Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 11 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i dati Istat del 2015 dimostrano che circa il 35 per cento delle donne nel mondo sono state oggetto di violenza. L'origine della violenza contro le donne può essere individuata ancora oggi nella diseguaglianza dei rapporti tra uomini e donne;
    in Italia, sempre secondo l'Istat, le donne che hanno subito nel corso della loro vita una forma di violenza fisica o sessuale ammontano a circa sette milioni;
    spesso le violenze o gli abusi sulle donne non vengono denunciati per evitare pregiudizi o perché consumati in ambiente domestico;
    i casi delle violenze sulle donne, come ogni altra forma di violenza, vanno analizzati nel contesto nel quale si manifesta: la violenza ha risvolti psicologici se origina da un disagio, può avvenire dopo assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici, o può scaturire anche dall'esaltazione di gruppo;
    per far fronte al fenomeno della violenza sulle donne sono necessarie risorse culturali, prima ancora che economiche e finanziarie;
    alcune città sono state interessate da intollerabili violenze di gruppo anche ad opera di immigrati extracomunitari, che hanno compiuto abusi e maltrattamenti di ogni genere;
    in particolare, la notte del 31 dicembre 2015, a Colonia ed in altre città europee, tra cui Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Duesseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo, si sono riscontrati episodi di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne;
    nel frattempo sono emersi ulteriori e numerosi casi precedenti, mentre sono stati segnalati casi di violenza anche in Europa, Slovenia, Francia, Olanda ed Italia;
    questi episodi, per le numerose vittime coinvolte, fanno pensare più ad una sfida verso l'Occidente che non ad un gesto di dispregio verso le stesse;
    la circostanza che più di tutte preoccupa è legata al fatto che chi proviene da quei Paesi porta con sé un'idea della donna culturalmente diversa da quella occidentale;
    occorre approfondire e rendere nota quale sia la natura del rapporto con le donne da parte dell'Islam, caratterizzato spesso da una politica di dominio che non si arresta davanti a forme di violenza strutturata, come più volte è già accaduto,

impegna il Governo:

   ad implementare tutte le misure, compresi i presidi delle forze dell'ordine, che garantiscano alle donne la loro sicurezza;
   a promuovere in sede comunitaria l'adozione di norme che consentano l'espulsione immediata dall'Unione europea degli stranieri che commettono violenza contro le donne;
   ad assumere iniziative per attivare programmi di formazione nei confronti delle persone che arrivano in Italia;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per integrare la dotazione finanziaria del fondo delle politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità;
   ad attivare iniziative per aiutare le donne vittime di violenza a superare il trauma subito, assicurando loro la tutela legale gratuita;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per impedire il verificarsi di episodi diffusi di violenza contro le donne attraverso una implementazione degli scambi di informazioni con le forze dell'ordine di altri Paesi europei.
(1-01261) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 24 settembre 2016, sono state accolte una serie di mozioni alla Camera dei deputati con le quali il Governo si è impegnato, tra l'altro, ad adottare provvedimenti per assicurare la riapertura della fase negoziale con le organizzazioni sindacali, per il rinnovo della contrattazione per i comparti della pubblica amministrazione. Ciò in conformità a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 178 del 2015, che ha condannato un'ingiustizia che si sta perpetrando da ben sei anni nei confronti dei lavoratori pubblici, dichiarando l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti. Gli effetti di tale pronuncia decorrono dal giorno successivo alla sua pubblicazione, disposta in data 29 luglio 2015, poiché i giudici costituzionali hanno voluto escludere il notevole carico che sarebbe derivato sui conti pubblici dalla retroattività della sentenza;
    ad oggi, vige ancora il blocco della contrattazione collettiva e degli automatismi stipendiali, come imposti da una serie di norme susseguitesi nel tempo, legate da un palese nesso di continuità, per perseguire un obiettivo di contenimento della spesa. In particolare, il regime di sospensione della contrattazione collettiva risulta dalla seguenti disposizioni: articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 98 del 2011 («Manovra correttiva 2011»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, come specificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge n. 98 del 2011); articolo 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014); articolo 1, comma 254, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015);
    come è noto, dunque, la Corte Costituzionale ha individuato nelle predette misure normative un carattere strutturale, che ha determinato una violazione dell'autonomia negoziale. I periodi di sospensione degli ordinari iter negoziali e contrattuali devono essere definiti nel tempo e non possono essere prolungati discrezionalmente. Al riguardo, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha evidenziato la necessità di «un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale della comunità e i requisiti di protezione dei diritti fondamentali dell'individuo» riconoscendo la legittimità dei provvedimenti adottati dal legislatore portoghese in tema di riduzione dei trattamenti pensionistici, sul presupposto che tali misure avrebbero avuto efficacia per un ragionevole periodo di tempo. Invece, il carattere ormai sistematico della sospensione del regime di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti italiani, è stato caratterizzato da un bilanciamento, del tutto irragionevole, tra esigenze di controllo della spesa, all'interno della programmazione finanziaria (articolo 81, primo comma, Cost.), e valori di rango costituzionale come la libertà sindacale (articolo 39, primo comma, Cost.), già soggetta ad incisivi limiti normativi e controlli contabili;
    ebbene, nonostante l'accertata illegittimità costituzionale del blocco della contrattazione, non sono stati ancora rimossi i limiti imposti allo svolgimento delle procedure negoziali concernenti la parte economica contrattuale. Quindi, dal 2010 i dipendenti pubblici vivono questa ingiustizia e sono trascorsi, vanamente, più di sette mesi dall'approvazione delle mozioni che il 24 settembre 2015, impegnavano il Governo ad assumere iniziative per riparare alle illegittime misure in questione;
    alle sentenze va dato seguito in tempi ragionevoli, tanto più in presenza di violazioni di diritti costituzionalmente riconosciuti; il protrarsi del ritardo del Governo nell'adempiere alla sentenza in questione non può essere in alcun modo giustificato dalla difficoltà di stanziare le dovute risorse finanziarie, considerando che lo stesso, a copertura di iniziative e provvedimenti ben meno rilevanti, ha prontamente individuato ed impegnato gli importi necessari;
    tale grave situazione in questi mesi ha subito un peggioramento, poiché a causa del considerevole ritardo nell'adempiere alla sentenza dei giudici costituzionali, il Governo sta, attualmente, esponendo le casse dello Stato ad un imminente danno economico, considerando la legittimazione dei pubblici dipendenti ad agire in giudizio per i danni determinati dalle lungaggini delle istituzioni nel ripristinare l'ordinaria dialettica contrattuale. Difatti, si fa presente che, il 23 febbraio 2016 si è appreso che alcune organizzazioni sindacali hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per ottenere: la condanna del Governo per il mancato ottemperamento alla sentenza della Corte costituzionale e il risarcimento per i lavoratori gravemente danneggiati dal mancato rinnovo contrattuale che si protrae, si ribadisce, da oltre sei anni. Inoltre, diverse associazioni stanno proponendo delle class action a cui i dipendenti pubblici possono aderire per ottenere un indennizzo/risarcimento;
    il Governo non può più rimandare i dovuti provvedimenti in questione, che riguardano circa 3 milioni e 300 mila lavoratori, i quali, in termini di retribuzioni, a causa del congelamento, è stato stimato che già fino al 2013 abbiano perso circa seicento euro; quindi il danno economico, ad oggi, è ancora più oneroso rispetto a tale importo,

impegna il Governo

ad assumere idonee iniziative volte a scongiurare il grave danno che comporterebbe per l'erario l'esito positivo dei ricorsi presentati per ottenere la condanna del Governo per il grave ritardo nell'adempimento della sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 2015 e il conseguente risarcimento/indennizzo per i lavoratori pubblici, procedendo urgentemente a rimuovere il regime di «blocco» della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti e, dunque, garantendo la legittima negoziazione contrattuale nel rispetto dell'articolo 39 della Carta Costituzionale.
(1-01262) «Rizzetto, Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    per bullismo s'intendono quei comportamenti, fatti e azioni compiuti da minorenni a danno di altri minorenni; questi atti non si configurano obbligatoriamente come reati penali, ma offendono duramente la sensibilità e la dignità del minore vessato, che si trova posto in situazione di dileggio, marginalizzazione, se non anche di violenza fisica;
    alle già gravissime aggressioni che si registrano con i modi «tradizionali» del bullismo, si sono aggiunte quelle condotte con le tecnologie digitali;
    a differenza del bullismo, infatti, il cyberbullismo consente di aggredire una persona in modo indiretto, senza contatto fisico, arrecando offese tramite il mondo virtuale;
    si tratta, però, di offese che hanno pesanti ricadute nel mondo reale. La vittima, infatti, subisce l'aggressione esattamente come se fosse stato assalito fisicamente;
    secondo una ricerca Ipsos del 2014 quasi il 70 per cento dei giovani percepisce il « cyberbullismo» come la principale minaccia in rete e il 35 per cento ne ha avuto esperienza diretta o indiretta;
    il nuovo fenomeno di bullismo è definito dai giuristi anglofoni cyberbullying, mentre esiste una definizione più generale, quella di hate speech (discorso d'odio) utilizzato dalle autorità europee a partire dalla raccomandazione n. (97) sull’hate speech del 30 ottobre 1997 del Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa: «Tutte le forme d'espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l'odio razziale, la xenofobia, l'antisemitismo o altre forme di odio basate sull'intolleranza, tra cui l'intolleranza espressa in forma di nazionalismo aggressivo o di etnocentrismo, discriminazione e l'ostilità contro le minoranze, i migranti, e le persone di origine immigrata»;
    questo hate speech è, purtroppo, molto diffuso in rete e spesso coincide con forme di bullismo in ambiente digitale di minori nei confronti di coetanei;
    naturalmente i due termini non sono sovrapponibili completamente, ma appare evidente come, almeno a livello preventivo, tutti possano essere inclusi nei comportamenti scorretti in rete a fronte dei quali è chiamato in causa l'intervento delle istituzioni, ma ancor di più, una corretta media education;
    sono, quindi, necessari interventi educativi e formativi, ancor più che penali o repressivi;
    le aggressioni si configurano sempre di più come espressione di scarsa o nulla tolleranza nei confronti del «diverso», qualunque sia il significato che si vuol dare a questa parola;
    la vittima, come già ricordato, infatti, è tale perché «diversa» per etnia, religione, caratteri fisici e psichici, genere, natura sessuale e altro; si rende quindi indispensabile lo sviluppo di competenze adeguate che permettano di apprendere a convivere senza violenza e prevaricazione, in uno scambio interculturale;
    quindi, il contrasto al bullismo ed al « cyberbullismo» non può non partire dall'educazione, con il coinvolgimento delle singole istituzioni scolastiche, pur nella loro autonomia;
    in particolare, l'apprendimento di comportamenti responsabili e di rispetto dell'altro non possono essere appresi solo come conoscenza ma come competenze sociali e civiche, in particolare in ambito interculturale;
    per contrastare tali fenomeno sono attualmente in discussione in Parlamento varie proposte di legge;
    il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato nell'aprile 2015 le «Linee di orientamento per le azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo»;
    a livello di Consiglio d'Europa si è costituita l'Alleanza parlamentare contro l'intolleranza e il razzismo del Consiglio d'Europa e sono in corso da tempo campagne a livello giovanile contro l’hate speech;
    in alcuni Paesi europei sono state avviate interessanti iniziative tra Ministeri e social network,

impegna il Governo:

   a promuovere iniziative che coinvolgano i gestori delle piattaforme di comunicazione, dei motori di ricerca e dei social network nel monitoraggio e nella prevenzione di comportamenti scorretti e alla rapida rimozione di atti discriminatori e di « hate speech», che costituiscono terreno fertile per ogni forma di bullismo;
   a promuovere le iniziative contro l’hate speech, specificamente volte al contrasto al cyberbullismo, proposte dalle campagne del Consiglio d'Europa e dall'Alleanza parlamentare contro l'intolleranza e il razzismo del Consiglio d'Europa ai fini della prevenzione e del sostegno alle scuole « hate free» che combattono il bullismo, l'odio e l'intolleranza in tutte le sue forme;
   a sostenere, per quanto di competenza, le reti tra università ed enti del terzo settore che studino i comportamenti non conformi tenuti da minori nell'ambito e attraverso i media digitali, e propongano e sperimentino percorsi concreti ed efficaci di educazione preventiva con metodologie integrate;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per modificare, per quanto di competenza, le norme che regolano l'educazione alla cittadinanza nella scuola al fine di fornire agli studenti competenze sociali e civiche utili a gestire le relazioni interculturali.
(1-01263) «Santerini, Baradello, Capelli, Caruso, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Gigli, Marazziti, Piepoli, Sberna, Tabacci, Dellai».

Risoluzione in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    da notizie di stampa si apprende che sempre più spesso le forze dell'ordine scoprano casi di violenza perpetrati a danno di bambini nelle scuole, in particolare scuole dell'infanzia e asili nido;
    le agenzie stampa del 20 aprile 2016 riportano la notizia di un grave episodio di violenza verificatosi a Roma all'interno di un asilo nido comunale;
    secondo le notizie riportate dall'ANSA-Lazio i carabinieri del nucleo operativo della compagnia San Pietro avrebbero eseguito l'ordinanza con la quale l'autorità giudiziaria avrebbe disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di una delle tre maestre e la sospensione dall'incarico per le altre due. Mediante intercettazioni ambientali e con utilizzo di telecamere, gli investigatori avrebbero accertato che all'interno dell'asilo nido comunale i bimbi sono stati sottoposti a maltrattamenti fisici e psicologici;
    inoltre, secondo quanto accertato dai militari, i bimbi sarebbero stati strattonati, afferrati di peso e trascinati per un braccio e sarebbero stati anche forzati a mangiare e spesso gli sarebbe stata tappata la bocca per evitare che vomitassero;
    da un articolo de lastampa.it, pubblicato il 23 aprile 2016, si apprende che una maestra di 61 anni sia stata arrestata a Rimini per maltrattamenti ai bambini della sua classe, e che si siano verificati, in precedenza, altri casi analoghi a Grosseto, Orvieto, Pisa, Pavullo nel Frignano;
    nell'articolo sono riportate le dichiarazioni del vicepresidente dell'Associazione nazionale presidi, Mario Rusconi, il quale riconoscendo la delicatezza della professione dell'insegnante e del preside asserisce che: «Da anni la nostra associazione solleva il problema nella più totale indifferenza. Una professione delicata come quella dell'insegnante o del preside viene svolta senza superare nessun tipo di test psicoattitudinale, al contrario di quanto accade per esempio i Carabinieri o altri lavori. Da anni chiediamo anche un’équipe psicologica come punto di riferimento per genitori e studenti, senza mai ottenere risposta. Purtroppo di fronte a eventi come questi lo Stato si mostra totalmente impotente»;
    inoltre, l'articolo evidenzia come, anche per l'Unicobas Scuola e per l'Associazione genitori democratici, il personale docente acceda all'insegnamento con titoli non idonei e che le istituzioni non investano abbastanza nell'infanzia;
    anche in un precedente articolo, pubblicato il 30 maggio del 2013 da ilfattoquotidiano.it, a seguito di una serie di casi di violenza su bambini abusati in tre scuole dell'infanzia di Vibo Valentia, Barletta e Roma, è riporta una dichiarazione del Cav. Antonio Marziale, presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori, con la quale si auspicava che le istituzioni intervenissero affinché si prevedessero analisi periodiche di valenza psico-emotiva per gli operatori dell'infanzia al fine di prevenire episodi di violenza;
    da un recente articolo del 9 maggio 2016, pubblicato da lagazzettadelmezzogiorno.it, si apprende che il Gip dei tribunale di Taranto, Giuseppe Tommasino, non abbia convalidato l'arresto ai domiciliari, eseguito dalla polizia, a seguito di indagini con videosorveglianza, di una maestra di 59 anni accusata di maltrattamenti aggravati e continuati nei confronti di bambini di sei anni di prima elementare, e abbia rigettato la richiesta di custodia cautelare avanzata dal sostituto procuratore Mariano Buccoliero, in quanto si sarebbe trattato di «alunni difficili» in contrasto con i propri familiari,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere l'istituzione di test psicoattitudinali d'ingresso per il personale scolastico al fine di esercitare la professione di docente, preside e personale ausiliare;
   ad assumere iniziative per organizzare, con l'istituzione di un’équipe specializzata, accertamenti periodici per la valutazione sia dello stato di salute psicofisica del personale scolastico, per consentire giuste cure o riposo per chi ne avesse bisogno e prevenire azioni lesive della salute degli alunni, sia per studenti e genitori, per dare un supporto maggiore soprattutto alle situazioni di difficoltà familiare.
(7-00992) «Pisicchio, Labriola».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il Parlamento europeo nel 2013, con la risoluzione P7-TA(2013)0093 ha dato impulso alla definitiva rimozione dei materiali contenenti amianto, impegnando gli Stati membri a cancellarne ogni presenza entro il 2028;
   l'Italia purtroppo si trova in forte ritardo rispetto a quanto stabilito a livello europeo, sia per quanto riguarda le operazioni di bonifica, che per la rimozione dell'amianto stesso, rendendo lontano il raggiungimento di livelli soddisfacenti di rimozione. Da una stima fatta risulta che necessiteranno 85 anni per completare il processo che dovrebbe espellere l'asbesto dall'intero territorio nazionale. Una stima derivante soprattutto dal fatto che, a livello istituzionale, non si è fatto tutto il possibile; ad avviso degli interpellanti occorrerebbe quindi accelerare i lavori;
   dati del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) riferiscono che in Italia sono ancora presenti 32 milioni di tonnellate di amianto, dislocate su 75 mila ettari di territorio, in circa 38 mila siti totali. Gli interventi di bonifica riguardano città intere, case, scuole, strade e i luoghi frequentati quotidianamente dalle comunità. L'ultimo report redatto da Legambiente informa che sono circa quattromila i decessi per malattie asbesto correlate, con oltre 15 mila casi di mesotelioma maligno diagnosticato nel quindicennio compreso tra il 1993 e il 2008. Ciò è accaduto nonostante il fatto che in Italia l'amianto e i suoi derivati siano stati messi al bando ormai da 24 anni. Secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità le cause sono dovute a due fattori: il lungo periodo di incubazione del tipo di tumore legato all'amianto, dai 20 a 40 anni – che fa ipotizzare agli studiosi che il picco dei casi si verificherà solo nel 2020 –, e la mancata realizzazione da parte di diverse regioni del censimento dei siti necessari di bonifiche;
   il 5 maggio 2016, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, si è svolta una Conferenza unificata che ha raccolto insieme Governo, regioni, province e comuni che, su proposta dell'Anci, ha sancito l'accordo per la costituzione del «Tavolo interistituzionale» che si occuperà della gestione delle problematiche relative all'amianto;
   nel comunicato stampa diffuso dal presidente del Consiglio nazionale dell'Anci e sindaco di Catania, Enzo Bianco, si precisa che i Ministeri degli affari regionali, della salute, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze, della giustizia insieme ai rappresentanti di regioni ed enti locali, lavoreranno per definire «Piani di azione biennali» per individuare iniziative prioritarie come «la razionalizzazione delle modalità e completamento dei dati di censimento e mappatura del territorio, l'individuazione e l'adeguamento dei siti per la gestione dei rifiuti provenienti dalla pianificazione degli interventi di bonifica, indicazioni circa le modalità di micro raccolta e incentivazione alla rimozione delle piccole quantità di amianto, armonizzazione della sorveglianza sanitaria degli ex-esposti e individuazione di percorsi clinico-diagnostico-terapeutici e assistenziali per i pazienti affetti da mesotelioma e patologie tumorali asbesto correlate, creazione, informatizzazione, integrazione e interazione delle banche dati relativamente alle informazioni ambientali sanitarie e del lavoro per il monitoraggio delle azioni adottate e la più efficace predisposizione dei successivi Piani di azione da adottare»;
   nulla si dice però su quanto emerso in merito alla presenza di amianto negli elicotteri in dotazione al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, vicenda sulla quale è stata presentata l'interpellanza urgente n. 2-01033 il Governo ha risposto, per il tramite del sottosegretario dell'interno, Domenico Manzione, rilevando che in Italia per quattro anni, dal 2011 al 2014, è stato importato dall'India un quantitativo elevato, quindi preoccupante, di amianto. Si tratta, per la precisione, di circa 34 tonnellate di prodotti contenenti amianto e di amianto asbesto lavorato. E ciò è accaduto nonostante che dal 1992 in Italia vige la legge n. 257 del 27 marzo 1992 che vieta «l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione di amianto di prodotti di o contenenti amianto». Le uniche deroghe dovevano essere autorizzate dal Ministero e non potevano eccedere i 24 mesi dall'entrata in vigore (quindi sono già scadute da una decina d'anni). Il sottosegretario ha fatto presente di non poter fornire ulteriori notizie in merito all'argomento, essendo tuttora in corso le indagini condotte dalla procura di Torino, aperte nel febbraio 2015;
   da fonti di stampa si apprende inoltre che vi è il sospetto che la quantità di amianto importato in Italia sia addirittura maggiore di quanto dichiarato dal sottosegretario, poiché da un testo della cinquantunesima relazione annuale dell'ente minerario del Governo indiano è emerso che l'Italia, nel 2011 e nel 2012, avrebbe importato una quantità impressionante di amianto pari rispettivamente a oltre 1.040 tonnellate per il primo anno e 2.000 tonnellate per il secondo. Su questo sempre il sottosegretario ha risposto però di non poter dare conferme poiché il Governo indiano interrogato formalmente in merito tramite l'ambasciata di quel Paese, non ha mai risposto;
   il sottosegretario ha anche riferito che il Governo ha chiesto elementi in merito anche all'Agenzia delle dogane, che ha fornito alcune informazioni;
   precedentemente, invece, altre fonti di stampa pubblicavano che: «L'importazione di amianto dall'India è riportato nel bollettino ufficiale del Governo indiano Indian Minerals Yearbooks 2012 – Asbestos – Final Release. Quantità peraltro rilevanti: 1040 tonnellate solo nel biennio 2011-2012. La stessa Agenzia delle Dogane, interpellata dalla Procura, non solo ha confermato l'ingresso dell'amianto nel territorio nazionale, ma ha anche confermato che questi flussi commerciali sono continuati fino allo scorso anno, il 2014». L'amianto importato da una decina di aziende italiane sarebbe stato impiegato nella produzione di vari prodotti come lastre di fibrocemento, pannelli, guarnizioni per freni e frizioni di autoveicoli, destinati all'esportazione in Paesi come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Nepal, Israele, Angola, Sud Africa, Oman e Canada. Un mercato multimiliardario e doppiamente «sporco»: sia per la presenza di amianto, sia perché sulle carte che riportano il commercio di questi prodotti non compare la sua presenza;
   il 5 maggio 2016, nel comunicato stampa relativo alla Conferenza unificata summenzionata, il Presidente del Consiglio nazionale dell'Anci, Enzo Bianco, ha annunciato che il tavolo interistituzionale «avrà anche il compito di predisporre una proposta di Testo unico sulla normativa in materia di protezione della popolazione dai rischi dell'amianto e di proporre la convocazione con cadenza almeno biennale di una “Conferenza nazionale sull'amianto”»;
   gli interpellanti ricordano che, anche dalla seconda conferenza nazionale sull'amianto, svoltasi nel novembre 2012 a Venezia, emersero con chiarezza le azioni necessarie per adottare il piano nazionale amianto, dalla modifica della normativa alle operazioni di bonifica, dalla formazione all'individuazione delle risorse necessarie. L’iter del piano avrebbe dovuto concludersi in breve tempo, dopo l'esame della conferenza Stato-regioni; la tutela della salute, la tutela dell'ambiente e gli aspetti previdenziali e di sicurezza del lavoro dovevano essere le aree di intervento previste. Si ricorda inoltre che in seguito alla conferenza di Venezia, ci si augurava un intervento del Governo in materia, dato che fu presentato il 15 marzo 2013 il disegno di legge n. 8 (primo firmatario il senatore Felice Casson), «Norme a tutela dei lavoratori, dei cittadini e dell'ambiente dall'amianto, nonché delega al Governo per l'adozione di un testo unico in materia di amianto», fermo in commissione lavoro al Senato dal 10 marzo 2015, e bloccato, secondo quanto riportato da un'intervista del Presidente di AFeVA (Associazione familiari e vittime amianto), «per motivi contabili, dal momento che è difficile definire la portata economica di alcune voci di spesa annunciate»;
   non tutte le regioni hanno approvato il piano regionale amianto, a distanza di 23 anni dalla legge n. 257 del 1992 che prevedeva fossero emanati entro 180 giorni dalla sua pubblicazione. A quanto risulta dal dossier del 2015 di Legambiente intitolato «Liberi dall'amianto», mancherebbero ancora all'appello Abruzzo, Calabria, Lazio, Molise, Puglia e Sardegna. «Il censimento, lo strumento fondamentale per delineare il quadro di partenza della presenza di amianto sul territorio, risulta ancora in corso in Basilicata, Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Sardegna, Sicilia, Veneto e nella Provincia Autonoma di Bolzano e in quella di Trento. Risulta concluso, anche se in maniera disomogenea da regione a regione, in Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Valle d'Aosta mentre non è stato ancora fatto in Calabria»;
   l'assessore della regione Piemonte, Antonio Saitta, coordinatore della commissione salute della conferenza delle regioni, è intervenuto il 29 aprile al convegno «Subito il piano nazionale amianto», organizzato da Cgil, Cisl, Uil nella sala della regina di Palazzo Montecitorio, chiedendo un piano nazionale amianto che preveda anche forme vincolanti nei confronti delle stesse istituzioni regionali –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se intendano avviare, per quanto di competenza, un'indagine ministeriale per accertare le dinamiche e le cause alla base delle criticità di cui in premessa;
   quali iniziative di competenza intendano assumere per interrompere il commercio illegale di amianto, se intendano fornire ogni utile elemento sulle importazioni illegali di amianto e quali iniziative intendano intraprendere per evitare il ripetersi di simili episodi;
   se ritengano urgente, considerati i ritardi e la cronicità delle problematiche descritte in premessa, attivarsi affinché diventi una priorità nell'agenda politica del Governo l'emanazione in tempi brevi di un piano nazionale amianto.
(2-01369) «Andrea Maestri, Brignone, Civati, Matarrelli, Pastorino».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2016, il Fatto Quotidiano, con l'articolo di Valeria Pacelli dal titolo «Alfano prende l'aereo di Stato per promuovere il suo libro», ha dato l'ennesima notizia di impiego, a giudizio degli interpellanti, disinvolto ed improprio di voli di Stato da parte di esponenti del Governo. Nello specifico l'articolo evidenziava come le missioni istituzionali del Ministro Alfano coincidessero con le medesime città dove veniva presentato un suo libro. Pertanto venivano citati l'evento del 28 novembre 2015 ad Agrigento, del 15 dicembre al palazzo della Meridiana di Genova, del 19 dicembre a Palermo nella sala dell'Assemblea regionale siciliana e del 7 marzo all'università di Padova. In tutti questi casi sul portale del Governo risultano concessi al Ministro Angelino Alfano voli di Stato per finalità istituzionali quando in realtà risulta che si recasse in queste città per presentare un suo libro;
   come più volte evidenziato nelle numerose interrogazioni parlamentari, presentate sull'argomento, la normativa sull'impiego di voli di Stato è molto chiara nelle sue finalità e stringente nella sua applicazione, trattandosi di una modalità di trasporto «straordinario» e limitato esclusivamente alle più alte cariche apicali dello Stato. Nello specifico, come disposto dall'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, i voli di Stato devono essere limitati al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Presidente della Corte costituzionale;
   il soprarichiamato articolo 3 del decreto-legge n. 98 del 2011, al comma 2, prevede la possibilità anche ai componenti del Governo di poter impiegare aeromobili di Stato «soprattutto con riferimento agli impegni internazionali», essendo alcune tratte estere raggiungibili solo in aereo, e questo solo se «specificamente autorizzate». Le procedure necessarie all'ottenimento dell'autorizzazione ad impiegare un aereo blu sono dettagliate dalla direttiva di Stato 23 settembre 2011, Direttiva in materia di trasporto aereo di Stato, che specifica ulteriormente «l'eccezionalità» di tale prerogativa per i componenti del Governo. Infatti, all'articolo 7 si dispone che per tutti i componenti del Governo, nessuno escluso, il «trasporto aereo di Stato è disposto secondo criteri di economicità e di impiego razionale delle risorse, previa rigorosa valutazione dell'impossibilità, dell'inopportunità o della non convenienza dell'impiego di differenti modalità di trasporto, ovvero previa verifica delle specifiche esigenze di alta rappresentanza connesse alla natura della missione istituzionale supportata»;
   pertanto tutti i Ministri, compreso il titolare del Viminale, per poter impiegare un aeromobile di Stato sono soggetti ad una stringente valutazione dell'autorità concedente, la Presidenza del Consiglio dei ministri, tenuto conto, ai sensi del soprarichiamato articolo 7 della direttiva di Stato, «della disponibilità di aeromobili, delle caratteristiche tecniche degli stessi e dell'onerosità del loro impiego in rapporto alla rilevanza ed alla collocazione degli impegni addotti nella richiesta, nonché del rango protocollare delle autorità richiedenti»;
   l'autorità concedente, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della direttiva di Stato 23 settembre 2011, è la Presidenza del Consiglio dei ministri – segretariato generale – ufficio per i voli di Stato, di Governo e umanitari, «che provvede alla trattazione istruttoria e le inoltra, corredandole della documentazione a sostegno e di motivato parere, per il tramite del Segretario generale, all'autorizzazione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri specificamente delegato»;
   da ricerche effettuate dall'interrogante non risultano missioni istituzionali effettuate dal Ministro Angelino Alfano nelle città oggetto degli eventi sopra riportati e che pertanto ad avviso degli interpellanti si tratterrebbe dell'ennesimo scempio di norme imperative dello Stato e di spreco di denaro pubblico da parte di un esponente del Governo;
   secondo quanto riportato dall'articolo de il Fatto Quotidiano la segreteria particolare del Ministro dell'interno si è giustificata dichiarando che nel «caso di Alfano ci sono i motivi di sicurezza. Il titolare del Viminale ha infatti protezione di livello 1, per cui ... il suo non è un semplice volo di servizio, ma è un volo di sicurezza, sganciato dalle finalità per le quali il Ministro si muove e che possono essere di varia natura». Poiché i protocolli di sicurezza si applicano a prescindere del mezzo impiegato per gli spostamenti di una personalità istituzionale, quanto dichiarato dalla segreteria del Ministro è grave, in quanto secondo gli interpellanti in aperto contrasto con le soprarichiamate
norme. In particolare, in aperto contrasto con l'articolo 7 della direttiva di Stato che dispone, come sopraddetto, che per i componenti del Governo il «trasporto aereo di Stato è disposto secondo criteri di economicità e di impiego razionale delle risorse, previa rigorosa valutazione dell'impossibilità, dell'inopportunità o della non convenienza dell'impiego di differenti modalità di trasporto, ovvero previa verifica delle specifiche esigenze di alta rappresentanza connesse alla natura della missione istituzionale supportata»;
   nulla rileva in tal senso, secondo gli interpellanti, quanto disposto dall'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza personale ed ulteriori misure per assicurare la funzionalità degli uffici dell'Amministrazione dell'interno, che attribuisce al Ministro dell'interno, sentito il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica, il potere di adottare, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri, «apposite direttive per disporre i voli atti a garantire la sicurezza delle alte personalità istituzionali nazionali ed estere, nonché delle altre persone di cui al comma 1, soggette a pericoli o minacce». Come prassi costituzionale insegna questa norma del 2002 va interpretata alla luce delle nuove disposizioni previste dall'articolo 3 del decreto-legge n. 98 del 2011, che impone anche al Ministro dell'interno il rispetto scrupoloso del regime concessorio per i voli di Stato. Pertanto nessuna prerogativa di rango e di sicurezza può, ad avviso degli interpellanti giustificare un trattamento «privilegiato» rispetto a quello degli altri Ministri suoi pari grado;
   secondo stime attendibili un volo di Stato comporta oneri di finanza pubblica ingenti nell'ordine di euro 9.000 per ogni ora di volo. Secondo quanto dichiarato dall'ex Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica militare, il Generale Leonardo Tricarico, questi oneri sono a carico della stessa Aeronautica Militare. Eloquenti in tal senso le sue parole in occasione di un suo articolo (testata quotidiana online www.formiche.net, «Cosa penso del nuovo aereo blu di palazzo Chigi») quando è arrivato a sostenere che: «l'Aeronautica Militare... anticipa tutte le spese di esercizio – dal carburante alla manutenzione fino alle tasse di atterraggio – attingendo ai capitoli di bilancio dell'attività operativa, girando il costo alla Presidenza per il rimborso a pie’ di lista. In realtà la Presidenza lo restituisce solo in parte, costringendo l'Aeronautica ad arrangiarsi. Di fatto più volano gli Airbus di Stato, meno volano Tornado, Eurofighter e persino elicotteri del soccorso»;
   il Ministro Alfano è già assurto alla cronaca nazionale per un uso disinvolto degli «aerei blu» sia per raggiungere ogni fine settimana la sua residenza in Sicilia che per partecipare ovunque in Italia alle varie campagne elettorali. Adesso si apprende che gli italiani sono costretti a pagare a caro prezzo anche la promozione del suo libro –:
   se il Governo non ritenga doveroso chiarire a quali «missioni istituzionali» il Ministro Alfano ha partecipato nelle giornate in cui risulta, viceversa, prendere parte ad eventi legati alla promozione del suo libro;
   se il Governo non ritenga doveroso fornire al Parlamento ogni elemento di carattere amministrativo, tecnico e finanziario atto a verificare il compiuto rispetto della procedura dell'autorità concedente, appunto la Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha consentito al Ministro Alfano di poter disporre di voli di Stato in concomitanza con appuntamenti legati alla promozione del suo libro.
(2-01371) «Paolo Nicolò Romano, Tofalo».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione della raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013, il Governo due anni fa ha approvato il piano nazionale «Garanzia Giovani»; l'iniziativa, che ha preso avvio il 1o maggio 2014, si pone l'obiettivo di fornire ai giovani dai 15 ai 29 anni, disoccupati o «neet», un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento agli studi, apprendistato, tirocinio, inserimento nel servizio civile o altra misura di formazione;
   a due anni dall'avvio del piano è già possibile operare un primo bilancio: secondo il professor Michele Tiraboschi, ordinario di diritto del lavoro all'università di Modena Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e le relazioni industriali) in un articolo su @bollettinoADAPT del 21 aprile 2016 e pubblicato anche in Panorama del 27 aprile 2016 con il titolo: «Giovani, disoccupati e beffati», «da festeggiare c’è davvero ben poco» poiché Garanzia Giovani avrebbe generato «Un vero e proprio esercito di giovani di belle speranze che hanno preso sul serio la promessa di una “garanzia” iscrivendosi al programma e mettendosi pazientemente in coda a una porta che, però, per la maggioranza di loro, è rimasta chiusa alimentando rabbia e delusione. Perché i numeri parlano chiaro ed è davvero difficile trovarne una interpretazione positiva»;
   le risorse finanziarie del PON IOG, (programma operativo nazionale «Iniziativa Occupazione Giovani») ripartite tra le regioni ammontano a una cifra di poco superiore ad 1,4 miliardi di euro;
   al di là dei numeri delle registrazioni al portale, l'analisi della associazione Adapt rivela che: «Se andiamo a analizzare il vero numero importante, quello sulle proposte concrete fatte ai giovani iscritti, il quadro si incupisce. Secondo gli ultimi dati del Ministero del lavoro queste ammontano a circa 300mila: circa un terzo degli iscritti al netto delle cancellazioni. Una cifra che di per sé certifica il fallimento del piano e getta una ombra scura sulle illusioni di quei 600 mila ragazzi che restano al momento a mani vuote. La situazione non migliora se si analizzano le proposte fatte ai 300 mila fortunati. In questo caso i report più aggiornati sono di un mese fa, data dalla quale l'Isfol ha interrotto la pubblicazione dei monitoraggi settimanali. Emerge che la maggioranza (circa il 60 per cento) delle proposte concrete consiste in tirocini di dubbia valenza formativa, mentre i contratti di lavoro veri e propri sono poco più del 10 per cento, con un boom a dicembre 2015, ultimo mese in cui una impresa poteva usufruire del combinato disposto di “Garanzia Giovani” e decontribuzione per l'assunzione di un giovane con un contratto a tutele crescenti»;
   il 7 marzo 2016 è trascorso un anno anche dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2015 che ha introdotto il contratto a tutele crescenti;
   è noto che il contratto a tutele crescenti, lungi dall'innalzare le tutele del dipendente, ha escluso l'applicazione dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 (cosiddetto statuto dei lavoratori), eliminando il diritto del lavoratore di ottenere la reintegra sul posto di lavoro e ancorando la tutela contro il licenziamento ad un mero indennizzo economico;
   ad una maggiore flessibilità in uscita dal posto di lavoro (ovvero licenziamenti più facili) avrebbe dovuto, nelle intenzioni della riforma, corrispondere la creazione di strumenti efficienti e rapidi a tutela del dipendente espulso dal mondo del lavoro, affinché gli fosse consentito il reperimento di una nuova occupazione;
   eppure le numerose misure indicate nel decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, in tema di riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive – entrato in vigore il 24 settembre 2015 – tardano ancora ad entrare in vigore: l'Anpal è ancora ferma, i centri per l'impiego sono ancora alle prese con la riforma delle province «Del Rio», il personale occupato nei centri dell'impiego è insufficiente, mal pagato e inadeguato sotto il profilo della preparazione e dei nuovi compiti ad essi assegnati;
   il ritardo nella creazione di idonee misure di politica attiva del lavoro e del tanto conclamato ricollocamento assistito, anche tramite i centri per l'impiego, sta creando un vuoto che porta ad un sostanziale abbandono del disoccupato o del dipendente espulso dal mondo del lavoro che non trova nessuna delle misure previste;
   eppure il Presidente del Consiglio durante la conferenza stampa del 20 febbraio 2015, annunciando l'avvento della rivoluzione copernicana dei contratti e la fine della precarietà, affermava: «Nessuno sarà più lasciato solo»;
   secondo Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica sociale all'università Cattolica di Milano, coordinatore dell'indagine rapporto giovani, «L'asse portante delle politiche attive sono i servizi per l'impiego. Ma il problema è che in Italia sono caratterizzati da bassa copertura del territorio, bassa qualità e scarsi investimenti» (IlFattoQuotidiano del 30 novembre 2015);
   è evidente, a parere degli interroganti, il gap tra le risorse umane, funzionali, organizzative e finanziarie stanziate per i servizi e centri per l'impiego e gli obiettivi prefissi dalla riforma che a tutt'oggi non assicura adeguate politiche attive per il disoccupato o il lavoratore espulso dal mercato del lavoro e l'urgenza di intervenire;
   dai dati dell'ultimo Osservatorio sui precariato dell'Inps, che prende in considerazione solo i lavoratori dipendenti del settore privato, emerge infatti che i nuovi contratti a tempo indeterminato sono stati 106.697, il 39,5 per cento in meno rispetto allo stesso mese del 2015, quando ne erano stati attivati 176.239 (Ilfattoquotidiano del 16 marzo 2016);
   i dati definitivi dell'Inps sui contratti stipulati utilizzando gli sgravi fiscali, sarebbero pari a 1,5 milioni. Questo porta a dire che i costi per coprire la decontribuzione potrebbero sfiorare i 20 miliardi di euro, con un'assenza di coperture di oltre 4,5 miliardi di euro rispetto alle stime del Governo (si veda la stima ADAPT usando i dati forniti da INPS e le stime contenute nella relazione illustrativa della legge di stabilità 2015);
   si tratta di grandi risorse, per soli 186 mila occupati in più nel corso dell'anno passato, a dimostrazione che la quasi totalità delle nuove onerose assunzioni è composta da trasformazioni di contratti esistenti, con una percentuale molto bassa di occupazione aggiuntiva. E senza occupazione aggiuntiva questa operazione si tramuta anche in un ulteriore colpo al già deficitario bilancio Inps: per i prossimi tre anni quasi un milione e mezzo di persone non verseranno i contributi necessari a sostenere il traballante sistema pensionistico;
   anche sotto il profilo dell'efficacia, dell'economicità e dell'utilizzo delle risorse messe in campo in base alle misure adottate, i risultati appaiono estremamente modesti;
   questi sono i risultati di una politica del lavoro, a parere degli interroganti, che come rivela Francesco Nespoli (bollettino Adapt del 14 gennaio 2016) «nella sua foga riformista mette il carro della flessibilità davanti ai buoi della sicurezza, creando il rischio che la prima si manifesti molto prima che la seconda possa contenerne gli effetti negativi»;
   è molto importante sfruttare invece le risorse della «Garanzia per i giovani» in progetti mirati e specifici che possano essere funzionali all'obiettivo del piano e dare finalmente una risposta concreta al tema della disoccupazione giovanile e dei lavoratori espulsi dal mondo del lavoro, anche per effetto della nuova normativa sui licenziamenti –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e a quanto ammontino gli effetti economici-finanziari delle politiche del lavoro sino ad ora adottate;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per porre rimedio alle criticità esposte e con quali risorse e se intenda promuovere iniziative, anche urgenti, volte all'attuazione di efficaci politiche attive del lavoro e all'introduzione di una forma universale di sostegno del reddito a favore dei lavoratori che hanno perso il lavoro o sono privi di occupazione. (5-08639)


   RIZZETTO, GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante, il 29 marzo 2016, ha presentato la mozione 1/01200 affinché il Governo provveda, urgentemente, a modificare il sistema di calcolo dell'Isee in conformità alle recenti sentenze del Consiglio di Stato, n. 838, n. 841 e n. 842 del 29 febbraio 2016, in particolare, eliminando tutti i profili discriminatori dell'attuale normativa in materia e prevedendo un sistema che non ricomprenda gli emolumenti assistenziali nel reddito, al fine di tutelare i disabili e le persone non autosufficienti;
   tale mozione è stata approvata il 31 marzo 2016, pertanto, si confidava nella volontà dell'Esecutivo di voler finalmente riparare alle gravi ingiustizie determinate dal sistema di calcolo dell'Isee che ha causato delle gravi iniquità, sacrificando drasticamente le indispensabili prestazioni socio-sanitarie;
   tuttavia, dopo poco più di un mese dall'approvazione della mozione, si apprende della protesta del Coordinamento nazionale famiglie disabili, che dichiara «Il Governo Renzi tenta un nuovo colpo di mano – Prosegue la persecuzione contro le persone e le famiglie con disabilità», ciò in riferimento alla presentazione da parte dell'esecutivo di una proposta emendativa in materia di Isee, del 3 maggio 2016, con disposizioni che sono ancora in contrasto con quanto statuito dai giudici amministrativi ed in palese danno alle persone disabili (http://stop-al-nuovo-isee.blogspot.it). Il Coordinamento afferma, in primo luogo, la necessità di riformare l'Isee con un provvedimento ad hoc, in secondo luogo, denuncia l'ambiguità da parte dell'Esecutivo di voler modificare l'Isee nell'ambito di un provvedimento estraneo a tale materia, posto che si tratta della legge di conversione del decreto-legge n. 42 del 2016, recante disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca;
   il Coordinamento nazionale famiglie disabili, nello specifico, teme che nel riformare l'Isee, venga stravolta la sentenza del Consiglio di Stato n. 842/2016, che impone l'eliminazione di alcuni aspetti discriminatori delle franchigie rivolte alle persone con disabilità. Sul punto, il Coordinamento critica aspramente quella che appare la volontà dell'Esecutivo di procedere all'eliminazione delle franchigie per sostituirle con una scala di equivalenza per il computo del reddito Isee, pari a 0,5, prevedendo, irragionevolmente, che tale parametro resti invariato per ogni condizione di disabilità, favorendo così i redditi più alti e eliminando, di fatto, uno dei pochissimi aspetti positivi della normativa dell'Isee, ossia la possibilità di parametrare lo strumento sul diverso grado di disabilità, da quella media alla non autosufficienza;
   i disabili e le loro famiglie sono stati già danneggiati da un sistema Isee illegittimo, pertanto, sono a dir poco lecite le preoccupazioni che hanno in merito all'agire del Governo, che non solo non ha ancora provveduto ad un'idonea riforma della normativa in materia, ma sembra continui a mantenere una posizione che non riconosce il giusto sostegno ai disabili, i quali sono, tuttora e ingiustamente, privati di servizi socio sanitari essenziali;
   ebbene, a parere degli interroganti, a fronte dell'estrema urgenza di procedere alla riforma del sistema di calcolo Isee in conformità a quanto stabilito dalle sentenze di Tar e Consiglio di Stato, vi è una condotta dell'Esecutivo, come denunciato dal Coordinamento nazionale famiglie disabili, che fa dubitare della reale volontà dello stesso di procedere in conformità a quanto sancito in materia dai giudici amministrativi –:
   quali siano gli orientamenti sui fatti esposti in premessa;
   se sia intenzione del Governo conformarsi a quanto stabilito dai giudici amministrativi sul sistema di calcolo Isee, come stesso dovrebbe anche in base agli impegni della mozione n. 1/01200, e quali siano le urgenti iniziative che intende adottare in merito, considerando che, nonostante l'accertata ingiustizia del sistema dell'Isee, i disabili e lo loro famiglie continuano ad essere gravemente danneggiati dallo stesso, in quanto privati illegittimamente di servizi socio-sanitari essenziali. (5-08641)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   con ben 5 atti di sindacato ispettivo, di cui 2 ancora senza risposta, l'interrogante ha sollecitato il Governo a risolvere le problematiche inerenti all'esaurimento delle risorse di bilancio destinate al finanziamento dell'imprenditorialità giovanile ai sensi del decreto legislativo n. 185 del 2000 come anche le problematiche della società Sviluppo Italia Sicilia che dell'istruttoria di queste domande si occupava nel recente passato;
   nel corso del 2015 e come si può appurare dalla lettura delle precedenti interrogazioni presentate, quella che l'interrogante giudica una colpevole inazione del Governo ha fatto sì che i soggetti che avevano presentato domanda di finanziamento ai sensi del decreto legislativo n. 185 del 2000 avessero visto la stessa respinta con motivazioni a giudizio dell'interrogante del tutto non condivisibili;
   le domande presentate ad Invitalia nel periodo immediatamente precedente all'8 agosto 2015, invece, sono state semplicemente restituite per mancanza di fondi;
   in Sicilia, come se si dovesse pagare un maggiore dazio per, non si comprende, quali maggiori e più gravi colpe, il Governo regionale fa tutto ed il contrario di tutto: dichiara Sviluppo Italia Sicilia «società strategica per il perseguimento delle finalità istituzionali della Regione nell'ambito dell'area strategica sviluppo» per cui dipendenti della società, professionisti e giovani continuano a porre le loro speranze nella possibilità di poter costruire delle attività economiche nella nostra Isola; crea un fondo regionale, «Garanzia giovani» e lo dà in gestione ad Invitalia a Roma, posto che la stessa società non ha uffici in Sicilia; mette in liquidazione Sviluppo Italia Sicilia nello stesso momento in cui dovrebbe spendere quasi un miliardo di euro comunitari su progetti di creazione d'impresa;
   al danno appena descritto, si aggiunge la beffa della decisione del Governo di rifinanziare il decreto legislativo n. 185 del 2000 con uno stanziamento di 40 milioni di euro, secondo quanto riportano i maggiori quotidiani nazionali;
   il danno arrecato alle economie, ai lavoratori, ai futuri imprenditori del Sud ed ai professionisti del settore sono incalcolabili e non tenuti in alcun conto dal Governo;
   solo pochi mesi fa, in occasione dell'esame della legge di stabilità 2016, su invito del Governo è stato ritirato uno specifico emendamento della maggioranza e sono stati respinti emendamenti dell'opposizione, fra cui quelli dell'interrogante, che ripristinavano i finanziamenti al decreto legislativo n. 185 del 2000 con le ripercussioni economiche facilmente immaginabili;
   un danno certo ed immediatamente quantificabile è quello dei lavoratori di Sviluppo Italia Sicilia che si trovano senza stipendio da mesi e che non hanno alcuna prospettiva di lavoro pur essendo a parere dell'interrogante le casse di Invitalia, della regione siciliana e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali piene di fondi dedicati alla creazione ed allo sviluppo di imprese giovanili nel Meridione;
   in tutta questa vicenda, per l'interrogante, il Governo non ha pensato minimamente al danno arrecato agli operatori tutti e ad eventuali misure risarcitorie nei loro riguardi –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, abbia intenzione di adottare il Governo per far sì che lo strumento del finanziamento alle nuove imprese non abbia più a subire le vicende esposte in premessa. (4-13142)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la struttura delle aliquote Iva vigente nell'Unione europea, con la cosiddetta direttiva iva (2006/112/CE del 28 novembre 2006 e relative modifiche), prevede un'aliquota ordinaria/standard non inferiore al 15 per cento, e due aliquote ridotte, non inferiori del 5 per cento, che gli Stati membri possono applicare a determinate categorie di beni concordate di volta in volta con varie revisioni dell'Allegato III della direttiva IVA;
   con riferimento ai prodotti di protezione igienica assorbenti, si rileva che la cosiddetta direttiva Iva include i «prodotti di protezione dell'igiene femminile» nella categoria di beni assoggettati alle aliquote ridotte;
   la Commissione europea aveva tentato di estendere tale elenco ai prodotti pannolini per bambini, prevedendo l'inclusione dei generici «prodotti di protezione igienica assorbenti»;
   tuttavia, poiché la modifica voluta dalla Commissione comprendeva una notevole estensione ad altre categorie, l'Ecofin (Consiglio economia e finanza) ha ritenuto all'unanimità di non accogliere, tra le altre, l'estensione dell'aliquota agevolata per i prodotti di protezione igienica assorbenti, e quindi per pannolini per bambini;
   si evidenzia che il regime attuale dell'Iva, basato sulle disposizioni transitorie della direttiva 2006/112/CE, è caratterizzato da una grande disparità. Alcuni Stati membri, sulla base di deroghe specifiche, solitamente dovute a ragioni storiche e sotto alcune condizioni, applicano già aliquote ridotte e speciali (cosiddetta super-reduced);
   a fronte di una serie di richieste avanzate dagli Stati membri, la Commissione europea si è impegnata a rivedere la direttiva Iva entro il 2016 dando più potere agli stessi in materia;
   un segnale dell'intenzione di rivedere il sistema si è avuto con il Consiglio europeo del 17-18 marzo 2016, che ha accolto con favore l'intenzione della Commissione europea di includere proposte relative a una maggiore flessibilità per gli Stati membri in materia di aliquote Iva ridotte, che offrano agli Stati membri la possibilità di applicare un'aliquota Iva zero sui prodotti sanitari;
   il Governo britannico, proprio di recente, ha previsto la completa eliminazione dell'Iva al 5 per cento sui prodotti sanitari assorbenti per l'igiene femminile (cosiddetta tampon tax) e il Governo francese ha negli scorsi mesi ridotto l'Iva su tali prodotti dal 20 per cento al 5,5 per cento;
   il 7 aprile 2016, la Commissione europea ha presentato il Piano d'azione per un regime definitivo dell'Iva con l'obiettivo di aggiornare, semplificandolo, l'attuale sistema dell'Iva nell'Unione europea, sostenere al meglio il mercato unico, facilitare gli scambi transfrontalieri e stare al passo con l'economia odierna, sempre più digitale;
   in Italia, l'Iva super-ridotta al 4 per cento è applicata sui beni alimentari di prima necessità degli adulti, quali pane e latte, mentre sugli identici beni destinati ai bambini, quali omogenizzati e latte in polvere o vegetale viene applicata un'aliquota del 10 per cento, i prodotti sanitari assorbenti per l'infanzia e per l'igiene femminile sono invece tassati al 22 per cento;
   i prodotti igienico-sanitari femminili devono essere considerati per ciò che sono e cioè beni essenziali, la cui spesa inevitabile – per tutto o quasi l'arco di vita di una donna – ha impatti economici rilevanti soprattutto sulle famiglie meno abbienti;
   si rammenta che il 1o marzo 2016 è stata trasmessa alla Camera dei deputati e assegnata alla Commissione finanze, una proposta di legge presentata dai deputati Brignone e Civati, concernente «Modifica alla tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per la riduzione dell'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto relativa ai prodotti sanitari o igienici destinati alle donne» con l'obiettivo di ridurre l'Iva dal 22 per cento al 4 per cento anche per tutti quei prodotti igienici destinati alle donne, quindi gli assorbenti, i tamponi, le coppe e le spugne mestruali;
   inoltre, da alcuni mesi su Change.org è stata attivata una petizione con lo stesso obiettivo della proposta di legge, chiedendo al Ministro dell'economia e delle finanze di ridurre al minimo l'Iva sugli assorbenti femminili –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla revisione a livello europeo dell'intera normativa sull'Iva, nonché in merito alla riduzione dell'Iva sui prodotti di protezione dell'igiene femminile e dei prodotti assorbenti per l'infanzia in Italia;
   quali iniziative il Governo intenda assumere nelle sedi europee competenti, affinché si proceda nel più breve tempo possibile ad una riduzione dell'Iva per queste tipologie di prodotti;
   se non si ritenga opportuno – nelle more della revisione della direttiva europea – adottare iniziative normative volte a portare l'aliquota Iva al 10 per cento sia per i prodotti di protezione dell'igiene femminile, che per i prodotti assorbenti per l'infanzia. (4-13148)


   ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico è stata istituita con la legge 14 novembre 1995, n. 481, al fine di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità; successivamente le competenze demandate hanno compreso anche quelle relative al sistema idrico; si tratta, quindi, di funzioni altamente strategiche per gli interessi del Paese e dei consumatori;
   l'Autorità, per definizione e per legge, agisce in regime di autonomia ed indipendenza;
   tuttavia, il legislatore ha ritenuto che le autorità in generale non potessero essere escluse dai provvedimenti di contenimento della spesa di gestione e per il personale;
   ai sensi del citato provvedimento di istituzione al personale dipendente si applica il trattamento giuridico ed economico dal contratto collettivo di lavoro in vigore per l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   l'ordinamento del personale comprende strumenti significativi di riconoscimento di professionalità e produttività del singolo dipendente; infatti, si prevede, tra l'altro, che ogni anno vengano attribuiti da uno a tre scatti legati funzionalmente al sistema di rilevazione della prestazione individuale e della connessa valutazione; una procedura attuata negli anni che non ha mancato di produrre positivi effetti in termini di incentivo a migliorare progressivamente la preparazione professionale e il rendimento;
   recentemente e inaspettatamente e senza che nessuna organizzazione sindacale avesse avanzato richieste in merito, l'Autorità ha posto all'ordine del giorno della negoziazione l'assegnazione di ulteriori scatti, extra budget, da attribuire discrezionalmente;
   si tratta di una proposta che avrebbe un significativo impatto, considerato il valore dello scatto, sulla spesa per il personale, si collocherebbe al di fuori di una procedura già contrattualizzata che comunque contiene elementi di trasparenza, potrebbe ipoteticamente avere impatto sugli atteggiamenti di indipendenza richiesta ai funzionari dell'Autorità, che, attesa anche la delicatezza e rilevanza dei compiti svolti, dovrebbe essere sempre preservata quale valore fondante ed irrinunciabile del loro agire –:
   se il Governo non intenda assumere le iniziative di competenza, in particolare normative, al fine di rendere più stringenti i meccanismi di controllo della spesa pubblica per il personale, con specifico riferimento alle autorità «di garanzia».
(4-13152)


   BARBANTI, MAGORNO e BRUNO BOSSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2009 con delibera di giunta regionale n. 311, veniva approvato lo schema di convenzione tra l'Agenzia per i servizi sanitari regionali e la regione Calabria per procedere alla riorganizzazione dei servizi sanitari e alla presentazione del piano di rientro;
   nell'ambito del PON GAT 2007-2013, priorità 10 del quadro strategico nazionale (QSN 2007-2013), teso alla realizzazione dell'obiettivo specifico 10.1.1 «Rafforzare le competenze tecniche e di governo delle amministrazioni e degli enti attuatori, per migliorare l'efficacia della programmazione e la qualità degli interventi per offrire servizi migliori alla cittadinanza», il Ministero della salute ha presentato il «piano di riorganizzazione e rafforzamento delle capacità» articolato in due parti:
    a) progetto operativo di assistenza tecnica alle regioni dell'obiettivo convergenza (POAT);
    b) piano di riorganizzazione interna (PRI);
   il Piano – è scritto nel progetto – «delinea le azioni che il Ministero intende mettere in atto per supportare e rafforzare le competenze delle Regioni nell'attuazione delle politiche di sviluppo nel settore salute per il ciclo di programmazione 2007-2013»;
   la regione Calabria ha aderito a tale progetto che si è chiuso con il ciclo di programmazione 2007/2013, di cui non è noto il risultato ottenuto e gli obiettivi raggiunti;
   nel 2015 l'Agenas ha sottoscritto con alcune regioni delle convenzioni e accordi a titolo oneroso per lo svolgimento di attività strategiche e supporto alle regioni e gli accordi di collaborazione per il miglioramento dei servizi erogati e il monitoraggio della spesa;
   tali accordi sono stati sostenuti e sottoscritti dai direttori generali e/o assessori dalle regioni Piemonte (23 ottobre 2015), Sicilia (17 agosto 2015), Puglia (23 marzo 2015) e Abruzzo (10 dicembre 2015);
   il 9 maggio 2016 è stato pubblicato sul sito istituzionale della regione Calabria lo schema di convenzione tra la regione e l'Agenas; i contraenti della convenzione per la regione Calabria sono il commissario ad acta per il piano di rientro Massimo Scura e il sub commissario Andrea Urbani;
   il presidente della regione, Mario Oliverio, tramite il consulente delegato alla sanità Franco Pacenza, ha fatto sapere di essere all'oscuro di tale accordo che per la regione prevede un onere di 250 mila euro;
   l'Agenas già collabora al Comitato Lea e quindi al tavolo di verifica e monitoraggio dei piani di rientro di tutte le regioni compreso la Calabria;
   il sub commissario per l'attuazione del piano di rientro, Andrea Urbani, è anche componente del collegio sindacale dell'Agenas –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopraesposto e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire il pieno rispetto da parte della struttura commissariale delle competenze ad essa affidate e assicurarne il corretto operato;
   se il Governo sia al corrente che gli obiettivi della convenzione sarebbero stati già raggiunti dall'ufficio del commissario come risulterebbe da dichiarazioni pubbliche e da verbale dei tavoli di verifica;
   come si intenda garantire che tale procedura assicuri un efficace e corretto impiego di denaro pubblico e se non sussistano le condizioni per inoltrare una segnalazione alla Corte dei Conti.
(4-13157)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato da ilfattoquotidiano.it dal titolo «Ferrovie dello Stato, l'ad Mazzoncini indagato in inchiesta per truffa sui finanziamenti pubblici a Busitalia» e del corrieredelveneto.it del 7 aprile 2016, si apprende che «L'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Renato Mazzoncini, renziano doc nominato a novembre al posto di Michele Mario Elia, è indagato insieme ad altre quattro persone in un'inchiesta della procura di Perugia per presunta truffa ai danni dello Stato nell'ambito delle erogazioni pubbliche del ministero dei Trasporti, tramite la Regione, a Busitalia, di cui è stato numero uno, e Umbria Mobilità. L'ipotesi al centro dell'indagine è che siano stati alterati i dati da inviare all'Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico e in base ai quali sono stati concessi i finanziamenti (...) Mazzoncini nel 2012 ha firmato un accordo con l'allora sindaco di Firenze Matteo Renzi per la cosiddetta privatizzazione dell'Ataf, l'azienda tranviaria fiorentina, venduta dal comune allo Stato. Proprio nel giorno in cui si diffonde la notizia dell'indagine, il Tesoro conferma le indiscrezioni dei giorni scorsi sull'ipotesi di fondere le Fs con l'Anas, la società pubblica che gestisce la rete stradale e autostradale. L'operazione «è un'ipotesi allo studio, potrebbe essere una buona idea, creerebbe il primo gruppo infrastrutturale italiano», ha detto infatti il capo della segretario tecnica del Tesoro, Fabrizio Pagani, parlando durante il Salone del Risparmio. In serata Mazzoncini ha precisato di «non aver mai ricoperto cariche operative o di rappresentanza in alcuna delle società operanti in Umbria: di non aver conseguentemente mai preso in alcun modo parte né direttamente né indirettamente a trasmissioni di dati all'Osservatorio nazionale: e di essere quindi totalmente estraneo ai fatti contestati»;
   in particolare, la procura di Perugia contesta i reati di falso ideologico e truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche per i quali «è indagato l'attuale numero tre di Trenitalia, Enrico Grigliatti, il supermanager a capo della Direzione amministrazione, finanza e controllo, e Renato Mazzoncini, salito neanche cinque mesi fa ai vertici di Ferrovie con il prestigioso incarico di amministratore delegato.» (da www.umbria24.it del 7 aprile 2016);
   come detto, secondo i magistrati perugini, l'ipotesi è che siano stati alterati i dati da inviare all'Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico e in base ai quali sono stati concessi i finanziamenti statali;
   Umbria mobilità spa, società umbra di trasporto pubblico, versava in una grave crisi finanziaria ed economica: la società presenta uno squilibrio strutturale tra costi e ricavi delle diverse attività oscillante tra gli 8 e i 10 milioni di euro/anno, presentando un elevato indebitamento (euro 93.325.022 al 31 dicembre 2011), sia a breve sia a medio-lungo termine (conseguente anche ai ritardi nei pagamenti da parte degli enti concedenti e delle società collegate); ha rilasciato fidejussioni per importi rilevanti (euro 152.072.153 al 31 dicembre 2011); iscrive crediti importanti verso clienti (euro 46.776.482 al 31 dicembre 2011), società controllate e collegate (euro 39.412.983 al 31 dicembre 2011) e verso altri (euro 192.367.545 al 31 dicembre 2011) di difficile realizzo;
   tuttavia, anche attualmente la società Umbria Mobilità, l'azienda di trasporto pubblico locale umbra, dal 2014 di proprietà del gruppo Busitalia – Sita Nord, che detiene anche un terzo di Roma TPL, partecipazione ereditata da Apm, una delle sette aziende che si erano fuse creando Umbria Mobilità, non presenta, ad avviso degli interroganti, una situazione trasparente;
   ma ora, – come emerge da un articolo dal titolo «Conti creativi a Umbria Mobilità «Dobbiamo abbassare i ricavi 2012». Le telefonate tra Franco Viola e il numero uno di Fs, Mazzoncini» in LaNazione Umbria del 7 maggio 2016 che pubblica alcuni stralci di intercettazioni telefoniche –, grave appare la posizione e il ruolo avuto nella vicenda dall'Amministratore delegato Renato Mazzoncini: «I conti andavano «messi a posto» con una «contabilità creativa», anche se «traballante» e «tirata per i capelli». Così da non incappare nella «tagliola» della penalità che avrebbe significato una perdita secca di 6 milioni di trasferimenti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla Regione perché le aziende – e in questo caso Umbria Mobilità – non erano riuscite a raggiungere gli obiettivi richiesti sui ricavi «autonomi». Ovvero il miglioramento del 2 per cento del rapporto tra ricavi/ricavi +- corrispettivi nei numeri inviati all'Osservatorio nazionale. Ed è nell'autunno 2015, quando si capisce il problema, che l'allora Ad Franco Viola mette in atto quella che nelle conversazioni intercettate chiama «contabilità creativa» per taroccare i numeri – secondo l'accusa – e non far perdere i 6 milioni. La soluzione è «gonfiare» i corrispettivi inserendovi quei soldi pubblici – secondo l'accusa – che nel 2012 servirono per «salvare la baracca» Um. E che ora servirebbero invece per «gonfiare il denominatore del 2012 per avere la possibilità di non perdere i 6 milioni non dovuti, essendo stata sfocata una formula che impone un'oculata gestione della cosa pubblica. La trovata è geniale annota la polizia peccato che «Pantalone» paghi due volte: la prima nel 2012 per la mala gestio, la seconda nel 2015 per frutto di un (sempre più probabile) intento di truffare l'osservatorio». Ma per fare questo Viola ha «bisogno di una mano». Lo stratagemma viene ideato anche su consiglio dell'attuale numero uno di Ferrovie, Renato Mazzoncini (allora Ad Busitalia): si pensa – secondo quanto emerge – non tanto di alzare i parametri degli ultimi anni ma di abbassare quelli precedenti. «Scusa, il 2012 va abbassato», dice Mazzoncini a Viola. Quest'ultimo risponde: «È quello che siamo andati a fare a Roma, ma ci hanno risposto picche» (perché in effetti il primo contatto con i funzionari dell'Osservatorio si rivela fallimentare «Io avevo trovato delle poste ma quelli non le vogliono vedere perché per loro contano solo i contratti di servizio»). Mazzoncini dice di poter parlare con qualcuno. «Ma il contributo non puoi alzarlo o abbassarlo – è ancora Mazzoncini –, il contributo è quello, puoi agire sui ricavi ...noi come ricavi abbiamo quelli di Umbria spa e sono quelli, basta... invece per Trenitalia, siccome Trenitalia regionale sono molto più diffusi... quindi l'unica cosa che può essere rivista sono i ricavi da tariffa che in quel caso vanno abbassati. Capisci ?». Considerando – annotano gli investigatori della squadra mobile di Perugia nell'informativa al pm Manuela Comodi – contributo ciò che contributo non è, per «gonfiare» il denominatore a propri fini»;
   questi i contatti tra i vertici del trasporto locale e i «big» nazionali per far tornare i conti e non subire la penalizzazione; e alla fine, infatti, l'Osservatorio convaliderà i nuovi dati;
   Mazzoncini è stato anche presidente dell'Ataf, l'azienda tranviaria fiorentina, privatizzata nel 2012 proprio grazie ad un accordo tra l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi e lo stesso Mazzoncini –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, abbia fino ad oggi intrapreso o intenda intraprendere al fine di accertare i fatti esposti in premessa;
   se la decisione di convalidare i dati da parte dell'Osservatorio nazionale nelle politiche per il trasporto pubblico locale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti trasmessi con la richiesta di rettifica da parte di Umbria Mobilità, in considerazione della rilevanza della cifra, sia stata attentamente vagliata e approvata dai funzionari governativi e per quali motivi tale rettifica sia stata ritenuta legittima ed accettata dall'Osservatorio;
   se il Governo intenda fare luce con un'adeguata verifica in merito all'accettazione, alla legittimità e alla correttezza dei dati trasmessi da Umbria Mobilità con la suddetta rettifica;
   se il Governo, al di là del percorso giudiziario, ritenga corretta la condotta dell'amministratore delegato Renato Mazzoncini nella vicenda in esame e conforme ai principi di qualità, trasparenza e correttezza dei processi decisionali che dovrebbero contraddistinguere le scelte di un manager pubblico e se consideri opportuna la permanenza dello stesso, in ragione dei gravi fatti descritti, al vertice del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e se non ritenga dunque appropriato, vista l'importanza che tale società riveste nel campo dei trasporti e delle infrastrutture, assumere iniziative per procedere alla revoca dell'incarico conferito. (4-13159)


   COSTANTINO, SCOTTO, DURANTI, RICCIATTI, PANNARALE, NICCHI, PIRAS e PELLEGRINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Biagio Di Muro è stato sindaco del comune di Santa Maria Capua Vetere in provincia di Caserta dal maggio 2011 fino al dicembre 2015, mese in cui il suddetto comune è stato commissariato in seguito alla dimissione di 14 consiglieri comunali;
   il prefetto di Caserta, dopo l'autorizzazione allo scioglimento del consiglio comunale, aveva con proprio decreto quindi nominato un commissario e due subcommissari fino a indizione di nuove elezioni;
   le elezioni della nuova amministrazione comunale rientrano nella tornata elettorale amministrativa di quest'anno, che si terranno nel mese di giugno;
   nel 1996 lo storico palazzo comunale Teti Maffuccini era stato confiscato all'allora vicesindaco della città in seguito ad una condanna per tangenti; vicesindaco che è a sua volta padre di colui che nel 2011 sarebbe stato eletto sindaco, Biagio Di Muro, e assegnato al comune affinché lo restituisse alla comunità;
   l'aggiudicazione provvisoria dei lavori di restauro di Palazzo Teti risale a febbraio 2014 (durante la consiliatura del sindaco Di Muro). Quella definitiva non è mai avvenuta, facendo finire la questione nelle mani della direzione distrettuale antimafia. Il palazzo in cui alloggiò Giuseppe Garibaldi era infatti al centro dell'inchiesta Medea sulle infiltrazioni della camorra nella gestione di grandi appalti;
   l'allora sindaco Biagio Di Muro divenne perciò in pratica, in quanto primo cittadino, amministratore di un bene di famiglia e confiscato al padre anni prima;
   nel mese d'aprile 2016, il nucleo regionale di polizia tributaria della guardia di finanza e i carabinieri del nucleo investigativo di Caserta hanno emesso numerose ordinanze di custodia cautelare, una di queste emessa proprio nei confronti di Biagio Di Muro. Insieme all'ex primo cittadino sono coinvolti nell'inchiesta imprenditori, funzionari comunali e professionisti. I reati ipotizzati vanno da corruzione a turbativa d'asta e falso ideologico. Tra le ipotesi investigative anche l'aggravante di aver agevolato la criminalità organizzata e in particolare il clan camorristico dei Casalesi;
   lo spunto investigativo parte da un'intercettazione di una conversazione di colloqui avvenuti tra Biagio Di Muro e Alessandro Zagaria, omonimo del boss – anche lui arrestato – in cui si evincerebbe che il presidente del Partito democratico campano, nonché consigliere regionale, Stefano Graziano si sarebbe posto «come punto di riferimento politico e amministrativo» del clan Zagaria per garantirsi un pacchetto di voti. Graziano si sarebbe attivato per favorire il finanziamento dei lavori di consolidamento di Palazzo Teti Maffuccini, proprio negli anni in cui Biagio Di Muro era sindaco ed amministratore del bene confiscato al padre negli anni ’90;
   nello specifico, per quanto riguarda gli arresti per turbativa d'asta nei confronti dell'ex sindaco, di un consigliere, di un funzionario comunale, in merito alla procedura ad evidenza pubblica afferente alla progettazione e esecuzione dei lavori del «Palazzo Teti Maffuccini», il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto la sussistenza di un illecito accordo che ha visto nel ruolo di corruttori l'ingegnere Guglielmo La Regina – rappresentante legale della «Archicons srl», società che si è occupata della progettazione dei lavori in argomento – e Marco Cascella, rappresentante legale della «Lande srl», che si è aggiudicata il relativo appalto del valore di oltre 2 milioni di euro. I beneficiari delle «tangenti» elargite da questi imprenditori sono stati il predetto sindaco Di Muro e alcuni componenti della commissione di gara all'uopo nominata (in specie, il RUP della gara Roberto Di Tommaso e il professor Vincenzo Manocchio), che hanno favorito le aziende corruttrici mediante l'attribuzione del necessario punteggio tecnico nelle procedure di gara. La «mazzetta» corrisposta, per un valore al momento accertato di 70 mila euro, è stata contabilmente giustificata dall'emissione di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti da parte di aziende compiacenti, facenti capo al dottore commercialista Raffaele Capasso (consulente fiscale ed amico del nominato ingegnere La Regina), e all'ingegnere Vincenzo Fioretto;
   la sopra citata società Lande srl ha vinto numerosi appalti banditi dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e diversi appalti per il Grande Progetto Pompei;
   appena saputo di questa fitta rete di corruzione, molti cittadini sammaritani hanno chiesto al prefetto di Caserta, nell'attesa che la magistratura continui a fare chiarezza, di nominare con la massima urgenza una commissione di accesso per il comune di San Maria Capua Vetere e di intervenire perché non si tengano le prossime elezioni amministrative, ritenendo troppo breve l'esperienza annuale del commissariamento, anche alla luce del coinvolgimento nell'ultima inchiesta di funzionari attuali del comune –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non ritenga di dover avviare una verifica rispetto alle collaborazioni con la società Lande srl, e che bilancio possa fornire, specie alla luce delle nuove inchieste e degli ultimi arresti, il Ministero dell'interno rispetto ad un commissariamento di soli 6 mesi del comune sammaritano. (4-13160)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   BUENO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni la prenotazione dell'appuntamento per il disbrigo delle pratiche amministrative, presso la rete diplomatico-consolare italiana nel mondo, si può realizzare solo on-line, salvo sporadici casi;
   si tratta del sistema informatico «prenota on-line» per la gestione degli appuntamenti, accessibile attraverso i siti web delle rappresentanze italiane all'estero. Tale applicativo consente di disciplinare in modo più razionale le richieste dell'utenza per alcuni servizi (passaporti, ma anche carte d'identità e legalizzazioni), evitando un afflusso indiscriminato di pubblico, che spesso si traduce in lunghe file allo sportello, senza la certezza di poter ottenere il servizio richiesto;
   i dati ministeriali sul sistema parlano chiaro: 110 sono le rappresentanze che nel mondo utilizzano questa procedura e nel 2015 sono state effettuate 437.879 prenotazioni nel mondo di cui alcune cumulative per un totale di 485.984;
   tale applicativo «prenota on-line» non è esclusivo, in quanto le sedi ricevono i connazionali anche senza prenotazione, nei casi di urgenza o emergenza, anche perché molte sedi fanno fronte alla domanda con strumenti più tradizionali, in funzione delle caratteristiche della comunità italiana residente (persone anziane o non abituate all'utilizzo di mezzi informatici);
   «prenota on-line» potrebbe essere realmente un valido strumento per consentire di programmare in anticipo giorno e ora di ricevimento, evitando faticosi spostamenti e dando modo all'ufficio di istruire la pratica, verificando, ad esempio, nel caso dei passaporti, la posizione anagrafica, l'assenza di motivi ostativi da parte delle questure, l'assenso dell'altro genitore in caso di esistenza di figli minori e così via;
   l'utente registrato può visualizzare tutti i servizi attivi presso la sede, date e fasce orarie disponibili per l'appuntamento. Ciascuna sede infatti, in completa autonomia, imposta il numero di prenotazioni giornaliere e la loro frequenza oraria;
   da informazioni giunte all'interrogante, purtroppo, l'applicativo informatico risulta non funzionare come dovrebbe, offrendo un utilizzo estremamente difficile;
   il sistema è unico per tutti i consolati italiani del mondo e la forte domanda presente in molti consolati, rende il sistema estremamente lento; i pochi posti disponibili per la programmazione giornaliera si esauriscono in pochi secondi, costringendo l'utente a ripetere più volte l'operazione con il «prenota on-line» senza magari riuscire a completare l'operazione e ad avere quindi il sospirato appuntamento;
   risulta, inoltre, all'interrogante che il punto debole sia soprattutto quello della sicurezza del sistema informatico che non funziona, nel senso che si può invadere il sistema e cambiare la prenotazione o che, addirittura, da siti differenti arrivano richieste che fanno incetta di appuntamenti con scopi poco trasparenti –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Ministro interrogato per rafforzare il sistema degli appuntamenti online, in particolare dal punto di vista della sicurezza, garantendo un servizio semplice e veloce teso a soddisfare le esigenze dei connazionali che si rivolgono agli uffici consolari. (4-13146)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MATARRESE, GALGANO, D'AGOSTINO e VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   un'inchiesta del quotidiano locale Corriere dell'Umbria ha portato alla luce l'esistenza di una «Valle dei fuochi» in regione: l'area interessata è una vasta porzione della Valnestore, in particolare la zona intorno alla vecchia centrale di Pietrafitta, e i fatti risalgono al periodo a cavallo degli anni ’80 e ’90 quando sarebbero stati interrati rifiuti solidi urbani, coperti poi dalle ceneri di risulta della combustione di lignite, nascosti in superficie dalla vegetazione;
   un allarme ambientale di dimensioni considerevoli tanto da indurre forti preoccupazioni nella popolazione in ordine alla possibile ricorrenza di un danno ambientale o di un rischio elevato dovuto alla possibile presenza di materiale pericoloso e all'assenza di analisi preventive;
   in Italia la disciplina normativa a tutela dell'ambiente risale soltanto al 1997 con il decreto cosiddetto «Ronchi» (decreto-legge 22 del 1997), dal nome dell'allora Ministro dell'ambiente Edo Ronchi. Prima della predetta normativa, oggi interamente abrogata dal testo unico ambientale (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), l'unica tutela nei confronti della corretta gestione dei residui urbani così come di quelli industriali era rappresentata dal decreto del Presidente della Repubblica del 10 settembre 1982, n. 915;
   all'epoca, quindi, cui risalirebbero gli sversamenti e gli interramenti nella Valle dei fuochi umbra non vi era una normativa di riferimento di rango primario cui fare riferimento;
   nell'area interessata dall'inchiesta il terreno è stratificato con in superficie ciuffi d'erba, scendendo si trovano ciottoli di pietre, poi rifiuti, pezzi e buste di plastica e sopra un fondo di impasto nero. Sarebbe la prova – secondo chi dice di avere visto in quell'area scaricare camion di rifiuti – che qui insisteva una discarica, mai segnalata, sia per i rifiuti solidi che per gli scarti di cenere;
   la zona in questione – secondo l'inchiesta – è di un paio di chilometri, mentre il periodo di riversamento delle polveri sfiorerebbe i 30 anni. Alcuni testimoni hanno raccontato che avrebbero visto i camion della nettezza urbana andare a scaricare proprio in quelle aree tra il comune di Piegaro e quello di Panicale, destinate a discarica di cenere: i rifiuti sarebbero stati depositati a fianco alle montagne di cenere, poi le ruspe l'avrebbero prelevata a paiate e l'avrebbero cosparsa sopra all'immondizia, a strati;
   la cenere era il residuo dell'attività della centrale di lignite che insisteva nella zona di Pietrafitta, dove hanno lavorato oltre 350 persone, che diede calore alle acciaierie ternane e fu all'origine della centrale termoelettrica che nel 1958 erogava 48 megawatt. Nel 2001 la lignite è finita, la centrale ha cessato le attività e ora restano soltanto le ceneri, probabilmente miste a spazzatura;
   l'inchiesta fa riferimento anche alle emissioni della vecchia centrale: come detto, dal 1958 al 1985/86 il materiale usato come combustibile era la lignite di Pietrafitta. Dalle indagini si evince che le emissioni della suddetta ciminiera erano definite accettabili. Dopo il 1985 la vecchia centrale ha funzionato con miscele di ogni genere: carbone, diversi tipi di lignite, vinacciolo, nocciolino, sansa e grandi quantità di lignite esportata da Bastardo, che di fatto era mista ad argilla e perciò per farla ardere veniva imbevuta di gasolio. Non solo, in via sperimentale furono bruciati i residui della combustione in caldaie della centrale di Civitavecchia e per una sola notte venne usato come combustibile sempre in via sperimentale della naftalina;
   sul caso della Valle dei fuochi sono state aperte inchieste oltre che dalle amministrazioni dei comuni interessati, dall'Arpa Umbria, dall'Usi e dalla procura della Repubblica;
   in particolare l'Arpa ha effettuato prelievi nei terreni in cui sono stati rinvenuti i rifiuti e anche analisi sui pozzi della zona rilevando una quantità di arsenico di 19,8 microgrammi per litro quando il limite è di dieci: quindi quasi il doppio del livello consentito. La falda acquifera sarebbe inquinata da una sostanza che rientra nel percolato tipico (assieme ad altri metalli pesanti) delle ceneri da carbone interrate senza piatti di contenimento. Arpa e Usi hanno segnalato l'esito al comune di Panicale che ha emesso un'ordinanza che fissa il divieto di uso potabile del pozzo degli impianti sportivi di Tavernelle;
   l'Arpa ha inviato i dati in attesa che ulteriori indagini permettano di perimetrare l'area interessata dalla contaminazione (mappata tra le discariche e gli interramenti di ceneri e rifiuti nella Valnestore oggetto dell'inchiesta giornalistica del Corriere dell'Umbria e dell'indagine della procura della Repubblica di Perugia) per effettuare altri prelievi delle acque sotterranee;
   intanto i comuni di Panicale e Piegaro, attraverso una nota, hanno evidenziato che «le Amministrazioni sono da diverso tempo impegnate nelle ricerche della documentazione archivistica che ha riguardato a vario titolo l'interramento di ceneri nei territori dei due comuni. La nostra è una comunità segnata da un momento storico nel quale la gestione dei rifiuti e la pressione ambientale delle attività generate dalla centrale a lignite allora in attività hanno portato ad una complessiva rimozione di ciò che è successo, in questo territorio come in molti altri, quando ancora le normative e la sensibilità pubblica su questo tema non si erano del tutto sviluppate»;
   anche i cittadini si sono mobilitati costituendo il comitato «Soltanto la salute» che ha organizzato diverse assemblee per informare la popolazione a Colle San Paolo, Pietrafitta, Fontignano, Macereto e Castiglion Fosco. Un comitato che si dice pronto a metter in campo anche analisi private sullo stato dell'ambiente in Valnestore;
   al quotidiano locale che ha sollevato il caso della Valle dei fuochi è stata recapitata anche una lettera che riporta in calce la firma «I malati di cancro della Valnestore» nella quale si fa riferimento al possibile collegamento tra le ceneri, l'interramento dei rifiuti e il tasso di incidenza e mortalità per cancro che, nell'area in questione, è sopra alla media regionale. Una lettera durissima nella quale si attacca «un sistema di potere che ha fatto della Valnestore la pattumiera dell'Umbria»;
   nella mappa interattiva del registro tumori umbro di popolazione (Rtup), infatti, selezionando il periodo compreso tra il 2004 e il 2011 per i nuovi casi di tumore che hanno colpito la regione, il territorio compreso tra le frazioni di Pietrafitta e Tavernelle (Panicale) e il capoluogo di Piegaro si tinge di rosso. Sono poche, pochissime in Umbria le zone che assumono lo stesso colore ad indicare che i numeri sono più alti che nel resto della regione;
   il 6 maggio 2016 i consiglieri regionali della terza commissione hanno effettuato un sopralluogo sui luoghi simbolo dell'inchiesta della Valnestore. La visita è partita nell'area industriale della Potassa a Tavernelle, poi si è fatto tappa alla vecchia centrale Enel e quindi nella Valnestore. «La Commissione ha voluto fare una verifica sul terreno per rendersi meglio conto di cosa si parla, dato che c’è un'indagine in corso e sono usciti articoli di stampa che hanno destato un certo allarme – ha detto il presidente della commissione, Attilio Solinas – In questo momento non si possono tirare conclusioni azzardate, non prima di una attenta verifica scientifica. Necessario indagare sulle ceneri di lignite versate per decenni in quantità enormi, anche in epoche in cui non esisteva la legislazione attuale e i relativi controlli. L'Arpa analizzerà tutte le possibili sedi di inquinamento, dai terreni alle acque. Siamo qui anche per tutelare un territorio importante per le attrattive turistiche, le imprese agricole, le attività legate alla pesca, per non parlare del museo paleontologico»;
   i materiali provenienti dalla ex centrale sono stati inoltre riutilizzati per realizzare «riporti», rilevati alti sino a 2 metri circa, in aree produttive, spazi per sport e tempo libero, in una zona abbastanza vasta, nonché rimodulazioni ambientali (anche piccole collinette): si parla di 4 milioni di metri cubi di materiale destinati a tali usi. A questo si aggiungono altri materiali affiorati, in corso di valutazione, in campi, prossimi a due discariche autorizzate già dal 1986 –:
   se il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza, un accertamento sulla zona «Valle dei fuochi», anche attraverso specifiche verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente o di altri organi ed enti a ciò preposti, e se non si intenda predisporre un monitoraggio ministeriale, i cui esiti siano resi facilmente consultabili dal pubblico, che individui le aree ed i singoli impianti dove le ceneri di carbone siano state conferite sia per essere reimpiegate che smaltite. (5-08649)


   PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la presidenza del parco nazionale Dolomiti bellunesi è ancora vacante e a quanto si apprende da fonti di stampa i veti incrociati fra i candidati in linea per il prestigioso posto a capo del parco non permettono di giungere a candidature definite;
   la proposta di nomina deve essere in conclusione formalizzata dal Ministro interrogato e sottoposta al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti, e sembra che anche da parte delle forze politiche di maggioranza vi siano difficoltà nella definizione della scelta da compiere;
   da qualche tempo, oltre a Simonetta Buttignon, che ha un passato importante all'interno del Partito democratico, sono stati avanzati altri nomi per la presidenza del Parco: Orlando Dal Farra, attuale membro di giunta a Villa Binotto, e di Fabio «Rufus» Bristot, ex delegato provinciale del soccorso alpino Dolomiti bellunesi al momento è consigliere in provincia, ma non ha altri incarichi. Dal Farra, invece, è presidente dell'Unione montana bellunese. Entrambi si sarebbero proposti alla guida del parco;
   il Parco è senza presidente da metà luglio dell'anno scorso. L'ente non è stato commissariato, a differenza di altre realtà: la sua operatività è garantita dalla giunta guidata dal vicepresidente Franco Zaetta, il quale chiede con una certa insistenza che venga nominato il successore di Benedetto Fiori, ma al momento la procedura sembra vivere una fase di stallo. E di scontro politico. Da parte di esponenti della maggioranza, oltre a confermare che il Ministro non ha ancora sciolto la riserva e che il Parco è in ogni caso operativo, si segnala che comunque le procedure sono un po’ troppo lunghe, e si pensa di promuovere modifiche legislative;
   l'ex presidente Giampaolo Bottacin, oltre ad aver sottolineato la necessità che venga nominato il presidente, che manca da quasi un anno, affinché il parco non resti ancora senza una effettiva guida, ha evidenziato il rischio che l'ulteriore ritardo riveli che il vero problema è interno alla principale forza politica di maggioranza –:
   se non intenda intraprendere ogni iniziativa utile per superare tutti gli ostacoli al fine di giungere alla discussione sulla nomina del presidente del parco di Belluno nei tempi più rapidi possibili. (5-08650)


   DE ROSA, MANNINO, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI, VIGNAROLI, MARZANA, LOREFICE e GRILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di «acquisizione aree e realizzazione di nuovi piazzali attrezzati nel porto commerciale di Augusta», che prevede la cementificazione di oltre 300.00 metri quadrati dell'area umida del Mulinello, elaborato dall'autorità portuale di Augusta, nasce negli anni ‘90 ed ottiene dal Ministero dell'ambiente una valutazione di impatto ambientale (VIA) favorevole solo nel 2007;
   una successiva variante al progetto ottiene nel 2013 parere di non assoggettabilità a nuova procedura di valutazione di impatto ambientale;
   il comune di Augusta ha recentemente espresso ufficialmente la propria contrarietà alla realizzazione del progetto nella sua versione attuale;
   gli stessi operatori portuali reputano la realizzazione delle nuove banchine, così come prevista dal progetto, dannosa e pericolosa per l'agibilità delle navi container che avrebbero meno spazio per manovrare;
   l'area oggetto dell'intervento non è, come affermato, a giudizio degli interroganti erroneamente, nello studio preliminare, «relitto inutilizzabile e priva di connotati naturali e antropici» o costituita come si rileva in passaggi successivi da «[...] terreni incolti e in stato di abbandono [...] caratterizzato da una depressione colma di acqua stagnante che non trova sbocco sul mare». In realtà, si tratta delle saline del Mulinello, note sin dall'antichità, e il cui valore storico, ambientale e naturalistico è rilevantissimo;
   si tratta invece di un'area umida salmastra compresa nelle saline del fiume Mulinello, pur non rientrando nella perimetrazione del pSIC/ZPS «Saline di Augusta» (ITA090014), ricadente all'interno dell’«Oasi di protezione e rifugio della fauna selvatica» nei territori di Augusta e Melilli, D.A. 17 giugno 1999. (G.U.R.S. – 10 settembre 1999 – n. 43);
   con i suoi 12 ettari di estensione la salina rappresenta un sito naturalistico le cui valenze sono da ritenersi pari a quelle del pSIC/ZPS ITA090014, sebbene si trovi collocata tra un'area industriale-commerciale e un'area storico-archeologica che comprende l’hangar per dirigibili di Augusta e la zona archeologica di «Cozzo del Monaco»;
   il progetto, così come proposto, grava e compromette integralmente la salina sinistra del fiume Mulinello, colmando e cementificando il sito, e preclude definitivamente un qualsiasi futuro di tutela e valorizzazione naturalistica;
   il progetto intenderebbe cancellare una significativa porzione delle antiche Saline del Mulinello, in cui ancora oggi sono presenti gli ultimi preziosissimi resti di mulini a vento in legno;
   sul piano paesaggistico il progetto della banchina container produrrebbe un forte stravolgimento e farebbe da «cortina», oscurandoli, ai forti Garcia e Vittoria;
   i proponenti del progetto affermano che l'opera è parte integrante e necessaria del progetto del nuovo terminal container/molo container approvato con decreto di compatibilità ambientale del 2007, e viene quindi presentata come il già previsto e programmato sviluppo ed ampliamento della cosiddetta banchina container per la quale fu rilasciato parere di impatto ambientale positivo;
   tuttavia, come noto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, le disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale non possono essere eluse attraverso uno strumentale frazionamento dei progetti, mirato a ridurre le soglie dimensionali delle attività, al fine di escluderne l'assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale. Quest'ultima necessita di una visione complessiva che impone la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale nell'espletamento delle diverse fasi temporali di realizzazione dell'intervento; i decreti di valutazione di impatto ambientale hanno una validità di 5 anni entro i quali i progetti devono essere realizzati, pena la decadenza della procedura, e i lavori per la banchina non sono finora cominciati;
   la valutazione del rischio idrogeologico agli interroganti appare lacunosa in quanto il piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico individua l'area di progetto come zona di esondazione in caso di cedimento della diga Ogliastro;
   il progetto si basa su un'idea di porto commerciale risalente a 60 anni fa che si sta oggi dimostrando palesemente sbagliata e priva dei fondamentali requisiti di sostenibilità economica ed ambientale;
   il piano regolatore portuale che contiene il progetto di porto commerciale è del 1986, non è stato mai aggiornato nonostante la legge che istituiva le autorità portuali lo prevedesse e non è mai sottoposto a valutazione d'impatto ambientale;
   l'opera appare sproporzionata rispetto agli attuali e ai futuri flussi di traffico. La necessità di realizzare la banchina e l'ampliamento dell'area merci venne giustificata attraverso una stima di crescita del traffico container pari a 500.000 teu (twenty equivalent unit container da 20 piedi). Alla luce della crisi internazionale, questa stima fatta nel 2004, si è dimostrata del tutto inattendibile;
   le procedure attualmente in corso riguardanti il porto di Augusta, proponente l'autorità portuale di Augusta, sono:
    1) una procedura di esclusione dalla valutazione d'impatto ambientale per il progetto «terza fase – realizzazione banchine container nel porto commerciale di Augusta – progetto unificato di primo e secondo stralcio». L'istanza del proponente è del 27 gennaio 2016;
    2) una procedura di verifica di ottemperanza ad un decreto ministeriale del 2007 in merito alla realizzazione banchina container nel porto commerciale di Augusta (SR) — prescrizione: 2. L'istanza del proponente è dell'i 1 agosto 2015. Il 28 gennaio del 2016 sono pervenute al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle integrazioni volontarie dell'autorità portuale di Augusta. Allo stato è in istruttoria tecnica presso la commissione tecnica di valutazione di impatto ambientale;
   in data 2 aprile 2016, il comune di Augusta, attraverso un'apposita delibera di giunta, ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le proprie osservazioni contrarie alla richiesta di non assoggettabilità a procedura di valutazione d'impatto ambientale. In particolare, nella documentazione presentata, si chiede anche che la procedura sia assoggettata a valutazione di incidenza ambientale, oltre che a nuova valutazione d'impatto ambientale. Analogamente, anche Legambiente ha presentato le sue osservazioni;
   nel marzo 2016 si è concluso l’audit della Corte dei conti europea sul porto di Augusta che ha confermato la sproporzione dell'investimento nel progetto di ampliamento banchine e piazzali rispetto alla domanda di container. Ciò rende ancora meno giustificabile l'investimento generale e l'impatto ambientale che verrà prodotto a fronte di un ritorno economico trascurabile se non negativo –:
   se e quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di verificare la correttezza dell’iter procedimentale di autorizzazione del progetto e, in considerazione delle criticità in precedenza riportate, sospendere l'intero iter del progetto che, se attuato, rischia di provocare un impatto altamente negativo su un'area che mantiene caratteristiche di significativa valenza ambientale. (5-08651)


   BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 marzo 2015 il sindaco del comune di Pieve Vergonte (Vb), interamente perimetrato quale sito di interesse nazionale (SIN) in relazione all'inquinamento da Ddt da parte di Enicherri Synthesis, Spa, oggi Syndial Spa, ha richiesto un incontro Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare teso a realizzare, in una visione condivisa delle problematiche, la garanzia dell'attività produttiva dello stabilimento Hydrochem Italia spa presente all'interno del SIN, contestualmente agli interventi ambientali posti in essere da Syndial spa;
   sussistono particolari e stringenti esigenze di coordinamento delle attività industriali e di bonifica, in connessione con l'obbligo – previsto nell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata ad Hydrochem – di cessare improrogabilmente la produzione cloro-soda con l'utilizzo di celle ad amalgama di mercurio;
   il piano di adeguamento produttivo in capo ad Hydrochem Italia Spa, che dovrà prevedere la conversione dell'impianto di produzione del cloro dall'attuale tecnologia delle celle a mercurio alla tecnologia a membrana, alla luce degli obblighi contenuti nell'autorizzazione integrata ambientale, comporta l'esigenza di una verifica in sede tecnica da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il coinvolgimento degli enti locali interessati;
   è passato oltre un anno dalla richiesta di incontro avanzata dal comune di Pieve Vergonte, alla quale non è stato dato alcun riscontro, con evidente ripercussione sulla possibilità di assicurare la prosecuzione delle attività produttive e nonché quelle di riconversione in chiave ambientale del comparto industriale locale –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto, intenda, e in caso positivo entro quali termini, accogliere la richiesta di incontro e di un fattivo utilizzo della struttura tecnica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, avanzata in data 11 marzo 2015 dal sindaco del comune di Pieve Vergonte (Vb). (5-08652)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Lecce nel luglio del 2009, nell'ambito del programma triennale ambiente, ha presentato il progetto denominato « bike sharing», in base al quale, attraverso i fondi europei, venivano installate 90 colonnine per 70 bici in modo da creare più postazioni in diversi punti della città per dare risposta alla sempre più frequenti domande di mobilità alternativa e sostenibile, per un totale di 7 stazioni;
   il sistema è stato successivamente implementato in ragione di un finanziamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'ambito delle «Azioni finalizzate al miglioramento della qualità dell'aria nelle aree urbane ed al potenziamento del trasporto pubblico, rivolto ai comuni non rientranti nelle aree metropolitane» mediante la realizzazione di 4 nuove stazioni in cui sono installate 40 colonnine a servizio di altrettante biciclette;
   si apprende da organi di stampa che, in termini complessivi, il comune di Lecce avrebbe beneficiato di un finanziamento di 1.142.850 euro per aiutare la mobilità sostenibile di cui 250.000 euro per le predette 4 stazioni nel servizio di bike-sharing;
   il servizio, tuttavia, nonostante l'approssimarsi della stagione estiva e il notevole flusso di turisti attesi nella città barocca, è stato sospeso più volte e non è funzionante. Si registrano inoltre, difficoltà nel reperire le tessere magnetiche che consentono l'utilizzo delle bici e numerosi sono gli episodi di danneggiamenti, senza che vi sia un preciso soggetto a cui affidare la gestione e la manutenzione dell'intero servizio –:
   se il Ministro interrogato possa indicare il preciso ammontare dei finanziamenti statali destinati alla realizzazione del progetto di bike sharing promosso dal comune di Lecce;
   se il Ministro interrogato intenda promuovere iniziative di controllo per verificare l'impiego dei finanziamenti statali erogati e, ove sussistano i presupposti, adottare iniziative per la restituzione degli stessi. (5-08663)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, COLONNESE, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, VACCA e D'UVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'interrogazione a risposta immediata del 7 ottobre 2015, n. 3-01746, «Iniziative volte a verificare la regolarità degli affidamenti degli appalti presso gli scavi archeologici di Pompei anche attraverso la costituzione di un apposito nucleo ispettivo», esposta dal primo firmatario del presente atto, si richiedeva al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo la verifica, «una ad una», della regolarità delle procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi o forniture aggiudicate dalla ditta Lande srl, con sede in Napoli, via Cardinale Guglielmo Sanfelice n. 8, sia per quanto concerne il Grande Progetto Pompei, che per i numerosi ed importanti altri appalti (lavori: per la realizzazione della linea metropolitana 4 di Milano; del Parco di Capodimonte; per la TAV in val Susa; presso la Villa Adriana a Tivoli; e altro), attraverso la costituzione di un apposito nucleo ispettivo ministeriale;
   la richiesta di cui al precedente capoverso era motivata dal «secondo filone» dell'inchiesta cosiddetta «Medea», partita il 20 agosto 2015, e portata avanti dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, riguardante politici, appalti e imprese legate al clan dei Casalesi, «fazione Zagaria»;
   iscritti al registro degli indagati, tra gli altri, Marco Cascella, allora amministratore della ditta Lande srl, per corruzione e turbativa d'asta aggravata dal metodo camorristico circa l'affidamento sospetto di alcune gare d'appalto riguardanti i beni culturali, nello specifico presso gli scavi di Pompei, ove, ad aprile 2015, si è aggiudicata l'appalto per le regiones I, II, III: «valorizzazione, decoro e messa in sicurezza dei punti di accesso alle domus, sostituzione dei cancelli, delle transenne e degli allestimenti didattici», bando da 707.137,71 euro iva esclusa, aggiudicato con un ribasso del 24,9 per cento, la stessa ditta, presso la Villa Adriana a Tivoli, nel 2013, si è aggiudicata un appalto per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle aree verdi, messa in sicurezza del percorso di visita, arredo urbano e opere accessorie, per un importo di 559.879,69 euro iva esclusa grazie a un ribasso del 18,39 per cento, oltreché un successivo, nel marzo 2015, per «lavori di conservazione e restauro del complesso architettonico delle cosiddette Piccole Terme e degli Hospitalia», bando per cui sono bastati tre giorni (12 ore in totale) alla commissione giudicatrice per decretare il vincitore tra 14 ditte partecipanti; il vincitore si è rivelato, la Lande srl che, a partire da una base d'asta di 1.554.353,62 euro iva esclusa e presentando un ribasso del 26,26 per cento, ha ottenuto il punteggio più alto per ciascuno dei criteri stabiliti dalla commissione);
   sul sito del periodico La città di Salerno si racconta di «un giallo sulla certificazione antimafia» in quanto la prefettura di Napoli non l'avrebbe rilasciata, nonostante una richiesta di «informazione antimafia» del 27 maggio 2014, partita dal responsabile dell'ufficio tecnico, lo stesso Di Tommaso arrestato nell'operazione; senza la risposta della prefettura, dopo 45 giorni, scatta il silenzio assenso e così la ditta è stata autorizzata senza certificazione;
   la società Lande si è aggiudicata con regolarità gare importanti in tutta Italia, tra cui un appalto da un milione di euro per la messa in sicurezza degli scavi a Pompei e, su questo, il capo dell'anticorruzione Raffaele Cantone dichiara «Conosco molto bene questo caso, ma senza un'interdittiva del prefetto non si poteva far nulla»;
   eppure anche sul periodico «Voce delle voci», si ricostruiscono i precedenti giudiziari con questo passaggio «nell'inchiesta della magistratura fiorentina sui Grandi appalti per il G8 della cricca, e alle indagini del Ros, emergeva un quadro già allora agghiacciante (e sono passati cinque anni). «Nel rapporto dei carabinieri vengono evidenziate le possibili connessioni di un Consorzio, lo Stabile Novus, che ha partecipato ad alcune gare e, attraverso una dette società, la Giardini e Paesaggi, si è aggiudicata La sistemazione delle aree verdi in occasione del G8. Annotano i carabinieri che amministratore dello Stabile Novus è Mario Buffardi, regista occulto è Antonio Di Nardo, al quale fanno capo la Soa e la Promocert. Di Nardo ha avuto rapporti di affari con Carmine Diana, legato a Francesco Bidognetti del clan dei Casalesi, La Soa ha rilasciato il certificato di attestazione alte seguenti imprese: Aerre Costruzioni srl il cui amministratore unico è Antonio D'Orlano, fratello di Vincenzo, ritenuto inserito nel clan camorrista di Ferdinando Cesarano, e alla Edrevea spa il cui socio Crescenzio Verde è stato arrestato e poi prosciolto ai sensi del 416-bis». E sapete qual è, oggi, la nuova denominazione della “Giardini e Paesaggi”? Lande srl, costituita nel 2009, al timone sempre Marco Cascella»;
   ad avvalorare ulteriori legittimi sospetti sull'operato della ditta Lande srl è il fatto che, già nel 2011, è stata indagata per violazione dette norme sulla sicurezza, reati ambientati, autorizzazioni mancanti, distruzione e deturpamento di bellezze naturali nell'ambito dei lavori svolti nell'oasi Ferrarelle di Riardo;
   eppure nella risposta alla suddetta interrogazione a risposta immediata del 7 ottobre 2015, n. 3-01746, il Ministro interrogato non riteneva necessaria la costituzione di un apposito nucleo ispettivo ministeriale, dato che gli affidamenti citati dal primo firmatario del presente atto sarebbero avvenuti in data precedente alla conoscibilità delle indagini e poiché, comunque, tutte le vicende riguardanti le gare d'appalto sono subordinate a procedure e filtri rigorosi e sempre sottoposte: al vaglio preventivo e monitoraggio successivo del gruppo di lavoro sulla legalità ai sensi dell'intesa progetto Pompei sottoscritta il 20 gennaio 2012; al protocollo di legalità sottoscritto il 5 aprile 2012; alle procedure sperimentati di monitoraggio finanziario previste dal protocollo operativo stipulato in data 6 febbraio 2015; al monitoraggio dell'Autorità nazionale anticorruzione, così come comunicato da detta autorità con nota del dicembre 2012; a richieste conoscitive avanzate sul finire dell'anno 2014 dalla Corte dei conti e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   ciononostante, in data 18 aprile 2016, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli dottor Anna Laura Alfano ha applicato, nei confronti di Marco Cascella e altre 8 persone, tra cui Biagio Maria Di Muro (ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere) e Alessandro Zagaria (affiliato al cosiddetto clan dei Casalesi), un mandato di custodia cautelare per corruzione e turbativa d'asta – aggravata dal metodo camorristico nell'ambito di una gara d'appalto indetta, nel novembre 2014, dal responsabile del settore dei favori pubblici del comune di Santa Maria Capua Vetere, Roberto Di Tommaso, per l'affidamento dei lavori di recupero e ristrutturazione di Palazzo Teti-Maffuccini; aggiudicazione che poi veniva effettivamente conclusa a favore della Lande srl in seguito a versamenti di denaro a fini corruttivi (false fatture professionali) che sarebbero stati eseguiti da Marco Cascella ed altri due soggetti a favore di Biagio Di Muro, Alessandro Zagaria, Roberto Di Tommaso ed altri soggetti coinvolti;
   Lande srl, le cui ultimissime vicende legali hanno confermato i sospetti che gli interroganti sollevarono quasi un anno fa, si è aggiudicata numerose, e parecchio gravose per le casse dello Stato, gare aventi il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo come ente appaltante; oltre alle gare sopra riportate se ne evidenziano tantissime altre: «lavori di consolidamento e messa in sicurezza dell'acquedotto romano Anio Novus nel comune di Tivoli località Arci» per 57.374,68 euro; «lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria delle aree a verde e del patrimonio arboreo esistente, della messa in sicurezza dei percorsi di visita, di arredo urbano ed opere accessorie nel comprensorio archeologico di villa Adriana» per 572.891,05 euro; «lavori di recupero, restauro e valorizzazione dei siti Unesco nei comuni di Cerveteri e Tarquinia» per 609.333,05 euro; «mattatoio di Roma – via di Monte Testaccio n. 26 – Roma – progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori di restauro ed adeguamento funzionale di alcuni ambienti» per 1.842.875,03 euro; «Roma Ostia Antica – riqualificazione naturalistica e del patrimonio archeologico e monumentale degli ambiti fronte Tevere per la riconnessione dell'area quale antico porto fluviale di Roma» per 698.093,25 euro; «lavori di manutenzione ordinaria delle aree verdi, dei percorsi di visita e di recupero del patrimonio arboreo esistente nel comprensorio archeologico di Villa Adriana e Tempio d'Ercole nel comune di Tivoli» per 223.551,28 euro; «Portici (Na). Ex Reggia Borbonica. Lavori di recupero patrimonio arboreo e botanico esistente all'interno del viale Carlo III Parco Gussoni, per la pubblica incolumità» per 268.640,36 euro;
   alla luce della insoddisfacente risposta alle istante portare all'attenzione del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo nell'interrogazione a risposta immediata del 7 ottobre 2015, n. 3-01746, e del contestuale rifiuto a costituire un apposito nucleo ispettivo ministeriale, il suddetto Ministro appare all'interrogante politicamente responsabile del nuovo scandalo che ha visto, per la terza volta, la ditta Lande, di cui Marco Cascella – a cui il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli ha applicato la misura cautelare per corruzione e turbativa d'asta aggravata dal metodo camorristico – è stato amministratore, aggiudicataria di numerose gare d'appalto bandite dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo tra le quali talune facenti parte del «Grande progetto Pompei» che è al centro di un'indagine di corruzione in turbativa d'asta aggravata dal metodo camorristico –:
   se il Ministro dei beni e della attività culturali e del turismo non ritenga necessario intraprendere urgenti iniziative volte a verificare la regolarità degli appalti affidati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, attraverso la costituzione di un apposito nucleo ispettivo ministeriale;
   se il Ministro dell'interno non intenda chiarire i motivi per i quali il prefetto di Napoli non si sia pronunciato in merito alla certificazione antimafia, posto che, con il silenzio assenso, si è garantita l'aggiudicazione dell'appalto di Lande srl, a Pompei. (5-08636)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il «parco archeologico di Amiternum» de L'Aquila, è stato dedicato a Thomas Ashby, archeologo e fotografo che frequentò questi luoghi all'inizio del novecento. Ma più che ad un parco, l'area archeologica, soggetta a continue pressioni antropiche, assomiglia sempre più ad un giardino, ad un appezzamento di terreno circondato da costruzioni e capannoni ed attraversato da strade già costruite (come quella del G8 che parte dalla scuola della Guardia di finanza e corre parallela alla strada statale 80) e da costruire come bretella alla strada statale 80 di poco più di un chilometro che passerà immediatamente a ridosso del Teatro Romano (opera diretta dall'Anas che preveda lavori di miglioramento delle condizioni di sicurezza mediante realizzazione di un nuovo svincolo con la strada statale 260 e la strada statale 80 in località Cermone);
   a queste opere va aggiunta la strada provinciale progettata in località Torroncino e località Grottoni (sistemazione strada di collegamento via delle Fiamme gialle – sr 80 dir – sp 30 «di Cascina»);
   le strade in questione passano tutte su aree delicate e notissime per i copiosi reperti che hanno restituito. Attraversano, per una significativa parte, la zona dove sorgeva l'antica città di Amiternum, città senza mura e di vaste dimensioni come certificato dal professor M. Heinzelmann nelle sue ricerche finanziate dal Governo tedesco. Un'area protetta con precisi e dettagliati vincoli espressi nel piano regionale paesistico «ambito fiume Aterno» che la classifica in zona A1, a conservazione integrale, dove tra gli usi compatibili è negata la costruzione di strade di qualsivoglia gerarchia. Anche un altro provvedimento (decreto ministeriale 21 giugno 1985) interessa la zona e ne prevede la sua integrale salvaguardia;
   la strada provinciale in progetto è interessata pure dalla legge Galasso (legge n. 43 del 1985), poiché passa, per il primo tratto, entro la fascia di rispetto di 300 metri dal laghetto «Giorgio» interessantissimo ed importantissimo geosito alimentato da sorgenti perenti con un piccolo emissario che confluisce nell'Aterno;
   nonostante tutte queste regole e limiti ed in contrasto con il divieto espresso di realizzare qualsivoglia tipo di strada nelle aree in zona A1 del PRP, negli anni passati anche in relazione all'emergenza del G8, l'ANAS e poi ancora la provincia dell'Aquila hanno realizzato, progettato e si sono visti approvare senza colpo ferire due bretelle che passano entro la zona di conservazione integrale. Strade che interrompono sia la continuità archeologica sia la continuità paesaggistica e raddoppiano di fatto la viabilità esistente che doveva e poteva essere solo migliorata;
   la strada progettata dall'Anas, quella che passerà a meno di quaranta metri dal teatro e tra quest'ultimo ed il grande monumento funerario noto come «Sant'Antonigliù», distrugge un frammento ancora leggibile del paesaggio agrario costruito e nega la continuità archeologica tra la parte della città romana in basso e i beni archeologici sul colle di Jereone rappresenti dai resti del castello medioevale che poggiano su murature romane e con probabili resti italici;
   malgrado tutte queste considerazioni, alle quali vanno aggiunti anche gli aspetti naturalistici come la presenza accertata nell'area del capriolo e di altri mammiferi che utilizzano quei luoghi come corridoi per l'abbeverata, non è stata nemmeno redatta la valutazione di impatto ambientale ma solo un impreciso e superficiale studio preliminare ambientale per la verifica di assoggettabilità a VIA;
   se possibile ancora più grave è l'opera progettata dalla provincia dell'Aquila riguardante la «Sistemazione strada di collegamento via delle Fiamme Gialle – sr 80 dir – sp 30 “di Cascina” che, almeno per la parte entro il vincolo paesistico, abbandona quasi completamente il tracciato interpoderale storicizzato esistente e di fatto si configura come una nuova arteria. L'importo dell'opera è di 2.000.000 di euro, l'importo dei lavori di 1.200.000 euro. È di difficile comprensione l'utilità della bretella, perché nella zona sono presenti già numerose arterie di diversa importanza e il San Donato Golf Resort, se questo è il motivo per cui è stata pensata, è già comodamente servito dalla viabilità esistente. Il progetto ha origine da un protocollo di intesa del 22 marzo 2010 tra il comune dell'Aquila e la provincia e viene approvato definitivamente dalla conferenza di servizi del 30 ottobre 2011;
   nella conferenza sono stati assenti tutti quegli enti che avrebbero dovuto controllare e far rispettare le norme sulle aree sottoposte a vincolo paesaggistico ed archeologico ed in particolare è stata assente la regione Abruzzo nelle sue articolazioni (beni ambientali, urbanistica e pianificazione, conservazione della natura e altro), come pure la Soprintendenza per i beni archeologici e la Soprintendenza per i beni paesaggistici ed è mancato perfino il comune dell'Aquila;
   oggi, a ridosso della gara di appalto, la Soprintendenza archeologica finalmente, ha deciso a far fare dei saggi più estesi e naturalmente, come era facilissimo prevedere, ogni saggio ha restituito copiosi resti antichi. L'area è già nota in letteratura e sia la Segenni (Amiternum, pagina 151 e seguenti) che il Persichetti narrano del ritrovamento di importanti iscrizioni, tombe e murature sia nella zona denominata Torroncino che in località Grottoni. Qualche anno fa durante la realizzazione di un ramo del metanodotto, negli stessi luoghi, furono rinvenute tombe e murature;
   nel primo saggio eseguito a ridosso della rotonda, nei pressi della ex stazione di San Vittorino, saggio della larghezza di circa dieci metri, sono stati trovati ambienti confinati da murature, alcune intonacate, naturale prosieguo della domus intercettata sotto la stessa rotonda e poi risotterrata ed asfaltata. Sono visibili anche estesi crolli dove sono stati trovati elementi lapidei lavorati appartenenti a stipiti o soglie;
   l'indagine si è fermata alle creste dei resti murari; approfondimenti almeno fino ai livelli pavimentali darebbero sicuramente ulteriori indicazioni;
   nel tratto di saggio successivo, quello a confine con la strada statale 80 dir, si notano copiosi resti fittili ed una serie di elementi lapidei ancora da indagare. Il Persichetti, nello stesso luogo, rinvenne un tratto di strada lastricata. Nella parte dei saggi sotto la frazione di Pozza, località Grottoni, sempre entro l'area vincolata dal piano paesistico, sono state rinvenute creste di murature di notevole spessore, ambienti confinati, pavimenti appartenenti probabilmente ad una domus o ad una villa rustica;
   la quantità e la qualità dei resti trovati dovrebbero scongiurare la realizzazione di qualsiasi opera ma, visto quello che è successo nel recente e nel più lontano passato quando sono state «asfaltate» e «cementificate» aree di notevole interesse archeologico, ci sono fondate preoccupazioni e per questo motivo le organizzazioni ambientalistiche e culturali hanno chiesto al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, alla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici per L'Abruzzo, alla Soprintendenza archeologica di provare ad avere per una volta un po’ di coraggio e di essere «forti con i forti», negando la realizzazione delle opere con la semplice giustificazione che lì sotto c’è un pezzo importante della antica città di Amiternum –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per salvare il «parco archeologico di Amiternum» de L'Aquila. (4-13143)


   CAPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile Club d'Italia (Aci) ente pubblico associativo senza scopo di lucro ai sensi della legge 20 marzo 1975 n. 70, è la federazione che unisce 106 Automobile Club provinciali e locali (Aacc);
   la legge 20 marzo 1975 n. 70, il decreto del Presidente della Repubblica 16 giugno 1977 n. 665, ed il decreto del Presidente della Repubblica 1o aprile 1978 n. 244, collocano l'Aci e gli Aacc fra gli enti pubblici non economici, per cui l'Automobile Club di Sassari è ente pubblico non economico, con propria personalità e capacità giuridica e patrimonio proprio, differente e distinto da qualsiasi altro soggetto di diritto, sotto la vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   con il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1950 n. 881, l'ente, pur conservando i tratti principali dell'assetto ordinario, è stato sottoposto a riordino e approvato un nuovo statuto, che col tempo ha subito diverse modifiche ed aggiornamenti;
   l'Aci e gli Aacc rappresentano quindi un complesso di soggetti che, pur con diverse modalità e sfere di autonomia, sono funzionali agli interessi connessi alla circolazione stradale, alla sua sicurezza al turismo su strada ed alle attività sportive del settore automobilistico;
   con il decreto del Presidente della Repubblica 16 giugno 1977 n. 665, e il decreto del Presidente della Repubblica 1o aprile 1978 n. 244, gli Aacc sono stati dichiarati enti pubblici necessari ai fini dello sviluppo economico, civile e democratico del Paese e sono enti pubblici a base associativa senza scopo di lucro;
   il Consiglio direttivo dell'Automobile Club di Sassari è composto da quattro membri e da tre revisori dei conti, uno dei quali nominato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   in data 20 agosto 2015, nella imminenza della scadenza del mandato del precedente consiglio eletto ed insediatosi nel febbraio del 2012, il consiglio direttivo dell'Automobile Club di Sassari all'unanimità deliberava l'indizione delle elezioni per il rinnovo del consiglio direttivo e di due componenti del collegio dei revisori dei conti per il quadriennio 2016/2020, fissando la data delle elezioni al 15 – 16 gennaio 2016;
   questo in considerazione del fatto che lo Statuto sopra ricordato prevede che le elezioni debbano essere indette almeno 90 giorni prima della scadenza del vecchio mandato;
   una delle liste che si erano presentate veniva esclusa e presentava opposizione davanti al tribunale amministrativo regionale della Sardegna, il quale invitava l'Automobile Club di Sassari ad un pronto e sollecito riesame sull'ammissibilità della lista esclusa;
   il consiglio direttivo dell'Automobile Club di Sassari con deliberazione del 17 gennaio 2016, ammetteva la lista in precedenza esclusa, confermando l'ammissione di un'altra lista già ammessa in precedenza, e indiva le elezioni, fissando la data per lo svolgimento al 18 e 19 marzo 2016, in prima e seconda convocazione;
   successivamente il Tar Sardegna con decreto del consigliere delegato dell'11 marzo 2016, non accoglieva la richiesta di decreto cautelare «ante causam», – proposto contro l'Automobile Club Sassari e faceva obbligo allo stesso ente di rideterminare con immediatezza una nuova data per le elezioni, al fine di stabilire un congruo rinvio della data stessa;
   Il consiglio direttivo dell'Automobile Club di Sassari con delibera unanime del 15 marzo 2016, in esecuzione di quanto disposto dal Tar Sardegna con il citato decreto dell'11 marzo 2016, convocava per i giorni 29-30 aprile 2016, l'assemblea ordinaria dei soci per le elezioni dei componenti del consiglio direttivo e il collegio dei revisori dei conti per il quadriennio 2016/2020;
   nonostante ulteriori ricorsi al Tar, volti ad un ulteriore rinvio delle elezioni, ricorsi tutti respinti, il 29 aprile 2016, alle ore 09:30 presso, la sede dell'Automobile Club di Sassari in Viale Adua n. 32, alla presenza del suo direttore si è riunita in prima convocazione l'assemblea ordinaria dei soci. Non essendosi raggiunto il quorum questa veniva rinviata al 30 aprile 2016, in seconda convocazione;
   lo stesso giorno, però, perveniva il provvedimento del Ministro per i beni e le attività culturali n. 227, datato 29 aprile 2016, con il quale veniva commissariato l'Automobile Club di Sassari e nominato un commissario per un periodo di sei mesi;
   l'articolo 1, punto 2, del citato provvedimento del Ministero disponeva testualmente che «è affidato il compito di espletare i necessari adempimenti procedurali per il rinnovo degli organi di ordinaria amministrazione dell'ente»;
   sempre il 29 aprile 2016, ossia nello stesso giorno della sua nomina, il commissario straordinario anziché confermare le elezioni per il giorno successivo, nonostante le sentenze del Tar Sardegna che autorizzavano le elezioni e il fatto che si fosse tenuta l'assemblea elettorale in prima convocazione emetteva la delibera n. 1/2016 con la quale, sospendeva «la procedura elettorale in corso rinviandola ad una data successiva»;
   alla luce di quanto sopra ricordato, appaiono all'interrogante non chiari i motivi per cui il neo nominato commissario abbia potuto stabilire immediato rinvio delle elezioni;
   inoltre appare all'interrogante che il Ministero vigilante abbia ignorato che l'Automobile Club di Sassari aveva già portato a termine tutta la procedura elettorale giudicata legittima da diversi pronunciamenti del Tar della Sardegna, mentre l'Automobile Club di Sassari aveva legittimamente fissato le elezioni, non essendo intervenuta ulteriore sospensione –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per sanare una situazione ad avviso dell'interrogante francamente poco comprensibile, al fine di garantire lo svolgimento delle elezioni regolarmente indette. (4-13151)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PELILLO e FANUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto 19 gennaio 2016, n. 63, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 4 maggio 2016, che regolamenta la disciplina legislativa in materia di esame di idoneità professionale per l'abilitazione all'esercizio della revisione legale, in relazione a peculiari fattispecie, sembrerebbe non prevedere una procedura atta a sanare alcuni obblighi formali non adempiuti, fra cui la presentazione della documentazione attestante la fine del tirocinio dei revisori contabili e della domanda di iscrizione all'albo dei revisori legali;
   al riguardo, nel caso in cui si sia svolta la pratica presso un dottore commercialista e revisore contabile, e contestualmente sia avvenuta l'iscrizione sia all'albo dei praticanti dottori commercialisti, sia all'albo dei revisori contabili, qualora al termine del tirocinio dei dottori commercialisti e dei revisori contabili si sia sostenuto con successo l'esame da dottore commercialista, equipollente a quello dei revisori contabili e successivamente si sia provveduto all'iscrizione presso l'albo dei dottori commercialisti, senza aver presentato alcuna documentazione attestante la fine del tirocinio dei revisori contabili, né alcuna domanda per l'iscrizione all'albo dei revisori legale dei conti, l'iscrizione all'albo dei revisori legali non risulterebbe perfezionata per un mero vizio formale;
   nonostante siano presenti tutti i requisiti sostanziali, ovvero l'attestato di pratica da tirocinante per revisore legale regolarmente svolta e l'esame sostenuto e superato, l'iscrizione all'albo dei revisori non risulterebbe perfezionata –:
   quale sia la procedura per sanare gli obblighi formali non adempiuti, ovvero la presentazione della documentazione attestante la fine del tirocinio dei revisori contabili e della domanda di iscrizione all'albo dei revisori legali, al fine di procedere all'iscrizione all'albo dei revisori medesimi. (5-08645)


   PAGLIA, FASSINA, NICCHI e GREGORI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 922, della legge n. 208 del 2015, (legge di stabilità 2016) stabilisce una riduzione programmata degli apparecchi automatici con vincita in denaro (cosiddette slot machine), precludendo a decorrere dal 1o gennaio 2016, il rilascio di nulla osta per gli apparecchi, che non siano sostitutivi di nulla osta di apparecchi in esercizio;
   per definire sul piano quantitativo la suddetta riduzione era indispensabile individuare il numero degli apparecchi in attività ed a tale scopo l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha deciso di utilizzare come base di calcolo il numero di quelli in esercizio al 31 luglio del 2015, fissato in 379.109; tale dato è stato però prontamente sconfessato dalle società concessionarie che, a dicembre 2015, hanno fornito un'altra cifra con una sensibile differenza pari + 40.101 unità elevando quindi il numero delle slot machine a 424.000 unità, queste ultime comprensive di quelle custodite ancora nei magazzini;
   a questo punto lo scostamento ha determinato l'Agenzia delle dogane e dei monopoli a diramare una circolare al fine di calmare gli animi e chiarire che la base di calcolo era costituita dagli apparecchi operanti non più al 31 luglio 2015, ma al 31 dicembre del 2015, dando così ulteriori sei mesi di tempo alle concessionarie di mettere in funzione, rendendole pienamente operative, le 40.000 macchinette ancora ferme nei magazzini;
   la suddetta formulazione, facendo lievitare di fatto del 10 per cento il numero delle concessioni, ha praticamente sconfessato l'intento della norma contenuta nella legge di stabilità 2016 che, di contro, mira ad una riduzione delle stesse, entro il 2019, in misura non inferiore al 30 per cento, con il risultato finale che per tutto il 2016 resteranno in vita 418.210 slot machine, circa una ogni 143 italiani;
   il rapporto fra la raccolta annua generata negli ultimi anni dai diversi segmenti del gaming ed il prodotto interno lordo, permette di apprezzare il peso dell'industria del gioco pubblico e delle scommesse sportive sull'economia nazionale: infatti, nonostante i costi sociali del gioco d'azzardo interessino diversi ambiti (come la sfera delle relazioni familiari, l'assistenza sanitaria specifica per la cura delle ludopatie, le implicazioni sul piano lavorativo e le attività illegali che hanno a che fare non solo con la condotta del giocatore patologico, ma anche con gli interessi della criminalità organizzata), tale rapporto è cresciuto costantemente, con un'incidenza della raccolta sul prodotto interno lordo, nell'ultimo decennio più che quintuplicata;
   come ricorda lo stesso Ministero della salute, la «ludopatia non è solo un fenomeno sociale, ma è una vera e propria malattia, che può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio» –:
   se non ritenga doveroso assumere iniziative affinché si rivista la sopracitata circolare dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli al fine di confermare il regime già stabilito dalla legge di stabilità 2016 di cui in premessa, e sulla base di quale interpretazione si sia arrivati alla stessa. (5-08646)


   PESCO, ALBERTI, VILLAROSA e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'inizio dell'anno 2016, il programma televisivo Striscia la Notizia di Canale 5 ha lanciato una serie di servizi, intitolati «rapine in corso», riguardanti degli accertamenti immobiliari ai fini dell'imposta di registro, in cui sono stati contestati i valori della vendita di alcuni immobili, definendo l'operato dell'Agenzia delle entrate «estorsioni legalizzate», che in alcuni casi ha indotto i contribuenti a gesti sconsiderati non emulabili;
   la lodevole inchiesta del Tg satirico ha messo in luce, con decine di testimonianze, usi ed abusi dell'Agenzia delle entrate, che, senza alcuna analisi peritale né sopralluoghi, ha inviato accertamenti immobiliari apparentemente arbitrari, gonfiando a dismisura il valore dell'atto di compravendita, con l'unica finalità di fare cassa;
   dopo numerosissime puntate con decine di testimonianze dirette, che inchiodavano l'Agenzia delle entrate alle sue responsabilità, il 28 aprile 2016, è stata registrata una modifica dei comportamenti nei rapporti non proprio idilliaci tra cittadini e fisco;
   come riporta infatti un lancio della principale agenzia di stampa Ansa, in data 28 aprile 2016, ore 18,24, dal titolo: «Fisco: Entrate, contraddittori per accertamenti su immobili. Orlandi, prima di accertamento ragioni contribuente: “(ANSA) – ROMA, 28 APR – Contraddittori e accessi in loco per gli accertamenti sugli immobili: lo stabilisce l'ultima circolare dell'Agenzia delle Entrate dopo le recenti polemiche con Striscia La Notizia”. “Il contribuente – spiega il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi – deve poter esporre le sue ragioni prima di essere oggetto di accertamento, non dopo”. Il contraddittorio diventa così “il cuore – si legge nella circolare – dell'accertamento sugli immobili. Il confronto preventivo con il contribuente rappresenta infatti un'inderogabile necessità per rendere il più possibile realistica la ricostruzione dell'ufficio e meno conflittuale il rapporto con la persona, chiamata a fornire prima ancora dell'accertamento tutti gli elementi utili a quantificare correttamente il valore dell'immobile oggetto dell'atto”»;
   in tale circolare ai dipendenti sulla «nuova strategia dell'Agenzia delle entrate» che punta a rivoluzionare i controlli fiscali, la Direzione centrale accertamento pone particolare attenzione proprio a quello che il Tg satirico di Antonio Ricci ha denunciato: nel paragrafo «Contraddittori e accessi in loco per gli accertamenti sugli immobili», infatti, istituisce il confronto preventivo con il contribuente, per una inderogabile necessità il cui scopo principale è quello di fornire prima ancora dell'accertamento, tutti gli elementi utili a quantificare correttamente il valore dell'immobile oggetto dell'atto. La circolare incoraggia anche le visite presso l'immobile o l'azienda da valutare e i sopralluoghi nella zona di ubicazione, per acquisire una conoscenza diretta dello stato esteriore e delle caratteristiche del bene e intercettare così le corrette analogie e differenze con altri immobili o aziende presi a riferimento per la determinazione del prezzo di mercato. Sempre all'insegna della trasparenza, l'Agenzia raccomanda di allegare l'immagine dell'immobile accertato all'avviso di rettifica consegnato al contribuente, a supporto della motivazione che ha spinto la rivalutazione del bene da parte del fisco;
   la battaglia informativa di Striscia la Notizia, condivisa dalle associazioni dei consumatori – in particolar modo l'Adusbef – e dagli stessi contribuenti, evidenzia secondo gli interroganti un atteggiamento dell'Agenzia delle entrate poco coerente con i principi delle Statuto dei diritti del contribuente;
   è opportuno continuare la lotta all'evasione ed all'elusione fiscale, anche con il contrasto degli interessi, tutelando i diritti dei cittadini contribuenti, la legalità, lo Statuto dei diritti dei contribuenti, troppo spesso violato, e impedire le grandi frodi fiscali, attività purtroppo non sempre perseguita, invece di procedere a vere e proprie persecuzioni verso chi dimentica, sbagliando, di emettere scontrini fiscali per modestissimi importi;
   in data 28 aprile, l'Agenzia delle entrate, con atto intimidatorio e lesivo della libertà di informazione, ha dichiarato di aver dato mandato all'avvocatura della Stato per citare in giudizio Striscia la Notizia;
   in data 29 aprile, con un comunicato stampa pubblicato sul proprio sito, Striscia la Notizia ha così risposto all'Agenzia: «La dichiarata intenzione dell'Agenzia delle entrate di ricorrere alle vie legali contro Striscia la Notizia è un atto intimidatorio che intende limitare la libertà di informazione. Noi abbiamo solo dato voce ad alcune delle centinaia e centinaia di segnalazioni ricevute dai contribuenti. Le minacce ai funzionari di cui l'Agenzia ci accusa sono una infamante menzogna volta a disinformare e l'Agenzia dovrà assumersene la responsabilità. Non vediamo l'ora che i giudici possano appurare la verità e, per questo, siamo pronti a portare le nostre ragioni sino alla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo. Si tratta, da parte dell'Agenzia, di una vera e propria azione temeraria della quale dovrà rispondere anche davanti alla Corte dei Conti. Noi, comunque, siamo sempre pronti ad accogliere le loro scuse»;
   la circolare ai dipendenti sulla «nuova strategia dell'Agenzia delle entrate», che punta a rivoluzionare i controlli fiscali e pone particolare attenzione proprio ai «Contraddittori e accessi in loco per gli accertamenti sugli immobili», costituisce a parere degli interroganti una risposta a quanto denunciato dal Tg satirico di Antonio Ricci, nelle 25 puntate di Striscia la Notizia;
   inoltre, tale nuovo orientamento, che incoraggia l'Agenzia ad effettuare anche le visite presso l'immobile o l'azienda da valutare e i sopralluoghi nella zona di ubicazione, per acquisire una conoscenza diretta dello stato esteriore e delle caratteristiche del bene e intercettare così le corrette analogie e differenze con altri immobili o aziende presi a riferimento per la determinazione del prezzo di mercato, costituisce, sempre a parere degli interroganti, proprio un'ammissione di colpa grave in merito a quanto descritto in premessa;
   è da ritenersi lesiva della libertà di informazione quella che gli interroganti giudicano una lite temeraria, che l'Agenzia delle entrate vorrebbe intentare contro un Tg satirico, reo di aver fatto il proprio dovere di informare correttamente l'opinione pubblica e portato alla luce abusi che hanno costretto l'Agenzia delle entrate ad opportune rettifiche e cambi radicali di rotta;
   la tardiva « glasnost» dell'Agenzia delle entrate, che addirittura raccomanda di allegare l'immagine dell'immobile accertato all'avviso di rettifica consegnato al contribuente, a supporto della motivazione che ha spinto alla rivalutazione del bene da parte del fisco, dovrebbe a questo punto condurre all'annullamento in autotutela degli avvisi di accertamento emanati a seguito di verifiche non condotte seguendo le linee guida da ultimo prescritte (ristorando i gravissimi danni economici, morali e materiali, subiti dai contribuenti), nonché far scattare sanzioni verso dirigenti che, profittando della loro posizione, hanno vessato i contribuenti più deboli ed indifesi, che hanno preferito pagare –:
   per quali ragioni le linee guida descritte in premessa siano state adottate solo a seguito dei ripetuti servizi diffusi dal TG satirico, costituendo esse garanzie per il contribuente che avrebbero dovuto osservarsi già da prima, e se non ritenga opportuna l'adozione di iniziative per sanare gli abusi commessi in precedenza, tra cui l'annullamento in autotutela degli avvisi di rettifica non conformi alle prescrizioni di cui alla circolare del 28 aprile 2016. (5-08647)


   GEBHARD, PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e MATARRELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è venuto alla luce che il prestito sociale della Coop pari a 12 miliardi di euro è privo di controllo anche da parte di Banca d'Italia;
   è fallita la Coop Ca che gestiva una quarantina di supermercati in Carnia cui erano stati affidati risparmi per 27 milioni di euro e nella stessa situazione si trovano 16 milioni di risparmiatori che a Trieste avevano depositato 102 milioni alla Coop Operaie;
   il caso Coop è più grave di quello delle obbligazioni bancarie dal momento che la cooperativa non è una banca, ma per operare come tale deve chiedere l'autorizzazione a Banca d'Italia;
   la situazione contabile dei due grandi colossi storici del mondo cooperativo, la Coop Operaie e la Coop Carnica, sembra essere stata a conoscenza di tutti meno che dell'organo politico legalmente responsabile della vigilanza ovvero della giunta regionale friulana;
   ai sensi del testo unico bancario (di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385) si attribuisce al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) l'alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio che delibera, su proposta della Banca d'Italia, principi e criteri per l'esercizio della vigilanza e le deliberazioni in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali, concernenti le operazioni e i servizi bancari e finanziari sono assunte su proposta della Banca d'Italia, d'intesa con la Consob; tra le funzioni del CICR rientra anche il rilascio del parere conforme sull'emissione di prestiti obbligazionari da parte delle regioni a statuto ordinario e della Valle d'Aosta (legge 16 maggio 1970, n. 281) –:
   se sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e, nel caso positivo, quali iniziative di competenza intenda intraprendere per dare sicurezza ai risparmiatori che affidano i propri fondi alle cooperative. (5-08648)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 26 maggio 2016 è convocata l'assemblea di Enel spa per procedere al rinnovo del collegio sindacale dell'azienda;
   secondo quanto reso pubblico dall'azienda nel sito istituzionale (www.enel.com) il 2 maggio 2016, in vista della procedura di elezione dei componenti dell'organismo, sarebbero state presentate le relative candidature suddivise in due liste: la lista 1, presentata dal Ministero dell'economia e delle finanze, titolare del 23,585 per cento circa del capitale sociale, e la lista 2, presentata da un raggruppamento di 16 società di gestione del risparmio e altri investitori istituzionali, titolari complessivamente del 2,156 per cento del capitale sociale;
   tra i candidati della lista del Ministero dell'economia e delle finanze, risulterebbe essere presente Roberto Mazzei, già presidente dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato dal 2009 al 2011;
   secondo quanto rilevato dal Corriere della Sera del 4 maggio 2016 «per la posizione che occupa nella lista e per il fatto che la stessa giunga dall'azionista di maggioranza dell'Enel, il Tesoro, non è escluso che Mazzei possa aspirare anche alla presidenza del collegio»;
   così come pubblicato da numerosi e autorevoli organi di stampa, sembrerebbe che il nome di Roberto Mazzei sia emerso nel corso delle intercettazioni nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta «P4» nella quale sarebbe stato indagato Luigi Bisignani;
   in particolare, Bisignani avrebbe dichiarato ai magistrati di aver segnalato Mazzei al professor Tremonti per fargli ottenere la nomina di presidente dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato;
   nell'articolo del Corriere della Sera del 4 maggio 2016, nel richiamare il legame tra Roberto Mazzei e Luigi Bisignani, l'articolista avrebbe definito Mazzei «ex socio e amico di Luigi Bisignani – avevano diverse attività insieme come la Four Advisoring chiusa nel 2014 e che anche lo studio nelle strade del centro della Capitale fosse in sharing»;
   è il caso di sottolineare che nell'ordinamento italiano il collegio sindacale è un organo di vigilanza che dovrebbe esercitare un controllo di legalità con una costante verifica del rispetto delle norme e dello statuto societario;
   da quanto esposto precedentemente, ai componenti del collegio sindacale di una società deriverebbero responsabilità di grande rilievo che richiederebbero conseguentemente, oltre a specifiche competenze tecnico professionali, anche profili di specchiata moralità;
   questi principi, dovrebbero acquisire carattere di priorità soprattutto quando la designazione proviene da istituzioni dello Stato, come il Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito ai criteri di designazione e ai requisiti dei candidati al collegio sindacale dell'Enel;
   quali iniziative intenda adottare per garantire che la designazione dei componenti del collegio sindacale dell'Enel sia improntata a principi quali trasparenza delle procedure e competenza e specchiata moralità dei candidati. (5-08640)


   CASTELLI, RUOCCO e SPADONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 maggio 2016, si svolgerà l'assemblea dei soci di Iren spa nel quale sarà approvato l'ultimo bilancio;
   da fonti giornalistiche si apprende che i piccoli azionisti di Iren hanno presentato un esposto alla Consob, avanzando una serie di domande molto puntuali sui comportamenti della società;
   nel mirino dei piccoli azionisti il rapporto tra Iren e il suo azionista comune di Torino: «L'analisi puntuale delle relazioni di bilancio del gruppo Iren evidenzia un indebitamento complessivo del Comune di Torino non soltanto eccessivamente elevato, ma perdurante nel tempo e recentemente rialimentato dall'acquisizione del 50 per cento di AMIAT spa. Riteniamo che tale posizione debitoria non possa essere ricondotta nell'ambito di un ordinario rapporto tra cliente e fornitore che, trattandosi di parte correlata in quanto uno dei principali azionisti di Iren, non dovrebbe in alcun modo trarre indebiti vantaggi ricevendo da Iren spa non soltanto la fornitura di un servizio ma anche un sostegno duraturo di natura finanziaria. I rapporti con le parti correlate delle società quotate, come è noto, vengono gestiti dal «Comitato parti correlate», a garanzia di tutti gli azionisti e al fine di evitare conflitti di interesse e gli indebiti vantaggi economici e finanziari di cui sopra in capo alle medesime. Nel dettaglio, il credito verso il Comune di Torino viene gestito all'interno di un'operazione di «conto corrente condiviso» con lo stesso Comune (allegati 1-2), una sorta di plafond mai esplicitato a noi azionisti, trasformando di fatto quella parte di esposizione da credito commerciale a credito finanziario al fine di migliorare la Posizione finanziaria netta complessiva. Il credito della controllata AMIAT spa nei confronti del Comune passa da 67,7 milioni di euro del 31 marzo 15 (allegato 3) a 80,6 milioni di euro al 30 giugno 2015 (allegato 4) e a 83,7 milioni di euro al 30 settembre 2015 (allegato 5): pertanto, non solo la parte di credito finanziario si incrementa, ma anche l'esposizione complessiva (Iren servizi e innovazione, AMIAT) resta sistematicamente assai elevata (circa 190 milioni sempre al 30 settembre 2015). Domandiamo pertanto il motivo per cui non si sia rispettato l'accordo del 14 novembre 2012, (allegato 6), già eccessivamente accomodante, e si sia stabilito di concedere un finanziamento a lunga scadenza al Comune di Torino senza apparente e concreta prospettiva di rientro, a detrimento della gestione dei flussi finanziari del gruppo e foriero di probabili svalutazioni future, e senza che il Comitato parti correlate si esprimesse in tal senso. Pur regolato da tasso di interesse (la cui esigibilità è peraltro dubbia), il credito finanziario aperto al Comune di Torino non è evidentemente in linea con la missione di Iren»;
   la Consob ha rivolto una serie di domande molto puntuali alle quali Iren risulta aver risposto pochi giorni fa;
   i fatti riportati dall'esposto sarebbero di responsabilità del presidente del collegio sindacale Paolo Peveraro, indicato come presidente di Iren dal sindaco uscente Piero Fassino, ed ex assessore al bilancio di Torino –:
   se il Governo abbia avuto notizie e informazioni dai competenti organi di vigilanza in ordine ai fatti richiamati in premessa e ad eventuali iniziative ad essi connessi. (5-08664)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   CRIVELLARI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo carcere di Rovigo è stato inaugurato ufficialmente nelle scorse settimane, alla presenza dei Ministri della giustizia Andrea Orlando e delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio;
   è notizia di questi giorni che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria stia richiedendo ai diversi istituti carcerari dell'area triveneta l'invio presso la nuova struttura di Rovigo di detenuti che rientrano nelle misure previste dall'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario (si tratta cioè di detenuti che godono di un regime particolare: escono dal carcere alla mattina e rientrano alla sera, potendo prestare lavoro all'esterno della struttura –:
   se il trasferimento così repentino da un penitenziario all'altro per questi soggetti particolari non rischi di essere in contraddizione o quantomeno di complicare i passaggi già previsti dalla normativa penitenziaria, che prevede un preciso piano trattamentale elaborato da un educatore e approvato dal magistrato di sorveglianza che ha la competenza sulla struttura;
   se e in che modo si intenda garantire anche la condizione del personale del carcere, a fronte dell'aumento del numero dei detenuti. (3-02251)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI e MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   diverse agenzie di stampa e testate giornalistiche hanno riportato i gravi fatti avvenuti nel pomeriggio dell'8 maggio 2016 nella sezione A del carcere piacentino, dove sono recluse 15 persone, dei quali solo uno è italiano;
   stando alle notizie a mezzo stampa, ed alle dichiarazioni del Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) ivi riportate, si è trattato di una vera e propria guerriglia, iniziata alle ore 16 quando «due detenuti di origine magrebina hanno iniziato a devastare la sezione rompendo telecamere, suppellettili e tutto quanto era possibile distruggere» (...) «i due detenuti avrebbero inneggiato all'Isis, ad Allah e alla Jihad» (...);
   la stima dei danni sembra essere di circa 20.000 euro e per placare la sommossa sono dovuti intervenire, con caschi e scudi in assetto antisommossa, 15 agenti di polizia penitenziaria;
   in particolare, per il Sappe «la cosa gravissima è che questi detenuti beneficiano del regime aperto, come coloro che si comportano bene», godendo del sistema della cosiddetta «vigilanza dinamica» che consente agli stessi di stare molte ore al giorno fuori, mischiandosi tra loro e sotto un'esigua sorveglianza;
   si ricorda che nelle carceri italiane ci sono circa 10 mila detenuti di fede islamica e circa 300 di loro sono monitorati per aver manifestato la loro adesione a fenomeni di radicalizzazione;
   tali comportamenti dei detenuti sono, a giudizio degli interroganti, atti di estrema pericolosità, che creano un grave allarme sociale anche tra l'opinione pubblica e confermano la ripetuta denuncia degli interroganti che le carceri italiane rappresentano un rischioso luogo di reclutamento e aggregazione per i jihadisti;
   è cosa nota, infatti, che anche le celle, come le moschee o il web rappresentano luoghi di maggiore radicalizzazione del jiadismo, registrando l'ingresso di molti criminali comuni, entrati in carcere senza alcuna particolare indicazione religiosa e trasformatisi gradualmente in estremisti fondamentalisti sotto l'influenza di altri detenuti già radicalizzati –:
   se e quali iniziative urgenti intenda porre in essere per evitare il ripetersi di episodi gravi come quello esposto in premessa, prime fra tutte quelle di sospendere il sistema della «vigilanza dinamica» e di detenere in isolamento i reclusi che ha o manifestato, o i cui comportamenti lasciano presumere, volontà di adesione a fenomeni di radicalizzazione, atteso che, a giudizio degli interroganti, la proposta del Ministero della giustizia di far entrare nelle carceri italiane gli imam dell'Ucoii per indirizzare la preghiera in cella non può essere un efficace misura di contrasto per prevenire la radicalizzazione dei detenuti. (5-08637)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da fonte stampa del 23 marzo 2016 della rivista on-line Ferrovie.it si apprende che i 25 treni Italo AGV 575, saranno dotati di defibrillatore (DAE) grazie ad un progetto in collaborazione con l'azienda regionale emergenza sanitaria del Lazio (ARES 118) che ha fornito il supporto nella redazione di procedure di sicurezza e nella formazione del personale, quest'ultima effettuata anche a cura della Croce Rossa Italiana Comitato provinciale di Bologna. Partner di Italo è la società Iredeem spa che ha fornito i defibrillatori per i treni Italo;
   con nota UA 4/5/2016 di Trenitalia, divisione passeggeri Long Haul, esercizio Frecciarossa, avente ad oggetto «Dotazione defibrillatori a bordo dei treni Frecciarossa», la società informa le segreterie nazionali dei sindacati che a partire dal giorno 9 maggio 2016 sui treni Frecciarossa verrà posizionato in ambiente «bistrò» un defibrillatore (DAE) che sarà in dotazione esclusivamente al personale di ristorazione della Società Itinere, appositamente istruito al suo utilizzo;
   da quanto si evince dalla suddetta nota, questa disposizione per la dotazione di defibrillatori DAE varrà solo per i treni Frecciarossa, lasciando quindi intuire che per tutti gli altri treni a lunga percorrenza, ovvero regionali, ovvero corse a mercato (esclusi i suddetti treni Frecciarossa) ovvero a servizio universale, non varrà tale disposizione;
   l'intervento tempestivo con defibrillatore entro i primi minuti dall'arresto cardiaco secondo diversi studi e ricerche consente di salvare la vita in oltre il 50 per cento dei casi. Infatti, da fonte di stampa pubblicata dal « TIO» il portale del Ticino, in data 31 ottobre 2013, si apprende che a seguito della morte di un quarantenne a bordo di un Treno interregionale in Svizzera, la FFS (Ferrovie federali Svizzere) avrebbe assicurato che nei treni in circolazione dal 2015, prodotti da Bombardier, i defibrillatori saranno presenti e potranno essere usati per salvare delle vite;
   sembrerebbe quindi che le aziende italiane e straniere, pubbliche e private, senza alcuna norma che obblighi l'adozione di defibrillatori, stiano provvedendo a dotarsi di tale indispensabile equipaggiamento che assume un'importanza fondamentale nel salvare la vita ai cittadini che vengono colpiti da malori. Tuttavia, moltissimi treni sia di Trenitalia sia delle società ferroviarie di cui lo Stato italiano è proprietario, sono sprovvisti di tale equipaggiamento –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di propria competenza, affinché le società di trasporto ferroviario garantiscano la presenza dei defibrillatori e di personale qualificato all'utilizzo, a bordo dei treni a lunga percorrenza e regionali, sia di proprietà pubblica sia privata. (5-08632)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa del 19 aprile 2016 si apprende che l'Agenzia di sicurezza ferroviaria polacca avrebbe comunicato all'analoga autorità italiana (ANSF) consistenti difetti nei telai dei carrelli dei treni ATR220 tr-Swing di fabbricazione della società polacca PESA, con rischio consistente di deragliamento, registrando 14 casi «di rottura del telaio» accaduti in Polonia, dove i treni Swing sono stati bloccati e messi fuori servizio;
   in molte regioni italiane (Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Veneto, Abruzzo, Basilicata e Calabria) i nuovi treni Swing Atr220tr per il trasporto dei pendolari sarebbero quindi stati ritirati per mancanza di sicurezza;
   in Toscana nell'ottobre 2015 si sono registrati forti disagi sulle tratte ferroviarie a causa dai malfunzionamenti a bordo dei treni Swing che quindi risultavano già circolanti in tale data eppure solo recentemente è avvenuto il ritiro;
   in virtù di tali notizie non si comprende perché tali ritiri siano avvenuti in Italia solo a seguito della comunicazione dell'Agenzia di sicurezza ferroviaria polacca e tali difetti non siano già stati riscontrati in Italia in fase di controllo e certificazione del materiale rotabile in oggetto prima della messa in servizio sulle tratte ferroviarie;
   a giudizio dell'interrogante tale circostanza ha di fatto creato un rischio per l'incolumità pubblica e per l'utenza ferroviaria e, quindi, solo per motivi riconducibili alla fortuna, non si sono verificati incidenti ferroviari –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e possa riferire quanti siano i treni Swing Atr 220tr acquistati da Trenitalia spa e dalle regioni e fornire tutti i dettagli relativi ai controlli di omologazione e di sicurezza su tali vetture;
   quali siano le motivazioni per cui, nonostante la gravità del caso, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Anfs non fossero a conoscenza di tali problematiche prima della messa in servizio dei treni ATR220 tr-Swing ovvero non abbiano messo in atto iniziative volte ad evitare gli eventi denunciati. (5-08633)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2004/49/CE al CAPO IV, articolo 16, punto F, stabilisce che tra i compiti assegnati all'Autorità preposta alla sicurezza ferroviaria, vi sia quello di «controllare, promuovere e, se del caso, imporre ed elaborare un quadro normativo in materia di sicurezza, compreso il sistema di disposizioni nazionali in materia di sicurezza»;
   l'articolo 4 del decreto legislativo n. 162 del 2007 incarica l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (ANSF) di svolgere i compiti e le funzioni per essa previsti dalla direttiva 2004/49/CE dandole competenza per l'intero sistema ferroviario nazionale;
   è noto che qualora esista la possibilità di interpretare a proprio piacimento le norme in materia di sicurezza, si potrebbe pregiudicare o annullare l'efficacia delle stesse. In virtù di quanto sopracitato, l'articolo 12, comma 1, del medesimo decreto legislativo – Norme nazionali di sicurezza – stabilisce che: «l'Agenzia provvede affinché gli standard e le norme nazionali di sicurezza siano pubblicate in un linguaggio chiaro e accessibile agli interessati e messe a disposizione di tutti i gestori dell'infrastruttura, delle imprese ferroviarie, di chiunque richieda un certificato di sicurezza e di chiunque richieda un'autorizzazione di sicurezza»;
   il sindacato Fast Ferrovie, con nota prot.1111/7/SN dell'11 gennaio 2012 chiedeva esplicitamente all'ANSF se attraverso disposizioni di esercizio, le imprese ferroviarie potessero integrare e/o modificare le norme di esercizio;
   con nota del 24 gennaio 2012, 1'ANSF rispondeva che le «DEIF» sono solamente applicative delle suddette norme nazionali ma non chiariva quanto invece precisato nella domanda, ossia se fosse possibile per le società di trasporto ferroviario, produrre delle integrazioni o delle modifiche anche lievi, fatto che continua a produrre dubbi in merito alla legittimità di alcune procedure legate alla sicurezza dell'esercizio;
   con nota prot. 11/SG/OR.S.A. Ferrovie del 19 gennaio 2016, il sindacato Or.S.A. poneva all'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria i seguenti quesiti riguardanti la sicurezza ferroviaria:
    a) se la procedura indicata nel decreto Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria 1/2009 sopracitato fosse a suo tempo da considerarsi cogente per RFI e per le Imprese Ferroviarie, oppure fossero da ritenersi legittime anche le integrazioni da queste emanate a mezzo DEIF senza il rispetto delle procedure in esso menzionate;
    b) se l'entrata in vigore del decreto dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria 4/2012, abbia in tal senso ampliato i margini di discrezionalità delle imprese rispetto alla suddetta questione, permettendo oggi ad esse, all'interno dei principi generali stabiliti dall'Agenzia, l'emanazione di integrazioni di norme di esercizio in maniera autonoma;
   nella risposta fornita dall'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria alle suddette domande, l'Agenzia si riferisce unicamente alla impossibilità di un'autonoma scelta di modifica delle norme di esercizio da parte delle imprese ferroviarie, cosa non richiesta dalla domanda del sindacato Or.S.A., mentre, a quanto risulta all'interrogante, nulla veniva chiarito in merito all'unico oggetto di interesse del quesito, ossia alla possibilità per le suddette imprese Ferroviarie di integrare, senza il preventivo assenso dell'Agenzia, le norme di esercizio –:
   se il Ministro possa chiarire definitivamente se le integrazioni alle suddette norme prodotte dalle imprese ferroviarie senza preventiva autorizzazione dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria fossero, prima del decreto n. 4 del 2012, ovvero sono, a seguito dell'emanazione di quest'ultimo, da ritenersi legittime e, in caso contrario, quali iniziative di competenza intenda assumere;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per verificare costantemente che l'applicazione puntuale delle disposizioni emanate dall'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria sia uniforme per tutte le imprese ferroviarie operanti sul territorio nazionale. (5-08634)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il trenino verde della Sardegna esempio unico e straordinario di rete ferroviaria a scartamento ridotto è in totale stato di abbandono con gravissime ripercussioni sul piano turistico ed economico, oltre che sul piano storico, ambientale, naturalistico e paesaggistico;
   in numerosi tratti la regione ha sostanzialmente abbandonato, sino al degrado, il percorso ferroviario;
   si registrano binari abbandonati senza alcuna manutenzione, bulloni ferroviari sparsi lungo tutta la rete, traversine in disfacimento;
   si tratta di un patrimonio unico nel suo genere lasciato in totale abbandono con un degrado totale, tutto funzionale alla dismissione non solo della tratta ogliastrina ma dell'intero compendio ferroviario naturalistico;
   le foto che l'interrogante ha divulgato sono la più evidente dimostrazione del disastro che si sta consumando nel percorso ferroviario tra Arbatax-Lanusei;
   non è un caso che sul sito della regione Sardegna campeggi un annuncio foriero del fermo totale del trenino verde. Il calendario 2016 dei viaggi del Trenino Verde – è scritto nel sito – «non è ancora stato definito e autorizzato»;
   è la conferma di una scelta, a giudizio dell'interrogante, di una gravità inaudita, considerato che a maggio inoltrato ancora niente è stato fatto per far ripartire quello straordinario collegamento dell'entroterra che attraversa le più esclusive gole naturalistiche del Nuorese e dell'Ogliastra;
   si tratta di un annuncio che vale, secondo l'interrogante, come dichiarazione di incapacità totale a gestire un patrimonio unico come la linea ferrata che attraversa l'entroterra della Sardegna;
   è l'ennesimo atto di una gestione di questo patrimonio immenso che dimostra ogni giorno di più la totale improvvisazione e superficialità nel gestire partite così importanti;
   si tratta, a giudizio dell'interrogante, di un'ammissione di totale incompetenza pubblicata nel sito ufficiale destinato agli operatori turistici;
   la mancata autorizzazione alla ripartenza del trenino verde e del suo spettacolare percorso nell'interno della Sardegna è un fatto di una gravità senza precedenti proprio perché avviene all'avvio della stagione estiva;
   si tratta, secondo l'interrogante, di una vergogna inaccettabile che sta mettendo in ginocchio tantissimi tour operator;
   quando né la regione né lo Stato per quanto riguarda il patrimonio culturale e naturalistico da fruire e valorizzare sono in grado di pianificare e gestire un gioiello come il trenino verde vuol dire che si è dinanzi ad una grave negligenza;
   niente è stato concretamente fatto per il riconoscimento del trenino verde della Sardegna come patrimonio dell'umanità e le annunciate azioni sono rimaste lettera morta –:
   se non intendano i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, mettere in atto iniziative tese a salvaguardare questo patrimonio;
   se non intendano, per quanto di competenza, di concerto con le associazioni, i comuni e la stessa regione, promuovere un'iniziativa congiunta non solo per il pieno ripristino delle tratte ferroviarie di straordinaria valenza naturalistica, paesaggistica e ambientale, ma anche per pervenire al riconoscimento come patrimonio dell'Umanità del trenino verde della Sardegna;
   se non si intenda assumere un'iniziativa decisa verso l'Unesco anche alla luce della esigenza di valorizzare le zone interne sul piano turistico, cultura e ambientale naturalistico. (5-08642)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Cipe, secondo comunicato ufficiale del 1o maggio 2016, ha approvato la riduzione di due milioni di euro per il Porto di Olbia;
   il taglio è stato deciso sul programma «Opere piccole e medie nel Mezzogiorno» di cui è titolare il Presidente del Consiglio dei ministri;
   la sottrazione è stata taciuta nel comunicato di Palazzo Chigi, ma risulta nella delibera ufficiale di sintesi del Cipe;
   la comunicazione è esplicita e riguarda il compartimento opere pubbliche Lazio, Abruzzo e Sardegna dove si prevede: «rimodulazione per un nuovo intervento e maggiori lavori a nove sedi delle forze di polizia per 2 milioni di euro e in diminuzione per un intervento al porto di Olbia per lo stesso ammontare»;
   il dispositivo, dunque, prevede la cancellazione dei due milioni da uno stanziamento per il porto di Olbia e l'assegnazione degli stessi fondi per nove sedi di forze di polizia;
   tutto questo nel silenzio più assoluto e soprattutto applicando un disimpegno di risorse unico nel provvedimento del Cipe;
   è sconcertante, poi, il tentativo non riuscito di palazzo Chigi di non far emergere la decisione;
   è fin troppo evidente, a giudizio dell'interrogante, il tentativo di far passare sotto silenzio la decisione nel comunicato ufficiale per non svelare il vero contenuto, di questo ennesimo «scippo» alla Sardegna;
   è inspiegabile che in una regione già discriminata sul piano infrastrutturale e delle risorse assegnate si prevedano tagli di risorse proprio su infrastrutture fondamentali come la stessa portualità;
   il taglio poi avviene in una realtà come Olbia che proprio sulla portualità ha il suo perno fondamentale di sviluppo e crescita;
   qualsiasi giustificazione a questa sottrazione è destituita di fondamento;
   si tratta di un atto grave proprio perché compiuto ad avviso dell'interrogante del silenzio e nell'omissione della stessa informazione;
   è grave il silenzio delle istituzioni regionali e locali che accettano senza colpo ferire ogni taglio di risorse, fatto salvo poi proporre generiche e gratuite lamentazioni;
   è l'ennesimo atto di un Governo che, da una parte, annuncia quelle che appaiano all'interrogante fumose e insussistenti intese e, dall'altra, taglia fondi e progetti;
   è impensabile che tale sottrazione sia stata decisa in sede di Cipe dove è obbligatoria la concertazione tra le varie istituzioni statali e regionali, ossia chi ha proposto tale taglio e chi ha dato il consenso a tale sottrazione ai danni della città di Olbia e della Sardegna –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per ripristinare tale stanziamento e attivare un piano straordinario di rilancio della portualità in Sardegna, considerata la sempre più pressante promiscuità di trasporto nei porti sardi, compreso il transito e la permanenza di navi a forte pericolo di combustione e inquinamento. (5-08643)


   D'ARIENZO, TULLO e MOGNATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre 2012 nell'ambito del «progetto impianto equipaggi regionale» Trenitalia aveva proposto l'istituzione nel Veneto di due uffici impianti equipaggi con relativa organizzazione e presenza di personale: Venezia e Verona;
   ad oggi, però, nonostante il tempo trascorso e le diverse sollecitazioni, la proposta non si è concretizzata;
   i numeri e la produzione sono di rilievo, senza contare che Verona è e sarà ancora di più un nodo fondamentale per le ferrovie italiane e i collegamenti alta capacità con l'Europa;
   la situazione attuale in Italia degli uffici in questione è: 1 in Veneto, 6 in Calabria, 4 in Campania, 4 su 5 sedi provinciali in Emilia Romagna, 7 nel Lazio, 4 in Puglia, 4 in Sicilia, 4 in Toscana e 10 in Piemonte; come numero di treni e di personale, il Veneto, regione policentrica, è seconda solo al Lazio;
   presso la stazione di Porta Nuova è presente la sala coordinamento, controllo, circolazione che impiega circa un centinaio di ferrovieri di cui almeno 70 con alta qualificazione e governa le linee da Sommacampagna a Padova, da Poggiorusco al Brennero, da Vicenza a Schio, da Verona a Modena, da Mantova/Legnago a Monselice, da Verona a Rovigo e le tre linee locali del Trentino (Trento-Castelfranco) e dell'Alto Adige (la Bolzano-Merano e la Fortezza-San Candido);
   con l'attivazione del potenziamento tecnologico Brescia-Sommacampagna la gestione della circolazione viene svolta dal dirigente centrale operativo ubicato presso la sala controllo di Milano Greco; mentre il dirigente centrale coordinatore movimento di giurisdizione è quello di Verona, ubicato nel posto centrale SCC di Verona;
   ciò accadrà anche per la tratta Verona Porta Vescovo-Altavilla Vicentina (esclusa). In questo modo si estenderà la zona di giurisdizione della tratta stessa al dirigente centrale operativo di Milano Greco (dirigente centrale coordinatore movimento sempre di Verona);
   la gestione della circolazione per la tratta Brescia-Padova vedrà un punto di rottura nel nodo di Verona, ma sarà completamente trasferita e gestita dal PC di Milano Greco. Appaiono evidenti che l'organizzazione futura e le ricadute occupazionali saranno negative per Verona;
   è stato deciso lo stato di agitazione del personale da tutte le organizzazioni sindacali –:
   quali siano le ragioni per le quali ad oggi non è stato istituito l'ufficio equipaggi a Verona e quali iniziative di competenza si intendano avviare per provvedere in tal senso;
   se, con la deresponsabilizzazione nella gestione della circolazione sulla direttrice orizzontale, verrebbe meno la necessità della presenza di un posto centrale a Verona con giurisdizione sulla sola sub direttrice del Brennero, e si intenda fornire ogni altro elemento utile di conoscenza al riguardo. (5-08644)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 dicembre 2015 la società Linea Ambiente s.r.l., soggetta all'attività di direzione e di coordinamento di Linea Group Holding (LGH) spa, con sede legale ed amministrativa a Rovato (BS), ha inviato alla provincia di Taranto, la richiesta di giudizio di compatibilità ambientale (articolo 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e legge regionale n. 11 del 2001) contestuale alla richiesta di autorizzazione integrata ambientale (articolo 29-ter-sexies del decreto legislativo n. 42 del 2004) – Modifica sostanziale discarica III lotto linea ambiente, inquadrata in sottocategoria ex articolo 7, comma 1, lettera c), del decreto ministeriale 27 settembre 2010, località Torre Caprarica Grottaglie (TA) – ottimizzazione orografica dei profili attualmente autorizzati;
   la procedura viene seguita per l'ente provincia di Taranto dal «Settore 09 Ecologia ed Ambiente, con responsabili del procedimento gli ingegneri Marino Dilonardo e Aniello Polignano e trattasi di un ampliamento dell'attuale discarica che effettua operazioni classificate «D1» ai sensi dell'allegato B, parte quarta, del decreto legislativo n. 152 del 2006. L'attuale III lotto ha ricevuto l'autorizzazione integrata ambientale dalla regione Puglia il 3 luglio 2008 per una volumetria 2.334.000 metri cubi e con la richiesta in oggetto si chiede di portarla a 4.571.000 metri cubi, quindi di raddoppiarla, grazie ad un innalzamento delle quote di fine conferimento attualmente previste con altezza media fuori terra colonna rifiuto di 5 metri da portare secondo i richiedenti a 16 metri. La discarica continuerà a ricevere rifiuti speciali non pericolosi, fanghi da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, oltre che rifiuti urbani provenienti da altri ATO regionali come previsto, in contrasto con il principio di prossimità e autosufficienza, dalla legge regionale 7 aprile 2015 n. 14;
   il III lotto, originariamente sotto la gestione della società Ecolevante spa, è contiguo ad una discarica autorizzata con deliberazione della giunta provinciale di Taranto n. 1303 del 10 novembre del 1998, sempre dalla Ecolevante spa, detta discarica è di rifiuti speciali di 2a categoria di tipo «B». Per cui nella zona in oggetto sono presenti anche un I lotto di 330.000 metri cubi e un II lotto di 1.200.000 metri cubi di cui ad oggi non risultano notizie allo scrivente circa l'attività che si svolge all'interno dei 2 lotti e se gli stessi sono stati messi in sicurezza ovvero bonificati. In seguito alla società Ecolevante spa, è succeduta la Linea Ambiente s.r.l. richiedente del raddoppio del III lotto;
   la discarica si trova a 4,5 chilometri dal comune di Grottaglie e a 4 chilometri dal comune di San Marzano di San Giuseppe ma soprattutto a meno di 5 chilometri dall'aeroporto di interesse nazionale «Arlotta» di Grottaglie destinato tra l'altro ad attività Cargo e di Tes Bed per i Droni. Inoltre, sempre allo scalo Arlotta di Grottaglie, sono presenti elicotteri appartenenti alla forze armate che spesso pattugliano a bassa quota il territorio;
   il paragrafo 7.9 del capitolo 7 Parte 3 dell'ICAO «Airport Service Manual» (Doc. ICAO 9137-AN/898) indica ad una distanza dal sedime aeroportuale di 13 chilometri il limite consigliato per l'insediamento di attività di smaltimento;
   l'articolo 707 del «Codice della Navigazione» ed il capitolo 4 paragrafo 12 del «Regolamento per la costruzione e l'esercizio degli aeroporti» attribuisce ad Enac il compito di identificare le attività presenti sul territorio che potrebbero essere potenzialmente pericolose per la navigazione aerea e per questo motivo l'ENAC individua le zone da sottoporre a vincolo nelle aree limitrofe agli aeroporti e stabilisce le limitazioni relative ai potenziali pericoli per la navigazione;
   l'articolo 711 del «Codice della Navigazione» prescrive che, nelle zone di cui all'articolo 707 sopraccitato, sono soggette a limitazioni le attività che, come lo smaltimento dei rifiuti, costituiscono un potenziale richiamo per la fauna selvatica o comunque un pericolo per la navigazione aerea. La realizzazione e l'esercizio delle attività di smaltimento dei rifiuti, fatte salve le competenze delle autorità preposte, sono pertanto subordinate all'autorizzazione dell'Enac, che ne accerta il grado di pericolosità ai fini della sicurezza della navigazione aerea;
   in merito all'aeroporto Arlotta di Grottaglie si apprende dalla relazione tecnica redatta dall'Enac «Mappa di Vincolo e limitazioni», dispositivo approvato n. 133766/PROT. del 26 novembre 2013 che, tra le tipologie di attività da sottoporre a limitazioni in prossimità dell'aeroporto, ricomprese nella «Tav. PC01 A», vi sono le discariche; per tanto, per l'accettabilità delle discariche da realizzarsi in prossimità degli aeroporti, si deve far riferimento alle «Linee Guida per la Valutazione della messa in opera di impianti di discarica in prossimità del sedime aeroportuale»;
   dalle sopraccitate linee guida si evince che il problema principale causato dalle discariche è quello di attirare animali selvatici, soprattutto uccelli a causa della presenza di sostanza organica, potenziale fonte di attrazione per l'avifauna e quindi con concreto rischio di incidenti con i velivoli (birdstrike). Non a caso, le linee guida sopraccitate di Enac in merito alle discariche di rifiuti speciali (come quella in oggetto) si legge che «Le tipologie di rifiuti che conferiscono in questa classe di discariche (...), meritano un maggiore livello di approfondimento, in quanto il coefficiente di rischio di attrazione per gli uccelli e le specie marine per questa tipologia di discarica è estremamente elevato»;
   la sottocategoria a cui appartiene la discarica in oggetto è classificata come ex articolo 7, comma 1, lettera c), del decreto ministeriale 27 maggio 2010, e quindi viene inquadrata come discarica «per rifiuti misti non pericolosi con elevato contenuto sia di rifiuti organici o biodegradabili che di rifiuti inorganici, con recupero di biogas» quindi si tratta proprio delle tipologie di rifiuto che attirano l'avifauna;
   dall'analisi dei codici CER (Catalogo europeo dei rifiuti) per il complesso inseriti nella «relazione tecnica AIA» in esame proposta dai richiedenti, si evincono 379 differenti tipologie di rifiuti di cui 35 tipologie di CER ricompresi anche nelle categoria «02»;
   l'Enac, nelle linee guida sopraccitate, ritiene in merito che, per le discariche di rifiuti speciali, «può essere autorizzata la costruzione di discariche destinate ad ospitare i rifiuti contemplati nel Catalogo Europeo dei Rifiuti non pericolosi, ad eccezione di quelli relativi al codice 2 e al 20, (...)» mentre «Relativamente alle discariche di rifiuti solidi urbani ed assimilati (ex I categoria), la realizzazione deve avvenire ad una distanza dal sedime aeroportuale la cui accettabilità dipende, tra l'altro, dal metodo di trattamento della frazione organica»;
   con determina dirigenziale n. 1 dell'ufficio Aia della regione Puglia del 19 gennaio 2015 è stata autorizzata, per il terzo lotto di discarica in oggetto, la sottocategoria per rifiuti misti non pericolosi, con elevato contenuto sia di rifiuti organici o biodegradabili che di rifiuti inorganici, con recupero di biogas. Inoltre, per diverse tipologie di codici CER, è stata autorizzata al III lotto della discarica, il conferimento di rifiuti con deroga al parametro DOC (concentrazione del carbonio organico disciolto) nell'eluato;
   a giudizio dell'interrogante, tali circostanze rappresentate dalla tipologia di rifiuti e dalle deroghe al parametro DOC nell'eluato, aumentano la possibilità di attrattività di avifauna con conseguente aumento del rischio di birdstrike;
   dall'ultimo rapporto sui rifiuti urbani 2015, redatto dall'Ispra e riferibile ai dati del 2014 alla tabella 16.15 «discariche per rifiuti non pericolosi che smaltiscono rifiuti urbani» – Puglia», si evince che, nel solo anno 2014, la discarica in oggetto abbia accolto circa 92 mila tonnellate di rifiuti urbani da trattamento, circa 53 mila tonnellate di rifiuti speciali da trattamento e circa 117 mila tonnellate di altri tipi di rifiuti speciali, quindi non trattati ed inoltre risulta una delle quattro discariche in cui sono stati conferiti rifiuti urbani (e in alcuni casi anche speciali) in provincia di Taranto insieme ai siti di Massafra, Taranto, Statte, per un quantitativo superiore al milione di tonnellate smaltite nel 2014 e precisamente di 1.121.017 tonnellata fronte di una produzione di rifiuti urbani della provincia di Taranto poco inferiore alle 300 mila tonnellate;
   a tali impianti di smaltimento, sempre presenti nella provincia di Taranto, vanno sommati gli altri siti di discariche che ricevono solo rifiuti – speciali – di cui una di rifiuti pericolosi all'interno dell'Ilva –, inceneritori – due presenti e uno in fase di raddoppio – ed un impianto di rifiuti pericolosi Hidrochemical service che, da fonti stampa, si apprende che abbia ricevuto anche rifiuti provenienti dall'impianto di Viggiano dell'Eni;
   la disastrosa situazione ambientale della provincia di Taranto è nota a causa della presenza di un importante sito di interesse nazionale. Il territorio è già interessato dagli impianti industriali come Ilva, Eni, Cementir, Arsenale Militare, della Cemerad, contenente illegalmente rifiuti radioattivi e degli impianti di smaltimento dei rifiuti già autorizzati. La situazione a detta dell'interrogante, non potrebbe che peggiorare qualora vengano rilasciate nuove autorizzazioni per aperture o raddoppi ad impianti di smaltimento di rifiuti compreso i raddoppi delle discariche di Grottaglie a cui si aggiunge la richiesta, attualmente in corso, di raddoppio della discarica di rifiuti speciali di Statte, Italcave;
   la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attività illecita sul ciclo dei rifiuti della XVI legislatura ha descritto la provincia di Taranto come sito di smaltimento dei rifiuti transregionali e trampolino di lancio dei rifiuti transnazionali e già da allora si chiedevano interventi in merito. La novità ad oggi è che a questi rifiuti si siano aggiunti anche i rifiuti regionali, peggiorando ulteriormente lo stato ambientale –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di salvaguardare la sicurezza dei velivoli;
   se ai fini della sicurezza dei velivoli, il Ministro dei trasporti ritenga necessario o opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per impedire la realizzazione del raddoppio del III lotto della discarica in questione;
   se il Ministro dei trasporti abbia intenzione di assumere iniziative, per il tramite dell'Enac, per garantire la sicurezza aerea nell'aeroporto di cui in premessa, analizzando tutti i diversi fattori al fine di rilasciare il parere sul raddoppio del III lotto della discarica posto che, non solo essa riceve rifiuti misti con elevato contenuto di rifiuti organici o biodegradabili, ma che, per gli stessi, sono in vigore anche deroghe al parametro DOC nell'eluato che potrebbero attirare ulteriormente l'avifauna e aumentare il rischio di birdstrike oltre al fatto che il raddoppio dovrebbe consistere nella realizzazione di una soprelevata fino a circa 16 metri di altezza;
   se il Ministro della difesa ritenga opportuno intraprendere iniziative di competenza al fine di scongiurare qualsiasi rischio per i velivoli militari che potrebbero essere oggetto di birdstrike nell'area di cui in premessa. (5-08662)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, sono state attuate le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
   l'articolo 3. (Definizioni), al comma 1, stabilisce che ai fini del presente codice si intende per:
    «V)“consorzio”, i consorzi previsti dall'ordinamento, con o senza personalità giuridica;
    P) “operatore economico”, una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi»;
   il comma 2 dell'articolo 45. (Operatori economici) specifica che:
    «2. Rientrano nella definizione di operatori economici i seguenti soggetti:
    a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, e le società, anche cooperative;
    b) i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422, e del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, e i consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443;
    c) consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro. I consorzi stabili sono formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa;
    d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c), i quali, prima della presentazione dell'offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l'offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti;
    e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all'articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del presente comma, anche in forma di società ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile;
    f) le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33;
    g) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240»;
   la seconda parte del comma 13 dell'articolo 48 (Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici), sancisce che «in caso di inadempimento dell'impresa mandataria, è ammessa, con il consenso delle parti, la revoca del mandato collettivo speciale di cui al comma 12 al fine di consentire alla stazione appaltante pagamento diretto nei confronti delle altre imprese del raggruppamento»;
   anche il comma 13 dell'articolo 105. (Subappalto) recita: «la stazione appaltante corrisponde direttamente al subappaltatore, al cottimista, al prestatore di servizi ed al fornitore di beni o lavori, l'importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite nei seguenti casi:
    quando il subappaltatore o il cottimista è una microimpresa o piccola impresa;
    in caso inadempimento da parte dell'appaltatore;
    su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente»;
   il successivo comma 20 dell'articolo 105 dispone che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai raggruppamenti temporanei e alle società anche consortili, quando le imprese riunite o consorziate non intendono eseguire direttamente le prestazioni scorporabili, nonché alle associazioni in partecipazione quando l'associante non intende eseguire direttamente le prestazioni assunte in appalto; si applicano altresì agli affidamenti con procedura negoziata»;
   la definizione contenuta nel comma 20 dell'articolo 105 relativamente alla locuzione «società anche consortili» dà adito secondo l'interrogante a dubbi interpretativi rispetto a soggetti interessati alla norma viste le varie forme associative così come enucleate nel comma 2 dell'articolo 45;
   l'abrogato decreto legislativo n. 163 del 2006, al comma 3 dell'articolo 118, per l'ipotesi di crisi di liquidità finanziaria dell'affidatario dell'appalto pubblico, prevedeva la possibilità del pagamento diretto dei soggetti della cosiddetta, «filiera» dell'appalto, con locuzione ampia, idonea a scongiurare dubbio interpretativo in ordine alla «propria latitudine» di applicazione, e ciò a tutela di tutti i soggetti a diverso titolo coinvolti nella esecuzione dell'appalto pubblico –:
   se intenda assumere iniziative per chiarire se la denominazione «società anche consortili» prevista nel comma 20 dell'articolo 105 comprenda tutti ed indistintamente gli operatori economici di cui al comma 2 dell'articolo 45;
   qualora ciò non fosse, quali iniziative normative intenda intraprendere al fine di non determinare disparità di tutela tra le diverse categorie di operatori economici operanti nell'ordinamento giuridico.
(4-13141)


   D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la strada regionale 249 Gardesana orientale è l'unica arteria che attraversa, da nord a sud, i territori di molti comuni sia trentini che veneti che si affacciano sulla sponda orientale del lago di Garda;
   il sedime stradale risulta in più punti sconnesso ed assai pericoloso, in quanto entrambe le corsie di marcia risultano per molti tratti con larghezze modeste, al limite della carrabilità, e costeggiano molti chilometri di spiagge frequentate da milioni di turisti ogni anno;
   tale strada regionale è percorsa da milioni di veicoli di turisti, italiani e stranieri, che arrivano e soggiornano sul lago di Garda (circa 12 milioni nel 2015) e, nel tratto più a nord a cavallo tra Veneto e Trentino Alto Adige, sono presenti anche gallerie buie e pericolose, simili a quelle presenti nel tratto occidentale della strada Gardesana;
   da circa 20 anni le amministrazioni locali, i sindaci e i comuni cittadini hanno chiesto a più riprese anche con lettere e petizioni di interdire, in maniera perpetua, tale arteria al traffico pesante per i gravi rischi ad esso connessi e per il fatto che, in caso di incidenti, potrebbero verificarsi anche drammi quali la caduta di camion, tir e autoarticolati sulle spiagge affollate di turisti, oltre che danni ingentissimi a persone e cose, oltre all'inquinamento dei luoghi;
   la Comunità del Garda, ente di natura morale che rappresenta e porta avanti gli interessi dell'intero bacino gardesano, da anni tenta di ottenere il blocco perpetuo del traffico pesante sulla suddetta strada;
   ogni sei mesi, entro il 30 aprile ed entro il 31 ottobre di ogni anno, la Comunità del Garda inoltra alla prefettura di Verona e al commissario governativo di Trento la ormai consueta richiesta di «blocco temporaneo» del traffico pesante sulla Gardesana. Ogni sei mesi, quindi, gli uffici territoriali del Governo devono re-istruire la pratica, chiedere parere a tutti i comuni interessati (14 solo per la parte veneta), nonché chiedere la conferma della possibilità di tale blocco del traffico pesante al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   per il periodo 1o maggio – 31 ottobre 2016, sia la prefettura di Verona (col provvedimento n. 1788/2016) che il commissario di Governo di Trento (col provvedimento n. 11406/2016) hanno disposto la «interdizione al transito dei veicoli per il trasporto di cose di massa superiore a 7,5 tonnellate, comprensivo di quelli adibiti al trasporto delle merci pericolose, dal chilometro 38 nel Comune di Peschiera, fino al 91 + 0,20 nella frazione di Navene di Malcesine» e «dal Comune di Nago-Torbole fino al confine con la Provincia di Verona», indicando precisamente le valide vie alternative esistenti da percorrere da parte del traffico pesante;
   per quanto previsto nel «patto per la sicurezza del Garda» la chiusura al traffico di questi mezzi sarebbe già dovuta avvenire perennemente;
   l'odierno provvedimento della prefettura di Verona, nelle proprie premesse, attesta che «il traffico pesante può determinare gravi pericoli e incidenti per i fruitori di questa strada a causa della ristrettezza e del cedimento stradale che costeggia il lago di Garda e attraversa, senza soluzione di continuità, i centri abitati prospicienti»;
   anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con la nota n. 2189 del 13 aprile 2016, ha espresso parere favorevole alla chiusura della Gardesana al traffico pesante, e tale parere favorevole si ripete ogni sei mesi, ovvero viene emesso ogni qual volta la prefettura di Verona e il commissario di Governo di Trento ripetono le rispettive richieste;
   restano comunque sempre esclusi da tale temporanea interdizione i veicoli destinati al carico e scarico di merci connessi all'attività e al fabbisogno delle comunità rivierasche, quelli delle forze di polizia per ragioni di servizio, delle Poste, o adibiti a servizio pubblico per interventi urgenti o di emergenza, i mezzi utilizzati per la pulizia delle strade e delle condotte fognarie e per lo smaltimento rifiuti, i veicoli della società Veneto Strade, l'ente gestore della strada, e del servizio radiotelevisivo esclusivamente per «comprovate ragioni di servizio» –:
   se siano a conoscenza della situazione sopra rappresentata con particolare riferimento alla necessità semestrale, da parte della Comunità del Garda, di reiterare la richiesta di «interdizione al transito dei veicoli per il trasporto di cose di massa superiore a 7,5 tonnellate, comprensivo di quelli adibiti al trasporto delle merci pericolose» e quali iniziative di competenza intendano assumere per interdire, definitivamente e per 24 ore al giorno, la strada regionale 249 Gardesana orientale al «transito dei veicoli per il trasporto di cose di massa superiore a 7,5 tonnellate, comprensivo di quelli adibiti al trasporto delle merci pericolose», così come sempre riproposto dai provvedimenti della prefettura di Verona e del commissariato di Governo di Trento. (4-13149)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si è appreso in queste ultime ore dagli organi di stampa, dai telefoni cellulari di alcuni cittadini afghani fermati a Bari per terrorismo internazionale, sono state estrapolate immagini di armi, di militanti talebani, file audio scaricati dal web con preghiere, proseliti e indottrinamenti di matrice islamica radicale, video con tributi ai parenti e amici detenuti nel campo di prigionia di Guantanamo;
   le indagini sono partite il 16 dicembre 2015, quando i carabinieri sono intervenuti presso l'Ipercoop di Santa Caterina a Bari per la segnalazione di quattro stranieri sospetti: uno di loro era intento a girare un video del centro commerciale con il suo cellulare, e dall'analisi dei dati contenuti nel suo telefono, poi sequestrato, gli investigatori hanno trovato anche un video dell'area interna dell'aeroporto di Bari-Palese;
   nel provvedimento di fermo, si legge che: «la cellula terroristica diffondeva l'ideologia violenta della guerra santa e le tecniche di combattimento (manuali operativi, manuali di fabbricazione di esplosivi) mediante lo strumento di internet»;
   secondo le indagini effettuate, il cospicuo materiale informatico era in possesso di tali soggetti pronto per essere usato e, a quanto appreso da un articolo pubblicato dal quotidiano «La Repubblica», la cellula sarebbe stata composta da cinque persone: oltre ai tre fermati, anche altri due uomini che sarebbero già partiti per l'Afghanistan;
   il gruppo stava progettando attentati in Italia, in Francia, in Belgio e in Inghilterra. A loro i pubblici ministeri Giuseppe Drago e Roberto Rossi contestano: «la preparazione e l'esecuzione di azioni terroristiche da attuarsi contro governi, forze militari, istituzioni, organizzazioni internazionali, cittadini e altri obiettivi civili. In particolare l'organizzazione, che aveva disponibilità di armi, predisponeva, tramite la preventiva ispezione dello stato dei luoghi (anche con documentazione fotografica e video), attentati terroristici presso aeroporti, porti, mezzi delle forze dell'ordine, centri commerciali, alberghi oltre che di altri imprecisati attentati terroristici in Italia e Inghilterra»;
   la città di Bari si conferma punto di passaggio molto importante per il terrorismo internazionale,porta di ingresso e di uscita e, da quanto emerso finora, tassello di un mosaico molto più complesso –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per potenziare l'attività delle forze dell'ordine e in particolare gli organici della direzione distrettuale antimafia e per rafforzare i controlli dei cosiddetti luoghi sensibili;
   quali ulteriori iniziative intendano adottare in relazione a quanto esposto in premessa. (5-08659)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Oxfam Italia, con sede ad Arezzo, è un'organizzazione non governativa facente parte di una Confederazione internazionale e conta 17 affiliate nel mondo;
   in Italia, Oxfam si occupa dei temi della migrazione e dell'asilo politico attraverso la gestione di attività di accoglienza e dell'attività di advocacy e ricerca;
   Oxfam, che in questo periodo conduce una ricerca sull'accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo in Sicilia, anche in ragione del probabile aumentare dei flussi nei prossimi mesi, nei mesi scorsi domandava alle questure di Ragusa, Agrigento, Siracusa, Trapani e Catania i dati concernenti il numero di decreti di respingimento emanati dalle questure siciliane;
   il 12 aprile 2016 la questura di Trapani e di Agrigento comunicavano a Oxfam che i dati richiesti erano di competenza del Ministero dell'interno;
   quindi, Oxfam con una mail, come comunicato dalle questure di Trapani e Agrigento, il 14 aprile 2016 richiedeva i dati sopra indicati all'ufficio relazioni esterne del dipartimento pubblica sicurezza del Ministero dell'interno;
   non avendo ottenuto alcuna risposta dall'ufficio relazioni esterne del dipartimento pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, in data 2 maggio 2016, Oxfam con lettera indirizzata al capo di gabinetto del Ministro dell'interno, al vice capo di gabinetto vicario e al vice capo di gabinetto inviava una richiesta inerente ai dati sui decreti di respingimento emanati dalle questure di Ragusa, Agrigento, Siracusa, Trapani e Catania per il periodo 1o gennaio – 31 dicembre 2015 e per il periodo 1o gennaio – 30 aprile 2016;
   i dati richiesti da Oxfam si ritengono importantissimi per avere un quadro chiaro dell'operatività dei centri in cui è applicato l'approccio hotspot, delle prassi utilizzate dalle questure coinvolte in tale approccio e soprattutto perché se incrociati con i dati sui rimpatri effettivi si potrebbe ricavare una stima di quanti siano i migranti «invisibili» presenti sul territorio italiano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga doveroso fornire tempestivamente risposta alla Oxfam al fine di offrire alla stessa elementi essenziali per compiere un'analisi dettagliata e coerente della condizione siciliana su migrazione, richiedenti asilo politico e respingimenti;
   se non ritenga utile – considerato l'elevato flusso migratorio in entrata nel nostro Paese – che i dati inerenti ai decreti di respingimento siano comunicati con cadenza mensile all'organizzazione non governativa e alle associazioni Onlus che si occupano di migranti e di richiedenti asilo politico;
   se il Ministro disponga di dati concernenti i respingimenti nella regione Sicilia ed eventualmente se sia a conoscenza di quanti migranti abbiano trovato collocazione presso un centro di identificazione ed espulsione (CIE). (4-13153)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la dirigente scolastica dell'istituto tecnico agrario «B. Brau» di Nuoro, dipendente dall'Istituto di istruzione superiore «A. Volta», professoressa Innocenza Giannasi, ha emesso un incredibile ed illegittimo provvedimento disciplinare di sospensione dall'insegnamento, per sei giorni, nei confronti di tre docenti dell'istituto, tutte aderenti ai COBAS, per non aver voluto «propinare» alle/ai loro studenti/tesse prove di addestramento ai quiz Invalsi;
   per svolgere queste prove di simulazione ai quiz le colleghe avrebbero dovuto sospendere le ordinarie attività didattiche programmate;
   le tre docenti, una delle quali è la professoressa Rosaria Piroddi, docente di matematica e fisica, RSU COBAS dell'Istituto, nonché componente dell'Esecutivo regionale COBAS Scuola Sardegna, sono state sanzionate pesantemente per aver deciso, durante una riunione del loro «dipartimento disciplinare», di esercitare il loro dovere di insegnanti nell'assoluto rispetto della normativa vigente e dell'articolo 33 della Costituzione della Repubblica Italiana che tutela la libertà di insegnamento;
   la dirigente scolastica, riteneva, ad avviso dell'interrogante arbitrariamente, che le attività indicate nell'ordine del giorno della riunione di Dipartimento dovevano essere obbligatoriamente svolte e, quindi, pianificate, sulla base del fatto che fossero state «declinate» nel PTOF – piano triennale dell'offerta formativa, deliberato a gennaio 2016 dal collegio dei docenti e successivamente approvato dal consiglio d'istituto;
   secondo la dirigenza scolastica tutto ciò che è indicato nel PTOF dovrebbe essere acriticamente eseguito dalle/dai docenti senza alcun margine di autonomia poiché le «delibere vincolano tutti i componenti»;
   il piano, secondo la normativa vigente, deve comprendere e riconoscere le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, valorizzando le corrispondenti professionalità e non può imporre acriticamente alcunché alle/ai docenti che non devono ottemperare, per definizione, all'ordine del giorno di organi collegiali e tecnico/professionali ma devono, invece, discuterlo ed assumere decisioni consapevoli e didatticamente proficue;
   le docenti, secondo l'interrogante, hanno esercitato consapevolmente la piena e legittima libertà di insegnamento, e non poteva esser loro addebitato alcun illecito disciplinare;
   è paradossale che si voglia tentare di imporre la somministrazione di prove Invalsi di simulazione ed addestramento a docenti che negli scorsi anni non hanno mai «somministrato» le prove nei giorni indicati dall'INVALSI;
   la dirigenza scolastica presume che sia obbligatorio svolgere prove preparatorie di simulazione e addestramento ai quiz Invalsi quando non è obbligatorio neanche somministrarli nelle date programmate (che per le scuole superiori è quest'anno 12 maggio);
   negli scorsi anni migliaia di insegnanti (e di studenti) non le hanno svolte (anche all'ITAS «Brau» di Nuoro) rifiutandosi di somministrarle (circostanza nota anche alla dirigente Innocenza Giannasi per averla personalmente vissuta anche in una sua precedente esperienza dirigenziale in altra istituzione scolastica del comune di Nuoro) o aderendo agli scioperi indetti nelle giornate delle prove Invalsi;
   è secondo l'interrogante inaccettabile che si ritenga addirittura obbligatorio somministrare la simulazione di quiz Invalsi quando, anche internazionalmente, si sconsiglia non solo il teaching to the test ma anche l'addestramento a prove standardizzate come quelle Invalsi, poiché tali attività possono essere non solo improduttive ma addirittura dannose;
   il direttore generale dell'INVALSI in un intervento svolto ad un convegno nel giugno 2015 a Spinea e pubblicato sulla rivista scientifica on line GALILEO il 4 gennaio 2016, ha spiegato «Perché è inutile (e dannoso) allenarsi ai test INVALSI»;
   il direttore generale dell'INVALSI alla domanda, «Cosa pensa l'Invalsi dei materiali di allenamento in commercio ? E di un possibile diffondersi di un insegnamento mirato solo al superamento dei test ?» ha risposto richiamando la seguente affermazione: «L'Istituto nazionale di valutazione rileva e misura gli apprendimenti con riferimento ai traguardi e agli obiettivi previsti dalle Indicazioni, promuovendo, altresì, una cultura della valutazione che scoraggi qualunque forma di addestramento finalizzata all'esclusivo superamento delle prove»;
   la professoressa Giannasi è «recidiva» perché qualche anno fa era stata condannata dal TAR della Sardegna per aver violato le prerogative del collegio dei docenti (nell'allora circolo didattico «Furreddu» di Nuoro), poiché si era rifiutata di inserire all'ordine del giorno per la discussione in collegio docenti (nonostante la regolare autoconvocazione prevista dalla legge) l'argomento relativo alle prove Invalsi;
   dopo la sentenza del TAR Sardegna il collegio deliberò a stragrande maggioranza la propria contrarietà ai quiz ed alcune docenti decisero di non somministrarli ai loro alunni;
   si tratta di episodi gravissimi che accadono, a giudizio dell'interrogante, anche per responsabilità dell'amministrazione scolastica silente e, quindi, complice di questi tentativi di reprimere il dissenso per il mancato pieno e democratico esercizio della libertà d'insegnamento;
   il direttore scolastico regionale, dottor Francesco Feliziani, nonostante, a quanto risulti all'interrogante, sia sempre informato di casi come quello in oggetto non ha in alcun modo elevato sanzioni nei confronti dei dirigenti scolastici che usano i procedimenti disciplinari come una «clava» per spingere al silenzio le/i «docenti contrastivi» nelle scuole e non assume idonei provvedimenti nei confronti dei dirigenti scolastici anche quando violano palesemente le norme, disciplinari o meno, a fronte di migliaia di procedimenti disciplinari attivati in Sardegna, negli ultimi anni, nei confronti di docenti e ATA;
   i COBAS e l'interrogante hanno espresso grande ammirazione nei confronti delle insegnanti alle quali è stata trasmessa la piena e totale solidarietà e che nei rispettivi consessi agiranno perché vengano annullate queste offensive e oltraggiose sospensioni dall'insegnamento, che colpiscono tre docenti che insegnano da decenni matematica e fisica (due) e lettere (una) nell'istituto agrario di Nuoro;
   è l'ennesima dimostrazione di come questa cosiddetta «Buona Scuola», come acclarato dalla gravissima sospensione delle tre colleghe nuoresi, metta gravemente a rischio la stessa libertà di insegnamento –:
   se non si intendano assumere iniziative nei confronti della dirigente scolastica responsabile di tali indebite ingerenze sulla libertà di insegnamento esercitate con provvedimenti che appaiono all'interrogante illegittimi, irrazionali e irragionevoli;
   se non si ritenga di dover allontanare da quell'istituto tale dirigente o quali altre iniziative si intendano adottare sul piano disciplinare in relazione a quello che appare all'interrogante un abuso del proprio ruolo;
   se non ritenga di dover assumere immediatamente iniziative per annullare in sede di autotutela, anche per i danni erariali che ne potrebbero derivare, la sanzione della sospensione dall'insegnamento per i docenti richiamati;
   se non ritenga di informare con apposita circolare ministeriale che le prove invalsi non possono essere oggetto di alcuna imposizione, così come abbondantemente declinato in vari provvedimenti. (5-08661)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato da www.corriere.it del 9 maggio 2016 «Aziende fantasma assumevano lavoratori fittizi e incassavano i contributi triennali previsti dal Governo nel Jobs act. Imprese fasulle, soprattutto nei servizi, che avevano decine di dipendenti a fronte di una ipotetica attività per la quale era richiesto poco personale. E a volte i nomi dei lavoratori assunti nelle varie società erano sempre gli stessi. Sono questi alcuni dei campanelli d'allarme che hanno permesso all'Inps di scoprire una montagna di truffe ai danni dell'Erario: solo nel 2016 i funzionari stimano tra maggior gettito e minori esborsi di poter risparmiare circa 900 milioni di euro. E molte altre truffe si teme che possano emergere dai controlli in corso sui “voucher”, i buoni erogati sempre dall'Inps per i lavori occasionali. Ieri il presidente dell'Istituto, Tito Boeri, ha fatto il punto sulla lotta all'evasione e all'elusione contributiva: “Abbiamo investito sulla vigilanza documentale – spiega – incrociando dati delle nostre banche dati con quelli dell'Agenzia delle entrate, dell'Inail, del ministero del Lavoro e della Agea: vogliamo intervenire ex ante, prima che si verifichino comportamenti omissivi. Vogliamo fare un'operazione di deterrenza»... (...). In particolare sugli sgravi triennali previsti dal Jobs Act e dal contrasto al lavoro fittizio l'Inps conta di risparmiare 600 milioni... (...). L'inps lavora anche al contrasto del fenomeno delle false compensazioni con l'Agenzia delle Entrate, in particolare sui voucher che «sono un corrispettivo di lavoro e non strumenti di compensazione tasse-contributi”»;
   secondo Ansa.it del 9 maggio 2016, «La stima dei contributi non versati dall'azienda sulla base delle norme sull'esonero (ma dovuti secondo l'Inps) è pari a 600 milioni di euro per il triennio. Le aziende coinvolte sono 60 mila. L'istituto stima tra il 2014 e il 2016 di recuperare 400 milioni di prestazioni erogate indebitamente (soprattutto indennità di disoccupazione) a 50 mila persone sulla base di rapporti di lavoro fittizi. Lo ha spiegato il direttore delle Entrate dell'Istituto Gabriella Di Michele. Nel 2014-15, ha aggiunto Di Michele, sono state identificate 700 aziende fittizie con 30 mila “finti” lavoratori. Nel 2016 si prevede di identificare 500 aziende fittizie con 20 mila falsi lavoratori»;
   i dati riferiti dal presidente dell'Inps e frutto dell'attività di vigilanza sulla evasione contributiva delle aziende che hanno fittiziamente attivato rapporti di lavoro al solo fine di beneficiare indebitamente degli esoneri contributivi ex legge n. 190 del 2014 e n. 208 del 2015, ridimensionano, a parere degli interroganti, ancor più i dati tanto sbandierati della creazione di posti di lavoro aggiuntivo –:
   di quali ulteriori dati disponga il Governo in merito all'attività di verifica e al numero dei rapporti di lavoro fittiziamente attivati per usufruire degli esoneri contributivi e sull'entità dei danni economico-finanziari prodotti e se, considerata la gravità della situazione, non ritenga doveroso assumere iniziative per potenziare l'attività di accertamento e di recupero effettivo degli sgravi contributi indebitamente percepiti;
   se ed in che termini il Governo intenda urgentemente affrontare la grave situazione determinata dai voucher che si rivelano, a parere degli interroganti, sempre più spesso fonte di evasione o elusione contributiva. (5-08635)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che il signor Antonio Conti, proiezionista e maschera dell'ex cinema Michetti a Pescara, vive in condizioni di povertà e non riesce ad ottenere la pensione che gli spetterebbe;
   la sua pensione sembra svanita nel nulla nonostante 40 anni di contributi regolarmente versati all'ormai defunto Enpals (ente previdenziale dei lavoratori dello spettacolo) assorbito dall'Inps. Inoltrò la prima domanda nel settembre del 2014, che venne respinta, in quanto non aveva ancora raggiunto il requisito. Ha inoltre la moglie invalida, e non ha figli che possono aiutarlo;
   nel settembre 2015, ha maturato tutti i requisiti, e può accedere alla agognata pensione. Presenta una nuova richiesta di pensione che viene regolarmente acquisita dall'Inps;
   a partire dall'aprile 2016 ottiene un assegno sociale di circa 400 euro al mese. Ad oggi tutto quello che ha riscosso gli è servito solo per pagare le pendenze arretrate di Enel, gas, acqua, e affitto della casa popolare;
   l'ex Enpals risulta all'interrogante totalmente refrattaria ad ogni richiesta. Il 26 aprile 2016 ha avuto un incontro con funzionari dell'Inps di Pescara che gli avrebbero detto che l'ex Enpals non risponde neanche a loro;
   così, a distanza di nove mesi dalla richiesta di pensione di vecchiaia, Antonio Conti, dopo 40 anni di contributi regolarmente versati, vive in miseria e non riesce ad ottenere la sua pensione –:
   se non intenda intervenire per chiarire le ragioni che impediscono all'INPS di erogare la pensione ex Enpals al signor Antonio Conti e se non intenda verificare se ci siano casi analoghi che interessano pensionati ex Enpals. (4-13147)


   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della conferenza stampa del presidente dell'INPS del 9 maggio 2016 sono state evidenziate le linee guida del sistema di controlli basati sull'incrocio delle banche dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e dell'Agenzia delle entrate;
   in quell'occasione sono stati illustrati i vari tipi di frode in materia previdenziale e contributiva da parte delle imprese;
   ad esempio, in relazione allo sgravio triennale per le assunzioni a tempo indeterminato introdotto dal Jobs Act, attraverso l'incrocio delle informazioni presenti nelle banche dati delle denunce all'INPS e quelle al Ministero del lavoro e delle politiche sociali sono emerse circa 60000 aziende e circa 100mila lavoratori che hanno indebitamente fruito dello sgravio –:
   quali ulteriori iniziative urgenti intendano assumere per dare soluzione alle frodi indicate in premessa e ad eventuali utilizzi distorti di risorse pubbliche destinate a fini di previdenza sociale. (4-13150)


   CAPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'INPS ha pubblicato, in data 16 novembre 2015, un avviso pubblico per il reclutamento di n. 900 medici, prioritariamente specialisti in medicina legale e/o in altre branche di interesse istituzionale, cui conferire incarichi professionali a tempo determinato finalizzati ad assicurare l'espletamento degli adempimenti medico legali delle UOC/UOS centrali e territoriali;
   l'assunzione di 900 medici rappresenterà certamente un dato positivo sul piano occupazionale e sul terreno dell'aumento della efficienza relativa all'espletamento dei predetti adempimenti medico legali;
   il contratto che i medici utilmente collocati in graduatoria stanno firmando in questi giorni, stabilisce, come previsto dalla deliberazione presidenziale 147 del 2015 dall'INPS e dall'avviso, all'articolo 3, «obblighi, condizioni e incompatibilità»: «L'attribuzione dell'incarico è incompatibile con lo svolgimento dell'attività di medico fiscale, in quanto iscritto nelle liste speciali su base provinciale di cui all'articolo 4, comma 10 bis, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125»;
   tale incompatibilità è stata meglio chiarita dallo stesso INPS per il tramite del Sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali, in quanto «si vuole evitare un conflitto di interessi anche potenziale»;
   il citato articolo 4, comma 10 bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recita: «In considerazione dei vincoli di bilancio e assunzionali, nonché dell'autonomia organizzativa dell'INPS, le liste speciali, già costituite ai sensi dell'articolo 5, comma 12, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, sono trasformate in liste speciali ad esaurimento, nelle quali vengono confermati i medici inseriti nelle suddette liste alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e che risultavano già iscritti nelle liste alla data del 31 dicembre 2007»;
   inoltre, il decreto interministeriale (Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero della salute) del 18 aprile 1996, emanato ai sensi dell'articolo 5, comma 13, decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, recante «Integrazioni e modificazioni al decreto ministeriale 15 luglio 1986 concernente le visite mediche di controllo dei lavoratori da parte dei medici iscritti nelle liste speciali dell'INPS (Gazzetta Ufficiale n. 99-serie generale parte prima del 29 aprile 1996), all'articolo 6, comma 2, recita: «L'insorgere di un qualsiasi motivo di incompatibilità comporterà l'immediata decadenza dall'incarico»;
   nonostante le norme contrattuali e regolamentari siano, estremamente chiare, stabilendo la decadenza immediata del medico fiscale dell'INPS, nel caso in cui lo stesso si trovi in una qualsiasi posizione non compatibile per specifiche norme di legge, regolamentari o di contratto di lavoro (articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto ministeriale 12 ottobre 2000), risulta all'interrogante che alcune direzioni regionali e provinciali dell'Istituto non stiano procedendo in tal senso, limitandosi semplicemente a sospendere il medico dall'incarico, tra l'altro anche in contrasto con quanto stabilito dall'articolo 8, comma 1, decreto interministeriale del 12 ottobre 2000, emanato ai sensi della normativa sopracitata, che limita la sospensione esclusivamente per «giustificati e documentati motivi», e comunque per un massimo di 180 giorni avendo lo stesso Istituto chiarito che, tra i giustificati e documentati motivi, non rientra lo svolgimento di altra attività professionale (circolari INPS n. 4 e n. 199 del 2001);
   il conflitto di interessi che, a parere dell'interrogante, si viene a creare, nello svolgimento dei due incarichi de quo, è dovuto alla trasformazione delle liste di iscrizione dei medici in liste ad esaurimento, cosa che ha modificato la natura del rapporto intrattenuto con l'INPS, includendo, di fatto, tale categoria di sanitari tra le risorse umane dell'Istituto, con esclusione, quindi, dei medici fiscali non iscritti in tali liste e di quelli a rapporto con le aziende sanitarie locali –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare affinché l'INPS rispetti le norme regolamentari, in particolare l'articolo 6, comma 2, del decreto ministeriale 18 aprile 1996 e l'articolo 8, comma 1, del decreto ministeriale 12 ottobre 2000, in modo che non vengano a crearsi ingiustificate e inspiegabili situazione di disparità di trattamento, a parità di condizioni, nei confronti di tutti i medici fiscali dell'Istituto. (4-13156)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   FEDRIGA e GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la campagna lattiera 2014/2015 è stata l'ultima del regime cosiddetto «quote latte» – introdotto dal regolamento europeo (CE) n. 856 del 1984 del 31 marzo 1984 e chiuso il 31 marzo 2015 –, che ha visto una produzione di latte pari a 11.000.841,389 tonnellate (al netto del tenore di grasso), che ha generato un esubero nazionale pari a 109.720,545 tonnellate e un esubero complessivo pari 721.213,48 tonnellate;
   tali dati derivano dalla relazione di Agea e pongono in evidente contrapposizione quanto l'Italia deve versare nelle casse comunitarie e quanto invece lo Stato impone di pagare ai propri allevatori;
   infatti, l'esubero nazionale ossia quella parte di sovrapproduzione che genera l'obbligo di versamento nelle casse comunitarie è pari a 30.535.228 euro, mentre, l'applicazione della normativa nazionale da ultimo integrata dalla legge n. 91 del 2015 ha portato Agea a calcolare in 103,7 milioni di euro l'ammontare del prelievo che le aziende italiane produttrici di latte dovranno versare per l'eccesso di produzione dell'ultima campagna;
   in pratica, dei 103,7 milioni di euro di multe, soltanto 30,5 milioni di euro, a cui devono aggiungersi 1,53 milioni di euro accantonati ai sensi della legge n. 119 del 2003, saranno pagati all'Europa per il superamento della quota nazionale assegnata, mentre gli altri 71,6 milioni di euro, definiti anche come «prelievo dovuto in eccesso» saranno destinati al fondo per gli interventi nel settore lattiero-caseario, istituito presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ai sensi della legge n. 33 del 2009;
   l'imposizione originata dalla norma nazionale non adeguatamente riformata con l'ultimo intervento normativo sopra ricordato (legge n. 91 del 2015) è a parere dell'interrogante qualcosa di folle ed intollerabile: a fronte di soli 30,5 milioni di euro di multe effettivamente da versare, per aver superato il limite previsto per l'Italia, viene imposto un pagamento agli allevatori italiani di oltre il 300 per cento di quello che è effettivamente dovuto alla Commissione europea;
   risulta all'interrogante che, in risposta ad una interrogazione dell'europarlamentare onorevole Mara Bizzotto, la Commissione europea, per quanto ammettendo che la norma comunitaria prevede la possibilità agli Stati membri di imporre ai propri allevatori che hanno superato la quota loro assegnata, un prelievo superiore a quello derivato dagli obblighi comunitari, abbia contestualmente dichiarato di non conoscere quale sia la modalità di impiego che lo Stato italiano intenda adottare nella distribuzione di questi fondi derivati dall'imposizione di un prelievo superiore a quello derivante dagli obblighi comunitari;
   esiste il rischio che l'attuale difficilissima situazione in cui versa il comparto della zootecnia da latte, che registra giornalmente la chiusura di stalle a causa del crollo del prezzo del latte e della remunerazione non adeguata dei produttori (in parte dovuta alla vera e propria invasione di latte straniero a prezzi stracciati) venga ulteriormente aggravata dal pagamento di quanto non effettivamente dovuto all'Europa la cui dimensione, 71,6 milioni di euro, è di per sé esemplificativa del notevole impatto economico negativo generato;
   tali risorse che danno origine al fondo, per gli interventi lattiero-caseari, sopra richiamato, il cosiddetto «prelievo non dovuto», potrebbero essere meglio impiegate per gli interroganti attraverso la ridistribuzione alle aziende che, rispettando gli obblighi normativi, hanno versato il prelievo nel corso dell'ultima campagna, ma alle quali, in conseguenza della legge n. 91 del 2015, è stato restituito solo il 6 per cento di quanto versato; ciò visto inoltre che le regioni dovranno procedere all'intimazione degli importi ai produttori che ancora non hanno effettuato il versamento del prelievo e che una parte di tale imposizione, indicativamente il 70 per cento, risulta essere prelievo non dovuto ed in caso di mancato versamento esse dovranno procedere con il recupero coattivo, con iscrizione del debito sul registro debitori o cartella esattoriale –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire quali siano le modalità di impiego del prelievo non dovuto comunicate alla Commissione europea, stante l'obbligo comunitario di provvedere entro 15 mesi dalla conclusione della campagna 31 marzo 2015 alla comunicazione di tali modalità e considerato che sono state formalizzate, in Conferenza Stato regioni, posizioni chiare delle amministrazioni regionali circa la difficoltosa gestione del fondo latte alla luce della normativa comunitaria, nonché se non sia più utile, stante la situazione di crisi in cui versano le aziende, pensare di assumere iniziative volte a far versare e imputare agli allevatori italiani solo ed esclusivamente quanto dovuto per adempiere agli obblighi comunitari e così liberare quelle risorse ipoteticamente previste per alimentare il fondo latte riportandole almeno in parte nelle aziende che ad oggi hanno subito l'imposizione di un prelievo triplicato rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria. (5-08653)


   SCHULLIAN, ALTIERI e CIRACÌ. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime ore, proprio in fase di avvio della campagna di raccolta delle ciliegie e a ridosso di quelle di altri prodotti ortofrutticoli di grande rilevanza occupazionale come patate, albicocche, pesche, angurie e uva da tavola, le più importanti catene della grande distribuzione organizzata hanno comunicato l'intendimento di non ritirare ciliegie e altri prodotti agricoli qualora le aziende non possano attestare la certificazione relativa all'adesione alla «Rete del lavoro agricolo di qualità»;
   la «Rete del Lavoro agricolo di qualità», organismo autonomo per la certificazione etica delle aziende, è stata istituita con l'articolo 6 del decreto-legge 91 del 24 giugno 2014, ed è diventata operativa dal 1o settembre 2015 come procedura facoltativa;
   il suo iter di applicazione mostra ancora gravi limiti, lentezze e complicazioni burocratiche e avviene mediante l'iscrizione ad un apposito portale che risulta poco fruibile e particolarmente difficoltosa per le aziende interessate;
   risulterebbe agli interroganti che alcune richieste di certificazione inoltrate ad ottobre 2015 risultano non ancora espletate;
   inoltre ci si chiede se la «Rete del lavoro agricolo di qualità» sia lo strumento giusto per affrontare il fenomeno del caporalato e se questo non stia diventando invece un istituto che distorce il mercato a scapito delle aziende agricole;
   a livello internazionale, esistono enti che rilasciano certificazioni che attestano e tracciano l'eticità del ciclo produttivo in materia ambientale, di sicurezza dei lavoratori e di salubrità del prodotto alle quali si potrebbe equiparare l'iscrizione alla Rete del lavoro agricolo di qualità, secondo standard di organismi o enti di controllo riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   è oltremodo contraddittorio, inoltre, che un'adesione nata come volontaria e in via di sperimentazione, sia divenuta di fatto e d'un tratto obbligatoria, a causa della richiesta delle catene della grande distribuzione organizzata di ritirare solo prodotti agricoli provenienti da aziende aderenti alla Rete, ancora in Italia in numero limitato, bloccando così la commercializzazione di prodotti in piena fase di raccolta con gravissimi danni economici ed occupazionali;
   bisogna scongiurare il paradosso che il ritiro delle produzioni italiane da parte della grande distribuzione organizzata, sia sostituito dal ritiro di prodotti agricoli stranieri per i quali non è richiesta alcuna iscrizione alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» e quindi non valgono le stesse condizioni imposte dalla grande distribuzione alle aziende italiane –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per rendere più accessibile e meno farraginoso l’iter di adesione delle imprese agricole alla Rete di cui in premessa e per evitare che si realizzino disparità di trattamento tra le produzioni italiane e quelle estere che non hanno alcuna certificazione e a cui non è richiesta l'adesione alla «Rete del lavoro agricolo di qualità». (5-08654)


   COVA, OLIVERIO, SANI, FIORIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CAPOZZOLO, CARRA, CUOMO, DAL MORO, FALCONE, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della qualità delle produzioni agroalimentari rappresenta per l'Italia uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare, considerato che il nostro Paese vanta in Europa il maggior numero di prodotti a marchio registrato, oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione. La disciplina sull'etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori costituisce quindi un aspetto centrale della tutela della qualità del prodotto e come tale viene perseguito dal Governo nelle politiche a tutela dei prodotti italiani;
   l'Italia importa quasi il 60 per cento del latte che trasforma in prodotti lattiero caseari, ma comunque resta la prima nazione al mondo per il numero di prodotti Dop e Igp nel settore lattiero caseario, prodotti tipici riconosciuti a livello mondiale per la propria qualità;
   secondo i dati delle associazioni di categoria dalle frontiere italiane passerebbero ogni giorno 5 milioni di litri di latte sterile, concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare mozzarelle, formaggi o latte italiani, senza che i consumatori lo sappiano perché per tali prodotti non è obbligatoria l'indicazione di origine in etichetta;
   la posizione della Commissione europea individua un approccio settoriale in relazione all'estensione dell'etichettatura di origine e un orientamento che gli interroganti si pone in contrasto con qualsiasi norma generale che imponga l'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima e, in particolare, quando la norma generale riguardi alimenti trasformati;
   dalla consultazione pubblica promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è risultato che i consumatori italiani vogliono conoscere sempre l'origine delle materie prime. In particolare su alcuni prodotti: sul latte fresco (il 95 per cento degli intervistati), sui prodotti lattiero-caseari, come yogurt e formaggi (il 90 per cento degli intervistati). Inoltre, l'82 per cento di coloro che si sono espressi ha dichiarato di essere disposto a spendere di più per avere la certezza dell'origine e della provenienza del prodotto;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, recante la disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e alimentari, prevede che è vietato imporre direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extracontrattuali e retroattive;
   al fine di rendere operativo il ruolo dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nel perseguire pratiche commerciali sleali nella filiera del latte, con le modifiche introdotte dal decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51 è stato previsto che l'Istituto dei servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea) elabori mensilmente i costi medi di produzione del latte crudo, tenendo in considerazione la collocazione geografica dell'allevamento e della destinazione finale del latte crudo, anche avvalendosi dei dati resi disponibili dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria sulla base della metodologia elaborata approvata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per tutelare il comparto lattiero caseario ed il consumatore, in relazione all'etichettatura d'origine, predisponendo, per quanto di competenza, accurate verifiche per accertare la corrispondenza dei prodotti etichettati in cui si attesti l'impiego al 100 per cento di latte italiano. (5-08655)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il trattato «Transatlantic trade and investment partnership» (Ttip) è tornato al centro dell'opinione pubblica per via di una serie di rilevazioni rese note dal Greenpeace Olanda che metterebbero in evidenzia una scarsa attenzione verso la protezione dell'ambiente e dell'agricoltura europea;
   nello specifico, secondo la rivelazione, nell'accordo ci sarebbe l'assenza di riferimenti a regole precedenti o a principi di precauzione ambientale anche per la tutela degli stessi consumatori;
   secondo il recente, rapporto «Contadini europei in svendita – i rischi del Ttip per l'agricoltura europea» redatto da Friends of the Earth Europe e pubblicato in Italia in collaborazione con l'associazione Fairwatch, l'accordo è una minaccia all'economia agricola dell'Unione europea e per la tutela degli standard di sicurezza alimentare;
   lo studio presentato il 28 aprile 2016 mostra come, mentre il contributo dell'agricoltura al Pil europeo potrebbe diminuire dello 0,8 per cento, con conseguente perdita di posti di lavoro, quello statunitense aumenterebbe dell'1,9 per cento. Una vera e propria ristrutturazione del mercato che avrebbe effetti anche sulla gestione del territorio e sulle caratteristiche del tessuto produttivo agricolo europeo e italiano;
   ad esempio, per quanto riguarda il settore delle carni, tutti gli studi analizzati prevedono che, se le tariffe dell'Unione europea saranno eliminate come previsto, ci saranno aumenti significativi delle importazioni di carne bovina statunitense verso l'Europa, che varranno fino a 3,20 miliardi di dollari. Gli allevamenti di manzo europei che producono carne di alta qualità, sono considerati particolarmente a rischio;
   invece, per quanto riguarda il settore del latte e dei latticini, si prevede che le esportazioni Usa aumentino fino a 5,4 miliardi di dollari in più, mentre quelle europee al massimo di 3,7 miliardi di dollari. Per tutti i produttori di latte europei di verificherà una ulteriore caduta dei prezzi interni;
   nel Ttip inoltre si prevede la trasformazione delle indicazioni protette europee in marchi registrati proprio come avviene negli Stati uniti, ciò comporterebbe non più una certificazione di processo del prodotto, ma un cambiamento in un senso privatistico teso a diminuire la qualità dei prodotti agricoli e alimentari –:
   alla luce delle recenti rivelazioni di Greenpeace Olanda sul Ttip), quali iniziative immediate s'intendano assumere al fine di salvaguardare la produzione agricola italiana e gli standard di sicurezza alimentare a tutela dei cittadini e del comparto agricolo nazionale. (5-08656)


   BENEDETTI, COZZOLINO, SPESSOTTO, GALLINELLA, PARENTELA, L'ABBATE, DA VILLA, MASSIMILIANO BERNINI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, D'INCÀ, GAGNARLI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i Pfas sono sostanze perfluoro-alchiliche utilizzate principalmente per rendere impermeabili carta, staffe e stoviglie; esse sono presenti nel teflon per le pentole, nel goretex per i tessuti, negli involucri alimentari, le si trovano praticamente ovunque; le stesse sostanze hanno anche un'importanza strategica per l'industria militare e farmaceutica. Sono composti fluorurati del carbonio: si chiamano «a catena lunga» quelli con 8 atomi di carbonio, «a catena corta» quelli con 4 atomi di carbonio. Non sono biodegradabili e sono bioaccumulabili;
   la contaminazione da Pfas delle matrici ambientali, in particolare le acque interne superficiali e di falda, ha raggiunto un livello allarmante soprattutto nel Veneto, interessando un'area di circa 180 chilometri quadrati con la compromissione della seconda falda freatica più grande ed importante d'Europa, la falda di Almisano; le province al momento maggiormente coinvolte sono quelle di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, con 70 comuni interessati;
   tale emergenza sta portando alla chiusura di numerosi pozzi ad uso potabile per ragioni di tutela della salute della popolazione: nel comune di Sarego sono stati chiusi 61 pozzi su 84 per tutelare anche i prodotti agricoli che derivano dalle coltivazioni che insistono sull'area interessata dal grave inquinamento ambientale;
   va dunque evitato in ogni modo che a pagare i costi di tale drammatica situazione siano allevatori e agricoltori e che su di loro ricada l'onere economico delle costose analisi per verificare la contaminazione dei pozzi, così come, in caso di chiusura degli stessi e di interruzione di prelievo d'acqua in falda, devono essere garantite la disponibilità d'acqua nonché l'installazione di filtri ai carboni attivi in tutti i pozzi privati utilizzati per l'abbeveraggio di animali e l'irrigazione dei campi coltivati;
   centinaia di aziende agricole venete rischiano di subire un grave danno economico e di immagine, perché potrebbero vedere boicottate o interrotte le proprie produzioni alimentari e inoltre l'inaccessibilità ai pozzi per l'abbeveraggio degli animali e per l'irrigazione dei campi coltivati avrebbe una ricaduta negativa incalcolabile sulle stesse –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti esposti in premessa e, per quanto di competenza, quali iniziative intenda adottare tempestivamente affinché le aziende agricole interessate dalla conclamata contaminazione ambientale in corso vengano tutelate da un punto di vista economico e di immagine. (5-08657)


   RUSSO, CATANOSO, FABRIZIO DI STEFANO e RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea, come riporta un articolo dell'Informatore agrario, tiene sotto osservazione la ristrutturazione in corso ad Agea;
   questo emerge da diverse lettere in possesso dell'Informatore agrario, provenienti dalla direzione generale agricoltura della Commissione europea e indirizzate alle autorità italiane;
   si tratta di una corrispondenza nell'ambito di diversi casi sollevati nella «procedura di verifica di conformità» (anche di «liquidazione dei conti»), che la Commissione esegue periodicamente per recuperare dai singoli Paesi fondi Pac spesi in modo irregolare;
   di solito, la Commissione europea chiede una «correzione finanziaria» del 2 per cento della somma versata erroneamente, che sale al 5 per cento se si tratta di irregolarità già segnalate cui non si è posto riparo;
   in un certo senso, si tratta di una procedura di ordinaria amministrazione, con scambi di lettere e incontri tra funzionari italiani e della Commissione che possono durare anche anni, prima che si stabilisca il giusto ammontare della correzione finanziaria;
   resta il fatto che Bruxelles, negli ultimi mesi, ha richiamato più volte le autorità italiane alla corretta applicazione del piano di azione notificato su Agea e ha fatto osservare che Agea e gli altri organismi pagatori italiani non sempre adottano protocolli di comunicazione tali da scongiurare sanzioni da parte di Bruxelles;
   in una lettera in particolare, datata 16 marzo 2016, si legge delle «serie carenze» e delle «debolezze identificate» nell'applicazione del piano di azione che Agea ha adottato per allinearsi ai nuovi requisiti che la riforma della politica agricola comune prevede per gli organismi pagatori. Al momento, continua la lettera, la «Dg Agri non sta considerando di applicare la sospensione dei pagamenti ad Agea» ma «ricorda alle autorità italiane che questa possibilità esiste» e potrebbe diventare realtà qualora «una futura inchiesta indicasse che le azioni correttive necessarie previste nel Piano di azione non siano state messe in opera o se ci fossero ulteriori ritardi»;
   secondo la Commissione, le carenze riguardano: l'accuratezza e l'affidabilità dei dati forniti dai Caa (Centri assistenza agricola), la gestione del registro dei debitori, la supervisione dell'attività del Sin, la trasparenza e l'adozione di pratiche anti-corruzione, nonché il ritardo «del Progetto bonifica» messo in atto dalla guardia di finanza;
   in particolare, su quest'ultimo, si raccomanda di raggiungere gli obiettivi prefissati entro il 30 marzo 2016. In un'altra missiva, datata 24 febbraio 2016, la Dg Agri arriva alla conclusione che il rispetto dei criteri di riconoscimento dell'Agea, in particolare la gestione del debito e del registro dei debitori, non è stato conforme alle norme dell'Unione europea. La Commissione chiede, quindi, la restituzione di oltre 158 milioni di euro da parte dello Stato italiano;
   la cifra non è definitiva e l'Italia potrebbe ricorrere allo strumento della conciliazione, previsto nella procedura di verifica di conformità. E, in ultima istanza, anche appellarsi alla Corte di giustizia dell'Unione europea. Cifre a parte, anche in questa missiva le autorità europee fanno riferimento al piano di azione di Agea e ne rilevano i ritardi di applicazione;
   in un'altra lettera più recente, datata 12 aprile, tirano le somme di diverse inchieste e audit della Commissione, alcuni risalenti al 2013, che hanno riguardato le carenze del Sipa, il sistema di identificazione delle parcelle. Si tratta di un errore frequente in molti Paesi europei, con gli agricoltori che per errore chiedono pagamenti diretti per una superficie leggermente più grande di quella ammissibile e le autorità nazionali che non riescono a prendere provvedimenti per risolvere il problema. Proprio su questo limite si concentrano molti dei rilievi della Commissione, con le sei agenzie italiane che sembrano non comunicare tra loro e con una mancanza di azione coordinata tra il livello locale e quello nazionale che non fa altro che ritardare la messa in regola delle inadempienze, esponendo l'Italia a correzioni finanziarie più alte. Nella lettera, la Dg Agri chiede la restituzione di circa 200 milioni di euro. Ma, anche qui, non si può parlare di cifre definitive. D'altro canto, nel suo rapporto annuale la Corte dei conti mette in qualche modo in collegamento l'esistenza di ben 80 organismi pagatori in tutta Europa con la frequenza con cui si manifestano le criticità sul sistema delle parcelle e sulla dichiarazione di eleggibilità dei terreni;
   nel corso del question time in Assemblea del 28 aprile 2016, il Ministro interrogato non ha fatto alcuna menzione di quanto esposto in premessa, anzi, è stato prodigo di cifre e di prospettive entusiastiche per gli agricoltori italiani grazie all'operato di Agea e degli organismi pagatori regionali che, invece, risultano ancora e sempre sotto osservazione dell'Unione europea a causa di ritardi, inadempienze e omissioni;
   i singoli agricoltori e le aziende agricole italiane non possono permettersi una tale e reiterata inefficienza amministrativa del principale ente pubblico nazionale in campo agricolo. Dall'erogazione della contribuzione comunitaria dipende il futuro dell'agricoltura italiana con il rischio di un'eventuale abbandono dei campi e del crollo della produzione agroalimentare –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (5-08658)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, GALLINELLA, PARENTELA, LUPO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, l'allevamento di visoni per il principale scopo di ricavarne pelliccia è ormai un'attività residuale, praticata da poco più di 20 allevatori e comunque ogni anno comporta l'uccisione di circa duecentomila visoni principalmente allevati in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna;
   sono già stati pubblicati numerosi studi attestanti l'incompatibilità della stabulazione delle specie da pelliccia con il rispetto dei parametri minimi di benessere animale: si ricorda lo studio del 2001 del Comitato scientifico per la salute e il benessere animale della Commissione europea che evidenziava l'incompatibilità dei sistemi di allevamento in gabbia di questi animali ed i loro comportamenti naturali;
   il venire meno del requisito della necessità (considerando che a pelliccia animale oggi è facilmente sostituita da tecnofibre); comporta, secondo gli interroganti, che l'uccisione di animali per tale finalità possa configurare una condotta delittuosa e pertanto perseguibile a norma del codice penale;
   la maggioranza degli italiani e degli europei più volte si è espressa al fine di bandire questa forma di allevamento. Molte aziende, italiane e non, operanti nel settore della moda si sono pubblicamente schierate contro questa forma di sfruttamento;
   i Paesi in cui è fatto divieti di allevare questi animali sono in costante aumento: Inghilterra (2000, divieto per tutti gli animali), Irlanda del Nord (2003, divieto per tutti gli animali), Scozia (2003, divieto per tutti gli animali), Austria (2004, divieto per tutti gli animali), Croazia (2007, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2017), Bosnia (2009, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2018), Danimarca (2009, volpi effettivo dal 2024), Slovenia (2013, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2015);
   nel dicembre 2012 anche l'Olanda, che costituisce il terzo Paese al mondo produttore di pelli di visone con oltre 5 milioni di animali allevati all'anno, ha approvato il divieto di allevamento di animali «da pelliccia» che sarà vigente dal 2024 per dare il tempo ai 189 allevamenti di visoni di riconvertirsi, nonostante il contenzioso avviato dalla Federazione olandese di possessori di animali da pelliccia;
   pochi giorni fa il Ministro dell'agricoltura lussemburghese, Fernand Etgen, ha presentato la nuova legge per assicurare la dignità, la tutela della vita, la sicurezza e il benessere degli animali, che introduce anche sanzioni per la macellazione di animali al solo scopo di venderne pelli e pellicce;
   l'attività di allevamento, e in particolare del visone, ha anche un significativo impatto sull'ambiente e sul clima a causa del processo di concia e trasformazione della pelliccia, oltre a rappresentare un potenziale rischio di estinzione delle specie autoctone, causata da specie esotiche invasive come il visone americano;
   in risposta a queste motivazioni sono già state presentate alla Camera una Risoluzione in Commissione agricoltura (n. 7-00206) non ancora discussa, una interrogazione a risposta in Commissione ancora senza risposta, entrambe a prima firma Gagnarli oltre alle due proposte di legge (C. 2148 a prima firma Gagnarli e C. 288 a prima firma Brambilla), che prevedono ugualmente: l'immediato divieto di apertura di nuove strutture, la chiusura degli, allevamenti esistenti entro un anno dall'entrata in vigore della legge, la possibilità di riscattare gli animali e reinserirli in natura, la reclusione e le multe per ogni animale allevato e per chi esporta o sfrutta economicamente pelli o pellicce di animali appositamente allevati, catturati e uccisi in Italia –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, il Governo non intenda al più presto assumere iniziative normative al fine di mettere fine, anche nel nostro Paese, ad una pratica anacronistica quanto crudele contro gli animali. (5-08660)

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agrumicoltura rappresenta una delle produzioni che più identifica la regione Sicilia nel mondo. La Sicilia rappresenta la principale area produttiva delle arance italiane, con una quota del 59 per cento sulla produzione totale;
   le principali varietà coltivate in Sicilia sono il Tarocco, Moro, Sanguinello, Naveline e Valencia, mentre Ippolito e Meli stanno diventando sempre più popolari;
   in Sicilia si producono ogni anno circa 12 milioni di tonnellate di arance. Il 70 per cento — secondo i dati dell'ISMEA, l'Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare — viene esportato verso Paesi che sembrano, però, sempre meno attratti dalle arance rosse di Sicilia. La richiesta, da parte della Svizzera, è crollata lo scorso anno del 24 per cento mentre il calo della domanda ha sfiorato il 47 per cento in Germania. Di contro, l'Italia continua ad importare sempre più arance dall'estero;
   la campagna agrumicola di quest'anno è stata condizionata da fattori meteorologici e dalla presenza di virus che attaccano le piante, che hanno inciso sulla pezzatura, rimasta piccola, con la conseguenza che sulla pianta si vende a 10-15 centesimi al chilo per arrivare ad un massimo di 40 centesimi;
   negli ultimi 15 anni sono andati persi 60 mila ettari di agrumi e ne sono rimasti 124 mila, dei quali 30 mila in Calabria e 71 mila in Sicilia. Ciò è dovuto ai prezzi pagati agli agricoltori che non riescono neanche a coprire i costi di raccolta a causa della concorrenza sleale dei prodotti importati dall'estero – Spagna, Turchia, Tunisia e Marocco – in una situazione di dumping economico, sociale ed ambientale e che godono di costi di produzione bassissimi e sono, quindi, privilegiati sul mercato;
   ci si trova, quindi, di fronte ad una vera e propria invasione di frutta straniera con le importazioni di agrumi freschi e secchi che sono praticamente raddoppiate per raggiungere nel 2015 il massimo storico di 480 milioni di chili. Quindi, mentre l'Italia non produce le arance che avrebbero mercato, le si importa dall'estero aggravando la crisi del settore;
   nei Paesi europei non ci sono regole armonizzate sulle importazioni; spesso vengono utilizzati prodotti chimici vietati in Italia, e spesso i prodotti sono privi di controlli qualitativi stringenti anche sulla reale provenienza della frutta in vendita. Le arance marocchine, per fare un esempio, non hanno le stesse caratteristiche nutrizionali di quelle siciliane;
   questa situazione si ripercuote pesantemente sul piano economico e occupazionale, per le imprese agricole, ma ha effetti anche da un punto di vista ambientale e della salute dei consumatori. A parere dell'interrogante sarebbe necessario rendere obbligatoria l'indicazione di provenienza in etichetta della frutta utilizzata nelle bevande e fermare la vendita in Italia delle «aranciate senza arance»;
   servono azioni che valorizzino l'origine del prodotto e contrastino il calo dei prezzi, perché troppo spesso gli agricoltori non coprono nemmeno i costi di produzione;
   è necessario rafforzare i controlli su tutto il territorio per la tracciabilità dell'ortofrutta, perché i consumatori devono poter scegliere consapevolmente;
   la sopravvivenza delle aziende siciliane passa da accordi di filiera e valorizzazione del solo prodotto ottenuto dalla trasformazione degli agrumi prodotti nel territorio regionale –:
   se il Ministro interrogato non ravvisi la necessità di assumere iniziative volte a realizzare un database per dare visibilità alle quantità di agrumi prodotti e, in particolare, alla distinzione tra destinazione commerciale e di trasformazione e quantità di derivati ottenuti, al fine di tutelare gli agrumi siciliani e tutti i derivati ottenuti dalla trasformazione degli agrumi di origine siciliana;
   quali iniziative, sul piano normativo e procedurale, intenda adottare per avere principi comuni nella gestione delle attività produttive del settore agrumario.
(4-13144)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'atto di indirizzo per il rinnovo dell'accordo collettivo nazionale dei medici convenzionati prevede una diversa articolazione della continuità dell'assistenza medica territoriale sulle sedici ore (cosiddetto H16), dalle 8 a mezzanotte;
   quanto esposto qui sopra determinerebbe un carico sul servizio 118 della predetta funzione di assistenza nelle ore notturne, precedentemente coperte dalla cosiddetta «guardia medica»;
   infatti, i medici del 118 si troverebbero a svolgere in contemporanea due tipologie di servizio completamente diverse: i «codici rossi» di emergenza e le visite e prescrizioni per patologie minori assimilabili al sistema di assistenza ordinaria;
   la situazione così determinata provocherebbe disfunzioni nell'assistenza medica molto gravi, con gli operatori stretti tra l'obbligo di intervento immediato in emergenza e il pericolo di commettere omissione di soccorso se costretti a interventi molto differiti nel tempo, sia nelle zone a notevole estensione territoriale, sia nei centri urbani ad alta intensità abitativa;
   si osserva, inoltre, che alcuni interventi, come i trattamenti sanitari obbligatori ed i trasferimenti per patologie cosiddette «tempo-dipendenti», quali gli infarti del miocardio, gli ictus, i politraumi, le dispnee gravi, impegnano solitamente per molte ore i medici d'emergenza 118, creando, già adesso, problemi di copertura per le patologie con maggiori rischi e forme più acute;
   le patologie minori, che talora, però, evolvono rapidamente in gravità, possono essere efficacemente gestite dai medici di continuità assistenziale, appunto da coloro che svolgono le attività di guardia medica;
   tale servizio di assistenza integra l'idea di sistema territoriale di pronto intervento finalizzato ad assicurare una riconoscibile e diffusa qualità della assistenza sanitaria riducendo la presenza antieconomica di strutture ospedaliere periferiche in genere scarsamente attrezzate;
   nell'attualità, quindi, la presenza simultanea di medici 118 e delle guardie mediche offre un servizio efficace ai cittadini e una razionale limitazione degli accessi ai pronto soccorso, da sempre congestionati, malgrado le pesanti carenze di organico di entrambe le figure mediche in alcune zone interne del Paese e, in particolare, nelle regioni di vasto e spopolato territorio come la Sardegna;
   il modello ipotizzato dal citato atto d'indirizzo avrebbe alcune evidenti conseguenze tra le quali il collasso dei pronto soccorso preso d'assalto dai pazienti; un utilizzo improprio dei medici del 118, oltretutto attualmente insufficienti per le esigenze del sistema di emergenza territoriale; la perdita di posti di lavoro nella continuità assistenziale –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare per scongiurare la soppressione del servizio di assistenza di guardia medica 24 ore su 24, assicurando in maniera sempre più efficiente, una organizzazione territoriale del sistema sanitario, con particolare riferimento alle, aree insulari, interne e a bassa densità di popolazione come quelle della Sardegna, dove una riduzione dell'attività, di guardia medica pregiudicherebbe i anzitutto i diritti alla salute dei cittadini di interi territori; se risulti al Ministro interrogato, anche per il tramite del rappresentante del Governo nel Comitato di settore, che prima della stesura dell'atto d'indirizzo citato siano state sentite regioni, le associazioni degli Enti locali e le organizzazioni sindacali dei medici, e che sia stato valutato il rischio dello sviluppo di un nuovo mercato speculativo della assistenza medica notturna proprio nelle aree territoriali più isolate e svantaggiate. (4-13155)


   NICCHI, PAGLIA, GREGORI e FASSINA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'aumento dell'offerta di giochi diversi, e il perdurare della crisi economica, è aumentata la percentuale di persone che hanno iniziato a giocare. Proporzionalmente è aumentato il rischio di persone che hanno con il gioco un rapporto patologico, che può degenerare in una grave dipendenza; gli italiani «a rischio alto» che dipendono dall'azzardo sono circa un milione. I giocatori «patologici» almeno 256 mila;
   nel solo primo trimestre del 2016, gli introiti statali legati al gioco, sono cresciuti di circa 413 milioni di euro. Dalle slot-machine, dalle scommesse e dagli altri tipi di gioco, lo Stato incassa 8,7 miliardi di euro;
   come ricorda lo stesso Ministero della salute, la «ludopatia non è solo un fenomeno sociale, ma è una vera e propria malattia, che può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidi»;
   i commi da 918 a 946 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), introducono diverse disposizioni in materia di giochi;
   in particolare, il comma 943 prevede, tra l'altro, che «A partire dal 1o gennaio 2017 possono essere rilasciati solo nulla osta per apparecchi che consentono il gioco pubblico da ambiente remoto, prevedendo la riduzione proporzionale, in misura non inferiore al 30 per cento, del numero dei nulla osta di esercizio relativi ad apparecchi attivi alla data del 31 luglio 2015, riferibili a ciascun concessionario»;
   la legge di stabilità prevede quindi che il numero delle « slot» si debba gradualmente ridurre di almeno il 30 per cento. Inoltre, si stabilisce che la riduzione dovrà essere effettuata sulla base delle slot esistenti al 31 luglio 2015, quando le macchinette erano 378.109. Calcolando una riduzione del 30 per cento quindi, gli apparecchi dovranno calare ad almeno 264.676 unità;
   nel frattempo, come evidenzia un articolo sul « Corriere.it» dell'8 maggio 2016, a firma di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, nel 2016 ci sarà una macchinetta ogni 143 italiani, ossia il 10,6 per cento in più dell'anno precedente;
   inoltre, ben più grave, è che il medesimo articolo del Corriere riporta che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha provveduto ad emanare una circolare che «reinterpreta» la stessa norma della legge di stabilità 2016. C’è scritto che la legge di stabilità viene a fissare un tetto oltre il quale «è precluso il rilascio di nuove autorizzazioni»: ma che quel tetto si riferisce non al numero di slot machine operative al «31 luglio 2015» come dispone la legge, bensì al 31 dicembre 2015.1 precisa che «tale numero è pari a 418.210 unità». In pratica un numero molto vicino a quello dei circa 424 mila dichiarati a dicembre scorso dai concessionari (e comprensivo sia delle slot esistenti che di quelle che si troverebbero nei magazzini), e quindi superiore di oltre 40 mila slot machine rispetto alle 378.109 macchinette esistenti al 31 luglio 2015, data individuata dalla legge di stabilità –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e se non si intendano assumere iniziative affinché sia ritirata, la citata circolare dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in quanto in palese contrasto con una legge dello Stato, al fine di adottare un'altra in coerenza e nel pieno rispetto di quanto disposto dalla legge di stabilità 2016 di cui in premessa. (4-13158)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   GREGORI e FASSINA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2016 si sono aperte le procedure di mobilità del personale dell'ex ente pubblico della Croce rossa italiana (Cri), attraverso l'utilizzo del portale predisposto dal dipartimento della funzione pubblica;
   da una prima lettura – e dalle centinaia di segnalazioni pervenute dai lavoratori – ci si è resi immediatamente conto che la struttura del portale, così come è stata concepita, non permette una scelta consapevole e ponderata, ingenerando, inoltre, sconcerto e confusione negli stessi lavoratori;
   alla consegna delle credenziali di accesso ci si attendeva, dal portale, una serie di informazioni complementari che avrebbero dovuto condurre il lavoratore a individuare, con maggiore accuratezza, il nuovo luogo di lavoro. Così non è stato;
   le evidenti difficoltà, infatti, si riscontrano principalmente per l'assenza delle indicazioni circa le sedi di lavoro ed, eventualmente, anche per i servizi a cui dovrebbero essere indirizzati, coloro i quali esprimessero una o più preferenze;
   non è difficile credere, che le amministrazioni che hanno messo a disposizione offerte di mobilità, non siano state in grado di specificare le sedi di lavoro e, appunto, anche i servizi a cui destinare il personale proveniente dalla Croce rossa;
   le criticità, purtroppo, non si fermano qui. Per semplicità e per sintesi, di seguito si evidenziano ulteriori problematiche emerse al momento dell'accesso al portale: a dispetto di quanto era lecito attendersi, i cosiddetti «agganci» tra gli offerenti e il personale della Cri, sono avvenuti esclusivamente sulla base delle posizioni economiche e non sulle reale qualifica di appartenenza (amministrativo, tecnico, informatico e socio-sanitario), non permettendo una confacente individuazione del profilo professionale; in particolare, il personale appartenente al profilo socio-sanitario (medici, biologi ed infermieri), pur essendo destinatario (apparentemente) di numerosi «agganci», non è in grado di individuare se dietro una offerta di mobilità ci sia realmente, la necessità di impiegare le proprie professionalità; per le professionalità sopra indicate, le regioni, le aziende ospedaliere, le Asl, continuano a predispone bandi di concorso e assunzioni in contrasto con quanto previsto dalla legge di stabilità 2016, senza che il Governo, seppur messo a conoscenza, sia mai intervenuto a tutela dei previsti processi di mobilità dei dipendenti ex Cri –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative, per quanto di propria competenza, per verificare la correttezza delle procedure applicate e salvaguardare i diritti dei lavoratori in questione in relazione al funzionamento del portale attivo presso il dipartimento della funzione pubblica. (4-13145)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la legge 9 gennaio 1991, n. 9, all'articolo 9, comma 8, come modificato dall'articolo 13 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, prevede che «al fine di completare lo sfruttamento del giacimento, decorsi i sette anni dal rilascio della proroga decennale, al concessionario possono essere concesse, oltre alla proroga prevista dall'articolo 29 della legge 21 luglio 1967, n. 613, una o più proroghe, di cinque anni ciascuna se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione o dalle proroghe»;
   il decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 484, recante la disciplina dei procedimenti di conferimento dei permessi di prospezione o di ricerca e di concessione di coltivazione di idrocarburi in terraferma e in mare, al Capo II, articolo 18, comma 1, stabilisce che «La domanda di proroga della concessione di coltivazione, la domanda di variazione del programma dei lavori e la domanda di ampliamento o riduzione volontaria dell'area della concessione, devono essere presentate al Ministero ed alla sezione competente dell'amigdaloide. Il Ministero richiede il parere, nei casi di particolare rilevanza, del Comitato tecnico. Fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 16 del presente regolamento, il Ministero emana i decreti di autorizzazione di proroga, di variazione del programma dei lavori e di ampliamento o riduzione volontaria dell'area, entro il termine massimo di centoventi giorni, dalla data di presentazione della domanda»;
   il medesimo regolamento, all'articolo 17, prevede che il procedimento debba concludersi entro il termine massimo di centosessanta giorni dalla data di prestazione della domanda e che, qualora sia necessario acquisire il giudizio di compatibilità ambientale, il termine massimo per la conclusione del procedimento è di duecentocinquanta giorni, dalla data di presentazione della domanda;
   il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, all'articolo 34, comma 19, stabilisce che «Per la piena attuazione dei piani e dei programmi relativi allo sviluppo e alla sicurezza dei sistemi energetici di cui al decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 93, gli impianti attualmente in funzione di cui all'articolo 46 del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e di cui agli articoli 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, continuano ad essere eserciti fino al completamento delle procedure autorizzative in corso previste sulla base dell'originario titolo abilitativo, la cui scadenza deve intendersi a tal fine automaticamente prorogata fino all'anzidetto completamento»;
   per il periodo intercorrente tra l'entrata in vigore del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 e l'entrata in vigore della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e cioè tra il 13 settembre 2014 ed il 1o gennaio 2016, la disciplina dei permessi e delle concessioni è stata sostituita da quella sul «titolo concessorio unico»;
   rispetto a questa nuova disciplina, la legge 23 dicembre 2014, n. 190 ha fatto poi salvo unicamente il rilascio dei (nuovi) titoli di cui alla legge n. 9 del 1991 nelle more di approvazione del piano delle aree, ma non anche la disciplina delle proroghe, come recata dal decreto-legge n. 179 del 2012;
   per effetto dell'entrata in vigore della legge 28 dicembre 2015, n. 208, invece, si è reintrodotta in toto la disciplina generale di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, atteso il richiamo che alle «modalità» per il rilascio dei titoli tale legge effettua;
   anche la misura disposta dall'articolo 34, comma 19, del decreto-legge n. 179 del 2012, finalizzata ad una proroga ex lege delle attività sulla base di concessioni scadute e fino all'adozione del relativo provvedimento amministrativo, non può estendersi (quanto meno) alle richieste di proroga presentate o rilasciate in quell'intervallo di tempo;
   la disciplina di cui all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 152 si pone, invero, come disciplina speciale rispetto a quella generale recata dalla legge 9 gennaio 1991, n. 9;
   sulla interpretazione delle disposizioni recate da tale articolo era già intervenuto il Consiglio di Stato con parere del 20 gennaio 2012, il quale aveva chiarito quanto segue: «la proroga, essendo un provvedimento di secondo grado, comporta[a] una modifica di tipo sostanziale (di uno degli elementi) del provvedimento originario (il termine), tanto ciò vero che senza di essa l'efficacia di tale provvedimento verrebbe meno alla scadenza. Ne consegue, quindi, che i provvedimenti di proroga non possono dirsi coperti dalla salvaguardia prevista per il “titolo abilitativo già rilasciato” dall'articolo 6, comma 17 cit. Essi, quindi, rientrano nell'applicazione del divieto di cui alla nuova disciplina, in quanto, qualora fosse concessa la prosecuzione, finirebbero per tradursi in modifiche significative delle originarie attività di coltivazione, in quanto tali non consentite dalla normativa in esame»;
   dati gli articoli sopra citati ne consegue che i provvedimenti di proroga non possano dirsi coperti dalla salvaguardia prevista per il «titolo abilitativo già rilasciato» di cui all'articolo 3, comma 17, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 152. Essi, quindi, rientrano nell'applicazione del divieto posto dalla disciplina del Codice dell'ambiente, in quanto, qualora ne fosse concessa la prosecuzione, finirebbero per tradursi in modifiche significative delle originarie attività di coltivazione, come tali non consentite dalla normativa in vigore. Quelle disposizioni sono state certamente modificate, ma le modifiche introdotte non hanno fatto sì che alle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi in essere entro le 12 miglia marine possa estendersi la previsione dell'articolo 34, comma 19, del decreto-legge n. 179 del 2012, che procrastina sine die anche la durata delle concessioni scadute. E ciò né a seguito della modifica del 2012, con la quale la salvezza era espressamente limitata alla «efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati» (e ad eventuali relative proroghe), né a seguito della modifica introdotta dalla legge di stabilità 2016, in base alla quale «i titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento». In entrambi i casi, la salvezza dei titoli e, dunque, delle proroghe (eventuali ed espressamente rilasciate nel primo caso; automatiche ed ex lege nel secondo caso) deve, infatti, ritenersi disposta solo con riferimento a titoli che siano vigenti (e, pertanto, non scaduti) al momento dell'entrata in vigore della disposizione. D'altra parte, e più in generale, la previsione di una proroga sine die delle concessioni (scadute e non scadute) incontra i consueti limiti fissati dal giudice costituzionale circa l'adozione delle leggi provvedimento e, nel caso di specie, solleva per l'interpellante dubbi di legittimità costituzionale, non solo in relazione agli articoli 3, 97, 117, comma 1, della Costituzione, ma anche con riguardo all'articolo 113 della Costituzione, in quanto, in quest'ultimo caso, l'adozione del provvedimento amministrativo giungerebbe molti anni dopo ed avrebbe efficacia retroattiva, privando con ciò gli interessati di una tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo;
   in alcun casi, peraltro, le attività di coltivazione risultano prorogate ex lege per un tempo persino superiore alla durata ordinaria prevista per le proroghe – 10 anni, 5 anni – senza che la pubblica amministrazione si sia mai pronunciata al riguardo con l'adozione di un provvedimento espresso;
   il Ministero dello sviluppo economico, direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche, ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le geo-risorse, annovera tra i titoli vigenti le concessioni di coltivazione di seguito elencate:
   Concessioni di coltivazione su terraferma marino:
    A.C 1.AG – A.C 2.AS – A.C 3.AS – A.C 8.ME – B.C 5.AS – B.C 1.LF – B.C 2.LF – A.C 9.AG – A.C 14.AS – A.C 15.AX – A.C 16.AG – A.C 33.AG – B.C 11.AS – B.C 12.AS – B.C 20.AS – B.C 22.AG;
   Concessioni di coltivazione su terraferma:
    Barigazzo, Ca’ Bellavista, Calciano, Candela, Canonica, Casa Balleani, Caviaga, Colabella, Colle di Lauro, Filetto, Fiume Tenna, Fiume Treste, Gaggiano, Garaguso, Grecchia, Macerata, Mafalda, Manche di Cimalia, Masseria Acquasalsa, Masseria Verticchio, Molinazzo, Monte Castellano, Monte Morrone, Nova Siri Scalo, Pecoraro, Pessano, Petramala, Pigazzano, Poggio Castione, Pozza, Ravenna Terra, S. Benedetto del Tronto, Salgastri, San Potito, Sedia D'Orlando, Serra Pizzuta, Strangolagalli, Tempa Rossa, Tertiveri, Torrente Menocchia, Torrente Vulgano, Trignano, Vescovato, Vetta;
   in particolare, tra quelle che precedono, le concessioni denominate «Calciano», «Colabella» e «Grecchia» risultano all'interpellante scadute senza che i titolari abbiano presentato istanza di proroga del periodo di vigenza;
   come da prospetto che segue, per ulteriori 15 (quindici) concessioni scadute da tempo, i titolari hanno avanzato istanza di proroga della durata delle stesse tra il 13 settembre 2014 ed il 1o gennaio 2016, ai sensi dell'articolo 34, comma 19, del decreto-legge n. 179 del 2012:
    le concessioni di coltivazione riguardano: Barigazzo (scadenza 22 novembre 2011 data istanza proroga 14 novembre 2014), Ca’ Bellavista (scadenza 26 gennaio 2015, data istanza proroga 15 dicembre 2014), Canonica (scadenza 1o gennaio 2002 data istanza proroga 12 gennaio 2015), Caviaga (scadenza 1o gennaio 2011, data istanza proroga 17 dicembre 2014) Filetto (scadenza 30 maggio 2012, data istanza proroga 6 giugno 2015), Gaggiano (scadenza 30 aprile 2015, data istanza proroga 4 maggio 2015), Mafalda (scadenza 3 dicembre 2014 data istanza proroga 19 dicembre 2014), Molinazzo (scadenza 5 dicembre 2014, data istanza proroga 15 dicembre 2014), Monte Morrone (scadenza 1o settembre 2007, data istanza proroga 7 settembre 2015), Poggio Castione (scadenza 22 gennaio 2012, data istanza proroga 27 gennaio 2015), Pozza (scadenza 30 dicembre 2014, data istanza proroga 19 settembre 2014), San Potito (scadenza 1o gennaio 2007, data istanza proroga 8 gennaio 2015), Vescovato (scadenza 1o gennaio 2012, data istanza proroga 8 gennaio 2015), Vetta (scadenza 28 aprile 2012, data istanza proroga 23 aprile 2015);
   per le restanti 43 (quarantatré) concessioni, i titolari hanno fatto richiesta di proroga del periodo di vigenza della concessione ai sensi dell'articolo 34, comma 19, del decreto-legge n. 179 del 2012 –:
   se il Ministro interpellato non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per sancire la scadenza di tutti i titoli abilitativi sopra elencati e, qualora sia stata presentata richiesta di proroga della vigenza degli stessi, rigettarne la relativa istanza, facendo sì che i concessionari provvedano alla chiusura mineraria dei pozzi, ove esistenti, al ripristino ambientale dei siti, nonché all'abbandono del campo di attività.
(2-01370) «Melilla».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti sindacali che Industria Italiana Autobus, l'azienda che aveva assorbito i lavoratori dell'ex Bredamenarinibus di Bologna, ha comunicato l'avvio della procedura di mobilità, dunque il licenziamento collettivo, per un numero compreso tra 42 e 46 addetti sui 184;
   l'annuncio da parte dell'azienda ha colto tutti di sorpresa dal momento che nell'ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico era «stata descritta — a detta dei sindacati – una situazione di tranquillità lavorativa che garantiva la saturazione degli organici attraverso la costruzione di 220 veicoli certi di contratti e a portafoglio ordini 2016»;
   l'interrogante nel corso della legislatura ha presentato due atti di sindacato ispettivo (interrogazione n. 5-01149 nel 2013 e interrogazione n. 5-04165 nel 2014) e nella risposta all'interrogazione n. 5-04165 (gennaio 2015) il Governo rassicurava che la nascita della newco Industria Italiana Autobus (IIA) avrebbe favorito il decollo del polo italiano di produzione di autobus. Inoltre, il Governo dichiarava «valutata l'importanza strategica del processo avviato con la costituzione di Industria Italiana Autobus, nonché la sostenibilità di medio/lungo periodo del piano industriale e finanziario, si impegna a monitorare costantemente la fase attuativa del piano industriale predisposto dalla nuova società»;
   sono a rischio non solo l'attuazione di un piano di reindustrializzazione e di rilancio dello stabilimento sancito da precisi accordi con il Ministro dello sviluppo economico, mai applicati, ma anche posti di lavoro e le professionalità strategiche per il futuro aziendale;
   secondo fonti sindacali c’è il sospetto che gli 80 autobus che potrebbero essere prodotti in Italia, finanziati con fondi pubblici, si stiano producendo in Turchia;
   nella giornata odierna la totalità dei lavoratori ha aderito alle 2 ore di sciopero con presidio davanti ai cancelli dell'azienda di via S.Donato a Bologna, indetto dalle organizzazioni sindacali, per protestare contro gli annunciati esuberi da parte della proprietà;
   la regione Emilia Romagna ha convocato le parti in causa ad un tavolo istituzionale per il 13 maggio 2016 per scongiurare i licenziamenti annunciati –:
   se siano conoscenza di quanto riportato in premessa e cosa intendano fare, per quanto di competenza, per salvaguardare l'occupazione ed il tessuto produttivo dell'area in questione, nonché per tener fede agli accordi stipulati in sede ministeriale. (5-08638)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   recentemente, la Confederazione italiana della piccola e media industria privata (Confapi), pur apprezzando gli interventi introdotti dal Governo nel corso dell'ultimo anno, sia dal punto di vista fiscale, (con la riduzione dell'Ires dal 27,5 per cento al 24 per cento a partire dal 1o gennaio 2017), che dal punto di vista degli incentivi in favore delle piccole e medie imprese, ha evidenziato la necessità di continuare l'azione di stimolo per gli investimenti, individuando ulteriori misure a sostegno di tale dimensione d'impresa;
   la Confapi, in particolare, ha rilevato le difficoltà che riscontrano le piccole e medie imprese nella sottocapitalizzazione, sollecitando il Governo ad intervenire attraverso misure di natura finanziaria, volte ad agevolare gli investimenti, in un quadro generale d'intervento di rilancio della crescita e dell'occupazione;
   al riguardo, dal documento della suesposta Confederazione, in merito al ciclo di programmazione economico-finanziaria e di bilancio, si evince che il Governo sta lavorando all'attuazione di una possibile misura in favore della capitalizzazione delle piccole e medie imprese, che prevedrebbe un meccanismo di finanziamenti rimborsabili a tasso zero senza garanzie reali per il 50 per cento del valore del finanziamento, mentre il restante 50 per cento sarebbe a valere su finanziamenti bancari a tassi di mercato, secondo le modalità usuali del sistema creditizio;
   l'effetto della misura, prosegue il dossier, sarebbe duplice, in quanto oltre a cercare di dare una possibile soluzione al problema di eccessiva sottocapitalizzazione delle imprese, costituirebbe anche un tentativo di aiutare le piccole e medie imprese a presentarsi meglio sul mercato del credito rispetto agli istituti bancari;
   Confapi ritiene sia strategico destinare un importante valore delle risorse messe a disposizione, onde consentire di raggiungere più imprese possibili, tenendo anche, presente la situazione attuale in cui versano la maggior parte delle piccole e medie imprese le quali potrebbero risollevarsi da situazioni critiche;
   la medesima Confederazione, inoltre, evidenzia l'opportunità di affiancare, alla valutazione del merito creditizio svolta dagli istituti di credito meramente quantitativa, anche una valutazione qualitativa della singola piccole e medie imprese, che, mettendo in rilievo le caratteristiche proprie di quella impresa, possa dimostrare la validità della concessione di una agevolazione in suo favore;
   a giudizio dell'interrogante le suesposte osservazioni risultano condivisibili e necessarie, se si valuta come la categoria dimensionale delle piccole e medie imprese, sia stata fortemente penalizzata dalla crisi finanziaria ed economica, che ha interessato il Paese per oltre sette anni, contribuendo alla cessazione delle attività per migliaia di imprese;
   a tal fine, l'interrogante rileva come, proprio in considerazione della delicata fase economica che attraversa l'area euro, ed in particolare l'Italia, sebbene nel corso del 2015 l'economia italiana abbia registrato una moderata ripresa, conseguendo un tasso di crescita dello 0,8 per cento, (con una ripresa ha perso slancio durante la seconda, metà dell'anno passato), occorrano misure finalizzate a sostenere la crescita, attraverso ulteriori miglioramenti di competitività e di accelerazione degli investimenti;
   risultano quanto mai urgenti e necessari di conseguenza, a parere dell'interrogante, chiarimenti da parte dei Ministri interrogati, con riferimento alle considerazioni esposte dalla Confapi, le cui misure di agevolazioni agli investimenti, ove introdotte in tempi rapidi, accompagnate da interventi di alleggerimento della pressione fiscale, possono contribuire positivamente a sostenere le piccole e medie imprese, nell'attuale fase di incertezza economica –:
   se e quali iniziative i Ministri interrogai intendano assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, in relazione alle osservazioni della Confapi che ha sollecitato misure in favore della capitalizzazione delle piccole e medie imprese;
   quali siano i tempi previsti per l'assunzione di tali iniziative di natura finanziaria, finalizzate ad agevolare gli investimenti per tale categoria dimensionale d'impresa e superare di conseguenza le difficoltà legate alla sottocapitalizzazione, la cui problematica che sta ad indicare la larga prevalenza dei debiti rispetto al capitale proprio delle imprese, è da diverso tempo tematica fortemente sentita a livello nazionale, in particolare nel corso della crisi economica che ha interessato l'Italia, probabilmente la peggiore del dopo guerra. (4-13154)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Pagano e Bosco n. 2-01366, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Binetti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Melilla n. 4-13136, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gregori.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cristian Iannuzzi e Furnari n. 5-08628, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Civati, Brignone, Andrea Maestri.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Altieri n. 4-12996 del 27 aprile 2016;
   interrogazione a risposta scritta De Rosa n. 4-13026 del 28 aprile 2016.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Caparini n. 4-13119 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 621 del 10 maggio 2016. Alla pagina 37497, prima colonna, dalla riga tredicesima alla riga quattordicesima deve leggersi: «il sindaco di Ceriano Laghetto, comune della provincia di Monza e Brianza», e non come stampato. Alla pagina 37479, seconda colonna, alla riga quarantatreesima deve leggersi: «di Ceriano Laghetto, ed in particolare in» e non come stampato.