Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili - A.C. 2624 ' Nuovo testo - Elementi di valutazione per la compatibilità comunitaria
Riferimenti:
AC N. 2624/XVI     
Serie: Note per la compatibilità comunitaria    Numero: 26
Data: 25/11/2009
Descrittori:
ABBIGLIAMENTO E CONFEZIONI   COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI
PELLAMI E PELLICCE     
Organi della Camera: X-Attività produttive, commercio e turismo
XIV - Politiche dell'Unione europea

 

25 novembre 2009

 

n. 26

Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili

A.C. 2624 – nuovo testo

Elementi di valutazione per la compatibilità comunitaria

 

Numero dell’atto

A.C. 2624

Titolo

Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili

Iniziativa

Parlamentare

Iter:

 

sede

Referente

esame al Senato

No

Commissione competente

X (Attività produttive)

Pareri previsti

I Affari Costituzionali, II Giustizia (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III Affari esteri, V Bilancio, VI Finanze, VIII Ambiente, XI Lavoro, XII Affari sociali, XIV Politiche dell'Unione europea e Commissione parlamentare per le questioni regionali

 

 

 


Contenuto

Il nuovo testo della proposta di legge C. 2624 è volto ad assicurare la tracciabilità dei prodotti dei comparti tessile, della pelletteria e del calzaturiero in modo da tutelare i consumatori sotto il profilo dell’informazione sulla qualità e sulla sicurezza dei prodotti medesimi e da rendere possibile al consumatore distinguere il prodotto che sia realizzato in Italia.

A tal fine l’articolo 1 introduce un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi nei suddetti comparti che evidenzi il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione.

Il sistema di etichettatura fornisce inoltre l’indicazione chiara e sintetica di specifiche informazioni riguardanti:

§       la conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro;

§       la certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti;

§       l'esclusione dell'impiego di minori nella produzione;

§       il rispetto della normativa europea e degli accordi internazionali in materia ambientale.

Inoltre la norma consente l’uso della denominazione «Made in Italy» esclusivamente per prodotti dei suindicati settori le cui fasi di lavorazione, come individuate dalla stessa pdl (art. 1, commi 5-7), abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano (e in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione sono state eseguite nel territorio italiano e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità).

Per tutti i prodotti privi dei requisiti necessari all’impiego della denominazione «Made in Italy» è fatto salvo l’obbligo di etichettatura con l’indicazione dello Stato di provenienza.

L’articolo inoltre precisa che ai fini del provvedimento in esame per prodotto tessile si intende “ogni tessuto o filato, naturale, sintetico o artificiale, che costituisca parte del prodotto finito o intermedio destinato all'abbigliamento, oppure all'utilizzazione quale accessorio da abbigliamento, oppure all'impiego quale materiale componente di prodotti destinati all'arredo della casa e all'arredamento, intesi nelle loro più vaste accezioni, oppure come prodotto calzaturiero”.

Ai sensi dell’articolo 2, la definizione delle caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego della denominazione «Made in Italy», nonché delle modalità per l'esecuzione dei relativi controlli è demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico da emanarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge.

Entro il medesimo termine il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali dovrà provvedere all’adozione di un regolamento - aggiornato con cadenza biennale in base ad indicazioni dell'Istituto superiore di sanità – destinato, oltre che a garantire elevati livelli di qualità dei prodotti e dei tessuti commercializzati, a tutelare la salute umana e l'ambiente, attraverso l’introduzione di un capillare sistema di controlli e l'individuazione dei soggetti preposti all'esecuzione dei medesimi.

La proposta all’articolo 3 prevede apposite misure sanzionatorie.

L’apparato sanzionatorio a tutela delle disposizioni del provvedimento consiste, in primo luogo, in sanzioni di natura amministrativa. Sostanzialmente il provvedimento individua tre tipi di illecito amministrativo: la mancata o scorretta etichettatura dei prodotti; l’abuso della denominazione «Made in Italy»;la mancata o incompleta indicazione nell’etichetta della conformità delle lavorazioni alle norme internazionali in materia di lavoro, igiene e sicurezza dei prodotti, tutela ambientale.

Salvo che il fatto costituisca reato, gli illeciti previsti dalla proposta di legge in esame sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del valore normale di vendita della merce e, in ogni caso, non inferiore a 5.000 euro; la merce è sempre oggetto di sequestro e confisca (comma 1).

Ove le violazioni siano commesse da imprese, la sanzione pecuniaria è analoga alla precedente ma con un valore minimo raddoppiato in 10.000 euro; fermo restando l’applicazione del sequestro e confisca delle merci; la recidiva nella violazione comporta la misura interdittiva della sospensione dell’attività d’impresa per un periodo minimo di un mese e massimo di un anno (comma 2).

Il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) che omette i controlli sulle merci imposti dalla nuova disciplina commette, invece, un illecito penale punito con la reclusione da sei mesi a due anni congiunta con la multa fino a 30.000 euro (comma 3).

Si prevede, infine, l’applicazione della pena stabilita per l’associazione a delinquere quando le violazioni previste dall’articolo sono commesse reiteratamente ovvero attraverso attività organizzate.

Infine l’articolo 4 demanda al Ministro per le politiche europee il compito di assumere opportune iniziative a livello comunitario volte all’adozione di misure legislative in grado di recepire i contenuti del provvedimento in esame.

 

Si segnala che l’articolo 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, interviene sulla stessa materia con una disciplina di carattere generale dei prodotti classificabili come “made in Italy”, che tuttavia non si applica obbligatoriamente ma su iniziativa dei singoli produttori.

Esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria

Come già accennato, il sistema di etichettatura obbligatoria introdotto dalla proposta di legge in esame è finalizzato ad assicurare la tracciabilità dei prodotti dei settori tessile, della pelletteria e  calzaturiero, in modo da rendere possibile al consumatore di distinguere il prodotto che sia realizzato interamente in Italia.  Tale sistema evidenzia il luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione e consente l’uso della denominazione «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti finiti dei suindicati settori le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 28 TCE vieta fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione e le misure di effetto equivalente. Tuttavia, secondo l’articolo 30 del medesimo Trattato, le restrizioni all’importazione giustificate, tra l’altro, da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale sono autorizzate, qualora non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra Stati membri. In base all’interpretazione della Corte di giustizia in merito a tale normativa, i requisiti cui le normative nazionali assoggettano la concessione di denominazioni nazionali di qualità, a differenza di quanto accade per le denominazioni di origine e le indicazioni di provenienza (dei prodotti agroalimentari), possono riguardare solo le caratteristiche qualitative intrinseche dei prodotti, indipendentemente da qualsiasi considerazione relativa all’origine o alla provenienza geografica degli stessi.

In particolare, esiste una giurisprudenza risalente e costante della Corte di Giustizia in materia di marchi di qualità di titolarità di enti pubblici; che ritiene incompatibile con il mercato unico, sulla base dell’art. 28 del Trattato, la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo, “la quale di per ciò stesso limita o svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgano in tutto o in parte in altri Stati membri” (cfr. la sentenza della Corte UE del 12 ottobre 1978, causa 13/78, Eggers Sohn et Co. contro Città di Brema); a tale principio fanno eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine e alle indicazioni di provenienza.

Nella medesima prospettiva si pone, altresì, la decisione del 5 novembre 2002 (causa C-325/00), nella quale la Corte di Giustizia UE ha censurato la Repubblica Federale di Germania, per aver violato l’art. 28 del Trattato con la concessione del marchio di qualità “Markenqualität aus deutschen Landen” (qualità di marca della campagna tedesca), in quanto il messaggio pubblicitario, evidenziando la provenienza tedesca dei prodotti interessati, “può indurre i consumatori ad acquistare i prodotti che portano il marchio (…) escludendo i prodotti importati (…)”. Nella stessa sentenza si rileva, inoltre, come il fatto che l’uso del suddetto marchio sia facoltativo – come previsto anche per il marchio oggetto delle proposte di legge – non elimina il potenziale effetto distorsivo sugli scambi tra gli Stati membri, posto che l’uso del marchio “favorisce, o è atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene” (punto 24).

Anche in materia di marchi regionali, si ricorda la decisione 6 marzo 2003 (causa C-6/02), nella quale la Corte ha affermato la responsabilità della Repubblica Francese, la quale “non avendo posto fine, entro il termine fissato nel parere motivato, alla protezione giuridica nazionale concessa alla denominazione ”Salaisons d'Auvergne” nonché ai marchi regionali ”Savoie”, ”Franche-Comté”, ”Corse”, ”Midi-Pyrénées”, ”Normandie”, ”Nord-Pas-de-Calais”, ”Ardennes de France”, ”Limousin”, ”Languedoc-Roussillon” e ”Lorraine” (…) è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 28 TCE”; in tale causa, la Commissione europea ha sostenuto che le disposizioni francesi che istituiscono le suddette denominazioni possono avere effetti sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri, in quanto, in particolare, esse favoriscono la commercializzazione delle merci di origine nazionale a detrimento delle merci importate e dunque la loro applicazione creerebbe di per sé una disparità di trattamento tra queste due categorie di merci.

Più recentemente, si ricorda, ancora, la sentenza della Corte del 17 giugno 2004 (causa c-255/03), Commissione contro il Regno del Belgio, avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che il Regno del Belgio, avendo adottato e mantenuto in vigore una normativa che concede il “marchio di qualità Vallone” a prodotti finiti di una determinata qualità fabbricati o trasformati in Vallonia, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’art. 28 TCE, in quanto tra le condizioni per ottenere il suddetto marchio figura l’obbligo di trasformazione o di fabbricazione in Vallonia, mentre i presupposti che danno accesso ad una denominazione di qualità dovrebbero riferirsi esclusivamente alle caratteristiche intrinseche del prodotto, escludendo qualsiasi riferimento alla sua origine geografica.

 

Si segnala infine, che l’articolo 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge, con modificazioni, il 19 novembre 2009 e recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, interviene sulla stessa materia oggetto della proposta di legge in esame con una disciplina di carattere generale dei prodotti classificabili come “made in Italy”, che tuttavia non si applica obbligatoriamente ma su iniziativa dei singoli produttori. Le previsioni del decreto-legge n. 135/2009, per tale motivo, osserva la relazione illustrativa (A. S. 1784), “appaiono in linea con le indicazioni della Corte di giustizia delle Comunità europee, che, mentre ha costantemente ritenuto contrarie al Trattato le previsioni obbligatorie che esigano l’indicazione di origine di determinate merci, ancorché indistintamente applicabili alle merci nazionali e a quelle comunitarie, giacché tali previsioni hanno l’effetto di consentire al consumatore di distinguere fra queste due categorie di prodotti, il che può indurlo a dare la preferenza alle merci nazionali – ha, sin dagli anni Ottanta, riconosciuto meritevole di tutela l’interesse del produttore ad indicare di propria iniziativa l’origine nazionale del prodotto, salva la tutela del consumatore rispetto a indicazioni inesatte (si confronti, ad esempio, sentenza 25 aprile 1985, causa C-207/83, Commissione/Regno Unito, punto 21: «(..) nei casi in cui l’origine nazionale della merce suggerisce ai consumatori determinate qualità, i produttori hanno interesse ad indicarlo di loro iniziativa sui prodotti o sugli imballaggi, senza che sia necessario obbligarveli. In questo caso, la tutela dei consumatori è adeguatamente garantita dalle norme che consentono di far vietare l’uso di indicazioni d’origine false, norme che il Trattato CEE lascia intatte».”

 

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea
(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

Una proposta di regolamento relativa all’indicazione del paese di origine di alcuni prodotti importati da paesi terzi è stata presentata il 16 dicembre 2005 (COM(2005)661). La proposta – che segue la procedura di codecisione - non è mai stata discussa dal Consiglio mentre il Parlamento europeo, l’11 dicembre 2007, ha adottato una dichiarazione nella quale si ribadiva il diritto dei consumatori europei ad un accesso immediato alle informazioni relative agli acquisti.

Il 24 novembre 2009 il Parlamento europeo in sessione plenaria ha votato una risoluzione sul marchio d’origine nella quale, tra l’altro:

-   invita la Commissione e il Consiglio a istituire meccanismi di vigilanza e di lotta contro la frode in campo doganale;

-   ritiene che dal 1° dicembre 2009, data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona, debbano avere inizio consultazioni e scambi di opinioni tra Parlamento e Consiglio;

-   invita la Commissione a ripresentare al Parlamento la sua proposta nel medesimo testo immediatamente dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona.

 

Il 20 ottobre il Commissario europeo per il commercio ha preannunciato un programma pilota in materia di denominazioni d'origine. Secondo questo programma a breve termine, in modo facoltativo alcuni prodotti porterebbero etichette “made in” che designano il loro paese di fabbricazione. La Commissione - che ritiene che una simile etichettatura possa favorire scelte consapevoli del consumatore europeo - auspica che la portata limitata dell'iniziativa possa consentirne l'approvazione da parte degli Stati membri, alcuni dei quali diffidano di una regolamentazione in questo settore. Inizialmente, saranno interessati i settori tessile, delle calzature e delle ceramiche. La proposta avanzata dal Commissario Ashton è stata oggetto di un dibattito in seno alla commissione del commercio del Parlamento europeo.

Il 28 maggio 2009 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla politica di qualità dei prodotti agricoli (COM(2009)234) in cui avanza proposte per migliorare la comunicazione tra produttori, acquirenti e consumatori sulla qualità dei prodotti agricoli; accrescere la coerenza degli strumenti della politica di qualità dei prodotti agricoli; rendere i vari sistemi di certificazione ed etichettatura più facili da capire e usare per agricoltori, produttori e consumatori.

Nella comunicazione la Commissione propone, tra l’altro:

·   l’indicazione obbligatoria del luogo di produzione in etichetta, tenendo conto delle peculiarità di alcuni settori, soprattutto in relazione ai prodotti agricoli trasformati;

·   l’introduzione di una norma di commercializzazione generale, che fornisca una descrizione tecnica dei prodotti agricoli e ne indichi la composizione, le caratteristiche e il metodo di produzione;

·   un intervento legislativo che riformi la normativa sulle indicazione geografiche;

·   nel contesto internazionale, la promozione di una tutela rinforzata del sistema UE nei paesi terzi; iscrizione nei registri ufficiali dell’UE delle indicazioni geografiche extra UE.

Il Consiglio agricoltura del 22 giugno 2009 ha adottato conclusioni sulla comunicazione della Commissione.

 

Etichettatura dei prodotti tessili

Il 30 gennaio 2009 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento relativo alle denominazioni tessili e all'etichettatura dei prodotti tessili (COM(2009)31) volta a semplificare il quadro regolamentare esistente apportandovi delle modifiche, tra le quali il riconoscimento esplicito della responsabilità degli operatori economici di fornire l'etichetta e le informazioni in essa contenute.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari

( 066760-9409 – *st_affari_comunitari@camera.it

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File: NOTST026.doc