LEOLUCA ORLANDO e EVANGELISTI. -
Al Ministro degli affari esteri.
- Per sapere - premesso che:
quello toccato in sorte ai circa due milioni di sfollati nel Nord Kivu, una delle undici province della Repubblica democratica del Congo, appare ormai come una nuova drammatica emergenza umanitaria, aggravata dal silenzio sempre più assordante e dall'indifferenza del mondo intero, come denunciato anche da una delle poche organizzazioni rimaste, Medici senza frontiere, che, nel suo rapporto annuale, racconta come la tragedia del Congo detenga il triste primato di una delle crisi più ignorate del globo, di fronte alla quale anche la missione Onu si è rivelata un fallimento;
giungono notizie che in quella zona si scappa, nonostante le fragilissime tregue annunciate e i poco credibili tentativi di pace, per fuggire nelle foreste o verso Goma; ma a fuggire è poi la gente che sta meglio, perché chi non ha né mezzi né soldi e non sa dove andare, continua a popolare quei luoghi definiti «infami e desolati» che sono i campi profughi di Kibati, Muganga I e Muganga II, Buhimba e Bulengo, tutti nell'area di Goma;
la provincia del Kivu, ricca di minerali e metalli (basti pensare al preziosissimo Tantalio, un metallo raro, resistente alla corrosione e molto appetibile dagli Stati occidentali), ha subito una terribile scossa destabilizzatrice dopo il genocidio del Ruanda. Per circa cento giorni - dall'aprile alla metà di luglio del 1994 - furono massacrate fra 800.000 e 1.100.000 persone. Le vittime furono nella maggior parte di etnia Tutsi (Watussi), una minoranza rispetto agli Hutu, gruppo etnico maggioritario a cui facevano capo i due gruppi paramilitari responsabili dell'eccidio: Interahamwe e Impuzamugambi. I massacri non risparmiarono, tuttavia, anche una larga parte di Hutu moderati;
oggi l'area è ancora infestata di gruppi armati che si finanziano sfruttando senza alcun limite tutte le immense risorse che vengono così spedite direttamente in Ruanda, per poi arrivare finalmente nelle mani delle multinazionali, che manovrano queste ribellioni, finanziandole, per mantenere costantemente instabile l'intera area. Si assiste così a una nuova divisione dei diversi movimenti ribelli, sorti ad arte per camuffare quello che gli analisti considerano il vero progetto: la conquista della provincia del Kivu da parte di Ruanda, Burundi e Uganda;
tra i molti problemi che hanno in quella terra vi è anche quello gravissimo dei ribelli, provenienti dal Nord Uganda, e che si trovano al confine con il Sudan, la Repubblica Centroafricana e la Repubblica democratica del Congo, i quali vivono nelle foreste di questa zona e da oltre quattro anni attaccano i villaggi, uccidono sul posto tutti coloro che fanno resistenza, uccidono gli anziani o li bruciano nelle loro case, e prendono le persone più giovani, i bambini, ragazzi e ragazze, per indottrinarli; in origine questi gruppi che attaccano con ferocia solo i cristiani erano ugandesi ma, con il tempo, a loro si sono aggiunte genti dal Sudan, dal Congo, dalla Repubblica Centroafricana;
durante l'ultima Conferenza episcopale dei vescovi dell'Africa monsignor Edward Hilboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio, ha chiesto che l'Europa e tutta la comunità internazionale guardi con più attenzione al suo Paese, intervenendo per porre fine a una situazione di massacri quotidiani nei confronti dei cristiani che vivono in Africa;
l'atrocità di questi crimini spesso non è più neppure oggetto di notizia da parte dei media, pronti, al contrario, a mettere in risalto tristi episodi come questi quando sono perpetrati nei confronti di uomini, donne o bambini di altre confessioni religiose -:
quali siano le iniziative che il governo italiano intende assumere, d'intesa con i partner europei nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e insieme all'Unione africana, volte a rafforzare e rendere più incisiva l'azione delle missioni umanitarie e di soccorso, prevedendo anche un loro adeguato sostegno economico e tecnico logistico, e a contrastare le violenze contro le comunità cristiane in Africa così come in altri Paesi, chiedendo a tutta la comunità internazionale di affrontarla nello stesso modo e con la stessa determinazione con cui si combattono forme di incitamento all'odio contro altre comunità religiose.(5-02352)