Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disegno di legge 'collegato' alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 in materia di lavoro - A.C. 1441-quater-F - Esame a seguito del rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica ai sensi dell'art.74 Cost - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1441-QUATER-F/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 321    Progressivo: 1
Data: 04/10/2010
Descrittori:
CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO   LEGGE DELEGA
MARINAI E MARITTIMI     
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disegno di legge “collegato” alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 in materia di lavoro

AC 1441 quater F

 

Esame a seguito del rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 74 Cost.

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 321/1

 

 

 

4 ottobre 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Lavoro

( 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475– * st_istituzioni@camera.it

 

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

 

 

§         La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: LA0300_1

 


INDICE

Schede di lettura

Dati Identificativi                                                                                                3

Premessa                                                                                                            4

Gli articoli del disegno di legge oggetto di esame parlamentare               9

§      Art. 2  (Delega al Governo per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute)                                                 11

§      Art. 20  (Disposizioni concernenti il lavoro sul naviglio di Stato )                  17

§      Art. 31  (Conciliazione e arbitrato)                                                                 23

§      Art. 32  (Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato)  43

§      Art. 50.  (Disposizioni in materia di collaborazioni coordinate e continuative)55

 

 


Schede di lettura

 


Dati Identificativi

 

Numero del progetto di legge

1441-quater-F

Titolo

"Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro" (rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica a norma dell'articolo 74 della Costituzione, approvato, con modificazioni, dalla Camera e modificato dal Senato)

Iniziativa

Governo

Iter al Senato

Si

Numero di articoli

50

Date:

 

trasmissione alla Camera

30 settembre 2010

assegnazione

30 settembre 2010

Commissione competente

XI Lavoro

Sede

Referente

Pareri previsti

I, II, IV, V, X e XII

 

 


 

Premessa

Il disegno di legge AC 1441-quater-F è all’esame della Camera dei deputati a seguito del rinvio del Presidente della Repubblica, con messaggio motivato del 31 marzo 2010, ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione, dell’AS 1167-B, approvato in via definitiva dal Senato il 3 marzo 2010.

 

L’articolo 74 della Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.

 

Il messaggio presidenziale si sofferma, in particolare, sull'articolo 31, che modifica le disposizioni del Codice di procedura civile in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, e sull'articolo 20, relativo alle responsabilità per le infezioni da amianto subite dal personale che presta la sua opera sul naviglio di Stato.

Per quanto attiene all’articolo 31, pur ritenendo apprezzabile un indirizzo normativo teso all'introduzione di strumenti arbitrali volti a prevenire e accelerare la risoluzione delle controversie, si evidenzia la necessità di definire, in via legislativa,  meccanismi meglio idonei ad accertare l'effettiva volontà compromissoria delle parti e a tutelare il contraente debole (ossia il lavoratore), soprattutto nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro. Inoltre, la possibilità di pervenire a una decisione arbitrale "secondo equità" non può in ogni caso compromettere diritti costituzionalmente garantiti, o comunque non negoziabili, di cui è titolare il lavoratore; nel settore del pubblico impiego tale possibilità va altresì coniugata con il rispetto dei principi costituzionali di buon andamento, trasparenza e imparzialità  dell'azione amministrativa.

Per quanto attiene all’articolo 20, si evidenzia la necessità di una riformulazione della norma volta ad assicurare, escludendo profili di rilevanza penale (in linea con gli adattamenti del resto previsti al riguardo dal testo unico in materia di sicurezza sul lavoro), l'effettiva sussistenza di un autonomo titolo di responsabilità sul quale fondare il diritto al risarcimento per i danni arrecati alla salute dei lavoratori impiegati sul naviglio di Stato.

 

L’articolo 71 del Regolamento della Camera prevede che il riesame a seguito del rinvio presidenziale inizia presso la Camera che in precedenza lo ha approvato per prima. La Commissione competente riferisce all’Assemblea, la quale può limitare la discussione alle parti che formano oggetto del messaggio.

 

Il provvedimento, risultante dallo stralcio (deliberato dall’Assemblea della Camera il 5 agosto 2008) di alcuni articoli del disegno di legge C. 1441, ha natura di provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013, secondo quanto previsto dal Documento di programmazione economico-finanziario 2009-2013 e dalla risoluzione con cui la Camera ha approvato il suddetto Documento.

 

L’esame del provvedimento (AC 1441-quater) ha avuto inizio alla Camera dei deputati, in prima lettura, il 17 settembre 2008. Il provvedimento, inizialmente composto di 9 articoli, è stato approvato dall’Assemblea della Camera dei deputati, il 28 ottobre 2008, in un testo di 28 articoli.

 

Il Senato ha avviato l’esame del provvedimento (AS 1167), in seconda lettura, il 5 novembre 2008. Il provvedimento, inizialmente composto di 28 articoli, è stato approvato dall’Assemblea del Senato il 26 novembre 2009, in un testo composto di 52 articoli (di cui 7 nell’identico testo approvato dalla Camera).

 

La Camera ha avviato la terza lettura parlamentare (AC 1441-quater-B) il 9 dicembre 2009. A seguito delle ulteriori modifiche apportate, il testo, approvato dalla Camera il 28 gennaio 2010, è stato nuovamente trasmesso al Senato.

 

Il senato ha svolto la quarta lettura parlamentare (AS 1167-B) dal 2 febbraio al 3 marzo 2010, procedendo all’approvazione definitiva del testo senza ulteriori modifiche.

 

Come detto, il Presidente della Repubblica, con messaggio motivato del 31 marzo 2010, ha disposto il rinvio alle Camere ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione.

 

L’esame del provvedimento a seguito del rinvio presidenziale ha avuto inizio alla Camera dei deputati (AC 1441-quater-D) il 13 aprile 2010 (quinta lettura). Il provvedimento è stato approvato, con modifiche agli articoli 17, 20, 30, 31, 32 e 50, il 29 aprile 2010.

 

Il Senato ha avviato il proprio esame il 4 maggio 2010 (AS 1167-B/bis) (sesta lettura). Il provvedimento è stato approvato il 29 settembre con ulteriori modifiche agli articoli 2, 20, 31, 32 e 50.

 

Oggetto dell’ulteriore esame parlamentare da parte della Camera dei deputati (AC 1441-quater-F) (settima lettura) sono, pertanto, limitatamente alle parti modificate dal Senato, gli articoli 2, 20, 31, 32 e 50, in quanto su tali disposizioni non si è giunti, successivamente al messaggio presidenziale di rinvio, a una duplice deliberazione conforme di entrambe le Camere.

 

Di seguito si fornisce un sintetico quadro delle modifiche introdotte al Senato[1].

 

All’articolo 2, recante una delega per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sono state introdotte alcune modifiche volte a coordinare il testo con le nuove norme introdotte, sulla medesima materia, dal decreto-legge n.78 del 2010. Al comma 1, lettera a), è stato eliminato il riferimento all’Istituto per gli affari sociali, in quanto l’articolo 7, comma 15, del decreto-legge n.78 del 2010 ha disposto la soppressione dell’Istituto e il trasferimento delle relative funzioni all’ISFOL. Al comma 1, lettera c), è stata soppressa la norma che attribuiva all’INAIL la competenza ad emanare, nel quadro dei richiamati indirizzi e direttive ministeriali, specifiche direttive all’ISPESL in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, in quanto l’articolo 7, comma 1, del richiamato decreto-legge n.78 del 2010 ha soppresso l’ISPESL e ne ha attribuito le relative funzioni all’INAIL.

 

All’articolo 20, la norma di interpretazione autentica volta ad escludere l’applicazione delle norme penali di cui al DPR n.303 del 1956 (nel periodo della loro vigenza) ai fatti avvenuti a bordo di mezzi del naviglio di Stato è stata in primo luogo meglio definita al fine di circoscriverne la portata ai soli profili di rilevanza penale. A tal fine è stato innanzitutto precisato che resta in ogni caso fermo il diritto al risarcimento del danno del lavoratore. Inoltre, laddove si stabilisce che i provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie, è stato precisato come queste ultime abbiano ad oggetto l’accertamento della responsabilità civile contrattuale o extracontrattuale derivante dalla violazione delle disposizioni di cui al suddetto DPR n.303 del 1956. Nel corso dell’esame al Senato, inoltre,  è stato aggiunto un nuovo comma, volto a incrementare di 5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2012, l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 562, della legge n.266 del 2005, relativa ai benefici a favore delle vittime del dovere, categoria alla quale possono essere ricondotti anche i militari operanti a bordo del naviglio di Stato che abbiano subito danni o siano deceduti nell’espletamento del loro servizio.

 

All’articolo 31, relativo alle procedure di conciliazione e arbitrato,è stato in primo luogo stabilito, con riferimento all’attività delle commissioni di certificazione, che l’accertamento dell’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie di lavoro deve essere verificata all’atto della sottoscrizione della clausola compromissoria ed ha ad oggetto le controversie che dovessero successivamente insorgere dal rapporto di lavoro.  Inoltre, è stato richiamato anche l’articolo 411 del codice di procedura civile, relativo al processo verbale di conciliazione, tra le disposizioni applicabili alle controversie individuali di lavoro nel settore pubblico.

 

All’articolo 32, recante norme sulle modalità e i termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali, è stato in primo luogo innalzato da 180 a 270 giorni il termine entro il quale, a seguito dell’impugnazione del licenziamento, il lavoratore è tenuto (a pena di inefficacia dell’impugnazione medesima) a depositare il ricorso nella cancelleria del tribunale o a comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. A tale riguardo è stato inoltre precisato che resta in ogni caso ferma la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Infine, si è previsto che la nuova disciplina sull’impugnazione dei licenziamenti trovi applicazione in tutti i casi di invalidità (ma non anche di inefficacia) del licenziamento.

 

All’articolo 50, ove si stabilisce che (ferme restando le sentenze passate in giudicato) in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa il datore di lavoro che, entro il 30 settembre 2008, abbia offerto la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato e, successivamente all’entrata in vigore della legge, offra anche la conversione a tempo indeterminato, è tenuto unicamente a indennizzare il lavoratore con un’indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità di retribuzione, è stato previsto che  la norma trovi applicazione anche nel caso in cui il datore di lavoro, successivamente all’entrata in vigore della legge, offra l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere.


Gli articoli del disegno di legge oggetto di esame parlamentare


Art. 2
(Delega al Governo per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi finalizzati alla riorganiz­zazione degli enti, istituti e società vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza dei predetti Ministeri sugli stessi enti, istituti e società rispettivamente vigilati, ferme restando la loro autonomia di ricerca e le funzioni loro attribuite, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

1. Identico:

a) semplificazione e snellimento dell'organizzazione e della struttura amministrativa degli enti, istituti e società vigilati, adeguando le stesse ai princìpi di efficacia, efficienza ed economicità dell'attività amministrativa e all'organiz­zazione, rispettivamente, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero della salute, prevedendo, ferme restando le specifiche disposizioni vigenti per il relativo personale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, il riordino delle competenze dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, dell'Istituto per gli affari sociali e della società Italia Lavoro Spa;

 a) semplificazione e snellimento dell'organizzazione e della struttura amministrativa degli enti, istituti e società vigilati, adeguando le stesse ai princìpi di efficacia, efficienza ed economicità dell'attività amministrativa e all'organiz­zazione, rispettivamente, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero della salute, prevedendo, ferme restando le specifiche disposizioni vigenti per il relativo personale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, il riordino delle competenze dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori e della società Italia Lavoro Spa;

b) razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa e mediante adeguamento dell'orga­nizzazione e della struttura amministrativa degli enti e istituti vigilati ai princìpi e alle esigenze di razionalizzazione di cui all'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, riconoscendo il valore strategico degli istituti preposti alla tutela della salute dei cittadini;

b) identica;

 c) ridefinizione del rapporto di vigilanza tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della salute e gli enti e istituti vigilati, prevedendo, in particolare, per i predetti Ministeri la possibilità di emanare indirizzi e direttive nei confronti degli enti o istituti sottoposti alla loro vigilanza e, per l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), la competenza ad emanare, nel quadro degli indirizzi e delle direttive adottati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero della salute, specifiche direttive all'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) sulla materia della sicurezza dei luoghi di lavoro, al fine di assicurare, anche attraverso la previ­sione di appositi modelli organizzativi a tale scopo finalizzati, l'effettivo coordi­namento in materia previsto dall'artico­lo 9 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e la funzionalità delle attività di ricerca svolte dall'ISPESL rispetto agli obiettivi definiti a livello nazionale;

c) ridefinizione del rapporto di vigilanza tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della salute e gli enti e istituti vigilati, prevedendo, in particolare, per i predetti Ministeri la possibilità di emanare indirizzi e direttive nei confronti degli enti o istituti sottoposti alla loro vigilanza;

 d) organizzazione del Casellario centrale infortuni, nel rispetto delle attuali modalità di finanziamento, secondo il principio di autonomia funzionale, da perseguire in base ai criteri di cui alle lettere a) e b) del presente comma;

d) identica.

e) previsione dell'obbligo degli enti e istituti vigilati di adeguare i propri statuti alle disposizioni dei decreti legislativi emanati in attuazione del presente articolo, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore degli stessi.

e) identica.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ovvero del Ministro della salute, ciascuno in relazione alla propria competenza, di concerto, rispettivamente, con il Ministro della salute e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, con il Ministro dello sviluppo economico, nonché con il Ministro della difesa limitatamente al decreto legislativo relativo alla riorganizzazione della Croce rossa italiana, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e previo parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, che si esprime entro trenta giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi; decorso tale termine, il Governo può comunque procedere. Succes­sivamente, gli schemi sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro quaranta giorni dall'assegnazione; decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l'adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1, quest'ultimo è prorogato di due mesi.

2. Identico.

3. L'adozione dei decreti legislativi attuativi della delega di cui al presente articolo non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

3. Identico.

4. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge si procede al riordino degli organi collegiali e degli altri organismi istituiti con legge o con regolamento nell'amministrazione centrale della salute, mediante l'emanazione di regolamenti adottati, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nel rispetto dei seguenti criteri:

4. Identico.

a) eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali;

 

 b) razionalizzazione delle competenze delle strutture che svolgono funzioni omogenee;

 

c) limitazione del numero delle strutture, anche mediante la loro eventuale unificazione, a quelle strettamente indispensabili all'adempimento delle funzioni riguardanti la tutela della salute;

 

d) diminuzione del numero dei componenti degli organismi.

 

 

 

L’articolo 2, non oggetto del messaggio di rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, modificato nel corso dell’esame al Senato, attribuisce al Governo la delega ad adottare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, uno o più decreti legislativi volti alla riorganizzazione degli enti, istituti e società rispettivamente vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza dei predetti Ministeri sugli stessi enti, ferme restando l’autonomia di ricerca e le funzioni attribuite a questi ultimi.

La delega deve essere esercitata sulla base dei seguenti criteri e principi direttivi (comma 1):

§      semplificazione e snellimento dell’organizzazione e della struttura amministrativa degli enti, istituti e società vigilati, adeguando le stesse ai princìpi di efficacia, efficienza ed economicità dell'attività amministrativa e all'organizzazione, rispettivamente, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero della salute, e prevedendo altresì il riordino delle competenze dell’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, (ISFOL) dell’Istituto per gli affari sociali (IAS) e della società Italia Lavoro S.p.A. (lettera a)). Nel corso dell’esame al Senato, è stato soppresso il riferimento allo IAS. La soppressione risponde ad esigenze di coordinamento normativo con le disposizioni di cui all’articolo 7, comma 15, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, che ha soppresso, appunto, lo IAS, trasferendone le relative funzioni all’ISFOL, in una delle macroaree esistenti;

§      razionalizzazione e ottimizzazione dei costi di funzionamento, attraverso la riorganizzazione dei centri di spesa e l’adeguamento dell’organizzazione e della struttura amministrativa degli enti vigilati ai principi di razionalizzazione di cui al comma 404 dell’articolo 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007) (lettera b));

 

Il comma 404 dell’articolo 1 della L. 296/2006, al fine di razionalizzare e ottimizzare l'organizzazione delle spese e dei costi di funzionamento dei Ministeri, aveva disposto l’emanazione di regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis della legge n. 400 del 1988, fissando peraltro il termine del 30 aprile 2007.

Nell’indicare con maggiore dettaglio le finalità di tale opera di riorganizzazione, il menzionato comma 404 precisava i seguenti punti:

-        riorganizzazione degli uffici di livello dirigenziale generale e non generale, procedendo alla riduzione in misura non inferiore al 10 per cento di quelli di livello dirigenziale generale ed al 5 per cento di quelli di livello dirigenziale non generale (lettera a));

-        gestione unitaria del personale e dei servizi comuni anche mediante strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica (lettera b));

-        rideterminazione delle strutture periferiche (lettera c));

-        riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo (lettera d));

-        riduzione degli organismi di analisi, consulenza e studio di elevata specializzazione (lettera e));

-        riduzione delle dotazioni organiche in modo da assicurare che il personale utilizzato per funzioni di supporto (gestione delle risorse umane, sistemi informativi, servizi manutentivi e logistici, affari generali, provveditorati e contabilità) non ecceda comunque il 15 per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate da ogni amministrazione, mediante processi di riorganizzazione e di formazione e riconversione del personale addetto alle predette funzioni che consentano di ridurne il numero in misura non inferiore all'8 per cento all'anno fino al raggiungimento del limitepredetto (lettera f));

-        avvio della ristrutturazione della rete diplomatica, consolare e degli istituti di cultura ed in particolare l'unificazione dei servizi contabili degli uffici della rete diplomatica aventi sede nella stessa città estera (lettera g);.

 

§         ridefinizione del rapporto di vigilanza tra i Ministeri indicati nella disposizione e gli enti e istituti vigilati, prevedendo, in particolare, per i Ministeri stessi, la possibilità di emanare indirizzi e direttive nei confronti degli enti o istituti sottoposti alla loro vigilanza. (lettera c)). Nel corso dell’esame del provvedimento al Senato è stato soppresso il periodo che prevedeva che l’INAIL avesse la competenza ad emanare, nel quadro dei richiamati indirizzi e direttive ministeriali, specifiche direttive all’ISPESL in materia della sicurezza dei luoghi di lavoro, al fine di assicurare, anche attraverso la previsione di appositi modelli organizzativi, l’effettivo coordinamento in materia previsto dall’articolo 9 D.Lgs. 81/2008, nonché la funzionalità delle attività di ricerca svolte dall’ISPESL rispetto agli obiettivi definiti a livello nazionale.

Anche tale soppressione risponde ad esigenze di coordinamento normativo con le disposizioni di cui all’articolo 7, comma 1, del richiamato D.L. 78/2010, il quale, tra gli altri, ha soppresso l’ISPESLcon conseguente attribuzione delle funzioni all’INAIL, il quale subentra in tutti i rapporti attivi e passivi;

Si ricorda che il richiamato articolo 9 ha disposto che l'ISPESL, l'INAIL e l'IPSEMA debbano operare in funzione delle attribuzioni loro assegnate dalla normativa vigente, svolgendo in forma coordinata, per una maggiore sinergia e complementarietà, specifiche attività in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.

 

§         l’organizzazione del Casellario centrale infortuni, nel rispetto delle attuali modalità di finanziamento, secondo il principio di autonomia funzionale, da perseguire in base ai criteri indicati alle precedenti lettere a) e b)(lettera d));

§         la previsione dell’obbligo di adeguamento, per gli enti e istituti vigilati, dei propri statuti alle disposizioni dei decreti legislativi emanati in attuazione del presente articolo, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore degli stessi (lettera e)).

Il comma 2 dispone che i menzionati decreti legislativi debbano essere emanati su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ovvero del Ministro della salute, ciascuno in relazione alla propria competenza, di concerto rispettivamente dell’altro dicastero, nonché il Ministro dell’economia, con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dello sviluppo economico (nonché con il Ministro della difesa limitatamente al decreto legislativo relativo alla riorganizzazione della Croce rossa italiana), previo parere della Conferenza Stato-regioni, da esprimersi rispettivamente entro 30 giorni dalla data di trasmissione; decorso tale termine, il Governo può comunque procedere. Successivamente, gli schemi vengono trasmessi alle Camere per l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro 40 giorni dall’assegnazione; decorso tale termine i decreti legislativi possono essere comunque emanati.

Nel caso in cui il termine per l’espressione del parere parlamentare scada nei 30 giorni che precedono la scadenza del termine per l’adozione dei decreti legislativi di cui al precedente comma 1, quest’ultimo è prorogato di 2 mesi.

 

Il comma 3 precisa che i decreti legislativi in questione non devono recare nuovi oneri per la finanza pubblica.

 

Il comma 4 prevede l’emanazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per il riordino degli organi collegiali e degli altri organismi istituiti con legge o con regolamento nell'amministrazione centrale della salute, nel rispetto dei seguenti criteri:

a)  eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali;

b)  razionalizzazione delle competenze delle strutture che svolgono funzioni omogenee;

c)  limitazione del numero delle strutture a quelle strettamente indispensabili all'adempimento delle funzioni riguardanti la tutela della salute;

d)  diminuzione del numero dei componenti degli organismi.

 

L’articolo 17, comma 2, della legge n. 400/88 prevede che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

 

 


 

Art. 20
(
Disposizioni concernenti il lavoro sul naviglio di Stato )

Art. 20.

(Interpretazione autentica di norme emanate in attuazione dell'articolo 2 della legge 12 febbraio 1955, n. 51).

Art. 20.

(Disposizioni concernenti il lavoro sul naviglio di Stato).

 

 

1. A decorrere dall'anno 2012, l'autorizzazione di spesa di cui all'arti­colo 1, comma 562, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, è incrementata di 5 milioni di euro. Al relativo onere, pari a 5 milioni di euro annui a decorrere dal 2012, si provvede median­te corrispondente riduzione delle proiezioni, per il medesimo anno, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2010-2012, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2010, allo scopo parzial­mente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della difesa. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

1. Le norme aventi forza di legge emanate in attuazione della delega di cui all'articolo 2, lettera b), della legge 12 febbraio 1955, n. 51, si interpretano nel senso che esse non trovano applicazione in relazione al lavoro a bordo del naviglio di Stato e, pertanto, le disposizioni penali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, non si applicano, per il periodo di loro vigenza, ai fatti avvenuti a bordo dei mezzi del medesimo naviglio. I provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie eventualmente intraprese in ogni sede dai soggetti danneggiati o dai loro eredi, sulla base delle disposizioni del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956.

2. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno del lavoratore, le norme aventi forza di legge emanate in attuazione della delega di cui all'articolo 2, lettera b), della legge 12 febbraio 1955, n. 51, si interpretano nel senso che esse non trovano applicazione in relazione al lavoro a bordo del naviglio di Stato e, pertanto, le disposizioni penali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, non si applicano, per il periodo di loro vigenza, ai fatti avvenuti a bordo dei mezzi del medesimo naviglio. I provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie eventualmente intraprese in ogni sede, dai soggetti danneggiati o dai loro eredi, per l'accertamento della responsabilità civile contrattuale o extracontrattuale derivante dalle violazioni delle disposi­zioni del citato decreto n. 303 del 1956.

 

 

L’articolo 20, più volte modificato nel corso dell’esame al Senato[2], reca disposizioni in materia di infortuni e di igiene del lavoro.

 

In particolare, il comma 1 incrementa, a decorrere dal 2012, l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 562, della legge finanziaria per il 2006 (L. 266/2005), di una somma pari a 5 milioni di euro.

Al relativo onere si provvede mediante una corrispondente riduzione delle proiezioni, per il medesimo anno, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2010-2012, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire”, dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per il 2010, parzialmente utilizzando l’accantonamento al Ministero della difesa. E’ prevista la possibilità, per il ministro dell’economia e delle finanze, di apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

 

I commi 562-565 dell’articolo 1 della legge n.266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) disciplinano l’importo annuo di spesa e l’ambito soggettivo di applicazione dei benefici già previsti in favore di cittadini o categorie di dipendenti pubblici vittime della criminalità e del terrorismo o vittime del dovere, comprendendo in questa definizione tutti i dipendenti pubblici.

A tal fine, il comma 562 reca l’autorizzazione alla spesa annua della cifra massima di 10 milioni di euro, a partire dal 2006, allo scopo della “progressiva” estensione dei benefici di cui sopra a tutte le vittime del dovere, secondo alcune condizioni indicate nei commi seguenti.

Il comma 563 individua le categorie che devono essere considerate tra le vittime del dovere. Innanzitutto, vengono indicati (attraverso il richiamo all’art. 3 della L. 466/1980[3]) i soggetti con i quali la normativa vigente normalmente identifica le vittime del dovere. Si tratta, infatti, di persone che per il loro tipo di attività lavorativa sono più esposti ai rischi nei confronti della propria incolumità: in primo luogo, dunque, le forze dell’ordine e i militari, ma anche i magistrati, i vigili del fuoco ecc. Inoltre, il comma 563 ricomprende tra le vittime del dovere tutti gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito una invalidità permanente a due condizioni: che il fatto avvenga in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto e che la causa dell’evento sia compresa in una delle seguenti:

§       contrasto ad ogni tipo di criminalità (non solamente, dunque, di tipo organizzato e mafioso);

§       servizi di ordine pubblico;

§       vigilanza ad infrastrutture civili e militari;

§       operazioni di soccorso;

§       attività di tutela della pubblica incolumità;

§       azioni avvenute “in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità”.

L’inclusione di tutti i dipendenti pubblici (e quindi non solo degli appartenenti a determinate categorie a rischio) costituisce indubbiamente una novità nella disciplina vigente in materia, seppure l’elenco delle attività indicate, tipiche delle categorie sopra richiamate (forze dell’ordine, militari), non contribuisce all’individuazione di ulteriori categorie di dipendenti pubblici che potrebbero essere riguardati (tra questi potrebbe individuarsi il personale della Protezione civile) dalla previsione dei benefici. Tanto più che è previsto espressamente che la speciale elargizione dovuta alle vittime del dovere sia concessa a qualsiasi persona (non necessariamente dipendente pubblico) che, legalmente richiesta, presti assistenza alle forze di polizia (L. 466/1980, art. 4)[4].

Il comma 564 reca una disposizione che equipara ai soggetti di cui al comma precedente anche le vittime di “missioni di qualunque natura”, sia in Italia che all’estero, che “per le particolari condizioni ambientali od operative”, non meglio specificate, siano riconosciute dipendenti da causa di servizio. Si tratta di una norma volta ad estendere i benefici per le vittime anche a personale presumibilmente non dipendente da pubbliche amministrazioni, dal momento che vengono definiti “equiparati” ad essi o, pur dipendenti, deceduti o resi invalidi per cause riconducibili al contesto di “missione” e al concetto di “riconosciuta causa di servizio”.

I termini e le modalità per la concessione dei benefici sono stabiliti dal regolamento di esecuzione, previsto dal comma 565, emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2006, n. 243. Tale provvedimento, oltre a definire in dettaglio la procedura per la presentazione delle istanze di richiesta, per il loro esame e per la corresponsione dei benefici, chiarisce alcuni aspetti dell’ambito di applicazione delle norme sopracitate. In particolare, viene chiarito che per “missioni di qualunque natura”, si intendono “le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente”. Per “particolari condizioni ambientali od operative”, si intendono “le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

 

Il comma 2, attraverso l’interpretazione autentica dell’articolo 2, lettera b), della legge-delega 51 del 1955, è volto ad escluderne l’applicazione non soltanto, come da essa espressamente previsto, per il “lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili”, ma anche per il lavoro a bordo del naviglio di Stato, fatto salvo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno eventualmente subito

In relazione a ciò, la norma prevede che le disposizioni penali di cui al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, attuativo della richiamata legge n.51 del 1955, non trovino applicazione, per il periodo di loro vigenza (vedi infra), ai fatti che hanno cagionato morti o lesioni avvenuti a bordo dei mezzi del naviglio di Stato derivanti dal contatto con l'amianto.

In ogni caso, i provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie eventualmente intraprese in ogni sede, dai soggetti danneggiati o dai loro eredi, per l’accertamento della responsabilità civile contrattuale o extracontrattualederivante dalle violazioni delle disposizioni del richiamato D.P.R. 303 del 1956.

Le modifiche apportate al Senato sono volte a meglio definire la norma di interpretazione autentica, al fine di circoscriverne la portata ai soli profili di rilevanza penale. A tal fine è stato innanzitutto espressamente previsto che resta in ogni caso fermo il diritto al risarcimento del danno del lavoratore. Inoltre, con riferimento alle disposizioni le quali, nel prevedere che i provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie, è stato precisato come queste ultime abbiano ad oggetto l’accertamento della responsabilità civile contrattuale o extracontrattuale derivante dalla violazione delle disposizioni di cui al suddetto DPR n.303 del 1956.

 

Si fa presente che il comma 1, nel disporre l’incremento dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 562, della legge n.266 del 2005, non ne vincola l’impiego alle finalità indicate al comma 2.

 

La L. 12 febbraio 1955, n.51[5], dispone l’emanazione di norme generali e speciali per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per l'igiene del lavoro. Restano esclusi da tale disciplina:

§       i servizi ed impianti gestiti dalle Ferrovie dello Stato; i servizi ed impianti gestiti dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni; l'esercizio dei trasporti terrestri pubblici; l'esercizio della navigazione marittima, aerea ed interna; l'esercizio delle miniere, cave e torbiere, per quanto attiene alla prevenzione contro gli infortuni (articolo 2, primo comma, lettera a));

§       il lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili; l'esercizio di miniere, cave e torbiere, per quanto attiene alla materia di igiene del lavoro (articolo 2, primo comma, lettera b)).

 

Da ultimo, con il D.Lgs. 81/2008 è stato approvato il testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

In particolare, l’articolo 3, comma 2, nel definire l’ambito applicativo della nuova disciplina, ha stabilito che “nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dei servizi di protezione civile, nonché nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle università, degli istituti di istruzione universitaria, delle istituzioni dell'alta formazione artistica e coreutica, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, degli uffici all’estero di cui all’ articolo 30 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attività condotte dalle Forze armate, compresa l’Arma dei Carabinieri, nonché dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei Vigili del fuoco, nonché dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale, individuate entro e non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati, ai sensi dell’ articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro, della salute e delle politiche sociali e per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nonché, relativamente agli schemi di decreti di interesse delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri ed il Corpo della Guardia di finanza, gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare”

 

Inoltre, l’articolo 304 del D.Lgs. 81/2008 ha abrogato i decreti legislativi attuativi della delega di cui alla L. 51/1955[6] (la quale sembra pertanto aver esaurito i suoi effetti), tra i quali rientra anche il richiamato D.P.R. 303/1956 (ad eccezione dell’articolo 64 recante disposizioni in materia di ispezioni).

 


Art. 31
(Conciliazione e arbitrato)

1. L'articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 410. – (Tentativo di conciliazione). – Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.    

      La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.    

      Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.    

      Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori. 

  La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.    

      La richiesta deve precisare:    

          1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;    

          2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;    

          3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;    

          4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.    

      Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.

    La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave». 

1. Identico.

  2. Il tentativo di conciliazione di cui all'articolo 80, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è obbligatorio.

2. Identico.

3. L'articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 411. – (Processo verbale di conciliazione). – Se la conciliazione esperita ai sensi dell'articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.    

      Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.    

      Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto». 

3. Identico.

4. All'articolo 420, primo comma, del codice di procedura civile, le parole: «e tenta la conciliazione della lite» sono sostituite dalle seguenti: «, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva» e le parole: «senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione» sono sostituite dalle seguenti: «o il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio».

4. Identico.

  5. L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412. – (Risoluzione arbitrale della controversia). – In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.    

      Nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:    

          1) il termine per l'emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato;    

          2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento e dei princìpi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.    

      Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all'articolo 1372 e all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile.

     Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell'articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto».    

5. Identico.

6. L'articolo 412-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412-ter. – (Altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva). – La conciliazione e l'arbitrato, nelle materie di cui all'articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative».

6. Identico.

7. All'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, le parole: «ai sensi degli articoli 185, 410 e 411» sono sostituite dalle seguenti: «ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater».

7. Identico.

8. L'articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412-quater. – (Altre modalità di conciliazione e arbitrato). – Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all'articolo 409 possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti.    

      Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.

La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all'altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell'arbitro di parte e indicare l'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda. Il ricorso deve contenere il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento e dei princìpi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.    

      Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l'altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Se la parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.    

      In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova.    

Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.    

      Il collegio fissa il giorno dell'udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima.    

      All'udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, si applicano le disposizioni dell'articolo 411, commi primo e terzo.    

      Se la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assumere le prove, altrimenti invita all'immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, l'assunzione delle stesse e la discussione orale.    

      La controversia è decisa, entro venti giorni dall'udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del codice civile. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell'articolo 808-ter, decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.    

  Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato nel ricorso ed è versato dalle parti, per metà ciascuna, presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell'udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l'arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell'arbitro di parte, queste ultime nella misura dell'1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.    

      I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte». 

8. Identico.

9. Le disposizioni degli articoli 410, 412, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile si applicano anche alle controversie di cui all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Gli articoli 65 e 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono abrogati.

9. Le disposizioni degli articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile si applicano anche alle controversie di cui all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Gli articoli 65 e 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono abrogati.

10. In relazione alle materie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui all'articolo 808 del codice di procedura civile che rinviano alle modalità di espletamento dell'arbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater del codice di procedura civile, solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La clausola compromissoria, a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni. Le commissioni di certificazione accertano la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie insorte in relazione al rapporto di lavoro. La clausola compromissoria non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, in tutti gli altri casi. La clausola compromissoria non può riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro. Davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell'organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato.

10. In relazione alle materie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui all'articolo 808 del codice di procedura civile che rinviano alle modalità di espletamento dell'arbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater del codice di procedura civile, solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La clausola compromissoria, a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni. Le commissioni di certificazione accertano, all'atto della sottoscrizione della clausola compromissoria, la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro. La clausola compromissoria non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, in tutti gli altri casi. La clausola compromissoria non può riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro. Davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresen­tante dell'organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato.

11. In assenza degli accordi interconfederali o contratti collettivi di cui al primo periodo del comma 10, trascorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappre­sentative, al fine di promuovere l'accordo. In caso di mancata stipulazione dell'accor­do di cui al periodo precedente, entro i sei mesi successivi alla data di convocazione, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto tra le parti sociali, individua in via sperimentale, fatta salva la possibilità di integrazioni e deroghe derivanti da eventuali successivi accordi interconfe­derali o contratti collettivi, le modalità di attuazione e di piena operatività delle disposizioni di cui al comma 10.

11. Identico.

12. Gli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, possono istituire camere arbitrali per la definizione, ai sensi dell'articolo 808-ter del codice di procedura civile, delle controversie nelle materie di cui all'articolo 409 del medesimo codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Le commissioni di cui al citato articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni, possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di camere arbitrali unitarie. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 412, commi terzo e quarto, del codice di procedura civile.

12. Identico.

13. Presso le sedi di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, può altresì essere esperito il tentativo di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile.

13. Identico.

14. All'articolo 82 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole: «di cui all'articolo 76, comma 1, lettera a),» sono sostituite dalle seguenti: «di cui all'articolo 76»;

b) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«1-bis. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure previste dal capo I del presente titolo».

14. Identico.

15. Il comma 2 dell'articolo 83 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è abrogato.

15. Identico.

16. Gli articoli 410-bis e 412-bis del codice di procedura civile sono abrogati.

16. Identico.

17. All'articolo 79 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

  «Gli effetti dell'accertamento dell'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l'attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggeri­te dalla commissione adita».

17. Identico.

18. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

18. Identico.

 

 

L'articolo 31, modificato al Senato, ridisegna la sezione del codice di procedura civile recante le disposizioni generali in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (articoli da 409 a 412-quater).

In estrema sintesi, la disposizione trasforma il tentativo di conciliazione, attualmente obbligatorio, in una fase meramente eventuale, introduce una pluralità di mezzi di composizione delle controversie di lavoro alternativi al ricorso al giudice e rafforza le competenze delle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro di cui all'art. 76 del decreto legislativo 276/2003 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30).

Le modifiche apportate dal Senato incidono esclusivamente sul comma 9, relativo alle disposizioni applicabili alle controversie in materia di lavoro pubblico, e sul comma 10, che definisce i limiti alla pattuizione di clausole compromissorie nelle controversie individuali di lavoro.

Il Senato non ha modificato gli altri commi dell’articolo 31, approvati quindi nel testo trasmesso dalla Camera a seguito dell’esame successivo al rinvio del disegno di legge da parte del Presidente della Repubblica.

 

Il comma 1, non modificato dal Senato, sostituisce integralmente l’art. 410 c.p.c. relativo al tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro.

Due sono le novità di maggior rilievo:

·         rispetto alla vigente obbligatorietà, è prevista la “facoltatività” del tentativo di conciliazione (si torna cosi alla previsione anteriore alla riforma del D.Lgs 80 del 1998);

·         è uniformato il sistema di conciliazione nelle controversie di lavoro, indipendentemente dal fatto che attengano al settore pubblico o a quello privato.

 

Con riferimento a tale ultimo aspetto, il comma 9 estende alle controversie nel lavoro pubblico la disciplina del tentativo facoltativo di conciliazione (art. 410), della risoluzione arbitrale della controversia (art. 412), della conciliazione e dell’arbitrato sindacale (art. 412-ter) della conciliazione e arbitrato innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale (art. 412-quater), nonché, a seguito di modifica introdotta dal Senato, la nuova disciplina del processo verbale di conciliazione (art. 411 c.p.c., novellato dal comma 3). La stessa disposizione conferma la facoltatività del tentativo di conciliazione anche per tali categorie di controversie, attraverso l’abrogazione delle corrispondenti norme sul tentativo obbligatorio di conciliazione nel settore pubblico, attualmente previsto come condizione di procedibilità (artt. 65 e 66 del D.Lgs n. 165 del 2001).

 

In relazione invece al profilo della natura facoltativa del tentativo di conciliazione:

§         il comma 2, non modificato dal Senato, conferma che il solo tentativo obbligatorio di conciliazione (a parte quello “giudiziale” di cui all’art. 420, primo comma) rimane quello di cui all’art. 80, comma, 4 del D.Lgs 276/2003[7], in caso di ricorso giurisdizionale avverso la certificazione.

§         il comma 16 dispone l’abrogazione dell'art. 412-bis c.p.c. (che attualmente prevede l'improcedibilità della domanda in caso di mancato espletamento del tentativo di conciliazione) e dell’art. 410-bis c.p.c. (che stabilisce i termini per l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione).

 

Il testo novellato dal comma 1 dell’articolo 410 c.p.c., non modificato dal Senato, interviene sulla composizione delle commissioni di conciliazione (istituite presso le direzioni provinciali del lavoro) e disciplina il tentativo di conciliazione.

 

La commissione è composta da 10 membri: un presidente (il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro ovvero un suo delegato o un magistrato a riposo), più 4 rappresentanti dei datori di lavoro e 4 rappresentanti dei lavoratori (per entrambe le categorie è previsto pari numero di membri supplenti) designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale (il testo vigente richiede la rappresentatività su base nazionale). La commissione può affidare il tentativo di conciliazione a sottocommissioni che ne rispecchino la composizione.

La nuova disciplina del tentativo di conciliazione appare ispirata alla ratio di far sì che il giorno della comparizione delle parti i soggetti coinvolti nella procedura abbiano a disposizione tutte le informazioni necessarie ad assumere le rispettive decisioni. La richiesta di conciliazione (da consegnare o spedire con raccomandata A/R alla commissione e alla controparte) deve prevedere, oltre ai dati dell’istante e del convenuto, il luogo ove è sorto il rapporto di lavoro o si trova l’azienda alla quale era addetto il lavoratore al momento della fine del rapporto; il luogo scelto per la ricezione delle comunicazioni inerenti alla procedura; l'esposizione dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa).

Per quel che riguarda l’attività della controparte, il nuovo art. 410 prevede che, entro venti giorni dal ricevimento della richiesta di conciliazione, questa - ove intenda accettare la procedura di conciliazione -deposita presso la commissione di conciliazione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto e le eventuali domande in via riconvenzionale. All’inutile spirare di tale termine entrambe le parti possano rivolgersi direttamente al giudice ordinario.

Nei dieci giorni successivi al deposito della memoria difensiva, la commissione di conciliazione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, da espletare nei successivi 30 giorni (art. 410, settimo comma).

Presso la commissione, il lavoratore può farsi assistere dall’organizzazione sindacale cui conferisce mandato.

L’ultimo comma dell'art. 410 c.p.c., prevede l’esclusione della responsabilità, salvi i casi di dolo o colpa grave, nel caso di conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la P.A. anche in sede giudiziale.

 

Il comma 3, non modificato dal Senato, sostituisce integralmente l'art. 411 c.p.c. relativo al processo verbale di conciliazione.

 

Attualmente il codice di procedura civile dedica due articoli al verbale di conciliazione (l’art. 411, per il caso in cui l’accordo vada a buon fine, e l’art. 412 per il caso negativo) il cui contenuto è accorpato nel nuovo art. 411.

La nuova disposizione è formata da tre commi.

Il primo comma prevede che se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa, è redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione che il giudice, su istanza della parte interessata, dichiara esecutivo con decreto (rispetto al testo attualmente in vigore, viene meno sia il riferimento all'accertamento della regolarità formale del verbale di conciliazione da parte del giudice in sede di dichiarazione di esecutività dello stesso, sia la previsione del potere-dovere del presidente della commissione di certificare l'autografia della sottoscrizione delle parti).

Il secondo comma prevede che se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione formula una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se tale proposta non è accettata, i relativi termini sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti; il giudice, a proposta non accettata, deve tener conto, in sede di giudizio, della carente motivazione del rifiuto a conciliare della parte.

Ai sensi del terzo comma, nel caso di tentativo di conciliazione ad istanza di parte (che, si ripete, non sarebbe più obbligatorio ma facoltativo), i verbali e le memorie ad esso relative devono essere allegati al ricorso al giudice del lavoro (non è prevista una sanzione per il caso di mancata allegazione). Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all'art. 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di una associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

 

Il comma 4 dell’art. 31, non modificato dal Senato, novella la disciplina dell’ulteriore tentativo di conciliazione in sede giudiziale di cui all’art. 420 del codice di rito civile, proponendo una nuova formulazione del primo comma.

 

La nuova norma affida al giudice compiti più penetranti in sede di tentativo, prevedendo che debba formulare alle parti una proposta transattiva; il giudice dovrà poi valutare, ai fini del giudizio, non soltanto la mancata comparizione personale delle parti ma anche il rifiuto della transazione proposta “in assenza di giustificato motivo”

 

I commi ulteriori dell’art. 31 prevedono ulteriori mezzi di composizione delle controversie alternativi al ricorso al giudice

 

Il comma 5, non modificato dal Senato,disciplina l'arbitrato presso la commissione di conciliazione sostituendo integralmente l'art. 412 c.p.c. (il cui testo attuale, come detto, riguarda il verbale di mancata conciliazione).

Il primo comma del nuovo art. 412 (Risoluzione arbitrale della controversia), prevede che, in qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla stessa commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.

Il secondo comma stabilisce che, nel conferire il mandato arbitrale, le parti devono indicare:

1) il termine per l’emanazione del lodo (massimo 60 giorni dal conferimento del mandato), spirato il quale l’incarico si intende revocato;

2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle proprie pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

 

Con riferimento ala richiesta di decidere secondo equità, il riferimento al rispetto dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari, era stato inserito nel corso dell’esame alla Camera.

Sul punto, si ricorda che nella parte del messaggio del Presidente della Repubblica specificamente riferita alla pattuizione di clausole compromissorie ai sensi del comma 9 (cfr. infra), si osservava che “ulteriori motivi di perplessità discendono dalla circostanza che, ai sensi della nuova formulazione dell'articolo 412 del codice di procedura civile contenuta nel comma 5 dell'articolo 31 (disposizione espressamente richiamata dal comma 9 dello stesso articolo) la clausola compromissoria può ricomprendere anche la «richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento». Come è noto, nell'arbitrato di equità la controversia può essere risolta in deroga alle disposizioni di legge: si incide in tal modo sulla stessa disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile anche al livello del rapporto individuale. Né può costituire garanzia sufficiente il generico richiamo del rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, che non appare come tale idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti indisponibili, al di là di quelli costituzionalmente garantiti; e comunque un aspetto così delicato non può essere affidato a contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, suscettibili di alimentare contenziosi che la legge si propone invece di evitare. Perplessità ulteriori suscita la estensione della possibilità di ricorrere a tale tipo di arbitrato anche in materia di pubblico impiego: in tal caso è particolarmente evidente la necessità di chiarire se ed a quali norme si possa derogare senza ledere i princìpi di buon andamento, trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa sanciti dall'articolo 97 della Costituzione. Del resto un arbitrato di equità può svolgere un ruolo apprezzabile ed utile solo a patto di muoversi all'interno di uno spazio significativo ma circoscritto in limiti certi e condivisi. In sostanza l'obiettivo che si intende perseguire è quello di una incisiva modifica della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, che si è finora prevalentemente basata su normative inderogabili o comunque disponibili esclusivamente in sede di contrattazione collettiva. E in effetti l'esigenza di una maggiore flessibilità risponde a sollecitazioni da tempo provenienti dal mondo dell'imprenditoria, alle quali le organizzazioni sindacali hanno mostrato responsabile attenzione guardando anche alla competitività del sistema produttivo nel mercato globale. Si tratta pertanto di un intendimento riformatore certamente percorribile, ma che deve essere esplicitato e precisato, non potendo essere semplicemente presupposto o affidato in misura largamente prevalente a meccanismi di conciliazione e risoluzione equitativa delle controversie, assecondando una discutibile linea di intervento legislativo - basato sugli istituti processuali piuttosto e prima che su quelli sostanziali - di cui l'esperienza applicativa mostra tutti i limiti”.

 

Ai sensi del terzo comma del nuovo art. 412, il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri ed autenticato, produce fra le parti gli effetti del contratto di cui agli artt. 1372 c.c. nonché quelli derogatori previsti dall’art. 2113, quarto comma, c.c..

L'art. 1372 c.c. stabilisce che il contratto ha forza di legge tra le parti, che esso non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e che il contratto non produce effetti nei confronti dei terzi che nei casi previsti dalla legge; l'art. 2113, quarto comma, c.c. sottrae la conciliazione avvenuta in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione alla generale previsione di invalidità delle rinunzie e della transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c..

L’efficacia di titolo esecutivo del lodo è disciplinata dal quarto comma, nel testo approvato dalla Camera e non modificato dal Senato. Tale disposizione prevede che lo svolgimento della procedura per conferire efficacia al lodo è subordinato alla dichiarazione per iscritto delle parti di accettare la decisione arbitrale o all'inutile decorso dei termini per impugnare il lodo (ai fini dell'annullamento del lodo) ovvero alla reiezione del ricorso.

Il medesimo quarto comma disciplina l’impugnabilità del lodo, rinviando all’art. 808-ter c.p.c., dedicato all'arbitrato irrituale, e delinea la procedura applicabile; in particolare, la decisione sulla validità del lodo è rimessa, in unico grado, al tribunale in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato.

 

I commi 6 e 8 dell’art. 31, non modificati dal Senato, individuano ulteriori modalità di conciliazione e arbitrato aggiungendo - a quella già prevista in sede sindacale dall’art. 412-ter - una possibilità di accordo da raggiungere, ai sensi del nuovo art. 412-quater, davanti ad una speciale commissione di conciliazione e arbitrato irrituale. Il comma 7 novella l’articolo 2113 c.c., con finalità di coordinamento con le novelle di cui ai commi 6 e 8.

 

Nello specifico, il comma 6 sostituisce integralmente l'art. 412-ter c.p.c. (che attualmente disciplina l’arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi) con una nuova disposizione rubricata: “Altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva”, prevedendo la cd. conciliazione e l'arbitrato sindacale di controversie di lavoro, ossia conciliazioni e arbitrati che possono essere svolti presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

 

Il comma 8, non modificato al Senato, sostituisce integralmente l'art. 412-quater c.p.c. (attualmente relativo all’impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale), prevedendo - rispetto alla disciplina codicistica vigente - un’ulteriore possibilità di conciliazione e arbitrato irrituale. Il tentativo di accordo potrà, infatti, avvenire davanti ad apposito collegio composto da tre membri: un rappresentante di ciascuna delle parti e un terzo membro (presidente) scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati patrocinanti in cassazione.

 

Per quanto riguarda la procedura, la parte che intenda ricorrere al Collegio notifica all’altra parte un ricorso che, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, deve essere sottoscritto personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia dato mandato e presso cui deve eleggere domicilio.

Il ricorso al collegio di conciliazione e arbitratoha come contenuto necessario:

- la nomina dell’arbitro di parte;

- l'indicazione dell’oggetto della domanda;

- l'indicazione delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda;

- i mezzi di prova;

- il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda;

- il riferimento alle norme invocate a sostegno della pretesa e l’eventuale richiesta di decisione secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina un proprio arbitro di parte, che entro 30 giorni dalla data della notifica del ricorso procede concordemente con l’altro arbitro (in quanto possibile) alla scelta del Presidente e della sede del collegio.

In base al quarto comma dell’art. 412-quater c.p.c., ove ciò non avvenga, la sola parte che ha presentato il ricorso può adire il giudice (individuato nel presidente del tribunale del circondario in cui ha sede l’arbitrato) ai fini della nomina del presidente del collegio.

Nell’ipotesi in cui non sia stata ancora individuata la sede, la disposizione prevede che il ricorso vada presentato al presidente del tribunale del luogo dove è sorto il rapporto di lavoro ovvero del luogo ove si trovi l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso il quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

I commi quinto, sesto e settimo dell’art. 412-quater prevedono, inoltre, che:

- se il presidente del collegio e la sede dell’arbitrato sono frutto di scelta concorde, la parte convenuta entro 30 giorni da tale scelta deposita presso la sede del Collegio una memoria difensiva sottoscritta (salvo che si tratti di una P.A.), da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio;

- entro 10 giorni dalla data di deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del Collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso; nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del Collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva;

il Collegio fissa il giorno dell’udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti nel domicilio eletto almeno 10 giorni prima.

In base all’ottavo comma, all’udienza il Collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, in virtù del rinvio all’applicazione delle disposizioni dell’art. 411, primo e terzo comma, c.p.c., viene redatto separato processo verbale firmato dalle parti e dai tre membri del collegio arbitrale; il verbale viene depositato presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto e su istanza della parte interessata il tribunale lo dichiara esecutivo con decreto.

In base al nono comma dell’art. 412-quater, se la conciliazione non ha successo, all’udienza il Collegio arbitrale provvede, se necessario, ad interrogare le parti e ad assumere le prove, invitando - in caso contrario - alla immediata discussione orale; se l’escussione probatoria è ritenuta necessaria, rinvia ad altra udienza, a non più di 10 giorni dalla prima, per l’assunzione delle prove stesse e la discussione orale.

Il Collegio deve decidere sulla controversia oggetto dell’arbitrato, mediante un lodo, entro 20 giorni dall’udienza di discussione (decimo comma).

Come nel caso di arbitrato davanti alla commissione di conciliazione (v. art. 412, comma 3), il lodo produce gli effetti di cui agli artt. 1372 e 2113, quarto comma, c.c. ed è impugnabile ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c.

Un’apposita disposizione dell’art. 412-quater è dedicata alla disciplina dei compensi in favore dei membri del Collegio di conciliazione e arbitrato (undicesimo comma).

Al Presidente del Collegio spetta il 2% del valore della controversia e la somma è versata dalle parti (per metà ciascuna) con assegni circolari intestati al Presidente stesso presso la sede del Collegio almeno cinque giorni prima dell’udienza. Gli altri due arbitri sono ricompensati, nella misura dell’1% del suddetto valore della controversia, dalla parte che li ha nominati. Le spese legali e quelle per il compenso del Presidente e dell’arbitro di parte sono liquidate nel lodo ai sensi degli artt. 91, primo comma, e 92 c.p.c..

L’ultimo comma del nuovo articolo 412-quater prevede la possibilità che i contratti collettivi nazionali di categoria istituiscano un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per i compensi al presidente del collegio e al proprio arbitro di parte.

 

Il comma 10, modificato dal Senato, riguarda i limiti alla pattuizione di clausole compromissorie nelle controversie individuali di lavoro di cui all’art. 409.

Attraverso tali clausole, le parti possono rinviare alle modalità di esecuzione dell’arbitrato di cui agli illustrati artt. 412 (presso la commissione di conciliazione) e 412-quater (presso il collegio di conciliazione e arbitrato irrituale) a condizione che:

-       ciò sia previsto da accordi interconfederali e contratti collettivi di lavoro stipulati dalle maggiori organizzazioni nazionali dei lavoratori e dei datori di lavoro (nel caso in cui manchino tali accordi, cfr. comma 11);

-       la clausola compromissoria sia stata certificata da una commissione di certificazione dei contratti di lavoro di cui all'art. 76 del già ricordato decreto legislativo n. 276 del 2003[8]. A seguito delle modifiche apportate dal Senato, l’oggetto dell’accertamento è individuato nell’effettiva volontà delle parti di devolvere agli arbitri le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro (il testo approvato dalla Camera, invece, faceva riferimento alle controversie “insorte in relazione al rapporto di lavoro”) e viene precisato anche che tale accertamento deve avvenire all’atto della sottoscrizione della clausola compromissoria.

 

Il testo del Senato ha mantenuto le previsioni inserite dalla Camera, relative:

-       alla possibilità per le parti di farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato.

-       al divieto di pattuire e sottoscrivere la clausola compromissoria prima della conclusione del periodo di prova oppure - qualora quest'ultimo non sia previsto – prima che siano decorsi trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro;

-       al limite secondo cui la clausola compromissoria non può riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro.

 

In base al comma 11, non modificato dal Senato, in assenza degli accordi interconfederali e contratti collettivi summenzionati sulle clausole compromissorie, decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, al fine di promuovere l’accordo. In caso di esito negativo, entro i sei mesi successivi alla data di convocazione, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto tra le parti sociali, individua in via sperimentale (fatta salva la possibilità di integrazioni e deroghe, derivanti da eventuali successivi accordi interconfederali o contratti collettivi) le modalità di attuazione e di piena operatività delle disposizioni in oggetto.

 

 

La disciplina delle clausole compromissorie (ex comma 9 dell’articolo 31) ha costituito specificamente oggetto del messaggio del Presidente della Repubblica

In esso si richiamava la giurisprudenza della Corte costituzionale (ripresa e sviluppata anche dalla Corte di cassazione) che ha costantemente affermato i princìpi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole.

Sulla base di tali indicazioni, si leggeva nel messaggio, “non può non destare serie perplessità la previsione del comma 9 dell'articolo 31, secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento della stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro. Del resto l'esigenza di verificare che la volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie sia «effettiva» risulta dalla stessa formulazione del comma 9, che affida tale accertamento agli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003. Garanzia che peraltro non appare sufficiente, perché tali organi - anche a prescindere dalle incertezze sull'ambito dei relativi poteri, che scontano più generali difficoltà di «acclimatamento» dell'istituto - non potrebbero che prendere atto della volontà dichiarata dal lavoratore, una volta che sia stata confermata in una fase che è pur sempre costitutiva del rapporto e nella quale permane pertanto una ovvia condizione di debolezza”. Nel messaggio quindi si evidenziava, quale ulteriore motivo di perplessità, il fatto che ”, ai sensi della nuova formulazione dell'articolo 412 del codice di procedura civile contenuta nel comma 5 dell'articolo 31 (disposizione espressamente richiamata dal comma 9 dello stesso articolo) la clausola compromissoria può ricomprendere anche la «richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento»” (sul punto cfr. sopra) e più in generale si osservava che “il problema che si pone è dunque quello di definire - nelle sedi dovute e in primo luogo nel Parlamento - in modo puntuale modalità, tempi e limiti che rendano il ricorso all'arbitrato - nell'ambito del rapporto di lavoro - coerente con la necessità di garantire l'effettiva volontarietà della clausola compromissoria e una adeguata tutela dei diritti più rilevanti del lavoratore (da quelli costituzionalmente garantiti agli altri che si ritengano ugualmente non negoziabili). Si tratta cioè di procedere ad adeguamenti normativi che vanno al di là della questione, pur rilevante, delle garanzie apprestate nei confronti del licenziamento dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. A quest'ultimo proposito lo scorso 11 marzo la maggior parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese si è impegnata a definire accordi interconfederali che escludano l'inserimento nella clausola compromissoria delle controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali si è a sua volta impegnato a conformarsi a tale orientamento negli atti di propria competenza. Ma pur apprezzando il significato e il valore di tali impegni, decisivo resta il tema di un attento equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale. Solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni perché possa considerarsi «effettiva» la volontà delle parti di ricorrere all'arbitrato; e solo esso può e deve stabilire quali siano i diritti del lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece demandare alla contrattazione collettiva. A quest'ultima, nei diversi livelli in cui si articola, può inoltre utilmente affidarsi la chiara individuazione di spazi di regolamentazione integrativa o in deroga per negoziazioni individuali adeguatamente assistite così come per la definizione equitativa delle controversie che insorgano in tali ambiti Si avvierebbe in tal modo un processo concertato, ed insieme ispirato ad un opportuno gradualismo, attraverso il quale ripristinare quella certezza del diritto che è condizione essenziale nella disciplina dei rapporti di lavoro per garantire una efficace tutela del contraente debole e una effettiva riduzione del contenzioso in un contesto generale di serena evoluzione delle relazioni sindacali”.

Il messaggio infine sottolineava che non sembra “coerente con i princìpi generali dell'ordinamento e con la stessa impostazione del comma 9 in esame, che consente di pattuire clausole compromissorie solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro, il prevedere un intervento suppletivo del Ministro - di cui tra l'altro non si stabilisce espressamente la natura regolamentare né si delimitano i contenuti - che dovrebbe consentire comunque, anche in assenza dei predetti accordi, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge tale possibilità, stabilendone le modalità di attuazione e di piena operatività: suscita infatti serie perplessità una così ampia delegificazione con modalità che non risultano in linea con le previsioni dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400”.

 

Il comma 12, non modificato dal Senato, estende ulteriormente le funzioni delle commissioni di certificazione (di cui all’art. 76 del D.Lgs 276/2003).

Esso in particolare prevede che tali commissione possano istituire camere arbitrali per la definizione delle controversie di lavoro mediante arbitrato irrituale. Le commissioni di certificazione possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di camere arbitrali comuni. Il comma 12 rinvia poi, in quanto compatibile, all'art. 412, commi terzo e quarto, c.p.c. (relativo agli effetti del lodo arbitrale e al regime di impugnazione).

 

Il comma 13, non modificato dal Senato, prevede che le citate commissioni di certificazione possano essere anche sede di svolgimento del tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 410 c.p.c. (in alternativa quindi alla sede “ordinaria” costituita dalla commissione di conciliazione).

 

Il comma 14, non modificato dal Senato, apporta due modifiche all'art. 82 del D.Lgs. 276/2003, volte, rispettivamente, a stabilire l’idoneità di tutte le indicate sedi di certificazione di cui all’art. 76 del D.Lgs 276 del 2003 all’accertamento delle rinunzie e transazioni di cui all'art. 2113 c.c. e prevedere che questa nuova competenza sia esercitata con le procedure che il Capo I del Titolo VIII del decreto legislativo 276/2003 stabilisce in generale per l'attività di certificazione dei contratti di lavoro, laddove compatibili.

 

Il comma 15, non modificato dal Senato, abroga il comma 2 dell'art. 83 del D.Lgs. 276/2003, che attualmente circoscrive alle specifiche commissioni di certificazione istituite nell'ambito delle Direzioni provinciali del lavoro e delle province la procedura di certificazione del regolamento interno delle cooperative riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori, ai sensi dell'art. 6 della legge 142/2001. Pertanto, tale tipologia di certificazione potrà essere effettuata in tutte le sedi di certificazione previste dall’art. 76, comma 1, del D.Lgs. 276.

 

Come in precedenza accennato, il comma 16, non modificato dal Senato, per ragioni di coordinamento con il nuovo testo dell’articolo 410, abroga gli artt. 410-bis e 412-bis c.p.c.

 

Il comma 17 dell’art. 31, non modificato dal Senato, aggiunge un comma all’articolo 79 del D.Lgs. n. 276 del 2003, in materia di efficacia giuridica della certificazione.

 

Ai sensi della nuova disposizione, gli effetti dell'accertamento dell'organo preposto alla certificazione del contratto si producono: nel caso di contratti in corso di esecuzione, dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l'attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede; in caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto dal momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita.

 

Il comma 18 contiene, infine, la clausola di invarianza finanziaria.

 


Art. 32
(Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato)

1. Il primo e il secondo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, sono sostituiti dai seguenti:

1. Identico:

«Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. 

«Identico.

L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo».

L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo».

2. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità e di inefficacia del licenziamento.

2. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento.

3. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre:

3. Identico.

a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

 

b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuati­va, anche nella modalità a progetto, di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile;

c) al trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento;

d) all'azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo.

 

4. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche:

a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine;

b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;

 c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento;

d) in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

4. Identico.

5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

5. Identico.

6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell'indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.

6. Identico.

7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 421 del codice di procedura civile.

7. Identico.

 

 

L’articolo 32 reca disposizioni relative alle modalità e ai termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali (commi 1-4)e sui criteri di determinazione della misura del risarcimento nei casiin cui è prevista la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato(commi 5-7).

 

La vigente disciplina dei licenziamenti individuali[9] è differenziata in ragione della “soglia dimensionale” del datore di lavoro, secondo una articolazione di ipotesi che, peraltro, rispetto ai testi originari delle leggi in materia (L. 15 luglio 1966, n. 604; articolo 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300), è stata semplificata dalla L. 11 maggio 1990, n. 108.

A parte le situazioni, ormai residuali, in cui permane il regime di libera recedibilità (c.d. recesso ad nutum), originariamente previsto per tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato dall'articolo 2118 del codice civile, la disciplina vigente, nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, distingue un'area nella quale si applica la c.d. "tutela reale" del lavoratore, prevista dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ed un'area nella quale si applica invece la c.d. "tutela obbligatoria", di cui all'articolo 8 della L. 604/1966. Nel primo caso, il datore di lavoro ha l'obbligo di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, salvo che questi non preferisca farsi liquidare una indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro; nel secondo, spetta al datore di lavoro la scelta tra la riassunzione del lavoratore e la corresponsione di una indennità pecuniaria.

L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come accennato, prevede la "tutela reale", che comporta la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro. Tale forma di tutela si applica nei confronti dei datori di lavoro (imprenditori e non imprenditori) che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento. La medesima forma di tutela si applica altresì nei confronti dei datori di lavoro che nell'ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze più di 60 lavoratori.

Si ricorda che la normativa vigente, a parte il caso del licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, prevede la “tutela reale” (e quindi la reintegrazione), indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, allorché il giudice abbia:

-        dichiarato inefficace il licenziamento per mancanza della forma scritta o della comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi del licenziamento stesso (articolo 2 della legge n. 604/1966);

-        ovvero dichiarato la nullità del licenziamento discriminatorio, in quanto determinato (a prescindere dalla motivazione addotta) da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, ovvero da ragioni di discriminazione razziale, di lingua o di sesso (articolo 4 della legge n. 604/1966 e articolo 15 della legge n. 300/1970).

Con la stessa sentenza con cui il giudice dispone la reintegrazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1 (che, ai sensi dell'articolo 18, comma 6, è provvisoriamente esecutiva) il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo. Il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 4).

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno quantificato come sopra, al prestatore di lavoro è riconosciuta la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5).

Al di fuori del campo di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e quindi essenzialmente per le imprese fino a 15 dipendenti, si applica invece la “tutela obbligatoria” di cui all'articolo 8 della legge n. 604/1966. Tale articolo dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".

A prescindere dalle diverse opinioni prospettate in dottrina ed in giurisprudenza circa la configurazione, dal punto di vista teorico, del rapporto tra le due obbligazioni (riassunzione e risarcimento del danno)[10], è certo che la norma di cui sopra non consente al lavoratore di ottenere, senza il concorso della volontà del datore di lavoro, il ripristino della precedente posizione lavorativa. Per altro verso, il risarcimento previsto nel caso di mancata riassunzione (che deve intendersi comunque dovuto anche quando sia il lavoratore a non voler ripristinare il rapporto, per effetto della sentenza interpretativa di rigetto n. 194 del 28 dicembre 1970 della Corte costituzionale) è comunque inferiore a quello previsto dall'articolo 18 della legge n. 300/1970.

Sussistono poi opinioni diversificate anche in ordine alla questione se la riassunzione dia luogo ad un nuovo rapporto di lavoro (come sembra ritenere l'opinione prevalente), ovvero costituisca la prosecuzione o la rinnovata attuazione del precedente rapporto, questione la cui soluzione ha naturalmente conseguenze significative per vari profili (spettanza di ulteriori erogazioni per i periodi intermedi, anzianità aziendale, trattamento di fine rapporto).

 

Il comma 1, nel sostituire i commi 1 e 2 dell’articolo 6, della L. 604/1966, prevede che l’impugnazione dellicenziamento con qualsiasi atto scritto (anche extragiudiziale, purché idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale) è inefficace se entro i successivi 270 giorni(nel testo approvato dalla Camera il termine era di 180 giorni) il ricorso non è depositato nella cancelleria del tribunale competente o non viene data comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Inoltre, con la modifica intervenuta al Senatoviene fatta espressamente la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso.

Infine, qualora la conciliazione o l’arbitrato non vadano a buon fine, il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dal rifiuto o mancato accordo[11].

 

Il comma 2, modificato dal Senato, disponeche la nuova disciplina sull’impugnazione dei licenziamenti trovi applicazione in tutti i casi di invalidità del licenziamento. Al riguardo si fa presenteche il testo approvato precedentemente dalla Camera prevedeva che i termini previsti al comma 1 per l’impugnazione del licenziamento si applicassero non solo ai casi di invalidità, ma anche a quelli di inefficacia del licenziamento.

Merita ricordare che l’inefficacia costituisce la sanzione applicata al licenziamento intimato per difetto di forma scritta, a cui seguono le conseguenze riconducibili al regime speciale dell’articolo 18 della legge 300/1970 (tutela reale) - che unifica il trattamento sanzionatorio dei licenziamenti affetti da qualsiasi tipo di vizio -  o a quello di diritto comune per gli altri datori di lavoro (tutela obbligatoria, con la condanna all’obbligo della riassunzione o, in alternativa, al pagamento di un’indennità risarcitoria). In tale ultima ipotesi, non essendo rinvenibile nell’ordinamento alcuna disposizione specifica applicabile al licenziamento inefficace per difetto di forma, dottrina e giurisprudenza ipotizzano l’assoggettabilità della fattispecie al regime di nullità di diritto comune.

Anche il problema del licenziamento formalmente viziato e del relativo termine di impugnazione è stato ampiamente dibattuto in dottrina e giurisprudenza. L’articolo 6 della legge n.604 del 1966 non dice infatti se il termine ivi previsto riguardi i licenziamenti affetti da qualsiasi vizio. L’indirizzo prevalente tende tuttavia a ritenere che in caso di licenziamento irrituale (e, quindi, inefficace), l’onere di impugnativa entro il termine previsto dall’articolo 6 non trovi applicazione e valga, pertanto, il termine di prescrizione quinquennale.

 

I commi 3 e 4 precisano che i termini previsti dal comma 1 per l’impugnazione del licenziamento si applicano anche:

a)    ai licenziamenti che presuppongano la risoluzione di questioni attinenti alla qualificazione del rapporto lavorativo ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

b)    al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto;

La collaborazione coordinata e continuativa si configura come un rapporto di lavoro nel quale il collaboratore si impegna a compiere un’opera od un servizio, in via continuativa, a favore del committente, ed in coordinamento con il committente stesso, senza che però si crei un vero e proprio vincolo di subordinazione.

Il D.Lgs. 276/2003[12] ha introdotto una specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (lavoro a progetto), finalizzata a superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

A tal fine si stabilisce (articolo 61), creando in questo modo la nuova figura del lavoratore a progetto, l’obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali, cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5 mila euro. Sono escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi.

Il contratto di lavoro a progetto deve essere redatto in forma scritta ad probationem, deve contenere, tra gli altri, l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e del progetto, o programma, di lavoro o delle fasi di esso, nonché il corrispettivo e le relative modalità di pagamento e le forme di coordinamento del lavoratore, che in ogni caso non devono essere tali da pregiudicare l’autonomia del collaboratore stesso. Lo stesso contratto, infine, deve prevedere forme di tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto (articolo 62).

Si prevede che, nel caso in cui i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, vengono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (articolo 69, comma 1).

Si consideri, infine, che la disciplina del lavoro a progetto non si applica al settore pubblico, poiché l’art. 1 del D.Lgs. 276/2003 dispone espressamente che la disciplina introdotta dal medesimo decreto non si applica alle amministrazioni pubbliche e al relativo personale.

c)     al trasferimento del lavoratore subordinato da un’unità produttiva ad un’altra.

Si ricorda che l’articolo 2103 c.c. stabilisce che il lavoratore dipendente non può essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e che ogni patto contrario è nullo.

d)    a tutte le tipologie di contratti di lavoro a tempo determinato.

e)    alla cessione del contratto di lavoro ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;

L’articolo 2112 c.c. stabilisce che, in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario, con il lavoratore che conserva tutti i diritti derivanti dall'anzianità di servizio raggiunta prima del trasferimento, nonché quelli previsti nel contratto individuale, con particolare riferimento ai diritti relativi all’inquadramento di categoria e retributivo. Le condizioni di lavoro determinate nel contratto collettivo applicato al momento della cessione vengono mantenute fino alla data della sua scadenza, a meno che il cessionario non applichi un altro contratto collettivo (che quindi prevale).

Il soggetto cedente è obbligato in solido con il cessionario per tutti i crediti che il dipendente vantava al momento del trasferimento; tuttavia il lavoratore può liberare il cedente da tali obbligazioni.

Nella norma del codice richiamata, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, ferma restando la facoltà del datore di lavoro di recedere dal rapporto secondo quanto previsto dalla disciplina sul licenziamento.

Il trasferimento d’azienda – disciplinato dall’articolo 2112 c.c.[13] e dall’articolo 47 della legge 428/1990[14] come modificato dall’articolo 1 del D.Lgs. 18/2001[15] – consiste nel trasferimento di un'entità economica, vista come un insieme organizzato di mezzi per lo svolgimento di una determinata attività, che mantiene la sua identità, sia pubblica sia privata, indipendentemente dal fatto che venga perseguito o meno un fine di lucro.

Il trasferimento può anche riguardare un ramo d’azienda, a condizione che l’attività ceduta sia idonea ad essere collocata utilmente sul mercato, costituendo un’entità economica suscettibile di essere oggetto di un'attività autonoma di impresa da parte dell’acquirente, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.

 

f)      in ogni altro caso in cui, compresa la somministrazione irregolare (art. 27 del d.lgs. n. 276 del 2003), si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

L’articolo 27 del D.lgs. 276/2003 prevede che quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni stabilite dalla legge, il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.

In tali casi, la norma prevede che tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, liberino il soggetto utilizzatore dal debito corrispondente nella misura della somma effettivamente pagata. Allo stesso modo, tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto utilizzatore.

Infine, la norma stabilisce che il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento, alla verifica delle ragioni che la giustificano e non può spingersi a sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all'utilizzatore.

 

I commi 5, 6 e 7 dettano norme, valevoli anche per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, volte a disciplinare il risarcimento del lavoratore nel caso in cui, a seguito della violazione delle norme relative al contratto di lavoro a tempo determinato, sia prevista la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato.

In particolare, si prevede l’obbligo per il datore di lavoro di risarcire il lavoratore con una indennità onnicomprensiva da 2,5 a 12 mensilità, ridotta alla metà nel caso di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati a termine nell’ambito di specifiche graduatorie.

Merita preliminarmente ricordare che una norma di contenuto analogo era stata introdotta dall’articolo 21 del D.L. 112/2008[16]. Tale disposizione aveva inserito l’articolo 4-bis del D.lgs. n. 368/2001[17], prevedendo che, con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, del D.lgs. n. 368/2001, il datore di lavoro fosse tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Tale disposizione è stata successivamente dichiarata incostituzionale con sentenza n. 214 del 2009, per violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. La Corte Costituzionale ha motivato la propria decisione sul fatto che “situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi) risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall'altro, erogazione di una modesta indennità economica), per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data (anch'essa sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore dell'art. 4-bis del D.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112)”.

 

Il contratto di lavoro a tempo determinato è disciplinato dal decreto legislativo n.368 del 2001.

L’articolo 1 consente l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni.

L'articolo 2 vieta l’apposizione del termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti; presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

L’articolo 4 prevede che il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.

L’articolo 5 prevede che se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi  ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

Il comma 4-bis dell’articolo 5, introdotto dall’articolo 40 della legge n.247 del 2007), prevede poi che, ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. In deroga a quanto disposto da dalla sopracitata disposizione, tuttavia, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.

Il comma 4-quater dell’articolo 5 dispone che lavoratore il quale, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha (fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.

 


Art. 50.
(Disposizioni in materia di collaborazioni coordinate e continuative)

1. Fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, il datore di lavoro che abbia offerto entro il 30 settembre 2008 la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi dell'articolo 1, commi 1202 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e che successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge abbia offerto anche l'assunzione a tempo indeterminato, è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

1. Fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, il datore di lavoro che abbia offerto entro il 30 settembre 2008 la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi dell'articolo 1, commi 1202 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché abbia, dopo la data di entrata in vigore della presente legge, ulteriormente offerto la conversione a tempo indeterminato del contratto in corso ovvero offerto l'assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro preceden­temente in essere, è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

 

 

L’articolo 50 reca norme di carattere transitorio sui rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

In particolare si introducono specifici criteri di determinazione della misura del risarcimento, per i casi di accertamento della natura subordinata di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa laddove il datore di lavoro abbia offerto la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato.

 

Gli articoli 61-69 del D.Lgs. 276/2003 hanno introdotto una specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (lavoro a progetto), applicabile al solo settore lavorativo privato, finalizzata a superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale, per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Con la nuova fattispecie del lavoro a progetto è stato previsto l’obbligo (articolo 61) di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali, cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5.000 euro (articolo 61, comma 2). Pertanto vengono fissati due criteri alternativi, uno correlato alla durata della prestazione nei confronti dello stesso committente, l’altro correlato all’ammontare del corrispettivo, che servono a distinguere le prestazioni meramente occasionali dalle collaborazioni coordinate e continuative vere e proprie, che vengono disciplinate dalle disposizioni sul lavoro a progetto.

Sono altresì escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi .

Nel caso in cui i richiamati rapporti siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, vengono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (articolo 69, comma 1).

La determinazione del progetto e di tutti gli elementi accessori è lasciata alla contrattazione. Il contratto, infatti, che deve essere redatto in forma scritta ad probationem, deve contenere, tra gli altri, l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e del progetto, o programma di lavoro o delle fasi di esso, nonché il corrispettivo e le relative modalità di pagamento e le forme di coordinamento del lavoratore, che in ogni caso non devono essere tali da pregiudicare l’autonomia del collaboratore stesso. Lo stesso contratto, infine, deve prevedere forme di tutela e di sicurezza della salute del collaboratore di progetto (articolo 62).

I contratti si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o fase di esso che ne costituisce l’oggetto. E’ comunque prevista la possibilità, per le parti contraenti, di recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero in seguito a quanto disposto nel contratto (articolo 67).

Il compenso è proporzionato (articolo 63) alla quantità e qualità del lavoro, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.

E’ stata prevista la possibilità, per il collaboratore a progetto, di svolgere l’attività nei riguardi di più committenti, anche se lo stesso non può svolgere attività concorrenziale nei confronti dei committenti stessi né può venire meno all’obbligo di riservatezza (articolo 64).

Lo stesso D.Lgs. 276 ha individuato (articoli 65 e 66) alcuni diritti del collaboratore a progetto.

In particolare (articolo 65), il collaboratore ha il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione eventualmente fatta nello svolgimento del rapporto. In ogni caso, i diritti e gli obblighi delle parti sono regolati da leggi speciali, comprese le disposizioni di cui all’articolo 12-bis della L. 633 del 1941.

Il successivo articolo 66 disciplina ulteriori diritti del collaboratore a progetto.

In particolare, si stabilisce che:

§         la gravidanza, malattia ed infortunio non comportano estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. In caso di gravidanza, inoltre, la durata del rapporto è prorogata di 180 giorni, salvo previsione contrattuale più favorevole;

§         in caso di infortunio o malattia, salva diversa previsione contrattuale, la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il contratto si intende comunque risolto se la sospensione si protrae per un periodo superiore ad un sesto della durata stabilita nel contratto, se determinata, ovvero superiore a 30 giorni per i contratti a durata determinabile;

§         infine, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del capo in esame si applicano specifiche norme, tra le quali si ricordano quelle sul processo del lavoro , quelle sulla tutela della maternità per le lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS, le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro, attualmente regolate dal recente D.Lgs. 81/2008 , nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e le norme di cui all’articolo 51, comma 1, della L. 488/1999 (finanziaria 2002) .

 

L’articolo in esame determina la misura del risarcimento nei casi in cui sia stata accertata la natura subordinata di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

Fatte salve le sentenze passate in giudicato, infatti, nei casi richiamati, il datore di lavoro, nel caso in cui abbia offerto, entro il 30 settembre 2008, la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi della disciplina transitoria sulla stabilizzazione dell'occupazione (di cui all'articolo 1, commi da 1202 a 1210, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 - legge finanziaria per il 2007), e che, successivamente all’entrata in vigore della legge, abbia offerto anche l’assunzione a tempo indeterminato,  è tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604[18].

Nel corso dell’esame al Senato il testo è stato integrato al fine di ampliare l’ambito applicativo della norma, stabilendo che essa trovi applicazione anche nel caso in cui il datore di lavoro offra, successivamente all’entrata in vigore della legge, l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere.

 

Il richiamato articolo 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604 stabilisce che nel caso in cui si accerti che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro sia tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo a specifici parametri d’impresa. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai 10 anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai 20 anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di 15 prestatori di lavoro.

 

I richiamati commi 1202-1210 dell’articolo 1 della legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) sono volti a promuovere la “trasformazione” dei rapporti di lavoro di collaborazione coordinata e continuativa (di seguito: co.co.co.), anche a progetto, in rapporti di lavoro subordinato e a favorire il corretto utilizzo dei medesimi rapporti di collaborazione.

Si evidenzia che i contratti di lavoro subordinato conclusi per avvalersi delle disposizioni in esame non devono necessariamente essere stipulati a tempo indeterminato. Ciò si desume, oltre che dall’ultimo periodo del comma 1203 - che prevede la spettanza dei benefici previsti dalla vigente normativa nel caso in cui i contratti di lavoro siano stipulati a tempo indeterminato – anche e soprattutto dal comma 1210, secondo cui i rapporti di lavoro subordinato instaurati a seguito della “trasformazione” del rapporto di lavoro dei collaboratori devono avere una durata non inferiore a 24 mesi.

Il comma 1202, ha disposto che i datori di lavoro che intendano procedere alla suddetta trasformazione dei rapporti di lavoro sono tenuti – anche per garantire un utilizzo corretto dei rapporti di co.co.co – a stipulare entro il 30 aprile 2007 appositi accordi aziendali o territoriali, se nelle aziende non siano presenti le rappresentanze sindacali o unitari, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Il successivo comma 1203 ha previsto che gli accordi sottoscritti promuovono la trasformazione dei rapporti di co.co.co. (anche a progetto) in rapporti di lavoro subordinato e che i lavoratori, a seguito dell’accordo, sottoscrivono appositi atti di conciliazione ai sensi degli articoli 410 e 411 c.c.. L’ultimo periodo del comma 1203, come accennato, precisa che i contratti di lavoro subordinato stipulati a tempo indeterminato godono dei benefici previsti dalla legislazione vigente[19].

Il comma 1204 ha stabilito che le parti sociali possano stabilire, anche mediante accordi interconfederali, misure volte a contribuire al corretto utilizzo del rapporto di co.co.co (anche a progetto) e a prevedere condizioni più favorevoli per i lavoratori che continuano ad essere utilizzati con i medesimi rapporti, ai sensi dell’articolo 61, comma 4, del D.Lgs. 276/2003.

Il comma 1205 ha subordinato la validità degli atti di conciliazione all’adempimento dell’obbligo da parte del datore di lavoro del versamento alla gestione separata INPS, a titolo di contributo straordinario finalizzato al miglioramento del trattamento previdenziale, di una somma pari alla metà della quota di contribuzione a carico dei committenti per i periodi pregressi di svolgimento del rapporto di co.co.co. (anche a progetto), per ciascun lavoratore interessato alla trasformazione del medesimo rapporto.

Il comma 1206 ha disposto che i datori di lavoro siano tenuti a depositare presso l’INPS gli atti di conciliazione insieme ai contratti stipulati con i lavoratori e all’attestazione del versamento di un terzo di quanto complessivamente dovuto a titolo di contributo straordinario integrativo alla gestione separata INPS. La parte rimanente del contributo deve essere versata in trentasei rate mensili. Qualora i datore di lavoro non dovessero procedere ai versamenti delle rate a titolo di contributo straordinario integrativo, si applicano le sanzioni previste in caso di omissione contributiva.

Il comma 1207 ha precisato gli effetti della stipula degli atti di conciliazione e dell’adempimento degli obblighi da parte del datore di lavoro. In particolare, gli atti di conciliazione producono gli effetti degli articoli 410 e 411 c.c. con riferimento ai diritti di natura retributiva, contributiva e risarcitoria relativi al periodo pregresso. Inoltre, è stato previsto che il regolare versamento del contributo straordinario integrativo (eventualmente in forma rateale ai sensi del comma 1206) determina l’estinzione dei reati previsti dalle leggi speciali in materia di versamenti di contributi previdenziali o premi assicurativi e di imposte sui redditi, nonché di obbligazioni per sanzioni amministrative e per ogni altro onere accessorio connesso alla denuncia e al versamento di contributi e premi. Inoltre la disposizione, per quanto riguarda le violazioni in materia contributiva ed assicurativa, sembrerebbe prevedere esclusivamente l’estinzione dei reati in materia di versamento di contributi e dei premi e delle sanzioni amministrative (nonché degli oneri accessori) connesse al versamento dei contributi e dei premi, alla denuncia contributiva mensile all’INPS nonché alla denuncia delle retribuzioni all’INAIL ai fini del pagamento dei premi assicurativi. Invece nulla sembrerebbe previsto per le omissioni o irregolarità relative alle registrazioni sui libri di cui è obbligatoria la tenuta, che integrano ipotesi di evasione e non di semplice omissione. Il comma 1207 ha disposto, inoltre, sempre al fine di incentivare la stabilizzazione dei lavoratori, che per effetto degli atti di conciliazione è precluso ogni accertamento di natura fiscale e contributiva per i pregressi periodi di lavoro prestato come co.co.co. dai lavoratori interessati dalla trasformazione del rapporto.

Il comma 1208, infine, ha consentito l’accesso alla procedura di trasformazione dei rapporti di lavoro anche ai datori di lavoro che siano stati destinatari di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali non definitivi concernenti la qualificazione del rapporto di lavoro. Comunque, per accedere alla procedura di trasformazione dei rapporti di lavoro il datore di lavoro deve stabilizzare tutti i lavoratori per i quali sussistono le stesse condizioni dei lavoratori la cui posizione dia stata oggetto di accertamenti ispettivi.


 



[1] Per una disamina più approfondita delle norme si rinvia alle schede di lettura che seguono. Le schede di lettura relative ai restanti articoli del disegno di legge (non oggetto di esame parlamentare) sono invece disponibili, su richiesta, presso il Servizio studi – Dipartimento lavoro – tel. 06/67604884 e 06/67602798

[2]    Soppresso nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite 1a e 11a, l’articolo è stato reintrodotto, con un testo modificato rispetto a quello approvato dalla Camera dei deputati, nel corso dell’esame in Assemblea.

[3]     L. 13 agosto 1980, n. 466, Speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche.

[4]    Si ricorda che ai sensi della legislazione vigente sono definite vittime del dovere gli appartenenti alle forze dell’ordine (Arma dei carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza, Corpo degli agenti di custodia e Corpo forestale dello Stato) caduti in attività di servizio a causa di azioni terroristiche o criminose o in servizio di ordine pubblico, e più in generale in conseguenza di eventi connessi all’espletamento di funzioni di istituto e dipendenti da rischi specifici dovuti a operazioni di polizia preventiva, repressiva, o di soccorso (L. 629/1973, art. 1 e 3, co. 2). Assimilabili alle categorie sopra citate sono anche i magistrati, il personale civile dell’Amministrazione penitenziaria, i vigili del fuoco, i militari (in servizio di ordine pubblico o di soccorso) e i vigili urbani (L. 466/80, art. 3 e 4). Rientrano tra le vittime del dovere, come si è accennato, anche i privati cittadini che su richiesta prestano assistenza alle forze dell’ordine (L. 466/80, art. 4).

[5]    “Delega al Potere esecutivo ad emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro”.

[6]    Si tratta del D.P.R. 547/1955 e del D.P.R. 303/1956, ad eccezione dell’articolo 64. Inoltre lo stesso articolo 304 ha abrogato il D.P.R. 164/1956, il quale prevedeva una disciplina aggiuntiva a quella prevista dal D.P.R. 547 in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni.

[7] L’art. 80, comma 4, stabilisce che chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione del contratto di lavoro deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile.

[8] Si tratta delle commissioni di certificazione istituite presso (art. 76, comma 1):

a) gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale; b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; c) le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate nell'albo istituito presso il Ministero del lavoro, esclusivamente nell'ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo; c-bis) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro; c-ter) i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

[9]     Materia diversa è quella dei licenziamenti collettivi, disciplinati dalla L. 23 luglio 1991, n. 223 (articolo 24), che sono quelli effettuati dalle imprese con un numero di dipendenti superiore a 15 nei confronti di almeno 5 dipendenti nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, o per cessazione dell'attività.

[10]    Si è ipotizzata al riguardo l'applicabilità dello schema normativo delle obbligazioni alternative (articolo 1285 e ss. del codice civile), con scelta spettante al debitore, ovvero di quello della obbligazione facoltativa, identificando l'obbligazione principale in quella di riassunzione: le due ipotesi hanno conseguenze diverse nel caso di sopravvenuta impossibilità di una delle due forme di adempimento.

[11]    Si evidenzia che la formulazione della disposizione in esame sembrerebbe voler prevedere che il termine per l’impugnazione si intende rispettato se il ricorso viene depositato entro tale termine presso la cancelleria, non occorrendo altresì la notifica al datore di lavoro. Invece la dottrina e la giurisprudenza prevalenti interpretano la normativa vigente nel senso della necessità della notifica entro il termine, considerando l’impugnazione un atto recettizio. Cfr. A. Vallebona, Istituzioni di diritto di lavoro, II. Il rapporto di lavoro, 2002, pag. 370, che richiama, in tal senso, le seguenti pronunce del giudice di legittimità: Cass. 19 ottobre 1981, n. 5468; Cass. S.U. 18 ottobre 1982 n. 5395; Cass. 6 dicembre 1984 n. 6432; Cass. S.U. 2 marzo 1987 n. 2174; Cass. 21 settembre 2000 n. 12507. Lo stesso autore menziona invece, come pronuncia divergente da tale orientamento maggioritario, Cass. 11 ottobre 1978 n. 4550.

[12]    D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.

[13] Su tale punto sono intervenute le modifiche recate dall’articolo 32 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febraio 2003, n. 30”.

[14]L. 29 dicembre 1990, n. 428, “Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1990)”.

[15]D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, “Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti”.

[16]D.L. 25 giugno 2008, n. 112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133.

[17]D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES”.

[18]   “Norme sui licenziamenti individuali”.

[19]   La disposizione è volta a precisare che la trasformazione dei rapporti di co.co.co. (anche a progetto) in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato va assimilata alla instaurazione ex novo di un rapporto di lavoro del medesimo tipo, con la conseguenza della spettanza dei relativi benefici previsti dalla normativa vigente.