ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/18543

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 718 del 14/11/2012
Firmatari
Primo firmatario: JANNONE GIORGIO
Gruppo: POPOLO DELLA LIBERTA'
Data firma: 14/11/2012


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
  • MINISTERO DELLA SALUTE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI delegato in data 14/11/2012
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-18543
presentata da
GIORGIO JANNONE
mercoledì 14 novembre 2012, seduta n.718

JANNONE. -
Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute.
- Per sapere - premesso che:

l'Italia è tra gli ultimi paesi in Europa per risorse destinate alla protezione sociale delle persone con disabilità: si spendono 438 euro pro-capite annui contro i 531 della media europea, ben lontani dai 754 del Regno Unito. Secondo una ricerca promossa dalla Fondazione Cesare Serono e realizzata dal Censis, in Francia si arriva a 547 euro, in Germania a 703 euro e solo la Spagna, con 395 euro, si colloca più in basso del nostro Paese. La spesa per i servizi in natura, pari a 23 euro pro-capite annui, risulta meno di un quinto della media europea e inferiore anche al dato della Spagna. Ma oltre le risorse economiche, vengono a mancare soprattutto le politiche di inserimento lavorativo: il modello italiano resta assistenzialistico e le responsabilità sono scaricate sulle famiglie. Le capacità delle persone con disabilità o malattie croniche non vengono valorizzate e l'autonomia non è promossa;

in Francia risulta occupato il 36 per cento dei disabili con un'età compresa tra 45 e 64 anni, mentre in Italia il tasso si ferma al 18,4 per cento tra i 15-44enni e al 17 per cento tra i 45-64enni. Così, è occupata meno di una persona down su tre dopo i 24 anni, meno della metà delle persone con sclerosi multipla tra i 45 e i 54 anni, e il 10 per cento degli autistici con più di 20 anni. Quanto all'inclusione scolastica, lo studio - presentato da Ketty Vaccaro, responsabile del settore Welfare del Censis e dal presidente Giuseppe De Rita - rileva che «l'esperienza italiana rappresenta un'eccellenza» per l'obbligo imposto alle scuole ad accettare alunni con disabilità, ma le risorse dedicate alle attività di sostegno e di integrazione degli alunni «appaiono spesso inadeguate». «Nell'anno scolastico 2010-2011 circa il 10 per cento delle famiglie degli alunni con disabilità ha presentato un ricorso al Tribunale civile o al Tribunale amministrativo regionale per ottenere un aumento delle ore di sostegno». La ricerca evidenzia, inoltre, che le misure economiche erogate dall'Inps a favore di persone che hanno una limitata o nessuna capacità lavorativa sono pari a circa 4,6 milioni di prestazioni pensionistiche, di cui 1,5 milioni tra assegni ordinari di invalidità e pensioni di inabilità e 3,1 milioni per pensioni di invalidità civile, incluse le indennità di accompagnamento, per una spesa complessiva di circa 26 miliardi di euro all'anno. Il modello assistenzialistico lascia però alle famiglie il compito di provvedere ai bisogni delle persone con disabilità, senza avere l'opportunità di rivolgersi a strutture e servizi adeguati;

secondo lo studio «accanto ad alcune best practice legate a scelte coraggiose compiute in anni passati» vi sono «ampie zona d'ombra»; in alcuni territori sono cresciute «esperienze di eccellenza» ma quello che colpisce è «la disuguaglianza profonda tra territorio e territorio» ed «una generale e cronica carenza di servizi assistenziali in natura» e «una trasversale» ristrettezza di risorse. Tra le ombre lo studio sottolinea anche la carenza di un dibattito pubblico sui diritti delle persone con disabilità: il tema ottiene con estrema difficoltà l'attenzione dei media e appare nelle agende pubbliche quando si immaginano recuperi di spesa anziché nuovi investimenti. Lo stesso XI rapporto nazionale sulle politiche della cronicità aveva evidenziato, qualche giorno fa, che in Italia oltre il 50 per cento delle persone tra i 65 e i 74 anni è affetto da una patologia di questo tipo. Un problema che spesso si accompagna a difficoltà economiche: il 12,2 per cento degli ultrasessantacinquenni vive infatti uno stato di povertà relativa, mentre quasi il 6 per cento è povero;

il rapporto raccoglie dati acquisiti da 28 associazioni nazionali, che rappresentano in tutto oltre 100 mila pazienti. Nel 56 per cento dei casi a occuparsi della cura ed assistenza all'anziano malato cronico è un solo nucleo familiare con un impegno di cinque ore al giorno. Quasi sempre (93 per cento dei casi) è difficile conciliare il lavoro con l'assistenza, al punto che oltre la metà delle persone intervistate (53,6 per cento) segnala licenziamenti o interruzioni del rapporto lavorativo. A tutto ciò si aggiunge la difficoltà crescente di fronteggiare i costi legati alle cure. Le famiglie mediamente spendono in un anno circa 8.500 euro per pagare colf o badanti, 3.700 euro per visite, esami o attività riabilitativa a domicilio. Mentre si arriva a quasi 14 mila euro, in media, per la retta delle strutture residenziali o semiresidenziali. In base ai dati della Corte dei conti, proprio nelle regioni dove è più critica l'offerta assistenziale, c'è anche una maggiore incidenza di ticket sanitari: oscillano tra i 181 euro del Lazio e i 43 euro del Trentino Alto Adige;

fra i maggiori ostacoli, è da rilevare quello della gestione del malato cronico a casa. Se il paziente anziano viene dimesso dall'ospedale, in un terzo dei casi è la famiglia ad occuparsi di tutto. Anche perché una volta su due, il medico di medicina generale fornisce solo le indicazioni degli uffici a cui rivolgersi. Nel 76 per cento dei casi, contestualmente alle dimissioni ospedaliere, non viene dato il via all'assistenza domiciliare. In due casi su tre, il medico di famiglia non interagisce con l'Asl per dare il via a questi servizi socio sanitari e nel 70 per cento delle situazioni non si coordina con lo specialista. Inoltre solo poche famiglie sono soddisfatte dell'assistenza a casa: il 27 per cento la considera mediamente adeguata, mentre per il 73 per cento non lo è. Tutto comunque dipende dalla regione dove si abita. L'assistenza domiciliare integrata è fornita all'1,5 per cento degli anziani in Sicilia e all'11,6 per cento dell'Emilia Romagna. La spesa pro capite per interventi e servizi sociali è di 25,5 euro della Calabria e di 269,3 euro in Valle D'Aosta. Per accedere all'assistenza residenziale e semiresidenziale, il primo problema segnalato sono i tempi di attesa eccessivamente lunghi: il 39 per cento afferma che si aspetta tra i 3 e i 6 mesi;

la disponibilità di posti letto nelle strutture residenziali e semiresidenziali cambia da un'area all'altra del Paese: si passa dagli 897 posti letto per 100.000 abitanti della provincia autonoma di Trento ai 59 posti letto della Sicilia. Lunghi tempi anche per gli interventi chirurgici: il 30 per cento dei pazienti dichiara di arrivare ad attendere da tre mesi ad un anno, mentre nella maggioranza dei casi (40 per cento) si aspetta almeno 2 mesi. Stesso problema per le visite specialistiche: l'attesa media (28,5 per cento) è di più di due mesi, ma si arriva ad attendere anche più 6 mesi (14,2 per cento). A peggiorare la situazione c'è anche il costo dei farmaci. L'incidenza dei ticket tra il 2007 e il 2011 è praticamente più che raddoppiata, passando rispettivamente da 539 milioni di euro a 1.337 milioni di euro. La metà dei pazienti non accede all'innovazione farmaceutica. Gli iter nazionali e regionali di approvazione ritardano fortemente l'accesso alle terapie. Il 55,2 per cento delle associazioni denuncia tempi eccessivamente lunghi per l'immissione in commercio e la rimborsabilità di alcuni farmaci a livello nazionale;

la burocrazia è uno dei principali ostacoli per i malati cronici e le loro famiglie. Infatti è molto lungo e complicato l'iter per accertare l'invalidità civile: per il 72 per cento dei cittadini eccessivamente complicato e con tempi estenuanti. A volte però la persona non ha nessuno accanto e la questione si complica. Chi è solo e malato finisce col deprimersi più facilmente. Anche qui il sistema non risponde alle aspettative, visto che gli esperti considerano l'aspetto psicologico solo nel 20 per cento dei casi. Se assistiti a casa, due anziani su tre lamentano la mancanza di socialità. Ed anche in ospedale, un contesto in cui a prima vista sembrerebbe che non manchi il contatto umano, circa un anziano su tre denuncia lo stesso problema. Il 70 per cento denuncia inoltre la mancanza dello psicologo nelle équipe che si occupano dell'assistenza domiciliare. C'è poi il problema della scarsa attenzione nei confronti del dolore del paziente cronico. I medici di medicina generale non si impegnano come dovrebbero: il 46,4 per cento dei dottori non registrano il dolore nell'anziano il 28,6 per cento lo sminuisce, il 25 per cento lo registra solo se acuto. In ospedale, il dolore è registrato regolarmente solo per il 7 per cento delle associazioni, per il 20 per cento non è mai registrato, e per oltre un terzo (35,7 per cento) viene sminuito o registrato solo se acuto. Situazione pressoché analoga nelle strutture residenziali dove il dolore è sminuito per oltre la metà delle associazioni e viene regolarmente misurato solo per l'8,7 per cento di esse -:

quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di dare maggiori garanzie assistenziali per i disabili gravi, sia nel senso di sostegno alle famiglie che si occupano di malati cronici, sia nel senso di una maggiore assistenza psicologica all'interno delle strutture preposte alla cura di chi è affetto da malattie altamente invalidanti.(4-18543)