VENTUCCI, TOMMASO FOTI e CARLUCCI. -
Al Ministro dell'economia e delle finanze.
- Per sapere - premesso che:
l'istituto del deposito IVA è stato introdotto dalla normativa comunitaria al fine di concedere un vantaggio agli operatori localizzati all'interno dell'Unione, consentendo agli stessi di posticipare il pagamento dell'IVA dal momento dell'immissione in libera pratica a quello dell'immissione in consumo del bene;
tale istituto è attualmente disciplinato a livello comunitario dalla direttiva 2006/112/CE, la quale stabilisce che l'operazione di mera presa in carico documentale delle merci equivale a tutti gli effetti all'introduzione fisica in deposito delle merci, atteso che rimane impregiudicato l'accertamento dell'imposta da parte delle autorità doganali, realizzandosi di fatto solamente una modalità diversa della corresponsione dell'IVA (non più versata in dogana, ma assolta tramite il meccanismo del «reverse charge»);
la direttiva, dunque, ed il codice doganale comunitario, consentono ad un cittadino comunitario identificato ai fini IVA - direttamente o mediante rappresentante fiscale in un Paese membro - di immettere la merce in libera pratica e trasferirla in un altro Paese membro, dove, sulla base di una documentazione commerciale (bolletta doganale, documento di trasporto ed altro) provvederà ad assolvere l'IVA mediante il sistema del «reserve-charge»);
l'Amministrazione finanziaria, di recente, ha contestato ad alcuni operatori l'utilizzo virtuale, esclusivamente contabile, del deposito fiscale ai fini IVA, nel presupposto che la disciplina dell'istituto presuppone la materiale introduzione fisica dei beni nel deposito e non ritenendo, dunque, più sufficiente la sola annotazione nel registro di cui al comma 3 dell'articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331: alla luce di detta interpretazione, l'Amministrazione sta procedendo al recupero dell'imposta non assolta in dogana dagli operatori in ragione dell'esenzione di cui al comma 4, lettera b), del predetto articolo 50-bis;
l'orientamento assunto sul punto dall'Amministrazione finanziaria comporta, tuttavia, come conseguenza paradossale la duplicazione nell'applicazione dell'IVA sul medesimo presupposto impositivo sostanziale, disciplinato dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e rappresentato dall'importazione di beni nel territorio nazionale: l'imposta che l'Amministrazione finanziaria pretende di recuperare sui beni risulta, infatti, già assolta dai soggetti passivi al momento dell'estrazione dei beni stessi dal deposito fiscale IVA ai sensi dell'articolo 50-bis, comma 6, del decreto-legge n. 331 del 1993;
il mancato allineamento alle disposizioni comunitarie espone l'Italia al rischio di eventuali sanzioni per violazione ed errata trasposizione del diritto comunitario, oltre a produrre effetti pregiudizievoli sul piano economico per gli operatori nazionali, disincentivati ad utilizzare il deposito IVA;
i giudici tributari aditi hanno in più occasioni accolto i ricorsi presentati dagli operatori a fronte del summenzionato orientamento dell'Amministrazione finanziaria e ciò fino alla pronuncia da parte della Corte di Cassazione (sentenza 12262/10), che non pare - a giudizio degli interroganti - tenere nel debito conto la disposizione di cui al comma 5-bis dell'articolo 16 del decreto-legge n. 185 del 2008 (la quale considera come «introduzione» le prestazioni di servizi di cui al comma 4 dell'articolo 50-bis del decreto-legge n. 331 del 1993 rese sui beni consegnati al depositario), né quanto specificatamente disposto dagli articoli 1766 e seguenti del codice civile, in ragione dei quali risulta consentito alle parti del contratto di deposito di concordare liberamente il luogo di consegna e quello di restituzione dei beni da custodire;
la situazione sopra rappresentata determina, senza alcun dubbio, l'instradamento di una parte dei traffici in altri Stati membri dell'Unione europea, con perdite di entrate fiscali e tasse portuali, oltre che di opportunità, sia per lo Stato italiano sia per gli operatori economici nazionali, con prevedibili e gravi ripercussioni sui livelli occupazionali nel settore della logistica -:
se non ritenga di adottare iniziative volte ad assicurare una corretta interpretazione della normativa vigente in materia, al fine di chiarire definitivamente che i beni non comunitari possono essere introdotti in un deposito fiscale ai fini IVA anche attraverso la sola annotazione della relativa operazione nel registro di cui al comma 3 dell'articolo 50-bis del decreto-legge n. 331 del 1993, che l'IVA su tali operazioni non è comunque ulteriormente dovuta qualora la stessa sia stata integralmente assolta, seppure irregolarmente, attraverso il meccanismo dell'inversione contabile al momento dell'estrazione dei beni stessi dal deposito IVA, ai sensi del comma 6 del citato articolo 50-bis e del comma 2 dell'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 663 del 1972, e che alle predette irregolarità si applica la sanzione amministrativa di cui all'articolo 6, comma 9-bis, terzo periodo, del decreto legislativo n. 471 del 1997. (5-04130)