JANNONE. -
Al Ministro dello sviluppo economico.
- Per sapere - premesso che:
nell'aprile 2010 il Garante italiano e altre autorità di protezione dei dati personali, in rappresentanza di oltre 375 milioni di persone, hanno chiesto a Google Inc. e ad altre multinazionali un rigoroso rispetto delle leggi sulla privacy in vigore nei Paesi in cui immettono nuovi prodotti on line. Nella lettera firmata dai presidenti delle Autorità di protezione dati personali di Italia, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Israele, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna e Gran Bretagna, si esprimeva profonda preoccupazione per il modo in cui Google affrontava le questioni legate alla privacy, in particolare per quanto riguardava il recente lancio del social network, Google Buzz. «Troppo spesso - si afferma nella lettera - il diritto alla privacy dei cittadini finisce nel dimenticatoio quando Google lancia nuove applicazioni tecnologiche. Siamo rimasti profondamente turbati dalla recente introduzione dell'applicazione di social networking Google Buzz, che ha purtroppo evidenziato una grave mancanza di riguardo per regole e norme fondamentali in materia di privacy. Inoltre, questa non è la prima volta che Google non tiene in adeguata considerazione la tutela della privacy quando lancia nuovi servizi»;
le dieci Autorità di protezione dei dati personali sottolineano, inoltre, che i problemi di privacy legati al lancio di Google Buzz avrebbero dovuto essere «immediatamente evidenti» alla stessa azienda. Infatti attraverso Google Buzz, Google Mail (Gmail), nato come un servizio di posta elettronica one-to-one tra privati, è stato improvvisamente «trasformato» in social network. Questo è avvenuto, perché, in modo del tutto autonomo, Google ha assegnato ad ogni utente di Google Buzz una rete di «amici» ricavati dalle persone con cui l'utente risultava comunicare più spesso attraverso Gmail. Ciò senza informare adeguatamente gli interessati di quanto si stava facendo e senza specificare le caratteristiche dei nuovo servizio, impedendo in questo modo agli utenti di esprimere un consenso preventivo e informato. «Con questo comportamento - spiega una nota - è stato violato un principio fondamentale e riconosciuto a livello mondiale in materia di privacy: ossia, che spetta alle persone controllore l'uso dei propri dati personali». Le Autorità riconoscevano che Google non era l'unica società ad avere introdotto servizi on line senza prevedere tutele adeguate per gli utenti;
oltre a Google, anche Facebook, social network che vede iscritti 6 milioni di italiani, è stato messo sotto accusa a causa della disabilitazione di molti profili non motivata, che fa rimanere gli utenti senza alcuna tutela. Su Facebook un account significa una mole di dati personali che, disattivati?, senza alcuna motivazione, scompaiono nel nulla. Account oscurati, provvedimenti non comunicati agli utenti e decisioni arbitrarie hanno spinto molte persone a denunciare il social network, che peraltro non ha un customer care per i clienti italiani, costretti a utilizzare il servizio statunitense. Facebook è divenuta un'applicazione web con cui ci si deve confrontare quotidianamente. Ormai chi non ha un profilo facebook è un po' come se non avesse una casella di posta elettronica, ma, come spesso accade, il mezzo non risulta mai essere perfetto. Così, può accadere, all'improvviso di non riuscire più ad accedere al proprio account, perché disabilitato dagli amministratori del sistema. Diverse sono le testimonianze degli utenti che sono state vittime di questa «sciagura sociale sul web»;
Giovanni Cappellotto, in un esauriente post della fine del 2008, fa una fotografia della situazione basandosi sui dati della licenza di utilizzo di Facebook e scrive, tra l'altro: «Quando ci iscriviamo per la prima volta a Facebook, ma vale per ogni servizio che adottiamo in rete, sottoscriviamo un accordo con gli utenti che non leggiamo mai. In questo sono presenti le condizioni di utilizzo, le clausole di esclusiva, la proprietà intellettuale, cosa si può e cosa non si deve fare. Spesso pensiamo che solo perché è gratuito tutto sia permesso e che le regole in fondo non valgano. Ogni giorno Facebook sospende moltissimi account per violazione delle politiche e degli accordi e contemporaneamente riceve migliaia di lettere di protesta. In linea di massima alla prima protesta si è riabilitati in modo automatico, ma diventa sempre più difficile in una seconda o terza occasione. Tuttavia, grave è scoprire che Facebook sembra imporre limiti di censura intellettuale, arrivando a cancellare post, link, note e status sulla base di giudizi di valore e contenuto. Uno dei tanti episodi ha a che fare con le dichiarazioni del Papa su aids e preservativi. È accaduto che la Rana (pseudonimo di una piccola redazione on-line che gestisce Rassegna Stanca commenti quotidiani alle notizie apparse sui giornali) parli nel suo spazio delle dichiarazioni di Ratzinger. Commenti, dibattito, confronto pacato. «Fila tutto liscio finché sulla home page di Rassegna Stanca non viene caricato» il titolo provocatorio «Un editoriale ultrasottile», il corsivo apparso in prima pagina sul quotidiano Avvenire di ieri che spiegava e giustificava le parole di Benedetto XVI», raccontano i curatori. «L'articolo del giornale di ispirazione cattolica è stato ripreso parola per parola, cambiando soltanto il titolo, e ha messo in moto uno scambio di idee appassionato, ma comunque pacato e non offensivo, coinvolgendo tantissimi utenti di Facebook». Senza alcuna motivazione, né preavviso il social network cancella gli editoriali e i commenti perché «potrebbero disturbare gli altri utenti»;
molti utenti sono stati disabilitati senza alcun motivo, hanno scritto decine di email con l'indirizzo di posta collegato al proprio account a disabled facebook, abuse facebook, warning facebook, info at facebook, tutte in inglese, mettendo secondo prassi, nome e cognome, indirizzo e-mail alcune parole di scuse avendo in qualche modo suscitato le ire dell'operatore di turno allertato dal programma che facebook utilizza per monitorare tutto il social network. E chiedendo se quantomeno era possibile sapere il motivo della disabilitazione, ma a tale procedura non è seguita alcuna risposta. Delle volte il blocco dell'account è stato causato dall'aver contattato troppi conoscenti, dall'aver fatto ricerche o dall'aver scritto post nelle bacheche dei contatti troppo velocemente. Di solito, i gestori del network pensano che chi scrive troppo velocemente, in realtà inserisca dei messaggi spam nella email degli altri contatti. Personaggi pubblici sono incorsi in questi assurdi errori. Nino Randisi, il giornalista antimafia, era stato sospeso per le sue denunce antimafia, ma venne poi riammesso dopo qualche settimana. A proposito del caso Randisi, il giornalista Vittorio Zambardino scrisse sul quotidiano Repubblica: «Randisi è uno dei tanti cui accade questa disavventura facebookistica. A un certo punto qualcuno ti «denuncia», le tue cose scompaiono, i dati e i contenuti che hai immesso, compresa la posta personale, svaniscono nel nulla. In molti casi - ci risulta - l'account viene riabilitato dopo le proteste, è successo perfino per qualche deputato. Ma intanto sapere «dove» e con chi protestare è molto complesso. Randisi sembra pensare che qualcuno, dall'Italia, possa aver chiesto l'intervento contro la sua pagina. Ma il punto certo è che Facebook, piattaforma dove oramai più di 6 milioni di italiani esprimono i loro pensieri e le loro proteste, pubblicano le loro immagini e si mandano la loro corrispondenza, non ha nel nostro Paese - che si sappia - nemmeno uno «sportello» cui indirizzare i propri reclami. Quella che ha colpito Randisi potrebbero essere censura o disguido. Si vedrà. Ma se almeno il danneggiato potesse parlarne a qualcuno, forse anche i sospetti diminuirebbero». Dopo la riattivazione, fonti interne al sito, ma che hanno preferito restare anonime, hanno affermato che il tutto sarebbe nato da un errore di valutazione del software che Facebook usa per valutare eventuali violazioni del codice di condotta;
il software di controllo dovrebbe servire ad evitare che il network venga usato a fini commerciali o propagandistici. Ma in realtà vengono tenuti sotto controllo il volume delle comunicazioni di un account, il numero di video o di testi pubblicati, la direzione delle attività, ad esempio se un numero anomalo di messaggi viene indirizzato a una sola persona. Se una di queste situazioni si verifica, il software opera una sorta di sospensione cautelativa dell'account, non lo cancella. Un sistema, in teoria, molto sicuro, ma che incappa spesso in sviste. Uno di questi casi è quello del parlamentare Matteo Salvini, sospeso e riammesso circa un mese dopo. L'onorevole Salvini ha inviato una mail al centro assistenza di Facebook, il cui link si trova nell'home page del sito, ed ha dovuto attendere tre settimane prima che il profilo venisse riattivato. Anche in quel caso si erano rincorse voci di censura, e alla fine, in mancanza di comunicazioni chiare da parte degli amministratori, l'intera vicenda è rimasta coperta da mistero;
questo problema scaturisce dalla necessità di tutelare la privacy degli utenti di Facebook, principio che però non viene rispettato dai gestori che possono utilizzare e controllare i dati personali di ciascun utente. Nei mesi scorsi, in risposta alla raffica di critiche e dopo un lungo dibattito interno, Facebook ha annunciato una serie di cambiamenti alle impostazioni sulla privacy. La modifiche sono state immediatamente valutate dalla Electonic Frontier Foundation (EFF) che le considera un buon passo avanti, ma non ancora sufficienti a dare agli utenti del sito un controllo ottimale sui loro dati. «Abbiamo ancora alcuni dubbi sulla quantità di informazioni che Facebook scambia con le applicazioni di terze parti e i siti web», ha spiegato EFF, che consiglia, in ogni caso, di non scegliere le impostazioni raccomandate dal sito. «Speriamo quindi che questo sia solo un primo passo, e non l'ultimo, verso una dimensione più rispettosa della privacy. Facebook, si legge ancora sul sito EFF, deve rispettare i propri principi e i diritti degli utenti, dando loro il pieno controllo sulle informazioni che vogliono condividere». In sostanza, Facebook ha apportato tre grandi modifiche: la prima consente agli utenti di fissare un «livello di privacy by default» che sarà applicato in tutte le impostazioni individuali sulla base di vecchie opzioni o di un mix di livelli. Capovolgendo uno dei cambiamenti più controversi apportati ad aprile, Facebook rimetterà in funzione controlli per le informazioni sulle «connessioni» che indicano i gusti, gli interessi, l'istruzione, il lavoro, la città natale, piuttosto che richiedere che tutte le connessioni siano rese pubbliche. Tuttavia, il nome, la foto del profilo, il genere e il network restano «informazioni pubbliche» e la lista amici è sempre disponibile alle applicazioni. Un passo indietro è stato compiuto anche su un altro punto controverso introdotto a dicembre: Facebook ripristinerà la possibilità per gli utenti di decidere di non condividere alcuna informazione con le applicazioni e i siti sulla piattaforma Facebook, semplificando anche l'opt-out della condivisione delle informazioni con i siti del programma instant personalization. Il primo cambiamento, dice EFF, che da agli utenti il modo di sistemare molte impostazioni con un click, è un giusto equilibrio tra semplicità e controllo. Le modifiche, inoltre, non saranno cambiate in caso di nuovi aggiustamenti da parte della società e sono retroattive. E questo è un miglioramento significativo. «Facebook è un sito che molti hanno scelto quale alternativa più «privata» di My Space e Twitter e per restare in linea con le aspettative degli utenti, nessuna informazione dovrebbe essere resa pubblica di default, in conclusione, ha spiegato EFF, «apprezziamo che Facebook abbia trovato il tempo di ascoltare e rispondere alle critiche pubbliche sulle ultime modifiche e, sebbene i recenti cambiamenti non dissolvano tutte le nostre preoccupazioni, si tratta comunque di un primo passo verso quella che noi speriamo sia una nuova direzione. Siamo ansiosi, conclude l'associazione, di continuare il dialogo con Facebook sull'ulteriore miglioramento della privacy» -:
quali siano le norme che regolano attualmente i social network e che tipo di controlli vengano effettuati per evitare abusi e censure al fine di garantire i diritti degli utenti registrati.(4-08954)