Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 30 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. rappresenta una delle più grandi realtà industriali del Paese con un personale di circa settantamila persone chiamate a gestire oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di oltre 16.700 chilometri;
    nel primo semestre 2015 il risultato netto di periodo conseguito dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. si è attestato a 292 milioni di euro, segnando un incremento rispetto al medesimo periodo dell'esercizio precedente del 2,5 per cento, pari a 7 milioni di euro;
    i ricavi da mercato inerenti ai prodotti del traffico viaggiatori sono aumentati, sempre nel primo semestre 2015, di 74 milioni di euro rispetto al primo semestre 2014. Particolarmente produttivo è stato il settore della media e lunga percorrenza che ha chiuso il periodo con un incremento netto totale di 20 milioni di euro;
    a differenza dei ricavi da contratto di servizio che hanno chiuso il periodo con una flessione di 9 milioni di euro, a determinare il raggiungimento del risultato positivo di cui sopra hanno contribuito anche i ricavi da servizi di infrastruttura che hanno registrato una variazione positiva pari a 6 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2014, grazie soprattutto all'aumento dei ricavi da vendita trazione elettrica;
    il 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha avviato il processo di privatizzazione e di definizione delle modalità di parziale vendita della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., approvando, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni (legge n. 474 del 1994 e legge n. 481 del 1995);
    suddetta operazione, sebbene non confermata nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza recentemente sottoposta alla Camera dei deputati, era già stata annunciata dal Governo e rientra nel non condivisibile piano di privatizzazioni attuato dall'Esecutivo che ha ultimamente portato in Borsa Poste Italiane e previsto la quotazione di Enav;
    nel Documento di economia e finanza 2015, tra le indicazioni contenute nella tabella relativa al cronoprogramma per le riforme, veniva infatti indicato in fase di avanzamento il processo di cessione di partecipazioni statali, che interessa Poste Italiane, Enav e STMicroelectronics Holding e Ferrovie dello Stato italiane, con riferimento alle società partecipate Grandi Stazioni e Cento Stazioni senza entrare ulteriormente nel merito di suddette procedure;
    coerentemente con quanto indicato nel Documento di economia e finanza, l'operazione di privatizzazione prevede innanzitutto la scissione, deliberata gli scorsi mesi dal consiglio di amministrazione, non proporzionale di Grandi Stazioni in tre aziende: GS Rail, GS Immobiliare e GS Retail, che costituisce la parte commerciale del gruppo. Per quest'ultima si è da ultimo dato il via alla prevista vendita del network di gallerie commerciali, con le relative concessioni, nei 14 scali chiave nazionali, passando così dal controllo pubblico a quello privato, con la pubblicazione di un bando internazionale per la vendita del 100 per cento di GS Retail, valutata in circa un miliardo, inclusi 150 milioni di euro di debito, per un incasso per le Ferrovie di almeno mezzo miliardo. La società è considerata un asset unico secondo l'opinione di investitori che mirano alla creazione di valore, in base al piano al 2020 disegnato dall'amministratore delegato di Gs Retail, puntando a raddoppiare la superficie a reddito con un investimento di 160 milioni di cui 100 a carico degli acquirenti, oltre gli investimenti in opere esterne per i quali sono stati allocati 330 milioni dal Cipe. È previsto tempo fino al 14 dicembre 2015 per le manifestazioni di interesse a Gs Retail e all’advisor Rothschild, scadenzando una prima selezione entro Natale, anche sulla base di un patrimonio netto di 400 milioni di euro e 500 milioni di euro di ricavi e prevedendo da gennaio 2015 la preparazione di offerte non vincolanti dei candidati, cui seguiranno quelle impegnative, per procedere alla vendita totale entro aprile 2015;
    in generale, tale percorso di privatizzazione è già stato dunque oggetto di critiche da parte del Gruppo Parlamentare Movimento 5 Stelle che aveva fatto notare come non fossero chiare le procedure che avrebbero dovuto guidare queste delicate operazioni di alienazione né, tantomeno, i reali benefici in termini economici potenzialmente derivanti;
    relativamente all'operazione di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato era stata inoltre evidenziata l'antitetica posizione, tutt'oggi irrisolta, dell'amministratore delegato uscente di Ferrovie dello Stato, Michele Elia, favorevole alla cessione di una quota della holding Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., rispetto a quella dell'uscente presidente, Marcello Messori, incline a lasciare la rete ferroviaria in mano pubblica, privatizzando solo alcune attività giudicate contendibili quali il trasporto merci e l'alta velocità;
    lo stesso Messori, in una recente intervista, avrebbe affermato che privatizzare le ferrovie così come sono «rischia di tradursi in una svendita del gruppo Fs (3,5/4 miliardi per il 40 per cento delle quote proprietarie) (...) che porterebbe a incassi pubblici pari alla metà o a un terzo di quelli promessi dalla privatizzazione a stadi»;
    la scissione di cui sopra ha portato in data 26 novembre 2015 alle dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato Spa compresi, dunque, sia il presidente del gruppo che l'amministratore delegato, aumentando, di fatto, il clima di incertezza che sta caratterizzando la procedura di privatizzazione di cui in parola e lasciando il gruppo temporaneamente privo di una guida;
    secondo indiscrezioni di stampa, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe vissuto questo dissidio interno al consiglio di amministrazione con grande distacco e senza la reale intenzione di trovare un accordo e mediare tra le diverse istanze, concentrandosi esclusivamente sulla ricerca del successore da designare piuttosto che cercando di programmare le fasi di privatizzazione avvalendosi di esperti e udendo le istanze delle parti;
    ricerca, quest'ultima, che risulta essere stata piuttosto facile vista non solo la fulminea nomina del dottor Mazzoncini all'indomani delle dimissioni del consiglio di amministrazione, ma soprattutto considerato il fatto che indiscrezioni di stampa, già da qualche mese, designavano quest'ultimo come prossimo successore del dottor Elia, anche alla luce della lunga conoscenza tra il dottor Mazzoncini e il Presidente del Consiglio dei ministri;
    Renato Mazzoncini era, infatti, prima della nomina appena avvenuta, amministratore delegato della controllata di Fs Busitalia e nel 2012, in tale veste, favorì l'accordo con l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, per la privatizzazione dell'Ataf, azienda tranviaria fiorentina;
    suddetta procedura di privatizzazione è stata definita dalla stampa «un capolavoro lessicale ben presto entrato nella mitologia renziana», visto che sarebbe stata realizzata vendendo ad una società statale, anche grazie alla «consulenza legale fornita dall'allora avvocato Maria Elena Boschi», oggi Ministro per le riforme costituzionali e i trasporti con il Parlamento;
    la privatizzazione di Ferrovie dello Stato rischia dunque di ricalcare, a livello nazionale, lo schema, fallimentare e poco risolutivo per le casse pubbliche, adottato per la società Ataf, con il ripresentarsi dei medesimi soggetti coinvolti all'epoca nel capoluogo toscano;
    sempre relativamente al dottor Mazzoncini, si segnala, inoltre, come lo stesso sarebbe stato, secondo indiscrezioni di stampa, già proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, per la successione di Moretti subito dopo il passaggio di quest'ultimo al vertice di Finmeccanica. Operazione allora non riuscita visto l’endorsement dell'amministratore uscente nei confronti di Elia;
    l'incertezza che caratterizza questo percorso di alienazione che, proprio in quanto tale, andrebbe invece eventualmente intrapreso solo al termine di lunghe, trasparenti e oggettive valutazioni formulate da tecnici contabili in sinergia con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, e non solo in seno all'Esecutivo, come di fatto sta avvenendo, è rinvenibile ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non esclusivamente nel dissidio interno tra Messori ed Elia, ma anche tra quest'ultimo e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
    in occasione del meeting di Comunione e Liberazione, svoltosi il 24 agosto 2015 a Rimini, il dimissionario amministratore delegato e l'attuale Ministro delle infrastrutture e dei trasporti avrebbero infatti assunto posizioni diverse confermando il primo la volontà di mantenere uniti la rete (Rfi) e i servizi di trasporto (Trenitalia), collocando in blocco in Borsa il 40 per cento delle azioni di Ferrovie dello Stato e, il secondo, invece, prospettando la possibilità di mantenere la rete ferroviaria patrimonio pubblico scorporandola da Trenitalia;
    poiché risulta essere totalmente assente, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, tali interventi di cosiddetta privatizzazione rischiano di non essere risolutivi ed essere, piuttosto, controproducenti, raggiungendo risultati effimeri e assolutamente limitati temporalmente,

impegna il Governo:

   a sospendere l'attuale procedura di privatizzazione in corso e a garantire la proprietà pubblica degli asset strategici;
   alla luce delle dimissioni rassegnate da tutti i componenti del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e della recente nomina del nuovo amministratore delegato, ad assumere iniziative per rivedere, al più presto, le procedure di nomina degli organi sociali delle società direttamente o indirettamente partecipate dallo Stato al fine di garantire il conferimento di sopradetti incarichi a persone che abbiano una comprovata esperienza nel settore, escludendo l'appartenenza politica dai criteri di nomina;
   ad elaborare una nuova, più seria e più lungimirante politica di abbattimento del debito pubblico che non preveda l'alienazione del patrimonio pubblico, che secondo i firmatari del presente atto risulta invece essere dannosa e controproducente, dando luogo a degli effimeri e temporanei risultati di cassa, persino dannosi nel lungo periodo.
(1-01071) «De Lorenzis, Liuzzi, Spessotto, Dell'Orco, Nicola Bianchi, Carinelli, Paolo Nicolò Romano, Cozzolino».


   La Camera,
   premesso che:
    lunedì 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, che prevede la cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a.;
    Ferrovie dello Stato rappresenta una delle più grandi realtà industriali del nostro Paese, con 2.300 stazioni viaggiatori, circa 70 mila dipendenti, oltre 8mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di quasi 17000 chilometri, di cui 1.000 dedicati all'Alta velocità, oltre 11.900 elettrificati oltre 7.400 a doppio binario;
    Ferrovie dello Stato fa capo direttamente a 11 società operative, 8 delle quali partecipate al 100 per cento;
    la privatizzazione parziale di Ferrovie dello Stato, prevista nel corso del 2016, compatibilmente con le condizioni del mercato, è un passaggio fondamentale del piano di arretramento della presenza pubblica nell'economia, un piano che nel mese scorso ha portato alla quotazione in Borsa di Poste Italiane e che nella prima metà del 2016 interesserà anche Enav;
    la bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede che la privatizzazione, effettuabile in più fasi, si concretizzi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, a investitori istituzionali italiani e internazionali e quotazione sul mercato azionario;
    i termini di dettaglio dell'operazione, che secondo stime di alcune testate economiche potrà far entrare nelle casse dello Stato da 3 a 14 miliardi di euro a seconda del grado e dell'intensità della privatizzazione, sono ancora in corso di definizione;
    l'8 ottobre 2015 il Consiglio dei Ministri dei trasporti dell'Unione europea ha dato il via libera al pilastro politico del quarto pacchetto ferroviario che prevede un accesso non discriminatorio delle società ferroviarie dell'Unione europea alla rete in tutti i Paesi dell'Unione europea ai fini della prestazione di servizi di trasporto nazionale di passeggeri. L'accordo istituisce inoltre salvaguardie per evitare conflitti di interesse e aumentare la trasparenza dei flussi finanziari tra i gestori dell'infrastruttura e gli operatori del trasporto ferroviario;
    la rete infrastrutturale ferroviaria, sia convenzionale sia alta velocità, è un monopolio naturale. La sua gestione porta con sé un rilevante patrimonio di informazioni di rilevante interesse pubblico e privato, anche in un'ottica di ottimizzazione e razionalizzazione del trasporto;
    in presenza di un monopolio naturale, stante l'impossibilità di sviluppare un mercato concorrenziale, risulta opportuno che, soprattutto nella fase di avvio di un mercato concorrenziale, la gestione dell'infrastruttura resti in mano pubblica, per prevenire situazioni di monopolio e conflitto di interessi nell'accesso all'infrastruttura stessa;
    la privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato, senza preventiva separazione della rete, darebbe vita a un monolitico blocco pubblico-privato, tale da ostacolare la concorrenza e impedire una reale parità di accesso ai servizi di tutti gli operatori del mercato;
    al fine di creare le condizioni necessarie per un miglioramento della qualità dei servizi e per la creazione di un vero mercato concorrenziale, è opportuno separare la rete, e la sua gestione, mantenendole sotto il controllo di un soggetto di natura pubblica, e privatizzare invece la parte del gruppo Ferrovie che fornisce servizi di trasporto;
    in un tale schema di privatizzazione, sarà possibile valutare anche l'integrale privatizzazione delle società di servizi, anziché del solo 40 per cento, con conseguente aumento dei proventi per lo Stato e completa apertura del mercato;
    nell'ambito di tale impostazione dovrà essere considerata prioritaria la privatizzazione dei servizi di trasporto ferroviario di merci, al fine di assicurare la piena apertura e concorrenzialità di tale mercato,

impegna il Governo:

   a procedere al piano di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., con modalità idonee ad assicurare un reale sviluppo della concorrenza nel settore e lo sviluppo e l'ammodernamento dell'infrastruttura, anche sulle tratte secondarie;
   a valutare forme di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato tali da mantenere la gestione della rete infrastrutturale sotto un pieno, terzo e imparziale controllo pubblico;
   ad elaborare uno schema di privatizzazione che, anziché coinvolgere l'intero gruppo, preveda la separazione delle infrastrutture e della loro gestione, e l'ingresso dei privati nelle sole società del gruppo che erogano servizi di trasporto, partendo, prioritariamente, dalla privatizzazione dei servizi di cargo ferroviario;
   a valutare, in tale contesto, anche la privatizzazione di una quota azionaria superiore al 40 per cento.
(1-01072) «Mazziotti Di Celso, Monchiero, Catalano, Quintarelli, Matarrese».


   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che possono svilupparsi in diverse parti dell'organismo e avere caratteristiche molto differenti: la scarsa diffusione è l'unico elemento che accomuna tutti i tumori classificati come rari, che rappresentano una famiglia estremamente eterogenea di patologie;
    al momento non ci sono forme attendibili per stabilire in materia di tumori rari quanto siano realmente diffusi, poiché non esiste una definizione univoca sui numeri che caratterizzano questa «rarità»: una delle questioni principali da dirimere è la definizione di tumore raro ovvero quando è così poco comune da poter essere definito raro;
    la Rete tumori rari è una collaborazione tra centri oncologici italiani per migliorare l'assistenza ai pazienti con tumori rari ed utilizza la soglia di incidenza, ovvero il numero di nuovi casi in un anno, inferiore o uguale a 5 casi su 100.000, ma altre organizzazioni utilizzano soglie diverse e ciò complica il calcolo della diffusione di queste patologie;
    i tumori rari rappresentano oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione europea e riguardano nel territorio europeo oltre 4 milioni di persone;
    in Italia, secondo i dati dello studio RITA, dedicato proprio ai tumori rari, ogni anno sono circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore raro;
    un tumore che sia raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    i tumori rari sono una famiglia di neoplasie molto eterogenee. Ne esistono infatti molte tipologie che possono interessare ogni parte dell'organismo: i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe), un progetto europeo che si occupa di tumori rari, ne hanno individuate oltre 250;
    tra i tumori rari più noti anche alcune forme di leucemie e linfomi, tumori pediatrici come il retinoblastoma o tumori solidi dell'adulto come il tumore gastrointestinale stromale (GIST) e i tumori neuroendocrini (Pnet);
    non è possibile definire fattori di rischio comuni per tutti i tumori rari perché queste patologie sono molto numerose e molto diverse tra loro, ma anche perché le informazioni e gli studi clinici ed epidemiologici su un tumore raro sono spesso limitati proprio a causa della difficoltà di reperire una quantità sufficiente di dati sui quali basare la diagnosi;
    la diagnosi è un momento fondamentale nel percorso di una persona che si confronta con il tumore: una diagnosi precoce e precisa consente di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo;
    nel caso dei tumori rari la diagnosi oggi spesso arriva in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara, con la quale hanno a che fare raramente nel corso della loro carriera professionale;
    per diagnosticare una malattia rara, sia tumorale sia di altra natura, servono infatti competenze particolari che solo un esperto del settore può garantire e servono inoltre esami specifici per rendere la diagnosi veramente completa e affidabile. Potrebbe quindi essere necessario inviare i campioni prelevati in altri laboratori per effettuare tali esami, allungando ulteriormente il tempo necessario per giungere alla diagnosi finale;
    nel 1997, per esempio, ha preso il via presso l'Istituto nazionale dei tumori di Milano (INT) la Rete tumori rari, un progetto nato con lo scopo di migliorare l'assistenza alle persone affette da un tumore raro, con particolare attenzione a quelli che vengono definiti tumori solidi dell'adulto (non si occupa infatti di tumori del sangue e tumori pediatrici). Si tratta di una collaborazione coordinata dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano alla quale hanno aderito circa 200 centri oncologici in tutta Italia;
    dal 2001 esiste una Rete nazionale delle malattie rare, istituita dalla Conferenza Stato-regioni, a cui fa capo anche quella oncologica;
    gli obiettivi della Rete tumori rari sono:
     a) creare una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con tumore raro;
     b) che la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti avvengano secondo criteri comuni;
     c) condividere a distanza casi clinici fra i centri partecipanti, in modo da migliorare le capacità di cura dei medici aumentando il numero dei casi che si trovano a fronteggiare;
     d) promuovere un accesso razionale a centri di diagnosi e cura, limitando al minimo indispensabile gli spostamenti dei pazienti;
     e) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     f) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     g) diventare un modello sia dal punto di vista dei metodi utilizzati sia da quello delle tecnologie per ulteriori collaborazioni nell'ambito oncologico;
    i tumori rari in Italia, contrariamente da quanto previsto in Europa, non sono ricompresi nell'elenco delle malattie rare, che ha un proprio registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità istituito con il decreto n. 279 del 2001, e quindi i pazienti non possono beneficiare dei vantaggi, anche se insufficienti, riconosciuti alle persone affette da una patologia rara;
    si riscontrano e vengono denunciate dalle associazioni che si occupano di persone con tumore raro, difficoltà e disparità di accesso ai trattamenti innovativi, a volte uniche terapie efficaci per queste gravi forme di tumore;
    nel 2013 in Italia i pazienti affetti della sola leucemia mieloide cronica erano 7.881, con un'incidenza annuale in aumento stimata del 12 per cento, ovvero pari a 930 nuovi casi di persone con tumore raro;
    è necessario utilizzare e rendere accessibili le migliori terapie disponibili quando il paziente è ancora in fase cronica, per evitare il passaggio alle fasi avanzate della malattia;
    è estremamente importante, in un terreno orfano di terapie diagnostiche e specifiche, un efficace coordinamento dei centri specializzati che operano sul campo, ed appare necessario ottimizzare le risorse e promuovere le eccellenze che non mancano, evitando in tal modo i cosiddetti viaggi della speranza;
    non si può fare una programmazione delle strutture sul territorio in materia oncologica, se non si ha una base di conoscenza reale e attendibile sull'incidenza di queste malattie sul territorio. Senza queste informazioni è elevato il rischio di sovrastimare o sottostimare le strutture operanti nel campo: danneggiando comunque il paziente, in termini economici o di assistenza medica;
    l'obiettivo da perseguire è investire sulle terapie più innovative, sulla diagnostica della cronicità, ma anche sulla prevenzione e sul contrasto alle cattive abitudini che alimentano la diffusione delle patologie neoplastiche;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, impone la registrazione dei farmaci orfani entro 100 giorni a partire dall'avvio della procedura nazionale,

impegna il Governo:

   al fine di assicurare specifiche forme di tutela ai soggetti affetti da tumori rari, ad implementare e dare continuità alla Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare inserendo in tale ambito i tumori rari;
   a definire in maniera chiara e condivisa i tumori che devono essere riconosciuti come rari;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, diagnosi, cura e terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza uniforme sul territorio nazionale;
   a predisporre l'elenco dei tumori rari nell'ambito dell'elenco delle malattie rare;
   a prevedere che l'elenco dei tumori rari sia una «lista dinamica» in grado di accogliere e aggiornare l'elenco via via che siano diagnosticate anche le nuove patologie definite come rare ai fini delle opportune tutele per i pazienti di tumori rari;
   a sviluppare la capacità di ricerca in tale ambito, anche destinando ad essa specifiche linee di finanziamento, e prevedendo un'adeguata formazione per chi opera in tali centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica a livello nazionale ed europeo, dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico-assistenziale, che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a promuovere la defiscalizzazione delle spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e pre-clinica relativa ai «farmaci orfani» e ai tumori rari, con particolare attenzione e che progetti di ricerca in tale ambito siano rivolti anche al territorio delle regioni con disavanzo sanitario e sottoposte a piani di rientro;
   a garantire e favorire l'utilizzo off-label di farmaci per la cura dei tumori rari di cui è accertata l'efficacia, sulla base di evidenze scientifiche, anche al fine del loro inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito dalla legge n. 648 del 1996, favorendo lo sviluppo da parte dell'Agenzia italiana del farmaco di un'attenzione particolare ai tumori rari così come previsto per le malattie rare;
   ad aggiornare i dati relativi all'incidenza, sopravvivenza e prevalenza di ciascun tumore raro, tenuto conto dei dati relativi ai registri tumori AIRTUM;
   a verificare la possibilità di integrazione e validazione reciproca dei dati della Rete tumori rari (RTR) e dei dati dei registri tumori (AIRTUM);
   a prevedere la diffusione di informazioni sui tumori rari attraverso la collaborazione con le associazioni dei pazienti, coinvolgendo esperti, ricercatori, medici, associazioni di pazienti nel progetto informativo;
   a promuovere e favorire, anche attraverso apposite iniziative normative, l'istituzione di un registro nazionale tumori che comprenda, obbligatoriamente, i dati epidemiologi relativi ai tumori rari in riferimento agli elenchi citati in premessa;
   ad assumere iniziative affinché le attività di raccolta e analisi dei dati raccolti dai distretti e dalle aziende sanitarie locali, relativi a eziologia multifattoriale, eziologia generica o incerta possano essere attività correlate e connesse a quelle relative ai tumori rari;
   a intraprendere ogni iniziativa per il potenziamento della prevenzione primaria, da considerarsi attività di informazione e diffusione rispetto ai fattori di rischio, attraverso il coinvolgimento delle scuole e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, relativamente alle abitudini e ad un corretto stile di vita associato alla maggiore incidenza di patologie tumorali con particolare riferimento ai tumori rari;
   a garantire che, nell'ambito dell'attività di ricerca dell'Istituto superiore di sanità, sia garantito un finanziamento totalmente pubblico relativamente alla prevenzione primaria, secondaria e terziaria dei tumori rari.
(1-01073) «Baroni, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Zolezzi, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che si sviluppano in un numero ristretto di persone, perciò talvolta vengono impropriamente associati alle malattie rare. Unica differenza con tutti i tumori è la scarsa diffusione, anche se superano il 20 per cento del totale. Nonostante non sia semplice riscontrare una definizione univoca, viene utilizzata la prevalenza, che la Rete tumori rari indica come soglia di incidenza – numero di nuovi casi in un anno – in 6 casi su 100.000 persone. Il numero totale delle persone affette da tumore raro è molto elevato perché sono circa 200 i tumori rari. In Italia, si stimano in circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore, ogni anno;
    la rarità incide sulla difficoltà di effettuare la diagnosi perché non sempre si incrocia il medico veramente esperto nella scelta e nella gestione della terapia, atteso che non è facile condurre studi clinici su numeri di pazienti contenuti: ciò impone una particolare attenzione nella programmazione di azioni efficaci per consentire a tutte le persone malate di accedere alle cure appropriate;
    in occasione della conclusione di una indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati sulle malattie rare, nel luglio scorso, è stato affermato: «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari, essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n. 4 degli obiettivi del Piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la Rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di Piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di euro 55.000.000 per la Rete tumori rari e Rete malattie rare». Dal 2014, nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato, con il rischio di indebolire la Rete che faticosamente era stata creata, anche alla luce di quanto prevede il Piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che, al punto 2.2, afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare, allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri paesi europei»;
    in verità, l'Italia partecipa a progetti europei significativi, come ricorda – Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) – indicando nel progetto RITA (sorveglianza sui tumori rari) una linea di ricerca importante per conoscere l'impatto dei tumori rari in Italia. I registri tumori sono uno strumento importante per conoscere la frequenza e la sopravvivenza della patologia tumorale, tuttavia per i tumori rari la qualità della informazione non è mai stata studiata sistematicamente. Il progetto ha avuto lo scopo di migliorare la raccolta delle informazioni ed è stato integrato con il progetto europeo Rarecare. Il progetto, concluso nel 2010, ha prolungato e approfondito la ricerca con il progetto RITA 2 che consente di affermare che sono circa 200 i tumori rari e superano il 20 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia;
    si è inoltre alle porte di un nuovo importante appuntamento europeo: nel 2016 nasceranno le Reti di riferimento europee – European Reference Network (ERN) – che saranno le sedi ove si forniranno input per la formulazione delle linee guida, nonché dei criteri per l'accreditamento per la ricerca, la prevenzione e la cura delle malattie rare;
    è interesse dei pazienti e del nostro Sistema sanitario fare in modo che ci siano centri italiani in grado di ottenere il riconoscimento di idoneità per l'ammissione nelle Reti di riferimento europee. Si potranno così far circolare le informazioni e le competenze evitando le migrazioni ai pazienti;
    le regioni hanno presentato il 20 ottobre 2015, una proposta operativa al Ministero della salute che individua i criteri per selezionare i presidi e le modalità per costituire i Consorzi, quali soggetti giuridici che parteciperanno nelle Reti di riferimento europee: è un impegno che si ritiene strategico per l'intera rete dei servizi impegnati nella oncologia italiana e nelle malattie rare;
    infine occorre ricordare che l'intergruppo parlamentare sulle malattie rare ha recentemente prodotto un documento che sottopone al Ministro della salute alcune linee prioritarie di azione che sono largamente condivise anche dalle società scientifiche e dalle associazioni di volontariato,

impegna il Governo:

   ad assicurare la partecipazione italiana al massimo livello alle Reti di riferimento europee (ERN);
   ad assicurare la revisione dei registri tumori affinché siano evidenziate le informazioni sui tumori rari;
   ad assicurare la continuità alla Rete tumori rari coinvolgendo le associazioni di malati e di volontari che operano nel settore;
   ad inserire negli obiettivi di Piano il finanziamento degli interventi per i tumori rari;
   a dare attuazione alle conclusioni cui è pervenuto il gruppo di lavoro istituito dal Ministero della salute il 14 febbraio 2013 consegnate nel maggio 2015, ed in particolare a potenziare la ricerca e facilitare l'accesso ai farmaci.
(1-01074) «Miotto, Lenzi, Amato, Burtone, Grassi, Casati, Piazzoni, Capone, Paola Boldrini, Bini, D'Incecco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i gravi attentati compiuti a Parigi il 13 novembre 2015 hanno riproposto in termini drammatici il problema del controllo sulla circolazione delle armi da guerra nel territorio dell'Unione europea, dal momento che il commando jihadista entrato in azione nella capitale francese disponeva di fucili mitragliatori da guerra modello kalashnikov ed ingenti quantità di esplosivi;
   in particolare, la Commissione europea ha fatto conoscere fin dal 18 novembre 2015 la propria disponibilità a considerare delle proposte di revisione urgente della cosiddetta direttiva europea sulle armi;
   le proposte di cui si discuterebbe contemplerebbero:
    a) lo spostamento in categoria A (armi da fuoco proibite) delle armi civili attualmente classificate come B7, ad oggi legittimamente detenute dai titolari delle idonee licenze ed utilizzate per discipline sportive. Tale proibizione avrebbe effetti esiziali sul comparto armiero nazionale già duramente provato dalla negativa congiuntura economica e dai recenti provvedimenti normativi adottati ad aprile 2015 nel nostro Paese. Corre inoltre l'obbligo di precisare che la definizione stessa di arma di categoria B7 richiamata nel recente «decreto antiterrorismo» si configura come indeterminata e suscettibile di equivoche interpretazioni, richiamandosi e meri criteri di somiglianza estetica e non invece a criteri di omogeneità meccanica e funzionale – come sarebbe logico – con le armi di adozione militare;
    b) l'interconnessione delle banche dati nazionali, che implicherebbe una moltiplicazione dei problemi di sicurezza dei dati e la necessità di superare la difficoltà tecnica di disporre data base realmente comparabili. Tale misura sarebbe peraltro ridondante, atteso il fatto che il commercio intracomunitario delle armi civili è già soggetto a specifiche modalità di tracciamento;
   c) introduzione di criteri comuni per la disattivazione delle armi. Tale misura è del tutto auspicabile ma risulta accompagnata dall'incomprensibile ulteriore previsione di norme ulteriormente restrittive sulla circolazione di tali oggetti (ormai non più armi) ancorché resi irreversibilmente meri simulacri privi di funzionalità;
    d) l'imposizione di nuovi limiti al collezionismo di armi storiche, civili e sportive. Provvedimento che non tiene in alcuna considerazione le già stringenti misure di sicurezza cui i collezionisti sono assoggettati, in particolare in Italia ove tali misure sono rafforzabili in ogni circostanza sulla base di una prescrizione dei prefetti totalmente discrezionale;
   nella proposta della Commissione si attribuirebbe alla stessa il potere permanente di emanare atti di esecuzione della direttiva, vigenti in due mesi, con il solo obbligo di informare Consiglio o dal Parlamento, che potrebbero eventualmente revocarli in qualsiasi momento. Di fatto, pur non essendo previsto lo strumento del decreto-legge in Europa la Commissione vorrebbe introdurlo nella legislazione delle armi;
   le misure restrittive anzidette risultano ad avviso dell'interrogante insensate e peraltro prive di effetto rispetto all'esigenza di contrastare il traffico illegale di armi da guerra di cui si alimentano il terrorismo internazionale e la criminalità: invece di indirizzare energie nella prevenzione e repressione del mercato clandestino di armi da guerra ed esplosivi (notoriamente abbondanti a seguito del crollo del Patto di Varsavia e dei conflitti in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria) si preferisce accrescere inopinatamente il livello delle proibizioni e restrizioni incidenti sul mercato legale delle armi civili, statisticamente coinvolte nei fenomeni di cui sopra in misura letteralmente marginale o nulla;
   l'approvvigionamento di fucili mitragliatori a raffica, cinture esplosive ed aggressivi chimici – ossia il genere di armamenti militari recentemente usati nei tragici fatti di Parigi o recuperati in tempi immediatamente successivi – non avviene e non può in nessun caso avvenire nel circuito legale delle armerie e dei detentori autorizzati;
   risulta del tutto destituita di fondamento l'affermazione per cui le armi di categoria B7 siano facilmente trasformabili in armi da guerra, rientrando in tale categoria solamente armi di concezione meccanica prettamente civile all'origine od armi irreversibilmente trasformate in civili secondo precise metodiche dettate dalla legge e dai regolamenti di pubblica sicurezza vigenti;
   le armi e gli esplosivi utilizzati a Parigi sono stati acquisiti sul mercato clandestino, che – ovviamente – non risentirebbe minimamente delle nuove limitazioni che si vorrebbero imporre al mercato legale delle armi sportive civili e da caccia. La loro ricaduta sulla sicurezza sociale sarebbe quindi del tutto nulla;
   non vi conseguentemente, a giudizio dell'interrogante, alcuna ragione logica per cui il fenomeno del possesso clandestino di armi da guerra da parte di reti criminali e terroristiche debba ritorcersi contro i cittadini autorizzati ex lege dagli organi di pubblica sicurezza alla detenzione ed uso di armi civili sportive per fini legittimi –:
   cosa conti di fare il Governo per salvaguardare gli interessi del comparto armiero nazionale, che con il suo indotto garantisce oltre 90.000 posti di lavoro e lo 0,5 di prodotto interno lordo e che rappresenta un'eccellenza Italiana apprezzata nel mondo;
   quali siano gli orientamenti che il Governo si ponga in relazione all'eventuale esame da parte della Commissione europea di misure che appaiono all'interrogante del tutto inefficaci sul piano della sicurezza sociale ed invece assolutamente esiziali per il comparto economico della produzione nazionale di armi civili sportive, nuove norme che – paradossalmente – non si ripercuoteranno sul mercato clandestino delle armi da guerra utilizzate dai terroristi e criminali, ma sui cittadini onesti, verificati ed autorizzati dagli organi di sicurezza, ovvero proprio sulle potenziali vittime del terrorismo e della criminalità. (4-11313)


   NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo di Ernesto Diffidenti, apparso sul portale del quotidiano nazionale Il Sole 24 Ore del 12 novembre 2015, si legge che la Calabria è l'ultima nella classifica dei livelli essenziali di assistenza relativa al 2014;
   la stessa regione è, dal 2010, sottoposta al piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, con nomina di un commissario da parte del Governo che, per quanto osservato dalla prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-06827 del 30 ottobre 2015, risulterebbe di dubbia legittimità a decorrere dal 1o gennaio 2013, non essendone ammessa la proroga e in considerazione del fatto che, per legge, esso è soggetto a specifica procedura di diffida dell'amministrazione regionale, sarebbe stata omessa, a quanto consta agli interroganti, nel caso di specie;
   per l'articolo 32 della Costituzione, «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
   a parere degli interroganti, vi è una contraddizione, logica, giuridica e pratica, tra i succitati articoli della Costituzione, ciò perché il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo, di cui all'articolo 32, il quale configura un obbligo preciso e forte in capo alla Repubblica, non limitabile per motivi di spesa o per altre esigenze esterne all’«individuo», normativamente inquadrato dalla fonte più alta dell'ordinamento;
   a conforto di quanto testé opinato, l'articolo 2 della Costituzione, a fortiori, afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», con ciò ribadendo l'esistenza a priori dei diritti inviolabili connaturati all'essere uomo, la cui tutela la norma in parola lascerebbe, a giudizio degli interroganti, al corso delle cose o in balìa di una rassegnazione impotente od apparente dell'amministrazione pubblica, che sarebbe così deresponsabilizzata in quanto soggetta all'imprevedibilità dell'economia globale, della crisi e del mercato;
   l'emissione della moneta è connessa al signoraggio, che è l'insieme dei redditi che ne derivano;
   il premio Nobel per l'Economia Paul Robin Krugman, in un suo testo scritto con Maurice Obstfeld, definisce il signoraggio come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;
   il signoraggio moderno – rilevò il deputato Renato Cambursano, nella sua interrogazione a risposta immediata in commissione n. 05/05147 del 20 luglio 2011 – «è eclissato nella contabilità dall'azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota», cioè la stessa dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);
   le banche centrali sono le istituzioni che raccolgono la ricchezza e il profitto da signoraggio, che dovrebbero essere trasferiti, coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;
   tale signoraggio, definito primario, deriva dall'abilità che possiede la singola banca centrale di emettere moneta, stampandola e immettendola nel mercato;
   il signoraggio secondario, invece, è – per come riassunto con chiarezza nel succitato atto parlamentare dal menzionato deputato Cambursano – «il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l'offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l'introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio, i derivati»;
   l'articolo 1 della Costituzione repubblicana sancisce che «la sovranità appartiene al popolo», sicché del popolo può considerarsi anche la sovranità sull'orientare le scelte di politica monetaria;
   poiché il popolo produce, consuma e lavora, la moneta, sin dall'emissione della singola banca centrale, dovrebbe diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
   la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata studiata dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini, che ha condensato le sue conclusioni nel volume La banca, la moneta e l'usura, edizione Controcorrente, Napoli, 2001;
   secondo Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare, in concreto, il potere di emettere moneta e per riappropriarsi della sovranità monetaria, che avrebbe permesso di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne e, soprattutto, al di fuori di qualsivoglia indebitamento;
   anche il professor Giacinto Auriti, accademico fondatore della facoltà di giurisprudenza dell'università di Teramo, compì diversi studi sulla sovranità monetaria e sul signoraggio, sostenendo che l'emissione di moneta, senza riserve e titoli di Stato, quali garanzie per la realizzazione di opere pubbliche, non produrrebbe inflazione, in quanto sarebbe compensata da eguale aumento della ricchezza reale;
   Auriti sostenne pure che le banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, così originando il debito pubblico;
   lo stesso studioso denunciò l'assenza di una norma giuridica sulla proprietà dell'euro all'atto dell'emissione;
   il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto fiscal compact, il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
   con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
   il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, come più sopra visto, tuttavia appare agli interroganti in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita di servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
   l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
   l'approvazione del «fiscal compact» e degli atti collegati è secondo gli interroganti opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento cinque stelle e di Sinistra, ecologia e libertà, che non erano in Parlamento nella XVI legislatura;
   il 9 maggio 2010 fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, l’European financial stabilisation mechanism (EFSM) poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito, sulla base delle modifiche al Trattato di Lisbona (oggi articolo 136 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
   il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di un sistema che privilegia la decisione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
   l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità di 125.395.900.000 di euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del 30 marzo 2012 dell'Eurogruppo, avrebbe dovuto essere versato entro la metà del 2014;
   alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e immediatamente disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolta all'intera popolazione degli Stati membri, che in larga parte trova difficoltà a conoscere trattati e dispositivi che, nella pratica, ne limitano, secondo gli interroganti, in misura non più controllabile, la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
   è recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti il 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pil, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria»;
   nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
   la riforma delle pensioni, cosiddetta «riforma Fornero», dal nome del Ministro che ne è stato promotore, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, è stata avviata in un contesto di crisi economica su cui, a parere dell'interrogante, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause; tale riforma ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono i fenomeni del «lavoro nero» e il «lavoro mafioso», dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pil), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
   a parere dell'interrogante, i diritti fondamentali e inviolabili, previsti nella Costituzione repubblicana, sono seriamente in pericolo, sulla base di quanto detto sulla sovranità monetaria, che appare sottratta al popolo costituzionalmente sovrano, di quanto poi rappresentato sulle cause reali del debito pubblico, di quanto accennato sulla sostanziale perdita di rappresentatività democratica – visto che i processi decisionali determinanti sono rimessi, per l'Europa, a organismi non elettivi – e infine di quanto articolato in materia di strumenti che si assumono di stabilizzazione delle finanze pubbliche;
   a seguito della recente emanazione del decreto-legge, n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il Governo ha assegnato a 10 milioni di italiani un temporaneo contributo di 80 euro mensili;
   sul sito internet del Ministero della salute si legge della pubblicazione, nella Gazzetta ufficiale del 24 aprile 2014, del suddetto decreto-legge, con norme che dispongono un bonus Irpef fino a dicembre in busta paga per tutti i contribuenti con un reddito fino a 24 mila euro e dei «tagli alla spesa, dai ministeri agli enti locali»;
   sempre sul sito internet del Ministero della salute si legge – a proposito del richiamato provvedimento, circa il corrispondente taglio dei beni e servizi per un importo pari a 2,1 miliardi di euro per i restanti mesi del 2014, divisi in modo paritario tra Stato, regioni ed enti locali – che «il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha assicurato che non saranno toccati i servizi sanitari ai cittadini, ma solo quei beni e servizi legati al funzionamento delle strutture e non direttamente all'erogazione delle prestazioni sanitarie», con aggiunta una dichiarazione del Ministro della salute, per cui la sanità è «il comparto che, in questi anni, ha pagato più di tutti gli altri, subendo tagli per oltre 25 miliardi di euro solo negli ultimi cinque anni e non era certo in grado di sopportare altri prelievi –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se non ritenga, alla luce degli esiti di cui alla suddetta classifica dei livelli essenziali di assistenza e delle ricordate disposizioni di legge in tema di commissariamento, di dover procedere all'immediata revoca della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015 relativa alla nomina del commissario e del sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario della regione Calabria, con la conseguente restituzione di tutte le competenze in materia di sanità alla medesima regione. (4-11320)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   i sottoscrittori del presente atto di sindacato ispettivo hanno presentato, in data 19 ottobre 2015, l'interrogazione n. 4-10790 riguardante la società italiana denominata «AlmavivA» aggiudicataria dell'appalto per lo sviluppo e la gestione del sistema per il rilascio dei visti Schengen, indetto dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), la cui risposta è stata pubblicata il 27 novembre 2015;
   a parere degli interroganti tale risposta è risultata non esaustiva, evitando soprattutto la questione relativa alla posizione del direttore delle comunicazione e relazioni esterne della stessa AlmavivA, incarico ricoperto negli ultimi anni dalla signora Elena Di Giovanni, attuale moglie dell'ambasciatore Michele Valensise, segretario generale del Ministero stesso, profilandosi, in tal modo, la possibilità di un conflitto d'interessi;
   attualmente la signora Di Giovanni lavora in qualità di «consulente di comunicazione internazionale e di promozione culturale per la “Comin & Partners”, una società di comunicazione che, tra i suoi clienti, ha anche il gruppo informatico “AlmavivA”, vincitore degli appalti di cui sopra. La Comin & Partners ha la sua sede romana a Palazzo Colonna e usufruisce di locali affittati dalla famiglia di Marco Tripi, proprietaria di AlmavivA»;
   è plausibile, quindi, a giudizio degli interroganti, ipotizzare un conflitto d'interessi di non facile composizione vista l'influente posizione rivestita dal citato Valensise in seno all'amministrazione degli affari esteri e della cooperazione internazionale nonché l'ingenza dell'appalto  –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in ordine a quanto esposto e ribadito in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per fare chiarezza sulla vicenda in questione e per ripristinare una situazione di piena trasparenza e legalità. (4-11321)


   TARTAGLIONE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la signora M.U., cittadina italiana, di padre italiano, nata l'8 gennaio 1970 a Bukavu, risiede a Vico Equense (Napoli) ed è coniugata con un cittadino italiano;
   la signora M.U. ha richiesto il ricongiungimento familiare con R.U., figlia dell'istante, ed A.M., nipote dell'istante, risiedenti in Ruanda;
   nel caso della signora M.U. si applicherebbe il decreto legislativo n. 30 del 6 febbraio 2007 che, in attuazione della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, annovera espressamente all'articolo 2, n. 3, nella nozione di familiare «i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b)»;
   nel dettaglio, agli uffici consolari sarebbe stata esibita dall'istante la seguente documentazione:
    a) certificato di matrimonio dell'istante cittadina italiana;
    b) certificato di residenza dell'istante cittadina italiana;
    c) certificati di cittadinanza e nascita dell'istante cittadina italiana;
    d) provvedimenti dell'autorità giudiziaria ruandese per comprovare, il legame di parentela intercorrente con R.U., figlia dell'istante, ed A.M., nipote dell'istante, compresa l'autorizzazione delle suddette autorità per l'espatrio del minore, sostitutivo dell'atto di assenso dell'altro genitore, in quanto nella fattispecie, il bambino non è stato riconosciuto alla nascita dal padre;
   il 15 settembre 2014 sarebbe stata trasmessa all'ambasciata italiana di Kampala, la documentazione attestante lo stato di disoccupazione di R.U. e i versamenti di denaro effettuati periodicamente dalla signora M.U. per provvedere al loro mantenimento e sostentamento, a riprova che R.U., conformemente alla normativa sopracitata, pur essendo maggiorenne, è a carico della madre in quanto non titolare di un proprio reddito e priva di occupazione lavorativa, insieme a suo figlio A.M., anch'egli da intendersi a carico dell'istante M.U.;
   a tutt'oggi non sembra esserci stato alcun riscontro da parte dell'ambasciata italiana a Kampala, la quale continuerebbe a trattenere i passaporti di R.U. e di suo figlio A.M.;
   oltre alla delicatezza degli interessi coinvolti, costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla unità ed alla coesione familiare, l'assoluta urgenza di addivenire ad una risoluzione della vicenda sembra emergere anche dalla difficile situazione socio-politica che sembra stia caratterizzando il Paese dalla fine dello scorso anno –:
   quali siano le iniziative che il Ministero ha compiuto o sta compiendo per garantire il ricongiungimento familiare tra M.U., R.U. ed A.M.;
   quali siano i tempi entro i quali detto ricongiungimento familiare sarà garantito e, soprattutto, se corrisponda a verità il fatto che i passaporti di R.U. ed A.M. siano in possesso dell'ambasciata italiana di Kampala. (4-11322)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nella serata di giovedì 19 novembre 2015, è stato commesso un furto che ha del clamoroso, un vero e proprio sfregio all'arte italiana: il museo civico veronese di Castelvecchio ha perso in un solo colpo 17 dei suoi capolavori opere di Tintoretto, Bellini, Rubens, Mantegna, Pisanello;
   il danno morale e materiale è immenso ma la cifra di valutazione comunicata, pari a 15 milioni di euro, è palesemente incongrua con i dati di mercato. Una valutazione comparativa si può trovare, per esempio, con la piccola tempera su tavola del Mantegna (34x42 centimetri) venduta da Sothebys, nel gennaio 2003, per 28,6 milioni di dollari. La corretta quantificazione del valore delle opere nei termini della denuncia presentata all'autorità giudiziaria è indispensabile, nel caso in cui venissero individuati i responsabili, nella malaugurata ipotesi di perdita o danneggiamento dei dipinti;
   i tre ladri, due dei quali armati, hanno potuto agire poco prima della chiusura, quando al museo era in corso il passaggio di consegne tra il personale, che di giorno è di almeno 11 persone, ma che a quell'ora è ridotto inspiegabilmente alla sola cassiera e all'agente della vigilanza notturna;
   questo episodio è una vera e propria mutilazione, oltre che un vero disastro per l'arte italiana e fa emergere il problema della scarsa sicurezza dei musei italiani;
   le opere d'arte presenti sul nostro territorio portano milioni di turisti nel nostro Paese e tutto questo garantisce centinaia di migliaia di posti di lavoro;
   con 3.609 musei, quasi 5 mila siti culturali tra monumenti, musei, aree archeologiche, 46.025 beni architettonici vincolati, 34 mila luoghi di spettacolo,  49 siti Unesco (pari al 5 per cento di quelli iscritti nelle liste del patrimonio mondiale e all'11 per cento di quelli europei), oltre a centinaia di festival e iniziative culturali che animano i territori, l'Italia si posiziona in testa alla graduatoria dei Paesi a vocazione culturale. Per fare un paragone a livello europeo, basti pensare che la Francia ha un terzo dei musei italiani (1.218) e la Spagna poco meno della metà (1.530);
   tuttavia, i finanziamenti stanziati per la cultura in Italia sono sempre meno e, confrontando i dati con il resto dei Paesi europei, siamo fanalino di coda: il budget del nostro Ministero è praticamente pari a quello della Danimarca (circa 1.400 milioni di euro) ed è circa un terzo di quello della Francia che, anche a seguito degli attentati terroristici che hanno colpito Parigi, ha confermato i 4 miliardi per il suo dicastero della cultura previsti ogni anno in bilancio;
   sia nel nostro Paese che all'estero sono stati messi a punto sistemi, di sicurezza innovativi, sia per garantire la tutela delle opere d'arte che delle persone, che si basano sull'utilizzo di nuove tecnologie quali sensori intelligenti, impianti «self-aware» e ambienti reattivi che comportano elevate prestazioni a costi ridotti –:
   se il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, per verificare:
    a) l'effettivo valore delle opere rubate;
    b) la turnazione degli addetti alla vigilanza nei musei per garantire sicurezza ventiquattro ore su ventiquattro e i sistemi e i modelli organizzativi di controllo e di sorveglianza, ove necessario implementando gli stanziamenti di risorse a ciò destinati.
(2-01185) «Galgano, Monchiero».

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sulla base di alcuni esposti presentati in procura a Bari, la Fondazione Lirico Sinfonica del Teatro Petruzzelli di Bari è stata in passato oggetto di indagini da parte della Guardia di Finanza relativamente a presunte irregolarità negli affidamenti di appalti e nelle forniture, per le quali sono state formulate tre ipotesi di reato, quali abuso d'ufficio, turbativa d'asta e truffa relativamente agli spettacoli «Medea», «Il crepuscolo degli dei» e «Carmen» messi in scena tra il 2011 e il 2012;
   oltre a ciò, conviene ricordare il caso riportato da un articolo apparso sul quotidiano online Il Quotidiano Italiano — Bari in data 24 ottobre 2013 che racconta dell'avviso di indagine di mercato per la raccolta delle manifestazioni di interesse a partecipare alla procedura di affidamento in economia mediante cottimo fiduciario della fornitura luci e audio necessaria per l'allestimento del «Falstaff» di Verdi, a cui sono stati dedicati cinque spettacoli nel novembre 2013;
   tale avviso, pubblicato il 15 ottobre 2013 e reperibile al link http://www.fondazionepetruzzelli.it sembra essere stato realizzato ad personam, in quanto non fornisce una semplice descrizione delle caratteristiche tecniche dei pezzi richiesti ma riporta nel dettaglio il nome del modello, la marca delle apparecchiature necessarie e persino la loro foto;
   in base ai dati ricavati dai bilanci a consuntivo degli anni a partire dal 2010 al 2014 e resi pubblici nella sezione «Fondazione» sul sito http://www.fondazionepetruzzelli.it/, è chiaro che la Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli abbia speso molti più fondi, nel noleggio piuttosto che nell'acquisto di materiali e attrezzature illuminotecniche o impianti audio;
   nell'arco di tempo tra il 2010 e il 2014 sono infatti stati utilizzati fino a circa 46.600 euro per l'acquisto di impianti e apparecchiature illuminotecniche, cifra irrisoria rispetto a quanto invece speso per il noleggio degli stessi materiali, costato alla Fondazione somme che vanno da un minimo di 473.824 euro nel 2014 a un massimo di circa 911.401 euro nel 2011;
   da quanto sopra è evidente che dalla riapertura del Teatro Petruzzelli, la maggior parte dei fondi percepiti siano stati utilizzati nella maggior parte dei casi per il noleggio invece che per l'acquisto di impianti e apparecchiature. Noleggio che, se richiesto ad ogni stagione sinfonica a partire dal 2010, denota quanto imprescindibile sia sempre stata per il Teatro la necessità di avere un set apparecchiature illuminotecniche e impianti di base per l'allestimento di ogni spettacolo;
   peraltro, ogni bilancio a consuntivo a partire dal 2010 fino al 2014 riporta la seguente frase nella sezione relativa alle «Spese per godimento di terzi»: «Il costo comprende, in massima parte, il noleggio di apparecchiature, macchinari ed attrezzature varie per gli spettacoli che, in via normale, dovrebbero essere acquistate dalla Fondazione ma che [...] non stato è possibile acquisire in proprio in attesa di una congrua dotazione di capitale di esercizio»;
   a fronte delle entrate costituite dai «contributi pubblici» versati dallo Stato (Fondo unico per lo spettacolo), dalla regione Puglia, dalla provincia e dal comune di Bari, che tra il 2012 e il 2014 oscillano tra i 10.090.744 euro e i 12.891.240 euro, senza contare gli ulteriori proventi delle biglietterie, è necessario, ad avviso dell'interrogante, chiedersi come mai la Fondazione non si sia mai adoperata per l'acquisto di apparecchiature e attrezzature che, ad oggi, avrebbero costituito un patrimonio di beni materiali proprio che sarebbe senza dubbio stato auspicabile a sei anni dal riavvio dell'attività del Teatro Petruzzelli e che avrebbe consentito un certo risparmio sulla spesa totale per il noleggio delle attrezzature;
   nel caso specifico della fornitura a noleggio del service audio e video, dall'esame della documentazione disponibile la Fondazione sembra aver agito ogni anno frazionando il servizio luci e fonica in più bandi per l'allestimento di un solo spettacolo o relativamente a un semestre dell'intera stagione sinfonica;
   in virtù di tale frazionamento della fornitura annuale in più bandi, stando a quanto riportato nei bilanci a consuntivo di cui sopra, il costo del noleggio di apparecchiature e impianti avrebbe superato di molto i 200.000 euro, limite oltre il quale, secondo le soglie fornite dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE», il valore dell'appalto impone di presentare un bando pubblico;
   oltre all'affidamento diretto, appellandosi all'articolo 125, comma 8, del decreto legislativo 163 del 2006, per appalti pari o superiori ai 40.000 euro e fino a 200.0000 euro, la Fondazione avrebbe anche optato per l'affidamento mediante cottimo fiduciario. Un esempio di tale caso, oltre al succitato avviso di indagine di mercato per la messa in scena del «Falstaff» di Verdi, è fornito dai dati riportati nella comunicazione di aggiudicazione definitiva reperibile sul sito della Fondazione, relativa all'avviso pubblico (CIG-Z9A14277E0) per l'affidamento della fornitura a noleggio del materiale illuminotecnico per la realizzazione del «Macbeth» di Verdi dal 29 aprile al 23 maggio 2015, aggiudicato alla ditta Suono Luce Service S.r.l. (Viale della Repubblica 60/B, Bari);
   come riportato sulla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 30 ottobre 2015, la Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari ha indetto una procedura sotto soglia per l'affidamento della fornitura a noleggio del materiale illuminotecnico necessario per la realizzazione degli spettacoli in programma dal 4 gennaio 2016 al 4 giugno 2016;
   il bando sopracitato per il noleggio delle forniture relativamente ai mesi a partire da gennaio fino a giugno 2016 sarà aggiudicato secondo il criterio del prezzo più basso alla ditta che offrirà il maggior ribasso sull'importo complessivo a base di gara che è pari a 70.000 euro;
   sembrerebbe, dunque, che anche per la stagione 2016 la Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli abbia optato per il frazionamento dei bandi di gara per il noleggio dei materiali e delle apparecchiature, piuttosto che per un unico bando che coprisse l'intera annualità;
   tenendo perciò presente il vantaggio economico che l'acquisto di una parte delle attrezzature, degli impianti illuminotecnici e audio costituirebbe per il Teatro Petruzzelli, è necessario domandarsi perché la Fondazione abbia sempre optato per il noleggio delle forniture e abbia continuamente frazionato i bandi per la selezione delle ditte appaltatrici;
   allo stesso tempo, poiché il comma 8 dell'articolo 125 del decreto legislativo 163 del 2006 stabilisce che «l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante» è opportuno secondo l'interrogante verificare se la selezione delle ditte appaltatrici sia avvenuta esattamente come prescritto dalla legge;
   in virtù di quanto esposto, sarebbe anche necessario comprendere il motivo per cui, a differenza di altri importanti teatri italiani come il Gran Teatro alla Scala di Milano o il Teatro La fenice di Venezia, la Fondazione Petruzzelli di Bari non si sia ancora premurata di costituire un albo dei fornitori per rendere le procedure di selezione più trasparenti e, soprattutto, per consentire una sana concorrenza tra più ditte appaltatrici –:
   se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di verificare i fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative ritenga opportuno assumere, per quanto di competenza, per chiarire i motivi che, fin dalla riapertura del teatro Petruzzelli, hanno indotto la Fondazione ad usufruire dei finanziamenti pubblici per il noleggio di attrezzature e impianti piuttosto che per il loro acquisto, non contribuendo così alla creazione di un patrimonio di beni materiali proprio del teatro barese;
   se intenda accertarsi del rispetto del principio di trasparenza nelle selezioni da parte della Fondazione lirico sinfonica Petruzzelli per l'affidamento della fornitura a noleggio del materiale illuminotecnico e del service audio degli scorsi anni, controllando che le procedure per l'affidamento diretto di appalti o mediante cottimo fiduciario siano state effettivamente condotte secondo quanto imposto dalla normativa;
   se intenda acquisire elementi su quali siano state le ditte vincitrici degli appalti nel corso degli anni. (4-11316)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nel 2010 la Banca Popolare di Spoleto figurava come istituto di credito di piccole dimensioni ma decisamente in salute: capitale di 2,5 miliardi di euro, sofferenze più che contenute (152 milioni), capacità di reddito al 10,6 per cento. Dati assolutamente positivi, emergenti da un rapporto di Banca d'Italia effettuato fra giugno e dicembre dello stesso anno. Come si può intuire, si trattava della tipica banca territoriale: per il 51 per cento era controllata da circa 21 mila soci della cooperativa Spoleto Credito e Servizi, e un altro 26 per cento era nelle mani del Monte dei Paschi di Siena;
   ad inizio 2011, poi, arriva un curioso monito da parte proprio da parte di Banca d'Italia: il presidente di Bps, Antonio Giovannini, doveva essere rimosso al più presto, poiché ritenuto eccessivamente accentratore. Bps si attiene alle indicazioni, non fosse che i 21 mila soci di cui detto decidono di rieleggere lo stesso Giovannini al ruolo di numero uno dell'istituto. L'ingerenza di x Banca d'Italia viene, dunque, vanificata dalla volontà degli azionisti;
   nel 2012 si riapre il fronte: Bankitalia decide di effettuare una nuova ispezione di Bps e di congelare un aumento di capitale di 30 milioni di euro in quel momento necessario per risanare un piccolo passivo di bilancio della banca umbra. Mps decide allora di uscire dal gruppo, abbandonando le proprie azioni per un corrispettivo di 73 milioni di euro. Al termine dell'ispezione, Bankitalia decide di commissariare sia Bps che Spoleto Credito e Servizi, la cooperativa a cui facevano capo i 21 mila soci;
   con decreti del Ministro interpellato nn. 16 e 17 dell'8 febbraio 2013 veniva infatti disposta, previo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo, la sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria, rispettivamente della Banca Popolare di Spoleto spa e della Spoleto Credito e Servizi società cooperativa, sua controllante;
   i predetti decreti venivano adottati, ai sensi dell'articolo 70 del TUB, in seguito all'invio delle risultanze istruttorie effettuate dalla Banca d'Italia al Ministro interpellato; l'articolo 70 citato dispone, infatti, che «Il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche»; di conseguenza, la facoltà di scelta in capo al Ministro interpellato, implica una valutazione discrezionale e di opportunità che il Ministro stesso è obbligato ad effettuare a seguito delle risultanze dell'autorità di vigilanza;
   nel 2014 Bankitalia decide di vendere la commissariata Bps al Banco di Desio con modalità sorprendenti, ovvero rifiutando offerte molto più vantaggiose da parte di altri candidati acquirenti e portando la quota dei 21 mila soci di Scs dal 51 per cento al 10 per cento, senza alcun tipo di controvalore per le azioni da questi possedute. Il Consiglio di Stato, avocato dagli azionisti originari di Bps, annulla sia il commissariamento che la vendita al Banco di Desio;
   il 10 febbraio 2015 il Consiglio di Stato dunque, accogliendo a due anni di distanza un nuovo ricorso presentato dall'allora consiglio d'amministrazione della Banca popolare di Spoleto, ha stabilito l'illegittimità dello scioglimento del consiglio di amministrazione e la conseguente sottoposizione ed amministrazione straordinaria dell'istituto;
   la sentenza del Consiglio di Stato, in particolare, ha contestato al Ministero dell'economia e delle finanze di non aver svolto in maniera approfondita e autonoma l'attività di verifica e controllo rispetto alla decisione di disporre l'amministrazione straordinaria della banca popolare di Spoleto;
   in termini più espliciti la sentenza rileva che la Banca d'Italia avrebbe formulato una proposta accettata in maniera acritica dal Ministro interpellato, la quale invece avrebbe dovuto avviare un'istruttoria autonoma o quantomeno promuovere una valutazione critica, sulla proposta di commissariamento avanzata dalla stessa Banca d'Italia, che in qualità di autorità di vigilanza, è l'unica istituzione a poter dare impulso al procedimento;
   nonostante l'annullamento da parte del Consiglio di Stato, il commissariamento della Banca Popolare di Spoleto e della controllante Spoleto Crediti e Servizi è stato però confermato dal Ministero dell'economia e delle finanze. La Banca d'Italia ha infatti reiterato «ora per allora» le proposte di amministrazione straordinaria al Ministero dell'economia e delle finanze; con i provvedimenti 149 e 150 del 20 aprile 2015, adottati su proposta dell'Istituto centrale, il Ministero dell'economia e delle finanze ha quindi reiterato i decreti ministeriali di amministrazione straordinaria, con effetto a partire dall'8 febbraio 2013, quando era cominciato il commissariamento;
   nel frattempo nel corso di ottobre 2015 si è appresa la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati presso la procura di Spoleto di Ignazio Visco, Presidente della Banca d'Italia. Dalle notizie emerge che Visco sarebbe indagato dal 28 gennaio 2015 per reati quali concorso in corruzione, abuso d'ufficio e truffa, e «infedeltà a seguito dazione o promessa di utilità», insieme a sette amministratori e vigilanti della Banca Popolare di Spoleto: il contesto è proprio l'inchiesta sul passaggio della Banca Popolare di Spoleto (Bps) al Banco di Desio e della Brianza, a seguito del commissariamento della stessa Bps voluto da Banca d'Italia, poi giudicato «illegittimo» dal Consiglio di Stato, e successivamente riproposto dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   a breve il Consiglio di Stato si troverà nuovamente a decidere in merito alla reiterazione del commissariamento: più che altro, la giustizia amministrativa dovrà dire una parola di approvazione o di condanna sul modo con cui, «in accoppiata» non prevista da nessuna legge, il Ministero dell'economia e delle finanze e la Banca d'Italia gestiscono il sistema bancario;
   la suesposta vicenda, a giudizio degli interpellanti, evidenzia infatti una serie di rilevanti criticità nell'ambito delle decisioni adottate dal Ministro interpellato, in considerazione del fatto che il dispositivo della sentenza emanata dal Consiglio di Stato suppone un comportamento superficiale dello stesso Ministro, che rinvia semplicemente agli atti ispettivi della Banca d'Italia, senza aver preliminarmente esaminato in modo analitico il contenuto delle ipotetiche irregolarità svolte dalla Banca popolare di Spoleto;
   alla luce delle vicende riportate, sussiste l'esigenza di chiarimenti in merito alla posizione del Governo che, a giudizio degli interpellanti, in maniera alquanto anomala, ha disposto provvedimenti contrari rispetto alle decisioni assunte dal giudice amministrativo –:
   quali siano state le iniziative adottate dal Ministro interpellato volte ad assicurare la massima trasparenza nelle decisioni relative al caso esposto in premessa;
   quali siano state le ragioni per le quali, secondo quanto emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato del febbraio 2015, nel disporre il decreto ministeriale di commissariamento della Banca popolare di Spoleto, non abbia avviato un'istruttoria autonoma, o quantomeno un'attività di verifica e controllo, rispetto alla proposta della Banca d'Italia;
   se non ritenga che la reiterazione di un identico decreto, d'accordo con la Banca d'Italia, non si ponga in contrasto con i principi di separazione dei poteri e di indipendenza della magistratura.
(2-01187) «Brunetta, Occhiuto».

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MORETTO e MARTELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2015, Stefano Borriello, un giovane detenuto di soli 29 anni, viene trasportato in gravi condizioni dal carcere di Pordenone presso la struttura ospedaliera della città dove, poco dopo l'arrivo, decede «per arresto cardiaco»;
   da informazioni acquisite dagli interroganti, in base alla ricostruzione degli eventi, risulta che il Borriello in quella giornata, sin dalla mattina ed in quelle precedenti sia stato seguito dal servizio sanitario del carcere in quanto accusava uno stato di malessere;
   la mamma del giovane è stata avvisata della morte del figlio tre ore dopo la chiamata al 118 e due ore dopo il decesso in ospedale, verificandosi con ciò da parte del personale responsabile una non completa ottemperanza alle procedure, previste dall'articolo 44 della legge n. 354 del 1975 e dell'articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000;
   il sostituto procuratore di Pordenone, dottor Matteo Campagnaro ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo a carico di ignoti, affidando al consulente tecnico d'ufficio dottor Renzo Fiorentino il compito di presentare, entro 60 giorni dall'esame autoptico, la relazione sulle cause della morte;
   ad oggi, a distanza di oltre 100 giorni dall'esame autoptico, non è stata depositata alcuna relazione né tantomeno è stata richiesta formalmente, e quindi quantificata, una proroga dei termini, determinando di fatto un'assoluta incertezza sui tempi di presentazione di questo importante documento;
   Antigone, associazione di riferimento nazionale per i diritti e le garanzie del sistema penale, oltre ad aver denunciato questi ritardi, ha effettuato, attraverso i suoi osservatori, un sopralluogo al carcere di Pordenone, dal quale sarebbe emerso che all'interno della struttura il servizio medico non è garantito h24 ma soltanto sino alle ore 21.00, che esiste un'unica infermeria per tutto il carcere è che non vi è presenza di defibrillatori;
   la famiglia è quindi, a tutt'oggi, all'oscuro delle cause del decesso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle suddette circostanze e se non ritenga opportuno, in base alle proprie competenze accertare se, eventualmente, si siano verificate pregiudizievoli inosservanze di procedure e norme rispetto al caso descritto in premessa;
   se non ritenga altresì opportuno verificare la sussistenza delle eventuali inadeguatezze sanitarie denunciate da Antigone, per porvi eventualmente immediato rimedio e più in generale, se non intenda appurare le condizioni complessive dell'istituto penitenziario di Pordenone, la condizione di chi vi opera all'interno, anche in riferimento ad eventuali carenze di personale, nonché le condizioni degli stessi detenuti, anche per valutare l'opportunità, attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di assumere iniziative per disporre misure migliorative in merito. (5-07126)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   nel quartiere San Nicola della città di Bari, conosciuto anche con il nome «Bari Vecchia», più precisamente nell'area demaniale interna alla zona portuale adiacente al Castello Normanno-Svevo, sono attualmente in corso i lavori per la realizzazione di «straordinaria manutenzione e ampliamento dell'edificio sede degli uffici OO.MM. del Provveditorato interregionale alle OO.PP. di Puglia e Basilicata»;
   il nuovo edificio, la cui costruzione prevede una spesa pari a 3.345.722 euro, si articola su tre piani più seminterrato, con un'altezza di circa 12 metri e una cubatura di 9.451,40 metri cubi, ed è prossimo al completamento della struttura al rustico e all'esecuzione di lavori di impiantistica e di sistemazioni interne;
   fin dall'avvio dei lavori nel gennaio 2014, i cittadini baresi residenti nel quartiere San Nicola si sono mobilitati creando un «Comitato di quartiere Bari Vecchia» contrario alla costruzione della nuova sede degli uffici OO.MM. del provveditorato interregionale alle opere pubbliche di Puglia e Basilicata;
   secondo il Comitato, la nuova palazzina comprometterebbe la visuale verso il Castello Normanno-Svevo, già danneggiata dalla presenza di altri edifici. Inoltre, l'insediamento dei nuovi uffici OO.MM. comporterebbe la creazione di nuove aree di parcheggio a discapito del giardino che circonda la struttura preesistente, congestionando ulteriormente la viabilità della zona;
   nell'estate 2014 il Comitato si è rivolto al sindaco di Bari Antonio Decaro e all'assessore all'urbanistica Carla Tedesco, i quali hanno da subito condiviso le critiche e le perplessità dei cittadini in merito all'intervento di manutenzione e ampliamento di cui sopra;
   a seguito di alcune ricerche condotte dall'assessore all'urbanistica Carla Tedesco, è stata attestata l'esistenza di un vincolo del Castello e della zona adiacente, risalente al 1930 e riconosciuto come ancora valido dalla direzione regionale per i beni e culturali e paesaggistici;
   il decreto di vincolo di rispetto, firmato in data 15 maggio 1930 dal Ministro per l'educazione nazionale, decreta la «necessità di preservare da mutamenti, a scopi edilizi, la zona circostante il Castello medioevale di Bari e d'impedire che con nuove costruzioni o con qualsiasi altra opera si alteri la visione generale del Castello stesso»;
   richiamando l'articolo 3 della legge 23 giugno 1912, n. 688, secondo cui «nei luoghi nei quali si trovano monumenti o cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni ed attuazione di piani regolatori, possono essere prescritte dall'autorità governativa le distanze, le misure e le altre norme necessarie, affinché le nuove opere non danneggino la prospettiva e la luce richiesta dai monumenti stessi», il decreto del 1930 stabilisce i limiti della «zona di rispetto» intorno al Castello sottoposta a vincolo da parte degli organi competenti;
   l'assessore all'urbanistica di Bari ha quindi chiesto che i lavori di edificazione della nuova palazzina fossero bloccati e che fosse indetta una nuova conferenza di servizi per riesaminare l'intero progetto alla luce del decreto del 1930 precedentemente ignorato;
   nella nota n. 5225 del 14 giugno 2010 di «Accertamento della conformità urbanistica» ad opera della Soprintendenza di Bari si attestava che «il progetto riguarda l'ampliamento di un fabbricato risalente agli anni 1957-58 [...]» e che «l'area su cui esso insiste non è sottoposta a vincoli di competenza», per cui le opere di ampliamento e manutenzione sono «accettate favorevolmente, in quanto il nuovo fabbricato si pone in addossamento al preesistente senza modificare l'assetto planovolumetrico»;
   alla richiesta dell'assessore Tedesco la Soprintendenza ha risposto con l’«Approfondimento istruttorio» del 19 agosto 2014 in cui, facendo riferimento al decreto del 1930, ha dichiarato che il fabbricato rientra solo parzialmente all'interno dell'area sottoposta a vicolo di rispetto e che già in occasione della Conferenza Servizi del 2010, pur non rilevando allora alcun vincolo, ci si era premurati di eseguire una valutazione per considerare un eventuale impatto negativo dell'opera, suggerendo però di piantare «nuove alberature in prosecuzione di quelle esistenti sul fronte verso il mare»;
   in questo approfondimento, inoltre, la Soprintendenza richiama l'articolo 2 del vincolo del 1930 nel quale è sancito che «i proprietari o possessori a qualsiasi titolo di aree e di fabbricati compresi nel perimetro della zona monumentale, i quali intendano costruire nuovi edifici o in qualunque modo apportare modificazioni ed innovazioni in dette aree e fabbricati, devono farne domanda al Ministero della Educazione Nazionale indicando le limitazioni e le modalità delle costruzioni e dei lavori», con lo scopo di dimostrare che il decreto in questione non fissa un vincolo di inedificabilità, bensì è da considerarsi un provvedimento per il controllo delle attività edilizie che sarebbe possibile svolgere nella zona del Castello;
   in virtù di tali considerazioni, la Soprintendenza conclude l'approfondimento esprimendo «ora per allora» il suo parere favorevole all'ampliamento dell'edificio del provveditorato interregionale alle OO.PP. di Puglia e Basilicata, in quanto è ritenuto compatibile con gli obiettivi di tutela previsti dal vincolo e non va a modificare le condizioni di godibilità del Castello;
   ulteriori ricerche condotte dal Comitato nei versi archivi locali e in quello centrale di Roma hanno peraltro dimostrato che anche la struttura preesistente del Provveditorato alle OO.PP. costituisce un caso di dubbia conformità alla normativa edilizia;
   la richiesta presentata nel 1954 per l'edificazione della prima palazzina per gli uffici OO.MM. fu infatti rifiutata dal Ministro competente proprio perché situata in un'area sottoposta a vincolo. Spostando di una decina metri la posizione degli uffici e dichiarando in tal modo che la costruzione non sarebbe rientrata nell'area vincolata del Castello, l'edificio fu comunque realizzato nel 1955 con discutibili modalità;
   dopo aver ritrovato il decreto di vicolo di rispetto del 1930 con le relative carte in scala 1:500, il comitato e il comune di Bari hanno effettuato il riporto del perimetro del suddetto vincolo, evidenziando in maniera inequivocabile che sia la palazzina del 1955 che quella in costruzione ricadono in area vincolata e che, poiché prive delle necessarie autorizzazioni, sarebbero da ritenersi costruzioni abusive;
   a quanto consta all'interrogante a fine maggio 2015 anche la Soprintendenza ha effettuato un riporto del perimetro del vincolo, confermando tuttavia che entrambe le palazzine ricadono nell'area sottoposta a vincolo soltanto in parte;
   il Comitato ha provveduto a consegnare tutta la documentazione di cui sopra alla procura di Bari e al TAR Puglia che nel luglio 2015 ha rigettato il ricorso perché ritenuto tardivo rispetto alla data di inizio dei lavori, senza tuttavia esaminare i documenti che attesterebbero l'abusività delle due costruzioni e non rilevando quindi quella che all'interrogante appare l'illegittimità di un parere dato «ora per allora» dalla Soprintendenza nell’«Approfondimento istruttorio» del 19 agosto 2014;
   in riferimento alla sentenza di rigetto da parte del TAR Puglia, motivata con la tardività del ricorso rispetto all'avvio dei lavori per la realizzazione della seconda palazzina a gennaio 2014, è necessario specificare che il Comitato è venuto a conoscenza dell'esistenza del vincolo di rispetto del 1930 soltanto a luglio 2014 e che solo allora ha potuto rivolgersi al tribunale mostrando prove effettive di un abuso edilizio perpetrato a partite dal lontano 1955. Sarebbe stato perciò auspicabile che, ad avviso dell'interrogante, il TAR avesse valutato il ricorso del Comitato in base alla data di ritrovamento del vincolo e non in riferimento a quella di avvio dei lavori;
   non da ultimo, è necessario far notare che i due edifici del provveditorato alle OO.PP di Puglia e Basilicata sorgono in una zona, quella del Castello e dintorni, che secondo la relazione generale del piano particolareggiato della città vecchia approvato nel 2001, avrebbe potuto essere destinata alla realizzazione di un parco del Castello di Bari;
   nella relazione generale, infatti, si legge che «l'insieme delle aree verdi attorno al Castello [...] può essere pensato, in prospettiva, come un vero e proprio "sistema" di verde attrezzato. [...] si potrebbe pensare ad una vasta area verde e pedonale costituita da: il verde attualmente di pertinenza della Capitaneria di porto-Demanio marittimo, lo slargo di piazza Ruggero il Normanno, i giardini Isabella D'Aragona, i fossati del Castello» –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, alla luce degli stessi, non ritengano opportuno intervenire al fine di chiarire le dinamiche che hanno portato alla realizzazione in un'area sottoposta a vincolo di rispetto di entrambi gli edifici del provveditorato alle OO.PP. di Puglia e Basilicata, il primo nel 1955 e il secondo, ancora in fase costruzione, nel 2014;
   se non ritengano indispensabile, per quanto di competenza, avviare verifiche al fine di individuare eventuali responsabilità da parte degli uffici coinvolti nei fatti esposti in premessa, da cui dipenderebbe la costruzione delle due palazzine di fatto in contrasto con le norme vigenti, nell'area adiacente al Castello Normanno-Svevo di Bari e sottoposta per legge a vincolo di rispetto.
(2-01186) «Brescia».

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel settore dei veicoli la normativa in materia di emissioni è regolata da numerose direttive comunitarie, la cui finalità è quella di stabilire regole comuni finalizzate alla omologazione dei veicoli destinati alla circolazione su strada per garantire la sicurezza della circolazione, la protezione della salute del cittadino e la salvaguardia dell'ambiente;
   lo «scandalo Volkswagen» ha dimostrato lo strapotere delle case automobilistiche nel determinare i limiti di emissione dei veicoli che, poi, complessi sistemi elettronici consentono comunque di bypassare;
   uno dei sistemi per abbattere le emissioni è costituito dal montaggio, a posteriori, sui veicoli di impianti GPL o metano, dispositivi omologati indipendentemente dai veicoli sui quali vengono montati e a prescindere dalla preventiva approvazione delle relative case costruttrici;
   questa tipologia di impianti ha contribuito e contribuisce tuttora alla notevole riduzione delle emissioni inquinanti;
   si stanno sviluppando moltissime iniziative relative a nuovi dispositivi idonei alla riduzione di emissioni emesse da autoveicoli dotati di motore ad accensione comandata, tra i quali l'uso del cosiddetto «ossidrogeno»;
   in questo tipo di impianto, l'ossidrogeno, è prodotto da un generatore tramite elettrolisi dell'acqua, dopo essere stato filtrato, e viene immesso direttamente nel collettore di aspirazione del motore;
   l'ossidrogeno non sostituisce il normale carburante di alimentazione del motore per autotrazione (benzina, gasolio, gpl, metano), bensì si miscela con esso migliorandone le caratteristiche di combustione;
   questo miglioramento della combustione genera diversi benefici, quali la sensibile riduzione delle emissioni inquinanti;
   la direzione generale della Motorizzazione civile respinge costantemente le richieste di approvazione dei dispositivi in questione (peraltro, a quanto consta all'interrogante, questi dispositivi si vendono liberamente su internet e si montano in una condizione di non sicurezza);
   la formula di respingimento viene formulata in questi termini: «...si informa codesta società che per il dispositivo in oggetto non è prevista l'omologazione in quanto non esiste sia in ambito internazionale che nazionale, la relativa normativa di riferimento. Si invita, pertanto, a presentare la richiesta ad un costruttore di autoveicoli che è l'unico soggetto idoneo a prevedere il dispositivo come elemento già appartenente all'autoveicolo e che potrà essere, in tal caso, verificato in sede di verifiche e prove per l'omologazione dello stesso autoveicolo. In merito a quanto richiesto si fa presente inoltre che nello specifico il Codice della strada Decreto L.vo n. 252 del 3004.1992 all'articolo 78 non contempla la possibilità di modificare le caratteristiche costruttive dei veicoli in assenza di appositi decreti regolamentari...»;
   tale contenuto appalesa una dipendenza assoluta dalle sole case costruttrici che non sembrano sempre interessate al «bene pubblico» ma al loro interesse, con la conseguenza che si hanno effetti irreparabili sull'ambiente –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda intraprendere il Ministro interrogato per ovviare alle eventuali norme ostative e/o alla interpretazione restrittiva dei regolamenti europei.
(4-11314)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PISANO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MICILLO, FICO e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il prefetto di Salerno, a seguito della sentenza della corte di appello di Salerno di rigetto dell'appello del dottor Vincenzo De Luca in cui lo stesso veniva dichiarato decaduto dalla carica di sindaco a far data dal maggio 2013, comunicava al consiglio comunale di Salerno che la procedura di scioglimento del consiglio sarebbe intervenuta solo all'esito del passaggio in giudicato della sentenza di ultima istanza. Il De Luca infatti aveva proposto ricorso in Cassazione, così impedendosi il passaggio in giudicato della citata sentenza della corte di appello;
   nelle more aveva provveduto a nominare un Sindaco facente funzioni, nella persona del signor Vincenzo Napoli, in luogo della vicesindaco Eva Avossa nominata nel 2011;
   tale nomina del sindaco facente funzioni è stata effettuata quindi in costanza di decadenza decorrente dal maggio 2013, quindi ad avviso dell'interrogante si tratta di una nomina illegittima;
   ebbene, a metà settembre del corrente anno, De Luca notificava al primo firmatario del presente atto, insieme ad altri parlamentari salernitani, la deputata Silvia Giordano e il senatore Andrea Cioffi, atto di rinuncia al ricorso in Cassazione. Tale rinuncia ha prodotto l'effetto della estinzione della impugnazione e determinazione della fase di ultima istanza della sentenza della corte di appello con declaratoria di decadenza a far data dal maggio 2013;
   il primo firmatario del presente atto e gli altri parlamentari si sono tempestivamente attivati, notiziando tutte le autorità competenti – prefetto di Salerno, Ministro dell'interno e Presidente della Repubblica – dell'intervenuta notifica dell'atto di rinuncia al fine dell'avvio della procedura di scioglimento del consiglio comunale;
   sentito il vice prefetto, si è solo potuto appurare che il Ministro dell'interno avrebbe richiesto pertinente parere all'Avvocatura generale dello Stato che allo stato ancora non ha formalizzato alcunché;
   come chiarito dall'indirizzo univoco del Consiglio di Stato, con l'elezione diretta del sindaco vi è un legame fiduciario tra gli organi e tale collegamento lega il sindaco agli altri organi. La decadenza del sindaco, dunque, travolge tutti gli altri organi comunali –:
   per quale ragione l'Avvocatura generale dello Stato non abbia ancora espresso il proprio parere sulla questione e se il Ministro dell'interno non intenda comunque assumere le iniziative di competenza ai fini dello scioglimento del consiglio comunale di Salerno. (5-07127)

Interrogazione a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo i recenti, drammatici attentati che hanno colpito Parigi e più in generale alla luce del concreto rischio terroristico che sta caratterizzando tutto il mondo occidentale, sarebbe necessaria, da parte del Governo, la previsione di un sistema di controlli telematici che favoriscano le esigenze investigative delle forze di polizia reintroducendo la registrazione dei dati identificativi di coloro che usufruisco del servizio offerto dalle postazioni telematiche pubbliche, cosiddetti internet point;
   il decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, cosiddetto «decreto Pisanu» stabiliva l'introduzione delle misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad internet utilizzando tecnologia senza fili;
   con il decreto-legge 29 dicembre 2010, «decreto Milleproroghe», il Governo ha stabilito il venir meno di alcuni degli obblighi imposti da norme precedenti per quanto riguarda le attività che offrono l'accesso pubblico a internet; in particolare, sono venuti meno l'obbligo di richiesta di autorizzazione alla questura, quello di identificazione dei soggetti ai quali si fornisce il servizio e quello di tracciamento delle connessioni, precedentemente contenuti nei commi 1, 4 e 5 dell'articolo 7 del «decreto Pisanu» del 2005 –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda assumere il Ministro interrogato al fine di ripristinare l'obbligo per gli internet point, così come previsto originariamente dal «decreto Pisanu», di registrare i clienti attraverso il documento di identità, proprio perché le forme di anonimato non consentono la tutela e la protezione dei cittadini rispetto a possibili attacchi da parte di gruppi terroristici. (4-11315)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, DELLA VALLE, CASTELLI, DALL'OSSO, LOMBARDI, CIPRINI, TRIPIEDI e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Auchan s.p.a. è un'azienda che esercita sul territorio italiano attività di vendita al pubblico di prodotti alimentari e non alimentari nel settore della Grande Distribuzione Organizzata, tramite 58 ipermercati in 11 regioni che impiegano oltre 18.000 persone;
   nel 2014 il gruppo Auchan ha fatturato, a livello mondiale 63 miliardi di euro, anche grazie ad operazioni sia immobiliari che mobiliari e, ad accordi internazionali di collaborazione con altre grandi catene di distribuzione come la tedesca Metro AG;
   come riportato dal comunicato della Flaica — Cub, del 13 aprile 2015, il colosso della grande distribuzione Auchan avrebbe disdetto unilateralmente tutti i contratti integrativi da quello aziendale a quelli dei punti vendita e annunciato centinaia di licenziamenti;
   la società francese ha rotto la trattativa aperta con i sindacati sulla vertenza degli esuberi di personale, annunciando che l'unica alternativa offerta in cambio dei preannunciati licenziamenti sia esclusivamente la sospensione del contratto integrativo aziendale in ogni sua parte, la definizione di una procedura di mobilità incentivata sull'intero perimetro aziendale avente i presupposti della volontaria adesione, un accordo a sostegno della mobilità volontaria che preveda l'abbassamento di un livello dell'inquadramento di tutto il personale come misura transitoria al centro-nord e definitiva al sud, e un anno di sospensione del pagamento della quattordicesima mensilità;
   in data 24 aprile 2115 il MoVimento 5 Stelle ha depositato un'interrogazione a risposta in Commissione, atto Camera n. 5-05444, sulla questione dei licenziamenti previsti da Auchan in molti suoi punti vendita nel territorio italiano;
   in molti punti vendita i licenziamenti sono stati camuffati da trasferimenti in altri punti vendita a molte centinaia di chilometri di distanza dalla residenza dei dipendenti;
   ad esempio, a maggio 2014, Auchan propone a 32 dipendenti della sede di Rivoli (Torino) la sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro per adeguarlo alle nuove esigenze produttive e organizzative aziendali. Tale contratto prevede le domeniche lavorative retribuite alla pari dei giorni feriali;
   il 20 luglio 2015 la consigliera regionale Francesca Frediani, presenta in regione Piemonte l'interrogazione a risposta immediata numero 575 in cui denuncia gli accadimenti riguardanti quattro dipendenti di Auchan che, dopo aver rifiutato la sottoscrizione del nuovo contratto con condizioni peggiorative, nel luglio 2014 vengono inviate in missione temporanea a Cuneo fino al mese di settembre 2014. Successivamente, la missione viene prolungata fino a gennaio 2015, mese in cui Auchan S.p.A. comunica alle dipendenti il loro definitivo trasferimento nel punto vendita di Cuneo;
   a metà novembre le lavoratrici in questione presentano ricorso al Tribunale di Torino, con udienza fissata nel febbraio 2015, momento in cui il trasferimento diventa definitivo; per questa ragione il giudice rigetta parte del ricorso ritenendolo di competenza del Tribunale di Cuneo;
   nella seduta del Consiglio regionale n. 87 del 21 luglio 2015, l'assessore al lavoro della regione Piemonte, Giovanna Pentenero, dichiara di condividere le valutazioni fatte dalla consigliera Frediani e ritiene doveroso che la regione si adoperi per verificare gli accadimenti denunciati nell'interrogazione numero 575 e per trovare una soluzione al problema delle dipendenti in questione;
   il comune di Torino, classificato ai sensi dell'articolo 11 della delibera del consiglio regionale numero 563-13414/199 e successive modificazioni e integrazioni, ha manifestato la volontà di procedere all’«Accordo di Programma per l'ampliamento localizzazione L.2. — Corso Romania» mediante delibera di giunta comunale n. 2014/07238/016 del 23 dicembre 2014 –:
   quali iniziative di tutela, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda attuare a favore delle suddette lavoratrici di Rivoli e di tutti i dipendenti del gruppo Auchan, onde evitare che il trasferimento dell'organico in essere venga utilizzato a dir poco impropriamente.
(5-07125)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Cantarelli & C. spa è uno storico marchio di abbigliamento maschile con stabilimenti ad Arezzo Rigutino e Terontola-Cortona. La società occupa ad oggi circa 271 lavoratori, a cui si aggiungono 650 operatori dell'indotto ripartiti tra Toscana ed Umbria;
   l'azienda è in crisi finanziaria da lungo periodo e, in data 25 settembre 2015, si era già vista bocciare una richiesta di concordato preventivo presentata dal patron Alessandro Cantarelli e dagli avvocati Gatteschi e Catacchini;
   più di recente, in data 3 novembre 2015, il tribunale del lavoro di Arezzo ha dichiarato lo stato di insolvenza della Cantarelli & C spa, respingendo dunque anche la richiesta di Cantarelli di una proroga tesa a permettere al fondo milanese IKF di formulare una proposta di acquisto vincolante, ed affidandone l'amministrazione al commissario Leonardo Romagnoli, che tenterà un difficile risanamento per non perdere il patrimonio aziendale ed i posti di lavoro;
   da fonti sindacali risulta che i 120 cassintegrati della Cantarelli & C. spa non hanno percepito la 13a del 2014, la prima mensilità di gennaio 2015 e la prima settimana del febbraio 2015, oltre al blocco degli ammortizzatori sociali;
   dall'aprile del 2015, infatti, come riporta un articolo de La Nazione, la cassa integrazione non è mai arrivata e le famiglie delle operaie sono costrette a sopravvivere con l'equivalente di 600 euro al mese, concesse grazie allo sportello anticrisi della provincia che anticipa una parte, circa l'80 per cento, dell'importo dovuto;
   la segretaria della Filctem Cgil Marisa Grilli, ha recentemente dichiarato che le somme bloccate dovrebbero essere erogate a giorni, impegnandosi come sindacato ad attivarsi affinché la procedura venga accelerata. Ciò nonostante la vicenda continua a essere uno dei temi più caldi e importanti della vita economica di Arezzo e provincia;
   il commissario Romagnoli, in data 23 novembre 2015, ha effettuato la prima visita presso lo stabilimento Cantarelli di Terontola e si appresta a redigere la relazione da presentare al Ministero con i bilanci e le potenzialità aziendali;
   in data 24 novembre 2014 si è tenuta una assemblea del personale della Cantarelli (http://www.arezzotv.net) con l'auspicio comune che si trovi al più presto una soluzione di continuità, ad esempio con una vendita ad un soggetto interessato al marchio;
   in data 25 novembre 20 a seguito di richiesta dell'interrogante, l'ufficio, direzione generale degli ammortizzatori sociali e I. O. del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha informato che la richiesta di cassa integrazione riferita alla Cantarelli, con decorrenza dal 13 luglio 2015 al 12 luglio 2016, è pervenuta in data 1o agosto 2015 ed è in lavorazione; gli elementi richiesti al referente aziendale, utili per la prosecuzione dell’iter, sono stati acquisiti in data 13 novembre 2015 e, sono all'esame del funzionario preposto –:
   se il Ministro interrogato possa rendere note le motivazioni dei ritardi accumulati sui pagamenti delle somme dovute a titolo di cassa integrazione guadagni in favore delle operaie della Cantarelli & C. spa e quali iniziative stia mettendo in atto per assicurare una rapida risoluzione della problematica a tutela dei lavoratori dell'azienda aretina in commissariamento.
(4-11319)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la recente riforma della pubblica amministrazione, la n. 90 del 24 giugno 2014, ha stabilito, all'articolo 6, che le persone in quiescenza non potessero sottoscrivere incarichi a titolo oneroso con le amministrazioni pubbliche, negli enti e nelle società controllate;
   lo spirito della norma è chiaro: scoraggiare una sorta di «sliding doors» nella pubblica amministrazione che veda per protagoniste personalità due volte remunerate dallo Stato, attraverso consulenze o altre forme di reincarico, e, al tempo stesso, consentire un adeguato turn over in favore delle giovani generazioni, esplicitamente richiamato nella lettera della stessa legge;
   nel mese di agosto del 2015 il Parlamento ha proceduto, ai sensi delle norme vigenti in materia, alla nomina attraverso elezione di sette membri del consiglio di amministrazione della Rai, ente che esercita il servizio pubblico televisivo;
   tra gli amministratori eletti dal Parlamento quattro sono in quiescenza e, in ossequio ad una interpretazione della citata legge, confermata dal Governo a seguito di un quesito formulato dalla presidente della Rai, non percepiscono alcun compenso, in ragione della peculiare natura giuridica della Rai;
   la circostanza presenta alcune palesi incongruenze anche a voler fare riferimento alla lettera della norma, in particolare per il fatto che gli amministratori-pensionati non sono chiamati a svolgere un'attività lavorativa, né di consulenza, né di studio, bensì sono investiti dal Parlamento del ruolo di decisori della vita della Rai, ruolo che, peraltro comporta responsabilità amministrative per le quali, ad esempio, non ricevono neanche la minima risorsa utile a consentire la sottoscrizione delle polizze assicurative a tutela del rischio della gestione, che usualmente vengono predisposte per i membri dei consigli di amministrazione;
   il paradosso, a giudizio dell'interrogante, è palese, ma c’è anche un sottotesto irricevibile in questo atteggiamento che viene alimentato dall'interpretazione della norma: quello che sostiene una sorta di «necessario pauperismo» nello svolgimento dell'attività pubblica, quasi che il lavoro e la responsabilità esercitata in ambiente pubblico non abbiano alcun valore rispetto al medesimo lavoro e alla medesima responsabilità esercitata in ambiente privato;
   né va trascurata, infine, la circostanza che vede nell'ambito dello stesso organismo agire una disparità di trattamento tra membri, in ragione del fatto di essere collocati in quiescenza o ancora in attività lavorativa –:
   quale utile iniziativa di competenza il Ministro interrogato intenda assumere al fine di porre rimedio ad una situazione di squilibrio in danno dei quattro consiglieri di amministrazione della Rai in condizione di quiescenza. (4-11318)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 1981 ha sede in Gaggio Montano (Bologna) Saeco srl, azienda leader nel settore della produzione di macchine automatiche per caffè;
   dal 2009, dopo una serie di passaggi di proprietà, la società viene acquisita dalla multinazionale olandese Royal Philips Electronics;
   l'acquisizione del marchio e degli oltre 100 brevetti collegati consente a Philips di posizionarsi con forza sul mercato, ma presto assume la decisione di trasferire in Romania una parte crescente della produzione, fino al punto che il 2015 si chiuderà con 400.000 macchine prodotte all'estero contro le 130.000 in Italia;
   negli ultimi mesi si erano diffuse voci relative al possibile ulteriore disimpegno di Philips dallo stabilimento di Gaggio Montano, tanto che nel mese di novembre 2015 i lavoratori erano arrivati allo sciopero per avere informazioni sul loro futuro;
   in data 26 novembre 2015 l'azienda annuncia senza preavviso formale di volere ridurre la forza lavoro di 243 unità su 558 dipendenti, con ciò provocando comprensibilmente l'immediata proclamazione dello stato di agitazione da parte dei sindacati;
   si tratta infatti di difendere un grande numero di posti di lavoro, oltre che il futuro dello stabilimento e dell'intera comunità locale, che sarebbe colpita duramente da un così drastico e improvviso calo dei livelli occupazionali;
   si ricorda che Gaggio Montano è un comune dell'Alto Appennino bolognese, area già colpita duramente dalla deindustrializzazione e dalla crisi del settore termale, che aveva nella vicina Porretta un centro importante –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare a tutela dei posti di lavoro, dell'italianità di un marchio importante come Saeco e, quindi, della sua valorizzazione locale della continuità di insediamento nell'area collinare interessata. (4-11317)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Binetti ed altri n. 1-01063, pubblicata nell'allegato B, ai resoconti della seduta del 12 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palese.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti siano ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nuti n. 4-09337 del 3 giugno 2015;
   interrogazione a risposta scritta Nuti n. 4-10556 del 30 settembre 2015;
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-01878 del 26 novembre 2015.