetti organizzativi relativi all'organizzazione del servizio sono oggetto di apposite riunioni con il personale interessato.

6. Sicurezza della sede

  In applicazione a quanto previsto dal decreto-legge n. 81/08, sono state intraprese nel corso del 2012 incisive misure sulla sicurezza sul lavoro.
  In sinergia con l'ambasciata, sono state infatti realizzate delle misure di rafforzamento sui controlli ora più serrati dei visitatori e dei partecipanti ai corsi, resesi necessarie anche a seguito dell'esplosione di un ordigno, verificatasi davanti al portone dell'Istituto in data 12 dicembre 2011.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMarta Dassù.


   CASSINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del commercio ambulante nel nostro Paese è sottolineata dai dati, che confermano l'Italia come la nazione con il maggior numero di imprese ambulanti (circa 165mila);
   i venditori ambulanti sono un'importante realtà socio-economico-culturale del nostro Paese, che ha saputo resistere al cambiamento delle mode, delle tendenze e delle consuetudini, diventando un'attività fondamentale per la vita delle persone;
   il 5 luglio 2012 la Conferenza unificata (Stato-regioni-comuni) ha raggiunto un'intesa sull'articolo 70, riguardante il commercio ambulante, del decreto legislativo n. 59 del 2010 di recepimento della direttiva 2006/123/CE (Bolkestein);
   tale risultato oltre che parziale, è anche estremamente negativo per il commercio ambulante: la durata delle concessioni non è rinnovabile automaticamente alla scadenza ma saranno regioni e comuni a decidere la durata; l'inizio dell'applicazione non sarà nel 2020 ma nel 2017 data in cui tutte le concessioni scadranno anche quelle rinnovate da poco tempo; nel primo bando per l'assegnazione l'anzianità varrà per il 40 per cento mentre il restante 60 per cento sarà stabilito dalle regioni e comuni tenendo conto del Durc/CRC regolare, e di altri elementi al momento sconosciuti; nel secondo bando nessun valore verrà riconosciuto all'esperienza e alla professionalità conseguite in tanti anni di lavoro –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per far sì che la situazione, che da tempo si manifesta come palesemente critica, venga risolta, promuovendo un tavolo tecnico tra Stato, regioni, comuni e organizzazioni ambulanti in cui discutere la normativa e prendere decisioni concrete per il futuro del commercio ambulante, che altrimenti andrebbe via via ridimensionato fino a scomparire. (4-17024)

  Risposta. — Oggetto dell'interrogazione è il commercio su aree pubbliche e, in particolare, la disciplina introdotta per tale settore dalla normativa di attuazione della direttiva europea in materia di servizi nel mercato interno (decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59).
  Il quesito posto dall'interrogante verte, nello specifico, sull'intesa sancita in sede di conferenza unificata, in data 5 luglio 2012, in attuazione di quanto disposto dall'articolo 70 del citato decreto legislativo, al fine di individuare i criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche.
  Detta intesa è stata adottata ai sensi della generale previsione di cui all'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, quale strumento atto a favorire la cooperazione tra l'attività dello Stato e il sistema delle autonomie ed esaminare materie e compiti di comune interesse, nell'individuazione dei criteri da seguire in caso di procedure di selezione per l'assegnazione dei posteggi sulle aree pubbliche.
  In tale sede, si è perseguita l'esigenza di coniugare i principi dell'ordinamento comunitario introdotti nel nostro ordinamento con l'attuale situazione del settore del commercio sulle aree pubbliche del Paese. Tale settore è caratterizzato, nella quasi totalità, da micro-imprese a conduzione familiare il cui esercizio, tradizionalmente, è consentito sulla base di concessioni di posteggio. Le concessioni sono state ottenute in base al criterio prioritario del riconoscimento della presenza precedente e rilasciate per un tempo di norma corrispondente a dieci anni, tacitamente rinnovabili nei confronti del medesimo prestatore.
  In tal senso si è ritenuto di ribadire il principio di carattere generale relativo alla durata delle concessioni di posteggio, precisando che la stessa deve essere tale da non limitare la libera concorrenza oltre il tempo necessario a garantire l'ammortamento degli investimenti, anche immateriali (quali quelli relativi all'avviamento), alla formazione eccetera, nonché ad un'equa remunerazione dei capitali investiti.
  È stato però precisato che la durata della concessione non può essere inferiore ai nove anni né, anche nel caso siano prescritti rilevanti investimenti materiali, superiore ai dodici anni. La durata della concessione è fissata dal comune, tenendo conto delle esigenze medie di investimento collegate alle caratteristiche dell'insieme dei posteggi interessati. Per le concessioni dei posteggi nei mercati a carattere turistico, ivi compresi i posteggi isolati, i comuni potranno stabilire una durata minore, comunque non inferiore ai sette anni.
  Inoltre, sono stati elencati i criteri di priorità da applicare per la determinazione delle regole procedurali di selezione per l'assegnazione dei posteggi. Come già evidenziato, tali criteri intendono coniugare le finalità richiamate nei principi comunitari con la situazione del settore e la conseguente esigenza di evitare ripercussioni eccessivamente gravose nel comparto. Quindi, si è ritenuto di indicare criteri la cui applicazione consenta di riconoscere la qualificazione e l'esperienza acquisita nel settore, facendo riferimento comunque alla storia dell'impresa, onde evitare che i subentri di gestione e di titolarità la annullino.
  La soluzione individuata in sede di conferenza unificata, frutto di un delicato confronto condotto a livello nazionale e locale con il coinvolgimento delle associazioni di categoria rappresentative del settore, ha permesso di raggiungere un intesa largamente condivisibile, in quanto rispettosa dell'impianto delineato dalla direttiva servizi. Inoltre l'esito della stessa intesa è da ritenersi anche equilibrata perché garantisce, in sede di prima applicazione, criteri di concessione dei posteggi che non vanificano gli investimenti effettuati e l'esperienza professionale degli operatori.
  Ad ogni buon conto il Ministero, comunque, non mancherà di prestare il proprio contributo ad ulteriori iniziative di approfondimento nel caso in cui si presenteranno eventuali criticità rispetto all'applicazione dell'intesa già adottata.
Il Ministro dello sviluppo economicoCorrado Passera.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 30 ottobre 2012 le segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali rappresentative del Corpo nazionale dei vigili del fuoco hanno ricevuto una comunicazione da parte del dipartimento nazionale dei vigili del fuoco in cui si annunciava l'emanazione di un bando relativo alla selezione di 65 unità da condurre al XXV corso basico sommozzatori. Tale selezione specificatamente era rivolta al personale avente qualifica di vigile del fuoco;
   la Confsal, congiuntamente con le organizzazioni sindacali regionali di Cgil, Cisl e Uil Sicilia, tenuto conto che da anni si richiede fortemente l'autonomia del soccorso dell'isola al fine di elevare lo standard di sicurezza offerto dai vigili del fuoco in regione, ha richiesto l'autorizzazione a un contingente di straordinario che consenta il mantenimento operativo nei quattro turni del nucleo di Catania, così come fatto per sopperire alle carenze di qualificati e per altre specializzazioni;
   la Sicilia è completamente circondata dal mare e conta numerose isole minori a forte vocazione turistica anche nella parte orientale e, pertanto a giudizio dell'interrogante, è indispensabile mantenere alto lo standard operativo della componente sommozzatori;
   nella nota del dipartimento, invece, delle 65 unità previste dall'istruendo corso solamente 2 sono assegnate alla Sicilia e, nello specifico, a Palermo;
   sull'isola sono attivi due nuclei sommozzatori: a Palermo e a Catania a copertura, rispettivamente, delle esigenze operative della Sicilia occidentale e orientale. Il primo ha una dotazione organica effettiva di 23 unità (2 CR, 10 Cs di cui 2 in missione a costo zero provenienti da Catania e 11 VP) «spalmata» su tutti e 4 i turni di servizio, mentre il nucleo di Catania opera il dispositivo di prevenzione, sicurezza e soccorso su 2 turni con un totale di 12 unità (5 CS e 7 VP);
   gli interventi di soccorso operati nel corso del corrente anno dal nucleo di Catania sono stati circa 60, quasi come nel 2011;
   tale condizione è stata più volte segnalata e con essa le difficoltà cui è costretto a convivere ormai da anni il personale che non può garantire appieno l'attività di prevenzione, sicurezza e soccorso;
   la completa esposizione al mare dell'isola, la presenza di numerosi arcipelaghi e laghi, la forte vocazione turistica sono condizioni che rappresentano un grosso deterrente al quale la risposta del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non può che essere, a giudizio dell'interrogante e delle organizzazioni sindacali, insufficiente con tale dotazione; 
   più volte è stato richiesto, nelle more dell'emanazione di un bando di selezione, l'erogazione dell'istituto dello straordinario per consentire la copertura operativa in tutti e 4 i turni, soprattutto nel periodo estivo dov’è più alto il rischio d'incidenti; 
   alla luce dell'istruendo iter formativo è necessario un segnale di attenzione per il nucleo di Catania, affinché possa essere garantito uno standard minimale, ma sufficiente per potere garantire in tutti e 4 i turni uno standard di sicurezza adeguato;
   uno standard minimo di sicurezza, nelle more dell'emanazione del bando di selezione e in aggiunta alla collaborazione con il nucleo reggino, può ottenersi anche con la formazione di squadre minime composte da due o tre unità presso il nucleo sommozzatori di Catania in straordinario in modo da abbattere i tempi di risposta in caso d'intervento –:
   quali iniziative intenda adottare il ministro interrogato per adeguare la struttura di Catania e per renderla coerente con la dotazione organica. (4-18481)

  Risposta. — Al fine di razionalizzare le risorse e di contenere la spesa pubblica è in fase di attuazione un progetto di riorganizzazione del servizio dei nuclei sommozzatori dei Vigili del fuoco.
  Il progetto costituisce, in particolare, il frutto di un attento studio dei dati e dei parametri relativi al settore specialistico, quali il rischio idraulico, le tipologie di interventi, nonché la distribuzione dei turni di servizio, in ragione dell'efficienza e dell'efficacia della risposta operativa alla domanda di soccorso tecnico nonché del servizio reso alla cittadinanza.
  Peraltro, il servizio svolto dai sommozzatori nel corso degli anni ha assunto connotazioni ben precise, che non richiedono una diffusione capillare sul territorio. Infatti la statistica degli interventi dimostra che la stragrande quantità di questi consistono in ricerca e recupero di salme ovvero altri oggetti di interesse giudiziario, interventi che, palesemente, possono essere eseguiti con efficacia anche non nell'immediatezza, ma a distanza di qualche ora.
  Per tali motivi i nuclei di Milano, Roma, Reggio Calabria e Cagliari sono stati dotati di particolari attrezzature (ricerca subacquea integrata strumentale), che consentono la ricerca di corpi e/o oggetti anche a profondità superiori a quelle cui possono operare i sommozzatori.
  L'individuazione dei nuclei oggetto di riorganizzazione costituisce, pertanto, il frutto della valutazione di diversi elementi con particolare riferimento alle criticità connesse all'organico ridotto ed ai turni di servizio coperti. In particolare, i nuclei con ridotto organico sono in grado di coprire solo un turno sui quattro in cui si articola il servizio, determinando una gestione onerosa in termini di risorse logistiche ed umane.
  L'esiguità dell'organico rende, inoltre, difficoltosa l'organizzazione dell'attività di addestramento che, per questa particolare tipologia di servizio di soccorso, risulta essere quanto mai indispensabile.
  Per tali ragioni è previsto che i nuclei sommozzatori dei vigili del fuoco in Italia debbano progressivamente passare dagli attuali 28 a 21, con la chiusura di 7 nuclei ed il conseguente trasferimento del personale specialista presso i nuclei sommozzatori vicini.
  Nell'ottica del progetto sopra descritto, si può prevedere che nei comandi capoluogo di regione, il servizio sia prestato «h24» su quattro turni.
  In alcune regioni, come la Sicilia, sarà, comunque, mantenuto un secondo nucleo sommozzatori, situato nella provincia di Catania che svolgerà servizio solo nei turni diurni in abbinamento al reparto volo, anch'esso strutturato su due turni diurni.
  Va evidenziato, infine, che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco si è dotato, per il contrasto al rischio acquatico di superficie, di 800 soccorritori acquatici «SA», cioè vigili che, in possesso di brevetto di salvamento a nuoto e di qualificazione «SAF» fluviale, ha superato uno specifico ulteriore corso. Essi sono diffusi su tutto il territorio nazionale e raggiungeranno a regime il numero minimo di 2.000.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   CAZZOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 282 del 2 maggio 1996, nel disciplinare l'assetto organizzativo e funzionale della gestione separata e del rapporto assicurativo istituiti ai sensi della citata legge 8 agosto 1995, n. 335, di cui all'articolo 2, comma 26 e seguenti, stabiliva al comma 1, lettera a), dell'articolo 4, che per un quinquennio a decorrere dal 1° aprile 1996, relativamente a coloro che erano privi di tutela previdenziale obbligatoria, o dal 30 giugno 1996, relativamente a coloro che erano già pensionati o iscritti a forme pensionistiche obbligatorie e ai soggetti che svolgevano attività lavorative di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e che alle date indicate risultavano essere ultrasessantacinquenni, si concedeva la facoltà di iscriversi alla gestione separata. Alla lettera b) del medesimo articolo, per contro, si prevedeva che coloro che avevano compiuto i 65 anni nel corso del quinquennio potevano richiedere la cancellazione dalla suddetta gestione separata. Altresì, limitatamente al periodo quinquennale citato, veniva concessa la facoltà ai soggetti sessantenni che alla data del 1° aprile o del 30 giugno 1996 avessero cessato l'attività lavorativa senza aver conseguito il diritto alla pensione autonoma o ad altri trattamenti pensionistici, di richiedere la restituzione dei contributi maggiorati degli interessi;
   le attuali aliquote contributive applicate ai lavoratori iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, dal 1° gennaio 2012 per effetto della legge n. 183 del 2011 hanno subito l'aumento di un punto percentuale e sono complessivamente fissate nella seguente misura:
    a) del 27,72 per cento (27,00 aliquota IVS più 0,72 aliquota aggiuntiva) per tutti i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie;
    b) del 18,00 per cento per i soggetti titolari di pensione (diretta o indiretta) e per i soggetti con altra forma pensionistica obbligatoria;
   le suddette aliquote devono essere applicate in riferimento ai redditi conseguiti fino al raggiungimento del massimale di reddito, pari, per l'anno 2012 a euro 96.149,00;
   il disegno di legge S. 3249 «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», all'esame del Senato, prevede un incremento delle aliquote contributive di altri sei punti percentuali entro il 2018;
   il decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, all'articolo 24, comma 16, ha previsto norme in materia di trattamenti pensionistici che, nel rivedere i coefficienti di trasformazione, hanno stabilito che questi devono essere estesi dall'età massima di 65 anni a quella nuova di 70 anni;
   le attuali aliquote di contribuzione per gli iscritti alla gestione separata rappresentano una quota sostanziale del reddito del lavoratore che, soprattutto per i soggetti ultrasettantenni, in considerazione dell'avanzata età, non sono utili alla maturazione di ulteriori benefici in termini di incremento della quota pensionistica loro riconosciuta –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie prerogative, non ritenga opportuno che oltre il limite di 70 anni fissato dall'articolo 24, comma 16, del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sia possibile ripristinare quello che prima delle modifiche valeva dopo i 65 anni, ovvero consentire ai lavoratori parasubordinati ultrasettantenni la facoltà di richiedere la cancellazione dalla gestione separata presso l'INPS. (4-16339)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, concernente la possibilità di consentire – con intervento normativo – ai lavoratori parasubordinati ultrasettantenni la non iscrizione alla gestione separata dell'Inps ovvero la facoltà della loro cancellazione dalla stessa, si rappresenta quanto segue.
  La facoltà di non iscriversi alla gestione separata, così come la facoltà di cancellarsi una volta raggiunti i sessantacinque armi, previsti dall'articolo 4, comma 1, del decreto ministeriale 2 maggio 1996, n. 282, erano esercitabili esclusivamente nel corso del primo quinquennio dalla data di istituzione della gestione stessa.
  Il legislatore ha, infatti, introdotto un periodo transitorio per gestire le posizioni di coloro che, già avanti con l'età, si erano trovati a dover contribuire sui compensi derivanti da attività fino a quel momento non soggette ad alcun obbligo previdenziale, consentendo a coloro che avevano già compiuto sessantacinque anni al momento dell'entrata in vigore della nuova norma di non iscriversi, e a coloro che avrebbero compiuto sessantacinque anni entro i successivi cinque anni di cancellarsi.
  Successivamente al periodo transitorio, tutti i soggetti che rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 2, commi 26 e seguenti, della legge 8 agosto 1995, n. 335, devono obbligatoriamente essere assicurati presso la gestione separata, indipendentemente dall'età anagrafica, potendo, qualora ricorrano i presupposti, fruire di un'aliquota contributiva ridotta.
  Nella consapevolezza che, soprattutto alla luce della recente riforma pensionistica, sia possibile valutare la reintroduzione per i lavoratori ultrasettantenni la facoltà di cancellarsi dalla gestione separata dell'Inps, si rimanda alla sensibilità del prossimo Parlamento decidere se intervenire normativamente al riguardo, in considerazione dell'ormai imminente conclusione della XVI legislatura.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie provenienti da organi di stampa emerge che Trenitalia – divisione trasporto regionale – sarebbe in procinto di sopprimere dodici corse quotidiane sulla tratta ferroviaria Napoli-Nocera-Cava de’ Tirreni-Vietri sul Mare-Salerno;
   tale soppressione, che si aggiunge alla riduzione già stabilita con l'entrata in vigore del nuovo orario ferroviario del 9 settembre 2012, rappresenterebbe il risultato dei recenti tagli ai finanziamenti erogati alle regioni per il trasporto pubblico locale;
   come dichiarato nelle scorse settimane dall'assessore della regione Campania ai trasporti ed alla viabilità Sergio Vetrella anche in qualità di coordinatore della Commissione infrastrutture e mobilità della Conferenza delle regioni, con gli ultimi provvedimenti il Governo avrebbe ridotto di circa 700 milioni di euro i fondi stanziati per il trasporto regionale, passando da circa 2 miliardi e 50 milioni di euro nel 2010 a circa 1 miliardo e 200 milioni di euro nel 2013, con una diminuzione annua stimata del 20 per cento;
   la suddetta riduzione della spesa pubblica avrebbe inciso direttamente sui servizi di trasporto pubblico locale, oggetto di una costante riduzione per effetto del mancato rispetto, da parte degli enti regionali, del contratto di servizio stipulato con Trenitalia;
   l'incresciosa situazione è stata più volte denunciata anche dai sindacati che, nel considerare i tagli al trasporto ferroviario un danno al territorio, agli utenti ed all'immagine stessa della città di Salerno, hanno proclamato uno sciopero di 24 ore del comparto il 28 e 29 ottobre 2012;
   l'interrogante ha più volte denunciato, attraverso atti di sindacato ispettivo (in particolare, n. 4/04641 del 29 ottobre 2009 e n. 4/13271 del 21 settembre 2011), le precarie condizioni del trasporto pubblico in provincia di Salerno, delle opere infrastrutturali e delle esigenze dell'utenza di un miglioramento complessivo dei servizi, anche al fine di non penalizzare ulteriormente il già difficile tessuto socio-economico del territorio in questione;
   il trasporto pubblico locale, che risponde ad una primaria esigenza di mobilità, è strettamente connesso al fenomeno del pendolarismo, che coinvolge quotidianamente migliaia di studenti e lavoratori del territorio provinciale ed è pertanto quantomai opportuno assicurare un servizio regolare ed efficiente;
   negli ultimi anni, anche per motivi commerciali, i servizi ferroviari in Italia hanno beneficiato di una notevole evoluzione strutturale e tecnologica nell'ambito della media e lunga percorrenza, a fronte della quale si è verificata una paradossale quanto drastica involuzione del trasporto ferroviario locale, sempre più oggetto di riduzioni, tagli e limitazioni di ogni genere –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, al fine di razionalizzare la spesa pubblica secondo criteri non penalizzanti per i finanziamenti regionali al comparto trasporto e mobilità;  
   se non si ritenga opportuno, considerando le precarie condizioni del trasporto pubblico in Campania e, in particolare, nella provincia di Salerno, assumere iniziative, anche normative, urgenti di competenza per assicurare un necessario miglioramento del trasporto ferroviario e, più in generale, del trasporto pubblico nei territori interessati. (4-18336)

  Risposta. — Occorre preliminarmente far presente che secondo la normativa vigente la programmazione e gestione dei servizi regionali sono di competenza delle singole regioni, nel caso in esame della regione Campania, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da specifici contratti di servizio; nell'ambito di questi ultimi sono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle regioni stesse, nonché i relativi standard qualitativi e i meccanismi di penalità da applicare nei casi di eventuale difformità dai parametri contrattualmente stabiliti.
  Si evidenzia, altresì, che proprio al fine di migliorare il trasporto ferroviario regionale l'articolo 1, comma 301 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nel sostituire l'articolo 16-
bis del decreto-legge n. 95 del 2012 e relativa legge di conversione, ha previsto, a decorrere dal 2013, l'istituzione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, che ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale.
  Il comma 3 del citato articolo 16-
bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto Fondo. Ad oggi, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è in corso di emanazione essendo stata sancita la prescritta intesa nella seduta della Conferenza unificata del 7 febbraio 2013.
  Inoltre, il comma 6 del medesimo articolo 16-
bis prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione, a titolo di anticipazione, tra le regioni a statuto ordinario, del 60 per cento dello stanziamento del Fondo medesimo; il suddetto decreto interministeriale, nelle more dell'adozione del citata decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato emanato il 25 febbraio 2013.
  Si fa presente, poi, che a decorrere dal 2013, in applicazione del succitato articolo 16-
bis, le regioni saranno tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione mediante:
   un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
   il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
   la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
   la definizione di livelli occupazionali appropriati;
   la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica.

  Il raggiungimento degli obiettivi in argomento, sarà oggetto di verifica costante da parte di questo Ministero anche attraverso l'osservatorio nazionale per le politiche del trasporto pubblico locale, istituito con l'articolo 1, comma 300 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 al quale, in applicazione della disposizione di legge innanzi indicata, le aziende di trasporto pubblico locale e le aziende esercenti servizi ferroviari di interesse regionale e locale dovranno trasmettere i dati economici e trasportistici utili a creare una banca di dati e un sistema informativo per la verifica dell'andamento del settore.
  L'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi di cui trattasi, da parte delle singole regioni, comporterà una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle stesse.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   CODURELLI, CORSINI, SCHIRRU, ALBONETTI, ARGENTIN, BINDI, BURTONE, CAPANO, COSCIA, DE TORRE, DUILIO, ESPOSITO, FEDI, FERRARI, FONTANELLI, LO MORO, MADIA, MARIANI, GIORGIO MERLO, MIGLIAVACCA, MIOTTO, MOTTA, PIZZETTI, ROSATO, ROSSOMANDO, SANTAGATA, SCARPETTI, TEMPESTINI, TOUADI, VELO, VERINI, ZACCARIA, ZAMPA, BELLANOVA e DAMIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22 del decreto-legge n. 95 del 2012 («spending review»), convertito con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, ha disposto l'ampliamento di 55 mila unità della platea di lavoratori salvaguardati dall'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico introdotto dalla riforma previdenziale attuata nel dicembre 2011 mediante l'emanazione del decreto «SalvaItalia»;
   il comma 2 del suddetto articolo prevedeva un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (15 agosto 2012), al fine di definire le modalità di attuazione della disposizione;
   nonostante le reiterate rassicurazioni provenienti da parte di autorevoli esponenti governativi, a distanza di quasi 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 135 del 2012 non si ha ancora alcuna notizia ufficiale relativa all’iter del decreto attuativo, dalla cui adozione dipende il futuro di 55 mila famiglie;
   nella giornata del 6 dicembre 2012, l'ufficio per le relazioni con il pubblico della Corte dei conti, in risposta alle sollecitazioni pervenute dal rappresentante di uno dei comitati degli «esodati», ha comunicato che «il decreto in oggetto, pervenuto alla Corte dei conti in data 7 novembre 2012, non è stato ancora registrato. Si è in attesa, al momento, di chiarimenti da parte del Ministero del lavoro»;
   gli interpellanti, consci delle gravi ripercussioni economiche e psicologiche che il ritardo della pubblicazione del decreto attuativo comporta nelle vite di decine di migliaia di famiglie, ritengono non più procrastinabile il compimento di tale atto –:
   alla luce della comunicazione rilasciata dall'ufficio per le relazioni con il pubblico della Corte dei conti citata in premessa, quali urgenti iniziative intenda adottare allo scopo di fornire i chiarimenti ritenuti necessari per la registrazione e per la conseguente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo dell'articolo 22 del decreto-legge n. 95 del 2012. (4-19262)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, concernente il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze dell'8 ottobre 2012, che disciplina le modalità di attuazione dell'articolo 22, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 cosiddetto «spending review»), convertito, con modificazioni, dalle legge 7 agosto 2012, n. 135, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto è stato debitamente inviato alla Corte dei conti per la registrazione il giorno stesso in cui è stato firmato dai Ministri competenti.
  La Corte dei conti, tuttavia, dopo aver esaminato il provvedimento, ha formulato un rilievo cui il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fornito riscontro in data 28 dicembre 2012.
  Nel far presente che il decreto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana n. 17 del 21 gennaio 2013, si precisa, da ultimo, che la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2012), oltre ad introdurre un ulteriore ampliamento della platea dei lavoratori che possono accedere alla pensione secondo la disciplina precedente all'entrata in vigore del cosiddetto decreto-legge Salva Italia, ha riepilogato tutte le misure che – progressivamente – sono state adottate per tutelare quei lavoratori che, per effetto della riforma previdenziale, avrebbero potuto trovarsi senza stipendio e senza pensione.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   COMMERCIO, LOMBARDO e OLIVERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del programma dei lavori sulla A3 da Gioia Tauro a Reggio, il presidente dell'Anas Pietro Ciucci, nel gennaio del 2008, nel corso di una riunione operativa presso la prefettura di Reggio Calabria, ha rassicurato i partecipanti sulla realizzazione dello svincolo di Sant'Eufemia d'Aspromonte-Bagnara;
   l’iter per la previsione del nuovo svincolo, voluto fortemente dal territorio per sopperire alle carenze conseguenti alla soppressione di quello preesistente denominato «Bagnara Calabra», prende avvio nel giugno del 2005 quando la provincia di Reggio Calabria invia all'ANAS la proposta di riprogrammare la costruzione dell'intersezione;
   nello specifico, il presidente Ciucci nel corso della succitata riunione ha sottolineato che era già stato approvato il progetto preliminare e che: «L'opera (costo 15 milioni di euro) renderà più agevoli i collegamenti e l'opera sarà realizzata entro dicembre del 2008»;
   a tutt'oggi, sul sito ufficiale di ANAS spa in merito alle attività sulla Salerno-Reggio Calabria per ciò che riguarda la situazione degli interventi, il punto B. 2.2. recita testualmente: «Nuovo svincolo di S. Eufemia Di Aspromonte, provincia di Reggio Calabria, situato al chilometro 410+000. L'importo del progetto è stimato pari a 20 milioni di euro. Il progetto preliminare è stato redatto dalla Provincia di Reggio Calabria. La redazione del progetto definitivo è attualmente sospesa perché per inserire il nuovo svincolo si renderebbe necessario derogare dalle vigenti norme stradali o intervenire sulle opere autostradali già eseguite. È stata presentata domanda al consiglio superiore dei Lavori Pubblici per andare in deroga all'attuale normativa»;
   i comuni di S. Eufemia d'Aspromonte, Bagnara Calabra, Melicuccà, S. Procopio, Sinopoli, Cosoleto, Delianuova, in più occasioni ufficiali, hanno richiesto almeno il ripristino dell'originaria intersezione, pur delocalizzata di poche centinaia di metri più a nord al fine di agevolare le interconnessioni con la viabilità provinciale e locale e finalizzate a ridurre e razionalizzare i percorsi da e verso l'A3;
   le istanze degli enti locali trovano ulteriore fondamento nell'opportunità di evitare lo stravolgimento delle consolidate abitudini di collegamento dell'entroterra con l'A3, costringendo a percorrere obbligatoriamente un tratto aggiuntivo di circa 8,2 chilometri per raggiungere il capoluogo e viceversa;
   le motivazioni, le esigenze, le richieste del territorio, sono state più volte rappresentate e sollevate in occasioni ufficiali, nel corso delle quali l'ANAS ha sempre espresso posizioni favorevoli alla realizzazione dell'opera –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere al fine di verificare lo stato della domanda presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, che preclude l'adozione del progetto definitivo da parte dell'ANAS e, dunque, definire la tempistica per l'avvio dei lavori dello svincolo sopra citato.
(4-18470)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il nuovo svincolo di Sant'Eufemia d'Aspromonte non era, in origine, contemplato nel progetto di ammodernamento dell'autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria, ma è stato inserito successivamente a seguito delle forti istanze provenienti dal territorio.
  La proposta progettuale per il nuovo svincolo è stata redatta dall'amministrazione provinciale di Reggio Calabria che ha provveduto a trasmetterla all'Anas per le valutazioni tecniche di competenza.
  La localizzazione del nuovo svincolo è stata individuata al km 410 dell'autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria, ovvero nell'unico tratto dove è possibile l'inserimento, considerato che la porzione di tracciato interessata attraversa un territorio estremamente complesso sotto il profilo morfologico, oltre ad essere caratterizzata da un susseguirsi di opere d'arte di nuova realizzazione, già sostanzialmente completate.
  Dall'esame tecnico effettuato sul progetto sono emerse delle criticità tali da rendere necessario sottoporre lo stesso alla valutazione degli organi tecnici del Consiglio superiore dei lavori pubblici presso questo Ministero al fine di valutare l'ammissibilità di una deroga alla vigente normativa stradale considerata la modesta estensione del tratto sul quale inserire il nuovo svincolo e le conseguenti limitazioni progettuali.
  In data 8 novembre 2012, la V sezione del Consiglio superiore ha reso il proprio parere: «a causa delle molteplici e potenzialmente critiche difformità rispetto alle previsioni normative, [...] ad un primo esame, non appare sussistano i presupposti per un esito favorevole in merito alla deroga, tenuto conto delle particolari condizioni locali, che potrebbero condurre ad una significativa penalizzazione delle condizioni di esercizio lungo la tratta».
  Pertanto, nel rimandare la definitiva valutazione ad un eventuale approfondimento progettuale, ha ritenuto «opportuno esplorare e confrontare altre soluzioni alternative che rispondano, in termini di funzionalità, alle esigenze di ordine generale del territorio e soddisfino, pur in maniera diversa, ai requisiti di sicurezza richiesti dalla normativa. Tra le varie possibili alternative dovrebbe essere compresa, quanto meno per confronto, anche l'opzione di non intervento».
  Attualmente, atteso il citato parere, l'Anas sta procedendo a valutare una diversa soluzione progettuale, compatibile con le esigenze evidenziate dalle amministrazioni locali con le quali, anche con l'intervento della prefettura di Reggio Calabria, sono in corso incontri.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   CONTENTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da tempo si discute dell'apertura di un distaccamento dei vigili del fuoco a Sacile (Pordenone) in modo da coordinare al meglio le funzioni di pronto intervento nell'area a confine con il Veneto, densamente abitata e altrettanto industrializzata;
   nonostante rassicurazioni e garanzie avute a più livelli, sino ad oggi non è stato possibile comprendere se e quando l'importante servizio verrà effettivamente attivato (tanto che ormai sono numerose le illazioni circa una definitiva sospensione sine die del progetto) –:
   se sussista una reale volontà del Governo di aprire un distaccamento dei vigili del fuoco nella città di Sacile (Pordenone) e, in caso di risposta affermativa, con quali tempistiche. (4-19204)

  Risposta. — Nell'ambito del progetto «Soccorso Italia in 20 minuti» finalizzato all'analisi e allo sviluppo della capacità operativa del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in relazione ai rischi presenti sul territorio, il comune di Sacile è stato individuato come località idonea all'ubicazione di un nuovo distaccamento, dipendente dal comando provinciale di Pordenone.
  Al riguardo si è intrapreso un percorso di collaborazione con l'Amministrazione comunale che si è impegnata a rendere disponibile un immobile idoneo a soddisfare le esigenze di una sede operativa dei vigili del fuoco.
  La fase di progettazione di massima si è conclusa recentemente con l'approvazione del progetto elaborato dai tecnici del comune di Sacile.
  L'area individuata è quella dell'ex caserma militare in località San Giovanni dei Tempio.
  La regione Friuli Venezia Giulia ha disposto con legge regionale n. 18 del 29 dicembre 2011, un finanziamento straordinario in favore del predetto comune per far fronte agli oneri relativi a mutui od altra forma di ricorso al mercato finanziario che l'amministrazione comunale stipulerà per la progettazione e realizzazione del fabbricato.
  Nel confermare che la realizzazione del distaccamento è considerata tuttora utile, si rappresenta che per l'emanazione del decreto istitutivo è necessario attendere la definizione degli aspetti logistici, legati all'effettiva disponibilità della sede.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   CORSINI e ZAMPA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'interesse del mondo imprenditoriale e, più in generale del nostro Paese, per il mercato cinese, sia per quanto riguarda gli aspetti economici che i flussi turistici è in continua crescita;
   in conseguenza di questo accresciuto interesse per la Cina è aumentata in maniera esponenziale la domanda ed il rilascio di visti d'ingresso per l'Italia, sia turistici sia d'affari da parte dei cinesi;
   nell'attività di rilascio dei visti le rappresentanze diplomatico-consolari in Cina si avvalgono della collaborazione, in qualità di società di outsourcing, della fondazione Italia-Cina, del cui comitato strategico è componente anche l'Ambasciatore italiano, Attilio Massimo Iannucci;
   a quanto consta agli interroganti, la citata fondazione ha all'interno dell'ambasciata di Pechino una propria stabile postazione in cui operano regolarmente 3 sue unità –:
   in che modo si concili l'attività all'interno dell'ambasciata dei dipendenti della fondazione Italia-Cina, con il rispetto dell'articolo 43 del Codice comunitario dei visti, il quale prevede che i fornitori esterni di servizi non debbano avere, in alcun caso, accesso al VIS, riservato esclusivamente al personale di ruolo appositamente abilitato, così come riservati sono l'esame delle domande, i colloqui e la decisione ultima sulle domande di visto;
   se non possa sussistere un conflitto d'interesse tra l'incarico istituzionale dell'ambasciatore Iannucci con quello di consigliere strategico di un Istituto privato quale è la fondazione Italia-Cina, peraltro selezionata e scelta come società di outsourcing dallo stesso ambasciatore, ai sensi del comma 7 del citato articolo 43 del Codice Comunitario. (4-19058)

  Risposta. — L'Ambasciata d'Italia a Pechino ha concluso un contratto con la Fondazione Italia-Cina che, a partire dal 23 febbraio del 2012 e per una validità di cinque anni, affida alla Fondazione l'esternalizzazione di alcune attività relative alla ricezione delle domande di visto. Il contratto riguarda specificamente i visti per turismo/ads (approved destination status), specifica tipologia di visto turistico prevista sulla base di un Memorandum fra l'Unione europea e l'Ente per il turismo cinese, riservato ad agenzie di viaggio accreditate. Per le altre tipologie di visto, l'Ambasciata si avvale invece della collaborazione della società visa facilitation service (vfs).
  La scelta di affidare ad una società esterna la raccolta delle pratiche per turismo/ads, che prima venivano tutte trattate direttamente in ambasciata, è legata all'esigenza di rendere maggiormente efficiente il servizio visti e consentire la trattazione di un maggior numero di pratiche, in ragione proprio dell'esponenziale e continua crescita dei flussi turistici provenienti da quel Paese.
  L'ambasciata – al pari di quanto essa stessa aveva già fatto in precedenza – ha svolto la regolare procedura di selezione, assicurando di aver affidato il servizio nei termini previsti dalla vigente normativa comunitaria e attenendosi alle indicazioni ministeriali, che si basano anche su un apposito parere dell'Avvocatura dello Stato. Dopo aver dato adeguata pubblicità dell'apertura della selezione in questione, l'ambasciata ha ricevuto manifestazioni d'interesse da parte di tre soggetti. La proposta della Fondazione è stata giudicata come la maggiormente idonea, rispetto a quelle degli altri due candidati, al raggiungimento dell'obiettivo di incrementare l'efficienza della propria sezione visti.
  In linea con quanto previsto dall'articolo 43 del codice comunitario dei visti (regolamento CE 810/2009), il contratto con la Fondazione Italia-Cina prevede che la collaborazione riguardi: attività di informazione all'utenza, fissazione degli appuntamenti, raccolta delle domande e della relativa documentazione, riscossione dei diritti consolari, riconsegna dei documenti di viaggio con il visto o con il provvedimento di diniego.
  L'ufficio consolare dell'ambasciata, inoltre, vigila con attenzione sulla correttezza dell'operato del fornitore esterno dei servizi, anche effettuando periodicamente controlli a campione nei locali della Fondazione. In linea con il codice visti, è dunque escluso il coinvolgimento del personale della Fondazione in qualsiasi parte del processo decisionale o l'accesso al sistema informazione visti. Ne deriva, di conseguenza, che le attività esternalizzate sono tenute ben distinte da quelle svolte all'interno della sede, in carico al personale dell'ufficio consolare.
  Riguardo all'ipotetico conflitto d'interesse ravvisato nella partecipazione dell'ambasciatore Iannucci al comitato strategico della Fondazione, si specifica che tale comitato – costituito nel 2008 – è composto da personale del mondo accademico, istituzionale ed imprenditoriale ed ha funzioni consultive. Nelle riunioni dello stesso comitato, l'unica delle quali è avvenuta nel 2009, quando l'ambasciatore non ne faceva ancora parte, il suo ruolo avrebbe dovuto essere quello di portare una testimonianza diretta della situazione cinese e contribuire, al pari delle altre personalità, al rafforzamento dei rapporti tra l'Italia e la Cina.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   COSENZA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è recente la notizia di un'ampia operazione di polizia che ha portato all'arresto dei capi, tutti provenienti dall'Europa orientale, di una banda che organizzava il racket dell'accattonaggio a Milano;
   è sempre più evidente, a Milano come a Roma e in tante città italiane, lo svolgersi di un'attività violenta, illegale e disumana che è sotto gli occhi di tutti;
   l'aspetto umanamente più impressionante riguarda il fatto che, con questa operazione, sono stati liberati decine di disabili che a forza, dopo essere arrivati in Italia in condizioni di schiavitù perché «venduti» dalle famiglie di origine agli aguzzini o perché rapiti vivendo in condizioni di povertà e abbandono, venivano inviati nelle strade di Milano a chiedere l'elemosina;
   inoltre, l'invalidità è spesso provocata, a indicare disumanità senza limiti, dagli stessi aguzzini per acuire il senso di pietà che si vuole ingenerare nei passanti;
   il codice penale, all'articolo 600, punisce, nell'ambito del reato di riduzione in schiavitù, chi costringe altre persone all'accattonaggio con una pena tra otto e vent'anni di reclusione;
   inoltre, il codice penale, con una modifica introdotta dalla legge n. 94 del 2009, prevede all'articolo 602-bis, come pena accessoria, la perdita della potestà genitoriale in caso di sfruttamento del proprio figlio per l'accattonaggio;
   è invece carente una legislazione che consenta l'allontanamento e il rimpatrio di chi organizza il racket del riciclaggio, il che considerato che si tratta quasi sempre di persone di nazionalità est-europea, sarebbe certo un forte deterrente;
   la presenza di questi fenomeni è inaccettabile per un Paese civile e chiama tutti gli italiani, a partire dal Governo e dal Parlamento, a una riflessione profonda –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in merito a quanto esposto in premessa in termini di prevenzione e repressione del fenomeno nei confronti degli aguzzini che organizzano il racket dell'accattonaggio;
   in particolare, in che modo il Governo intenda attivare concretamente le forze dell'ordine per combattere quotidianamente le attività di accattonaggio che si svolgono ogni giorno nelle nostre città con il recupero dei minori;
   se il Ministro interrogato intenda operare, per quanto di competenza, anche sul fronte amministrativo, in materia di interventi contro il fenomeno dell'accattonaggio e dello sfruttamento umano, così come in materia di interventi tesi al recupero delle vittime mediante attività di assistenza sociale, psicologica e legale;
   se il Governo intenda assumere iniziative in merito al rimpatrio di quanti, di nazionalità straniera, vengano condannati per sfruttamento e maltrattamenti legati al fenomeno dell'accattonaggio;
   se il Governo ritenga realizzabile un'iniziativa forte, che certo darebbe merito al ruolo dell'Italia in ambito europeo, per promuovere legislazioni e iniziative comunitarie che combattano il fenomeno dell'accattonaggio nella sua dimensione transnazionale. (4-18411)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede di conoscere in che modo il Governo intenda intervenire per contrastare il preoccupante fenomeno dello sfruttamento dell'accattonaggio.
  Le autorità di pubblica sicurezza hanno piena consapevolezza del fatto che dietro questo fenomeno si celano interessi criminali che finiscono per colpire le persone più fragili e indifese, portatrici di handicap ma anche minori di varie nazionalità ed etnie, coinvolte talora fino al loro inserimento nei circuiti del lavoro forzato.
  L'esigenza di prevenire e di reprimere ogni forma di sfruttamento costituisce una priorità cui viene dedicata particolare attenzione dal Governo e dal Ministero dell'interno.
  A questo proposito, si ricorda che la questione è stata affrontata fin dall'inizio della legislatura con interventi diretti a colpire la filiera criminale che alimenta questo odioso fenomeno traendone cospicui profitti.
  Si fa riferimento, in particolare, alle iniziative che hanno portato all'approvazione della legge 15 luglio 2009, n. 94, con la quale è stata prevista la pena della reclusione per coloro che, per mendicare, si avvalgono di persone al di sotto di 14 anni o, comunque, non imputabili.
  Il fenomeno è costantemente monitorato dalle forze di polizia sia sotto il profilo della prevenzione generale e del controllo del territorio, sia sotto quello investigativo.
  Oltre alla risposta delle istituzioni in termini di sicurezza pubblica, sono indispensabili interventi e misure finalizzati al recupero delle vittime mediante attività di assistenza sociale, psicologica e legale.
  Alla realizzazione di tale obiettivo è dedicato, peraltro, l'impegno da parte dei servizi sociali dei comuni ed anche di numerose associazioni di volontariato. Le stesse prefetture, in questo ambito, contribuiscono a sviluppare una rete di interventi assistenziali, in alcuni casi anche sotto il profilo sanitario, promuovendo iniziative di prossimità in collaborazione con le altre istituzioni del territorio.
  Lo sfruttamento dell'accattonaggio potrà essere contrastato anche con specifiche ordinanze adottate dai sindaci in base all'articolo 54 del testo unico degli enti locali, dando attuazione al decreto ministeriale che nel contesto della sicurezza urbana fa esplicito riferimento a tale fenomeno.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   DE POLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è evidente lo sconcerto e l'aberrazione per le immagini della vicenda del bambino di Cittadella che sono state trasmesse oggi a livello nazionale su tutti i telegiornali e i network;
   è necessario chiarire come e con quali modalità questo provvedimento sia stato emanato in quanto è inadeguato per l'età del minore e agire in questo modo creerà sicuramente un trauma al piccolo;
   da alcune agenzie si apprende, inoltre, che nei mesi di agosto e settembre c'erano stati altri due tentativi di sottrarre il minore dalla casa materna, ma erano falliti per l'opposizione del bimbo;
   l'interrogante non entra nel merito delle decisioni della corte d'appello della sezione minori di Venezia, ma intervenire a scuola e sottrarre il bambino con veemenza non è stata un'azione intelligente agli occhi dell'opinione pubblica, rimasta sicuramente turbata e sconvolta –:
   in che modo il Ministro competente intenda intervenire per individuare la responsabilità di questo grave episodio che lascia tutti indignati e senza parole.
(4-18078)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede chiarimenti in merito al recente episodio avvenuto nel comune di Cittadella, relativo all'esecuzione di un provvedimento di allontanamento di un minore dall'ambiente familiare materno.
  La vicenda ha suscitato una forte reazione emotiva in tutta l'opinione pubblica e questa amministrazione ha immediatamente fornito elementi di conoscenza al Parlamento – nel corrispondere ad una richiesta di informativa urgente, svolta il 12 ottobre 2012 – sottolineando come l'intervento della polizia in quell'occasione sia stato determinato dalla necessità di dare assistenza agli operatori dei servizi sociali e consentire l'attuazione del predetto provvedimento dell'autorità giudiziaria (subito dopo il rigetto del ricorso con il quale la madre ne aveva chiesto la sospensiva).
  Su disposizione del giudice, infatti, il padre aveva richiesto per l'esecuzione del provvedimento il supporto dei servizi sociali e della forza pubblica, oltre che di uno psichiatra consulente tecnico della corte d'appello. Quest'ultimo era stato interessato dai servizi sociali ai fini dell'individuazione dell'istituto scolastico frequentato dal minore, quale luogo più idoneo per l'intervento.
  Sul posto si sono recati, insieme al padre e al citato consulente tecnico d'ufficio, anche quattro operatori dei servizi sociali del comune di Padova, tra cui il responsabile ed uno psicologo, nonché tre dipendenti della questura, di cui due operatrici dell'ufficio minori ed un dipendente del gabinetto interregionale polizia scientifica, tutti in abiti civili.
  La presenza della Polizia scientifica si è resa necessaria per documentare – anche con riprese video – le fasi dell'intervento, in quanto i familiari del bambino già in passato avevano reagito a precedenti esecuzioni, effettuate presso l'abitazione materna. In quelle occasioni il consulente tecnico d'ufficio e gli assistenti sociali erano stati indotti a non procedere all'attuazione del provvedimento. Si fa comunque presente che all'intervento non hanno assistito i compagni di classe, per effetto della decisione, adottata dal dirigente scolastico, di allontanarli dall'aula, dove rimaneva pertanto il minore in compagnia di un insegnante.
  Solo dopo che era stato verificato, attraverso un colloquio tenuto dal minore con lo psichiatra e lo psicologo, l'impossibilità di ottenere una condotta volontaria da parte del bambino, il padre è entrato nell'edificio scolastico per prelevarlo fisicamente e condurlo nell'autovettura in dotazione ai servizi sociali (che lo avrebbe accompagnato alla comunità di accoglienza).
  Per effetto della condotta recalcitrante del minore – su richiesta del padre e su sollecitazione del consulente tecnico d'ufficio – sono intervenuti gli operatori di polizia, al solo fine di salvaguardare l'incolumità del bambino.
  Appena uscito dall'ingresso secondario dell'edificio scolastico, il minore invocava con urla l'intervento dei familiari della madre, allontanati a fatica dai tre operatori di polizia.
  In tale fase concitata, il padre afferrava per le gambe il bambino, aiutato da un assistente di polizia che lo sollevava da terra per evitare che il minore si potesse far male.
  Nonostante la resistenza sempre più accesa dei familiari, gli operatori di polizia riuscivano ad allontanarli dal veicolo, consentendone le partenza.
  Ai parenti che continuavano a protestare vivacemente contro le forze dell'ordine, chiedendo l'esibizione del provvedimento di diniego della sospensiva, un ispettore capo della polizia di Stato ha replicato, con espressioni assolutamente non professionali, che il grado di parentela con il minore non giustificava la richiesta.
  Durante tutto l'intervento, il padre, il consulente tecnico d'ufficio ed il personale dei servizi sociali, nonostante la difficile situazione venutasi a creare, hanno mostrato la ferma volontà di portare a termine l'esecuzione del provvedimento giudiziario.
  I fatti sono stati tempestivamente riferiti all'autorità giudiziaria con un'informativa corredata da tutti gli atti acquisiti, tra i quali anche il video prodotto dalla polizia scientifica.
  Come è noto, in ordine all'attività svolta dalle forze dell'ordine è stata avviata, su disposizione del capo della polizia, un'apposita inchiesta conoscitiva, condotta dai massimi rappresentanti dell'ufficio centrale ispettivo del dipartimento della pubblica sicurezza, che dovrà valutare le condotte poste in essere alla luce della complessiva documentazione e dei conseguenti elementi di valutazione acquisiti.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   DI PIETRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo europeo Irisbus produce autobus e filobus. È divenuto oggi il secondo produttore mondiale di autobus e dal 2001 l'azienda è controllata al 100 per cento da Iveco, e quindi dal Gruppo Fiat Industrial;
   il 14 settembre 2011 Fiat Industrial ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Valle Ufita in Campania dopo che la produzione di autobus è passata da 717 veicoli prodotti nel 2006 a 145 nel 2011. La produzione è stata spostata nello stabilimento francese di Annonay;
   l'Irisbus costruisce non solo autobus di linea e da turismo, ma anche filobus di nuova concezione;
   l'8 luglio 2011 Iveco spa ha inviato alle rappresentanze sindacali unitarie di Irisbus Italia spa dello stabilimento di Flumeri (Avellino), una lettera nella quale comunicava l'intenzione di cedere il ramo d'azienda costituito dallo stabilimento di Valle Ufita alla società Dr motor company all'imprenditore molisano Massimo Di Risio che ha rinunciato all'acquisto pochi mesi dopo, vista l'inconsistenza del piano industriale e delle risorse finanziare messe a disposizione;
   il 3 ottobre 2011 la Fiat ha attivato le procedure per la messa in mobilità e la cassa integrazione per tutti i 700 lavoratori dello stabilimento più altri 800 nell'indotto;
   dopo il taglio del personale Fiat è passata direttamente alla chiusura dello stabilimento, sancendo la fine delle produzioni per il trasporto pubblico in Italia;
   il Ministero dello sviluppo economico ha affermato più volte che avrebbe seguito la situazione venutasi a creare sul territorio e il 21 settembre 2011 ha proposto a Irisbus di continuare l'attività produttiva fino al 31 dicembre 2011, per consentire nel frattempo la ricerca di eventuali imprenditori interessati all'acquisizione del sito e la ricollocazione di un'ulteriore parte dei lavoratori interessati presso altre aziende del gruppo Fiat Iveco e il possibile utilizzo di ammortizzatori sociali, per la rimanente quota dei dipendenti;
   il 30 settembre 2011, la società Irisbus ha invece aperto la procedura di mobilità per tutti i lavoratori del sito;
   la dismissione dell'unico stabilimento che produce autobus in Italia, arriva da parte della Fiat, dopo la chiusura degli impianti di Termini Imerese e Imola in un crescente abbandono di realtà produttive nel nostro Paese, senza che il Governo abbia assunto gli atteggiamenti necessari per salvaguardare le produzioni nazionali, a differenza di quanto fatto ad esempio dal governo tedesco, francese o statunitense;
   la totale mancanza di una chiara politica industriale da parte del Governo, nel campo del trasporto pubblico come in altri settori, rende possibile la «fuga» dal nostro Paese da parte di gruppi industriali come la Fiat che, pur continuando ad usufruire di finanziamenti pubblici, non vengono mai chiamati alle proprie responsabilità nell'interesse generale del Paese, dell'economia e dell'occupazione;
   ad esempio, non esiste e ad avviso dell'interrogante non vi è l'interesse da parte dell'attuale Governo nel definire un piano nazionale dei trasporti, di rinnovo del parco vetture, sempre più necessario vista l'obsolescenza del parco autobus nazionale;
   la chiusura dello stabilimento di Flumeri ha ulteriormente esasperato il disagio e la tensione sociale tra la popolazione, nella Valle Ufita e nella provincia di Avellino, che già registra un altissimo numero di disoccupati;
   l'Italia non può disperdere in questo modo l'enorme patrimonio manifatturiero nella produzione industriale di autobus proprio in un momento in cui a livello mondiale si favorisce l'utilizzo dei mezzi collettivi;
   occorre perseguire con convinzione la ricerca di altri eventuali investitori, anche stranieri, interessati a produrre mezzi di trasporto pubblico in Italia a partire dall'azienda Irisbus della provincia di Avellino;
   bisogna prevedere risorse a sostegno di un piano nazionale del trasporto pubblico, che punti sull'innovazione dei prodotti e sulla sostenibilità ambientale;
   vista la presenza di un impianto efficiente e di un indotto tuttora fatto di piccole e medie imprese molto qualificate la produzione ad Avellino è realistica. Produttività e costi dello stabilimento italiano sono competitivi e perciò risulta incomprensibile chiudere uno stabilimento in Italia e poi far acquisire dalle amministrazioni locali, con i soldi pubblici, prodotti costruiti in Francia e in Repubblica Ceca;
   22 di queste aziende dell'indotto si sono organizzate in un coordinamento e hanno avanzato delle proposte che prevedono, in sintesi, che:
    entro un anno venga sviluppato un Piano nazionale per il trasporto;
    si preveda il mantenimento e l'aumento della competitività dello stabilimento flumerese con o senza la presenza del gruppo Fiat;
    si valorizzino gli operatori locali coinvolgendoli nel programma di efficientamento e qualità del prodotto –:
   quali iniziative immediate intenda assumere il Ministro per garantire la ripresa della produzione di autobus e i posti di lavoro, favorendo le manifestazioni d'interesse da parte di altri investitori, anche stranieri, che volessero rilevare il ramo di azienda Irisbus di Flumeri per ridare ossigeno a quello stabilimento e all'importante indotto che si è sviluppato negli anni e convocare urgentemente i rappresentanti delle aziende dell'indotto Irisbus al fine di valutare insieme a loro e alle parti sociali la validità delle loro proposte sinteticamente illustrate in premessa. (4-18582)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dello sviluppo economico, sin dal 7 luglio 2011, data in cui FIAT Industrial ha comunicato alle parti sociali la volontà di cessare la propria attività nel sito di Flumeri (Avellino) cedendola ad un imprenditore terzo, sta seguendo con molta attenzione le vicende relative alla Irisbus.
  A partire da quella data si sono tenuti diversi incontri con l'obiettivo di favorire, attraverso la mediazione del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il raggiungimento di un'intesa tra le parti.
  Nel dicembre del 2011, preso atto della definitiva decisione di FIAT, è stato, quindi, siglato presso il Ministero del lavoro un accordo che prevede il ricorso agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione) per i dipendenti della Irisbus e, contestualmente l'avvio della ricerca di possibili nuovi investitori.
  L'accordo prevede, inoltre, il ricorso a strumenti quali la mobilità volontaria finalizzata al raggiungimento dei requisiti pensionistici, e la ricollocazione dei dipendenti in altre unità produttive del gruppo in Italia.
  L'impegno per la ricerca di soluzioni di reindustrializzazione è stato sancito anche in un incontro tenutosi il 16 gennaio 2012 presso il Ministero dello sviluppo economico.
  Nella stessa sede FIAT Industrial si è impegnata ad istituire, al proprio interno, una
task force con il compito di valutare le manifestazioni di interesse pervenute per il sito di Flumeri.
  L'Azienda si è, inoltre, dichiarata disponibile a porre in essere tutte quelle misure che possano favorire l'insediamento di nuove attività produttive nel sito, anche qualora le stesse provengano da imprese attive nel settore automotive e quindi potenziali concorrenti.
  Dal mese di gennaio 2012 sono state presentate alcune manifestazioni di interesse, la maggioranza delle stesse, però, a seguito di una prima accurata verifica si è rivelata inconsistente e/o impraticabile.
  Allo stato attuale, come tra l'altro ribadito in un verbale di riunione del Ministero dello sviluppo economico dello scorso 10 ottobre 2012, si sta esaminando una manifestazione di interesse proveniente da un'azienda italiana.
  Sarebbe, però, prematuro esprimere qualsiasi giudizio sulla praticabilità del progetto produttivo sotteso, essendo ancora in corso i necessari approfondimenti sia di natura industriale che finanziaria.
  Nelle more, pertanto, proseguirà la ricerca d'investitori che dimostrino interesse a insediarsi nel sito, valutando con priorità le eventuali proposte intese a conservare l'attuale vocazione industriale dello stabilimento di Flumeri.
  Il Ministero dello sviluppo economico metterà a disposizione di eventuali imprenditori interessati, a fronte della presentazione di un serio piano di investimenti, tutte quelle misure incentivanti previste dalla normativa vigente che possano facilitare l'insediamento di nuove attività produttive nel sito Irisbus.
  Il tavolo di confronto verrà riconvocato i primi mesi del 2013 o non appena ci fossero importanti novità da comunicare.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ente Casa Divina Provvidenza è un ente ecclesiastico fondato da don Pasquale Uva, attivo da oltre ottanta anni nell'ambito della sanità privata pugliese e dislocato nei centri sanitari di Foggia, Bisceglie e Potenza con un numero di posti letto complessivo superiore alle duemila unità (2054 totali, 631 solo a Foggia);
   l'ente è in uno stato di profonda crisi economico-finanziaria dovuta all'enorme debito – si parla di 324 milioni di euro – accumulato nel corso degli anni;
   la crisi ha determinato l'avvio della procedura fallimentare da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani e della procedura di licenziamento collettivo di oltre 500 dipendenti;
   qualora fosse attuata la procedura di licenziamento si assisterebbe a una grave diminuzione dei livelli di assistenza destinata a tutti quei soggetti affetti da disabilità psico-fisiche e sensoriali degenerative che da decenni vengono curati nelle sopracitate strutture –:
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, il Governo intenda adottare in relazione alla vicenda dell'Ente Casa Divina Provvidenza e se non ritenga doveroso tutelare i livelli essenziali di assistenza e i livelli occupazionali. (4-19190)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente la situazione finanziaria, gestionale ed occupazionale degli istituti ospedalieri Opera Don Uva, aventi sedi in Bisceglie, Foggia e Potenza, di proprietà della congregazione Ancelle della Divina Provvidenza, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente occorre ricordare che la situazione economico-finanziaria della congregazione Ancelle della Divina Provvidenza è caratterizzata da un consistente indebitamento (il cui importo si aggira intorno ai 400 milioni di euro) nei confronti principalmente dello Stato, nonché da un notevole squilibrio nel conto economico tra ricavi e costi, con specifico riferimento ai costi per il personale.
  In siffatto contesto, in data 3 ottobre 2012, la congregazione Ancelle della Divina Provvidenza ha comunicato ai competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'avvio della procedura di licenziamenti collettivi, ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, dichiarando un esubero pari a 587 lavoratori impiegati presso le sedi di Bisceglie, Foggia e Potenza.
  Si ricorda, inoltre, che è attualmente pendente, presso il tribunale di Trani, la procedura di fallimento la cui istanza è stata presentata dalla stessa procura di Trani. Nel corso della prima udienza (tenutasi in data 8 novembre 2012) della procedura concorsuale, la direzione dell'istituto ospedaliero ha richiesto un termine per proporre istanza di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale.
  Il tribunale ha concesso tale termine, riservando la decisione in ordine all'ammissibilità del concordato preventivo all'esito dell'esame del relativo progetto che sarà depositato dalla direzione aziendale.
  In siffatto contesto, la regione Puglia, espressamente interpellata per i profili di competenza, ha reso noto che la vicenda è già da tempo all'attenzione della
task force regionale per l'occupazione e che, nel corso dei vari incontri, è emersa con chiarezza l'inadeguatezza dell'attuale gestione della congregazione ad effettuare un piano di risanamento.
  In particolare, nel corso dell'ultima riunione di
task force, tenutasi in data 16 ottobre 2012, la regione e le organizzazioni sindacali hanno concordato sul fatto che la prospettiva di risanamento e di rilancio dell'ente non può che essere garantita da un piano serio e concreto, affidato ad un soggetto affidabile e terzo, diverso da quelli che hanno portato l'ente stesso al disastro.
  Con specifico riferimento alla sede di Potenza, il presidente della regione Basilicata, alla luce della proposta di concordato preventivo in atto, ha manifestato la volontà di pervenire alla stipula, attraverso l'azienda sanitaria di Potenza, di un contratto di fitto di ramo d'azienda, da individuarsi nella struttura Opera Don Uva di Potenza, con preventiva individuazione dei beni costituenti il ramo e ricognizione del personale da assegnarsi allo stesso.
  Lo stesso presidente ha fatto presente che, ove tale ipotesi non venisse ritenuta idonea, la regione e la azienda sanitaria di Potenza si sarebbero riservati la possibilità di considerare l'opportunità di mantenere in continuità i rapporti contrattuali stessi.
  Tale valutazione non potrà, in ogni caso, prescindere dall'accertamento della concreta possibilità, da parte della congregazione Ancelle della Divina Provvidenza, di garantire la regolarità di tutte le attività presenti presso la struttura Opera Don Uva di Potenza e,
in primis, la regolarità degli stipendi ed il pagamento dei fornitori primari.
  Per quanto attiene alla gestione degli esuberi in atto, si precisa che, esaurita la fase di consultazione sindacale, prevista dalla legge n. 223 del 1991, senza il raggiungimento di un accordo, la congregazione ha richiesto la convocazione delle parti sociali, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di procedere all'ulteriore esame della situazione aziendale, nel rispetto della normativa vigente in materia.
  Conseguentemente, il competente ufficio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha provveduto a convocare le parti, per i giorni 4 e 12 febbraio 2013.
  Da ultimo, nel precisare che le parti sociali non hanno richiesto l'attivazione di un tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico, espressamente interpellato sulla questione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non può che garantire la piena disponibilità a valutare ogni possibile soluzione in ordine alla vicenda aziendale in esame, diretta a tutelare la posizione dei lavoratori e delle loro famiglie, mettendo in campo tutti gli strumenti a tal fine previsti dalla vigente normativa.

Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMichel Martone.


   DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni umanitarie hanno avvertito che più di 2 milioni di persone in Afghanistan, sono a rischio freddo, malattie e malnutrizione questo inverno, ed hanno invitato ad accrescere gli sforzi per aiutare le famiglie vulnerabili a prepararsi per il freddo nel corso dei prossimi mesi;
   le condizioni meteorologiche estreme in Afghanistan hanno un enorme impatto sulle persone e sui loro mezzi di sussistenza. Le comunità più povere, e donne e bambini, sono i più colpiti;
   quest'anno, i preparativi sono in corso per aiutare le famiglie afghane ad affrontare le dure condizioni invernali. All'inizio di questo mese, il Programma alimentare mondiale (PAM) e Agenzia rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) hanno lanciato un programma di fornitura di cibo e forniture invernali a più di 2.000 famiglie in Afghanistan nelle province di Kunduz, Baghlan, Badakhshan e Takhar;
   a Kabul, che ospita circa 30.000 sfollati che vivono nei campi e insediamenti informali, agenzie delle Nazioni Unite ed i partner stanno distribuendo cibo, carburante compresi legna da ardere e carbone, vestiti, teli impermeabili, coperte e medicine;
   centinaia di famiglie vivono per lo più in tende di fortuna, senza molta protezione contro il duro inverno. Senza alcuna fonte di reddito, la maggior parte delle persone dipendono dagli aiuti umanitari;
   è stato recentemente approvato un accordo di lungo partenariato con l'Afghanistan che mira a promuovere lo sviluppo di un partenariato di lungo periodo per il cui tramite realizzare il rafforzamento delle relazioni bilaterali, anche nel contesto delle future relazioni del Paese asiatico con le organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte e rappresenta una cornice unitaria atta a mettere a sistema i vari filoni di collaborazione già esistenti richiamando accordi firmati e ratificati –:
   se il Governo intenda intervenire, in maniera maggiore e più incisiva, con le iniziative di cooperazione allo sviluppo in Afghanistan, aumentando le risorse e sottraendole dalle spese militari, sostenere le associazioni umanitarie che operano sul territorio e adoperarsi per aiutare concretamente migliaia di persone in condizioni disagiate e che rischiano la vita a causa delle gravi e pesanti condizioni meteorologiche previste da qui a breve. (4-19255)

  Risposta. — L'Afghanistan rappresenta ormai da anni un Paese di primaria importanza per la cooperazione italiana. Esso, già tra i principali destinatari degli aiuti dell'Italia ai sensi delle linee guida della cooperazione per il triennio 2012-2014, è stato confermato quale paese prioritario per la cooperazione in Asia nelle linee guida 2013-2015, approvate il 19 dicembre 2012, da parte del comitato direzionale.
  La cooperazione italiana continuerà pertanto ad impegnarsi – assieme alla comunità internazionale – in Afghanistan, nella convinzione che l'azione civile e di cooperazione allo sviluppo sia indispensabile per la crescita sostenibile e autonoma del Paese e per far fronte agli ancora alti indici di povertà e all'instabilità che lo caratterizzano.
  In particolare, la cooperazione italiana intende intervenire a favore delle popolazioni del Paese proseguendo nell'impegno a sostenere l'autorità del Governo afghano nella fase di graduale passaggio di responsabilità per la sicurezza, lo sviluppo e la
governance, promuovendo l'accesso allo sviluppo socio-economico della popolazione in modo sostenibile. In occasione della Conferenza di Tokyo sull'Afghanistan tenutasi l'8 luglio 2012, la comunità internazionale ha anche assunto l'impegno di canalizzare una quota crescente dei contributi attraverso il bilancio e/o i programmi nazionali afghani, per favorirne la sostenibilità e promuovere un miglioramento della capacità di investimento delle autorità locali sul territorio. Per tale motivo è importante sostenere tale investimento, sia in termini finanziari (principalmente attraverso i programmi nazionali: l’Afghanistan reconstruction trust fund e i programmi di governance) che in termini di assistenza tecnica e monitoraggio. Anche nel 2013, come per l'anno precedente, ci si dovrà concentrare nella provincia di Herat, comprendendo anche le aree in fase di transizione nel sostegno dello sviluppo rurale, nel miglioramento del reddito, delle infrastrutture e dell'accesso rurale attraverso i programmi afghani.
  Nelle iniziative si terrà ovviamente conto dei settori prioritari indicati dall'accordo di partenariato firmato nel gennaio del 2012 (
governante/rule of law, infrastrutture, sviluppo rurale/agricoltura) e degli ambiti trasversali e settori d'impegno citati dall'accordo (gender, sanità, patrimonio culturale).
  Infine, a valere sui fondi del decreto missioni 2012, sono stati già accreditati presso l'ambasciata d'Italia a Kabul fondi per 2.190.000 euro per interventi umanitari da realizzare, prevalentemente attraverso organizzazioni non governative italiane, in favore delle popolazioni vulnerabili, soprattutto nella provincia di Herat, mentre ulteriori 570 mila euro saranno a breve accreditati. Peraltro, per quanto riguarda i fondi assegnati dal decreto missioni 2013 recentemente approvato, si prevede di destinare all'Afghanistan la parte prevalente del finanziamento di 15 milioni di euro previsto all'articolo 5 del decreto.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   EVANGELISTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il centro siderurgico di Piombino e le sue acciaierie, di proprietà del gruppo Lucchini, costituiscono un grande patrimonio nazionale a sostegno delle esigenze produttive del Paese e una struttura industriale sulla quale si regge l'economia locale della Val di Cornia e dell'Isola d'Elba;
   tuttavia, versano sempre più in condizioni di crisi stante il fatto che l'azionista di maggioranza si è dichiarato non in grado di dare garanzie di mantenimento dell'azienda;
   le parti sociali, le istituzioni locali e regionali, le forze politiche e parlamentari hanno più volte interessato il Ministro dello sviluppo economico per la ricerca di soluzioni in grado di salvaguardare la produzione con progetti industriali anche mediante l'intervento di capitali stranieri;
   l'interrogante ha già presentato due atti di sindacato ispettivo sull'argomento (4-03693 e 4-08115), ancora senza risposta;
   il prossimo 2 febbraio, il nuovo incontro tra il magnate russo Mordashov e gli istituti di credito può diventare una data decisiva per il futuro del gruppo Lucchini, anche se va avanti da mesi senza aver lasciato intravedere alcun risultato;
   finora il Governo è venuto meno rispetto agli impegni assunti da più di un anno per aprire un tavolo nazionale sulla siderurgia, chiarire le prospettive di sviluppo – non solo a Piombino – e al tempo stesso lavorare per l'individuazione di acquirenti disposti davvero a investire a lungo termine nel nostro Paese;
   un mancato accordo aprirebbe scenari drammatici per l'occupazione, un'ulteriore aggravante alla crisi in termini occupazionali, salariali e per l'economia di tutta la Val di Cornia –:
   se non ritenga di verificare lo stato di questa vicenda e di comunicare quali siano le reali intenzioni del Governo affinché venga trovata una soluzione che permetta di sbloccare la situazione drammatica da tempo evidenziata;  
   se non ritenga indispensabile per quanto di propria competenza favorire un accordo fra le banche e il gruppo di Mordashov per favorire una stabilità che consenta l'ingresso di nuovi compratori capaci di dare garanzie di solidità finanziaria, di progettualità e di investimento nel settore. (4-10642)


   EVANGELISTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è recentemente appreso della chiusura dell'altoforno delle acciaierie Lucchini di Piombino dal 23 dicembre 2011 al 18 gennaio 2012, annunciata dall'azienda stessa;
   la chiusura dell'altoforno appare preoccupante non soltanto per i 2.200 dipendenti dell'azienda, che vedono messo a rischio il salario, a causa del ricorso alla cassa integrazione e il loro stesso futuro lavorativo, ma rappresenta anche un serio rischio di impoverimento di tutto il tessuto economico e sociale della Val di Cornia;
   la dismissione dell'alto forno rischia infatti di innescare seri problemi a livello sociale e occupazionale per Piombino e per tutto l'indotto che ruota intorno alle acciaierie;
   risulta sempre più evidente e urgente, a parere dell'interrogante, la necessità di accelerare tutte le procedure per tradurre in concreto l'accordo finalmente raggiunto con le banche nel mese di luglio 2011, perfezionato poi a ottobre, che può garantire salario per i lavoratori, la ripresa produttiva e la sopravvivenza per l'indotto;
   l'allarme dei sindacati e di tutte le categorie economiche della Val di Cornia è stato più volte lanciato e si è concretizzato in manifestazioni e giornate di sciopero –:
   se non ritengano di favorire l'avvio urgente di un confronto tra le parti per la salvaguardia del futuro industriale e occupazionale delle acciaierie Lucchini di Piombino;
   più in generale, quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire prospettive di sviluppo certe a tutto il comparto della siderurgia italiana.
(4-14037)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle due interrogazioni giacché riguardano lo stesso argomento.
  Il Ministero dello sviluppo economico ha seguito da tempo e con grande attenzione le vicende che hanno interessato la Lucchini, viste le importanti implicazioni di natura produttiva e occupazionale.
  Dopo numerosi incontri, vista la complessità della situazione e non essendo andata a buon fine l'attività di ricerca d'investitori da parte dell’
advisor Rothschild, nell'ultima riunione tenutesi al Ministero dello sviluppo economico, il 22 gennaio scorso, alla presenza di tutte le parti interessate al futuro della Lucchini, ho comunicato dell'ammissione del gruppo alla procedura di amministrazione straordinaria.
  In tale sede il commissario straordinario dottor Nardi ha evidenziato le criticità del gruppo Lucchini ricordando che la procedura attivata è la testimonianza di una gravissima difficoltà che ha portato allo spossessamento della proprietà aziendale. Ha ribadito che tale procedura concorsuale deve tener conto dell'equilibrio tra gli interessi dei creditori e quello della continuità aziendale, finalizzata alla riconsegna della Lucchini a un nuovo investitore.
  Allo stato attuale ha registrato una perdita strutturale che, unita alla crisi generale di mercato e all'assenza d'investimenti degli ultimi anni, ha ulteriormente peggiorato la situazione.
  Lo stesso commissario ha dichiarato che un'altra criticità è rappresentata dal blocco di alcuni prodotti finiti nel sito di Lecco a causa di un'agitazione sindacale. Ha ricordato che nella sua funzione di «commissario straordinario» non può disporre di altre risorse al di fuori di quelle provenienti dalla gestione dell'azienda e infine ha illustrato la situazione dell'altoforno all'indomani della riaccensione e dopo la prolungata fermata.
  In tal senso infatti, pur apprezzando la competenza e la dedizione di operai e tecnici, ha evidenziato una criticità dovuta a malfunzionamenti che spera di risolvere entro breve tempo.
  Le organizzazioni sindacali, da parte loro, hanno espresso apprezzamento per la rapidità con cui si è proceduto alla nomina del commissario straordinario. Hanno poi sostenuto che, pur riconoscendo la centralità e l'importanza di Piombino, è necessario discutere del gruppo Lucchini nel suo complesso e allo stesso tempo va prestata molta attenzione al sistema dei fornitori, questione essenziale per garantire un futuro all'azienda. La tutela dei creditori è fondamentale per il rilancio della Lucchini. In tale ottica è indispensabile garantire la ripartenza dell'altoforno e assicurare la continuità del ciclo integrale.
  Per quanto riguarda il sito di Trieste, le stesse organizzazioni sindacali hanno evidenziato la necessità, anche a fronte delle scadenze delle autorizzazioni previste nel 2015, di avviare una discussione sul futuro dell'area, sulle interdipendenze tra le attività industriali presenti che si configurano come una «filiera di fatto» e di possibili interventi di natura logistica infrastrutturale, senza che ciò pregiudichi l'integrità e l'unitarietà del gruppo Lucchini durante la procedura di amministrazione straordinaria.
  Le organizzazioni sindacali hanno chiesto, infine, la conferma dei livelli occupazionali e l'avvio di una discussione con l'azienda in merito al rinnovo degli strumenti di ammortizzazione sociale e ai contratti a termine in scadenza. Per quanto riguarda il sito di Lecco è stata confermata la disponibilità a lavorare per un accordo a fronte di rassicurazioni in merito al futuro del sito.
  Relativamente a tale ultima questione il commissario ha smentito le ipotesi circolate negli ultimi giorni, circa la sua intenzione di vendere separatamente gli
asset della Lucchini. L'impianto di Lecco è parte integrante del Gruppo e rappresenta un importante centro servizi per determinate categorie di prodotto. Al momento il sito è fermo per problemi di mercato.
  Per quanto riguarda Trieste una soluzione andrà cercata prima del 2015 anche a fronte dell'adeguamento a livello nazionale delle tariffe CIP 6 che avranno un impatto su Lucchini ed Elettra. Per i contratti di lavoro in scadenza, c’è la disponibilità ad avviare un confronto in sede locale al fine di trovare una soluzione condivisa.
  In merito ai fornitori, all'interno dell'azienda è stata attivata una struttura col compito di trovare soluzioni che possano sostenerli in questa fase delicata. La forza della Lucchini risiede, infatti, oltre che nella localizzazione geografica e negli ampi spazi disponibili, proprio nella cultura industriale del territorio e quindi, tali
asset vanno tutelati se si vuole garantire un futuro al presidio produttivo.
  L'assessore al comune di Trieste, dal canto suo, ha sottolineato come dalle parole del commissario emerga la necessità di trattare la situazione di Trieste in maniera distinta. Tra l'altro oltre la scadenza prevista nel 2015, non va dimenticato che le concessioni del demanio terminano a dicembre 2013. Va quindi, a suo parere, avviato il più rapidamente possibile un processo di dismissione e bonifica con conseguente reindustrializzazione. A tal fine è necessario creare un tavolo nazionale sull'area, anche ai fini di valutare se Trieste sarà o meno nelle aree di crisi complessa.
  Le amministrazioni locali hanno trovato una sintesi sulla strada da percorrere ed è stata avviata l'istanza di riconoscimento del territorio in «area di crisi complessa».
  Per la Regione resta, inoltre, fondamentale avviare una discussione in cui si tengano presenti anche le problematiche di natura infrastrutturale, produttiva e ambientale.
  A riguardo, il rappresentante della regione Toscana ha precisato che si sta lavorando affinché la nave Costa Crociere, incagliata davanti all'Isola del Giglio, possa essere ricoverata nel porto di Piombino per poi procedere alle attività di smantellamento. Questo significa che le strutture portuali e viabilistiche dovranno essere rapidamente realizzate. Anche nella prospettiva di migliorare la situazione generale di Piombino e attrarre nuovi investitori.
  Ho concluso la riunione sottolineando preliminarmente l'utilità della discussione avutasi, che ha confermato l'importanza del passaggio all'amministrazione straordinaria della Lucchini.
  A tale proposito ho aggiunto, che il Governo auspica che le problematiche registrate a Lecco possano essere superate. È necessario, inoltre, riavviare un flusso normale di pagamento dei fornitori al fine di tutelare le capacità produttive del territorio. Per quanto riguarda il sito di Trieste al momento risulta prematuro prendere delle decisioni, le richieste pervenute dalle amministrazioni locali circa il riconoscimento dell'area di crisi per il sito evidenziano, tuttavia, la presenza di un problema specifico per cui si può pensare di avviare un accordo di programma. Misura analoga potrà essere prevista per Piombino.
  Le tematiche di natura infrastrutturale legate al Porto di Piombino sono anch'esse importanti e a riguardo il Ministero dello sviluppo economico avvierà un'interlocuzione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Il tavolo Lucchini rimane, comunque, aperto e verrà riconvocato entro la fine del mese di febbraio. Parallelamente, e a valle della pubblicazione dei decreti, verranno convocati i tavoli per avviare la discussione sulle due aree di crisi di Piombino e Trieste.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   GIANNI FARINA e CODURELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2012 la Camera dei deputati ha apportato modifiche migliorative alla legge 147 del 1997 relativa all'indennità per i frontalieri disoccupati, confermandone, implicitamente, la piena validità;
   attualmente il fondo speciale (ex legge 147 del 1997) istituito presso l'Inps ammonta a circa 300 milioni di euro;
   si tratta di denaro non originato da contribuenti italiani, ma retrocesso dalla Svizzera all'Italia nei precedenti 15 anni;
   il 50 per cento di quell'ammontare è costituito da trattenute alla fonte operate sugli stipendi dei frontalieri, il restante 50 per cento è stato versato dagli imprenditori del Canton Ticino, del Vallese e dei Grigioni;
   dal 2009, con l'applicazione del «Regolamento CEE 883/2004, articolo 65, a seguito dell'accordo tra Italia e Svizzera, sono cessate le retrocessioni dalla Svizzera all'Inps dei contributi contro la disoccupazione;
   il Regolamento CE 883/2004, articolo 65, stabilisce che le indennità di disoccupazione a beneficio di lavoratori residenti in uno Stato, ma che hanno lavorato in un altro Stato, sono a totale carico dello Stato di residenza;
   la Svizzera ha sottoscritto il Regolamento 883, che è entrato in vigore dal 1° aprile 2012;
   di conseguenza il Fondo con contabilità separata non viene più alimentato. Tuttavia la giacenza effettiva di 300 milioni di euro, sufficiente per retribuire le indennità ai frontalieri disoccupati per almeno 8-10 anni, è parte integrante del trattamento speciale di disoccupazione delle legge 147 del 2007;
   l'annuncio del vice ministro Martone che, dal gennaio 2013, anche ai frontalieri disoccupati si applicherà l'ASPI, l'assicurazione sociale per l'impiego prevista dalla riforma Fornero in sostituzione dell'indennità di disoccupazione, ha colto di sorpresa il mondo del lavoro frontaliere in quanto non si ritiene legittimo che tale giacenza venga distratta dagli scopi per i quali è stata costituita, cioè l'indennità per i frontalieri disoccupati, per essere utilizzata come risorsa per la normale attività dell'Inps. Non va dimenticato che l'origine di tale fondo è costituita da versamenti di frontalieri ed imprenditori svizzeri –:
   per quali ragioni l'Inps di Roma abbia deciso di non retribuire più l'indennità speciale ex legge 147 del 2007, ma di sostituirla con l'indennità ordinaria, posto che la citata legge non può intendersi abrogata tacitamente, in quanto opera in un campo specifico e non esiste un atto formale del Parlamento che ne decreta il superamento, ma, al contrario, l'approvazione da parte della Camera di miglioramenti alla legge n. 147 del 2007 si configura come una sua conferma. (4-18342)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali iniziative si intendano assumere in ordine all'indennità speciale di disoccupazione dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, si rappresenta quanto segue.
  I rapporti tra Italia e Svizzera in materia previdenziale sono stati regolati, dal 2002, dall'accordo Unione europea-Svizzera (ALCP – Accordo sulla libera circolazione delle persone) sulla libera circolazione che prevede l'applicazione dei regolamenti comunitari in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.
  Proprio per venire incontro alle esigenze dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, il Governo italiano ottenne di mantenere in vigore, per un periodo di sette anni, il precedente accordo bilaterale che prevedeva la retrocessione dei contributi di disoccupazione versati in Svizzera e l'erogazione di prestazioni di disoccupazione ad hoc da parte dell'Inps.
  Allo scadere dei sette anni, nonostante le richieste, anche a livello politico, da parte italiana e, infine, anche congiuntamente con il governo francese, la parte svizzera non ha ritenuto di prorogare la validità degli accordi bilaterali.
  Pertanto, nei rapporti tra Italia e Svizzera attualmente si applicano i regolamenti comunitari in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (regolamento (CE) n. 883 del 29 aprile 2004 come modificato dal regolamento (CE) n. 988 del 16 settembre 2009 e regolamento (CE) di applicazione n. 987 del 16 settembre 2009 relativi al coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale), e la disciplina delle indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri è contenuta nell'articolo 65 e seguenti del regolamento (CE) n. 883 del 2004.
  Al paragrafo 5 di detto articolo viene previsto che il disoccupato, già frontaliero, ha diritto alle prestazioni di disoccupazione a carico dello Stato di residenza e le stesse devono essere corrisposte dall'istituzione competente di tale Stato come se, nel corso della sua ultima attività lavorativa, il lavoratore fosse stato soggetto alla legislazione dello Stato di residenza.
  In tale ipotesi, in deroga a quanto previsto per la generalità dei casi, la persona disoccupata beneficia delle prestazioni di disoccupazione secondo la legislazione dello Stato membro in cui risiede, come se fosse stata soggetta a tale legislazione durante la sua ultima occupazione. Il lavoratore deve, quindi, soddisfare le condizioni richieste dalla legislazione del Paese di residenza per conseguire il diritto alle prestazioni di disoccupazione.
  Per accertare se tali condizioni siano soddisfatte, l'istituzione del Paese di residenza tiene conto dei periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione dell'altro Paese, considerandoli come periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione da essa applicata a prescindere dalla circostanza che l'interessato risulti già assicurato nel quadro di tale legislazione.
  Quanto al rimborso tra istituzioni, esso è finalizzato ad una più equa ripartizione degli oneri tra lo Stato di residenza che, pur non avendo incassato contributi, è tenuto ad erogare le prestazioni, e lo Stato di ultima occupazione che, pur avendo incassato i contributi, non eroga le relative prestazioni. In assenza di accordi in deroga, previsti dall'articolo 65 del medesimo regolamento, l'istituzione dello Stato di residenza chiede il rimborso delle prestazioni per disoccupazione all'istituzione dello Stato alla cui legislazione l'interessato era stato da ultimo soggetto in relazione all'attività lavorativa svolta.
  L'istituzione che richiede il rimborso deve indicare i dati identificativi del soggetto, l'importo delle prestazioni erogate durante il periodo di tre o cinque mesi ed il periodo durante il quale esse sono state erogate.
  La regolazione finanziaria è effettuata tramite gli organismi di collegamento degli Stati.
  Dal 1o gennaio 2013, anche ai lavoratori frontalieri rimasti disoccupati in Svizzera si applica il nuovo sussidio di disoccupazione (ASpI, Assicurazione sociale per l'impiego) istituito dall'articolo 2 della legge 28 giugno 2012, n. 92 (disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita). Si tratta di un'assicurazione riconosciuta ai lavoratori (anche apprendisti o soci in cooperative) che hanno perso involontariamente la propria occupazione e possono far valere almeno due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nei due anni precedenti l'inizio della disoccupazione.
  L'importo della prestazione è calcolato in rapporto alla retribuzione lorda percepita dal lavoratore negli ultimi due anni ed è pari al 75 per cento della retribuzione mensile di riferimento se questa non supera, nel 2013, 1.180 euro mensili ed è pari al 75 per cento di 1.180 euro, più il 25 per cento della differenza tra la retribuzione mensile e i 1.180 euro, se la retribuzione mensile è superiore a detto importo. L'importo massimo erogabile è pari a 1.119,32 mensili.
  A seconda dell'anno in cui avviene il licenziamento e dell'età del lavoratore, l'Assicurazione sociale per l'impiego ha differenti durate massime legali: per lavoratori di età inferiore a 50 anni nel biennio 2013/2014 la durata sarà di 8 mesi e di 10 mesi nel 2015; per lavoratori di età da 50 a 54 anni nel triennio 2013/2015 la durata sarà di 12 mesi, mentre per lavoratori di età pari o superiore a 55 anni la durata sarà di 12 mesi nel 2013, 14 mesi nel 2014 e 16 mesi nel 2015. Dal 1o gennaio 2016, in rapporto ai nuovi eventi di disoccupazione che si verificheranno a partire dalla stessa data, l'Assicurazione sociale per l'impiego verrà corrisposta ai lavoratori con meno di 55 anni di età per un massimo di 12 mesi e a quelli con più di 55 anni per un periodo massimo di 18 mesi.
  In via sperimentale, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 il lavoratore avente diritto alla corresponsione dell'Assicurazione sociale per l'impiego può richiedere la liquidazione degli importi del relativo trattamento pari al numero di mensilità non ancora percepite, al fine di intraprendere un'attività di lavoro autonomo, ovvero per avviare un'attività in forma di auto impresa o di micro impresa, o per associarsi in cooperativa.
  Ai lavoratori che non raggiungono i requisiti richiesti per l'Assicurazione sociale per l'impiego dal 1o gennaio 2013 può essere liquidata la «mini Assicurazione sociale per l'impiego» se possono far valere almeno tredici settimane di contribuzione per attività lavorativa negli ultimi dodici mesi.
  È all'esame del Senato della Repubblica il disegno di legge di iniziativa parlamentare (atto Senato 3180, già proposta di legge atto Camera 3391) recante Modifiche alla legge 5 giugno 1997, n. 147, concernenti la durata dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.
  Tale disegno di legge ha la finalità di migliorare i trattamenti di disoccupazione dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.
  Le disposizioni ivi contenute, nel modificare l'articolo 1 della legge n. 147 del 1997 nel senso di far in modo che la gestione con contabilità separata istituita presso l'Inps possa essere utilizzata esclusivamente al fine del pagamento dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, garantisce il trattamento speciale di disoccupazione in favore di quei lavoratori che hanno fatto registrare negli ultimi due anni periodi di malattia o di infortunio, considerandoli pertanto periodi neutri; eleva il periodo di indennizzo, previsto per i lavoratori frontalieri italiani, «divenuti disoccupati a seguito di cessazione del rapporto di lavoro» non a loro imputabile e, dagli attuali dodici mesi, tale periodo viene portato a diciotto mesi per i lavoratori di età compresa tra i cinquanta e i cinquantacinque anni e a ventiquattro mesi per quelli di cinquantasei anni di età e oltre; prevede altresì, per i soggetti cui è stato riconosciuto il diritto al trattamento speciale di disoccupazione, l'inserimento nelle liste di mobilità di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223, procedura di cui si dovrà far carico il centro per l'impiego territorialmente competente rispetto alla residenza del lavoratore.
  Di analogo contenuto sono i disegni di legge, sempre di iniziativa parlamentare, l'atto Senato 2112, l'atto Senato 2137, l'atto Senato 2187 e l'atto Senato 2244 recanti tutti il medesimo titolo (Modifiche agli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 5 giugno 1997, n. 147, concernenti la durata dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro).
  Fin dall'esame presso la commissione lavoro della Camera dei deputati, la principale criticità del disegno di legge atto Senato 3180 ha riguardato i profili finanziari. La relazione tecnica predisposta dall'Inps prevede, per l'anno 2012, un onere di spesa complessivo pari a 6.806.218 euro. Tale relazione tecnica è stata verificata negativamente dal Ministero dell'economia e delle finanze sia con riferimento alla quantificazione degli oneri che alla relativa copertura finanziaria. Al riguardo occorre precisare che il dipartimento della ragioneria generale dello Stato, nel ribadire che le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a) e b), del suddetto disegno di legge «introducono nuove ragioni di spesa», sostiene che la disposizione di cui al successivo comma 2, che prevede le disponibilità esistenti nella gestione con contabilità separata istituita presso l'Inps ai sensi della legge n. 147 del 1997, «non costituisce una fonte di copertura finanziaria atteso che gli equilibri della gestione stessa rientrano negli equilibri gestionali Inps e, più in generale, del comparto delle pubbliche amministrazioni».
  Quanto infine alle misure adottate dalle sedi provinciali dell'Inps, il Ministero degli affari esteri ha rappresentato che l'Ambasciata d'Italia a Berna ha provveduto ad interpellare il direttore provinciale dell'Inps di Como. Quest'ultimo ha confermato che l'Inps non ha sospeso il pagamento dell'indennità di disoccupazione, ma ha semplicemente provveduto a sostituire l'erogazione del trattamento speciale di disoccupazione frontaliera con l'indennità di disoccupazione ordinaria. Secondo quanto segnalato dal direttore provinciale dell'Inps, le indennità in pagamento da settembre 2012 hanno subito una parziale riduzione, poiché l'indennità di disoccupazione ordinaria italiana prevede massimali mensili differenti da quella «frontaliera» (la diversità riguarda anche la durata: quella ordinaria è pari a 8 mesi, mentre quella frontaliera è di 12 mesi).
  Con tale decisione si è evitato peraltro il rischio di creare indebiti che poi i lavoratori disoccupati avrebbero potuto avere difficoltà a restituire. Tali disposizioni sono state concordate con la direzione regionale Inps della Lombardia e interessano anche le altre realtà provinciali di confine con la Svizzera. L'Inps segnala peraltro che analoghe disposizioni sono state date anche dalla sede regionale Inps del Piemonte.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro per le pari opportunità. — Per sapere – premesso che:
   premesso che secondo quanto emerge dalla ricerca «Comunicare la disabilità», condotta dall’«Osservatorio nazionale permanente sulla comunicazione e la disabilità» della fondazione Università IULM, per conto dell'assessorato alla salute del comune di Milano, emerge che i disabili sono «pesantemente snobbati dalla pubblicità, costretti ad affidarsi al passaparola per scambiarsi informazioni sui servizi, in guerra costante con il digital divide”;
   da detta indagine appare che i disabili e la loro quotidiana realtà restano ancora troppo distanti dalle loro esigenze e vengono rappresentati in maniera distorta;
   si legge in una nota dell'Osservatorio che accompagna i risultati dell'inchiesta, «in primo luogo i disabili hanno troppo spesso difficoltà ad accedere a notizie e servizi di pubblica utilità e alle opportunità esistenti, perché non adeguatamente comunicati», e che «è ancora il passaparola lo strumento più efficace per ricevere informazioni su servizi e prestazioni, anche se si fa sempre più largo Internet»;
   per quanto riguarda la pubblicità ancora non riesce a rappresentare realisticamente la disabilità e la sua realtà; dall'analisi su un database di 26 mila messaggi pubblicitari risulta, infatti, che solo nel 3 per cento degli spot commerciali italiani è presente un disabile, contro il 26 per cento degli spot stranieri. Quanto agli spot sociali, quelli che hanno per protagonisti solo persone con disabilità all'estero raggiungono quota 47 per cento contro il 27 per cento dell'Italia dove quasi nella metà dei casi compaiono affiancati da persone normodotate. Il messaggio, conclude il rapporto, «oscilla da un uso eccessivo dell'immagine pietistica fino all'estremo opposto, quello del disabile «eroe», alla costante ricerca di una spettacolarizzazione eccessiva –:
   quali siano gli intendimenti dei ministri in relazione a quanto emerso dal rapporto curato dall'Osservatorio nazionale permanente sulla comunicazione e la disabilità;
   quali iniziative, si intendano promuovere, sollecitare e adottare per superare la situazione sopra evidenziata. (4-05843)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in oggetto indicato, inerente il tema della disabilità, si rappresenta quanto segue.
  Il dipartimento per le pari opportunità è pienamente consapevole dell'importanza che le campagne di sensibilizzazione assumono nella costruzione di una cultura che aiuti l'inclusione sociale e lavorativa delle persone con disabilità.
  A conferma di ciò, si ricorda la campagna di informazione e sensibilizzazione dal titolo «Abilità diverse, stessa voglia di vita», lanciata dal dipartimento per le pari opportunità nell'anno 2010.
  La suindicata campagna, giunta alla seconda edizione, esce dai canoni classici della comunicazione sociale e, senza utilizzare un tono pietistico, racconta, con un linguaggio semplice ma al contempo simbolico, una verità di cui a volte ci si dimentica: una disabilità può impedire ad una persona di fare qualcosa, ma non di fare tutto.
  Università, lavoro e sport sono i contesti all'interno dei quali i protagonisti dello
spot partecipano alla vita sociale di tutti i giorni.
  La coinvolgente familiarità delle situazioni non lascia spazio agli stereotipi e ai pregiudizi secondo i quali l'esistenza delle persone con disabilità ruota solo ed esclusivamente intorno alla diversità.
  Riconoscendosi immediatamente nei giovani e nei bambini della campagna, ancor prima di intuire la loro condizione di disabilità, si percepisce la stessa voglia di vita al di là delle barriere architettoniche o culturali esistenti.
  Le persone con disabilità sono, dunque, a tutti gli effetti membri attivi della società e, come tali, hanno il diritto di vivere all'interno delle comunità e non ai suoi margini, integrandosi nel mondo del lavoro e in tutti gli altri aspetti della convivenza sociale.
  In linea di continuità con la citata campagna, è stato recentemente presentato il nuovo
spot di comunicazione sociale sulla disabilità finanziato dal dipartimento per le pari opportunità.
  Il messaggio diffuso e veicolato con il nuovo
spot sviluppa il concetto che le persone con disabilità, spesso cittadini invisibili, partecipano alla vita della società di cui sono parte integrante e vi contribuiscono su una base di eguaglianza con gli altri.
  Gli obiettivi della nuova campagna sono pertanto quelli di: favorire l'integrazione tra persone disabili e non disabili nei vari aspetti della vita sociale, lavorativa o familiare; mettere in luce l'apporto fornito dalle persone con disabilità nei diversi contesti, evidenziando doti e qualità di eccellenza; favorire la partecipazione attiva delle persone con disabilità nei vari ambiti della vita sociale.
  Sempre nell'ambito delle azioni di informazione e sensibilizzazione, occorre ricordare l'iniziativa «Sapete come mi trattano?» patrocinata dal dipartimento per le pari opportunità e promossa dalla Federazione italiana per il superamento dell’
handicap (FISH).
  La manifestazione, giunta alla seconda edizione, si sostanzia in un concorso rivolto a chiunque voglia riportare, attraverso una foto, una vignetta, un filmato o un testo, il proprio pensiero rispetto al tema della discriminazione o dell'esclusione sociale delle persone con disabilità.
  Da ultimo, appare opportuno segnalare che, nell'ambito della programmazione per l'anno 2013 delle attività di comunicazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali ha proposto una iniziativa volta alla promozione e divulgazione dei principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.
  Ciò, al fine precipuo di accrescere l'informazione sulle problematiche e sui diritti delle persone disabili, di rafforzare il sistema di tutela dei diritti e di sensibilizzare l'opinione pubblica sulle problematiche legate alle condizioni di disabilità.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCecilia Guerra.


   FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riferiscono agenzie di informazioni, quotidiani e siti internet presso l'azienda chimica Eureco Holding di Paderno Dugnano, specializzata nello smaltimento di rifiuti speciali si è verificata un'esplosione che ha provocato una decina di feriti, tra cui due gravemente ustionati e altri quattro in codice rosso –:
   quale sia l'esatta dinamica del grave incidente e le sue cause;
   se risulti che in precedenza si erano verificati, nella stessa ditta, analoghi incidenti;
   se non si ritenga di dover disporre, nell'ambito delle proprie prerogative, una verifica per accertare se tutti i dispositivi e le normative relative alla sicurezza sono state osservate. (4-09295)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'incidente sul lavoro verificatosi il 4 novembre 2010 a Paderno Dugnano (MI), presso lo stabilimento della società Eureco.
  Nel rispondere ai quesiti posti, ci si limiterà in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'interno, nonché quelli forniti dall'Inail.

  Dagli accertamenti compiuti e dalle dichiarazioni acquisite in sede ispettiva è emerso che il giorno 4 novembre 2010 signori Catalano Salvatore e Scapolan Sergio, dipendenti della Eureco s.r.l. – con sede a Paderno Dugnano (MI) ed operante nel settore movimentazione, stoccaggio e smaltimento rifiuti pericolosi – erano intenti ad ammassare olii esausti e solventi all'interno di un container presso la sede operativa della suddetta società. Nell'esecuzione di tali operazioni erano, inoltre, impegnati i signori Shehu Leonard, Zeqiri Harun, Meshi Ferit, Nezha Erjon e Xhani Kasem, dipendenti della TNL s.r.l. di Napoli, società operante nel settore della selezione e cernita rifiuti.
  Durante lo svolgimento di tali lavorazioni, si è verificato lo scoppio di una bombola di acetilene utilizzata per alimentare la fiamma ossidrica in uso; la conseguente onda d'urto generatasi ha investito alcuni fusti di vernice che, a loro volta, sono esplosi provocando un incendio.
  Sul luogo dell'infortunio sono intervenuti il servizio Asl 118 e i vigili del fuoco per i primi soccorsi, nonché i carabinieri di Desio (MB). Al fine di procedere alle analisi e ai rilievi necessari per la ricostruzione dell'evento, l'intera area dell'azienda e la documentazione ivi presente, su disposizione della magistratura, sono stati sottoposti a sequestro.
  I predetti lavoratori venivano tutti investiti dalle fiamme e colpiti dalla onda d'urto della seguente esplosione causando la morte di quattro di essi – dopo un periodo di ricovero in ospedale – e il ferimento di altri tre. In particolare:
   il signor Catalano Salvatore, ricoverato presso l'ospedale Niguarda di Milano – reparto grandi ustioni, è deceduto in data 18 gennaio 2011 a seguito delle ustioni di terzo grado che hanno interessato il 90 per cento della superficie corporea. La sede Inail competente ha provveduto all'istruttoria del caso e all'erogazione delle prestazioni dovute (indennità di temporanea fino al decesso, rendita a superstiti e assegno una tantum per i familiari di lavoratori deceduti sul lavoro), mentre non risulta ancora corrisposto l'assegno funerario spettante a chiunque dimostri di avere sostenuto le relative spese;
   il signor Scapolan Sergio, ricoverato presso l'ospedale Villa Scassi di Genova, è deceduto in data 13 novembre 2010 a seguito delle gravi ustioni riportate sull'80 per cento della superficie corporea. La sede Inail competente ha provveduto all'istruttoria del caso e all'erogazione delle prestazioni dovute (indennità di temporanea fino al decesso, rendita a superstiti, assegno funerario e assegno una tantum per i familiari di lavoratori deceduti sul lavoro);
   il signor Shehu Leonard, ricoverato presso l'ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, è deceduto in data 4 febbraio 2011 a seguito delle gravi ustioni riportate sulla superficie corporea. La sede Inail competente ha provveduto all'istruttoria del caso e all'erogazione delle prestazioni dovute (indennità di temporanea fino al decesso, rendita a superstiti, assegno funerario e assegno una tantum per i familiari di lavoratori deceduti sul lavoro);
   il signor Zequiri Harun, ricoverato presso l'ospedale CTO Maria Adelaide di Torino, è deceduto in data 20 novembre 2010 a seguito delle ustioni di terzo grado sull'80 per cento della superficie corporea. La sede Inail ha provveduto all'erogazione delle prestazioni dovute (indennità di temporanea fino al decesso, rendita a superstiti). È ancora in corso l'istruttoria per l'erogazione dell'assegno una tantum per i familiari di lavoratori deceduti sul lavoro e per la corresponsione dell'assegno funerario;
   al signor Meshi Ferit, rimasto ferito nell'esplosione con ustioni bilaterali alle mani, è stata riconosciuta un'inabilità assoluta al lavoro fino al 25 gennaio 2011 ed erogata la relativa indennità di temporanea. Al termine di tale periodo sono stati accertati postumi permanenti del 6 per cento con conseguente erogazione dell'indennizzo in capitale;
   al signor Nezha Erjon, rimasto ferito nell'esplosione con ustioni sul 45 per cento della superficie corporea, è stata riconosciuta un'inabilità assoluta al lavoro fino al 26 giugno 2011 ed erogata la relativa indennità di temporanea. Al termine di tale periodo sono stati accertati postumi permanenti del 18 per cento ed è stata costituita la relativa rendita;
   al signor Xhani Kasem, rimasto ferito nell'esplosione con ustioni alla regione dorsale e alle braccia, è stata riconosciuta un'inabilità assoluta fino al 15 luglio 2011 ed erogata la relativa indennità di temporanea. Al termine di tale periodo sono stati accertati postumi permanenti del 25 per cento ed è stata costituita la relativa rendita.

  Si evidenzia che, nel corso degli accertamenti, sono stati contestati al titolare della Eureco s.r.l – successivamente tratto in arresto – la commissione di diversi reati, tra cui violazioni delle normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, omicidio colposo, traffico di rifiuti, nonché somministrazione illecita di manodopera. Si precisa che, in conseguenza delle violazioni della normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, le competenti sedi dell'Inail hanno avviato azione di rivalsa per il recupero delle prestazioni erogate.
  Da ultimo si informa che il Ministero dell'interno – interessato della questione – ha fatto sapere che in passato, nel predetto stabilimento, si sono verificati due distinti episodi di incendio, circoscritti ai container presenti all'interno del piazzale ivi presente. In particolare, il primo si è verificato il 4 agosto 2010 ed ha interessato quattro container contenenti stracci, materiali di risulta e rifiuti pericolosi. Per tale incidente, i vigili del fuoco ipotizzarono quale probabile causa la reazione ossidante scaturita dai fanghi di rettifica prodotti dai rifiuti stoccati in uno dei predetti container. Il secondo incendio, invece, si è verificato il 18 agosto 2010 ed ha interessato, in modo superficiale, un container contenente rifiuti pericolosi pronti per lo smaltimento finale.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come ha riferito l'agenzia ANSA il 12 gennaio 2011, un autotrasportatore di 31 anni, il signor Alessandro Benvenuto, è morto nel quartiere napoletano di Poggioreale, dopo essere stato travolto dal cancello di un'autorimessa;
   l'uomo aveva appena effettuato le operazioni di chiusura del cancello d'ingresso dell'autorimessa quando è stato travolto dal cancello carraio che, dopo essere fuoriuscito dalla guida, gli è cascato addosso schiacciandolo;
   i carabinieri hanno accertato il malfunzionamento del sistema elettromeccanico del cancello in questione –:
   di quali elementi disponga in relazione all'esatta dinamica dell'incidente;  
   se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage. (4-10367)

  Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso, in data 12 gennaio 2011, al signor Alessandro Benvenuto, socio accomandatario della società Logistica Benvenuto s.a.s., che svolgeva l'attività di trasporto delle autovetture con la qualifica di autista di bisarca.
  Preliminarmente, si precisa che, in questa sede, ci si limiterà ad illustrare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Napoli nonché quelli forniti dall'Inail.
  Il 12 gennaio 2011, intorno alle ore 20.50, il signor Alessandro Benvenuto, dopo aver parcheggiato la bisarca all'interno dell'area di sosta, stava provvedendo alla chiusura del cancello. Nel corso di tale operazione, un'anta del cancello, fuoriuscendo dal binario, lo investiva in pieno, schiacciandolo a terra.
  Una volante dell'istituto di vigilanza, che si trovava nelle vicinanze, provvedeva immediatamente a chiamare il servizio 118 per comunicare quanto accaduto e chiedere soccorso. Il lavoratore veniva quindi trasportato presso l'ospedale San Giovanni Di Dio dove, tuttavia, giungeva privo di vita.
  Per il caso in esame è stato istituito, presso la procura della Repubblica del tribunale di Napoli, un procedimento penale nei confronti di persona da identificare per il reato di cui all'articolo 589 codice penale.
  Si precisa, al riguardo, che tale procedimento, su conforme richiesta del pubblico ministero, è stato archiviato, con decreto del 6 marzo 2012, essendo emersa, dalla relazione effettuata dal consulente tecnico del pubblico ministero, l'accidentalità dell'infortunio mortale.
  Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni di legge dovute per l'evento mortale, la competente sede INAIL, sulla base delle risultanze istruttorie, ha provveduto, in data 3 marzo 2011, al pagamento dell'assegno funerario e alla costituzione della rendita ai superstiti.
  In data 2 agosto 2011 è stato inoltre erogato il beneficio a carico del fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
  Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro, accompagnando il processo di attuazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni) con idonee iniziative promozionali finalizzate all'accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
  In questa prospettiva, con l'approvazione del testo unico ha preso avvio un complesso processo di attuazione delle disposizioni in esso contenute che ha coinvolto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le altre amministrazioni interessate e le parti sociali allo scopo di definire un sistema regolatorio in materia di salute e sicurezza sul lavoro quanto più moderno ed efficace.
  Si può, pertanto, affermare che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato affinché possa concludersi quanto prima il processo di attuazione del testo unico auspicando a tal fine che prosegua in modo proficuo il dialogo e la collaborazione fra i diversi attori istituzionali coinvolti sui temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMichel Martone.


   FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un operaio della linea elettrica delle ferrovie, il signor Antonino Micali, è morto la mattina del 17 gennaio 2011 a Messina dopo essere stato investito da un treno mentre lavorava –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in merito alla dinamica dell'incidente;
   se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, il Governo intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage. (4-10418)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'infortunio mortale sul lavoro occorso, in data 17 gennaio 2011, al signor Antonino Micali, dipendente, con la qualifica di tecnico della manutenzione, della società RFI (Rete ferroviaria italiana) spa, facente parte del gruppo ferrovie dello Stato italiane.
  Preliminarmente, si precisa che in questa sede ci si limiterà ad illustrare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Messina nonché quelli forniti dall'Inail.
  Il 17 gennaio 2011, alle ore 11.00 circa, il signor Micali si trovava nella sezione 3KV della tratta ferroviaria della linea da e per Catania, che sovrasta quella da e per Palermo, ad un'altezza di circa 5 metri, per lo svolgimento dell'attività di manutenzione, consistente nel controllo, pulizia e lubrificazione delle casse di manovra dei sezionatori.
  Nel corso di tale operazione, il lavoratore perdeva l'equilibrio cadendo sulla linea ferroviaria sottostante proprio nel momento in cui sopraggiungeva un treno merci proveniente da Messina Scalo che investendolo in pieno, lo tranciava di netto.
  Sul luogo dell'incidente sono intervenuti, per gli accertamenti di competenza, gli agenti della polizia ferroviaria (Polfer) della stazione di Messina centrale e i funzionari della competente sede Inail.
  Con riferimento all'osservanza della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, si precisa che, nel corso delle indagini, sono state riscontrate violazioni riconducibili ai titoli II (luoghi di lavoro) e IV (cantieri temporanei e mobili) del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni (testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro).
  Nello specifico, è stata accertata la violazione delle seguenti disposizioni normative:
   articolo 19, comma 1, lettera a), ai sensi del quale il preposto è tenuto a sovraintendere e vigilare sull'osservanza delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi messi a loro disposizione dal datore di lavoro (parapetti);
   articolo 63, comma 1, ai sensi del quale i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell'allegato IV dello stesso decreto legislativo n. 81 del 2008;
   articolo 146, comma 3, ai sensi del quale le aperture nei muri prospicienti il vuoto (che non abbiano una profondità superiore a m 0,50) devono essere munite di normale parapetto e di idoneo dispositivo fermapiede ovvero sbarrate in modo da impedire la caduta di persone.

  L'esito degli accertamenti condotti e l'individuazione dei responsabili delle violazioni riscontrate sono stati trasmessi alla procura della Repubblica presso il tribunale di Messina.
  La competente sede Inail, all'esito degli accertamenti, ha definito il caso ritenendo insussistenti i presupposti di legge per la costituzione della rendita a superstiti previsti dagli articoli 85 e 106 del testo unico n. 1124 del 1965.
  Infatti, dai certificati storici di famiglia è emerso che la madre del lavoratore ed unica sua superstite ai sensi di legge, non era vivente a carico dello stesso.
  Contro tale provvedimento è stata presentata opposizione alla stessa sede, ai sensi dell'articolo 104 del citato testo unico n. 1124 del 1965. Per i motivi citati, l'opposizione è stata respinta in data 9 agosto 2011.
  Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, si ritiene opportuno precisare che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro, accompagnando il processo di attuazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro con idonee iniziative promozionali finalizzate all'accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
  In questa prospettiva, con l'approvazione, in data il 9 aprile 2008, del testo unico ha preso avvio un complesso processo di attuazione delle disposizioni in esso contenute che ha coinvolto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le altre amministrazioni interessate e le parti sociali allo scopo di definire un sistema regolatorio in materia di salute e sicurezza sul lavoro quanto più moderno ed efficace.
  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pertanto, è attivamente impegnato affinché possa concludersi, quanto prima, il processo di attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni, auspicando, a tal fine, che prosegua in modo proficuo il dialogo e la collaborazione fra i diversi attori istituzionali coinvolti sui temi della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 12 settembre 2011 in località Arpino, in provincia di Frosinone è esplosa una fabbrica di prodotti pirotecnici a conduzione familiare, provocando la morte di sei persone;
   come è stato affermato in maniera autorevole ai più alti livelli istituzionali: «l'incolumità e la salute dei lavoratori costituiscono valori primari per la società e la loro tutela è interesse non solo del singolo lavoratore, ma di tutta la collettività... eppure nonostante i progressi che hanno contribuito a contenere il grave fenomeno, con tingano purtroppo a registrarsi ogni giorno infortuni, troppo spesso mortali, anche a causa di inammissibili superficialità e gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori»;
   per cui la necessità primaria è quella di «perseguire con impegno una politica sistematica e continua di prevenzione e promozione della salute nei luoghi di lavoro ispirata a una cultura della legalità e della sicurezza basata su una costante e forte vigilanza sul rispetto delle norme e delle condizioni di lavoro» –:
   se risulti che siano state osservate o disattese le normative sulla sicurezza;
   quanti analoghi incidenti a quello di Arpino si siano verificati negli anni 2006, 2007, 2008, 2009, 2010;
   quante vittime abbiano provocato questi incidenti;
   quali di questi incidenti siano stati provocati da negligenza o inosservanza delle norme di sicurezza e a quando risalga l'ultimo controllo nella ditta di Arpino. (4-13201)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame prende le mosse dall'esplosione della fabbrica di prodotti pirotecnici «Pirotecnica Arpinate s.r.l.», avvenuta in data 12 settembre 2011, per effettuare una mappatura di analoghi incidenti verificatisi dal 2006 al 2011.
  Quanto alla dinamica dell'incidente, dalle informazioni acquisite dalle autorità intervenute sul luogo dell'incidente (carabinieri, polizia di Stato, forestale, A.S.L., vigili del fuoco, direzione provinciale del lavoro, guardia di finanza), è emerso che, per cause ancora in corso di accertamento, durante le operazioni di preparazione delle polveri piriche presso una delle «casamatte» del sito è avvenuta un'esplosione la cui onda d'urto ha investito le altre «casamatte» provocando un'esplosione a catena che ha causato il decesso delle sei persone presenti.
  Sulla base delle indagini effettuate, risulta tuttora pendente un procedimento penale presso la procura di Cassino.
  Con riferimento alla richiesta circa eventuali indagini esperite sulla predetta società, si è appreso che negli anni 1999 e 2002 gli organismi ispettivi competenti in materia hanno sottoposto la Pirotecnica Arpinate ad alcune verifiche a seguito delle quali non sono emerse irregolarità.
  Inoltre, dalle informazioni assunte presso il comando dei vigili del fuoco di Frosinone, è emerso che la commissione di vigilanza sulla sicurezza sui luoghi di lavoro per la produzione di polveri piriche, istituita presso la questura, avrebbe rilasciato l'autorizzazione alla produzione dei prodotti pirotecnici prima dell'incidente in questione.
  Con riferimento alla richiesta di notizie su analoghi incidenti occorsi nel periodo dal 1o gennaio 2006 al 31 dicembre 2010, si informa che, dalla consultazione delle banche dati dell'Inail, sono stati rilevati i seguenti incidenti con esito mortale:
   il 23 aprile 2007 un'esplosione avvenuta in una fabbrica di fuochi d'artificio sita in località Gragnano (NA) ha provocato la morte di tre lavoratori;
   il 4 maggio 2007 un'esplosione avvenuta in una fabbrica sita in località Castel D'Aiano (BO) durante la preparazione di prodotti pirotecnici ha provocato la morte di un lavoratore;
   l'11 maggio 2007 un'esplosione avvenuta in una fabbrica di fuochi d'artificio sita in località Montegiorgio (AP) ha provocato la morte di tre lavoratori;
   il 6 febbraio 2008 un'esplosione avvenuta in una fabbrica di fuochi d'artificio sita in località Madonna delle Macchie, Orvieto (TR), ha provocato la morte di quattro lavoratori.

  Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che le funzioni in materia di vigilanza e contestazione di eventuali inosservanze, sono affidate ad organismi diversi (aziende sanitarie locali e vigili del fuoco). Pertanto, per i profili inerenti a possibili violazioni delle misure di prevenzione sul lavoro e per le conseguenze che le stesse comportano anche sul piano assicurativo (tra tutte, eventuale azione di rivalsa nei confronti del datore di lavoro o di terzi responsabili), è necessario attendere gli sviluppi degli accertamenti ispettivi e delle indagini degli organismi coinvolti, aventi specifica competenza ai sensi della normativa vigente.
  Per completezza di informazione, si segnala che la competente direzione territoriale del lavoro ha compiuto due ispezioni per la verifica del rispetto delle norme di tutela dei rapporti di lavoro e di legislazione sociale presso la ditta «Pirotecnica Arpinate s.r.l.»: in occasione della prima ispezione, avvenuta nel mese di agosto del 1999, è stato trovato un lavoratore irregolarmente assunto e sono stati adottati i relativi provvedimenti sanzionatori; nel luglio 2002, di contro, non sono state rilevate irregolarità nei rapporti di lavoro.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il paese di Sarno, in provincia di Salerno, tra il 4 e il 6 maggio 1998 è stato investito e sconvolto da una massa di fango e di detriti che si è staccata dalla montagna e dalla collina che sovrastavano la stessa Sarno, e i paesi di Siano, Braciagliano e Quindici, provocando 161 morti;
   l'area del bacino idrografico del fiume Sarno, notoriamente sottoposto a un enorme rischio ambientale, si è verificata una impressionante quantità di scempi ambientali;
   nel 1998, anno della tragedia, i cantieri abusivi sequestrati dai vigili urbani risultavano essere 74;
   dieci anni dopo la tragedia, nel 2008, i cantieri abusivi sequestrati nella stessa area risultavano essere addirittura trecento;
   detta situazione è stata denunciata in un circostanziata inchiesta del giornalista Roberto Galullo, pubblicata da Il Sole 24 Ore nella sua edizione dell'8 ottobre 2009 –:
   se nel frattempo si siano adottati, sollecitati, predisposti provvedimenti in ordine a quanto sopra sommariamente esposto;
   quanti cantieri abusivi siano stati sequestrati dal 2008 al 2010 nell'area del bacino idrografico del fiume Sarno già teatro della frana del 1998. (4-16122)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, concernente l'area del bacino idrografico del fiume Sarno, si chiede di conoscere quanti cantieri abusivi siano stati sequestrati dal 2008 al 2010 e quali provvedimenti siano stati adottati all'esito di tali sequestri.
  Nel rispondere ai quesiti posti, ci si limiterà a riportare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Salerno, nonché quelli forniti dal Ministero dell'interno.
  Occorre premettere che i dati che qui di seguito si riporteranno si riferiscono (conformemente all'interrogazione in esame) all'abusivismo dei cantieri, ossia alla violazione delle disposizioni in materia di urbanistica ed edilizia e non anche alle violazioni in materia lavoristica.
  Come è noto, l'area del bacino idrogeologico del fiume Sarno, nella parte relativa alla provincia di Salerno, comprende tre comuni: Sarno, Bracigliano e Siano.
  A seguito degli accertamenti effettuati presso i suddetti enti locali sono stati acquisiti i dati relativi ai provvedimenti di sequestro di cantieri abusivi effettuati dal 2008 al 2010.
  In particolare, nel territorio del comune di Sarno sono stati sequestrati 206 cantieri abusivi: 37 nell'anno 2008, 129 nell'anno 2009 e 40 nell'anno 2010.
  Va, peraltro, evidenziato che il dato comprende anche i 61 sequestri complessivi (10 nell'anno 2008, 44 nell'anno 2009 e 7 nell'anno 2010) relativi alla medesima unità immobiliare per la quale si era verificata la violazione ai sigilli ex articolo 349 codice di procedura penale.
  Per tutti i sequestri relativi a cantieri abusivi, secondo notizie fornite dai responsabili del comune, è stata emessa ordinanza dirigenziale di demolizione dei manufatti a carico degli esecutori con deferimento alla autorità giudiziaria cui ha fatto seguito, ai sensi dell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, nell'ipotesi di inottemperanza all'ordinanza, l'avvio delle procedure di acquisizione degli immobili al patrimonio comunale, il cui iter amministrativo, relativamente a sette manufatti, si è concluso. Secondo quanto appreso dalla prefettura di Salerno, il consiglio comunale sta decidendo se ordinare la demolizione degli immobili in tal modo acquisiti ovvero destinarli, ai sensi dell'articolo 12, comma 6, della legge regionale della Campania 28 dicembre 2009, n. 19 e successive modificazioni, al soddisfacimento di esigenze pubbliche di social housing.
  A seguito di approfondimenti di studi sul territorio e della contemporanea realizzazione di opere di messa in sicurezza, le zone a rischio insistenti nell'area comunale hanno subito diverse variazioni e rideterminazioni fino alla recente zonizzazione approvata dall'autorità di Bacino del Sarno con la individuazione di 4 gradazioni di rischio o pericolosità.
  In relazione a tali precisazioni i sequestri effettuati in zone a rischio ammontano complessivamente a 9 nell'anno 2008, 15 nell'anno 2009, e 12 nell'anno 2010.
  Per quel che attiene il comune di Bracigliano, risulta effettuato nell'anno 2008 un solo sequestro, peraltro non insistente nella cosiddetta «zona rossa», così come delineata dall'ordinanza n. 2787 del 21 maggio 1998 del Ministero dell'interno delegato al coordinamento della Protezione civile e successive modificazioni.
  Nel comune di Siano, invece, non vi sono stati sequestri dal 2008 ad oggi.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMichel Martone.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri, oltre ad essere datore di lavoro del personale impiegato presso le sedi diplomatico-consolari nel mondo e presso gli istituti italiani di cultura, è anche sostituto d'imposta per quanto attiene ai versamenti delle ritenute IRPEF al fisco italiano;
   parimenti, ove necessario, in base alle disposizioni locali o in base alle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni fiscali, il Ministero degli affari esteri è tenuto ad agire come sostituto d'imposta anche per il personale assunto localmente;
   la convenzione contro le doppie imposizioni fiscali tra Italia e Australia, firmata a Canberra il 14 dicembre 1982 ed entrata in vigore il 5 novembre 1985, legge 27 maggio 1985, n. 292, prevede all'articolo 19, Funzioni pubbliche: «1. Le remunerazioni (diverse dalle pensioni o dalle annualità) pagate da uno degli Stati contraenti o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da un suo ente locale ad una persona fisica, in corrispettivo di servizi resi a detto Stato o a detta suddivisione od ente locale, sono imponibili soltanto in detto Stato. Tuttavia, tali remunerazioni sono imponibili soltanto nell'altro Stato contraente qualora i servizi siano resi in detto Stato ed il beneficiario sia un residente di detto Stato che: I)  abbia la cittadinanza o la nazionalità di detto Stato; o II) non sia divenuto residente di detto Stato al solo scopo di rendervi i servizi. 2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano alle remunerazioni pagate in corrispettivo di servizi resi nell'ambito di un'attività industriale o commerciale esercitata da uno degli Stati contraenti o da una sua suddivisione politica o amministrativa o da un suo ente locale. In tal caso si applicano le disposizioni degli articoli 15 e 16»;
   l'articolo 19 del testo della convenzione prevede la tassazione in Australia delle remunerazioni del personale di cittadinanza australiana residente in Australia, con l'unica eccezione per personale trasferitosi in Australia esclusivamente allo scopo di svolgere mansioni alle dipendenze della rete diplomatico-consolare –:
   se non si ritenga necessario intervenire in merito alla mancata applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni fiscali che regola in maniera molto chiara la delicata materia della tassazione in loco delle remunerazioni del personale dipendente di pubbliche amministrazioni;
   quali urgenti misure si intendano adottare per evitare che il personale a contratto impiegato localmente sia chiamato a rispondere della mancata applicazione della norma;
   quali immediate iniziative di concertazione si intendano adottare tra i Ministeri interrogati in merito alle ritenute fiscali operate sulle remunerazioni del personale a contratto impiegato in Australia;
   quali iniziative si intendano adottare per evitare che analoghe situazioni emergano in futuro e per garantire che il Ministero degli affari esteri rispetti sempre ed ovunque le norme di convenzioni bilaterali internazionali stipulate con altri Paesi. (4-18200)

  Risposta. — L'articolo 19, comma 1, della convenzione tra Italia e Australia per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, firmata a Canberra il 14 dicembre 1982 e ratificata con legge 18 ottobre 1984, n. 762, stabilisce che «le remunerazioni (diverse dalle pensioni o dalle annualità) pagate da uno degli Stati contraenti o da una sua divisione politica o amministrativa o da un suo ente locale ad una persona fisica, in corrispettivo di servizi resi a detto Stato o a detta suddivisione od ente locale, sono imponibili soltanto in detto Stato. Tuttavia, tali remunerazioni sono imponibili soltanto nell'altro Stato contraente qualora i servizi siano resi in detto Stato ed il beneficiario sia un residente di detto Stato che:
   I) abbia la cittadinanza o la nazionalità di detto Stato; o
   II) non sia divenuto residente di detto Stato al solo scopo di rendervi i servizi».

  Il Ministero degli affari esteri ha dato piena attuazione alla suddetta convenzione prevedendo, nei contratti in essere, che sulla retribuzione di tutto il personale a contratto, sia a legge italiana che a legge locale, non fossero applicate le ritenute di fonte dell'erario italiano. Contrariamente a quanto affermato dall'interrogante infatti, nessuno degli impiegati a contratto oggi in servizio presso le sedi australiane è soggetto al pagamento dell'Irpef in Italia dal momento che la regolarizzazione di tutti i contratti d'impiego è avvenuta immediatamente dopo l'entrata in vigore della suddetta convenzione. Ciò peraltro non esimeva il singolo impiegato dall'obbligo di provvedere al versamento dei contributi fiscali presso le competenti autorità locali, sulla base di un principio generale secondo cui la responsabilità di fronte al fisco locale ha natura individuale.
  Nel corso del processo di adeguamento dei contratti d'impiego del personale a legge locale alle norme imperative locali, avviato anche per rispondere a precise richieste del personale a contratto in servizio in Australia, è emerso un preciso obbligo, quantunque non previsto dalla citata convenzione, che impone a questo Ministero di agire in qualità di sostituto d'imposta nei confronti di tutti i soggetti tenuti al versamento delle imposte in Australia.
  Il Ministero degli affari esteri seguirà con la massima attenzione gli ulteriori seguiti della questione con l'obiettivo di ridurre al minimo eventuali risvolti negativi per la categoria del personale a contratto, che dà un contributo essenziale al funzionamento della rete in Australia.
  La complessa attività consistente nel rendere i contratti d'impiego conformi alle norme imperative locali sarà posta in essere dal Ministero degli affari esteri ogniqualvolta sopraggiunga un mutamento negli ordinamenti legislativi dei singoli Paesi. Tale attività è stata e continua ad essere regolarmente svolta in varie sedi ed ha portato ad una situazione attuale sostanzialmente soddisfacente nella maggioranza dei Paesi della rete diplomatico-consolare italiana.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMarta Dassù.


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcune notizie riportate sulla stampa (l'Eco di Bergamo del 18 maggio 2012) risulta che al Ministero dell'interno sarebbe allo studio il taglio di alcuni presidi territoriali della polizia di Stato. In questo contesto si è paventata tra l'altro la possibilità di sopprimere il commissariato di Treviglio;
   la provincia di Bergamo soffre da sempre, in particolare la bassa bergamasca, di un pesante deficit di organico delle forze di polizia, con un rapporto tra cittadini e rappresentanti delle forze dell'ordine tra i più bassi d'Italia e in questa zona della provincia, tra l'altro, si registra la maggiore attività della criminalità;
   la zona della bassa pianura bergamasca è una realtà in forte espansione, direttamente interessata da grandi opere di comunicazione in fase di realizzazione che hanno nella città di Treviglio il centro nevralgico –:
   quali siano le intenzioni del Ministro per quel che riguarda la chiusura di alcuni commissariati sul territorio nazionale, con particolare riferimento a quello di Treviglio. (4-16198)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede di conoscere la posizione del Ministero dell'interno in merito alla notizia della chiusura di alcuni commissariati di pubblica sicurezza, con particolare riferimento a quello di Treviglio (Bergamo), riportata da fonti giornalistiche.
  In proposito, si comunica che il Ministero dell'interno non ha avviato iniziative nel senso indicato dagli organi d'informazione citati nell'interrogazione.
  Per quanto concerne l'organico delle Forze dell'ordine dell'intero territorio provinciale, si precisa che – nonostante si registrino carenze al riguardo – la situazione è sostanzialmente in linea con il dato nazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   GREGORIO FONTANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio postale di Lizzola nel comune di Valbondione è stato inserito nella lista, realizzata recentemente da Poste italiane, di 1156 agenzie a bassa produttività a rischio chiusura;
   la chiusura di tale ufficio recherebbe grandissimo danno a una realtà ubicata in alta montagna e quindi già costretta ad enormi sacrifici ed alla lotta al fenomeno dello spopolamento –:
   se siano fondate le preoccupazioni per una possibile chiusura dell'agenzia in questione e se, come già auspicato dall'Anci, tale decisione verrà presa in collaborazione con le autorità locali. (4-17361)

  Risposta. — In riscontro all'interrogazione in esame, si premette che il riassetto della rete territoriale degli uffici postali, così come del resto il riordino del settore del recapito, rientra nel più ampio piano strategico di riorganizzazione aziendale che la società Poste italiane sta realizzando, in adeguamento della propria attività di impresa alle sostanziali innovazioni del mercato postale, conseguenti alle prescrizioni europee che ne prevedono la piena liberalizzazione (direttiva n. 2008/06/CE recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58), nonché all'evoluzione del processo di digitalizzazione delle comunicazioni, anch'essa di derivazione comunitaria comportante la progressiva riduzione dei tradizionali volumi postali.
  Ciò premesso, Poste italiane ha evidenziato che l'ufficio «Lizzola» aperto ogni sabato con orario 8,15/12,45 è stato inserito nel piano degli interventi di razionalizzazione per l'anno 2012 a causa dei ridottissimi flussi di traffico che da tempo presentava, determinati anche dalla propensione della clientela a recarsi presso l'ufficio principale «Valbondione».
  La stessa società ha, inoltre, comunicato che a seguito della chiusura dell'ufficio, di Lizzola, avvenuta in data 20 dicembre 2012, è stato ampliato l'orario di apertura dell'ufficio di «Valbondione». Tale ufficio, precedentemente aperto solo due giorni a settimana (martedì e giovedì), attualmente risulta attivo tre giorni a settimana con il seguente orario il martedì e giovedì dalle ore 8.15 alle ore 13.45 e il sabato dalle ore 8.15 alle ore 12.45.
  Per completezza di informazione si fa, poi, presente che il citato Piano è stato trasmesso all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, soggetto competente a vigilare sul settore postale. La stessa Autorità ha precisato che provvederà a vigilare attentamente sull'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio, attraverso la verifica degli effetti del piano di riorganizzazione sotto il profilo della loro coerenza con i criteri relativi alla localizzazione dei punti di accesso e con i parametri di qualità del servizio.
  A questo proposito si ricorda, che l'attuale quadro normativo impone al fornitore del servizio postale universale, ai sensi del decreto ministeriale 7 ottobre del 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete pubblica», precisi obblighi di presenza territoriale che garantiscono la fruibilità e la continuità del servizio anche nelle realtà territoriali più remote e disagiate, a prescindere da valutazioni di tipo economico.
  Su tale complessa materia l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni intende avviare, entro breve, un'apposita istruttoria avente ad oggetto proprio la distribuzione dei punti di accesso al servizio postale universale, con la partecipazione dei rappresentanti delle realtà locali e delle associazioni dei consumatori. L'obbiettivo dell'istruttoria sarà quello di limitare al massimo i possibili disagi per l'utenza.
  In questo contesto il Ministero dello sviluppo economico, dal canto suo, non mancherà nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali di adoperarsi, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica ai quali il servizio postale è tenuto, comunque, ad ispirarsi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   FRONER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le imprese assicuratrici hanno tentato più volte, da ultimo durante l'esame del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, di ottenere, nell'ambito del settore della responsabilità civile auto, la gestione diretta del mercato dell'autoriparazione attraverso la penalizzazione delle carrozzerie non facenti parte delle reti fiduciarie;
   il Parlamento ha bocciato tale tentativo, che avrebbe introdotto una norma lesiva del principio della libera concorrenza; tuttavia, le compagnie d'assicurazione continuano a praticare una politica anticoncorrenziale attraverso il tentativo di imporre all'assicurato/danneggiato clausole contrattuali limitative della libertà di contrarre con i terzi;
   tali clausole sono sostanzialmente di due tipi:
    a) quelle tese ad imporre un preteso obbligo contrattuale di effettuare la riparazione del mezzo solo presso carrozzerie convenzionate;
    b) quelle tese ad imporre all'assicurato divieti contrattuali alla stipula di eventuali cessioni del credito risarcitorio a favore di carrozzieri che non fanno parte di reti convenzionate;
   a giudizio dell'interrogante appare evidente l'obiettivo perseguito dalle società assicuratrici, di ottenere il controllo del mercato dell'autoriparazione mediante intese restrittive della concorrenza, attuate con l'abuso della propria posizione dominante, a discapito della qualità e della sicurezza del lavoro, oltre che della libertà di scelta dell'assicurato –:
   quali iniziative, anche normative, intenda adottare per rafforzare il processo di liberalizzazione nell'intero settore delle assicurazioni, salvaguardando la libera concorrenza anche nell'ambito delle autoriparazioni, a tutela dell'utente finale.
(4-17043)

  Risposta. — Sulla base degli elementi trasmessi dall'autorità di vigilanza, si rappresenta che, nel rispetto della libertà contrattuale, le cosiddette garanzie accessorie (come quella in ordine ai «cristalli») sono forme di coperto assicurativa facoltativa, che l'impresa può proporre in via autonoma rispetto al contratto RC auto: le imprese, stante il divieto stabilito dall'articolo 170 del codice delle assicurazioni, non possono subordinare la conclusione di contratto RC auto obbligatoria ad ulteriori contratti assicurativi, fatte salve le deroghe di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo (per il recupero delle franchigie ed offerte in abbinamento ad altri contratti assicurativi, nel rispetto del Testo unico bancario e Testo unico della finanza).
  Tanto premesso si evidenzia, in ogni caso, che le clausole contrattuali richiamate nella prima parte del sindacato in oggetto (di riparazione e/o sostituzione dei cristalli attraverso centri convenzionati) configurano prestazione dell'assicuratore, liberamente contrattate e alternativa al tradizionale adempimento del risarcimento pecuniario per equivalente: nell'ordinamento assicurativo, meccanismi di risarcimento in forma specifica (in luogo del risarcimento per equivalente) sono consentiti, sempre che resti ferma per l'assicurato, la possibilità di scelta fra i due sistemi in sede di stipula del contratto assicurativo (diversamente si configurerebbero pratiche in violazione della disciplina di settore).
  In merito alla segnalazione di aumento dei costi (e diminuzione dell'efficienza) per l'assicurato, vincolato a rivolgersi solo a taluni centri convenzionati, l'autorità rileva che proprio il sistema di riparazione diretta del danno, all'opposto, avrebbe la funzione di offrire maggiori possibilità di controlli sui costi e, conseguente aumento dell'efficienza dell'intero sistema risarcitorio: a riguardo, sarebbe la stessa normativa assicurativa, segnatamente nella garanzia dell'assicurazione RC auto, a prevedere, in presenza di determinate condizioni, forme di risarcimento in forma specifica, nella finalità di consentire, fra l'altro, il controllo dei costi e l'innovazione dei contratti (articolo 14, decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2006, n. 254).
  In base alle indicazioni fornite dall'interrogante ed in considerazione dei limiti normativi già individuati a tutela della concorrenzialità del mercato di riferimento, ovvero la facoltà di libera scelta in sede contrattuale, non parrebbero profilarsi gli estremi di violazione del codice delle assicurazioni.
  In ogni caso, quanto alla possibilità di segnalazioni indirizzate all'Autorità garante della concorrenza e del mercato si evidenzia che le stesse possono essere direttamente trasmesse dai consumatori ed associazioni al servizio di tutela del consumatore presso l'autorità antitrust, nonché alla stessa autorità di vigilanza ISVAP (denominata IVASS dal 1o gennaio 2013) – numero verde.
  In merito, infine, alla circostanza evidenziata nel caso in esame e relativo ai massimali di garanzia (che le imprese avrebbero diminuito solo per gli assicurati che non si avvalgono dei centri in convenzione), occorre tener presente che i massimali per la copertura della garanzia cristalli non risultano assoggettati ad importi minimi di legge, diversamente da quanto previsto per la RC auto, ex articolo 128 codice delle assicurazioni.
  Fatte salve le indicazioni appena riportate, con riferimento specifico ad eventuali sistemi di monitoraggio delle fattispecie contrattuali specialmente nella parte relativa alle clausole accessoria, anche in funzione della promozione dei comportamenti trasparenti, corretti e funzionali al miglioramento della qualità dei servizi offerti, nel segnalare le competenze in tema di vigilanza dell'istituto per la vigilanza per le assicurazioni sul settore, anche con riferimento alla tutela del consumatore rispetto ai comportamenti tenuti dagli intermediari ed agenti, si condivide l'opportunità e la necessità che in ogni caso l'impresa fornisca adeguata informativa precontrattuale in ordine al contenuto delle condizioni contrattuali esposte nel caso in esame, con particolare riferimento alle conseguenze derivanti dal mancato avvalimento dei centri convenzionati, nell'ambito della disciplina codicistica e regolamentare che già prevede, in tema di informativa precontrattuale, una serie di vincoli e possibili sanzioni per violazioni agli obblighi previsti.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   FRONER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Trasco srl di Trento aveva come committente principale la compagnia petrolifera ESSO Italia, del gruppo multinazionale ExxonMobil, che per anni ha servito, effettuando trasporti di benzina e gasolio con i propri camion cisterna, in tutti i distributori del Nord-est;
   la società possedeva più di 70 camion e occupava oltre 100 dipendenti tra Trento e Venezia;
   dal mese di maggio del 2012, la Trasco srl, è stata costretta a fermare la propria attività a causa della decisione di ESSO Italia, che ha omesso di pagarle i servizi di trasporto del mese di marzo e di aprile, per un valore di circa 1.000.000 di euro;
   la ragione del mancato pagamento sarebbe da ricondurre a una sorta di ritorsione conseguente alla richiesta da parte della Trasco srl di vedersi riconosciuti i «costi minimi di sicurezza per l'autotrasporto», previsti dall'articolo 83-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, e determinati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che pubblica periodicamente le relative tabelle;
   il comma 4 del citato articolo 83-bis prevede, in particolare, che, al fine di garantire la tutela della sicurezza stradale e la regolarità del mercato dell'autotrasporto di merci per conto di terzi, nel contratto di trasporto, stipulato in forma scritta, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286, l'importo a favore del vettore deve essere tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio, che garantiscano, comunque, il rispetto dei parametri di sicurezza normativamente previsti;
   ESSO Italia non ha mai riconosciuto alla società Trasco srl l'adeguamento tariffario ai predetti minimi di legge volti a garantire la sicurezza stradale, un valore inestimabile per la collettività, specie nel caso in questione che riguarda cisterne cariche di carburanti e in un periodo nel quale i costi di trasporto sono immensamente cresciuti;
   la presa di posizione di ESSO Italia ha inevitabilmente leso la Trasco srl e ha portato i proprietari dell'azienda ad avviare un'azione giudiziaria, purtroppo impari viste le dimensioni della controparte che, com’è noto, è una multinazionale;
   ad oggi, in funzione di quanto previsto dal citato decreto-legge n. 112 del 2008, la Trasco srl ha ottenuto l'emissione di un decreto ingiuntivo di circa 5.000.000 di euro immediatamente esecutivo, al quale ESSO Italia si è opposta, ottenendo la sospensione dell'esecutività a causa dell'ovvio stato di crisi della società;
   nella grave situazione in cui versa il nostro Paese è inaccettabile che aziende sane come la Trasco srl siano costrette a portare i libri sociali in tribunale, a causa della condotta di una multinazionale che non sembra rispettare le leggi dello Stato italiano, con la conseguenza di rovinare non solo la famiglia dell'imprenditore, ma anche quella di oltre cento dipendenti –:
   quali misure urgenti intenda assumere per garantire la continuità operativa della Trasco srl e scongiurare l'esito del fallimento di un'azienda sana e con esso il dramma della chiusura per i proprietari e per i dipendenti. (4-19101)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Da informazioni assunte da quest'amministrazione, risulta che la società Trasco S.r.l., oltre ad avere un contratto con l'Esso italiana S.r.l. per il servizio di trasporto carburanti, era anche cliente della stessa Esso italiana, in quanto acquistava per uso proprio carburanti per autotrazione nonché, in qualità di rivenditore, altri prodotti petroliferi ai fini della rivendita ai propri clienti finali. La stessa Trasco era, quindi, debitrice nei confronti di Esso italiana a fronte dei contratti di fornitura di prodotti petroliferi sopra menzionati.
  La Esso italiana, dopo aver atteso che la Trasco provvedesse ad adempiere ai pagamenti di tali prodotti, ha deciso di compensare il proprio credito per la fornitura di prodotti, scaduto da tempo, con il proprio debito, relativo ai servizi di trasporto carburante prestati dalla stessa Trasco. La compensazione tra crediti e debiti certi esigibili è operazione ammessa dal codice civile e dai contratti in essere fra Esso italiana e Trasco.
  Il decreto ingiuntivo ottenuto dalla Trasco, come noto all'interrogante, è stato sospeso dal tribunale di Roma «non potendosi valutare positivamente la sussistenza dei presupposti per l'emissione del decreto provvisoriamente esecutivo» (provvedimento del 3 agosto 2012, tribunale Roma – III sezione), confermato dalla II sezione del tribunale di Roma, con provvedimento del 16/19 novembre 2012 nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dall'Esso italiana.
  Per quanto riguarda, invece, le previsioni dei costi minimi di sicurezza per l'autotrasporto, disciplina prevista dall'articolo 83-bis, comma 1, 2, 4 e 4-bis, della legge n. 133 del 2008 modificata dalla legge n. 127 del 2010, il competente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comunicato al riguardo, che i costi minimi di sicurezza individuano non una tariffa, ma piuttosto una soglia minima di congruità, che ove non rispettata, sarebbe suscettibile di compromettere i livelli di sicurezza della circolazione stradale. A tale valore soglia potranno essere aggiunti tutti gli ulteriori costi di esercizio, oltre naturalmente al margine di profitto, che restano rimessi alla libera contrattazione fra le parti, e che non potevano essere predeterminati dall'amministrazione medesima, a pena di probabili censure delle autorità comunitarie.
  In definitiva l'articolo 83-bis, della legge n. 133 del 2008, e i connessi provvedimenti applicativi dell'osservatorio sulle attività di autotrasporto fino al 28 luglio 2012, e della direzione generale per il trasporto stradale successivamente, deve essere letto nell'ottica di coniugare l'abrogazione del sistema tariffario obbligatorio e il conseguente riemergere di un libertà di negoziazione del corrispettivo del trasporto (ex decreto legislativo n. 286 del 2005), con l'esigenza di garantire che le operazioni di trasporto si svolgano nel rispetto delle norme sulla sicurezza della circolazione stradale.
  Lo stesso Ministero riferisce che va, dunque, interpretato nel senso che il corrispettivo a favore dell'impresa di autotrasporto non possa essere convenuto in spregio all'osservanza di parametri di sicurezza indispensabili per il corretto esercizio dell'attività di autotrasporto di cose, come peraltro già specificamente disciplinato dall'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286. È evidente, pertanto, che il legislatore, con l'articolo 83-bis, si è solo limitato a richiamare il principio della tutela della sicurezza quale legittima limitazione alla libertà negoziale delle parti di un contratto di trasporto, che costituiva un punto fermo della stessa riforma dei mercato dell'autotrasporto del 2005, e che sarebbe irrimediabilmente compromessa da un gioco al ribasso dei corrispettivi al di sotto di una soglia vitale per garantire, non margini di profitto, ma la copertura del costi di esercizio.
  Per tutte queste ragioni è appena il caso di evidenziare che l'applicazione della normativa recata dall'articolo 83-bis s'impone imperativamente ai contraenti, e che in mancanza, oltre a rendersi applicabili le sanzioni amministrative previste dall'articolo 83-bis, commi 14 e 15 (oggi aventi un carattere più direttamente afflittivo per il trasgressore rispetto al passato), comminate in base ad un procedimento ispirato a criteri di celerità e semplicità, il vettore che abbia subito il pregiudizio può rivolgersi direttamente al giudice civile per chiedere il decreto monitorio.
  Si è sempre inteso confermare l'impianto e l'obiettivo della norma, ovvero la garanzia del rispetto, nei contratti di trasporto, del costi minimi che garantiscano il rispetto della sicurezza, con conseguente apparato sanzionatorio, pur in presenza di un cospicuo contenzioso promosso innanzi al TAR dalla parte della Esso Italia.
  La stessa, infatti, ritenendoli illegittimi e in contrasto con i princìpi costituzionali e con i princìpi comunitari in materia di concorrenza – li ha impugnati davanti al TAR del Lazio. Tali provvedimenti sono stati impugnati, tuttavia, anche da confindustria, da varie altre associazioni di settore, da numerose società private ed anche oggetto di una segnalazione da parte dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato.
  La vicenda, pertanto, riguarda un contenzioso fra soggetti privati relativamente alla corretta applicazione di disposizioni normative e contrattuali e quindi non appare possibile per l'amministrazione intervenire su un contenzioso fra privati già attivato in sede giudiziaria, salvo la possibilità un intervento governativo sulle parti volto a verificare eventuali spazi di intesa fra di esse, in considerazione della connessa situazione di crisi industriale della soc. Trasco.
  Il Ministero dello sviluppo economico in tal senso, non essendo configurabile un intervento automatico da parte del Ministero al fine di risolvere situazioni di crisi aziendale, dà la propria disponibilità, su richiesta delle parti coinvolte, all'apertura di un tavolo di crisi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   FUCCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio del 2011 l'interrogante si rivolse all'allora Governo con l'interrogazione n. 4-12639 per avere indicazioni sui tempi previsti per i lavori di restauro, che erano stati oggetto di incontri e accordi tra la locale sovrintendenza e il comune di Andria, della cripta di Santa Croce, cripta di notevole importanza storica presente nella città;
   nel gennaio 2012 il nuovo Ministro dei beni culturali in carica rispose all'interrogazione affermando che, in base a una serie di accordi pervenuti nel frattempo, i lavori di restauro avrebbero avuto luogo in tempi brevi viste anche le precarie condizioni in cui si trovava, in termini di conservazione, la cripta di Santa Croce;
   nei giorni scorsi, però, la locale pro loco ha preso l'iniziativa per denunciare con la massima evidenza il fatto che nel frattempo niente si sarebbe concretamente mosso lasciando così fermi i lavori di restauro, peraltro sempre più necessari a causa del degrado conservativo della cripta di Santa Croce che cresce con il passare del tempo –:
   quali informazioni in merito a quanto esposto in premessa possa fornire il Ministro interrogato e quali siano le tempistiche e le modalità per il concreto avvio degli auspicati e ormai indifferibili lavori di restauro e conservazione della cripta di Santa Croce in Andria. (4-18822)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede di quali informazioni sia in possesso questo Ministero circa i tempi previsti per il restauro della Cripta di Santa Croce di Andria, si rappresenta quanto segue.
  Come già comunicato in relazione alla precedente interrogazione n. 4-12639 del 2011, relativa allo stesso argomento, la soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici della Puglia ha ottenuto un finanziamento sul programma ordinario 2009, approvato con decreto ministeriale 21 aprile 2009, per la prosecuzione dei lavori di recupero della chiesa rupestre in oggetto specificata, di proprietà della curia diocesana di Andria.
  Previa redazione di apposita perizia, approvata con decreto del direttore regionale n. 1 del 14 gennaio 2010, in data 8 ottobre 2010 sono stati consegnati ad una impresa in possesso dei requisiti di legge, previo esperimento di apposita gara, i lavori di restauro conservativo dei dipinti murali e, in generale, delle superfici interne, comprese il banco roccioso, in prosecuzione di lotti passati, con ultimazione prevista entro il 7 aprile 2011.
  In corso d'opera, constatato il peggioramento delle condizioni microclimatiche all'interno della chiesa per le progressive infiltrazioni di acque meteoriche sia dalla copertura che dai muri d'ambito, causa di nuove fuoriuscite di sali e rinnovati attacchi biologici sulle superfici già trattate, si è proceduto alla sospensione dei lavori ed alla redazione di una perizia di variante, previo recupero dei ribassi d'asta, per far fronte alle ulteriori lavorazioni necessarie. In particolare, si rendeva indifferibile la revisione dei consolidamenti già effettuati in passato, la nuova rimozione delle neoformazioni saline superficiali, i nuovi trattamenti di disinfezione e di prevenzione alla crescita di vegetazione.
  Contestualmente, considerata la necessità di affrontare definitivamente il risanamento delle condizioni microclimatiche interne e dell'area circostante, intervento impensabile con i finanziamenti ordinari di cui tradizionalmente dispone la citata soprintendenza, sono intercorsi svariati incontri con l'ente proprietario ed il comune, nel corso dei quali la citata soprintendenza ha sollecitato un preciso coinvolgimento di tali enti per il rinvenimento di risorse economiche adeguate alla realizzazione di un intervento complessivo, da eseguirsi conformemente alle indicazioni fornite dalla stessa soprintendenza. Tali incontri hanno sortito la piena adesione dei due enti che si impegnavano a predisporre, in tempi brevi, i progetti di intervento richiesti.
  Con nota del 24 agosto 2012, la soprintendenza ribadiva nuovamente all'ente proprietario la necessità di procedere, in relazione alla cripta in argomento, alla revisione ed al risanamento della calotta di copertura, della piattaforma e del sottostante massetto che girano tutt'attorno al banco roccioso, al consolidamento del banco roccioso in corrispondenza dell'abside e, infine, alla revisione della corretta canalizzazione delle acque meteoriche, previa sostituzione delle grondaie, dei tombini e de le grate fatiscenti. Si ribadiva, ancora, la necessità di lavori nell'area esterna alla cripta, consistenti nella risistemazione della rampa di accesso e nella pulizia e disinfestazione generale e si sollecitava la curia e lo stesso comune a provvedere, come promesso, all'invio dei relativi progetti, ribadendone il carattere di urgenza.
  In data 10 ottobre 2012, l'ente proprietario ha inviato alla citata soprintendenza ed a quella per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Foggia e Barletta, il progetto di manutenzione complessivo della cripta e dell'area circostante, per un importo dei lavori pari a euro 307.581,00, al fine di ottenere le autorizzazioni di competenza che sono state rilasciate dalle due soprintendenze interessate, rispettivamente, con nota protocollo 7182 del 21 dicembre 2012 (soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici della Puglia) e con nota protocollo 18183 del 24 dicembre 2012 (soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia).
  Inoltre, in data 29 novembre 2012, il sindaco di Andria ha convocato i rappresentanti delle due soprintendenze e della diocesi, unitamente all'architetto progettista, allo scopo di esaminare congiuntamente le proposte progettuali pervenute per la sistemazione dell'area. Nel corso dell'incontro, la diocesi ha presentato ufficialmente il proprio progetto, per il quale ha dichiarato che intende avvalersi di contributi della CEI. Al riguardo, il sindaco ha suggerito di suddividere l'intervento in lotti funzionali al fine di consentire al comune, così come ad eventuali sponsor, di fornire il proprio contributo per pervenire al recupero dell'area.
  La competente soprintendenza, da parte sua, dichiarando necessariamente chiuso, per questioni amministrative, il lotto di interventi in corso, in considerazione dell'inutilità di procedere per il momento ad ulteriori lavorazioni, ha richiesto espressamente di privilegiare gli interventi, ormai improcrastinabili, della messa in sicurezza dell'ambiente interno e dei suoi importanti cicli pittorici.
Il Ministro per i beni e le attività culturaliLorenzo Ornaghi.


   FUGATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante già in passate circostanze ha sollevato il problema provocato all'incolumità pubblica, alla tranquillità sociale ed alla sicurezza delle specie animali domestiche per via della presenza degli orsi immessi nel territorio del Trentino nell'ambito del progetto Life Ursus;
   come già meglio descritto nelle precedenti interrogazioni di cui ai numeri 4-12122, 4-10832 e 5-04247, nel 1996 in Trentino, ha preso avvio il progetto di reintroduzione dell'orso bruno ed al momento la popolazione di orsi nella regione risulta essere composta da circa trenta individui e tale numero è dovuto, in gran parte, all'attuazione del predetto Progetto «Ursus-azioni di tutela della popolazione di orsi del Brenta», meglio noto come Life Ursus, promosso dal parco naturale Adamello Brenta, in collaborazione con la provincia autonoma di Trento e con il contributo scientifico dell'INFS (ora ISPRA);
   nel corso degli anni, anche a causa di quelle che secondo l'interrogante sono state sottovalutazioni degli enti interessati circa la presenza di questi orsi, si sono verificati casi di predazione o altro danno a carico delle popolazioni locali;
   in particolare, si sono evidenziati i casi dei due esemplari che hanno cagionato i maggiori problemi. Il primo, Jurka, a seguito di incursioni in aree antropizzate e predazione di bestiame in provincia di Trento ed il secondo, DJ3, figlia di Jurka, che si è resa responsabile, sempre in provincia di Trento, di danni al bestiame;
   risale a qualche giorno fa il nuovo allarme che ha scosso alcune Valli del Trentino in cui si sono verificati episodi di aggressioni al bestiame da parte di questi orsi risvegliatisi dal letargo. Si fa riferimento, in particolare, ai recenti fatti accaduti in Val Rendena dove si è verificato che tre asini siano stati aggrediti e sbranati presumibilmente dallo stesso orso, al margine di alcuni centri abitati, allertando le istituzioni quando però era troppo tardi per i tre animali;
   i cittadini lamentano di non sentirsi più padroni del loro territorio, di non poter più andare in montagna e tenervi degli animali all'aperto e pertanto hanno chiesto che venga definitivamente affrontato il tema della presenza dell'orso in Trentino e della difficoltà che incontrano gli abitanti delle valli dove gli esemplari del plantigrade scorrazzano liberi seminando panico e aggredendo animali domestici, con notevole danno agli allevatori –:
   se sia a conoscenza dei nuovi problemi che hanno creato gli orsi presenti nelle Valli del Trentino sia alle popolazioni residenti e sia agli allevatori locali;
   se, nell'ambito delle proprie competenze, non intenda intraprendere iniziative urgenti volte ad assicurare alle popolazioni di tutte le Valli del Trentino una maggior sicurezza nel vivere il proprio territorio, allo scopo, nell'immediato, attivando azioni di contrasto alla incontrollata diffusione degli orsi in aree frequentate e frequentabili dall'uomo e contestualmente prendendo in considerazione la necessità di stabilire l'impossibilità della convivenza dei predetti orsi con le popolazioni di montagna, già svantaggiate per le difficili condizioni di vita ed ora maggiormente colpite anche a causa di questi pericoli, così da decidere l'annullamento del suddetto programma Life Ursus e lo spostamento in altri territori compatibili degli orsi oggi presenti nella regione Trentino. (4-16266)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, concernente le problematiche connesse all'orso bruno presente in Italia, è necessario, in primo luogo, sintetizzare il quadro delle disposizioni normative poste a tutela della specie di che trattasi.
  Per quanto concerne il quadro normativo posto a tutela dell'orso bruno
(Ursus arctos), si precisa che lo stesso è ascritto nell'elenco delle specie animali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa ai sensi della direttiva 92/43/CEE «habitat» (allegato D, lettera a)) e per le quali il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 (di recepimento della direttiva) prevede il divieto tra l'altro, di catturarne o ucciderne esemplari nell'ambiente naturale (articolo 8). Eventuali deroghe alle disposizioni previste all'articolo 8 possono essere autorizzate, esclusivamente dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a condizione che non esista un'altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di distribuzione naturale (articolo 11). L'orso bruno rientra anche tra le specie particolarmente protette anche sotto il profilo sanzionatorio, dalla legge n. 157 del 1992 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» che prevede la sanzione dell'arresto da tre mesi ad un anno e l'ammenda da euro 1032.91 a euro 6197.48 per chi abbatte, cattura o detiene esemplari, tra l'altro, di orso (articoli 2 e 30).
  L'attuale popolazione di orsi sulle Alpi Centro-Orientali è frutto del progetto comunitario
Life 1999-2002, fortemente voluto e sostenuto dalla provincia autonoma di Trento. Successivamente, fra questa amministrazione, la provincia autonoma di Trento, le altre amministrazioni regionali interessate e ISPRA è stato condiviso e sottoscritto il piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno sulle Alpi Centro-Orientali – Pacobace (http.//www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/biodiversita/orso/orso-bruno-2010-BASSA-ISPRA.pdf) e il protocollo d'azione nei confronti degli orsi problematici. Il Pacobace rappresenta il documento di riferimento per le regioni, le province autonome, gli enti parco e gli istituti di ricerca per il coordinamento delle attività, tra le altre, di definizione degli interventi in situazioni critiche e di emergenza.
  Tutto ciò premesso ed in relazione ai quesiti posti dall'onorevole interrogante, si comunica che questo ufficio è pienamente cosciente dei possibili problemi derivanti da una specie come l'orso, riguardo i danni cagionati al bestiame da reddito, agli apiari, all'industria del turismo ed in alcuni casi anche del disagio arrecato alla popolazione locale a causa di orsi troppo confidenti. La situazione è oggetto di attenta valutazione e per questo motivo vi è anche un costante contatto con la provincia e con ISPRA.
  In provincia di Trento sono presenti squadre di intervento di emergenza composte da tecnici esperti ed appositamente formati per gestire i soggetti di orso bruno che si trovano in situazioni critiche e/o individuati come orsi problematici.
  A parere di ISPRA, la progressione numerica della popolazione, la frequenza e l'entità dei danni, la presenza di individui problematici rientrano negli andamenti dallo studio di fattibilità. Lo stesso ISPRA, ritiene che i dati ad oggi raccolti non evidenziano comportamenti anomali degli animali e che una attenta piena applicazione delle disposizioni tecniche del PACOIBACE possa efficacemente minimizzare i rischi per la sicurezza dell'uomo ed i danni causati dagli orsi alle attività economiche nell'area delle Alpi centrali, assicurando quelle condizioni di convivenza tra l'orso e l'uomo cui l'interrogante fa riferimento. Risulta quindi di fondamentale importanza la gestione di situazioni critiche secondo quanto previsto e soprattutto una più efficace azione di supporto nei confronti della popolazione locale per consentire la convivenza con l'orso, anche con la promozione di campagne di sensibilizzazione verso gli abitanti delle aree frequentate dall'orso al fine di evitare possibili conflittualità con le realtà locali e con l'industria turistica. Altro aspetto da non sottovalutare è la prevenzione verso possibili incursioni degli orsi presso stalle, ovili, pollai ed apiari, mediante la realizzazione e la posa in opera di appositi recinti elettrificati ed altre soluzioni dissuasive, messe a disposizione dagli allevatori anche nella provincia di Trento. Tali metodologie dissuasive, risultano essere ampiamente diffuse e utilizzate con successo anche nelle aree appenniniche interessate dalla presenza dell'orso bruno marsicano.
  Infine si ricorda che questo Ministero ha sempre confermato la propria disponibilità alla provincia autonoma di Trento, anche con il supporto di ISPRA, per trovare soluzioni idonee per la conservazione dell'orso e nel contempo per garantire la sicurezza alle popolazioni locali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   FUGATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in questo periodo è in atto un processo di riorganizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che sta creando preoccupazione e agitazione fra i lavoratori di tale amministrazione, non informati adeguatamente sui cambiamenti in corso, né tanto meno sui termini di pagamento del salario accessorio (FUA 2010);
   a causa dei tagli apportati dal Ministero dell'economia e delle finanze nelle assegnazioni iniziali delle somme relative al capitolo del conto privato, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stato costretto a correggere la previsione sull'erogazione dei relativi fondi arretrati;
   i pagamenti del conto privato hanno, allo stato attuale, uno stanziamento di competenza pari a 11.800.000,00 euro e per la cassa solamente 1.400.000,00 euro ed è su questa disponibilità che verranno effettuati i primi pagamenti;
   la situazione attuale è drammaticamente preoccupante al punto che alcune mensilità mancanti del 2011 saranno presumibilmente saldate entro la fine del corrente anno e quelle mancanti del 2012 presumibilmente saranno saldate entro ottobre;
   anche il settore autoscuole sta risentendo del processo di trasformazione in atto, soffrendo particolarmente per la modifica riguardante gli esami in conto privato. Questa modifica si è rivelata molto onerosa perché, se da un lato ha consentito di aumentare la disponibilità del numero degli esami, dall'altro ha comportato maggiori costi di gestione delle regolari attività, come l'aumento dei rimborsi per le trasferte del personale, per le sedute degli esami al pomeriggio in totale regime straordinario, per l'impossibilità di svolgere lezioni di guida pomeridiane in concomitanza delle sedute di esame;
   il rapporto fra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le aziende del settore risulta ad oggi farraginoso e poco agevole, non essendo previsto uno sportello dedicato, di ausilio per l'espletamento delle pratiche in maniera più rapida e soprattutto con servizio quotidiano –:
   se il Ministro non ritenga doveroso fornire tempestivamente informazioni chiare e certe sul processo di riorganizzazione che sta interessando l'amministrazione in particolar modo sui termini di pagamento del salario accessorio (FUA 2010);
   quali azioni intenda intraprendere per migliorare e semplificare i rapporti fra le aziende e il Ministero, anche prevedendo l'istituzione di uno sportello dedicato che agevoli e acceleri l'espletamento delle pratiche. (4-16592)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si fa presente che questo Ministero ha provveduto alla corresponsione degli emolumenti correlati alla produttività individuati dalla contrattazione decentrata locale, come previsto dall'accordo integrativo relativo all'anno 2010 sottoscritto con le organizzazioni sindacali in data 30 maggio 2011, secondo le procedure di pagamento di cui all'articolo 2, comma 197, della legge n. 191 del 23 dicembre 2009 che prevede l'unificazione del pagamento delle competenze fisse e accessorie nel cosiddetto «cedolino unico».
  Si precisa, altresì, che con decreto direttoriale del 13 agosto 2012 sono stati assegnati a tutti i punti ordinanti della spesa, istituiti presso gli uffici centrali e periferici del Ministero, in applicazione della procedura di pagamento suddetta, i fondi necessari per il pagamento dei compensi stabiliti in sede di contrattazione decentrata locale.
  Per quanto riguarda la sede centrale, una volta assegnati detti fondi, il pagamento è stato disposto con la mensilità di settembre 2012; per le strutture periferiche invece ciascun punto ordinante della spesa ha operato autonomamente con i fondi a disposizione, per cui i pagamenti sono avvenuti in periodi differenti e, comunque, nella maggioranza dei casi entro il mese di novembre 2012.
  Per quanto riguarda il secondo quesito posto dall'interrogante, relativo alla richiesta di istituire uno sportello dedicato che agevoli ed acceleri l'espletamento delle pratiche, si evidenzia che sono state già adottate, a seguito di specifiche disposizioni normative, apposite procedure informatiche nell'ambito degli uffici delle motorizzazione civile, al fine di consentire, tra l'altro, agli utenti un più rapido disbrigo delle pratiche. Si fa riferimento, in particolare:
   allo sportello telematico dell'automobilista (STA), che consente l'emissione contestuale ed in tempo reale dei documenti di circolazione e del certificato di proprietà e dei loro aggiornamenti, attivato presso tutti gli uffici provinciali della motorizzazione, gli uffici P.R.A. e gli studi di consulenza automobilistica;
   al portale dell'automobilista, sito
internet che consente di accedere ad una serie di servizi in materia di motorizzazione sia da parte dell'utenza specializzata (autoscuole e studi di consulenza automobilistica) sia da parte degli utenti privati.

  Oltre alle operazione gestibili con lo STA e ai servizi disponibili sul portale, sono state attivate funzionalità in remoto per la gestione di pratiche in materia di motorizzazione da parte degli operatori professionali.
  La descritta semplificazione ha ridotto notevolmente l'attività di
front-office, soprattutto verso l'utenza specializzata. Conseguentemente, l'esigenza da parte di quest'ultima di interfacciarsi con l'operatore dell'ufficio è solo residuale in relazione al volume di pratiche trattate. In ogni caso, si assicura che l'impegno dell'amministrazione proseguirà costantemente verso l'individuazione di soluzioni che possano ulteriormente migliorare le attuali procedure.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   GALATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   troppo spesso i piccoli comuni sono lasciati in balia di se stessi per tutto ciò che concerne i servizi destinati ai cittadini. Recenti proposte di iniziativa parlamentare hanno doverosamente assicurato un ruolo di primo piano ai piccoli borghi, corrispondendo ad essi elementi di tutela e garanzia del proprio patrimonio storico-culturale. Troppo spesso però, i piccoli enti locali sono costretti a convivere con scelte incomprensibili che procurano un danno alla popolazione. Si pensi alle chiusure di centri di continuità assistenziale (guardie mediche) o uffici postali che arrecano un danno soprattutto a quella fascia di popolazione (soprattutto anziani) che non ha la possibilità di spostarsi dal proprio ambito di residenza per espletare i propri adempimenti. Sia di esempio a tal proposito la chiusura definitiva dell'ufficio postale di Isca sullo Jonio (Catanzaro). Gli uffici, di questo piccolo comune della Calabria, già da qualche anno sono stati oggetto di rimodulazione e riorganizzazione in seguito alle quali sono stati ridotti gli orari e l'apertura, con conseguenti disagi alla popolazione, soprattutto di quella anziana. Ma la notizia della chiusura definitiva dell'ufficio ha destato forte dissenso fra i cittadini che si vedono togliere un servizio necessario e vitale. La proposta formulata dai residenti era quella di lasciare aperto l'ufficio di Isca sullo Ionio almeno due giorni alla settimana, alternando, l'apertura, con l'ufficio postale della frazione di Isca Marina, regolarmente aperto con due sportelli, affinché chi ne avesse bisogno potesse usufruire del servizio senza spostarsi. Le motivazioni espresse dall'azienda in merito alla chiusura sono giustificate dalla «poca produttività dell'ufficio» che, purtroppo, serve una piccola comunità di persone anziane e sole. Lo squilibrio economico di un ufficio montano ed isolato, in base alle deduzioni mosse dai cittadini di Isca, è certo compensato dalla produttività di uffici più centrali. Bisogna ricordare però che in realtà come Isca il servizio postale risulta essere anche l'unico servizio finanziario di più facile fruizione per tutti gli abitanti, servizio che, come tendono a sottolineare nel loro grido d'allarme i cittadini di Isca, è utile e necessario, necessario soprattutto in quello che si considera come uno Stato di diritto. Alla richiesta del diritto si aggiunga anche la conformazione territoriale di alcuni comuni, che, a volte, costringe a colmare notevoli distanze per espletare gli adempimenti nei centri più vicini –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza di tali criticità, che creano disservizi nell'ambito delle piccole realtà comunali;
   se intenda nell'ambito delle sue competenze, assumere iniziative per garantire, nel caso specifico, i servizi postali, ripristinando un diritto fondamentale per tutti quei cittadini che lamentano tali gravi disagi. (4-15756)

  Risposta. — In merito a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, la società Poste italiane ha evidenziato che l'ufficio postale di «Isca sullo Jonio» è stato chiuso al pubblico il 19 marzo 2012, a causa degli esigui flussi di traffico da tempo registrati che avevano già determinato il suo inserimento nel piano degli interventi di razionalizzazione relativo all'anno 2011.
  La società ha, inoltre, precisato che l'iniziativa è stata comunicata al sindaco interessato al quale, peraltro, è stata contestualmente manifestata la disponibilità ad un confronto su eventuali proposte che, in un prossimo futuro, possano consentire una rivalutazione della situazione dell'ufficio.
  Poste italiane ha comunicato, altresì, che attualmente la clientela può rivolgersi ai limitrofi uffici di «Isca Marina» e «Marina Sant'Andrea», posti rispettivamente ad una distanza di circa 4 e 5 chilometri dall'ufficio oggetto del provvedimento.
  L'ufficio «Isca Marina» ha allargato la propria offerta di servizi mettendo altri due sportelli attivi a disposizione della clientela.
  Si segnala, infine, che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è il soggetto attualmente competente a vigilare sul settore postale, la stessa ha assicurato che provvederà a vigilare attentamente sull'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio.
  A questo proposito si ricorda che l'attuale quadro normativo impone al fornitore del servizio postale universale, ai sensi del decreto ministeriale 7 ottobre 2008 recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete pubblica», precisi obblighi di presenza territoriale che garantiscono la fruibilità e la continuità del servizio anche nelle realtà territoriali più remote e disagiate, a prescindere da valutazioni di tipo economico.
  In questo contesto il Ministero dello sviluppo economico, dal canto suo, non mancherà nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali di adoperarsi, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica ai quali il servizio postale è tenuto, comunque, ad ispirarsi.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   GASBARRA e META. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   apprendiamo dalla stampa che sul sito di vendite on line Amazon è in vendita un puzzle di 252 pezzi che compongono la foto dei crematori del campo di concentramento di Dachau, in Baviera, nel sud della Germania, luogo dove, tra il 1933 e il 1945 venne scritta una delle pagine più tristi della storia della Germania;
   quello di Dachau è stato infatti il primo campo di concentramento nazista, aperto il 22 marzo 1933, su iniziativa di Himmler, appena un mese dopo la presa del potere di Hitler, e divenne il «modello» al quale tutti i lager nazisti costruisti successivamente si ispirarono;
   nel campo transitarono circa 200.000 persone e secondo i dati del Museo di Dachau, furono 41.500 coloro che vi persero la vita tra atroci sofferenze;
   tale assurdo puzzle viene venduto a 24,99 dollari sotto la categoria giochi, ed è suggerito per i bambini «a partire dagli 8 anni»;
   in Germania la notizia è stata ripresa da «Der Spiegel» che ha anche pubblicato brani di una lettera di protesta che la deputata Gerda Hasselfeldt ha inviato a Jeff Bezos, fondatore e amministratore delegato del sito, nella quale sottolinea che «Per i sopravvissuti e i parenti delle vittime si tratta di una offesa e un'umiliazione, il memoriale di Dachau è il luogo del ricordo e Amazon non può impossessarsene. Per i sopravvissuti ai campi di concentramento e i parenti delle vittime, questo è un vero e proprio schiaffo in faccia» –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover individuare strumenti adeguati per intervenire presso il sito Amazon affinché venga rimosso dal commercio il gioco di cui sopra, che rappresenta una grave offesa alla memoria dei sopravvissuti e delle vittime del nazismo nel campo di concentramento di Dachau. (4-18185)

  Risposta. — In relazione alla questione relativa alla vendita sul sito web Amazon di un puzzle che compone foto dei forni crematori del campo di concentramento di Dachau, risulta che il predetto puzzle sia stato ritirato dal sito web in parola.
  Tale decisione è stata presa anche a seguito delle forti prese di posizione di numerosi esponenti del mondo politico tedesco, tra cui il capogruppo della CSU Gerda Hasselfeldt.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMarta Dassù.


   GIRLANDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   l'ailanto è una pianta infestante, dalla rapidissima proliferazione, le cui radici si estendono in larghezza fino anche a trenta metri sul suolo, dando luogo a colonie di nuove piante figlie;
   questa specie, introdotta in Italia per un tentativo di allevamento del lepidottero Philosamia cynthia originario dell'estremo Oriente per la produzione della seta, ormai si trova rinselvatichita nei boschi, sulle ripe, sui greti e anche su terreni aridi, sassosi e instabili, dalla pianura fino ai monti, diventando un'infestante molto aggressiva, poiché sostituisce progressivamente la vegetazione preesistente, formando colonie;
   la sua diffusione è sempre più estesa anche nei centri urbani, dove è usata, inopinatamente, come rapido rimedio contro i raggi solari; la pianta è infatti nota anche per l'estrema rapidità di crescita in altezza, nonché la capacità di resistenza anche in assenza di precipitazioni piovose;
   la sua rapida diffusione produce tuttavia due effetti altamente dannosi, soprattutto nei centri urbani: la distruzione della flora limitrofa e la diffusione capillare e distruttiva su edifici, costruzioni e monumenti, producendo così un aggravio dei costi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle costruzioni e delle strade, nonché dei parchi pubblici e delle aree verdi –:
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno avviare iniziative di carattere nazionale, per ridurre o frenare la diffusione di questa pianta, a seguito degli effetti negativi prodotti in modo particolare nelle aree urbanizzate. (4-17327)

  Risposta. — Per quanto indicato nell'interrogazione in esame, con la quale si chiede di avviare iniziative di carattere nazionale per ridurre o frenare la diffusione dell'Ailanto, a seguito degli effetti negativi prodotti in modo particolare nelle aree urbanizzate, si rappresenta quanto segue.
  L'Ailanto
(Ailanthus altissima (Mill.) Swingle, Fam. Simaroubaceae) è una specie arborea dioica originaria della Cina. La prima introduzione in Europa avvenne nel 1743. In Italia, l'ailanto è stato usato nell'ottocento come pianta nutrice della saturnide orientale (Phylosamia cynthia), un baco da seta originario della Cina che si nutre esclusivamente di foglie di questa specie, in sostituzione del più famoso baco da seta. Il progetto di espansione della produzione serifera con l'impiego di questo nuovo bruco fu ben presto sospeso, vista la scarsa qualità della seta prodotta.
  Non più coltivato attivamente, l'ailanto ha subito evidenziato un carattere invasivo, favorito da alcuni caratteri tipici delle specie pioniere quali la spiccata eliofilia, il rapido accrescimento, la precoce maturità sessuale, la prodigiosa produzione di semi (facilitati da ali per la dispersione e con ottima germinabilità), l'elevata capacità pollonifera, la tolleranza all'inquinamento e a diversi fattori di disturbo.
  L'Ailanto è stato inoltre largamente utilizzato in Italia come pianta ornamentale, per le alberature stradali e per il consolidamento delle scarpate. In conseguenza del largo utilizzo e delle sue spiccate capacità invasive, l'Ailanto è riuscito ad occupare quasi tutti gli spazi a disposizione in tutte le regioni del nostro Paese, come evidenziato dal recente censimento sulla flora esotica ed invasiva italiana coordinato dall'università di Roma e finanziato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Gli impatti negativi più evidenti sono la sostituzione di formazioni vegetali autoctone con popolamenti pressoché monospecifici di Ailanto, la trasformazione di
habitat, le modifiche al paesaggio, la riduzione a scala locale della biodiversità, i danni meccanici a infrastrutture, le minacce alla conservazione dei beni archeologici. Si pensi ai molti ambienti italiani a clima mediterraneo che d'inverno mostrano alberi spogli di Ailanto invece della consueta vegetazione sempreverde.
  Gli impatti negativi dell'Ailanto sono stati studiati sia a livello nazionale sia internazionale. Tuttavia, l'eradicazione od anche solo il controllo dell'Ailanto a livello nazionale da parte di un'unica struttura risulterebbe estremamente costoso e di difficile realizzazione vista la sua abbondanza e presenza. Alcune soluzioni prospettate non porterebbero, tuttavia, alcun beneficio immediato: il blocco del commercio di tale specie, ad esempio (in seguito a
Int. plant protection convention/pest risk analysis ed applicazione del sanitary and phytosanitary measures del World trade organization), non sarebbe efficace in quanto la specie e già ampiamente presente in Italia e la sua attuale ed attiva diffusione non è una conseguenza diretta di scambi commerciali ma dovuta, invece, alla sua capacità auto-propagativa.
  Risulta comunque auspicabile attivare idonee misure di prevenzione di ulteriore diffusione e attuare interventi localizzati di rimozione e controllo in aree di particolare valore naturalistico, come ad esempio nelle piccole isole italiane. Diversi progetti LIFE, hanno avuto come obiettivo l'eradicazione dell'Ailanto da piccole isole italiane (esempio Montecristo, Toscana). Anche altri progetti in corso in Italia, prevedono, sia pure a livello locale, l'eradicazione di questa specie.
  La rimozione ed il controllo locale sono costosi, ma non impossibili, e richiedono verifiche per diversi anni successivi ai trattamenti. La prevenzione consiste nel controllo e monitoraggio degli ecosistemi non ancora invasi per poter effettuare una rimozione nelle primissime fasi di invasione e nella conservazione degli ecosistemi naturali in condizioni di buona naturalità, fattore che per sé stesso diminuisce il rischio di invasione.
  Per quanto, detto è chiaro che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non può assumersi un impegno così oneroso e capillare quale sarebbe la rimozione dell'Ailanto da tutto il territorio nazionale. La funzione del Ministero è stata ed è quella di informare, ma non può certamente provvedere all'eliminazione diretta di questa invasiva. L'attività informativa è comunque un fattore molto importante della prevenzione e potrebbe essere attivata nelle scuole e nei confronti di ordini professionali, gestori di aree protette, gestori del verde urbano eccetera. Va in questo senso anche la recente attività, supportata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di tradurre in Italiano il codice elaborato dal Consiglio d'Europa e dall’
European and mediterranean plant protection organization («Code of conduct on horticulture and invasive alien plants»). Si tratta infatti, di un codice volontario di buone pratiche indirizzato al settore floro-vivaistico e del verde ornamentale, in cui sono consigliate una serie di buone pratiche finalizzate alla riduzione della diffusione e degli impatti negativi delle specie vegetali aliene invasive, come appunto l'Ailanto. Tra i suggerimenti vi è quello di supportare la vendita di piante autoctone che rappresentino una valida alternativa a specie aliene a rischio di invasività. Per quanto riguarda la potenziale capacità invasiva di una specie, è stata validata in Ispra l'efficacia di un weed risk assessment utile per valutare e predire l'invasività di una specie vegetale.
  Può essere inoltre esplorata, ma sempre all'esterno del Ministero, una qualche forma di accordo/cooperazione tra potenziali utilizzatori (industria del cippato, industria della carta) e persone/organizzazioni desiderose di estirpare l'Ailanto dai propri territori. L'eliminazione dell'invasiva comporterebbe il conferimento del materiale, fino ad esaurimento, a costo zero. Il potere calorifico del legno dell'Ailanto è basso, ma si potrebbe ipotizzare un utilizzo in miscugli in percentuali molto limitate. In effetti, nelle zone rurali della Cina, il legno di Ailanto trova usi molteplici, dagli utensili da cucina alla costruzione di mobili, mentre nell'America del Nord ha trovato un utilizzo limitato come legno per ebanisteria, strumenti musicali o per la produzione di carta.
  L'Unione europea produrrà a breve una direttiva specifica sulle specie aliene invasive. Non va comunque dimentica che la legislazione vigente, sia a livello comunitario che nazionale e finanche regionale (ad esempio Lombardia, legge regionale n. 10 del 2008, contiene già diverse norme che limitano l'introduzione e l'uso di specie aliene invasive, e quindi anche dell'Ailanto, nel territorio nazionale, ad esempio nei SIC ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni eccetera. La deliberazione 6 novembre 2009 (
Gazzetta Ufficiale 18 febbraio 2010, n. 34) e simili atti precedenti, contengono espliciti interventi di controllo dell'Ailanto che potrebbe trovare giovamento dall'apertura di nuovi assi stradali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da quasi 20 anni (precisamente dal 31 gennaio 1992) l'Inps è proprietaria di uno stabile sito nel comune di Seregno (provincia di Monza e Brianza);
   tale stabile, posto in via Settembrini, a pochi passi dal centro della città, noto ai brianzoli come ex clinica Santa Maria, ha una superficie di 16.000 metri cubi (3.000 metri quadrati);
   l’ex clinica Santa Maria è in stato di totale abbandono e causa forti rischi anche per i cittadini;
   ad oggi non sono stati resi noti progetti di recupero dello stabile;
   più volte sono caduti calcinacci sulle strade, tantoché è stato necessario intervenire con ponteggi a protezione dei passanti ed ultimamente i passaggi sono stati interclusi, causando peraltro una riduzione della sede stradale;
   la presenza dei ponteggi e delle reti di protezione, oltre a causare un grave disagio alla popolazione, comporta ingenti esborsi dalle casse dell'Inps per il noleggio, per la manodopera e per l'occupazione del suolo pubblico;
   peraltro l'Inps, nella sola zona della Brianza nord (comuni di Carate Brianza, Seregno, Desio, Cesano Maderno), paga affitti milionari per sedi in affitto;
   ciò, evidentemente, rappresenta a giudizio dell'interrogante uno scandaloso caso di mala gestione di cosa pubblica e di sperpero di risorse, in una situazione, come quella attuale, di profonda crisi economica –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione suddetta e se non intenda intervenire celermente nei confronti dell'Inps affinché sia risolta definitivamente questa situazione di degrado e di inefficienza. (4-13779)

  Risposta. — L'interrogazione in esame concerne lo stato di abbandono di un immobile di proprietà dell'istituto nazionale delle previdenza sociale sito nel comune di Seregno, in provincia di Monza e Brianza.
  In proposito, l'istituto ha fatto sapere che il complesso immobiliare in questione, che si compone di un'ampia zona verde all'interno della quale si trovano un fabbricato di cinque piani, già adibito a casa di cura, e un fabbricato di piccole dimensioni, destinato a cappella, è stato acquistato dall'INPS nel 1992, nell'ambito del programma di decentramento delle strutture all'epoca vigente.
  L'immobile doveva essere utilizzato per l'istituzione di una sede autonoma di produzione, ma nelle more del procedimento volto al rilascio dei titoli abilitativi necessari per il cambiamento d'uso della struttura, l'originario progetto di ristrutturazione ha subito un ridimensionamento per effetto del mutato quadro normativo e gestionale.
  Nel 1994, a causa delle difficoltà di portare a termine il progetto di ristrutturazione e in considerazione delle nuove esigenze logistiche dell'istituto, è stata decisa l'alienazione dell'immobile o tramite una permuta con locali più adeguati all'uso o in alternativa tramite l'inserimento nei programmi di disinvestimento di cui all'articolo 9 della legge n. 537 del 1993.
  Tuttavia, in esito alla procedura ad evidenza pubblica avviata dall'istituto volta alla dismissione dell'immobile non è pervenuta alcuna offerta di acquisto.
  L'istituto riferisce, inoltre, di aver tentato più volte di utilizzare a fini strumentali il complesso immobiliare senza pervenire ad esiti favorevoli, anche a causa dei tempi connessi con il rilascio dei provvedimenti autorizzatori da parte degli enti locali coinvolti.
  Successivamente, l'INPS, in seguito all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 104 del 1996, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare, si è attivato al fine di procedere alla vendita dell'immobile, per il quale il comune di Seregno aveva manifestato un interesse all'acquisto. La trattativa con il comune non ha però avuto alcun esito, in ragione della discordante valutazione economica dell'immobile.
  In applicazione della legge n. 410 del 2001, recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare, l'istituto previdenziale ha, poi, avviato la procedura volta alla vendita diretta del bene immobile al di fuori delle operazioni di cartolarizzazione, non ritenute confacenti al caso in questione. Ciò nonostante, l'interesse del comune all'acquisto, inizialmente rinnovato, è venuto nuovamente meno.
  Riguardo allo stato di abbandono in cui versa l'immobile, va detto che la saltuarietà degli interventi di manutenzione effettuati dall'istituto è dovuta principalmente alla situazione di incertezza circa la destinazione del bene, legata anche al succedersi degli interventi normativi in materia, al ripetuto esito negativo delle trattative finalizzate all'alienazione, oltre che alla carenza di fondi per l'avvio di interventi strutturali di recupero.
  Nondimeno, l'istituto, nel corso degli anni, ha effettuato interventi volti a fronteggiare situazioni emergenziali a tutela della pubblica incolumità e ad impedire il progressivo degrado dell'immobile.
  In occasione dei lavori di messa in sicurezza svolti nel 2008, il coordinamento regionale tecnico edilizio, nel riscontrare la presenza di accessi abusivi, ha quantificato in 230.000 euro l'esborso annuo necessario per la sola vigilanza dell'immobile; tale spesa è tuttavia incompatibile con le disponibilità finanziarie che l'ente previdenziale può dedicare agli immobili a reddito.
  Da ultimo, nell'ottobre del 2011, nelle more dell'attuazione del piano di valorizzazione e alienazione del patrimonio immobiliare dell'istituto, di cui alla determinazione commissariale n. 109 del 25 giugno 2009, e al fine di impedire occupazioni abusive e l'ulteriore decadimento dell'immobile, la direzione regionale competente per territorio ha prospettato la possibilità di concedere il bene in uso gratuito agli enti territoriali eventualmente interessati.
  In questo contesto, l'istituto ha, tuttavia, evidenziato che la possibilità di concedere compendi immobiliari facenti parte del proprio patrimonio immobiliare in uso gratuito, pur non essendo interdetta in modo assoluto, è sottoposta a diversi e rigorosi presupposti.
  Nel caso di specie, infatti, poiché il bene in questione risulta inserito nel patrimonio da reddito, sarebbe da valutare se l'affidamento a titolo gratuito sia effettivamente compatibile con i criteri di economicità, efficienza ed ottimizzazione dei costi di gestione.
  In ogni caso, l'INPS ha assicurato che l'immobile è già inserito nel piano di valorizzazione degli immobili non adibiti allo svolgimento di funzioni istituzionali e che è stata interessata la direzione regionale competente, al fine di individuare una soluzione condivisa con gli enti territoriali che contemperi l'interesse delle parti, nel rispetto del principio di redditività del patrimonio immobiliare e tenuto conto della necessità di garantire il recupero e l'utilizzo del bene.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da oltre 20 anni l'Inps è proprietaria di uno stabile in stato di totale abbandono sito nel comune di Seregno (provincia di Monza e Brianza);
   tale stabile, posto in via Settembrini, a pochi passi dal centro della città, noto ai brianzoli come ex clinica Santa Maria, ha una superficie di 16.000 metri cubi (3.000 metri quadrati);
   ciò, come già evidenziato in altre interrogazioni parlamentari, rappresenta a giudizio dell'interrogante uno scandaloso caso di mala gestione di cosa pubblica e di sperpero di risorse, in una situazione, come quella attuale, di profonda crisi economica;
   in data 11 gennaio 2012, presso la sede regionale dell'INPS, si è tenuto un incontro per discutere di questa problematica, con l'obiettivo di ricercare una soluzione che consentisse un utilizzo proficuo della struttura oggi abbandonata;
   il direttore generale dell'INPS Lombardia, ha reso noto che, sulle basi delle normative vigenti, l'INPS è nell'impossibilità di cedere, anche ad altri enti pubblici, l'area interessata e di non poter intervenire direttamente per ristrutturare e riutilizzare lo stabile;
   la cessione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti pubblici risulta essere una priorità di questo Governo;
   l'alienazione di questo stabile permetterebbe di mettere a disposizione della comunità di Seregno un immobile per opere di carattere sociale –:
   se il Governo non intenda intervenire perché sia risolta definitivamente questa situazione di degrado e di inefficienza, assumendo iniziative anche per modificare le normative vigenti affinché sia resa possibile la cessione dello stabile ed il suo recupero. (4-14709)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame concerne il mancato utilizzo di un immobile di proprietà dell'Istituto nazionale delle previdenza sociale sito nel comune di Seregno, in provincia di Monza e Brianza.
  In proposito, l'istituto ha fatto sapere che il complesso immobiliare in questione, che si compone di un'ampia zona verde all'interno della quale si trovano un fabbricato di cinque piani, già adibito a casa di cura, e un fabbricato di piccole dimensioni, destinato a cappella, è stato acquistato dall'INPS nel 1992, nell'ambito del programma di decentramento delle strutture all'epoca vigente.
  L'immobile doveva essere utilizzato per l'istituzione di una sede autonoma di produzione, ma nelle more del procedimento volto al rilascio dei titoli abilitativi necessari per il cambiamento d'uso della struttura, l'originario progetto di ristrutturazione ha subito un ridimensionamento per effetto del mutato quadro normativo e gestionale.
  Nel 1994, a causa delle difficoltà di portare a termine il progetto di ristrutturazione e in considerazione delle nuove esigenze logistiche dell'istituto, è stata decisa l'alienazione dell'immobile o tramite una permuta con locali più adeguati all'uso o in alternativa tramite l'inserimento nei programmi di disinvestimento di cui all'articolo 9 della legge n. 537 del 1993.
  Tuttavia, in esito alla procedura ad evidenza pubblica avviata dall'istituto, volta alla dismissione dell'immobile, non è pervenuta alcuna offerta di acquisto.
  L'istituto riferisce, inoltre, di aver tentato più volte di utilizzare a fini strumentali il complesso immobiliare senza pervenire ad esiti favorevoli, anche a causa dei tempi connessi con il rilascio dei provvedimenti autorizzatori da parte degli enti locali coinvolti.
  Successivamente, l'INPS, in seguito all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 104 del 1996, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare, si è attivato al fine di procedere alla vendita dell'immobile, per il quale il comune di Seregno aveva manifestato un interesse all'acquisto. La trattativa con il comune non ha però avuto alcun esito, in ragione della discordante valutazione economica dell'immobile.
  In applicazione della legge n. 410 del 2001, recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare, l'istituto previdenziale ha, poi, avviato la procedura volta alla vendita diretta del bene immobile al di fuori delle operazioni di cartolarizzazione, non ritenute confacenti al caso in questione. Ciò nonostante, l'interesse del comune all'acquisto, inizialmente rinnovato, è venuto nuovamente meno.
  Riguardo allo stato di abbandono in cui versa l'immobile, va detto che la saltuarietà degli interventi di manutenzione effettuati dall'Istituto è dovuta principalmente alla situazione di incertezza circa la destinazione del bene, legata anche al succedersi degli interventi normativi in materia, al ripetuto esito negativo delle trattative finalizzate all'alienazione, oltre che alla carenza di fondi per l'avvio di interventi strutturali di recupero.
  Nondimeno, l'istituto, nel corso degli anni, ha effettuato interventi volti a fronteggiare situazioni emergenziali a tutela della pubblica incolumità e ad impedire il progressivo degrado dell'immobile.
  In occasione dei lavori di messa in sicurezza svolti nel 2008, il coordinamento regionale tecnico edilizio, nel riscontrare la presenza di accessi abusivi, ha quantificato in 230.000 euro l'esborso annuo necessario per la sola vigilanza dell'immobile; tale spesa è tuttavia incompatibile con le disponibilità finanziarie che, allo stato attuale, l'ente previdenziale può dedicare agli immobili a reddito.
  Da ultimo, nell'ottobre del 2011, nelle more dell'attuazione del Piano di valorizzazione e alienazione del patrimonio immobiliare dell'Istituto, di cui alla determinazione commissariale n. 109 del 25 giugno 2009, e, al fine di impedire occupazioni abusive e l'ulteriore decadimento dell'immobile, la direzione regionale competente per territorio ha prospettato la possibilità di concedere il bene in uso gratuito agli enti territoriali eventualmente interessati.
  In questo contesto, l'Istituto ha, tuttavia, evidenziato che la possibilità di concedere compendi immobiliari facenti parte del proprio patrimonio immobiliare in uso gratuito, pur non essendo interdetta in modo assoluto, è sottoposta a diversi e rigorosi presupposti.
  Nel caso di specie, infatti, poiché il bene in questione risulta inserito nel patrimonio da reddito, sarebbe da valutare se l'affidamento a titolo gratuito sia effettivamente compatibile con i criteri di economicità, efficienza ed ottimizzazione dei costi di gestione.
  In ogni caso, l'INPS ha assicurato che l'immobile è già inserito nel piano di valorizzazione degli immobili non adibiti allo svolgimento di funzioni istituzionali e che è stata interessata la direzione regionale competente, al fine di individuare una soluzione condivisa con gli enti territoriali che contemperi l'interesse delle parti, nel rispetto del principio di redditività del patrimonio immobiliare e tenuto conto della necessità di garantire il recupero e l'utilizzo del bene.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del 19 aprile 2012 a Milano si è verificato un episodio di intimidazione molto grave ai danni dei militanti e della sede della Lega Nord di piazza XXIV Maggio;
   alcuni ignoti, appartenenti probabilmente ai centri sociali, hanno infatti cercato di sfondare le vetrate di ingresso della sede della Lega Nord in zona Darsena;
   gli autori del blitz si sono serviti di fioriere in ferro come arieti, credendo che la sede fosse vuota; quando dai locali si sono udite le voci dei giovani padani presenti, il commando si è dileguato;
   un altro episodio di intimidazione, causato probabilmente da altri ragazzi appartenenti ai centri sociali, si è verificato nella giornata di domenica 22 aprile 2012 ai danni di un giovane padano, preso un gazebo della Lega Nord in piazzale Farina a Milano;
   questi episodi sono preoccupanti e da condannare, derivati a giudizio dell'interrogante dalla campagna mediatica in atto volta a discriminare la Lega Nord, unico partito all'opposizione del Governo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti suddetti e se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, affinché si possa porre fine a tali frequenti episodi di intimidazione politica. (4-15870)

  Risposta. — Il 20 aprile 2012, verso la mezzanotte, personale della questura di Milano è intervenuto in Piazza XXIV maggio, presso la sede della Lega Nord, a seguito della segnalazione di tentata intrusione ad opera di ignoti.
  Il responsabile della sede, presente all'interno della struttura unitamente ad altri militanti, ha riferito di avere sentito forti rumori provenienti dall'ingresso, nonché grida di alcune persone che inveivano nei loro confronti e nei confronti della Lega.
  Al fine di evitare qualsiasi contatto con gli estranei i militanti leghisti si sono limitati a richiedere l'intervento delle forze dell'ordine che, prontamente intervenute sul posto, non hanno accertato alcun danno alla struttura, né hanno potuto identificare gli autori del fatto perché si erano già allontanati.
  Si rappresenta che sulla vicenda non risulta essere stata sporta alcuna querela.
  Qualche giorno dopo, il pomeriggio del 22 aprile, si è verificato un altro episodio analogo in piazzale Farina.
  In questo caso, le forze dell'ordine hanno accertato che durante una normale attività di propaganda politica, relativa ad una raccolta di firme a favore dello sgombero di una casa occupata a Milano in via Arbe, i militanti leghisti presenti sono stati avvicinati da due giovani contrari a tale attività, che li hanno ingiuriati e minacciati.
  Gli autori dei fatti descritti – due giovani risultati appartenenti al centro sociale «Cantiere» – sono stati identificati e denunciati in stato di libertà per il reato di violenza privata in concorso.
  Uno dei denunciati la mattina dello stesso giorno aveva già avuto un alterco con un militante leghista presente presso il gazebo allestito dalla Lega Nord.
  A seguito degli avvenimenti sopra riportati la locale questura ha intensificato i servizi di vigilanza a tutte le strutture che ospitano sedi della Lega Nord.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   HOLZMANN, BRESSA, PATARINO e GNECCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento MEMC di Sinigo (Bolzano), che è stato oggetto di una recentissima ristrutturazione da 40 milioni di euro, produce silicio per componenti elettronici di elevatissima purezza; l'impresa intendeva avviare un'attività parallela per la produzione di policristallino per pannelli fotovoltaici;
   l'azienda aveva anche assunto nuova manodopera per soddisfare i numerosi ordini anche per la produzione di pannelli fotovoltaici, ma si è imbattuta negli elevati costi di approvvigionamento energetico, costi che hanno determinato la messa in cassa integrazione di 350 lavoratori;
   la situazione locale sta destando comprensibile preoccupazione sia per le famiglie dei lavoratori coinvolti che per il notevole indotto generato dall'azienda che rischia di essere irrimediabilmente compromesso –:
   se il Governo sia stato messo a conoscenza delle problematiche che riguardano lo stabilimento e quali iniziative di competenza intenda assumere per risolverle;
   se sia stata valutata la possibilità di assumere iniziative volte a prevedere uno sconto energetico analogamente a quanto fu fatto per lo stabilimento ALCOA in Sardegna e se sia stata valutata e se sia percorribile la realizzazione entro tempi brevissimi di un elettrodotto, di poche centinaia di metri, per consentire l'importazione di energia elettrica dall'Austria ad un costo decisamente inferiore che risolverebbe immediatamente l'intera situazione. (4-14983)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico ha seguito le problematiche della Società Memc Electronic materials S. p. da tempo.
  Dopo molteplici incontri, l'ultimo si e tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico in data 10 gennaio scorso. In tale sede il rappresentante del Ministero ha comunicato di aver provveduto, unitamente a tutte le parti coinvolte, a esaminare scelte tecnicamente e giuridicamente valide che consentano alla società di acquisire energia a prezzi competitivi in tempi rapidi al fine di favorire una veloce ripresa dell'attività.
  Ha aggiunto, inoltre, che si opererà su due fronti: il «decreto Energivori», ora allo studio del Ministero dell'economia e delle finanze e l'acquisto di energia a prezzi ridotti, anche attraverso il coinvolgimento diretto della Memc. È stata, infatti, individuata un'alternativa percorribile che l'azienda valuterà sotto l'aspetto della fattibilità economica.
  A tal fine è stato necessario, considerata la tempistica richiesta per la soluzione strutturale individuata, ipotizzare una soluzione transitoria per garantire la tempestiva ripresa dell'attività.
  Nella stessa riunione il Presidente della Memc e mister Crocker, intervenuto in rappresentanza della Corporate, hanno confermato, l'interessamento della casa madre a continuare la produzione di policristallo a costi competitivi e a investire in Italia, così come anche confermato, da un protocollo d'intesa. In tale atto è prevista la cessione da parte dell'Evonik Industries del proprio stabilimento di produzione di triclorosilano alla Memc, al fine di realizzare tale prodotto direttamente nel sito di Merano.
  Risulta evidente, pertanto, come tutte le istituzioni (Ministero dello sviluppo economico, Pab e Terna) abbiano operato affinché si riuscisse a individuare un'alternativa percorribile, principalmente sotto il profilo giuridico, e che consenta di facilitare il potenziamento della capacità energetica della Memc con interconnessione in chiave di
Merchant e dunque, attraverso il coinvolgimento diretto della multinazionale.
  Il Ministero dello sviluppo economico riconvocherà, comunque, il tavolo di confronto per verificare lo stato di avanzamento delle azioni così individuate e la relativa tempistica.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   JANNONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 si è registrato un notevole incremento di giovani emigranti italiani verso la Germania; non si tratta soltanto dei cosiddetti «cervelli in fuga», ma anche di ragazze e ragazzi che costituiscono la cosiddetta «generazione 2.0», o più propriamente «generazione 35 per cento (di disoccupati). I dati della Bundesagentur für Arbeit, l'agenzia tedesca del lavoro, lasciano pochi dubbi sul fatto che si tratti di un fenomeno strutturale e non di un andamento temporaneo. L'accelerazione, dai 2009 al 2011, è netta. La sostanza è che in questi due anni l'aumento dei lavoratori italiani in Germania, in percentuale, è pari a quello dei lavoratori in arrivo dalla Grecia. Più 6,4 per cento per questi ultimi, più 6,3 per cento per gli italiani. Alle spalle gli ellenici hanno un Paese nel quale la disoccupazione ufficiale e attorno al 23 per cento mentre in Italia supera appena il 10 per cento. Ma in entrambe le economie solo un cittadino su tre ha effettivamente un posto, segnala Eurostat, dunque l'andamento parallelo nelle migrazioni verso Nord non è poi così strano;
   oltre ad italiani e greci, il ritmo dei flussi verso la Germania appare in crescita sempre più rapida anche per spagnoli e portoghesi. Gli europei del Sud riprendono le strade battute dai loro nonni, per le stesse ragioni. All'inizio della crisi, nell'anno di crollo seguito al crac di Lehman Brothers, era un piccolo rivolo di uscite (più 1,7 per cento di italiani e spagnoli in Germania nel 2010). Nel 2011 è diventato un flusso pronunciato, più 4,47 per cento l'Italia e anche di più Spagna, Grecia o Portogallo. E quest'anno sembra un'esplosione dall'Italia verso la Repubblica federale di persone in cerca di lavoro. La Bundesagentur für Arbeit segnala 189.299 lavoratori italiani in regola con i contributi in Germania nel 2011 (8000 in più sul 2010) e ben 232.800 a maggio di quest'anno, un'impennata addirittura del 22 per cento forse però dovuta in parte a un effetto ottico delle statistiche: possibile che molti lavorassero già nella Repubblica federale, ma sono stati regolarizzati solo negli ultimi mesi. Nonostante ciò, si è di fronte ad un'inversione di tendenza. Dai tempi dei primi emigranti, fino a metà dello scorso decennio, era proseguito il graduale declino nella presenza dei lavoratori italiani in Germania. Il 2005 ha segnato il minimo a 171 mila. Poi il malessere economico decennale a Sud delle Alpi e gli choc successivi hanno provocato la ripresa delle abitudini di un tempo;
   pressati dal boom dell’export e dal declino demografico, i tedeschi fanno quanto possono per incoraggiare l'arrivo di nuova manodopera; i distretti della meccanica, soprattutto in provincia, hanno sete di nuovi operai da formare. Spiegel scrive che solo nella regione metropolitana del Reno-Neckar, a sud-ovest, si prevede una carenza di manodopera specializzata per 35 mila unità entro il 2013. La Zdh, la confederazione tedesca dei mestieri che rappresenta elettricisti, edili o commercianti, è arrivata a contattare le congregazioni religiose in Spagna perché convincano i giovani parrocchiani a trasferirsi nella provincia profonda tedesca nell'Emsland o a Mannheim;
   questa recessione così feroce, così apparentemente cronica, inoltre, spinge sempre di più un'intera generazione di italiani, spagnoli, portoghesi e greci al pragmatismo. Le sedi del Goethe Institut sono così subissate di richieste d'iscrizione che – fa sapere la scuola di lingua – «in molte sedi si è dovuta aumentare l'offerta». Come mostra il grafico qui sopra, l'aumento è a doppia cifra in tutta l'Europa del Sud. Italia inclusa. Dice il presidente del Goethe Klaus-Dieter Lehmann: «Sono i giovani che vogliono i nostri corsi, ma non per leggere Schiller in originale: vogliono migliorare le loro possibilità di trovare un lavoro». Il Goethe Institut ha studiato con cura l'antropologia dell'iscritto medio sudeuropeo di nuova generazione: «Italia: principalmente giovani uomini, in maggioranza con una buona istruzione, che vogliono migliorare le loro prospettive di lavoro» (gli spagnoli invece, «fra i 20 e i 40 anni»). Non è uno sforzo inutile. Se qualche anno fa i professori insegnavano il vocabolario della teologia, della filosofia o della poesia, romantica, adesso hanno introdotto corsi per il tedesco del settore meccanici e auto: lo hanno fatto per esempio a Torino, dove nell'ultimo anno le iscrizioni al Goethe sono cresciute del 26 per cento (anche perché l'Italdesign di Giorgetto Giugiaro è passata alla Volkswagen). Altrove i corsi del Goethe, da Napoli a Barcellona, si concentrano sulle parole utili per infermieri, medici o laureati in legge –:
   quali interventi i Ministri intendano adottare, al fine di incentivare l'occupazione giovanile in Italia, limitando l'eccessiva emigrazione della nostra forza lavoro all'estero. (4-17579)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali iniziative si intendano adottare per incentivare l'occupazione giovanile in Italia, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si osserva che la questione sollevata dall'interrogante investe l'azione di più istituzioni e riguarda un fenomeno complesso e variegato.
  L'ultimo comunicato Eurostat (1o febbraio 2013) rileva che a dicembre 2012 il tasso di disoccupazione nell'eurozona (17 paesi europei) è stato pari all'11,7 per cento, mentre nel più ampio spazio dell'Unione europea è stato pari al 10,7 per cento. La stessa fonte statistica riferisce che in Italia si è registrato un tasso di disoccupazione dell'11,2 per cento in aumento rispetto allo stesso mese del 2011 (9,5 per cento). Quanto al tasso di disoccupazione dei giovani al di sotto dei 25 anni, esso è aumentato rispetto al dicembre 2011, attestandosi nell'eurozona al 24,0 per cento e nell'Unione europea al 23,4 per cento. In Italia tale percentuale è pari al 36,6 per cento nel dicembre 2012 contro il 31,7 per cento del dicembre 2011, confermando così l'aumento della disoccupazione giovanile, soprattutto nel sud del Paese.
  In ragione di ciò, occorre intraprendere in favore delle giovani generazioni azioni di carattere generale capaci di comprendere ambiti diversi, da un lato, sollecitando i giovani a coltivare la passione per lo studio, evitando la dispersione scolastica, e, dall'altro, facilitando il loro ingresso nel mercato del lavoro, anche incoraggiando lo spirito imprenditoriale e l'innovazione.
  Per favorire la transizione dei giovani dalla scuola al lavoro è stata potenziata la rete degli operatori autorizzati o accreditati allo svolgimento delle attività di intermediazione presenti nel mercato del lavoro. Ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 276 del 2003, come recentemente novellato dall'articolo 29, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, gli istituti scolastici, le università e i loro consorzi possono sviluppare al loro interno le attività di orientamento al lavoro e di vero e proprio
career service, con l'obiettivo di assistere gli studenti, i laureati e i diplomati master nella fase di inserimento professionale e di agevolare le aziende e le istituzioni nei processi di ricerca di risorse qualificate.
  Inoltre, per facilitare l'incontro fra domanda e offerta di lavoro il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha realizzato il portale cliclavoro
(www.cliclavoro.gov.it) che costituisce la borsa continua nazionale del lavoro di cui all'articolo 15 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
  Scopo del portale è garantire la circolazione delle informazioni tra tutti gli attori coinvolti nel «sistema lavoro», offrire una gestione efficace e integrata dei servizi, favorire una reale mobilità dei lavoratori sul territorio nazionale e garantire il raccordo con i sistemi delle imprese, dell'istruzione, della formazione e delle politiche sociali.
  In particolare, il collegamento stabile tra la scuola e il mondo del lavoro, anche tramite tirocini ed esperienze di lavoro, assume un ruolo decisivo al fine di superare le difficoltà strutturali e sistemiche del mercato del lavoro, tramite un maggior coinvolgimento di strutture pubbliche e private.
  Con la legge 28 giugno 2012, n. 92, recante «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita» sono state previste, oltre a diverse misure volte ad incrementare l'occupazione in particolar modo giovanile, anche una complessiva revisione del sistema degli ammortizzatori sociali.
  La citata legge mira espressamente a realizzare un mercato del lavoro dinamico, flessibile e inclusivo, idoneo a contribuire alla crescita e alla creazione di occupazione di qualità, ripristinando allo stesso tempo la coerenza tra la flessibilità del lavoro e gli istituti assicurativi.
  Fra le finalità dell'intervento, se ne segnalano alcune di evidente impatto sull'occupazione giovanile: favorire l'instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, ribadendo il rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato; valorizzare l'apprendistato come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro; contrastare l'uso improprio degli elementi di flessibilità introdotti negli anni, rendere più efficiente ed equo l'assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di rafforzamento dell'occupabilità delle persone; promuovere una maggiore inclusione delle donne nella vita economica del Paese.
  Per quanto riguarda in particolare il tema dell'occupazione giovanile, la legge di riforma del mercato del lavoro ha inteso potenziare il contratto di apprendistato, considerato come il principale canale di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
  Riprendendo sostanzialmente l'impianto del decreto legislativo n. 167 del 2011 (cosiddetto testo unico apprendistato), la riforma prevede una durata minima del contratto di apprendistato, introduce un meccanismo in base al quale l'assunzione di nuovi apprendisti è collegata alla percentuale di stabilizzazioni effettuate dal datore di lavoro e dispone l'innalzamento del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati.
  Inoltre, per ridare slancio all'apprendistato, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le regioni e le province autonome e le parti sociali, ciascuno per la parte di rispettiva competenza, sono fortemente impegnati nella predisposizione della disciplina attuativa del testo unico.
  In particolare, sono stati definiti due accordi fra Governo, regioni e province autonome, di cui il primo, siglato il 15 marzo 2012, ha per oggetto la definizione dei profili formativi per l'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale mentre il secondo, siglato il 19 aprile 2012, è volto alla definizione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze comunque acquisite in apprendistato, a norma dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 167 del 2011.
  Con specifico riferimento al tema del recupero dei giovani che hanno lasciato prematuramente gli studi, si richiama la possibilità, offerta dall'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale ai ragazzi che possiedono solo il diploma di licenza media, di acquisire, lavorando, una qualifica ed un diploma entro i 25 anni, superando il limite precedentemente stabilito per questa tipologia di apprendistato fissato al compimento dei 18 anni.
  Inoltre, con la legge di stabilità per il 2012 (legge n. 183 del 2011) è stato introdotto uno sgravio contributivo volto a favorire l'assunzione di giovani lavoratori, che integrando il regime precedente, rende ancora più vantaggioso il ricorso al contratto di apprendistato. Infatti, ai datori di lavoro che occupano alle proprie dipendenze un numero di addetti pari o inferiore a nove, che, tra il 1o gennaio 2012 e il 31 dicembre 2016, assumeranno apprendisti sarà riconosciuto uno sgravio contributivo del 100 per cento per tre anni.
  Inoltre, al fine di favorire il collegamento stabile tra la scuola e il mondo del lavoro, anche tramite tirocini ed esperienze di lavoro, la riforma del mercato del lavoro prevede che il Governo e le regioni concludano, in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra Stato, regioni e province autonome, un accordo per la definizione di linee-guida in materia di tirocini formativi e di orientamento, accordo sancito nella seduta del 24 gennaio 2013. Fra i principi e i criteri direttivi, la legge prevede che ai tirocinanti venga riconosciuta una congrua indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta.
  Viene, inoltre, stabilito un sistema di premialità che colleghi la ripartizione delle risorse del Fondo sociale europeo alle prestazioni di politiche attive e servizi per l'impiego.
  Allo scopo di realizzare la necessaria convergenza tra politiche attive e passive e la piena realizzazione di un sistema informativo unico, si dispone la realizzazione entro il 30 giugno 2013 di una banca dati condivisa tra l'Inps e i centri per l'impiego, che consentirà l'utilizzo congiunto dei flussi informativi provenienti dalla cosiddetta banca dati percettori.
  Infine, viene fissato il nuovo termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di riforma del mercato del lavoro per l'esercizio della delega di cui all'articolo 1 della legge n. 247 del 2007, includendo nella delega al Governo anche il riordino della normativa in materia di politiche attive accanto a quella dei servizi per l'impiego.
  Conseguentemente, sono stati aggiunti altri criteri direttivi finalizzati ad incentivare la ricerca attiva di una nuova occupazione, la qualificazione professionale dei giovani e la riqualificazione di coloro che sono stati espulsi dal mercato.
  Fra gli interventi più recenti si segnala che il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 dicembre 2011, n. 214 («Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici») ha previsto, all'articolo 2, alcune maggiorazioni delle deduzioni ai fini Irap riferite al costo del lavoro, con particolare riferimento all'assunzione a tempo indeterminato di donne e giovani di età inferiore ai 35 anni.
  Il medesimo decreto all'articolo 24, comma 27, ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo per il finanziamento di interventi volti a favorire l'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione giovanile e delle donne.
  Con il decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27 («Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività»), al fine di promuovere l'imprenditoria giovanile, è stata introdotta la possibilità di costituire società a responsabilità limitata semplificata, con capitale sociale da 1 euro fino a 10.000 euro, da parte di giovani che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età. Il citato decreto, inoltre, all'articolo 9, ha previsto la possibilità di effettuare i tirocini finalizzati all'iscrizione negli albi professionali, per i primi sei mesi, in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica ovvero presso pubbliche amministrazioni, all'esito del corso di laurea.
  Inoltre, con l'articolo 59 del decreto-legge n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1 comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35 («Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo»), è stato esteso di ulteriori 12 mesi il periodo entro cui, nelle regioni del Mezzogiorno, i datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati, fra cui rientrano anche i giovani, possono usufruire del credito di imposta introdotto dall'articolo 2 del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 per la creazione di nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno.
  In proposito, si segnala, infine, che sono state definite, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 24 maggio 2012, le modalità di attuazione del citato articolo 2 del decreto-legge n. 70 del 2011. L'assunzione, da effettuare nei ventiquattro mesi successivi alla data di entrata in vigore del decreto legge, riguarda lavoratori definiti dalla Commissione europea «svantaggiati» o «molto svantaggiati» nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna, nel rispetto delle condizioni previste dal regolamento (CE) n. 800 del 2008, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune.
  Nell'ambito, poi, della programmazione dei Fondi strutturali 2007/2013, sono stati finanziati numerosi progetti finalizzati al miglioramento delle condizioni dei giovani inoccupati o disoccupati, sia sotto il profilo del miglioramento delle competenze e del contrasto alla dispersione scolastica che sotto il profilo dell'analisi degli strumenti messi in atto per favorire l'inserimento lavorativo dei giovani, anche al fine di un'ulteriore concentrazione di risorse.
  Per favorire la mobilità dei giovani in Europa è stata sviluppata la rete Eures
(European employment services – servizi europei per l'impiego), ovvero una rete di cooperazione formata dai servizi pubblici per l'impiego, cui partecipano anche i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro. Inoltre, il programma Leonardo da Vinci, (finanziato anch'esso dalla Commissione europea) promuove la mobilità transnazionale dei giovani attraverso tirocini ed esperienze lavorative presso enti e imprese dell'Unione europea.
  Ulteriori misure sono state adottate dal Governo per promuovere, in particolare, l'accesso dei giovani nel settore agricolo, con riferimento alla dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola; a misure per i giovani imprenditori nel settore della pesca; a programmi di sviluppo rurale e all'Osservatorio per l'imprenditoria giovanile in agricoltura (Oiga) oltre ad interventi per lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile in agricoltura.
  Si evidenzia, poi, che il dipartimento della gioventù presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con l'avvio del progetto «diritto al futuro», ha inteso ridare fiducia alle giovani generazioni tramite un insieme di azioni sui temi del lavoro, della casa, della formazione e dell'auto-impiego tramite la realizzazione di piccole iniziative imprenditoriali.
  Il progetto «diritto al futuro» si articola in cinque azioni principali:
   1. fondo per la casa che consente alle giovani coppie di ottenere un mutuo per l'acquisto della prima casa, anche se prive delle garanzie abitualmente richieste;
   2. fondo per lo studio che permette ai giovani meritevoli, ma privi dei mezzi finanziari sufficienti, di intraprendere un percorso di studi o completare la propria formazione grazie a un prestito garantito dallo Stato;
   3. fondo genitori precari, il quale riconosce ai giovani genitori disoccupati o precari una dote trasferibile ai datori di lavoro che li assumono alle proprie dipendenze con contratto a tempo indeterminato, anche a tempo parziale;
   4.
Campus mentis. Si tratta di un'azione organica di job placement dedicata ai migliori laureati italiani;
   5. fondo mecenati che consiste in un fondo al quale possono accedere le grandi strutture private che intendono investire risorse proprie sulla valorizzazione professionale, lavorativa o imprenditoriale di giovani meritevoli.

  Infine, con la legge di riforma del mercato del lavoro sono state previste diverse misure finalizzate, da un lato, a favorire la creazione di posti di lavoro più stabili e, dall'altro, a contrastare l'uso improprio e strumentale delle tipologie contrattuali flessibili che di fatto vedono coinvolti soprattutto i giovani.
  Di recente, con il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), è stato creato un quadro di riferimento normativo nazionale per le imprese innovative
(start-up) che dovrebbe ispirare e sostenere lo sforzo che negli ultimi anni le regioni e gli altri attori pubblici e privati hanno profuso a loro favore.
  Nell'introdurre la definizione di impresa innovativa, le nuove misure toccano tutti gli aspetti più importanti del ciclo di vita di una
start-up – dalla nascita alla fase di sviluppo, fino alla sua eventuale chiusura – ponendo l'Italia all'avanguardia nel confronto con gli ordinamenti dei principali partner europei. Tali norme danno anche seguito a quanto indicato nel programma nazionale di riforma e rispondono a raccomandazioni specifiche dell'Unione europea che individuano nelle start-up una leva di crescita e di creazione di occupazione per l'Italia.
  Le
start-up devono assumere la veste giuridica di società di capitali, costituite anche in forma cooperativa non quotate, detenute e controllate almeno al 51 per cento da persone fisiche. Esse devono avere la sede principale in Italia, meno di 4 anni di attività e un fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro; non devono altresì distribuire utili e il loro contenuto innovativo è identificato con la destinazione di almeno il 30 per cento delle loro spese in ricerca e sviluppo.
  Inoltre, almeno un terzo della forza lavoro complessiva deve essere costituita da dottorandi, dottori di ricerca o ricercatori, ovvero occorre essere titolari o licenziatari di brevetto. È previsto l'obbligo di iscrizione all'apposita sezione speciale del registro delle imprese, per assicurare massima trasparenza sui dati
start-up.
  Sotto il profilo del contratto di lavoro, le disposizioni introducono misure volte a favorire l'assunzione di lavoratori da parte di start-up innovative. Potranno essere stipulati contratto di lavoro a tempo determinato per una durata di almeno sei mesi e nel periodo tra i sei mesi e i tre anni saranno possibili più rinnovi contrattuali anche senza soluzione di continuità; dopo il terzo anno è possibile un solo rinnovo per un ulteriore anno e dopo quattro anni l'assunzione sarà a tempo indeterminato, altrimenti è espressamente vietato che la collaborazione possa continuare con altre fattispecie di lavoro subordinato o anche «fittiziamente» autonomo.
  La remunerazione sarà composta da una parte fissa, che segue i minimi tabellari, e una parte variabile, che può essere remunerata anche con quote della società
(stock options). Vi è anche la possibilità di remunerare fornitori esterni con quote della società (work for equity). Sono previsti incentivi fiscali per privati cittadini e aziende che investono in start-up.
  In conclusione, le politiche giovanili ovvero l'insieme dei provvedimenti volti a favorire la partecipazione e l'aggregazione degli under 35 alla vita collettiva sono una delle priorità del Governo che, con i recenti interventi normativi, ha intrapreso numerose iniziative a favore delle nuove generazioni, nella consapevolezza che l'investimento più importante che il Paese possa fare è quello sul capitale umano e sui giovani in particolare che ne rappresentano il futuro.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMichel Martone.


   LAINATI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri ha indetto un concorso per esami a sei posti di dirigente di seconda fascia dell'area della promozione culturale, con decreto ministeriale n. 154-bis del 27 marzo 2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – 4° serie speciale «Concorsi ed esami» n. 25 del 30 marzo 2012;
    i dirigenti di seconda fascia della promozione culturale verranno destinati, dopo un periodo di servizio alla Farnesina, a dirigere importanti istituti italiani di cultura all'estero;
   i criteri e le linee guida per la nomina dei direttori di istituto italiano di cultura sono chiaramente indicati nella legge 22 dicembre 1990, n. 401, nonché nel decreto 449-bis del 28 giugno 2007 a firma dell'ambasciatore Gherardo La Francesca. Criteri che si riassumono qui di seguito: «professionalità acquisita; specifiche competenze e attitudini professionali, desumibili anche da precedenti esperienze nella gestione di eventi culturali e dalla conoscenza di particolari lingue ed aree geografiche; esperienza maturata nella gestione di un Istituto, con particolare riguardo all'utilizzo delle risorse umane e finanziarie, rilevabile – in quest'ultimo caso – anche attraverso l'analisi dei bilanci relativi ai precorsi incarichi; capacità dimostrata nel reperimento di risorse finanziarie derivanti da servizi resi all'utenza ed eventuali sponsorizzazioni»;
   va ribadita inoltre l'importanza che la stessa amministrazione degli affari esteri attribuisce all'esperienza nella gestione diretta dei corsi di lingua e cultura italiana, finalità degli istituti di cultura nonché preziosa fonte di autofinanziamento per i medesimi;
   va ricordato altresì che il Ministro interrogato, in occasione dell'ultima tornata di nomine a direttore di istituto di cultura «per chiara fama», ha richiamato l'importanza dei suddetti criteri e linee guida, soffermandosi in particolare sulla capacità di attrarre le necessarie risorse finanziarie grazie alla collaborazione con il privato e a forti collegamenti con i diversi settori della società locale; e sulla capacità di gestire strutture complesse quali sono gli Istituti Italiani di Cultura;
   consta all'interrogante che:
    a) la graduatoria finale è formata da soli 8 nominativi, tra vincitori e idonei, mentre i concorrenti erano in numero di 150 circa;
    b) gran parte dei direttori e degli addetti culturali di ruolo del Ministero degli affari esteri – i più esperti e, si presume, i più preparati – non sono stati ammessi agli orali, benché il loro operato fosse stato valutato come eccellente dall'amministrazione stessa;
    c) alcuni fra i vincitori e gli idonei non hanno mai diretto un Istituto italiano di cultura, né hanno esperienza comprovata nella gestione dei corsi di lingua italiana;
   è evidente, ad avviso dell'interrogante, la discrasia tra criteri mediante i quali l'amministrazione degli affari esteri nomina, e successivamente valuta, i direttori di istituti italiani di cultura e i criteri scelti dalla commissione d'esame, benché quest'ultima, presieduta da un ambasciatore a riposo, fosse emanazione dell'amministrazione stessa –:
   quali criteri abbia adottato la Commissione d'esame del concorso in questione nel valutare i candidati;
   quali siano state le modalità di nomina dei componenti della commissione d'esame e quali siano i loro titoli professionali e culturali, nonché le modalità di valutazione delle prove, in particolare quella di lingua inglese;
   quali approfondimenti il Ministro intenda promuovere per tutelare la professionalità dei direttori e addetti culturali di ruolo del Ministero degli affari esteri affinché non venga declassato il profilo professionale di molti istituti italiani di cultura all'estero. (4-19264)

  Risposta. — Come noto, nei giorni 4, 5 e 6 settembre 2012 si sono svolte le prove scritte del concorso per esami a sei posti di dirigente di seconda fascia dell'area della promozione culturale, per il quale alla fine delle giornate d'esame si è constatata la presenza di 141 candidati effettivi.
  Le prove scritte consistevano in tre elaborati: il primo, inteso ad accertare la conoscenza del candidato del patrimonio culturale italiano; il secondo, degli aspetti gestionali connessi alla programmazione culturale all'estero degli istituti italiani di cultura e delle attività istituzionali del Ministero degli affari esteri; il terzo, della lingua inglese.
  Le prove orali consistevano in un colloquio mirante ad accertare la preparazione e la professionalità del candidato, la sua attitudine all'espletamento delle funzioni dirigenziali nonché la sua conoscenza delle problematiche degli istituti italiani di cultura all'estero. Per le prove orali, oltre alle materie citate per le prove scritte, il candidato era tenuto a dimostrare la sua preparazione su altre materie (tra cui ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri e politiche comunitarie in ambito culturale) nonché a superare una prova di conoscenza a livello avanzato di un'ulteriore lingua straniera a scelta tra francese, spagnolo, tedesco, russo, portoghese ed arabo.
  Si è trattato quindi di prove d'esame selettive e peculiari, richiedenti al contempo un alto livello culturale, comprovate capacità manageriali e la conoscenza delle lingue straniere (inglese
in primis): in breve, delle prove d'esame mirate ad accertate la specifica attitudine dei candidati a svolgere le importanti funzioni della dirigenza per l'area della promozione culturale nell'amministrazione degli affari esteri.
  Non sorprende, quindi, che alla fine delle sessioni di correzione delle prove scritte da parte della Commissione esaminatrice, il numero di ammessi alle prove orali si sia ridotto sino ad 8 candidati (il 6,5 per cento circa dei partecipanti).
  La peculiarità e la complessità del concorso hanno contribuito a generare una naturale selezione dei partecipanti che ha fatto risaltare le capacità proprio di coloro che hanno gravitato a vario titolo nella sfera professionale, legata alla promozione culturale e linguistica del Ministero degli affari esteri: candidati che, quindi, riunivano in sé tutte le caratteristiche richieste per aspirare ad un posto da dirigente dell'area culturale. Tra gli otto ammessi alle prove orali è riscontrabile, praticamente in tutti, una comprovata esperienza nell'ambito della promozione culturale e/o linguistica all'interno di istituti di cultura italiani all'estero (segnatamente Stoccolma, Praga, Madrid, Tirana, Haifa) nonché esperienza nel settore della promozione commerciale e/o culturale al Ministero (direzione generale per la promozione del sistema Paese) o all'estero (consolato generale di Mumbai).
  Come noto, per corrispondere ad esigenze imperative di imparzialità e trasparenza delle procedura concorsuali, i criteri di valutazione delle commissioni esaminatrici di norma sono esplicitati prima dell'inizio delle prove d'esame, e riportati in modo dettagliato nei verbali redatti dalla commissione stessa.
  Nel caso in parola, la Commissione esaminatrice con verbale n. 1 del 3 settembre 2012 ha dettagliatamente specificato i parametri valutativi sia per la correzione delle prove scritte che delle prove orali, individuando per entrambe i punteggi numerici (in centesimi) da attribuire e le relative fasce di valutazione di appartenenza. Tale verbale – come del resto tutti i verbali della commissione e gli atti del concorso è pubblico e disponibile ad istanza di qualsivoglia portatore di interesse legittimo.
  Per le modalità di nomina della commissione esaminatrice (articolo 6 del bando di concorso) sono stati scrupolosamente seguiti i dettami prestabiliti dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 272 del 2004 (norme regolamentari che disciplinano l'accesso alla qualifica i dirigente nelle pubbliche amministrazioni).
  Nel caso specifico del commissario di lingua inglese, trattasi di «esperto di comprovata qualificazione» (articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 272), corrispondente a professore associato per l'insegnamento di lingue e letteratura angloamericane presso l'Università di Roma Tre.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   LUSSANA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Poste italiane, in ragione del processo di razionalizzazione avviato dall'azienda negli ultimi anni, procede periodicamente alla chiusura di Uffici postali, in particolar modo ubicati nei piccoli comuni;
   si apprende da organi di stampa che sarebbe imminente la chiusura dell'Ufficio postale di Lizzola, nel comune di Valbondione (BG) senza che tale decisione sia stata accompagnata da un preventivo confronto con l'amministrazione comunale;
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   i servizi postali sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, e concorrono a dare dignità e qualità alla vita di un paese: chiudere un ufficio postale in un piccolo comune significa contribuire all'impoverimento, anche in termini di numero di abitanti, del comune stesso;
   molti piccoli comuni della provincia di Bergamo sono vittime di disagi dovuti alle decisioni unilaterali della società postale che ha previsto la chiusura di molti uffici e il ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando quindi molte difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela;
   la chiusura dell'officio di Valbondione si tradurrebbe in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troverebbero a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file o affrontare frequenti e difficili spostamenti –:
   come il Ministro intenda intervenire per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi agli abitanti delle frazioni e dei comuni in provincia di Bergamo e quali misure intenda prevedere per garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste, italiane spa e lo Stato;
   se il Ministro, in virtù dei poteri che la normativa vigente riconosce su Poste italiane, non reputi opportuno mettere in atto azioni che favoriscano una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e l'amministrazione comunale di Valbondione, al fine di scongiurare la chiusura dell'ufficio che rappresenta uno strumento indispensabile per lo sviluppo e la sopravvivenza delle piccole comunità di montagna. (4-17220)

  Risposta. — In riscontro all'interrogazione in esame, si premette che il riassetto della rete territoriale degli uffici postali, così come del resto il riordino del settore del recapito, rientra nel più ampio Piano strategico di riorganizzazione aziendale che la società Poste italiane sta realizzando, in adeguamento della propria attività di impresa alle sostanziali innovazioni del mercato postale, conseguenti alle prescrizioni europee che ne prevedono la piena liberalizzazione (direttiva n. 2008/06/CE recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58), nonché all'evoluzione del processo di digitalizzazione delle comunicazioni, anch'essa di derivazione comunitaria comportante la progressiva riduzione dei tradizionali volumi postali.
  Ciò premesso, per quanto concerne, in particolare la provincia di Bergamo, la società Poste italiane ha precisato che nel Piano di razionalizzazione per l'anno 2012 sono previste 3 chiusure definitive (uffici «Crespi d'Adda», «Lizzola» e «Colere») e 2 interventi di razionalizzazione (uffici «Cavemago» e «Gomo»). Secondo quanto comunicato dalla stessa società, attualmente sono stati effettuati 2 interventi di chiusura nei confronti degli uffici di Lizzola e Crespi d'Adda e 2 interventi di rimodulazione.
  Poste italiane ha evidenziato, altresì, che l'ufficio «Lizzola» aperto ogni sabato con orario 8,15/12,45 è stato inserito nel piano 2012 per i ridottissimi flussi di traffico che da tempo presentava, determinati anche dalla propensione della clientela a recarsi presso l'ufficio principale «Valbondione».
  La stessa società ha, inoltre, comunicato che a seguito della chiusura del predetto ufficio, avvenuta in data 20 dicembre 2012, è stato ampliato l'orario di apertura dell'ufficio di «Valbondione». Tale ufficio, precedentemente aperto solo due giorni a settimana (martedì e giovedì), attualmente risulta attivo tre giorni a settimana con il seguente orario il martedì e giovedì dalle ore 8.15 alle ore 13.45 e il sabato dalle ore 8.15 alle ore 12.45.
  Per completezza di informazione si fa, poi, presente che il citato Piano è stato trasmesso all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, soggetto competente a vigilare sul settore postale. La stessa Autorità ha precisato che provvederà a vigilare attentamente sull'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio, attraverso la verifica degli effetti del piano di riorganizzazione sotto il profilo della loro coerenza con i criteri relativi alla localizzazione dei punti di accesso e con i parametri di qualità del servizio.
  A questo proposito si ricorda, che l'attuale quadro normativo impone al fornitore del servizio postale universale, ai sensi del decreto ministeriale 7 ottobre del 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete pubblica», precisi obblighi di presenza territoriale che garantiscono la fruibilità e la continuità del servizio anche nelle realtà territoriali più remote e disagiate, a prescindere da valutazioni di tipo economico.
  Su tale complessa materia l'Agcom intende avviare, entro breve, un'apposita istruttoria avente ad oggetto proprio la distribuzione dei punti di accesso al servizio postale universale, con la partecipazione dei rappresentanti delle realtà locali e delle associazioni dei consumatori. L'obbiettivo dell'istruttoria sarà quello di limitare al massimo i possibili disagi per l'utenza.
  In questo contesto il Ministero dello sviluppo economico, dal canto suo, non mancherà nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali di adoperarsi, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica ai quali il servizio postale è tenuto, comunque, ad ispirarsi.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   MADIA, GATTI e DAMIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società CEIT impianti SRL da oltre venti anni svolge in appalto la realizzazione della rete infrastrutturale a favore di Telecom Italia;
   la CEIT costituita nel 1989, trae le sue origini da attività avviate negli anni Cinquanta e nasce dal processo di accorpamento di imprese operanti per Telecom Italia. Attualmente ha un organico di circa 606 unità distribuite sul territorio nazionale in vari centri operativi e cantieri'in Italia sia all'estero. È fra le prime aziende a cui Telecom Italia e gli altri gestori nazionali affidano la realizzazione delle loro infrastrutture di comunicazione;
   la Ceit è un'azienda profondamente sana, senza casse integrazioni, con i bilanci in ordine e puntuale con i pagamenti dei fornitori e dei tributi;
   secondo notizie di stampa risulta all'interrogante che la Telecom Italia abbia deciso di non rinnovare il contratto di appalto nel triennio 2012-2015, determinando la messa in cassa integrazione straordinaria per cessata attività della maggioranza del personale dell'azienda;
   le organizzazioni sindacali hanno incontrato presso il Ministero dello sviluppo economico i vertici di Assistal, l'associazione delle imprese di rete e hanno messo in evidenza la necessità, a tutela dei livelli occupazionali, di inserire negli appalti Telecom Italia la cosiddetta «clausola sociale» che obbligherebbe i vincitori dei nuovi appalti a riassumere il personale delle aziende uscenti –:
   se il Governo sia a conoscenza della vicenda e intenda operare affinché, vista la particolare condizione di Telecom Italia come principale azienda italiana di telecomunicazioni e il ruolo dello Stato nella promozione dell'agenda digitale che vedrà necessariamente in prima fila aziende come Telecom Italia, vengano salvaguardati i livelli occupazionali il cui calo colpirebbe ulteriormente il territorio romano e laziale già fortemente segnato dall'attuale momento di recessione.
(4-18695)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dello sviluppo economico ha tenuto in data 21 novembre scorso un incontro riguarda la situazione della Ceit Impianti, in particolare dei lavoratori presenti nell'unità produttive di Lazio e Molise.
  Le organizzazione sindacali hanno chiesto alle istituzioni presenti (regione Lazio e Ministero dello sviluppo economico) di attivarsi nei confronti dei maggiori gestori telefonici impegnati in questa fase di rinegoziazione dei contratti, affinché non vengano disperse realtà aziendali e
know-how professionali di eccellenza che stanno operando positivamente in tali territori.
  Le istituzioni si sono impegnate in tal senso nei confronti di tutti i principali gestori, per una puntuale verifica della situazione finalizzata alla salvaguardia occupazionale e con particolare attenzione ai territori indicati.
  Il Ministero dello sviluppo economico terrà, comunque, aperto il tavolo che su richiesta delle parti verrà riconvocato.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   MANCUSO, CICCIOLI, BARANI, GIRLANDA, DE LUCA e CROLLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Toscana, negli ambiti territoriali di caccia (ATC 6 e 7) di Grosseto e Massa Marittima, si rimborsano 10 euro ai cacciatori che, di ritorno da una battuta di caccia, portassero come trofeo una coda di volpe;
   se il cacciatore è anche tesserato dell'associazione Libera Caccia, riceve altri 5 euro a carico della stessa associazione;
   la giustificazione del macabro premio sarebbe l'eccessiva numerosità della popolazione delle volpi, animale che sarebbe divenuto infestante e gravemente pericoloso per i campi coltivati e per le tane di fagiani, di cui mangerebbe tutte le uova, tanto da metterne in pericolo la specie;
   in realtà, a oggi, in Toscana non è stato effettuato alcun censimento della popolazione volpina;
   non è, quindi, possibile sapere con certezza, quante volpi sono presenti sul territorio maremmano;
   lo strumento dell'offerta di una taglia potrebbe spingere alcuni cacciatori, soprattutto i più giovani e inesperti, a cacciare per denaro –:
   se il Governo intenda promuovere iniziative, anche per il tramite dell'ISPRA, per accertare la numerosità della popolazione volpina sul territorio e la sua eventuale ed effettiva pericolosità, sensibilizzando le istituzioni e i cittadini dall'adottare iniziative per premiarne l'uccisione. (4-17748)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione presentata dagli interroganti concernente l'incentivo economico concesso ai cacciatori di Grosseto e Massa Marittima che abbattono volpi, si si rappresenta quanto segue.
  La volpe è ascritta nell'elenco delle specie cacciabili di cui all'articolo 18 della legge n. 157 del 1992.
  Le regioni, in base a quanto stabilito dal succitato articolo 18, annualmente pubblicano il calendario venatorio regionale a seguito del parere reso dal ISPRA.
  Nel citato calendario venatorio tra l'altro, vengono riportate le specie oggetto di caccia ed i relativi periodi di prelievo nonché l'obbligo di segnare la selvaggina abbattuta nell'apposito tesserino venatorio.
  La omessa annotazione dei capi abbattuti o il numero di individui prelevati in numero eccedente alle disposizioni regionali, comporta una sanzione per il trasgressore in base alla normativa statale e regionale.
  Si desidera comunicare per quanto di competenza che la volpe non desta problemi di conservazione in quanto è presente sul territorio nazionale con una popolazione vitale che spesso è oggetto di appositi piani di controllo numerico nei casi in cui questo canide arrecasse danni agli allevamenti di animali di bassa corte o nel caso di incremento del numero della popolazione.
  Gli interventi di contenimento di cui sopra vengono attuati in base alle disposizioni contenute nell'articolo 19 della summenzionata legge n. 157 del 1992.
  Inoltre, tralasciando le questioni di natura etica che esulano dalle competenze di questo Ministero, il rimborso spese riguardante l'abbattimento di volpi previsti dagli ambiti territoriali di caccia Gr. 6 e 7 non risultano essere vietati, al momento, dalla normativa vigente.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   MARIANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi alluvionali che nelle scorse settimane hanno interessato buona parte del territorio nazionale hanno causato danni e disagi nella provincia di Viterbo e, in particolare, nel territorio del comune di Orte, dove l'enorme massa d'acqua ha causato l'allagamento di moltissime case, danni alle aziende e la chiusura della stazione ferroviaria;
   l'intensità delle precipitazioni atmosferiche è stata sicuramente eccezionale, ma l'onda di piena del fiume Tevere sembra essere stata ancora più intensa di quanto la situazione meteorologica lasciasse prevedere;
   si teme, infatti, che all'evento naturale si sia aggiunta un'inadeguata gestione della diga della centrale di Corbara, la cui improvvisa apertura, per evitare il pericolo di inondazione verso Alviano, avrebbe determinato un grande aumento della massa e della velocità dell'acqua, moltiplicata dall'ostruzione di due paratie dello sbarramento di Gallese –:
   se il Governo sia a conoscenza delle modalità di gestione del sistema di controllo della diga di Corbara e se ritenga ipotizzabile che il livello delle acque, nonostante gli allarmi meteo, sia stato mantenuto troppo elevato in modo da garantire il massimo rendimento delle turbine;
   se il Governo non ritenga che una più oculata gestione della diga avrebbe potuto ridurre in modo considerevole l'entità dei danni e la mole di disagi causati dall'alluvione a Orte. (4-18903)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 14 dicembre 2012, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Si premette che per tutte le dighe e traverse le manovre degli organi di scarico nel corso degli eventi di piena rientrano tra le funzioni di gestione dell'invaso che sono in capo al concessionario/gestore (E. On produzione s.p.a. per le diga di Corbara e la traversa Alviano; Enel produzione s.p.a. – Enel
Green power per la traversa di Ponte Felice) il quale in condizioni di piena interagisce a livello territoriale con le competenti autorità idrauliche e regionali di protezione civile.
  Le relative procedure generali, in assenza di specifici piani di laminazione adottati dalla regione ai sensi della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2004, sono disciplinate da apposito «documento di protezione civile», riferito principalmente al cosiddetto «rischio diga», documento redatto dal competente ufficio di questo dicastero ed approvato dal prefetto competente per territorio, secondo la circolare del Presidente del Consiglio dei ministri n. 7019 del 1996 recante «disposizioni inerenti l'attività di protezione civile nell'ambito dei bacini in cui siano presenti dighe».
  Ciò premesso, al fine di fornire un dettagliato quadro in ordine alla vicenda segnalata dall'interrogante riguardante gli eventi alluvionali che hanno interessato il bacino del Tevere, in particolare la provincia di Viterbo, nei giorni 10-14 novembre 2012 e la gestione di alcune grandi dighe in fase di piena, i competenti uffici tecnici di questo ministero hanno acquisito informazioni nell'ambito della propria attività istituzionale ivi compresi i sopralluoghi effettuati dall'ufficio tecnico per le dighe di Perugia.
  Al riguardo, si informa che la diga di Corbara, ubicata in comune di Orvieto (Terni), dispone di un volume utile di regolazione di 135 milioni di metri cubi; i sistemi di controllo della diga ai finì della sicurezza sono stabiliti da questo ministero, come per tutte le «grandi dighe», tramite il «Foglio di condizioni per l'esercizio e la manutenzione» (nel caso specifico approvato dall'allora servizio nazionale dighe, in data 9 aprile 2002), mentre le fasi di allerta sono stabilite dal «Documento di protezione civile» (nel caso specifico approvato dalla prefettura di Terni in data 2 febbraio 2000).
  All'inizio dell'evento di piena (ore 12 dell'11 novembre 2012) il livello di invaso a Corbara era a quota 128,90 metri sul livello del mare e quindi circa 9 metri al di sotto della quota massima di regolazione e massimo invaso (138,00 metri sul livello del mare).
  Detta circostanza ha fatto si che la diga di Corbara avesse disponibile un volume d'invaso di circa 70 milioni di metri cubi, grazie ai quale si è avuta una significativa laminazione (riduzione) della piena. Il livello massimo raggiunto nel corso dell'evento è stato pari a 137,60 metri sul livello del mare; l'apertura degli organi di scarico, necessaria e obbligatoria per prevenire ed evitare il superamento della quota di massimo invaso (quota di sicurezza per la diga), risulta essere stata attuata dal gestore in maniera graduale, in raccordo con le protezioni civili delle regioni Lazio e Umbria ed in conformità alle disposizione del documento di protezione civile approvato e alla citata circolare del Presidente del Consiglio dei ministri n. 7019 del 1996.
  In tal modo sono state garantite sia la riduzione del picco della portata di piena in deflusso dalla sezione di Corbara (da 1700-1800 m3/s a 1450-1500 m3/s, con picco alle ore 5 del 13 novembre 2012), sia la riduzione del volume defluito (da 250 Mm3 a 180 Mm3), sia soprattutto è stato garantito lo sfasamento nel Tevere a valle tra il picco di piena proveniente dal bacino del Paglia e quello proveniente dai bacino di monte del Tevere stesso. Presso la traversa di Alviano (a valle della confluenza tra Paglia nel Tevere) sono transitati ben 400 Mm3 con una portata massima di 2200-2400 m3/s, portata che, senza l'azione di laminazione e sfasamento svolta dalla diga di Corbara, sarebbe stata superiore a 3000 m3/s con conseguenze ben più rilevanti sul territorio.
  Quanto sopra in linea, peraltro, con le «ipotesi di regolazione dei deflussi ai fini del governo delle piene nel bacino del Tevere» predisposte nel 2005 dall'autorità di bacino del fiume Tevere con il concorso delle varie amministrazioni ed enti coinvolti nel governo delle piene, ancorché non ancora tradotte dalla regione Lazio in un piano di laminazione adottato ai sensi della già menzionata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2004.
  Si conferma, infine, che presso la traversa di Ponte Felice (nel comune di Gallese), in relazione ai livelli idrometrici raggiunti e alle portate defluite (comunque ridotte rispetto a quelle che si sarebbero verificate in assenza di laminazione da monte), si sono verificati dissesti e danneggiamenti degli argini di contenimento che si sviluppano per alcuni chilometri a monte, con esondazioni nelle aree limitrofe. In occasione di tali eventi la traversa è stata interessata da un rilevante afflusso di materiale vegetale flottante; dalle informazioni assunte presso le strutture competenti risultano comunque essere stati garantiti sia la corretta movimentazione delle paratoie sino alla completa apertura delle quattro luci, sia, ad esaurimento della piena, il completamento in sicurezza della rimozione del materiale ancora presente a ridosso di una luce.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   MARINELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 1989 opera a Sciacca «Radio Torre Macadam», impegnata nella divulgazione di contenuti informativi prevalentemente a carattere locale;
   in seguito all'entrata in vigore della nuova normativa in materia di trasmissioni radiotelevisive, introdotta dal decreto-legge n. 5 del 2001, i titolari dell'emittente hanno cercato, a più riprese, di interloquire con il Ministero dello sviluppo economico (e prima con il Ministero delle comunicazioni) al fine di regolarizzare la propria posizione e poter proseguire la propria attività di emittenza;
   in particolare, nel gennaio 2002, la titolare ha inviato una lettera ai competenti uffici del Ministero, dichiarando la propria disponibilità ad ottemperare alla prescrizione di trasformare la propria ditta da individuale a società cooperativa, non ricevendo, tuttavia, alcuna risposta;
   lo stesso Ministero, invece, attraverso l'ufficio controllo radio frequenze di Trapani del proprio ispettorato territoriale Sicilia centro, ha sottoposto l'emittente in oggetto ad un'ispezione tecnica, tra l'altro non riscontrando alcuna irregolarità;
   a detta visita ispettiva non ha fatto seguito alcuna richiesta di adeguamento fatta ai titolari dell'emittente, creando in loro la convinzione che non vi fossero, a quel punto, ragioni ostative alla operatività dell'emittente;
   ancora, nel 2008, la stessa pubblica amministrazione richiedeva ai titolari dell'emittente il pagamento dei canoni di concessione per il periodo intercorrente dal 2000 al 2006, dovuto «da tutte le emittenti legittimamente operanti»;
   di contro, invece, il 9 febbraio 2012, ai titolari veniva notificata un'ordinanza di disattivazione emessa il 14 novembre 2011 dal dipartimento delle comunicazioni ispettorato territoriale Sicilia del Ministero dello sviluppo economico, e nella stessa data gli assistenti tecnici inviati dal medesimo dipartimento provvedevano alla disattivazione dell'impianto di messa in onda;
   l'ordinanza di disattivazione ha colto di sorpresa i titolari dell'emittente radiofonica, indotti in inganno dall'atteggiamento contraddittorio tenuto dall'amministrazione competente nei loro confronti che li aveva convinti di poter continuare a trasmettere –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del caso esposto in premessa, e, comunque, quali iniziative intenda assumere al fine di permettere alla radio citata e a numerose altre emittenti che versano nella medesima condizione di tornare a trasmettere, anche al fine di porre rimedio al grave pregiudizio economico che le stesse e i loro titolari stanno subendo.
(4-16648)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue, sulla base degli elementi forniti dall'amministrazione.
  Con decreto 22 febbraio 1994, il Ministero delle poste e delle comunicazioni ha respinto la domanda di concessione per la radiodiffusione sonora in ambito locale a carattere commerciale presentata dalla signora Martelli Giuseppina, titolare di «RADIO TORRE MACAUDA», in quanto medesima non aveva presentato la documentazione attestante il possesso dei requisiti previsti dall'articolo 4 comma 2 del decreto legge 27 agosto 1993, n. 323, convertito dalla legge 27 ottobre 1993, n. 422, entro i termini stabiliti dal successivo comma 3.
  Avverso tale decreto l'emittente ha proposto dapprima ricorso al Tar Sicilia e successivamente avverso la sentenza del Tar Sicilia ricorso d'appello al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia. Tali organi, pur accogliendo in via cautelare la domanda di sospensione degli effetti del decreto di diniego, hanno infine, entrambi, respinto il ricorso (sentenza TAR n. 1744 del 1996 e decisione CGA n. 217 del 1998).
  In data 23 aprile 2010 è pervenuta alla competente direzione generale delle comunicazioni del Ministero dello sviluppo economico da parte della signora Giuseppina Martelli, in qualità di titolare dell'emittente Radio Torre Macauda, una domanda per ottenere l'autorizzazione come fornitore di contenuti radiofonici destinati alla diffusione in tecnica digitale.
  Tale domanda non è stata accolta in quanto l'interessata non rientrava alla data di presentazione della domanda stessa e neppure rientra a tutt'oggi, in alcuna delle categorie di aspiranti autorizzabili in base alle disposizioni vigenti.
  A tal uopo, infatti, si precisa che l'autorizzazione in argomento, secondo quanto stabilito nella deliberazione AGCOM n. 664/09/CONS, può essere rilasciata a soggetti già legittimamente operanti in tecnica analogica, in quanto titolari di autorizzazione a suo tempo rilasciata ai sensi della legge 20 marzo 2001, n. 66 ovvero, in alternativa, a soggetti aventi natura giuridica di società di persone o di capitali o di società cooperativa che impieghi almeno due dipendenti (nel caso di emittenti radiofoniche locali a carattere commerciale) o la natura giuridica di associazione riconosciuta o non riconosciuta, fondazione o cooperativa priva di scopo di lucro (nel caso di emittenti radiofoniche locali a carattere comunitario).
  Il diniego di accoglimento della domanda è stato ritualmente comunicato alla signora Martelli con nota in data 2 novembre 2011, alla quale ha fatto seguito, a cura del competente ispettorato territoriale, la disattivazione degli impianti, che nelle more avevano continuato di fatto a funzionare.
  Allo stato risulta pertanto che la titolare dell'emittente radiofonica Radio Torre Macauda, non possiede alcun titolo per il proseguimento delle trasmissioni radiofoniche in tecnica analogica.
  In merito alla richiesta del pagamento dei canoni per il periodo 2000-2006, si precisa che dal momento che l'emittente ha operato in analogico illegittimamente, così come per tutti i casi analoghi alla fattispecie in esame, è stato richiesto il pagamento dei canoni, anche al fine di interrompere il termine di prescrizione a tutela del credito vantato dal Ministero dello sviluppo economico.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni si registra il verificarsi di disservizi presso l'aeroporto di Venezia «Marco Polo», gestita dalla società SAVE Spa. Una situazione contrassegnata da ritardi ai varchi, con inevitabili momenti di tensione e proteste dei viaggiatori;
   la causa del disservizio è da collegarsi all'avvio di quello che lo stesso amministratore delegato di SAVE SpA, Enrico Marchi, ha definito come «sciopero degli investimenti»;
   come riportato dagli organi di stampa locali, l'amministratore delegato Marchi, nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 18 maggio 2012, ha infatti annunciato il blocco delle assunzioni del personale addetto ai varchi di sicurezza in segno di protesta contro la mancata concessione degli aumenti tariffari, «fermi da undici anni» e contro la «inaccettabile vicenda che sta bloccando, nei rimpalli dei Ministeri, la firma del contratto di programma necessario ad ottenerli»;
   l'iniziativa dell'ente gestore viene anche riassunta e comunicata all'utenza tramite la diffusione di volantini che riportano la seguente frase: «Ci scusiamo con i passeggeri costretti a subire disagi a causa delle azioni oggi intraprese dal gestore, che sono mirate a sensibilizzare le autorità, con le quali non è nemmeno più possibile dialogare»;
   sul fronte delle organizzazioni sindacali, Filt Cgil ha scritto al prefetto di Venezia e alla Commissione di vigilanza nazionale, che sovrintende sui servizi pubblici, per segnalare questi «disservizi importanti: le persone non possono attendere ore perdendo il volo perché i varchi non sono in funzione. Abbiamo chiesto un intervento agli enti preposti, perché per non si configura l'interruzione di pubblico servizio»;
   in data 23 maggio 2012, Enac ha comunicato l'avvio di «urgenti accertamenti per capire se SAVE abbia ridotto temporaneamente la capacità dello scalo: se così fosse – viene riportato in una nota – SAVE non starebbe ottemperando a impegni assunti con l'Enac e con gli operatori dello scalo, determinando disservizi ai passeggeri»;
   lo stesso direttore Enac dello scalo veneziano, Valerio Bonato, ha dichiarato che «la possibile revoca alla concessionaria SAVE non è una mia decisione personale, ma solamente l'effetto delle inopinate riduzioni della clerance aeroportuale, prevista dal programma già concordato...»;
   in tutta risposta, l'a.d. di SAVE Enrico Marchi, minaccia di ricorrere alla Corte europea «per ottenere il rispetto dei miei diritti e della società che presiedo»;
   non è accettabile che l'attuale situazione di stallo, conclamatasi con l'avvio dello «sciopero degli investimenti» da parte dell'ente gestore del «Marco Polo», venga fatta pagare all'utenza in termini di forti disagi all'interno di quello che è uno dei maggiori scali aeroportuali nazionali;
   l'approssimarsi della stagione estiva impone un rafforzamento delle strutture operative, pena l'impossibilità di garantire adeguati servizi ai passeggeri, con un potenziale danno anche per l'economia turistica veneziana –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione, quali siano i suoi orientamenti in proposito e se nell'ambito delle sue competenze e prerogative, non intenda intervenire, e con quali modalità, per consentire l'immediato ritorno ad un regime di normalità per quanto concerne l'erogazione di servizi all'interno dello scalo aeroportuale «Marco Polo» di Venezia.
(4-16304)


   MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane si è verificata una serie di disservizi presso l'aeroporto di Venezia «Marco Polo», gestito dalla società SAVE spa. Una situazione contrassegnata da ritardi ai varchi, con inevitabili momenti di tensione e proteste dei viaggiatori. La causa del disservizio fu dovuta all'avvio di quello che lo stesso amministratore delegato di SAVE spa, Enrico Marchi, ha definito come «sciopero degli investimenti»;
   come venne riportato dagli organi di stampa locali, l'amministratore delegato Marchi, nel corso di una conferenza tenutasi il 18 maggio 2012 aveva infatti annunciato il blocco delle assunzioni del personale addetto ai varchi di sicurezza in segno di protesta contro la mancata concessione degli aumenti tariffari, «fermi da undici anni» e contro la «inaccettabile vicenda che sta bloccando, nei rimpalli dei ministeri, la firma del contratto di programma necessario ad ottenerli»;
   su questa vicenda l'interrogante ha presentato in data 25 maggio 2012 una apposita interrogazione a risposta scritta al Ministro interrogato;
   successivamente lo stesso Ministro, intervenendo nel corso di un'audizione tenutasi in Commissione trasporti alla Camera ha dichiarato, a proposito della stipula del contratto di programma, che per arrivare alla firma le parti devono essere d'accordo e le parti non sono d'accordo;
   in questi giorni è comparso, nella zona di transito dei passeggeri tra l'aerostazione veneziana ed il parcheggio auto, un cartello predisposto da SAVE che riporta le seguenti parole, in riferimento alla realizzazione della navetta di collegamento su rotaia denominata «People mover»: «Pronto da 8 anni ma fermo per colpa del Governo e della sua burocrazia! affermando che il Governo e la sua burocrazia lo tengono bloccato alla stazione e chiedendo quando sarà formalizzato il contratto di programma, fermo da settembre 2003, che consente l'adeguamento delle tariffe bloccate da 10 anni e la realizzazione del Piano investimenti SAVE;
   prosegue di fatto un clima di agitazione e di contestazione da parte della società SAVE spa nei confronti del Governo, che si manifesta agli occhi dell'utenza con «spot» su cartellonistica fissa, con contenuti a senso unico e con una modalità contraria al dovere dell'ente di confrontarsi con il Governo stesso nelle sedi appropriate –:
   se il Ministro sia al corrente della situazione;
   quali siano i suoi orientamenti in merito;
   quale sia lo scenario ed i possibili esiti in merito alla questione degli adeguamenti tariffari. (4-16851)

  Risposta. — In riferimento alle interrogazioni in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In merito alla questione dell'adeguamento dei diritti aeroportuali, giova evidenziare che tale adeguamento, commisurata al tasso d'inflazione annuo programmato, era subordinato al rispetto, da parte dei gestori aeroportuali, delle disposizioni contenute nell'articolo 4 del decreto ministeriale 14 novembre 2000, che ha posto specifici oneri a carico dei gestori medesimi. In particolare, detta norma stabilisce che non si fa luogo ad ulteriori aumenti dei diritti aeroportuali, per ciascun aeroporto, fino a quando il rispettivo gestore aeroportuale non abbia elaborato una contabilità analitica per centri di costo e stipulato il contratto di programma con l'E.N.A.C.
  Per quanto sopra, l'adeguamento dei diritti aeroportuali richiesto dalla SAVE non poteva essere concesso al gestore, in quanto il medesimo, per le annualità richieste, non aveva ottemperato a quanto disposto dal citato articolo 4 del decreto ministeriale in parola.
  In ogni casa, preme evidenziare che le tariffe aeroportuali sono state aggiornate per le annualità 2008, 2009, 2010 e 2011.
  Per quanto concerne invece la problematica circa il contratto di programma ENAC/SAVE, si fa presente che il medesimo contratto rientra nella tipologia dei cosiddetti contratti di programma «in deroga» alla normativa vigente, che risultano disciplinati dall'articolo 17, comma 34-
bis, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, successivamente modificato dal decreto-legge 31 maggio 2010, n, 78, e relativa legge di conversione n. 122 del 2010.
  In base a tale normativa, la tipologia dei contratti in argomento è applicabile solo ai sistemi aeroportuali nazionali e comunque agli aeroporti con traffico superiore a 8 milioni di passeggeri annui, come nel caso dell'aeroporto di Venezia, ed è finalizzata alla previsione di sistemi di tariffazione pluriennale orientati:
   ai livelli e agli standard europei;
   ai costi delle infrastrutture e dei servizi;
   a obiettivi di efficienza;
   a criteri di adeguata remunerazione degli investimenti e dei capitali.

  Come è noto all'interrogante, tali contratti stipulati tra l'ENAC e le società di gestione aeroportuali sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concetto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
  Detta approvazione ha luogo a seguito di un complesso procedimento istruttorio, che vede coinvolti l'ENAC e i predetti organismi istituzionali, che vagliano la congruità giuridica ed economica dei contenuti di detti contratti, per verificare la rispondenza dei sistemi di tariffazione in essi previsti ai parametri fissati dalla suindicata normativa.
  Il precedente contratto ENAC-SAVE, relativo al periodo 2004-2008, non risulta essere stato approvato, in quanto ritenuto non conforme alla normativa all'epoca vigente.
  In data 26 ottobre 2012, è stato sottoscritto tra l'ENAC e la società SAVE il contratto di programma per il periodo 2012-2021, che contiene gli adeguamenti tariffari in applicazione del documento tecnico di regolazione tariffaria, che di detto contratto costituisce parte integrante.
  Il contratto di programma ENAC-SAVE s.p.a. è stato approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 28 dicembre 2012. Completa il contratto di programma l'atto aggiuntivo al contratto previsto dallo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Per quanto non previsto dal documento tecnico di regolazione tariffaria, continuano ad applicarsi le disposizioni della delibera CIPE n. 38 del 2007 e delle linee guida ENAC, approvate con decreto ministeriale 10 dicembre 2008.
  Il contratto di programma ENAC-SAVE ha durata decennale, con scadenza al 31 dicembre 2021, ed è articolato in due sottoperiodi, ciascuno di durata quinquennale, autonomi e distinti sotto il profilo tariffario, definiti nel rispetto dei principi e dei criteri fissati dal documento tecnico di regolazione tariffaria.
  Il testo integrale del decreto e gli allegati riguardanti il contratto di programma sono consultabili sul sito
internet del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (www.mit.gov.it) e sul sito internet dell'ENAC (www.enac.gov.it).
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   MATTESINI, GATTI, LULLI, SCARPETTI, VELO, ALBINI, FLUVI, SANI, MARIANI e DE PASQUALE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane ha presentato nei giorni scorsi il nuovo piano di ristrutturazione dei servizi postali sul territorio nazionale che investe 5 regioni nel 2012 e tutte le altre nel 2013;
   Poste italiane ha chiuso il proprio bilancio con un utile di circa 810 milioni di euro;
   la Toscana è tra le regioni interessate dall'intervento previsto nel 2012, con un taglio di circa 600 dipendenti (di cui 470 portalettere) distribuito fra tutte le province a (Pisa n. 150 di cui n. 100 nel centro di meccanizzazione postale che sarebbe dimezzato; a Firenze n. 126 postini e l'implementazione di n. 49 nel centro di smistamento; ad Arezzo circa 64 esuberi e la chiusura di 14 uffici postali e la razionalizzazione di altri 5 entro l'estate);
   si è già alla terza ristrutturazione in meno di 6 anni ed ogni volta con centinaia di posti di lavoro in meno, operazioni fatte con il solo obbiettivo di ridurre i costi senza un chiaro piano di sviluppo per rilanciare il settore;
   a Firenze nel 2010 ed all'inizio del 2011 in tutta la Toscana, l'organizzazione è stata modificata eliminando il sabato come giorno di consegna della posta ed ampliando gli orari di servizio negli altri giorni della settimana, una riorganizzazione che ha permesso di ammortizzare le conseguenze dei tagli (160 posti nel 2006 e 260 nel 2011);
   i tagli previsti con le conseguenti chiusure di uffici postali, compromettono fortemente la qualità del servizio postale in Toscana ed in tutti i territori interessati, con la consegna della posta a giorni alterni e la chiusura di alcuni uffici postali nei centri minori, con danni proprio alle fasce di popolazione più deboli, come gli anziani che utilizzano gli uffici postali per riscuotere la pensione;
   a differenza degli anni scorsi questa volta sarebbe ben più difficile ricollocare i lavoratori in esubero tenuto conto che, con l'allungamento dell'età pensionabile anche la possibilità di esodi incentivati è una strada impossibile da percorrere;
   in Toscana infatti il 70 per cento dei postini è costituito da giovani tra i 30 ed i 45 anni, per il 50 per cento uomini e per il 50 per cento donne (negli uffici invece il rapporto è 60 per cento di impiegati di sesso femminile ed il 40 per cento di sesso maschile), persone assunte a tempo indeterminato negli ultimi tempi dopo svariati anni di contratti a tre mesi, stabilizzati in seguito a cause di lavoro;
   Poste italiane ha comunicato al sindacato di voler concludere l'accordo sulla proposta di ristrutturazione entro 15 giorni, pena l'esecuzione del piano così come presentato –:
   cosa intenda fare il Governo a fronte della necessità di un rilancio di Poste italiane fondato su di un piano di investimento evitando una ulteriore riduzione del personale come sta invece avvenendo da anni;
   quali iniziative di competenza preveda di assumere il Governo per facilitare corrette relazioni sindacali sia nei tempi, sia nelle modalità. (4-15866)

  Risposta. — In via preliminare, si fa presente che tanto il riordino del settore recapito, quanto il riassetto della rete territoriale degli uffici postali rientrano nel più ampio piano strategico di riorganizzazione aziendale che la società Poste italiane s.p.a sta realizzando, in adeguamento della propria attività di impresa alle sostanziali innovazioni del mercato postale, indotte dalle prescrizioni europee che ne prevedono la piena liberalizzazione (direttiva n. 2008/06/CE recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58), nonché dall'evoluzione del processo di digitalizzazione delle comunicazioni, anch'essa di derivazione comunitaria, comportante la progressiva riduzione dei tradizionali volumi postali.
  In tale contesto, secondo quanto rappresentato a questo Ministero da parte di Poste italiane, sono state adottate opportune cautele per ridurre ogni impatto negativo dell'iniziativa tanto sotto il profilo occupazionale quanto sotto quello dell'efficienza e della qualità del servizio.
  Quanto al profilo del riordino delle zone di recapito, il gestore ha evidenziato che anche tale nuova pianificazione è stata preceduta da un ampio confronto con le organizzazioni sindacali, con lo stesso
iter procedurale adottato in occasione della precedente riorganizzazione aziendale risalente all'anno 2006. La società ha precisato, infatti, di avere illustrato a tali organizzazioni le nuove linee di intervento contemplate dal piano e le connesse ricadute per il personale, con particolare riguardo alle regioni interessate alla sua attuazione per il 2012 che sono: Piemonte, Marche, Basilicata, Toscana, Emilia Romagna (quest'ultima successivamente stralciata quale territorio colpito da emergenza sismica). In base ad un verbale di incontro sottoscritto il 23 settembre 2012 è stata costituita una commissione tecnica paritetica nazionale, i cui lavori hanno avuto termine il 4 dicembre 2012, con il compito di esaminare tutti gli aspetti tecnico/organizzativi del progetto di riorganizzazione dei processi postali.
  Per quanto attiene alle preoccupazioni espresse in ordine alla salvaguardia dell'efficienza e della qualità del servizio, la società ha precisato di aver predisposto, nelle realtà territoriali interessate all'avvio del piano di riorganizzazione, azioni volte al miglioramento della produttività attraverso la rimodulazione della quantità di corrispondenza affidata a ciascun portalettere e la conseguente riduzione del numero delle zone di recapito.
  In merito al riassetto della rete degli uffici postali, la società Poste italiane ha rappresentato che anche tale attività è da ricondurre al processo generale di riorganizzazione aziendale in atto, trovando espressione specifica nell'ambito del piano attuativo degli interventi previsti per il 2012. Tale piano è stato redatto – secondo quanto espressamente dichiarato da Poste italiane – nel pieno rispetto dei criteri e dei vincoli di dislocazione degli uffici postali previsti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 e ulteriormente specificati dal contratto di programma. Criteri e vincoli per i quali è obbligatorio assicurare la fruibilità e la continuità del servizio anche nelle realtà più disagiate.
  Per quanto concerne, in particolare la regione Toscana, la concessionaria ha fatto presente che il citato piano prevede 171 chiusure e 27 rimodulazioni e che al momento sono stati effettuate 73 chiusure di uffici postali e 59 rimodulazioni.
  Per completezza di informazione si evidenzia che il medesimo piano è stato, altresì, comunicato all'autorità garante per il settore, soggetto attualmente competente a vigilare sul settore postale, al fine di consentire a detta Autorità di verificare l'effettiva aderenza della nuova dislocazione ai criteri di cui al menzionato decreto ministeriale 7 ottobre 2008.
  A tal proposito, l'Agcom ha comunicato di aver convocato una riunione con Poste italiane sia per ottenere chiarimenti in particolare sugli interventi di razionalizzazione e di chiusura degli uffici postali, sia per richiamare l'attenzione della società stessa sulla necessità di garantire un'effettiva e preventiva interlocuzione con le realtà locali.
  La medesima autorità ha, inoltre, indirizzato a Poste italiane una richiesta di informazioni per acquisire sia maggiori ragguagli sui parametri base utilizzati nella predisposizione degli interventi di rimodulazione degli orari di apertura e di chiusura degli uffici postali, sia per procedere a un'analisi comparativa degli interventi posti in essere nell'anno in corso con quelli predisposti negli anni passati, al fine di conoscere l'impatto delle misure adottate sul mercato postale e sulla quantificazione del costo netto del servizio universale.
  In questo contesto il Ministero non mancherà, avvalendosi delle proprie attribuzioni istituzionali, di adoperarsi per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica ai quali il servizio postale è tenuto comunque, ad ispirarsi.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   RICARDO ANTONIO MERLO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   anche per il mese di febbraio 2012, molti nostri connazionali anziani residenti in Sudafrica non hanno ricevuto la pensione;
   l'ente responsabile dei pagamenti, a novembre 2011, ossia a tre mesi dalla fine del contratto, ha richiesto un certificato di esistenza in vita ai pensionati residenti in Sudafrica, indicando il solo consolato come garante dei certificati stessi;
   il certificato di esistenza in vita era stato già richiesto ai suddetti pensionati a maggio 2011; questa ulteriore richiesta, di novembre 2011, crea enormi disagi sia agli anziani, che vivono a centinaia di chilometri di distanza dal consolato, sia al consolato stesso, che si ritrova con un aggravio di lavoro difficile da smaltire, considerato il personale già insufficiente a svolgere la normale routine; sia l'ente che eroga le pensioni che l'INPS erano a conoscenza che Citibank di Londra, la banca che si è aggiudicata la gara d'appalto per l'erogazione delle pensioni dal 1° febbraio 2012, avrebbe richiesto il certificato in vita ai nostri pensionati per il mese di aprile 2012;
    i pensionati italiani residenti in Sudafrica, che non sono in grado — per le suesposte difficoltà — di produrre il certificato richiesto a novembre 2011, subiscono gravi disagi economici, che vanno dalla impossibilità di autosostentamento, alla perdita dell'assistenza sanitaria per il mancato pagamento delle mensilità dovute; con la conseguenza che una volta interrotto il contratto di assistenza, un anziano difficilmente potrà permettersi di riacquistarla, se non pagando cifre esorbitanti;
   la richiesta, da parte dell'ente erogante le pensioni, di un secondo certificato di esistenza in vita risulta incomprensibile e i consiglieri del CGIE, il Comites, il consolato, i patronati, non sanno più come far fronte alle domande di aiuto dei connazionali che non hanno ricevuto la pensione negli ultimi due mesi –:
   se, e quali iniziative urgenti, il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire ai nostri connazionali il pagamento delle pensioni sospese e il superamento di questo enorme disagio sociale;
   se non intenda assumere iniziative presso l'ente responsabile dei pagamenti affinché la seconda richiesta (quella di novembre 2011) di produrre un ulteriore certificato di esistenza in vita, considerato che tale documento è stato già richiesto a maggio 2011 e verrà nuovamente richiesto dalla Citibank di Londra, possa essere ritirata. (4-14916)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame concerne la verifica dell'esistenza in vita dei cittadini italiani residenti all'estero e in particolare nella Repubblica del Sudafrica, ai fini del pagamento delle pensioni a carico dell'Inps.
  In via generale, si osserva che la verifica dell'esistenza in vita dei pensionati contribuisce ad assicurare la correttezza dei flussi dei pagamenti dei trattamenti previdenziali, evitando casi di pagamento di prestazioni dopo la morte del beneficiario e difficili azioni di recupero che spesso si concludono con esito negativo.
  Al fine di impedire, quindi, che risorse pubbliche siano devolute a soggetti che non ne hanno diritto, l'istituto di credito che gestisce i pagamenti delle pensioni all'estero, per un preciso obbligo contrattuale, è tenuto ad effettuare sistematicamente, almeno una volta all'anno, la verifica dell'esistenza in vita dei beneficiari delle pensioni. Tale accertamento rappresenta lo strumento più efficace per arginare i casi di riscossione fraudolenta delle prestazioni da parte di soggetti diversi, in caso di decesso del titolare.
  Poiché in passato la verifica dell'esistenza in vita attraverso richieste di certificazioni, in diversi casi, non ha avuto esito positivo, per la verifica relativa all'anno 2011, l'Icbpi (Istituto centrale delle banche popolari italiane), istituto di credito aggiudicatario del servizio di pagamento delle prestazioni ai residenti all'estero fino a gennaio 2012, ha adottato una modalità diversa, procedendo a localizzare il pagamento di una rata di pensione presso gli sportelli
western union.
  L'Istituto di credito in questione ha proceduto alla localizzazione forzata del pagamento di una rata di pensione per ottenere la garanzia di erogare il trattamento solo al legittimo beneficiario, previa verifica dell'identità e dell'esistenza in vita dello stesso.
  La riscossione personale da parte del pensionato allo sportello
western union costituisce, infatti, l'automatica prova dell'esistenza in vita e consente di ridurre al minimo le sospensioni dei pagamenti.
  Per limitare l'impatto dell'operazione, è stato previsto uno scaglionamento delle attività, per cui l'Icbpi ha proceduto alla localizzazione nel mese di maggio per i residenti nel continente americano, nel mese di giugno per i residenti in tutti gli altri continenti e nel mese di luglio per i beneficiari di pensioni semestrali.
  Tuttavia, poiché dalla verifica dell'esistenza in vita condotta nel suddetto trimestre (maggio-luglio 2011) erano rimasti esclusi i residenti in Paesi nei quali non sono presenti sportelli
western union, nel mese di ottobre 2011, l'Icbpi ha richiesto, con comunicazione personale inviata ai destinatari dei pagamenti, di produrre un certificato di esistenza in vita entro il termine di 60 giorni. L'operazione ha riguardato anche circa 1.100 pensionati residenti in Sudafrica.
  Al riguardo, occorre evidenziare che, per evitare che i pensionati residenti in località lontane dalla sede delle rappresentanze diplomatiche italiane all'estero subissero eccessivi disagi, nella lettera inviata dall'Icbpi è stato chiaramente indicato che la certificazione richiesta poteva essere emessa non solo da consolati italiani, ma anche da pubbliche autorità locali legittimate ai sensi della legislazione dei Paesi di residenza.
  L'Inps ha fatto sapere che la sospensione del pagamento da parte dell'Icbpi delle rate di pensione in favore di alcuni residenti in Sudafrica, a partire dalla mensilità di gennaio 2012, è collegata alla mancata o ritardata produzione della prova dell'esistenza in vita da parte dei titolari.
  Nel mese di maggio 2011, è stata ultimata la procedura di gara per l'affidamento del servizio di pagamento delle pensioni per un nuovo triennio e siglato il contratto con il nuovo gestore del servizio, la Citibank, che ha avviato i pagamenti a partire dalla rata di febbraio 2012.
  Anche il nuovo contratto prevede la verifica almeno annuale dell'esistenza in vita a partire dal 2012.
  Per consentire ai pensionati di fruire di un termine più ampio rispetto a quello normalmente previsto, la Citibank ha richiesto, fin dal novembre 2011, ai titolari di prestazioni previdenziali a carico dell'Inps di fornire attestazioni di esistenza in vita. Il termine per produrre le attestazioni è scaduto il 2 giugno 2012.
  In proposito, occorre specificare che la verifica avviata dalla Citibank è relativa all'anno 2012 e non va confusa con quella effettuata dall'Icbpi valida per l'anno 2011. L'avvio dell'operazione di verifica per il 2012 è stato anticipato a novembre 2011 al fine di garantire ai pensionati un termine più ampio per adempiere.
  In ogni caso, per evitare duplicazioni, l'Istituto previdenziale ha richiesto all'Icbpi di trasmettere alla subentrante Citibank le certificazioni già pervenute dai pensionati affinché siano validamente acquisite anche dal nuovo gestore.
  L'Inps ha, inoltre, precisato che, nei casi in cui la verifica dell'esistenza in vita era stata completata, i pagamenti sono proseguiti senza soluzione di continuità; nello specifico, la Citibank ha effettuato circa 750 pagamenti in Sudafrica per la mensilità di febbraio 2012.
  La gestione delle residue pensioni per le quali è stato sospeso il pagamento è stata affidata direttamente alle sedi Inps, le quali non appena pervenute le attestazioni di esistenza in vita, hanno provveduto al ripristino dei pagamenti correnti e alla ri-emissione delle rate relative al periodo di sospensione.
  In tal senso, l'Istituto ha diramato precise istruzioni alle proprie strutture territoriali, invitandole a procedere con tempestività alla normalizzazione dei pagamenti non appena verificate le condizioni di erogabilità.
  Tali attività sono svolte anche con la collaborazione delle rappresentanze diplomatiche italiane in Sudafrica che hanno inviato liste di soggetti per i quali è stata effettuata la verifica; tale operazione ha agevolato la riattivazione dei pagamenti da parte delle sedi Inps.
  L'Inps ha, infine, comunicato che è stata ripristinata la quasi totalità delle pensioni, tanto che nel mese di giugno 2012 i pagamenti in Sudafrica sono stati circa 1.170.
  In ogni caso, ai fini della normalizzazione dei pagamenti ancora sospesi occorre che i pensionati producano nel minor tempo possibile l'attestazione di esistenza in vita richiesta e inviino copia di tale attestazione anche alla sede Inps che gestisce la pensione, insieme con la richiesta di pagamento delle rate di gennaio e febbraio 2012.
  L'Istituto ha comunque assicurato che le sedi Inps provvederanno tempestivamente al pagamento nei casi in cui risulta provata l'esistenza in vita e che i tempi saranno contenuti al minimo consentito dalle procedure di pagamento dell'istituto stesso.
  Infine, si rende noto che l'istituto previdenziale ha attivato ogni forma di collaborazione con il Ministero degli affari esteri per la gestione degli adempimenti necessari alla verifica dell'esistenza in vita.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   RICARDO ANTONIO MERLO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è creata una situazione di grosso disagio per i nostri connazionali in Argentina nel riscuotere la pensione INPS;
   le difficoltà che stanno subendo, riguardano in particolar modo la valuta in cui viene riscossa la pensione stessa;
   secondo l'ultima circolare dell'INPS i beneficiati dovrebbero riscuotere le loro pensioni direttamente in euro e senza pagare alcuna commissione: da quanto riportato dalle associazioni italiane, dai Comites e da tanti connazionali, si riscontra invece che non vengono rispettate né la prima né la seconda affermazione;
   la pensione viene pagata in pesos argentini al cambio ufficiale fissato dal Governo, ossia 40 per cento meno del prezzo reale di mercato dell'euro –:
   se, i Ministri interrogati, siano a conoscenza dei fatti;
   se possano confermare che i fondi trasmessi dall'INPS per il pagamento delle pensioni in Argentina debbano essere necessariamente trasformati in pesos;
   nel caso in cui esista questa disposizione, quali azioni i Ministri interrogati pensino di mettere in atto nei confronti del Governo Argentino per impedire questo vero e proprio saccheggio del potere d'acquisto delle pensioni dei nostri connazionali. (4-17025)

  Risposta. — Nel novembre 2011 la nostra ambasciata a Buenos Aires ha comunicato che le misure adottate dal nuovo governo di Cristina Fernandez de Kirchner per ridurre l'accesso alla valuta straniera imponevano il pagamento in valuta locale (pesos) delle pensioni erogate in euro ai nostri connazionali, con relativo grave pregiudizio degli interessati.
  Da allora la nostra ambasciata, che è sempre stata in contatto, con le istanze elettive della collettività (Cgie e Comites) e con i patronati, ha compiuto continui passi per ottenere l'esenzione dei nostri connazionali dalla misura generale, ma le autorità argentine non hanno lasciato spazio al negoziato, se non consentendo una moratoria, scaduta all'inizio di luglio 2012. Anche i tentativi intrapresi dall'Inps non hanno portato a risultati concreti per l'indisponibilità espressa dall'Argentina ma soprattutto perché l'articolo 8 delle «condizioni speciali del contratto tra Inps e Citybank, per l'esecuzione del servizio di pagamento delle prestazioni Inps all'estero, dispone che: “L'Istituto di credito esegue i pagamenti in euro, salvo diverse disposizioni politico-valutarie del Paese estero interessato”», come nel caso dell'Argentina.
  Il 17 luglio 2012 quindi, la nostra ambasciata ha comunicato che le autorità locali, ponendo fine all'iniziale moratoria di fatto, avevano avviato l'applicazione della suddetta misura anche nei confronti delle pensioni provenienti dall'estero. Si osserva che le pensioni straniere percepite in Argentina sono circa 70.000, in massima parte pagate dall'Inps (circa 40.000), in misura minore dall'omologo ente previdenziale spagnolo (circa 25.000).
  In base alle nuove disposizioni, tali spettanze avrebbero potuto essere riscosse unicamente in pesos argentini, al tasso di cambio ufficiale. I pensionati che avessero voluto acquistare euro avrebbero dovuto farlo a loro spese e solo se autorizzati dall’
Administracion federal de ingresos publicos (AFIP), la locale agenzia delle entrate, che adotta criteri estremamente restrittivi per l'accesso alla valuta straniera.
  Considerati i pesanti riflessi della novità introdotta dalle autorità locali sui nostri connazionali pensionati ivi residenti, su istruzioni del Ministro Terzi, è stato tempestivamente convocato alla Farnesina l'ambasciatore di Argentina a Roma, al quale – nel corso dell'incontro tenutosi lo scorso 26 luglio – è stata rappresentata la gravità delle conseguenze del provvedimento adottato dal governo di Buenos Aires.
  Lo stesso giorno, il nostro incaricato d'affari a Buenos Aires ha effettuato un passo ufficiale presso il locale Ministero degli affari esteri incontrando il Sottosegretario per la politica estera. Nel corso dell'incontro, nel segnalare le forti preoccupazioni della comunità italiana residente e di tutti i rappresentanti istituzionali della stessa per il provvedimento del Banco Central, è stata richiesta un'ulteriore proroga della moratoria in attesa di negoziare un diverso tipo di accordo rispetto a quello – contenente numerose criticità – presentato nel mese di maggio dalla locale agenzia delle entrate (AFIP). Il Vice Ministro argentino ha assicurato che avrebbe portato all'attenzione del Ministro ed ai vertici della locale agenzia delle entrate la richiesta di proroga avanzata, prospettando inoltre la possibilità di un incontro
in loco tra le parti interessate al quale potrebbe partecipare anche l'Inps.
  Con successiva comunicazione del 15 agosto la nostra ambasciata a Buenos Aires ha riferito dell'incontro avuto con il Vice direttore generale della coordinazione tecnica istituzionale della predetta agenzia delle entrate argentina (AFIP), signor Guillermo Michel, nel corso del quale sono state nuovamente rappresentate le forti preoccupazioni per il pregiudizio economico dei nostri connazionali pensionati. Il predetto interlocutore ha ribadito che la decisione del banca centrale ha sostanzialmente modificato la regolamentazione, introducendo il divieto di risparmio in valuta per tutti i residenti in Argentina.
  Sulla base di tali premesse, lo stesso signor Michel ha giudicato difficilmente percorribile anche un intervento «politico» ai più alti livelli esperito da alcuni parlamentari italiani eletti all'estero attraverso una lettera indirizzata alla presidente, Cristina Fernandez Kirchner, consegnata al Ministro del lavoro e della sicurezza sociale.
  Nella stessa comunicazione la nostra ambasciata ha segnalato inoltre che alcuni pensionati italiani e spagnoli avevano adito la giustizia argentina, anche attraverso il difensore della terza età.
  Nel mese di ottobre del 2012, l'ambasciata d'Italia a Buenos Aires, compiendo un ulteriore passo per ottenere l'esenzione dei nostri connazionali dalla misura generale, ha incontrato il Vice presidente della Banca centrale per chiedere un nuovo intervento presso i locali Ministero degli affari esteri, la Banca centrale e agenzia delle entrate.
  Nel corso di tale occasione, il predetto interlocutore ha fatto tuttavia presente che per la Banca centrale sarebbe stato molto difficile motivare un'eccezione per un gruppo relativamente ristretto di persone qui residenti, di fronte ad un provvedimento che impedisce a tutti cittadini argentini di acquisire valuta straniera ai fini del risparmio.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   MIOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 4-16945 a prima firma dell'interrogante è stato chiesto, innanzitutto, se fosse a conoscenza dei Ministri interrogati la vicenda del professor Grassivaro, resa nota al grande pubblico da un ampio servizio del Corriere della Sera, ingiustamente escluso dalla nomina di addetto scientifico presso le ambasciate a Caracas e Buenos Aires, nonostante la competente commissione ne avesse apprezzato la «eccellente preparazione»;
   il 4 giugno 1993 il professor Grassivaro aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato ma solo dopo 17 anni il ricorso veniva trasmesso al Consiglio di Stato per il relativo parere e, in data 11 novembre 2011, il ricorso è stato accolto, nonostante che già nel 1996 il Ministero fosse stato sollecitato a prendere posizione a seguito dell'interpellanza parlamentare (n. 2-00146) a firma dell'onorevole Marco Boato;
   con la precedente interrogazione è stato chiesto altresì di conoscere se fossero state individuate le responsabilità per un ritardo inaccettabile che ha comportato danni economici, professionali ed «esistenziali» al professor Grassivaro e quale proposta di risarcimento fosse allo studio,
   con risposta alla interrogazione sopraindicata, il Ministro degli affari esteri ricostruisce la vicenda ma sembra attribuire alla inerzia del professor Grassivaro il ritardo nell'esame del ricorso perché afferma che «...l'interessato non ha provveduto nel termine perentorio dei 120 giorni previsto dalla normativa ad attivarsi per i seguiti del ricorso»;
   a mente dell'articolo 11, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 ottobre 1971, n. 1199, che regola il procedimento per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, «Trascorso il detto termine, il ricorrente può richiedere, con atto notificato al Ministero competente, se il ricorso sia stato trasmesso al Consiglio di Stato» pertanto la possibilità per l'interessato di attivarsi per il seguito del ricorso, non può essere scambiato per una condizione cui ottemperare, pena la perdita del diritto al risarcimento;
   risulta invece dal comma 1 dello stesso articolo che sussiste il dovere del Ministero di trasmettere il ricorso al Consiglio di Stato per l'emissione del relativo parere;
   pertanto, le responsabilità del grave ritardo nel dare corso al procedimento introdotto con il ricorso straordinario andrebbero accertate in sede ministeriale e non dovrebbero essere accampate ragioni infondate, anche alla luce del respingimento della analoga eccezione presentata dal Ministero al Consiglio di Stato –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere alla individuazione delle responsabilità in capo ai dirigenti inadempienti, atteso che il privato cittadino non ha omesso alcuna formalità procedimentale e, nel merito della vicenda che lo ha riguardato, ha ottenuto formale attestazione per l'ingiustizia subita, salva l'attesa di un equo risarcimento in sede giustiziale. (4-18982)

  Risposta. — Con riferimento ai quesiti posti nell'interrogazione in esame, si ricorda che il professor Grassivaro ha attivato la prevista procedura amministrativa nella quale richiede di conoscere gli esiti del ricorso da lui presentato il 4 giugno 1993 sedici anni dopo il ricorso stesso, vale a dire il 7 gennaio 2009. Successivamente a tale ultima data, il Consiglio di Stato emetteva l'8 giugno 2011 il definitivo parere con esito sfavorevole all'Amministrazione accogliendo il ricorso del professor Grassivaro e disponendo l'annullamento degli atti impugnati. A fronte della natura vincolante di tale parere, veniva emesso l'11 novembre 2011 il decreto del Presidente della Repubblica che accoglieva il ricorso in questione. Tale decreto è stato prontamente notificato dalla direzione generale per la promozione del sistema Paese del Ministero degli affari esteri all'interessato il 30 novembre 2011.
  Come si evince dal succitato
excursus, nel momento in cui il professor Grassivaro nel 2009 si è avvalso della possibilità offerta dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1199 del 1971 di richiedere gli esiti del ricorso da lui presentato nel 1993, la Farnesina si è immediatamente attivata, come peraltro riconosciuto dallo stesso legale del ricorrente in occasione della presentazione del ricorso al TAR del Lazio, al fine di dare seguito a tutti gli adempimenti ad essa spettanti. Poiché nessuna istanza e stata inoltrata all'amministrazione dal professor Grassivaro, nonostante egli ne avesse la possibilità, nel periodo intercorso dal suo ricorso del 1993 fino al 2009, al momento non è ragionevolmente imputabile, anche in attesa dell'esito del procedimento pendente davanti al TAR del Lazio, nessuna inadempienza ai dirigenti che si sono succeduti in tale arco temporale.
  Peraltro la pronuncia del Consiglio di Stato è intervenuta nel giugno 2011 con un'assenza di istanze da parte del ricorrente durata molti anni. Anche sotto questo aspetto emerge quindi che in mancanza del parere vincolante dell'organo giurisdizionale nessun atto poteva essere emesso dall'amministrazione in contrasto con le decisioni della commissione di valutazione.
  Si fa infine presente che, a seguito della richiesta di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, a carico dell'amministrazione presentata dal legale del professor Grassivaro attraverso il ricorso al TAR del Lazio del 10 aprile 2012, la questione è attualmente all'esame di detto organo giurisdizionale. Spetterà all'avvocatura generale dello Stato redigere la relativa comparsa di costituzione a difesa e tutela dell'amministrazione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   NICOLA MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   Poste Italiane spa ha avviato, ormai da diversi anni, un processo di razionalizzazione degli uffici postali, procedendo sia alla riduzione degli orari di apertura degli sportelli, sia alla chiusura degli stessi in diverse aree del territorio nazionale, fra cui lo sportello postale della frazione di Manera, nel comune di Lomazzo (Como);
   l'amministrazione comunale di Lomazzo, ritenendo importante per la cittadinanza il mantenimento di uno sportello delle Poste nella suddetta frazione, si è reso disponibile a concedere in locazione un locale di proprietà comunale alle stesse condizioni in essere, impegnandosi nel contempo a farsi carico della realizzazione degli interventi necessari per poter procedere alla locazione;
   in data 21 novembre 2011 il direttore del dipartimento affari istituzionali delle Poste Italiane, rendeva noto, tramite mail, che «i lavori per l'auspicato riposizionamento dell'ufficio postale di Manera nel Comune di Lomazzo sono stati inseriti nel Piano di interventi logistico-strutturali previsti per l'anno 2012, a seguito della determinazione da parte dell'Amministrazione Comunale (...) di assumersi l'onere delle spese di adeguamento dei nuovi locali individuati»;
   in seguito alla richiesta da parte dell'amministrazione comunale di una conferma ufficiale della volontà di procedere all'annunciata riapertura, il medesimo direttore di cui sopra ha comunicato che «sono sopraggiunti taluni ostacoli di natura tecnica, non prevedibili, che impediscono l'adeguamento dei locali alla finalità d'uso», aggiungendo che è stata valutata una «scarsa appetibilità commerciale della zona di ubicazione dell'ufficio»;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale e dovrebbero essere garantiti alla cittadinanza a prescindere da valutazioni di ordine economico, per di più se le amministrazioni pubbliche partecipano ai costi;
   la chiusura si tradurrebbe in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troverebbero a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file presso gli sportelli aperti, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per favorire una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa e l'amministrazione comunale di Lomazzo, al fine di rendere possibile la riapertura del nuovo ufficio postale nella frazione di Manera, anche in virtù della disponibilità dimostrata dall'amministrazione comunale di partecipare economicamente, al fine di garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità. (4-16696)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame sulla base delle informazioni fornite dalla società Poste italiane.
  L'ufficio in località Manera, frazione del comune di Lomazzo (Como) è stato chiuso al pubblico per inagibilità, e come riportato anche dall'interrogante nell'atto in esame, per l'immobile che ospita il suddetto ufficio erano stati già programmati i necessari interventi di ristrutturazione.
  Purtroppo i dovuti sopralluoghi, propedeutici a qualsivoglia intervento strutturale, hanno evidenziato la sussistenza di sopraggiunti ed imprevedibili ostacoli di natura tecnica, che, nonostante la disponibilità dimostrata dal sindaco, hanno impedito l'adeguamento dei locali alla finalità d'uso.
  Si rende altresì noto che i monitoraggi all'uopo condotti per migliorare la qualità del servizio offerto alla clientela, hanno evidenziato una scarsa appetibilità commerciale della zona di ubicazione dell'ufficio, conseguente al posizionamento di uffici limitrofi che assorbono la totalità della domanda.
  Allo stato attuale, l'operatività dell'ufficio postale di Manera è stata trasferita all'ufficio postale di Lomazzo, che risulta in grado di rispondere in maniera adeguata e senza difficoltà alle richieste di servizi della clientela.
  Per completezza di informazione, si fa presente, che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, soggetto attualmente competente a vigilare sul settore postale, ha comunicato di voler assumere iniziative specifiche di verifica che mirano ad ottenere più precise indicazioni non solo sul rispetto in concreto dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di servizio universale, ma soprattutto sul confronto preventivo attivato con gli interlocutori istituzionali ed associativi a livello locale e sui relativi esiti.
  L'AGCOM ha altresì assicurato che provvederà a vigilare attentamente sull'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio, attraverso la verifica degli effetti del piano di riorganizzazione sotto il profilo della loro coerenza con i criteri relativi alla localizzazione dei punti di accesso e con i parametri di qualità del servizio.
  Il Ministero non mancherà, tuttavia di adoperarsi nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica, ai quali il servizio postale è tenuto comunque ad ispirarsi.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   MONAI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i fondi per il 2012 che lo Stato, in base alla legge n. 38 del 2001, destina alla minoranza linguistica slovena dovrebbero essere pari a 6.902.062 euro;  
   l'importo di 4.834.072 euro, erogato con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, verrà oggi in parte distribuito dalla giunta regionale del Friuli Venezia Giulia in acconto tra gli enti primari della minoranza slovena;
   detta delibera assegnerà 2,7 milioni di euro dei 4,8 milioni trasferiti dallo Stato alla regione;
   dello stanziamento di 6,9 milioni di euro previsto dal bilancio statale manca ancora l'erogazione di due milioni per tale finalità;
   inoltre, altri 400.000 euro di trasferimenti statali relativi al 2011, hanno dovuto già essere anticipati dalla regione Friuli Venezia Giulia e non sono ancor oggi stati trasferiti dallo Stato;
   il Ministro degli affari esteri, nella quarta riunione del Comitato di coordinamento dei Ministri italo-sloveno tenutosi a Brdo pro Kranju il 19 ottobre 2012, ha assicurato l'impegno affinché i fondi statali per la minoranza slovena non vengano ridotti –:
   quali siano le ragioni di questi ritardi e quando tali trasferimenti verranno disposti. (4-18284)

  Risposta. — La legge n. 38 del 2001 garantisce alla minoranza linguistica slovena un trattamento di discriminazione positiva di altissimo livello, apprezzato anche a livello di Consiglio d'Europa.
  Con riferimento a quanto rilevato dall'interrogante circa i contributi previsti per l'anno 2011, si rappresenta che gli stessi sono stati erogati in applicazione alla suddetta legge (articoli 8, comma 8, 16 e 21) al netto dei soli tagli disposti dalle manovre di finanza pubblica. Anche per quanto concerne l'anno 2012, il contributo previsto dagli articoli 16 e 21 della citata legge è stato erogato nell'importo di 4.834 milioni, determinato al netto dei tagli operati dalla manovra. In merito al contributo previsto dall'articolo 8, comma 8, della medesima legge, determinato al netto degli accantonamenti operati nell'ambito delle spese rimodulabili in 2.067 milioni di euro, si fa presente che non risulta ancora pervenuto l'elenco dei progetti relativi all'uso della lingua slovena nella Pubblica Amministrazione, cui è subordinata la relativa erogazione.
  Con riguardo ai finanziamenti per i prossimi anni, i fondi previsti in legge di stabilità in base agli articoli 8 e 21 della legge n. 38 del 2001 sono rimasti sostanzialmente invariati per il triennio 2013-15 (2,7 milioni di euro l'anno), nonostante la nota situazione economica che ha comportato in altri settori drastiche riduzioni degli stanziamenti e soddisfacendo quindi gli auspici emersi nella quarta riunione del comitato di coordinamento dei Ministri di Brdo del 19 ottobre scorso.
  Appare opportuno ricordare che il rispetto dei diritti di tutte le minoranze storiche presenti in Italia è in ogni caso una priorità del Governo, così come, con questo obiettivo, il dialogo con le associazioni rappresentative di tali minoranze. Al riguardo, l'Italia ha quindi positivamente risposto alla richiesta per l'apertura del Tavolo istituzionale di dialogo con la minoranza slovena avanzata in occasione della vista del Presidente della Repubblica Napolitano a Lubiana lo scorso luglio, richiesta che era stata parimenti indicata come la priorità da soddisfare nella risoluzione sulle minoranze in Italia adottata del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa lo scorso 4 luglio. La prima riunione del tavolo, presieduta dal Sottosegretario del Ministero dell'interno, si è pertanto svolta il 28 settembre ed una seconda riunione si è tenuta il 18 dicembre scorso. Più in generale occorre rilevare che la minoranza slovena in Italia e la minoranza italiana in Slovenia rappresentano una risorsa da valorizzare nel quadro dell'approfondimento delle relazioni tra i due Paesi, non solo sul piano culturale, ma anche su quello economico, in quanto fattore di crescita e di sviluppo. Anche in ambito internazionale, ed in primo luogo in ambito europeo, la collaborazione fra le due minoranze si presta quindi a produrre risultati fruttuosi, attraendo allo stesso tempo risorse finanziarie aggiuntive, rispetto a quelle disponibili sui bilanci nazionali, per iniziative di comune interesse.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMarta Dassù.


   MONTAGNOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'evasione fiscale e contributiva è una delle piaghe peggiori del nostro Paese –:
   quale sia il numero delle ispezioni e il numero di lavoratori non in regola, suddivisi per regione, scoperti dalla Guardia di finanza e dagli ispettorati del lavoro, relativamente agli anni 2011 e 2012.
(4-19195)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame concerne i risultati raggiunti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dalla guardia di finanza negli anni 2011 e 2012 nell'attività di vigilanza in materia di tutela dei rapporti di lavoro e di previdenza sociale, con specifico riferimento al contrasto al lavoro nero.
  Nella seguente tabella sono rappresentati, per ciascun ambito regionale, i dati relativi alle verifiche effettuate nell'anno 2011 dagli ispettori del lavoro. Vengono inoltre evidenziati il numero dei lavoratori rispetto ai quali sono state riscontrate irregolarità e nello specifico quelli considerati «totalmente in nero».

REGIONI n. Aziende ispezionate n. Aziende irregolari n. Lavoratori irregolari di cui lavoratori totalmente in nero
ABRUZZO   5.302  2.913   4.615  1.229
BASILICATA   5.255  1.700   2.210  1.027
CALABRIA   8.421  4.665  10.224  4.060
CAMPANIA  15.003  7.535  13.711  7.223
EMILIA ROMAGNA  13.404  5.872  17.027  5.847
FRIULI V. GIULIA   3.135  1.072   2.354    666
LAZIO  13.118  5.887   9.698  4.223
LIGURIA   5.080  3.026   3.663  1.778
LOMBARDIA  14.162  8.200  34.980  5.448
MARCHE   6.582  3.858  10.046  1.747
MOLISE   2.069  1.436   1.359    871
PIEMONTE  10.738  4.293   8.624  2.933
PUGLIA  14.934  7.386   9.629  4.898
SARDEGNA   7.058  4.618  10.591  2.209
TOSCANA  12.259  5.934  13.302  4.551
UMBRIA   4.122  1.654   3.238    889
VALLE D'AOSTA     413    186     488    174
VENETO   7.498  3.554   8.714  2.653
TOTALE 148.553 73.789 164.473 52.426

  Si precisa che il numero totale delle aziende ispezionate (148.553) denota un incremento pari al 3 per cento rispetto a quanto previsto dal documento di programmazione (144.252) con cui vengono annualmente fornite le direttive per la vigilanza e fissati gli obiettivi dell'attività ispettiva.
  Si segnala in particolare il notevole incremento delle ispezioni effettuate, rispetto a quelle programmate, nelle regioni: Campania (+ 12 per cento), Liguria (+ 10 per cento), Toscana (+ 10 per cento), Puglia (+ 6 per cento), Marche (+ 6 per cento), Abruzzo (+ 5,6 per cento).
  Con riferimento al profilo della presenza sul territorio, si evidenzia un notevole incremento delle ispezioni effettuate nel 2011, rispetto al 2010, nelle seguenti regioni: Umbria (+ 33 per cento), Abruzzo (+ 26 per cento), Valle D'Aosta (+ 14 per cento), Emilia Romagna (+ 13 per cento), Lombardia (+ 11 per cento), mentre il dato rimane sostanzialmente invariato per Calabria, Lazio, Sardegna e Toscana.
  Per quanto concerne, invece, l'aspetto qualitativo delle verifiche si sottolinea che queste ultime continuano a privilegiare, in linea con gli anni precedenti, l'attività di prevenzione e di contrasto delle irregolarità sostanziali, abbandonando ogni logica ispirata a controlli di carattere puramente formale e burocratico.
  Si rappresenta, inoltre, che il numero dei lavoratori in nero accertati dalla guardia di finanza nel corso del 2011 è pari a 12.676 unità (fonte: «rapporto annuale sull'attività di vigilanza in materia di lavoro e previdenziale» – redatto ai sensi dell'articolo 20 della convenzione C81 dell'11 luglio 1947 della conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).
  Da ultimo, si precisa che i dati relativi all'attività di vigilanza dell'anno 2012 sono in corso di elaborazione. Tuttavia, dai primi dati elaborati a livello nazionale e relativi al periodo dal 1o gennaio al 30 settembre 2012, emerge che gli ispettori del lavoro delle strutture territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno ispezionato 101.809 aziende di cui 54.120 sono risultate irregolari. Da questi dati, seppur parziali, emerge inoltre che il numero di lavoratori irregolari è pari a 107.356 di questi 33.371 sono stati considerati «totalmente in nero».

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   MONTAGNOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 57 del 2012, è stata prorogata la scadenza delle autocertificazioni della valutazione dei rischi per le piccole e medie imprese fino a 10 dipendenti, al terzo mese successivo all'emanazione, peraltro non ancora avvenuta, delle procedure standardizzate per la redazione della valutazione dei rischi la quale, comunque, deve avvenire entro e non oltre il 31 dicembre 2012;
   l'attuale formulazione del provvedimento fissa altresì l'entità delle sanzioni penali per il mancato adempimento, così che artigiani e commercianti, ovvero i titolari di piccole e medie imprese che occupano fino a 10 dipendenti, sollecitano una proroga in quanto è di fatto impossibile dotarsi del documento di valutazione del rischio in azienda entro il 31 dicembre;
   le imprese quindi, salvo chiarimenti o proroghe, restano nel limbo interpretativo, con il dubbio di non essere in regola e di incorrere in pesanti sanzioni, che per l'imprenditore inadempiente si traducono nell'arresto da tre a sei mesi o il pagamento di un'ammenda da 2.500 a 6.400 euro;
   in passato le imprese potevano autocertificare, ora, invece, è richiesto il formato documentale, che per una corretta compilazione necessita dell'intervento di esperti e ha dunque un costo a seconda che le imprese siano ad alto rischio (per edilizia, trasporti, meccanica, autoriparazione, legno o arredo, e altro il documento di valutazione dei rischi può costare oltre 600 euro) o a rischio poco significativo (servizi, benessere, comunicazione per i quali il documento può costare oltre 400 euro); il tempo concesso agli imprenditori per effettuare l'adempimento è di soli 20 giorni, festività natalizie comprese –:
   se non si ritenga opportuno, anche alla luce della grave crisi economica e del complesso quadro burocratico nel quale si ritrovano ad operare oggi le imprese, adottare le opportune iniziative normative per prorogare l'attuale disposizione per la redazione della valutazione dei rischi.
(4-19270)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame concerne la possibilità di prevedere un'ulteriore proroga del termine per l'adeguamento della valutazione dei rischi sulla base di procedure standardizzate da parte dei datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori, consentendo loro di continuare ad autocertificare l'effettuazione della valutazione dei rischi.
  In proposito, occorre ricordare che il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (cosiddetto «testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro»), ha attribuito alla commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro il compito di elaborare procedure standardizzate di effettuazione della valutazione dei rischi, precisando altresì che tali procedure devono essere recepite con decreto dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dell'interno, acquisito il parere della Conferenza Stato-regioni.
  Contestualmente, il testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro ha concesso ai datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori di potersi adeguare alle procedure standardizzate nel tempo massimo di 18 mesi dalla pubblicazione del suindicato decreto interministeriale e comunque entro il 30 giugno 2012.
  Tale termine è stato prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto-legge 12 maggio 2012, n. 57 (recante: «Disposizioni urgenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dei trasporti e delle microimprese») convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101 del 12 luglio 2012.
  Successivamente, in attuazione dell'articolo 6, comma 8, lettera
f), del testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha provveduto ad emanare, in data 30 novembre 2012, il decreto ministeriale con il quale sono state recepite le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi.
  Il suindicato decreto, che rappresenta un importante ulteriore avanzamento nell'attuazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ha tuttavia previsto che la nuova normativa entri in vigore il sessantesimo giorno successivo alla notizia della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale (i.e. il 4 febbraio 2013).
  Nelle more dell'entrata in vigore del richiamato decreto ministeriale 30 novembre 2012, l'articolo 1, comma 388, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità per l'anno 2013) ha ulteriormente prorogato al 30 giugno 2013 il termine per consentire ai datori di lavoro di continuare ad autocertificare la valutazione dei rischi per le piccole e medie imprese fino a 10 lavoratori.
  Pertanto, successivamente a tale data, potrà trovare piena ed esclusiva applicazione la disciplina prevista dal decreto del 30 novembre 2012.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   MONTAGNOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa locali veneti riportavano la notizia, negli scorsi mesi, secondo cui a causa del perdurare di tagli e delle perduranti incertezze sui fondi storici di finanziamento nazionali, la situazione del trasporto pubblico ferroviario del Veneto sta assumendo livelli di estrema criticità;
   il monitoraggio sulle risorse a bilancio nel decennio 2000-2010 per il settore, infatti, denota come nella ripartizione nazionale delle risorse il Veneto è stato storicamente penalizzato perché ha ricevuto in dote il 7,33 per cento dei trasferimenti nazionali (in quota assoluta 86,6 milioni di euro, rimasti pressoché immutati negli anni), pari a 5,93 euro per chilometro, a fronte di una media nazionale di 8,12 euro, mentre Lombardia e Piemonte ricevono trasferimenti chilometrici nell'ordine, rispettivamente di 8,54 e 8,19 euro;
   il Veneto avrebbe quindi ottenuto 21 euro per abitante, circa il 40 per cento in meno della media nazionale, mentre i trasferimenti per la Lombardia ammontano a 35 euro per abitante, per il Piemonte a 43, per l'Emilia Romagna a 27 –:
   se non ritenga opportuno, in ragione della gravità della situazione e del livello del servizio offerto all'utenza, assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di sostenere e finanziare maggiormente il servizio del trasporto ferroviario veneto. (4-19312)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale si evidenziano le criticità relative al trasporto pubblico ferroviario in Veneto, si fa presente che, proprio al fine di migliorare il trasporto ferroviario regionale, l'articolo 1, comma 301 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nel sostituire l'articolo 16-bis del decreto legge n. 95 del 2012 e relativa legge di conversione, ha previsto, a decorrere dal 2013, l'istituzione del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, che ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale.
  Il comma 3 del citato articolo 16-
bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi previa intesa in sede di conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto fondo. Il comma 6 del medesimo articolo prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione, a titolo di anticipazione, tra le regioni a statuto ordinario, del 60 per cento dello stanziamento del fondo medesimo.
  Ad oggi, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in corso di emanazione essendo stata sancita la prescritta intesa nella seduta della Conferenza unificata dello scorso 7 febbraio; con la formalizzazione della stessa, nelle more dell'adozione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, si potrà procedere all'emanazione del suddetto decreto interministeriale previsto dai comma 6 dell'articolo 16-
bis.
  Si fa presente, inoltre, che a decorrere dal 2013, in applicazione del succitato articolo 16-bis, le regioni saranno tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione mediante:
   un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
   il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
   la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
   la definizione di livelli occupazionali appropriati;
   la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica.

  Il raggiungimento degli obiettivi in argomento, sarà oggetto di verifica costante da parte di questo Ministero anche attraverso l'osservatorio nazionale per le politiche del trasporto pubblico locale, istituito con l'articolo 1, comma 300 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 al quale, in applicazione della disposizione di legge innanzi indicata, le aziende di trasporto pubblico locale e le aziende esercenti servizi ferroviari di interesse regionale e locale dovranno trasmettere i dati economici e trasportistici utili a creare una banca di dati e un sistema informativo per la verifica dell'andamento del settore.
  L'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi di cui trattasi, da parte delle singole regioni, comporterà una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle stesse.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   NACCARATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 novembre 2010, diversi organi della stampa locale del Veneto hanno pubblicato la notizia secondo cui Helios Technology, società per azioni con sede legale in via Postumia 9/b a Carmignano di Brenta (Padova) – soggetta alla direzione e al coordinamento della società Kerself Spa con sede in Prato di Correggio (Reggio Emilia) – si apprestava a predisporre la cassa integrazione per 190 dei 200 dipendenti. Negli articoli in questione si precisava inoltre che «la situazione di difficoltà sarebbe stata generata anche da una vertenza giudiziaria finita male e a questo quadro preoccupante si aggiunge il fatto che la Helios ha perso un lodo di 30 milioni di dollari con la Ldk, azienda cinese fornitrice di silicio. L'esposizione finanziaria è dunque di circa 90 milioni di euro», come riportato dal quotidiano il Mattino di Padova nell'edizione dell'11 novembre 2010;
   Kerself Spa è il leader nazionale nel settore di celle e pannelli fotovoltaici. Tra gli azionisti rilevanti di Kerself Spa al 31 giugno 2009, risultano: Finmav Spa (detentore del 29,9 per cento del capitale sociale). Franco Traverso (8,66 per cento). Banca Monte dei Paschi di Siena Capital Services per le Imprese Spa (3,83 per cento), Nobis Srl con sede (2,23 per cento). Mais Spa (2,16 per cento), Pioneer Asset Management Sa (2,03 per cento) e Free Float (51,19 per cento);
   Kerself Spa controlla inoltre le seguenti società: Helios Technology Spa (di cui detiene il 70 per cento del capitale sociale). Nuova Thermosolar Srl (100 per cento), Dea Srl (60 per cento), Saem Srl (55 per cento), Ecoware Spa (65 per cento), Ircem industriale (100 per cento) e Jet Spa (100 per cento). Attualmente il presidente del CdA di Kerself Spa, è Pier Angelo Maselli, residente a Rio Saliceto (Reggio Emilia);
   nella relazione del collegio sindacale di Helios Technology Spa, redatta ai sensi dell'articolo 2429 comma 2 del Codice civile, relativa al bilancio al 31 dicembre 2009, la società ha dichiarato un utile 1.267.128. Alla stessa data il capitale sociale risultava pari a 7.000.000 euro;
   il 23 novembre 2009, la Consob ha notificato a Kerself Spa una contestazione emessa ai sensi degli articoli 193 e 195 del Testo unico della Finanza, relativa alla violazione dell'articolo 87 del Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti adottato da Consob con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999, e successive modificazioni: in particolare Consob contesta a Kerself Spa di non aver comunicato tempestivamente e in modo completo le operazioni di acquisto di proprie azioni effettuate per suo conto da Intermonte Sim Spa. Tale procedimento si è concluso con la condanna della Kerself;
   il 1° novembre 2010, sul Corriere Economia – inserto finanziario de Il Corriere della Sera – è apparso un articolo recante notizia dell'apertura di due indagini giudiziarie da parte delle Procure della Repubblica di Milano e Reggio Emilia che, nei confronti di Kerself Spa, risulterebbero «aver acquisito l'informativa che la Consob si è premurata di consegnare fin dallo scorso giugno»;
   secondo la medesima fonte «a prescindere dall'ispezione in corso, gli uomini della Commissione (Nazionale per le Società e la Borsa) avevano ritenuto che ci fossero elementi tali da investire le competenze della Procura della Repubblica». Inoltre, «sarebbero state acquisite e consegnate ai magistrati relazioni dei sindaci di controllate Kerself che segnalavano fatti censurabili. E poi una serie di presunte anomalie nel sistema di fatturazione intercompany. Anche le operazioni di sostegno del titolo farebbero parte del dossier in mano alle Procure»;
   l'articolo sopra citato prosegue dando notizia che «È probabile che i finanzieri si facciano un giro a Padova. E lì, alla controllata Helios Technology, il più importante produttore italiano di celle e moduli fotovoltaici, che si sono accorti che il magazzino era pressoché vuoto. Un buco contabile da 7,8 milioni (di euro)». Anche il quotidiano il Mattino di Padova nell'edizione dell'11 novembre 2010 dà notizia che sulla vicenda «La Guardia di Finanza di Padova sta indagando»;
   Helios Technology Spa e alcune delle aziende da essa partecipate, lavorano per Enti pubblici che rischiano ora, in caso di difficoltà aziendali, di non riuscire a realizzare gli interventi programmati –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti fin qui esposti;
   quali concrete misure i Ministri intendano adottare per evitare che la crisi della Helios Technology Spa ricada sui dipendenti dell'azienda e possa trasformarsi in una crisi occupazionale. (4-09487)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la crisi della società Helios Technology e le conseguenti ricadute occupazionali, sulla base degli elementi informativi acquisiti dalla regione Veneto e dai competenti uffici di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  La
Helios Technology spa con sede legale e stabilimento produttivo in Carmignano di Brenta (Padova), produce celle e moduli fotovoltaici e occupa attualmente circa 164 dipendenti. La società fa parte, dal 2006, del gruppo Kerself, leader italiano nella produzione di impianti fotovoltaici e campi solari per uso privato e industriale.
  Nel primo semestre del 2010, il gruppo
Kerself è entrato in crisi, registrando un calo del valore della produzione e un incremento delle perdite e dell'indebitamento complessivo.
  Analogo
trend negativo è stato registrato a partire dal 2010 anche dalla Helios Technology spa, tale condizione è stata determinata dalla difficoltà dell'azienda di approvvigionarsi di materie prime a causa della carenza di liquidità.
  A partire dal 2009, infatti, la
Helios Technology spa ha sostenuto forti investimenti finalizzati all'acquisto di nuovi impianti ad alta tecnologia; ad aggravare la situazione di crisi è intervenuta, nell'ottobre del 2010, la conclusione in senso sfavorevole per la Helios dell'arbitrato internazionale della International Chamber of Commerce di Parigi che ha imposto all'azienda il pagamento di 30 milioni di euro alla società cinese Ldk Solar co.ldt (Ldk), in relazione ad un contratto di fornitura di silicio stipulato fra le due aziende.
  In seguito alle forti preoccupazioni espresse dalle organizzazioni sindacali circa lo stato dell'azienda, si sono svolti presso le istituzioni comunali e provinciali vari incontri con le parti sociali, nel corso dei quali si è convenuto di ricorrere alla cassa integrazione guadagni ordinaria, di cui
Helios Technology spa ha usufruito nell'anno 2010 e nel 2011.
  Nel contempo, la
Helios Technology spa ha avviato un processo di risanamento del debito e il gruppo Kerself ha approvato, in data 16 dicembre 2010, il piano industriale 2010-2014 che prevede l'afflusso di nuove risorse economiche necessarie al rilancio industriale.
  Nei mesi di gennaio e febbraio 2011, si sono tenuti altri incontri presso il comune di Carmignano di Brenta a cui hanno partecipato il sindaco e il vicesindaco, le organizzazioni sindacali e i vertici dell'azienda. In esito a tali incontri, la
Helios Technology spa si è impegnata a far ripartire la produzione e a mantenere i livelli occupazionali.
  La regione Veneto tuttavia ha rappresentato che in assenza di incentivi finalizzati a sostenere l'acquisto di moduli fotovoltaici, in prospettiva si potrebbe arrivare alla chiusura degli impianti stante la mancanza di nuovi ordini della specifica linea produttiva.
  Successivamente, sono proseguiti gli incontri tra l'azienda e le organizzazioni sindacali al fine di monitorare il nuovo piano aziendale di lavoro collegato a quello finanziario.
  Tuttavia, le difficoltà dell'azienda e del gruppo
Aiòn Renewables, succeduto al gruppo Kerself, non sono state risolte anche a causa della crisi del settore del fotovoltaico e il 12 ottobre 2012 la Helios Technology spa ha aperto la procedura di mobilità per 85 lavoratori.
  Si segnala che a tutt'oggi le parti sociali non hanno richiesto alcun incontro presso questo Ministero per l'esame della situazione occupazionale e non è pervenuta altra segnalazione al riguardo. In ogni caso, si manifesta la disponibilità ad aprire un tavolo di confronto qualora le parti lo richiedano.

Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMichel Martone.


   NACCARATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2010 l'interrogante ha presentato un'interrogazione a risposta scritta (n. 4-09487) indirizzata ai Ministri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali relativa alla crisi economico-finanziaria che ha colpito Helios Technology, società per azioni con sede a Carmignano di Brenta (Padova), soggetta alla direzione e al coordinamento della società Kerself Spa con sede a Prato di Correggio (Reggio Emilia) che da giugno 2006 ne detiene il 70 per cento del capitale sociale;
   l'11 novembre 2010 i dirigenti e le rappresentanze sindacali di Helios Technology hanno predisposto la cassa integrazione per 190 dei 200 dipendenti dopo che l'esposizione finanziaria dell'azienda ha raggiunto all'incirca i 90 milioni di euro;
   l'interrogante esprime preoccupazione per l'erogazione «a singhiozzo» degli stipendi relativi al 2010;
   la crisi finanziaria di Helios Technology è da imputarsi alle difficoltà economico-finanziarie che hanno colpito la società controllante Kerself spa. In particolare, la formazione del passivo nel bilancio di Helios Technology appare riconducibile ad operazioni decise da Kerself spa tra le quali ad esempio si segnala la mancata risoluzione del procedimento amministrativo (lodo del valore di circa 30 milioni di euro) con Jiang X1 Ldk Solar Hi Tech Co, società cinese leader mondiale nella fornitura di «wafers» in silicio, con la quale era stato stipulato un contratto per la fornitura della materia prima a costi precedenti al crollo mondiale del prezzo del silicio avvenuto nel 2009;
   sovraccarico delle fatturazioni di Kerself Spa nella contabilità di Helios Technology e malversazioni contabili effettuate mediante il doppio conteggio della merce in transito e quella in giacenza;
   collocazione non riuscita di un bond obbligazionario da parte di Kerself, la cui asta ha raccolto circa la metà dei proventi rispetto alle previsioni;
   tra gli azionisti rilevanti di Kerself spa al 31 giugno 2009 risultavano: Finmav Spa (detentore del 29,9 per cento del capitale sociale). Franco Traverso (8,66 per cento). Banca Monte dei Paschi di Siena Capital Services per le Imprese spa (3,83 per cento), Nobis Srl (2,23 per cento). Mais Spa (2,16 per cento), Pioneer Asset Management Sa (2,03 per cento) e «Free float» (51,39 per cento). Il 30 giugno 2010 i principati azionisti di Kerself Spa risultavano essere invece Finmav Spa (detentrice del 29,9 per cento del capitale sociale) e Mais Spa (2,16 per cento. La rimanente quota del 67,94 per cento risulta essere «Free float»;
   Kerself spa, oltre a Helios Technology, controlla le seguenti società: Ecoware Spa (65 per cento del capitale sociale). Nuova Thermosolar (100 per cento), Dea Srl (60 per cento, Saem Srl (55 per cento), Helios Technology Enerji Ithalat Irracat Ve Ticareti (51 per cento), Jan Pumps Sanayi Ve Dis Ticaret Limited (85 per cento) Hd Power Energy Srl (40 per cento), Ircem Industriale (100 per cento) e Jet Srl (100 per cento);
   il 12 novembre 2010 il consiglio di amministrazione di Kerself Spa risultava composto da Pier Angelo Masselli (presidente e amministratore delegato), Marco Giorgi (vicepresidente esecutivo), Igor Akhmerov (consigliere non esecutivo), Giuseppe Pellacani (consigliere non esecutivo) e Gian Marco Nicelli (consigliere non esecutivo);
   il 23 novembre 2009 la Consob ha notificato a Kerself Spa una contestazione emessa ai sensi degli articoli 193 e 195 del Testo unico della finanza, relativa alla violazione dell'articolo 87 del regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti. In particolare Consob contesta a Kerself Spa di non aver comunicato tempestivamente e con la dovuta completezza le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate per suo conto dall'intermediario Intermonte Sim Spa;
   il 7 dicembre 2010 Kerself Spa ha comunicato la notifica di un atto di citazione da parte del tribunale civile di Reggio Emilia (per conto della Consob) relativo all'impugnazione dei bilanci civilistico e consolidato al 31 dicembre 2009 dell'emittente quotata. I punti oggetto di citazione sono la valutazione dei lavori in corso su ordinazione, la verifica del valore dell'avviamento iscritto nel bilancio consolidato e la valutazione delle opzioni di vendita sulle quote di minoranza;
   è attualmente pendente innanzi al tribunale civile di Latina un contenzioso tra Kerself Spa e la controllata Dea Srl, procedimento promosso da Luigi Sellaroli, socio al 40 per cento di Dea Srl. Il 25 maggio 2010 il tribunale laziale ha depositato un'ordinanza di accoglimento del ricorso del Sellaroli e predisposto la revoca dalla carica di amministratori di Dea Srl per Pier Angelo Masselli e Giuseppe Pellacani. Ad agosto 2010 il socio di minoranza Sellaroli ha avviato ulteriori procedimenti nei confronti di Kerself, degli amministratori Masselli e Pellacani, della società di revisione Rsm Italy e dei sindaci Tron e Maugeri per presunte irregolarità nelle attività di gestione e coordinamento di Dea Srl e per mancata omissione dell'esercizio dei controlli stabiliti dalla legge. Il secondo atto di denuncia verte sulle presunte violazioni del patto parasociale siglato il 15 giugno 2007;
   al di là delle ipotesi al vaglio degli organi competenti quali la Consob, la magistratura e la Guardia di finanza, l'interrogante esprime forte preoccupazione per il futuro occupazionale dei 200 lavoratori dello stabilimento di Carmignano di Brenta. Si tratta di lavoratori depositari di un know-how strategico che hanno dimostrato negli anni un eccellente livello della produzione –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti fin qui esposti;
   quali concrete misure i Ministri intendano adottare per tutelare una realtà produttiva particolarmente significativa nella provincia di Padova anche assicurando la massima trasparenza nella fase di trattativa per la ricapitalizzazione dell'azienda al fine di produzione e delle quote di mercato. (4-10184)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la crisi della società Helios Technology e le conseguenti ricadute occupazionali, sulla base degli elementi informativi acquisiti dalla regione Veneto e dai competenti uffici di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  La Helios Technology s.p.a., con sede legale e stabilimento produttivo in Carmignano di Brenta (Padova), produce celle e moduli fotovoltaici e occupa attualmente circa 164 dipendenti. La società fa parte, dal 2006, del gruppo Kerself, leader italiano nella produzione di impianti fotovoltaici e campi solari per uso privato e industriale.
  Nel primo semestre del 2010, il gruppo Kerself è entrato in crisi, registrando un calo del valore della produzione e un incremento delle perdite e dell'indebitamento complessivo.
  Analogo trend negativo è stato registrato a partire dal 2010 anche dalla Helios Technology s.p.a., tale condizione è stata determinata dalla difficoltà dell'azienda di approvvigionarsi di materie prime a causa della carenza di liquidità.
  A partire dal 2009, infatti, la Helios Technology s.p.a. ha sostenuto forti investimenti finalizzati all'acquisto di nuovi impianti ad alta tecnologia; ad aggravare la situazione di crisi è intervenuta, nell'ottobre del 2010, la conclusione in senso sfavorevole per la Helios dell'arbitrato internazionale della International chamber of commerce di Parigi che ha imposto all'azienda il pagamento di 30 milioni di euro alla società cinese Ldk Solar Co.Ldt (Ldk), in relazione ad un contratto di fornitura di silicio stipulato fra le due aziende.
  In seguito alle forti preoccupazioni espresse dalle organizzazioni sindacali circa lo stato dell'azienda, si sono svolti presso le istituzioni comunali e provinciali vari incontri con le parti sociali, nel corso dei quali si è convenuto di ricorrere alla cassa integrazione guadagni ordinaria, di cui Helios Technology s.p.a. ha usufruito nell'anno 2010 e nel 2011.
  Nel contempo, la Helios Technology s.p.a. ha avviato un processo di risanamento del debito e il gruppo Kerself ha approvato, in data 16 dicembre 2010, il piano industriale 2010-2014 che prevede l'afflusso di nuove risorse economiche necessarie al rilancio industriale.
  Nei mesi di gennaio e febbraio 2011, si sono tenuti altri incontri presso il comune di Carmignano di Brenta a cui hanno partecipato il sindaco e il vicesindaco, le organizzazioni sindacali e i vertici dell'azienda. In esito a tali incontri, la Helios Technology s.p.a. si è impegnata a far ripartire la produzione e a mantenere i livelli occupazionali.
  La regione Veneto tuttavia ha rappresentato che in assenza di incentivi finalizzati a sostenere l'acquisto di moduli fotovoltaici, in prospettiva si potrebbe arrivare alla chiusura degli impianti stante la mancanza di nuovi ordini della specifica linea produttiva.
  Successivamente, sono proseguiti gli incontri tra l'azienda e le organizzazioni sindacali al fine di monitorare il nuovo piano aziendale di lavoro collegato a quello finanziario.
  Tuttavia, le difficoltà dell'azienda e del gruppo Aiòn Renewables, succeduto al gruppo Kerself, non sono state risolte anche a causa della crisi del settore del fotovoltaico e il 12 ottobre 2012 la Helios Technology s.p.a. ha aperto la procedura di mobilità per 85 lavoratori.
  Si segnala che a tutt'oggi le parti sociali non hanno richiesto alcun incontro presso questo Ministero per l'esame della situazione occupazionale e non è pervenuta altra segnalazione al riguardo. In ogni caso, si manifesta la disponibilità ad aprire un tavolo di confronto qualora le parti lo richiedano.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMichel Martone.


   ANGELA NAPOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Taurianova (Reggio Calabria), di circa 16.000 abitanti, insiste nella zona centrale della piana di Gioia Tauro;
   la città ha vissuto «anni bui» grazie all'esplosione della faida tra le cosche della ’ndrangheta locale;
   nel 1991 è stato il primo comune d'Italia ad aver subito lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa; analogo provvedimento amministrativo è stato ripetuto nell'aprile del 2009;
   proprio nel 1991, a causa dei barbari omicidi susseguitisi nella città e delle collusioni tra ’ndrangheta e politica che hanno imposto lo scioglimento del consiglio comunale, è stato istituito il commissariato della polizia di Stato;
   come già evidenziato in precedenti atti di sindacato ispettivo dall'interrogante, nell'ultimo anno la città di Taurianova sta registrando una nuova emergenza criminale che investe politici locali ma anche comuni cittadini, il che ha portato ad un preoccupante clima di tensione;
   a quanto sopra si aggiungono ripetute notizie dalle quali, nell'ambito del ridimensionamento delle strutture pubbliche, si paventerebbe l'accorpamento dei tre commissariati di P.S. di Taurianova, Polistena e Cittanova in sede diversa dalla città centro della piana di Gioia Tauro;
   sarebbe davvero grave sottrarre alla città un presidio di sicurezza quale quello della polizia di Stato in un momento di pesante presenza criminale e per la stessa peculiarità di quella comunità che ha subìto ben due scioglimenti del civico consesso per infiltrazione mafiosa –:
   se non ritenga necessario ed urgente, alla luce di quanto sopra esposto, fare un'attenta valutazione affinché non venga soppresso il commissariato della polizia di Stato di Taurianova e, conseguentemente, la città non venga ulteriormente abbandonata nella garanzia di controllo e sicurezza. (4-16561)

  Risposta. — In merito alla paventata ipotesi di una soppressione del commissariato della polizia di Stato di Taurianova, alla quale gli organi di stampa locali hanno dato ampio risalto, si rappresenta quanto segue.
  La città di Taurianova, sita al centro della Piana di Gioia Tauro, con una popolazione di circa 15.800 abitanti, negli anni ’80 e ’90 è stata teatro di uno scontro cruento tra le famiglie mafiose «Avignone – Zagari – Viola» e «Asciutto – Grimaldi – Neri». A seguito di tali eventi, nel 1991, venne istituito in quel centro il predetto commissariato di pubblica sicurezza.
  Taurianova è stato il primo comune d'Italia ad essere sciolto a causa di infiltrazione mafiosa nel 1991 e successivamente per la seconda volta nel 2009.
  Per quanto concerne l'attuale emergenza criminale che ha comportato un preoccupante clima di tensione nella cittadina, come evidenziato dall'interrogante, si osserva che nel corso dell'ultimo anno si sono registrate tre intimidazioni, tutte successive all'insediamento del sindaco Romeo Domenico, il quale aveva rivestito tale carica nel 2008/2009, quando l'ente locale fu sciolto per infiltrazione mafiosa.
  Dal 7 settembre 2012 presso il comune di Taurianova si è insediata la commissione d'indagine istituita ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali al fine di esercitare i poteri di accesso e di accertamento previsti dalla legge.
  Per quanto riguarda la possibilità che il commissariato della Polizia di Stato di Taurianova ossa essere soppresso, si precisa che l'ipotesi di riorganizzazione dei commissariati di pubblica sicurezza con sede nella Piana di Gioia Tauro è stata oggetto di un'approfondita istruttoria, affidata alle competenze degli uffici preposti, sin dal 2010.
  Nella circostanza, tenuto conto della particolare sensibilità dimostrata dalla cittadinanza e dagli amministratori locali, si è ritenuto opportuno soprassedere ad eventuali soppressioni o accorpamenti dei presidi di polizia ivi presenti, che potessero incidere negativamente sulla percezione della sicurezza. Allo stato, non risulta avviata alcuna nuova iniziativa in tal senso.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   NASTRI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo un dossier della banca Intesa-Sanpaolo il fatturato delle vendite nelle esportazioni del nostro Paese nel settore agroalimentare risulta essere indietro, anche rispetto ad un Paese quale la Germania, notoriamente non famoso per la qualità dei prodotti agroalimentari;
   il rapporto della medesima banca descrive che i classici prodotti del made in Italy che rappresentano un eccellenza dell'agroalimentare nel mondo, dalla pasta, al vino, all'olio extravergine d'oliva, sono esportati soltanto per il 19 per cento rispetto al 27 per cento della Germania;
   il documento riporta inoltre che negli ultimi dieci anni l'avanzata dei prodotti da tavola tedeschi è stata lenta ma continua, giovandosi della crescita economica dei Paesi limitrofi e più in generale dell'est europeo e della forza di una grande catena di distribuzione come la Rewe;
   i prodotti agroalimentari made in Italy, nello stesso lasso di tempo, hanno invece retto la concorrenza europea, subendo tuttavia un arretramento;
   a giudizio degli economisti di Intesa Sanpaolo, occorrono iniziative in grado di aumentare almeno di 10 miliardi di euro l’export italiano e la necessità di interventi mirati è dimostrata dal successo che incontrano nel mondo i prodotti cosiddetti, italian sounding, ovvero quei prodotti alimentari fatti all'estero, ma che, pur senza essere una vera e propria contraffazione, evocano in qualche modo un'origine italiana;
   secondo il suesposto rapporto, il giro d'affari risulta essere infatti di 60 miliardi di euro e di conseguenza le potenzialità per collocare sui mercati esteri autentici prodotti agroalimentari con il marchio made in Italy, appaiono del tutto realistiche;
   i gap che emergono dal punto di vista agro-industriale per colmare il deficit di competitività della produzione alimentare italiana all'estero, sostiene Intesa Sanpaolo, sono rappresentati dalla frammentazione delle piccole e medie imprese italiane, a differenza di quelle tedesche, che risultano essere più consolidate;
   a causa della dimensione le aziende italiane conseguentemente non riescono ad imporre il loro brand all'estero, nonostante i grandi marchi siano conosciuti in tutto il mondo;
   ulteriori profili di criticità riguardano lo svantaggio competitivo del settore agroalimentare italiano, nei riguardi della Germania e della Francia, causato dalla mancanza di grandi reti di distribuzione nazionali;
   i francesi grazie ad importanti catene di distribuzione nazionale come ad esempio Carrefour, sono riusciti infatti ad entrare in un vasto mercato come la Cina, a differenza dell'Italia che invece non è sostenuta da nessuna grande catena di distribuzione;
   il dossier di Banca Intesa-Sanpaolo evidenzia, infine, come i mercati sui quali gli esperti invitano a insistere sono la Russia, gli Emirati Arabi e la Corea, aree geo-economiche in cui non esistono comunità italiane e pertanto si tratta di mercati inesplorati –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere al fine di migliorare i livelli di competitività delle imprese agroalimentari italiane nei mercati esteri europei e mondiali;
   se non ritengano opportuno assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, adeguate iniziative volte a promuovere all'estero l'autenticità dei prodotti agroalimentari italiani, in quanto un'accelerazione della vendita di prodotti made in Italy, determinerebbe inevitabili vantaggi in termini economici ed occupazionali per il nostro Paese. (4-17778)

  Risposta. — La legge n. 214 del 2011 ha stabilito che la «Cabina di regia», co-presieduta dai Ministri degli affari esteri e dello sviluppo economico, ha il compito di definire le linee guida e di indirizzo strategico, comprensive della programmazione delle risorse, in materia di promozione all'estero e internazionalizzazione del sistema produttivo. Oltre ai due co-Presidenti, della cabina di regia fanno parte anche il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministro del turismo, che la co-presiede per le materie di propria competenza, il presidente della conferenza delle regioni, i presidenti di Confindustria, ABI, Rete imprese e Unioncamere e il presidente dell'alleanza delle cooperative.
  Nel corso della prima riunione della cabina di regia del 18 luglio 2012 è stato deciso che l'azione promozionale dovrà orientarsi soprattutto verso paesi e mercati con un ampio potenziale di crescita e dove, per la lontananza o la complessità, le nostre aziende fanno più fatica a operare da sole, mantenendo peraltro una presenza adeguata alle effettive esigenze ove vi è già una trama di rapporti consolidati, che terrà conto di altre radicate presenze del sistema Italia come le Camere di commercio italiane all'estero.
  Sulla base di tali indicazioni la rete estera del Ministero ha predisposto obiettivi triennali di sviluppo delle attività promozionali complessive nei paesi considerati, rispetto ai quali saranno formulati i piani annuali di intervento. Tali obiettivi sono centrati tra l'altro sull'incremento delle esportazioni e dei flussi commerciali con l'estero, nella consapevolezza che la componente estera è cruciale per la ripresa dell'economia italiana e che l'incremento del livello d'internazionalizzazione del nostro sistema produttivo può in parte compensare le difficoltà derivanti dalla peculiarità dimensionale delle nostre imprese e dall'assenza di grandi sistemi distributivi. Le esportazioni rappresentano infatti mediamente un quarto del Prodotto interno lordo italiano, con tassi di crescita nettamente superiori a quelli del Prodotto interno lordo (15,7 per cento nel 2010 e 11,4 per cento nel 2011).
  Dall'analisi degli obiettivi presentati dalle Ambasciate, l'azione di promozione dell'agroalimentare emerge come obiettivo prioritario. Tale azione di promozione si deve affiancare necessariamente allo sviluppo di contatti con i sistemi distributivi e logistici locali per sopperire alla mancanza all'estero di grandi reti di distribuzione italiane.
  Con specifico riferimento al settore agroalimentare, la Farnesina è costantemente impegnata in un'azione di informazione e sostegno delle nostre imprese interessate ad esplorare i mercati esteri che si esplica in attività mirate in Italia e all'estero, tra le quali, a titolo esemplificativo si citano la country presentation sul Mozambico, aperta il 16 ottobre scorso dal Ministro degli affari esteri Terzi e dal suo omologo mozambicano alla presenza di oltre 120 imprese, nel corso della quale sono state approfondite le opportunità di business nel settore dell'agroindustria; nel corso delle sue missioni in Etiopia e Mozambico del maggio scorso, il Ministro Terzi è stato inoltre accompagnato da una selezionata delegazione di imprenditori, tra i quali figuravano vertici di importanti imprese del settore agroalimentare.
  Le esportazioni agroalimentari italiane hanno un valore di circa 20 miliardi di Euro annuali, con una quota di circa il 50 per cento (10 miliardi di euro) rappresentata da prodotti tutelati dagli istituti giuridici comunitari DOP e IG che, come è noto, non sono riconosciuti da USA, Canada, Australia e altri. I prodotti stranieri «Italian sounding» hanno un mercato del valore annuale stimato tra i 30 ed i 50 miliardi di euro annuali. È utile osservare che in materia i negoziati sono condotti dalla Commissione Unione europea.
  L'Italia chiede e ottiene che nel mandato alla commissione ci sia sempre il capitolo di tutela IG. La tutela conseguita dalle IG all'interno dell'Unione europea può essere considerata buona, tenuto conto che molti dei nostri partners nordici attribuiscono scarsa rilevanza al tema.
  Nei negoziati che l'Unione europea conduce sul piano multilaterale e bilaterale con i paesi terzi, i risultati sono molto variegati.
  Il terreno negoziale più rilevante sarebbe quello WTO-Trips, ma le difficoltà decennali del Doha Round hanno comportato anche la mancanza di progressi in materia di IG.
  Un gruppo di paesi guidati dagli USA ha avviato, in assenza di conclusioni in ambito WTO, il negoziato Acta, i cui esiti per quanto riguarda le IG sono stati nella migliore delle ipotesi di mantenimento della situazione in essere (tutela in Europa, mancanza di tutela nel resto del mondo).
  I principali negoziati bilaterali per FTA in corso, riguardano paesi rilevanti come Canada, India e altri. Particolarmente complesso si è rivelato l'andamento del negoziato con il Canada, che esprime solitamente sul tema posizioni opposte a quella dell'Italia.
  Si è alla ricerca di una delicata posizione di compromesso tra tutela delle IG e quella di marchi canadesi concorrenti con i nostri prodotti sul terreno dell'italian sounding. Giova infine sottolineare che il Ministero degli affari esteri è in costante contatto con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e con le rappresentanze italiane ed europee dei consorzi DOP ed IG al fine di favorire una maggiore conoscenza dei regimi vigenti nei diversi Paesi, sostenendo attivamente iniziative quali da ultimo il manuale «Proteggere le IG nei mercati emergenti (Brasile, Russia, India e Cina)», recentemente pubblicato da Aicig ed Origin.
  Sono inoltre in corso avanzato di organizzazione programmi di promozione dell’export agroalimentare in paesi nei quali attualmente il nostro accesso al mercato domestico è al di sotto delle potenzialità: in particolare si segnala, nell'ambito della rassegna Italia in Giappone 2013, la settimana del vino italiano in Giappone, un'iniziativa promossa dall'Ambasciata a Tokyo e dall'agenzia-ICE nel tentativo di porre fine alla frammentarietà, mancanza di coordinamento ed episodicità che aveva finora caratterizzato le azioni promozionali nel settore enologico e tramite la quale si è cercato di creare un framework unico che radunasse tutti i nostri produttori interessati al mercato nipponico per veicolare un unico messaggio circa la qualità di tutto il vino italiano.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMarta Dassù.


   OLIVERIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi giorni, diversi cittadini residenti presso il comune di Gimigliano in provincia di Catanzaro hanno protestato poiché recandosi presso l'ufficio postale di via Vittorio Emanuele III°, dove già da diversi mesi l'apertura era stata garantita solo a giorni prestabiliti, hanno preso visione di un cartello con cui si avvisava la clientela che dal 19 marzo 2012, i servizi espletati dal suddetto ufficio, sarebbero stati fruibili solo presso un qualsiasi altro sportello della rete poste italiane dislocato sul territorio della zona. Tale chiusura segue quella dell'ufficio postale sito nella popolosa frazione di Cavorà, avvenuta nel mese di luglio 2011 e il cui ufficio forniva un utile e necessario servizio pubblico anche per i residenti del nuovo insediamento di Buda;
   queste decisioni seguono la linea aziendale intrapresa già da diverso tempo dalle Poste spa sull'intero territorio nazionale, nel tentativo di erogare lo stesso volume complessivo di servizi (ovvero mantenendo i fatturati) con un numero sempre più ridotto di sportelli e di personale (cioè con minori costi), ma il tutto effettuato senza rendersi conto che gli sportelli degli uffici postali rappresentano una necessità indispensabile per le moltissime persone che vivono in zone periferiche e soprattutto nei piccoli comuni, dove a pagarne le conseguenze sono sempre i cittadini delle fasce più deboli, che sono inoltre penalizzati dalle carenze di collegamenti, dovuti anche alle conformazione e alla dislocazione delle frazioni sul territorio;
   le Poste spa non dovrebbero decidere da sole dove chiudere e dove tenere aperto. Queste valutazione di tipo strategico devono essere frutto di un percorso che coinvolga anche le amministrazioni locali, sempre più indignate da tali scelte. Uno sportello costituisce un servizio essenziale per mantenere in vita paesi o frazioni e la continua soppressione di essi contrasta anche con l'approvazione da parte della Camera dei deputati all'unanimità del disegno di legge sulla valorizzazione dei piccoli comuni (AC 1174 e abb.) con meno di 5000 abitanti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti e se possano accertare se nel piano di razionalizzazione portato avanti da Poste italiane sia presente la chiusura definitiva dell'ufficio postale di Gimigliano di corso Vittorio Emanuele III° e di quello di Cavorà, e in caso affermativo, quali iniziative il Governo, in qualità di principale azionista delle Poste spa, intenda porre in essere, affinché possa essere scongiurata la chiusura degli uffici postali nei piccoli comuni, come nel caso di Gimigliano, assicurando la permanenza di un servizio pubblico essenziale, che per decenni ha servito un'intera comunità, e che ultimamente risulta invece essere sempre più rarefatto e sporadico e non più garantito, con grave disagio per tutta la popolazione locale. (4-15584)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante la chiusura degli uffici postali «Gimigliano Inferiore» e «Cavorà di Gimigliano», situati nell'omonimo comune in provincia di Catanzaro, sulla base degli elementi forniti dalla società Poste italiane, si rappresenta quanto segue.
  L'ufficio postale «Gimigliano Inferiore» è stato chiuso al pubblico dal marzo 2012, a causa degli esigui flussi di traffico che perduravano da tempo, e la sua operatività è stata trasferita presso l'ufficio principale «Gimigliano», aperto al pubblico dalle ore 8.25 alle ore 13.35, dal lunedì al venerdì, e dalle ore 8.25 alle ore 12.35, il sabato.
  La società ha evidenziato, altresì, che il provvedimento di chiusura dell'ufficio «Gimigliano Inferiore», già previsto nel piano degli interventi sugli uffici postali in posizione di squilibrio economico comunicato al Ministero dello sviluppo economico, è stato inserito anche nel piano trasmesso all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l'anno 2012.
  La società ha comunicato, altresì, che nel corso di un incontro svoltosi lo scorso 20 aprile tra i propri rappresentanti ed il signor sindaco di Gimigliano, quest'ultimo ha espresso il proprio apprezzamento per l'incremento dell'offerta presso l'ufficio principale del comune.
  Per quanto riguarda, invece, l'ufficio «Cavorà di Gimigliano» con monoperatore, la concessionaria ha precisato che lo stesso, già chiuso per inagibilità dei locali dal luglio 2011, è stato inserito nel piano di riorganizzazione 2012, e che il relativo provvedimento di chiusura è stato adottato con decorrenza 10 dicembre 2012, a seguito di incontri con le amministrazioni locali e le organizzazioni sindacali.
  Si fa presente, infine, che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, è il soggetto attualmente competente a vigilare sul settore postale, a cui è demandato il compito di verificare l'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio.
  La stessa Autorità ha assicurato che provvederà a verificare gli effetti del piano di riorganizzazione sotto il profilo della loro coerenza con i criteri relativi alla localizzazione dei punti di accesso e con i parametri di qualità del servizio.
  A questo proposito si ricorda che l'attuale quadro normativo impone al fornitore del servizio postale universale, ai sensi del decreto ministeriale 7 ottobre 2008 recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete pubblica» precisi obblighi di presenza territoriale che garantiscono la fruibilità e la continuità del servizio anche nelle realtà territoriali più remote e disagiate, a prescindere da valutazioni di tipo economico.
  In questo contesto il Ministero dello sviluppo economico, dal canto suo, non mancherà nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali di adoperarsi, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica ai quali il servizio postale è tenuto, comunque, ad ispirarsi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   OLIVERIO e LARATTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema dei trasporti della Calabria è ormai entrato nell'elenco delle emergenze di questa regione, il personale delle aziende private di trasporto pubblico locale è in sciopero, spontaneo e ad oltranza, dalla giornata di lunedì 3 dicembre 2012;
   i lavoratori rivendicano il pagamento degli stipendi dovuto al mancato trasferimento entro novembre, da parte della regione Calabria, dei fondi alle aziende destinati al pagamento degli stipendi di ottobre, novembre, dicembre a cui si sommano anche le risorse per provvedere alla manutenzione dei mezzi in servizio;
   attualmente non vengono assicurati neanche i servizi minimi essenziali ai cittadini che pagano le tasse e gli abbonamenti ma che si vedono negati i più elementari diritti costituzionali, come diritto alla mobilità e il diritto allo studio, visto che centinaia di studenti sono rimasti a casa perché le corse sono state soppresse, mentre moltissimi lavoratori pendolari hanno dovuto utilizzare mezzi privati per raggiungere il posto di lavoro;
   i disagi di questi giorni si aggiungono alla riduzione delle corse dei treni e alla soppressione delle fermate intermedie creando gravi ripercussioni sulla viabilità dell'intera regione Calabria, specialmente in relazione al numero di pendolari che quotidianamente usano il servizio di trasporto pubblico locale per raggiungere il posto di lavoro;
   la vertenza del trasporto pubblico locale calabrese è ormai una polveriera e il blocco del servizio, ampiamente criticato dalle maggiori sigle sindacali calabresi che rivendicano il giusto bisogno dei lavoratori alla regolarità del salario, rischia di decretare il definitivo tracollo del trasporto pubblico calabrese con conseguenze ben più gravi –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e intenda intervenire al più presto, nell'ambito delle proprie competenze, per risanare questa grave situazione che determina il blocco del trasporto pubblico locale nella regione Calabria ormai al limite della sostenibilità;
   quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di garantire il diritto alla mobilità dei cittadini, attualmente compromessa in tutta la regione, con particolare riferimento alle esigenze della popolazione studentesca;
   se intendano impegnarsi al fine di risolvere il disagio dei lavoratori del trasporto pubblico locale. (4-18970)

  Risposta. — Occorre preliminarmente far presente che secondo la normativa vigente la programmazione e gestione dei servizi regionali sono di competenza delle singole regioni, nel caso in esame della regione Calabria, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da specifici contratti di servizio; nell'ambito di questi ultimi sono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle regioni stesse, nonché i relativi standard qualitativi e i meccanismi di penalità da applicare nei casi di eventuale difformità dai parametri contrattualmente stabiliti.
  Si evidenzia, altresì, che proprio al fine di migliorare il trasporto ferroviario regionale l'articolo 1, comma 301 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nel sostituire l'articolo 16-
bis del decreto-legge n. 95 del 2012 e relativa legge di conversione, ha previsto, a decorrere dal 2013, l'istituzione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, che ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale.
  Il comma 3 del citato articolo 16-
bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto Fondo. Ad oggi, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è in corso di emanazione essendo stata sancita la prescritta intesa nella seduta della Conferenza unificata del 7 febbraio 2013.
  Inoltre, il comma 6 del medesimo articolo 16-
bis prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione, a titolo di anticipazione, tra le regioni a statuto ordinario, del 60 per cento dello stanziamento del Fondo medesimo; il suddetto decreto interministeriale, nelle more dell'adozione del citata decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato emanato il 25 febbraio 2013.
  Si fa presente, poi, che a decorrere dal 2013, in applicazione del succitato articolo 16-
bis, le regioni saranno tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione mediante:
   un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
   il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
   la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
   la definizione di livelli occupazionali appropriati;
   la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica.

  Il raggiungimento degli obiettivi in argomento, sarà oggetto di verifica costante da parte di questo Ministero anche attraverso l'osservatorio nazionale per le politiche del trasporto pubblico locale, istituito con l'articolo 1, comma 300 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 al quale, in applicazione della disposizione di legge innanzi indicata, le aziende di trasporto pubblico locale e le aziende esercenti servizi ferroviari di interesse regionale e locale dovranno trasmettere i dati economici e trasportistici utili a creare una banca di dati e un sistema informativo per la verifica dell'andamento del settore.
  L'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi di cui trattasi, da parte delle singole regioni, comporterà una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle stesse.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   PAGLIA e DI BIAGIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Erbusco, in provincia di Brescia, è stato uno dei 24 comuni che, nel maggio del 2004, con il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell'interno e la regione Lombardia ha siglato un accordo di programma quadro in materia di sicurezza che prevedeva la realizzazione di 24 nuove caserme dei carabinieri (con uno stanziamento di decine di milioni di euro), in funzione di un efficace rafforzamento della sicurezza sull'intero territorio lombardo;
   individuata l'area per la localizzazione della caserma (un terreno di proprietà comunale destinato gratuitamente alla costruzione dell'opera), solo dopo un lungo iter burocratico, è stata effettuata la formale consegna dei lavori da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, provveditorato interregionale delle opere pubbliche Lombardia e Liguria di Milano all'impresa risultata vincitrice della gara d'appalto il 20 luglio 2007;
   l'amministrazione comunale di Erbusco ha ritenuto opportuno programmare e realizzare – facendosene finanziariamente carico per un ammontare complessivo di circa un milione e mezzo di euro – alcune opere di urbanizzazione accessorie e funzionali all'apertura della stessa caserma (rotatorie, strada di accesso, illuminazione pubblica, e altro), anche al fine di garantire una viabilità più sicura ed efficiente;
   l'effettiva operatività della predetta caserma, tuttavia, è una questione ancora irrisolta che si protrae oramai da troppo tempo senza che si sia riusciti ancora a giungere, dopo circa otto anni, ad una soluzione chiara e condivisa: l'opera, infatti, ultimata ormai dal mese di gennaio del 2011, pur rivestendo un'importanza strategica nel garantire un adeguato livello di sicurezza dei cittadini di quelle zone e un capillare controllo del territorio, non è mai entrata ufficialmente in funzione e versa, oggi, in uno stato di abbandono e degrado intollerabile;
   il colonnello Marco Turchi, che guida il comando provinciale dei carabinieri di Brescia, il 17 febbraio 2012, in un'intervista al Corriere della Sera, ha categoricamente smentito alcune voci che circolavano sulle presunte cause della mancata apertura della caserma: si era parlato, infatti, di insufficienza di carabinieri da destinare alla nuova struttura per effetto sia della generale riduzione di organico che dei frequenti trasferimenti disposti da Brescia a Roma per l'intensificarsi dell'emergenza criminalità nella Capitale;
   dall'incontro del 29 febbraio 2012 tra alcuni rappresentanti istituzionali locali (sindaco, vicesindaco, responsabile ufficio tecnico, capitano dei carabinieri e funzionario regionale alle opere pubbliche), è emerso che attualmente sono in corso le pratiche per l'accatastamento dell'immobile e per l'acquisizione gratuita definitiva dell'area di proprietà del comunale da parte del demanio e che mancherebbe solo il collaudo amministrativo per l'apertura ufficiale della caserma;
   è stato, altresì, evidenziato che, al momento, non sarebbero disponibili le somme destinate agli allacci delle utenze, nonostante a suo tempo fossero già state inserite tra le somme a capitolato dell'opera: in sostanza «tali somme, poiché non sono state utilizzate antecedentemente, sarebbero al momento indisponibili e per sbloccarle sarebbe necessaria una procedura burocratica che richiederebbe un'autorizzazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze»;
   la questione riveste un'importanza fondamentale soprattutto nell'ottica di garantire una migliore vivibilità nell'intero territorio di riferimento per cui, a fronte dei gravosi oneri già assunti dall'amministrazione comunale di Erbusco, è necessario che tutti gli attori politico-istituzionali coinvolti assumano un atteggiamento responsabile al fine di definire le opportune strategie di intervento e di valutare gli eventuali ulteriori investimenti necessari per consentire l'effettiva entrata a regime dell'opera realizzata –:
   se non ritengano opportuno fornire ulteriori elementi volti a chiarire, in maniera definitiva ed inequivocabile, a che punto sia effettivamente l’iter burocratico-amministrativo in riferimento all'effettiva operatività e funzionalità della caserma dei carabinieri del comune di Erbusco ed, in ogni caso, quali iniziative, di rispettiva competenza, intendano assumere al fine di garantire la tempestiva definizione di questa annosa questione che riveste un'importanza vitale per la sicurezza di un'intera comunità che, assediata da una criminalità sempre più aggressiva e diffusa, ormai da troppi anni, attende invano risposte concrete. (4-15695)

  Risposta. — L'istituzione della stazione dei carabinieri di Erbusco (Brescia) rientra nell'accordo di programma quadro in materia di sicurezza sottoscritto, in data 28 maggio 2004, da questa amministrazione, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla regione Lombardia per la realizzazione di 24 nuove caserme in alcuni comuni delle province di Milano, Bergamo, Brescia, Varese e Lecco.
  L'esecuzione delle opere relative alla realizzazione della caserma di Erbusco è stata affidata al provveditorato interregionale per le opere pubbliche Lombardia e Liguria, su aree messe a disposizione dall'Amministrazione comunale ed i successivi lavori affidati, in data 20 luglio 2007, all'impresa «Costruzioni Pavia s.r.l.», con sede a Pavia.
  Nel corso degli anni questa amministrazione ha seguito con attenzione la vicenda tant’è che la materia è stata oggetto di alcune riunioni tecniche di coordinamento delle forze dell'ordine tese a monitorare l'andamento dei lavori.
  In data 17 aprile 2012 il citato provveditorato interregionale alle opere pubbliche ha comunicato la conclusione dei lavori di costruzione della caserma di Erbusco, segnalando nel contempo la necessità di nuovi fondi per completare gli allacci degli impianti esterni.
  A tal riguardo, recentemente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha assegnato 30.000 euro al suddetto provveditorato necessari per le operazioni di collaudo e per gli allacciamenti alle reti dei servizi propedeutici alla piena funzionalità dell'immobile.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   PAGLIA, MURO e DI BIAGIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è evidente e costante il forte disservizio fornito da Trenitalia s.p.a. sulla tratta Salerno-Mercato S. Severino che si sviluppa in continui ritardi, anche di 20/30 minuti e nella cancellazione puntuale delle corse a causa dell'assenza del capotreno;
   le carenze si sono manifestate in particolare nel periodo estivo, un periodo durante il quale, a causa di mancanza di adeguata climatizzazione delle carrozze fatiscenti e maleodoranti, il disagio dei passeggeri ha raggiunto livelli di poco inferiori alla frustrazione;
   si evidenzia, inoltre, l'antipatico e non previsto obbligo di viaggiare con i finestrini chiusi, in quanto sembra essere prassi non provvedere alla pulizia delle aree che costeggiano i binari, invase da sterpaglie e cespugli che recherebbero rischi per l'incolumità dei passeggeri qualora questi decidessero di avvalersi della presenza dei finestrini;
   le note e difficili condizioni in cui versano i bilanci delle società di trasporto pubblico locale, la negativa differenza fra costi e ricavi delle società di trasporto ferroviario, unitamente alla proiezione dei costi di gestione del trasporto da parte degli enti pubblici hanno condotto all'affidamento del servizio alle compagnie private di autolinee;
   l'apprezzamento da parte dell'utenza è stato elevato, poiché le società in regime di concorrenza si sono impegnate a fornire un servizio certo e puntuale, in perfetta antitesi alle esperienze precedenti, nella massima sicurezza e tranquillità;
   secondo le ultime notizie disponibili dovrebbero essere riattivate a breve solo alcune delle corse su ferro fra Mercato S. Severino e Salerno, ripristinando quindi anche tutti i disservizi e le gestioni lacunose e approssimative precedenti;
   si teme che la clientela possa essere portata a reiterare una odiosa e deprecabile pratica di evasione rappresentata dal mancato acquisto dei titoli di viaggio e giustificata attraverso la rivendicazione di migliori servizi e di maggiore riguardo nei confronti dell'utenza;
   si specifica ancora che le attese interminabili, il viaggio in pessime condizioni, e la consapevolezza della possibilità di alternative migliori non implementate, porteranno certamente l'utenza, anche quella più paziente e civile, ad abbandonare i mezzi per tornare ad utilizzare la propria autovettura, con tutte le conseguenze urbane e ambientali note;
   le coincidenze di orari e l'ammontare nullo dei costi suggerirebbero agli enti responsabili di investire sulla sinergia fra trasporto su gomma e trasporto su ferro, come detto, largamente apprezzata dai cittadini, in particolare facendo leva sulla concertazione con le parti sociali che tutelano legittimi diritti, ma che rischiano di lederne, involontariamente, degli altri –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere alla luce di quanto esposto, considerando in particolare che Trenitalia s.p.a. usufruisce di decisivi supporti statali e pertanto è tenuta a garantire servizi degni ed efficienti. (4-18379)

  Risposta. — Occorre preliminarmente far presente che secondo la normativa vigente la programmazione e gestione dei servizi regionali sono di competenza delle singole regioni, nel caso in esame della regione Campania, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da specifici contratti di servizio; nell'ambito di questi ultimi sono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle regioni stesse, nonché i relativi standard qualitativi e i meccanismi di penalità da applicare nei casi di eventuale difformità dai parametri contrattualmente stabiliti.
  Tuttavia al fine di fornire una risposta all'interrogante con specifico riferimento al collegamento ferroviario regionale esercito da Trenitalia, sono state assunte informazioni presso Ferrovie dello Stato che ha fatto presente quanto segue.
  I treni utilizzati sulla relazione Salerno-Mercato San Severino, al pari di tutti i rotabili di Trenitalia, vengono regolarmente sottoposti ad operazioni di manutenzione programmata secondo piani manutentivi che ciclicamente si ripetono – in base alla percorrenza chilometrica e/o alla scadenza temporale prevista – con varie fasi di controlli, verifiche ed interventi effettuati a livelli differenti, che ne determinano il ciclo di utilizzo.
  In merito, poi, a quanto segnalato dall'interrogante circa i disagi subiti dai viaggiatori a causa dei ritardi e delle cancellazioni delle corse sulla direttrice di cui trattasi, Ferrovie dello Stato ha comunicato che nel corso del 2012 sia i ritardi che le soppressioni di collegamenti (attribuibili a indisponibilità del personale di bordo) sono stati estremamente contenuti.
  Si evidenzia che proprio al fine di migliorare il trasporto ferroviario regionale l'articolo 1, comma 301 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nel sostituire l'articolo 16-
bis del decreto-legge n. 95 del 2012 e relativa legge di conversione, ha previsto, a decorrere dal 2013, l'istituzione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, che ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale.
  Il comma 3 del citato articolo 16-
bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto Fondo. Ad oggi, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è in corso di emanazione essendo stata sancite la prescritte intesa nella seduta della Conferenza unifica del 7 febbraio 2013.
  Inoltre, il comma 6 del medesimo articolo 16-
bis prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione, a titolo di anticipazione, tra le regioni a statuto ordinario, del 60 per cento dello stanziamento del Fondo medesimo; il suddetto decreto interministeriale, nelle more dell'adozione del citato del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato emanato il 25 febbraio 2013.
  Si fa presente, altresì a decorrere dal 2013, in applicazione del succitato articolo 16-
bis, le regioni saranno tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione mediante:
   un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
   il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
   la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
   la definizione di livelli occupazionali appropriati;
   la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica.

  Il raggiungimento degli obiettivi in argomento, sarà oggetto di verifica costante da parte di questo Ministero anche attraverso l'Osservatorio nazionale per le politiche del trasporto pubblico locale, istituito con l'articolo 1, comma 300 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 al quale, in applicazione della disposizione di legge innanzi indicata, le aziende di trasporto pubblico locale e le aziende esercenti servizi ferroviari di interesse regionale e locale dovranno trasmettere i dati economici e trasportistici utili a creare una banca di dati e un sistema informativo per la verifica dell'andamento del settore.
  L'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi di cui trattasi, da parte delle singole regioni, comporterà una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle stesse.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   con una formale comunicazione agli utenti la società Tirrenia spa ha reso note le nuove tariffe relative al trasporto merci da e per la Sardegna;
   tali nuovi tariffe si configurano secondo l'interrogante come l'ennesimo abuso della compagnia sul trasporto marittimo ai danni dei sardi e della Sardegna;
   la società Tirrenia con un atto gravissimo, nella forma e nella sostanza, ha aumentato tutte le tariffe per il trasporto merci, comprese le rotte in regime di continuità territoriale;
   si tratta di un fatto di una gravità inaudita che rappresenta l'ennesimo duro colpo inferto all'economia dell'isola sempre più condizionata dalle insostenibili tariffe applicate dalla Tirrenia con il grave silenzio del Governo che risulta di fatto essere complice della compagnia di navigazione;
   i dati relativi agli aumenti sono eloquenti: sulla tratta Porto Torres-Genova l'incremento è del 36,4 per cento e del 20 per cento, circa su Olbia-Civitavecchia per tutti i semi-rimorchi;
   si tratta di un danno gravissimo alle produzioni e alle merci che arrivano e partono dalla Sardegna nei porti principali dell'isola;
   tali aumenti generano un aumento gravissimo con ripercussioni su tutta l'economia della Sardegna;
   si tratta di aumenti ingiustificati coperti da una voce denominata «diritto di transito» che la Tirrenia incassa su ogni mezzo che attraversa il mare da e per l'isola;
   secondo la comunicazione formale della Tirrenia un semirimorchio da Porto Torres verso Genova e ritorno prima pagava 74 euro ora ne pagherà 102 per sola andata;
   il nuovo corso partirà dal 1° di ottobre 2012;
   incrementi rilevanti si registrano anche sulle rotte Cagliari verso Napoli-Palermo e Trapani;
   con una decisione comunicata tra ieri e oggi agli operatori del settore vengono praticamente azzerati tutti i precedenti contratti mettendo in ginocchio l'intero sistema dei trasporti merci dell'isola;
   tali aumenti rappresentano secondo l'interrogante un gesto di evidente arroganza della compagnia, considerato lo stato dei trasporti dell'isola;
   un aumento che conferma il regime di monopolio che caratterizza i collegamenti marittimi e ribadisce il predominio assoluto della Tirrenia e delle compagnie collegate che si coniuga con l'evidente incapacità e complicità del Governo e della stessa regione di contrastare questa situazione;
   a giudizio dell'interrogante, gli aumenti che riguardano tratte in regime di continuità territoriale non possono essere applicati perché il Ministero, nell'ambito delle convenzioni con la Tirrenia, non può non essersi riservato un controllo e una potestà autorizzativa sugli aumenti e sulle tariffe;
   se nelle nuove convenzioni fosse stata omessa una clausola in tal senso significherebbe che la Sardegna sarebbe ormai in mano a dei veri e propri predatori del mare, senza alcun tipo di salvaguardia del diritto alla continuità territoriale;
   ad avviso dell'interrogante, il Ministro competente non può continuare a ignorare questi fatti gravissimi coprendo di fatto tutte le operazioni più maldestre sui mari della Sardegna senza assumere immediatamente una posizione netta e chiara a tutela della continuità territoriale da e per la Sardegna;
   la vendita della Tirrenia si conferma in questo senso un gravissimo raggiro dello Stato contro la Sardegna e i sardi che risultano privi di qualsiasi tutela;
   nell'ambito della continuità territoriale marittima risulta esserci una grande e grave zona d'ombra: quella delle convenzioni funzionali al privato che doveva comprare la Tirrenia che, oltre a sovvenzioni per oltre 560 milioni di euro nei prossimi 8 anni, può con gli aumenti di oggi incrementare il suo già ingiustificato elevatissimo guadagno;
   questo ennesimo ingiustificato aumento delle tariffe merita ad avviso dell'interrogante l'attenzione dell'Autorità garante per la concorrenza e ai mercati al fine di valutare il comportamento della società Tirrenia –:
   se non ritenga di dover immediatamente adottare tutti gli atti necessari ai fine di conseguire la revoca degli aumenti proposti da Tirrenia nell'ambito delle tratte in regime di continuità territoriale;
   se non ritenga di far conoscere con quali atti ministeriali siano state autorizzate le nuove tariffe con gli aumenti richiamati al trasporto merci;
   se non ritenga di dover urgentemente intervenire per ripristinare tariffe da concreta e riscontrabile continuità territoriale. (4-17904)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La convenzione vigente, stipulata il 18 luglio 2012, tra questo dicastero e la società Cin – Tirrenia, prevede un meccanismo di adeguamento tariffario, approvato con delibera Cipe n. 111 del 2007, legato all'andamento del prezzo del combustibile per la fissazione delle tariffe massime. Sulla base delle suddette norme convenzionali, in data 22 agosto 2012, la società Tirrenia ha formulato una richiesta di adeguamento tariffario.
  Sulla base delle informazioni assunte presso la società Tirrenia circa l'effettivo aumento della tariffa merci praticata sulle rotte per la Sardegna si fa presente che l'effettiva incidenza percentuale della variazione operata dalla predetta società risulta inferiore a quanto rappresentato nell'atto ispettivo.
  La società, infatti, ha evidenziato che l'incremento di due euro (da euro 5,50 a euro 7,50) per metro lineare, riguarda i soli diritti di transito.
  Pertanto, tenendo conto di una lunghezza media di un semirimorchio pari a 13,6 metri, applicando correttamente la variazione operata, l'importo complessivo della tariffa per un semirimorchio sulla Genova/Porto Torres passa da circa euro 519 a euro 546; l'incremento registrato, pari a circa euro 27, ha dunque un'incidenza limitata al 5 per cento.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   POLLEDRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori dell'Atlantis di Gropparello stanno attraversando un momento di grave difficoltà ed incertezza dopo aver appreso che l'azienda del gruppo Azimut-Benedetti avrebbe deciso di chiudere lo stabilimento piacentino;
   il gruppo Azimut-Benedetti è leader mondiale nella produzione di imbarcazioni a motore di lusso;
   la crisi economica non ha mancato di colpire il settore nautico mettendo in difficoltà anche il gruppo Azimut-Benedetti che, secondo le dichiarazioni dei vertici aziendali, da circa quattro anni non produce più guadagni;
   secondo i vertici aziendali, la quota italiana di produzione sarebbe crollata da 150 a 12 milioni di euro, segnando una battuta d'arresto per il mercato interno;
   l'azienda, in risposta alla crisi, ha annunciato la chiusura della fabbrica di Piacenza, che occupa circa 200 dipendenti, con la strategia di rilanciare la produzione nelle fabbriche di Avigliana e di Viareggio, che avverrà non senza conseguenze per i lavoratori;
   la chiusura dello stabilimento piacentino rappresenta un duro colpo per l'economia della zona, già fortemente provata dalla crisi –:
   se il Ministro ritenga di assumere iniziative volte a far chiarezza sulla vicenda e se intenda adottare gli strumenti propri ad evitare che le strategie di sviluppo dell'azienda abbiano come conseguenza la chiusura della fabbrica di Atlantis di Gropparello ed il licenziamento dei dipendenti. (4-18731)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico ha seguito l'evolversi della vicenda che ha interessato il gruppo Azimut Benetti.
  In tal senso, il 13 dicembre 2012 si è tenuta presso il medesimo Ministero una riunione con l'obiettivo di consentire la ricerca di una soluzione condivisa il più possibile, sia dal punto di vista produttivo che occupazionale.
  In tale sede, dopo ampia e approfondita discussione è stato condiviso il seguente percorso:
   1. l'azienda avrebbe avviato nei prossimi giorni il trasferimento delle imbarcazioni e dei relativi stampi e materiali correlati dal sito di Piacenza.
   2. dal 31 gennaio al 31 marzo 2013 verranno mantenute attività nello stabilimento di Piacenza che garantiranno l'occupazione di circa 20 maestranze.
   3. contestualmente all'avvio delle operazioni previste ai punti precedenti, in sede aziendale si sarebbe dato inizio alle discussioni riguardanti il «piano sociale», anche nell'ottica di eventuali trasferimenti nel sito di Avigliana, e si sarebbero avviate, inoltre, le attività per finalizzare il progetto per la ricerca di eventuali nuovi investitori.
   4. l'azienda ha confermato l'impegno a investire 29 milioni di euro sul sito di Avigliana nei prossimi anni.
   5. si sarebbero avviate, infine, in sede locale le interlocuzioni per condividere il piano d'incremento della produttività che consenta all'azienda di ottenere la competitività necessaria sul sito di Avigliana.

  L'azienda, nell'ottica di quanto previsto ai punti precedenti, avrebbe fatto richiesta del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per riorganizzazione in favore di tutti i propri lavoratori.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e NARDUCCI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 6 luglio 2012 il pagamento delle pensioni ai cittadini italiani residenti in Argentina presso gli sportelli del Banco Itaù, convenzionato con l'INPS, avviene non più in euro, solitamente convertiti in dollari statunitensi, ma in pesos, in forza della disposizione 5318 della Banca centrale della Repubblica argentina;
   la risoluzione della Banca centrale rappresenta una delle misure prese per recuperare valuta estera da destinare al pagamento in dollari dei bond e comporta un'obiettiva perdita di valore dei ratei riscossi dai pensionati, con intuibili conseguenze negative sia sul tenore di vita degli stessi che sulla capacità di realizzare piccoli risparmi;
   sui circa 80.000 pensionati europei residenti in Argentina, indiscriminatamente colpiti da queste restrittive misure finanziarie, quelli italiani sono circa la metà, un numero ragguardevole sia sotto il profilo del sostegno a migliaia di nuclei familiari che sotto quello delle ripercussioni che il sistematico impiego degli importi ha sull'economia locale;
   la conversione forzosa in pesos dei ratei pensionistici sta destando forti preoccupazioni tra gli interessati, molti dei quali erano già in condizioni di precarietà a causa dei bassi livelli di reddito, ed è vissuta dalla nostra comunità come un'indebita appropriazione di risorse direttamente erogate dallo Stato italiano a propri concittadini;
   i contatti che negli ultimi mesi sono intercorsi tra i nostri rappresentanti diplomatici e consolari e le autorità locali non hanno dato esiti concreti, anche se sembrerebbe esserci da parte dell’Administraciòn Federal de Ingresos Publicos (AFIP), l'ente tributario, una qualche apertura almeno per il rinvio delle misure restrittive;
   l'orientamento prevalente all'interno della nostra comunità, suffragato anche dalla valutazione di esperti, è che la trasmissione delle pensioni da parte dello Stato italiano a propri concittadini non possa essere assimilata ad una qualsiasi operazione valutaria, ma ad un rapporto tutelato dalla legge italiana e fondato su un diritto del cittadino;
   il pagamento delle pensioni italiane ai nostri connazionali in Argentina, peraltro, ha dei risvolti non solo finanziari, ma anche di privacy e di sicurezza, come dimostrano i casi purtroppo crescenti di aggressione da parte della piccola malavita locale a pensionati italiani, soprattutto nei giorni di riscossione;
   la perdita di valore delle pensioni percepite dai nostri connazionali in Argentina aggrava la già critica situazione di persone che spesso non possono contare su una diversa fonte di reddito e cade in momento di regressione dell'intervento pubblico italiano per l'assistenza diretta e indiretta delle persone in stato di indigenza –:
   se non intendano promuovere ulteriori contatti con le autorità argentine per rappresentare la lesione dell'interesse dei pensionati italiani che con tali misure obiettivamente si determina e, nello stesso tempo, le ripercussioni critiche che possono ricadere sul contesto economico locale;
   se non sia utile approfondire attraverso il dialogo l'esigenza di una specifica sospensione delle misure di restrizione cambiaria, per considerazioni di ordine giuridico inerenti alla particolare natura dei rapporti pensionistici e di solidarietà umana e sociale, trattandosi di categorie di persone che hanno accumulato un notevole credito sociale e morale nel corso della loro esistenza e che oggi sono esposte a condizioni di marginalità e di bisogno. (4-17027)

  Risposta. — Nel novembre 2011 la nostra ambasciata a Buenos Aires ha comunicato che le misure adottate dal nuovo governo di Cristina Fernandez de Kirchner per ridurre l'accesso alla valuta straniera imponevano il pagamento in valuta locale (pesos) delle pensioni erogate in euro ai nostri connazionali, con relativo grave pregiudizio degli interessati.
  Da allora la nostra ambasciata, che è sempre stata in contatto con le istanze elettive della collettività (Cgie e Comites) e con i patronati, ha compiuto continui passi per ottenere l'esenzione dei nostri connazionali dalla misura generale, ma le Autorità argentine non hanno lasciato spazio al negoziato, se non consentendo una moratoria, scaduta all'inizio di luglio 2012. Anche i tentativi intrapresi dall'Inps non hanno portato a risultati concreti per l'indisponibilità espressa dall'Argentina ma soprattutto perché l'articolo 8 delle «condizioni speciali del contratto tra Inps e Citybank, per l'esecuzione del servizio di pagamento delle prestazioni Inps all'estero, dispone che: “L'Istituto di credito esegue i pagamenti in euro, salvo diverse disposizioni politico-valutarie del Paese estero interessato”, come nel caso dell'Argentina».
  Il 17 luglio 2012, quindi, la nostra ambasciata ha comunicato che le autorità locali, ponendo fine all'iniziale moratoria di fatto, avevano avviato l'applicazione della suddetta misura anche nei confronti delle pensioni provenienti dall'estero. Si osserva che le pensioni straniere percepite in Argentina sono circa 70.000, in massima parte pagate dall'Inps (circa 40.000), in misura minore dall'omologo ente previdenziale spagnolo (circa 25.000).
  In base alle nuove disposizioni, tali spettanze avrebbero potuto essere riscosse unicamente in pesos argentini, al tasso di cambio ufficiale. I pensionati che avessero voluto acquistare euro avrebbero dovuto farlo a loro spese e solo se autorizzati dall'Administracion federal de ingresos publicos (AFIP), la locale agenzia delle entrate, che adotta criteri estremamente restrittivi per l'accesso alla valuta straniera.
  Considerati i pesanti riflessi della novità introdotta dalle autorità locali sui nostri connazionali pensionati ivi residenti, su istruzioni del Ministro Terzi, è stato tempestivamente convocato alla Farnesina l'ambasciatore di Argentina a Roma, al quale – nel corso dell'incontro tenutosi lo scorso 26 luglio – è stata rappresentata la gravità delle conseguenze del provvedimento adottato dal Governo di Buenos Aires.
  Lo stesso giorno, il nostro incaricato d'affari a Buenos Aires ha effettuato un passo ufficiale presso il locale Ministero degli esteri incontrando il Sottosegretario per la politica estera. Nel corso dell'incontro, nel segnalare le forti preoccupazioni della comunità italiana residente e di tutti i rappresentanti istituzionali della stessa per il provvedimento del Banco central, è stata richiesta un'ulteriore proroga della moratoria in attesa di negoziare un diverso tipo di accordo rispetto a quello – contenente numerose criticità – presentato nel mese di maggio dalla locale agenzia delle entrate (AFIP). Il Vice Ministro argentino ha assicurato che avrebbe portato all'attenzione del Ministro ed ai vertici della locale agenzia delle entrate la richiesta di proroga avanzata, prospettando inoltre la possibilità di un incontro in loco tra le parti interessate al quale potrebbe partecipare anche l'Inps.
  Con successiva comunicazione del 15 agosto la nostra ambasciata a Buenos Aires ha riferito dell'incontro avuto con il Vice direttore generale della coordinazione tecnica istituzionale della predetta agenzia delle entrate argentina (AFIP), signor Guillermo Michel, nel corso del quale sono state nuovamente rappresentate le forti preoccupazioni per il pregiudizio economico dei nostri connazionali pensionati. Il predetto interlocutore ha ribadito che la decisione del Banca centrale ha sostanzialmente modificato la regolamentazione, introducendo il divieto di risparmio in valuta per tutti i residenti in Argentina.
  Sulla base di tali premesse, lo stesso signor Michel ha giudicato difficilmente percorribile anche un intervento «politico» ai più alti livelli esperito da alcuni parlamentari italiani eletti all'estero attraverso una lettera indirizzata alla Presidente, Cristina Fernandez Kirchner, consegnata al Ministro del lavoro e della sicurezza sociale.
  Nella stessa comunicazione la nostra ambasciata ha segnalato inoltre che alcuni pensionati italiani e spagnoli avevano adito la giustizia argentina, anche attraverso il difensore della terza età.
  Nel mese di ottobre del 2012 l'ambasciata d'Italia a Buenos Aires, compiendo un ulteriore passo per ottenere l'esenzione dei nostri connazionali dalla misura generale, ha incontrato il vice presidente della Banca centrale per chiedere un nuovo intervento presso i locali Ministero degli affari esteri, la Banca centrale e ed agenzia delle entrate.
  Nel corso di tale occasione, il predetto interlocutore ha fatto tuttavia presente che per la Banca centrale sarebbe stato molto difficile motivare un'eccezione per un gruppo relativamente ristretto di persone qui residenti, di fronte ad un provvedimento che impedisce a tutti cittadini argentini di acquisire valuta straniera ai fini del risparmio.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   PORTA, FEDI, BUCCHINO, GIANNI FARINA e NARDUCCI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   i COMITES, le istanze di rappresentanza di base previste e regolamentate dalla legge 23 ottobre 2003 n. 286, da alcuni anni sono in condizione di grave difficoltà a causa della progressiva diminuzione dei finanziamenti ministeriali e del triplice rinvio del loro rinnovo, che ha contribuito a svuotarli di energie e a ostacolarne il ricambio;
   la drastica riduzione dei finanziamenti, scesi dai 3,4 milioni del 2008 ai 2,4 del 2012, oltre a colpire le possibilità operative di tali organismi, mette in discussione i rapporti di lavoro costituiti secondo la legge locale, esponendo chi li gestisce con impegno gratuito e volontario a responsabilità civili in diversi casi preoccupanti;
   il COMITES di Rio de Janeiro, che pure dal 1987 ad oggi ha realizzato un importante servizio per i cittadini di quell'area per i quali ha richiesto in Italia più di 10.000 documenti inerenti pratiche di cittadinanza, non fa eccezione in questa condizione di generale precarietà, tant’è che ha accumulato nel tempo alcune esposizioni debitorie e arretrati riguardanti il rapporto di lavoro con la persona che per anni ha svolto le mansioni di segretaria;
   il console di Rio, pur non facendo mancare nel recente passato il suo sostegno al suddetto COMITES, dopo avere promesso di dare in comodato gratuito i locali attualmente occupati ha intimato al Presidente di esso di lasciarli entro il corrente mese, consentendo l'uso di una semplice sala da riunioni e una postazione internet inadatta alla continuazione del servizio di raccolta delle domande dei cittadini;
   in una fase prevedibilmente non breve di contenimento delle risorse destinate alle politiche emigratorie, la razionalizzazione dei rapporti logistici tra i consolati e i COMITES dovrebbe essere un obiettivo da perseguire, per fare in modo che i costi per i locali, tanto più rilevanti in città di ampie dimensioni nelle quali sono più consistenti le nostre comunità, possano assorbire risorse finanziarie da destinare prioritariamente ai servizi ai nostri connazionali –:
   se non intenda rappresentare al console di Rio de Janeiro, nel quadro di un impegno concordato e progressivo di risanamento della situazione debitoria del COMITES, l'opportunità di prolungare la disponibilità dei locali già in uso da parte dell'organismo di rappresentanza perché esso possa continuare ad esercitare le funzioni previste dalla legge e attese dai nostri concittadini. (4-18815)

  Risposta. — Dal 1987 il Comites di Rio de Janeiro è ospitato nell'edificio patrimoniale «Casa d'Italia», ove ha occupato vari spazi, sempre sulla base di atti di concessione a canone agevolato al 10 per cento del canone di mercato, ovvero al minimo canone applicabile per legge. Per il suo funzionamento il Comites si è sempre avvalso di un elemento di segreteria, addetto principalmente alle attività informative sui servizi consolari, assunto con contratto locale.
  La progressiva diminuzione dei finanziamenti ministeriali nel corso degli ultimi anni, derivante dalla riduzione degli stanziamenti di bilancio, ha richiesto la tempestiva adozione di misure correttive efficaci da parte del Comites, nella duplice direzione del contenimento dei costi di gestione e della ricerca di risorse integrative (proventi locali da attività promozionali e sponsorizzazioni).
  A questo proposito si fa presente che, ai sensi dell'articolo 3 della legge 286 del 2003, i finanziamenti ministeriali – erogati nei limiti dei complessivi stanziamenti allo scopo iscritti nelle pertinenti unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero degli affari esteri – costituiscono solo una delle entrate con le quali i Comites provvedono al proprio funzionamento ed all'adempimento dei propri compiti. Le altre sono:
   le rendite dell'eventuale patrimonio;
   gli eventuali finanziamenti disposti da altre amministrazioni italiane;
   gli eventuali contributi disposti dai paesi ove hanno sede i comitati o da privati;
   il ricavato di attività e manifestazioni varie.

  Ai sensi dell'articolo 4, inoltre, «la segreteria del Comitato è affidata con incarico gratuito a un membro del comitato stesso. Compatibilmente con le esigenze di bilancio, per lo svolgimento delle proprie funzioni, il comitato può avvalersi di personale di segreteria (...) assunto con contratto di lavoro subordinato privato regolato dalla normativa locale».
  Va inoltre sottolineato che dell'ammontare del finanziamento ministeriale è data notizia a ciascun comitato a inizio anno, al fine di consentire un'adeguata programmazione delle proprie attività.
  Il consolato generale, anche su richiesta di questo Ministero, ha più volte invitato il Comites ad approntare un concreto e fattibile piano di rientro dalla propria situazione debitoria: un piano era stato elaborato a inizio 2012 (prevedendo il licenziamento dell'elemento di segreteria, la riduzione dello spazio per gli uffici ed il patrocinio di alcuni eventi da cui ricavare fondi aggiuntivi), ma la sua attuazione ha incontrato difficoltà operative.
  A fronte della persistente morosità dell'ente (mancato pagamento quote condominiali da agosto 2011 e mancata corresponsione del canone agevolato per il 2012), nel mese di novembre scorso il consolato generale ha richiesto al Comites il rilascio dei locali in concessione, offrendo contestualmente la disponibilità di una sala riunioni e di una postazione informatica nell'immobile sede del consolato generale, allo scopo di salvaguardarne la sufficiente funzionalità operativa. Secondo la normativa applicabile (decreto del Presidente della Repubblica 6 del 2005), infatti, il mancato adempimento delle obbligazioni contrattuali costituisce causa di decadenza della concessione e motivo ostativo all'eventuale rinnovo della stessa.
  In seguito ad ulteriori contatti, il Ministero del affari esteri, sulla base delle valutazioni del consolato generale, ha concesso – il 6 dicembre 2012 – al Comites un finanziamento straordinario di euro 25.133, in aggiunta al finanziamento già concesso per il 2012, vincolato all'attuazione di un concreto piano di rientro del debito. Il Comites, con comunicazione del 14 dicembre scorso, esprimendo soddisfazione per la concessione del contributo straordinario, si è impegnato formalmente a sanare la propria posizione debitoria e ad attuare un ridimensionamento della struttura al fine di adeguarne i costi alle proprie disponibilità finanziarie. In particolare, l'ente ha comunicato di volere:
   pagare i debiti nei confronti del consolato generale (anticipo sul contributo 2011 non restituito, canone agevolato di locazione per il 2012, oneri condominiali arretrati);
   ridurre la superficie destinata ad ufficio;
   risolvere i rapporti di lavoro con il personale addetto a far data dal 1° gennaio 2013, mediante corresponsione delle competenze stipendiali e degli oneri sociali arretrati;
   attivarsi per la ricerca di proventi locali integrativi del finanziamento ministeriale.

  La concessione in uso di spazi demaniali, seppur ridotti al Comites per l'anno 2013, in base alle disposizioni di legge (decreto del Presidente della Repubblica 96 del 2005) sarà possibile solo subordinatamente all'avvenuta estinzione dei debiti essi afferenti al rapporto concessorio. Il consolato generale, in raccordo con questo Ministero, continuerà a vigilare sulla concreta attuazione degli altri punti del piano di rientro del debito, per assicurare che le iniziative che il comitato vorrà prendere siano sufficienti a riportare in equilibrio la situazione finanziaria e ad evitare in futuro l'insorgere di nuove posizioni debitorie.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMarta Dassù.


   RAZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la compagnia di comunicazione 3 Italia - H3G spa gestisce un servizio pubblico di comunicazione;
   sarebbe soggetto alla autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom);
   vi sono numerose lamentele riferite al servizio che la 3 Italia - H3G spa dovrebbe dare;
   è impossibile comunicare con gli uffici della 3 Italia - H3G spa che, in base ad un principio di automazione, non danno la possibilità di poter parlare a nessun cliente o consumatore o comunque cittadino;
   alla 3 Italia - H3G spa non rispondono persone fisiche a nessuno di questi numeri: 133, 139, 4030, 4034, 4040, 4039, 4077, 4133, 800802323, 800979797, 803133, 803139, neppure dall'estero ai numeri da 3 Italia - H3G spa pubblicizzati come 00393933934077, 00393933934030, 00393933934034, il tutto con grande dispendio di risorse e di tempo oltre ai disagi e ai disservizi;
   sul sito della 3 Italia - H3G spa nelle aree specifiche di servizio o nell'area clienti così come per via telefonica non si offre un adeguato sistema di informazione e si mette di fatto il consumatore nell'impossibilità di avere un servizio per il quale ha già pagato in anticipo;
   ai numeri di centralino della 3 Italia - H3G Spa 0244581, 0659551 risponde un che dice «3 Italia - H3G Spa è un magic number»;
   la stessa cosa accade anche per i servizi essenziali con cui il cittadino dovrebbe avere possibilità di comunicare; si crea un muro e una barriera per il consumatore il quale non può che subire tale stato di cose;
   i rapporti tra l'amministrazione e la compagnia telefonica sono regolamentati da convenzioni e atti amministrativi;
   l'autorità garante, a quanto consta all'interrogante, non è intervenuta o non ha trovato rispondenza a eventuali segnalazioni –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, anche normative, per meglio regolamentare i servizi al pubblico prestati da imprese operanti nel settore delle comunicazioni, con particolare riferimento agli aspetti commessi ai rapporti con la clientela tenuti per via telefonica o per mezzo di internet, al fine di non lasciare i cittadini in una situazione di disagio e di danno come nel corso di cui in premessa. (4-14851)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, riguardante i disservizi della compagnia di comunicazione 3 Italia – H3g, sulla base degli elementi forniti dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si rappresenta quanto segue.
  L'interrogante segnala la problematica concernente l'impossibilità per il consumatore di interloquire telefonicamente con la società H3g, elencando, in particolare, una serie di numeri telefonici e lamentando che a nessuno di essi rispondono persone fisiche.
  La questione concerne il funzionamento dei numeri per servizi di assistenza clienti «customer care», cioè i numeri che consentono ai clienti di un fornitore di servizi di comunicazione o di risorsa correlata di accedere, senza oneri per il chiamante, allo sportello di assistenza dell'operatore medesimo, adeguato alle esigenze degli utenti.
  In particolare, ai sensi dell'articolo 15, comma 1 dell'allegato A della delibera 26/08/CIR del 14 maggio 2008 (Piano nazionale di numerazione — Pnn) dell'Autorità per garanzie nelle comunicazioni, gli utenti possono utilizzare i numeri in questione per segnalare disservizi, ottenere risposte ai quesiti legati ai servizi forniti, ai prezzi ed alla fatturazione degli stessi ed alle procedure di reclamo, gestire il blocco selettivo delle chiamate.
  I numeri in questione sono in decade 1 (tecnicamente parlando a «codice 1», in quanto si tratta di numeri brevi con numero iniziale 1 che li contraddistingue da tutti gli altri numeri destinati ai vari servizi fornibili, nell'ambito delle varie classificazioni scandite dalle decadi iniziali) e possono essere numeri brevi a tre cifre, come per l'appunto i numeri 133 e 139 usati da H3g, nonché numeri a 4 o 6 cifre secondo le prescrizioni del Pnn.
  Rileva l'Agcom che, per tali numerazioni, l'articolo 6 della delibera 79/09/CSP del 14 maggio 2009 (Qualità dei call center) dell'Autorità impone agli operatori di fornire il servizio di assistenza clienti, assicurando all'utente, tra l'altro, il diritto di presentare un reclamo e di parlare direttamente con un addetto, e che tale servizio sia gratuito.
  L'interrogazione fa poi riferimento alle altre numerazioni e cioè quelle per servizi interni di rete (servizi forniti dall'operatore di rete stesso correlati con le funzionalità di rete e che per loro natura non necessitano di interoperabilità tra reti di operatori diversi), che hanno una struttura in decade 4, nonché quelle per servizi di addebito al chiamato, che iniziano con il numero 800 ovvero 803. Al riguardo, si rappresenta che, secondo quanto rappresentato dall'Agcom, le numerazioni in questione non sono soggette alle norme impositive dell'obbligo di assistenza clienti con risposta da parte di un addetto e, quindi, possono anche prevedere un sistema di risposta automatica tipo (Interactive voice response) IVR.
  Inoltre, l'Autorità, in data 6 giugno 2012, ha fatto presente che, nel corso di una riunione tenutasi, presso la propria sede di Napoli, con il responsabile della regolamentazione della società H3g, sono state approfondite le problematiche concernenti le numerazioni specificatamente elencate nell'atto parlamentare che si riscontra, e forniti i relativi chiarimenti circa l'uso, la conformità alle norme del Piano di numerazione nazionale (Pnn) e la regolamentazione relativa al servizio di assistenza clienti.
  In occasione di tale riunione il responsabile delle regolamentazione della società H3g ha dichiarato che il servizio di assistenza «139», dedicato ad una buona parte della clientela H3G, è fornito direttamente da operatore, mentre quello fornito mediante il «133» prevede da tempo semplici modalità di accesso agli operatori alla fine di ciascun ramo nei quali è organizzato il sistema di risposta automatica. Tutti i clienti hanno libero accesso ai sistemi di selfcare tramite cellulare, sito web www.tre.it, o mediante apposite applicazioni per smartphone, per avere in tempo reale le informazioni riguardanti la propria utenza.
  Sempre nella stessa riunione è stato precisato che i numeri di centralino indicati nell'interrogazione 02 44581 e 0659551, relativi rispettivamente alle sedi di Trezzano sul Naviglio (Milano) e Roma, vengono utilizzati per scopi interni all'azienda e non sono deputati, anche per vincoli sindacali, al contatto con il pubblico. Mentre i numeri +393933934077, +393933934030, +393933934034, accessibili dall'estero, hanno la sola funzione di fornire rispettivamente informazioni, in automatico, in ordine alla soglia di spesa accessibile, al servizio di ricarica del credito telefonico ed al consumo relativo al traffico telefonico.
  Tutto ciò premesso, in relazione alla lamentata situazione, l'Autorità ha fatto presente che l'assenza dell'addetto, nei casi di digitazione dei numeri 133 e 139, non è mai emersa in occasione dell'attività di vigilanza da essa svolta.
  La stessa Autorità ha effettuato una ulteriore specifica verifica chiedendo l'intervento della Polizia postale – sezione distaccata presso l'Agcom, che ha verbalizzato l'effettuazione di dieci telefonate ai numeri 133 e 139.
  Gli esiti delle attività svolte hanno evidenziato che in tutti i casi, tranne uno, vi è stato il riscontro dell'operatore telefonico persona fisica, così come richiesto dalla delibera n. 79/09/CSP. Tale riscontro è, peraltro, avvenuto in tempi brevi.
  Per quel che riguarda l'unico caso in cui, dopo un'attesa di circa sette minuti, la conversazione si è interrotta, gli organi accertatori hanno ripetuto l'operazione, ottenendo risposta da parte di un addetto con un tempo di attesa di circa 30 secondi.
  L'Agcom ha inoltre fatto presente che, nell'esercizio della propria ordinaria attività di vigilanza, ha avuto occasione di muovere alla società H3g contestazioni attinenti al diverso profilo della piena gratuità di accesso ad un operatore nei servizi di customer care, con emanazione di due provvedimenti sanzionatori (vedasi deliberazioni 147/10/CONS e 231/12 CONS pubblicate sul sito istituzionale Agcom) peraltro attualmente oggetto di impugnativa dinanzi al giudice amministrativo.
  L'attività svolta nella fattispecie dimostra che l'Autorità non trascura le problematiche concernenti la tutela dei consumatori nell'ambito dei servizi al pubblico offerti da operatori delle telecomunicazioni.
  Dal canto suo, il Ministero dello sviluppo economico, attento alla materia della tutela del consumatore, è da sempre impegnato, nell'ambito delle proprie competenze, nello studio e nell'attuazione di misure atte a migliorare la qualità dei servizi resi ai consumatori utenti e a favorire la predisposizione di strumenti più efficaci per la tutela dei propri diritti.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   REALACCI e MARIANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso si verificano in varie zone d'Italia situazioni anomale connesse all'alternarsi di eventi meteorologici estremi di grande intensità e violenza con periodi di forte siccità. Tali eventi sono presumibilmente legati ai mutamenti climatici in corso e sollecitano politiche più efficaci e credibili sia sul fronte della mitigazione dei processi in atto che sul fronte dell'adattamento agli stessi;
   secondo alcune dichiarazioni dell'ufficio federale statunitense per i cambiamenti climatici, nell'anno 2012, si assiste «ad un costante incremento di eventi meteorologici come pioggia, siccità, neve, inondazioni e violente tempeste. Il surriscaldamento globale mette seriamente a rischio la salute pubblica». Di fronte a un anno particolarmente caldo è perciò pesante la situazione di molte parti d'Italia relativamente alla disponibilità di acqua;
   da recenti rilevazioni dall'Arpa Toscana dei dati pluviometrici le precipitazioni registrate negli ultimi 6 mesi in alcune zone della regione risultano essere inferiori del 50 per cento rispetto al dato del 2011 e addirittura del 70 per cento rispetto al 2010. Mentre per quanto riguarda il bacino padano il Po registra un livello delle sue acque scarsissimo: -6.22 metri rispetto allo zero pluviometrico (dati 16 luglio ’12 - Pontelagoscuro/Agenzia interregionale per il fiume Po). Secca che persiste pressoché dal mese di marzo 2012;
   il deficit di precipitazioni della prima metà dell'anno 2012 è oggi comune a quasi tutte le regioni d'Italia. In vaste aree del Paese infatti l'assenza di precipitazioni, calcolato tramite confronto con le piogge degli ultimi 15 anni, ha raggiunto anche qui valori del 50 per cento in meno;
   l'attuale condizione di siccità è successiva ad un anno, il 2011, già caratterizzato da scarsità di pioggia e neve che ha determinato l'uso intensivo di risorse di falda per garantire l'approvvigionamento idrico durante tutta la stagione estiva e i primi mesi autunnali, con un conseguente depauperamento delle stesse risorse;
   l'indice di siccità (SPI – standardized precipitation index – Arpa Toscana) 2011, calcolato su base annua, evidenzia ampie aree della Toscana in cui si registra un livello di siccità severo e lo stesso indice riferisce un livello di siccità più alto nel secondo semestre dell'anno, con punte di siccità estrema;
   nell'Alta Toscana inoltre le risorse idriche locali (falde, torrenti, pozzi) dopo una breve parentesi dovuta alle piogge tra i mesi di aprile e maggio 2012, sono tornate al minimo o secche, e continua l'allerta per il periodo più caldo dell'anno, con afa record e consumi oltre la media. L'invaso di Bilancino, perno del sistema che disseta le province di Firenze, Prato e Pistoia, è oggi al livello di 247,74 metri sul livello del mare che equivale a 48 milioni di metri cubi; negli stessi giorni del 2003 e 2007 (le altre due siccità degli ultimi 10 anni) conteneva rispettivamente un livello di 69 e 63 milioni di metri cubi di acqua;
   stante l'attuale situazione siccitosa, sono aperti da tempo tavoli tecnici e istituzionali coordinati dalla regione e dall'autorità di bacino dell'Arno. Lo stesso gestore del servizio idrico della Toscana centrale, Publiacqua, ha più volte nei mesi scorsi richiamato la criticità delle condizioni delle risorse idriche che da mesi impegnano risorse e personale per evitare disagi ed emergenze –:
   di fronte al serio rischio della continuità del servizio idrico in un'ampia area della regione Toscana, quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per impegnare le competenti unità tecniche ministeriali a monitorare le condizioni di approvvigionamento nella regione Toscana;
   se il Governo non intenda verificare la sussistenza di risorse economiche utili a garantire interventi di emergenza che, per quanto di competenza, possano ridurre il rischio derivante dall'interruzione del servizio e mettere in campo nuove infrastrutture e impianti moderni, riducendo al minimo i consumi «non idropotabili»;
   se non si ritenga opportuno rafforzare le politiche di contenimento dei cambiamenti climatici, per l'efficienza energetica e per l'adattamento ai fenomeni in atto. (4-17011)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche ambientali segnalate nelle interrogazione in esame, anche sulla scorta delle informazioni acquisite dall'autorità di bacino del Fiume Arno e dalla regione Toscana, si rappresenta quanto segue.
  Il problema della siccità e della scarsità idrica è da anni all'attenzione della Commissione europea nell'ambito delle attività della cosiddetta «Strategia Comune di Attuazione» della direttiva quadro acque 2000/60/CE; ciò ha condotto nel 2007 all'emanazione di un primo atto di indirizzo rivolto agli stati membri con la comunicazione sulla scarsità idrica e siccità nell'Unione europea COM(2007)414 final, recepita poi dall'Italia.
  Tra le misure considerate nella comunicazione è stato previsto un approfondimento delle conoscenze ed una sistematizzazione nella raccolta dei dati necessari alla realizzazione di un osservatorio a livello comunitario, da connettere ad analoghi sistemi a livello nazionale ed a livello di bacino idrografico e/o regione (in Italia, si segnalano ad esempio quelli della regione Emilia-Romagna e Sardegna).
  In sintesi, l'approccio raccomandato dalla Commissione europea consiste nell'evitare la gestione emergenziale degli eventi di siccità inserendo, all'interno dell'ordinaria pianificazione della gestione delle risorse idriche ai vari livelli, le azioni e le misure individuate per fronteggiare il problema (quali simulazioni preventive degli scenari di crisi, modifica di disciplinari di concessione, limitazioni temporanee per gli usi dell'acqua, eccetera) ed effettuando un costante monitoraggio dello stato della risorsa idrica attraverso gli strumenti (indicatori, indici, eccetera) a disposizione degli osservatori preposti.
  Per quanto riguarda più nello specifico la situazione di siccità della regione Toscana, fin dallo scorso autunno-inverno è emerso con chiarezza che la perdurante assenza di precipitazioni avrebbe portato ad una situazione critica per lo stato quantitativo delle risorse idriche.
  Confermando questa tendenza, la situazione che si sta concretizzando attualmente è quella di una delle peggiori siccità degli ultimi 100 anni.
  Al fine di mitigare la situazione di crisi che si è venuta a manifestare, sono state da tempo intraprese alcuni azioni da parte dell'autorità di bacino del fiume Arno e della regione Toscana.
  Infatti, l'autorità di bacino ha svolto un'attività di «cabina di regia» – senza interruzione da un anno – attraverso la commissione di tutela delle acque, che rappresenta la misura permanente con cui si fa fronte a questa grave situazione. L'attività si concretizza attraverso un'azione di raccolta e analisi dati, di coordinamento dei diversi soggetti interessati, nonché di elaborazione di scenari previsionali delle riserve idriche.
  I risultati sono un'azione di regolazione esercitata in tempo reale, sfruttando in particolare la possibilità di coordinare gli scarichi delle due principali riserve idriche del bacino (l'invaso di Bilancino e il sistema delle dighe di Levane-La Penna), bilanciando le opposte necessità di mantenimento del deflusso minimo vitale e di ottimizzazione dell'uso delle risorse stoccate, in modo da preservarle il più a lungo possibile.
  In particolare, presso la «cabina di regia» dell'autorità sono state presentate alcune simulazioni sulla prevedibile capacità di mantenimento di livelli di portata in Arno compatibili con i prelievi idropotabili più significativi e con la sopravvivenza della vita nel fiume.
  Ipotizzando l'attuale volume come dato di partenza per la gestione del periodo estivo, ed effettuando una gestione degli scarichi come l'anno scorso (2011), si sarebbe giunti ad un volume di appena 20 milioni di metri cubi alla data del 30 novembre – con probabilità estremamente basse di riempire nuovamente l'invaso nel prossimo autunno-inverno. La scelta concordata dai soggetti territorialmente preposti al tavolo dell'autorità di bacino è stata quella di adottare uno scenario di scarichi più conservativo (accettando cioè livelli e portate inferiori in Sieve ed Arno, ma continuando ad assicurare la piena funzionalità dei principali impianti di potabilizzazione), che dovrebbe consentire di preservare circa 28 milioni di metri cubi di acqua. Gli scenari verranno progressivamente aggiornati ed eventualmente modificati nel corso dei prossimi mesi, in funzioni delle condizioni che si verificheranno.
  Per quanto concerne il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, occorre evidenziare come, nel comitato istituzionale del 18 luglio 2012, sia stato adottato definitivamente, e quindi approntato per la successiva approvazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano stralcio per il bilancio idrico di bacino. Si tratta di uno strumento fondamentale per pianificare gli usi della risorsa idrica negli anni a venire, definendo con chiarezza e rigore scientifico i deflussi minimi vitali dei principali corsi d'acqua del bacino dell'Arno. Nel piano, le cui misure di salvaguardia sono state nello stesso comitato istituzionale prorogate fino all'approvazione del piano stesso, sono contenute fondamentali norme di attuazione, che consentiranno di programmare per il futuro le condizioni di utilizzo delle risorse idriche, nel rispetto dei vincoli ambientali e delle priorità degli usi. Con tale piano, la regione Toscana e in particolare il bacino dell'Arno, disporranno di uno strumento all'avanguardia per gestire situazioni di crisi.
  A livello nazionale, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ai fini della realizzazione del piano irriguo nazionale, ha attivato investimenti, sull'intero territorio nazionale, per circa 1.000 milioni di euro tra il 2007 e il 2010 (piano irriguo nazionale approvato dalla delibera Cipe n. 74 del 2005) e per altri 585 milioni di euro impegnati per il finanziamento delle opere approvate dalla delibera Cipe n. 69 e 92 del 2010 (programma di completamento e nuovo piano irriguo del sud).
  Nuovi investimenti per il recupero dell'efficienza delle reti e per la costruzione di invasi sia interaziendali sia di maggiori dimensioni, potrebbero trovare capienza a carico dei fondi comunitari, nel quadro della nuova politica comunitaria 2014-2020, in corso di discussione, subordinati al conseguimento di importanti benefici sia in termini di risparmio quantitativo sia in termini di miglioramento qualitativo dello stato delle acque.
  Tuttavia, ai fini di dotare il Paese di adeguati strumenti per fronteggiare i crescenti problemi di siccità e di scarsità idrica, è essenziale predisporre una strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici fondata sulla effettiva operosità dei distretti previsti dalla direttiva quadro acque 2000/60/CE.
  Disporre di risultati scientifici attendibili è un fattore di fondamentale importanza per l'elaborazione della predetta strategia.
  Il primo passo per l'elaborazione di questa strategia sarà la predisposizione di un rapporto sulle conoscenze scientifiche riguardo ai cambiamenti climatici, impatti e adattamento settoriale nel territorio nazionale che si prevede di poter predisporre entro i primi mesi del prossimo anno.
  Il passo successivo dovrà essere l'individuazione, da parte di ciascun distretto, degli interventi non solo infrastrutturali ma anche di applicazione delle più avanzate tecnologia di misura e tele gestione, per realizzare le cosiddette «smart water grids», ovvero reti che consentono la più efficiente ed efficace gestione delle acque disponibili.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   REALACCI e MATTESINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le biomasse e in generale la produzione di energia da fonti rinnovabili rappresentano un'importante opportunità per il nostro territorio e per la sua economia, rendendo al tempo stesso l'Italia più rispettosa dell'ambiente, più competitiva e più vicina alle esigenze delle persone, e delle comunità;
   il contenimento delle emissioni di anidride carbonica per ridurre il rischio di mutamenti climatici è una delle più grandi sfide che l'umanità ha davanti. L'Italia ha peraltro già assunto in sede internazionale e, in particolare, a livello comunitario importanti e vincolanti impegni di riduzione delle emissioni di CO2 nell'ambito del programma detto «20-20-20»;
   tra le fonti di energia rinnovabili utilizzate, grande importanza è come detto assunta dall'utilizzo delle biomasse. Per biomassa s'intende ogni sostanza organica derivante direttamente o indirettamente dalla fotosintesi clorofilliana;
   la direttiva comunitaria Renewable Energy Sources (RES), ha stabilito che le fonti di energia devono essere sostenibili, quindi, anche per quanto riguarda le biomasse, bisogna tenere conto delle distanze, dei modi di produzione e del bilancio energetico complessivo;
   da recenti dossier redatti dalle più importanti associazioni ambientalista come, Legambiente e WWF, la questione della produzione elettrica da biomasse è in effetti molto complessa e composta da realtà distanti tra loro. È largamente condivisa in materia la scelta che opta per la filiera corta, con impianti piccoli che utilizzano materia prima raccolta sul posto, derivante dalla manutenzione dei boschi, piuttosto che da residui delle attività agricole. Quando invece si parla di grandi impianti da più megawatt per produrre elettricità, l'importazione di materia prima dall'estero, spesso di incerta, è scelta obbligata, pur non dando sempre alcun beneficio per il territorio e avendo scarsa o nulla efficienza energetica e ed economica;
   è questo il caso del futuro impianto a biomasse per la produzione di energia elettrica in località Renzino in comune di Foiano della Chiana (Arezzo);
   in data 8 settembre 2010 le società Eteco srl, Contro Corrente srl, Sirio Energia srl, Toscana Energy srl, Natural Energy srl e La Primula srl hanno singolarmente presentato alla provincia di Arezzo, sei distinte richieste per il rilascio di «autorizzazione unica» ai sensi della legge regionale Toscana n. 39 del 2005 per la realizzazione ed esercizio di un proprio impianto a biomasse, ciascuno di potenza inferiore ad 1 megawatt;
   i sei impianti, tre di potenza di 0,420 Mwe e tre di potenza 0,256 MWe, hanno una potenza complessiva pari a circa 2 megawatt, potenza installata che non avrebbe dunque accesso ai benefici previsti dalla legge per gli impianti di piccola taglia. Gli stessi dovrebbero essere realizzati utilizzando una porzione di un unico immobili esistente, in Via d'Arezzo a Foiano della Chiana, all'interno del quale verrebbero ricavati n. 6 distinti locali atti a contenere i singoli gruppi elettrogeni. Ogni impianto avrebbe la propria connessione alla rete elettrica nazionale;
   l'impianto, secondo quanto si apprende dall'amministrazione comunale, verrebbe alimentato con tutti gli oli vegetali più comuni presenti oggi nel mercato nazionale ed internazionale. Tali oli ai fini commerciali e di corresponsione della tariffa onnicomprensiva da parte del gestore dei servizi energetici, vengono classificati in oli tracciabili da filiera europea od oli di origine extra europea;
   il comune di Foiano della Chiana ha presentato ricorso per l'annullamento delle deliberazioni della giunta provinciale di Arezzo nn. 129, 130, 131, 132, 133 e 134 del 15 marzo 2012 comunicate al comune di Foiano della Chiana in data 29 marzo 2012. I motivi del ricorso sono riferiti non solo ad alcune difformità progettuali rispetto alle norme regolamentari vigenti nel comune ma anche all'uso di oli non di filiera corta in violazione al PIER emanato dalla regione Toscana, con particolare riferimento alla non valorizzazione delle risorse locali. L'olio di palma è una risorsa non reperibile a livello locale dato che deve essere importato dall'estero;
   l'amministrazione comunale di Foiano della Chiana ha interpellato in data 17 ottobre 2011 il gestore dei servizi energetici per verificare la legittimità e la conformità alla legge dell’iter autorizzativo degli impianti di Renzino –:
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno anche per il tramite del Gse effettuare le verifiche di competenza in questo come in altri casi analoghi, e se l'incentivo dato all'impianto sia conforme al relativo conto energia. (4-17250)

  Risposta. — Al riguardo l'interrogante premette che:
   le biomasse rappresentano un'occasione di sviluppo per il territorio e che, tuttavia, da dossier redatti da Legambiente e WWF, risulta che per gli impianti a biomassa di grandi dimensioni l'importazione di materia prima dall'estero diviene «una scelta obbligata», vanificando così le ricadute positive sul territorio o, addirittura, accentuandone i problemi ambientali;
  nel 2010, alla provincia di Arezzo sono state presentate 6 distinte richieste per la realizzazione di altrettanti impianti per la produzione di energia elettrica da biomasse, ciascuno di potenza inferiore ad 1 megawatt che, complessivamente, raggiungono però una potenza di circa 2 megawatt;
   tali impianti dovrebbero essere realizzati utilizzando la porzione di un unico immobile, ricavandovi 6 locali distinti per contenere altrettanti gruppi elettrogeni, ognuno con propria connessione alla rete elettrica nazionale;
   il comune di Foiano della Chiana, nel cui territorio sono localizzati gli impianti in questione, ha presentato ricorso al Tar contro le delibere con cui la provincia di Arezzo ha rilasciato le relative 6 autorizzazioni uniche, ritenendo che sia stato violato il piano energetico regionale, relativamente alle indicazioni sulla valorizzazione delle risorse locali (filiera corta), oltre che di norme regolamentari comunali.
  Ciò premesso, lo stesso chiede:
   a) se i Ministri interrogati ritengano opportuno, anche per il tramite del Gse, effettuare le verifiche di competenza in questo come in altri casi analoghi e;
   b) se l'incentivo dato all'impianto sia conforme al relativo conto energia.

  Al riguardo si fa presente che le richieste attengono ai due diversi profili della legittimità dell'autorizzazione e della conformità degli incentivi alle norme di riferimento.
  Per il primo aspetto, risulta che la provincia di Arezzo ha rilasciato distinte autorizzazioni a sei diverse società, ognuna per la costruzione e l'esercizio di altrettanti impianti a biomassa e che avverso tali provvedimenti risultano presentati ricorsi al TAR dal comune di Foiano e dal WWF. La valutazione della legittimità di tali provvedimenti è, dunque, all'esame dell'autorità giurisdizionale. In via generale, si fa presente che il controllo di legittimità dei titoli spetta, oltre che al giudice, alle stesse amministrazioni che li hanno rilasciati, che in sede di autotutela possono annullare d'ufficio i provvedimenti autorizzativi illegittimi.
  Relativamente ai controlli sugli impianti, realizzandi o in esercizio, questi spettano alle varie amministrazioni che hanno partecipato al procedimento di autorizzazione, ognuna per la parte di competenza. L'articolo 42, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 2011 prevede poi che le amministrazioni e gli enti pubblici, deputati ai controlli relativi al rispetto delle autorizzazioni rilasciate per la costruzione e l'esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, fermo restando il potere, sanzionatorio loro spettante, trasmettono tempestivamente al gestore servizi energetici GSE spa l'esito degli accertamenti effettuati, nel caso in cui le violazioni riscontrate siano rilevanti ai fini dell'erogazione degli incentivi.
  Per quanto concerne le verifiche di specifica competenza del GSE, questi riferisce che per gli impianti di cui trattasi non è stata presentata alcuna richiesta di qualifica di impianti di produzione da fonti rinnovabili (cosiddetto qualifica IAFR). È in occasione della qualifica IAFR che il GSE verifica la sussistenza dei requisisti previsti dalla normativa ai fini del riconoscimento degli incentivi e, in caso di dubbio sulla legittimità del titolo, interloquisce con le amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni, sospendendo, se del caso, la decisione sul riconoscimento degli incentivi. Oltre a tali verifiche preventive, il GSE è deputato ai controlli a campione sugli impianti che hanno ad oggetto la documentazione relativa all'impianto stesso, la sua configurazione impiantistica e le modalità di connessione alla rete elettrica (citato articolo 42, comma 1). Nel caso di specie, si tratta tuttavia di impianti non ancora in esercizio.
  Va fatto presente che la configurazione progettuale di impianti da installare in un unico immobile è oggetto di particolare attenzione da parte del GSE in quanto, come paventato dall'interrogante, potrebbe essere frutto dell'artato frazionamento di un impianto unico, e ciò allo scopo di percepire una tariffa maggiore, atteso che il livello dell'incentivo è differenziato, non solo in relazione alla tipologia di fonte rinnovabile e di impianto, ma anche in ragione della potenza, di modo che maggiore è la potenza e minore è l'incentivo.
  Riferisce, tuttavia, il GSE che la circostanza di più impianti in un unico edificio non costituisce, di per sé, condizione ostativa al rilascio di singole qualifiche di IAFR e quindi di incentivi a ciascun impianto, nel caso in cui gli stessi impianti siano dotati di un proprio indipendente punto di consegna (POD) e non siano interconnessi funzionalmente.
  In conclusione, una verifica in concreto dell'assetto impiantistico, cui è correlato l'ammontare dell'incentivo, potrà essere svolta in sede di qualifica IAFR e di controlli in situ.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   REALACCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   da anni la questione del trasporto pubblico locale e del pendolarismo costituisce uno dei più gravi problemi per la mobilità urbana ed extraurbana nazionale e attribuisce all'Italia un triste primato europeo in termini di mobilità sostenibile, sicurezza, abbattimento delle emissioni da traffico veicolare e diritti dei passeggeri;
   dalla campagna sulla mobilità sostenibile Pendolaria 2012 promossa da Legambiente, i cui dati salienti recentemente anticipati hanno avuto largo spazio sulla stampa nazionale, come ad esempio sul quotidiano Avvenire, si evince che i recenti tagli, la riduzione delle corse e i disservizi, ritardi orari e la lentezza, senza contare il sovraffollamento e l'aumento del costo dei biglietti, affliggono gravemente il trasporto ferroviario, in particolare quello dedicato alle tratte locali maggiormente usate dai pendolari;
   è stata inoltre redatta nel sopraccitato dossier una mappa delle tratte peggiori del trasporto ferroviario locale italiano che vede in testa la Circumvesuviana a Napoli, seguita dalla Roma-Viterbo, Pinerolo-Torre Pellice, Padova-Venezia Mestre, Genova Voltri-Genova Nervi, Palermo-Messina, Viareggio-Firenze, Stradella-Milano, Bologna-Ravenna, Potenza-Salerno;
   a fronte di tagli del servizio e aumenti importanti del prezzo dei biglietti in diverse regioni non si è avuto un miglioramento del servizio con razionalizzazione degli orari e nuovi treni. Al contrario i disagi del trasporto pubblico su ferro sono aumentati in particolare per i cittadini di Campania, Lombardia, Lazio, Veneto e Sicilia;
   è utile ricordare, a titolo esemplificativo, alcune situazioni di trasporto ai limiti del credibile: la Palermo-Messina è una delle tratte più lente d'Italia con il record di 4 ore per 225 chilometri. Per il 55 per cento della linea c’è ancora il binario unico ed i ritardi sono costanti come le soppressioni dei treni, le carrozze sempre più sporche e le stazioni sono messe fuori uso dai vandali. Impossibile poi trovare un posto nell'orario di punta sui treni tra Padova e Mestre, la tratta più affollata del Veneto: una regione che in questi anni ha investito una poco nel trasporto ferroviario pendolare. Da ultimo sulla Viareggio-Lucca-Firenze, secondo le previsioni, saranno chiuse 7 stazioni con una conseguente drastica diminuzione del servizio a fronte di un aumento del 20 per cento delle tariffe regionali in Toscana;
   nel triennio 2010-2012 la media delle risorse stanziate è diminuita del 22 per cento rispetto al 2007-2009. Il 2009 risulta infatti essere un «parametro - indice» poiché è stato l'ultimo anno in cui sono stati destinati dal Governo alle regioni fondi sufficienti a garantire un servizio decoroso per i cittadini –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e della grave situazione in cui versa il trasporto locale e pendolare nelle maggiori aree metropolitane del Paese e se non si ritenga utile verificare la possibilità di stanziare fondi ad hoc, magari quelli afferenti al capitolo di fondi europei destinati al nostro Paese, per rilanciare la mobilità sostenibile in Italia e se non sia utile verificare se, a fronte di trasporti ferroviari così affollati in certi orari della giornata, la sicurezza del trasporto sia comunque garantita. (4-19016)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Nell'ambito delle iniziative in atto da parte del Governo nel settore del trasporto pubblico locale si fa presente che l'articolo 1, comma 301 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nel sostituire l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012 e relativa legge di conversione, ha previsto, a decorrere dal 2013, l'istituzione del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, che ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale.
  Il comma 3 del citato articolo 16-bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto fondo. Il comma 6 del medesimo articolo prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione, a titolo di anticipazione, tra le regioni a statuto ordinario, del 60 per cento dello stanziamento del fondo medesimo.
  Ad oggi, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è in corso di emanazione essendo stata sancita la prescritta intesa nella seduta della Conferenza unificata dello scorso 7 febbraio; con la formalizzazione della stessa, nelle more dell'adozione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, si potrà procedere all'emanazione del suddetto decreto interministeriale previsto dal comma 6 dell'articolo 16-bis.
  Si fa presente, inoltre, che a decorrere dal 2013, in applicazione del succitato articolo 16-bis, le regioni saranno tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione mediante:
   un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
   il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
   la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
   la definizione di livelli occupazionali appropriati;
   la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica.

  Il raggiungimento degli obiettivi in argomento, sarà oggetto di verifica costante da parte di questo Ministero anche attraverso l'osservatorio nazionale per le politiche del trasporto pubblico locale, istituito con l'articolo 1, comma 300 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 al quale in applicazione della disposizione di legge innanzi indicata, le aziende di trasporto pubblico locale e le aziende esercenti servizi ferroviari di interesse regionale e locale dovranno trasmettere i dati economici e trasportistici utili a creare una banca di dati e un sistema informativo per la verifica dell'andamento del settore.
  L'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi di cui trattasi, da parte delle singole regioni, comporterà una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle stesse.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   REGUZZONI e MONTAGNOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate dalla stampa si apprende quanto segue: «Il presidente dell'Enac Vito Riggio ha incontrato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Corrado Passera per parlare delle iniziative intraprese in tema di collegamenti in regime di oneri sociali con le isole minori della Sicilia, Lampedusa e Pantelleria, attualmente operate in proroga da Meridiana Fly fino al 27 ottobre di questo anno. Il presidente ha consegnato al ministro la documentazione relativa all'indagine informale condotta dall'Ente per la verifica dell'eventuale disponibilità di compagnie aeree ad operare questi collegamenti fino all'entrata in vigore del nuovo regime e per un'eventuale nuova proroga del servizio fino a maggio del 2013. La documentazione dovrà essere esaminata congiuntamente dal ministero, dalla Regione e dall'Enac al fine di valutare le proposte pervenute dai vettori interpellati e i relativi costi, per individuare la soluzione più idonea ad assicurare la continuità territoriale per i cittadini lampedusani e panteschi. Tale proroga secondo le risultanze della Conferenza dei servizi per i nuovi oneri svoltasi a inizio agosto, alla quale hanno partecipato anche il ministero e la Regione Siciliana, potrà essere decisa solo nel caso in cui il rischio di emergenza e il pericolo per l'ordine pubblico derivanti dall'assenza dei collegamenti tra le isole di Pantelleria e di Lampedusa e l'isola principale siano formalmente rappresentati dalle competenti autorità prefettizie –:
   in cosa consista la documentazione cui la stampa faceva riferimento;
   quali risorse pubbliche siano attualmente impegnate per i collegamenti in argomento e quali potrebbero essere impegnate in futuro;
   quale sia l'orientamento del Governo sull'argomento e se tale orientamento sia compatibile con l'esigenza di rafforzare la concorrenza e liberalizzare il settore, effettuando risparmi sui fondi pubblici impegnati. (4-17679)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, in via preliminare giova ricordare che per quanto concerne il rispetto dei principi generali in materia di libertà di impresa e di concorrenza nel settore aeronautico, il regime imposto sui collegamenti con le isole minori siciliane è stato disciplinato in conformità al regolamento (CE) n. 1008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità. In particolare, il legislatore comunitario all'articolo 16 del citato regolamento, ha previsto la possibilità per gli Stati membri di imporre oneri di servizio pubblico su una rotta, ritenuta essenziale per particolari zone periferiche del proprio territorio «... nella misura necessaria a garantire che su tale rotta siano prestati servizi aerei di linea minimi rispondenti a determinati criteri di continuità, regolarità, tariffazione o capacità minima, cui i vettori aerei non si atterrebbero se tenessero conto unicamente del loro interesse commerciale».
  L'articolo 36 della legge n. 144 del 1999 ha previsto per la prima volta l'intervento pubblico sui collegamenti aerei con Pantelleria e Lampedusa attraverso l'imposizione di oneri di servizio pubblico.
  I motivi di tale intervento risiedono nel fatto che i voli da e per le isole di Pantelleria e Lampedusa, a causa della scarsità del bacino di utenza e della posizione delle due isole minori siciliane, particolarmente periferica rispetto al resto del Paese, non hanno mai rappresentato per gli operatori del settore un sufficiente interesse commerciale per istituire servizi aerei regolari e continuativi.
  D'altra parte, è opportuno sottolineare che i collegamenti marittimi da e per le isole di Pantelleria e Lampedusa non possono rappresentare una valida alternativa al trasporto aereo in ragione sia delle avverse condizioni atmosferiche, frequenti soprattutto nel periodo invernale, sia della distanza tra le isole minori e l'isola principale.
  Risulta, quindi, determinante ricorrere allo strumento oneri di servizio pubblico al fine di assicurare la continuità territoriale alle popolazioni pantesche e lampedusane.
  Come è noto agli interroganti i collegamenti aerei onerati da e per le isole di Pantelleria e Lampedusa, tuttora regolamentati dal decreto ministeriale n. 2 del 9 gennaio 2009, sono stati operati dal vettore Meridiana Fly in regime di proroga fino al 27 ottobre 2012.
  Al riguardo, preme ricordare che nel mese di luglio 2012 si è tenuta una apposita conferenza di servizi cui hanno partecipato rappresentanti delle autorità locali, dell'Ente nazionale dell'aviazione civile (ENAC) e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; in tale ambito sono stati individuati i parametri su cui articolare un nuovo regime onerato sui collegamenti in esame.
  In seguito alla chiusura della conferenza di servizi sopra citata, al fine di garantire, comunque, la continuità dei collegamenti onerati con le isole minori siciliane, l'ENAC, in accordo con le autorità locali e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha avviato nel mese di agosto una indagine di mercato meramente esplorativa presso i principali vettori italiani per individuare soluzioni più opportune ed economicamente più convenienti al fine di coprire il periodo transitorio della continuità, dalla data di scadenza della convenzione con la società Meridiana Fly (27 ottobre 2012) fino all'entrata in vigore della nuova continuità.
  Successivamente, in data 3 ottobre 2012 si è tenuta una riunione con la partecipazione dei rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ENAC e della regione siciliana. Nel corso di tale riunione si è concordato sulla necessità di una ulteriore proroga, anche in ragione di problemi di ordine pubblico, segnalati dalle autorità prefettizie locali, che sarebbero derivati dall'interruzione dei voli. È stata, inoltre, esaminata la documentazione relativa alla citata indagine di mercato riguardante le offerte presentate dai vettori Alitalia, Meridiana, Mistral air, Livingston, Air Dolomiti, Blu Panorama, Hermes Aviation, Darwin Airline al fine di individuare una compagnia aerea disposta ad operare, nelle more di una nuova imposizione, i collegamenti da e per le predette isole in regime di proroga dal 28 ottobre 2012 al 31 maggio 2013.
  Il panorama delle offerte presentate dalle compagnie aeree coinvolte è stato vagliato tenendo conto di tre principali aspetti, e precisamente: la funzionalità dell'operativo proposto in relazione alle esigenze del territorio; la compatibilità con il decreto ministeriale n. 2 del 9 gennaio 2009 di imposizione di oneri di servizio pubblico sui collegamenti da e per le predette isole minori della Sicilia; l'economicità del servizio in relazioni al limite delle risorse finanziarie a disposizione per la proroga.
  Considerato che nessuna delle offerte esaminate ha risposto complessivamente ai predetti tre requisiti, è stata individuata, quale ipotesi più soddisfacente per le esigenze dei territori, quella presentata dal vettore Meridiana Fly.
  Nell'interesse di perseguire una maggiore trasparenza della procedura per l'assegnazione del servizio e di conseguire un ulteriore risparmio, è stato altresì concordato di invitare nuovamente i vettori interessati a presentare una offerta migliorativa rispetto a quella già presentata da Meridiana Fly.
  Successivamente, secondo quanto comunicato dall'ENAC 26 ottobre 2012, posto che la Meridiana Fly ha dichiarato la propria indisponibilità a effettuare i servizi proposti dalla stessa compagnia, le amministrazioni coinvolte hanno convenuto di prendere in considerazione e accettare la proposta avanzata, nell'ambito della stessa indagine, dalla società Darwin Airlines che ha manifestato la propria disponibilità a garantire i collegamenti con le isole di Lampedusa e Pantelleria nel periodo dal 28 ottobre 2012 al 31 maggio 2013.
  Pertanto, nelle more dell'indizione della nuova gara, dal 28 ottobre il servizio è stato affidato alla Darwin Airlines in regime di proroga provvisoria ai sensi del citato decreto ministeriale n. 2 del 2009. Al riguardo si fa presente che presso il TAR Sicilia su tale affidamento pende ricorso intentato da Hermes Airlines esclusa dalla gara per carenza di requisiti tecnici.
  Per quanto riguarda il quesito circa le risorse pubbliche impegnate sui collegamenti con le isole minori siciliane, si informa che attualmente i voli in regime onerato sono a carico della regione siciliana per l'ammontare di un terzo della spesa e per il rimanente su fondi presenti nel bilancio dell'ENAC e relativi a risparmi di gestione dello stesso ente.
  Per quanto concerne il nuovo regime onerato, così come individuato nella Conferenza di servizi sopra citata, il costo per la compensazione eventualmente da porre a base di gara per l'affidamento del servizio in esclusiva ammonta a 5.950.145,86 euro annui al netto dell'IVA.
  Circa, poi, le risorse recentemente previste per tali collegamenti, si comunica che l'articolo 1, comma 310, della legge n. 228 del 2012 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)» ha stabilito che per gli anni dal 2013 al 2016, al fine di garantire la continuità territoriale nei collegamenti aerei per le isole minori della Sicilia, dotate di scali aeroportuali, in conformità alle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 1008 del 2008, alla compartecipazione a carico dello Stato per la cui compensazione degli oneri di servizio pubblico si fa fronte con le risorse disponibili presso l'ENAC già finalizzate alla continuità territoriale del trasporto merci per via aerea con gli aeroporti siciliani nel limite di euro 2.469.000 per l'anno 2013 ed euro 1.531.000 per l'anno 2014, nonché nel limite di euro 2.722.000 per l'anno 2014, di euro 4.253.000 per l'anno 2015 e di euro 1.785.000 per l'anno 2016, mediante parziale utilizzo della quota delle entrate previste, per i medesimi anni, dall'articolo 1, comma 238, secondo periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del regolamento n. (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n. 2 prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
   il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con lo Stato di Capo Verde, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore –:
   se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
   quale siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
   se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18323)

  Risposta. — Le intese vigenti con Capo Verde prevedono un regime di monodesignazione e solo Roma quale punto di destinazione per la compagnia della controparte, anche se attualmente il vettore Tacv del Paese opera un servizio a settimana su Bergamo sulla base di un'autorizzazione provvisoria concessa da ENAC in via extrabilaterale, cioè al di fuori di quanto previsto dagli accordi aerei bilaterali. Risulterebbe quindi opportuno un emendamento volto ad introdurre un regime più aperto alla concorrenza.
  A seguito di una intesa tra Ministero degli affari esteri, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed ente nazionale aviazione civile, Capo Verde è stato inserito infatti nella lista dei Paesi extra-Unione europea a cui proporre in via prioritaria la rinegoziazione dei vigenti accordi aerei alla luce di quanto disposto dal «decreto salva Malpensa» (legge 2 del 2009).
  È stata dunque formalmente avanzata, per le vie diplomatiche, la richiesta di revisione degli accordi aerei bilaterali attualmente in vigore. Con l'occasione, le autorità di Capo Verde sono state altresì informate che autorizzazioni provvisorie, in deroga agli attuali accordi, sarebbero state rilasciate alle compagnie interessate che ne avessero fatto richiesta. Si è tuttora in attesa delle valutazioni delle autorità di Capo Verde sulle proposte avanzate.
  Nel frattempo, nel 2011 è stato concluso un accordo cosiddetto «orizzontale» tra l'Unione europea e Capo Verde che ha provveduto a sostituire alcune clausole dell'accordo bilaterale tra l'Italia ed il Paese. Sul piano dei contenuti di liberalizzazione, la clausola più rilevante introdotta dall'accordo di livello comunitario è quella di designazione. Tale clausola consente all'Italia di designare ad operare i servizi aerei non necessariamente una compagnia italiana, ma anche eventualmente una compagnia comunitaria.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del Regolamento (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
   il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con la Giamaica, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore –:
   se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
   quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
   se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18629)

  Risposta. — A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 2 del 2009 (decreto «Salva Malpensa») il Ministero degli affari esteri, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Ente nazionale aviazione civile, mise a punto una road map operativa, periodicamente aggiornata, che ha dato il via alla rinegoziazione degli accordi aerei con numerosi Paesi extra Unione europea strategicamente individuati, ad oggi 64, tra cui la Giamaica.
  A tale Paese venne inviata, nel novembre 2009, in aggiunta alla richiesta di carattere generale di rinegoziare l'accordo aereo, una proposta
ad hoc, sulla base dello specifico interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali, al fine di introdurre nelle intese le norme comunitarie, un regime di multi-designazione ed un incremento di frequenze e dei punti di destinazione.
  Si è tuttora in attesa delle valutazioni giamaicane sulle proposte avanzate e di riscontri da parte di quelle autorità. Nelle more della conclusione delle nuove intese sono state concesse autorizzazioni provvisorie extra-accordo a vettori italiani.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del regolamento (CE) n. 847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
   il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con Israele, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore;
   la situazione politica attuale in Israele appare compromessa –:
   se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
   quale siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
   se e come l'attuale crisi influirà sullo stato delle trattative. (4-18735)

  Risposta. — L'Italia ed Israele sono legati da eccellenti relazioni bilaterali che negli ultimi anni si sono costantemente approfondite ed estese dando luogo ad un forte partenariato multidimensionale. A testimoniare la vitalità di questo rapporto stanno i frequentissimi contatti istituzionali ed il meccanismo dei vertici bilaterali, inaugurato nel 2010, che il 25 ottobre ha celebrato a Gerusalemme la sua terza edizione, durante la quale sono state firmate numerose intese tra i governi volte ad ampliare e diversificare ulteriormente gli ambiti di cooperazione tra i due paesi.
  Ancora prima dell'entrata in vigore della legge n. 2 del 2009 (decreto «Salva Malpensa»), sulla base del rilevante interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali, venne inviata ad Israele una proposta
ad hoc di revisione dell'accordo aereo che, accettata dalle autorità israeliane nel giugno 2008, ha permesso la multi-designazione dei vettori di entrambe le Parti e l'incremento delle frequenze settimanali operabili da 7 a 26.
  Nel dicembre 2008 è stato, inoltre, siglato un accordo aereo «orizzontale» tra Israele e l'Unione europea che ha ulteriormente migliorato ed esteso le relazioni aeronautiche tra i due Paesi con l'introduzione della più recente normativa comunitaria. A seguito dell'entrata in vigore del «decreto “Salva Malpensa”», nel marzo del 2010, al fine di ampliare ulteriormente il traffico tra i due Paesi, le frequenze sono state portate da 25 a 30 settimanali.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   REGUZZONI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere:
   quanti siano gli appartenenti al Corpo dei vigili del fuoco suddivisi regione per regione;
   quale sia il rapporto tra gli appartenenti al Corpo dei vigili del fuoco e gli abitanti, regione per regione;
   se vi siano ragioni organizzative per gli scostamenti tra i rapporti sopra indicati;
   se e quali iniziative il Governo abbia adottato o intenda adottare per normalizzare i dati di cui sopra e ridurre gli sprechi ove i rapporti non sono giustificati né giustificabili. (4-18743)

  Risposta. — Le strutture periferiche del corpo nazionale dei vigili del fuoco si articolano in uffici distribuiti sul territorio quali posti di vigilanza, di cui 332 sono distaccamenti permanenti e misti e 276 volontari. I comandi provinciali coordinano i suddetti distaccamenti e organizzano il soccorso nel capoluogo di provincia, in cui sono presenti anche i nuclei specialistici che intervengono per attività operative particolari. L'attività è coordinata a livello regionale da 18 direzioni.
  L'organico complessivo del corpo nazionale dei vigili del Fuoco, al 1o dicembre 2012, risulta essere di 31.845 unità, ripartite per ogni regione, con una distribuzione capillare su tutto il territorio nazionale.
  Il Ministero dell'interno, già nel 2002 nell'ambito di una più ampia riorganizzazione del corpo nazionale dei vigili del fuoco, aveva avviato il progetto «soccorso Italia in 20’ minuti», al fine di analizzare la capacità operativa del corpo nazionale dei vigili del fuoco sul territorio e poter proporre soluzioni per il miglioramento dei tempi d'intervento nello svolgimento del servizio di soccorso tecnico.
  Il progetto nasceva dalla necessità di garantire il soccorso tecnico urgente con tempi certi e sempre minori, per un allineamento agli standard europei.
  Quest'iniziativa ha incontrato alcune oggettive difficoltà riferibili soprattutto ai limiti finanziari e, pertanto, a distanza di quasi 10 anni dalla sua prima stesura, si è ritenuto opportuno effettuarne una revisione per valutare l'efficacia e verificare l'attualità.
  Il Ministero dell'interno ha, pertanto, intrapreso la revisione del progetto al fine di rimuovere le criticità emerse ed individuare nuove soluzioni, nell'ottica di un programma operativo in grado di valorizzare i contenuti di esperienze pregresse e che tenga conto delle trasformazioni che hanno interessato il corpo nazionale dei vigili del fuoco in questi ultimi anni.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del Regolamento (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
   il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con la Nigeria, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore –:
   se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
   quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
   in caso di positiva conclusione, se vi siano ulteriori elementi migliorativi che il nostro Paese intenda ulteriormente richiedere;
   se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18856)

  Risposta. — A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 2 del 2009 (decreto «salva Malpensa») il Ministero degli affari esteri, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Ente nazionale aviazione civile, ha messo a punto una road-map operativa, periodicamente aggiornata, che ha dato il via alla rinegoziazione degli accordi aerei con numerosi Paesi extra Unione europea strategicamente individuati, tra cui la Nigeria.
  Le attuali intese sono piuttosto restrittive, in quanto prevedono un regime di monodesignazione, solo Roma quale punto di destinazione per le compagnie nigeriane, e un limitato tetto di frequenze a disposizione di ciascuna parte. Alla Nigeria è stata pertanto inviata, in aggiunta alla richiesta di carattere generale di rinegoziare l'accordo aereo, una proposta
ad hoc sulla base dello specifico interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali che consentirebbe al nostro Paese di designare ad operare i servizi concordati non necessariamente vettori italiani, ma anche vettori comunitari. È evidente che tale clausola non esaurirebbe il suo ruolo nel rispetto della normativa comunitaria ma contribuirebbe ad estendere la concorrenzialità sui servizi aerei tra Italia e Nigeria.
  Sono dunque seguite delle consultazioni tra i due Paesi nell'aprile 2010 a Roma che non hanno tuttavia consentito una revisione dell'accordo bilaterale risalente al 1979 a causa della ferma opposizione nigeriana ad accettare l'inserimento delle norme comunitarie e della indisponibilità ad accogliere le richieste italiane per l'aumento delle compagnie designabili e delle destinazioni.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del regolamento (CE) n. 847/2004, la legge 28 gennaio 2009 n. 2 prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
   il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con la Russia, inviando una Nota Verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore;
   se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
   quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
   in caso di positiva conclusione, se vi siano ulteriori elementi migliorativi che il nostro Paese intende ulteriormente richiedere;
   se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-19135)

  Risposta. — Le relazioni aeronautiche bilaterali tra l'Italia e la Federazione russa sono regolate da un accordo aereo firmato nel 1969 e da un memorandum of understanding del 1998, modificato nel 2005 ed ulteriormente revisionato nel febbraio 2012. L'intesa raggiunta il 15 febbraio 2012 ha definitivamente sanato una situazione precedentemente caratterizzata dall'incertezza dei diritti di traffico assegnati ed ha realizzato, nel contempo, il bilanciamento dei diritti potenzialmente operabili dai vettori di parte italiana con quelli dei vettori russi.
  Tale intesa ha consentito un notevole incremento del traffico aereo tra la Federazione russa e l'Italia, con conseguenti rilevanti effetti di positiva ricaduta economica.
  I contenuti tecnico operativi dell'intesa prevedono:
   introduzione clausole Ue (Reg. 847/2004);
   applicazione provvisoria dei cosiddetti
agreed principles Ue/Federazione russa, concernenti gli oneri per sorvoli transiberiani;
   nuova definizione, in senso ampliativo, della disciplina delle rotte con l'introduzione di una nuova tabella (con notevole aumento degli scali in Italia), ridefinizione del regime di designazione, ampliamento del numero di frequenze operabili sia passeggeri e combi (di linea e
charter) sia cargo, sia dei sorvoli transiberiani;
   introduzione di altre facoltà operative quali
leasing, block space e modifica del regime di code sharing.

  Il Governo italiano può dirsi in conclusione soddisfatto sia dall'ampliamento di fatto della portata dei collegamenti aerei da e per la Russia, sia dal sostanziale riequilibrio dell'impianto dell'accordo in senso favorevole agli interessi nazionali, grazie ad un'intesa bilaterale che moltiplica le destinazioni italiane interessate ed è inoltre in grado di recepire eventuali nuove esigenze commerciali che dovessero derivare dall'ulteriore crescita dei flussi turistici.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   RIGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 10 e l'11 novembre 2012 un episodio meteorologico con piogge di eccezionale intensità ha provocato numerosi e danni sul territorio della Liguria, della Toscana, dell'Umbria, del Triveneto e dell'Alto Lazio;
   in particolare, nelle prime ore dell'11 novembre 2012 la violenta alluvione che si è abbattuta sulla Lunigiana orientale ha determinato il crollo del ponte di Serricciolo interrompendo la viabilità della strada statale 63 del Cerreto fra la frazione di Serricciolo e Pallerone, isolando totalmente i territori del comune di Fivizzano, Casola Lunigiana, parte del territorio di Aulla, la Garfagnana e l'Alto Reggiano;
   è necessario reperire in breve tempo le risorse per la ricostruzione del ponte di Serricciolo coinvolgendo i soggetti interessati alla ricostruzione medesima e soprattutto è necessario acquisire da parte dell'ANAS la disponibilità ad una ricostruzione veloce dell'opera;
   infatti, i sindaci dei comuni interessati, a seguito di una serie di incontri con i vertici dell'Anas, hanno constatato la disponibilità dell'ANAS ad investire la somma di 2 milioni di euro, ma tale investimento sconta tempi di realizzazione troppo lunghi, valutati intorno ad un anno;
   i tempi prospettati dall'ANAS per la ricostruzione del ponte non sono compatibili con le esigenze del territorio che, per avviare al ripresa, ha necessità di collegamenti efficienti e di supporto all'imprenditorialità locale;
   i sindaci dei comuni interessati hanno dunque proposto ad ANAS alcune ipotesi alternative, quali la realizzazione di un bypass a monte del ponte crollato che costerebbe circa 500.000 euro con la costruzione di 500 metri di strada e ponte bailey oppure l'installazione di un ponte bailey sopra il ponte crollato, così come si è fatto in altre zone italiane in situazioni analoghe;
   purtroppo ANAS ha manifestato l'impossibilità di finanziare il bypass ed ha espresso contrarietà rispetto all'installazione del ponte bailey sopra il ponte crollato;
   la strada statale 63 rappresenta una viabilità strategica per le attività economiche, turistiche, industriali e commerciali della zona e la prospettata attesa di un anno per la ricostruzione del ponte determinerebbe la chiusura delle moltissime attività imprenditoriali che insistono sul territorio;
   già nel territorio comunale di Fivizzano le due cartiere ivi dislocate (Piandimolino e Gassano) sono state costrette a collocare i propri operai in cassa integrazione (90 dipendenti), mentre una cava di marmo ha chiuso determinando la perdita di circa 5 posti di lavoro;
   infine, l'iniziare della stazione sciistica di Cerreto Laghi, impone che ANAS, con la massima urgenza, intervenga per costruire una strada alternativa al ponte, tenendo presente che le tre strade provinciali di accesso alla Lunigiana Orientale (Canova-Ceserano-Rometta/Quercia-Olivola-Serricciolo/Licciana nardi-Bigliolo-Agnino) sono interdette al traffico dei mezzi pesanti o autoarticolati –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sulla questione esposta in premessa e se non si ritenga urgente intervenire presso l'ANAS, al fine di ripristinare nel più breve tempo possibile la circolazione sulla strada statale n. 63. (4-18796)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2012, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Nella notte tra il 10 e l'11 novembre 2012, un'alluvione ha causato il crollo di una campata del ponte sul torrente Aulella, lungo la strada statale 63 «del Cerreto», in prossimità del centro abitato di Serricciolo, nel comune di Aulla (Massa-Carrara).
  La società Anas ha avviato immediatamente la progettazione del nuovo ponte, che sarà ricostruito sul sedime di quello preesistente, adeguandone la sezione alle esigenze idrauliche stabilite dall'autorità di bacino del fiume Magra.
  Il progetto preliminare è stato ultimato il 30 novembre e il 6 dicembre 2012 si è tenuta la Conferenza dei servizi, richiesta dall'Anas al comune di Aulla, per sottoporre il progetto all'esame e air approvazione di tutti gli enti competenti.
  I rappresentanti delle amministrazioni interessate si sono espressi favorevolmente, approvando il progetto definitivo che prevede:
   una sezione stradale con larghezza pari a 9,50 metri, a fronte dei 6,75 metri della precedente struttura, dotata di marciapiedi e piste ciclabili;
   una campata unica, per minimizzare l'interferenza con l'asta fluviale, con luce di 66 metri;
   un impalcato con larghezza complessiva di 14,1 metri con coppia di travi in acciaio di altezza varabile tra 2 e 2,6 metri.

  La gara di appalto, con procedura negoziata, si è conclusa il 10 gennaio 2013 ed è stata aggiudicata provvisoriamente all'associazione temporanea di imprese «Edilturci srl – Cometal srl».
  I lavori di costruzione del ponte, per un importo di 2,5 milioni di euro circa, saranno finanziati dall'Anas e avranno una durata di 180 giorni.
  Per completezza di informazione si segnala che nel corso delle riunioni svolte con tutti gli enti interessati presso la prefettura di Massa Carrara sono state esaminate numerose ipotesi progettuali alternative all'immediata ricostruzione del ponte sul torrente Aulella, senza tuttavia giungere a soluzioni condivise a causa dei rischi potenziali che detti interventi comportavano in caso di piena del torrente e anche per la lunghezza nei tempi di attivazione delle procedure legate all'urbanistica locale, alla locazione e agli espropri dei terreni.
  Si è, inoltre, stabilito che durante la costruzione del nuovo ponte la strada statale 63 «del Cerreto», in corrispondenza del torrente, rimarrà chiusa al transito ed il traffico veicolare sarà indirizzato sulla strada provinciale 19, utilizzata in via temporanea, come percorso alternativo.
  Si segnala, infine, che l'Anas ha assunto anche l'impegno, attraverso la stipula di un'apposita convenzione, di provvedere agli interventi di manutenzione straordinaria lungo la strada provinciale 19 per far fronte all'incremento del traffico conseguente alla chiusura della statale «del Cerreto». I lavori sulla provinciale 19 saranno ultimati nell'arco di 45 giorni e l'investimento complessivo dell'intervento sarà pari a 300 mila euro.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   ROSATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Ferriera di Trieste, di proprietà della Lucchini Severstal spa, è uno stabilimento per la produzione di ghise, coke metallurgico ed alti prodotti da altoforno, sito nel popoloso rione di Servola;
   lo stabilimento, con il suo potenziale produttivo, rappresenta una significativa risorsa occupazionale per il territorio triestino, dal momento che attualmente vi sono occupate oltre 500 persone, senza considerare l'indotto;
   in occasione di un vertice presso la prefettura di Trieste il 19 gennaio 2012, la dirigenza aziendale ha annunciato la riduzione dei livelli produttivi ed occupazionali asseritamente a causa di difficoltà di liquidità dovute alla scarsità di fondi a disposizione del gruppo industriale per ottemperare al piano di asseveramento del debito omologato dal tribunale di Milano;
   ulteriore motivo di ridotta disponibilità liquida era dovuta al contenzioso in corso fra l'azienda e la proprietaria della adiacente centrale di cogenerazione che produce energia sfruttando i gas di risulta dell'impianto siderurgico, per un credito vantato da Lucchini Severstal di 46 milioni di euro;
   inoltre, il gruppo subisce le difficoltà connesse all'attuale contingenza economica, cosicché l'azienda ha più volte avvertito che non è garantita la prosecuzione nella produzione di ghisa e coke metallurgico anche dopo la fine del regime di CIP6, previsto per il 2015;
   il 14 marzo 2012 presso la regione Friuli Venezia Giulia, la proprietà, le rappresentanze sindacali unitarie dello stabilimento e le istituzioni locali hanno sottoscritto un protocollo d'intesa volto alla condivisione del programma di riconversione dell'area industriale della Ferriera per la creazione di un contesto favorevole per l'attrazione di nuovi investimenti privati, e all'istituzione di un tavolo politico come luogo di raccordo e cooperazione tra le pubbliche amministrazioni;
   allegato al protocollo è stato approvato un cronoprogramma dettagliato degli interventi concordati finalizzati alla riconversione del sito della Ferriera, che prevedeva anche la presentazione delle analisi del contesto a un tavolo politico nazionale entro il 17 maggio 2012;
   risulta all'interrogante che questo cronoprogramma non sia al momento rispettato e che le attività concordate non siano state avviate come promesso in sede di firma del protocollo, e in particolare emerge che non sono state ancora presentate al tavolo nazionale le analisi del contesto;
   è importante che le attività prospettate nell'incontro del 14 marzo vengano concluse nei tempi e nelle modalità stabilite in quanto il futuro occupazionale dei lavoratori dello stabilimento dipenderà dalla capacità di riconvertire la Ferriera di Trieste –:
   come il Ministro stia seguendo la vicenda della Ferriera di Trieste;
   a quale punto sia l'applicazione del cronoprogramma concordato con il protocollo d'intesa del 14 marzo e quali siano le ragioni del ritardo segnalato in premessa;
   se il Ministro sia in grado di definire una data per la prima convocazione del tavolo politico nazionale. (4-16456)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico ha seguito da tempo e con grande attenzione le vicende che hanno interessato la Lucchini, viste le importanti implicazioni di natura produttiva e occupazionale.
  Dopo numerosi incontri, vista la complessità della situazione e non essendo andata a buon fine l'attività di ricerca d'investitori da parte dell’
advisor Rothschild, nell'ultima riunione tenutasi al Ministero dello sviluppo economico, il 22 gennaio scorso, alla presenza di tutte le parti interessate al futuro della Lucchini, ho comunicato dell'ammissione del gruppo alla procedura di amministrazione straordinaria.
  In tale sede il commissario straordinario dottor Nardi ha evidenziato le criticità del gruppo Lucchini ricordando, che la procedura attivata è la testimonianza di una gravissima difficoltà che ha portato allo spossessamento della proprietà aziendale. Ha ribadito che tale procedura concorsuale deve tener conto dell'equilibrio tra gli interessi dei creditori e quello della continuità aziendale, finalizzata alla riconsegna della Lucchini a un nuovo investitore.
  Allo stato attuale ha registrato una perdita strutturale che, unita alla crisi generale di mercato e all'assenza d'investimenti degli ultimi anni, ha ulteriormente peggiorato la situazione.
  Lo stesso commissario ha dichiarato che un'altra criticità è rappresentata dal blocco di alcuni prodotti finiti nel sito di Lecco a causa di un'agitazione sindacale. Ha ricordato che nella sua funzione di «commissario straordinario» non può disporre di altre risorse al di fuori di quelle provenienti dalla gestione dell'azienda e infine ha illustrato la situazione dell'altoforno all'indomani della riaccensione e dopo la prolungata fermata.
  In tal senso infatti, pur apprezzando la competenza e la dedizione di operai e tecnici, ha evidenziato una criticità dovuta a malfunzionamenti che spera di risolvere entro breve tempo.
  Le organizzazioni sindacali, da parte loro, hanno espresso apprezzamento per la rapidità con cui si è proceduto alla nomina del commissario straordinario. Hanno poi sostenuto che, pur riconoscendo la centralità e l'importanza di Piombino, è necessario discutere del gruppo Lucchini nel suo complesso e allo stesso tempo va prestata molta attenzione al sistema dei fornitori, questione essenziale per garantire un futuro all'azienda. La tutela dei creditori è fondamentale per il rilancio della Lucchini. In tale ottica è indispensabile garantire la ripartenza dell'altoforno e assicurare la continuità del ciclo integrale.
  Per quanto riguarda il sito di Trieste, le stesse organizzazioni sindacali hanno evidenziato la necessità, anche a fronte delle scadenze delle autorizzazioni previste nel 2015, di avviare una discussione sul futuro dell'area, sulle interdipendenze tra le attività industriali presenti che si configurano come una «filiera di fatto» e di possibili interventi di natura logistica infrastrutturale, senza che ciò pregiudichi l'integrità e l'unitarietà del gruppo Lucchini durante la procedura di amministrazione straordinaria.
  Le organizzazioni sindacali hanno chiesto, infine, la conferma dei livelli occupazionali e l'avvio di una discussione con l'azienda in merito al rinnovo degli strumenti di ammortizzazione sociale e ai contratti a termine in scadenza. Per quanto riguarda il sito di Lecco è stata confermata la disponibilità a lavorare per un accordo a fronte di rassicurazioni in merito al futuro del sito.
  Relativamente a tale ultima questione il commissario ha smentito le ipotesi circolate negli ultimi giorni, circa la sua intenzione di vendere separatamente gli
asset della Lucchini. L'impianto di Lecco è parte integrante del gruppo e rappresenta un importante centro servizi per determinate categorie di prodotto. Al momento il sito è fermo per problemi di mercato.
  Per quanto riguarda Trieste una soluzione andrà cercata prima del 2015 anche a fronte dell'adeguamento a livello nazionale delle tariffe CIP 6 che avranno un impatto su Lucchini ed Elettra. Per i contratti di lavoro in scadenza, c’è la disponibilità ad avviare un confronto in sede locale al fine di trovare una soluzione condivisa.
  In merito ai fornitori, all'interno dell'azienda è stata attivata una struttura col compito di trovare soluzioni che possano sostenerli in questa fase delicata. La forza della Lucchini risiede, infatti, oltre che nella localizzazione geografica e negli ampi spazi disponibili, proprio nella cultura industriale del territorio e quindi, tali
asset vanno tutelati se si vuole garantire un futuro al presidio produttivo.
  L'assessore al comune di Trieste, dal canto suo, ha sottolineato come dalle parole del commissario emerga la necessità di trattare la situazione di Trieste in maniera distinta. Tra l'altro oltre la scadenza prevista nel 2015, non va dimenticato che le concessioni del demanio terminano a dicembre 2013. Va, quindi a suo parere, avviato il più rapidamente possibile un processo di dismissione e bonifica con conseguente reindustrializzazione. A tal fine è necessario creare un tavolo nazionale sull'area, anche ai fini valutare se Trieste sarà o meno nelle aree di crisi complessa.
  Le amministrazioni locali hanno trovato una sintesi sulla strada da percorrere ed è stata avviata l'istanza di riconoscimento del territorio in «area di crisi complessa».
  Per la regione resta, inoltre, fondamentale avviare una discussione in cui si tengano presenti anche le problematiche di natura infrastrutturale, produttiva e ambientale.
  A riguardo, il rappresentante della regione Toscana ha precisato che si sta lavorando affinché la nave Costa Crociere, incagliata davanti all'Isola del Giglio, possa essere ricoverata nel porto di Piombino per poi procedere alle attività di smantellamento. Questo significa che le strutture portuali e viabilistiche dovranno essere rapidamente realizzate. Anche nella prospettiva di migliorare la situazione generale di Piombino e attrarre nuovi investitori.
  Ho concluso la riunione sottolineando preliminarmente l'utilità della discussione avutasi, che ha confermato l'importanza del passaggio all'amministrazione straordinaria della Lucchini.
  A tale proposito ho aggiunto, che il Governo auspica che le problematiche registrate a Lecco possano essere superate. È necessario, inoltre, riavviare un flusso normale di pagamento dei fornitori al fine di tutelare le capacità produttive del territorio. Per quanto riguarda il sito di Trieste al momento risulta prematuro prendere delle decisioni, le richieste pervenute dalle amministrazioni locali circa il riconoscimento dell'area di crisi per il sito evidenziano, tuttavia, la presenza di un problema specifico per cui si può pensare di avviare un accordo di programma. Misura analoga potrà essere prevista per Piombino.
  Le tematiche di natura infrastrutturale legate al Porto di Piombino sono anch'esse importanti e a riguardo il Ministero dello sviluppo economico avvierà un'interlocuzione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Il tavolo Lucchini rimane, comunque, aperto e verrà riconvocato entro la fine del mese di febbraio. Parallelamente, e a valle della pubblicazione dei decreti, verranno convocati i tavoli per avviare la discussione sulle due aree di crisi di Piombino e Trieste.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   ROSATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco garantisce l'efficienza del Corpo che, nonostante si trovi a dover affrontare numerose emergenze, soffre da troppo tempo un sottodimensionamento che il Sottosegretario dell'interno pro tempore ha quantificato in 3.000 unità, nel corso di un intervento in commissione affari istituzionali della Camera dei deputati il 14 aprile 2011;
   i vigili del fuoco volontari si sono dimostrati indispensabili per l'ordinaria funzionalità dei distaccamenti, e senza il loro apporto non sarebbe stato possibile mantenere sempre alta la qualità dei soccorsi resi dal Corpo;
   ferme restando le già evidenziate criticità circa le modalità di impiego di detti vigili del fuoco volontari e il blocco del turn over che non ha permesso né di completare la stabilizzazione avviata nel 2007, né tanto meno di dare seguito al concorso a 814 posti indetto nel 2008, l'interrogante segnala al Ministro che vi sono preoccupanti ritardi nella corresponsione delle competenze fisse ed accessorie in favore del personale volontario che ha prestato la propria opera;
   dalle comunicazioni del dipartimento stesso si evincono ritardi consistenti, anche di due o quattro mesi: il pagamento delle competenze di dicembre 2011 è stato disposto il 31 maggio 2012; quello di maggio e giugno 2012 è stato disposto il 10 agosto di quest'anno;
   il 22 marzo scorso il dipartimento, con l'ordine del giorno n. 116, aveva precisato che «stante la peculiarità della prestazione lavorativa resa dal personale volontario» l'erogazione delle competenze fisse ed accessorie tramite il sistema del «cedolino unico» sarebbe stato possibile a partire non dal corrente esercizio finanziario, ma a decorrere dal 2013 –:
   se al Ministro risulti che vi siano delle difficoltà nella corresponsione puntuale delle competenze mensili al personale volontario dei vigili del fuoco, e, nel caso, per quali ragioni tali ritardi si verifichino;
   posto che dalle comunicazioni del dipartimento a decorrere dal 2013 l'erogazione delle competenze fisse e accessorie avverrà tramite il sistema del «cedolino unico», se il Ministro possa specificare modalità e tempistiche per il prossimo passaggio di modalità di pagamento.
(4-18308)

  Risposta. — A decorrere dall'annualità 2013 il Ministero dell'economia e delle finanze ha confermato l'estensione delle funzionalità del sistema Spt (Service personale tesoro) Cedolino Unico anche per la retribuzione del personale volontario del Cnvvf.
  Il predetto sistema è utilizzato per il pagamento delle competenze accessorie del personale di ruolo dell'amministrazione pubblica. Dette competenze sono inserite nello stesso sistema Spt il mese successivo all'effettivo svolgimento delle prestazioni per essere pagate il mese seguente con il cedolino stipendiale.
  Atteso che il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non instaura con l'amministrazione un rapporto di impiego subordinato, come sancito dall'articolo 4, comma 11, della legge di stabilità per il 2012, e quindi non è titolare di partita stipendiale a ruolo, le competenze retributive non possono che essere pagate alla stregua e con i tempi delle competenze accessorie del personale di ruolo della pubblica amministrazione.
  Tutto ciò premesso, si ritiene che, non appena definita l'attuale fase di «
start up», i pagamenti degli emolumenti in parola potranno essere erogati, a regime, con una tempistica più celere rispetto a quella utilizzata fino al 2012.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 29 luglio 2010, n. 120, ha modificato il decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, meglio noto come codice della strada, introducendo nuove norme che migliorano la sicurezza stradale;
   il novellato articolo 60 prevede l'installazione ad opera delle autonomie locali di dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici e a tal fine era prevista l'emanazione di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali;
   sebbene sia stato stabilito nell'articolo 60 così come modificato, che detto decreto sarebbe dovuto essere emanato entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge di modifica, risulta all'interrogante che lo stesso non sia stato ancora disposto, impedendo così alle amministrazioni comunali di procedere all'installazione e omologazione dei dispositivi –:
   a che punto si trovi l’iter di emanazione del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e quale tempistica il Governo preveda per la pubblicazione del decreto. (4-18610)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione parlamentare in esame concernente l’iter di emanazione del decreto di cui all'articolo 60 della legge n. 120 del 2010 con cui vengono definite, tra l'altro, le caratteristiche per l'omologazione e l'installazione di dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione dei nuovi impianti semaforici.
  Al riguardo, si fa presente che ai fini dell'emanazione del suddetto provvedimento ministeriale dovranno essere preventivamente individuati i requisiti per l'approvazione dei dispositivi di cui sopra ai sensi dell'articolo 45 del nuovo codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992) e dell'articolo 192 del connesso regolamento di esecuzione ed attuazione (decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992).
  A tale scopo, nonché al fine di verificarne la compatibilità con la norma europea armonizzata EN 12368, è in atto una sperimentazione dei dispositivi in esame agli esiti della quale questo Dicastero provvederà a completare l’
iter previsto per l'emanazione del decreto ministeriale di cui trattasi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal nuovo orario di Trenitalia, entrato in vigore il 9 dicembre 2012, si evince che la società ha deciso di cancellare a partire dal 9 dicembre 2012, due treni Intercity notte sulla linea Trieste-Roma;
   il treno Intercity notte 773 proveniente da Roma in direzione Trieste era utilizzato da molti lavoratori e studenti pendolari del Veneto e del basso Friuli. Il convoglio, infatti, partiva dalla stazione di Venezia Mestre alle 5.32 e raggiungeva la destinazione attraverso la via ferroviaria di Cervignano-Portogruaro, sostando alle stazioni di Latisana, San Giorgio di Nogaro, Monfalcone;
   il treno Intercity notte 772, proveniente da Trieste in direzione Roma, effettuava il tragitto inverso al precedente ed era il collegamento serale utilizzato da molti lavoratori e studenti pendolari. Anche in questo caso la via ferroviaria percorsa era quella di Cervignano-Portogruaro e il treno fermava alle stazioni di Latisana, San Giorgio di Nogaro, Monfalcone;
   l'utilizzo numeroso di questi treni era dovuto al percorso e all'orario di partenza e arrivo che consentivano, la mattina, di arrivare in orario sul posto di lavoro o nel luogo di studio e, la sera, di poter far rientro a casa terminato l'orario di lavoro e di studio. Questi collegamenti, infatti, erano i soli a garantire questo servizio per queste fasce orarie;
   la soppressione di questi due collegamenti ha creato molti disagi ai lavoratori e agli studenti pendolari perché la tratta non è coperta nemmeno da un treno regionale e questo sta comportando grandi difficoltà soprattutto, per quanto riguarda la sera, ai lavoratori dei turni serali che non hanno più modo di fare rientro a casa;
   ad oggi l'ultimo collegamento ferroviario via Cervignano-Portogruaro parte alle ore 19.18 e quindi non è fruibile da molti studenti universitari e dai lavoratori che terminano il loro orario di lavoro attorno alle 20;
   da alcune agenzie di stampa si è evinto che Trenitalia si sarebbe impegnata a ripristinare il collegamento Intercity notte 773 Roma-Trieste a partire dal 17 dicembre, e si sarebbe impegnata a lavorare sulla possibilità di reintrodurre l’Intercity notte 772, Trieste-Roma;
   all'interrogante risulta, però, che, ad oggi, Trenitalia non ha ancora presentato alcuna proposta di ripristino della tratta, nonostante le rassicurazioni in tal senso –:
   se il Ministro possa confermare che a partire dal 17 dicembre 2012, l’Intercity notte 773 Roma-Trieste sarà ripristinato, come da impegno assunto da Trenitalia;
   se il Ministro possa sollecitare Trenitalia a ripristinare quanto prima il collegamento serale Intercity notte 772 Trieste-Roma, viste le forti necessità espresse in premessa che riguardano molti studenti e lavoratori pendolari del Veneto e del basso Friuli. (4-19076)

  Risposta. — La relazione Trieste-Venezia (e viceversa) è servita giornalmente da un numero elevato di collegamenti regionali, oltre 50 tra treni regionali e regionali veloci parte di competenza della regione Veneto, parte della regione Friuli Venezia Giulia e parte rientranti nel contratto di servizio con lo Stato: i cosiddetti servizi denominati «indivisi».
  Per quanto attiene ai treni
Intercity notte Trieste-Venezia (Roma) e viceversa, a cui fa specifico riferimento l'interrogazione in esame, si fa presente che questi rientrano nel servizio universale, che comprende quei collegamenti che non sono economicamente sostenibili a causa del rapporto negativo tra costi e ricavi, per il quale Trenitalia riceve un corrispettivo dallo Stato definito attraverso un apposito contratto di servizio.
  Con l'orario di dicembre 2012, a fronte della soppressione della coppia di
Intercity notte 772 e 773 Roma-Venezia-Trieste (via Portogruaro) e viceversa, è stata prolungata su Trieste la coppia di Intercity notte 771 e 774 Roma-Venezia-Udine (con l'inserimento della fermata di Gorizia), che consente il collegamento con la Capitale di tutti e quattro i capoluoghi provinciali del Friuli Venezia Giulia.
  Inoltre, per venire incontro alle esigenze dei viaggiatori (soprattutto pendolari) diretti/provenienti dalle stazioni della tratta Mestre-Portogruaro-Trieste – su richiesta di questo dicastero, nelle medesime fasce orarie della coppia di
Intercity notte 772 e 773 soppressa, Trenitalia ha istituito una nuova coppia di Intercity Venezia Mestre-Trieste (e viceversa), con fermate a San Dona di Piave, Portogruaro, Latisana, San Giorgio di Nogaro, Cervignano e Monfalcone. La nuova coppia di treni consente, inoltre, la connessione a Mestre con la coppia di Intercity notte da e per Roma.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   ROSSA e TULLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comma 12-septies dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) ha introdotto l'onerosità nelle operazioni di ricongiunzione o trasferimento dei contributi da Fondi esclusivi o sostitutivi verso il regime generale dell'Assicurazione generale;
   i lavoratori che hanno avuto una vita lavorativa svolta in aziende private e/o pubbliche diverse, oggi per poter accedere alla propria pensione per la quale hanno sempre versato regolarmente i contributi dovuti, devono pagare ulteriori oneri;
   si trovano in questa situazione i dipendenti pubblici che hanno lavorato nel settore privato, i lavoratori socialmente utili che, dopo un periodo di lavoro privato e un lungo periodo di precariato, sono stati assunti presso gli enti locali, gli insegnanti che hanno lavoratori presso scuole private e poi presso istituti pubblici, i dipendenti delle società afferenti a Poste italiane dapprima iscritti all'INPS e successivamente ad IPOST, i lavoratori dipendenti delle aziende municipalizzate (con iscrizione INPDAP) il cui contratto è stato «ceduto» alla società subentrata nel servizio, i lavoratori del settore telefonico ed elettrico e altro;
   in molti dei casi sopra riportati l'INPS, per ricongiungere o trasferire i periodi contributivi dal relativo fondo, ha chiesto centinaia di migliaia di euro;
   il trasferimento gratuito si rendeva necessario ogni qual volta il lavoratore o la lavoratrice cessava dall'iscrizione al proprio fondo di appartenenza (esclusivo o sostitutivo) senza aver maturato il diritto a pensione; l'alternativa sarebbe una ricongiunzione onerosa verso il fondo d'appartenenza non sempre sostenibile da parte dei lavoratori o lavoratrici interessati;
   in seguito all'introduzione dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 ogni movimento di contribuzione (anche quelli verso INPS) diventano onerosi indipendentemente dal fatto che l'operazione di ricongiunzione/trasferimento generi un migliore importo di pensione e quindi un reale beneficio;
   un lavoratore che si trova ad avere un'anzianità contributiva e un'età anagrafica sufficienti a realizzare il diritto a pensione, di fatto, non può esercitare tale diritto perché l'INPS richiede improponibili oneri di ricongiunzione;
   l'impossibilità sopravvenuta di trasferire gratuitamente la contribuzione maturata nel fondo esclusivo o sostitutivo verso l'INPS in molti casi ha reso sterile l'utilizzo di quella contribuzione incrementando il numero delle posizioni silenti in contraddizione con il dettato costituzionale;
   è stata soppressa una norma fondamentale dell'ordinamento come la legge 2 febbraio 1958, n. 322 (costituzione della posizione assicurativa all'INPS);
   l'articolo 38, secondo comma, della Costituzione garantisce al lavoratore mezzi adeguati alle esigenze di vita al verificarsi degli eventi previsti, tra cui rientrano i trattamenti di invalidità e di vecchiaia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e necessario assumere iniziative normative per ripristinare la finalità indicata dalla citata legge n. 322 del 1958, volta ad assicurare che chiunque cessi l'attività lavorativa senza aver maturato il diritto a pensione nel proprio fondo ha diritto a far confluire gratuitamente tutta la sua contribuzione verso il regime generale dell'assicurazione generale obbligatoria. (4-14749)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame si sollecita il Governo a considerare la possibilità di modificare l'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, nella parte in cui ha reso oneroso l'istituto della ricongiunzione modificando la previgente disciplina che sanciva il generale principio della gratuità.
  Com’è noto la legge n. 29 del 1979 consente il conseguimento di un'unica pensione da parte di lavoratori che siano stati iscritti a diverse gestioni pensionistiche, mediante trasferimento di tutti i periodi contributivi presso un'unica gestione.
  La facoltà di ricongiunzione può essere esercitata in alternativa presso il fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD), gestito dall'Inps ai sensi degli articoli 1 e 4 della legge citata, ovvero presso una gestione previdenziale diversa (sostitutiva, esonerativa o esclusiva dell'assicurazione obbligatoria) ai sensi degli articoli 2 e 4 della medesima legge.
  Fino al 30 giugno 2010 la ricongiunzione nel fondo pensioni lavoratori dipendenti dei periodi contributivi maturati in ordinamenti pensionistici «alternativi» avveniva senza oneri per il richiedente.
  Esisteva solo l'obbligo, a carico delle predette gestioni, di trasferire nel Fpld la contribuzione relativa ai periodi ricongiunti, maggiorata di interessi al tasso annuo del 4,50 per cento. Era invece onerosa sia l'operazione che riguardava periodi contributivi provenienti dalle gestioni speciali per i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti), sia la ricongiunzione richiesta ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 29 del 1979.
  Il Governo precedentemente in carica, con il decreto-legge n. 78 del 2010, ha introdotto, a decorrere dal 1o luglio 2010, l'onerosità della ricongiunzione, qualunque sia la gestione di provenienza dei periodi interessati e a prescindere dalla natura dell'attività (subordinata o autonoma) alla quale si riferiscono i relativi contributi.
  In particolare, l'onere di ricongiunzione – il quale dovrebbe giustificarsi, almeno in via di principio, con il vantaggio pensionistico che deriva dalla possibilità di ricongiungere periodi rientranti nel sistema retributivo – viene determinato in relazione alla collocazione temporale dei periodi ricongiunti ed alla loro valutazione ai fini pensionistici.
  Tuttavia, l'applicazione pratica di questo principio ha talvolta generato la determinazione di oneri di ricongiunzione spesso iniqui e insostenibili per gli interessati.
  Un ulteriore aspetto di incongruità del sistema nel suo complesso è rappresentato dal fatto che l'abrogazione delle norme che disciplinavano la costituzione della posizione assicurativa ha prodotto rilevanti disparità nei confronti dei lavoratori assicurati presso alcune casse previdenziali gestite dall'Inpdap (Cpdel, Cps, Cpi e Cpug) cessati dal servizio in data anteriore al 31 luglio 2010 (per i quali non trova applicazione la costituzione d'ufficio della posizione assicurativa presso Fpld prevista per gli iscritti alla cassa dei dipendenti dello Stato).
  La situazione di ingiustizia sostanziale in tal modo determinatasi è risultata tanto più accentuata in quanto l'onere finanziario richiesto agli interessati al fine di procedere alla ricongiunzione onerosa non risulta in alcun modo connesso con il vantaggio economico effettivo che egli otterrà a seguito della ricongiunzione. Anzi, in numerosi casi l'esborso richiesto all'interessato consiste nel sostanziale ri-versamento dei contributi già in precedenza versati, in assenza di un qualunque effettivo beneficio.
  A fronte di un problema così complesso, sono state ipotizzate numerose ipotesi di soluzione.
  In un primo momento si era ipotizzata una soluzione in via amministrativa (in seguito rivelatasi non praticabile), mentre in seguito si è consolidata la consapevolezza che solo una soluzione in via normativa fosse idonea ad affrontare il problema nel modo sistematicamente più corretto.
  In alcuni casi è stata proposta puramente e semplicemente l'incondizionata gratuità delle ricongiunzioni. Tuttavia, gli oneri finanziari connessi a tali ipotesi si sono rivelati – almeno allo stato – insostenibili.
  Il Governo (consapevole della gravità del problema e animato dalla volontà di risolverlo per il maggior numero possibile di interessati individuando tutte le risorse che è possibile mettere in campo) ha chiesto di inserire, nell'ambito della legge di stabilità per il 2013 legge 24 dicembre 2012 n. 228), apposite misure volte a dare soluzione alle principali criticità conseguenti alla disciplina introdotta dall'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010.
  In particolare la disposizione dell'articolo 1, comma 238, della legge n. 228 del 2012 riconosce anche agli iscritti alla Cpdel, Cps, Cpi e Cpug, che non abbiano presentato domanda entro il 30 luglio 2010, di poter presentare istanza di costituzione della posizione assicurativa nel Fpld secondo quanto già previsto dalla legge n. 322 del 1958 anche successivamente a tale data nel caso in cui le condizioni di trasferibilità (cessazione dall'iscrizione al fondo esclusivo senza diritto a pensione) risultino perfezionate entro la medesima data, assicurando in tal modo omogeneità nell'applicazione delle regole pensionistiche per gli iscritti alle diverse gestioni dell'Inps.
  Le disposizioni dei commi da 239 a 249 della legge di stabilità per il 2013 introducono, inoltre, una nuova modalità di cumulo dei periodi di contribuzione, superando taluni effetti distorsivi conseguenti alle disposizioni introdotte dalla decreto-legge n. 78 del 2010. In particolare il comma 239, ferma restando la disciplina vigente in materia di ricongiunzioni e totalizzazioni dei periodi assicurativi, riconosce ai soggetti iscritti a due o più forme di assicurazione obbligatoria – inclusa la gestione separata dell'Inps – che non siano già titolari di trattamento pensionistico autonomo, la possibilità di ottenere un unico trattamento pensionistico, cumulando tutti i periodi assicurativi non coincidenti che i soggetti possono far valere presso diverse gestioni, qualora tali periodi non soddisfino i requisiti minimi per il diritto al trattamento pensionistico anche in una singola gestione.
  Si ritiene che, operando nel modo indicato, il Governo (pur non eliminando
in toto le segnalate criticità) abbia comunque fornito una risposta adeguata e tempestiva al problema segnalato, anche in considerazione della complessità della questione e delle importanti risorse finanziarie necessarie.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   ANTONINO RUSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 15 febbraio 2012 le Poste italiane s.p.a., senza ritenere necessario dare alcun preavviso alle relative amministrazioni comunali, hanno deciso unilateralmente di depotenziare la presenza di loro uffici in tre comuni madoniti: San Mauro Castelverde, Gratteri e Petralia Soprana;
   in tal senso, la decisione adottata è stata quella di lasciare aperti gli sportelli solo per tre giorni alla settimana;
   il comune di San Mauro – per esempio – disponeva di due impiegati ma, una volta raggiunta la pensione per uno dei due, la dirigenza di Poste italiane s.p.a. non ha mai provveduto ad una sostituzione riducendo tout court il servizio con grave disagio per tutta la popolazione;
   infatti, il summenzionato comune dista più di 30 chilometri dagli altri uffici postali disponibili nel territorio;
   per questo, gli abitanti di San Mauro hanno manifestato raccogliendo più di settecento firme in calce ad una petizione;
   il 20 febbraio 2012, i sindaci dei comuni sopraindicati hanno incontrato il dottor Riccardo D'Amico, direttore dell'Agenzia poste Palermo 2, che ha riconosciuto l'incidenza negativa del provvedimento sulla vita complessiva dei comuni assicurando il suo impegno per l'invio di altro personale;
   tuttavia, all'impegno non sono seguite azioni concrete e, pertanto, il sindaco di Gratteri, Giuseppe Muffoletto, con telegramma inviato al dottor Riccardo D'Amico, ha preso atto con rammarico del mancato invio delle unità di personale promesse per consentire l'apertura della filiale –:
   quali iniziative intenda adottare per ripristinare il servizio anche in vista delle nuove esigenze complessive di personale che saranno definite a breve ai fini di trasferimenti interregionali. (4-15539)

  Risposta. — In merito a quanto rappresentato nell'atto in esame, la società Poste italiane ha evidenziato che gli uffici postali ubicati nella provincia di Palermo, nei comuni di San Mauro Castelverde, Gratteri e Petralia Soprana, erano già stati inseriti nel piano degli interventi di razionalizzazione relativo all'anno 2011, a causa degli esigui flussi di traffico registrati da tempo.
  Gli interventi attuati nel mese di febbraio 2012, hanno comportato una revisione degli orari di apertura al pubblico degli uffici che, al momento, sono aperti tre giorni a settimana con orario 8.15/13.45.
  La società ha, evidenziato, altresì, che le rimodulazioni attuate sono state regolarmente comunicate ai rappresentanti delle istituzioni locali e risultano corrispondenti agli effettivi livelli di richiesta da parte della clientela, in quanto consentono l'erogazione dei servizi nel rispetto degli
standard di qualità previsti.
  Poste italiane ha assicurato che monitorerà, in ogni caso, gli uffici in questione adottando, ove necessario, eventuali interventi operativi, atti ad assicurare la regolare erogazione dei servizio.
  L'azienda ha comunicato, inoltre, che le risorse applicate agli uffici postali ubicati in territorio palermitano risultano in numero idoneo ad assicurare il regolare svolgimento del servizio.
  Si segnala, infine, che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni è il soggetto attualmente competente a vigilare sul settore postale, la stessa ha assicurato che provvederà a vigilare attentamente sull'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio.
  A questo proposito si ricorda che l'attuale quadro normativo impone al fornitore del servizio postale universale, ai sensi del decreto ministeriale 7 ottobre 2008 recante «criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete pubblica», precisi obblighi di presenza territoriale che garantiscono la fruibilità e la continuità del servizio anche nelle realtà territoriali più remote e disagiate, a prescindere da valutazioni di tipo economico.
  In questo contesto il Ministero dello sviluppo economico, dal canto suo, non mancherà nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali di adoperarsi, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica ai quali il servizio postale è tenuto, comunque, ad ispirarsi.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   SANTORI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Cinecittà Est è un'area urbana del X municipio, formatasi intorno agli anni ’80 quando furono costruiti un considerevole numero di edifici che hanno costituito il patrimonio immobiliare, ormai quasi completamente dismesso, degli enti previdenziali;
   il 4 maggio 2011 «Il Corriere della Sera» ha dato notizia di un'importante operazione – coordinata dalla direzione distrettuale antimafia – intitolando l'articolo come segue «“Mala” romana e camorra gestivano un traffico milionario»;
   secondo quanto riportato dal giornalista «L'organizzazione, nata tra Centocelle, Tor Bellamonaca e Tuscolano, puntava a conquistare l'intero mercato dello spaccio»;
   nell'ambito della citata operazione, ormai nota come «Operazione Orfeo» dal nome di uno dei locali individuati come sede di incontri degli affiliati e da questi controllato, sono state effettuate perquisizioni in alcuni locali di Cinecittà Est come il solarium «Clever & sun» e l'agenzia di scommesse «intralot» – entrambi in via Ciamarra – ed il bar «Butera» in via Vignali;
   l'operazione complessivamente si è sviluppata con 43 perquisizioni, altrettanti chili di stupefacenti sequestrati (25 di hashish, 15 di marijuana e tre di cocaina); 38 arresti, la chiusura dei relativi locali con l'apposizione dei sigilli a beni per complessivi cinque milioni di euro;
   il 24 gennaio 2012 «Roma Today», quotidiano on-line, ha riportato la notizia del durissimo colpo inferto al «clan dei Casamonica, uno dei più potenti della Capitale, attivo particolarmente nella zona sud est di Roma» con un'operazione congiunta dei carabinieri e della polizia di Stato che hanno eseguito 39 ordinanze di custodia cautelare a carico di altrettanti esponenti del citato clan;
   molte altre operazioni si sono succedute in questi anni a conferma dell'ottimo lavoro svolto dalle forze di polizia;
   e quindi verosimile pensare al quartiere in questione come una realtà borderline tra legalità ed illegalità;
   in via Pietro Marchisio 237/235 si trova un circolo privato, la cui apertura risale a circa 10/12 anni fa, che è stato spesso sede di interventi delle forze di polizia per risse ed episodi di violenza su richiesta degli abitanti dei palazzi sovrastanti che hanno ripetutamente richiesto l'attenzione degli uffici preposti, auspicando anche la chiusura del citato locale;
   tutti questi episodi sono stati più volte segnalati per iscritto al commissariato di PS «La Romanina» e alla stazione dei CC «Cinecittà» competenti per territorio all'ufficio di polizia amministrativa della questura di Roma, alla asl ed ai vigili urbani anch'essi competenti per territorio;
   il circolo di cui sopra, a più riprese, rimasto chiuso per lunghi periodi recentemente il citato circolo ha riaperto i battenti e aver ulteriormente cambiato gestione;
   è ormai aumentata, nell'opinione pubblica, la percezione del pericolo, ulteriormente alimentata dall'ormai cronica mancanza di mezzi e risorse che affligge le forze dell'ordine –:
   se non ritenga opportuno verificare il rispetto delle norme di ordine pubblico da parte degli esercizi di cui in premessa sollecitando gli uffici amministrativi dei commissari e della questura di Roma a vigilare maggiormente prestando altresì grande attenzione alle segnalazioni – anche raccolte in modo informale – degli abitanti della zona in cui insistono tali realtà;
   se non ritenga opportuno sollecitare l'applicazione di misure che possano fungere da deterrenti, quali ad esempio la sistematica identificazione dei frequentatori di tali circoli a seguito di occasionali interventi nell'ambito di un maggiore controllo del territorio;
   se non ritenga necessario che le famiglie, che ormai da anni segnalano la situazione di degrado determinata dall'apertura ed esistenza di tale realtà, ricevano pronte risposte dagli uffici di polizia interessati. (4-17245)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene posta all'attenzione di questa amministrazione la situazione di particolare degrado in cui versa la zona est della capitale.
  Le forze dell'ordine sono impegnate in prima linea nel combattere tale fenomeno che, come ricordato dall'interrogante, hanno conseguito importanti risultati nella lotta alla criminalità organizzata del luogo. Peraltro, nell'area urbana di Cinecittà est, sono presenti numerosi presidi (le stazioni del carabinieri di «Cinecittà», «Roma-Appia» e «Roma-Quarto Miglio» e i commissariati della polizia di Stato «Tuscolano» e «Romanina»).
  In relazione agli episodi di criminalità ai quali si fa riferimento nell'interrogazione, si ricorda che l'Arma dei carabinieri, il 3 maggio 2011, ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 38 soggetti, indagati per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tentato omicidio e sequestro di persona. Nello specifico, i provvedimenti restrittivi hanno colpito una consorteria criminale radicata nella capitale, già collegata allo storico sodalizio facente capo a Michele Senese, affermatosi nel panorama della criminalità romana anche grazie a consolidati rapporti con gruppi camorristici napoletani.
  Nelle successive fasi investigative sono stati rilevati anche i legami tra alcuni esponenti del sodalizio e la famiglia dei Casamonica. Le indagini hanno fatto emergere l'operatività di un'organizzazione particolarmente attiva nel traffico di sostanze stupefacenti, portando al sequestro di quantitativi ingenti di cocaina,
marijuana e hashish.
  Sul fronte del reimpiego dei narcoproventi, sono stati anche riscontrati interessi nella gestione di esercizi pubblici, sale scommesse e solarium della capitale. I conseguenti approfondimenti patrimoniali hanno consentito, inoltre, di individuare il complessivo patrimonio mobiliare e immobiliare illecitamente acquisito dal sodalizio, ottenendo dall'autorità giudiziaria, in applicazione della normativa antiriciclaggio, un provvedimento di sequestro preventivo nei confronti di beni mobili e immobili per un valore di circa cinque milioni di euro.
  Il 24 gennaio 2012 nel quartiere Romanina – al termine di una complessa e articolata attività di indagine coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Roma, attraverso un'operazione congiunta di carabinieri e polizia di Stato – sono stati eseguiti 39 ordini di custodia cautelare per associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti nei confronti di altrettanti soggetti facenti parte del cosiddetto «clan Casamonica». I guadagni illeciti, frutto dello smercio degli stupefacenti, sono stati reinvestiti soprattutto nell'acquisto di immobili e autovetture di grossa cilindrata, nonché per finanziare attività usuraie. Nel contesto dell'operazione, è stato disposto il sequestro preventivo di beni mobili e immobili per un valore complessivo di circa cinque milioni di euro.
  In merito al circolo privato di via Pietro Marchisio, non risulta alle forze dell'ordine che siano state presentate denunce o esposti per episodi di violenza avvenuti presso il suddetto locale. A seguito di segnalazioni da parte dei residenti del quartiere per schiamazzi e assembramenti all'esterno del circolo, personale dell'Arma dei carabinieri è intervenuto in più occasioni, identificando nel complesso venti persone, nessuna delle quali gravata da pregiudizi penali. Anche il commissariato di pubblica sicurezza «Romanina» ha effettuato dei controlli presso lo stesso locale il 7 e il 12 settembre 2012, a seguito dei quali sono stati denunciati in concorso il presidente e il vicepresidente dell'associazione culturale «Doroty Club» e contestate violazioni amministrative per esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa e mancata esposizione in luogo visibile della tabella dei giochi proibiti.
Si rappresenta, infine, che le forze di polizia territorialmente competenti hanno assicurato, per il futuro, l'intensificazione dell'attività di prevenzione e controllo nei pressi dell'esercizio commerciale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   SANTORI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 121 del 1981 istituì l'ispettore di polizia reclutato sulla base di requisiti soggettivi e previo esito positivo di prove preselettive (visite mediche e test psicoattitudinali), con uno specifico concorso, comprensivo di prove scritte ed orali, tra soggetti provenienti dalla vita civile in possesso del diploma di scuola media superiore nonché formati mediante un corso di addestramento per svolgere compiti e funzioni di natura prevalentemente investigativa;
   il ruolo degli ispettori era collocato, sin dalle origini (legge n. 121 del 1981, articolo 36, e decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982, articolo 3), in posizione inequivocabilmente superiore nella scala gerarchica rispetto al ruolo dei sovrintendenti;
   la legge 10 ottobre 1986, n. 668 (Modifiche e integrazioni alla legge 1° aprile 1981, n. 121) e relativi decreti di attuazione consentirono l'inquadramento nel ruolo degli «ispettori» di tutto il personale costituito dai marescialli provenienti dal disciolto «Corpo delle guardie di pubblica sicurezza», da 400 sovrintendenti (quindi ex brigadieri appartenenti al disciolto «Corpo delle guardie di pubblica sicurezza») nonché dalle assistenti provenienti dal disciolto «Corpo di polizia femminile» (solo per le quali fu subito dopo prevista, altresì, la progressione al ruolo superiore di commissario mediante concorso riservato per soli esami), con modalità diverse e pressoché automatiche, stravolgendone la peculiarità investigativa nonché determinando una commistione di «ruoli» diversi e di soggetti in possesso di requisiti non omogenei;
   ciò generava un'automatica ed incontrollata immissione in un ruolo superiore di personale già inquadrato in un ruolo inferiore, senza previo accertamento attraverso un'idonea procedura selettiva delle relative competenze professionali;
   il decreto del Presidente della Repubblica 12 maggio 1995, n. 197, ed il decreto-legge 10 settembre 2004, n. 238, poi convertito dalla legge 5 novembre 2004, n. 263, consentivano a tutti i sovrintendenti di essere collocati, ope legis, senza alcuna procedura di selezione ed addirittura in carenza del prescritto titolo di studio del diploma di scuola media superiore, in un nuovo ruolo ispettori dove è stato fatto confluire pure tutto il personale già appartenente ruolo degli ispettori, vincitore del relativo concorso pubblico esterno, per la cui partecipazione era previsto il possesso del diploma di scuola media superiore;
   pertanto il legislatore non prevedeva anche una progressione degli ispettori ante-riordino, che ormai poteva avvenire solo mediante immissione nella qualifica iniziale del ruolo susseguente di vice commissario, peraltro vacante;
   con le innovazioni apportate dal decreto del Presidente della Repubblica 12 maggio 1995, n. 197, il nuovo ruolo degli ispettori rispetto all'originario, conservava soltanto la sterile denominazione, in quanto perdeva quell'esclusività nelle fondamentali funzioni di intelligence con il margine di iniziativa nell'ambito delle direttive generali ed assumeva, invece, le mansioni che già venivano svolte dal precedente ruolo dei sovrintendenti;
   tale demansionamento veniva esplicato dalla circolare del Ministero dell'interno n. 1333-A/9807.F.A2 del 1° settembre 1995, dalla quale si evinceva che in applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 197 del 1995 l'impiego degli ispettori nel settore investigativo non poteva più ritenersi, né prevalente né esclusivo e che gli appartenenti al «nuovo ruolo» assunto dagli ispettori avrebbero potuto assumere la direzione di distaccamenti sottosezioni e posti di polizia, ai quali fino ad allora erano stati preposti i sovrintendenti;
   il Ministro della funzione pubblica pro tempore Franco Frattini, l'11 maggio 1995 (si noti il giorno prima dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 197 del 1995), in occasione di un'audizione sull'argomento presso le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Difesa, prendeva atto della situazione nella quale si erano venuti a trovare gli ispettori vincitori di concorso pubblico (vedi verbale alla pagina 5: «Un tema che rimane tuttora da definire riguarda coloro che possono trovarsi affiancati e scavalcati ...») e si impegnava ad ulteriori tempestivi interventi in sanatoria, mediate una progressione interna analoga a quella già esistente nell'Arma dei Carabinieri;
   tuttavia, solo dopo cinque anni veniva approvata la legge delega 31 marzo 2000, n. 78, con la quale il Governo veniva delegato ad emanare un decreto legislativo che disciplinasse il diritto alla progressione interna degli ispettori del concorso esterno ad un ruolo superiore, già goduto fin dall'anno 1980 dal personale dell'Arma dei carabinieri e delle altre forze di polizia e delle Forze Armate;
   tale previsione non è stata mai attuata atteso che la legge finanziaria relativa all'anno 2006 (articolo 261) ne prevedeva la sospensione;
   sono, dunque, evidenti, ad avviso dell'interrogante, le problematiche relative alle legittime aspirazioni di avanzamento in carriera del personale del «primo corso straordinario ispettori della polizia di Stato», che rivestono la qualifica di sostituti commissari di polizia di Stato da oltre 11 anni –:
   se e con quali iniziative il Ministro intenda intervenire in merito a tale situazione, considerata l'evidente penalizzazione nella progressione di carriera del personale del primo corso straordinario ispettori della polizia di Stato che peraltro non ha mai goduto di benefici di legge oltre ad essere stato depauperato delle originarie funzioni e demansionato con la sua ormai di fatto inesorabile parificazione al ruolo immediatamente sottordinato;
   se ritenga opportuno e meno oneroso far transitare il personale del primo corso straordinario vice ispettori nell'attuale ruolo dei commissari con la sola valutazione dei titoli di merito e dell'anzianità di servizio acquisiti, eliminando, quindi, l’iter concorsuale (e tutto quello che ne consegue ossia trasferimento del personale, accasermamento, retribuzione dei docenti esterni, e altro) e riducendo la durata del corso di aggiornamento presso le scuole di formazione. (4-19160)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rileva che il ruolo degli ispettori è stato effettivamente alimentato, nel tempo, non solo con personale proveniente dalle procedure concorsuali, ma anche (subito dopo la legge di riforma n. 668 del 1986) con gli ex marescialli del disciolto corpo delle guardie di pubblica sicurezza, con modalità che hanno prodotto uno scavalcamento in ruolo in danno dei vincitori di concorsi pubblici, e successivamente (per effetto del riordino di cui al decreto legislativo n. 197 del 1995) con personale appartenente al ruolo dei sovrintendenti.
  L'inquadramento, pertanto, è avvenuto
ope legis, prescindendo dal possesso del titolo di studio normativamente previsto per l'accesso al ruolo secondo le ordinarie procedure concorsuali.
  Se è vero che tali disposizioni hanno potuto determinare per alcuni dipendenti situazioni di disagio per le aspettative professionali disattese, deve essere tuttavia riconosciuto che il riordino del 1995 ha previsto anche dei benefici in favore delle persone in questione.
  Infatti, mentre l'ordinamento previdente richiedeva, ai fini del raggiungimento della qualifica apicale, un tempo pari ad almeno 15 anni di servizio, il decreto legislativo n. 197 del 1995 ha introdotto una ridotta anzianità di servizio nel ruolo, pari a 12 anni.
  Infine, non va omesso che con il riordino del 1995 e con quello di cui al decreto legislativo n. 53 del 2001, il legislatore ha posto massima attenzione alle modalità di inquadramento, proprio per impedire discutibili scavalcamenti di ruolo, a salvaguardia soprattutto di coloro che erano stati vincitori di concorsi pubblici.
  Oggi il ruolo degli ispettori, per il quale è prevista una dotazione organica di 23.664 unità, di cui 6.000 da riservare alla qualifica apicale di ispettore superiore, presenta una vacanza d'organico pari a oltre 10.000 unità e si compone per lo più di dipendenti in possesso della qualifica di ispettore capo. Tale situazione, unita alla limitata disponibilità di posti annualmente disponibili, rende molto difficoltoso conseguire la qualifica apicale.
  Si assicura, comunque, che le problematiche relative ai ruoli ordinari della polizia di Stato sono allo studio di un gruppo di lavoro appositamente costituito, che ha prodotto un disegno di riordino con numerose proposte di modifiche normative da esaminare nella prossima legislatura.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   SBAI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le condizioni dei mezzi pubblici sono ormai note a tutti nel nostro Paese;
   in alcune città d'Italia sono fatiscenti e inadatti allo scopo;
   la loro frequenza è al minimo, con mezzi che arrivano spesso stracolmi e privi delle condizioni essenziali di vivibilità e di sicurezza;
   i prezzi sono stati aumentati, in alcune città, del 50 percento;
   la crisi per famiglie e studenti non permette di sostenere costi elevatissimi per trasporti inadeguati;
   gli aumenti sono arrivati durante il periodo estivo e quindi a servizio ancor più ridotto –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda procedere in relazione a questa situazione;
   se il Governo intenda pensare a delle misure di sostegno alternative e migliorative di quelle esistenti per il trasporto pubblico;
   se il Governo intenda favorire studi per una modalità di miglioramento del servizio pubblico laddove i prezzi dei titoli di viaggio sono aumentati; (4-17477)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Nell'ambito delle iniziative in atto da parte del Governo nel settore del trasporto pubblico locale si fa presente che l'articolo 1, comma 301 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nel sostituire l'articolo 16-
bis del decreto-legge n. 95 del 2012 e relativa legge di conversione, ha previsto, a decorrere dal 2013, l'istituzione del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, che ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale.
  Il comma 3 del citato articolo 16-
bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi previa intesa in sede di conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto fondo. Il comma 6 del medesimo articolo prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione, a titolo di anticipazione, tra le regioni a statuto ordinario, del 60 per cento dello stanziamento del fondo medesimo.
  Ad oggi, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in corso di emanazione essendo stata sancita la prescritta intesa nella seduta della Conferenza unificata dello scorso 7 febbraio; con la formalizzazione della stessa, nelle more dell'adozione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, si potrà procedere all'emanazione del suddetto decreto interministeriale previsto dal comma 6 dell'articolo 16-
bis.
  Si fa presente, inoltre, che a decorrere dal 2013, in applicazione del succitato articolo 16-bis, le regioni saranno tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione mediante:
   un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
   il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
   la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
   la definizione di livelli occupazionali appropriati;
   la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica.

  Il raggiungimento degli obiettivi in argomento, sarà oggetto di verifica costante da parte di questo Ministero anche attraverso l'osservatorio nazionale per le politiche del trasporto pubblico locale, istituito con l'articolo 1, comma 300 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 al quale, in applicazione della disposizione di legge innanzi indicata, le aziende di trasporto pubblico locale e le aziende esercenti servizi ferroviari di interesse regionale e locale dovranno trasmettere i dati economici e trasportistici utili a creare una banca di dati e un sistema informativo per la verifica dell'andamento del settore.
  L'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi di cui trattasi, da parte delle singole regioni, comporterà una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle stesse.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   SBAI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Europa ha ricevuto il Nobel per i diritti umani;
   l'Europa poco ha fatto, nella realtà, per contrastare le violazioni ai diritti umani dovunque esse si siano verificate;
   l'Europa ha in più occasioni ammonito l'Italia sul rispetto dei diritti umani;
   l'Europa non mette a disposizione degli Stati membri degli strumenti di politica comune in relazione alla tutela dei diritti umani;
   soprattutto le donne sono vittime delle più disparate violazioni dei diritti umani, in Europa e in Italia;
   in Italia non esiste una Commissione parlamentare per i diritti umani;
   in Italia non esiste un Osservatorio per i diritti umani;
   in Italia le politiche sui diritti umani sono sostanzialmente rivolte alla «non discriminazione» e mai alla tutela dei diritti umani «tout court»;
   l'Italia e l'Europa sono molto indietro rispetto alle politiche globali di tutela dei diritti umani;
   l'Italia e l'Europa non sono intervenute sulla condizione delle donne afghane, ormai ridotte alla prigionia in casa propria e al suicidio per sfuggire all'omicidio, considerato spesso reato d'onore;
   l'Italia e l'Europa non hanno finora effettuato alcun intervento relativamente a vicende drammatiche come quella del blogger e dissidente saudita Raif Badawi, ormai prossimo alla pena di morte per apostasia;
   apostasia mascherata come, pena per aver aperto un blog e criticato la polizia religiosa saudita (http://www.almaghrebiya.it);
   lo stesso giornale online ha promosso, solo e senza aiuti istituzionali né politici, una petizione per salvare la vita a Badawi, che sta raccogliendo in poche ore centinaia di firme (http://firmiamo.it);
   la mobilitazione sul web e sui social network è ormai galoppante e coinvolge migliaia di persone in tutto il mondo, come testimoniano le migliaia di tweet e likes sulle pagine della petizione –:
   come intenda il Governo, operare in relazione ai fatti suddetti;
   se intenda il Governo, porre in essere le iniziative di competenza per la celere istituzione di un Osservatorio per i diritti umani;
   se intenda il Governo, sollecitare e fare pressione sulla comunità internazionale, affinché sia risparmiata la vita all'ennesimo dissidente che denuncia la repressione e la paura in Arabia Saudita, nel nuovo Egitto e in tutti i Paesi dove l'estremismo ha preso il potere. (4-19265)

  Risposta. — Il Governo italiano pone la promozione e la protezione dei diritti umani al centro della propria politica estera. Oltre a sollevare tali tematiche nei vari colloqui bilaterali, il nostro Paese partecipa attivamente alle numerose iniziative multilaterali nell'ambito delle Nazioni unite, dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa volte alla tutela dei diritti umani.
  In ambito comunitario, l'Italia ha fornito un apporto concreto e qualificato nel corso del complesso procedimento che ha portato all'elaborazione del «pacchetto» sulla nuova strategia dell'Unione europea in materia di diritti umani. Di concerto con gli altri
partner europei e promuovendo numerose prese di posizione dell'alto rappresentante Catherine Ashton, il nostro Paese sostiene l'azione dell'Unione volta a monitorare i casi di violazione di tali diritti e a sollecitarne il rispetto presso la comunità internazionale.
  Anche attraverso il Consiglio d'Europa, di cui è membro fondatore e uno dei principali contributori, il nostro Paese è impegnato nelle numerose iniziative volte a promuovere tali diritti fondamentali, democrazia e stato di diritto sul continente europeo e nel dialogo con i Paesi vicini,
in primis della sponda sud del Mediterraneo. Su un piano di parità con tutti gli altri membri di tale organizzazione, inoltre, l'Italia è oggetto di costante monitoraggio da parte dei competenti organi del Consiglio, a partire dal commissario per i diritti umani, cui si sottopone in virtù degli obblighi convenzionali volontariamente assunti.
  Per quanto concerne l'assenza in Italia di un osservatorio per i diritti umani, si ricorda che nel corso di questa legislatura il Governo ha sostenuto con forza il progetto di legge volto ad istituire la commissione nazionale in materia. Tale progetto di legge non ha purtroppo concluso il suo esame in Parlamento e dovrà riprenderlo nella prossima legislatura. Il Sottosegretario de Mistura, intervenendo a nome del Governo alla seduta del 18 dicembre 2012 della Commissione affari costituzionali della Camera, ha espresso rammarico per la mancata approvazione di tale legge istitutiva.
  Per quanto concerne gli aspetti relativi al giovane saudita Raif Badawi, ideatore del
blog «Free Saudi Liberals», arrestato nel mese di giugno 2012 con l'accusa di aver insultato l'Islam attraverso canali telematici, si conferma che il competente giudice lo ha deferito ad una Corte di grado superiore raccomandandosi di giudicarlo per apostasia, reato per cui è prevista la pena di morte.
  Sull'Arabia Saudita, l'Italia sostiene – in stretto raccordo con
partner comunitari – le iniziative volte ad esortare le locali autorità ad astenersi dal ricorrere alla pena capitale e a garantire i diritti dei condannati a morte.
  Anche in occasione dello specifico esame cui è stato sottoposto il Paese nel contesto della revisione periodica universale del consiglio diritti umani dell'Onu, l'Italia ha raccomandato alle autorità di Riad di prendere in debita considerazione la possibilità di adottare una moratoria delle esecuzioni o quantomeno di intraprendere una riforma legislativa volta a limitare il numero di reati sanzionati con la pena capitale e ad adeguare l'ordinamento interno agli standard internazionali minimi in materia. Ciò si pone d'altra parte in coerenza con il tradizionale impegno del Governo italiano volto all'abolizione della pena di morte, il quale è stato di recente coronato dall'approvazione, da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, di una nuova risoluzione volta a stabilire una moratoria delle esecuzioni.
  In tale contesto il Governo si assicurerà che la questione sia puntualmente seguita da Bruxelles e, in caso di effettiva condanna, insisterà con forza affinché l'Unione rivolga a Riad un fermo appello al riguardo.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   SCANDROGLIO, DE CORATO, DEL TENNO, MILANESE, BECCALOSSI, BELLOTTI, DELL'ELCE, FORMICHELLA, FUCCI, PICCHI, BRUNETTA, PIANETTA, PESCANTE, VITALI, NASTRI e BIANCOFIORE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il signor Enrico «Chico» Forti, imprenditore e produttore cinematografico italiano, è detenuto dal 2000 in un carcere di massima sicurezza della Florida, negli Stati Uniti d'America, in seguito a una condanna all'ergastolo senza condizionale «per aver personalmente e/o con altra persona o persone allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike», come si legge nella sentenza emessa dal tribunale di Miami;
   il processo che ha portato alla condanna del signor Forti è durato 25 giorni, ed è terminato in data 15 giugno 2000;
   nel pronunciamento, il giudice ha affermato quanto segue: «La Corte non ha le prove che lei, signor Forti, abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale!»;
   sono stati posti cinque appelli per la revisione del processo, ma tutti sono stati rifiutati dalle varie Corti, senza motivazione né opinione;
   attorno al caso del signor Enrico «Chico» Forti si è creato in Italia un vasto movimento d'opinione, testimoniato dall'attenzione mediatica ad esso riservata da giornali e televisioni del nostro Paese, dalla mobilitazione di centinaia di migliaia di cittadini italiani sui social network Facebook e Twitter, dagli appelli pubblici di personaggi dello spettacolo, da libri e dossier curati da criminologi ed esperti di diritto;
   il signor Forti, come si può leggere sul sito internet www.chicoforti.com, «non chiede pietà, non chiede nessuna grazia, chiede solo di poter essere giudicato sulla base dei fatti, sulla base di prove, in poche parole vuole solo avere un processo giusto»;
   la richiesta della revisione del processo a carico del signor Forti è basata su un'ampia documentazione probatoria, dalla quale pare emergono lacune e contraddizioni in ordine alle indagini che hanno portato alla condanna;
   come per ogni italiano condannato all'estero gli interroganti credono sia giusto porre attenzione e attivare le giuste azioni tese a dare adeguata assistenza, nella consapevolezza che ognuno risponde comunque di fronte alla giustizia –:
   se e quali iniziative siano state poste in essere dal Governo, per quanto di competenza, in ordine alla vicenda del signor Enrico «Chico» Forti;
   se e quali iniziative intenda assumere il Governo per intervenire in via diplomatica presso le autorità degli Stati Uniti d'America in merito alla vicenda del signor Forti. (4-16601)

  Risposta. — La Farnesina, attraverso l'ambasciata a Washington ed il Consolato generale a Miami, ha seguito fin dall'inizio il caso del signor Forti con la massima attenzione. Durante il lungo iter processuale vissuto dal connazionale, il Consolato generale gli ha fornito assistenza, ha mantenuto stretti contatti con i suoi familiari ed i suoi legali, ed ha effettuato passi presso le competenti autorità dello Stato della Florida per sensibilizzarle sulla vicenda. Passi sono stati effettuati quindi, a livello federale, dall'ambasciata a Washington.
  Sotto il profilo dell'assistenza consolare, oltre a seguire la vicenda giudiziaria, il Consolato generale a Miami ha effettuato frequenti visite in carcere, al fine di monitorare le condizioni di salute e detenzione del signor Forti.
  I familiari di Enrico Forti di recente hanno manifestato l'intenzione di presentare, presso il competente foro statunitense, un'istanza di revisione del processo. A conferma dell'estrema attenzione con la quale viene seguita la vicenda nel suo complesso, e per approfondire la questione specifica sollevata, il Ministro Terzi ha dato istruzioni di organizzare presso l'ambasciata a Washington una
conference call fra funzionari della nostra Rappresentanza diplomatica ed il rappresentante della famiglia. La famiglia del nostro connazionale ha vivamente ringraziato il Ministro Terzi per l'organizzazione della conference call.
  La Farnesina – per il tramite dell'ambasciata a Washington e del Consolato generale a Miami – continuerà a seguire la vicenda con il massimo impegno in stretto contatto con la famiglia Forti e con lo studio legale che assiste il connazionale. Nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, l'amministrazione degli affari esteri sensibilizzerà le autorità statunitensi in ogni utile occasione per accompagnare l'azione che lo studio legale sta intraprendendo per giungere alla revisione del processo.
  Per completezza di informazione, si segnala che il Ministro della giustizia, Paola Severino, nel corso di una sua visita a Washington, ha incontrato l'Attorney General, Eric Holder, ed ha attirato l'attenzione del suo interlocutore sul caso del nostro connazionale citando l'auspicio della famiglia di una revisione del processo in base a nuovi elementi. Questi ultimi dovranno essere presentati dallo studio legale del signor Forti presso il competente foro statunitense.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   STRIZZOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Campoformido (provincia di Udine) insiste un'area aeroportuale, con pista erbosa, attualmente adibita ad attività di volo per piccoli aerei da turismo e ad attività di paracadutismo;
   recentemente l'istituto tecnico industriale «A. Malignani» di Udine sta svolgendo, all'interno della struttura aeroportuale, dei corsi per gli studenti dell'indirizzo aeronautico;
   da notizie raccolte nell'ambito dei frequentatori dell'aeroporto risulta essere in programma un piano di investimenti per circa 2,5 milioni di euro, a cura dell'ENAC, finalizzato alla messa a norma del sito per garantire un maggiore livello di sicurezza sia per chi opera all'interno dell'aeroporto, sia per i cittadini che vivono nella zona –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di programmi di sviluppo o di ulteriori attività relative all'aeroporto di Campoformido;
   quali siano le ragioni che determinerebbero – nell'ambito degli interventi programmati – l'asfaltatura del campo erboso;
   se la gestione della struttura, dopo i programmati investimenti, verrà assegnata ad altro ente o società pubblica e/o privata e con quali finalità;
   se vi sia stato il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, a partire dalle amministrazioni comunali di Campoformido e di Pasian di Prato, nella definizione degli interventi programmati e delle possibili ulteriori attività economico-ricreative-commerciali nell'area aeroportuale. (4-12081)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'aeroporto di Udine-Campoformido ha acquisito lo
status di aeroporto civile con decreto interministeriale del 2 maggio 2008 (Gazzetta ufficiale n. 183 del 6 agosto 2008). All'interno di detto aeroporto, oltre alla zona statale, della quale è stato disposto il transito dal demanio aeronautico militare al demanio aeronautico civile con il predetto decreto, insiste anche una zona regionale trasferita alla regione Friuli Venezia Giulia denominata «Aerocampo».
  Per detto aeroporto l'Enac, nell'ambito del piano triennale 2010-2012 – investimenti sugli aeroporti minori – ha previsto uno stanziamento di 2,5 milioni di euro destinati ad interventi mirati all'incremento della
safety (sicurezza tecnica) e della security (sicurezza delle persone e dei beni).
  Nello specifico sono stati previsti il ripristino della recinzione aeroportuale, nonché lavori di manutenzione straordinaria e di risanamento delle infrastrutture di volo della pista denominata «Ex G-91», orientamento 04R-22L e dei raccordi e del piazzale con pavimentazione in conglomerato bituminoso, oltre a opere accessorie.
  Dette opere consentiranno l'utilizzo in piena sicurezza della pista, nel rispetto delle prescrizioni del Regolamento per la costruzione e l'esercizio degli aeroporti di Enac, anche con condizioni meteorologiche non ottimali.
  Allo stato attuale, il progetto di manutenzione straordinaria della pista in parola è oggetto di «Valutazione di incidenza» da parte dei competenti uffici della regione Friuli Venezia Giulia, in quanto l'area aeroportuale ricade nell'ambito della zona SIC (Sito di Importanza Comunitaria) «Magredi di Campoformido». Inoltre, il servizio valutazione impatto ambientale della regione Friuli Venezia Giulia ha chiesto, in data 15 novembre 2012, la verifica di assoggettabilità alla VIA, ai sensi dell'articolo 9-
bis della legge regionale n. 43 del 1990.
  Dal canto suo l'Enac, nell'ottica del coinvolgimento delle amministrazioni locali, ha effettuato, nell'aprile del 2011, un incontro con i comuni di Campoformido e di Pasian di Prato per rappresentare i progetti ed i programmi d'investimento inerenti l'Aeroporto di cui trattasi.
  Per quanto concerne le attività riguardanti l'area di competenza regionale, si evidenzia che la regione Friuli Venezia Giulia ha recentemente esperito la procedura per l'aggiudicazione della concessione in uso del Compendio immobiliare della regione per «progetti di formazione tecnologica aeronautica in concerto con istituti scolastici di indirizzo aeronautico» e per la valorizzazione della cultura e della storia aeronautica.
  Infine, in merito al quesito posto relativo alla gestione della struttura aeroportuale in esame, si evidenzia che tale problematica potrà essere affrontata anche alla luce dell'articolo 5, comma 1, lettera
c), del decreto legislativo n. 85 del 2010, che prevede il trasferimento a comuni, province, città metropolitane e regioni degli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale, diversi da quelli di interesse nazionale così come saranno definiti ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   STRIZZOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da tempo l'amministrazione comunale della città di Udine ha segnalato e sollecitato Trenitalia a porre in essere tutte le decisioni necessarie a garantire la sicurezza dei cittadini, la tutela della loro salute e dell'ambiente nella parte di territorio collocato ad est della città dove transitano, inopinatamente, treni merci, convogli che trasportano anche sostanze tossiche e nocive, passando – in particolare – in mezzo alle case delle località di San Gottardo e di Laipacco, utilizzando un tracciato ferroviario che dovrebbe essere stato già dismesso ancora 15 anni fa, allorché è stata realizzata una tratta interrata che scorre a una distanza di adeguata sicurezza dagli abitati sopra richiamati;
   nuovamente nei giorni scorsi, grazie anche ad una vasta mobilitazione di cittadini residenti nelle vie Cividale, Buttrio, Don Bosco e Laipacco, è stata segnalata la pericolosità del transito di circa 350 convogli settimanali che determinano forti disagi nel traffico, con lunghe code che si formano ai numerosi passaggi a livello, con forte aumento dell'inquinamento e della rumorosità ricadenti sui circa 20 mila residenti della parte est della città di Udine interessata dal tracciato ferroviario che dovrebbe essere già stato soppresso;
   sul quotidiano Messaggero Veneto, in particolare nei giorni 9, 10 e 14 novembre 2012, sono stati riportati – in termini obiettivi e trasparenti – dei documentati e circostanziati fatti segnalati da molti cittadini e da diversi amministratori comunali circa i rischi e i disagi che la popolazione sta sopportando in conseguenza dell'insistito utilizzo da parte di Trenitalia della linea ferroviaria che attraversa i moltissimi edifici destinati a civile abitazione;
   nei programmi strategici infrastrutturali di Trenitalia vi è il completamento e l'effettiva attivazione di tutto l'asse della circonvallazione ferroviaria ad est di Udine, con stanziamenti già previsti, che consentirebbe di risolvere definitivamente la grave situazione di pericolo e di disagio per la popolazione di Udine est –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle gravi problematiche sopra richiamate;
   quali iniziative urgenti intendano assumere nei confronti del gruppo Ferrovie Italiane-Trenitalia per dare tempestiva soluzione alla condizione di grave rischio che sta giustamente preoccupando l'amministrazione comunale di Udine e la popolazione di Udine est. (4-18562)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, sulla base delle informazioni di Ferrovie dello Stato, interessata al riguardo, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Attualmente, i treni che transitano da e per il tratto Udine Centrale-posto di movimento vat sono relativi ai servizi viaggiatori e merci diretti a Venezia/Tarvisio (circa 55 treni/giorno).
  La possibilità di evitare il transito di tali treni nel tratto in questione, istradandoli via Udine Parco-bivio Cividale, non è al momento percorribile sia perché il trasferimento Udine-Udine Parco (e viceversa), circa 2 chilometri, può avvenire solamente con movimenti di manovra, sia perché il collegamento via Udine Parco-bivio Cividale interferirebbe con la linea per Gorizia, in particolare nel tratto a semplice binario posto di movimento vat-bivio Cividale, già percorso da circa 30 treni/giorno (prevalentemente merci).
  Inoltre, l'obiettivo di ricucire il tessuto fortemente urbanizzato attraverso la dismissione del tratto di linea Udine Centrale-posto di movimento vat implica importanti interventi tecnologici e infrastrutturali sul nodo quali:
   raddoppio della linea di circonvallazione da posto di movimento vat a Udine Parco per un'estesa di circa 7 chilometri;
   realizzazione di un sistema a quattro binari da Udine Parco a Udine Centrale (due binari per la linea Tarvisio e due binari per la linea Gorizia);
   modifiche al piano del ferro della stazione di Udine Centrale con l'estensione dell'apparato che governa la stessa stazione di Udine Centrale fino alla limitrofa stazione di Udine Parco.

  Tale soluzione, con un costo stimato di circa 70 milioni di euro, attualmente non inserito nella tabella A del contratto di programma – parte investimenti, non è supportata da una domanda di traffico merci tale da giustificare l'investimento.
  Nel quadro delineato, per contenere tempi e costi di intervento, Ferrovie dello Stato ha ipotizzato mia soluzione a breve termine per liberare la città dal traffico merci, che prevede la realizzazione di un collegamento indipendente tra Udine Centrale e Udine Parco, a semplice binario su sede esistente, con relativo adeguamento tecnologico degli apparati per l'effettuazione di nuovi itinerari. Il costo dell'intervento è stato stimato in circa 3,2 milioni di euro e i tempi di realizzazione previsti sono circa 12 mesi a partire dall'erogazione dei fondi, tuttavia, non ancora disponibili.
  Per quanto evidenziato dall'interrogante circa la pericolosità del trasporto ferroviario di sostanze tossiche e nocive, sono state assunte specifiche informazioni presso l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, la quale ha rappresentato di porre da tempo particolare attenzione alla tematiche poste.
  In particolare, tra le misure poste in essere volte a garantire l'integrità del trasporto merci pericolose per ferrovia si ricordano:
   l'obbligo della «tracciabilità» dei processi manutentivi, ovvero della disponibilità delle informazioni relative agli
standard costruttivi adottati, alla data di fabbricazione, al fabbricante, alle attività manutentive ed al soggetto deputato alla manutenzione. Ai carri per i quali non sono ancora disponibili queste informazioni, è stato imposto il limite di velocità di 60 km/h nelle stazioni e durante l'attraversamento delle grandi aree urbane individuate dal Gestore dell'infrastruttura;
   l'obbligo per Rete ferroviaria italiana (Rfi) di individuare un proprio responsabile negli scali in cui sono programmate manovre di carri di merci pericolose (direttiva n. 1/dir/2010 del 22 febbraio 2010);
   l'obbligo per Rfi e le imprese ferroviarie di garantire, tra l'altro, durante le soste prolungate oltre i tempi tecnici necessari di treni contenenti merci pericolose, la tracciabilità degli impegni presi dai diversi operatori;
   attività di ispezione e di
audit sulle imprese ferroviarie in possesso di certificato per effettuare trasporto di merci pericolose e sull'organizzazione degli scali del gestore dell'infrastruttura dove sono svolte operazioni sui treni trasportanti merci pericolose;
   il sostegno fornito in sede europea, ai fini dell'adozione obbligatoria, a partire dal 1o gennaio 2015, del dispositivo di rilevazione svio per i carri trasportanti merci pericolose come misura di contenimento del rischio. A tale proposito l'Agenzia ha fatto presente che continuerà ad adoperarsi, nelle competenti sedi, per verificare la possibilità di anticipare tale data.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   STUCCHI, PIROVANO, CONSIGLIO e VANALLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti sono promotori di una serie di atti di sindacato ispettivo (4-03679, 4-04302, 4-05200, 4-05933, 4-06186, 4-07289, 4-12224, 4-12418), di cui alcuni con iter concluso, riguardanti l'inefficiente servizio erogato nella provincia di Bergamo dall'azienda Poste Italiane;
   la situazione continua a peggiorare con ulteriori chiusure di uffici postali e disagi alla popolazione;
   è stato chiuso temporaneamente l'ufficio postale sito a Berbenno (Bergamo) in via Papa Giovanni XXIII, in Valle Imagna e la cittadinanza, che teme sia una decisione definitiva, dovrà recarsi a Ponte Giurino, una frazione del comune, per usufruire dei necessari servizi postali, in un ufficio aperto solo tre giorni a settimana sui sei lavorativi;
   a Nese, frazione di Alzano Lombardo (Bergamo), i residenti sono in rivolta per la chiusura al pubblico, di fatto, dell'ufficio postale, «convertito» in «Poste imprese», a servizio quindi soltanto delle aziende;
   a Berbenno (Bergamo), il problema nasce dalle code, sempre più frequenti, che i clienti devono fare soprattutto in giornate di pagamento delle pensioni o di scadenza delle varie bollette;
   da Bergamo l'azienda Poste Italiane ha fatto sapere al comune di Berbenno che dal 5 al 18 settembre 2011 l'ufficio postale resterà aperto non più sei giorni alla settimana, ma solo tre, solo di mattina;
   la direzione di Poste Italiane di Bergamo risponde ad una richiesta di spiegazioni del comune di Berbenno che l'ufficio postale rientra in un progetto di «rimodulazione temporanea di apertura degli uffici postali durante il periodo estivo» –:
   quali iniziative intenda assumere nei confronti di Poste Italiane, al fine di evitare continui disagi e disservizi alla popolazione bergamasca. (4-12704)

  Risposta. — In risposta all'atto di sindacato ispettivo in esame, si espongono di seguito le risultanze degli accertamenti effettuati presso la concessionaria del servizio postale universale, in ordine ai segnalati disservizi verificatesi presso gli uffici postali nei comuni di Berbenno e Alzano Lombardo, siti nella provincia di Bergamo, e ai conseguenti disagi lamentati dall'utenza.
  In particolare, la concessionaria ha rappresentato la situazione organizzativa esistente sul territorio comunale di Berbenno, evidenziando che tale area è servita da due uffici postali, siti l'uno in Berbenno e l'altro in frazione ponte Giurino, entrambi aventi in dotazione un monoperatore ma ordinariamente funzionanti con modalità differenziate e cioè: il primo in tutti i giorni della settimana nelle ore antimeridiane (dalle 8,30 alle 14,00, con chiusura anticipata alle 12,30 solo nella giornata di sabato) e il secondo nei soli giorni dispari con il medesimo orario.
  In tale contesto, la decisione di rimodulare l'attività dell'ufficio di Berbenno nei mesi estivi è stata adottata anche in considerazione dell'esiguità dei flussi di lavoro prodotti dell'ufficio stesso.
  Quanto alle contestazioni inerenti alla disposta conversione operativa dell'ufficio in frazione Nese del comune di Alzano Lombardo, adibito alla sola erogazione di servizi alle imprese, la concessionaria ha evidenziato che l'iniziativa – peraltro preventivamente resa nota all'amministrazione comunale e accolta con ampio apprezzamento dall'utenza destinataria – è stata intrapresa su sollecitazione di un significativo segmento di clientela interessato a ottenere prodotti diversificati. Nel medesimo territorio e a breve distanza (circa 900 metri), opera l'ufficio di Alzano Lombardo che offre i servizi generali tutti i giorni, ordinariamente con doppio turno di apertura, salvo che nel periodo estivo (22 giugno-18 settembre) in cui è rimasto aperto con turno antimeridiano.
  Per completezza d'informazione, si fa presente che è l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il soggetto attualmente competente a vigilare sul settore postale, a cui è demandato il compito di verificare l'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio.
  In tale contesto il Ministero non mancherà, dal canto suo, di adoperarsi, nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica, ai quali il servizio postale è tenuto comunque a ispirarsi.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   STUCCHI e CONSIGLIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti hanno presentato molti atti di sindacato ispettivo, sulla questione inerente le sempre più numerose chiusure degli uffici postali nella provincia di Bergamo;
   continuano a giungere agli interroganti lamentele da parte dei cittadini e degli enti locali bergamaschi sulle disfunzioni relative al servizio erogato da Poste italiane;
   in particolare si legge dai media che gli uffici postali di Crespi d'Adda nel comune di Capriate San Gervasio, quello di Lizzola nel comune di Valbondione e la filiale postale di Colere sono le tre agenzie bergamasche, delle 1156 che fanno parte della lista recentemente resa nota da Poste Italiane, in cui si possono leggere le succursali a rischio chiusura –:
   quali soluzioni intenda adottare per invitare Poste italiane ad assumere le decisioni relative ad eventuali riorganizzazioni aziendali in accordo con le autorità e le amministrazioni locali, al fine di poter assicurare l'erogazione di un servizio puntuale ed efficiente ai cittadini bergamaschi. (4-17347)

  Risposta. — Giova premettere che il riassetto della rete territoriale degli uffici postali, così come del resto il riordino del settore del recapito, rientrano nel più ampio piano strategico di riorganizzazione aziendale che la società Poste italiane sta realizzando in adeguamento della propria attività di impresa alle sostanziali innovazioni del mercato postale indotte dalle prescrizioni europee che ne prevedono la piena liberalizzazione (la direttiva 2008/06/CE recepita con decreto legislativo n. 58 del 2011), nonché dall'evoluzione del processo di digitalizzazione delle comunicazioni, anch'esso di derivazione comunitaria, comportante la progressiva riduzione dei tradizionali volumi postali.
  In tale contesto, secondo quanto rappresentato al Ministero dello sviluppo economico da parte di Poste italiane, sono state adottate opportune cautele per ridurre ogni impatto negativo dell'iniziativa tanto sotto il profilo occupazionale quanto sotto quello dell'efficienza e della qualità del servizio.
  Circa il riassetto della rete degli uffici postali, la società ha precisato che tale attività ha trovato espressione specifica nell'ambito del piano attuativo degli interventi previsti per il 2012, redatto nel pieno rispetto dei criteri e dei vincoli di dislocazione degli uffici postali previsti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008, come ulteriormente specificati dal contratto di programma e per i quali è obbligatorio assicurare la fruibilità e la continuità del servizio anche nelle realtà più disagiate. Detto piano attuativo, come espressamente evidenziato dalla società, ha formato oggetto di disamina a livello nazionale con le organizzazioni sindacali, con le quali sono stati tra l'altro concordati successivi e ulteriori approfondimenti da effettuarsi a livello territoriale. Il medesimo piano, come parimenti previsto dal contratto di programma, è stato altresì comunicato all'autorità garante per il settore, competente a verificare l'effettiva aderenza della nuova dislocazione ai criteri di cui al menzionato decreto ministeriale 7 ottobre 2008.
  Quanto al profilo del riordino delle zone di recapito, il gestore ha evidenziato che anche tale nuova pianificazione è stata preceduta da un ampio confronto con le organizzazioni sindacali, con lo stesso
iter procedurale adottato in occasione della precedente riorganizzazione aziendale risalente all'anno 2006. La società ha precisato, infatti, di avere illustrato a tali organizzazioni le nuove linee di intervento contemplate dal piano e le connesse ricadute per il personale, con particolare riguardo alle regioni interessate alla sua attuazione sin dal 2012 (Piemonte, Marche, Basilicata, Toscana, Emilia Romagna, quest'ultima successivamente stralciata quale territorio colpito da emergenza sismica). In base ad un verbale di incontro sottoscritto il 23 settembre 2012 è stata costituita una commissione tecnica paritetica nazionale, i cui lavori hanno avuto termine il 4 dicembre 2012, con il compito di esaminare tutti gli aspetti tecnico/organizzativi del progetto di riorganizzazione dei processi postali.
  Per quanto attiene alle preoccupazioni espresse in ordine alla salvaguardia dell'efficienza e della qualità del servizio, la società ha precisato di aver predisposto, nelle realtà territoriali interessate all'avvio del piano di riorganizzazione, azioni volte al miglioramento della produttività attraverso la rimodulazione della quantità di corrispondenza affidata a ciascun portalettere e la conseguente riduzione del numero delle zone di recapito.
  Con specifico riferimento alla situazione nella provincia di Bergamo, territorio espressamente considerato nell'atto in esame, Poste italiane ha reso noto, che in tale area, nel piano degli interventi 2012, trasmesso all'autorità di regolamentazione, erano stati previsti, n. 3 interventi di chiusura e n. 2 interventi di razionalizzazione degli orari di apertura. Tuttavia, al termine delle necessarie valutazioni e dei confronti con le istituzioni locali, è stato deciso che, nella zona in esame, saranno assoggettati ai previsti provvedimenti definitivi di chiusura solamente 2 uffici (Crespi d'Adda e Lizzola), mentre per l'ufficio di Colere è stato assoggettato a razionalizzazione l'orario di apertura. La concessionaria del servizio universale ha reso altresì noto che in posizione limitrofa rispetto agli uffici di «Crespi d'Adda» e «Lizzola» si trovano gli uffici «Capriate San Gervasio», e «Valbondione».
  L'azienda ha evidenziato che tutte le iniziative citate sono state preventivamente comunicate ai sindaci dei comuni interessati e che risultano rispettose dei vincoli di cui al decreto ministeriale 7 ottobre 2008.
  Per completezza di informazione, si rappresenta, sempre in merito al riassetto della rete degli uffici postali, che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, soggetto attualmente competente a vigilare sul settore postale, ha comunicato di aver assunto talune iniziative specifiche di verifica presso Poste italiane spa. Tali iniziative mirano ad ottenere più precise indicazioni non solo sul rispetto in concreto dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di servizio universale, ma soprattutto sul confronto preventivo attivato con gli interlocutori istituzionali ed associativi a livello locale e sui relativi esiti. La predetta autorità ha inteso, in particolare, richiamare l'attenzione del gestore sull'indefettibilità e sull'effettività di tale confronto preventivo. Ha assicurato, inoltre, che provvederà a vigilare attentamente sull'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio, attraverso la verifica degli effetti del piano di riorganizzazione sotto il profilo della loro coerenza con i criteri relativi alla localizzazione dei punti di accesso e con i parametri di qualità del servizio.
  Su tale complessa materia l'autorità intende avviare, entro breve, un'apposita istruttoria avente ad oggetto la distribuzione dei punti di accesso al servizio postale universale, con la partecipazione dei rappresentanti delle realtà locali e delle associazioni dei consumatori. L'obiettivo dell'istruttoria sarà quello di limitare al massimo i possibili disagi per l'utenza, pur nel rispetto delle esigenze di razionalizzazione di Poste italiane.
  Il Ministero non mancherà, dal canto suo, di adoperarsi, nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica, ai quali il servizio postale è tenuto comunque ad ispirarsi.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   TOCCAFONDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la fornitura del servizio postale e delle prestazioni in esso ricomprese è un servizio universale, sancito per legge «da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane» (decreto legislativo n. 261 del 1999 attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio;
   nel suddetto decreto legislativo è specificato che il servizio universale è caratterizzato come segue: a) la qualità è definita nell'ambito di ciascun servizio e trova riferimento nella normativa europea; b) il servizio è prestato in via continuativa per tutta la durata dell'anno; c) la dizione «in tutti i punti del territorio nazionale» trova specificazione, secondo criteri di ragionevolezza, attraverso l'attivazione di un congruo numero di punti di accesso, al fine di tenere conto delle esigenze dell'utenza. Detti criteri sono individuati con provvedimento dell'autorità di regolamentazione;
   a seguito del passaggio nel 1998 di Poste italiane da ente pubblico economico a società per azioni in tutto è stato avviato in tutto il territorio nazionale, ed anche in Toscana, un drastico processo di razionalizzazione del servizio postale universale: dalla chiusura degli uffici alla riduzione di orari e giorni per gli sportelli dislocati sul territorio;
   come previsto nel decreto legislativo n. 261 del 1999 articolo 3 comma 12, lo Stato italiano contribuisce a finanziare l'onere per la fornitura del servizio universale con trasferimenti quantificati nel contratto con il Ministero dello sviluppo economico;
   l'onere del servizio postale universale riguardante l'esercizio 2010, al netto delle somme stanziate dallo Stato per compensazioni finanziarie per euro 364.000.000,00, è risultato pari a euro 325.000.000,00 (Decreto Ministero dello sviluppo economico 1° luglio 2011 «Fondo di compensazione degli oneri del servizio postale universale. esercizio 2011);
   il decreto legislativo n. 58 del 2011 affida direttamente a «Poste italiane» il servizio universale per altri 15 anni, prevedendo una verifica quinquennale, operata dall'autorità di regolamentazione sulla base di criteri da essa predisposti, di miglioramenti di efficienza, a pena di revoca dell'affidamento;
   dall'ultimo accertamento dell'ispettorato territoriale della direzione generale per la regolamentazione del settore postale del Ministero dello sviluppo economico nella regione Toscana risultano sanzionati il 10 per cento dei casi accertati (dati Ministero);
   i richiami e le segnalazioni risultano fatte dai residenti, in maggioranza, dei comuni montani, in particolare quelli con più bassa densità di popolazione, che storicamente denunciano situazioni difficili da servire con gravi disagi (soprattutto per le fasce più deboli, ma non solo);
   la mancanza di ufficio postale in molti di questi comuni montani e disagiati è aggravato dal fatto che non sono attive reti di adsl efficienti che possano garantire almeno parte dei pagamenti on line;
   nel caso specifico del comune di Firenzuola (comune montano dell'appennino romagnolo) e delle enormi difficoltà che l'amministrazione ha nell'erogare i servizi sul territorio comunale, considerata la grande estensione territoriale (3° in Italia) e la bassa densità di popolazione (la popolazione del comune non supera i 5000 abitanti);
   nella frazione di Bruscoli, comune di Firenzuola, da pochi giorni senza nessun tipo di comunicazione (o preavviso) né alla popolazione né tanto meno alle autorità competenti è stato in maniera quindi unilaterale decisa, da parte di Poste italiane, la chiusura dell'ufficio postale in questione (aperto tra l'altro già con orario ridotto);
   la frazione di Bruscoli dista dal più vicino ufficio postale nel territorio comunale ben 13 chilometri (di strada di montagna) e da Firenzuola ben 22 chilometri;
   non dispone né di una linea adsl né di una ricevitoria che possa in qualche modo garantire parzialmente, almeno online, alcuni pagamenti e altri servizi ai cittadini;
   i collegamenti con i mezzi pubblici (autobus) sul territorio di Firenzuola sono scarsi e non garantiscono collegamenti efficienti alle persone anziane o senza mezzo proprio;
   Bruscoli ospita ben 5 aziende di pelletterie, 2 forni, 2 ristoranti, 1 alimentari/tabacchi, 2 agriturismi, varie aziende agricole di allevamento di bovini, ed è quindi una piccola frazione ma molto attiva produttivamente;
   la chiusura dell'ufficio postale in territorio montani come Firenzuola ed in particolare Bruscoli sono da considerarsi servizi essenziali da preservare e valorizzare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   quali misure intenda mettere in atto per tutelare gli abitanti toscani della frazione di Bruscoli in modo da scongiurare la chiusura definitiva dell'ufficio postale;
   se non ritenga opportuno convocare la direzione regionale di Poste italiane spa per scongiurare che la riorganizzazione dell'azienda e del servizio postale sul territorio toscano arrechi seri disagi agli abitanti toscani dei comuni disagiati;
   quali azioni intenda intraprendere per garantire il rispetto sul territorio toscano del principio di servizio l'universale, quale è il servizio postale, garantendo un'effettiva erogazione del servizio pubblico di qualità nel rispetto del contratto del servizio postale;
   se ritenga doveroso segnalare il caso in questione all'autorità di vigilanza governativa competente, che valuterà se applicare le relative sanzioni a carico di Poste italiane Spa. (4-16000)

  Risposta. — In riscontro all'interrogazione in esame, si premette che il riassetto della rete territoriale degli uffici postali, così come del resto il riordino del settore del recapito, rientra nel più ampio piano strategico di riorganizzazione aziendale che la società Poste italiane Spa sta realizzando, in adeguamento della propria attività di impresa alle sostanziali innovazioni del mercato postale, conseguenti alle prescrizioni europee che ne prevedono la piena liberalizzazione (direttiva n. 2008/06/CE recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58), nonché all'evoluzione del processo di digitalizzazione delle comunicazioni, anch'essa di derivazione comunitaria comportante la progressiva riduzione dei tradizionali volumi postali.
  Ciò premesso, la società ha rappresentato che l'improvvisa chiusura dell'ufficio «Bruscoli», avvenuta il 19 aprile 2012, è stata causata da disposizioni impartite dalla Asl competente per territorio e, che nel comune di Firenzuola sono attivi tre uffici postali: «Firenzuola» aperto dal lunedì al venerdì con orario 8.25-13.35 e il sabato fino alle ore 12.35; «Piancaldoli» aperto il mercoledì e il venerdì dalle ore 8.15 alle 13.45 e «Traversa» aperto il martedì dalle ore 8.25 alle ore 13.35 e sabato fino alle ore 12.35.
  Per quanto riguarda, in generale, la riorganizzazione del servizio postale, la concessionaria ha evidenziato che il piano degli interventi di razionalizzazione per l'anno 2012, prevede per la regione Toscana 171 chiusure e 27 rimodulazioni dell'orario di apertura e che attualmente sono stati effettuati 73 interventi di chiusura e 59 rimodulazioni.
  Per completezza di informazione, si fa presente che il citato piano è stato trasmesso all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, soggetto competente a vigilare sul settore postale. La stessa Autorità ha assicurato che provvederà a vigilare attentamente sull'effettivo rispetto del principio di universalità del servizio, attraverso la verifica degli effetti del piano di riorganizzazione sotto il profilo della loro coerenza con i criteri relativi alla localizzazione dei punti di accesso e con i parametri di qualità del servizio.
  A questo proposito si ricorda che l'attuale quadro normativo impone al fornitore del servizio postale universale, ai sensi del decreto ministeriale 7 ottobre 2008 recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete pubblica», precisi obblighi di presenza territoriale che garantiscono la fruibilità e la continuità del servizio anche nelle realtà territoriali più remote e disagiate, a prescindere da valutazioni di tipo economico.
  In questo contesto il Ministero dello sviluppo economico, dal canto suo, non mancherà nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali di adoperarsi, per garantire il rispetto degli obiettivi generali di coesione sociale ed economica ai quali il servizio postale è tenuto, comunque, ad ispirarsi.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   TOUADI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione della direttiva 43/2000 dell'Unione europea, l'articolo 29 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (cosiddetta «legge comunitaria»), ha previsto l'istituzione di un «Ufficio di controllo e di garanzia della parità di trattamento e dell'operatività degli strumenti di garanzia, diretto da un responsabile nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro da lui delegato, che svolga attività di promozione della parità e di rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica, in particolare attraverso (...) l'assistenza indipendente alle persone lese dalle discriminazioni nei procedimenti giurisdizionali o amministrativi intrapresi e lo svolgimento di inchieste indipendenti in materia di discriminazione, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell'autorità giudiziaria»;
   a seguito di tale provvedimento normativo, il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, ha stabilito all'articolo 7, denominato «Ufficio per il contrasto delle discriminazioni», l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per le pari opportunità di un «Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica, con funzioni di controllo e garanzia della parità di trattamento e dell'operatività degli strumenti di tutela, avente il compito di svolgere, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla razza o sull'origine etnica, anche in un'ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini, nonché dell'esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso;
   in base al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 dicembre 2003, l'UNAR dovrebbe avvalersi di un contingente di complessive 26 unità (n. 1 dirigente generale, n. 2 dirigenti di II fascia, n. 8 funzionari, n. 10 impiegati, n. 5 ulteriori professionalità della pubblica amministrazione) oltre un n. 5 esperti estranei alla pubblica amministrazione;
   dal punto di vista delle risorse finanziarie, per la realizzazione dei propri compiti istituzionali, l'UNAR si avvale dei fondi relativi al capitolo 537 «spese di funzionamento dell'UNAR» (pari a 2.035.000,00 euro annui) che sono espressamente previsti e determinati dal comma 3 dell'articolo 29 della legge 1° marzo 2002, n. 39 «Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europee. Legge comunitaria 2001». Tali fondi, secondo quanto disposto dall'articolo 21 della legge 16 aprile 1987, n. 183 «Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari, vengono reperiti attraverso il cosiddetto «fondo di rotazione» istituito dall'articolo 5 della stessa legge;
   come risulta anche dalle relazioni al Parlamento trasmesse dall'UNAR, pur con le limitazioni imposte dalla sua attuale configurazione giuridica e dall'assenza di poteri sanzionatori, in questi anni l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica, meglio conosciuto come UNAR, istituito appunto ai sensi del decreto legislativo 215 del 2003 con lo scopo precipuo di prevenire, contrastare e rimuovere le discriminazioni etniche, razziali e religiose, ha comunque assicurato una importante attività di presidio istituzionale a tutela dei diritti fondamentali delle persone oggetto di discriminazioni razziali, conseguendo in particolare nell'ultimo triennio i seguenti risultati:
    la costruzione di un modello di governance sussidiaria e integrata per la prevenzione, il contrasto e la rimozione delle discriminazioni razziali mediante il coinvolgimento dell'Ufficio nazionale della consigliera di parità e per suo tramite della rete delle consigliere di parità regionali e provinciali nonché dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori del dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, del sistema delle autonomie locali (accordi sottoscritti con n. 11 regioni, n. 32 province e n. 5 comuni) che entro il 2013, sulla base di un significativa e diffusa attività di formazione degli operatori territoriali, realizzata direttamente dall'Ufficio, saranno conseguentemente interconnesse con il sistema informatico del contact center UNAR, consentendo un adeguato monitoraggio dei fenomeni e la costituzione di una banca dati unica ai fini dello sviluppo dei centri e degli osservatori i previsti dall'articolo 44, comma 12, del testo unico sull'immigrazione (regioni, province e comuni) delle parti sociali (organizzazioni sindacali e datoriali), delle organizzazioni non governative di settore e delle associazioni di rappresentanza delle comunità straniere;
   un percorso di rielaborazione e applicazione di un nuovo modello organizzativo dell'Ufficio, sfociato nel passaggio dal call center al contact center e nella messa a sistema e nell'informatizzazione progressiva dei centri e degli osservatori territoriali contro la discriminazione razziale sull'intero territorio nazionale;
   un processo di riposizionamento presso istituzioni, enti locali, organizzazioni non governative e parti sociali (in particolare le organizzazioni sindacali) teso a recuperare criticità del passato e a dimostrare, nei fatti, l'effettività delle funzioni dell'UNAR e la sua rigorosa imparzialità e autonomia;
   una incessante attività itinerante sul territorio nazionale, del tutto inconsueta rispetto al passato almeno per le dimensioni quantitative raggiunte dal nuovo corso, che ha visto l'UNAR sempre presente ed attivo in centinaia di iniziative, incontri e manifestazioni, a partire dalle audizioni itineranti delle associazioni iscritte al registro di cui al decreto legislativo 215 del 2003;
   una consapevole azione di stimolo rivolta alle organizzazioni non governative per l'elaborazione, la programmazione e la realizzazione condivisa e congiunta di progetti di livello nazionale, come nel caso dei progetti europei «progress», della settimana contro la violenza e della settimana d'azione contro il razzismo, mediante l'attivazione di partnership e reti informali e formali composte dalle principali organizzazioni non governative di settore;
   l'elaborazione, sulla base delle valutazioni derivanti dall'analisi dei dati del contact center, di focus tematici rivolti alle giovani generazioni, all'associazionismo e alle donne straniere, con il finanziamento di azioni positive realizzate dalle organizzazioni non governative in collaborazione con gli enti locali, la realizzazione di misure ad hoc quali il social network di volontariato civico giovanile (www.retenear.it) la settimana nazionale contro la violenza e le discriminazioni nelle scuole italiane di ogni ordine e grado e di campagne di sensibilizzazione («donne straniere contro ogni discriminazione»);
   la definizione di una strategia complessiva di tutela delle comunità Rom e Sinte, attraverso la realizzazione della campagna Dosta del Consiglio d'Europa e la costruzione di un modello di governance da sperimentare nelle regioni dell'obbiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) nell'ambito del fondo sociale europeo attraverso il coinvolgimento delle associazioni di rappresentanza delle comunità Rom e Sinte;
   un ruolo rilevante rivolto alla ricerca statistica, mediante l'attivazione della convenzione sottoscritta fin dal 2008 con l'ISTAT per la realizzazione della prima ricerca nazionale sulle discriminazioni per etnia, orientamento sessuale e genere di quella sull'immigrazione e la definizione di un piano di fattibilità per l'istituzione di un centro di ricerca permanente dell'UNAR sulle discriminazioni razziali (CERIDER) che consenta, in particolare, la rilevazione periodica dei fenomeni di xenofobia e razzismo sul territorio nazionale e la sua misurazione nei rispettivi territori regionali attraverso un set di indicatori di riferimento;
   uno sviluppo esponenziale delle attività di verifica e monitoraggio circa il grado di effettività della tutela prevista dalla normativa vigente per le potenziali vittime di discriminazioni razziali, attraverso un'attività crescente di contrasto delle discriminazioni, a partire da quelle poste in essere da altre amministrazioni pubbliche, siano esse centrali o afferenti al sistema delle autonomie locali;
   l'istituzione, nell'ambito del contact center, di un fondo di anticipazione per le spese legali delle vittime di discriminazione e di un gruppo di lavoro ad hoc e della funzione di monitoraggio dei procedimenti penali in corso per fenomeni di razzismo e xenofobia (140 circa i procedimenti giudiziari monitorati al 31 dicembre 2011);
   per quanto concerne il monitoraggio dei fenomeni di discriminazione, il contact center dell'UNAR, sulla base della riorganizzazione del servizio avviata dal 2010, ha conseguito nell'ultimo biennio un efficace ed esponenziale aumento dell'emersione dei fenomeni, perlopiù sommersi, di discriminazione, passando dalle 373 istruttorie del 2009, alle 767 del 2010, fino alle 1000 gestite nel corso del 2011, alle 876 del primo semestre 2012, con una crescita complessiva nel triennio pari ad oltre il 400 per cento mentre i contatti gestiti sono ascesi ad oltre 20 mila nel 2011 e a più di 14 mila nel primo semestre 2012;
   per quanto concerne la questione relativa all'indipendenza dell'UNAR, dal 2009 ad oggi l'Ufficio, anche al fine di aderire alle osservazioni rivolte in passato in sede Nazioni Unite, Consiglio d'Europa e Unione europea nell'ambito della periodica attività di vigilanza svolta dalla Commissione indipendente CERD (ONU), ECRI (Consiglio d'Europa) e FRA (Unione europea) nelle more della definizione da parte delle istituzioni competenti di modifiche normative o regolamentari atte a rafforzare giuridicamente il mandato conferito all'UNAR in attuazione della direttiva 43/2000, ha dispiegato un'attività di concreta autonomia e imparzialità manifestatasi in particolare attraverso:
    apertura di istruttorie su eventi e fattispecie discriminatorie poste in essere da altre amministrazioni centrali dello Stato e della stessa Presidenza del Consiglio (quali i «buoni vacanze» del dipartimento del turismo, il «bando Mecenati» del dipartimento della gioventù e l'apertura del servizio civile ai ragazzi stranieri nati in Italia e regolarmente soggiornanti);
    apertura di istruttorie relative ad eventi e fattispecie discriminatori poste in essere da amministrazioni regionali ed enti locali diretti e/o composte da partiti politici, anche facenti parte della coalizione governativa (vedasi le oltre 50 istruttorie inerenti il fenomeno delle cosiddette «ordinanze» concentrato in particolare in Lombardia e Veneto, nonché alcune leggi regionali emanate dal Friuli Venezia Giulia e dalla Regione Veneto che subordinavano l'accesso a servizi fondamentali al possesso di lunghi periodi di residenza nel territorio regionale e altro);
    l'elaborazione e la diffusione di apposite «raccomandazioni» su ambiti tematici di significativa rilevanza, emanate dall'Ufficio sulla base del ripetersi di fattispecie discriminatorie, come nel caso delle discriminazione nell'accesso ai servizi sociali e altro. Tali raccomandazioni hanno lo scopo precipuo, mediante la loro opportuna diramazione al sistema delle autonomie locali, di prevenire l'adozione da parte degli enti pubblici competenti di atti e procedimenti potenzialmente discriminatori;
   apertura di istruttorie inerenti a dichiarazioni di esponenti politici, inclusi quelli appartenenti a partiti al Governo, nonché materiali propagandistici utilizzati dagli stessi nel corso delle competizioni elettorali (arrivati in alcuni casi alla trasmissione da parte dell'Ufficio di notizie di reato alle competenti procure della Repubblica);
   la riorganizzazione del call center dell'Ufficio, trasformato in contact center e interconnesso, mediante la sottoscrizione di accordi e protocolli operativi con regioni ed altri enti locali, con le reti di centri ed antenne territoriali contro ogni forma e causa di discriminazione già autonomamente istituite o da istituirsi congiuntamente con gli enti locali stessi e tutte le parti sociali e le organizzazioni no profit di riferimento (Organizzazioni non governative associazioni di volontariato, comunità di rappresentanza degli interessi diffusi e altro) in modo da rendere sempre più trasparente e condivisa la gestione delle istruttorie e prescindere nella loro definizione quotidiana da qualsiasi eventuale valutazione di ordine politico-istituzionale estranea alle previsioni normative;
    la istituzione di una serie di tavoli e luoghi di concertazione, co-programmazione e condivisione delle attività UNAR quali la «cabina di regia UNAR – Parti sociali» istituita nel maggio 2010 cui hanno aderito tutte le organizzazioni di rilievo nazionale, il gruppo nazionale di lavoro con le associazioni, cui aderiscono oltre 20 tra le principali associazioni nazionali operanti su tutti gli ambiti di discriminazione e altri;
   in base alla direttiva generale per l'azione amministrativa del dipartimento delle pari opportunità emanata dal Ministro interrogato il 31 maggio 2012 l'UNAR deve obbligatoriamente conseguire, entro il 31 dicembre 2012 i seguenti imprescindibili obiettivi:
    predisporre, attraverso un ampio e preventivo coinvolgimento dell'associazionismo, delle comunità straniere e della società civile nel suo complesso, lo schema del primo piano di azione nazionale contro il razzismo e la xenofobia da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei ministri entro il 31 dicembre 2012;
   dare attuazione e monitorare lo stato di avanzamento della strategia di inclusione dei Rom varata il 24 febbraio 2012 dal Governo italiano e di cui l'UNAR è punto di contatto nazionale;
    definire e attuare il piano di azione per la lotta alle discriminazioni delle persone LGBT da realizzarsi nell'ambito dell'accordo già sottoscritto il 16 febbraio 2012 da UNAR con il Consiglio d'Europa;
   a fronte di tali imponenti risultati, unanimemente ed ineditamente riconosciuti sia dalle istituzioni che dall'associazionismo e dalla società civile, si è appreso che:
    l'organico già ridato al 50 per cento di quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 dicembre 2003 tra luglio e ottobre 2012 verrà quasi azzerato riducendosi da 13 a 4 unità in virtù di una circolare emanata nel maggio 2012 dalla Presidenza del Consiglio ed avente ad oggetto la restituzione alle amministrazioni di appartenenza dei cosiddetti dipendenti pubblici «fuori comparto», disperdendo così competenze di estrema e peculiare professionalità formate da anni di operatività sul tema del razzismo e delle discriminazioni, assolutamente non fungibili;
    il direttore dell'UNAR, titolare di un incarico conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001 verrà a scadenza il 22 luglio 2012 e secondo testualmente e pubblicamente dichiarato l'11 luglio 2012 dal Ministro interrogato nel corso della presentazione dell'indagine ISTAT sull'immigrazione, pur essendo già stato «riconfermato» nell'incarico fino alla scadenza del Governo, dovrà obbligatoriamente essere sostituito con un dirigente interno esclusivamente a causa della cosiddetta «spending review» –:
   se il Ministro interrogato abbia o meno formalmente riconfermato il direttore dell'UNAR come da lei stessa dichiarato l'11 luglio 2012;
   se risponda al vero che il Ministro interrogato abbia convocato e ricevuto il direttore dell'UNAR per comunicargli la sua intenzione di proporne il rinnovo il 15 giugno 2012 dopo lo svolgimento della riunione del Consiglio dei ministri che già formalizzato il taglio del 20 per cento dei dirigenti di Palazzo Chigi;
   per quali motivi la proposta di rinnovo avanzata dal Ministro in data 21 giugno 2012 sia comunque rimasta ferma, per quanto risulta all'interrogante, presso i competenti uffici del segretariato generale della Presidenza del Consiglio nonostante il Ministro avesse richiesto il rinnovo dell'incarico fino alla scadenza dell'attuale Governo;
   se il comma 20 dell'articolo 2 del decreto 6 luglio 2012, n. 95, impedisca qualsiasi proroga dell'incarico di cui trattasi, perlomeno fino alla scadenza del Governo attuale, considerato che dal testo in oggetto è espressamente vietato il rinnovo dei soli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi del comma 5-bis dell'articolo 19 del decreto legislativo 165 del 2001 e non di quelli di cui al comma 6, tra cui rientra appunto l'incarico a suo tempo conferito all'attuale direttore dell'UNAR
   se il sostanziale smantellamento dell'UNAR, che per numero di unità di personale effettivamente in servizio non realizza, ad avviso dell'interrogante, alcuna significativa economia, sia effettivamente da ricondurre a «scelte impersonali» come dichiarato dal Ministro interrogato l'11 luglio 2012 o sia piuttosto dovuto alla concreta attività che l'UNAR dal 2009 ad oggi ha svolto sempre in piena autonomia ed imparzialità, assumendo decisioni ed emanando pareri a giudizio dell'interrogante spesso in contrasto con l'orientamento espresso dal Governo e dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, come avvenuto nel caso dell'apertura del servizio civile ai cittadini stranieri;
   se si ritenga compatibile con quanto stabilito dalla direttiva 43/2000 e dal decreto legislativo 215 del 2003 all'UNAR che la direzione dell'ufficio sia attribuita a un dirigente interno soggetto in via permanente ed esclusiva al vincolo gerarchico di dipendenza rispetto alla Presidenza del Consiglio;
   come si intenda assicurare, in assenza della necessaria continuità della direzione e della struttura dell'UNAR, il puntuale adempimento degli impegni assunti dall'attuale Governo davanti alle Nazioni Unite il 5 marzo 2012 in sede di discussione del rapporto sull'attuazione della convenzione internazionale sulle discriminazioni razziali CERD in merito alla predisposizione del primo piano di azione nazionale contro il razzismo che il Governo deve varare entro dicembre e dell'attuazione della strategia di inclusione dei rom e sinti prevista dalla comunicazione 173/2011 della Commissione europea, compiti e funzioni in entrambi i casi appunto attribuiti all'UNAR. (4-16997)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente il rischio che il mancato rinnovo dell'incarico al direttore pro-tempore e la riduzione dell'organico dell'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (di seguito UNAR), previsti dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (cosiddetta «spending review»), convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, possano pregiudicare l'attuazione degli impegni assunti dal Governo italiano sul piano internazionale a tutela dei diritti fondamentali delle persone vittime di discriminazioni, si rappresenta quanto segue.
  In primo luogo si ribadisce il costante impegno del Governo nel contrasto di ogni forma di discriminazione, precisando che in tale direzione l'UNAR – istituito nove anni fa ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 – è e rimane uno strumento importante e necessario, la cui operatività, esistenza ed efficacia continueranno ad essere garantite anche nel pieno rispetto degli obblighi comunitari assunti dall'Italia proprio attraverso l'istituzione dell'UNAR stesso.
  Il ruolo strategico che l'UNAR è deputato a svolgere continuerà ad essere tale, consapevoli della necessità di garantire un'importante attività di presidio istituzionale a tutela dei diritti fondamentali delle persone vittime di discriminazioni.
  Riguardo alla continuità gestionale dell'UNAR – questione distinta e separata da valutazioni e apprezzamenti circa l'operato del titolare
pro-tempore dell'ufficio – si fa presente che l'avvicendamento alla guida dell'ufficio, in concomitanza della scadenza del contratto del titolare, esterno all'amministrazione, è un fatto assolutamente fisiologico, che deve essere ricondotto alla corretta logica del buon funzionamento delle istituzioni, in un'ottica che consenta di valorizzare le risorse umane della Presidenza del Consiglio dei ministri, evitando duplicazioni e sprechi, come, peraltro, previsto dal decreto-legge cosiddetto spending review.
  In proposito occorre sottolineare che l'articolo 2, comma 20, del citato decreto-legge n. 95 del 2012 prevede che gli incarichi di prima e seconda fascia conferiti ai sensi dell'articolo 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cessano all'esito del processo di riorganizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, e comunque non oltre il 1o novembre 2012 e che fino a tale data non possono essere conferiti o rinnovati tali tipologie di incarichi.
  Pertanto, il mancato rinnovo dell'incarico al titolare non era in alcun modo riconducibile alla volontà del Governo di «cancellare l'UNAR», come è stato riportato da alcuni organi di stampa e diversi siti internet.
  A conferma dell'assoluta mancanza di volontà di depotenziare l'UNAR, si rappresenta che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 settembre 2012 è stato conferito l'incarico di direttore generale dell'UNAR al dottor Marco De Giorgi, consigliere dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri che ha già ricoperto tale ruolo nel quadriennio 2004-2008.
  Con riguardo alla riduzione dell'organico dell'UNAR, di contro, si fa presente che la necessità di ridurre i costi sopportati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per le proprie spese di funzionamento, unitamente alla necessità di favorire l'impiego di personale appartenente alla medesima amministrazione, comporterà l'assegnazione alla struttura dell'UNAR di risorse interne alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al comparto Ministeri, senza alcun pregiudizio per la continuità dell'attività dell'ufficio.
  Alla luce di quanto sopra esposto, è di tutta evidenza l'impegno del Governo teso a migliorare l'azione dell'UNAR, rendendone più incisiva l'azione e sviluppandone potenzialità e sinergie.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiElsa Fornero.


   TOUADI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», all'articolo 11, comma 8, recita quanto segue: «A decorrere dall'anno 2012 il controllo obbligatorio dei dispositivi di combustione e scarico degli autoveicoli e dei motoveicoli è effettuato esclusivamente al momento della revisione obbligatoria periodica del mezzo»;
   il Comune di Roma ha l'obbligo di adempiere puntualmente alla normativa nazionale;
   l'Associazione degli autoriparatori CNA di Roma ha stimato che nella capitale si effettuano un milione di revisioni all'anno, con l'attività di 500-600 centri autorizzati sparsi sul territorio provinciale;
   in questi mesi di inadempienza dell'amministrazione comunale i titolari dei centri di revisione hanno continuato ad acquistare anticipatamente i bollini dall'Agenzia Roma Servizi per la Mobilità;
   il comune di Roma avrebbe introitato indebitamente più di 2 milioni di euro dai titolari suddetti e, di conseguenza, dai cittadini romani;
   la sopracitata Agenzia ha dichiarato (Il Messaggero, Cronaca di Roma, p. 47, del 28 novembre 2012) di aver scritto al dipartimento ambiente del comune di Roma per chiedere indicazioni circa l'opportunità di proseguire nella vendita dei bollini, senza risposta;
   il Presidente Autoriparatori della CNA di Roma ha dichiarato, altresì, che, per garantire un rapporto di trasparenza con la clientela, è stata denunciata «più volte al Ministero dei trasporti questa anomalia»;
   sarebbe opportuno peraltro risarcire gli utenti romani vittime di una grave violazione di legge da parte del comune di Roma –:
   se il Ministro sia al corrente di quanto indicato in premessa e quali risposte intenda dare, per quanto di competenza, alle segnalazioni e alle istanze delle organizzazioni di categoria; se sussistano situazioni analoghe e, in tal caso, se non ritenga di promuovere una campagna informativa che eviti il perpetuarsi di tale stato di cose che reca pregiudizio ai cittadini. (4-18870)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si comunica che questo Ministero in relazione alla materia inerente il cosiddetto «bollino blu», constatate le incertezze interpretative e la conseguente disomogenea applicazione dell'articolo 11, comma 8, del decreto-legge n. 5 del 9 febbraio 2012, e relativa legge di conversione 4 aprile 2012, n. 35, ha ritenuto necessario, coerentemente con i propri fini istituzionali, chiarire esplicitamente gli effetti di tali disposizioni di legge.
  A tal fine è stata diramata, in data 30 maggio 2012, capillarmente anche attraverso la pubblicazione sul sito istituzionale del Ministero, la nota n. 15241 indirizzata a molteplici soggetti pubblici e privati tra i quali l'Unione province italiane e l'Associazione nazionale comuni italiani, nonché le associazioni di categoria degli esercenti l'attività di auto riparazione.
  Con detta nota questa amministrazione ha precisato inequivocabilmente che la norma di cui si tratta ha abrogato, seppure tacitamente, ogni disposizione inerente il bollino: la verifica del contenimento dei gas di scarico si effettua esclusivamente in occasione della visita periodica di revisione ai sensi dell'articolo 80 del codice della strada e, per l'effetto, deve considerarsi arbitraria ogni diversa operazione tecnica finalizzata ai controlli in argomento.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato su corriere.it del 10 aprile 2011, a firma Francesco Parrella, si apprende che cinque container contenenti rifiuti speciali pronti per essere imbarcati alla volta della Cina sono stati scoperti dagli agenti della Guardia di finanza in collaborazione con i funzionari dell'ufficio dogane al porto di Napoli;
   all'interno dei container c'erano scarti derivanti dalla lavorazione di materiale plastico, che, anziché essere destinati ad attività di recupero così come dichiarato nella documentazione che accompagnava il carico, erano diretti ad una società esercente un'attività legata alla realizzazione di giocattoli, casalinghi per la casa e articoli elettronici;
   gli scarti, soprattutto materiali plastici derivanti da elettrodomestici o da immondizia domestica, erano diretti allo scalo di Qingdao, meglio conosciuta in Occidente come Tsingtao, città sub-provinciale nell'est della provincia di Shandong, sede di un importante porto, base navale e centro industriale. È difficile, però, riuscire a capire se i rifiuti sarebbero rimasti lì oppure trasportati e trasferiti in altre città della Cina. È, comunque, certo che gli scarti sarebbero finiti nuovamente nel ciclo produttivo;
   «Non è la prima volta che operiamo sequestri di questo tipo – ha spiegato il capitano della Guardia di finanza di Napoli, Alessio Iannone – è difficile, però, riuscire a capire la loro destinazione finale perché, non essendo Paese comunitario, è complesso estendere la nostra giurisdizione. Certamente i rifiuti che, nel corso del tempo, abbiamo rinvenuto nel porto partenopeo vengono reimpiegati e trasformati in altro che poi, a sua volta, viene rimesso sul mercato o sotto forma di giocattoli, o di articoli elettronici oppure in fibre sintetiche per abiti e maglieria. I rifiuti illeciti rinvenuti a Napoli provengono essenzialmente dal Napoletano e dal Basso Lazio e sono destinati principalmente in Cina e nel Sud est asiatico, soprattutto Malesia e Vietnam»;
   Iannone ha spiegato che non solo la plastica (che viene fusa e riciclata, ndr) viene reimpiegata, ma anche il materiale ferroso, utilizzato nuovamente nelle fonderie, e la gomma, trasformata poi in altra gomma oppure bruciata negli inceneritori per produrre energia. «È un mercato molto florido – ha aggiunto il colonnello Pietro Venutolo – perché, nonostante il prezzo di ogni singolo quintale di rifiuti non sia molto alto, queste aziende si arricchiscono sulle grosse quantità e sul fatto che, violando le normative vigenti in materia, evitano di pagare tasse specifiche violando, di fatto, le regole della concorrenza. Nel caso del sequestro specifico dei cinque container, il carico era privo di autorizzazioni e la merce destinata a impianti inesistenti o non impiegati per il trattamento dei rifiuti»;
   il titolare della ditta esportatrice, operante nell’hinterland napoletano, è stato denunciato a piede libero mentre i rifiuti, per un totale di 86.070 chilogrammi, sono stati sequestrati –:
   di quali ulteriori informazioni disponga il Governo in merito ai problemi evidenziati in premessa;
   quali azioni si intendano promuovere per stroncare il fenomeno. (4-11563)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame, concernente il rinvenimento di rifiuti speciali pronti per la spedizione in Cina, si rappresenta quanto segue.
  L'ufficio delle dogane Napoli 1, unitamente alla Guardia di finanza – II gruppo Napoli, che opera all'interno del porto partenopeo, è da sempre impegnata nella lotta ai traffici illeciti con particolare riguardo al traffico transfrontaliero di rifiuti.
  Nell'anno in corso, a tutela del patrimonio ambientale sono stati effettuati 10 sequestri per traffico illecito di rifiuti per i quali è stata depositata relativa informativa di reato presso la procura competente.
  Nel caso in specie, è stato relazionato dall'ufficio territoriale del Governo di Napoli che il giorno 7 aprile 2011, personale del comando provinciale della Guardia di finanza – II gruppo Napoli, congiuntamente con funzionari dell'ufficio dogana/1, a seguito di un controllo effettuato sulla merce stivata all'interno di cinque container giunti al porto, hanno scoperto un carico costituito da cascami, ritagli e avanzi di altre materie plastiche classificabili come rifiuti speciali non pericolosi.
  A seguito di accertamenti effettuati sulla documentazione esibita, è stato constatato che il destinatario finale dei rifiuti era, contrariamente a quanto dichiarato dall'esportatore, una società esercente un'attività meramente commerciale e non di recupero, con conseguente configurabilità della violazione di cui all'articolo 34, comma 1, del regolamento (Ce)1023/2006.
  Pertanto, il titolare della ditta esportatrice operante nel territorio napoletano, è stato denunciato all'autorità competente, per traffico illecito di rifiuti, ai sensi dell'articolo 259 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e per falsità ideologica e uso di atto falso, ai sensi degli articoli 483 e 489 dei codice penale. I rifiuti, per un totale di chilogrammi 86.070, sono stati sottoposti a sequestro penale
ex articolo 354 del codice di procedura penale.
  Come riferito dal citato comando provinciale, le spedizioni transfrontaliere di rifiuti, eseguite in violazione alla normativa di settore, sono riconducibili a trasporti scortati da falsa documentazione commerciale e fiscale, che ne attesta la natura di «materie prime», alla fittizia destinazione di tali spedizioni ad operazioni di recupero, dietro le quali si celano vere e proprie forme di smaltimento illegale.
  Per quanto sopra esposto, al fine di addivenire ad una globale valutazione sullo stato dei luoghi e sulla condotta illecita posta in essere dall'imputato, sarà cura della competente direzione generale di questo Ministero, monitorare il caso segnalato dall'interrogante e richiedere maggiori informazioni agli enti ed agli organi territoriali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato sul quotidiano ecologista Terra del 1° giugno 2011, si apprende che a Pontinia, sono stati rinvenuti fanghi sulle sponde del fiume Ufente che sarebbero provenienti da un'azienda casearia di Marcianise (Caserta) e sarebbero stati depositati sul terreno dell'azienda Fondana Allevamenti. Si tratta di circa 272 tonnellate divise in 8 cumuli;
   secondo il rapporto della polizia provinciale e dell'Arpa, l'azienda avrebbe l'autorizzazione a stoccare questo tipo di fanghi ma le operazioni, sarebbero avvenute in difformità dalla stessa autorizzazione sulle sponde del fiume, senza rispettare la distanza minima;
   la proprietà della società Fondana Allevamenti comprende una superficie di oltre 50 ettari nelle campagne del comune di Pontinia tra l'Appia, la Migliara 54 e l'Ufente dove sembra siano in corso ulteriori accertamenti;
   non si tratta, peraltro, di un episodio isolato, poiché negli anni passati sono stati rinvenuti migliaia di fusti tossici nell'area industriale di Mazzocchio, si sono verificati alcuni incendi (all'azienda Sep 2, al centro di compostaggio e nei terreni circostanti), nell'area dell'ex Mira Lanza; c’è stato l'abbandono di rifiuti sulla sorgente Fontana di Muro, nell'area dei Gricilli (di proprietà della regione Lazio), nello stesso fiume Ufente, nella discarica abusiva della Migliara 49 –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti riferiti in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare a tutela della salute e dell'ambiente dei cittadini rispetto ad un'area che ha una forte vocazione agricola. (4-12187)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni segnalate dagli interroganti nell'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 («Attuazione della Direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura») e della legge regionale Lazio 9 luglio 1998, n. 27 («Disciplina regionale della gestione dei rifiuti»), l'azienda agricola F.A. Fondana Allevamenti s.r.l., sita nel comune di Pontinia, è stata autorizzata in data 30 luglio 2010, dalla provincia di Latina, all'utilizzo dei fanghi in agricoltura, nello specifico per un quantitativo non superiore a 15 tonnellate per ettaro all'anno di sostanza secca.
  La ditta, messi in atto i necessari adempimenti previsti dalla normativa di settore, in data 15 aprile 2011 ha dato il preavviso dell'inizio delle operazioni di utilizzo dei fanghi; inizio previsto per il 29 aprile 2011.
  La polizia provinciale, nel corso di controlli presso l'azienda agricola, ha constatato la presenza di un grosso cumulo di fanghi provenienti da un impianto di depurazione di Francolise (Caserta) stoccati a meno di cento metri dal margine del fiume Ufente. La condotta accertata era in evidente contrasto con quanto prescritto dalla specifica autorizzazione provinciale, con particolare riferimento alla distanza dal corso d'acqua, che deve essere di almeno duecento metri, ai quantitativi di fanghi da utilizzare ed alle modalità di lavorazione.
  Dopo i necessari riscontri, in data 24 maggio 2011, l'area, all'interno dell'azienda di circa 1.000 metri quadrati, è stata posta sotto sequestro ed il legale rappresentante dell'azienda è stato deferito all'autorità giudiziaria, in particolare per violazione
ex articolo 256, comma 1 e 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006. Nell'area, infatti, sono state smaltite circa 272 tonnellate di fanghi di depurazione, provenienti dalla Cosma Group S.p.a. di Francolise (Caserta).
  Secondo l'ipotesi accusatoria, infatti, la F.A. Fondana Allevamenti s.r.l., titolare dell'autorizzazione all'utilizzo dei fanghi in agricoltura, ha effettuato il trattamento, oggetto del sequestro, in difformità del provvedimento autorizzatorio, smaltendo una quantità di fanghi cento volte superiore al consentito.
  Successivamente, la provincia di Latina, ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, ha emesso atto di diffida, prescrivendo alla F.A. Fondana Allevamenti s.r.l. di presentare perizia giurata, redatta da tecnico abilitato, attestante le cause che hanno determinato l'utilizzo dei fanghi in difformità a quanto disposto dal provvedimento autorizzatorio e gli interventi adottati o da adottare a garanzia della corretta gestione dell'attività di utilizzo dei fanghi in agricoltura. In riscontro alla diffida, l'azienda ha trasmesso il piano di rimozione fanghi e la perizia giurata relativa agli interventi di ripristino ambientale.
  In data 8 marzo 2012 la stessa polizia provinciale, la quale in precedenza aveva riscontrato le suddette difformità, ha comunicato alla provincia di Latina che la F.A. Fondana Allevamenti s.r.l., ottenuta l'autorizzazione dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Latina, ha provveduto, in data 13 ottobre 2011 a rimuovere i fanghi sotto sequestro.
  Con riferimento ai fusti tossici nelle aree limitrofe, così come segnalato dall'interrogante, si precisa che la presenza dei suddetti risale al 1999; il comando della polizia provinciale, infatti, sottopose a sequestro l'azienda Merimec di Pontinia, dove risultavano essere stati stoccati migliaia di fusti contenenti residui di liquidi tossici; inoltre, lo stabilimento Sep2, impianto di recupero e trattamento dei rifiuti non pericolosi, è stato completamente distrutto circa tre anni fa da un incendio ed per il relativo procedimento penale pende richiesta di archiviazione.
  In data 20 luglio 2011 il comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente di Roma nell'ambito di una attività di controllo alla sede della società Sep s.r.l., non ha riscontrato alcuna irregolarità.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni, secondo quanto annunciato dalla stampa, è in corso l'abbattimento, nel bosco del Cansiglio, di 1600 cervi, decisa dalla regione Veneto, dalla regione Friuli Venezia Giulia con le province di Belluno e Treviso e Veneto Agricoltura, insieme all'Istituto zooprofilattico delle Venezie;
   tale decisione sarebbe stata adottata per la eccessiva presenza dei cervi nel bosco e la carne degli animali abbattuti sarà data a ristoranti e strutture di agriturismo della zona;
   il Cansiglio è SIC, sito di interesse comunitaria, e dunque area di particolare importanza e pregio ambientale; esso è inoltre Foresta demaniale, con la preclusione di ogni attività venatoria –:
   quali siano i dati scientifici di censimento in base ai quali è stato adottato il piano di abbattimento in questione, che riguarda un numero elevatissimo di animali, tra cui femmine gravide;
   se sia stato valutato in tutti i suoi aspetti l'impatto fortissimo dell'intervento di abbattimento, trattandosi di un territorio tutelato ai sensi delle direttive europee e tenendo conto altresì che l'abbattimento si svolge nel pieno della stagione riproduttiva per tutte le specie;
   quali valutazioni abbiano indotto gli Enti autori del piano a scegliere la primavera nonostante il disturbo biologico sia considerato dall'Unione europea elemento estremamente dannoso per la riproduzione della fauna selvatica, in particolar modo dell'avifauna, quindi con ripercussioni gravemente negative nell'ambito della politica di conservazione;
   per quali ragioni non siano stati esperiti ed adottati strumenti alternativi incruenti per il controllo della specie in oggetto così come indicato nell'articolo 19 della legge n. 157 del 1992 sulla protezione della fauna e regolamentazione della caccia, che considera le metodologie ecologiche, proposte e valutate dall'ISPRA come prioritarie a qualsiasi intervento che preveda l'abbattimento degli esemplari.
(4-15664)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame concernente l'abbattimento di circa 1.600 cervi nel bosco di Cansiglio, anche sulla scorta delle notizie pervenute dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del Corpo forestale dello Stato, si rappresenta quanto segue.
  Dal 2006 al 2010, l'ISPRA ha condotto e supervisionato il monitoraggio della popolazione dei cervi che durante la stagione estiva gravita nell'area della foresta demaniale dal Cansiglio. Tale monitoraggio ha permesso di stimare una crescita delle presenze, passate da circa 2.400 cervi nel 2006 fino a circa 3.900 capi del 2010. In particolare, nella piana del Cansiglio, dove i cervi si concentrano in determinati periodi del ciclo annuale, le densità locali rilevate sono cresciute da 138 fino a 207 capi per 100 ettari.
  L'intervento di abbattimento dei capi succitati si è reso necessario per garantire la conservazione degli habitat e mantenere gli equilibri tra le diverse componenti degli ecosistemi in quanto, visto il massiccio numero di cervi, sarebbe stato impossibile trasferire gli animali catturati in altri siti poiché questa specie essendo in espansione sull'arco alpino e in gran parte dell'Appennino, eventuali ripopolamenti nelle citate aree avrebbe causato gli stessi problemi del bosco del Cansiglio.
  Inoltre, l'elevato numero di cervi presenti nel Cansiglio ha arrecato danni sia al soprassuolo forestale che alla zootecnia, mettendo in pericolo il futuro della foresta e sottraendo foraggio agli animali da reddito.
  L'intervento di contenimento numerico dei cervi del Cansiglio, è stato sottoposto alla valutazione di ISPRA che ha ritenuto che, la caccia di selezione è l'unica forma di contenimento numerico di questi animali esprimendo così parere positivo al piano di controllo del cervo del Cansiglio.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il progetto denominato «ammodernamento della strada statale 16» tratto Maglie-Otranto prevede l'allargamento dell'attuale sezione con l'aggiunta delle strade complanari e tutta una serie di opere (cavalcavia, abbattimento di circa 10.000 alberi di cui 8000 ulivi, cui si sono aggiunte cripte bizantine e tante testimonianze archeologiche ignorate nei progetti);
   si tratta di un'opera concepita alcuni decenni fa, per una spesa iniziale prevista di 60 milioni di euro che non trova alcuna giustificazione rispetto allo sviluppo di carattere turistico nel frattempo maturato e sopratutto in questo periodo di ristrettezze finanziarie;
   in particolare, si segnala che, per quanto riguarda i lavoratori della ditta Palumbo che opera su lavori a progetti, i sindacalisti hanno fatto in modo che la ditta non rescindesse i contratti con i lavoratori di un passato concluso cantiere, e così per diversi anni questi sono rimasti in cassa integrazione in attesa di un futuro grosso appalto ed ora sono gli stessi sindacati a premere per l'avvio dei lavori;
   da notizie apprese risulta che questo progetto, con l'incalzare del problema occupazionale paventato dai sindacati eludendo qualsiasi confronto sociale (il progetto non si relaziona con il territorio), starebbe forzando la procedura per arrivare, in brevissimo tempo, al completamento di un iter che non ha visto alcuna partecipazione se non ad un tavolo promosso dal prefetto di Lecce in merito all'espianto ed eventuale rimpianto degli alberi di ulivo;
   per quest'ultimi, al momento, non è stata ancora definita una soluzione. Da notizie apprese sino ad adesso, sembrerebbe che la regione si stia adoperando per chiudere celermente, seppur con prescrizione, i lavori per il tratto Maglie-Palmariggi rinviando a successivi momenti di confronto la restante parte dell'opera. Allo stesso tempo, anche i comuni interessati – Otranto, Giurdignano, Palmariggi, Muro Leccese e Maglie – sono stati «sollecitati», o meglio, forzati ad approvare quanto di loro competenze;
   Italia Nostra ed altre associazioni, non sono riuscite ancora ad entrare in possesso del progetto esecutivo su supporto magnetico per consentire, con maggiore puntualità, di approfondire il progetto;
   la strada dovrebbe svolgere funzioni prevalentemente di servizio per finalità turistiche per cui si ritiene che il progetto debba acquisire almeno quelle caratteristiche di «strada-parco», come chiedono associazioni ambientaliste, comitati ed altri soggetti coinvolti nella tutela paesaggistica ed ambientale dell'area –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito al progetto ed in particolare ai più recenti esiti del tavolo promosso dal prefetto di Lecce sull'espianto ed eventuale rimpianto degli alberi di ulivi;
   quali iniziative si intendano adottare perché sia messa a disposizione delle associazioni ambientaliste copia del progetto esecutivo in formato elettronico e vi sia un coinvolgimento delle popolazioni interessate;
   se siano al vaglio iniziative perché il progetto acquisisca almeno le caratteristiche di «strada parco»;
   quali ulteriori iniziative di competenza si intendano promuovere per la tutela del paesaggio e dell'ambiente che rischia invece un'ulteriore devastazione con la realizzazione di un'opera a giudizio degli interroganti superflua. (4-17333)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  I lavori di ammodernamento della strada statale n. 16 «Adriatica», tronco Maglie-Otranto tra il chilometro 985+000 e il chilometro 999+100, sono stati affidati all'impresa CO.EDI.SAL S.c.r.l. il 29 luglio 2010 e consegnati in data 22 dicembre 2011.
  Il progetto rientra nel piano degli investimenti ANAS 2007-2011 – contratto di programma 2007 – stipulato tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società ANAS, oltre che nell'elenco dei corridoi stradali e autostradali del 1o programma delle infrastrutture strategiche della legge obiettivo (delibera CIPE 121 del 21 dicembre 2001).
  L'intervento è altresì ricompreso nella convenzione tra ANAS e regione Puglia del 21 novembre 2003 ed è, infine, richiamato nel piano operativo nazionale – settore trasporti - quadro comunitario di sostegno (Q.C.S.) 2000-2006 - Asse VI «Reti e Nodi di Servizio».
  Con riferimento alla questione relativa all'espianto e al reimpianto degli alberi di ulivo, si evidenzia che l'ANAS ha già comunicato a tutte le associazioni ambientaliste e ai soggetti direttamente interessati che tutti gli ulivi presenti lungo il tracciato dei lavori (monumentali e non) saranno reimpiantati in aree pubbliche non distanti dalla costruenda arteria.
  La regione Puglia, infatti, ha autorizzato l'ANAS, in data 6 agosto 2012, ad eseguire l'espianto di n. 937 alberi di ulivo, di cui: 221 ricadenti in agro di Maglie e n. 716 nel territorio di Muro Leccese. Tale decisione è scaturita a conclusione di una lunga ed impegnativa attività processuale, avviata dall'ANAS nel novembre 2011, con una richiesta volta ad ottenere l'autorizzazione all'espianto degli alberi di ulivo presenti lungo il tratto interessato dai lavori.
  L'ANAS, in particolare, ha provveduto a richiedere l'autorizzazione ai sensi della legge n. 144 del 1951 e della legge regionale n. 14 del 2007. In merito a tali richieste, la commissione tutela ulivi monumentali ha espresso con nota del 9 luglio 2012 il parere di competenza.
  Nel contempo, la regione Puglia, con delibera di giunta n. 1593 del 3 agosto 2012, pubblicata nel bollettino ufficiale della regione Puglia n. 130 del 5 settembre 2012, ha rilasciato il parere paesaggistico e l'attestazione di compatibilità paesaggistica in deroga a articoli 5.03, 5.04 e 5.07 delle norme tecniche di attuazione (NTA) del piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (PUTT/P), con effetto di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'articolo 5.01 delle NTA del PUTT/P, per le opere comprese tra lo svincolo di Maglie e lo svincolo di Palmariggi ovest incluso.
  Il progetto definitivo, peraltro già sottoposto a VIA e autorizzato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella fase progettuale successiva ha recepito le prescrizioni scaturenti dal predetto decreto VIA n. 625 del 2004, venendo, poi, sottoposto alle verifiche di ottemperanza, che si sono concluse positivamente.
  Circa le testimonianze archeologiche, si evidenzia che già all'interno degli elaborati progettuali componenti la carta del rischio archeologico, trasmessi dall'ANAS alla soprintendenza per i beni archeologici della Puglia con nota prot. n. 10604 del 19 marzo 2012, veniva dato risalto della presenza dei suddetti ambienti ipogei in agro di Giurdignano ubicati a circa 30 metri dall'area oggetto d'intervento e, pertanto, non interferenti con i lavori in oggetto.
  Per quanto riguarda il problema dell'espianto e l'eventuale reimpianto degli alberi di ulivo, si segnala che il prefetto di Lecce si è fatto promotore di una serie di incontri volti a superare le difficoltà che impedivano il concreto avvio dei lavori.
  Tali incontri, da ultimo quello svoltosi il 30 luglio 2012, non dedicati esclusivamente al problema dell'espianto di ulivi, hanno, invece, costituito un momento di sintesi tra i rappresentati delle istituzioni, degli enti e gli uffici interessati, nonché un concreto impulso allo sblocco di alcuni procedimenti.
  Infine, circa la richiesta, in data 30 aprile 2012, dell'associazione Italia nostra di copia del progetto di ammodernamento della strada statale in questione, l'ANAS ha riferito che, considerata la copiosità degli elaborati che compongono la progettazione e valutata la necessità di determinare i costi di riproduzione, in data 24 maggio 2012, ha invitato detta associazione a fornire elementi utili a una puntuale determinazione degli elaborati da produrre, anche sulla scorta di un costante orientamento giurisprudenziale (confronta
ex multis, TAR Lombardia, Milano sezione I n. 1621 del 22 giugno 2011) in base al quale «la domanda di, accesso deve avere un oggetto determinato o quantomeno determinabile e non può essere generica, dovendo riferirsi a specifici documenti». A tutt'oggi, tale richiesta è rimasta senza riscontro.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportano i quotidiani Il Mattino di Padova del 19 e 20 ottobre 2012, Il Corriere del Veneto e il Gazzettino di Padova del 20 ottobre 2012 si sarebbe realizzato un abuso edilizio nel complesso della basilica del Santo;
   l'edificio, in via Orto Botanico, di recente adoperato prima come biblioteca e poi come magazzino, è stato trasformato in un piccolo residence con 5 mini appartamenti di circa 35 metri quadrati ciascuno e da affittare al miglior offerente;
   l'annuncio è stato messo fra le pubblicità immobiliari e dice testualmente: «Affittiamo, con trattativa riservata e regolare contratto, cinque miniappartamenti indipendenti uno dall'altro, con ingresso da via Orto Botanico, a pochi metri da piazza del Santo, di diversa metratura, da un minino di due a un massimo di tre posti letto, completamente arredati, compreso angolo cottura. I suddetti appartamenti sono particolarmente adatti per professionisti e per studenti. No famiglie». Per informazioni rivolgersi alla delegazione pontificia per la basilica di Sant'Antonio in Padova, piazza Pio XII Roma. Questo edificio si affaccia sul suggestivo chiostro del Santo;
   il comune di Padova non avrebbe mai rilasciato alcuna concessione edilizia; e nessun parere favorevole sarebbe mai stato espresso dalla soprintendenza ai beni ambientali e architettonici del Veneto orientale;
   ben quattro, fra le cinque unità abitative, violerebbero il regolamento di edilizia comunale vigente perché hanno una superficie inferiore ai 45 metri quadrati, limite minimo per un alloggio. Prima di intervenire, la proprietà – il delegato pontificio, monsignor Francesco Gioia – avrebbe dovuto chiedere un permesso di costruire come previsto dall'articolo 10 del decreto presidenziale 380 del 2001, il testo unico in materia edilizia. Così non sarebbe stato e quanto realizzato può essere qualificato un vero e proprio abuso;
   il Corriere del Veneto del 20 ottobre 2012 rileva che al momento, non esistono esposti né precise denunce a riguardo;
   la basilica di Sant'Antonio, uno dei templi più noti e visitati al mondo, è di proprietà del Vaticano. Tanto che la sua gestione, in particolare per quel che concerne gli interventi di ristrutturazione degli immobili, è affidata ad un delegato pontificio (quello attuale si chiama monsignor Francesco Gioia). Parallelamente, sin dal 1396 e più o meno con gli stessi compiti, opera la Veneranda Arca del Santo, un organo laico (a parte il rettore della Basilica, padre Enzo Poiana) che è espressione del territorio padovano: il presidente in carica è Gianni Berno, capogruppo del Pd in consiglio comunale;
   secondo quanto riportano i quotidiani locali sia il comune che soprattutto il reparto amministrativo della polizia municipale sono perfettamente a conoscenza della vicenda, magari già da qualche mese. Ma, se non altro in via ufficiale, preferiscono non sbottonarsi troppo: «Perché si tratta di una vicenda molto, molto delicata – continuano a ripetere in coro – che riguarda due realtà ben precise, tra cui non vogliamo metterci in mezzo»;
   «È evidente – dichiara sui quotidiani locali Berno, presidente della Veneranda Arca – che anche nel complesso antoniano devono essere rispettate tutte le normative vigenti chiedendo preventivamente le necessarie autorizzazioni. Cosa che la Veneranda Arca fa ovviamente per i cantieri/progetti di cui è committente. Parecchi lavori però vengono gestiti direttamente dalla proprietà, come in questo caso dal delegato pontificio, e quindi sarà sua cura fornire chiarimenti su questa specifica materia»;
   il piccolo residence con i 5 mini appartamenti si affaccia sul suggestivo chiostro del Santo; facile immaginare che, sia per i frati in preghiera, che per i pellegrini in meditazione, una eventuale coesistenza con gli inquilini possa risultare a dir poco imbarazzante e creare difficoltà immaginabili;
   secondo le dichiarazioni riportate dai quotidiani locali l'architetto padovano Piergiorgio Tombolan, uno dei più noti urbanisti del Veneto, docente allo Iuav di Venezia: «È accaduta una brutta cosa. Ci sono luoghi, spazi e funzioni che hanno un valore dal punto di vista della storia, della cultura e dell'identità di una città come il vecchio museo civico e la vecchia biblioteca, un tempo proprio in quell'ala del complesso della Basilica del Santo. Ecco perché la proprietà di tali beni non può corrispondere alla loro piena disponibilità»;
   secondo il professor Tombolan si è verificato «un colpo di mano mentre eravamo in attesa di sentire e di capire come questi spazi, lasciati liberi dal museo e dalla biblioteca, potessero rientrare nella vita della nostra città. Speravo che la proprietà cominciasse a ragionare con la città, proponendo utilizzazioni diverse dell'immobile, ormai chiuso da decenni, e cercasse di interpretare il senso che questi luoghi hanno avuto per l'intera comunità», osserva l'urbanista che si chiede se quel colpo di mano sia solo «un episodio o l'inizio di un processo». Probabilmente chi gestisce questi luoghi si limita a pensare a un utile immediato e non è consapevole del bene che ha in mano, uno dei due o tre elementi che «tocca» uno straniero quando viene a Padova;
   secondo quanto riporta il Gazzettino di Padova il delegato pontificio, monsignor Francesco Gioia, oltre ad allestire nell’ex casa del custode cinque mini appartamenti, vuole realizzare un hotel e ristorante nell’ex museo civico: «Santo, un albergo in basilica». Il termine tecnico è «struttura alberghiero-ricettiva», che, tradotto, significa un hotel e un ristorante. L’ex Museo Civico annesso alla Basilica di Sant'Antonio, infatti, nelle intenzioni della Santa Sede, proprietaria di tutto il complesso basilicale, a breve dovrebbe essere trasformato appunto in albergo con ristorante. Pare sia proprio questa la volontà del delegato pontificio, monsignor Francesco Gioia, per l'edificio la cui facciata era stata progettata da Camillo Boito, e che da un lato si affaccia sul sagrato e dall'altro guarda via Orto Botanico. Attualmente la destinazione d'uso del sito è «servizi di interesse generale e attrezzature d'interesse comune» che non è in contrasto con quanto hanno pensato in Vaticano, ma l'iniziativa presa all'ombra di San Pietro dovrà poi confrontarsi con i pareri vincolanti che sul progetto dovranno esprimere in primis la sovrintendenza, ma anche il comune, visto che per l'area che ospita l’ex museo civico non vige l'extraterritorialità;
   il Mattino di Padova pubblica una lettera dell'avvocato Lorenzo Pilon, per conto della delegazione pontificia della Basilica con la quale dà la sua versione sull'intervento contestato. Scrive l'avvocato Lorenzo Pilon: «A nome e per conto della delegazione pontificia della Basilica di Sant'Antonio, vi sottopongo alcune precisazioni (...) Non corrisponde al vero che con tale intervento siano state ricavate cinque autonome unità abitative. Infatti, all'esito dei lavori, è rimasta unica l'unità abitativa e catastale ed inalterata la sua destinazione d'uso residenziale, seppure con una distribuzione degli spazi interni più adatta ad un loro efficiente utilizzo. Per poter avere un quadro corretto della vicenda devono, peraltro, essere tenute in considerazione le seguenti circostanze storiche:
    1. il complesso immobiliare della Basilica di S. Antonio è stato trasferito in proprietà della Santa Sede a seguito dei Patti Lateranensi del 1929;
    2. l'articolo 27 del Concordato dispone che la sua amministrazione spetti liberamente alla Santa Sede;
    3. sino ai nostri giorni è stata opinione comune e incontestata che tale complesso fosse territorio sottoposto alla sovranità pontificia e quindi caratterizzato dal regime giuridico dell'extra territorialità (a conferma storica di ciò va ricordato che, durante l'occupazione nazista, mai militari tedeschi hanno violato l'integrità della Basilica e del complesso annesso effettuandovi operazioni di polizia);
    4. ciò ha fatto sì che si siano consolidate nel tempo prassi operative nei rapporti con l'amministrazione pubblica di mera comunicazione di quanto di giuridicamente rilevante veniva ivi compiuto;
    5. a tale prassi consolidata la Delegazione pontificia si è attenuta anche per le opere di manutenzione edilizia interne alla ex casa del custode;
    6. solo nel corso del corrente anno 2012 la Santa Sede, con autonoma e spontanea iniziativa interpretativa, ha comunicato che il complesso della Basilica di Sant'Antonio non è da intendersi quale zona extraterritoriale;
   alla luce dei fatti esposti la delegazione pontificia – d'accordo con la Segreteria di Stato Vaticana ha depositato presso il comune di Padova ancora nel luglio 2012 un rilievo della situazione di fatto dell'intero complesso immobiliare (così come risultante dai numerosi interventi di manutenzione posti in essere nel tempo) chiedendo tra l'altro che esso fosse formalmente recepito agli atti del comune;
   secondo quanto riporta Il Mattino di Padova del 20 ottobre 2012, gli uffici tecnici comunali hanno trasmesso un esposto alla procura della Repubblica, segnalando i cinque mini-appartamenti realizzati abusivamente, senza alcuna concessione edilizia, nel complesso della Basilica del Santo. E stato un atto dovuto di fronte al rischio di incorrere in un'omissione penalmente sanzionabile, quando ci si è trovati tra le mani una richiesta di «sanatoria» presentata dalla proprietà dell'immobile, il delegato pontificio monsignor Francesco Gioia, mentre la comunità Antoniana – di cui è Rettore padre Enzo Poiana – nulla c'entra con la gestione del complesso;
   secondo la dichiarazione apparsa sul Mattino di Padova del 20 ottobre 2012 di Gianni Berno, presidente capo della Veneranda Arca del Santo, organismo che ha il compito di provvedere alla conservazione della Basilica, delle sue opere d'arte e degli edifici annessi: «Avevamo notato dei lavori in corso su quel quadrante ma non abbiamo mai avuto la possibilità di visionare progetti o di avere informazioni sul cantiere da parte della delegazione pontificia che si muove in totale autonomia, con i propri professionisti e le imprese di sua fiducia» –:
   se quanto riferito in premessa corrisponda al vero e quali iniziative si intendano adottare in merito alle vicende riportate in premessa ai fini del pieno rispetto alla legge italiana, con specifico riferimento alle prerogative della soprintendenza competente. (4-18250)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede se corrisponda al vero quanto riportato su alcuni quotidiani locali in ordine ad un abuso edilizio che si sarebbe realizzato nel complesso della Basilica del Santo di Padova, si rappresenta quanto segue.
  La posizione giuridica del compendio della Basilica di Sant'Antonio in Padova, ceduto alla Santa Sede con il Concordato, è stata oggetto di definizione da parte del Ministero della giustizia con la determinazione comunicata al soprintendente all'arte medievale e moderna di Venezia con nota della direzione generale delle antichità e belle arti, protocollo 170/3 del 30 agosto 1929, che si riporta di seguito:
  «...Per la piena intelligenza della questione, occorre anzitutto precisare che gli istituti indicati all'articolo 27 del Concordato, conservando inalterata la personalità giuridica e la loro costituzione, subiranno modificazioni soltanto nel loro regime amministrativo, in quanto la gestione dei loro beni sarà tolta ai loro attuali rappresentanti ed affidata alla Santa Sede che la eserciterà liberamente. È ovvio che questi beni non possono confondersi con gli immobili di cui agli articoli 13-14-15, del Trattato, i quali per il fatto che sono destinati ad uso di uffici o comunque a fini strettamente inerenti all'azione universale del cattolicesimo e cioè alle funzioni di governo del nuovo Stato della Città del Vaticano, godono, con diverse gradazioni, di privilegi e di immunità sotto il rispetto dell'osservanza delle leggi di diritto pubblico. L'esenzione da ogni ingerenza dello stato di cui è fatto cenno nel citato articolo 27, per l'indole ed il contenuto letterale della disposizione, manifestamente si riferisce all'amministrazione dei beni, intesa però nel modo più largo, nel senso cioè che essa è immune da qualsiasi forma di tutela. Il significato preciso dell'espressione adoperata, l'accenno alla conservazione dei beni, il richiamo alle norme sugli acquisti, lasciano chiaramente intendere che la disposizione riguarda soltanto il regime patrimoniale amministrativo degli enti in parola; e pertanto non si può invocare per ottenere la dispensa dell'osservanza delle norme di diritto pubblico, e in particolare di quelle relative alla protezione del patrimonio storico, artistico ed archeologico nazionale. È da osservare, inoltre, che il carattere della disposizione, la quale è da considerarsi come una eccezione al principio dell'efficacia assoluta in tutto il territorio dello Stato delle leggi di diritto pubblico, non consentirebbe mai un'interpretazione estensiva del suo significato...».
  Come previsto dalla nota della direzione regionale del Veneto, protocollo n. 8277 del 7 novembre 2002, la condizione giuridica di soggezione al regime di tutela pubblicistica di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e stata «...oggetto di autorevoli pronunciamenti, tra i quali si citano, in senso affermativo, l'articolato parere espresso dal Ministero dell'Interno – Direzione generale degli affari dei culti – ufficio studi e affari legislativi (prot. 51/3/2/433 del 19 dicembre 1995), a cui l'Avvocatura delle Stato, all'uopo interpellata dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, ha ritenuto di doversi conformare con nota prot. 43872 del 16 aprile 1996, con ciò rivedendo il proprio precedente avviso, espresso con nota in data 27 ottobre 1995.» .... «...da ultimo con il parere reso dall'Ufficio Legislativo del Ministero per i beni e le attività culturali, con nota prot. 21933 del 6 novembre 2006, avente ad oggetto l'applicabilità agli immobili di proprietà della Santa Sede delle procedure autorizzative inerenti l'alienazione di beni culturali (articolo 56 del decreto legislativo 221.1.2004 n. 42), è stato ribadito che la conferma della personalità giuridica della santa Sede, espressamente operata dall'articolo 29, secondo comma, lettera
a) del concordato, non può valere come riconoscimento ope legis di tale soggettività ai fini dell'ordinamento interno (...). Cosicché ai beni della Santa Sede, come a quelli di ogni altro Stato estero, è applicabile il regime di tutela previsto per i beni di proprietà privata presenti sul territorio nazionale» ... «...si conclude dunque (...) ritenendo che gli immobili ricompresi nell'articolo 3 della (...) citata convenzione del 1932 siano a tutti gli effetti sottoposti alle vigenti disposizioni del Codice dei beni culturali inerenti le cose appartenenti alle persone giuridiche private senza fine di lucro di cui all'articolo 10 del medesimo».
  Ciò premesso, a seguito della comunicazione di avvio di procedimento di diniego inviato alla proprietà, ai sensi dell'articolo 10-
bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, dal comune di Padova, settore edilizia privata, sportello unico per le imprese, protocollo 236474 del 9 ottobre 2012, pervenuta per conoscenza alla per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso in data 15 ottobre 2012 ed assunta al protocollo con n. 29173, con cui il predetto settore trasmetteva il preavviso di diniego di cui al procedimento di sportello unico – richiesta di regolarizzazione – prodotta a nome della proprietà dalla delegazione pontificia per la Basilica di Sant'Antonio, segnalando che «... in tempi recenti, sono stati eseguiti dei lavori di trasformazione dell'edificio denominato ex casa del custode, sito in via Orto Botanico 1, ... L'esecuzione di tali interventi ha determinato una ristrutturazione del complesso con aumento delle unità immobiliari (da una a cinque, tre al piano terra e due al piano primo) e aumento della superficie utile, conseguente all'eliminazione della scala precedentemente posta a nord...», la predetta ha disposto gli accertamenti di competenza.
  Dal sopralluogo, svolto in data 22 ottobre 2012, si è potuto accertare, oltre a quanto già rilevato dai competenti organi del comune di Padova circa la realizzazione delle unità-alloggio, comprensive ciascuna di servizi e locale cottura, che una delle predette unità-alloggio del primo piano è stata distributivamente ricavata all'interno di un vano – comprendente l'attuale scala di collegamento dei piani – definito da un solaio ligneo del tipo detto «alla sansovina», costituito da travi spigolate e tavolato con coprigiunto in listelli, decorato secondo modelli decorativi ascrivibili al secolo XVI-XVII. Il solaio è stato rinvenuto e portato in luce nel corso dei lavori di ristrutturazione in argomento i quali, pur compromettendo la spazialità del vano originario di riferimento del solaio, sono stati eseguiti, per quanto è stato possibile constatare, limitando lo sviluppo in altezza dei vani ad una distanza tale dal solaio da non interferire con l'estensione del medesimo.
  Accertato quanto sopra, la citata soprintendenza ha provveduto a notiziare nel merito la procura della Repubblica presso il tribunale di Padova, con nota protocollo n. I5RE/30004 del 23 ottobre 2012, riservandosi di avviare i procedimenti sanzionatori di cui all'articolo 160 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e all'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 all'atto del completamento della fase istruttoria ed alla acquisizione di ogni utile elemento atto a valutare l'entità delle trasformazioni poste in essere con l'intervento, rispetto ad uno stato pregresso non documentato.

Il Ministro per i beni e le attività culturaliLorenzo Ornaghi.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto noto come «Terzo ponte» prevede la realizzazione di un raccordo autostradale di 12 chilometri, per collegare la Lombardia (Porto canale Cremona) con l'Emilia Romagna (nuovo casello A21 Castelvetro piacentino) nel cui ambito verrà costruito un nuovo ponte di 200 metri con i piloni nelle acque del Po, l'attraversamento di zona golenale e di 9 chilometri del territorio rurale di Castelvetro;
   si tratta di un progetto che nasce negli anni ’90 per collegare il traffico pesante del Porto di Cremona sulla A21, alleggerendo così il centro del paese ma che poi è stato rivisto nel 2008 e nel 2005 per giungere ad una terza versione con il progetto definitivo del 2010, che dovrebbe essere realizzato da Centropadane spa, di cui sono azionisti gli enti pubblici territoriali (concessione ANAS tratta BS-PC, scaduta il 30 settembre 2011);
   il progetto ha ottenuto (30 agosto 2011) il via libera dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con l'accordo di tutti gli enti, che lo riconoscono come opera di pubblica utilità, dando facoltà a Centropadane di procedere con le fasi di esproprio; l'avvio dei cantieri era previsto nel 2012;
   nell'ultima versione del progetto (2010) non è contenuto alcuno studio aggiornato sul traffico, che rimane quello del 2005, le cui stime (al 2020 e poi al 2033) sono state smentite dalla congiuntura degli ultimi due anni e dei prossimi a venire. I dati ufficiali di traffico, invece, disponibili dal 2008 e mai utilizzati nel progetto, presentano flussi di veicoli inferiori al 60-70 per cento delle stime di progetto;
   neppure rispetto ai costi risulta esservi nell'ultima versione del progetto (2010) alcun aggiornamento, restando quelli del 2005 (euro 216 milioni), nonostante siano intervenute rilevanti varianti, che rimandano al piano finanziario del 2000 (ovvero prima dei tre progetti presentati);
   detti costi, che ricadrebbero su di Centropadane, a quanto consta agli interroganti, sono, tra l'altro, ritenuti un investimento rischioso (IRR negativi), dal consulente esterno di Centropadane (TRT, 2005);
   la realizzazione dell'opera comporterebbe inoltre:
    a) la devastazione di tre aree protette dall'Unione europea (SIC e ZPS), tra cui l'Isola del deserto, una delle più antiche del Po, dove nidificano uccelli in via di estinzione;
    b) la sottrazione di 300 ettari di aree golenali e zone agricole di pregio e frammentati 1000 ettari di habitat di riproduzione avifauna;
    c) l'attraversamento (parte cremonese) di una zona di industrie a rischio di incidente rilevante (che stoccano migliaia di tonnellate di GPL, gas e olii);
    d) la nascita intorno all'infrastruttura di aree speculative, e la sparizione di aziende e fattorie didattiche e frutteti per via della chiusura ad anello di Cremona;
    e) Castelvetro, già attraversato a metà dalla A21, verrà completamente cinturato dal rilevato autostradale fino a 12 metri;
   il documento strategico «verso Expo 2015» (24 maggio 2010), degli industriali di Cremona, che sarebbero, i principali beneficiari, non cita nemmeno il terzo ponte tra le infrastrutture «necessarie»;
   gli ambientalisti hanno duramente criticato l'opera (Legambiente, WWF, Lipu, Italia nostra, Comitati Ambientalisti Lombardi), in particolare gli Amici della grande nonna quercia, un bellissimo esemplare di farnia plurisecolare divenuto simbolo della pianura padana e della sua tutela, mentre il mondo tecnico e scientifico ha pubblicato un dossier con i contributi di 20 docenti universitari, alcuni di chiara fama che boccia senza appello il progetto, sui piani urbanistico, viabilistico, ambientale, sociale, economico, e vengono proposte alternative molto meno costose e meno impattanti;
   nonostante l'importanza dell'opera, tra il 2006 e il 2010 nessun ente ha mai promosso un incontro pubblico. A seguito della pubblicazione dell'ultimo progetto (31 marzo 2010), il sindaco di Castelvetro ha rifiutato di convocare un consiglio comunale aperto, indirizzando i cittadini a un incontro promosso dal comune di Cremona, a pochi giorni dalla scadenza delle osservazioni (30 maggio 2010) –:
   se corrisponda al vero quanto riferito in premessa;
   a quale stadio sia attualmente l'avvio dei cantieri;
   se non ritenga il Governo, in un contesto di austerità economico-finanziaria, di riconsiderare il proprio favore al progetto in modo da riesaminarlo alla luce di più aggiornati studi sui reali flussi di traffico e degli effettivi costi dell'opera;
   quali iniziative di competenza si intendano promuovere rispetto alle criticità ambientali dell'opera spiegate in premessa e per il rispetto delle direttive sulle aree protette;
   quali iniziative il Governo intenda promuovere per sanare il problema del mancato coinvolgimento della cittadinanza alle decisioni concernenti la realizzazione dell'opera. (4-18709)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la realizzazione di un raccordo autostradale che collega le province di Cremona e Piacenza, si comunica che la cittadinanza è stata coinvolta durante tutta la fase approvativa del tracciato e del progetto, conformemente a quanto previsto dalla normativa vigente, sia in termini di informazione, che di pubblicità circa la realizzazione dell'opera.
  La progettazione, sia nella fase preliminare che in quella definitiva, ha rispettato la pianificazione territoriale delle regioni e delle province interessate (regione Emilia Romagna, regione Lombardia, provincia di Piacenza, provincia di Cremona). I relativi progetti sono stati illustrati e presentati alla cittadinanza dei comuni di Castelvetro Piacentino, di Sesto ed Uniti, nonché di Cremona.
  La stessa pianificazione territoriale, regolarmente in vigore, è avvenuta dopo un'ampia consultazione con i cittadini, con le categorie economiche e quelle ambientaliste.
  La consultazione e la presentazione alla cittadinanza sono avvenute attraverso le seguenti modalità:
   con la pubblicazione sui quotidiani locali di Piacenza del deposito del progetto nei comuni coinvolti del piacentino (Castelvetro Piacentino e Monticelli), nonché attraverso la trasmissione di singole lettere raccomandate con ricevuta di ritorno a tutti i cittadini aventi proprietà interessate dall'opera, conformemente a quanto disposto dalle leggi regionali dell'Emilia Romagna circa le informazioni dovute in termini di avvio del procedimento. Per quanto concerne la regione Lombardia, essendo diversa la legge regionale, la pubblica comunicazione e informativa sono avvenute con la pubblicazione sul quotidiano locale del deposito dei progetto presso i comuni interessati;
   con la presentazione e l'illustrazione del progetto alla cittadinanza in data 24 marzo 2005 nel comune di Castelvetro Piacentino e in data 19 maggio 2005 nel comune di Cremona.

  Si fa presente, inoltre, che in data 25 maggio 2010 a Cavatigozzi, nel comune di Cremona, si è svolto un ulteriore incontro, aperto a tutta la popolazione, in cui è stato illustrato nuovamente il progetto approvato.
  Con riguardo agli aspetti urbanistici, si fa presente che la relativa pianificazione (piano regolatore comunale) dei comuni di Cremona e di Castelvetro, sottoposta alla prescritta consultazione e alla valutazione ambientale strategica, ha recepito il tracciate del raccordo autostradale in questione.
  La valutazione di impatto ambientale sul progetto definitivo è intervenuta in data 26 giugno 2009. La Conferenza di servizi con gli enti e i soggetti coinvolti e interessati dal passaggio dell'opera è stata effettuata in data 30 agosto 2011.
  Le risultanze delle valutazioni hanno determinato la sostenibilità del progetto.
  Si specifica che le aree golenali interessate dall'opera sono quelle occupate dai sostegni del ponte e del viadotto ed hanno un'estensione di 1.000 metri quadrati (e non 1.000 ettari), mentre quelle esterne sono di circa 24 ettari (8.000 metri di lunghezza per 30 metri di larghezza). Peraltro, viste le citate modifiche di destinazione d'uso, sono previsti interventi di miglioramento ambientale per circa 90 ettari.
  Per quanto attiene al progetto approvato, si fa presente quanto segue.
  Il raccordo autostradale si estende per 10 chilometri, di cui 3 chilometri posti nel territorio della regione Lombardia: parte in area industriale di proprietà pubblica perché già strada, raccordo ferroviario o canale esistente, parte in golena, circa 2 chilometri; i rimanenti 7 chilometri sono collocati in zona rurale.
  In particolare, per quanto afferisce le aree golenali, da circa un ventennio si verificano almeno due volte all'anno frequenti piene straordinarie che arrivano anche ad un metro della sommità arginale. Tali eventi rendono precaria non solo la vita della golena, ma anche la stessa sicurezza per le popolazioni residenti nella zona limitrofa.
  In tali situazioni, i ponti ordinari vengono interdetti alla circolazione, divenendo così fondamentali i ponti autostradali.
  Circa il timore per le aree protette, si rappresenta che l'attraversamento del fiume non ne comporta la devastazione, in quanto i sostegni del ponte e del viadotto ad opera terminata non interessano l'isola del deserto né tantomeno aree di nidificazione di animali in via di estinzione.
  Per quanto riguarda l'attraversamento di una zona industriale nell'area cremonese, si evidenzia che esso avviene in corrispondenza dei binari ferroviari e compatibilmente con gli insediamenti industriali presenti; inoltre, non vi sarà alcun allontanamento di aziende e fattorie didattiche nel comune di Castelvetro.
  Grazie a tale infrastruttura, che di fatto rappresenta la circonvallazione del comune di Castelvetro, il territorio verrà liberato dal traffico di attraversamento essendo oggi interessato da due strade ex statali (SS 10 e SS 588) e da due linee ferroviarie (Cremona-Piacenza e Cremona-Fidenza) con indubbi benefìci sia in termini ambientali che di sicurezza.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   ZAZZERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   notizie stampa dell'anno 2012 riportano che a Bisceglie (BT) si stanno verificando alcuni episodi delinquenziali che generano notevole preoccupazione tra i cittadini;
   in particolare, il 12 luglio 2012 i carabinieri della tenenza di Bisceglie hanno arrestato due giovani con l'accusa di concorso in spaccio di sostanze stupefacenti;
   i due ragazzi hanno fornito una dose di cocaina ad un tossicodipendente di Bisceglie in via Aldo Moro, la strada centrale della città;
   proprio in riferimento a tale ultimo episodio, il direttivo del circolo dell'Italia dei Valori «Peppino Impastato» ha denunciato in una nota prot. 00025732 del 29 giugno 2012 inviata al sindaco di Bisceglie ed al presidente del consiglio comunale, che vi sarebbero «incalzanti voci secondo cui nella vicenda sarebbe implicato un membro del Consiglio Comunale di Bisceglie»;
   ciò ad avviso del circolo, getterebbe un'ombra di profonda negatività su tutta la componente politico-amministrativa biscegliese oltre che genererebbe una comprensibile ulteriore sfiducia nelle istituzioni locali;
   successivamente alla notizia del presunto coinvolgimento di un consigliere comunale nell'episodio, il sindaco di Bisceglie, Francesco Spina, ha invitato gli amministratori a sottoporsi al test antidroga per la ricerca di cocaina, iniziativa svoltasi il 3 settembre 2012 presso l'istituto di medicina legale del policlinico di Bari –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative intenda assumere per contrastare tali fenomeni anche rafforzando la presenza sul territorio della forze dell'ordine. (4-17465)

  Risposta. — La questione sollevata dall'interrogante con l'interrogazione in esame, relativa ai crescenti fenomeni delinquenziali nella cittadina di Bisceglie, è seguita con molta attenzione dalle locali forze di polizia.
  Ed infatti negli ultimi anni, nella provincia di Barletta-Andria-Trani, si sono concluse diverse operazioni di polizia proprio nell'ottica di contenere lo spaccio di sostanze stupefacenti.
  Per quanto concerne i fatti richiamati dall'interrogante, si conferma che i militari della tenenza dei carabinieri di Bisceglie, in data 11 giugno 2012, hanno arrestato in flagranza di reato due persone, già note alle forze dell'ordine, responsabili di aver ceduto circa un grammo di cocaina ad un assuntore locale che identificato veniva segnalato alla competente autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
  L'operazione di polizia si inserisce in una più vasta e mirata indagine condotta nell'ambito della più generale attività di repressione e contrasto al fenomeno dello spaccio di stupefacenti, costantemente assicurata sul territorio anche con il supporto degli organi investigativi dei superiori livelli dell'Arma dei carabinieri.
  Al momento, ragioni inerenti al diritto alla
privacy delle persone coinvolte e al riserbo necessario per la prosecuzione delle indagini non consentono di acquisire ulteriori particolari sulla vicenda, che viene comunque costantemente seguita dalle forze dell'ordine.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.