ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/08954

scarica pdf
Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 380 del 07/10/2010
Firmatari
Primo firmatario: JANNONE GIORGIO
Gruppo: POPOLO DELLA LIBERTA'
Data firma: 07/10/2010


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega
Delegato a rispondere Data delega
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO 07/10/2010
MINISTERO DELL'INTERNO 28/02/2011
Attuale delegato a rispondere: RAPPORTI CON IL PARLAMENTO delegato in data 22/01/2013
Stato iter:
22/01/2013
Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO 22/01/2013
GIARDA DINO PIERO MINISTRO SENZA PORTAFOGLIO - (RAPPORTI CON IL PARLAMENTO)
Fasi iter:

MODIFICATO PER MINISTRO DELEGATO IL 22/01/2013

RISPOSTA PUBBLICATA IL 22/01/2013

CONCLUSO IL 22/01/2013

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-08954
presentata da
GIORGIO JANNONE
giovedì 7 ottobre 2010, seduta n.380

JANNONE. -
Al Ministro dello sviluppo economico.
- Per sapere - premesso che:

nell'aprile 2010 il Garante italiano e altre autorità di protezione dei dati personali, in rappresentanza di oltre 375 milioni di persone, hanno chiesto a Google Inc. e ad altre multinazionali un rigoroso rispetto delle leggi sulla privacy in vigore nei Paesi in cui immettono nuovi prodotti on line. Nella lettera firmata dai presidenti delle Autorità di protezione dati personali di Italia, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Israele, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna e Gran Bretagna, si esprimeva profonda preoccupazione per il modo in cui Google affrontava le questioni legate alla privacy, in particolare per quanto riguardava il recente lancio del social network, Google Buzz. «Troppo spesso - si afferma nella lettera - il diritto alla privacy dei cittadini finisce nel dimenticatoio quando Google lancia nuove applicazioni tecnologiche. Siamo rimasti profondamente turbati dalla recente introduzione dell'applicazione di social networking Google Buzz, che ha purtroppo evidenziato una grave mancanza di riguardo per regole e norme fondamentali in materia di privacy. Inoltre, questa non è la prima volta che Google non tiene in adeguata considerazione la tutela della privacy quando lancia nuovi servizi»;

le dieci Autorità di protezione dei dati personali sottolineano, inoltre, che i problemi di privacy legati al lancio di Google Buzz avrebbero dovuto essere «immediatamente evidenti» alla stessa azienda. Infatti attraverso Google Buzz, Google Mail (Gmail), nato come un servizio di posta elettronica one-to-one tra privati, è stato improvvisamente «trasformato» in social network. Questo è avvenuto, perché, in modo del tutto autonomo, Google ha assegnato ad ogni utente di Google Buzz una rete di «amici» ricavati dalle persone con cui l'utente risultava comunicare più spesso attraverso Gmail. Ciò senza informare adeguatamente gli interessati di quanto si stava facendo e senza specificare le caratteristiche dei nuovo servizio, impedendo in questo modo agli utenti di esprimere un consenso preventivo e informato. «Con questo comportamento - spiega una nota - è stato violato un principio fondamentale e riconosciuto a livello mondiale in materia di privacy: ossia, che spetta alle persone controllore l'uso dei propri dati personali». Le Autorità riconoscevano che Google non era l'unica società ad avere introdotto servizi on line senza prevedere tutele adeguate per gli utenti;

oltre a Google, anche Facebook, social network che vede iscritti 6 milioni di italiani, è stato messo sotto accusa a causa della disabilitazione di molti profili non motivata, che fa rimanere gli utenti senza alcuna tutela. Su Facebook un account significa una mole di dati personali che, disattivati?, senza alcuna motivazione, scompaiono nel nulla. Account oscurati, provvedimenti non comunicati agli utenti e decisioni arbitrarie hanno spinto molte persone a denunciare il social network, che peraltro non ha un customer care per i clienti italiani, costretti a utilizzare il servizio statunitense. Facebook è divenuta un'applicazione web con cui ci si deve confrontare quotidianamente. Ormai chi non ha un profilo facebook è un po' come se non avesse una casella di posta elettronica, ma, come spesso accade, il mezzo non risulta mai essere perfetto. Così, può accadere, all'improvviso di non riuscire più ad accedere al proprio account, perché disabilitato dagli amministratori del sistema. Diverse sono le testimonianze degli utenti che sono state vittime di questa «sciagura sociale sul web»;

Giovanni Cappellotto, in un esauriente post della fine del 2008, fa una fotografia della situazione basandosi sui dati della licenza di utilizzo di Facebook e scrive, tra l'altro: «Quando ci iscriviamo per la prima volta a Facebook, ma vale per ogni servizio che adottiamo in rete, sottoscriviamo un accordo con gli utenti che non leggiamo mai. In questo sono presenti le condizioni di utilizzo, le clausole di esclusiva, la proprietà intellettuale, cosa si può e cosa non si deve fare. Spesso pensiamo che solo perché è gratuito tutto sia permesso e che le regole in fondo non valgano. Ogni giorno Facebook sospende moltissimi account per violazione delle politiche e degli accordi e contemporaneamente riceve migliaia di lettere di protesta. In linea di massima alla prima protesta si è riabilitati in modo automatico, ma diventa sempre più difficile in una seconda o terza occasione. Tuttavia, grave è scoprire che Facebook sembra imporre limiti di censura intellettuale, arrivando a cancellare post, link, note e status sulla base di giudizi di valore e contenuto. Uno dei tanti episodi ha a che fare con le dichiarazioni del Papa su aids e preservativi. È accaduto che la Rana (pseudonimo di una piccola redazione on-line che gestisce Rassegna Stanca commenti quotidiani alle notizie apparse sui giornali) parli nel suo spazio delle dichiarazioni di Ratzinger. Commenti, dibattito, confronto pacato. «Fila tutto liscio finché sulla home page di Rassegna Stanca non viene caricato» il titolo provocatorio «Un editoriale ultrasottile», il corsivo apparso in prima pagina sul quotidiano Avvenire di ieri che spiegava e giustificava le parole di Benedetto XVI», raccontano i curatori. «L'articolo del giornale di ispirazione cattolica è stato ripreso parola per parola, cambiando soltanto il titolo, e ha messo in moto uno scambio di idee appassionato, ma comunque pacato e non offensivo, coinvolgendo tantissimi utenti di Facebook». Senza alcuna motivazione, né preavviso il social network cancella gli editoriali e i commenti perché «potrebbero disturbare gli altri utenti»;

molti utenti sono stati disabilitati senza alcun motivo, hanno scritto decine di email con l'indirizzo di posta collegato al proprio account a disabled facebook, abuse facebook, warning facebook, info at facebook, tutte in inglese, mettendo secondo prassi, nome e cognome, indirizzo e-mail alcune parole di scuse avendo in qualche modo suscitato le ire dell'operatore di turno allertato dal programma che facebook utilizza per monitorare tutto il social network. E chiedendo se quantomeno era possibile sapere il motivo della disabilitazione, ma a tale procedura non è seguita alcuna risposta. Delle volte il blocco dell'account è stato causato dall'aver contattato troppi conoscenti, dall'aver fatto ricerche o dall'aver scritto post nelle bacheche dei contatti troppo velocemente. Di solito, i gestori del network pensano che chi scrive troppo velocemente, in realtà inserisca dei messaggi spam nella email degli altri contatti. Personaggi pubblici sono incorsi in questi assurdi errori. Nino Randisi, il giornalista antimafia, era stato sospeso per le sue denunce antimafia, ma venne poi riammesso dopo qualche settimana. A proposito del caso Randisi, il giornalista Vittorio Zambardino scrisse sul quotidiano Repubblica: «Randisi è uno dei tanti cui accade questa disavventura facebookistica. A un certo punto qualcuno ti «denuncia», le tue cose scompaiono, i dati e i contenuti che hai immesso, compresa la posta personale, svaniscono nel nulla. In molti casi - ci risulta - l'account viene riabilitato dopo le proteste, è successo perfino per qualche deputato. Ma intanto sapere «dove» e con chi protestare è molto complesso. Randisi sembra pensare che qualcuno, dall'Italia, possa aver chiesto l'intervento contro la sua pagina. Ma il punto certo è che Facebook, piattaforma dove oramai più di 6 milioni di italiani esprimono i loro pensieri e le loro proteste, pubblicano le loro immagini e si mandano la loro corrispondenza, non ha nel nostro Paese - che si sappia - nemmeno uno «sportello» cui indirizzare i propri reclami. Quella che ha colpito Randisi potrebbero essere censura o disguido. Si vedrà. Ma se almeno il danneggiato potesse parlarne a qualcuno, forse anche i sospetti diminuirebbero». Dopo la riattivazione, fonti interne al sito, ma che hanno preferito restare anonime, hanno affermato che il tutto sarebbe nato da un errore di valutazione del software che Facebook usa per valutare eventuali violazioni del codice di condotta;

il software di controllo dovrebbe servire ad evitare che il network venga usato a fini commerciali o propagandistici. Ma in realtà vengono tenuti sotto controllo il volume delle comunicazioni di un account, il numero di video o di testi pubblicati, la direzione delle attività, ad esempio se un numero anomalo di messaggi viene indirizzato a una sola persona. Se una di queste situazioni si verifica, il software opera una sorta di sospensione cautelativa dell'account, non lo cancella. Un sistema, in teoria, molto sicuro, ma che incappa spesso in sviste. Uno di questi casi è quello del parlamentare Matteo Salvini, sospeso e riammesso circa un mese dopo. L'onorevole Salvini ha inviato una mail al centro assistenza di Facebook, il cui link si trova nell'home page del sito, ed ha dovuto attendere tre settimane prima che il profilo venisse riattivato. Anche in quel caso si erano rincorse voci di censura, e alla fine, in mancanza di comunicazioni chiare da parte degli amministratori, l'intera vicenda è rimasta coperta da mistero;

questo problema scaturisce dalla necessità di tutelare la privacy degli utenti di Facebook, principio che però non viene rispettato dai gestori che possono utilizzare e controllare i dati personali di ciascun utente. Nei mesi scorsi, in risposta alla raffica di critiche e dopo un lungo dibattito interno, Facebook ha annunciato una serie di cambiamenti alle impostazioni sulla privacy. La modifiche sono state immediatamente valutate dalla Electonic Frontier Foundation (EFF) che le considera un buon passo avanti, ma non ancora sufficienti a dare agli utenti del sito un controllo ottimale sui loro dati. «Abbiamo ancora alcuni dubbi sulla quantità di informazioni che Facebook scambia con le applicazioni di terze parti e i siti web», ha spiegato EFF, che consiglia, in ogni caso, di non scegliere le impostazioni raccomandate dal sito. «Speriamo quindi che questo sia solo un primo passo, e non l'ultimo, verso una dimensione più rispettosa della privacy. Facebook, si legge ancora sul sito EFF, deve rispettare i propri principi e i diritti degli utenti, dando loro il pieno controllo sulle informazioni che vogliono condividere». In sostanza, Facebook ha apportato tre grandi modifiche: la prima consente agli utenti di fissare un «livello di privacy by default» che sarà applicato in tutte le impostazioni individuali sulla base di vecchie opzioni o di un mix di livelli. Capovolgendo uno dei cambiamenti più controversi apportati ad aprile, Facebook rimetterà in funzione controlli per le informazioni sulle «connessioni» che indicano i gusti, gli interessi, l'istruzione, il lavoro, la città natale, piuttosto che richiedere che tutte le connessioni siano rese pubbliche. Tuttavia, il nome, la foto del profilo, il genere e il network restano «informazioni pubbliche» e la lista amici è sempre disponibile alle applicazioni. Un passo indietro è stato compiuto anche su un altro punto controverso introdotto a dicembre: Facebook ripristinerà la possibilità per gli utenti di decidere di non condividere alcuna informazione con le applicazioni e i siti sulla piattaforma Facebook, semplificando anche l'opt-out della condivisione delle informazioni con i siti del programma instant personalization. Il primo cambiamento, dice EFF, che da agli utenti il modo di sistemare molte impostazioni con un click, è un giusto equilibrio tra semplicità e controllo. Le modifiche, inoltre, non saranno cambiate in caso di nuovi aggiustamenti da parte della società e sono retroattive. E questo è un miglioramento significativo. «Facebook è un sito che molti hanno scelto quale alternativa più «privata» di My Space e Twitter e per restare in linea con le aspettative degli utenti, nessuna informazione dovrebbe essere resa pubblica di default, in conclusione, ha spiegato EFF, «apprezziamo che Facebook abbia trovato il tempo di ascoltare e rispondere alle critiche pubbliche sulle ultime modifiche e, sebbene i recenti cambiamenti non dissolvano tutte le nostre preoccupazioni, si tratta comunque di un primo passo verso quella che noi speriamo sia una nuova direzione. Siamo ansiosi, conclude l'associazione, di continuare il dialogo con Facebook sull'ulteriore miglioramento della privacy» -:

quali siano le norme che regolano attualmente i social network e che tipo di controlli vengano effettuati per evitare abusi e censure al fine di garantire i diritti degli utenti registrati.(4-08954)
Atto Camera

Risposta scritta pubblicata martedì 22 gennaio 2013
nell'allegato B della seduta n. 739
All'Interrogazione 4-08954 presentata da
GIORGIO JANNONE

Risposta. - In relazione all'interrogazione in esame, concernente la tutela dei social network e in conformità a quanto comunicato dal garante per la protezione dei dati personali e dal Ministero dell'interno, si fa presente quanto segue.
Va anzitutto evidenziato, sotto il profilo metodologico, che per «servizio di social network» si intende quel particolare servizio della società dell'informazione costituito da una piattaforma di comunicazione on-line che consente a un soggetto di creare reti di utenti i quali condividano i suoi stessi interessi o di entrare a farne parte (in tal senso, il parere 5/2009 sui «social network on-line», adottato il 12 giugno 2009 dal «Gruppo di lavoro articolo 29 per la protezione dei dati»).
Come è stato chiarito con il suddetto parere, la circostanza che molti dei gestori di tali piattaforme operino all'estero - e in particolare al di fuori dell'Unione europea - non osta all'applicazione della disciplina europea in materia di protezione dei dati personali, nella misura in cui il servizio di social network richieda l'utilizzo di «strumenti» situati fisicamente sul territorio dell'Unione.
Laddove, quindi, sussista tale criterio di collegamento rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina europea il servizio di social network è soggetto alle disposizioni dettate dalla direttiva 95/46/Ce e, qualora esso fornisca anche servizi di comunicazione elettronica, anche a quelle previste dalla direttiva relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (Direttiva 2002/58/Ce e successive modificazioni).
Ne consegue, quindi, che laddove il gestore del social network operi in Italia o comunque si avvalga di strumenti situati nel territorio nazionale, possa applicarsi la disciplina sancita dal codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e successive modificazioni; infra: codice) e, qualora siano forniti anche servizi di comunicazione elettronica, trovino applicazione le disposizioni di attuazione della, citata direttiva 2002/58, contenute, in particolare, nel Titolo X della Parte II del medesimo codice.
L'applicabilità della suddetta disciplina dell'Unione europea e nazionale comporta pertanto che:

a) i fornitori di servizi di social network possono essere considerati «titolari» del trattamento dei dati personali di utenti e soggetti terzi i cui dati vengano utilizzati nell'ambito dei detti servizi e, quindi, gravati da vari obblighi (quali, ad esempio, quelli ex articoli 13 e 23 del codice);

b) i fornitori di applicazioni possono essere considerati «responsabili» del trattamento;

c) gli utenti assumono la qualità di «interessati» per quanto riguarda il trattamento dei loro dati nell'ambito dei servizi di social network e di contitolari del trattamento, assieme ai fornitori di servizi di social network, da loro effettuato rispetto ai dati personali di soggetti terzi (ad esempio, inserendo sul proprio profilo dati di telefonia mobile o le foto di amici e/o conoscenti) qualora siano oggetto di diffusione;

d) tuttavia, nella maggior parte dei casi il trattamento di dati personali ad opera degli utenti rientra nell'ambito di applicazione dell'esenzione domestica, prevista dalla direttiva (cosiddetta «household exemption») e dall'articolo 5, comma 3, del codice. In relazione al trattamento di dati personali effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali, tale norma limita l'applicabilità delle norme del codice stesso alle sole ipotesi in cui i dati siano destinati alla comunicazione sistematica o alla diffusione (resta ferma, però, l'applicabilità delle norme relative alla responsabilità e alla sicurezza dei dati di cui agli articoli 15 e 31 del codice). Nell'ambito dei social network, quindi, le attività degli utenti escluse dall'esenzione (e perciò soggette alle regole poste a protezione dei dati personali) riguardano, ad esempio, i casi in cui il numero di contatti sia particolarmente elevato, o in cui l'utente decida, consapevolmente, di non limitare l'accesso ai soli «amici» scelti.
Per quanto concerne i diritti degli utenti, dall'applicabilità della disciplina europea (e della corrispondente normativa nazionale di trasposizione) deriva, inoltre, che essi, assumendo la qualità di «interessati», siano titolari dei (e possano esercitare i) diritti e le prerogative riconosciuti all'interessato dalla suddetta disciplina.
Al fine di elevare lo standard di garanzia del diritto alla protezione dei dati personali degli utenti dei social network e di impedire ogni forma di abuso, nell'ambito del citato parere 5/2009, il gruppo di lavoro articolo 29 ha esortato i fornitori di servizi di social network a:

a) comunicare la propria identità agli utenti e fornire loro informazioni chiare e complete sulle finalità per (e sulle diverse modalità con) le quali intendono effettuare il trattamento;

b) proporre impostazioni per default orientate alla protezione dei dati personali;

c) informare adeguatamente gli utenti in ordine ai rischi per la protezione dei dati personali dall'inserimento dei dati in rete;

d) raccomandare agli utenti di non esporre in rete immagini o informazioni relative a terzi in assenza del loro consenso;

e) esporre sulla homepage almeno un link diretto a una sorta di «sportello reclami» destinato agli iscritti e ai non iscritti al fine di consentire loro di segnalare eventuali violazioni del proprio diritto alla protezione dei dati personali;

f) fissare i limiti massimi per la conservazione dei dati degli utenti «inattivi», cancellando gli account che siano disattivati;

g) adottare misure specifiche al fine di tutelare adeguatamente i minori da eventuali rischi di violazione dei loro diritti.
La sempre più intensa partecipazione di utenti della rete a luoghi virtuali di comunicazione, quali social network, blog e forum, ha del resto posto all'attenzione del garante - come del resto delle corrispondenti autorità degli altri Paesi - ulteriori e del tutto peculiari questioni relative alla protezione dei dati personali in rete.
Le principali problematiche sollevate in relazione ai social network riguardano, in particolare, la determinabilità del novero dei soggetti legittimati all'accesso di ciascun profilo; il carattere realmente informato e consapevole del consenso al trattamento dei dati personali prestato dall'interessato; il confine tra legittima associazione di dati e attività di profilazione non consentita; il rischio che chiunque, celandosi dietro l'altrui nome, crei un profilo riferibile ad altro soggetto; l'utilizzo - mediante il cosiddetto «tag» - di immagini senza la previa acquisizione del consenso dell'interessato; l'effettiva impossibilità di sottrarre all'indicizzazione immagini e, in generale, dati personali dell'utente che abbia richiesto la disattivazione.
Ovviamente, le possibilità di intervento del garante in materia sono in certa misura circoscritte in ragione dei limiti territoriali che l'applicazione della normativa italiana incontra rispetto a trattamenti effettuati in luoghi non soggetti alla sovranità dello Stato italiano. Ciononostante, a seguito di numerose segnalazioni con le quali si è lamentato il trattamento illecito di dati personali su facebook, l'Autorità ha contattato il titolare del trattamento in un'ottica di collaborazione, in riferimento a specifici casi, taluni dei quali si descriveranno di seguito.
1) In particolare, l'autorità ha richiesto informazioni relative all'avvenuta disattivazione di tre profili, lamentata dagli interessati. Nel primo caso facebook ha risposto elencando le ipotesi in cui provvede a disattivare i profili e ha sostenuto di non potere riattivare, nel caso di specie, l'account del segnalante, non riuscendo a individuarlo (nota 11 ottobre 2010). Nel secondo caso il titolare ha osservato come il segnalante avesse violato le condizioni contrattuali sottoscritte con facebook (nota 15 ottobre 2010). Nell'ultimo caso, invece, il profilo facebook è stato riattivato (nota 30 novembre 2010).
2) Inoltre, il garante ha esaminato diverse segnalazioni con le quali alcuni utenti italiani non iscritti a facebook hanno lamentato la ricezione di e-mail indesiderate da parte di questo social network (nota 11 ottobre 2010).
In particolare, dagli accertamenti effettuati è risultato che facebook mette a disposizione degli utenti iscritti la possibilità di usare uno strumento, denominato «friend finder», attraverso il quale - in modo automatico - questi possono inserire tutti i contatti presenti nella propria casella di posta elettronica o nelle rubriche appartenenti ad altri servizi di messaggistica istantanea. A seguito di questo inserimento, facebook provvede ad inviare a questi indirizzi e-mail messaggi di invito per l'iscrizione al social network, elaborando, automaticamente, un unico elenco, contenente tutti i nominativi degli utenti già iscritti al social network e che hanno inserito un medesimo indirizzo di posta elettronica. Pertanto, i contatti suggeriti agli utenti non iscritti, mediante l'e-mail inviata a costoro da facebook, corrispondono a tali persone, già iscritte al social network, che hanno inserito l'indirizzo di posta elettronica dell'utente non iscritto nei database di facebook.
Periodicamente, il social network invia una nuova e-mail per ricordare di iscriversi, aggiornando anche l'elenco dei «potenziali amici» individuati da facebook. Il garante ha ritenuto che tale fattispecie integri gli estremi non soltanto di un'attività di spam da parte del social network, ma anche di una forma di profilazione dell'utente non iscritto, cui sono infatti associati periodicamente una serie di «potenziali amici» tra gli utenti della piattaforma.
A seguito di queste segnalazioni, inoltre, il garante ha interpellato tutte le autorità europee di protezione dei dati personali, allo scopo di conoscere se avessero ricevuto analoghe segnalazioni. È emerso che il profilo in questione è stato affrontato soltanto dall'autorità tedesca.
3) Il garante ha, poi, rigettato un ricorso nel quale una persona iscritta a facebook lamentava di essere stata «taggata» da un'altra, in particolare mediante una foto utilizzata per una campagna di sensibilizzazione sul tema dell'Aids e dell'omosessualità, così svelando l'orientamento sessuale di tutti i soggetti «taggati», compreso il proprio. Il garante ha osservato che, poiché la pagina web in cui risultava la segnalante non era stata oggetto di diffusione o di comunicazione sistematica, tale utilizzo della foto doveva considerarsi effettuato per fini esclusivamente personali (articolo 5, comma 3, del codice) e non era pertanto soggetto all'applicazione delle norme del codice (Provv. 18 febbraio 2010 - doc. web n. 1712776).
4) L'ufficio è intervenuto anche riguardo alla segnalazione di un lavoratore licenziato dalla propria società a causa dell'utilizzo che il medesimo aveva fatto di facebook.
In particolare, il lavoratore aveva lamentato l'utilizzo da parte della società di alcune fotografie (scattate sul luogo di lavoro e sul cui sfondo erano visibili disegni - a detta dell'azienda - coperti da segreto industriale), tratte dal proprio profilo facebook.
Il segnalante aveva affermato la illiceità del trattamento dei dati in questione, sulla base del carattere «chiuso» del suo profilo, riservato a una cerchia ristretta di utenti, tra i quali non rientrava il datore di lavoro, e dell'assenza del consenso dell'interessato ex articolo 23 del codice.
Dall'istruttoria, è emersa invece la possibilità per il datore di lavoro di utilizzare lecitamente le foto in questione, in quanto la consultazione era consentita non solo ai contatti scelti dal dipendente (i cosiddetti «amici») ma a una comunità più vasta, i cosiddetto «amici degli amici» cioè ai contatti scelti dagli amici dell'interessato, quindi a un numero di utenti sostanzialmente indeterminabile (nota 26 agosto 2010).
Si fa presente, inoltre che il Ministero dell'interno, tramite il servizio di polizia postale e delle comunicazioni, assicura il costante monitoraggio della rete internet, segnalando all'autorità giudiziaria le fattispecie penalmente rilevanti riscontrate nelle comunicazioni online e negli spazi web, anche ai fini del loro oscuramento. Spetta infatti a quest'ultima avviare apposita rogatoria internazionale, nel caso in cui i siti siano allocati all'estero e non sia stata raggiunta una fattiva collaborazione con i proprietari degli spazi web che ospitano i contenuti illeciti.
A tale ultimo riguardo, si evidenzia che la polizia postale e delle comunicazioni ha avviato proficui contatti con i rappresentanti di facebook - il cui portale è attestato su server con sede in California - alla luce dei quali si è resa operativa la possibilità di ottenere i dati relativi agli utenti o ai gruppi, senza la necessità di ricorrere alla rogatoria internazionale. Pertanto, qualora vi siano ipotesi che coinvolgano cittadini italiani, per ottenere i dati è sufficiente inoltrare un provvedimento di acquisizione emesso dall'autorità giudiziaria italiana, secondo procedure concordate.
Oltre a ciò gli internet service providers stanno definendo un codice di autodisciplina per il contrasto all'uso illecito dei servizi internet che prevede lo svolgimento, da parte dei medesimi providers, di attività aggiuntive rispetto a quelle già previste dalla vigente normativa.
L'iscrizione al social network facebook, avviene su base volontaria ed ha come presupposto la riconoscibilità degli utenti, sia in base al nome, sia in base ad alcune informazioni fornite dall'utente stesso.
Per la tutela della privacy, il citato social network mette a disposizione dei propri iscritti particolari impostazioni che da un lato consentono l'accesso a dati ritenuti sensibili, esclusivamente ad utenti autorizzati e dall'altro impediscono la propria individuazione su profili di terzi, precludendo, ad esempio, il tag delle fotografie con il proprio nome.
È, inoltre, prevista un'apposita sezione, denominata assistenza/sicurezza, dove vengono forniti agli utenti strumenti conoscitivi ed offerti chiarimenti e/o suggerimenti per tutelare la propria privacy e segnalare eventuali abusi; all'interno di tale servizio i genitori hanno la possibilità di esercitare al meglio il controllo parentale.
Facebook rimuove i contenuti offensivi o diffamatori e i profili abusivi anche su mera richiesta degli utenti che ne abbiano effettuato il disconoscimento con apposita segnalazione, comprovando di essere stati direttamente lesi dai relativi contenuti.
In relazione al problema del monitoraggio degli iscritti e dei contenuti, si evidenzia che facebook ricorre al programma di Truste, un'organizzazione indipendente senza scopo di lucro che s'impegna ad analizzare le normative sulla privacy per verificarne la conformità con i requisiti del suo programma.

Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Dino Piero Giarda.