D'IPPOLITO VITALE. -
Al Ministro della giustizia.
- Per sapere - premesso che:
da molto tempo gli organi di informazione si stanno occupando della drammatica vicenda della signora Federica Puma cui è stata sottratta, dal 14 dicembre 2011, la figlia B. 7 anni, assegnata ad una casa famiglia dal presidente del tribunale dei minori di Roma, a seguito e per effetto della relazione di due assistenti sociali che ribaltavano precedenti valutazioni sulla piena idoneità della madre, fino a quel momento affidataria;
le difficoltà della giovane mamma pare abbiano inizio da subito; già all'inizio della convivenza con il papà della sua bambina, viene sottoposta a violenze e vessazioni quotidiane e cacciata di casa a soli 15 giorni dalla nascita della figlia, perché il compagno è «disturbato» dal pianto della neonata;
il padre non si rassegna alla decisione della donna che, nel frattempo tornata a Milano dalla sua famiglia, rifiuta la convivenza; al fine di tutelare la piccola, interviene il tribunale per i minorenni di Milano;
inizia così una lunga serie di schermaglie giudiziarie, fino a quando l'autorità giudiziaria decide di autorizzare gli incontri tra il padre e la bambina solo in ambito protetto e sotto vigilanza (le CTU disposte evidenziano forti disturbi della personalità del genitore);
avendo trovato lavoro e pensando di favorire il rapporto tra padre e figlia, la Puma decide di rientrare a Roma; i giudici milanesi autorizzano il trasferimento nella capitale della madre e della bambina ed il fascicolo passa per competenza al tribunale per i minorenni di Roma;
le assistenti sociali che prendono in carico la pratica, consapevoli, al pari dei colleghi di Milano, della complessità della situazione da gestire, relazionano puntualmente e circostanziatamente il giudice tutelare che inibisce al padre anche gli incontri protetti con la figlia;
del tutto inaspettatamente, il padre di B. denuncia le assistenti sociali e riesce a farle sostituire da altre che, ribaltando completamente la situazione, inquadrano il caso in un conflitto tra i genitori e richiedono, pertanto, il collocamento della piccola in casa famiglia (dove poi viene subito portata, a seguito di un provvedimento immediato del giudice e senza neanche essere ascoltata in udienza);
la bambina può incontrare la mamma soltanto un'ora a settimana, ciò per espressa volontà dei servizi sociali, nonostante la previsione di due incontri a settimana disposta dal tribunale; non può vedere i nonni materni e gli altri parenti ed è stata costretta a cambiare scuola (adesso frequenta una scuola statale di periferia);
questa storia ha molti lati oscuri: ci si chiede innanzitutto come e perché il tribunale, chiamato a decidere anzitutto nell'interesse del minore, abbia accettato, in palese contraddizione con precedenti deliberati di altro organo giudiziario, le richieste del padre, affetto da «disturbo di personalità di stampo narcisistico dovuto a vuoto empatico ed affettivo da curarsi in strutture cliniche idonee» (come risulta da due perizie del tribunale del 2005 e del 2008); pare che costui preferisca che la figlia (di cui ha chiesto l'adottabilità a terzi) resti in casa famiglia, privata della possibilità di un costante rapporto affettivo con i genitori;
nessuno sembra preoccuparsi del grave trauma e dei conseguenti, permanenti e pesanti danni psicofisici che B. sta subendo e che continuerà a subire -:
quali urgenti ed opportune iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda adottare al riguardo e se in particolare non intenda promuovere iniziative normative volte ad introdurre meccanismi e garanzie tali da evitare l'atto tasso di discrezionalità che sembra caratterizzare le scelte relative alla collocazione dei minori, ai casi quali quelli segnalati in premessa. (3-02417)