RENATO FARINA. -
Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze.
- Per sapere - premesso che:
come è riportato dal sito Il Sussidiairo.net in data 30 marzo 2011, in una recente intervista televisiva il Ministro dell'economia e delle finanze, interpellato sull'emergenza emigrazione, ha dichiarato che la strada maestra è quella di «aiutare gli immigrati a casa loro». Parole assolutamente condivisibili e che tracciano, con sintetica efficacia, le linee guida della cooperazione allo sviluppo, che ha come elementi fondanti l'educazione, l'istruzione, il lavoro e quindi il reddito per condizioni di vita degne di un essere umano;
da tempo è risaputo che solo in Libia sono presenti un milione di emigranti provenienti da Paesi sub-sahariani - è una stima per difetto - che premono verso il nord. Una massa di diseredati di queste dimensioni non si ferma certo con i pattugliamenti né con le mitragliatrici, ma con educazione e lavoro. In questa direzione, a parere dell'interrogante, si deve muovere il «sistema Paese» fatto di imprese, imprese sociali e sistema universitario, che, nella specifica distinzione dei ruoli, possono dare un contributo importante, nella consapevolezza che l'educazione è il fondamento di ogni sviluppo;
sempre nella medesima intervista, il Ministro dell'economia e delle finanze ha affermato che non bisogna dare i soldi agli Stati perché «finiscono in armi» (come di certo avviene in alcuni Paesi). Questa affermazione mette giustamente in discussione uno dei paradigmi che regolano in questi ultimi anni la cooperazione allo sviluppo e cioè il budget support (un assegno dedicato una specifica attività e «intestato» al ministero competente). È un sistema che apparentemente semplifica la gestione delle risorse e ne riduce i costi amministrativi per il Paese donatore, nella realtà invece, ad avviso dell'interrogante istiga e perpetua uno statalismo asfissiante e soffocante per tutte quelle forme sussidiarie che erogano servizi alla persona e che sono presenti anche in Africa;
il cosiddetto «privato sociale» in Africa indica di fatto, nella maggior parte dei casi, la Chiesa con le sue opere e i suoi missionari, missionari che sono a contatto con i bisogni reali delle persone, con la gente, con il popolo e i bisogni reali (casa, lavoro, scuola). Basti pensare che il 50 per cento dei servizi sanitari di base sono garantiti dal privato sociale, e la stessa percentuale vale per l'accesso all'istruzione primaria -:
se corrisponda al vero che negli ultimi anni i fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo siano passati da circa 600 milioni a circa 170 milioni di euro, meno di un settimo dell'obbiettivo dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo sottoscritto solennemente anche dall'Italia durante gli ultimi G8, tenendo conto che una cooperazione così intesa, fatta di uno sguardo attento alla «innata dignità» dell'uomo - per usare un'espressione cara a Benedetto XVI -, meriterebbe secondo l'interrogante uno sforzo maggiore -:
se il Governo non ritenga di attivarsi per verificare che i fondi per la cooperazione siano destinati e utilizzati nei Paesi secondo lo spirito dettato dal principio di sussidiarietà, e cioè destinati al privato-sociale piuttosto che con i metodi oggetto delle critiche riportate in premessa;
come si intendano implementare gli intendimenti espressi nelle citazioni sopra esposte.(5-04532)