Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 31 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dei roghi dolosi e delle discariche abusive in Campania, in particolare nella cosiddetta «Terra dei fuochi», area compresa tra il litorale domizio flegreo, l'agro aversano-atellano, quello acerrano-nolano e Napoli, non accenna a diminuire;
    questo territorio è stato, e si può dire ancora è, oggetto di una vera ed indiscriminata aggressione da parte di organizzazioni malavitose locali, le quali, spesso d'intesa con la peggiore imprenditoria anche del nord Italia, l'hanno avvelenato, sversando clandestinamente rifiuti tossici letali per la salute delle persone che vivono in quelle zone;
    in poco più di sei mesi sono stati effettuati circa 150 sequestri di aree contaminate. Nei mesi scorsi il generale Sergio Costa, comandante del Corpo forestale provinciale di Napoli, ha evidenziato il dato secondo il quale i suoi uomini sono costretti ad effettuare un sequestro al giorno di terreni inquinati;
    nell'estate 2013 è stata scoperta nella zona di Caivano una discarica abusiva in un terreno coltivabile. Particolarmente grave il fatto che nella medesima discarica siano stati trovati decine di metri cubi di terreno indenne, ammonticchiati ai lati della parte per così dire «infetta». Questo terreno «pulito» aveva come scopo quello di «ravvivare» lo stato superficiale contaminato in modo da permettere la coltivazione di ortaggi;
    si è, quindi, di fronte ad un vero e proprio atto di terrorismo, dato che chi coltivava quel terreno ben sapeva quello che stava facendo e a quali rischi avrebbe sottoposto tutti coloro che si fossero alimentati con quei cibi contaminati;
    ancora il 30 ottobre 2013, il giornale Il Fatto Quotidiano informava che nella «Terra dei fuochi» erano state rinvenute due ulteriori discariche di rifiuti pericolosi, nelle zone Asi di Acerra e nei terreni agricoli che circondano l'area;
    gli uomini del Corpo forestale di Napoli, infatti, hanno rinvenuto, sempre secondo Il Fatto Quotidiano, 6000 metri cubi di pneumatici e teli bruciati ed altri materiali pericolosi, versati su circa 12 mila metri quadrati di terreno;
    si deve anche osservare che in questi mesi si va registrando un ulteriore e pericoloso salto di qualità nei materiali utilizzati per i roghi dolosi volti a distruggere in modo illegale i rifiuti. Infatti, ai «tradizionali» pneumatici, già di per sé estremamente pericolosi, vengono ora, a detta di numerose indagini, affiancati materiali quali i frigoriferi che, ovviamente, aumentano ancora l'inquinamento prodotto dagli incendi;
    il dramma della «Terra dei fuochi» è stato sottolineato negli scorsi mesi anche dalle parole delle più alte autorità dello Stato, che hanno evidenziato come si sia di fronte ad un problema non locale ma nazionale;
    le parole forti e chiare delle istituzioni, ed anche quelle del cardinale Sepe, sono certo importanti per le popolazioni locali, che si sentono così certamente meno sole ed abbandonate dallo Stato, ma non bastano. Sono, infatti, necessarie risorse adeguate in modo da affrontare con efficacia un fenomeno che uccide spietatamente ed in silenzio coloro che hanno la sfortuna di vivere in zone utilizzate da criminali quale sversatoio di rifiuti tossici;
    appare chiaro che quanto messo sinora a disposizione dallo Stato e dagli enti locali non sia sufficiente a combattere una battaglia senza esclusione di colpi contro le devastazioni commesse. Per questo occorre che le risorse, nazionali e comunitarie, vengano aumentate ed indirizzate allo scopo, e per questo appare necessario un coordinamento centrale di tutti gli interventi economici volti alla risoluzione dell'emergenza rifiuti;
    è mancata, sino ad oggi, una politica coordinata per combattere il fenomeno. La legislazione vigente non sembra consentire la creazione di un centro decisionale, a livello nazionale, in grado di coordinare tutti gli interventi necessari. Per questo il gruppo Misto-Centro Democratico ha presentato una proposta di legge per istituire quanto meno un'autorità di vigilanza sull'emergenza ambientale nella «Terra dei fuochi», volendo istituire un unico organo in grado di monitorare costantemente, e di informare, su quanto si va facendo per risolvere l'emergenza;
    appaiono anche necessari interventi di inasprimento delle pene per coloro che commettono questi crimini ambientali che compromettono la salute pubblica;
    va aggiunto, infatti, che non è solo la camorra ad inquinare quelle zone; il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, in un'intervista al giornale la Repubblica del 23 settembre 2013, infatti, ha spiegato che numerose inchieste hanno fatto emergere il preoccupante dato che spesso personaggi non affiliati a cosche recitano un ruolo importante nelle attività di inquinamento delle zone interessante;
    nella medesima intervista il procuratore indicava in piccole imprese, spesso illegali, le colpevoli di una parte almeno della situazione; esse, infatti, non provvedono a smaltire i loro rifiuti secondo la legge, ma li sversano nei corsi d'acqua limitrofi, senza nemmeno aver il bisogno di farsi aiutare dalle organizzazioni camorristiche;
    si tratta, quindi, di un problema anche culturale e di informazione, ma soprattutto di ordine pubblico; problema che le leggi attualmente vigenti paiono non essere in grado di contrastare con la dovuta efficacia;
    quanto detto sopra, ovviamente, non deve far abbassare la guardia contro l'azione nefasta della camorra, che spesso, con la complicità di industrie disoneste, spesso del Nord (ma non solo), continua nella sua opera di devastazione dei territori inquinati;
    in numerose interviste televisive, rilasciate, tra l'altro, a SkyTg24 e a Tv Luna 2 e su quotidiani, in particolare a Il Fatto Quotidiano, il boss pentito Carmine Schiavone ha affermato che tutte le sue indicazioni su luoghi, date e circostanze relative all'interramento di rifiuti tossici sono state registrate dalla commissione bicamerale d'inchiesta sui rifiuti già dal 1997, senza che mai si sia proceduto ad interventi di bonifica;
    si tratta di una circostanza che, se confermata, si rivelerebbe sconcertante, visto che ci si troverebbe di fronte ad un'inspiegabile inazione durata oltre 15 anni;
    anche il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Orlando, rispondendo ad un'interrogazione a risposta immediata del gruppo Misto-Centro Democratico del 16 ottobre 2013, ha affermato l'esigenza di un maggior controllo sul territorio ed ha annunciato iniziative legislative per punire con maggiore severità gli illeciti penali commessi;
    è necessario agire subito per cercare almeno di limitare i danni alla salute pubblica. Numerosi studi, quali, ad esempio, quello predisposto, su indicazione della protezione civile, dall'Organizzazione mondiale della sanità, dall'Istituto superiore di sanità, dal Consiglio nazionale delle ricerche e dall'osservatorio epidemiologico della regione Campania ha messo in evidenza il nesso tra incremento dei tumori in queste aree della Campania e la presenza di discariche illegali e di rifiuti tossici interrati;
    allo stesso risultato sono giunti studi ulteriori, svolti dalla Università «Federico II» di Napoli e dall'ospedale Monaldi di Napoli,

impegna il Governo:

   a proseguire sulla linea indicata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in risposta alle interrogazioni a risposta immediata del gruppo Misto-Centro Democratico del 24 luglio e del 16 ottobre 2013, nelle quali si annunciava la volontà di modificare, entro il mese di novembre 2013, la legislazione in campo ambientale, in particolare per quel che riguarda le sanzioni per i reati commessi nella «Terra dei fuochi», ipotizzando anche l'introduzione di «uno strumento penale più efficace»;
   a reperire e quantificare le risorse necessarie, utilizzando ogni strumento normativo che garantisca la massima celerità dell'intervento, per consentire allo Stato ed agli enti locali, nel rispetto delle reciproche competenze, di lavorare concretamente per la risoluzione di un'emergenza che, da troppo a lungo, avvelena la vita della cittadinanza residente nelle zone inquinate e mette a rischio la salute pubblica dell'intero Paese;
   ad adoperarsi, anche con opportune iniziative normative, per l'istituzione di un coordinamento centrale di tutte le attività volte alla lotta contro l'emergenza rifiuti;
   ad avviare, per quanto di competenza, iniziative di informazione e sensibilizzazione della cittadinanza circa le cause e gli effetti negativi sulla salute pubblica dei roghi e dei comportamenti illegali, anche non legati alla camorra, indicati in premessa;
   a contribuire, per quanto di competenza, a chiarire la veridicità delle dichiarazioni del pentito Schiavone e le eventuali conseguenze dell'inazione successiva alle parole dello Schiavone stesso;
   ad attuare, in generale, in tempi rapidi tutti gli interventi necessari a limitare i danni di una situazione che non può assolutamente continuare in questo modo.
(1-00228) «Formisano, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    in Campania esiste un territorio denominato «Terra dei fuochi» a causa del preoccupante fenomeno dei roghi di rifiuti tossici, la cui combustione è causa di gravi conseguenza sulla salute delle persone e la salubrità dell'ambiente, già fortemente devastato da sversamenti illegali e scarichi selvaggi di veleni e scorie industriali;
    nell'area in questione, che si estende su di una superficie lunga più di 60 chilometri quadrati ed attraversa i comuni delle province di Napoli e Caserta, risiedono oltre 2 milioni di abitanti;
    lo scempio è stato, ed è, costantemente perpetrato dai cartelli criminali operanti sul territorio che si avvantaggiano di un business milionario favorito dalla spregiudicatezza di industriali ed imprenditori che, pur di risparmiare sui costi dello smaltimento, non esitano a privilegiare la strada dell'illegalità ed a favorire un traffico che attraversa l'Italia da nord a sud e che vede, come punto di arrivo, proprio le terre in questione;
    le ecomafie hanno potuto contare sulla complicità e l'omertà di taluni contadini e proprietari di fondi piegati e compiacenti che, dopo aver consentito di imbottire le proprie campagne di ogni tipo di veleno, continuano in alcuni casi a coltivare prodotti agricoli destinati all'alimentazione umana ed animale;
    più di recente il fenomeno si è connotato per lo sversamento di varie tipologie di rifiuti, in particolare quelli prodotti dal ciclo delle costruzioni e quelli prodotti da aziende che, operando nell'illegalità e non potendo, quindi, smaltire secondo la normativa vigente i rifiuti e gli scarti della lavorazione, abbandonano cumuli diffusi di tale materiale ai margini di moltissime strade di campagna;
    il conseguente inquinamento delle matrici ambientali acqua, aria e suolo, determinato sia dai roghi che dalle discariche abusive, rischia di contaminare la catena alimentare;
    la condizione in cui versa la Terra dei fuochi è nitidamente fotografata dalle inchieste della magistratura, dalle operazioni delle forze dell'ordine, dal lavoro svolto fin dal 1998 dalle commissioni parlamentari d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e da una ricca antologia di inchieste giornalistiche;
    la stessa comunità scientifica ha più volte messo in relazione l'alta incidenza di patologie, come tumori e leucemie, sui residenti dei citati territori inquinati con la permanenza degli stessi in tali territori;
    lo stato delle aree avvelenate genera un crescente e legittimo allarme sociale e sanitario che sfocia nelle comprensibili proteste ormai quotidiane da parte di comitati civici, movimenti ed associazioni;
    la psicosi generale crea un crescente ed ingente danno all'agricoltura regionale che esprime prodotti di eccellenza rinomati nel mondo ed oggi discriminati sui mercati nazionali ed esteri;
    il fenomeno degli incendi, del traffico e degli sversamenti illeciti dei rifiuti speciali e pericolosi ha dunque assunto dimensioni tali da assurgere ad emergenza nazionale,

impegna il Governo:

   a predisporre con tempestività un'iniziativa normativa ad hoc al fine di:
    a) definire un sistema straordinario di presidio e controllo del territorio interessato per bloccare il fenomeno degli sversamenti illegali e dei roghi tossici, coinvolgendo, in primis, le Forze armate, rafforzando e meglio coordinando tutte le forze dell'ordine;
    b) predisporre uno screening epidemiologico e le conseguenti misure di prevenzione e di assistenza sanitaria a favore della popolazione interessata;
    c) definire, attraverso il monitoraggio delle matrici ambientali (aria, acqua e suolo), le zone inquinate, delimitando, altresì, le cosiddette aree food certificate e quelle che, invece, necessitano di misure di tutela ambientale;
    d) ripristinare lo status quo ante che attribuiva alla responsabilità nazionale i siti da bonificare ricadenti nell'area denominata «litorale domizio flegreo e agro aversano»;
    e) predisporre un «piano Marshall» di bonifiche che, in maniera scientifica, indichi l'ordine delle priorità, l'approccio tecnico e le modalità operative;
    f) istituire una struttura centrale di gestione degli appalti per le attività di bonifica e ripristino con un sistema impermeabile alle organizzazioni criminali sul modello di Expo 2015;
    g) istituire un comitato scientifico di alta sorveglianza, che coinvolga autorità accademiche di indiscusso prestigio internazionale, con il compito di coordinare e di orientare gli interventi nazionali e le iniziative regionali in materia di fenomeni inquinanti, di verificarne l'attuazione, nonché di valutarne l'efficacia;
    h) utilizzare le risorse derivanti dai beni confiscati alla criminalità organizzata a seguito di processi per traffico e smaltimento illegale di rifiuti, per la bonifica dei siti inquinati in conseguenza dei medesimi traffici e smaltimenti illegali;
    i) utilizzare le risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fers) e del fondo di coesione europeo e nazionale per la bonifica dei siti inquinati campani, escludendo le risorse così utilizzate dai vincoli del patto di stabilità;
    l) disegnare un sistema di tracciabilità assoluta che coinvolga l'intera filiera agroalimentare campana e che sia funzionale anche alla promozione dei prodotti;
    m) introdurre il reato di disastro ambientale nel codice penale;
    n) favorire la partecipazione dei cittadini, attraverso gli enti locali, alle scelte ed alle fasi di controllo delle attività finalizzate alla bonifica delle aree inquinate campane.
(1-00229) «Russo, Costa, Sarro, Carfagna, Castiello, Luigi Cesaro, Calabrò, Rotondi, Petrenga».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    a due anni dallo svolgimento dei referendum sull'acqua bene comune, e nonostante episodici interventi normativi che hanno cercato di risolvere parte dei problemi aperti dall'esito referendario, non si è ancora giunti ad una disciplina del servizio idrico integrato pienamente rispettosa della volontà popolare, in particolare per quel che concerne le forme di gestione, le funzioni del soggetto regolatore, le risorse per l'adeguamento infrastrutturale e la manutenzione della rete;
    è, quindi, necessario sciogliere quei nodi che, da un lato, impediscono la piena tutela del bene pubblico delle risorse idriche – così come ribadito dal referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011 che ha chiesto di mantenere la natura pubblica del servizio idrico integrato – mentre dall'altro frenano un'equa ed efficiente gestione del servizio medesimo, imperniata sui cardini della sussidiarietà, della trasparenza e della sostenibilità economica, nell'ambito del vigente quadro giuridico comunitario in cui si dispone la libertà di scelta delle modalità di gestione e la natura della tariffa quale copertura dei soli costi di investimento e di esercizio;
    la risoluzione ONU del 28 luglio 2010 dichiara, per la prima volta, il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale e sancisce che gli Stati nazionali dovrebbero, tra l'altro, assicurare acqua di buona qualità, accessibile economicamente a tutti e che ciascuno ne possa fruire ad una distanza ragionevole dalla propria casa. L'acqua, pertanto, non può essere annoverata – anche in ossequio della volontà popolare espressa dai cittadini nel referendum del giugno 2011 – tra le «commodity», ma è anzitutto un diritto inalienabile della persona umana quale strumento di sopravvivenza immediata e non merce;
    le conclusioni del convegno di Davos nel 2011 hanno messo in rilievo il legame molto stretto tra risorse idriche, alimentazione ed energia, facendo acquisire la consapevolezza che la geopolitica delle acque sarà centrale nei rapporti internazionali del futuro;
    l'economia globale sembra muoversi oggi verso una commodification, ovvero una «trasformazione in merce» di tutto ciò che serve direttamente alla vita umana, con la conseguenza che si rischia – in assenza di una assunzione di responsabilità della politica e delle istituzioni democratiche – che l'ingresso della natura e dei beni comuni nel calcolo economico e nella dinamica dell'accumulazione dei capitali impatti direttamente sulla stessa sopravvivenza sulla specie umana;
    risulta essere fallita la logica, promossa da molti governi neoliberisti sia in America Latina che in Africa, della privatizzazione «tout court» del servizio idrico e del Governo delle acque, che ha determinato da un lato un aumento di costi sul consumatore finale col il raggiungimento di livelli tariffari insopportabili e dall'altro la rarefazione del bene e in alcuni casi anche la sua sottrazione in assenza di controllo e pianificazione da parte delle autorità pubbliche;
    l'Unione europea, nel quadro delle sue normative per la protezione ambientale, ha indicato alcuni principi di fondo per la gestione del sistema idrico degli Stati membri, quali l'accesso universale ad acqua potabile di buona qualità, la definizione di standard comuni per la gestione delle strutture idriche e dei sistemi di depurazione, la protezione delle specie acquatiche vulnerabili. La direttiva 23 ottobre 2000, n. 60, «Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque», stabilisce che l'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale, che la fornitura idrica è un servizio d'interesse generale e induce a integrare maggiormente la protezione e la gestione sostenibile delle acque con altre politiche, nonché a sostenere un utilizzo idrico sostenibile, fondato sulla protezione a lungo termine della risorsa;
    sulla base dell'indice WEI (Water explotation index) dell'Unione europea che quantifica il peso della domanda di acqua sulle risorse disponibili, l'Italia risulta essere tra i paesi europei in crisi idrica, insieme a Belgio, Spagna, Cipro e Malta;
    la gestione dei bacini fluviali è stata, fino a questo momento, la chiave per la politica di armonizzazione dell'idrologia europea, soprattutto della sua specifica connessione con la protezione ambientale, in un contesto nel quale l'Italia ha otto bacini integrati, di cui due con acque internazionali, a ovest con la Francia, al centro con la Svizzera e l'Austria e a est con la Slovenia lungo l'intera catena alpina e in uno scenario nel quale l'integrazione tra il piano europeo e la pianificazione regionale è complicato dalla difforme normativa nazionale;
    il recupero dei costi di erogazione, ovvero l'abbattimento del costo di acquisto del bene-acqua tramite deprezzamento in un periodo di tempo definito, risulta essere bassissimo per il comparto agricolo (in media intorno all'1 per cento), medio per il settore industriale (40 per cento), elevato per il consumo domestico (70 per cento), mentre è ancora difficile definire i costi di «consumo ambientale», ovvero la determinazione di medio termine del costo di acquisizione delle risorse idriche primarie e dei costi di recupero dell'inquinamento a carico di chi inquina o dei costi di recupero del consumo a carico di chi consuma;
    a causa di ciò, in assenza di un'analisi comparata costi-benefici della gestione dei bacini idrici, la tendenza è quella di gestire il prezzo finale dell'acqua come «variabile incontrollata»;
    è necessario affrontare nella sua globalità il tema «acqua», sia sotto il profilo della sua caratteristica di diritto inalienabile di cittadinanza per ciascun cittadino, sia sotto il profilo di materia prima essenziale per produzioni indispensabili nel campo dell'agricoltura e dell'energia, nonché delle produzioni manifatturiere e di molti settori economici;
    in tale prospettiva occorre essere consapevoli che l'acqua potabile rappresenta circa l'1 per cento dell'acqua dolce del pianeta, che si rinnova e purifica solo attraverso piogge e neve con un tasso di riequilibrio delle acque dolci pari a 50.000 chilometri cubi all'anno in tutto il mondo, cifra intuitivamente non sufficiente per le necessità umane e agricole;
    l'urbanizzazione di massa, la diversione artificiale delle acque, l'industrializzazione della produzione agricola e il «climate change» inducono a ritenere che le attuali riserve idriche, già scarse, tenderanno a diminuire rapidamente se non si porranno in essere adeguate policy;
    l'acqua è indispensabile per la salute degli ecosistemi che, a loro volta, determinano la nostra qualità della vita, non svolgendo solo un servizio di approvvigionamento quale materia prima, ma concorrendo anche ai servizi di regolazione del clima che fanno funzionare il nostro pianeta. Ad esempio, le zone umide e di produzione del bene idrico (nelle quali le zone montane italiane svolgono un ruolo primario) forniscono servizi ecosistemici come la depurazione dell'acqua e l'assorbimento del carbonio che, in termini economici, valgono miliardi di euro e che devono essere considerati in un'ottica di ristoro dei servizi ecosistemici e di resilienza;
    il quadro normativo italiano dal 1994 ad oggi ha avuto diverse evoluzioni, molte volte in contraddizione tra loro, fino ad una sorta di federalismo regionale e talvolta provinciale che ci consegna una mappa dei modelli di gestione nel nostro Paese molto diversificata che rappresenta una dei punti di criticità più rilevanti in vista della definizione del nuovo quadro normativo nazionale;
    anticipando l'impostazione della politica comunitaria in materia di acque, la legge n. 36 del 1994 (cosiddetta legge Galli) aveva introdotto una moderna disciplina del Servizio idrico integrato (SII) poi trasfusa nel decreto legislativo n. 152 del 2006, con l'obiettivo di favorire lo sviluppo dell'industria dei servizi idrici, promuovendone una gestione imprenditoriale in grado di superare modelli gestionali obsoleti e di far fronte ai cospicui investimenti, di cui necessitava il settore negli anni 90. Subito dopo l'emanazione della legge n. 36 del 1994, le regioni sono state chiamate a determinare i confini e le modalità istitutive degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), le cui Autorità erano preposte ad effettuare la ricognizione delle opere, la programmazione delle infrastrutture idriche e l'affidamento del Servizio idrico integrato a gestori secondo le forme e i modi previsti dalla legge;
    l'attuazione della disciplina sul Servizio idrico integrato non ha, tuttavia, risposto agli obiettivi principali ai quali era finalizzata: tutelare l'inalienabile diritto all'accesso all'acqua potabile per tutti i cittadini e la qualità di un bene prezioso come l'acqua in tutti gli ambiti della sua utilizzazione e garantire un elevato livello di funzionalità, di economicità e di trasparenza dei meccanismi e degli strumenti di controllo e di gestione del medesimo servizio idrico integrato;
    con riferimento alla regolazione, è stata disposta – dall'articolo 1, comma 1-quinquies, del decreto-legge 2/2010 – la soppressione delle autorità di ambito (AATO) stabilendo nel contempo il trasferimento da parte delle regioni delle funzioni ad esse spettanti a enti di livello regionale, entro il termine del 1o gennaio 2011, più volte e con diversi atti normativi prorogato, da ultimo al 31 dicembre 2012. La gestione del servizio idrico integrato – nel quadro di un più ampio disegno di privatizzazione forzata dei servizi pubblici locali – era disciplinata dall'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, rispondente all'obiettivo di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, a tal fine prevedendo il principio della gara come regola generale degli affidamenti di servizi e una specifica normativa in deroga per le fattispecie che «non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato», prevedendo al contempo un'ampia delegificazione del settore attuata con il regolamento governativo n. 168 del 2010;
    il 12 e 13 giugno 2011 il citato articolo 23-bis è stato sottoposto a referendum popolare e, all'esito del referendum medesimo, abrogato dal decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 113, a decorrere dal 21 luglio 2011;
    per colmare il conseguente vuoto normativo, è intervenuto sulla materia l'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, più volte novellato (articolo 9, comma 2, della legge n. 183 del 2011, articolo 25, comma 1, del decreto-legge n. 1 del 2012 e, da ultimo, l'articolo 53 del decreto-legge n. 83 del 2012), che introduce una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali, le cui linee portanti in tema di affidamenti hanno ripreso quelle della disciplina varata nel 2008, come successivamente modificata e integrata in sede di delegificazione; la nuova disciplina, introdotta dal richiamato articolo 4, aveva previsto una clausola di generale applicazione di tutte le norme ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle relative discipline di settore incompatibili, escludendo dall'ambito di applicazione – a differenza della precedente disciplina – il servizio idrico;
    sulla disciplina recata dall'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2011 che ha dichiarato l'illegittimità dello stesso articolo 4 e delle successive modificazioni, in quanto dirette a ripristinare norme abrogate dalla volontà popolare espressa attraverso il referendum, pertanto in contrasto con il divieto previsto dall'articolo 75 della Costituzione. In virtù della caducazione della nuova normativa, il servizio idrico integrato risulta oggi così disciplinato:
     dalla normativa comunitaria: il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sottolinea, in particolare, l'importanza dei servizi di interesse economico generale – ai quali sono omologati i servizi pubblici locali (Corte costituzionale 325/2010) – nell'ambito dei valori comuni dell'Unione e il loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, al punto che gli Stati membri e l'Unione garantiscono l'applicazione a tali servizi delle regole della concorrenza solo ove ciò non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Per effetto delle richiamate disposizioni comunitarie, secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente pubblico (cosiddetto affidamento in house) è ammessa se lo Stato membro ritiene che l'applicazione delle regole di concorrenza sia un ostacolo, in diritto od in fatto, alla speciale missione del servizio pubblico medesimo. Al fine di evitare che il meccanismo dell'affidamento diretto a soggetti in house si possa risolvere in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al funzionamento del mercato, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha tuttavia imposto l'osservanza di talune condizioni legittimanti l'attribuzione diretta della gestione di determinati servizi a soggetti «interni» alla compagine organizzativa dell'autorità pubblica (controllo dell'ente pubblico sulla società «analogo» a quello esercitato sui propri servizi e svolgimento da parte della società della parte più importante della propria attività con l'ente che detiene il controllo);
     dall'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, introdotto dall'articolo 25 del decreto-legge n. 1 del 2012 e non incluso nel perimetro dell'illegittimità costituzionale disposta con la sentenza n. 199 del 2011, da ultimo modificato dall'articolo 34 del decreto-legge n. 179 del 2012, il quale detta una disciplina relativa agli ambiti territoriali e ai criteri di organizzazione dei servizi pubblici locali;
    le questioni sollevate dal referendum con le relative soluzioni non esauriscono i problemi del ciclo delle acque: tra gli altri, il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici, previsti dalla direttiva comunitaria 2000/60, il deficit di depurazione, l'assenza di politiche di riduzione dei consumi, le perdite delle reti di trasporto e distribuzione dell'acqua potabile e il mancato decollo del riutilizzo per scopi produttivi delle acque reflue depurate. Azioni di risanamento che devono essere integrate nella pianificazione territoriale, in primo luogo nei piani di gestione dei distretti idrografici e in quelli di sviluppo rurale, in quanto fortemente interdipendenti nel raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici fluviali, lacustri e costieri. Nel nostro Paese, infatti, rimangono ancora irrisolti gli annosi problemi relativi agli scarichi inquinanti civili e industriali, ai depuratori mal funzionanti, all'artificializzazione dei corsi d'acqua. Delle 549 stazioni di monitoraggio censite nell'annuario 2010 dell'Ispra, solo il 52 per cento raggiunge o supera il «buono stato» per lo più nei tratti montani dei corsi d'acqua, il 35 per cento delle stazioni è appena sufficiente e quasi un quarto delle stazioni presenta uno stato scarso o addirittura pessimo;
    altra sfida importante è quella della crisi idrica, problema che non riguarda più solo il Mezzogiorno ma tutte le regioni italiane. Un'emergenza che si combatte con la lotta agli sprechi e con un utilizzo più razionale e sostenibile della risorsa idrica, dal settore agricolo, migliorando e modificando le tecniche di irrigazione, all'utilizzo civile dove sono sempre più urgenti regolamenti edilizi che prendano in considerazione anche l'aspetto idrico, con approcci e tecniche innovativi: sanitari a basso consumo, sistemi per la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie, passando per l'uso efficiente nell'industria. Occorre ripensare la pianificazione territoriale e urbanistica per ridurre l'artificializzazione e l'impermeabilizzazione dei suoli che fanno confluire nelle fogne le acque meteoriche andando a sovraccaricare inutilmente i depuratori;
    l'Italia è tra i Paesi più ricchi di risorse idriche: 2.800 metri cubi per abitante l'anno, pari ad una disponibilità teorica di circa 52 miliardi di metri cubi, distribuiti in tutta la penisola con ovvie differenze nelle disponibilità reali tra le diverse are geografiche, che garantisce, comunque, una quota media disponibile di almeno 400 metri cubi per abitante, dieci volte superiore alla quota disponibile nei paesi del sud del Mediterraneo;
    nonostante ciò, abbiamo problemi di scarsità idrica nei mesi caldi, al Sud come al Nord; il settore agricolo è di gran lunga il principale utilizzatore d'acqua con almeno 20 miliardi di metri cubi l'anno, seguono il settore civile con 9 miliardi/anno, l'industria con circa 8 miliardi/anno e la produzione di energia con circa 5 miliardi/anno. Il prelievo eccessivo per oltre 40 dei 52 miliardi di metri cubi disponibili, provoca problemi di qualità delle acque superficiali e sotterranee, perché non permette la circolazione idrica naturale necessaria a mantenere vivo l'ecosistema e a diluire gli inquinanti nei corpi idrici. Quantità e qualità in questo caso vanno di pari passo, per questo bisogna puntare ad aumentare le portate negli alvei e nelle falde, se vogliamo raggiungere entro il 2015 il «buono stato di qualità» dei corpi idrici, previsto dalla citata Direttiva quadro, 2000/60/CE. Per uso civile utilizziamo 152 metri cubi per abitante l'anno, molto più di Spagna (127 m3), Regno Unito (113 m3) e Germania (62 m3). Il settore agricolo, com’è stato sottolineato, incide tantissimo perché l'irrigazione è in gran parte basata su tecniche vecchie e inefficienti: è stato calcolato che un miglioramento delle tecniche irrigue permetterebbe un risparmio dell'ordine del 30 per cento. Ulteriori riduzioni sarebbero possibili scegliendo colture e varietà più resistenti alla siccità e soprattutto combattendo le produzioni eccedentarie e gli sprechi alimentari;
    anche per coniugare l'efficienza del servizio con la tutela della risorsa è essenziale la rivisitazione del sistema tariffario: dovrà essere garantita, innanzitutto una quota giornaliera minima gratuita di sopravvivenza pro capite per le categorie più indifese, per le fasce sociali più deboli, come pensionati al minimo, cassintegrati, precari, disoccupati e famiglie numerose e una tariffazione progressiva che scoraggi i grandi consumi e gli sprechi, in attuazione del fondamentale principio «chi inquina paga». Il sistema tariffario dovrà garantire a tutti e a prezzi sostenibili una adeguata dotazione idrica per gli usi alimentari ed igienici. Va considerata, infine, una fascia di consumi per gli usi legati al moderno modello di vita dai cittadini a prezzi coerenti con i reali costi delle infrastrutture e dei servizi;
    l'investimento di capitale necessario ad organizzare e produrre i servizi idrici è contraddistinto da tre caratteristiche: la dimensione, la lunga durata della vita utile delle infrastrutture e la distribuzione degli interventi nel tempo, tutti questi elementi influenzano profondamente il ciclo dell'investimento nel settore dei servizi idrici. L'elevata intensità di capitale genera un elevato fabbisogno assoluto di finanziamenti, a fronte di modesti rendimenti; la lunga durata della vita utile delle infrastrutture determina un lungo periodo per il rimborso dell'investimento, che si estende anche oltre la durata massima degli affidamenti. Per far fronte a questa situazione sarebbe possibile accordare alle imprese a totale capitale pubblico dei periodi di affidamento più lunghi, finanche degli affidamenti perpetui, che sarebbero soggetti a revoca solo a determinate condizioni, tra cui il completo rimborso dei finanziamenti contratti per realizzare gli investimenti, e svincolando le società pubbliche dall'elemento legato alla scadenza degli affidamenti, si potrebbero prevedere dei piani di rientro dei finanziamenti più lunghi e in ogni caso compatibili con l'ammortamento degli investimenti realizzati;
    l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, prevede che anche le società affidatarie in house sono assoggettate al patto di stabilità, secondo modalità da definirsi con apposito decreto; spetta all'ente locale (o all'ente di governo locale dell'ambito o del bacino) vigilare sul rispetto del patto di stabilità, tale previsione non tiene conto che le società affidatarie in house nell'ambito del servizio idrico intergrato, sono regolate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con particolare riferimento alla tariffa che deve rispettare il principio del recupero dei costi; tale principio e di conseguenza la regolazione tariffaria assicura che non vi sia nessuna circostanza per la quale nella società in house si possa produrre un effetto sulla finanza pubblica;
    nell'ottica della gestione pubblica della rete e al fine di garantire l'equità e l'efficienza dei servizi idrici, un ruolo importante spetta al soggetto cui compete istituzionalmente la regolazione del settore, a cominciare dalla determinazione di tariffe congrue e sostenibili articolate per consumi, ma anche per regolare gli affidamenti e controllare il pieno rispetto dei contratti da parte dei soggetti gestori e i costi del servizio, con l'obiettivo di premiare il consumo responsabile. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, cui è stata recentemente attribuita tale funzione, deve al più presto dotarsi delle indispensabili competenze, in un quadro legislativo che fornisca all'Autorità stessa, oltre che agli operatori e agli utenti, indirizzi chiari e coerenti con la qualificazione di bene comune attribuita all'acqua come risorsa e al complesso dei servizi idrici integrati come mezzo per la fruizione e la tutela della risorsa medesima;
    il Partito Democratico ha proposto l'istituzione di un Fondo per il finanziamento delle opere idriche che sostenga anche gli interventi urgenti e immediati, nel quale, oltre ad una quota ragionevole degli introiti tariffari, potrebbero confluire le risorse derivanti da contributi comunitari e quelle assicurate da soggetti istituzionali quali la Cassa depositi e prestiti. Altre risorse potrebbero essere assicurate da strumenti e iniziative finanziarie innovative con finalità sociali, che integrino gli interessi perseguiti dalla pubblica amministrazione con l'intervento di soggetti che non abbiano finalità speculative, quali le fondazioni bancarie. In questo quadro, anche sulla base delle considerazioni che precedono, deve affermarsi la necessità che sia esclusa per gli investimenti nel settore delle opere idriche l'applicazione del patto di stabilità;
    secondo un recente studio della CGIA di Mestre vi sono stati aumenti vertiginosi negli ultimi 10 anni sulle tariffe pubbliche. A fronte di un incremento del costo della vita pari al 24 per cento, le bollette dell'acqua sono cresciute del 69,8 per cento. Emerge dall'indagine annuale realizzata dall'Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva, che aumenti importanti si siano verificati anche nell'ultimo anno: nel 2012 i costi sono cresciuti su base nazionale in media del 6,9 per cento, con oltre 80 città che hanno visto ritoccate all'insù le tariffe, in 16 casi con aumenti a due cifre. Negli ultimi 6 anni il costo dell'acqua non ha fatto che aumentare: +33 per cento di media e al 33 per cento si attesta anche il valore relativo alla dispersione idrica, con un costo, derivante dall'acqua sprecata, pari a 3,7 miliardi di euro ogni anno, più del valore di una manovra finanziaria. Dal 2007 le tariffe sono raddoppiate o quasi in molte città e più che raddoppiate a Lecco (+126 per cento) e Reggio Calabria (+164,5, per cento). In altre 35 città, gli incrementi hanno superato il 40 per cento;
    logicamente questi aumenti riscontrati da più studi non possono essere frutto soltanto del tema della remunerazione del capitale posto dal referendum. Paradossalmente in molti casi, nel variegato sistema di gestione idrico presente in Italia, ha inciso sugli spropositati aumenti tariffari soprattutto la carente gestione della rete idrica con una perdita media nazionale pari al 30 per cento, in altri la cattiva gestione, a prescindere dalla tipologia del modello gestionale, con piante organiche spropositate e altrettante ingiustificate cessioni di sub appalti e inoltre la prassi non poco frequente di caricare sulle utenze spese di investimento (ampliamenti della rete, manutenzione, depurazione, e altro) a monte degli interventi con la semplice approvazione in sede di bilancio e non a valle dando così la possibilità all'utenza di verificare la reale ed efficace realizzazione degli interventi stessi. In virtù di ciò grande attenzione, infine, deve essere posta ai temi del diritto all'informazione e della partecipazione dei cittadini. Sarà compito della riforma del settore prevedere le modalità per garantire da una parte la pubblicità e dall'altra adeguate forme di partecipazione e di intervento dei cittadini, organizzati e non, nelle decisioni strategiche riguardanti la gestione dei servizi idrici,

impegna il Governo:

   a garantire che sia data, finalmente, piena e corretta attuazione alla volontà popolare espressa nella consultazione referendaria del 12 e 13 giugno del 2011;
   a effettuare urgentemente una mappatura dei diversi sistemi gestionali presenti sul territorio nazionale e delle iniziative legislative in essere in alcune regioni italiane al fine di avere un quadro chiaro e definito dello stato attuale della gestione dei servizi idrici presenti nel nostro Paese prima di procedere al varo del nuovo quadro normativo al fine di poterne valutare i vari impatti in sede di definizione e redazione;
   a definire, in particolare, sulla base degli indirizzi di cui in premessa e nel quadro della disciplina e nel rispetto dei principi dell'Unione europea, modalità e forme di una gestione efficiente ed efficace dell'acqua in quanto bene pubblico e comune come sancito dal referendum del 2011 e anche alla luce del recente successo dell'iniziativa dei cittadini europei lanciata ai sensi dell'articolo 11 del Trattato di Lisbona, volta a promuovere l'idea che l'acqua è un servizio pubblico essenziale che deve essere accessibile a tutti e che ha portato, il Commissario per il Mercato interno e i servizi Michel Barnier, con una nota del 21 giugno 2013, a proporre l'esclusione dell'acqua dalla proposta di direttiva sull'aggiudicazione dei contratti di concessione proprio per tenere conto delle preoccupazioni espresse da tanti cittadini in merito alla possibile privatizzazione del servizio idrico;
   ad assumere iniziative dirette a modificare l'articolo 151 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in particolare il comma 2, lettera b) in modo da escludere gli affidamenti a società interamente pubbliche dal termine massimo di durata di trenta anni, assicurando così che queste gestioni non siano penalizzate dalle scelte tariffarie tese ad incentivare le aggregazioni societarie consentendo loro di finanziare in modo adeguato gli investimenti necessari;
   a escludere dall'assoggettamento al patto di stabilità interno, nel provvedimento che dovrà definire le modalità di applicazione dello stesso patto secondo quanto previsto dall'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, le società in house che hanno ricevuto l'affidamento nel settore dei servizi idrici;
   ad assumere iniziative dirette a garantire il monitoraggio e controllo a livello nazionale della qualità e potabilità dell'acqua, intervenendo anche, in particolare, sul controllo e sulla risoluzione dei casi, riguardanti molti comuni italiani, di contaminazione dell'acqua a causa dell'elevata concentrazione di arsenico, fluoruri e vanadio;
   ad assumere iniziative, anche normative, per definire indirizzi per la fissazione di tariffe eque e adeguate all'esigenza di salvaguardare l'integrità della risorsa, strumenti e mezzi economici per gli investimenti necessari alla modernizzazione del ciclo delle acque, con particolare riguardo ai fini della tutela idrogeologica delle zone di produzione del bene in un quadro di ristoro dei servizi ecosistemici;
   a favorire, infine, l'informazione e la partecipazione dei cittadini alle scelte strategiche relative alla gestione pubblica dei servizi idrici integrati;
   ad approfondire e valutare l'ipotesi di separazione tra i costi di mantenimento ed investimento e quelli di gestione della rete, sulla scorta anche delle direttive dell'Unione europea, mediante il coinvolgimento di soggetti di investimento quali la Cassa depositi e prestiti, ad adottare una specifica disciplina fiscale che consenta la piena deducibilità dell'Iva e a rendere trasparenti le modalità di formazione dei prezzi di gestione e di acquisizione del bene, al fine di diminuire i costi all'utenza finale;
   ad avviare (sulla scorta anche di positive esperienze condotte in Paesi confinanti quale la Confederazione elvetica) una specifica campagna di educazione nazionale sul risparmio idrico, al fine di aumentare il grado di consapevolezza nell'opinione pubblica circa l'uso responsabile e limitato dell'acqua.
(7-00149) «Manfredi, Borghi, Mariani, Realacci, Braga, Bratti, Tino Iannuzzi, Cominelli, Zardini, Carrescia, Gadda, Marchi, Mazzoli».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    in Italia ci sono 55 inceneritori/termovalorizzatori, i cosiddetti impianti waste-to-energy, per la maggioranza progettati secondo la tecnologia a griglie, come d'altronde nel resto d'Europa. Sono vecchi e comunque inquinanti: più di otto su dieci hanno oltre dieci anni di vita;
    gli inceneritori, per il principio di conservazione della massa, oltre alle nanopolveri disperse nell'ambiente, producono scorie pari al 30 per cento del rifiuto trattato che vanno comunque smaltite e trattate spesso lontano dai luoghi di origine. Le ceneri prodotte dall'incenerimento sono altamente tossiche, costituiscono un terzo del peso dei rifiuti bruciati e vanno smaltite come rifiuti speciali pericolosi in discariche autorizzate al conferimento di tali specifiche tipologie di residui. Bruciando i rifiuti quindi non si elimina il problema delle discariche, ma se ne creano di nuove;
    la strategia più efficiente per incrementare rapidamente e consistentemente la raccolta differenziata è la raccolta domiciliare porta a porta. Andrebbe inoltre incrementato l'insieme di impianti di riciclo e rafforzato il mercato delle materie prime seconde da riciclo. Questa strategia, opportunamente affiancata ad altre misure che privilegino l'immediato riutilizzo del bene, apre le porte ad una filiera virtuosa del riciclo e comporta che i rifiuti differenziati possano sempre più rappresentare una fonte di reddito, lavoro, ricerca, a favore di imprese medio piccole, diffuse sul territorio, anche specializzate tecnologicamente;
    la tecnologia dell'incenerimento dei rifiuti è da sempre stata oggetto di fortissimo contrasto da parte di settori della ricerca scientifica, in particolare quelli della medicina ambientale e della medicina oncologica, essendo tali impianti ricompresi nell'allegato di cui decreto ministeriale 5 settembre 1994 (pubblicato su Gazzetta Ufficiale n. 220 del 20 settembre 1994) in attuazione dell'articolo 216 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265;
    l'incenerimento dei rifiuti è da sempre stato oggetto di interventi normativi incentivanti, come il regime cosiddetto CIP6 o attualmente quello dei certificati verdi, che hanno di fatto rappresentato un ostacolo concorrenziale che ha distorto e fortemente limitato sinora lo sviluppo delle pratiche e delle tecnologie legate alla riduzione dei rifiuti, alla raccolta differenziata, al riciclo e recupero di materia quali opzioni prioritarie nella scala gerarchica dei criteri di gestione dei rifiuti ex articolo 4 della direttiva 98/2008 CE sui rifiuti ed, espressamente richiamati anche dall'articolo 179 dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «norme in materia ambientale» cosiddetto testo unico Ambientale;
    l'Unione europea non chiede la realizzazione di nuovi inceneritori. Infatti facendo propria la Strategia europea per la difesa della biodiversità (COM(2011) 244 final), ed approvando la «relazione sulla revisione del sesto programma d'azione in materia di ambiente e la definizione delle priorità per il settimo programma» (P7–TA(2012)0147) il Parlamento europeo ha stabilito a più riprese che, nell'ambito di un'economia di scala e di ottimizzazione delle risorse, deve essere bruciato solo ciò che non è riciclabile e che l'incenerimento per la produzione di energia rappresenta comunque un metodo di gestione dei rifiuti più dispendioso rispetto alla riduzione, al riciclaggio e al riutilizzo e, riprendendo le direttive della Carta di Napoli del Movimento internazionale Zero Waste, indica la data del 2020 per la loro moratoria e la definitiva chiusura di discariche. Sarebbe incomprensibile ed antieconomico costruire impianti che presto si dovrebbero dismettere per indicazione della stessa Unione europea;
    lo stesso Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Andrea Orlando, ha dichiarato, in relazione all'emergenza Campania, il 23 settembre 2013, al Corriere del Mezzogiorno, di aver sollecitato soluzioni alternative ai termovalorizzatori e il 20 giugno 2013 a Repubblica-Napoli: «Naturalmente, se si trovano altre soluzioni non solo le vediamo positivamente ma le incoraggeremo anche»;
    sarebbe infine opportuno che negli accordi tra l'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ed Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) per la gestione e per il riciclo dei rifiuti da imballaggi, il corrispettivo ricevuto dai comuni da parte dei consorzi di filiera sia adeguato alle effettive operazioni poste in essere da questi ultimi, anche sulla base di criteri basati sulla effettiva riciclabilità degli imballaggi immessi in consumo e riducendo, per quanto possibile, ogni spesa di sistema,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a riconvertire i vecchi impianti di incenerimento in centri di compostaggio, riciclaggio ed impianti per il TMB (trattamento meccanico biologico) a freddo allo scopo di recuperare ulteriore materia da avviare a riciclo e non alla combustione (CDR e CSS) e per stabilizzare il restante, posto che questo tipo di impianti sono meno costosi, creano più occupazione ed hanno un impatto ambientale nullo;
   ad individuare sistemi premiali per la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani da parte dei comuni e delle società di erogazione di tali servizi, anche attraverso sistemi di tariffazione puntuali, al fine di raggiungere le percentuali di RD previste dalla legge;
   ad assumere iniziative per azzerare progressivamente le discariche, contestualmente disponendo una moratoria per i nuovi impianti di incenerimento e l'eliminazione di tutti gli inceneritori entro il 2020, attraverso la riconversione industriale verso impianti di riciclo e recupero di materia, come già previsto ai punti 12 e 33 della risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012, «Un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse»;
   a valutare complessivamente l'impatto che ciascun fattore antropico può produrre sull'ambiente, con particolare riguardo alla tecnologia, al lavoro, alla produzione di energia e all'urbanizzazione, sulla base dei principi e delle azioni che garantiscono benefici alla salute delle persone, come previsto dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute del 17-21 novembre 1986 (...);
   a garantire ai cittadini l'accesso alla giustizia, alle informazioni ambientali ed a tutte le fasi del processo decisionale autorizzativo per nuovi impianti di trattamento ed al monitoraggio degli impianti attualmente in esercizio, come già previsto dalla Convenzione di Aarhus del 26 giugno 1998.
(7-00150) «De Rosa, Gagnarli, Cecconi, Baldassarre, Colletti, Ferraresi, Catalano, Benedetti, L'Abbate, D'Uva, Parentela, Scagliusi, Sibilia, Liuzzi, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Paolo Nicolò Romano, Businarolo, Vignaroli, Mannino, Lorefice, Spessotto, Tofalo, Cozzolino, Terzoni».


   La X Commissione,
   premesso che:
    l'OCSE, per prima, nella raccomandazione del 26 maggio 1972 n. 128, ha formulato, a livello internazionale il principio «chi inquina, paga», affermando la necessità che all'inquinatore fossero imputati «i costi della prevenzione e delle azioni contro l'inquinamento come definite dall'Autorità pubblica al fine di mantenere l'ambiente in uno stato accettabile»;
    con la revisione del trattato di Roma ad opera dell'Atto unico europeo del 1987, il principio «chi inquina, paga trova definitivo riconoscimento nell'articolo 130, oggi articolo 174, quale principio fondamentale della politica comunitaria in materia ambientale»;
    nel 2010 la Commissione europea ha presentato una «Strategia europea per incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico» corredata da un piano d'azione che prevede, tra l'altro, di assicurare che i veicoli a propulsione elettrica siano sicuri come quelli a trazione endotermica, di promuovere norme comuni che consentano a tutti i veicoli elettrici di essere ricaricati ovunque sul territorio nazionale, di aggiornare le regole e promuovere la ricerca sul riciclaggio e la capacità delle batterie;
    a questa strategia sono seguite diverse iniziative tra cui:
     nel 2012, la presentazione del piano d'azione CARS 2020 volto a rafforzare la competitività e la sostenibilità dell'industria automobilistica italiana nella prospettiva del 2020;
     la creazione di un Osservatorio sulla mobilità elettrica che ha il compito anche di sviluppare raccomandazioni politiche e la piattaforma europea per l'elettrificazione dei trasporti di terra che comprende reti e imprese europee e ha l'obiettivo di promuovere investimenti nelle infrastrutture elettriche (veicoli a due ruote, autobus, metropolitana, ferrovie);
    la direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio istituisce un quadro per l'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli;
    il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155 ha attuato la direttiva 2008/50/CE in materia di qualità dell'aria allo scopo di ridurre l'inquinamento a livelli tali che limitino al minimo gli effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente;
    con il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 31 gennaio 2003 è stata recepita la direttiva 2002/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'omologazione dei veicoli a motore a due o tre ruote;
    il regolamento (CE) n. 443/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri;
    i princìpi di derivazione comunitaria possono ritenersi costituzionalizzati in considerazione del fatto che il nuovo articolo 117 della Costituzione prevede che i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dai princìpi generali su cui esso si fonda, devono essere osservati dallo Stato e dalle regioni;
    l'articolo 17-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 «Misure urgenti per la crescita del Paese», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, individua, tra le finalità del capo IV-bis del medesimo decreto, lo sviluppo della mobilità sostenibile, attraverso la sperimentazione e diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive, con particolare riguardo al contesto urbano, nonché l'acquisto di veicoli a trazione elettrica o ibrida;
    inoltre, l'articolo 17-septies al medesimo decreto-legge evidenzia come al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli minimi uniformi di accessibilità del servizio di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica debba essere redatto un Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica che ha ad oggetto la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica nonché interventi di recupero del patrimonio edilizio finalizzati allo sviluppo delle medesime reti;
    il Piano nazionale sopracitato prevede i seguenti obiettivi:
     obiettivo 2016 – 90.000 punti di ricarica accessibili al pubblico;
     obiettivo 2018 – 110.000 punti di ricarica accessibili al pubblico;
     obiettivo 2020 – 130.000 punti di ricarica accessibili al pubblico;
    la crisi energetica ed economica, gli oneri di manutenzione dei mezzi pubblici, il crescente inquinamento acustico e ambientale necessitano di soluzioni perseguibili attraverso una maggiore offerta del trasporto pubblico, il maggior riciclo possibile e l'utilizzo di veicoli a basse emissioni complessive,

impegna il Governo:

   ad adottare una politica industriale che, in conformità alle direttive, alle strategie e ai piani di azione europei in materia ambientale e di mobilità sostenibile, sostenga le imprese italiane per quanto riguarda la produzione, prototipazione, omologazione di veicoli elettrici, la conversione di veicoli da endotermici ad elettrici, nonché la ricerca e lo sviluppo nell'ambito che ruota attorno ai veicoli a basse emissioni;
   ad adottare misure che favoriscano e sostengano le piccole e medie imprese italiane per quanto riguarda la realizzazione, l'istallazione e l'omologazione dei kit di conversione ed i centri di prova italiani quali le università, i centri di ricerca e l'Enea;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative che regolino la riconversione elettrica o ibrida dei mezzi pubblici e privati, assumendo iniziative per l'estensione dell'applicazione dell'articolo 17 della legge n. 134 del 2013 a tutte le categorie di mezzi di trasporto, senza limiti di età, l'omologazione dei veicoli, trasformati e dei kit di conversione e che sostengano la qualificazione degli operatori e professionisti italiani impiegati sia nella produzione che nei servizi che operano nelle filiere della mobilità elettrica;
    a stimolare le case automobilistiche italiane a progettare mezzi di trasporto che durante la loro vita possano essere convertibili;
    a programmare iniziative per il recupero di realtà produttive e del terziario potenzialmente convertibili;
    a destinare compatibilmente con la normativa europea in materia di aiuti di Stato fondi che consentano alle aziende italiane di attuare progetti di conversione elettrica e/o ibrida e di omologazione;
    a sostenere tutte le realtà imprenditoriali italiane che si occupano della realizzazione di sistemi di diagnostica in rete per la gestione degli interventi di manutenzione predittiva e di assistenza;
    a stimolare i settori della ricerca e dello sviluppo relativamente alla produzione e al riciclaggio delle batterie nonché alla creazione di ulteriori smart grid e all'attuazione di sistemi di gestione G2V e V2G (V= vehicle, G= grid, 2= verso).
(7-00151) «Mucci, Crippa, Da Villa, Catalano, Cristian Iannuzzi, Prodani, Rizzetto».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la recente diffusione del batterio Xylella fastidiosa avvenuta in una vasta area della zona ionica-leccese sta mettendo a rischio la sopravvivenza di migliaia di ulivi salentini causando il disseccamento rapido delle piante;
    negli approfondimenti svolti fino ad oggi dall'Osservatorio fitosanitario regionale in collaborazione con gli enti di ricerca locali e nazionali, è emersa la necessità di circoscrivere la zona interessata – pari a circa 8 mila ettari – e di vietare la movimentazione di tutto il materiale vegetale vivo infetto dalle aree interessate, escluso le olive da tavola e quelle per l'estrazione dell'olio, posto che le acquisizioni scientifiche escludono una qualsivoglia correlazione tra la presenza della malattia nella pianta e la qualità del frutto;
    ulteriori misure da adottare a breve termine riguardano l'effettuazione di drastiche potature e la bruciatura in loco dei residui e il disseccamento il loco della parte legnosa tagliata prima di effettuare il trasporto del materiale al di fuori dell'area infetta;
    al fine di prevenire il fenomeno sono state già individuate azioni preventive da effettuare sulle piante sane quali l'adozione di pratiche agronomiche di lavorazione del terreno per consentire il miglioramento dello stato vegetativo delle piante e per eliminare le erbe infestanti che possono fungere da serbatoio del batterio per gli insetti vettori;
    in questi giorni la questione dell'epidemia di Xylella fastidiosa è stata portata all'attenzione del Governo nazionale, con la convocazione del Comitato fitosanitario nazionale al fine di predisporre un piano per gestire tale emergenza fitosanitaria;
    la rilevanza economica della olivicoltura pugliese e della provincia di Lecce in particolare, fa si che il sistema della ricerca, le istituzioni scientifiche, gli enti pubblici e le organizzazioni professionali dei produttori siano tutti interessati alla individuazione delle cause della epidemia e alla ricerca di soluzioni che consentano di contenere i danni e prevenire eventuali contaminazioni;
    la collaborazione tra i preposti uffici regionali e altri soggetti locali quali le istituzioni provinciali, il Dipartimento di Scienze del suolo e della pianta e degli alimenti dell'università di bari, l'istituto di virologia vegetale i Bari, il consorzio di difesa delle produzioni intensive della provincia di Lecce, lo IAMB di Valenzano e le organizzazioni pubbliche e private della provincia di Lecce, si è rivelata molto proficua nell'individuazione del problema e delle possibili soluzioni e che pertanto è auspicabile il proseguimento delle attività intraprese,

impegna il Governo:

   a predisporre tutte le misure necessarie a risolvere il complesso del disseccamento rapido dell'olivo;
   a coinvolgere attivamente le istituzioni e gli enti di ricerca menzionati in premessa in considerazione della proficua sinergia già messa in atto per risolvere positivamente un fenomeno che, data la rilevanza del settore olivicolo locale, si configura come interesse collettivo e non soltanto dei produttori e conduttori di oliveti.
(7-00148) «L'Abbate, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   CORSARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è stata approvata dalle Camere la legge 25 giugno 2013, n. 71, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e le realizzazioni degli interventi per Expo 2015. Trasferimento di funzioni in materia di turismo e disposizioni sulla composizione del CIPE»;
   il terzo comma dell'articolo 6-decies del decreto-legge n. 43 del 2013 del 25 giugno 2013 prevede che le modifiche statutarie agli statuti delle camere di commercio italo estere, per entrare in vigore, richiedono la approvazione del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero degli affari esteri e per non lasciare adito a dubbi circa la data di effettiva vigenza di tale norma, che rientra fra i pochissimi ma legittimi casi di norma ad effetto retroattivo, la legge prevede che si intendono approvati gli statuti vigenti al 31 dicembre 2012 previo esame dei citati ministeri (il «previo» ad avviso dell'interrogante deve intendersi «salvo» poiché in caso di interpretazione letterale si determinerebbe un vuoto normativo nei regolamenti interni delle camere di commercio italo estere e questa interpretazione sarebbe quindi illogica ed inapplicabile rientrante fra le categorie interpretative che secondo i principi e le norme dell'ordinamento giuridico italiano anche per costante giurisprudenza in merito della Corte di cassazione, sono da ritenersi illegittime);
   nel corso dell'ultima assemblea della camera di commercio italo-araba tenutasi il 18 giugno 2013 sono state apportate alcune modifiche statutarie, per la ragione appena esposta, si deve concludere che tali modifiche non sono entrate in vigore e quindi non è entrata in vigore la norma transitoria che con queste modifiche è stata approvata, in base alla quale sono stati dichiarati decaduti gli organi statutari che sarebbero, a norma dell'articolo 19 dello Statuto, dovuti restare in carica ancora per 3 anni e ne sono stati eletti dei nuovi (la cui composizione è ora pubblicata nel sito istituzionale della Camera Italo Araba). Peraltro, non pare vi sia alcun dubbio circa il fatto che il consiglio di amministrazione e gli altri organi statutari della camera di commercio italo araba che oggi sono legalmente in carica sono quelli che erano in carica prima dell'assemblea del 18 giugno 2013;
   il comma 2 dell'articolo 6-decies del succitato decreto-legge 43 del 2013 recita: «I soggetti titolari d'incarichi negli organi statutari sia monocratici che collegiali delle camere di commercio italo-estere o estere in Italia non possono restare in carica per più di due mandati consecutivi, riferiti non solo alla permanenza in una specifica carica, ma alla permanenza nei suddetti organi anche in presenza di variazione di carica. I soggetti che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto hanno superato il limite temporale di cui al primo periodo sono dichiarati decaduti con decorrenza dalla predetta data, senza necessità di alcun altro atto, e si procede alla loro sostituzione secondo le norme dei rispettivi statuti», rende illegittimo l'attuale vertice, il cui presidente Marini ha ricoperto l'incarico consecutivamente per più di 30 anni e poi, in prosecuzione temporale senza alcuna soluzione di continuità ha svolto il ruolo di segretario generale e molti dei consiglieri attuali hanno abbondantemente superato il limite dei 2 mandati;
   tali dati sono a conoscenza del Ministero dello sviluppo economico in quanto l'articolo 4 del decreto 15 febbraio 2000, n. 96 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 94 del 21 aprile 2000) prevede un obbligo di informazione delle Camere italo estere al Ministero. Recita infatti la norma: «Le Camere di commercio iscritte all'albo comunicano al Ministero del commercio con l'estero le informazioni utili affinché il Ministero stesso valuti la sussistenza del possesso dei requisiti e eventualmente provveda a revocare l'iscrizione. In particolare, esse informano con comunicazione del legale rappresentante: entro trenta giorni dalla variazione, sulla sede, sugli amministratori, sul benestare succitato, sui servizi alle imprese, sulle modifiche statutarie (da documentare con copia autenticata) –:
   in considerazione del perdurante stato di illegittimità del vertice della camera di commercio italo-araba scaturito del fatto che la legge 71 del 2013 è chiarissima e dichiara la decadenza «senza bisogno di alcun altro atto» dei soggetti che ricoprono incarichi statutari per più di due mandati, quali iniziative si intendano assumere per ristabilire la legittimità degli organi della suddetta camera di commercio. (4-02368)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il cittadino italiano Manolo Pieroni, trasferitosi in Colombia nell'aprile 2010 per intraprendere un'attività di ristorazione, è detenuto in quel Paese da oltre due anni;
   il giorno 8 luglio 2011, infatti, il Signor Pieroni, che si trovava all'aeroporto di Cali per rientrare in Italia a causa di problemi familiari, prima dell'imbarco è stato chiamato per una perquisizione;
   una volta identificata la propria valigia il giovane si era accorto che essa era stata chiusa con un lucchetto non di sua appartenenza, e quando la stessa è stata forzata e aperta da parte della polizia, al suo interno sono stati rinvenuti 7 chilogrammi di cocaina nascosti tra i vestiti;
   tale metodo viene definito «mula involontaria» ed è utilizzato dalle bande criminali colombiane per esportare in Europa ingenti quantità di droga, all'insaputa del proprietario della valigia;
   in seguito al rinvenimento della droga il giovane fu immediatamente arrestato, privato del diritto di difesa, non in grado di comprendere il contenuto della documentazione in lingua spagnola, e, infine, portato nel carcere «Villa las Palmas», in Palmira, dove è attualmente ancora detenuto;
   in fase processuale il giovane è stato trasferito a Buga dove è stata emessa la condanna a 20 anni;
   durante la sua permanenza in custodia delle autorità colombiane gli sono sia state rifiutate visite consolari, sia negati gli aiuti umanitari che periodicamente richiede al consolato –:
   se il Ministro sia informato di quanto riportato in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere affinché siano tutelati i diritti, sia sotto il profilo personale che sotto quello giudiziario, del nostro concittadino. (4-02367)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI, PETITTI e GOZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo la raccomandazione della Commissione europea del 13 giugno 2007, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L. 159/45, il commercio illegale di esemplari delle specie contemplate dal regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, del 9 dicembre 1996 (che attua la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES) firmata a Washington il 3 marzo 1973) «causa gravi danni alle popolazioni di specie selvatiche, riduce l'efficacia dei programmi di gestione relativi, indebolisce il commercio legale e sostenibile e minaccia lo sviluppo sostenibile, in particolare nelle economie in via di sviluppo di molti paesi produttori»;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell'articolo 8 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, cura l'adempimento della CITES;
   nel 2001 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato un decreto (decreto del Ministero dell'ambiente 3 maggio 2001 in materia di detenzione degli esemplari di specie animali e vegetali) che istituisce l'obbligo di registrare le movimentazioni di flora e fauna, che è stato seguito da un secondo decreto nel 2002 [decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 gennaio 2002 (registro di detenzione)];
   a seguito di alcune difficoltà di applicazione fatte presenti dalle Associazioni di categoria e dal Corpo forestale dello Stato, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato il decreto 5 ottobre 2010 che modifica il decreto ministeriale 8 gennaio 2002. Il decreto di modifica, in particolare, ha introdotto l'esenzione dalla tenuta del registro per i detentori di esemplari appartenenti a specie di uccelli incluse nell'Allegato B del Reg. CE 338/97, facilmente e comunemente allevate ed incluse nell'allegato 1 del decreto in parola, purché marcati secondo le modalità conformi alle disposizioni di cui all'articolo 66, comma 2, del Regolamento CE 865/2006;
   il suddetto elenco è stato modificato ed ampliato con il decreto 8 aprile 2011;
   in Italia le norme e le sanzioni Cites sugli animali in via di estinzione non distinguono quelli selvatici da quelli nati in cattività, la cui provenienza lecita è garantita tramite microchip o anello («marcaggio»);
   con la raccomandazione del 13 giugno 2007 la Commissione europea ha indicato agli Stati membri le linee guida sulla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio. Essa prevede che gli Stati membri debbano adottare provvedimenti adeguati per garantire che siano irrogate sanzioni per le infrazioni commesse (a norma dell'articolo 16 del regolamento (CE) 338/97) adeguate alla natura e alla gravità delle stesse, allo scopo di combattere il commercio illegale;
   nonostante il 16 giugno 2011, in sede di risposta all'interrogazione 5-03950 Gozi, il rappresentante del Governo condividesse la necessità di «rimodulare le sanzioni attualmente previste dall'articolo 5, comma 6, della legge n. 150 del 1992 in misura della gravità decrescente delle violazioni» e affermasse che «il Ministero dell'ambiente sta operando in tal senso» tali sanzioni – che vanno da 3.098,00 a 9.296,00 euro – continuano ad applicarsi perfino agli errori amministrativi legati al registro di detenzione (3.098,00 euro per qualsiasi errore di questo tipo) – in violazione delle norme vigenti ed in particolare della raccomandazione (UE) del 13 giugno 2007, considerando nn. 5 e 6 – mentre il problema rappresentato dal mercato nero, responsabile per l'80 per cento del commercio illegale e stimato in 5 miliardi di euro, non è affrontato in un modo adeguato;
   l'Italia rimane così l'unico Stato membro che non si è ancora adeguato alla raccomandazione della Commissione del 2007;
   per applicare la CITES, ratificata in Italia con legge 19 dicembre 1975, n. 874, i Governi che l'hanno sottoscritta hanno istituito, all'interno dei ministeri competenti, gruppi di lavoro con membri del mondo associativo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere urgentemente iniziative dirette alla rimodulazione delle sanzioni previste dall'articolo 5, comma 6, della legge n. 150 del 1992 in misura della gravità decrescente delle violazioni;
   se il Ministro interrogato non ritenga, sulla base delle istanze delle associazioni di categoria, di procedere all'ampliamento del numero delle specie per le quali vige l'esenzione dall'obbligo di registrare la movimentazione e alla realizzazione in tempi rapidi di un sistema di marcatura, capace di assicurare la tracciabilità in tempo reale delle operazioni commerciali, ma al tempo stesso capace di sollevare gli operatori economici da gravosi vincoli burocratici;
   se il Ministro interrogato intenda includere, in seno alla Commissione scientifica CITES presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un numero congruo di rappresentanti del mondo associativo e non profit specializzati e realmente operativi nel settore di fauna e flora. (5-01346)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOCATELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la diga sul torrente Alaco, situata nel territorio delle province di Catanzaro e Vibo Valentia, ha rappresentato negli anni un caso esemplare di sprechi ed inefficienze: lavori infiniti, finanziamenti bloccati, costi lievitati a dismisura fino ad arrivare all'odierna cifra di 160 miliardi delle vecchie lire, a fronte dei 15 miliardi stimati nel 1970;
   oggi, le sue acque, che vengono utilizzate per il rifornimento idrico ad uso domestico di numerosi comuni del territorio, rappresentano un potenziale pericolo per la salute della popolazione;
   infatti, come riportato da diverse inchieste giornalistiche, tra le quali quella dal titolo «Acquaraggia» trasmessa da RAI 3 nel 2012 nell'ambito del Programma Crash, l'invaso della diga, di per sé non idoneo ai contenimento di acqua da destinarsi a potabilizzazione per la presenza di alti tassi di ferro e manganese, non è stato mai bonificato adeguatamente;
   il materiale che vi era presente prima del suo riempimento — legname ma anche rifiuti di ogni tipo — non è mai stato rimosso. Non è un caso, quindi, se i valori di ammoniaca, cloriti e batteri siano spesso oltre i limiti di legge;
   numerosi sono gli abitanti della zona, nel corso del tempo, hanno denunciato strani traffici di camion carichi di materiale di natura non nota che veniva depositato nell'invaso prima del suo riempimento;
   tale circostanza è stata, nel frattempo accertata, risultando essere dei camion di proprietà dell'azienda Coccimiglio S.n.C di Amantea di Cesare Coccimiglio, che è stato rinviato a giudizio dal g.u.p di Paola (CS) per aver interrato rifiuti tossici/radioattivi nella valle del fiume Oliva;
   malgrado le criticità evidenziate, molte amministrazioni comunali hanno deciso di mantenere la potabilità dell'acqua nei loro rispettivi comuni. Si è assistito persino in passato ad un'ordinanza del sindaco del comune di Simbario che ha dichiarato le acque provenienti dalla diga non utilizzabili per uso alimentare;
   a tutt'oggi, nulla sembra essere cambiato, nonostante il sequestro preventivo dell'invaso disposto il 17 maggio 2012 dalla procura di Vibo Valentia, la quale ha inoltre emesso 26 avvisi di garanzia per avvelenamento colposo di acque verso i vertici e dirigenti di So.Ri.Cal., società, oggi in liquidazione, che ha gestito l'invaso;
   la popolazione delle Serre calabre, in tanta incertezza, ancora oggi si serve delle fontanelle sparse per i boschi per bere e per cuocere i cibi, mentre usa l'acqua dell'acquedotto per usi igienici –:
   se non si ritenga urgente e necessario, stante l'evidente pericolo per la salute pubblica, intervenire con tutti gli strumenti necessari, anche promuovendo verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e del Comando carabinieri per la tutela della salute, al fine di accertare la situazione attuale per quanto riguarda la potabilità dell'acqua proveniente dalla diga sul torrente Alaco e se la stessa contenga o no, allo stato attuale, tracce di metalli e di sostanze tossiche o radioattive;
   nel caso tali accertamenti dovessero dare esito positivo, come si intenda intervenire affinché sia immediatamente messa in salvaguardia la salute pubblica.
(4-02359)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, in materia di riduzione dei costi degli apparati amministrativi prevede, al comma 2, che «...la partecipazione agli organi collegiali che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche e la titolarità di tali organi può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già previsti i gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera»;
   nel prevedere le esclusioni dall'applicazione della suddetta normativa è stato omesso il riferimento ai presidenti degli enti parco; pertanto con il comma 309 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) si è stabilito che a decorrere dal 1o gennaio 2013, le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 non si applichino ai presidenti degli enti parco nazionali di cui all'articolo 9, comma 2, lettera a), della legge 6 dicembre 1981, n. 394 (legge quadro sulle aree protette);
   per la copertura della maggiore spesa, la legge di stabilità decideva di allocare un milione di euro aggiuntivi; si segnala che in sede di approvazione della norma, la copertura del suddetto stanziamento è stata realizzata attraverso la riduzione di pari importo del neo-costituito e riccamente dotato, fondo di locazione degli immobili di cui al comma 139 dell'articolo 1, della legge di stabilità 2013;
   risulterebbe all'interrogante che ad oggi queste risorse aggiuntive non siano mai state trasferite ai parchi nazionali, né che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia mai fatto una comunicazione al riguardo; la norma appare del tutto disattesa e occorre capire anche se il Ministero dell'economia e delle finanze (titolare del citato fondo di locazione) abbia trasferito la somma ed adottato le occorrenti variazioni di bilancio –:
   se trovi conferma il mancato trasferimento delle risorse di cui al comma 309 dell'articolo 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) ai parchi nazionali;
   se trovi conferma che i parchi stiano provvedendo, in assenza del trasferimento di cui alle premesse, a liquidare le spettanze dovute utilizzando altri fondi in dotazione;
   se non ritenga di dover tempestivamente ripartire e trasferire ai parchi dette risorse;
   quali modalità di ripartizione intenda adottare, considerata l'esiguità della somma e i diversi aventi diritto.
(4-02360)


   TERZONI, AGOSTINELLI, CECCONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TOFALO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'inceneritore del COSMARI situato nel comune di Tolentino in località Piane del Chienti è ad oggi l'unico inceneritore di rifiuti urbani delle Marche. L'impianto di incenerimento del consorzio ha una potenzialità di 250 tonnellate/giorno, secondo progetto, ed una produttività effettiva di 220 tonnellate/giorno;
   il Consorzio del COSMARI gestore del suddetto impianto è stato fondato con decreto prefettizio prot. n. 3752/1 del 20 ottobre 1976 da alcuni comuni del maceratese con la finalità di organizzare «il servizio di trasporto e smaltimento dei rifiuti provenienti dai servizi della nettezza urbana dei Comuni aderenti» e dal 1° febbraio 1995 ha attivato l'impianto di selezione e trattamento dei rifiuti;
   in questi anni di attività sono stati numerosi gli episodi di criticità ambientale, da ultimo quelli relativi agli sforamenti di diossine e furani accertati dagli organi competenti (ARPAM);
   in particolare in data 30 giugno 2010, 17 novembre 2010 (vedasi il protocollo ARPAM n. 0000971 dell'11 gennaio 2011) e in data 28 novembre 2011, 29 novembre 2011, 30 dicembre 2011 (vedasi il protocollo ARPAM n. 0007072 del 24 febbraio 2012) ed infine in data 17 luglio 2013 (vedasi il protocollo ARPAM n. 0029372 del 6 agosto 2013);
   tali sforamenti, che nel 2011 e nel 2013 hanno comportato il fermo tecnico dell'impianto, hanno superato di 7-8 volte il limite di legge;
   a questo si aggiunga l'emissione di micro e nano particelle attualmente non rilevabili tramite la strumentazione in dotazione agli organi istituzionali competenti;
   questi episodi hanno rappresentato un accertato rischio di inquinamento della matrice atmosfera e quindi per la salute della popolazione residente;
   gli ultimi sforamenti hanno costretto la chiusura dell'inceneritore avvenuta con delibera dell'assemblea del 4 settembre 2013 –:
   se i Ministri siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla luce dell'attività pluriennale dell'inceneritore, non ritenga opportuno, nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali, disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al comando carabinieri per la tutela dell'ambiente (CCTA), per verificare e quantificare se ci siano stati o meno danni per l'ambiente e quindi rischi per la salute della popolazione residente nell'area di ricaduta degli inquinanti prodotti dall'inceneritore del COSMARI. (4-02361)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPARINI e BORGHESI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Teatro alla Scala, tempio della lirica e del balletto e il Piccolo Teatro di Milano, primo stabile italiano, fondato da Giorgio Strehler e Paolo Grassi nel 1947 sono eccellenze a livello mondiale;
   il 19 ottobre 2013 si è svolto un breve vertice: il presidente della regione Lombardia Roberto Maroni con l'assessore regionale alle culture, identità e autonomie Cristina Cappellini hanno incontrato il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del Governo Letta, Massimo Bray, a margine di un convegno sul decreto cultura in corso alla Fondazione Cariplo;
   il presidente Maroni ha sottolineato che non è possibile pensare che il Piccolo e la Scala chiudano in quanto sono «specificità così particolari che devono essere tutelate con provvedimenti ad hoc. Abbiamo chiesto al Ministro che venga studiata una norma specifica e lui si è detto disponibile a lavorare. Se poi dovesse anche servire di intervenire presso le autorità europee, non ho dubbi che il presidente Letta lo farà»; il difficile momento che ha investito i due templi milanesi della cultura, secondo il Presidente Maroni «può essere l'occasione per realizzare un intervento definitivo che riguardi anche la governance, il finanziamento, il controllo e altri aspetti». «Se serve anche una nuova legge — ha aggiunto Maroni — è l'occasione giusta per farla. Continueremo a discutere con il ministro e valuteremo tutte le possibilità, le opportunità, le cose utili da fare. La regione Lombardia è disponibile a giocare la sua parte, l'importante è trovare una soluzione non ideologica e molto concreta: decidiamo chi fa che cosa, chi mette i soldi e come vengono governati gli enti». «Però — ha concluso il presidente — dobbiamo fare alla svelta e arrivare a una soluzione che garantisca agli enti la prosecuzione della loro attività, cosa che oggi è a rischio. Noi abbiamo lanciato l'allarme, il ministro Bray lo ha recepito e sono sicuro farà tutto il possibile, affinché si possa arrivare a una risoluzione della questione»;
   a margine del colloquio tra il presidente della regione Lombardia Roberto Maroni e il Ministro Massimo Bray, alle parole del governatore hanno fatto eco quelle dell'assessore regionale alle culture, identità e autonomie Cristina Cappellini, presente all'incontro. «Ancora una volta abbiamo avuto modo di ribadire la necessità di salvaguardare le eccellenze di Piccolo e Scala — ha precisato l'assessore —, ma anche di affrontare tutta una serie di problematiche che riguardano la cultura a livello territoriale». L'assessore Cappellini ha informato che il Ministro «si è detto disponibile», ma ha anche sottolineato «che, adesso, alle parole devono seguire i fatti nel più breve tempo possibile». «Le preoccupazioni restano — ha concluso — nei prossimi giorni ci saranno altri contatti fra Ministero e regione, speriamo che questi problemi possano essere risolti nel minor tempo possibile» –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per salvaguardare il Teatro alla Scala e il Piccolo di Milano. (5-01350)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, DELL'ORCO, SEGONI, SPADONI, DE ROSA, TOFALO, TERZONI e SARTI. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   il 20 maggio 2012 un violento terremoto di magnitudo 5,9 della scala Richter ha colpito ampie zone del nord d'Italia, causando ingenti danni in molte città e paesi, in particolare in prossimità dell'epicentro, soprattutto nelle province di Modena e Ferrara in Emilia Romagna;
   tale tragedia, da considerarsi «catastrofe naturale grave» ha provocato 27 morti, circa 350 feriti e oltre 450 mila sfollati;
   l'importo dei danni diretti totali è stato stimato in oltre 13 miliardi di euro, cifra che eccede di quasi quattro volte la soglia applicabile all'Italia nel 2012 per la mobilitazione del Fondo di solidarietà, pari a 3,6 miliardi di euro;
   a seguito della richiesta di mobilitazione del Fondo di solidarietà dell'Unione europea, presentata dall'Italia, gli Stati membri dell'Ue, su forte pressione del Parlamento europeo, hanno raggiunto un accordo per finanziare gli aiuti nell'ambito del bilancio generale dell'UE fissato per l'esercizio 2012;
   in data 19 dicembre 2012 la Commissione ha versato all'Italia un importo pari a 670,2 milioni di euro in stanziamenti di impegno e di pagamento nell'ambito del Fondo di solidarietà dell'Ue per le vittime del terremoto in Emilia;
   di questi 670 milioni, 550 vengono utilizzati sotto la diretta responsabilità dell'amministrazione regionale dell'Emilia Romagna e sono destinati alla creazione di alloggi provvisori e al ripristino delle infrastrutture di base;
   le autorità italiane sono autorizzate ad impiegare il contributo finanziario del fondo di solidarietà per interventi di urgenza, conformemente all'accordo di attuazione concluso tra l'Italia e la Commissione, entro un anno a decorrere dal suddetto accordo, vale a dire fino al dicembre 2013;
   è di questi giorni la notizia che, a causa di ritardi nella conclusione dei progetti, solo il 70 per cento del contributo finanziario per l'Emilia sarà effettivamente utilizzato dai comuni entro la scadenza imposta da Bruxelles, mentre il restante 30 per cento, pari a circa 150 milioni di euro, dovrà essere restituito entro il mese di dicembre;
   nonostante le reiterate richieste da parte dei comuni di ottenere una dilazione dei tempi per realizzare tutti gli interventi necessari, il commissario europeo per la politica regionale Johannes Hahn si è espresso in maniera contraria a una eventuale proroga per l'utilizzo dei contributi comunitari, esprimendo la propria insoddisfazione nel caso in cui l'Italia non riuscisse ad utilizzare questi fondi nei termini stabiliti –:
   se la notizia riportata dai quotidiani italiani in merito ad una perdita di risorse comunitarie pari al 30 per cento del fondo di solidarietà stanziato per l'Emilia risponda a verità e se il Ministro interrogato possa fornire ulteriori dettagli sull'attuale stato di utilizzo del suddetto contributo finanziario e, eventualmente, sulle ragioni della ridotta capacità di spesa del fondo da parte dell'Italia, chiarendo la sua posizione in merito alle preoccupazioni espresse del commissario Hahn sul possibile ritardo del nostro Paese nell'utilizzo effettivo dei contributi dell'UE entro il mese di dicembre 2013. (5-01340)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CORDA, ARTINI, ALBERTI, BASILIO, FRUSONE, RIZZO, PAOLO BERNINI, GALLINELLA e COLONNESE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 ottobre 2013 il Capo di Stato Maggiore della difesa ammiraglio Luigi Binelli Mantelli avrebbe inaugurato la base militare italiana di Gibuti;
   secondo le dichiarazioni dello stesso ammiraglio si tratterebbe della prima, vera base logistico operativa fuori dai confini nazionali, una infrastruttura di ben 5 ettari di superficie che ospita i primi cento militari che saliranno a trecento entro la fine dell'anno quando la base sarà pienamente operativa;
   sempre secondo queste dichiarazioni la base sarà il quartier generale dei marò impegnati nella protezione dei cargo dagli attacchi dei pirati ma anche la base di team di forze speciali pronti a vari tipi di interventi, dall'antiterrorismo alla liberazione di ostaggi;
   attualmente il comando della base sarebbe affidato a un colonnello, grado evidentemente troppo elevato per essere un semplice un punto di appoggio logistico;
   nella risposta ad una precedente interrogazione, il sottosegretario Gioacchino Alfano aveva affermato testualmente che la base sarebbe servita a ospitare «personale militare costantemente pronto all'imbarco e all'impiego, nonché della connessa e necessaria struttura info-operativa, di supporto e di sicurezza, destinata ad assicurare una complessiva maggiore efficacia delle azioni di contrasto» al fenomeno della pirateria;
   nessun cenno invece alla programmata presenza di unità delle forze speciali, come invece lascia intendere l'ammiraglio Binelli Mantelli e come si evince dal numero di 300 militari presenti a Gibuti, considerando che i nuclei militari di protezione della marina militare sono una decina e sono composti da sei uomini ciascuno –:
   se risponda al vero che la base di Gibuti sia stata effettivamente inaugurata, che vi operino già un centinaio di militari italiani e se risponda a verità che sia destinata a ospitare entro la fine del 2013 circa 300 militari italiani;
   se sia vero che sia attualmente al comando di un colonnello e a chi sarà affidato il comando stesso quando raggiungerà la sua piena operatività;
   se risponda a verità che vi saranno stanziati, oltre a uomini dei nuclei di protezione dei mercantili, anche unità delle forze speciali italiane;
   chi abbia, nel caso, autorizzato l'impiego nell'area di questi reparti e con quali finalità;
   se il Governo non reputi urgente e necessario sottoporre al Parlamento la ratifica dell'accordo tra la Repubblica del Gibuti e la Repubblica Italiana affinché il Parlamento sia edotto dei costi dell'operazione, dei termini di cessione all'Italia di parte del territorio di Gibuti e lo status della base. (5-01356)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane, con riguardo al completamento della superstrada Terni-Rieti, l'ANAS ha presentato, in sede di conferenza di servizi, delle modifiche ai progetti esistenti cambiando in modo sostanziale l'assetto dell'ultimo tratto mancante di detta arteria, vale a dire quello di circa 800 metri tra Pie’ di Moggio e l'ingresso della galleria di Colli sul Velino;
   tale modifica cancellerebbe non solo il sistema di svincoli previsti per il comune di Rivodutri, ma anche le altre uscite, originariamente previste, per collegare a detta arteria gli altri comuni limitrofi del reatino;
   questo nuovo assetto progettuale escluderà dai benefìci della nuova arteria autostradale buona parte del territorio reatino sul quale si è investito molto sul piano economico e turistico in particolare;
   le modifiche presentate dall'ANAS, che prevedono la realizzazione di svincoli all'altezza dell'Eco di Piediluco, non sembrerebbero essere soddisfacenti né sotto il profilo funzionale, né sotto quello ambientale;
   le popolazioni interessate, per il tramite degli enti provinciali di Terni e Rieti si sono apertamente opposte a tale soluzione, bloccando le procedure di appalto dei lavori per il completamento degli ultimi 800 metri;
   esisterebbero delle soluzioni progettuali alternative, meno impattanti sul territorio e già redatte dalla Provincia di Rieti, sulle quali potrebbero convergere le determinazioni dell'ANAS e delle altre istituzioni coinvolte, permettendo così di completare un'opera infrastrutturale di grande importanza per questo territorio –:
   di quali informazioni siano in possesso in ordine ai fatti di cui in premessa;
   se non reputino necessario sollecitare l'ANAS e le altre istituzioni statali per chiarire quali misure essi intendano adottare al fine di individuare un progetto condiviso da tutti gli enti coinvolti;
   se non reputino necessario nell'ambito delle proprie competenze di vigilanza e controllo, sollecitare la stessa ANAS affinché chiarisca i criteri utilizzati nella progettazione di detto tratto dell'autostrada Rieti-Terni e adotti iniziative che possano facilitare una più fluida e leale collaborazione tra gli enti coinvolti al fine di rendere possibile il completamento dell'opera in tempi ragionevoli. (4-02364)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 16 ottobre 2013, come ha reso noto il sindacato delle guardie penitenziarie Sappe, un detenuto di origine straniere recluso nella 3/a sezione del carcere di Lucca, ha tentato di impiccarsi nella propria cella. Solo grazie all'intervento del personale di polizia penitenziaria è stato evitato il peggio;
   negli ultimi due mesi sono ben quattro i reclusi del carcere di Lucca ad aver tentato il suicidio, salvandosi grazie all'estrema professionalità della polizia penitenziaria che opera con abnegazione e sacrificio in condizioni di lavoro stressanti e di estremo disagio;
   dal 5 agosto al 15 ottobre del 2013 si è registrata, presso la casa circondariale di Lucca, una lunga serie di accadimenti negativi che hanno visto protagonisti i detenuti, con aggressioni, violenze, proteste, fino ad atti di autolesionismo anche estremi;
   la casa circondariale di Lucca è ospitata fin dall'epoca napoleonica all'interno del centro storico in un edificio risalente al XV secolo ed è in condizioni fatiscenti, con spazi inadeguati sia sul piano quantitativo che qualitativo;
   il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria toscana, presentando lo scorso 15 luglio 2013 in Consiglio regionale il bilancio dell'attività 2012 svolta dal garante toscano dei detenuti, ha avuto modo di rimarcare come la Casa circondariale di Lucca sia una struttura inadeguata;
   la situazione del carcere San Giorgio non è l'unica: nell'intera regione Toscana c’è un'emergenza carceri, come del resto in tutto il Paese. Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale – il 30 settembre ha reso noti i dati relativi ai detenuti presenti e alla capienza regolamentare degli istituti penitenziari. I 18 istituti toscani, a fronte di una capienza prevista di 3.259 detenuti registrano 4.185 detenuti effettivi;
   la maggior parte degli istituti, come il San Giorgio di Lucca, non rispondono agli standard previsti dalle normative vigenti e versano in cronica inadeguatezza per quanto attiene al numero del personale (educatori, assistenti sociali e polizia penitenziaria),
   strutture sorte secoli fa con altre destinazioni d'uso, come ad esempio a Lucca o Siena, non possono consentire una dignitosa attività di detenzione e recupero senza – quantomeno – una seria opera di ristrutturazione di quelle realtà in grande deficit –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per limitare gli episodi di violenza che sempre più frequentemente si verificano nella casa circondariale di Lucca, arginate dal personale della polizia penitenziaria in condizioni di rischio e di precarietà, così come denunciato più volte dalle organizzazioni sindacali;
   quali provvedimenti intenda adottare per porre gli agenti delle forze dell'ordine in servizio presso l'istituto di detenzione nelle condizioni di operare in sicurezza, verificando anche la corretta gestione, l'efficienza, l'operatività e la reale rispondenza alle attuali necessità dell'istituto dei vertici della struttura di gestione;
   quali iniziative intenda prendere al fine di superare definitivamente il degrado e la totale inadeguatezza della struttura lucchese, che non risponde alle esigenze di una popolazione carceraria che vive da tempo in condizioni critiche. (5-01343)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE MICHELI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A21, che collega Torino con Brescia attraverso la pianura Padana, è gestita dalla Autostrade Centropadane nel tratto compreso tra Piacenza e Brescia;
   nel piano finanziario allegato alla convenzione oggetto di gara per l'affidamento della costruzione e gestione dell'autostrada A21 Piacenza-Brescia, è previsto il completamento degli interventi già avviati dalla Autostrade Centropadane, la cui convenzione è scaduta il 30 settembre 2011 ed è stata successivamente prorogata per 24 mesi, al solo fine di assicurare la gestione delle infrastrutture autostradali, senza la possibilità di effettuare nuovi investimenti;
   la procedura di gara per la scelta del nuovo concessionario è stata avviata dall'ANAS nel 2012, che non è più competente in materia, in quanto dal 1° ottobre 2012 le funzioni di concedente in materia di concessioni autostradali sono state trasferite alla struttura vigilanza concessionari autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   il relativo iter è tuttora in corso, essendosi conclusa la fase di pre-qualifica, e al momento si è in attesa della pronuncia del CIPE in merito allo schema di convenzione ed al piano finanziario, successivamente alla quale la procedura di gara proseguirà il suo corso –:
   quali azioni intenda intraprendere il Ministro per assicurare in tempi certi e rapidi il perfezionamento delle procedure di affidamento al fine di garantire l'effettuazione degli investimenti previsti e la certezza nella gestione dell'autostrada A21 Piacenza-Brescia. (5-01345)


   CATALANO, DE LORENZIS e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 60 della legge n. 120 del 2010 prevede che, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da emanare, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, siano definite le caratteristiche per l'omologazione e per l'installazione di dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici, di impianti impiegati per regolare la velocità e di impianti attivati dal rilevamento della velocità dei veicoli in arrivo (cosiddette «luci semaforiche intelligenti»);
   il termine per l'adozione del decreto è spirato il 12 ottobre 2010;
   il decreto non risulta tuttavia ancora adottato;
   nelle more dell'adozione del decreto alcuni comuni hanno proceduto autonomamente all'attivazione di «luci semaforiche intelligenti»;
   la situazione necessita urgentemente di una più chiara definizione normativa poiché in passato è stata stabilita in sede giurisdizionale l'illegittimità delle «luci semaforiche intelligenti» e, conseguentemente, delle sanzioni irrogate per il mancato rispetto dell'obbligo di arresto del veicolo (si veda ad esempio la sentenza della seconda sezione della Corte di Cassazione del 26 settembre 2007) –:
   quali siano state le cause della mancata adozione del decreto e quali iniziative si intendano assumere per garantire l'effettiva attuazione dell'articolo 60 della legge n. 120 del 2010. (5-01353)


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2013 l'azienda ha avviato una nuova procedura di mobilità per 226 lavoratori prima della conclusione dell'accordo annuale di gestione esuberi del 29 ottobre 2013 e senza aver presentato un piano industriale al Ministero dello sviluppo economico;
   il 24 settembre 2013, presso la sede del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è svolto l'incontro tra i sindacati e direzione aziendale di NSN alla presenza dell'amministratore delegato;
   l'incontro si è tenuto in quanto la multinazionale ha attivato la procedura di licenziamento per 226 addetti, non tenendo debitamente in conto che vi è un accordo in essere che scade il 31 ottobre 2013. L'intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha ribadito l'efficacia dell'accordo ministeriale dello scorso anno e quindi NSN ha dovuto prenderne atto;
   tale accordo risalente al 29 ottobre 2012, prevedeva una gestione della crisi attraverso l'utilizzo della Cassa integrazione guadagni straordinaria per 12 mesi per un massimo di 377 dipendenti con l'utilizzo di uscite incentivate anche attraverso lo strumento della mobilità per un massimo di 349 dipendenti, con il presupposto che le uscite concorrono alla diminuzione del numero delle collocazioni in Cassa di integrazione guadagni straordinaria;
   l'impegno firmato nell'accordo tra società e organizzazioni sindacali per il recupero delle attività svolte da società esterne e/o consulenti, non solo è disatteso in quanto, a ciò che risulta all'interrogante continuano ad operare consulenti esterni su attività che potrebbero essere svolte da lavoratori sospesi in Cassa integrazione guadagni straordinaria, ma risulta, un incremento di queste attività anche attraverso lavoratori dimissionati;
   NSN ha gestito male da una parte la rotazione e dall'altra ha ridotto il quantum economico per incentivare le uscite;
   a questo NSN deve aggiungere il proprio fallimento nell'operazione MICROWAVE che appesantisce ancora di più il numero degli esuberi: questa è, infatti l'ultima operazione industriale di NSN verso un processo di dismissione delle attività in Italia;
   anche lo spostamento di attività verso Paesi a basso costo (asiatici, est europei e Portogallo) ha contribuito al ridimensionamento del perimetro aziendale con l'azzeramento di ruoli e posizioni;
   il management italiano in questi anni non ha fatto nulla per preservare la presenza di NSN nel nostro Paese: dei circa 3000 addetti del 2007 (oltre l'indotto) ne sono rimasti oggi 592;
   i tempi sono strettissimi, fino ad ora le consultazioni sindacali per la vertenza in atto non hanno permesso l'individuazione di soluzioni utili ad impedire il licenziamento dei lavoratori ed il ridimensionamento aziendale che potrebbe avvenire dal prossimo 1o novembre 2013;
   molte altre multinazionali delle, telecomunicazioni lasciano il nostro Paese, seppure con tempi e modalità differenti, lasciando all'Italia le gravi ripercussioni occupazionali e di depauperamento delle competenze e conoscenze. Senza investimenti sulla ricerca nei settori delle nuove tecnologie intelligenti non esiste sviluppo;
   il consiglio regionale della Lombardia ha presentato in data 21 ottobre una mozione urgente che impegna l'assessore competente a sollecitare l'intervento del Ministero dello sviluppo economico a sostenere le ragioni dei lavoratori operando per uno sbocco positivo sui problemi legati al futuro dell'azienda in Italia. Inoltre, impegna l'assessore competente a favorire e sostenere l'accordo per l'applicazione dei contratti di solidarietà;
   l'Italia è un Paese rilevante per i fatturati di NSN: negli ultimi decenni l'innovazione tecnologica è stata travolgente, ponendoci ai primi posti nel mondo per lo sviluppo della telefonia mobile, un progresso che è destinato a continuare per diversi anni e che potrebbe contribuire positivamente all'incremento del prodotto interno lordo come più volte confermato dalle ricerche e da indagini di diversi enti, per i quali gli investimenti nel settore costituiscono un eccezionale motore di crescita sociale ed economica;
   il settore delle telecomunicazioni produce direttamente il 5 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione europea e ha un valore di mercato di 660 miliardi di euro l'anno;
   l'Italia si è impegnata a rispettare gli obiettivi dell'Agenda digitale EU2020, tra cui figurano la copertura entro tale data del 100 per cento della popolazione europea con connessioni dotate di capacità pari ad almeno 30 megabit al secondo e del 50 percento delle famiglie con servizi che garantiscano una capacità di oltre 100 megabit al secondo;
   il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, ha istituito la cabina di regia per l'attuazione dell'agenda digitale italiana, cui è stato affidato il compito di accelerare il percorso di realizzazione della medesima agenda in raccordo con le strategie europee, predisponendo una serie di interventi normativi mirati;
   l'obiettivo principale della politica industriale del Governo dovrebbe essere quello di elevare la competitività delle imprese italiane sul territorio nazionale e a livello internazionale. A tale fine è di cruciale importanza la diffusione massima delle tecnologie digitali, il sostegno alla internazionalizzazione attiva delle imprese e lo sforzo combinato di imprese università e pubblica amministrazione per la ricerca e sviluppo e per la progettazione di nuovi prodotti e servizi;
   il superamento del digital divide «di lungo periodo» costituisce la nuova frontiera del servizio universale e resta un obiettivo primario della politica di sviluppo economico e sociale del Governo; in questo ambito vi è l'impegno a creare un quadro normativo e di contesto che favorisca lo sviluppo e la diffusione di tutte le tecnologie a disposizione. Vanno in questa direzione i provvedimenti finalizzati alla informatizzazione della pubblica amministrazione, in particolare al livello dei comuni, nonché il supporto alla creazione e diffusione dell'innovazione tecnologica legata alle telecomunicazioni come peraltro previsto in «Industria 2015» per l'apparato produttivo nel suo complesso, per i quali si prevedono nei prossimi 6-8 anni investimenti per un valore tra i 6 e i 10 miliardi di euro;
   il «progetto strategico Agenda digitale italiana» è una delle novità principali del decreto «semplifica Italia». Sulla base della strategia definita nel 2010 dalla Commissione europea «Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva», l'Agenda mira a rendere liberamente disponibili i dati delle pubbliche amministrazioni; si propone di incentivare la trasparenza, la responsabilità e l'efficienza del settore pubblico; punta ad alimentare l'innovazione e stimolare la crescita economica;
   il termine ultimo per la realizzazione è il 2020. Entro questa data dovranno essere portati a compimento tanti, e diversi, obiettivi. Tra questi, l'uso sociale della tecnologia, la realizzazione delle reti di nuova generazione e, più in generale, l'alfabetizzazione digitale;
   secondo l'interrogante che l'ulteriore dimezzamento da parte di NSN dei propri addetti nel settore dei servizi e delle tecnologie di telecomunicazione in Italia (nell'ultimo anno sono già uscite 520 persone), nonché la drastica riduzione del personale del gruppo a Cassina de Pecchi e Roma, non sono compatibili con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea, dell'Agenda digitale italiana, con l'istituzione della cabina di regia e con il recente stanziamento di fondi per l'innovazione –:
   se non intenda affrontare con la massima urgenza la situazione di NSN, di concerto con l'azienda valutandone il piano industriale e verificando l'esistenza di condizioni per evitare il licenziamento di lavoratori in tutta Italia, anche convocando immediatamente presso il dicastero il management finlandese di Nsn. 
(5-01359)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 86, comma 3, del decreto-legge n. 1 del 2012, recependo alcune segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (nn. AS464 del 29 luglio 2008, AS717 del 5 luglio 2010 e AS1000 dell'11 dicembre 2012) ha imposto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di procedere con gara ad evidenza pubblica europea per l'affidamento dei servizi di gestione e rendicontazione del pagamento dei corrispettivi dovuti dall'utenza per le pratiche automobilistiche;
   tale servizio, infatti, in palese contrasto con le norme sulla libera concorrenza volte a garantire obiettivi di efficienza e del minor costo possibile per l'utenza, era stato affidato a Poste Italiane con assegnazione diretta, dando luogo, tra l'altro, ad un intervento della competente autorità europea che aveva prodotto l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti del Governo italiano;
   il Ministero, dopo l'espletamento di una indagine preliminare volta a verificare l'esistenza di operatori in grado di soddisfare le esigenze del Ministero stesso per l'effettuazione del servizio, e che ha visto l'adesione già in questa fase di tre potenziali partecipanti, ha pubblicato in data 9 luglio 2013 sulla G.U.U.E. (n. 2012/S 131-226897) ed in data 12 luglio 2013 sulla G.U.R.I (5a serie speciale — contratti pubblici n. 81) un bando di gara europea per l’«Affidamento in concessione dei servizi di gestione e rendicontazione del pagamento dei corrispettivi dovuti dall'utenza per le pratiche di competenza del Dipartimento, servizi, forniture e lavori complementari»;
   tuttavia, poiché ancora in contrasto con le segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il bando in argomento è stato oggetto dell'apertura, da parte della stessa Autorità, di una procedura ex articolo 21-bis della legge n. 287 del 1990, con contestuale formalizzazione della segnalazione al Ministero competente del parere relativo alle violazioni riscontrate;
   di fatto, il bando in questione riproponeva la logica della convenzione bilaterale che, seppur superando il problema dell'affidamento diretto, disattende i principi di competizione e concorrenza fra più operatori qualificati per garantire il minor costo per l'utenza, prescritti dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   in base alle previsioni del citato articolo 21-bis il Ministero dovrà provvedere ad uniformarsi al parere motivato che indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate dall'Autorità, la quale, in caso di inadempimento, potrà procedere alla eventuale impugnazione del bando dinanzi al TAR competente;
   allo stato, a quanto consta all'interrogante l'Autorità garante della concorrenza e del mercato avrebbe depositato al competente TAR del Lazio il ricorso avverso il citato bando, ma contestando soltanto la «numerosità» degli sportelli, e non la questione della bilateralità;
   tuttavia, la permanenza di una impostazione di tipo «bilaterale» del bando di gara contrasta con la logica del mercato, che deve privilegiare la contrazione dei prezzi per l'utenza, perché il vincitore del bando rimarrebbe in ogni caso l'unico a stabilire la commissione in carico alla utenza medesima –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per garantire il rispetto dei criteri imposti dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'affidamento del servizio ed il superamento del regime di monopolio in atto, al fine di garantire l'apertura al mercato per i servizi in questione. (4-02358)


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la rete ferroviaria siciliana risulta fra le più obsolete dell'intero panorama italiano e fra le più lontane rispetto ai livelli qualitativi minimi indicati dall'Europa;
   in particolare, il servizio ferroviario nella Sicilia sud orientale appare del tutto insufficiente e sempre più degradato in conseguenza dello scientifico ridimensionamento delle sue potenzialità. In questo quadro, la tratta ferroviaria Siracusa-Ragusa-Gela è da molti anni oramai considerata tra i cosiddetti «rami secchi» e per tale ragione ha subìto continui tagli di corse e una notevole riduzione e scadimento dei servizi erogati, con mezzi oltremodo fatiscenti e obsoleti e tempi di percorrenza non consoni ad un Paese sviluppato;
   tale depauperamento del servizio coinvolge sia il trasporto merci, che quello viaggiatori, non contribuendo alla crescita sociale ed economica del Sud-Est siciliano e del territorio ibleo, in particolare;
   la mancanza di una linea ferroviaria adeguata, oltre alle ricadute di natura occupazionale, impedisce il pieno sviluppo turistico della zona, limitando e rendendo difficoltoso l'accesso alle splendide città barocche e penalizzando economicamente le aziende locali che per il trasporto merci devono necessariamente rivolgersi al trasporto su gomma, con significativa lievitazione dei costi e ripercussioni sulla qualità dell'ambiente, in palese controtendenza rispetto alle politiche europee che mirano ad incentivare il passaggio gomma-ferro;
   ogni progetto di potenziamento della tratta ferroviaria Siracusa-Modica-Ragusa-Gela, di cui si parla ormai da decenni e che avrebbe portato all'elettrificazione di una linea a binario semplice, è rimasto senza seguito. Tali interventi avrebbero potenziato il traffico passeggeri, rendendolo competitivo rispetto a quello su gomma, sia per la riduzione dei tempi di percorrenza, sia per l'aumento della velocità commerciale della linea. Parallelamente ne avrebbe beneficiato anche il trasporto merci grazie ai nuovi collegamenti, in particolare con l'aeroporto di Comiso;
   l'apertura dello scalo aeroportuale può e deve rappresentare — infatti — un importante opportunità di rilancio anche dell'intero sistema ferroviario della zona che può fungere sia da spina dorsale per un sistema di offerta turistica al servizio di un distretto ormai riconosciuto dall'Unesco come patrimonio mondiale dell'umanità (si pensi, ad esempio, al successo di iniziative quali quella del Treno del Barocco, che per anni ha arricchito l'offerta turistico-culturale delle province di Siracusa e Ragusa), sia rappresentare un perno per una rete integrata di trasporto intermodale –:
   se sia a conoscenza della situazione in cui versa la linea Siracusa-Ragusa-Gela e, più in generale, della situazione dei collegamenti ferroviari nel Sud-Est della Sicilia;
   quali iniziative intenda assumere per promuovere il potenziamento infrastrutturale della tratta menzionata provvedendo a garantire collegamenti in zone ormai del tutto abbandonate dal servizio ferroviario;
   quali siano i dati e i numeri sulle potenzialità attuali della tratta in oggetto in termini di corse, di passeggeri e collegamenti anche fine di poter valutare fattibili progetti di rilancio e riqualificazione dell'infrastruttura, con il coinvolgimento dei privati, nell'interesse della popolazione e dell'economia della zona. (4-02366)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRAGA, GUERRA e MARANTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale vigili del fuoco opera l'attività di soccorso urgente, su tutto il territorio nazionale, anche grazie al contributo essenziale della componente volontaria che affianca la componente permanente;
   con decreto del Presidente della Repubblica n. 362 del 2000 sono stati decretati circa 50 nuovi funzionari tecnici antincendi volontari che, dopo un lungo iter formativo durato circa dieci anni, sono stati posti in servizio operativo, a seguito di due diverse sessioni formative finali nel 2009 e nel 2011;
   ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 e del decreto legislativo n. 217 del 2005 i funzionari tecnici antincendi volontari «sono equiparati, ai fini della determinazione di doveri, compiti e responsabilità, ai collaboratori tecnici antincendi del corpo nazionale dei vigili del fuoco» (articolo 3, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004), questi ultimi equiparati, per compiti e responsabilità, al personale permanente del ruolo dei «sostituti direttori antincendi»;
   in forza di tali disposizioni i funzionari tecnici antincendi volontari si trovano a dover compiere gli stessi compiti assegnati ai sostituti direttori antincendi permanenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   ai sensi dell'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo n. 217 del 2005 gli appartenenti al ruolo di sostituti direttori antincendi, oltre a svolgere compiti prettamente legati all'organizzazione dei servizi di soccorso, «partecipano alle attività di soccorso urgente»;
   appare quindi necessario chiarire se le «specifiche esigenze» per le quali il comandante provinciale possa attivare tali figure si riferiscono al soccorso tecnico urgente o se, piuttosto, si riferiscano ad altre ulteriori particolari situazioni non rientranti nel soccorso tecnico urgente, in ragione del fatto che i funzionari tecnici antincendi volontari partecipano in via ordinaria alle attività di soccorso tecnico urgente;
   si ritiene comunque che la mancanza di regole precise o indicazioni troppo labili abbia portato fin qui ad una discrezionalità interpretativa ai vari comandanti delle norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004, che hanno portato ad una confusione totale circa l'utilizzo di dette figure professionali;
   inoltre, con l'emanazione del decreto ministeriale del 10 febbraio 2012 (in Gazzetta Ufficiale 29 febbraio 2012, n. 50) con l'attribuzione dei distintivi di qualifica di cui all'allegato C) si è determinata di fatto l'eliminazione della parola «funzionari» dai distinti medesimi, riducendo la qualifica a «tecnici antincendi volontari» ovvero a meri sottoufficiali, con una riduzione del ruolo riconosciuto da sempre nella storia del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a ufficiali volontari di prima e seconda classe –:
   per quale motivo non siano stati previsti i distintivi di qualifica, da assegnare ai medesimi, uguali a quelli disposti per il personale inquadrato, ai sensi dell'articolo 152 del decreto legislativo 217 del 2005, nella qualifica di sostituto direttore antincendi capo, e cioè «determinati nelle fogge e nelle caratteristiche individuate nell'Allegato E e nella relativa tavola», in modo da rispettare la qualifica di funzionari e, quindi di ufficiali a loro tempo assegnata ai sensi dei decreti di nomina risalenti al periodo 2001-2004, quindi precedentemente al decreto legislativo 217 del 2005;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro al fine di risolvere le problematiche sopra esposte. (5-01347)


   CARNEVALI, MISIANI, SANGA, GIUSEPPE GUERINI e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 1° di agosto 2013, con il pensionamento del prefetto dottor Camillo Andreana, la guida della prefettura di Bergamo è affidata al vice-prefetto vicario dottor Alfredo Nappi;
   la provincia di Bergamo, con una popolazione di circa un milione e cento mila abitanti, rappresenta una delle realtà territoriali più importanti del Paese;
   è opportuno che questa situazione provvisoria venga affrontata in tempi rapidi con la nomina del nuovo prefetto, scelta di competenza del Consiglio dei ministri;
   la necessità di superare questa condizione di precarietà in tempi brevi è stata portata all'attenzione del Ministro anche dal sindaco della città di Bergamo –:
   in quali tempi il Ministro interrogato intenda portare all'attenzione del Consiglio dei ministri la nomina del nuovo prefetto di Bergamo. (5-01349)


   BUSINAROLO, DADONE, TURCO e FANTINATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa locale (Corriere di Verona, L'Arena) di alcuni episodi sintomatici di una gestione caratterizzata da mancanza di correttezza e legalità in svariati ambiti, nelle società municipalizzate collegate al comune di Verona nonché nel comune stesso, tra cui l'assunzione di parenti e conoscenti nelle aziende comunali, cosiddetta parentopoli; gli appalti truccati, favori concessi agli «amici», accuse di «peculato, corruzione, abuso d'ufficio, falsità in atti, e turbata libertà in procedure d'appalto» (Corriere di Verona, 26 ottobre 2013, pagina 2) per gli appalti bandite dall'azienda comunale Agec, Azienda gestione edifici comunali, per cui è stata avviata un'inchiesta giudiziaria dalla procura della Repubblica di Verona, con arresto di diversi amministratori e funzionari; e la corruzione nella pratiche e nei permessi edilizi per la quale è indagato il vicesindaco del comune di Verona;
   un articolo del 2 ottobre 2013 (L'Arena, pagina 11), riepiloga i tratti salienti dell'inchiesta partita nel maggio 2011, in merito all'accusa rivolta ai direttori delle aziende partecipate del comune di Verona, Amt, Atv, Agsm, Amia, e Ser.I.T., di «aver abusato del loro ruolo pubblico per far assumere parenti o amici a loro vicini anche politicamente»: assunzioni irregolari, in quanto le partecipate del Comune sono enti pubblici e sono quindi assoggettabili a regole di trasparenza, imparzialità e pubblicità per il reclutamento del personale;
   un articolo del 30 ottobre 2013 (Corriere di Verona, pagina 2), rende noto che il vicesindaco di Verona, Vito Giacino, assessore con delega a pianificazione urbanistica, edilizia privata ed edilizia economica popolare, «è indagato per corruzione. E con lui, nei guai è finita sua moglie Alessandra Lodi di professione avvocato», per una casa ristrutturata e «i permessi che imboccavano una via preferenziale e altri che rimanevano ad accumulare polvere negli uffici del Comune», in quanto «le imprese interessate a lavorare nel settore urbanistico ed edilizio dovevano affidare le consulenze all'Avv. Lodi, altrimenti la pratica si impantanava negli uffici comunali»;
   un articolo del 28 ottobre 2013 (L'Arena, pagina 7), rende noto che nell'azienda comunale Agec, ente pubblico strumentale, dotato di personalità giuridica, del comune di Verona, che gestisce il patrimonio immobiliare, le mense, la refezione, le farmacie e i servizi cimiteriali, si svolgevano gare di appalto «del tutto fittizie, già decise, utilizzando un metodo che appare ormai collaudato»: «mancata determinazione dei criteri di attribuzione dei punteggi per l'offerta tecnica, completo libero arbitrio nell'attribuzione dei punteggi stessi perché non agganciati a sub criteri prefissati», con «sistematica violazione delle regole procedimentali in funzione della realizzazione dei propri personali scopi»;
   un articolo del 27 ottobre 2013 (Corriere di Verona, pagina 2 e L'Arena pagina 8), in merito agli appalti parla di «comportamenti gravi quali il consuetudinario aggiramento delle regole e il ricorso costante alla falsificazione di atti», con utilizzo di «mezzi insidiosi come la diretta gestione di una commissione ombra che aveva preso il posto esautorandola, di una commissione ufficiale», e la consuetudine di «collezionare brani di verbale posticci che corrispondano alle pretese di legalità della giurisprudenza», ed il coinvolgimento di «importi rilevantissimi, oggetto di gare normalmente sviate nella scelta del contraente deciso nell'ambito degli amici». «Non è stata garantita la segretezza delle offerte»: risulta compromessa la posizione professionale degli accusati che lavorano in una ditta pubblica e pertanto sono «pubblici ufficiali»;
   un articolo del 26 ottobre 2013 (Corriere di Verona, pagina 2) riporta una delle frasi intercettate dalla guardia di finanza subito dopo l'assegnazione del bando per le mense dei bambini per un valore di 28 milioni di euro: «Da mangiare verrà data della sabbia al posto della carne», da cui si deduce la mancanza di tutela degli interessi dei cittadini e in particolare dei 14.000 alunni che frequentano le scuole comunali;
   le vicende sopra esposte rappresentano dei fatti gravissimi, che hanno contribuito a creare una situazione di illegalità diffusa con coinvolgimento massiccio di dirigenti e funzionari di nomina clientelare, e che pertanto impongono una riflessione molto seria dal punto di vista politico sul modo in cui vengono gestite le aziende partecipate e i servizi pubblici del comune di Verona;
   il sistema che emerge è uno schema di gestione, reiterato nel tempo e caratterizzato da poca trasparenza negli appalti delle opere edilizie pubbliche, di servizi cimiteriali e di servizi in genere, attraverso la regia incontrastata di enti partecipi;
   non si comprende come possano essere sfuggite a chi guida politicamente il comune di Verona, manovre torbide su questi temi delicatissimi –:
   se ritenga che questi fatti possano essere equiparati alle gravi e persistenti violazioni di legge di cui alla lettera a) del comma 1, articolo 141 TUEL, e quindi vi siano i presupposti ex articolo 141 e 142 del TUEL per lo scioglimento del comune di Verona. (5-01352)


   CATALANO, COZZOLINO, TURCO, DE LORENZIS, TERZONI, MANNINO e LOREFICE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con atto n. 5-00852, l'interrogante ha richiesto al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti delucidazioni in merito all'omologazione del dispositivo per il controllo elettronico della velocità SICVe (sistema informativo controllo velocità), approvato con decreto direttoriale n. 3999 del 24 dicembre 2004 dei competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a favore della società Autostrade per l'Italia;
   la richiesta concerneva anche la corretta applicazione del comma 5 dell'articolo 192 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, che vieta il trasferimento di omologazione/approvazione tra soggetti privati in quanto detto trasferimento renderebbe non tracciabile la titolarità del dispositivo ai fini dell'assunzione degli obblighi e delle responsabilità di cui al successivo comma 8 del medesimo articolo;
   in riferimento all'omologa, il Ministero ha chiarito che la procedura in esame si è svolta tenendo conto delle norme di legge e regolamentari che disciplinano la materia in quanto:
    su richiesta del titolare dell'approvazione, con successivi decreti sono state approvate alcune versioni aggiornate del predetto sistema, per tenere conto di aggiornamenti essenzialmente per obsolescenza di alcuni componenti e per miglioramenti tecnologici intervenuti;
    in data 26 ottobre 2010 Autostrade per l'Italia ha comunicato che, a far data dal 1° gennaio 2010, ad essa era subentrata Autostrade Tech s.p.a.;
    quest'ultima, in pari data, ha richiesto a suo nome l'intestazione dei provvedimenti di omologazione ed approvazione, in pieno accordo con la società cedente;
    a seguito di istruttoria, ed in osservanza delle procedure previste dall'articolo 192 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 – regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada – gli uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno emesso il decreto n. 97818 del 9 dicembre 2010, che ha intestato a nome di Autostrade Tech s.p.a. le omologazioni e le approvazioni attribuite in precedenza ad Autostrade per l'Italia S.p.A.;
   in riferimento al trasferimento, il Ministero ha risposto che, essendo avvenuta una mera modifica degli assetti aziendali del fabbricante, non si è trattato di un trasferimento, ma di un cambio di intestazione di approvazione a seguito di un provvedimento ministeriale;
   ha specificato, inoltre, che Autostrade per l'Italia s.p.a. detiene il controllo della Autostrade Tech s.p.a. e ne rappresenta l'azionista unico;
   coerentemente con i quesiti sollevati nella precedente interrogazione, il giudice di pace, con sentenza, ha annullato una multa sancendo la «nullità del processo verbale per difetto di omologazione dell'apparecchio SICve-Vergilius»;
   nelle motivazioni della decisione si legge che «le omologazioni rilasciate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono esclusive del richiedente Autostrade per l'Italia Spa e non possono essere trasmesse a soggetti diversi da essa quale la Autostrade Tech Spa, essendo la citata disposizione inderogabile. Quest'ultima società, infatti, pur facendo parte del gruppo Autostrade per l'Italia Spa, è una società di servizi distinta dalla prima, con organi societari diversi»;
   detta sentenza può costituire un precedente per futuri annullamenti;
   il Ministero ha dichiarato che ANAS s.p.a. ha comunicato di avere stipulato, per la gestione del sistema, un'apposita convenzione con la polizia stradale e di non ricavare alcun introito sulle sanzioni erogate;
   l'assegnazione della gestione dei proventi di cui sopra alla polizia stradale implica per la stessa l'onere dell'eventuale restituzione degli importi delle multe –:
   se non si intenda verificare l'efficacia della norma in atto;
   se non si intenda verificare la correttezza e l'applicabilità delle sanzioni comminate;
   se non si intenda intervenire presso la polizia stradale ai fini di un chiarimento al riguardo;
   quali iniziative si intendano intraprendere per compensare gli ingenti danni economici che deriverebbero dall'accertamento della nullità dei verbali. (5-01360)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento alle gravi e tragiche vicende relative agli sbarchi sulle coste siciliane di numerosi uomini, donne e bambini, migranti disperati in cerca di fortuna e di una vita migliore, in relazione alle quali si conferma la migliore tradizione siciliana improntata alla solidarietà ed accoglienza, sia pure in concomitanza con la disastrosa situazione economica in cui tutte le IPAB siciliane si trovano ormai da anni;
   l'assessore alla famiglia della regione siciliana ha predisposto e avviato già nel mese di luglio 2013 la procedura di accreditamento della struttura di Caltagirone (Catania) presso i Ministri competenti al fine di rendere la stessa fruibile ai migranti per la loro accoglienza ed il soddisfacimento dei bisogni primari;
   tenuto conto che la procedura di accreditamento risulta essere andata a buon fine, si è verificato, purtroppo, che a seguito dell'ennesima tragedia in mare avvenuta a Lampedusa, nonostante la pronta ed immediata disponibilità da parte del commissario straordinario Barchitta, della casa di riposo di Santa Maria di Gesù di Caltagirone (Catania), delle associazioni di volontariato e di tutto il personale della casa di riposo stessa all'accoglienza presso la suddetta struttura di 33 minori non accompagnati provenienti da Lampedusa, l'assessore regionale, nella persona della dottoressa Ester Bonafede, abbia deciso di considerare la predetta struttura assolutamente inidonea all'ospitalità degli sfortunati bambini –:
   quali iniziative abbia assunto il Ministro in merito ai minori migranti che originariamente si prevedeva fossero accolti presso la casa di riposo Santa Maria di Gesù di Caltagirone (Catania). (4-02370)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LEVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 713 del 9 agosto 2013 «Decreto criteri e contingente assunzionale delle Università Statali per l'anno 2013» con il quale si definiscono i criteri per l'attribuzione a ciascuna istituzione universitaria statale del contingente di spesa disponibile per l'anno 2013 espresso in termini di punto organico, nonché la rispettiva assegnazione e utilizzo in coerenza con quanto previsto dall'articolo 66, comma 13-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni e integrazioni e dal decreto legislativo 29 marzo, n. 49;
   la relativa tabella di calcolo e ripartizione allegata al citato decreto ministeriale;
   la totale assenza di informazione preventiva sulle nuove regole utilizzate ed il tempo di pubblicazione del decreto ministeriale citato (di cui si è venuto a conoscenza solo nel mese di ottobre) non hanno consentito una adeguata programmazione da parte delle università, che confidavano legittimamente almeno nella stessa percentuale di turn over ottenuta lo scorso anno;
   le condizioni accertate e i parametri di riferimento presentano diverse anomalie, non ultima quella di non aver tenuto debitamente conto del limite previsto dal contenimento del 20 per cento delle entrate per tasse e contributi studenti rispetto al Fondo di funzionamento ordinario nello stesso anno;
   la maggior parte delle penalizzazioni sono rilevate negli atenei collegati territorialmente al Centro-Sud, a dimostrazione della «fragilità funzionale» degli indicatori tecnico-economici presi a riferimento, che non tengono conto delle diversità oggettive delle medie di reddito pro-capite rilevate sui rispettivi territori di riferimento;
   la condizione socio-economica dei diversi territori, in particolare quello della regione Molise, e la forte disoccupazione di larghe parti del Paese rischia di far gravare sulle famiglie anche gli inevitabili e maggiori costi degli studi universitari, venendo a mancare il sostegno dello Stato e di tutti quei soggetti che, a vario titolo, operano sul territorio;
   per Atenei relativamente giovani, come è il caso dell'università degli studi del Molise, inseriti in un contesto territoriale economicamente e socialmente fragile, queste misure, che non tengono conto di rilievi oggettivi e facilmente rilevabili, rischiano di aprire fratture nel sistema universitario difficilmente colmabili;
   l'obiettivo del Paese è quello, più volte ribadito, di far crescere tutto il sistema università e non quello di dividere gli atenei o sottrarre opportunità e risorse a taluni per dare ad altri, con l'auspicio di ripristinare le condizioni affinché si possa superare le difficoltà che il sottofinanziamento del sistema universitario pone a tutti gli atenei;
   lo scorso anno era stata correttamente inserita una soglia circa i massimi e i minimi dell'applicazione dei criteri di ripartizione sulla base degli indici ministeriali e visto che tali criteri (già criticabili per i motivi sopra esposti) sono stati questo anno applicati, senza motivazione apparente, in assenza di soglia correttiva e di salvaguardia, come era quantomeno lecito attendersi;
   il Ministro può modificare il proprio decreto e correggere le deviazioni qui evidenziate, peraltro attivate in assenza di qualunque indicazione tecnica o normativa di riferimento, prendendo atto non solo delle legittime aspettative degli Atenei ma anche delle inevitabili conseguenze negative prodotte sull'equilibrio del sistema universitario, considerate le ricadute che tali decisioni rivestono nelle prospettive di sviluppo degli atenei;
   l'interesse costituzionalmente garantito a tutela di una istruzione universitaria di qualità nell'intero territorio del Paese a parità di condizioni;
   essendo palese che questa limitazione – più accentuata per le università del Mezzogiorno – penalizza la sostenibilità dei corsi di studio e, quindi, le prospettive di sviluppo e di crescita degli stessi rispetto ad altri contesti territoriali;
   il rapporto tra costi fissi e entrate complessive delle singole università è fortemente condizionato da fattori esterni che riguardano le singole realtà universitarie ed il contesto socio-economico in cui operano, in particolare quello molisano;
   per le motivazioni suesposte, sarebbe auspicabile un intervento ministeriale nella direzione dell'equità tra gli atenei nella ripartizione dei sacrifici imposti a tutti al fine di operare una distribuzione meno squilibrata;
   rispondere alle esigenze obiettive di equità, rende possibile per tutti gli atenei un adeguamento normalizzato e senza eccessive ricadute negative per il futuro dei singoli atenei e per lo sviluppo armonico del sistema universitario italiano –:
   quali correttivi il Ministro interrogato voglia predisporre per correggere gli evidenti effetti negativi, iniqui e distorsivi a danno dell'ateneo molisano, come di molti altri atenei, prodotti dalla applicazione del decreto ministeriale n. 713 del 2013 per l'attribuzione a ciascuna istituzione universitaria statale del contingente di spesa disponibile per l'anno 2013 espresso in termini di punto organico, che non tiene in debito conto né delle diverse realtà territoriali in cui le università si trovano ad operare, che non consente a molti atenei, tra cui quello molisano, di reperire adeguate risorse da fonti esterne, né di aumentare il livello di tassazione a carico degli studenti; né della bassa età media del personale in servizio che limita fortemente il turn over;
   se il Ministro interrogato intenda intervenire in maniera urgente fin da subito per reinserire la clausola di riequilibrio (già esplicitamente prevista nel decreto ministeriale dello scorso anno) relativa al limite massimo del 50 per cento dei punti organico relativi alle cessazioni dell'anno precedente. (5-01342)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATARRELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dalla rassegna stampa del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca dell'avvio di una sperimentazione di un corso di studi in quattro anni in alcune scuole del territorio nazionale;
   in merito alla sperimentazione non si riscontrano chiarezza e trasparenza perché nulla è stato comunicato alle scuole preventivamente ed ufficialmente;
   va considerata la disponibilità di tutte le scuole superiori della provincia di Brindisi verso ogni forma di innovazione e sperimentazione finalizzate alla crescita degli studenti e del territorio nel rispetto degli standard europei –:
   quali siano le procedure attivate relative al percorso sperimentale che introduce, dal prossimo anno scolastico, il percorso abbreviato, da cinque anni a quattro, in alcune scuole secondarie statali di secondo grado;
   quali siano i criteri e modalità di individuazione/selezione delle scuole statali coinvolte, deputate, a dimostrare, dopo quattro anni, la fattibilità del modello;
   se non ritenga necessario lo slittamento della sperimentazione, affinché tutte le scuole siano messe in grado di conoscere criteri, parametri e vincoli della sperimentazione, per operare un'attenta analisi e accurata riflessione in materia, considerata la sua ricaduta sugli ordinamenti scolastici;
   quali siano gli orientamenti del Ministro in merito all'impatto in termini di posti di lavoro, concernente tutto il personale della scuola, derivante dalla sperimentazione e dalla messa a regime dell'accorciamento dell’iter scolastico. (4-02362)


   DADONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano la Repubblica del 24 settembre 2013 è stato pubblicato un articolo dal titolo «“Quello studente va promosso” e il raccomandato della Lorenzetti prese trenta all'esame di patologia» in cui si riportano gli stralci di intercettazioni telefoniche relative alle indagini dell'inchiesta della procura di Firenze nei confronti di Lorenzetti Maria Rita nella sua veste di già presidente di Italferr, destinataria di un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per presunta corruzione nell'ambito dei lavori sulla TAV in Toscana;
   dagli stralci telefonici emerge la palese volontà della ridetta, anche nella sua veste di ex presidente della regione Umbria, di porre in essere pressioni al fine di consentire l'agevole superamento dell'esame di patologia generale ad uno studente della facoltà di medicina dell'università degli studi di Perugia, per il tramite dell'intervento del docente universitario Grossi Gaia, professore ordinario di chimica generale e già assessore regionale, quale intermediario presso Bistoni Francesco, professore ordinario di microbiologia, nonché rettore dell'ateneo perugino, titolare dell'insegnamento presso cui lo studente interessato avrebbe dovuto sostenere l'esame;
   emerge come il medesimo studente oggetto di raccomandazione ha poi ampiamente superato l'esame sostenuto avanti il medesimo professor Bistoni Francesco;
   risulterebbe che l'università degli studi di Perugia non abbia ancora provveduto alla costituzione del collegio di disciplina competente per i procedimenti disciplinari a carico di professori e ricercatori universitari, quale previsto dall'articolo 10 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, cosiddetta riforma Gelmini per l'università;
   sarebbe opportuno che si procedesse all'apertura di un procedimento disciplinare a carico dei due docenti indicati da parte del competente collegio di disciplina dell'università degli studi di Perugia, nonché all'effettiva costituzione della ridetta assise universitaria competente in materia disciplinare nel medesimo ateneo –:
   se il Ministro interessato sia a conoscenza dei fatti sopra richiamati;
   se intenda assumere ogni iniziativa di competenza per pervenire a un rafforzamento del principio meritocratico nella vita degli atenei italiani in modo da evitare il ripetersi di fenomeni come quello descritto in premessa. (4-02371)


   DADONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella legislazione universitaria italiana gli assegni di ricerca sono stati istituiti dall'articolo 51, sesto comma, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e da ultimo ridisciplinati in forza dell'articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, cosiddetta riforma Gelmini per l'università;
   le selezioni pubbliche sono disciplinate da regolamenti degli atenei in conformità con i principi in materia statuiti dal regolamento per lo svolgimento dei concorsi pubblici approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, onde garantire i caratteri di economicità, pubblicità e trasparenza della procedura, con particolare riguardo ai termini per la presentazione della domanda di partecipazione fissati in trenta giorni dalla pubblicazione del bando in Gazzetta Ufficiale (articolo 4, primo comma) e all'efficacia della data di spedizione quale comprovata dall'ufficio postale accettante (articolo 4, terzo comma), salvo che sia previsto l'invio a mezzo posta elettronica certificata;
   nel caso di specie l'università telematica «Pegaso» di Napoli risulta aver emesso con decreto rettorale del 16 settembre 2013, n. 81, un bando di selezione per l'attribuzione di un assegno di ricerca presso la facoltà di giurisprudenza per il settore scientifico disciplinare di diritto amministrativo-IUS/10, quale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale «concorsi ed esami» del 22 ottobre 2013, n. 84;
   tuttavia, il relativo bando, in contrasto con il citato regolamento n. 487 del 1994 e i connessi principi a tutela dell'imparzialità della procedura, non solo ha previsto un termine di presentazione della domanda pari a soli otto giorni ma vieppiù ha previsto l'efficacia della data di spedizione quale attestata dall'ufficio postale accettante (articolo 8, primo comma, del bando), posto che neppure è contemplata la possibilità dell'invio della domanda e dei titoli a mezzo posta elettronica certificata;
   di talché si configura la pubblicazione di un bando per assegno di ricerca contenente evidenti regole tese ad aggravare enormemente le possibilità di massima partecipazione dei potenziali candidati alla ridetta procedura concorsuale attraverso regole che ad avviso dell'interrogante, sono in contrasto con la legge –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative normative o adottare, ove ne ricorrano i presupposti, una circolare esplicativa al fine di chiarire e ribadire i criteri previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994 per lo svolgimento dei concorsi pubblici, onde garantire i principi di massima partecipazione dei potenziali candidati alle procedure per l'attribuzione di assegni di ricerca negli atenei italiani. (4-02372)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 settembre 2013, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, in sede di audizione è stato ascoltato il dottor Roberto Moncalvo, componente della giunta esecutiva Coldiretti;
   in tale occasione, lo stesso Moncalvo rilevava, che l'andamento del settore agricoltura, in contro tendenza rispetto agli altri settori, mostrava indicatori interessanti, sia dal punto di vista dell'incremento dell'occupazione, sia per quanto riguarda l’export dei prodotti agroalimentari;
   nella stessa audizione, il dottor Moncalvo, spiegava le criticità che incontra il settore in oggetto, rilevando, in particolar modo, il costo del lavoro e nello specifico i contributi INAIL dovuti dal datore di lavoro agricolo per i suoi dipendenti: l'aliquota prevista è del 13,24 per cento, più alta addirittura rispetto a quella dei settori industriali che si aggira intorno al 12 per cento;
   spiegava, inoltre, che tale aliquota, dato l'aumento della sicurezza sul lavoro nelle campagne, non risulta più adatta –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, sia a conoscenza dell'andamento degli infortuni in agricoltura, in termini numerici e percentuali, dal 2005 ad oggi e quindi se ritenga vi sia stato un aumento della sicurezza sul lavoro e quindi effettivamente vi sia stata una riduzione del numero di infortuni;
   se il Ministro, alla luce dell'indagine condotta, ritenga di valutare l'opportunità di assumere iniziative per rivedere e quindi ridurre il tasso applicato al settore in questione, in modo da renderlo più appetibile per i nuovi imprenditori.
(5-01338)


   CENNI, GNECCHI e DALLAI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in conseguenza di accordi stipulati tra l'università di Siena e la direzione dell'Inps tra il 2010 e il 2011, 23 dipendenti della suddetta università sono stati comandati presso diverse sedi Inps della toscana, con decorrenza dal 1o settembre 2011, inizialmente per un anno, poi, con proroga per un ulteriore periodo di altri due anni;
   tale comando faceva riferimento a quanto previsto all'articolo 13 della legge 4 novembre 2010, n. 183, il quale dispone che le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, possano utilizzare, in assegnazione temporanea, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni;
   risulterebbe che l'istituto di previdenza sociale con apposita comunicazione avrebbe manifestato all'università di Siena l'interesse ad accogliere per mobilità volontaria presso le proprie sedi allocate nelle province toscane alcune unità di personale tecnico amministrativo appartenente alla categoria D;
   il comitato provinciale dell'INPS della provincia di Siena ha trasmesso agli organi nazionali dell'INPS un ordine del giorno con il quale in data 24 ottobre 2013 ha affrontato la situazione dell'organico dell'INPS di Siena rilevando che presso la sede di Siena a fronte di una cronica carenza di organico operano numerosi dipendenti comandati sino a rappresentare il 18 per cento dell'intera forza lavoro e che solo con il loro contributo si è riusciti ad assicurare la quantità e la qualità dei servizi erogati, che si continua a lavorare in emergenza e che con i 14 probabili pensionando nel 2014 si prevede un ulteriore grave calo di organico;
   i lavoratori e le lavoratrici in questione hanno presentano profili qualificati (sono tutti laureati) e hanno svolto formazione finalizzata alle mansioni che svolgono negli uffici INPS;
   il comando di queste figure ha consentito di migliorare le prestazioni all'utente, ed in particolare sulle dilazioni amministrative per le imprese con i dipendenti, le domande lavorate entro 15 giorni sono passate dal 4,35 per cento al 100 per cento, il pagamento delle pensioni di invalidità civile liquidate in 120 giorni sono passate dal 4,03 per cento al 69,41 per cento, così come sono sensibilmente migliorati i tempi per la lavorazione delle domande di dilazione amministrativa per imprese individuali e per il pagamento delle prestazioni di disoccupazione;
   le norme sopra richiamate rischierebbero pertanto di fermare un'esperienza che ha prodotto una indiscutibile crescita qualitativa dei servizi INPS all'utenza, e non risultano esservi peraltro procedimenti di mobilità interna alle sedi territoriali INPS della Toscana, perché chiaramente sotto organico;
   da parte dei lavoratori interessati c’è la legittima preoccupazione di potersi trovare esclusi dalla possibilità di rientro nell'ente di provenienza (università di Siena interessata da processo di risanamento) e sono contestualmente impossibilitati ad ottenere un trasferimento definitivo all'ente INPS presso il quale hanno svolto servizio in questi mesi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione illustrata in premessa, che peraltro risulta in essere anche in altre regioni e quali iniziative intenda adottare per evitare che venga disperso un patrimonio di professionalità, acquisito dopo anni di distacco presso l'INPS, da lavoratori ai quali erano state prospettate soluzioni ben diverse da quella del rientro agli enti di provenienza. (5-01339)


   CAPARINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già con precedente atto di sindacato ispettivo presentato nella scorsa legislatura (5-07319) l'interrogante evidenziava i disagi che deriverebbero ai cittadini della Valle Camonica a seguito della redistribuzione territoriale dei servizi, con relativi accorpamenti e/o chiusure di sedi Inps ed Inail, ricordando che la percorrenza dall'Alta Valle a Brescia supera le due ore di automobile;
   in particolare l'interrogante sottolineava che il paventato declassamento della sede Inail di Breno da classe «B» a classe «C», in programma per esigenze di riorganizzazione, avrebbe comportato una ovvia diminuzione di importanti servizi in un bacino territoriale di oltre centomila abitanti;
   in realtà, la sede Inail di Breno è stata oggetto ripetutamente di declassamenti e riqualificazioni ad ogni rivisitazione del modello organizzativo da parte dell'Inail; si ricorda, infatti, che dopo esser stata di categoria «B» per dieci anni, l'amministrazione provinciale ritenne di dover modificare tale assetto trasformandola in sede di categoria «C» e riclassificando quella di Palazzolo in sede di categoria «B»; successivamente, il 30 marzo 2007, è stata avanzata richiesta di trasformazione della sede di Breno da categoria di tipo «C» a tipo «B», al fine di favorire l'accesso ai servizi offerti;
   in risposta ad altro atto di sindacato ispettivo (n. 5-00054) il Ministro pro tempore precisava che «con deliberazione del Consiglio di amministrazione dell'Inail n. 500 del 24 dicembre 2007» erano state approvate «le linee guida del nuovo Ordinamento delle Strutture centrali e territoriali dell'istituto», nel quale ambito «sono stati fissati i nuovi parametri per la classificazione della tipologia delle sedi locali sulla base delle eventuali variazioni del carico di lavoro dalle stesse gestito» e pertanto che «la sede di Breno, che dipende dal punto di vista amministrativo dalla sede dirigenziale di Brescia, nel nuovo modello organizzativo è stata riclassificata come sede di tipologia «B», con conseguente implementazione delle attività relative al processo «Aziende» e che «il nuovo assetto dovrà trovare concreta attuazione entro il termine del 31 ottobre 2008»;
   risulta ora all'interrogante che la sede Inail di Breno sia oggetto nuovamente di riclassificazione, con il rischio di essere qualificata di categoria «C»;
   si ribadisce che la sede è collocata al centro della Valle Camonica e dista circa 70 chilometri dalla sede provinciale di Brescia e che, oltre a servire l'utenza di un territorio montano, trovandosi al confine di due province (Brescia e Bergamo), fornisce servizi anche ai lavoratori, ai datori di lavoro e consulenti di comuni della provincia di Bergamo (Rogno, Costa Volpino, Lovere, Castro, Sovere, Pianico, Endine Gaiano, Val di Scalve) con un bacino di utenza complessivo di più di 150 mila abitanti;
   si ricorda, altresì, che la sede di Breno ha subìto una recente ristrutturazione che la rende di facile accesso anche per i grandi invalidi del lavoro, oltre che comodamente raggiungibile con i mezzi pubblici per chiunque, data la vicinanza alla stazione ferroviaria –:
   se trovi conferma il rischio di un declassamento della sede e se non convenga sulla necessità di mantenere l'attuale classificazione di sede di tipo «B», al fine di poter garantire all'utenza la continuità e la qualità dei servizi finora offerti. (5-01341)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MORETTO, MARTELLA, MURER, MOGNATO e ZOGGIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la giunta regionale del Veneto, su sollecitazione del tavolo di crisi della pesca, ha approvato la delibera di giunta regionale n. 1044 del 5 giugno 2012 che stanzia 4 milioni di euro della dotazione finanziaria dell'asse 1, in capo alla programmazione 2007-2013 cofinanziata dal FEP, alla «misura 1.1-arresto definitivo», finalizzata alla demolizione delle imbarcazioni del segmento della piccola pesca, come supporto alla riorganizzazione e ristrutturazione della flotta veneta nel suo insieme;
   nella precedente legislatura il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore, Mario Catania, ha sottoscritto in data 29 dicembre 2012, il decreto che ha disposto l'approvazione di uno specifico bando mirato alla «rottamazione» delle imbarcazioni venete della piccola pesca;
   il citato decreto, di fatto, ha consentito di attivare la procedura per l'acquisizione delle domande da parte delle imprese di pesca venete interessate alla demolizione delle proprie imbarcazioni;
   la domanda di ammissione al premio di arresto definitivo, redatta in carta semplice dal proprietario dell'unità, doveva essere presentata all'ufficio marittimo di iscrizione della nave, entro 60 giorni decorrenti dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;
   la fase istruttoria legata a queste procedure è stata lunga e irta di ostacoli burocratici;
   il settore è ancora in attesa della pubblicazione della graduatoria, che doveva essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale;
   tale ritardo sta comportando notevoli disagi agli armatori veneti, che a causa delle evidenti incertezze determinate dalla normativa non hanno proceduto né ad investimenti né alla presentazione di progetti in base all'ultimo bando FEP;
   questo comporta di fatto il collasso economico per molte imprese del settore che vedono sempre più vicino il rischio di fallimento della propria attività –:
   se e quando verrà pubblicata la graduatoria al premio di arresto e se i fondi non utilizzati al 31 dicembre 2013 possano essere, attraverso una proroga termini, da concordare anche in sede di Unione europea, riattribuiti al medesimo scopo o purtroppo rischino di andar persi con grave danno per il comparto della pesca operante in regione Veneto. (5-01344)


   OLIVERIO, GRASSI, VENTRICELLI, ANTEZZA, SCALFAROTTO, CENNI, LOSACCO, BELLANOVA, CAPONE, TERROSI e VALIANTE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel Salento, in particolare nella zona di Gallipoli, si sta propagando un batterio denominato «Xilella fastidiosa» che attacca le piante di ulivo;
   il batterio è portato da alcuni insetti, tra cui una piccola cicala: la sua presenza impedisce l'idratazione della pianta, provocando dapprima il disseccamento della chioma, poi l'imbrunimento del legno fino alla morte della pianta;
   secondo il dirigente dell'osservatorio fitosanitario della regione Puglia l'area colpita, estesa per più di 8 mila ettari, «è ormai compromessa ed è necessario contenere la malattia all'interno del focolaio o dell'area di isolamento»;
   si stima che circa 600 mila alberi di ulivo siano da sradicare e che i danni ammontino a decine di milioni di euro; la sola buona notizia è che non ci sarebbero conseguenze sulle olive e sull'olio d'annata perché il batterio è un patogeno del legno;
   dalle notizie apprese dagli organi di informazione è stata costituita una task force ministeriale di 40 esperti, a cui si dovrebbero affiancare due ricercatori statunitensi;
   in Puglia ci sono oltre sessanta milioni di piante di ulivo e l'intero Mezzogiorno d'Italia è l'area europea dove maggiore è la densità degli ulivi;
   il problema non riguarda quindi solo la Puglia e il Salento ma assume dimensioni nazionali ed europee, in considerazione appunto dell'estensione delle coltivazioni e del rilevante valore economico e anche culturale della produzione olivicola;
   è dunque indispensabile reperire rapidamente risorse per contrastare il batterio, circoscrivere l'area del contagio e mettere in campo un'efficace azione di contrasto alla diffusione del batterio –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per assicurare, anche attraverso un'azione in sede comunitaria, le risorse necessarie per circoscrivere il focolaio di infezione delle piante di ulivo, per evitare il propagarsi del batterio e per indennizzare i produttori che dovranno abbattere le piante malate. (5-01348)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un evento recentemente tenutosi a Roma in materia di potenzialità delle piattaforme digitali, il Ministro interrogato ha affermato che, per rilanciare la crescita del Paese e in particolare del settore agroalimentare, è indispensabile collegare la tradizione e l'innovazione e che è strategica a tal fine la collaborazione con Google;
   il Ministro interrogato ha quindi accentrato alla imminente attivazione di un progetto tra il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e la multinazionale statunitense che rappresenterà un momento di grande comunicazione dell'agroalimentare italiano nel mondo e che potrà offrire numerosi posti di lavoro, soprattutto ai giovani;
   quantunque sia importante sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalla rete, soprattutto per quanto riguarda la diffusione del nostro prezioso ed eccellente agroalimentare, le perplessità che un simile progetto può comportare sono molte e soprattutto legate al fenomeno della contraffazione on-line che è particolarmente allarmante posto che la rete offre anonimato, costi bassi e possibilità di una veloce e facile scomparsa dal mercato;
   fornire informazioni a Google vuol dire mettersi nelle mani di un raccoglitore di notizie ed è ormai evidente che, in questa epoca, chi detiene informazioni, anche senza esserne il reale possessore, assume un ruolo determinante e dominante;
   è noto che la grande multinazionale che opera in rete, ha dimensioni colossali, sia per fatturato che per quotazione in borsa e numero degli occupati, e che la struttura informativa americana incaricata delle intercettazioni, la National Security Agency, dispone di un accesso privilegiato ai principali fornitori privati di servizi in rete tra cui Google, in cui è disponibile, completamente tracciabile, il profilo delle relazioni sociali, delle preferenze e dei gusti di miliardi di persone –:
   quali siano gli obiettivi e le modalità di realizzazione del progetto di cui in premessa e come ritenga di coniugare tale collaborazione che, pur incrementando il numero dei contenuti on-line, in mancanza di una regolamentazione della rete, necessita di avere informazioni verificate e attendibili volte a proteggere il vero made in Italy agroalimentare dal sempre più diffuso mercato del falso;
   se non ritenga che l'accesso privilegiato di Google alla conoscenza delle preferenze e dei gusti alimentari di miliardi di persone, possa in qualche modo alterare, rispetto al mercato reale, le normali dinamiche del rapporto domanda-offerta e in caso affermativo quali iniziative intenda assumere. (5-01354)

Interrogazione a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i cosiddetti richiami vivi sono uccelli che vengono catturati in roccoli e prodine tramite reti da uccellagione a maglie molto sottili, quasi invisibili, vietate dalla direttiva uccelli 2009/147/CE; ogni anno i roccoli vengono aperti per la cattura degli uccellini da destinare ai cacciatori; l'Italia è l'ultimo dei Paesi dell'Unione europea che fa uso di questa pratica;
   i servizi legali della Commissione europea confermano che l'Unione europea sta indagando sull'utilizzo delle reti per uccellagione nei roccoli in Italia (pratica EU-Pilot 1611/10/ENVI);
   secondo l'eurodeputato Andrea Zanoni la deroga della regione Veneto, ma anche della Provincia di Trento e delle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Marche, che consente l'uso delle reti da uccellagione severamente vietate, viola apertamente la direttiva Uccelli (2009/147/CE) in quanto non prevede «altre soluzioni soddisfacenti», l'esistenza di «condizioni rigidamente controllate» e «la selettività del prelievo»;
   sono principalmente sette le specie di uccelli utilizzati come richiami per la caccia d'appostamento: allodola, cesena, merlo, tordo sassello, tordo bottaccio, colombaccio, pavoncella; ma ci sono anche fringuello, peppola, pispola e prispolone. Si tratta perlopiù di uccelli migratori e gregari; l'allodola è una specie a rischio, classificata come «vulnerabile» e inserita nella lista rossa degli uccelli nidificanti in Italia e in declino da 30 anni in tutta Europa;
   in Italia furono 459 gli impianti di cattura autorizzati tra il 1994 e il 2005, oltre 170 gli impianti mediamente attivi ogni anno, sei le regioni italiane che autorizzano la cattura degli uccelli: Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Toscana e Trentino-Alto Adige; la Lombardia è la regione con più impianti di cattura (50-60 ogni anno); Parma è la prima e unica provincia italiana ad aver vietato l'utilizzo dei richiami vivi;
   per far cantare questi uccelli d'autunno o d'inverno, quando la caccia è aperta, essendo questi animali canterini in primavera, quando si riproducono, sono sottoposti alla cosiddetta «chiusa»; vengono strappate agli stessi alcune penne e piume, tenuti in cantine buie e alimentati pochissimo; viene così simulato l'inverno in primavera - estate; una volta ripostati alla luce, tra ottobre e dicembre, convinti di essere in primavera, emettono il canto nuziale, attirando così i propri conspecifici;
   Renato Ceccherelli, veterinario del Cruma (centro recupero uccelli marini acquatici) ha dichiarato che gli uccelli utilizzati come richiamo hanno un tasso di mortalità altissimo e molti di quelli che sopravvivono sviluppano ipersensibilità alle malattie a causa di una immunosoppressione da stress. Patiscono traumi, presentano problemi legati a carenza di vitamine e sali minerali indispensabili alla sopravvivenza e subiscono trattamenti farmacologici deleteri a base di testosterone, impartiti da chi li detiene per obbligare gli uccelli a cantare anche al di fuori del periodo riproduttivo; rinchiusi in gabbie anguste gli uccelli migratori soffrono per lo stravolgimento del loro assetto fisiologico e sovente presentano stereotipie, segno di adattamento patologico alla cattività;
   al cacciatore che si serve del richiamo vivo interessa solo il maschio, poiché quest'ultimo, cantando, richiama i suoi simili a tiro di fucile; il sessaggio dei tordi viene effettuato per individuare i maschi, quasi impossibili da distinguere ad occhio nudo dalle femmine; queste bestiole vengono sottoposte ad una operazione chirurgica dolorosissima, in condizioni igieniche raccapriccianti e senza anestesia: viene effettuato un taglio nel basso ventre e spostandone le interiora viene ispezionata la parte sottostante la spina dorsale dove sono collocati i piccolissimi testicoli del tordo maschio; i maschi vengono perciò ricuciti alla buona, patendo una mortalità superiore al 50/70 per cento, mentre le femmine di norma vengono uccise immediatamente con lo schiacciamento della testa;
   la liceità dell'impiego di uccelli utilizzati come richiamo costituisce di fatto una difformità dalla legge 20 luglio 2004, n. 189, recante «Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate», legge che ha profondamente modificato l'assetto normativo in tema di animali;
   gli uccelli usati per attirare i loro conspecifici durante l'attività venatoria vengono posti in gabbie dove non potranno più volare, con l'impossibilità di aprire le ali e con la mangiatoia e il beverino all'interno della gabbia. Queste gabbie sono quadrate, devono essere modulari, non possono avere sporgenze perché trasportate in automobile. Gli uccelli, inevitabilmente, imbrattano il cibo e l'acqua con le loro deiezioni, con gravi conseguenze igieniche;
   con la sentenza numero 2341/13 del 17 gennaio 2013 (udienza del 7 novembre 2012), la terza sezione della Corte di Cassazione ha riconosciuto il reato di maltrattamento di cui all'articolo 727 comma 2 del codice penale nella detenzione di uccelli in gabbie anguste; nel testo della sentenza si legge che «il detenere uccelli in gabbie anguste piene di escrementi, essendo l'inadeguata dimensione delle gabbie attestata dal fatto che gli uccelli hanno le ali sanguinanti, avendole certamente sbattute contro la gabbia in vani tentativi di volo, integra il reato di cui all'articolo 727 comma 2 del Codice Penale poiché, alla luce del notorio, nulla più dell'assoluta impossibilità del volo è incompatibile con la natura degli uccelli»;
   l'ultimo rapporto Eurispes Italia 2013 indica che meno del 20 per cento degli italiani si dice tollerante nei confronti della caccia;
   il 5 dicembre 2012 il deputato europeo Andrea Zanoni e i rappresentanti della LAC (Lega abolizione caccia) e del CABS (Committee Against Bird Slaughter) hanno consegnato circa 18.000 firme alla presidente della commissione petizioni al Parlamento europeo affinché l'Unione europea proibisca per sempre il possesso di uccelli selvatici, sia derivanti da cattura che da allevamento, utilizzati come richiami vivi nella caccia agli uccelli migratori;
   la LIPU – Lega italiana protezione uccelli ha recentemente avviato la campagna e petizione «No ai richiami vivi» contro la cattura e la detenzione di uccelli come «esche» per l'attività venatoria;
   l'ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, con circolare del 21 giugno 2012, indirizzata alla regione Veneto, dà parere sfavorevole alla cattura in deroga degli uccelli con l'utilizzo delle reti per la stagione 2012/2013, sottolineando che quantomeno dovrebbero essere messi in pratica i metodi alternativi quali l'allevamento degli uccelli in cattività; parere di fatto ignorato dalla regione Veneto che con delibera n. 1629 del 31 luglio 2012 ha autorizzato ben 46 impianti di uccellagione, per la cattura di 16.000 uccelli migratori; il 18 giugno 2013 il consiglio regionale del Veneto, su proposta del consigliere regionale della Lega Nord Gianpiero Possamai, ha approvato la proposta di Legge che abolisce l'obbligo di tenuta, compilazione ed esibizione dell'apposito registro per gli allevatori di uccelli da richiamo appartenenti alle specie cacciabili;
   sul Bollettino ufficiale della regione del Veneto n. 58 del 12 luglio 2013 è pubblicata la deliberazione della giunta regionale n. 1099 del 28 giugno 2013 avente titolo: stagione venatoria 2013-2014. Autorizzazione alla gestione di impianti di cattura per il rifornimento di richiami vivi (articolo 9 Direttiva 2009/147/CE; articolo 4 legge n. 157 del 1992; articolo 4 legge regionale n. 50 del 1993); nelle note per la trasparenza è specificato che: «Viene approvato, per la stagione 2013-2014, l'annuale programma di gestione degli impianti di cattura per il rifornimento di richiami vivi da mettere a disposizione dei cacciatori aventi titolo ai sensi di legge», quanto deliberato avviene nuovamente in difformità con il parere dell'ISPRA che anche quest'anno ha espresso parere sfavorevole all'attivazione degli impianti di cattura (allegato C della medesima delibera);
   la cattura di uccelli da richiamo spesso sfocia in gravi violazioni perseguibili penalmente; diverse operazioni di polizia, carabinieri e Corpo forestale stanno facendo luce su furti, traffici e detenzione di uova, nidi, implumi e uccelli; ad oggi risultano pendenti vari processi penali grazie solo a saltuari controlli; rigidi controlli sarebbero invece previsti dall'articolo 9 della direttiva uccelli;
   un video reperibile in internet intitolato «Contraffazione anelli per uccelli catturati illegalmente» mostra come vengano applicati anelli identificativi a uccelli catturati illegalmente in un laboratorio clandestino in Veneto; anelli che a norma di legge si possono applicare solo agli uccelli di allevamento nei primi giorni di vita come previsto dall'articolo 66, punto 8 del regolamento (CE) 865/2006; questa operazione fraudolenta permette di fatto di trasformare migliaia di uccelli selvatici protetti e non commerciabili, catturati illegalmente, in volatili nati in allevamento e quindi commerciabili legalmente;
   con la sentenza n. 7949/2013 del 19 febbraio 2013 (udienza del 20 settembre 2012), la terza sezione della Corte di Cassazione ha riconosciuto il reato di uso di mezzi di caccia vietati, anche al di fuori delle ipotesi di cui all'articolo 21 lettera r), secondo cui è vietato «usare a fini di richiamo uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali e richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono»;
   la nozione di «mezzi vietati» va intesa, dunque, in senso ampio e comprende qualsiasi strumento da caccia vietato, compresi i richiami in genere, tra i quali vanno inclusi i richiami vivi «non identificabili mediante anello inamovibile»; la sentenza di Cassazione riguarda un ricorso contro una sentenza di condanna di primo grado del tribunale di Bergamo del 20 ottobre 2011 numero 1870/2010; con questa sentenza, la Corte ha rigettato il ricorso ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali;
   l'istituto superiore di sanità ha confermato la positività per il virus dell'influenza aviaria H7N7 in una persona affetta da congiuntivite ed esposta per motivi professionali in uno degli allevamenti del gruppo Eurovo colpiti dal virus a Mordano (Bologna); già il 14 agosto 2013 nei comuni dell'Emilia Romagna di Ostellato (FE), Mordano (BO) e Portomaggiore (FE), le autorità sanitarie locali hanno rilevato la presenza del virus sottotipo H7N7; si tratta di tre allevamenti: Ostellato con 128.000 galline ovaiole, Mordano con 586.000 galline ovaiole e Portomaggiore con 18.000 tacchini, i cui animali sono stati uccisi su disposizione delle autorità; il problema riguarda anche il Veneto, visto che a Occhiobello (in provincia di Rovigo) è stata disposta l'uccisione in via preventiva di 200.000 galline ovaiole di un allevamento; l'istituto superiore di sanità fa sapere che oltre al caso confermato di aviaria se ne registra un altro «sospetto», anche in questo caso riguardante un operaio impegnato in un allevamento di volatili colpito dall'influenza aviaria (lo stesso stabilimento del caso confermato);
   il 16 luglio 2013, la giunta del Veneto con la delibera 1286 «Regime di deroga al divieto di utilizzo di volatili appartenenti agli ordini degli anseriformi e caradriformi nell'attività venatoria – disposizioni esecutive per la stagione venatoria 2013/2014» ha concesso nell'attività venatoria l'uso e la movimentazione di richiami vivi, anatre comprese, uccelli questi ritenuti veicolo del contagio; il 21 settembre 2012 la regione, in seguito ad un caso di H5N1, aveva vietato fiere, mostre e mercati di avifauna, consentendo però le fiere dedicate agli uccelli ornamentali, ovvero le sagre degli uccelli nelle quali sono presenti, in particolare, anche anatre usate come richiami vivi nella caccia;
   la legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» affida all'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA (già Istituto nazionale per la fauna selvatica – INFS)»... di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, di esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome»;
   nell'ottobre 2011 una lettera trasmessa dalla Commissione europea all'Italia ha chiarito e confermato la posizione espressa da Bruxelles, già in luglio, sull'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca Ambientale), quando aveva affermato che «i pareri rilasciati da Ispra sui provvedimenti regionali in materia di caccia devono considerarsi obbligatori e le Regioni debbono necessariamente uniformarsi»; nella lettera inviata all'Italia la Commissione europea scrive che «la legge nazionale italiana affida a Ispra il compito di fornire, in qualità di organo nazionale scientifico e tecnico, le necessarie valutazioni scientifiche e i pareri a tutte le amministrazioni nazionali, regionali e provinciali su una serie di aspetti che riguardano l'attuazione della Direttiva Uccelli; dal nostro punto di vista questo ruolo di Ispra è fondamentale al fine di assicurare, in tutto il territorio italiano, un'attuazione coerente, unitaria e fondata sui solide basi scientifiche della direttiva uccelli», esprimendo «apprezzamento per le capacità e l'autorevolezza dell'istituto, dei cui pareri sia la Commissione europea che la Corte di Giustizia dell'Unione europea hanno finora riconosciuto la validità scientifica e la coerenza con i principi di conservazione della Direttiva Uccelli», e ricordandone l'importanza in particolare in tema di deroghe di caccia, la Commissione sottolinea come tutte le condanne contro l'Italia abbiano avuto per prologo il fatto che tali pareri sono stati «sistematicamente ignorati dalle autorità regionali», «Riteniamo quindi che, per le Regioni italiane – conclude la Commissione – seguire i pareri Ispra sia un ottimo modo per evitare possibili problemi nell'applicazione della direttiva uccelli» –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, per affrontare risolutamente il problema dei «richiami vivi» che sono in totale antitesi con: la biologia, l'etologia, l'ecologia e la fisiologia degli uccelli; gli sforzi per la conservazione di specie minacciate come l'Allodola; il senso etico della grande maggioranza degli italiani; il rispetto del parere vincolante dell'ISPRA; il rispetto della direttiva uccelli 2009/147/CE; il rispetto delle sentenze emesse dalla Corte Suprema di Cassazione il rispetto della legge 20 luglio 2004, n. 189, recante «Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate»; le misure di prevenzione contro la diffusione del virus dell'influenza aviaria;
   quali siano le ragioni per le quali lo Stato italiano è rimasto l'ultimo dei Paesi dell'Unione europea a permettere pratiche come l'utilizzo dei richiami vivi, lasciando che il comportamento di alcune amministrazioni per venire incontro a una esigua minoranza di cittadini, i cacciatori, rischi di far pagare a tutti i contribuenti le pesanti sanzioni europee ormai alle porte;
   quali siano le iniziative che i Ministeri intendano adottare per combattere in modo efficace il commercio illegale degli uccelli e la contraffazione di anelli identificativi per uccelli utilizzati come richiamo e se ritengano di potenziare il sistema dei controlli, come previsti dall'articolo 9 della direttiva uccelli;
   se si intendano assumere iniziative per chiarire, una volta per tutte, soprattutto per fornire precise indicazioni alla cittadinanza e agli enti nazionali e locali, se in Italia il parere dell'ISPRA sia vincolante oltre che obbligatorio, come affermato dalla Commissione europea.
(4-02373)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto-legge n. 201 del 2011 il Governo Monti ha deciso di inglobare gli enti previdenziali INPDAP e ENPALS all'interno dell'ente previdenziale INPS, tutto questo per armonizzare il sistema pensionistico attraverso l'applicazione del metodo contributivo;
   con l'accordo separato per il pubblico impiego, sottoscritto il 4 febbraio 2011 dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dalle organizzazione sindacali si è deciso, alla luce della pesante crisi economica ed anche in conseguenza del blocco dei contratti collettivi nazionali di lavoro che, dal 2010, si protraggono fino al 2014, che il valore del trattamento economico comprensivo della parte relativa al salario accessorio dei singoli dipendenti non dovesse essere inferiore rispetto quanto percepito nel 2010;
   trascorsi ormai 9 mesi dall'integrazione si riscontra un'oggettiva, grave, pratica discriminatoria, rappresentata dal fatto che il personale soppresso ex INPDAP percepisce un importo accessorio, rispetto al precedente anno, inferiore di circa 4.200 euro;
   a seguito della «bocciatura» da parte della ragioneria generale dello Stato relativamente alle misure di risparmio indicate dall'INPS nella nota di variazione al bilancio preventivo per l'anno 2013, diventa purtroppo concreto ed imminente anche il pericolo di una forte riduzione dei compensi legati all'incentivazione speciale nei confronti dei lavoratori dell'istituto per l'anno in corso;
   il comma 110 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n 228 — legge di stabilità 2013 — prevede la possibilità per gli enti di previdenza pubblici di reperire i risparmi di gestione obbligatori anche riducendo appunto i compensi relativi ai progetti speciali spettanti al personale dell'INPS con una possibile decurtazione del salario accessorio che potrebbe arrivare fino ad un massimo di 6.000 euro –:
   quali iniziative intendano adottare per scongiurare un danno economico così rilevante per i lavoratori del pubblico impiego ed, in particolare, per quelli provenienti dagli enti previdenziali confluiti nell'INPS, ovvero INPDAP ed ENPALS. (4-02363)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, SCAGLIUSI, CARIELLO, CECCONI, DALL'OSSO, BARONI, MANLIO DI STEFANO, ZOLEZZI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, DAGA, TERZONI, D'AMBROSIO, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, PARENTELA, TOFALO, LIUZZI, GRILLO, LOREFICE, DI VITA e BRESCIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogazione a risposta scritta 4-00762 del 6 giugno 2013 trasformata in interrogazione a risposta in commissione 5-00813 il 1o agosto 2013 riguardante la discarica presente in contrada Martucci a Conversano (Bari), il Sottosegretario all'ambiente Marco Flavio Cirillo ha risposto dichiarando che «La situazione del sito, come delle aree agricole limitrofe, è altresì oggetto di una approfondita indagine dell'Arpa Puglia. Nel gennaio 2013, infatti, la suddetta Agenzia ha condotto uno studio di tipo descrittivo con l'obiettivo di fornire, separatamente per causa e genere, un profilo di mortalità della popolazione residente nei Comuni di Mola di Bari e Conversano e di evidenziare eventuali eccessi negli indicatori di mortalità specifici per causa di morte rispetto agli indicatori regionali e provinciali;
   in data 23 maggio 2013, il consiglio comunale di Mola di Bari (Bari) ha deliberato di impegnare l'amministrazione comunale «a fare eseguire, anche con il concorso dell'ATO Bari 5 e in stretto rapporto con il Comune di Conversano, uno studio epidemiologico sulla popolazione residente nei due Comuni (Mola di Bari e Conversano) nonché sui lavoratori addetti agli impianti che trattano rifiuti e a tutti i lavoratori che operano in contrada Martucci»;
   sulla base dei dati epidemiologici fermi al periodo 2000-2005 pubblicati nel 2006 dall'OER (Osservatorio epidemiologico regionale) della Puglia, Legambiente Conversano ha pubblicato un rapporto (focalizzato sui comuni di Conversano, Castellana Grotte, Rutigliano, Polignano a Mare, Noci, Turi, Mola di Bari e Monopoli), in collaborazione con i medici di base del comune di Conversano, in cui emerge come «i tumori che colpiscono il sistema nervoso centrale e gli organi dei sensi», «le neoplasie all'apparato uro-genitale», «i tumori ematologici», quelli al «pancreas», al «fegato», i «melanomi» siano superiori alla media regionale (Fonte: Fax Polignano 26 ottobre 2013, pag. 9). Il rapporto è stato depositato in procura dal comune di Conversano nel processo in corso sulla megadiscarica Martucci anche se questi dati non dimostrano una diretta correlazione con il presunto disastro ambientale (Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno 28 ottobre 2013, pag. 8);
   in data 15 ottobre 2013, dopo l'approvazione del PRGRU, è stato approvato l'ordine del giorno a firma dei consiglieri regionali Lanzilotta e Pastore «Contrada Martucci – Conversano – Linee di indirizzo per l'avvio del risanamento ambientale dell'area» in cui si impegna il Governo regionale della Puglia ad «individuare le risorse finanziarie, quantificabili in 500 mila euro da assegnare ai Comuni di Conversano, Mola di Bari e Polignano sollevandoli dai vincoli del Patto di Stabilità, ed assumere ogni utile iniziativa finalizzata a coordinare tutte le attività ricognitive che consentano una più dettagliata conoscenza dei dati ambientali relativi a suolo, sottosuolo e falda nell'area vasta, che permettano l'individuazione dei responsabili dell'inquinamento e quindi l'avvio di interventi per la bonifica e la riqualificazione ambientale dell'area». Un procedimento da «concludersi entro sei mesi dall'approvazione» dell'ordine del giorno. Nell'odg si sottolinea che «qualora dallo studio dovessero emergere compromissioni dei livelli di inquinamento il Consiglio Regionale impegna la Giunta regionale a prevedere, nel bilancio di previsione per l'anno 2014, apposito capitolo di spesa a favore dei comuni di Conversano, Mola di Bari e Polignano (in forma associata fra di loro). Medesimo capitolo sarà poi incrementato, con la manovra di assestamento, per le risorse necessarie risultanti dallo studio stesso. Si impegna altresì la Giunta ad adottare ogni provvedimento utile alla messa in sicurezza, bonifica, e risanamento ambientale. Qualora l'Autorità competente dovesse ritenere il sussistere di situazioni di cui al titolo VI del decreto legislativo 152/2006 e s.m.i., ovvero di danno ambientale, tutta l'attività dovrà essere orientata a favorire l'applicazione delle norme di precauzione e prevenzione di cui agli articoli 240 e seguenti del decreto legislativo 152/2006 e s.m.i. anche pensando alla adozione di poteri di ordinanza di cui all'articolo 244 e provvedendo allo stralcio dell'impianto così come individuato dal presente Piano, sostituendo le necessità derivanti dal suo utilizzo con altri impianti siti ed in esercizio sull'intero territorio regionale, qualora ed auspicabilmente una diversa organizzazione amministrativa degli ATO (unico) renda possibile il loro utilizzo» –:
   se il Ministro interrogato intenda, nell'ambito delle proprie funzioni, attivarsi presso l'istituto superiore della sanità affinché vengano definitivamente aggiornati i dati epidemiologici pubblicati nel 2006 dall'OER della Puglia e venga dato avvio ad uno studio epidemiologico approfondito e dettagliato, che analizzi anche lo stato di salute dei dipendenti che lavorano, o abbiano lavorato in passato, in contrada Martucci. (4-02369)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BELLANOVA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sin dal 15 settembre 2010, data della presentazione del primo di numerosi atti parlamentari, l'interrogante ha posto all'attenzione del Governo la situazione difficilissima dei circa 500 lavoratori operanti presso il sito leccese della multinazionale British American Tobacco Italia, multinazionale che decidendo di chiudere, pur producendo utili, l'ultimo dei 22 siti italiani per delocalizzare la produzione in Paesi dove il costo del lavoro è minore, ha determinato un impatto economico-occupazionale devastante per il territorio salentino, già gravemente compromesso a causa della crisi economica;
   più volte a mezzo stampa e tramite atti parlamentari l'interrogante, manifestava dubbi, in controtendenza all'accordo siglato presso il Ministero dello sviluppo economico il 2 dicembre 2010 alla presenza di istituzioni e organizzazioni sindacali, sull'affidabilità dell'azienda Korus dal punto di vista della ricollocazione di queste persone. Con una nota stampa del 19 settembre 2012 l'interrogante asseriva che «fin dall'inizio della vicenda avevo denunciato la scelleratezza dell'operazione e del piano di riconversione della ex Manifattura Tabacchi di Lecce. Così come in solitudine ero rimasta dopo aver subito minacce di querela per aver portato alla luce l'inaffidabilità della IP/Korus. Oggi, infatti, il titolare dell'azienda, non ha ritenuto neanche necessario presentarsi a quel tavolo. Dopo due anni di impegni disattesi, promesse non mantenute, rinvii e inversioni di rotta, l'assenza di oggi è l'ennesima dimostrazione dell'arroganza di certi poteri. Non accetto che nel caso specifico si parli di crisi, visto che l'azienda, come avevo già denunciato in una delle tante interrogazioni parlamentari presentate in questi due anni, aveva già proceduto a forti riduzioni del personale ben prima che l'accordo di riconversione della BAT venisse sottoscritto»;
   oggi sulla stampa locale si legge di un esposto depositato, da parte dei lavoratori ricollocati nell'azienda IP Korus (produttrice di infissi in alluminio), alla procura della Repubblica il 23 ottobre 2013. Da quanto si apprende a firmare l'atto sono stati 30 dei 49 dipendenti ricollocati nell'azienda sopra citata. Si tratta di persone licenziate da BAT Italia, «riqualificate» poiché producevano sigarette e poste quasi da subito in cassa integrazione. I lavoratori denunciano che «dalla chiusura dello stabilimento ad oggi, tutto ciò che è stato promesso e scritto non è mai stato messo in pratica;
   tra continui ritardi, assenze da parte della proprietà dell'azienda ai tavoli preposti alla concertazione e rinvii, più volte denunciati, questa ricollocazione, di fatto non è mai partita ciò nonostante proprio l'accordo del dicembre 2010 asserisse all'ultimo capoverso pagina 9 «Le parti convengono che il presente piano industriale (ricollocazione e attività industriali e di servizio) sarà oggetto di monitoraggio ministeriale semestrale, o comunque a richiesta di una delle parti, da parte dei firmatari del presente accordo»;
   nell'aprile 2012 nell'ennesimo atto parlamentare l'interrogante scriveva il ritardo dell'inizio dell'attività nel sito leccese era stato comunicato agli inizi di agosto 2011 ed in tale occasione la proprietà esternava la certezza che nel mese di ottobre/novembre avrebbero completato le opere necessarie all'avvio delle attività produttive, mettendo anche in conto che nella peggiore delle ipotesi il 2 gennaio 2012 l'azienda avrebbe iniziato ad operare a pieno regime produttivo. Iniziata la formazione on the job da parte dell'azienda, nel mese di gennaio 2012 si è tenuta una riunione nella quale è stato presentato un crono programma che prevedeva l'installazione di una macchina «Quadra» per fine gennaio, ed il resto delle ulteriori macchine a seguire, dando per completato quanto propedeutico alla produzione per la data del 15 marzo 2012. Ad oggi sembrerebbe essere stato portato in loco un macchinario obsoleto e privo di parti fondamentali per un proficuo utilizzo, ancora nulla si sa circa i tempi di allocazione degli altri impianti previsti nel sopra citato crono programma»; oggi, nell'esposto dei lavoratori si legge che «Korus a novembre 2010 promise investimenti per 10 milioni di euro su Lecce eppure ancora oggi non è stato fatto alcun investimento nello stabilimento (tutt'oggi privo di agibilità e fatiscente) e attualmente in azienda è presente solo un macchinario, per altro obsoleto e privo di protezioni»;
   da ciò che emerge a mezzo stampa sembrerebbe che sempre nell'esposto si faccia riferimento al fatto che «non si comprende quale destinazione abbia dato la società Korus ai milioni di euro ricevuti da BAT a fronte dell'impegno di assorbire i 70 lavoratori e garantire quel livello occupazionale per almeno tre anni»;
   di fatto oggi, purtroppo, si ritrova con un territorio al quale è stato sottratto non solo lavoro, ma anche capacità produttiva e di sviluppo, il tutto per compiere una operazione di delocalizzazione utile solo ad una multinazionale la cui unica ed evidente preoccupazione ad avviso dell'interrogante era quella di produrre laddove il costo del lavoro è minore. Ciò nella distrazione totale di tanti se evidentemente le grida di allarme non sono state colte per tempo –:
   se il Ministro, dato quanto sopra premesso non ritenga con urgenza di intervenire in questa vicenda richiamando a responsabilità etica e sociale la multinazionale BAT Italia, affinché i lavoratori coinvolti non siano vittime della facile distrazione di tanti che non hanno saputo ascoltare le grida di allarme rivelatesi fondate;
   se il Ministro, al netto del lavoro che la magistratura sarà chiamata a fare in questa vicenda, non intenda verificare se l'azienda Korus abbia effettivamente ricevuto da BAT Italia incentivi economici a fronte dell'impegno di assorbire i lavoratori, persone che ad oggi risultano essere collocate in cassa integrazione fino al 3 dicembre 2013 e cosa si intenda fare affinché questi lavoratori siano ricollocati. (5-01351)


   FABBRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il processo di liberalizzazione per la distribuzione di gas in Italia è iniziato con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 164 del 2000;
   il decreto ministeriale del 19 gennaio del 2011 recante la definizione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale, al comma 1, dell'articolo 1, reca: «Gli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare e l'affidamento del servizio di distribuzione del gas sono determinati in numero di 177». Al successivo comma 2 reca invece: «Con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale, da comunicare alla Conferenza Unificata, sono indicati i Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale»;
   in vista della scadenza (al 31 dicembre 2013) dei contratti di gestione delle reti e di distribuzione del gas, il dipartimento per l'energia e l'Autorità nazionale per l'energia e il gas stanno facendo la ricognizione per la definizione degli ambiti territoriali ottimali, operazione preliminare alla definizione del perimetro di pertinenza per la definizione e la pubblicazione dei bandi di gara finalizzati alla selezione del soggetto gestore;
   in provincia di Bologna i comuni di Bazzano, Castello di Serravalle, Crespellano, Monteveglio e Savigno hanno formalmente deliberato ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale n. 24 del 1996 la fusione dei suddetti comuni che prevede dal 1o gennaio 2014 il commissariamento finalizzato all'elezioni del comune unico per la primavera del 2014;
   attualmente 4 comuni su 5 pur essendo in territorio bolognese sono stati finora inseriti nell'ambito territoriale di Modena per la distribuzione del gas, mentre quello di Crespellano, il più grande per popolazione, nell'ambito territoriale di Bologna;
   la definizione dell'ambito territoriale per la selezione del soggetto gestore gas viene a sovrapporsi in termini temporali con la nascita del nuovo comune unico –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di individuare un unico ambito territoriale di riferimento in modo da garantire a tutti gli abitanti del nuovo comune, le stesse modalità di erogazione del servizio nonché condizioni tariffarie e al contempo accogliere la richiesta degli stessi comuni suddetti di inserimento nell'ambito territoriale di Bologna 2, a prescindere dalla perimetrazione dell'ambito precedente individuato. (5-01355)


   DE MICHELI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Venice Holdings s.r.l., controllata dal fondo Rhone Capital e partecipata dalla famiglia Silvestrini, ha sottoscritto con il gruppo inglese Dixons un accordo di investimento in forza del quale saranno conferite nella newco comune l'intero capitale di Unieuro spa e Sgm Distribuzione s.r.l. (Marco Polo-Expert), operazione intesa a dare vita a un nuovo colosso europeo nel settore del commercio al dettaglio di prodotti elettronici;
   la newco comune sarà partecipata da Venice Holdings all'85 per cento e dal gruppo Dixons al 15 per cento; la chiusura dell'accordo, prevista per la fine di novembre 2013, è comunque condizionata dalla decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato che deve pronunciarsi sull'operazione;
   il fatturato aggregato di Unieuro spa e Sgm Distribuzione s.r.l., nell'ultimo esercizio sociale, è stato superiore a 1,3 miliardi euro e vale circa il 10 per cento del mercato nazionale;
   nonostante questi numeri i nuovi vertici dell'azienda hanno annunciato oltre 200 esuberi nel piacentino per quanto riguarda gli uffici amministrativi e i magazzini che si occupano della logistica; a questi lavoratori si devono aggiungere i 70 dipendenti Unieuro della sede di Monticello d'Alba in Piemonte;
   mentre il pronunciamento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in merito alla fusione si fa attendere, SGM ha informato i sindacati di non poter discutere nessun aspetto circa il futuro dei lavoratori, né in termini di ammortizzatori sociali né di interventi di riqualificazione;
   il drastico ridimensionamento delle strutture di Unieuro che non si occupano di vendita, con lo scopo di accorparle a quelle di SGM distribuzione, rischia, in un solo colpo, di metter a repentaglio molti posti di lavoro, andando a gonfiare ulteriormente le liste di mobilità e di disoccupazione, e di impoverire il polo logistico, con la scomparsa di uno dei pochi insediamenti che ha portato a Piacenza occupazione qualificata –:
   quali iniziative intenda intraprendere per la salvaguardia dei livelli occupazionali e, in particolare, se intenda aprire un tavolo nazionale di confronto con lo scopo di avviare un dialogo finalizzato a tutelare la continuità occupazionale nella realtà piacentina;
   se operazioni come quella indicata in premessa possano determinare vantaggi di natura fiscale. (5-01357)


   BELLANOVA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa si apprende della incredibile vicenda che riguarda l'accessibilità delle persone affette da disabilità all'ufficio postale di Morciano di Leuca, in provincia di Lecce;
   sembrerebbe che sia materialmente impedito a queste persone l'ingresso negli uffici postali, a causa — si legge — di «vincoli strutturali e urbanistici» propri della sede;
   l'articolo 3 della Costituzione italiana sancisce che: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
   la legge n. 41 del 1986 (G.U. n. 49/86) fa divieto alle pubbliche amministrazioni di approvare progetti pubblici che non contemplino l'eliminazione delle barriere architettoniche, prevedendo lo stanziamento di fondi finalizzati all'abbattimento;
   da quanto emerge sulla stampa l'azienda Poste italiane avrebbe risposto ai numerosi atti di denuncia pubblica sottolineando che «in molte sedi storiche, sono presenti vincoli strutturali o urbanistici che ostacolano o addirittura impediscono del tutto la realizzazione di interventi edili sulle strutture, anche se queste interessano lo spazio esterno agli uffici, come nel caso dell'ufficio di Morciano di Leuca, dove il notevole dislivello tra la sede stradale e il piano di calpestio dell'ufficio postale è tale da non consentire la realizzazione di una rampa al servizio dei diversamente abili. Pertanto si sta provvedendo ad installare un pulsante di chiamata, opportunamente segnalato e facilmente accessibile, che consenta di segnalare la propria presenza all'esterno e di essere assistiti dal personale per lo svolgimento delle operazioni richieste»;
   a parere dell'interrogante la misura immaginata per dirimere la problematica da parte dell'azienda Poste italiane non è adeguata poiché comunque limita la libertà personale e assoggetta le persone con disabilità ad una continua dipendenza a terzi –:
   se il Ministro interrogato, visto quanto sopra esposto, non ritenga opportuno intervenire con urgenza per addivenire ad una soluzione per l'ufficio postale di Morciano di Leuca che non sia lesiva della dignità e della libertà delle persone con disabilità. (5-01358)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIPRINI, GALLINELLA, BALDASSARRE e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006 n. 248, (cosiddetto «decreto Bersani») ha previsto che «Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), e) e f), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, possono effettuare attività di vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione, di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica secondo le modalità previste dal presente articolo» autorizzando l'apertura di nuovi esercizi commerciali diversi dalle farmacie;
   essi sono comunemente denominati «parafarmacie» e sono autorizzati alla vendita di farmaci da banco («classe C bis»);
   recentemente inoltre il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, ha ulteriormente ampliato le categorie di medicinali che possono essere venduti nelle parafarmacie, sicché queste ultime possono attualmente offrire al pubblico alcuni medicinali appartenenti alla classe C) per i quali non è richiesta la prescrizione medica;
   tuttavia, la normativa italiana attualmente esclude per le parafarmacie la possibilità di vendere i farmaci di fascia C con obbligo di ricetta;
   i farmacisti, titolari di parafarmacie, hanno intrapreso iniziative giudiziarie davanti al TAR competente per vedersi riconoscere il diritto a dispensare tutti i farmaci emessi su «ricetta bianca» e quindi a completo carico del cittadino senza alcuna spesa a carico del servizio sanitario nazionale;
   la questione avente ad oggetto il divieto normativo per le parafarmacie di vendere i farmaci di fascia C soggetti a prescrizione in Italia è anche oggetto di esame da parte delle Corte di giustizia europea che è stata chiamata a valutare la compatibilità del suddetto divieto con il principio di libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza di cui agli articoli 49 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (cause riunite C-159/12, C-160/12 e C-161/12 Venturini + altri contro ASL);
   oggi le condizioni economiche dei titolari di parafarmacie vanno progressivamente peggiorando e non si comprende il divieto posto dalla normativa nazionale che limita la vendita di medicinali «a ricetta bianca» soggetti a prescrizione medica e che appare in contrasto con il principio della libertà di stabilimento ai sensi dell'articolo 49 TFUE e con gli intendimenti del Governo che ha fatto delle cosiddette liberalizzazioni uno degli strumenti per il rilancio dell'economia –:
   se i Ministri intendano assumere iniziative — anche di tipo normativo — al fine di riconoscere il diritto dei titolari delle parafarmacie di dispensare farmaci emessi su «ricetta bianca» conformando la normativa nazionale ai principi europei e costituzionali che garantiscono libertà di concorrenza e di iniziativa economica anche al fine di rilanciare l'attività economica delle parafarmacie. (4-02365)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Caparini n. 5-00507 del 3 luglio 2013;
   interrogazione a risposta scritta Melilla n. 4-02346 del 30 ottobre 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Catalano e altri n. 4-02357 del 30 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01360.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Cimbro e altri n. 4-02310 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 105 del 25 ottobre 2013. Alla pagina 6159, prima colonna, dalla riga seconda alla riga terza, deve leggersi: «CIMBRO, CASSANO e CHAOUKI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere –» e non «CIMBRO, CASSANO e CHAOUKI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere –», come stampato.