Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Legge comunitaria 2009 - A.C.- 2449-A - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2449-A/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 181    Progressivo: 1
Data: 14/09/2009
Descrittori:
DIRITTO DELL' UNIONE EUROPEA     
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea
Altri riferimenti:
AC N. 2449/XVI     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Legge comunitaria 2009

A.C. 2449-A

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 181/1

 

 

 

14 settembre 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari comunitari

( 066760-9409 – * st_affari_comunitari@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§         La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§         Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

Nel presente dossier le modifiche apportate dalla XIV Commissione agli articoli del ddl comunitaria 2009 sono evidenziate in grassetto.

Gli articoli, commi e lettere aggiuntivi introdotti dalla Commissione, contrassegnati dalla numerazione romana e quindi facilmente distinguibili, non sono stati evidenziati.

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: ID0008a.doc

 


INDICE

Schede di lettura sugli articoli

§      Art. 1 (Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie)3

§      Art. 2 (Principi e criteri direttivi generali della delega legislativa)9

§      Art. 3 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)15

§      Art. 4 (Oneri relativi a prestazioni e a controlli)17

§      Art. 5 (Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)19

§      Art. 5-bis (Modifica dell'articolo 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, concernente relazioni annuali al Parlamento)21

§      Art. 5-ter (Modifiche all'articolo 15-bis della legge 4 febbraio 2005, n. 11, in materia di informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l'Italia)23

§      Art. 6 (Attuazione della direttiva 2008/46/CE)25

§      Art. 7 (Modifica all'articolo 14 della legge 20 febbraio 2006, n. 82, recante disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l'Organizzazione comune di mercato (OCM) del vino)27

§      Art. 7-bis (Misure per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole)29

§      Art. 7-ter (Semplificazioni in materia di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche)31

§      Art. 7-quater (Modifiche al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, concernenti l'inclusione di alcuni ingredienti nell'etichettatura dei prodotti alimentari)37

§      Art. 7-quinquies (Delega al Governo per il recepimento della direttiva 2007/61/CE, relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana) dopo il comma 1 aggiungere il seguente)39

§      Art. 7-sexies (Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune e modifiche all'articolo 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, in tema di sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo)43

§      Art. 7-septies (Modifiche alla legge 7 luglio 2009, n. 88, e alla legge 20 febbraio 2006, n. 77, in materia di organizzazione comune del mercato vitivinicolo)45

§      Art. 7-octies (Vendita e somministrazione di bevande alcoliche in aree pubbliche)49

§      Art. 8 (Delega al Governo per l'attuazione di decisioni quadro)51

§      Art. 9 (Princìpi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti)63

Allegato A Le direttive incluse nel d.d.l. originario

§      2008/72/CE (Commercializzazione delle piantine di ortaggi )69

§      2008/106/CE (Requisiti minimi di formazione per la gente di mare)71

Allegato A Le direttive introdotte dalla XIV Commissione

§      2008/119/CE (Norme minime per la protezione dei vitelli e dei suini)75

§      2008/124/CE (Limitazione della commercializzazione delle sementi di talune specie di piante foraggere, oleaginose e da fibra alle sementi ufficialmente certificate  77)

§      2009/15/CE (Disposizioni e norme comuni per gli organismi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime)79

§      2009/41/CE (Impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati)81

Allegato B Le direttive incluse nel d.d.l. originario

§      2008/92/CE (Trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas ed energia elettrica)85

§      2008/95/CE (Riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa)89

§      2008/96/CE (Gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali)93

§      2008/99/CE (Tutela penale dell’ambiente)95

§      2008/104/CE (Lavoro tramite agenzia interinale)99

§      2008/105/CE (Standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque)109

Allegato B Le direttive introdotte dalla XIV Commissione

§      2008/101/CE (Attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra)115

§      2008/110/CE (Sicurezza delle ferrovie comunitarie)117

§      2008/112/CE (Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele)119

§      2008/122/CE (Tutela dei consumatori nei contratti di multiproprietà, nei contratti relativi ai prodotti per le vacanze a lungo termine e nei contratti di rivendita e di scambio)121

§      2009/4/CE (Contromisure volte a prevenire e rilevare la manipolazione delle registrazioni dei tachigrafi e disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada)125

§      2009/5/CE (Disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada)127

§      2009/12/CE (Diritti aeroportuali)129

§      2009/13/CE (Convenzione sul lavoro marittimo)133

§      2009/16/CE (Controllo da parte dello Stato di approdo)137

§      2009/17/CE (Istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d’informazione)139

§      2009/18/CE (Inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo)141

§      2009/21/CE (Rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera)143

§      2009/28/CE (Uso dell’energia da fonti rinnovabili)145

§      2009/29/CE (Quote di emissione di gas a effetto serra)153

§      2009/30/CE (Specifiche relative a benzine, combustibile diesel e gasolio e controllo delle emissioni di gas a effetto serra)155

§      2009/31/CE (Stoccaggio geologico di biossido di carbonio)157

§      2009/33/CE (Promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada)159

Tabella

Direttive contenute nel ddl comunitaria 2009 da attuare per delega  163

 


Schede di lettura sugli articoli

 


Art. 1

 

(Delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di recepimento indicato negli allegati A e B, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive elencate nei medesimi allegati. Per le direttive elencate negli allegati A e B il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi di attuazione entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge. Per le direttive elencate negli allegati A e B che non prevedono un termine di recepimento, il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2. I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all'oggetto della direttiva.

3. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive elencate nell'allegato B, nonché, qualora sia previsto il ricorso a sanzioni penali, quelli relativi all'attuazione delle direttive elencate nell'allegato A, sono trasmessi, dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi termini previsti dai commi 4 e 8 scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti dai commi 1 o 5 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.

4. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive che comportino conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la procedura indicata nei commi 2, 3 e 4, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del citato comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 6.

6. I decreti legislativi, relativi alle direttive elencate negli allegati A e B, adottati, ai sensi dell'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, si applicano alle condizioni e secondo le procedure di cui all'articolo 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

7. Il Ministro per le politiche europee, nel caso in cui una o più deleghe di cui al comma 1 non risultino esercitate alla scadenza del termine previsto, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una relazione che dà conto dei motivi addotti a giustificazione del ritardo dai Ministri con competenza istituzionale prevalente per la materia. Il Ministro per le politiche europee, ogni sei mesi, informa altresì la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione delle stesse da definire con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

8. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 3, relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi recanti attuazione delle direttive elencate negli allegati A e B, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.


 

L’articolo 1, non modificato dalla Commissione, conferisce una delega al Governo per l’attuazione delle direttive comunitarie riportate in allegato alla legge comunitaria e stabilisce i termini e le modalità di emanazione dei decreti legislativi attuativi.

L’attuazione delle direttive comunitarie mediante delega legislativa, già contemplata dall’art. 3 della L. 86/1989[1] è ora espressamente prevista, in via generale, dalla L. 11/2005[2] il cui art. 9, nel fissare i contenuti della legge comunitaria annuale, prevede che l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario venga assicurato, oltre che con disposizioni modificative o abrogative di norme statali vigenti e con autorizzazione al Governo ad intervenire in via regolamentare, anche mediante conferimento al Governo di delega legislativa.

In particolare, il comma 1, nel richiamare i due elenchi di direttive comprese negli allegati A e B, pone i relativi termini di attuazione mediante decreto legislativo con modalità analoghe a quelle introdotte dalla legge comunitaria 2007 e riprodotte nella legge comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009, n. 88).

Il termine generale per l’esercizio della delega, infatti, non è determinato mediante indicazione di una data fissa o di un periodo uniforme per tutte le direttive, ma viene fatto coincidere con il termine di recepimento di ciascuna delle direttive medesime, che viene riportato negli allegati A e B (mentre la legge comunitaria per il 2006, in linea con le precedenti leggi comunitarie, fissava un termine generale pari a dodici mesi dall’entrata in vigore della legge: cfr. art. 1, co. 1, della legge n. 13/2007).

Accanto al termine generale “flessibile”, il comma 1 dispone anche, specificamente, in ordine:

§      alle direttive comprese negli allegati il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi all’entrata in vigore della legge comunitaria: in questo caso il termine della delega è di tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge;

§      alle direttive comprese negli allegati che non prevedono un termine di recepimento: in questo caso il termine della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria.

 

Si segnala, in proposito, che 6 delle 7 direttive contenute nell’allegato A e 2 delle 23 direttive contenute nell’allegato B non indicano espressamente un termine per il loro recepimento e dovranno pertanto essere attuate entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge[3]. La ulteriore direttiva contenuta nell’allegato A deve essere recepita entro il 17 giugno 2011; le altre direttive contenute nell’allegato B devono essere recepite entro un periodo compreso tra il 2 febbraio 2010 ed il 5 dicembre 2011, ad eccezione delle direttive nn. 4 e 5 del 2009, che devono essere recepite entro il 31 dicembre di quest’anno. Ovviamente, la scadenza dei termini di delega – che attualmente appare generalmente congrua – può essere valutata soltanto in relazione al procedimento di approvazione della legge comunitaria, anche in connessione con i procedimenti previsti per l’adozione dei relativi decreti legislativi (parere e, in qualche caso, doppio parere parlamentare e coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni).

La distinzione tra i due allegati risiede nel fatto che (comma 3) il procedimento per l’attuazione delle direttive incluse nell’allegato B prevede l’espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari; decorsi 40 giorni dalla data di trasmissione, i decreti possono comunque essere emanati anche in assenza del parere. Tale procedura – che riproduce quella già prevista nelle ultime leggi comunitarie – è estesa anche ai decreti di attuazione delle direttive di cui all’allegato A, qualora in essi sia previsto il ricorso a sanzioni penali.

È inoltre previsto che, qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare venga a spirare nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega sia prorogato di 90 giorni. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Tale ultima previsione normativa si applica anche ai decreti legislativi integrativi o correttivi previsti dal successivo comma 5, nonché alle ipotesi di eventuale “doppio parere” previste dai commi 4 e 8, di cui si dirà tra breve.

Il testo prevede che il parere parlamentare debba essere richiesto dopo aver già acquisito tutti gli altri pareri previsti dalla legge, in linea con la prassi affermatasi nelle scorse legislature, soprattutto a partire dal 1998, a seguito dei reiterati interventi dei Presidenti delle Camere nei confronti del Governo, volti ad ottenere che il testo trasmesso per il parere parlamentare avesse completato la fase procedimentale interna all’esecutivo.

Il comma 2 richiama la procedura prevista dall’art. 14 della L. 400/1988[4] per l’adozione dei decreti legislativi, i quali sono emanati dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del ministro per le politiche europee e del ministro con competenza istituzionale prevalente per materia, di concerto con i ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.

Il comma 4 reca una disposizione (già contenuta nelle leggi comunitarie a partire dal 2004), che prevede modalità procedurali specifiche per il recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie. I relativi schemi di decreto legislativo:

§      dovranno essere corredati della relazione tecnica prevista dalla L. 468/1978[5] (art. 11-ter, co. 2);

§      saranno oggetto del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.

Per quanto riguarda la prima condizione, va segnalato che l’obbligo di accompagnare con la relazione tecnica gli schemi di decreto legislativo comportanti conseguenze finanziarie è già contemplato in via generale dalla L. 468/1978.

Il comma prevede, altresì, che il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate al fine di garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, Cost.[6], deve sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni. Viene così introdotto il cosiddetto “doppio parere”, limitatamente alla fattispecie finanziaria. Una misura analoga è prevista, come si vedrà, per gli schemi di decreto che prevedono sanzioni penali (comma 8).

Il comma 5 autorizza il Governo ad adottare con la medesima procedura di cui ai commi 2, 3 e 4, entro 24 mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dal testo in commento.

Il comma 6 prevede che per i decreti legislativi emanati dal Governo al fine di dare attuazione alle direttive comunitarie comprese negli allegati, in materie di competenza legislativa regionale, valgano le condizioni e le procedure di cui all’art. 11, co. 8, della L. 11/2005. Tale ultima norma prevede – in attuazione del quinto comma dell’art. 117 della Costituzione – un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive nelle materie di loro competenza.

 

La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’art. 11, co. 8, della L. 11/2005 in base al quale spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo delle regioni e province autonome per i casi di loro inadempienza agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea. La norma prevede un’articolata garanzia per le Regioni e Province autonome, in forza della quale gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome:

§       entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria, per le regioni e le province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;

§       perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute;

§       sono sottoposti al preventivo esame della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Analogamente, l’art. 13, co. 2, della citata L. 11/2005 stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano:

§       per le regioni e le province autonome nelle quali non sia ancora in vigore la propria normativa di attuazione;

§       a decorrere dalla scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria.

Essi perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione di ciascuna regione e provincia autonoma. I provvedimenti recano l’esplicita indicazione della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle disposizioni in essi contenute.

 

Infine, l’art. 16, co. 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’articolo 11, comma 8”. La disciplina applicabile in questi casi è quindi desumibile dalla norma citata, che viene richiamata esclusivamente per quanto riguarda le condizioni e la procedura di attuazione, ma non per le tipologie di atti statali sostitutivi che essa presuppone.

 

Il comma 7 prevede l’obbligo per il Ministro per le politiche europee di trasmettere:

§      una relazione a ciascuna delle Camere qualora una o più deleghe conferite dal comma 1 non risultino esercitate entro il termine previsto (termine che in base al testo in esame coincide – generalmente – con quello per il recepimento della singola direttiva);

§      un’informativa periodica (con cadenza semestrale) sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome nelle materie di loro competenza, secondo “modalità di individuazione” delle stesse da definire con accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni (una previsione di questo tenore è stata inserita, per la prima volta, nella legge comunitaria 2007).

 

Si ricorda che il quadro delle competenze regionali è definito a livello costituzionale. Per quanto in particolare concerne l’attuazione della normativa comunitaria, l’art. 117 Cost. stabilisce che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

 

Il comma 8 concerne i pareri parlamentari aventi ad oggetto le disposizioni penali introdotte negli schemi di decreti legislativi e prevede che, qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri, debba ritrasmettere alle Camere gli schemi con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Le Commissioni competenti esprimono il parere definitivo entro 20 giorni, decorsi i quali i decreti sono comunque emanati.

 

 


Art. 2

 

(Principi e criteri direttivi generali della delega legislativa)

 

 


1. Salvi gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui ai capi II e III, e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare, i decreti legislativi di cui all'articolo 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

a) le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni e dei servizi;

b) ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatti salvi i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa ovvero le materie oggetto di delegificazione;

c) al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, sono previste, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledono o espongono a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere previste anche le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di pace. La sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro è prevista per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli indicati nei periodi precedenti. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni indicate nella presente lettera sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Entro i limiti di pena indicati nella presente lettera sono previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi. Nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni;

d) eventuali spese non contemplate da leggi vigenti e che non riguardano l'attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse; alla relativa copertura, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall'attuazione delle direttive, in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183;

e) all'attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata;

f) nella predisposizione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

f-bis) nella predisposizione dei decreti legislativi, relativi alle direttive elencate negli allegati A e B, si tiene conto delle esigenze di coordinamento tra le norme previste nelle direttive medesime e quanto stabilito dalla legislazione vigente, con particolare riferimento alla normativa in materia di lavoro e politiche sociali, per la cui revisione è assicurato il coinvolgimento delle parti sociali interessate, ai fini della definizione di eventuali, specifici, avvisi comuni e dell'acquisizione, ove richiesto dalla complessità della materia, di un parere delle stesse parti sociali sui relativi schemi di decreto legislativo;

g) quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque sono coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l'efficacia e l'economicità nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili;

h) quando non sono di ostacolo i diversi termini di recepimento, sono attuate con un unico decreto legislativo le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi.


 

 

L’articolo 2 detta i princìpi ed i criteri direttivi di carattere generale per l’esercizio delle deleghe ai fini dell’attuazione delle direttive comunitarie; si tratta di princìpi e criteri in gran parte conformi a quelli previsti dalle precedenti leggi comunitarie.

La disposizione, prima di elencare tali princìpi generali, richiama due ulteriori categorie di princìpi e criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe:

§      si tratta, innanzitutto, dei princìpi e criteri contenuti nelle singole direttive comunitarie da attuare;

§      in secondo luogo, sono fatti salvi gli specifici criteri di delega previsti dal capo II e dal capo III della legge comunitaria, contenenti disposizioni particolari di adempimento e criteri specifici di delega relativi ad alcune delle direttive da attuare, nonché disposizioni volte a dare attuazione a decisioni quadro adottate nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Venendo ai criteri generali di delega, quello di cui alla lettera a) prevede che le amministrazioni interessate provvedano all’attuazione dei decreti legislativi avvalendosi delle loro strutture ordinarie, seguendo il principio della massima semplificazione procedimentale ed organizzativa: si ripropone così un principio introdotto nella legge comunitaria 2008 in coerenza – rileva la relazione illustrativa al disegno di legge – con gli obiettivi di riduzione degli oneri amministrativi posti anche dalla Commissione europea.

La lettera b) dispone l’introduzione delle modifiche necessarie per un migliore coordinamento con le discipline vigenti nei singoli settori interessati dall’attuazione delle direttive comunitarie. Analogamente alle ultime leggi comunitarie, la norma in esame fa salve “le materie oggetto di delegificazione ovvero i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa”.

Norme specifiche per l’introduzione nei decreti legislativi di recepimento delle direttive comunitarie di sanzioni penali e amministrative, per il caso di violazioni delle disposizioni contenute nei decreti legislativi stessi, sono previste nella lettera c). La scelta che il Governo è autorizzato ad operare, in sede di attuazione della delega, tra la configurazione delle violazioni come reati o come illeciti amministrativi, è ancorata ai seguenti princìpi e criteri direttivi[7]:

§      introduzione di nuove fattispecie al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti;

§      introduzione di nuove fattispecie di reati contravvenzionali, sanzionate – in via alternativa o congiunta – con la pena pecuniaria dell’ammenda fino a 150.000 euro e dell’arresto sino a 3 anni, nei casi in cui siano lesi o esposti a pericolo “interessi costituzionalmente protetti”. Quest’ultima formula è stata per la prima volta introdotta nella legge comunitaria per il 2002 (L. 14/2003). Le leggi comunitarie precedenti facevano, invece, riferimento ad “interessi generali dell’ordinamento interno, compreso l’ecosistema”. In particolare, le pene citate dovranno essere previste come alternative per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l’interesse protetto; viceversa, si applicherà la pena congiunta dell’ammenda e dell’arresto per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità[8];

§      irrogabilità, nelle ipotesi testé dette, delle sanzioni alternative di cui agli artt. 53 ss. del D.lgs. 274/2000[9], applicandosi la relativa competenza del giudice di pace; tali sanzioni sono quelle consistenti nell’obbligo di permanenza domiciliare (il sabato e la domenica), nel divieto di accesso a determinati luoghi e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (solo su richiesta del contravventore);

§      introduzione di nuove fattispecie di illeciti amministrativi puniti con la sanzione pecuniaria di importo non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro, per le violazioni che ledano o espongano a pericolo beni giuridici diversi da quelli sopra indicati;

§      nell’ambito del minimo e del massimo previsti, determinazione della pena edittale in ragione delle diverse potenzialità lesive dell’interesse protetto che le infrazioni presentano in astratto, delle specifiche qualità personali del colpevole – con particolare riferimento a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza – e del vantaggio patrimoniale che l’infrazione può recare al colpevole (o all’ente o alla persona nel cui interesse agisce);

§      entro i limiti di pena sopra indicati, previsione di sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate da leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività (la previsione dei limiti rende pertanto astrattamente possibile la differenziazione punitiva fra fattispecie omogenee e di pari offensività);

§      riserva di determinazione regionale delle sanzioni amministrative, nelle materie di cui all’articolo 117, quarto comma, della Costituzione, ossia nelle materie rimesse alla potestà legislativa “residuale” delle regioni (si tratta di un principio innovativo rispetto a quanto previsto dalla legge comunitaria 2007 e già introdotto nella legge comunitaria 2008).

 

Il principio di delega di cui alla lettera d) fa riferimento alla copertura finanziaria delle norme delegate. Al riguardo, si stabilisce che le spese derivanti dall’attuazione delle direttive, ove non contemplate dalle leggi vigenti e non riguardanti l’attività ordinaria delle amministrazioni interessate, possono essere previste nei decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione alle direttive nei soli limiti occorrenti per l’adempimento degli obblighi di attuazione delle direttive stesse.

Per la relativa copertura (anche con riferimento alle eventuali minori entrate derivanti dall’attuazione) si farà ricorso alle disponibilità sussistenti sul fondo di rotazione di cui all’art. 5 della L. 183/1987 (vedi infra), ove non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni. Analoghe disposizioni sono contenute nelle più recenti leggi comunitarie.

 

La citata L. 183/1987[10] istituisce, tra gli organi del coordinamento delle politiche comunitarie, il Fondo di rotazione. Ai sensi dell’art. 5 della legge, confluiscono nel fondo le somme erogate dalle istituzioni comunitarie, le somme individuate annualmente in sede di legge finanziaria e altre somme determinate con la legge di bilancio (nonché altre somme specifiche). Le risorse presenti sul fondo vengono erogate, su richiesta e secondo limiti di quote determinate dal CIPE, alle amministrazioni pubbliche e ad altri operatori pubblici e privati per l’attuazione dei programmi di politica comunitaria.

Le procedure finanziarie riguardanti le erogazioni concesse dal Fondo di rotazione delle politiche comunitarie sono state modificate dall’art. 65, co. 2, della legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388). Richiamando le nuove procedure finanziarie previste dai regolamenti comunitari per il ciclo di interventi dei Fondi strutturali 2000-2006, la norma ha autorizzato il Fondo di rotazione ad anticipare alle amministrazioni centrali l’acconto dei contributi comunitari previsto dall’art. 32, par. 2, del regolamento (CE) n. 1260/1999, direttamente in base ai programmi operativi previsti dai regolamenti comunitari, anziché, come in precedenza, in base ai progetti in cui si articolano i programmi di intervento. La norma intende facilitare l’avvio da parte delle amministrazioni centrali degli interventi, ovviando alla mancanza di disponibilità di cassa in attesa del ricevimento dell’acconto da parte comunitaria, fermo restando il successivo reintegro al Fondo stesso degli accrediti provenienti dall’Unione europea. I ritardi nell’avvio dell’attuazione degli interventi comportano, infatti, secondo quanto espressamente previsto dal regolamento, il disimpegno automatico delle risorse comunitarie.

 

Criteri legati all’armonizzazione delle deleghe legislative sono contenuti nelle lettere e), f) e f-bis). In particolare, si dispone che:

- l’attuazione di direttive che modificano precedenti direttive già attuate avvenga per mezzo di modifiche apportate ai testi legislativi di attuazione di tali direttive (ove ciò non determini ampliamento della materia regolata);

- nella predisposizione dei decreti legislativi di attuazione si tenga conto:

• delle eventuali modifiche delle direttive intervenute fino al momento del concreto esercizio della delega;

• delle esigenze di coordinamento tra le norme recate dalle direttive e quanto stabilito dalla legislazione vigente, con specifico riguardo alla normativa in materia di lavoro e politiche sociali, “per la cui revisione è assicurato il coinvolgimento delle parti sociali interessate, ai fini della definizione di eventuali, specifici, avvisi comuni e dell’acquisizione, ove richiesto dalla complessità della materia, di un parere delle stesse parti sociali sui relativi schemi di decreti legislativi”. Dunque la lettera f-bis), introdotta a seguito di un emendamento approvato dalla Commissione Lavoro, intende stabilire il principio del coinvolgimento delle parti sociali nella predisposizione dei decreti legislativi di attuazione delle direttive in materia di lavoro e politiche sociali; il riferimento è, inparticolare, alla direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale.

Criteri connessi all’univocità dei processi decisionali, quando i decreti legislativi investano trasversalmente diverse competenze ed amministrazioni, sono contenuti nella lettera g), che si pone inoltre l’obiettivo di garantire, attraverso specifiche forme di coordinamento, anche la trasparenza nell’azione amministrativa e la chiarezza nell’attribuzione di responsabilità. Sono espressamente richiamati il rispetto delle competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, nonché l’osservanza dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione.

 

Si ricorda che i primi tre princìpi qui menzionati (sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza), già posti dalla L. 59/1997[11] a fondamento della ripartizione delle funzioni e dei compiti amministrativi tra i vari livelli di governo, hanno assunto rilievo costituzionale in virtù della L. Cost. 3/2001, di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Quest’ultima, nel novellare l’art. 118 Cost., ha infatti posto i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza alla base della ripartizione delle funzioni amministrative tra Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Il principio di leale collaborazione, pur non espressamente menzionato dall’art. 118 Cost., è tuttavia riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale quale principio essenziale informatore dei rapporti tra Stato ed autonomie territoriali (v. per tutte la sent. C. Cost. 303/2003).

 

La lettera h) fissa il principio secondo cui deve darsi attuazione con un unico decreto legislativo alle direttive che:

§      riguardino le stesse materie;

§      pur riguardando materie diverse, comportino modifiche degli stessi atti normativi.

Tale principio di “attuazione unitaria” è destinato a operare qualora non siano “di ostacolo” i diversi termini di recepimento delle direttive.

 


Art. 3

 

(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di disposizioni comunitarie)

 

 


1. Al fine di assicurare la piena integrazione delle norme comunitarie nell'ordinamento nazionale, il Governo, fatte salve le norme penali vigenti, è delegato ad adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi contenuti in direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, o in regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della presente legge, per i quali non sono già previste sanzioni penali o amministrative.

2. La delega di cui al comma 1 è esercitata con decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia. I decreti legislativi si informano ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c).

3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al presente articolo sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione del parere da parte dei competenti organi parlamentari con le modalità e nei termini previsti dai commi 3 e 8 dell'articolo 1.

 


 

 

L’articolo 3, non modificato dalla Commissione, prevede, analogamente a quanto disposto dalle ultime leggi comunitarie, l’introduzione di un trattamento sanzionatorio per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, in via regolamentare o amministrativa (ossia per via non legislativa) e per le violazioni di regolamenti comunitari già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria.

La necessità della disposizione risiede nel fatto che, sia nel caso dell’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale), è necessaria una fonte normativa di rango primario atta ad introdurre norme sanzionatorie di natura penale nell’ordinamento nazionale.

La finalità dell’articolo è, pertanto, quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell’ordinamento interno.

A tal fine, il comma 1 contiene una delega al Governo per l’adozione, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge e fatte salve le norme penali vigenti, di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per la violazione di obblighi contenuti in direttive comunitarie attuate in via regolamentare o amministrativa ai sensi delle leggi comunitarie vigenti (non solo, pertanto, ai sensi della legge comunitaria in commento) nonché di regolamenti comunitari pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria e per i quali non siano già previste sanzioni penali o amministrative.

Il comma 2 stabilisce che i decreti legislativi siano adottati, ai sensi dell'art. 14 della L. 400/1988[12], su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del ministro per le politiche europee e del ministro della giustizia, di concerto con i ministri competenti per materia.

La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c) (vedi supra).

Il comma 3 prevede l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari sugli schemi di decreto legislativo. I pareri sono espressi con le modalità previste dai commi 3 e 8 dell’articolo 1.

 


Art. 4

 

(Oneri relativi a prestazioni e a controlli)

 

 

1. In relazione agli oneri per prestazioni e per controlli, si applicano le disposizioni dell'articolo 9, commi 2 e 2-bis, della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

 

 

L’articolo 4 detta disposizioni circa gli oneri derivanti dalle prestazioni e dai controlli che gli uffici pubblici sono chiamati a sostenere in applicazione della normativa comunitaria: a tal fine viene richiamato il disposto dell’articolo 9, commi 2 e 2-bis, della legge n. 11 del 2005, che:

•    pone a carico dei soggetti interessati i predetti oneri per prestazioni e controlli, secondo tariffe determinate sulla base del costo effettivo del servizio, purché ciò non risulti in contrasto con la disciplina comunitaria (comma 2)[13];

•    disponeche le entrate derivanti dalle tariffe siano attribuite, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, alle amministrazioni che effettuano le prestazioni e i controlli, mediante riassegnazione alle unità previsionali di base del bilancio statale ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, n. 469. In questo modo assume rango di disciplina generale una norma in passato riprodotta in tutte le leggi comunitarie (comma 2-bis).

Il riferimento al comma 2-bis, introdotto dall’articolo 4 della legge comunitaria 2008, è stato inserito dalla Commissione recependo un’osservazione formulata in termini analoghi sia dal Comitato per la legislazione sia dalla Commissione Affari costituzionali.

 

 

 


Art. 5

 

(Delega al Governo per il riordino normativo nelle materie interessate dalle direttive comunitarie)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le modalità e secondo i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 1, della presente legge, testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dalla presente legge per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di coordinare le medesime con le altre norme legislative vigenti nelle stesse materie. Qualora i testi unici o i codici di settore riguardino princìpi fondamentali nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione o in altre materie di interesse delle regioni, i relativi schemi di decreto legislativo sono sottoposti al parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nonché al parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

2. I testi unici e i codici di settore di cui al comma 1 riguardano materie o settori omogenei. Le disposizioni contenute nei testi unici o nei codici di settore non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate, se non in modo esplicito mediante l'indicazione puntuale delle disposizioni da abrogare, derogare, sospendere o modificare.


 

 

L’articolo 5 conferisce, al comma 1, una delega al Governo per l’adozione di testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dal disegno di legge in esame per il recepimento di direttive comunitarie, con lo scopo di coordinare tali disposizioni con quelle vigenti nelle stesse materie. A seguito di una modifica introdotta dalla Commissione, recependo un’osservazione formulata in termini analoghi sia dal Comitato per la legislazione sia dalla Commissione Affari costituzionali, il termine per l’esercizio della delega è fissato in 24 mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi cui si riferisce la successiva attività di riordino e coincide con il termine per l’esercizio della delega integrativa e correttiva di cui all’articolo 1, comma 5 (nel testo originario del disegno di legge, il termine per l’esercizio della ulteriore delega al riordino normativo risultava più breve rispetto al termine per l’esercizio della delega integrativa e correttiva: 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge rispetto a 24 mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi).

 

I decreti legislativi di riordino sono adottati secondo le modalità e in conformità ai princìpi e criteri direttivi posti dall’art. 20 della L. 59/1997[14] e successive modificazioni, richiamato dal comma in commento.

 

Si ricorda che l’art. 20 richiamato reca una pluralità di princìpi e criteri direttivi volti a conformare l’opera del legislatore delegato alla razionalizzazione normativa, in aggiunta ai princìpi e criteri previsti dalle singole leggi annuali di semplificazione.

 

Il comma precisa che l’esercizio della delega volta al riordino normativo non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il secondo periodo del comma 1 dispone che gli schemi di decreto legislativo siano sottoposti al parere della Conferenza Stato-regioni qualora la relativa disciplina riguardi la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di competenza concorrente tra Stato e regioni (ai sensi del terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione) o, più generalmente, “altre materie di interesse delle regioni”. La disposizione è stata introdotta – precisa la relazione illustrativa – su richiesta della Conferenza Stato-regioni, avanzata in sede di parere sul disegno di legge.

Si osserva che l’art. 20 della L. 59/1997, al quale il comma in esame come si è detto fa rinvio, al comma 5 prevede l’acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali su tutti gli schemi dei decreti legislativi adottati ai sensi dell’art. 20 medesimo.

Il comma 2 stabilisce che i testi unici e i codici di settore debbano riguardare materie o settori omogenei. Inoltre, esso precisa che le disposizioni contenute nei predetti provvedimenti di riordino possono essere oggetto di interventi di abrogazione, deroga, sospensione o modificazione solo in via esplicita e con indicazione puntuale della disposizione su cui si interviene. Si tratta di una disposizione che ha ovviamente una valenza solo monitoria nei confronti del legislatore, non potendo una norma di legge vincolare giuridicamente una norma successiva di grado gerarchico equivalente.

 

Il comma ripropone una norma analoga a quelle recate da diverse tra le precedenti leggi comunitarie, a partire dal 1994[15], in tema di riordino normativo nei settori interessati da direttive comunitarie. L’emanazione del testo unico in materia di intermediazione finanziaria costituisce – a tutt’oggi – l’unico esempio di riordino normativo effettuato sulla base delle prescrizioni della legge comunitaria annuale (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, adottato ai sensi degli artt. 8 e 21 della legge comunitaria per il 1994[16]).


Art. 5-bis

 

(Modifica dell'articolo 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, concernente relazioni annuali al Parlamento)

 

 


1. L'articolo 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, è sostituito dal seguente:

«Art. 15. - (Relazioni annuali al Parlamento). - 1. Entro il 31 dicembre di ogni anno il Governo presenta al Parlamento una relazione che indica:

a) gli orientamenti e le priorità che il Governo intende perseguire nell'anno successivo con riferimento agli sviluppi del processo di integrazione europea, ai profili istituzionali e a ciascuna politica dell'Unione europea, tenendo anche conto delle indicazioni contenute nel programma legislativo e di lavoro annuale della Commissione europea e negli altri strumenti di programmazione legislativa e politica delle istituzioni dell'Unione. Nell'ambito degli orientamenti e delle priorità, particolare e specifico rilievo è attribuito alle prospettive e alle iniziative relative alla politica estera e di sicurezza comune e alle relazioni esterne dell'Unione europea;

b) gli orientamenti che il Governo ha assunto o intende assumere in merito a specifici progetti di atti normativi dell'Unione europea, a documenti di consultazione ovvero ad atti preordinati alla loro formazione, già presentati o la cui presentazione sia prevista per l'anno successivo nel programma legislativo e di lavoro della Commissione europea;

c) le strategie di comunicazione del Governo in merito all'attività dell'Unione europea e alla partecipazione italiana all'Unione europea. 

2. Entro il 31 gennaio di ogni anno il Governo presenta al Parlamento una relazione sui seguenti temi:

a) gli sviluppi del processo di integrazione europea registrati nell'anno di riferimento, con particolare riguardo alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea nonché alle relazioni esterne dell'Unione europea, alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell'Unione; 

b) la partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario con l'esposizione dei princìpi e delle linee caratterizzanti la politica italiana nei lavori preparatori e nelle fasi negoziali svolti in vista dell'emanazione degli atti normativi comunitari; 

c) l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità europee per ciò che concerne l'Italia; 

d) il seguito dato e le iniziative assunte in relazione ai pareri, alle osservazioni e agli atti di indirizzo delle Camere, nonché alle osservazioni della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome; 

e) l'elenco e i motivi delle impugnazioni di cui all'articolo 14, comma 2. 

3. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche europee trasmettono le relazioni di cui ai commi 1 e 2 anche alla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e alla Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome».

 


 

 

L’articolo 5-bis, introdotto in sede d’esame in Commissione,  riformula l’articolo 15 della legge n. 11/2005, concernente la relazione che il Governo presenta annualmente al Parlamento, prevedendo la redazione di due distinte relazioni:

ü       la prima, da presentare entro il 31 dicembre, riguarderà la fase ascendente del processo comunitario con l’indicazione di:

§         orientamenti e priorità che il Governo intende seguire in ambito europeo nell’anno successivo, tenendo conto del programma legislativo della Commissione europea, e con particolare riguardo per le prospettive e le iniziative di politica estera e di sicurezza comune;

§         orientamenti assunti o da assumere in merito a specifici progetti di atti normativi dell’UE;

§         strategie di comunicazione sull’attività dell’UE e partecipazione italiana alle politiche europee;

ü       la seconda, da presentare entro il 31 gennaio, tratterà i medesimi argomenti che vengono attualmente sviluppati ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 11/2005, con maggior rilievo per la politica estera e di sicurezza comune e con l’indicazione degli esiti dati dal Governo ai pareri, alle osservazioni ed agli atti di indirizzo formulati sia dal Parlamento sia dalla Conferenza Stato-regioni.

Sarà compito del Governo trasmettere entrambe le relazioni, oltre che alle Camere, anche alla Conferenza Stato-regioni.

 


Art. 5-ter

 

(Modifiche all'articolo 15-bis della legge 4 febbraio 2005, n. 11, in materia di informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l'Italia)

 

 


1. All'articolo 15-bis della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) ai commi 1 e 2, le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi»;

b) al comma 2 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nel caso delle procedure di infrazione avviate ai sensi dell'articolo 228 del Trattato istitutivo della Comunità europea, le informazioni sono trasmesse ogni mese».


 

 

L’articolo in commento, introdotto in sede d’esame in Commissione,  modifica la periodicità della trasmissione al Parlamento ed alla Corte dei conti delle relazioni previste dai commi 1 e 2 dell’articolo 15-bis della legge n. 11 del 2005, abbreviandone i termini da sei a tre mesi.

Nel caso in cui le informazioni riguardino eventuali conseguenze di carattere finanziario degli atti giurisdizionali e delle procedure di pre-contenzioso, esse dovranno esser trasmesse ogni mese, anziché semestralmente.

 

L’articolo 15-bis della legge n. 11/2005, introdotto dall’art. 7 della legge comunitaria per il 2006 e successivamente modificato dall’articolo 6 della legge comunitaria per il 2007, prevede (comma 1) la trasmissione semestrale al Parlamento ed alla Corte dei conti – da parte del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee – di un elenco articolato per settore e materia contenente l’indicazione di:

ü     sentenze della Corte di Giustizia e degli altri organi giurisdizionali dell’Unione relative a giudizi in cui l’Italia sia direttamente o indirettamente coinvolta;

ü     cause sollevate in via pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 234 TCE e dell’articolo 35 TUE, da organi giurisdizionali italiani[17];

ü     procedure di infrazione avviate nei confronti dell’Italia ai sensi degli articoli 226 e 228 TCE, corredate da informazioni sintetiche sul procedimento e sulla natura delle violazioni contestate all’Italia;

ü     procedimenti di esame di aiuti di Stato avviati, ai sensi dell’articolo 88 del Trattato, dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia[18].

Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce che è compito del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le politiche europee, trasmettere ogni sei mesi alle Camere e alla Corte dei conti informazioni sulle eventuali conseguenze di carattere finanziario degli atti giurisdizionali e delle procedure di pre-contenzioso che riguardano l’Italia.

 

 


Art. 6

 

(Attuazione della direttiva 2008/46/CE)

 

 

1. All'articolo 306, comma 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, dopo le parole: «direttiva 2004/40/CE» sono inserite le seguenti: «, e successive modificazioni».

 

 

L'articolo 6 reca disposizioni per l'attuazione della direttiva 2008/46/CE[19], che modifica la direttiva 2004/40/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici), diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE.

 

In particolare, la richiamata direttiva 2008/46/CE, sostituendo il paragrafo 1 dell'articolo 13 della direttiva 2004/40/CE, ha prorogato al 30 aprile 2012 (in luogo del 30 aprile 2008 come previsto nel testo originario) il termine per l'adozione, da parte degli Stati membri, delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla stessa direttiva.

 

Si ricorda che la direttiva 2004/40/CE era tra le direttive contenute nell’allegato B della L. 25 gennaio 2006, n. 29 (legge comunitaria per il 2005), da attuare cioè mediante apposito decreto legislativo previo espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari.

Nel corso della XV Legislatura l’attuazione di tale direttiva era contenuta in un apposito schema di decreto (il n. 234), per il quale non è stato espresso il parere delle competenti Commissioni parlamentari a causa della fine anticipata della Legislatura stessa.

In ogni caso, le disposizioni concernenti la tutela dei lavoratori dai campi elettromagnetici sono successivamente confluite nel D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, nuova legge fondamentale sulla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro.

 

L’articolo 306, comma 3, del D.lgs. 81/2008 prevede che le disposizioni di cui al titolo VIII, capo IV, concernenti appunto la protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a campi elettromagnetici, entrino in vigore alla data fissata dal primo comma dell'articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2004/40/CE. Il riferimento – introdotto dall’articolo in esame – anche alle successive modificazioni della direttiva comporta il differimento del termine – già scaduto – di entrata in vigore della disciplina nazionale di attuazione della medesima direttiva.

 

Infine, si ricorda che di recente il decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106 ha aggiunto un periodo finale al comma 3 dell’articolo 306 del D.Lgs. 81.

Tale periodo prevede diversi limiti temporali per l’ottemperanza agli obblighi di cui all’articolo in caso di attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori anteriormente al 6 luglio 2007 e che non permettono il rispetto dei valori limite di esposizione (6 luglio 2010), nonché per il settore agricolo e forestale (6 luglio 2014). Inoltre, si richiede per il 15 febbraio 2011 l’ottemperanza dell'obbligo del rispetto dei valori limite di esposizione al rumore di cui all’articolo 189 per il settore della navigazione aerea e marittima.

 


Art. 7

 

(Modifica all'articolo 14 della legge 20 febbraio 2006, n. 82, recante disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l'Organizzazione comune di mercato (OCM) del vino)

 

 

1. Il comma 8 dell'articolo 14 della legge 20 febbraio 2006, n. 82, e successive modificazioni, è abrogato.

 

 

L’articolo 7, non modificato dalla Commissione, dispone l’abrogazione della norma (art. 14, comma 8, della legge n. 82/2006) che impone ai laboratori di analisi, i quali sottopongano ad analisi ufficiale qualsiasi prodotto vinoso, di effettuare la ricerca sistematica dei denaturanti dalla stessa legge previsti. La norma abrogata prevede inoltre che il risultato delle analisi debba essere riportato sul certificato di analisi chimica mentre la eventuale irregolarità rilevata va segnalata al competente ufficio periferico dell’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari.

La relazione di presentazione del disegno di legge afferma al riguardo che “sebbene la finalità della norma sia quella di impedire, attraverso un'estensione dei controlli analitici, che prodotti avviati alla distillazione (vini e fecce) vengano destinati al consumo umano attraverso la miscelazione con altri vini, si rileva, tuttavia, che la disposizione richiamata si somma a un ampio e puntuale sistema di controllo già previsto dalla normativa nazionale e comunitaria circa gli obblighi di distillazione, di distruzione o, comunque, di destinazione ad altri usi industriali dei sottoprodotti della vinificazione e dei prodotti vinosi esclusi dal consumo umano diretto”. La eliminazione dell’obbligatorietà della verifica di cui sopra quindi non porterebbe alcun indebolimento dei sistema dei controlli ampiamente previsto dalle attuali norme nazionali e comunitarie e consentirebbe invece dei risparmi di spesa, rendendo più efficace ed efficiente l’azione amministrativa.

 

La legge n. 82/2006, che reca disposizioni di attuazione delle norme comunitarie che regolano la OCM vitivinicola, dispone che siano denaturati addizionandoli con una sostanza rivelatrice taluni prodotti vinosi, segnatamente i mosti con titolo alcolometrico inferiore all’8% in volume (art. 8, co. 1), il vino con acidità volatile superiore a determinati valori (art. 10, co. 3), mosti e vini non rispondenti a determinati requisiti (art. 11, co. 3), le fecce di vino prima di essere trasferite fuori cantina (art. 14, co.5), i sidri con fermentazione acetica che vengano destinati alle distillerie ed i mosti e vini che debbano essere estratti da un acetifico per essere destinati ad una distilleria o avviati alla distruzione (art. 24).

I provvedimenti di attuazione, adottati con il D.M. 31 luglio 2006[20] e D.M. 4 aprile 2007[21], prevedono che la denaturazione dei prodotti avvenga per addizione di cloruro di litio nella misura compresa fra 5 e 10 grammi per ogni cento litri di prodotto fatta eccezione per i vini destinati ad un acetifico che debbono essere denaturati con sale alimentare.


Art. 7-bis

 

(Misure per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole)

 

 


1. Ai fini della riduzione dell'impatto da nitrati dovuto alla produzione di deiezioni e di lettiere avicole, in applicazione della direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, e successive modificazioni, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, al comma 1 dell'articolo 2-bis del decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 205, dopo la parola: «l'essiccazione» sono inserite le seguenti: «nonché la pollina previa autorizzazione degli enti competenti per territorio».


 

 

L’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, novella l’art. 2-bis, comma 1, del D.L. 171/2008 (convertito dalla legge 205/2008) al fine di consentire, previa autorizzazione degli enti competenti per territorio, di considerare la pollina (cioè le deiezioni di volatili da cortile) - qualora destinata alla combustione nel medesimo ciclo produttivo - come sottoprodotto (e quindi non come rifiuto) soggetto alla disciplina di cui alla sezione 4 della parte II dell'allegato X alla parte quinta del D.Lgs. 152/2006.

Si ricorda, in proposito, che l'allegato X alla parte quinta del D.Lgs. 152/2006 reca la disciplina dei combustibili utilizzabili negli impianti disciplinati dal titolo I della parte quinta del medesimo decreto[22]. In particolare la parte II dell'allegato disciplina le caratteristiche merceologiche dei combustibili e metodi di misura. La sezione 4 della parte II reca le caratteristiche delle biomasse combustibili e relative condizioni di utilizzo.

 

L’articolo in esame consente di attribuire la qualifica di sottoprodotto alla pollina a prescindere dalle condizioni richieste dall’art. 183 del D.Lgs. 152/2006, cui invece fa riferimento l’art. 185, comma 2, del medesimo decreto, ai sensi del quale possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni del comma 1, lettera p), dell'articolo 183 anche i “materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas”.

Si ricorda che le citate condizioni poste dall’art. 183, comma 1, lett. p) del D.Lgs. 152/2006 richiedono, affinché tali materiali siano qualificati come sottoprodotti, che 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato.

 

La finalità della norma, enunciata dalla norma stessa, è quella di limitare - in applicazione della direttiva 91/676/CEE[23] - l’inquinamento da nitrati delle acque derivante dalla produzione di deiezioni e lettiere avicole.

 


Art. 7-ter

 

(Semplificazioni in materia di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche)

 

 


1. Ai fini dell'elaborazione delle quote di mercato di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e successive modificazioni, nonché per consentire l'adempimento degli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui all'articolo 17, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 151 del 2005, entro il 31 dicembre 2009 i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche comunicano al registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, con le modalità di cui all'articolo 3 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 25 settembre 2007, n. 185, i dati relativi alle quantità e alle categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato negli anni 2007 e 2008. I medesimi produttori sono tenuti contestualmente a conformare o rettificare il dato relativo alle quantità e alle categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nell'anno 2006 comunicato al citato registro all'atto dell'iscrizione. 

2. Per consentire l'adempimento degli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, i sistemi collettivi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche o, nel caso di produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche professionali non aderenti a sistemi collettivi, i singoli produttori, comunicano, entro il 31 dicembre 2009, al registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, con le modalità di cui all'articolo 3 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 25 settembre 2007, n. 185, i dati relativi al peso delle apparecchiature elettriche ed elettroniche raccolte attraverso tutti i canali e reimpiegate, riciclate e recuperate nell'anno 2008, suddivise secondo le categorie di cui all'allegato 1A annesso al decreto legislativo n. 151 del 2005, e, per quanto riguarda la raccolta, in domestiche e professionali».


 

 

L’articolo 7-ter, introdotto in sede d’esame in Commissione[24],  prevede l’obbligo, in capo ai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), di comunicazione al Registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) - da espletarsi entro il 31 dicembre 2009 (terminedi cui andrebbe verificata la congruità, in relazione all’iter del provvedimento) e con le modalità previste dall’art. 3 del D.M. 185/2007 - dei dati relativi alle quantità ed alle categorie di AEE immesse sul mercato negli anni 2007-2008 (comma 1). Lo stesso comma dispone che i produttori sono tenuti contestualmente a conformare o rettificare il dato relativo all'anno 2006 comunicato al Registro al momento dell'iscrizione. Il comma 2 introduce per i sistemi collettivi di gestione dei RAEE obblighi di comunicazione analoghi a quelli previsti dal comma 1.

 

Il comma 1 precisa che l’obbligo in esso previsto è finalizzato:

§      all'elaborazione delle quote di mercato di cui all'art. 15 del D.Lgs. 151/2005 (v. infra);

§      all'adempimento degli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui all'art. 17, comma 1, del medesimo decreto.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 17 del D.Lgs. 151/2005 il Ministero dell'ambiente trasmette alla Commissione europea, a decorrere dall'anno 2008 e, successivamente, ogni due anni, entro il 30 giugno, le informazioni di cui all'articolo 13, commi 6 e 7, relative al biennio precedente, secondo il formato adottato in sede comunitaria. Le prime informazioni riguardano il biennio 2005-2006.

Relativamente al citato art. 13, commi 6 e 7, si ricorda che tali commi impongono ai produttori (anche qualora si avvalgano dei mezzi di comunicazione a distanza di cui al decreto legislativo n. 185 del 1999) di comunicare annualmente al Registro nazionale la quantità e le categorie di AEE immesse sul mercato, raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate, fatto salvo quanto stabilito dalle disposizioni vigenti in materia di segreto industriale, nonché le indicazioni relative alla garanzia finanziaria prevista dal presente decreto.

 

Lo stesso comma dispone altresì che i medesimi produttori sono tenuti contestualmente a conformare o rettificare il dato relativo all'anno 2006 comunicato al Registro al momento dell'iscrizione.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 14 del D.Lgs. 151/2005, al fine di controllare la gestione dei RAEE e di definire le quote di mercato, ha previsto l’istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, di un Registro nazionale dei soggetti tenuti al finanziamento dei sistemi di gestione dei RAEE.

Tale registro è stato poi istituito con il D.M. 25 settembre 2007, n. 185, il cui art. 3 dispone, tra l’altro, che all'atto dell'iscrizione (da effettuarsi entro il 18 febbraio 2008[25] o comunque prima che il produttore inizi ad operare nel mercato italiano) al Registro il produttore deve indicare, tra l’altro, “per ciascuna categoria di apparecchiature di cui all'allegato 1A del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, come ulteriormente suddivisa nell'allegato 1B del medesimo decreto legislativo, il numero e il peso effettivo, o il solo peso effettivo, delle apparecchiature immesse sul mercato nell'anno solare precedente, suddivise tra apparecchiature domestiche e professionali. Tale ultima suddivisione non si applica alle apparecchiature di illuminazione in conformità al disposto dell'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151”.

L’iscrizione va effettuata presso la Camera di commercio che garantisce la trasmissione delle informazioni, attraverso l’interconnessione telematica diretta, al Comitato di vigilanza e all’ISPRA. È infatti compito del Comitato di vigilanza e di controllo (responsabile della tenuta del Registro), assistito dal Comitato di indirizzo sulla gestione dei RAEE, di calcolare le rispettive quote di mercato dei produttori per l’attribuzione delle responsabilità di finanziamento corrispondenti (art. 15, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 151/2005).

Si ricorda altresì che l’art. 6 del D.M. 185/2007 prevede che i produttori di AEE comunicano con cadenza annuale al Comitato di vigilanza e controllo i dati previsti ai commi 6 e 7 dell'articolo 13 del D.Lgs. 151/2005 (v. supra) e che le informazioni sono fornite per via telematica e riguardano, per ciascuna categoria di apparecchiature di cui all'allegato 1A del D.Lgs. 151/2005, come ulteriormente suddivisa nell'allegato 1B del medesimo decreto legislativo:

a) il numero e il peso effettivo o il solo peso effettivo delle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nell'anno solare precedente, suddivise tra apparecchiature domestiche e professionali. Tale ultima suddivisione non si applica alle apparecchiature di illuminazione in conformità al disposto dell'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151;

b) il peso delle apparecchiature elettriche ed elettroniche raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate nell'anno solare precedente; in caso di adesione ad un sistema collettivo, le predette informazioni sono comunicate dal sistema collettivo per conto di tutti i produttori ad esso aderenti.

 

Il comma 2 introduce per i sistemi collettivi di gestione dei RAEE obblighi di comunicazione analoghi a quelli previsti dal comma 1.

Viene infatti previsto che, sempre per consentire l'adempimento degli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui all'art. 17, comma 1, del D.Lgs. 151/2005, i sistemi collettivi di gestione dei RAEE o, nel caso di produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche professionali non aderenti a sistemi collettivi, i singoli produttori, comunicano entro il 31 dicembre 2009 al Registro nazionale e sempre con le modalità di cui all'art. 3 del D.M. 185/2007, i dati relativi al peso delle AEE raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate nel 2008, suddivise secondo l'allegato 1A del D.Lgs. 151/2005 e, per quanto riguarda la raccolta, in domestiche e professionali.

Si ricorda, infatti, che anche per i sistemi collettivi è previsto l’obbligo di iscrizione nel Registro nazionale. Ai sensi dell’art. 14, comma 1, del D.Lgs. 151/2005, infatti, all'interno di tale registro è prevista una sezione relativa ai sistemi collettivi o misti istituiti per il finanziamento della gestione dei RAEE.

 

In sostanza la norma sembra prevedere una proroga (di cui andrebbe verificata la congruità del termine, fissato al 31 dicembre 2009) dei termini relativi agli obblighi di comunicazione per gli anni 2007 e 2008, consentendo altresì una rettifica dei dati relativi al 2006.

Al riguardo si osserva che l’articolo 16, comma 8 del D.Lgs. 151/2005 commina al produttore che non adempie agli obblighi di comunicazione nei termini e nei modi sopra richiamati una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 20.000 euro.

Occorrerebbe pertanto chiarire se la modifica della norma in esame interviene anche sull’applicazione della predetta sanzione.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 3 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una proposta di rifusione della direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) (COM(2008)810), intesa a migliorare, attraverso la rifusione, la normativa esistente (direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche - RAEE) in particolare:

·       riducendo i costi amministrativi tramite l'eliminazione di tutti gli oneri amministrativi superflui, senza abbassare il livello di tutela dell'ambiente;

·       migliorando l'efficacia e l'attuazione della direttiva attraverso meccanismi che garantiscano un maggiore rispetto delle disposizioni, e riducendo comportamenti opportunistici (il cosiddetto freeriding);

·       riducendo gli impatti sull'ambiente della raccolta, del trattamento e del recupero dei RAEE fino a livelli che permettano di ottenere i maggiori benefici per la società.

La proposta della Commissione, inoltre, intende fissare un nuovo obiettivo di raccolta dei RAEE, pari al 65%, da raggiungere ogni anno a partire dal 2016, stabilito in funzione della quantità media di AEE immesse sul mercato nei due anni precedenti. Eventuali misure transitorie per gli Stati membri e una rivalutazione del tasso nel 2012, da parte del Parlamento europeo e del Consiglio sulla base di una proposta della Commissione, dovrebbero introdurre elementi di flessibilità. In materia di riciclaggio, infine, la Commissione propone alcune modifiche volte a favorire il riutilizzo degli apparecchi interi e dei dispositivi medici.

Si segnala che, sempre il 3 dicembre 2008, la Commissione ha presentato una proposta di rifusione della direttiva sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (COM(2008)809) intesa a migliorare la normativa esistente (direttiva 2002/95/CE nota anche come direttiva RoHS – Restriction of Hazardous Substances) chiarendone e semplificandone i meccanismi di funzionamento, perfezionando l'attività di controllo dell'applicazione a livello nazionale, e garantendo l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico nonché la coerenza con altre normative comunitarie.

Le due proposte, che seguono la procedura di codecisione, fanno parte di un pacchetto che potrebbe essere esaminato dal Consiglio entro la fine del 2009 in vista dell’esame in prima lettura da parte del Parlamento europeo, previsto entro la primavera del 2010.

 

 


Art. 7-quater

 

(Modifiche al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, concernenti l'inclusione di alcuni ingredienti nell'etichettatura dei prodotti alimentari)

 

 


1. Alla sezione III dell'allegato 2 annesso al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, come modificata dall'articolo 27 della legge 7 luglio 2009, n. 88, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al numero 1, alla lettera a), le parole: «incluso destrosio, e prodotti derivati, purché» sono sostituite dalle seguenti: «incluso destrosio, nonché prodotti derivati purché» e, alla lettera b), le parole: «a base di grano e prodotti derivati, purché» sono sostituite dalle seguenti: «a base di grano, nonché prodotti derivati purché»;

b) al numero 6, lettera a), le parole: «grasso di soia raffinato e prodotti derivati, purché» sono sostituite dalle seguenti: «grasso di soia raffinato, nonché prodotti derivati purché».


 

 

L’articolo, introdotto in sede d’esame in Commissione, apporta talune modifiche formali alla sezione III dell’allegato 2 del decreto legislativo n. 109/92[26] che individua gli allergeni alimentari, rendendo le norme interne più aderenti al tenore delle disposizioni comunitarie in materia[27].

In particolare la sezione III reca l’elenco (organizzato in categorie quali cereali, crostacei, pesce e molluschi, uova, soia, latte ecc.) dei prodotti e relativi derivati che debbono considerarsi allergizzanti, nel contempo escludendo che taluni specifici prodotti, e derivati, presentino tale carattere.

Non vanno pertanto considerati allergeni alimentari, tra gli altri, né gli sciroppi di glucosio né le maltodestrine a base di grano (e derivati) e neppure l’olio e grasso di soia raffinato (e derivati), a condizione che il “processo subìto non aumenti il livello di allergenicità valutato dall’EFSA per il prodotto di base dal quale sono derivati”.  

La attuale redazione delle disposizioni induce ad applicare la condizione della invarianza della allergenicità sia ai prodotti che ai relativi derivati, mentre le rettifiche che si apportano con le norme in commento sono finalizzate a richiedere l’invarianza del livello di allergenicità per i soli prodotti derivati, tale peraltro essendo il tenore dell’allegato III bis della direttiva 2007/68/CE.

 

La sezione III è stata da ultimo integralmente sostituita dall’art. 27 della legge n. 88/2008 Comunitaria 2008 allo scopo di recepire la riclassificazione degli allergeni alimentari disposta dalla direttiva 2007/68/CE[28] che ha integrato l’elenco degli ingredienti o altre sostanze capaci di provocare un’ipersensibilità con taluni degli ingredienti in precedenza temporaneamente esclusi da tale classificazione in quanto oggetto di valutazione scientifica. Per la restante parte degli ingredienti oggetto di studio è stato invece escluso, in via definitiva, il carattere allergenico.

L’inserimento di un ingrediente o una sostanza nell’allegato III comporta l’obbligo di menzionarne la presenza nelle etichette.

 


Art. 7-quinquies

 

(Delega al Governo per il recepimento della direttiva 2007/61/CE, relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana)

 

 


1. All'articolo 19 della legge 7 luglio 2009, n. 88, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per il riassetto della vigente normativa attuativa della direttiva 2001/114/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001, relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana, come modificata dalla direttiva 2007/61/CE del Consiglio, del 26 settembre 2007, ferma restando la disciplina vigente in materia di latte destinato ai lattanti e alla prima infanzia, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali di cui alla presente legge e nel rispetto del principio di differenziazione degli ambiti di disciplina tecnica e normativa. Il decreto legislativo è adottato su proposta del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze, delle politiche agricole alimentari e forestali, del lavoro, della salute e delle politiche sociali e per i rapporti con le regioni, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta, intendendosi espresso avviso favorevole in caso di inutile decorrenza del predetto termine, e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari secondo le procedure di cui all'articolo 1, comma 3. Il decreto legislativo prevede, in particolare, che le modificazioni da apportare, in recepimento di direttive comunitarie, alle indicazioni tecniche recate dagli allegati annessi al medesimo decreto legislativo siano adottate con decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri del lavoro, della salute e delle politiche sociali e delle politiche agricole alimentari e forestali, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta, intendendosi espresso avviso favorevole in caso di inutile decorrenza del predetto termine»; 

b) alla rubrica, le parole: «Disposizioni per il parziale recepimento» sono sostituite dalla seguente: «Recepimento».


 

 

L’articolo in commento, introdotto in sede d’esame in Commissione, integra con la lettera a) l’art. 19 della legge comunitaria 2008 (legge n. 88/2009), aggiungendovi un comma 1-bis, volto aconferire una delega al Governo per il riordino delle norme in materia di latte alimentare parzialmente o totalmente disidratato, che tenga conto delle modifiche recate alla materia dalla direttiva 2007/61/CE; sono altresì definite le modalità di adozione del provvedimento delegato.

La lettera b) modifica la rubricazione dello stesso art. 19 in coerenza con la nuova delega.

 

L'articolo 19 della legge n. 88/09 ha abrogato l'art. 2 del decreto legislativo n. 49 del 2004[29], che consentiva l'aggiunta di vitamine nella produzione di alcuni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana, dando parziale attuazione alla direttiva 2007/61/CE[30] che ha recato analoga modifica alla direttiva 2001/114/CE[31].

Le restanti modifiche, apportate alla direttiva 2001/114/CE dalla direttiva 2007/61/CE, incidono sulla denominazione e definizione dei prodotti e poiché richiedono un adeguamento tecnico delle norme interne debbono essere recepite con semplici provvedimenti amministrativi.

Il primo periodo della lettera a) stabilisce che la delega deve essere esercitata entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore della legge n. 88/2009, facendo salve le disposizioni in materia di latte destinato ai lattanti ed alla prima infanzia[32], secondo i principi e criteri direttivi generali di cui ai precedenti articoli della stessa legge comunitaria 2008 e “nel rispetto dell’ambito legislativo o amministrativo al quale le disposizioni dovranno afferire” (cioè, sembrerebbe di capire, nel rispetto del principio di differenziazione degli ambiti di disciplina tecnica e normativa).

Il secondo periodo della lettera a) attribuisce all’iniziativa congiunta dei Ministri delle politiche comunitarie e dello sviluppo economico la definizione della proposta di decreto, che deve essere adottata con il concerto dei Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e finanze, delle politiche agricole, del lavoro, della salute e delle politiche sociali e per i rapporti con le regioni.

Prima dell’adozione debbono inoltre essere acquisiti il parere della Conferenza Stato-regioni, che va inteso in senso favorevole qualora non sia  espresso entro il termine di 30 giorni dalla richiesta, e delle competenti Commissioni parlamentari che, ai sensi dell’art. 1, co. 3 della stessa legge n. 88/2009, debbono esprimersi entro 40 giorni dalla trasmissione del testo, decorsi i quali il decreto può comunque essere emanato. Il parere parlamentare deve essere richiesto dopo aver già acquisito tutti gli altri pareri previsti dalla legge. Infine, qualora il termine fissato per l’espressione di tale parere venga a spirare nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di 90 giorni.

Il terzo periodo della lettera a) stabilisce che le future modifiche agli allegati tecnici del decreto legislativo debbano essere adottate con un provvedimento interministeriale -  dei dicasteri dello sviluppo economico, del lavoro, della salute e delle politiche sociali e delle politiche agricole - acquisito il parere della Conferenza Stato-regioni. Si prevede pertanto – come consuetudine in presenza di ambiti che richiedono estese normative tecniche – che la disciplina iniziale sia dettata con norme di rango legislativo e sia poi soggetta ad una delegificazione “spuria”.

 

In connessione con la delega conferita per il più ampio recepimento della direttiva comunitaria 2007/61/CE, anche la rubrica dell’articolo 19 è modificata sostituendo con la lettera b) dell’articolo in commento le parole “Disposizioni per il parziale recepimento” con “Recepimento”.

Procedure di contenzioso

Il 25 giugno 2009 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato ex. art. 226 TCE per mancato recepimento della direttiva 2007/61/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana (procedura di infrazione 2008/680).

 


Art. 7-sexies

 

(Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio relativo al finanziamento della politica agricola comune e modifiche all'articolo 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, in tema di sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo)

 

 


1. Al fine di garantire il corretto adempimento di quanto disposto dall'articolo 31 del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, e successive modificazioni, relativo al finanziamento della politica agricola comune, all'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, dopo le parole: «interventi e misure sul mercato agricolo» sono inserite le seguenti: «nonché alle altre finalità istituzionali dell'AGEA medesima».

2. All'articolo 2, comma 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 898, e successive modificazioni, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 5.000 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa di cui agli articoli seguenti».


 

 

L’articolo in esame, introdotto durante in sede d’esame in Commissione, si compone di due commi, riguardanti – rispettivamente – le risorse attribuite all’AGEA e le sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo.

 

Il comma 1 novella l’articolo 1-bis, comma 2 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81. Quest’ultima disposizione ha disposto la confluenza su un unico conto corrente (n. 20082), acceso presso la Tesoreria centrale dello Stato, di tutte le risorse assegnate all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), e destinate alla realizzazione degli interventi disposti dalle autorità nazionali per i comparti agricoli e agroalimentari. Tali risorse devono essere trasferite su apposito capitolo istituito all’entrata nel bilancio dell’Azienda.

La novella introdotta dal comma in esame è finalizzata ad ampliare il novero delle risorse che affluiscono sul citato conto corrente, includendovi, oltre quelle destinate all’attuazione di interventi e misure sul mercato agricolo, anche le risorse destinate alle altre finalità istituzionali dell’Agenzia. In sostanza, la ratio della norma consiste nel dare la possibilità all’AGEA di utilizzare le risorse stanziate per gli aiuti nazionali (che non sempre possono essere utilizzate integralmente, in forza della disciplina europea sugli aiuti di Stato) anche per dare attuazione alle politiche comunitarie e ad eventuali obblighi imposti dall’Unione europea. In questo quadro si inscrive il richiamo all’articolo 31 del regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, e successive modificazioni, relativo al finanziamento della politica agricola comune[33].

Data la finalità della norma, andrebbe valutata l’opportunità di verificare se la novella non debba essere riferita, piuttosto che al conto corrente di Tesoreria, alla denominazione del capitolo in entrata dell’AGEA, che dovrebbe includere anche le risorse destinate alle altre finalità istituzionali dell’Agenzia.

 

 

Il comma 2 novella l’articolo 2, comma 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 898[34], al fine di elevare da 3.999,96 a 5.000 euro il tetto entro il quale l’indebita percezione di aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale è punita esclusivamente con una sanzione amministrativa (l’indebita percezione di somme superiori al tetto comporta la reclusione da sei mesi a tre anni).


Art. 7-septies

 

(Modifiche alla legge 7 luglio 2009, n. 88, e alla legge 20 febbraio 2006, n. 77, in materia di organizzazione comune del mercato vitivinicolo)

 

 


1. La lettera a) del comma 1 dell'articolo 15 della legge 7 luglio 2009, n. 88, è sostituita dalla seguente:

«a) preservare e promuovere l'elevato livello qualitativo e di riconoscibilità dei vini a denominazione di origine e indicazione geografica, anche attraverso interventi di valorizzazione e diffusione della tradizione e delle produzioni enologiche dei siti italiani UNESCO, di cui all'articolo 4 della legge 20 febbraio 2006, n. 77, e successive modificazioni»;

2. Ai fini di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 15 della legge 7 luglio 2009, n. 88, come modificata dal comma 1 del presente articolo, alla legge 20 febbraio 2006, n. 77, sono apportate le seguenti modificazioni: 

a) all'articolo 4: 

1) al comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

«d-bis) alla valorizzazione e alla diffusione del patrimonio enologico caratterizzante il sito, nell'ambito della promozione del complessivo patrimonio tradizionale enogastronomico e agro-silvo-pastorale»;

2) al comma 2, dopo le parole: «d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio» sono inserite le seguenti: «e del mare, con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali»;

b) all'articolo 5, comma 3, le parole: «Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio designa» sono sostituite dalle seguenti: «Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali designano ciascuno». 


 

 

L’articolo in commento, introdotto in sede d’esame in Commissione, modifica l’art. 15 della legge comunitaria 2008, il quale conferisce una delega al Governo per l’adeguamento delle disposizioni nazionali alla riforma della OCM vitivinicola, e gli artt. 4 e 5 della legge n. 77/06, che ha recato disposizioni speciali per la tutela e fruizione dei siti nazionali posti sotto la protezione Unesco, allo scopo di rafforzare la tutela delle produzioni vinicole di pregio che si fregiano di una DOC o IGP.

 

L’articolo 15 della legge n. 88/09 è intervenuto in materia di organizzazione del mercato vitivinicolo conferendo al Governo una delega per l’attuazione del recente regolamento (CE) n. 479/2008, che ha modificato radicalmente il regime comunitario applicabile al settore.

Come previsto, il regolamento 479/08 è stato da ultimo incorporato nel regolamento unico OCM dal Reg. (CE) n. 491/2009[35] che si applica a decorrere dal 1° agosto 2009.

Il comma 1 dell’articolo 15 ha stabilito il termine di sei mesi per l'emanazione delle norme che debbono assicurare la piena integrazione fra la normativa nazionale e quella dell’Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo (OCM), ed individua con le lettere  a) - f) i princìpi ed i criteri direttivi cui ispirarsi che consistono: nella conservazione e nella promozione dell'elevata qualità e riconoscibilità dei vini con marchio DOC e IGP (lettera a)); nella nuova definizione del ruolo del Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione dei suddetti vini (lettera b)); nella garanzia di trasparenza del settore vitivinicolo tramite adozione di adeguati strumenti di contrasto della contraffazione, dell'usurpazione e dell'imitazione (lettera c)); nell'ottimizzazione del coordinamento amministrativo tra Ministero delle politiche agricole e le regioni, in particolare per quanto attiene ai problemi gestioni dei vini a denominazione di origine o indicazione geografica protetta (lettera d)); nella semplificazione delle procedure a carico dei produttori (lettera e)) e nella revisione del sistema di controllo e di quello sanzionatorio al fine di garantire efficacia e applicabilità (lettera f)).

 

La novella recata dal comma 1 integra il principio e criterio direttivo di cui alla lettera a) dell’articolo 15 prevedendo che nell’esercizio della delega le norme volte alla valorizzazione e diffusione delle produzioni enologiche di pregio dovranno estendersi alle produzioni ricadenti nei siti UNESCO di cui all’art. 4 della legge n. 77/2006[36].

A tal fine il comma 2, lettera a) modifica l’articolo 4 della legge n. 77 che individua gli interventi, e quantifica le risorse, da realizzare nei siti italiani UNESCO, includendovi le misure di valorizzazione del patrimonio enologico e del complessivo patrimonio enogastronomico e agro-silvo-pastorale nazionale; la lettera b) del medesimo comma modifica l’articolo 5 della stessa legge n. 77 attribuendo la designazione di tre dei componenti della “Commissione consultiva per i piani di gestione dei siti Unesco e per i sistemi turistici locali” non più alla esclusiva competenza del Ministro dell’ambiente ma a quella congiunta dei Ministri dell’ambiente e dell’agricoltura.

 

La Commissione consultiva citata, istituita presso il Ministeri per i beni e le attività culturali, è un organismo collegiale costituito per fornire ai Siti italiani, iscritti nella lista del Patrimonio Mondiale, orientamenti e consulenze per la predisposizione dei piani di gestione che debbono essere diretti alla conservazione e valorizzazione dei siti (art. 3 della legge n. 77).

La lista del Patrimonio mondiale dell’UNESCO ricomprende i beni culturali o naturali considerati di valore eccezionale per l’intera umanità e la Convenzione UNESCO, ratificata dall’Italia con la legge n. 184 del 1977, definisce  “patrimonio naturale”:

-        i monumenti naturali costituiti da formazioni fisiche e biologiche o da gruppi di tali formazioni di valore universale eccezionale dall’aspetto estetico o scientifico;

-        le formazioni geologiche e fisiografiche e le zone strettamente delimitate costituenti l’habitat di specie animali e vegetali minacciate, di valore universale eccezionale dall’aspetto scientifico o conservativo

-        i siti naturali o le zone naturali strettamente delimitate di valore universale eccezionale dall’aspetto scientifico, conservativo o estetico naturale

 

 


Art. 7-octies

 

(Vendita e somministrazione di bevande alcoliche in aree pubbliche)

 

 


1. Il comma 2 dell'articolo 14-bis della legge 30 marzo 2001, n. 125, è sostituito dal seguente:

«2. Chiunque vende o somministra alcolici su spazi o aree pubblici diversi dalle pertinenze degli esercizi di cui al comma 1, fatta eccezione per la vendita e la somministrazione di alcolici effettuate in occasione di fiere, sagre o altre riunioni straordinarie di persone ovvero in occasione di manifestazioni in cui si promuovono la produzione o il commercio di prodotti tipici locali, previamente autorizzate, nonché per la vendita di bevande alcoliche su aree pubbliche da parte degli operatori commerciali autorizzati ai sensi delle pertinenti discipline di settore, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 12.000. Se il fatto è commesso dalle ore 24 alle ore 7, anche attraverso distributori automatici, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000. Per le violazioni di cui al presente comma è disposta anche la confisca della merce e delle attrezzature utilizzate».


 

 

L’articolo 7-octies, introdotto in sede d’esame in Commissione,  è volto a novellare il comma 2 dell’articolo 14-bis della legge n. 125/2001[37], introdotto dalla legge comunitaria 2008, che prevede specifiche sanzioni per la vendita o somministrazione di bevande alcoliche in aree pubbliche diverse dalle pertinenze degli esercizi muniti di apposita licenza.

In particolare per tale violazione è prevista la sanzione amministrativa da 2.000 euro a 12.000 euro. La sanzione è di maggiore entità (da 5.000 euro a 30.000 euro) nel caso la violazione sia commessa dalle ore 24 alle ore 7, anche tramite distributori automatici.

Si prevede anche la confisca della merce e delle attrezzature utilizzate.

 

La modifica in esame è diretta a consentire, in deroga alla previsione sanzionatoria, la vendita e la somministrazione di bevande alcolichein occasione di fiere, sagre o altre riunioni straordinarie o di manifestazioni promozionali di prodotti tipici locali, previamente autorizzate, e su aree pubbliche da parte degli operatori commerciali autorizzati ai sensi delle relative discipline di settore.

 


Art. 8

 

(Delega al Governo per l'attuazione di decisioni quadro)

 

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare completa attuazione alle seguenti decisioni quadro:

a) decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti;

b) decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali;

c) decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti;

d) decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati, nel rispetto dell'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell'interno, dell'economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati.

3. Fermo restando quanto previsto dell'articolo 9, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono adottati nel rispetto delle disposizioni previste dalle decisioni quadro, dei principi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e d), nonché dei seguenti princìpi e criteri direttivi, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti:

a) introdurre tra i reati di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, le fattispecie criminose indicate nelle decisioni quadro di cui al comma 1 del presente articolo, con la previsione di adeguate e proporzionate sanzioni pecuniarie e interdittive nei confronti degli enti nell'interesse o a vantaggio dei quali è stato commesso il reato;

b) attribuire a organi di autorità amministrative esistenti, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri aggiuntivi a carico dello Stato, il compito di svolgere l'attività di punto di contatto per lo scambio di informazioni e per ogni altro rapporto con autorità straniere previsto dalle decisioni quadro di cui al comma 1.

4. Gli schemi dei decreti legislativi sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari. Decorsi sessanta giorni dalla data di trasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza del parere. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma, ovvero i diversi termini previsti dai commi 5 e 7, scadano nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti dai commi 1 o 6 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di sessanta giorni.

5. Gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle decisioni quadro che comportano conseguenze finanziarie sono corredati della relazione tecnica di cui all'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

6. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può adottare, con la procedura indicata nei commi 2, 3, 4 e 5, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del citato comma 1.

7. Il Governo, quando non intende conformarsi ai pareri parlamentari di cui al comma 4, ritrasmette con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni i testi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.


 

 

L’articolo 8 delega il Governo, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, alla piena attuazione nell’ordinamento nazionale delle seguenti quattro decisioni quadro in materia penale.

 

a) decisione quadro 2001/413/GAI[38] del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti (per la cui descrizione si rinvia alla scheda relativa all’art. 9);

 

b) decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali;

 

Il termine per l’attuazione della decisione quadro è scaduto il 5 dicembre 2004.

L’articolo 1 della decisione quadro prescrive agli Stati membri l’adozione di misure necessarie affinché gli illeciti definiti negli articoli 1 e 2 della direttiva 2002/90/CE siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che possono comportare l'estradizione, eventualmente accompagnate da ulteriori misure accessorie amministrative (espulsione, confisca del mezzo usato, interdizione dall’attività professionale, ecc)

L’art. 1 della Dir. 2002/90/CE prevede che ogni Stato membro adotta sanzioni appropriate: a) nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti una persona che non sia cittadino di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa all'ingresso o al transito degli stranieri; b) nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti, a scopo di lucro, una persona che non sia cittadino di uno Stato membro a soggiornare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa al soggiorno degli stranieri. L’art. 2 della stessa direttiva prevede che si sanzioni allo stesso modo l’istigazione e il tentativo dei comportamenti sopradescritti.

Analoghe misure dovranno essere adottate per garantire che anche le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili di tali illeciti.

Nell’ordinamento italiano si richiama l’art. 12 del TU Immigrazione (D.Lgs 286 del 1998) che in particolare:

§       al comma 1, prevede il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, destinato a colpire coloro che compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La sanzione è la reclusione da uno a cinque anni e la multa fino a 15.000 euro per ogni persona;

§       al comma 3, prevede il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina, destinato a colpire coloro che al fine di trarre profitto, anche indiretto, compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La sanzione è la reclusione da quattro a quindici anni e la multa di 15.000 euro per ogni persona;

§       al comma 5, punisce con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a 15.493 euro chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del testo unico.

La medesima disposizione prevede specifiche circostanze aggravanti e attenuanti.

In proposito, si segnala che il ddl sicurezza (AS 733-B, attualmente all’esame del Senato in terza lettura) interviene sulla disciplina del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui all’art. 12 del T.U. dell’immigrazione, in particolare ridefinendo le condotte che ne integrano la fattispecie e modificando le pene e intervenendo sulle aggravanti e prevede l’operatività dell’ipotesi aggravata del reato di associazione per delinquere anche nel caso di associazione diretta a commettere il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravato di cui all’art. 12, c. 3-bis, del T.U. sull’immigrazione.

 

c) decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti;

 

Il termine di recepimento della decisione quadro è scaduto 12 maggio 2006.

Il provvedimento, dopo aver fornito le definizioni di stupefacenti e “precursori” (art. 1), all’art. 2 prevede che – con esclusione della detenzione per uso personale come definita dalle rispettive legislazioni nazionali – gli Stati membri adottino sanzioni di natura detentiva in merito alle seguenti condotte illecite, ascrivibili anche alle persone giuridiche:

a) la produzione, la fabbricazione, l'estrazione, la preparazione, l'offerta, la commercializzazione, la distribuzione, la vendita, la consegna a qualsiasi condizione, la mediazione, la spedizione, la spedizione in transito, il trasporto, l'importazione o l'esportazione di stupefacenti;

b) coltura del papavero da oppio, della pianta di coca o della pianta della cannabis;

c) detenzione o acquisto di stupefacenti allo scopo di porre in essere una delle attività sopraccitate;

d) fabbricazione, trasporto, e distribuzione di precursori, quando la persona che compie tali atti sia a conoscenza del fatto che essi saranno utilizzati per la produzione o la fabbricazione illecite di stupefacenti.

La decisione prevede che gli Stati membri adottino, per gli indicati reati pene detentive della durata massima compresa tra almeno 1 e 3 anni e prescrive l’adozione di circostanze aggravanti ed attenuanti nonché di specifiche sanzioni pecuniarie e amministrative applicabili alle persone giuridiche.

Nell’ordinamento italiano, si ricorda che la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope sono puniti dall’art. 73 testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (DPR 9 ottobre 1990, n. 309).

Il disegno di legge S. 1080 delega il Governo a dare attuazione a tre regolamenti comunitari in tema di precursori di droghe apportando le necessarie modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (DPR 9 ottobre 1990, n. 309.

 

d) decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta contro la criminalità organizzata.

 

La decisione quadro, da recepire entro l'11 maggio 2010, è finalizzata a consolidare le misure di lotta contro la criminalità organizzata all'interno dell'Unione europea. Tale obiettivo costituisce una delle priorità poste dal Programma dell’Aia del 2005 per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia.

In particolare, l’articolo 2 della decisione quadro prevede l’adozione di misure da parte degli Stati membri al fine di considerare reato:

a) la partecipazione attiva (oltre che intenzionale e consapevole) alle attività criminali di un’organizzazione criminale (come definita dall’articolo 1) ivi compresi la fornitura di informazioni o mezzi materiali, il reclutamento di nuovi membri nonché qualsiasi forma di finanziamento delle sue attività (passibile in base all’articolo 3 di una pena privativa della libertà di durata massima compresa tra due e cinque anni);

b) l’intesa da parte di una persona con una o più altre persone per porre in essere un'attività che, se attuata, comporterebbe la commissione di reati di cui all'articolo 1 (reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore a quattro anni), anche se la persona in questione non partecipa all'esecuzione materiale dell'attività (passibile in base all’articolo 3 di una pena privativa della libertà di durata massima pari a quella prevista per il reato a cui è finalizzata l'intesa o compresa tra due e cinque anni).

Si segnala, inoltre, l’articolo 5 della decisione quadro che impone agli Stati l’adozione di misure affinché anche le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati di cui all'articolo 2:

§       qualora tali reati siano commessi a loro beneficio da una persona, che agisca a titolo individuale o in quanto membro di un organo della persona giuridica, la quale detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica stessa (par. 1);

§       qualora la mancata sorveglianza o il mancato controllo da parte di una persona di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione, da parte di una persona soggetta alla sua autorità, di uno dei reati di cui all'articolo 2 a beneficio della persona giuridica (par. 2).

In relazione alla responsabilità delle persone giuridiche, in base all’articolo 6,  devono essere previste pene effettive, proporzionate e dissuasive, di natura pecuniaria (penali o non penali) o anche di natura diversa.

 

Con riferimento ai reati cd. associativi, nell’ordinamento italiano si richiamano in particolare la fattispecie generale di cui all’articolo 416 c.p. (che punisce l’associazione per delinquere) e quella di cui all’articolo 416-bis c.p. (relativa all’associazione di tipo mafioso), entrambe ricomprese nell’ambito dei delitti contro l’ordine pubblico, nonché i reati di cui agli artt. 270 (relativo alle associazioni sovversive), 270-bis (relativo alle associazioni con finalità di terrorismo o eversive dell’ordinamento democratico) e 271 c.p. (associazioni antinazionali), ricompresi invece tra i delitti contro la personalità dello Stato.

Con riferimento al profilo della responsabilità delle persone giuridiche, si segnala l’articolo 2, comma 29, del ddl sicurezza (AS 733-B, all’esame del Senato in terza lettura), che inserisce nel D.Lgs. 231/2001, in materia di responsabilità amministrativa degli enti[39], un nuovo art. 24-ter, che prevede sanzioni pecuniarie e interdittive a carico dell’ente in relazione alla commissione di delitti di criminalità organizzata.

 

I principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega sono delineati nel comma 3, che oltre a richiamare l’articolo 9 (che detta specifici principi per l’attuazione della decisione quadro 2001/413/GAI) e (a seguito di una integrazione operata dalla Commissione) l’articolo 2, comma 1, lettere a) e d) (principi di economicità richiamati anche alla lettera b) del comma in esame), nonché il rispetto delle disposizioni delle decisioni quadro, prevede:

a) l’introduzione delle fattispecie criminose indicate nelle decisioni quadro nei confronti degli enti nell'interesse o a vantaggio dei quali è stato commesso il reato tra i reati di cui alla sezione III del capo I (che riguarda la responsabilità amministrativa da reato) del sopra richiamato decreto legislativo n. 231 del 2001; la disposizione prescrive inoltre la previsione di adeguate e proporzionate sanzioni pecuniarie e interdittive;

b) l’attribuzione ad organi di autorità amministrative esistenti, del compito di svolgere l'attività di punto di contatto per lo scambio di informazioni e per ogni altro rapporto con autorità straniere previsto dalle decisioni quadro; la disposizione, precisa (con formula modificata durante l’esame in Commissione) che ciò deve avvenire nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato.

 

In proposito, la relazione illustrativa precisa che “nell'individuazione dei princìpi e criteri direttivi di delega, il disegno di legge prende le mosse dalla constatazione che, per molte delle decisioni quadro già scadute, i profili di inattuazione sono limitati e comuni”.

Il procedimento di adozione dei decreti legislativi è sostanzialmente analogo a quello previsto dall’articolo 1 per l’attuazione delle direttive (in particolar modo delle direttive comprese nell'elenco di cui all'allegato B, nonché di quelle elencate nell'allegato A, qualora si intenda fare ricorso a sanzioni penali), salvo che per alcune specificità. In particolare, considerato che la materia oggetto delle decisioni quadro rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, manca ogni riferimento alla competenza legislativa delle regioni e delle province autonome e alla clausola di cedevolezza. Inoltre, sono previsti termini diversi per l’espressione del parere parlamentare (sessanta giorni dalla trasmissione anziché quaranta giorni[40]) e per l’adozione di decreti correttivi (diciotto mesi anziché ventiquattro mesi).

ll comma 2 individua i soggetti proponenti i decreti legislativi nonché i ministeri deputati ad esprimere il concerto.

I commi 4, 5 e 7 disciplinano l’espressione del parere parlamentare sugli schemi dei decreti legislativi di attuazione (da rendere entro sessanta giorni, decorsi i quali il decreto è emanato anche in mancanza di parere); l’obbligo di relazione tecnica per gli schemi di decreti legislativi che comportino conseguenze finanziarie, e su questi ultimi anche il parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari; la ritrasmissione del testo alle Camere qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari resi dalle commissioni competenti o alle condizioni formulate dalle Commissioni competenti per i profili finanziari con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione.

Il comma 6 contiene, infine, la delega al Governo – da esercitare entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore dei singoli decreti legislativi – per l’adozione di disposizioni correttive ed integrative della normativa delegata di attuazione. La disposizione conferma i principi e criteri direttivi fissati dalla medesima legge comunitaria e, per quanto riguarda la procedura, richiama l’applicazione della disciplina prevista dai commi 2, 3, 4 e 5 per l’adozione dei decreti attuativi delle decisioni quadro.

Il comma 7 dispone in via generale circa la ritrasmissione del testo alle Camere nel caso in cui il Governo non intenda conformarsi ai pareri precedentemente resi. Le competenti Commissioni hanno venti giorni di tempo per esprimere il nuovo parere. Si rammenta che il comma 5 disciplina specificamente la ritrasmissione  in caso di mancato recepimento di condizioni formulate per garantire il rispetto dell’art. 81, quarto comma, Cost. .

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Lotta all’immigrazione clandestina

Per quanto riguarda le misure legislative UE volte a contrastare l’immigrazione clandestina, si segnala che il 25 maggio 2009 il Consiglio ha definitivamente adottato la direttiva  relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi residenti illegalmente nel territorio dell’UE (COM(2007)249).

Il tema dell’immigrazione clandestina nell’area del Mediterraneo è stato recentemente oggetto di particolare attenzione da parte delle istituzioni dell’UE. Il 27 maggio 2009 la Commissione europea ha prospettato alla Presidenza del Consiglio giustizia e affari interni dell’UE, in  vista della riunione del 4-5 giugno, una serie di misure a breve termine volte a far fronte al problema con riguardo sia alla sicurezza dei migranti che alla situazione di forte pressione a cui sono sottoposti gli Stati membri del Sud dell’UE.

Le misure proposte riguardano i seguenti ambiti:

·         asilo e protezione umanitaria

·         controllo delle frontiere e operazioni marittime

·         rapporti con i paesi terzi

Per quanto riguarda l’asilo e la protezione umanitaria, la Commissione ritiene utile proporre un’azione coordinata per uno sforzo volontario di solidarietà con gli Stati membri  più esposti, sotto forma di “reinsediamento”  delle persone che abbiano ottenuto lo status di rifugiato, vale a dire di redistribuzione tra gli Stati membri in modo da non gravare eccessivamente sui paesi di arrivo. In un secondo tempo, la Commissione ritiene possibile prevedere il consolidamento di questo impegno, tramite la messa in atto di un meccanismo di solidarietà più strutturato. La Commissione propone inoltre di rafforzare i dispositivi di protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo nei paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo, anche attraverso programmi di protezione regionale.

Nell’ambito del controllo delle frontiere e delle operazioni marittime la Commissione ritiene opportuno chiarire le responsabilità degli Stati membri che partecipano alle operazioni di Frontex con proprie navi, in particolare adottando disposizioni chiare relativamente al luogo di sbarco  delle persone soccorse nel quadro delle operazioni. La Commissione considera inoltre necessario sfruttare tutti i mezzi a disposizione di Frontex, compresa l’organizzazione di voli di ritorno congiunti, eventualmente inquadrati da accordi di riammissione.

Nell’ambito delle relazioni esterne, relativamente alla regione nel suo insieme, la Commissione auspica l’organizzazione di una conferenza ministeriale euro-africana su migrazione e sviluppo, in continuità con la conferenza di Tripoli del 2006, che veda la partecipazione dei paesi di origine, di transito e di destinazione e si concentri in particolare sulle rotte migratorie dall’Africa orientale.

Per quanto riguarda la Libia in particolare, la Commissione suggerisce: 1) l’adozione, nell’ambito dei negoziati di un accordo quadro, di un programma di cooperazione che preveda azioni concrete in materia di gestione delle frontiere marittime e terrestri, di prevenzione e lotta all’immigrazione clandestina e alla tratta degli esseri umani nonché un dialogo sulla facilitazione dei visti; 2) la promozione delle relazioni tra l’Alto commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR) e la Libia al fine di instituire nel paese un dispositivo di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo conforme alle norme internazionali.

Il comunicato stampa relativo al Consiglio giustizia e affari interni del 4 - 5 giugno 2009 informa che, prendendo atto delle proposte della Commissione, i ministri competenti degli Stati membri hanno tenuto uno scambio di opinioni sul tema dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo. Esprimendoviva preoccupazione per il numero crescente di migranti che rischiano la vita in mare nel tentativo di entrare illegalmente nell’UE, i ministri hanno convenuto che l’individuazione dei metodi atti a prevenire le tragedie umane e rafforzare la lotta all’immigrazione clandestina richieda un ulteriore esame.

Si ricorda che il Consiglio giustizia e affari interni del 26-27 febbraio 2009 aveva accolto favorevolmente un documento trasmesso dai Ministri dell’Interno di Cipro, Grecia, Italia e Malta, nel quale, ispirandosi al Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo adottato dal Consiglio europeo nell’ottobre 2008, si richiamava l’esigenza e si ribadiva l’impegno a rafforzare le misure pratiche di cooperazione al fine di un migliore controllo dei flussi migratori nella regione mediterranea, assicurando  al contempo la protezione della vita dei migranti. Le misure pratiche previste nel documento si riferivano tra l’altro al rafforzamento di Frontex e al proseguimento delle operazioni congiunte nel Mediterraneo.

Particolare rilevanza assume l’impegno dell’Unione europea nel contrasto alle reti di trafficanti che sfruttano l’immigrazione clandestina. Il 17 ottobre 2008 la Commissione europea ha presentato un documento di lavoro dal titolo Valutazione e monitoraggio dell’attuazione del piano UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta di esseri umani. In essola Commissione, partendo dalla considerazione che gli emigranti costituiscono un gruppo particolarmente vulnerabile, ritiene che vada migliorata la cooperazione Europol/Frontex  in modo da realizzare un più diretto collegamento tra  le attività di contrasto all’immigrazione clandestina e la lotta alla tratta degli esseri umani.

Le osservazioni contenute nel documento di lavoro sono state tenute in conto nell’elaborazione della proposta di decisione quadro (COM(2009)136) concernente la prevenzione e la repressione della tratta degli esseri umani e la protezione delle vittime, presentata dalla Commissione europea il 25 marzo 2009 e volta ad adeguare la normativa UE alla Convenzione del Consiglio d’Europa del 2005.

Il Consiglio giustizia e affari interni del 4-5 giugno 2009 ha individuato alcuni aspetti della proposta che necessitano approfondimenti: la questione della base giuridica, l’intensità delle sanzioni in relazione alla gravità del reato; la questione della giurisdizione extraterritoriale in caso di turismo sessuale; la protezione e l’assistenza alle vittime.

Il Consiglio ha inoltre adottato conclusioni nelle quali invita  gli Stati membri a partecipare a una rete informale e flessibile dell'UE di relatori nazionali o di meccanismi equivalenti al fine di migliorare la comprensione del fenomeno della tratta degli esseri umani e fornire all'Unione e ai suoi Stati membri informazioni strategiche obiettive, affidabili, comparabili e aggiornate in materia.

In vista del rafforzamento della cooperazione nella gestione delle frontiere esterne dell’UE, nel febbraio 2008 la Commissione europea ha presentato le seguenti comunicazioni:

·   Relazione sulla valutazione e sullo sviluppo futuro della Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea – Frontex (COM(2008)67)

La relazione intende fornire la base per esaminare la fattibilità di un eventuale “sistema europeo di guardie di frontiera”, rafforzando strumenti già esistenti quali il Registro centralizzato delle attrezzature tecniche disponibili (CRATE), fornite su base volontaria degli Stati membri ad uno Stato membro che ne faccia richiesta per operazioni di controllo e sorveglianza delle frontiere e le squadre di intervento rapido (RABIT), di recente istituzione.

·   La creazione di un Sistema europeo di controllo delle frontiere (EUROSUR) (COM(2008)68);

La Commissione propone la creazione di un “sistema europeo di controllo delle frontiere” (denominato Eurosur), finalizzato soprattutto a ridurre il numero di immigrati illegali che entrano clandestinamente nell’UE; ridurre il tasso di mortalità degli immigrati illegali, salvando un maggior numero di vite in mare; aumentare la sicurezza interna in tutta l’UE contribuendo a prevenire la criminalità transfrontaliera.

·   Le evoluzioni future della gestione delle frontiere nell’Unione europea (COM(2008)69).

La comunicazione propone misure volte a rafforzare le procedure in materia di controllo dei cittadini dei paesi terzi lungo le frontiere, facilitando nel contempo le procedure di ingresso e di uscita dall’Unione europea per i cittadini UE e per i viaggiatori in buona fede, provenienti dai paesi terzi.

Lotta alla criminalità organizzata

Il Consiglio giustizia e affari interni del 4-5 giugno 2009 ha adottato conclusioni sulle priorità dell'UE per il biennio 2009-2010 nella lotta contro la criminalità organizzata

Sulla base della Valutazione Europol per il 2009 della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata (OCTA) e della Valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata russa (ROCTA), il Consiglio ritiene debba essere considerato prioritario per l'UE il contrasto dei  seguenti “mercati criminali”:

·   traffico di stupefacenti, specie lungo la rotta dell'Africa occidentale e centrale (compresi gli stupefacenti provenienti dall'America latina e dai Caraibi), a fini di stoccaggio e transito ma anche di lavorazione, commercializzazione e/o produzione;

·   tratta di esseri umani (anche dall'Africa) specie a fini di sfruttamento sessuale;

·   frode, corruzione e riciclaggio dei proventi di reato nonché altre attività connesse alla presenza nell'economia di gruppi criminali organizzati, soprattutto se causano gravi distorsioni della concorrenza legale o un aumento dell'influenza dei gruppi criminali nella sfera politica, economica e giudiziaria. Il Consiglio rileva che quest'ultimo pericolo è presente specialmente in relazione ai gruppi criminali organizzati di lingua russa.

Il Consiglio  sottolinea  la necessità di attuare misure per lottare contro i fattori che favoriscono la criminalità (uso di documenti d'identità falsificati o ottenuti in modo fraudolento, uso di tecnologie bancarie/ finanziarie, uso illecito del settore dei trasporti) nonché la necessità di sviluppare un approccio preventivo e amministrativo, e la cooperazione tra il settore pubblico e quello privato, ivi inclusa la società civile.

Rilevando come le priorità dell'UE nella lotta contro la criminalità organizzata possano essere attuate soltanto dalle autorità nazionali degli Stati membri con il necessario supporto degli organi dell'UE e delle agenzie competenti, il Consiglio pone  l'accento sull'importanza che gli Stati membri assegnino alla cooperazione internazionale risorse nazionali sufficienti e rilevanti e che siano conseguentemente adottate altre priorità nazionali. Gli Stati membri, i competenti gruppi di lavoro del Consiglio, la Commissione e le competenti agenzie dell'UE saranno tenuti a presentare alla Presidenza, entro il 30 ottobre 2010, una relazione sull'attuazione delle suddette priorità redatta per mezzo di un formato standard fornito dal Segretariato del Consiglio.

Per quanto riguarda gli strumenti di cooperazione operativa nella lotta alla criminalità organizzata, il Consiglio giustizia e affari interni del 24 ottobre 2008  ha adottato conclusioni sull’attuazione di un meccanismo di allerta precoce per minacce legate sia ad organizzazioni criminali che  e al terrorismo, basato, previa valutazione della necessità di emendare l’attuale quadro normativo, su una procedura di segnalazione di individui sospetti tramite il Sistema informativo Schengen (SIS).

Per quanto riguarda la criminalità informatica, il Consiglio del 24 ottobre 2008 ha adottato conclusioni in materia di cibercriminalità nelle quali, tra le altre cose, invita Europol ad istituire ed ospitare una piattaforma europea di lotta alla criminalità in rete che costituisca il punto di convergenza delle varie piattaforme nazionali, al fine di un più efficace scambio di informazioni in materia. Il Consiglio giustizia e affari interni del 27 novembre 2008 ha concordato una strategia di lavoro per la lotta alla cibercriminalità nella quale individua le misure a breve e medio termine che la Commissione europea e gli Stati membri dovranno adottare in materia, con il coinvolgimento del settore privato.

Si ricorda infine che il 20 novembre 2008 la Commissione europea ha presentato la comunicazione ”Proventi della criminalità organizzata – Garantire che “il crimine non paghi” (COM(2008)766). La comunicazione si concentra sull’istituto della confisca e del recupero dei proventi di reato nell’ambito dell’Unione europea e analizza le differenti procedure giuridiche esistenti negli Stati membri, individuando misure strategiche, legislative e non, per migliorare la cooperazione a livello UE.

 L’impegno dell’Unione europea nella lotta alla criminalità organizzata con particolare riferimento alla tratta degli esseri umani, allo sfruttamento sessuale dei bambini, alla cybercriminalità e alla criminalità economica  e al traffico di droga costituiscono elementi chiave della proposta della Commissione europea per il nuovo programma pluriennale per l’area libertà giustizia e sicurezza 2010-2014, presentato dalla Commissione europea il 10 giugno 2009 (COM(2009)262) e in attesa di esame del Consiglio e del Parlamento europeo, in vista dell’adozione definitiva da parte del Consiglio europeo di dicembre.

Lotta al traffico di droga

L’8 dicembre 2008 il Consiglio ha adottato il Piano d’azione di lotta alla droga 2009-2012, presentato dalla Commissione nel settembre 2008 (COM(2008)567).

Sul versante della riduzione dell’offerta, il piano d’azione prevede, tra le altre cose, che gli  Stati membri, in collaborazione con le istituzioni europee, Europol, Eurojust e Cepol, si impegnino a:

·   rendere più efficace la cooperazione UE nel campo delle misure intese a contrastare la produzione di sostanze psicoattive e il narco-traffico, attraverso:

-  il perseguimento delle organizzazioni criminali che costituiscono maggior pericolo utilizzando a pieno il modello europeo in materia di informazioni sull'attività criminale e relative componenti;

-  il potenziamento delle operazioni di contrasto multidisciplinari ricorrendo a squadre investigative comuni (SIC) e operazioni doganali congiunte (ODC), con la partecipazione di forze di polizia, autorità doganali e di controllo delle frontiere e eventualmente di Europol;

-  il miglioramento della qualità dei dati investigativi che dalle unità nazionali Europol confluiscono all’unità narcotici Europol, soprattutto per quanto riguarda i livelli di criminalità organizzata più elevati;

-  il ricorso più sistematico, ai fini dello scambio di informazioni e dati investigativi tra le autorità di contrasto, agli ufficiali di collegamento nei paesi terzi, con l’eventuale coinvolgimento di Europol.

·   ridurre lo sviamento e il traffico dei precursori chimici nell'UE utilizzati per la produzione di sostanze psicoattive illecite, in particolare dei precursori di droghe sintetiche, attraverso:

-  l’ assunzione di  una posizione chiara e unitaria in ambito internazionale e in seno all'ONU, sulla base della normativa in vigore e delle pratiche di cooperazione con il settore privato;

-  l’inclusione, da parte dei servizi doganali, di controlli sui precursori nei propri piani strategici, onde pervenire ad una gestione più efficace dei controlli alle frontiere e un coordinamento più stretto con le altre autorità di contrasto coinvolte in operazioni antidroga (sostegno reciproco);

-  la sottoscrizione da parte dell’UE, ove possibile, di accordi di cooperazione con i paesi individuati quali fonti principali dei principali precursori di droghe sintetiche.

·   ridurre le conseguenze sulla società delle attività criminali connesse alla produzione di stupefacenti e al narcotraffico, attraverso

-  il potenziamento delle politiche di confisca e recupero dei beni a livello nazionale e dell'UE per agevolare la confisca e il recupero dei proventi della criminalità connessa agli stupefacenti;

-  la creazione di una piattaforma informale a sostegno della creazione di uffici per il recupero dei beni negli Stati membri e il sostegno alle indagini tramite l'ufficio dell'Europol che si occupa dell'intercettazione dei proventi criminali.

 


Art. 9

 

(Princìpi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti)

 

 


1. Il Governo adotta il decreto legislativo recante le norme occorrenti per dare attuazione alla decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dall'articolo 2, comma 1, lettere a), e), f) e g), e dall'articolo 8, comma 3, nonché nel rispetto delle disposizioni previste dalla decisione quadro medesima e sulla base del seguente principio e criterio direttivo, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti: introdurre nel titolo V del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, una fattispecie criminosa la quale punisca con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro la condotta di chi fabbrica, acquista, detiene o aliena strumenti, articoli, programmi informatici e ogni altro mezzo destinato esclusivamente alla contraffazione o alla falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti, del tipo di quelli indicati nell'articolo 55 del medesimo decreto legislativo n. 231 del 2007, nonché una fattispecie criminosa la quale punisca con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 200 a 1.000 euro la condotta di chi fabbrica, acquista, detiene o aliena programmi informatici destinati esclusivamente al trasferimento di denaro o di altri valori monetari, allo scopo di procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio economico, mediante l'introduzione, la variazione o la soppressione non autorizzata di dati elettronici, in sostituzione di dati personali, oppure mediante un'interferenza non autorizzata con il funzionamento del programma o del sistema elettronico.


 

 

L’articolo 9 delega il Governo ad introdurre nell’ordinamento due nuove fattispecie penalmente rilevanti al fine di attuare la decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 28 maggio 2001, in tema di lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti.

 

A tal fine, le norme in commento richiedono che vengano rispettati sia i princìpi e criteri direttivi generali stabiliti dall’articolo 2, comma 1, lettere a), e), f) e g), e dall’articolo 8, comma 3 del progetto di legge in esame, sia le disposizioni previste dalla citata decisione-quadro, precisando ulteriormente l’obbligo di effettuare il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti in materia.

Si ricorda che l’articolo 2, comma 1, tra i principi e criteri direttivi di delega recati dal provvedimento in esame, contempla:

§       la massima semplificazione dei procedimenti (lett. a));

§       ove si debbano attuare direttive che modificano precedenti direttive già attuate con legge o con decreto legislativo, che si proceda – salvo che la modificazione comporti ampliamento della materia regolata - apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva modificata (lett. e));

§       l’obbligo di tener conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunitarie comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega (lett. f));

§       in presenza di sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o coinvolgimento di più amministrazioni statali, che si applichino i princìpi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione (lett. g)).

Il comma 3 dell’articolo 8 dispone, nell’adozione di norme attuative di disposizioni europee di natura penale, che le fattispecie criminose indicate in alcune decisioni quadro (nello specifico, quelle indicate al comma 1 dell’articolo 8, per cui si veda la relativa scheda di lettura) debbano essere inseriti nell’alveo della disciplina di cui alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231[41], ovvero nella sezione dedicata alla responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche; in tal caso si devono prevedere adeguate e proporzionate sanzioni pecuniarie e interdittive nei confronti degli enti nell'interesse o a vantaggio dei quali è stato commesso il reato (lettera a)).

Inoltre, nell’attuazione della delega è necessario attribuire a organi di autorità amministrative esistenti, nei limiti delle risorse di cui già dispongono e senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato, il compito di svolgere l'attività di punto di contatto per lo scambio di informazioni e per ogni altro rapporto con autorità straniere previsto dalle citate decisioni quadro.

 

La decisione-quadro del Consiglio del 28 maggio 2001, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti (2001/413/GAI), persegue l’obiettivo di uniformare le legislazioni degli Stati membri, affinché le frodi e la falsificazione di mezzi di pagamento diversi dai contanti siano considerati illeciti penali passibili di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive sia nei confronti delle persone fisiche, sia nei confronti delle persone giuridiche che commettono tali illeciti (considerando 4 e 9 della decisione quadro).

 

In particolare, le norme europee (articolo 2) dispongono che gli Stati membri caratterizzino come penalmente rilevanti specifiche condotte illecite concernenti strumenti di pagamento diversi dal denaro, ovvero carte di credito, carte eurocheque, altre carte emesse da istituti finanziari, travellers’ cheques, eurocheque, nonché altri assegni o cambiali. La rilevanza penale deve concernere anche gli illeciti commessi mediante computer (articolo 3) o mediante dispositivi informatici appositamente allestiti (articolo 4).

Le norme europee dispongono altresì (articoli 7 e 8) che in ciascuno Stato membro anche le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili delle condotte illecite a determinate condizioni. In particolare, la responsabilità si configura ove le condotte siano poste in essere commesse da qualsiasi persona, che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, la quale detenga una posizione dominante in seno alla persona giuridica, basata sul potere di rappresentanza o sull'autorità di prendere decisioni per conto della persona giuridica, ovvero sull'esercizio del controllo in seno a tale persona giuridica, in presenza della complicità o dell'istigazione a commettere l’illecito. Per quanto attiene al profilo sanzionatorio, per le persone giuridiche responsabili degli illeciti penali la normativa europea prevede che siano comminate sanzioni pecuniarie (penali o amministrative) ed eventualmente anche sanzioni interdittive quali l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria, il divieto di esercizio di attività commerciale e lo scioglimento mediante provvedimenti giudiziari.

 

In tale ottica e come già rilevato supra, le disposizioni dell’articolo 9 prevedono l’individuazione di due fattispecie criminose da inserireall’interno del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231[42]:

In particolare, si dispone l’introduzione di :

-       una fattispecie che punisca con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro la condotta di chi fabbrica, acquista, detiene o aliena strumenti, articoli, programmi informatici e ogni altro mezzo destinato esclusivamente alla contraffazione o alla falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti, del tipo di quelli indicati nell’articolo 55 del medesimo decreto legislativo n. 231 del 2007.
L’articolo 55, ultimo comma, del D. Lgs. n. 231 del 2007 punisce la condotta di utilizzo indebito di carte di credito o di pagamento o di qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi.

-       una fattispecie che punisca con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 200 a 1.000 euro la condotta di chi fabbrica, acquista, detiene o aliena programmi informatici destinati esclusivamente al trasferimento di denaro o di altri valori monetari, allo scopo di procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio economico, mediante l’introduzione, la variazione o la soppressione non autorizzata di dati elettronici, con particolare riferimento (a seguito di una integrazione introdotta dalla Commissione) ai dati personali, oppure mediante un’interferenza non autorizzata con il funzionamento del programma o del sistema elettronico.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 22 aprile 2008 la Commissione ha presentato una relazione nella quale passa in rassegna i progressi realizzati nell’attuazione del piano di azione per la lotta contro le frodi dei mezzi di pagamento diversi dal contante relativo al periodo 2004-2007 (SEC(2008)511), richiamando, in particolare:

-      l’adozione di una serie di disposizioni legislative nel settore dei servizi finanziari che direttamente o indirettamente disciplinano gli aspetti relativi alla lotta contro le frodi nei pagamenti, quali la direttiva 2005/60/CE sulla lotta contro il riciclaggio di capitale e la direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento nel mercato interno;

-      l’adozione di specifiche iniziative, anche di natura non legislativa, intese a fronteggiare le nuove minacce per la sicurezza dei pagamenti, tra cui l’istituzione dell’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (ENISA), la costituzione di un gruppo di esperti per la prevenzione delle frodi, l’avvio di una serie di progetti di ricerca in materia di sicurezza delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, l’adozione da parte della Commissione di una comunicazione sulla lotta contro la cibercriminalità (COM(2007)267) ed infine l’adozione della decisione quadro 2005/222/GAI relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione.

Considerato che la frode contro i mezzi di pagamento costituisce una seria minaccia per la realizzazione del mercato interno in questo settore, la Commissione considera prioritario rafforzare la sicurezza dei nuovi sistemi di pagamento e la fiducia dei consumatori in tali strumenti. Dopo aver sottolineato l’importante contributo che verrà dato a tal fine dalla realizzazione della SEPA (Area unica dei pagamenti in euro), la relazione ricorda le altre iniziative attualmente in corso nel settore e riguardanti il rafforzamento dei requisiti di sicurezza delle carte di credito, la lotta contro la frode nell’e-banking, la formazione del personale di polizia specializzato nella lotta contro le frodi dei pagamenti, la realizzazione di una banca dati contenente statistiche sulle frodi ed infine l‘avvio di un piano d’azione comunitario relativo al periodo 2006-2010 per lo sviluppo di statistiche UE sulla criminalità e sulla giustizia penale.

 


Allegato A
Le direttive incluse nel d.d.l. originario

 


Direttiva 2008/72/CE

 

(Commercializzazione delle piantine di ortaggi)

 

 

La direttiva n. 2008/72/CE per motivi di razionalità e chiarezza procede alla codificazione della direttiva 92/33/CEE relativa alla commercializzazione delle piantine di ortaggi e dei materiali di moltiplicazione di ortaggi, ad eccezione delle sementi, che è stata modificata in modo sostanziale ed a più riprese.

La direttiva base 92/33/CEE ha definito i requisiti armonizzati a livello comunitario che consentono la commercializzazione di materiale di qualità e in buone condizioni fitosanitarie in modo da superare le barriere create dalle diverse legislazioni nazionali e consentire all’orticoltura di conseguire risultati soddisfacenti.

La direttiva 2008/72/CE di codifica, non modificando il quadro normativo preesistente, non prevede nuovi termini di recepimento e si limita pertanto a far salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento delle direttive che vengono abrogate con la codifica.

La direttiva base 92/33/CEE, per la quale valeva il termine del 31 dicembre 1992, è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il DPR 21 dicembre 1996, n. 698; la direttiva 2003/61/CE, che recava il termine del 10 ottobre 2003, è stata recepita il 13 dicembre 2004 con il d.lgs. n. 331; l’adeguamento infine alla direttiva 2006/124/CE, che doveva essere disposto entro il 1° luglio 2007, è stato effettuato con il D.M. 18 giugno 2007.


Direttiva 2008/106/CE

 

(Requisiti minimi di formazione per la gente di mare)

 

 

La direttiva 2008/106/CE definisce i requisiti minimi di formazione della gente di mare, basati su norme approvate a livello internazionale, e il reciproco riconoscimento dei certificati di abilitazione rilasciati dagli Stati membri, al fine di rafforzare la sicurezza dei mari e di promuovere la mobilità professionale dei marittimi all’interno dell’Unione europea.

 

La direttiva in esame costituisce la rifusione della direttiva 2001/25/CE e delle direttive successivamente intervenute in materia.

Si ricorda che la direttiva 2001/25/CE costituiva a sua volta la rifusione delle direttive 94/58/CE e 98/35/CE, recepite in Italia con il D.P.R. 9 maggio 2001, n. 324. La direttiva 2001/25/CE è stata modificata dalle seguenti direttive:

§       direttiva 2002/84/CE, recepita con il D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 119;

§       direttiva 2003/103/CE, recepita con il D.P.R. 2 maggio 2006, n. 246;

§       direttiva 2005/23/CE, anch’essa recepita con il D.P.R. n. 246/2006;

§       direttiva 2005/45/CE, recepita con il D.P.R. 31 marzo 2009, n. 55.

 

I nuovi elementi introdotti dalla direttiva 2008/106/CE in esame, rispetto alla normativa previgente, riguardano esclusivamente le procedure di comitato per l'esercizio delle competenze di esecuzione, conferite alla Commissione, di cui all’articolo 28, paragrafo 3.

Il citato articolo rinvia all’articolo 5-bis[43] della decisione 1999/648/CE, che disciplina la procedura di regolamentazione con controllo, per l’adozione di misure di portata generale intese a modificare elementi non essenziali di un atto legislativo. Tale procedura consente ai due rami dell'autorità legislativa di effettuare un controllo preliminare all'adozione delle misure.

 

Termine di recepimento: come indicato nel “considerando n. 25”, il recepimento della direttiva 106/2008/CE da parte degli Stati membri non è necessario. L’articolo 32 fa salvi i termini di recepimento delle direttive sopra menzionate, che hanno novellato la direttiva 2001/25/CE e sono state già recepite in Italia.


Allegato A
Le direttive introdotte dalla XIV Commissione


Direttive 2008/119/CE e 2008/120/CE

 

(Norme minime per la protezione dei vitelli e dei suini)

 

 

Le condizioni generali sulla protezione degli animali negli allevamenti sono disposte nella direttiva 98/58/CE che stabilisce le condizioni di stabulazione, i requisiti in materia di costruzione, isolamento, riscaldamento e ventilazione dei ricoveri, l'ispezione degli impianti e l'ispezione del bestiame che si debbono applicare in tutti gli allevamenti.

Requisiti d’allevamento più dettagliati per specie sono stati definiti per i vitelli con la direttiva 91/629/CEE e per i suini con la direttiva 91/630/CEE, entrambe abrogate a seguito dell’approvazione dei provvedimenti di codifica di cui alla direttiva 2008/119/CE ed alla direttiva 2008/120/CE.

I nuovi provvedimenti - diretti fondamentalmente a riordinare disposizioni oggetto di successive modifiche - non recano novità di rilievo.

 

La direttiva 2008/119/CE, che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli, entrata in vigore il 4 febbraio 2009, definisce le norme minime comuni per la protezione dei vitelli d'allevamento e da ingrasso allo scopo di garantire ai bovini di età inferiore a sei mesi condizioni di allevamento conformi alle esigenze della specie, che tende a raggrupparsi in mandrie.

Pertanto, le condizioni esposte in particolare all’articolo 3, integrato dall’allegato I, consentono la stabulazione dei capi in recinti individuali solo se il capo debba essere isolato per motivi sanitari, stabilendo i parametri minimi che il recinto deve soddisfare, oppure se sia mantenuto presso la madre per l’allattamento.

Le aziende con meno di sei vitelli sono esonerate dal rispetto delle norme.

La vigilanza è affidata ai singoli Stati membri che debbono assicurare che vengano svolte ispezioni su un campione statisticamente rappresentativo (artt. 4 e 7).

Il regime d’importazione è disciplinato dall’art. 8, il quale prevede che i capi introdotti nella Comunità debbano essere accompagnati da un certificato, rilasciato dall’autorità competente, che attesti che hanno beneficiato di un trattamento almeno equivalente.

L’attuazione interna della precedente direttiva 91/629/CEE è stata disposta con il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 533[44], successivamente modificato con il D.lgs. n. 331/98 allo scopo di adeguare le norme alla novità introdotte dalla direttiva 97/2/CE.

Anche la direttiva 2008/120/CE, che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini, entrata in vigore il 10 marzo 2009, definisce modalità di allevamento dei capi che consentano il rispetto delle esigenze della specie in termini di possibilità di movimento e di comportamento esplorativo, essendo il loro benessere pregiudicato da forti restrizioni di spazio. La direttiva reca indicazioni per l’allevamento e l’ingrasso della specie che tengono conto delle peculiarità di ogni fase della crescita, imponendo requisiti diversi per suinetti o lattonzoli, per le scrofette o per le scrofe gravide (art. 3 e allegato I).

Anche su tale comparto il potere di vigilanza spetta agli Stati membri (art. 4) e le ispezioni debbono essere svolte su un campione statisticamente rappresentativo (art. 8); alle importazioni si applica l’art. 9 che contiene norme analoghe a quelle sui vitelli.

La direttiva base 91/630/CEE è stata recepita con D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 534[45], modificato ed integrato dal D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 53, di adeguamento alle nuove disposizioni recate dalle direttive 2001/88/CE e 2001/93/CE.

 


Direttiva 2008/124/CE

 

(Commercializzazione delle sementi di talune specie di piante foraggere, oleaginose e da fibra alle sementi ufficialmente certificate “sementi base” o “sementi certificate”)

 

 

La direttiva 2008/124/CE rifonde due provvedimenti comunitari che limitano la commercializzazione di talune sementi alle qualità certificate come “sementi di base” o “sementi certificate”.

La commercializzazione delle sementi di piante foraggere è stata disciplinata dalla direttiva 66/401/CEE, mente le sementi di piante oleaginose e da fibra ha trovato la propria regolazione con la direttiva 2002/57/CE. In entrambi i casi era consentita accanto alla commercializzazione di sementi “di base” oppure di sementi “certificate” anche quella delle sementi “commerciali”.

Il divieto di commercializzare le menzionate sementi che non fossero certificate come sementi “di base” oppure “certificate” è stato introdotto con la direttiva 86/109/CEE; per numerose sementi con decorrenze diverse, mentre analogo divieto è stato introdotto con la direttiva 75/502/CEE per le sementi di fienarola dei prati.

Con la direttiva 2008/124/CE i due provvedimenti ultimi citati sono rifusi e l’articolo 1 reca un unico elenco delle sementi per le quali è richiesta una certificazione, giustificata peraltro dalla capacità acquisita dall’area comunitaria di soddisfare la richiesta delle sementi appartenenti a tali categorie provviste di certificazione.

 

 


Direttiva 2009/15/CE

 

(Disposizioni e norme comuni per gli organismi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime)

 

 

Con la direttiva 2009/15/CE, che deve essere recepita entro il 17 giugno 2011,si procede ad una rifusione delle norme concernenti gli organismi competenti ad effettuare ispezioni e visite di controllo sulle navi, finalizzate a verificare la conformità alle convenzioni per la sicurezza in mare e alla prevenzione dell’inquinamento marino. Tali norme, originariamente contenute nella direttiva 1994/57/CE (recepita in Italia con il decreto legislativo n. 314/1998), sono state successivamente più volte integrate e modificate. La direttiva in esame dispone quindi l’abrogazione della citata direttiva 1994/57/CE, e riproduce, con alcune limitate modifiche, i contenuti della disciplina previgente.

Alcune delle disposizioni sono state peraltro stralciate, e inserite nel Regolamento CE n. 391/2009. In particolare, sono state trasfuse nel testo regolamentare le norme procedurali che disciplinano il riconoscimento degli organismi preposti alle ispezioni ed ai controlli sulle navi.  

I predetti organismi riconosciuti sono altresì competenti ad elaborare norme per la progettazione, la costruzione, la manutenzione e l’ispezione delle navi, nonché al rilascio della certificazione attestante la conformità alle convenzioni internazionali.

La direttiva in esame prevede che le attività di verifica e controllo delle navi, e la relativa certificazione, siano ricondotte alla stretta vigilanza dei governi nazionali. A tal fine, oltre a stabilire che gli Stati membri assicurino che le navi battenti la propria bandiera siano costruite, equipaggiate e mantenute in efficienza secondo i criteri fissati da un organismo autorizzato, si prevede la possibilità che l’organismo di controllo abbia una rappresentanza locale nel territorio dello Stato membro per conto del quale svolge i propri compiti.

La direttiva reca inoltre una specifica regolamentazione per i casi di sinistri marittimi dei quali l’amministrazione nazionale competente sia stata giudicata responsabile, prevedendo il diritto a un indennizzo qualora sia provato che gli eventuali danni a persone o cose siano dovuti all’organismo di controllo.

 


Direttiva 2009/41/CE

 

(Impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati)

 

 

La direttiva 2009/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, provvede alla rifusione delle disposizioni recate dalla direttiva 90/219/CE, come modificata dalla direttiva 98/81/CE.

La direttiva 2009/41/CE, che consta di 23 articoli e 7 Allegati, stabilisce misure comuni per l’impiego confinato dei microrganismi geneticamente modificati (MGM), al fine di limitare al massimo gli eventuali effetti nocivi che essi potrebbero esercitare sulla salute dell’uomo e sull’ambiente, con la dovuta attenzione alla prevenzione degli incidenti ed al controllo dei rifiuti.

Pertanto l’utilizzatore, ovvero la persona fisica o giuridica responsabile dell’impiego confinato di MGM, deve procedere ad una valutazione del rischio utilizzando determinati elementi e la procedura indicata nell’Allegato III, parti A e B. La valutazione dovrà tenere in particolare considerazione il problema dello smaltimento dei rifiuti e degli affluenti.

A tal fine le operazioni che comportano l’impiego confinato di MGM vengono ripartite in quattro classi di rischio.

L’utilizzatore deve applicare le misure di contenimento appropriate e le altre misure di protezione indicate nell’Allegato IV corrispondenti alla classe dell’impiego confinato, in modo da mantenere l’esposizione a MGM del luogo di lavoro e dell’ambiente al più basso livello, e garantire contemporaneamente un alto grado di sicurezza.

Nel caso di prima operazione di un impiego confinato, la direttiva prevede la presentazione alle autorità competenti – come designate dagli Stati membri - di una notifica recante le informazioni elencate nell’Allegato V, mentre nell’eventualità di operazioni ad alto rischio (classi 3 e 4) deve essere richiesto il consenso scritto dell’autorità competente.

Particolari misure vengono poi previste in caso di incidente, tra le quali si segnala l’obbligo di informazione da parte dell’utilizzatore all’autorità competente.

Gli Stati membri sono tenuti ad inviare alla Commissione una relazione annuale sugli impieghi confinati delle classi 3 e 4, e ogni tre anni una relazione sintetica sull’esperienza acquisita nell’applicazione delle disposizioni recate dalla direttiva.

La direttiva 2009/41/CE, entrata in vigore il 10 giugno 2009, non reca alcun termine espresso ai fini del recepimento da parte degli Stati membri.

Si ricorda peraltro che la direttiva 90/219/CE era stata recepita dal decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 91, mentre il DM 1° marzo 1995 (G.U. n. 112, 16 maggio 1995) ha dato attuazione alla direttiva 94/51/CE della Commissione del 7 novembre 1994, recante adeguamento al progresso tecnico della direttiva 90/219/CEE, e il decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 206, ha dato attuazione alla direttiva 98/81/CE che aveva modificato la citata direttiva 90/219/CE.

 


Allegato B
Le direttive incluse nel d.d.l. originario

 


Direttiva 2008/92/CE

 

(Trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas ed energia elettrica)

 

 

La direttiva 2008/92/CE del Parlamento e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, procede alla rifusione delle disposizioni della direttiva 90/377/CEE e successive modifiche concernenti la procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica.

La trasparenza dei prezzi dell’energia è essenziale per la realizzazione e il buon funzionamento del mercato interno dell’energia. Essa può contribuire a eliminare le discriminazioni tra i consumatori, favorendo la libera scelta tra le diverse fonti energetiche e tra i fornitori.

La direttiva, entrata in vigore il 27 novembre 2007, impone (articolo 1) agli Stati membri l’adozione delle misure necessarie affinché le imprese che forniscono gas o elettricità ai consumatori industriali finali comunichino all’Istituto statistico delle Comunità europee (Eurostat):

§      i prezzi e le condizioni di vendita di gas e di elettricità ai suddetti consumatori;

Si tratta di informazioni che secondo il considerando (9) consentiranno un paragone con le altre fonti energetiche (petrolio, carbone, energie fossili e rinnovabili) e gli altri consumatori.

§      i sistemi di prezzi in vigore;

§      la ripartizione dei consumatori per categore di consumo.

 

I dati relativi ai prezzi e condizioni di vendita ai consumatori industriali finali nonchè ai sistemi vigenti di prezzi sono rilevati il 1° gennaio e il 1° luglio di ogni anno e sono comunicati a Eurostat e alle competenti autorità dei singoli Stati membri entro due mesi; quindiEurostat pubblica, a maggio e a novembre di ogni anno, in una forma appropriata, i prezzi del gas e dell'energia elettrica per usi industriali negli Stati membri nonché i sistemi di prezzi utilizzati per la loro elaborazione. Invece l’informazione sulla ripartizione dei consumatori per categorie di consumo viene trasmessa a Eurostat e alle competenti autorità dei singoli Stati membri con cadenza biennale; tale informazione non viene pubblicata (articolo 2) .

Le suddette comunicazioni a Eurostat dovrebbero consentire alla Commissione di essere informata al fine di determinare, se necessario, le azioni o le proposte più opportune in relazione alla situazione del mercato interno dell’energia(“considerando n. 13”).

 

Negli allegati I e II della direttiva figurano le disposizioni attuative relative alla forma, al tenore e alle altre caratteristiche delle informazioni indicate all’articolo 1 (articolo 3).

E’ fatto divieto ad Eurostat di divulgare i dati comunicati ai sensi dell’art. 1 che potrebbero essere coperti dal segreto commerciale delle imprese. I dati riservati trasmessi sono accessibili unicamente ai funzionari di Eurostat e possono essere utilizzati solo a scopi statistici. E’ tuttavia consentita una pubblicazione di tali dati in forma aggregata in modo da non consentire l’identificazione delle singole transazioni commerciali (articolo 4).

In presenza di anomalie o incoerenze statisticamente significative nei dati comunicati, Eurostat, ai fini di una valutazione e di una eventuale rettifica  dell’informazione ritenuta anormale, ha facoltà di richiedere agli organi nazionali di conoscere i dati disaggregati e i procedimenti di calcolo o di valutazione su cui si fondano le informazioni aggregate (articolo 5).

Alla Commissione è riconosciuto il potere di apportare modifiche agli allegati I e II in caso di problemi specifici individuati, con la precisazione che tali modifiche riguardano soltanto gli elementi tecnici contenuti negli allegati I e II, per cui vengono esclusi gli emendamenti tali da poter alterare l'economia generale del sistema (articolo 6).

Si dispone inoltre che la Commissione, per l’esercizio delle competenze in questione, è assistita da un comitato (articolo 7).

La Commissione con cadenza annuale invia al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione di sintesi sull’applicazione della direttiva in esame (articolo 8).

 

Per quanto concerne il settore del gas la direttiva in esame sarà applicata nei singoli Stati membri soltanto cinque anni dopo l’introduzione di tale energia nel mercato nazionale (articolo 9).

Al “considerando n. 20” si evidenzia che sarà possibile attuare la direttiva in modo uniforme solo se il mercato del gas naturale avrà raggiunto un livello di sviluppo sufficiente specie per quanto riguarda le infrastrutture.

 

Infine si dispone (articolo 10) l’abrogazione della direttiva 90/377/CEE così come modificata da successivi atti normativi, facendo salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento della medesima direttiva (30 luglio 1991) e della direttiva 2006/108/CE che la ha modificata (1° gennaio 2007).

 

Il “considerando n. 23” precisa che la direttiva in esame non richiede l’adozione di provvedimenti di attuazione da parte degli Stati membri “dato che i nuovi elementi introdotti nella presente direttiva riguardano esclusivamente la procedura di comitato”.

Pertanto non è indicato un termine per il recepimento della direttiva in esame da parte degli Stati membri[46].


Direttiva 2008/95/CE

 

(Riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa)

 

 

La direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008[47], procede, a fini di razionalità e chiarezza, alla codificazione della normativa sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, dal momento che la direttiva del Consiglio 89/104/CEE del 21 dicembre 1988 era stata modificata da una decisione del Consiglio del 1992[48].

Essa si applica ai marchi di impresa di prodotti o di servizi individuali, collettivi, di garanzia o certificazione che hanno formato oggetto di una registrazione o di una domanda di registrazione in uno Stato membro o presso l’Ufficio Benelux per la proprietà intellettuale o che sono oggetto di una registrazione internazionale che produce effetti in uno Stato membro (articolo 1).

Non ritenendo necessario procedere a un ravvicinamento completo delle legislazioni degli Stati Membri in tema di marchi di impresa, il provvedimento limita il ravvicinamento alle disposizioni nazionali che hanno un'incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno. Esso non priva gli Stati membri del diritto di continuare a tutelare i marchi di impresa acquisiti attraverso l'uso, ma disciplina detti marchi solo per ciò che attiene ai loro rapporti con i marchi d'impresa acquisiti attraverso la registrazione.

Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese (articolo 2).

La realizzazione degli obiettivi perseguiti presuppone che l'acquisizione e la conservazione del diritto sul marchio di impresa registrato siano in linea di massima subordinate alle stesse condizioni in tutti gli Stati membri. A tale scopo occorre un elenco esemplificativo di segni in grado di costituire un marchio di impresa, i quali consentano di contraddistinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese.

Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha quindi il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato, ovvero un segno che possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico (articolo 5).

La tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d'origine del marchio di impresa è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno, nonché tra i prodotti o servizi. La tutela viene accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi. La nozione di somiglianza viene adottata dalla norma in relazione al rischio di confusione. Il rischio di confusione - la cui valutazione dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall'associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno usato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati - costituisce la condizione specifica della tutela. La direttiva non pregiudica, in ogni caso, le norme procedurali nazionali, alle quali spetta disciplinare i mezzi grazie a cui può essere constatato il rischio di confusione, e in particolare l'onere della prova.

Il marchio di impresa può essere oggetto di licenza (esclusiva o non esclusiva) per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato. Il titolare di un marchio di impresa può far valere i diritti conferiti da tale marchio contro un licenziatario che trasgredisca una disposizione del contratto di licenza per quanto riguarda la durata, la forma, la natura  e la qualità dei prodotti, oppure il territorio al cui interno il marchio di impresa può essere apposto (articolo 8).

La direttiva contiene inoltre disposizioni riguardanti i motivi di nullità, l’uso del marchio d’impresa, le sanzioni per il mancato uso[49] e i motivi di decadenza, nonché disposizioni particolari concernenti i marchi collettivi, i marchi di garanzia e i marchi di certificazione, per gli Stati membri la cui legislazione ne autorizzi la registrazione.

Agli Stati membri è inoltre lasciata la piena libertà di fissare le disposizioni procedurali relative alla registrazione, alla decadenza o alla nullità dei marchi di impresa acquisiti attraverso la registrazione. Spetta loro, ad esempio, stabilire la forma delle procedure di registrazione e di nullità, decidere se debbano essere fatti valere diritti anteriori nella procedura di registrazione o nella procedura di nullità ovvero in entrambe, o ancora, qualora possano essere fatti valere diritti anteriori nella procedura di registrazione, prevedere una procedura di opposizione o un esame d'ufficio, ovvero entrambi. Gli Stati membri mantengono poi la facoltà di determinare gli effetti della decadenza o della nullità dei marchi di impresa.

 

Infine si dispone (articolo 17) l’abrogazione della direttiva 89/104/CEE, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento della medesima direttiva nel diritto nazionale (31 dicembre 1992).

 

Si segnala che non è indicato il termine per il recepimento della direttiva 2008/95/CE da parte degli Stati membri[50].


Direttiva 2008/96/CE

 

(Gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali)

 

 

La direttiva 2008/96/CE contiene alcune misure dirette a migliorare la sicurezza delle infrastrutture stradali della Comunità allo scopo di ridurre il tasso di mortalità e il numero di incidenti stradali.

Si segnala che, nella comunicazione del 2 giugno 2003, relativa al Programma di azione europeo per la sicurezza stradale, la Commissione ha individuato nell’infrastruttura stradale uno degli obiettivi della politica di sicurezza stradale.[51]

 

La direttiva si applica alle strade che fanno parte della rete transeuropea dei trasporti, di cui alla decisione 1692/96/CE; è comunque possibile la sua applicazione, come codice di buone prassi, alle altre strade nazionali, costruite con il finanziamento parziale o totale della Comunità.

 

La direttiva prevede la messa a punto e l’attuazione delle seguenti procedure:

§      valutazione d’impatto dei progetti di infrastruttura sulla sicurezza stradale (articolo 3);

La valutazione consiste in un’analisi comparativa strategica dell’impatto di una nuova strada o della modifica sostanziale della rete esistente sul livello di sicurezza della rete stradale. Deve essere effettuata prima dell’approvazione del progetto.

§      controlli della sicurezza stradale per i progetti di infrastruttura (articolo 4);

I progetti di costruzione delle infrastrutture dovranno essere sottoposti a controlli nelle loro diverse fasi (studio di fattibilità, studi preliminari, progettazione particolareggiata, ultimazione e prima fase di funzionamento). Il controllo deve essere effettuato da un controllore indipendente (articolo 9), dotato di idonea formazione professionale, che redige una relazione di controllo, nella quale sono definiti gli aspetti della progettazione che possono rivelarsi critici per la sicurezza. La mancata rettifica del progetto in seguito ai rilievi del controllore deve essere giustificata dall’organo competente, in allegato alla relazione.

§      classificazione della rete stradale (articolo 5);

Gli Stati membri dovranno individuare, analizzare e classificare i tratti stradali in cui è stato registrato un elevato numero di incidenti mortali. Gli stessi dovranno inoltre individuare, analizzare e classificare le sezioni della rete stradale in funzione del loro potenziale di miglioramento della sicurezza e di risparmio dei costi connessi agli incidenti. I tratti così individuati saranno oggetto di valutazione da parte di gruppi di esperti, mediante visite in loco, e per essi saranno adottate misure correttive mirate.

Gli Stati membri dovranno predisporre un’adeguata segnaletica per evidenziare i tratti dell’infrastruttura stradale in riparazione e segnalare agli utenti la presenza di tratti stradali ad elevata concentrazione di incidenti.

§      ispezioni di sicurezza (articolo 6);

Le strade aperte al traffico dovranno essere sottoposte a verifica ordinaria periodica in ordine alle loro caratteristiche e difetti che esigono interventi di manutenzione per ragioni di sicurezza. Dovranno inoltre essere valutati i possibili effetti dei lavori in corso sulla sicurezza del flusso di traffico.

 

L’organo competente dovrà redigere una relazione di incidente per ciascun incidente mortale verificatosi sulla rete stradale transeuropea. Gli Stati membri calcolano il costo sociale medio di un incidente mortale e di un incidente grave verificatosi nel proprio territorio (articolo 7).

 

 

Il termine di recepimento della direttiva è stabilito al 19 dicembre 2010.

Si segnala che entro il 19 dicembre 2011 gli Stati membri dovranno adottare orientamenti per coadiuvare gli organi competenti nell’applicazione della direttiva (articolo 8). Entro la stessa data gli Stati membri dovranno inoltre adottare programmi di formazione per i controllori della sicurezza stradale (articolo 9).


Direttiva 2008/99/CE

 

(Tutela penale dell’ambiente)

 

 

La direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente dovrà essere attuata dagli Stati membri entro il 26 dicembre 2010.

Essa si propone l’obiettivo di ottenere che gli Stati membri introducano, nel proprio diritto penale interno, sanzioni penali che possano garantire una più efficace tutela dell’ambiente (“considerando n. 3” e art. 1), con un grado di deterrenza maggiore rispetto alle sanzioni amministrative o ai meccanismi risarcitori del diritto civile.

La direttiva rappresenta, pertanto, un importante cambiamento nel sistema delle fonti normative del diritto penale ambientale, in quanto istituisce un livello minimo di armonizzazione in relazione alle attività contro l’ambiente che devono essere considerate reati e un sistema di responsabilità penale analogo per tutte le persone giuridiche in grado di garantire una più efficace tutela dell’ambiente stesso.

La direttiva recepisce i principi ribaditi in due sentenze della Corte di giustizia europea[52] secondo cui la competenza della Comunità europea ad attuare le politiche e le azioni comuni di cui agli artt. 2 e 3 del Trattato CE comprende anche il potere di richiedere agli Stati membri l’applicazione di adeguate sanzioni penali.

Nelle due citate sentenze, pur confermando il consolidato principio in forza del quale, in linea generale, “la legislazione penale e le regole di procedura penale non rientrano tra le competenze comunitarie”, la Corte ha affermato che tale constatazione non potrebbe precludere alla legislazione comunitaria - quando l’applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle autorità nazionali competenti costituisca una misura «indispensabile» per lottare contro i comportamenti gravemente pregiudizievoli per l’ambiente - di adottare misure collegate al diritto penale degli Stati membri e che siano considerate “necessarie” per garantire la piena efficacia delle norme che esso venga a emanare in materia di protezione dell’ambiente.

Sul piano applicativo, la direttiva è destinata, infatti, ad avere effetti sulle normative penali dei singoli Stati membri, in quanto prevede che vengano sanzionate una serie di condotte imputabili a persone giuridiche idonee a provocare danni alla salute delle persone o un significativo deterioramento dell’ambiente.

L’articolo 3 reca, pertanto, un elenco di nove tipi di attività illecite che dovranno essere considerate reati da parte degli Stati membri, allorché poste in essere intenzionalmente o con grave negligenza e qualora provochino danni alla salute delle persone (decesso o lesioni gravi), ovvero un danno rilevante alle componenti naturali dell’ambiente (un significativo deterioramento della qualità dell’aria, del suolo, delle acque, della fauna o della flora):

1.    scarico, emissione o immissione illeciti nell’aria, nel suolo o nelle acque, di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti;

2.    raccolta, trasporto, recupero o smaltimento di rifiuti, comprese la sorveglianza di queste operazioni e il controllo dei siti di smaltimento successivo alla loro chiusura, nonché l’attività di gestione di rifiuti effettuata dal commerciante o intermediario;

3.    spedizione di rifiuti transfrontalieri effettuata in quantità non trascurabile in un’unica operazione o in più operazioni che risultino fra di loro connesse;

4.    esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate sostanze o preparati pericolosi;

5.    fabbricazione, trattamento, deposito, uso, trasporto, esportazione o importazione di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose;

6.    uccisione, la distruzione, il possesso o il prelievo di quantità non trascurabili di specie animali o vegetali selvatiche protette;

7.    commercio di quantità non trascurabili di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette o di parti di esse o di prodotti derivati;

8.    significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;

9.    produzione,importazione,esportazione, immissione sul mercato o uso di sostanze che riducano lo strato di ozono.

 

Allo stesso modo, è previsto che siano qualificate come reati le condotte di favoreggiamento e di istigazione a commettere intenzionalmente talune delle suddette attività (articolo 4).

L’articolo 5 dispone, quindi, che gli Stati membri dovranno adottare, secondo una formula ricorrente a livello comunitario, misure necessarie per assicurare che i reati previsti agli articolo 3 e 4 vengano puniti con sanzioni penaliefficaci, proporzionate e dissuasive”, ferma restando lafacoltà di stabilire disposizioni penali più stringenti (“considerando n. 12”).

 

La direttiva introduce, all’articolo 6, una responsabilità penale in capo alle persone giuridiche per i reati indicati agli articoli 3 e 4, qualora siano commessi, a loro vantaggio, da qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla stessa persona giuridica (comma 1).

Lo stesso articolo introduce anche una responsabilità da reato dell’ente «per carenza di sorveglianza o controllo» da parte di uno dei soggetti aventi la posizione preminente sopracitata, che abbia reso possibile la perpetrazione dei suddetti reati a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità (comma 2).

Il comma 3 precisa, infine, come la responsabilità dell’ente non escluda l’azione penale nei confronti delle persone fisiche che siano autori, incitatori o complici dei reati di cui agli articoli 3 e 4.

La previsione del coinvolgimento delle persone giuridiche nella materia ambientale rappresenta un profondo cambiamento nel sistema delle fonti normative del diritto penale ambientale in quanto, il più delle volte, sono gli enti economici a svolgere attività industriale nel cui interesse vengono colposamente o dolosamente compiuti gravi danni all’ambiente, ed essi sono, in genere, costituiti come persone giuridiche.

 

L’articolo 7 stabilisce che anche nei confronti delle persone giuridiche responsabili dei reati ambientali le sanzioni disposte dai singoli ordinamenti nazionali siano "efficaci, proporzionate e dissuasive".

 

La direttiva reca, infine, due allegati, in cui viene elencata la normativa comunitaria la cui violazione sostituisce un comportamento “illecito” ai sensi dell’articolo 2 della stessa direttiva:

§      l’allegato A reca 69 direttive comunitarie emanate a protezione dell’ambiente e adottate in base al Trattato CE;

§      l’allegato B riporta 3 direttive adottate ai sensi del Euratom.

 

Da ultimo si riportano alcune considerazioni in merito agli effetti delle disposizioni della direttiva 2008/99/CE sulla disciplina nazionale relativa alla responsabilità da reato degli enti, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, estendendone l'ambito applicativo ai reati ambientali.

Si ricorda, infatti, che il citato decreto n. 231, con cui è stata introdotta nel sistema giuridico italiano la responsabilità da reato delle persone giuridiche, non prevede la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reati ambientali. La delega contenuta nell’art. 11, comma 1, lett. d), della legge 29 settembre 2000, n. 300, che includeva nell’elenco dei reati - presupposto della responsabilità dell’ente – anche quelli in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, non è stata, infatti, ancora esercitata dal Governo.

Attualmente, l'unica norma in materia ambientale che rinvia alla responsabilità della persona giuridica - e alle previsioni del citato decreto legislativo n. 231/2001 - è contenuta nell’art. 192, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice ambientale) sull’abbandono dei rifiuti.

 

Il citato 4 dell’art. 192 così recita “Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni”.

 

Tale disposizione, tuttavia, oltre a limitare il riferimento agli amministratori o rappresentanti delle persone giuridiche, sembrerebbe far espresso riferimento unicamente alla previsione del comma 3 dell’art. 192 citato (abbandono e deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo e immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee). Si tratta, pertanto, di un rinvio generico che, alla luce di una interpretazione della norma e dei principi di tassatività e tipicità cui è ispirato il diritto penale, non può che condurre ad escludere l'applicabilità della responsabilità ex decreto 231 agli illeciti ambientali.

Pertanto, il legislatore nazionale dovrà prevedere, entro il 26 dicembre 2010 (termine di recepimento della direttiva), l’estensione della responsabilità penale delle persone giuridiche anche ai reati ambientali colposi che saranno introdotti nel sistema giuridico nazionale, in quanto la direttiva impone l’attuazione di un sistema sanzionatorio di natura esclusivamente penale. Viene, invece, lasciata ampia discrezionalità in merito alla tipologia di sanzioni, pecuniarie e/o interdittive (revoca delle autorizzazioni, interdizioni dall’esercizio dell’attività, esclusione da finanziamenti, divieto di contrattazione con la P.A., tanto per citarne alcune), applicabili alle persone giuridiche responsabili di reati ambientali.

 


Direttiva 2008/104/CE

 

(Lavoro tramite agenzia interinale)

 

 

La direttiva 2008/104/CE del 19 novembre 2008, del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al lavoro tramite agenzia interinale, provvede a disciplinare, in ambito europeo, la fattispecie del lavoro interinale, peraltro già diffusa nella maggior parte dei paesi europei.

Quadro normativo

Nel nostro ordinamento la fornitura di lavoro temporaneo (cd. lavoro interinale) è stata introdotta dagli articoli 1-11 della legge 24 giugno 1996, n. 197 (cd. legge Treu)[53], i quali hanno disciplinato la fattispecie sotto il profilo contrattuale, retributivo e previdenziale, innovando profondamente la previgente normativa, che addirittura sanzionava penalmente e civilmente l'attività delle agenzie fornitrici di manodopera (articoli 11 e 27 della legge n. 264/1949 sul collocamento) e vietava, in generale, di affidare a un soggetto terzo l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro da svolgersi da parte di personale assunto e retribuito dal terzo intermediario (articolo 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369).

Si ricorda che nel lavoro interinale viene individuato un rapporto trilaterale (tra impresa fornitrice, lavoratore temporaneo e impresa utilizzatrice) fondato su due diversi contratti:

§       il contratto di fornitura di lavoro temporaneo (stipulato tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice);

§       il contratto di natura lavoristica tra impresa fornitrice e lavoratore temporaneo, (denominato "contratto per prestazioni di lavoro temporaneo") che deve indicare anche l'impresa utilizzatrice, ma in cui il rapporto tra quest'ultima e il lavoratore non assume una autonoma veste contrattuale.

 

Successivamente, il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276[54], ha introdotto la fattispecie del contratto di somministrazione di lavoro (articoli 20 e ss.), che può essere concluso da ogni soggetto (utilizzatore) che si rivolga ad altro soggetto (somministratore) a ciò autorizzato dal Ministero del lavoro.

Tale contratto in sostanza sostituisce il contratto di fornitura di lavoro interinale (la cui disciplina è stata contestualmente abrogata). Pertanto le agenzie di somministrazione hanno preso il posto delle vecchie agenzie di lavoro temporaneo.

 

La normativa originaria prevedeva che il contratto di somministrazione potesse essere concluso a termine o a tempo indeterminato. Successivamente, l’articolo 1, comma 46, della legge 24 dicembre 2007, n. 247[55], ha abolito la fattispecie della somministrazione a tempo indeterminato[56].

 

Nel caso della somministrazione a tempo determinato viene superata la precedente impostazione restrittiva che rendeva possibile la fornitura di lavoro temporaneo solamente nel casi previsti tassativamente dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Pertanto la somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa ogniqualvolta ricorrano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività dell'utilizzatore. Si affida alla contrattazione collettiva il compito dell’eventuale individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato.

L’articolo 20, inoltre, elenca una serie di fattispecie nelle quali è vietata l’utilizzazione del contratto di somministrazione:

§       nel caso di sostituzione di lavoratori in sciopero;

§       salva diversa previsione dei contratti collettivi, nel caso di unità produttive che nei sei mesi precedenti abbiano effettuato licenziamenti collettivi[57] o presso cui sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione di orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori con analoghe mansioni;

§       nel caso di aziende che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi degli articoli 15 e ss. del d.lgs. n. 81/2008[58].

 

Il successivo articolo 21 dispone che il contratto di somministrazione deve essere concluso in forma scritta (ad substantiam) e deve contenere una serie di elementi (per esempio, numero dei lavoratori interessati e loro mansioni, durata, motivi di interesse aziendale, luogo, orario e trattamento economico, assunzione reciproca degli obblighi contrattuali). La mancanza della forma scritta o la mancata indicazione di alcuni elementi essenziali determina la nullità del contratto di somministrazione, con la conseguenza che i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.

Per quanto concerne in generale il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore, per i contratti di lavoro a tempo indeterminato, l’articolo 22 conferma l’applicazione della disciplina civilistica e delle leggi speciali vigenti, mentre per i contratti di lavoro a tempo determinato si applicano le disposizioni del d.lgs. n. 368/2001, in materia, appunto, di lavoro a tempo determinato

Nell’ipotesi di somministrazione a tempo determinato, nel caso in cui il prestatore sia stato assunto dall’agenzia di somministrazione con contratto stipulato a tempo indeterminato, nel medesimo è precisato l’ammontare dell’indennità mensile di disponibilità, corrisposta dal somministratore per i periodi in cui il lavoratore rimane in attesa di assegnazione. La misura di tale indennità è fissata dal contratto collettivo e comunque non può essere inferiore alla misura prevista con decreto ministeriale. Si precisa che l’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo (quindi non concorre alla determinazione della tredicesima mensilità o al trattamento di fine rapporto).

All’articolo 23, oltre a prevedersi un obbligo in solido tra somministratore ed utilizzatore per quanto riguarda la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali, si prevedono alcune tutele per i lavoratori dal punto di vista economico e retributivo, della sicurezza sul lavoro e dell’esercizio del potere disciplinare riservato al somministratore.

L’articolo 24 dispone che ai lavoratori delle imprese di somministrazione si applicano i diritti sindacali di cui allo Statuto dei lavoratori, alla stregua di tutti i lavoratori subordinati a tempo indeterminato. Il lavoratore può esercitare liberamente, anche presso l’utilizzatore, le libertà sindacali e può partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici.

Ai lavoratori che dipendono da uno stesso somministratore ma lavorano presso diversi utilizzatori compete uno specifico diritto di riunione secondo la normativa vigente, con le modalità stabilite dalla contrattazione.

Inoltre, l’utilizzatore è tenuto a comunicare alle rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.) il numero e i motivi dei contratti di somministrazione conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati. In mancanza delle r.s.a. tale comunicazione va indirizzata alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano sindacale.

L’articolo 25 pone a carico del somministratore il versamento degli oneri contributivi (previdenziali ed assistenziali), nonché quelli relativi all’assicurazione contro gli infortuni. A tal fine il somministratore viene inquadrato nel settore terziario, tranne nel caso in cui i lavoratori prestino la loro opera nel settore agricolo o nel lavoro domestico dove sono applicate le discipline di settore.

Per quanto concerne la responsabilità civile per i danni arrecati a terzi nell’esercizio dell’attività lavorativa, ai sensi dell’articolo 2049 c.c., l’articolo 26precisa che ne risponde il soggetto utilizzatore, poiché esercita nel concreto il potere direttivo nei confronti del lavoratore.

In caso di somministrazione irregolare di lavoro, ovvero quando non siano state rispettate le condizioni per la stipula del contratto di somministrazione (cfr. articolo 20) o non siano state indicati alcuni elementi che configurano il rapporto di lavoro, l’articolo 27stabilisce che il lavoratore possa adire le vie legali per richiedere l’instaurazione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore con decorrenza fin dall’inizio della somministrazione. Il giudizio dovrà riguardare solo l’accertamento della irregolarità del contratto, senza entrare nel merito delle scelte organizzative o produttive.

Nell’eventualità di somministrazione di lavoro fraudolenta con l’intento di eludere disposizioni legislative o contrattuali inderogabili, l’articolo 28 prevede – oltre alle sanzioni pecuniarie indicate all’articolo 18 del d.lgs. n. 276/2003 – l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di 20 euro, a carico sia del somministratore sia dell’utilizzatore, per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione.

Il contenuto della direttiva 2008/104/CE

La direttiva in esame, ritenendo necessarie, per i lavoratori e le imprese, nuove forme di organizzazione del lavoro nonché una maggiore differenziazione dei contratti, che combinino meglio flessibilità e sicurezza, al fine di migliorare la capacità di adattamento (“considerando n. 9”), e stabilendo un quadro normativo che tuteli i lavoratori tramite agenzia interinale che sia non discriminatorio, trasparente e proporzionato, nel rispetto della diversità dei mercati del lavoro e delle relazioni industriali (“considerando n. 12”), provvede a tutelare i lavoratori tramite agenzia interinale e a migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale, garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento nei confronti dei lavoratori utilizzati e riconoscendo tali agenzie quali datori di lavoro (articolo 2).

 

La stessa direttiva, infatti, nel riconoscere come il ricorso al lavoro temporaneo tramite agenzia, la posizione giuridica, lo status e le condizioni di lavoro dei lavoratori tramite agenzia interinale siano caratterizzati, nell’ambito dell’Unione europea, da una grande diversità (“considerando n. 10”), ha ritenuto tale fattispecie lavorativa rispondente non solamente alle esigenze di flessibilità delle imprese, ma anche alla necessità di conciliare vita privata e vita professionale dei lavoratori dipendenti, nonché in grado di contribuire alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione e all’inserimento al mercato del lavoro (“considerando n. 11”).

 

Le disposizioni di cui alla direttiva in oggetto, ai sensi dell’articolo 11, devono essere adottate entro il 5 dicembre 2011.

Gli Stati membri, ai sensi dello stesso articolo, possono comunque accertarsi che le parti sociali attuino le disposizioni necessarie mediante specifico accordo; in ogni caso devono comunque adottare tutte le misure necessarie a consentire alle stesse parti di garantire in qualsiasi momento il conseguimento degli obiettivi della direttiva in esame.

E’ prevista inoltre la predisposizione di un apparato sanzionatorio (articolo 10) in caso di inosservanza delle disposizioni da parte di agenzie interinali o di imprese utilizzatrici.

 

La direttiva in esame si applica (articolo 1) ai lavoratori titolari di contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente (quindi non a tempo indeterminato) e sotto il controllo e la direzione delle stesse, nonché alle imprese pubbliche e private che siano agenzie di lavoro interinale o imprese utilizzatrici che esercitino un’attività economica, con o senza fini di lucro.

Lo stesso articolo (paragrafo 3), dispone la facoltà, per gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, di prevedere la non applicazione delle disposizioni in esame ai contratti o ai rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un programma specifico di formazione, d’inserimento e di riqualificazione professionali, pubblico o sostenuto da enti pubblici.

 

L’articolo 3, paragrafo 1, lasciando comunque impregiudicate le definizioni di retribuzione, contratto di lavoro, rapporto di lavoro o lavoratore, contenute nella legislazione nazionale (paragrafo 2), reca alcune definizioni, tra le quali si segnalano le seguenti:

§      agenzia interinale”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di inviarli in missione presso imprese utilizzatrici affinché prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse;

§      lavoratore tramite agenzia interinale” (di seguito lavoratore interinale): il lavoratore che sottoscrive un contratto di lavoro o inizia un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale, al fine di essere inviato in missione presso un’impresa utilizzatrice per prestare temporaneamente la propria opera sotto il controllo e la direzione della stessa;

§      impresa utilizzatrice”: qualsiasi persona fisica o giuridica presso cui e sotto il cui controllo e direzione un lavoratore interinale presti temporaneamente la propria opera;

§      missione”: il periodo durante il quale il lavoratore interinale è messo a disposizione di un’impresa utilizzatrice affinché presti temporaneamente la propria opera sotto il controllo e la direzione della stessa.

 

Lo stesso articolo, inoltre, dispone (paragrafo 2) la valenza delle definizioni di retribuzione, contratto di lavoro, rapporto di lavoro o lavoratore, contenute nella legislazione nazionale.

In ogni caso, gli Stati membri non possono escludere dall’ambito d’applicazione della direttiva in esame i lavoratori, i contratti o i rapporti di lavoro unicamente per il fatto che riguardano lavoratori a tempo parziale, lavoratori a tempo determinato o persone che hanno un contratto o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale.

 

La stessa direttiva, inoltre, giustifica la possibilità di ricorrere a divieti o restrizioni in materia soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori interinali, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi (articolo 4). E’ previsto altresì un riesame, da effettuare entro il 5 dicembre 2011, delle richiamate restrizioni o divieti sul ricorso al lavoro tramite agenzia interinale, al fine di accertarne la fondatezza.

 

Il successivo articolo 5 reca il principio della parità di trattamento, stabilendo, in particolare (paragrafo 1), che per tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e d’occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale siano almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro.

Più specificamente, ai fini dell’applicazione del richiamato principio, le regole in vigore nell’impresa utilizzatrice concernenti, in particolare, la protezione delle donne in stato di gravidanza e in periodo di allattamento, la protezione dei bambini e dei giovani, nonché la parità di trattamento fra uomini e donne e ogni azione volta a combattere qualsiasi forma di discriminazione fondata su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o tendenze sessuali, devono essere rispettate a norma di quanto stabiliscono le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, i contratti collettivi e/o le altre disposizioni di portata generale presenti in ogni singolo Stato membro.

 

Il principio di parità di trattamento prevede comunque alcune deroghe:

 

§      per quanto attiene alla retribuzione (paragrafo 2), si prevede che gli Stati membri possano, previa consultazione delle parti sociali, derogare al principio richiamato nel caso in cui i lavoratori interinali legati da un contratto a tempo indeterminato a un’agenzia interinale continuino a essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra;

 

§      per quanto concerne la contrattazione (paragrafo 3), si prevede la possibilità, per gli Stati membri, di accordare ai lavoratori interinali, al livello appropriato e alle condizioni da essi previste, l’opzione di mantenere o concludere contratti collettivi che, nel rispetto della protezione globale dei lavoratori interinali, possano stabilire modalità alternative riguardanti le condizioni di lavoro e d’occupazione dei lavoratori interinali, diverse da quelle in precedenza richiamate.

Inoltre, è prevista la possibilità, per gli Stati membri in cui i contratti collettivi siano applicabili o non sia possibile estendere le disposizioni di questi ultimi a tutte le imprese simili in un determinato settore o area geografica, di stabilire modalità alternative riguardanti le condizioni di base di lavoro e d’occupazione in deroga al principio in precedenza richiamato (paragrafo 4);

Tali modalità alternative sono esplicitamente considerate conformi alla normativa comunitaria e sufficientemente precise e accessibili da consentire ai settori e alle aziende interessate di individuare e assolvere i loro obblighi.

Gli Stati membri hanno comunque l’obbligo di precisare, in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, se i regimi professionali di sicurezza sociale, inclusi i regimi pensionistici, i regimi relativi alle prestazioni per malattia o i regimi di partecipazione finanziaria dei lavoratori, siano compresi nelle condizioni di base di lavoro e d’occupazione in oggetto. Tali modalità alternative lasciano inoltre impregiudicati eventuali accordi a livello nazionale, regionale, locale o settoriale che non siano meno favorevoli ai lavoratori.

 

Spetta in ogni caso agli Stati membri (paragrafo 5) adottare le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o le pratiche nazionali, al fine di evitare il ricorso abusivo all’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo in esame, e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva.

 

L’articolo 6 dispone in merito all’accesso all’occupazione, alle attrezzature collettive e alla formazione professionale dei lavoratori interinali.

In particolare, si prevede:

§      l’informazione dei lavoratori interinali in relazione ai posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato; 

§      la nullità delle clausole che vietino o impediscano la stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione;

§      la valenza delle disposizioni in base alle quali le agenzie di lavoro interinale debbano ricevere un compenso ragionevole per i servizi resi all’impresa utilizzatrice in relazione alla missione, all’impiego e alla formazione dei lavoratori tramite agenzia interinale;

§      il divieto per le stesse agenzie di richiedere compensi ai lavoratori in cambio di un’assunzione presso un’impresa utilizzatrice o nel caso in cui essi stipulino un contratto di lavoro o avviino un rapporto di lavoro con l’impresa utilizzatrice dopo una missione nella medesima;

§      l’accesso, salvo specifiche eccezioni, dei lavoratori interinali alle strutture o alle attrezzature collettive e, in particolare, ai servizi di ristorazione, alle infrastrutture d’accoglienza dell’infanzia e ai servizi di trasporto dell’impresa utilizzatrice, alle stesse condizioni dei lavoratori impiegati direttamente dall’impresa stessa, a meno che ragioni oggettive giustifichino un trattamento diverso;

§         l’adozione di misure, da parte degli Stati membri, volte:

·       a migliorare l’accesso dei lavoratori interinali alle opportunità di formazione e alle infrastrutture d’accoglienza dell’infanzia nelle agenzie di lavoro interinale, anche nei periodi che intercorrono tra una missione e l’altra, per favorirne l’avanzamento della carriera e l’occupabilità;

·       a migliorare l’accesso dei lavoratori medesimi alle opportunità di formazione di cui godono i lavoratori delle imprese utilizzatrici.

 

Gli articoli 7 ed 8 recano disposizioni concernenti, rispettivamente, la rappresentanza dei lavoratori interinali e l’informazione dei, rappresentanti degli stessi. In questo ambito si segnala la disposizione di cui all’articolo 7, paragrafo 1, in base alla quale i lavoratori interinali debbono essere presi in considerazione, alle condizioni stabilite dagli Stati membri, per il calcolo della soglia sopra la quale si devono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori previsti dalla normativa comunitaria e nazionale o dai contratti collettivi in un’agenzia interinale.

 

Infine, l’articolo 9, quale norma di garanzia, prevede la possibilità per gli Stati membri di introdurre o applicare disposizioni, o di agevolare o consentire contratti collettivi o accordi più favorevoli ai lavoratori, non permettendo, allo stesso tempo, che l’applicazione della direttiva si sostanzi in una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori rientranti nel suo ambito d’applicazione.

 

 

Il termine di recepimento della direttiva 2008/104/CE è fissato al 5 dicembre 2011.


Direttiva 2008/105/CE

 

(Standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque)

 

 

L’inquinamento chimico delle acque di superficie rappresenta una minaccia per l’ambiente acquatico, con effetti quali la tossicità acuta e cronica per gli organismi acquatici, l’accumulo negli ecosistemi e la perdita di habitat e di biodiversità, e una minaccia per la salute umana.

La principale finalità della direttiva 2008/105/CE è quella di consentire il raggiungimento di uno stato chimico buono delle acque superficiali attraverso l’istituzione, già prevista dalla “direttiva quadro sulle acque” (2000/60/CE), di standard di qualità ambientale (SQA) per gli inquinanti o gruppi di inquinanti che presentano un rischio significativo per l’ambiente acquatico, ossia le “sostanze prioritarie” e, all’interno di questa categoria, le sostanze “prioritarie pericolose” (art. 1).

Più in particolare, ai sensi dell’art. 2, numero 35), della direttiva 2000/60/CE (le cui definizioni si applicano anche alla direttiva in esame, in virtù dell’art. 2 della stessa) gli standard di qualità ambientale rappresentano «la concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota[59] che non deve essere superata, per tutelare la salute umana e l’ambiente». Essi sono differenziati a seconda che si tratti di acque interne (fiumi e laghi) o di altre acque di superficie (di transizione, costiere e territoriali).

L’allegato II della direttiva (che sostituisce, ai sensi dell’art. 10, l’allegato X della direttiva quadro) elenca le 33 sostanze considerate prioritarie e, tra queste, le 20 sostanze identificate come pericolose (è il caso, ad esempio, di cadmio, mercurio e degli idrocarburi policiclici aromatici). Ulteriori sostanze soggette a riesame (ai sensi dell’art. 8) per l’eventuale classificazione come sostanze prioritarie o sostanze pericolose prioritarie sono elencate dall’allegato III.

L’art. 3, prevede che gli Stati membri:

§      applichino gli SQA figuranti nell’allegato I, parte A, ai corpi idrici superficiali secondo le disposizioni dell’allegato I, parte B (par. 1);

§      dispongano l’analisi della tendenza a lungo termine delle concentrazioni delle citate sostanze prioritarie, che tendono ad accumularsi nei sedimenti e/o nel biota, in base al monitoraggio dello stato delle acque effettuato a norma dell’art. 8 della direttiva 2000/60/CE (par. 3);

§      adottino misure atte ad impedire (fatte salve le disposizioni previste dall’art. 4 della direttiva quadro per il raggiungimento degli obiettivi ambientali in esso contemplati) aumenti significativi nei sedimenti e/o nel biota di tali concentrazioni (par. 3).

Nel “considerando n. 15” viene sottolineato che in una prima fase si è ritenuto opportuno, per la maggior parte delle sostanze, limitare la definizione di SQA a livello comunitario alle sole acque di superficie. Tuttavia, per garantire una protezione contro gli effetti indiretti e l’avvelenamento secondario provocato da esaclorobenzene, esaclorobutadiene e mercurio, gli Stati membri possono decidere di applicare gli SQA per i sedimenti e/o il biota (art. 3, par. 2).

L’art. 4 consente agli Stati membri di avvalersi di “zone di mescolamento” adiacenti ai punti di scarico, in cui le concentrazioni di uno o più inquinanti possano superare gli SQA applicabili a condizione, però, che «tale superamento non abbia conseguenze sulla conformità del resto del corpo idrico superficiale ai suddetti standard»[60]. Sempre ai sensi dell’art. 4, gli Stati membri che ricorrono a questa possibilità, dovranno descrivere nei piani di gestione dei bacini idrografici elaborati a norma della direttiva quadro sulle acque gli approcci e le metodologie applicati per ottenere tali zone nonché descrivere le misure adottate al fine di ridurre in futuro le dimensioni delle zone di mescolamento.

In base alle informazioni raccolte o ad altri dati disponibili, gli Stati membri dovranno poi istituire un inventario, corredato di eventuale mappatura, delle emissioni, degli scarichi, delle perdite di sostanze prioritarie e degli inquinanti indicati dalla direttiva per ciascun bacino idrografico o parte di esso all’interno del loro territorio specificandone, se necessario, le concentrazioni per i sedimenti e il biota (art. 5).

 

L’art. 12 prevede, al paragrafo 1, l’abrogazione, a decorrere dal 22 dicembre 2012, delle seguenti direttive:

§      82/176/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio del settore dell’elettrolisi dei cloruri alcalini;

§      83/513/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di cadmio;

§      84/156/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio provenienti da settori diversi da quello dell’elettrolisi dei cloruri alcalini;

§      84/491/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di esaclorocicloesano;

§      86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell’elenco I dell’allegato della direttiva 76/464/CEE.

Il paragrafo 2 dello stesso articolo consente agli Stati membri, prima della decorrenza abrogativa indicata, di procedere al monitoraggio e alla comunicazione dei dati a norma della direttiva 2000/60/CE anziché applicare le relative disposizioni delle direttive indicate al par. 1.

 

Il termine per il recepimento della presente direttiva scade il 13 luglio 2010 (art. 13).

Procedure di contenzioso

Sebbene in riferimento alle direttive modificate dalla direttiva 2008/105/CE non risultino attive procedure d’infrazione nei confronti dell’Italia, si segnala che il 19 febbraio 2009 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura d’infrazione 2004/2034) contestando all’Italia di non avere ottemperato agli obblighi concernenti il trattamento delle acque reflue urbane secondo quanto previsto dalla direttiva 91/271/CE.

In particolare, la Commissione ritiene che l’Italia non abbia provveduto ad istituire sistemi adeguati per la raccolta e il trattamento delle acque, nei centri urbani con oltre 15.000 abitanti, sebbene la direttiva stabilisse come limite massimo di tempo il 31 dicembre 2000.

Il provvedimento fa seguito alla lettera di messa in mora inviata dalla Commissione all’Italia il 9 luglio 2004 nella quale la Commissione contestava all’Italia che, in base alle informazioni disponibili, risultava che un numero elevato di città e centri urbani non fossero conformi alla direttiva. Dopo una valutazione successiva, la Commissione e’ giunta alla conclusione che 299 agglomerati continuano a non essere conformi. L’Italia ha due mesi di tempo per rispondere. Secondo quanto previsto dall’art 226 TCE, qualora la Commissione rilevi il persistere dello stato di infrazione potrebbe decidere di deferire l’Italia di fronte alla Corte di giustizia europea.


Allegato B
Le direttive introdotte dalla XIV Commissione

 


Direttiva 2008/101/CE

 

(Attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra)

 

 

La direttiva 2008/101/CE, entrata in vigore il 2 febbraio 2009, modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere il settore aeronautico all’interno dell’ETS (Sistema comunitario di scambio di quote di emissione).

Al fine di diminuire le emissioni di CO2 derivanti dalle attività di trasporto aereo, la direttiva prevede una prima riduzione (pari al 3% delle emissioni misurate nel biennio 2004/2006) da raggiungersi entro il 2012, mentre l’obiettivo di lungo periodo (2013-2020) è quello di una riduzione complessiva del 5%.

Le compagnie aeree dovranno quindi, a partire dal 1° gennaio 2012, acquistare il “diritto di inquinamento”, secondo quanto previsto dal Sistema europeo di scambio delle quote di emissioni e saranno tenute, inoltre, a presentare alla Commissione piani di azione che descrivano le modalità con le quali prevedono di monitorare le proprie emissioni di CO2.

L’ambito di applicazione della direttiva riguarda tutte le rotte europee, nonché i voli che partono da o arrivano in un aerodromo situato nel territorio di uno Stato membro, come precisa il nuovo allegato I della direttiva 2003/87/CE, come sostituito dalla presente direttiva.

La direttiva disciplina, in particolare:

§         quantità totale di quote assegnate al trasporto aereo;

§         assegnazione delle quote al trasporto aereo mediante vendita all’asta;

§         modalità di assegnazione e rilascio di quote di emissione agli operatori aerei;

§         riserva speciale per taluni operatori aerei (accantonamento del 3% della quantità totale di quote di emissioni da assegnare);

§         piani di monitoraggio e comunicazione al fine della applicazione delle modalità di assegnazione e rilascio di quote agli operatori aerei[61].

 

 

 

 

Il termine per il recepimento da parte degli Stati membri scade il 2 febbraio 2010.

 

Al recepimento della direttiva 2008/101/CE è già finalizzata la deliberazione n. 27/2009 del Ministero dell’ambiente e dello sviluppo economico in data 6 agosto 2009 (pubblicata nella G.U. n. 195 del 24 agosto 2009)[62].


Direttiva 2008/110/CE

 

(Sicurezza delle ferrovie comunitarie)

 

 

La direttiva 2008/110/CE apporta modifiche alla disciplina relativa alla sicurezza del sistema ferroviario, dettata dalla direttiva 2004/49/CE. L’obiettivo della direttiva in esame – il cui termine di recepimento è fissato al 24 dicembre 2010 – è individuato nell’ulteriore sviluppo e miglioramento della sicurezza delle ferrovie comunitarie. Si interviene, in particolare, alla luce della convenzione entrata in vigore il 1° luglio 2006 sui trasporti ferroviari internazionali, secondo la quale i detentori di carri merci non sono più soggetti all’obbligo di immatricolare i carri presso un’impresa ferroviaria, e responsabili della manutenzione dei carri sono gli stessi detentori. Si rende pertanto necessario, da un lato, precisare il concetto di detentore, e dall’altro definire un sistema di certificazione concernente il responsabile della manutenzione. La direttiva reca quindi una specifica definizione di detentore, individuato quale soggetto che utilizza un veicolo in quanto mezzo di trasporto, indipendentemente dal fatto che ne sia proprietario, e che sia registrato nel registro di immatricolazione nazionale - RIN (di cui all’art. 33 della direttiva 2001/16/CE sull’interoperabilità ferroviaria).

Ove il soggetto competente per la certificazione fosse un’impresa ferroviaria o un gestore dell’infrastruttura, la certificazione verrà inclusa nella procedura relativa alla certificazione di sicurezza. Il responsabile per la manutenzione deve assicurare che tutti i veicoli siano in grado di circolare in condizioni di sicurezza, in conformità al diario di manutenzione di ciascun veicolo, e ai requisiti in vigore, incluse le norme di manutenzione e le STI (specifiche tecniche di interoperabilità).

Per i vagoni merci, ciascun responsabile della manutenzione deve essere certificato da un organismo accreditato secondo una disciplina che dovrà essere elaborata dall’Agenzia ferroviaria europea e adottata dalla Commissione entro il 24 dicembre 2010.

 


 

Direttiva 2008/112/CE

 

(Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele)

 

 

La direttiva in esame[63], composta di nove articoli ed entrata in vigore il 12 gennaio 2009, modifica diverse norme europee allo scopo di adeguarle al regolamento n. 1272 del 2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele pericolose.

Il regolamento n. 1272 del 2008, al fine di garantire un elevato livello di protezione della salute dell'uomo e dell'ambiente, dispone sulla armonizzazione della classificazione ed etichettatura di sostanze, miscele ed esplosivi, per favorirne la libera circolazione nella Comunità. Conseguentemente, tale regolamento ha sostituito la direttiva 67/548/CEE sulle sostanze pericolose e la direttiva 1999/45/CE concernente i preparati pericolosi.

Il regolamento non si applica tra l’altro ai medicinali ai cosmetici e alle sostanze radioattive

Entro il 1°aprile 2010 gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva in esame e applicano tali disposizioni a decorrere dal 1° giugno 2010 (articolo 7).

La direttiva modifica le seguenti norme:

la direttiva 76/768[64] sui cosmetici (articolo 1);

la direttiva 88/378[65] sulla sicurezza dei giocattoli (articolo 2);

la direttiva 1999/13[66] sulla limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all'uso di solventi organici (articolo 3);

la direttiva 2000/53[67] relativa ai veicoli fuori uso (articolo 4);

la direttiva 2002/96[68] sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) (articolo 5);

la direttiva 2004/42/CE[69] relativa alla limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all'uso di solventi organici in talune pitture e vernici e in taluni prodotti per carrozzeria (articolo 6).

La transizione dai criteri di classificazione contenuti nelle direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE deve essere completata il 1° giugno 2015.


Direttiva 2008/122/CE

 

(Tutela dei consumatori nei contratti di multiproprietà, nei contratti relativi ai prodotti per le vacanze a lungo termine e nei contratti di rivendita e di scambio)

 

 

La direttiva in esame disciplina - con finalità di tutela dei consumatori - alcuni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio, abrogando la disciplina previgente, contenuta nella direttiva 94/47/CE[70] (la quale, peraltro, si limitava a disciplinare la multiproprietà).

 

In particolare, la direttiva si applica alle transazioni commerciali da operatore (persona fisica o giuridica che agisce per i fini connessi alla sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale) a consumatore e definisce nei seguenti termini i contratti in oggetto (cfr. art. 2):

§       contratto di multiproprietà: contratto di durata superiore a un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione. Rispetto alla precedente disciplina, si segnala una duplice estensione dell'ambito di applicazione della disciplina comunitaria. Infatti, mentre la direttiva del 1994 disciplinava i soli contratti di durata non inferiore ai tre anni, il nuovo testo si applica ai contratti di multiproprietà la cui durata sia superiore a un anno; inoltre, la disciplina odierna si applica non solo ai beni immobili ma, più in generale, agli alloggi per il pernottamento, concetto che include anche i contratti relativi a beni mobili come roulotte, chiatte o navi;

§       contratto relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine: contratto di durata superiore a un anno ai sensi del quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di ottenere sconti o altri vantaggi relativamente ad un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio o ad altri servizi;

§       contratto di rivendita: contratto in forza del quale un operatore assiste a titolo oneroso un consumatore nella vendita o nell'acquisto di una multiproprietà o di un prodotto per le vacanze di lungo termine;

§       contratto di scambio: contratto in forza del quale un consumatore partecipa a titolo oneroso a un sistema di scambio che gli consente l'accesso all'alloggio per il pernottamento o ad altri servizi in cambio della concessione ad altri dell'accesso temporaneo ai vantaggi che risultano dai diritti derivanti dal suo contratto di multiproprietà.

 

Le misure principali adottate dalla direttiva 2008/122/CE riguardano le informazioni da fornire prima della firma dei contratti, la lingua da usare, il diritto di recesso senza costi e il divieto di pagamenti anticipati.

In particolare, gli artt. 3 e 4 della direttiva chiariscono quali sono le informazioni precontrattuali che devono essere fornite al consumatore, sin dalla fase di offerta pubblicitaria del contratto, per iscritto e nella sua lingua, ricorrendo ai formulari informativi standard allegati alla direttiva[71].

Il contratto dovrà essere redatto per iscritto e nella lingua dello Stato membro in cui il consumatore risiede o di cui è cittadino. Nel caso di un contratto di multiproprietà riguardante un bene immobile, può inoltre essere richiesta una traduzione certificata del contratto nella lingua o nelle lingue dello Stato membro in cui è situata la proprietà.

Il contratto dovrà includere inoltre un formulario (cfr. allegato V alla direttiva) attraverso il quale il consumatore potrà esercitare il diritto di recesso, entro 14 giorni dalla stipula (attualmente il termine è di 10 giorni) e senza dover indicare particolari motivi.

 

Il periodo di recesso si calcola:

§       dal giorno della conclusione del contratto o di qualsiasi contratto preliminare vincolante;

§       dal giorno in cui il consumatore riceve il contratto o qualsiasi contratto preliminare vincolante, se posteriore alla data della conclusione del contratto o del preliminare vincolante.

 

Disposizioni particolari sono previste (art. 6) nel caso in cui il formulario di recesso non sia stato compilato dall’agente commerciale e consegnato al consumatore per iscritto.

Il consumatore che intenda esercitare il diritto di recesso deve notificare per iscritto all’operatore la propria decisione. In tal caso, il consumatore non sostiene alcuna spesa né è debitore del valore corrispondente all’eventuale servizio reso prima del recesso. L’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore pone fine all’obbligo delle parti di eseguire il contratto (art. 8).

L’art. 9 della direttiva vieta qualsiasi forma di pagamento a favore dell’operatore o di un terzo prima della fine del periodo durante il quale il consumatore può esercitare il diritto di recesso o prima che la vendita abbia effettivamente luogo o che sia posta fine in altro modo al contratto di rivendita.

Per i contratti relativi a prodotti per le vacanze di lungo termine il pagamento dovrà avvenire secondo il piano di pagamento scaglionato (art. 10). In particolare, i pagamenti, comprese le quote di affiliazione, sono ripartiti in rate annuali, ciascuna di pari valore e, a partire dal secondo pagamento rateale, il consumatore può porre fine al contratto senza incorrere in penali dando preavviso all’agente commerciale entro quattordici giorni dalla ricezione della richiesta di pagamento per ciascuna rata.

L’esercizio da parte del consumatore del diritto di recesso dal contratto di multiproprietà o dal contratto relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine comporta automaticamente, e senza alcuna spesa, la risoluzione di tutti i contratti di scambio ad esso accessori e di qualsiasi altro contratto accessorio. Analoghe disposizioni sono previste per il contratto di credito se il prezzo è interamente o parzialmente coperto da un credito concesso al consumatore dall’agente commerciale o da un terzo in base a un accordo fra il terzo e l’operatore (art. 11).

Sotto il profilo della legge applicabile al contratto, l’art. 12 chiarisce che le disposizioni della direttiva hanno carattere inderogabile sia quando è applicabile la legge di uno Stato membro, sia quando è applicabile la legge dello Stato terzo laddove il bene immobile interessato sia situato sul territorio di un Paese membro o, se il contratto non riguarda beni immobili, nei casi in cui l'operatore svolga l'attività commerciale o professionale in uno Stato membro o diriga la sua attività verso il territorio comunitario.

Sarà compito degli Stati, in sede di attuazione della direttiva, individuare sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per l’ipotesi in cui l’operatore non rispetti le disposizioni contenute nella direttiva stessa (art. 15).

 

Attualmente, l’art. 81 del Codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 2005) 12 del decreto legislativo 427/98, salvi i casi di illecito penale, prevede sanzioni amministrative pecuniarie da 500 a 3.000 euro, con la possibilità di disporre nei confronti dell'operatore la sospensione dall'attività.

 

Come preannunciato, con la piena operatività della direttiva 2008/122 sarà abrogata la precedente direttiva 94/47/CE (art. 18); il raffronto fra le disposizioni della precedente direttiva e le odierne è agevolato dall’allegato VI della direttiva 2008/122/CE.

Il termine di attuazione della direttiva in commento è fissato dal legislatore comunitario (art. 16) entro il 23 febbraio 2011.


Direttiva 2009/4/CE

 

(Contromisure volte a prevenire e rilevare
la manipolazione delle registrazioni dei tachigrafi)

 

 

La direttiva 2009/4/CE modifica la direttiva 2006/22/CE[72], che disciplina i controlli diretti a verificare il rispetto della normativa comunitaria in materia di durata dei periodi di lavoro e di riposo nel settore dei trasporti su strada.

La modifica si rende necessaria per far fronte alla possibile installazione di dispositivi intesi ad alterare le attestazioni fornite dall’apparecchio di controllo (tachigrafo digitale), del quale devono essere dotati, ai sensi del regolamento (CEE) 3821/85, i veicoli adibiti al trasporto su strada.

Per evitare le frodi, la direttiva prevede che, nei controlli su strada, occorre sottoporre a verifica anche l’apparecchio di controllo (tachigrafo digitale) per rilevare il montaggio e/o l’uso di eventuali dispositivi intesi a distruggere, sopprimere, manipolare o alterare dati, oppure intesi a interferire con qualsiasi parte dello scambio elettronico di dati tra i componenti dell’apparecchio, oppure che ostacolano o alterano i dati.

Per la stessa finalità si prevede inoltre che i funzionari incaricati dei controlli siano forniti di specifica apparecchiatura d’analisi, dotata di programmi informatici adeguati, per verificare e confermare la firma digitale che accompagna i dati, e di programmi specifici atti a fornire il profilo di velocità dei veicoli, prima dell’ispezione del loro apparecchio di controllo.

 

Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri scade il 31 dicembre 2009.

 


Direttiva 2009/5/CE

 

(Disposizioni in materia sociale
nel settore dei trasporti su strada)

 

La direttiva 2009/5/CE sostituisce l’allegato III della direttiva 2006/22/CE[73], il quale individua le infrazioni alla normativa comunitaria in materia di durata dei periodi di lavoro e di riposo nel settore dei trasporti su strada.

 

L’articolo 9 della direttiva 2006/22/CE prevede che gli Stati membri introducano un sistema di classificazione del rischio, da applicare alle imprese di trasporto, in relazione al numero ed alla gravità delle infrazioni da queste commesse. Le imprese che, in considerazione delle infrazioni commesse, presentano un fattore di rischio elevato sono assoggettate a controlli più rigorosi e frequenti.

L’originario allegato III della direttiva 2006/22/CE conteneva un elenco iniziale, non esaustivo, di violazioni alla normativa comunitaria in materia, da considerare come infrazioni. L’articolo 9 cit., paragrafo 3, prevedeva la possibilità per la Commissione di modificare tale allegato, per definire linee direttrici sulla valutazione delle infrazioni, suddividendo queste ultime in categorie, in funzione della loro gravità.

Si è in seguito ritenuto che fornire ulteriori orientamenti sulla categorizzazione delle infrazioni costituisca un passo importante per garantire certezza giuridica alle imprese e una concorrenza più equa. Inoltre una categorizzazione delle sanzioni potrebbe fornire una base comune ai sistemi di classificazione del rischio che gli Stati membri devono adottare e consentirebbe di prendere in considerazione, ai fini dell’individuazione del fattore di rischio dell’impresa, anche le violazioni commesse in Stati membri diversi da quello di stabilimento.

La categorizzazione delle infrazioni dovrebbe dipendere dalla loro gravità e dalle possibili conseguenze sulla sicurezza stradale e sulla possibilità di effettuare controlli sul rispetto della normativa in materia.

 

La Commissione, sulla base delle sopra indicate considerazioni, si è avvalsa della facoltà di cui al citato articolo 9, emanando la direttiva 2009/5/CE in oggetto, che sostituisce l’allegato III della direttiva 2006/22/CE. Il nuovo allegato contiene un elenco più dettagliato del precedente delle infrazioni ai regolamenti comunitari in materia, indicando, per ciascun tipo di infrazione, il grado di gravità.

 

Il termine per il recepimento della direttiva scade il 31 dicembre 2009.


Direttiva 2009/12/CE

 

(Diritti aeroportuali)

 

 

La direttiva 2009/12/CErappresenta l’ultimo atto adottato dal legislatore comunitario nell’ambito del percorso volto a garantire l’effettivo compimento del processo di liberalizzazione e privatizzazione del trasporto aereo. La direttiva stabilisce principi comuni per la riscossione dei diritti aeroportuali negli aeroporti della Comunità con riferimento a tutti gli scali comunitari con traffico annuale superiore a cinque milioni di movimenti passeggeri (art.1).

Il provvedimento stabilisce, dunque, criteri armonizzati per la fissazione delle tasse aeroportuali destinate a finanziare le misure di sicurezza dell'aviazione negli aeroporti europei. Gli obiettivi preminenti si possono sintetizzare nella volontà di garantire la non discriminazione (art.3), la trasparenza (art.7) e la consultazione delle compagnie aeree (art.6) qualora le autorità aeroportuali stabiliscano i diritti da applicare a fronte delle misure di sicurezza, nonché l'aderenza ai costi di tali diritti. Accanto a ciò viene proposta l'istituzione di un'autorità di vigilanza indipendente in ogni Stato membro (art.11).

 

In sintesi, l’approvazione delle direttiva sopra esposta assume particolare rilievo in relazione alle questioni connesse ai costi della sicurezza aerea in Europa, aumentati anche a seguito dei significativi provvedimenti che l'Unione europea ha adottato per garantire la protezione dei viaggiatori nel settore dell'aviazione.

Premesso che la copertura dei costi inerenti alla sicurezza dell'aviazione è regolamentata a livello nazionale, è opportuno segnalare come, da una parte, le informazioni fornite ai passeggeri su tali costi possano molto spesso apparire inadeguate, dall’altra, le compagnie aeree non siano consultate sistematicamente in tutti gli aeroporti dell'UE in ordine a tale problematica. Questa condizione impedisce che si crei un'autentica parità di condizioni tra gli aeroporti e le compagnie aeree, parità che, a giudizio degli operatori del settore, risulta fondamentale nella situazione particolarmente critica in cui versa l'intero settore dell'aviazione.

La Commissione ha più volte segnalato come, per garantire una concorrenza leale e non distorta fra compagnie aeree e fra aeroporti, sia essenziale fissare diritti per le misure di sicurezza che siano non discriminatori e strettamente aderenti ai costi.

Per le motivazioni anzidette la Commissione europea ha proposto, nell’ambito della direttiva 2009/12, i seguenti principi comuni per la riscossione dei diritti connessi alle misure di sicurezza negli aeroporti della Comunità:

§       non discriminazione: i diritti per le misure di sicurezza non devono creare discriminazioni fra i passeggeri del trasporto aereo o fra le compagnie aeree;

§       consultazione: le compagnie aeree devono essere consultate sui diritti per le misure di sicurezza obbligatoriamente e periodicamente (almeno una volta all'anno). Prima di prendere una decisione, gli aeroporti devono tener conto dei pareri delle compagnie aeree e, se non viene raggiunto un accordo, devono giustificare le loro decisioni;

§       trasparenza: la trasparenza deve essere garantita a tre livelli distinti:

a)       a livello degli aeroporti. Le compagnie aeree devono ricevere informazioni dagli aeroporti sugli elementi che servono da base per determinare l'ammontare dei diritti per le misure di sicurezza (ad esempio, servizi e infrastrutture forniti a corrispettivo dei diritti riscossi, metodo di calcolo e investimenti previsti);

b)       a livello delle compagnie aeree. Per consentire agli aeroporti di valutare con precisione i requisiti che dovranno soddisfare i loro investimenti futuri e adeguare al meglio le loro infrastrutture di sicurezza, occorre che le compagnie aeree mettano a disposizione in tempo utile, ad esempio, tutte le loro previsioni di traffico;

c)       a livello degli Stati membri. È importante assicurare la trasparenza con riguardo all'impatto economico delle misure di sicurezza nazionali più severe rispetto ai requisiti dell'UE;

§       aderenza ai costi: i diritti riscossi per la sicurezza sono utilizzati esclusivamente per coprire i costi relativi allo svolgimento delle operazioni di sicurezza e devono tener conto degli aiuti e delle sovvenzioni erogati dalle autorità per garantire la sicurezza, del costo del finanziamento delle infrastrutture e dei costi delle installazioni e delle operazioni di sicurezza;

§       autorità di vigilanza indipendente e risoluzione di controversie: in ciascuno Stato membro deve essere istituita un'autorità indipendente atta ad assicurare la corretta applicazione delle misure nonché una procedura per la risoluzione delle controversie fra gli aeroporti e gli utenti.

 

La direttiva, come detto, riguarda tutti gli scali comunitari con un traffico annuale superiore a 5 milioni di movimenti passeggeri e ciascun aeroporto con il maggior traffico di ogni Stato membro, allo scopo di regolamentare i principali aspetti delle tasse aeroportuali e le modalità con cui queste ultime vengono fissate, secondo i principi della non discriminazione e della trasparenza.

Gli utenti che pagano il gestore aeroportuale per l’utilizzo delle infrastrutture e dei servizi, dovranno essere trattati tutti allo stesso modo con il diritto di essere consultati (almeno una volta all’anno) ed informati sulle questioni che riguardano lo scalo (si pensi, ad esempio, alla messa in opera di nuovi progetti di infrastruttura). In tal senso, per quanto possibile, i ritocchi alle tariffe e le modifiche fatte al sistema dovranno essere frutto dell’accordo tra gestore aeroportuale ed utenti. Questo traguardo potrà essere raggiunto sia attraverso un’informazione precoce del gestore rispetto ai cambiamenti da effettuare (minimo 4 mesi prima dell’entrata in vigore), sia con consultazioni sulle eventuali modifiche proposte. Inoltre, gli utenti dell’aeroporto dovranno avere periodicamente dal gestore aeroportuale informazioni sulle modalità e sulla base di calcolo dei diritti aeroportuali; mentre dal canto loro gli utenti dovranno fornire, per tempo, tutte le loro previsioni operative, i loro progetti di sviluppo ed i loro particolari suggerimenti e richieste.

A dirimere tutte le eventuali contestazioni sarà chiamata un’autorità di vigilanza nazionale indipendente, istituita da ciascun Stato membro, che avrà anche il compito di far sì che le misure adottate per conformarsi alla direttiva siano corrette. Ciascuno di questi organismi, secondo quanto disposto dall’art. 11, dovrà godere della massima indipendenza di giudizio senza alcuna correlazione, né a livello giuridico, né funzionale, con qualsiasi gestore aeroportuale e compagnia aerea; un’autonomia garantita dal fatto che ogni autorità potrà essere finanziato con apposite tasse a carico degli utenti dell’aeroporto e dei gestori aeroportuali.

La direttiva puntualizza poi, all’art. 9, che gli Stati membri dovranno promuovere dei negoziati tra gestore aeroportuale e rappresentanti o associazioni degli utenti dell’aeroporto, per concludere un accordo sulla qualità dei servizi forniti dal gestore aeroportuale. Sarà comunque possibile per il gestoreoffrire trattamenti personalizzati, variando la qualità e l’estensione di particolari servizi, terminali o parti dei terminali degli aeroporti. In tal caso l’importo dei diritti aeroportuali potrà subire variazioni in funzione, appunto, della personalizzazione dei servizi offerti.

Infine, tra le altre regole fissate dalla direttiva, è previsto che i Paesi comunitari avranno facoltà di autorizzare il gestore di una rete aeroportuale ad adottare un sistema di tariffazione aeroportuale comune e trasparente per l’intera rete o per gli aeroporti che servono la stessa città o agglomerato urbano, purché ciascun aeroporto rispetti gli obblighi in materia di trasparenza.

 

Il termine ultimo per recepire la direttiva (pubblicata nella G.U.C.E. del 14/03/2009) è il 15 marzo 2011.

 


Direttiva 2009/13/CE

 

(Convenzione sul lavoro marittimo)

 

La direttiva 2009/13/CE del Consiglio del 16 febbraio 2009 attua l’accordo sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006 concluso il 19 maggio 2008 tra le organizzazioni che rappresentano le parti sociali nel settore del trasporto marittimo (Associazioni armatori della Comunità europea, ECSA, e Federazione europea dei lavoratori dei trasporti, ETF).

 

Ai sensi dell’articolo 7, la direttiva in esame entra in vigore lo stesso giorno dell’entrata in vigore della richiamata convenzione del 2006[74].

 

Si ricorda che il 23 febbraio 2006 l'O.I.L. (Organizzazione internazionale del lavoro) ha adottato la citata convenzione sul lavoro marittimo al fine di creare uno strumento idoneo ad incorporare tutte le norme attuali di convenzioni e raccomandazioni internazionali sul lavoro marittimo, nonché i principi fondamentali contenuti in altre convenzioni internazionali sul lavoro.

In relazione a ciò, la Commissione europea (“considerando n. 3”) ha evidenziato, insieme alle parti sociali, l’opportunità di sviluppare la normativa comunitaria alla luce della convenzione sul lavoro marittimo del 2006. Tale proponimento ha portato all’Accordo del 2008 (“considerando n. 5”).

Tale Accordo (“considerando n. 6”) è applicabile ai lavoratori marittimi a bordo di navi registrate in uno Stato membro e/o battente la bandiera di uno Stato membro, e modifica (“considerando n. 7”) l'accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare del 30 settembre 1998 dall'ECSA e dalla FST.

L'accordo entra in vigore contemporaneamente alla convenzione sul lavoro marittimo del 2006 (“considerando n. 9”); per i termini non specificamente definiti dall’accordo stesso la direttiva (“considerando n. 10”) prevede la facoltà, per gli Stati membri, di definire questi ultimi conformemente alle legislazioni e pratiche nazionali (come accade per altre direttive in materia di politica sociale che utilizzano termini simili) a condizione che le suddette definizioni siano conformi al contenuto dell'accordo.

 

Sulla base di tale considerazioni, il “considerando n. 21” rileva l’opportunità di modificare la direttiva 1999/63/CE del Consiglio, del 21 giugno 1999, relativa all'accordo sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare concluso dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori dell'Unione europea (FST), che in allegato contiene appunto l'Accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare.

 

In particolare, l’articolo 2 della direttiva in esame modifica il richiamato allegato della direttiva 1999/63/CE.

 

Tra le modifiche più rilevanti, si segnalano:

§      le nuove definizioni di “lavoratore marittimo” (ogni persona occupata, ingaggiata o che lavora a qualsiasi titolo a bordo di una nave cui si applica l’Accordo) e “armatore” (proprietario della nave o ogni altro organismo o persona, quali il gestore, l'agente o il noleggiatore a scafo nudo, che hanno rilevato dal proprietario la responsabilità per l'esercizio della nave impegnandosi ad assolvere i correlativi compiti ed obblighi a norma del presente accordo, indipendentemente dal fatto che altri organismi o persone assolvano taluni dei compiti o obblighi a nome dell'armatore);

§      il divieto di lavoro notturno ai marittimi minori di diciotto anni. Eventuali deroghe possono essere disposte dalle autorità competenti in presenza di particolari situazioni;

§      il divieto di occupazione, ingaggio o lavoro, dei marittimi minori di diciotto anni nel caso in cui il lavoro possa compromettere la loro salute o sicurezza. Le tipologie lavorative vengono determinate dalle disposizioni legislative o regolamentari nazionali o dall'autorità competente, previa consultazione delle organizzazioni degli armatori e dei marittimi interessate, conformemente alle norme internazionali pertinenti;

§      la possibilità per i lavoratori marittimi di lavorarea bordo delle navi solamente se in possesso di un apposito certificato medico, valido per un periodo massimo di 2 anni (1 anno per i minori di 18 anni) rilasciato da un medico qualificato, attestante l’idoneità al lavoro per le relative mansioni. Eventuali eccezioni sono consentite solamente se previste dall’Accordo. Nel caso in cui ai lavoratori sia stato rifiutato il certificato oppure sia stata limitata la loro idoneità al lavoro, (in particolare per quanto riguarda l'orario, il campo d'attività o la zona geografica), è prevista la possibilità di sottoporsi ad un ulteriore esame da parte di un altro medico indipendente o di un medico arbitro indipendente.

 

Infine, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli di quelle previste nella direttiva.

Il successivo paragrafo 2 dispone che l'attuazione della direttiva in esame non giustifica in alcun modo una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori negli ambiti da essa trattati. Ciò non osta a che gli Stati membri e/o le parti sociali stabiliscano, alla luce dell'evolversi della situazione, disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali diverse da quelle vigenti al momento dell'adozione della direttiva stessa, a condizione del rispetto delle prescrizioni minime previste da quest'ultima.

E’ prevista, in ogni caso (paragrafo 3), la salvaguardia di disposizioni, usi o prassi comunitarie o nazionali che prevedono un trattamento più favorevole dei lavoratori marittimi.

Un importante limite a tali disposizioni è contenuto nel paragrafo 4, il quale, sulla base anche di quanto affermato dal “considerando n. 14”, garantisce la conformità della direttiva al principio generale di responsabilità del datore di lavoro stabilito dall'articolo 5 della direttiva 89/391/CEE, del Consiglio del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (cd. “direttiva madre” in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro), per quanto attiene alla responsabilità dell’armatore di cui alla norma A 4.2, paragrafo 5, lettera b), dell’allegato alla direttiva in esame.

 

Come accennato, la norma 4.2 disciplina la responsabilità dell’armatore. In particolare, il paragrafo 5 stabilisce che le disposizioni legislative o regolamentari nazionali possono escludere la responsabilità dell'armatore per quanto riguarda:

§       un infortunio che non sia avvenuto nel corso del servizio sulla nave;

§       un infortunio o una malattia imputabili alla condotta intenzionale del marittimo ammalato, infortunato o deceduto;

§       una malattia o un'infermità intenzionalmente nascosta al momento dell'ingaggio.

 

L’articolo 5 della direttiva 89/391/CEE dispone che il datore di lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro. Tale responsabilità opera anche nel caso in cui in cui il datore di lavoro ricorra, in particolari casi, a competenze (persone o servizi) esterne all'impresa e/o allo stabilimento. Gli obblighi dei lavoratori nel settore della sicurezza e della salute durante il lavoro, inoltre, non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro.

Infine, si prevede che la direttiva 89/391/CEE non esclude la facoltà degli Stati membri di prevedere l'esclusione o la diminuzione della responsabilità dei datori di lavoro per fatti dovuti a circostanze a loro estranee, eccezionali e imprevedibili, o a eventi eccezionali, le conseguenze dei quali sarebbero state comunque inevitabili, malgrado la diligenza osservata. In ogni caso, gli Stati membri non sono tenuti ad esercitare la facoltà richiamata in precedenza.

 


Direttiva 2009/16/CE

 

(Controllo da parte dello Stato di approdo)

 

 

La direttiva 2009/16/CE disciplina i controlli ai quali gli Stati di approdo devono sottoporre le navi per il trasporto marittimo battenti bandiera diversa dalla propria, al fine di verificarne la conformità alle norme internazionali in materia di sicurezza, prevenzione dell’inquinamento e condizioni di vita e di lavoro a bordo. La necessità di questi controlli, che non si sostituiscono a quelli di competenza dello Stato di bandiera, si basa sulla constatazione che in vari Stati l’attuazione e l’applicazione delle norme internazionali è risultata gravemente carente. I controlli effettuati in occasione degli scali nei porti e negli ancoraggi della Comunità sono volti a ridurre la presenza nelle acque comunitarie di navi non conformi alle norme internazionali.  

 

La direttiva in esame costituisce la rifusione della direttiva 95/21/CE e delle direttive successivamente intervenute in materia.

Si ricorda che la direttiva 95/21/CE e le direttive modificative 98/25/CE, 98/42/CE e 1999/97/CE, sono state recepite in Italia con il D.M. 19 aprile 2000, n. 432. Successivamente a tale data, la direttiva 95/21/CE è stata ulteriormente novellata dalle direttive 2001/106/CE e 2002/84/CE, che sono state recepite con il D.M. 13 ottobre 2003, n. 305, il quale ha anche abrogato il D.M. n. 432/2000. Tutte le citate direttive sono abrogate dalla direttiva 2009/16/CE in oggetto.

A questo proposto si ritiene opportuno segnalare che, in seguito all’esercizio della delega per il recepimento della direttiva 2009/16/CE, la materia, attualmente disciplinata nel nostro ordinamento da regolamenti, verrà disciplinata da una fonte di livello legislativo.

 

Le principali novità della direttiva 2009/16/CE in esame rispetto alla normativa previgente riguardano:

§      la creazione di una banca dati sulle ispezioni gestita e aggiornata dalla Commissione, sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri, relative alle ispezioni effettuate (articolo 24). La banca dati contiene tutte le informazioni necessarie per attuare il sistema di ispezioni previsto nella direttiva, con particolare riferimento al profilo di rischio delle navi, alle navi da sottoporre ad ispezione, ai movimenti delle navi e all'impegno di ispezione di ciascuno Stato membro;

§      il collegamento tra il profilo di rischio della nave e la frequenza delle ispezioni: le navi che presentano un rischio più elevato sono sottoposte ad ispezioni più dettagliate con maggiore frequenza (articoli 10-12);

§      l’armonizzazione delle regole e delle procedure di ispezione (articoli 5-12);

§      la valutazione, da parte delle autorità competenti degli Stati membri, di tutti gli esposti presentati da persone e organizzazioni aventi un interesse legittimo alla sicurezza della nave (articolo 18). Gli esposti possono riguardare anche i rischi per la sicurezza e la salute dell'equipaggio, le condizioni di vita e di lavoro a bordo e la prevenzione dell'inquinamento.

 

Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 31 dicembre 2010 (articolo 36). E’ inoltre espressamente previsto che le nuove disposizioni trovino applicazione in tutti gli Stati membri a partire dal 1° gennaio 2011.


Direttiva 2009/17/CE

 

(Istituzione di un sistema comunitario
di monitoraggio del traffico navale e d’informazione)

 

 

La direttiva 2009/17/CE modifica la direttiva 2002/59/CE[75], che ha istituito un sistema di monitoraggio del traffico navale e di informazione allo scopo di migliorare la sicurezza e l’efficienza di tale traffico e la risposta delle autorità in caso di incidente o in presenza di situazioni potenzialmente pericolose in mare. A tal fine ogni nave che fa scalo in un porto comunitario è obbligata a dotarsi di un sistema di identificazione automatica (AIS) e di un registratore dei dati di viaggio (Voyage Data Recorder - VDR) e a comunicare determinate informazioni alle autorità marittime in caso di trasporto di merci pericolose o inquinanti.

 

Le principali novità recate dalla direttiva 2009/17/CE in esame riguardano:

§      l’estensione dell’obbligo di installare il sistema di identificazione automatica (AIS) ai pescherecci di lunghezza superiore ai 15 metri, secondo un apposito calendario (articolo 1, n. 3, che introduce il nuovo articolo 6-bis della direttiva 2002/59/CE);

§      l’ampliamento degli obblighi informativi in relazione al trasporto di merci pericolose, in particolare per il trasporto di idrocarburi (articolo 1, n. 4, che novella l’articolo 12 della direttiva 2002/59/CE);

§      l’interconnessione dei sistemi per la gestione delle informazioni marittime contemplate dalla direttiva con il sistema comunitario “SafeSeaNet” allo scopo di consentire lo scambio dei dati tra i diversi Stati membri (articolo 1, n. 12, che introduce l’articolo 22-bis della direttiva 2002/59/CE);

Il “SafeSeaNet” è un sistema per lo scambio in formato elettronico di informazioni relative alla sicurezza portuale e marittima, alla protezione dell’ambiente marino e all’efficienza del traffico e del trasporto marittimi. Il sistema si compone di una rete di sistemi nazionali, ubicati in ciascuno Stato membro, e di una banca dati centrale, che funge da punto nodale.

§      l’inclusione delle navi che non presentano assicurazioni o garanzie finanziarie soddisfacenti e delle navi di cui i piloti o le autorità portuali hanno segnalato anomalie apparenti, tra le navi che presentano un rischio potenziale e che pertanto necessitano di maggiori controlli (articolo 1, n. 7, che integra l’articolo 16 della direttiva 2002/59/CE);

§      l’introduzione di apposite misure di sicurezza contro i rischi derivanti dalla presenza di ghiaccio (articolo 1, n. 8, che introduce l’articolo 18-bis della direttiva 2002/59/CE);

§      la modifica della disciplina relativa all’accoglienza delle navi che necessitano di assistenza, con la designazione, da parte degli Stati membri, di una o più Autorità competenti a prendere le opportune decisioni, la fissazione delle disposizioni essenziali dei piani di accoglienza e la previsione di misure di compensazione per le perdite economiche subite in conseguenza dell’accoglienza (articolo 1, n. 10, che sostituisce l’articolo 20, e n. 11, che introduce i nuovi articoli da 20-bis a 20-quinquies della direttiva 2002/59/CE).

 

Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 30 novembre 2010.


Direttiva 2009/18/CE

 

(Inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo)

 

La direttiva 2009/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo modificando la direttiva 1999/35/CE e la direttiva 2002/59/CE, allo scopo di migliorare la sicurezza marittima e a prevenire l’inquinamento causato dalle navi, riducendo in tal modo il rischio di futuri sinistri marittimi.

Il provvedimento intende agevolare l’esecuzione efficiente delle inchieste di sicurezza e l’analisi corretta dei sinistri e degli incidenti marittimi al fine di determinarne le cause e prevedere la presentazione di rapporti precisi e tempestivi sulle inchieste di sicurezza e di proposte di interventi correttivi.

Le inchieste svolte ai sensi della suddetta direttiva non riguardano, tuttavia, la determinazione della responsabilità né l’attribuzione di colpe (art. 1).

La direttiva si applica ai sinistri ed agli incidenti marittimi che coinvolgono navi battenti la bandiera di uno degli Stati membri o si verificano nel mare territoriale e nelle acque interne, quali definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (U.N.C.L.O.S.)[76], degli Stati membri o incidono su altri interessi rilevanti degli Stati membri (art. 2).

Gli Stati membri devono provvedere affinché l’organo inquirente effettui un’inchiesta di sicurezza quando un sinistro marittimo molto grave si verifica con il coinvolgimento di una nave battente la bandiera nazionale, indipendentemente dal luogo del sinistro oppure si verifica nel suo mare territoriale e nelle sue acque interne, quali definiti nell’U.N.C.L.O.S., indipendentemente dalla bandiera della nave coinvolta, oppure quando incide su un interesse rilevante dello Stato membro, indipendentemente dal luogo in cui è avvenuto il sinistro e dalla bandiera della nave coinvolta (art. 5).

Gli Stati membri prescrivono che le autorità competenti o i soggetti interessati comunichino immediatamente all’organo inquirente qualsiasi sinistro e incidente che rientri nell’ambito di applicazione della presente direttiva (art. 6).

Gli Stati membri devono assicurare che le inchieste di sicurezza siano svolte, sotto la responsabilità di un organo inquirente permanente ed imparziale, dotato dei necessari poteri, da personale inquirente adeguatamente qualificato e competente in materia di sinistri ed incidenti marittimi; esso è indipendente sul piano organizzativo, giuridico e decisionale da qualsiasi soggetto i cui interessi possano entrare in conflitto con il compito affidatogli (art. 8).

In stretta cooperazione con la Commissione, gli Stati membri devono istituire un sistema di cooperazione permanente affinché i rispettivi organi inquirenti possano collaborare nella misura necessaria a conseguire l’obiettivo della presente direttiva (art. 10).

La direttiva prevede, infine, l’istituzione da parte della Commissione di una banca dati elettronica europea, denominata piattaforma europea d’informazione sui sinistri marittimi (European Marine Casualty Information Platform – EMCIP), ove poter archiviare ed analizzare i dati sui sinistri e gli incidenti marittimi (art. 17).

Gli Stati membri sono tenuti a conformarsi alla presente direttiva entro il 17 giugno 2011 (art.25).

 


Direttiva 2009/21/CE

 

(Rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera)

 

La direttiva 2009/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, entrata in vigore il 17 giugno 2009, relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera, ha lo scopo di assicurare che gli Stati membri ottemperino con efficacia e coerenza ai loro obblighi in quanto Stati di bandiera e di migliorare la sicurezza e prevenire l’inquinamento provocato dalle navi battenti bandiera di uno Stato membro (art. 1).

La direttiva si applica all’amministrazione dello Stato membro di cui la nave batte la bandiera (art. 2). Gli Stati membri sono tenuti a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 17 giugno 2011 (art.11).

 

Come messo in evidenza dalla Commissione, gli Stati di bandiera, ossia gli Stati che accordano alle navi il diritto di battere la loro bandiera, hanno la responsabilità in quanto membri dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO) di rispettare le convenzioni di tale Organizzazione. Si ricorda che l’I.M.O. è un'agenzia autonoma delle Nazioni Unite incaricata di sviluppare i principi e le tecniche della navigazione marittima internazionale, promuovere la progettazione e lo sviluppo del trasporto marittimo internazionale rendendolo più sicuro ed ordinato. Gli Stati devono garantire che le navi sul proprio registro soddisfino i requisiti previsti in tali convenzioni, strutturate al fine di promuovere la sicurezza della vita in mare e la protezione dell'ambiente marino. Gli obblighi fondamentali degli Stati di bandiera sono indicati nel codice sull’attuazione degli strumenti obbligatori dell'IMO, adottato nel novembre 2005. Il rispetto di tali obblighi è verificato tramite uno schema di audit degli Stati membri dell'IMO, adottato nel novembre 2005, la partecipazione al quale è, comunque, volontaria. L'IMO, si ricorda, non è competente per imporre sanzioni agli Stati parte che non rispettano gli obblighi delle convenzioni o non li attuano sulle navi che battono la loro bandiera.

 

Prima di consentire l’esercizio di una nave cui è stato concesso il diritto di battere la sua bandiera, lo Stato membro interessato adotta le misure che ritiene necessarie per assicurare che la nave ottemperi alle norme e alle regolamentazioni internazionali applicabili; in particolare, lo Stato membro verifica i precedenti relativi alla sicurezza della nave con ogni mezzo ragionevole e, se necessario, consulta l’amministrazione del precedente Stato di bandiera per accertarsi se sussistano ancora anomalie o problemi di sicurezza da questo individuati e rimasti irrisolti (art. 4).

Gli Stati membri devono assicurare che siano prontamente accessibili le informazioni concernenti le navi battenti la loro bandiera che riguardano almeno gli estremi di riconoscimento della nave, le date delle visite di controllo e degli audit, l’identificazione degli organismi riconosciuti coinvolti nella certificazione e nella classificazione della nave, l’identificazione dell’autorità competente che ha ispezionato la nave, il risultato delle ispezioni nel quadro del controllo da parte dello Stato di approdo, le informazioni sui sinistri marittimi, l’identificazione delle navi che hanno cessato di battere la bandiera dello Stato membro negli ultimi dodici mesi (art. 6).

 


Direttiva 2009/28/CE

 

(Uso dell’energia da fonti rinnovabili)

 

 

La direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009[77], sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, definisce un quadro di riferimento per la promozione dell'energia da fonti rinnovabili, sostituendo le direttive 2001/77/CE (promozione dell’elettricità da fonti rinnovabili) e 2003/30/CE (promozione dei biocarburanti) e regolamentando i settori del riscaldamento e del raffreddamento al momento non rientranti nel quadro giuridico comunitario.

Il fine della direttiva è di raggiungere entro il 2020 l’obiettivo comunitario del 20% di energia da fonti rinnovabili sul consumo energetico finale lordo, indicato nella Comunicazione della Commissione del 10 gennaio 2007(COM(2006) 848),recante la tabella di marcia per le energie rinnovabili.

La tabella di marcia espone la strategia a lungo termine della Commissione in materia di energie rinnovabili nell'Unione europea (UE) che mira a permettere all'UE di raggiungere il duplice obiettivo di accrescere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e di ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

L'esame della quota delle energie rinnovabili nel mix energetico e dei progressi realizzati negli ultimi 10 anni rivela che le energie rinnovabili potrebbero essere utilizzate di più e meglio.

Nella tabella di marcia la Commissione propone di fissare un obiettivo obbligatorio del 20% per la quota di fonti energetiche rinnovabili sul consumo di energia dell'UE per il 2020 ed un obiettivo obbligatorio minimo del 10% per i biocarburanti. Essa propone inoltre un nuovo quadro legislativo per rafforzare la promozione e l'utilizzo delle energie rinnovabili.

La direttiva, compresa nel pacchetto "energia e cambiamento climatico" lanciato dalla Commissione all'inizio del 2008, fissa, in particolare, alcuni obiettivi nazionali obbligatori di consumo di energia da fonti rinnovabili coerenti con l’obiettivo generale, differenziati per singolo Stato membro (compresi tra il 10% e il 49%), introducendo meccanismi di flessibilità nel raggiungimento degli suindicati obiettivi, che costituiscono una delle maggiori novità del provvedimento e .stabilendo criteri di sostenibilità per i biocarburanti ed i bioliquidi.

 

 

 

 

Fonti rinnovabili riconosciute

Ai fini del calcolo dell’obiettivo, le fonti rinnovabili riconosciute dalla direttiva sono le seguenti: eolica, solare, aerotermica (calore atmosferico), geotermica (calore sotterraneo), idrotermica e oceanica (calore di acque superficiali), idraulica, biomassa (frazione biodegradabili di prodotti, rifiuti e residui), gas da discarica, gas residuati da processi di depurazione e biogas.

La nuova definizione di fonti rinnovabili che entrerà in vigore dal 1° aprile 2010 si differenzia rispetto a quella attuale in quanto annovera tra le suddette fonti le seguenti tipologie di energia:

§         aerotermica: energia accumulata nell’aria ambiente sotto forma di calore;

§         idrotermica: energia immagazzinata nelle acque superficiali sotto forma di calore.

 

Obiettivi e misure nazionali obbligatori per l’uso di energia rinnovabile

Ogni Stato membro deve assicurare che la propria quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia[78] nel 2020, calcolata conformemente ai criteri dettati dalla direttiva stessa (artt. 5-11), sia almeno pari al proprio obiettivo nazionale generale per la quota di energia da fonti rinnovabili per quell’anno. A loro volta questi obiettivi nazionali generali obbligatori devono essere stabiliti in coerenza con l’obiettivo comunitario di una quota pari almeno al 20% di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia nel 2020.

Ai fini del calcolo del raggiungimento dei suddetti obiettivi nazionali la direttiva distingue tre settori:

§         elettricità;

§         riscaldamento e raffreddamento;

§         trasporti.

A livello settoriale non sono previsti obiettivi vincolanti per gli Stati ad eccezione del settore dei trasporti per il quale la direttiva fissa l’obiettivo, uguale per tutti gli Stati UE, del 10% di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale.

Nell’Allegato I, parte A, vengono riportati gli obiettivi nazionali generali per la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia nel 2020.

L’Italia dovrà aumentare la propria produzione di energia da fonti rinnovabili passando dal 5,2% al 17%.

Per ciascun paese sono state fissate anche delle traiettorie nazionali (Allegato I, parte B). Si tratta di obiettivi intermedi nazionali indicativi, che prevedono valori-obiettivo crescenti per ognuno dei quattro bienni intermedi dal 2011 al 2018. Ogni obiettivo intermedio va inteso come media da superare nel biennio.

Come anticipato, ogni Stato membro deve assicurare che la propria quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto nel 2020 sia almeno pari al 10% del consumo finale di energia nel settore dei trasporti nello Stato membro.

Per conseguire i suddetti obiettivi gli Stati membri possono, tra l’altro, applicare le seguenti misure:

§         regimi di sostegno;

§         cooperazione tra gli stessi Stati membri e con paesi terzi.

 

Piani di azione nazionali

Gli obiettivi nazionali per la quota di energia rinnovabile nel settore dei trasporti, dell'elettricità, del riscaldamento e raffreddamento e dei trasporti al 2020 devono essere previsti all’interno di un piano di azione nazionale per le energie rinnovabili, che ciascuno Stato membro è tenuto ad adottare seguendo il modello che verrà predisposto entro il 30 giugno 2009 dalla Commissione (art. 4).

Il Piano deve contenere misure adeguate e proporzionate alla traiettoria indicativa di cui all’allegato I, parte B, cui lo Stato membro deve riferirsi per il proprio percorso verso l’obiettivo finale.

La direttiva richiede esplicitamente che la fissazione degli obiettivi settoriali avvenga tenendo conto dell’effetto delle misure di efficienza energetica sui consumi finali di energia.

Gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione entro il 30 giugno 2010 i suddetti piani d'azione nazionali che possono essere rivisti in caso di mancato rispetto delle traiettorie intermedie. I piani sono successivamente trasmessi al Parlamento europeo.

Sei mesi prima del Piano di azione nazionale ogni Stato membro è tenuto a notificare alla Commissione un documento previsionale contenente: una stima della produzione in eccesso di energia rinnovabile rispetto alla traiettoria indicativa; la stima del potenziale per progetti comuni fino al 2020; una stima della domanda di energie rinnovabili da soddisfare con mezzi diversi dalla produzione nazionale, fino al 2020.

 

Trasferimenti statistici tra Stati membri

Tra le modalità di raggiungimento dell’obiettivo nazionale complessivo rientra il ricorso da parte degli Stati ad accordi per il trasferimento statistico – contabile, non fisico - da uno Stato all'altro di una determinata quantità di energia rinnovabile. La quantità trasferita deve essere:

§      dedotta dal quantitativo di energia rinnovabile preso in considerazione nel valutare il rispetto da parte dello Stato che effettua il trasferimento;

§      aggiunta al quantitativo di energia rinnovabile preso in considerazione nel valutare il rispetto da parte dello Stato che accetta il trasferimento.

Gli accordi fra Stati, che possono avere la durata di uno o più anni, devono essere notificati alla Commissione e tra le informazioni trasmesse alla Commissione figura anche il prezzo dell'energia in questione.

 

Cooperazione tra Stati

Secondo la direttiva ogni Paese deve incoraggiare il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, con la possibilità di adottare misure di sostegno per il conseguimento degli obiettivi comunitari.

Il piano nazionale per le energie rinnovabili potrà prevedere il ricorso a meccanismi di flessibilità quali i progetti comuni con altri Stati membri o Paesi terzi. I progetti comuni potranno includere gli operatori privati.

In particolare viene disciplinata la cooperazione tra Stati membri per la realizzazione di progetti comuni per la produzione di elettricità, calore e freddo da fonti rinnovabili tramite impianti di nuova costruzione entrati in esercizio dopo il 25 giugno 2009 o grazie all'incremento di capacità di un impianto ristrutturato dopo tale data.

Gli Stati membri devono notificare alla Commissione la quota o il quantitativo di energia rinnovabile prodotti nell'ambito di progetti comuni realizzati sul loro territorio da computare ai fini dell'obiettivo nazionale generale di un altro Stato membro. Deve essere indicato anche il periodo durante il quale l’elettricità, il calore o il freddo prodotti devono essere computati ai fini dell’obiettivo nazionale generale dell’altro Stato. Tale periodo non può superare il limite del 2020, mentre la durata del progetto comune può andare oltre tale data.

E’ prevista anche la cooperazione da parte di uno o più Stati membri con uno o più Paesi terzi su tutti i tipi di progetti comuni per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili. L'elettricità da fonti rinnovabili prodotta in un Paese terzo è presa in considerazione ai fini della valutazione dell'osservanza degli obblighi imposti dalla direttiva solo se sono soddisfatte certe condizioni:

-       l'elettricità è consumata nella Comunità;

-       l’elettricità è prodotta in un impianto di nuova costruzione entrato in esercizio dopo il 25 giugno 2009 o da un impianto di accresciuta capacità a seguito di ristrutturazione avvenuta dopo tale data;

-       il quantitativo di elettricità prodotta ed esportata non ha beneficiato di un sostegno da parte di un regime di incentivazione nel Paese terzo, diverso da un aiuto agli investimenti concesso per l’impianto.

Per i progetti in Paesi terzi, per i quali si richiede un lungo periodo di tempo per l’interconnessione (il preambolo 37 della direttiva cita esplicitamente il Mediterranean Solar Plan), agli Stati membri viene consentito di tenere conto parzialmente - nei loro obiettivi nazionali - dell’elettricità non ancora prodotta, anche nelle more della costruzione dell'infrastruttura di interconnessione.

Una richiesta in tal senso alla Commissione può essere effettuata dagli Stati membri a condizione che:

a) la costruzione dell'interconnettore sia iniziata entro il 2016;

b) non sia possibile mettere in esercizio l'interconnettore entro il 2020;

c) sia possibile mettere in esercizio l'interconnettore entro il 2022;

d) dopo l'entrata in esercizio, l'interconnettore venga utilizzato per l'esportazione verso la Comunità, di elettricità prodotta da fonti rinnovabili;

e) la richiesta si riferisce ad un progetto comune nuovo che utilizzerà l'interconnettore solo per quel quantitativo di elettricità.

Quando al progetto comune sono interessati più Stati membri, la ripartizione del quantitativo è notificata alla Commissione.

La notifica effettuata da ciascuno Stato ai fini dell’obiettivo nazionale generale fornisce la descrizione dell'impianto, indica la quota o il quantitativo di elettricità da computare ai fini dell'obiettivo nazionale e, fatte salve le disposizioni in materia di confidenzialità, le corrispondenti disposizioni finanziarie. Precisa, inoltre, il periodo, in anni, durante il quale l'elettricità va computata ai fini dell'obiettivo nazionale generale dello Stato.

Il Paese terzo deve riconoscere per iscritto che l'impianto è destinato ad entrare in esercizio e la quota o il quantitativo di elettricità che saranno utilizzati a livello nazionale.

 

Regimi di sostegno comuni

A due o più Stati membri è consentito di procedere, su base volontaria, all’unione o al coordinamento parziale dei loro regimi di sostegno nazionali. Così un determinato quantitativo di energia proveniente da fonti rinnovabili prodotta nel territorio di uno Stato può essere computata ai fini dell'obiettivo nazionale generale di un altro Stato.

Il computo suddetto è possibile a condizione che gli Stati interessati:

-       effettuino un trasferimento statistico di importi specifici di energia rinnovabile da uno Stato verso un altro Stato;

-       istituiscano una norma (da notificare alla Commissione) che distribuisce quantitativi di energia da fonti rinnovabili tra gli Stati interessati.

 

Procedure amministrative e informazione

La direttiva contiene alcuni orientamenti volti ad assicurare una semplificazione delle procedure amministrative e la definizione di norme nazionali chiare, oggettive, trasparenti e non discriminatorie da parte degli Stati membri.

Prevede inoltre che il ricorso alle energie da fonti rinnovabili sia preso in considerazione in sede di costruzione o di ristrutturazione di edifici pubblici.

Esso dovrà essere contemplato dalle regolamentazioni in materia edilizia e dovrà essere promosso mediante opportune norme e certificazioni.

Gli Stati membri dovranno assicurarsi che informazioni adeguate relative alle misure di sostegno siano messe a disposizione di consumatori, imprese edili, installatori, architetti e fornitori ed, inoltre, provvederanno all’elaborazione, di concerto con le autorità regionali e locali, di programmi informativi e di sensibilizzazione sui benefici legati all’impiego delle fonti rinnovabili destinati ai cittadini.

 

Garanzia di origine

La direttiva estende la garanzia di origine – già prevista dalla direttiva 2001/77/CE – oltre che all’energia elettrica anche a quella termica e frigorifera prodotta da fonti rinnovabili, al fine di informare il cliente finale circa il mix di energia utilizzato dal proprio fornitore.

Il rilascio della garanzia di origine viene assicurato dagli Stati membri su richiesta del produttore di energia.

I trasferimenti di garanzia di origine possono avvenire separatamente o contestualmente al trasferimento fisico di energia. Gli Stati membri o gli organi competenti designati predispongono gli opportuni meccanismi per assicurare che le garanzie siano rilasciate, trasferite e annullate elettronicamente e siano precise, affidabili e a prova di frode.

La garanzia di origine corrisponde ad un quantitativo standard di 1MWh. Per ogni unità di energia prodotta non può essere rilasciata più di una garanzia, che può essere unicamente utilizzata entro dodici mesi dalla produzione della corrispondente unità energetica ed è annullata dopo l'uso.

L’annullamento dopo l’uso costituisce un potenziamento del sistema delle garanzie in quanto evita che la quantità di energia rinnovabile garantita sia superiore a quella effettivamente utilizzata.

Trasmessa elettronicamente e identificata da un numero unico, la garanzia di origine deve precisare in particolare: la fonte di energia utilizzata, il settore interessato (elettricità o riscaldamento e/o raffreddamento), la denominazione e l’ubicazione dell’impianto, eventuali sostegni all’investimento, la data di messa in esercizio, la data e il Paese di emissione. Il rifiuto di riconoscere una garanzia di origine rilasciata da un altro Stato membro deve basarsi su criteri oggettivi.

Il sistema delle garanzie viene potenziato prevedendone l’annullamento dopo l’uso in modo tale che la quantità di energia rinnovabile garantita non sia superiore a quella effettivamente utilizzata.

 

Accesso e funzionamento delle reti

Gli stati membri sono tenuti ad adottare le necessarie misure che prevedano:

§         l’obbligo per i gestori delle reti di trasmissione o di distribuzione dell'elettricità di assicurare la trasmissione e la distribuzione di elettricità prodotta da fonti rinnovabili;

§         l’accesso prioritario alla rete all’elettricità prodotta da fonti rinnovabili che deve essere agevolato;

§         l’obbligo per i gestori di pubblicare le norme applicabili in materia di ripartizione dei costi degli adattamenti tecnici e di sostenere in tutto o in parte i costi suddetti;

§         l’obbligo per i gestori di fornire ai nuovi produttori di energia rinnovabile tutte le informazioni necessarie alla loro connessione alla rete;

§         una tariffazione dei costi di trasmissione e di distribuzione non penalizzante per l'elettricità prodotta da fonti rinnovabili.

 

Sostenibilità ambientale per biocarburanti e bioliquidi

La direttiva con riferimento ai biocarburanti e ai bioliquidi impone il rispetto di determinati criteri di sostenibilità ambientale, indipendentemente dal fatto che le materie prime siano state coltivate all’interno o all’esterno della UE.

Pertanto stabilisce che i biocarburanti e i bioliquidi siano presi in considerazione ai fini della direttiva solo se vengono rispettati i seguenti criteri:

§         il loro uso assicuri una riduzione delle emissioni di CO2 almeno del 35% (tale quota salirà al 50% dal 1° gennaio 2017 e al 60% per le nuove produzioni dal 1° gennaio 2018);

§         non sono prodotti da materie prime provenienti da terreni a elevata biodiversità o da terreni con un elevato stock di carbonio (foreste primarie e zone boschive indisturbate, aree protette, praterie ad alta biodiversità, zone umide e ampie aree forestali, torbiere);

§         le materie prime agricole coltivate nella Comunità e utilizzate per la produzione di biocarburanti e i bioliquidi siano ottenute conformemente ai requisiti minimi per il mantenimento di buone condizioni agricole e ambientali (Reg. (CE) n. 73/2009).

La direttiva prevede la presentazione da parte della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio di una relazione sulle misure nazionali adottate per garantire il rispetto dei criteri di sostenibilità indicati sia con riferimento ai Paesi terzi che agli Stati membri della Comunità.

 

Relazione degli Stati e controllo della Commissione

 

Ogni Stato membro entro il 31 dicembre 2011, e successivamente ogni 2 anni, presenta alla Commissione una relazione dettagliata sui progressi realizzati nella promozione e nell'uso dell'energia rinnovabile. Complessivamente tra il 31 dicembre 2011 ed il 31 dicembre 2021 devono essere presentate sei relazioni, l’ultima delle quali entro il 31 dicembre 2021.

Sulla base dell’attività di sorveglianza sull’origine di biocarburanti e bioliquidi consumati nella Comunità e sull’evoluzione dei prezzi di tali prodotti e sulla base delle relazioni trasmesse dai singoli Stati la Commissione ogni due anni presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio. La prima viene presentata nel 2012.

Entro il 31 dicembre 2010 la Commissione presenta un'analisi e un piano d'azione sull'energia rinnovabile con il fine di migliorare il finanziamento e il coordinamento per la realizzazione dell'obiettivo del 20%. Un’ulteriore relazione della Commissione deve essere presentata entro il 2014 e terrà conto in particolare dei seguenti elementi:

§      valutazione delle soglie minime di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che si applicheranno a decorrere dal 2017;

§      le misure adottate dagli Stati membri per il conseguimento dell’obiettivo del 10% del consumo finale di energia nel settore dei trasporti con relativa valutazione in merito al rapporto costo-efficacia delle misure da attuare; la possibilità di realizzare tale obiettivo, garantendo nel contempo la sostenibilità della produzione di biocarburanti nella Comunità e nei paesi terzi, e considerando l'impatto economico, ambientale e sociale, compresi gli effetti e l'impatto sulla biodiversità, nonché la disponibilità commerciale dei biocarburanti di seconda generazione; l'impatto dell'attuazione dell'obiettivo sulla disponibilità di prodotti alimentari a prezzi accessibili; la disponibilità commerciale degli autoveicoli a motore elettrico, ibrido e a idrogeno nonché della metodologia scelta per calcolare la quota di energia rinnovabile nel settore dei trasporti:

§      un'analisi dell'attuazione della presente direttiva, con riguardo ai meccanismi di cooperazione, per garantire che gli Stati membri possano continuare ad avvalersi dei regimi di sostegno nazionali e, nel contempo, conseguire tramite tali meccanismi gli obiettivi nazionali sulla base del migliore rapporto costi-benefici, degli sviluppi tecnologici e delle conclusioni da trarre per raggiungere l'obiettivo europeo del 20%.

Sulla base di tale relazione la Commissione presenta, se del caso, le proposte al Parlamento europeo e al Consiglio riguardanti gli elementi illustrati e in particolare adeguati aggiustamenti delle misure di cooperazione previste.

 

Termini per il recepimento

La direttiva (fatto salvo quanto previsto dall’art. 4: cfr. supra) dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 5 dicembre 2010.


Direttiva 2009/29/CE

 

(Quote di emissione di gas a effetto serra)

 

 

La direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concerne la revisione del sistema comunitario di scambio delle emissioni di gas a effetto serra (ETS) per il post-2012. A tal fine essa modifica la direttiva 2003/87/CE (recepita nell’ordinamento nazionale dal D.Lgs. 216/2006) allo scopo di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra nella nuova cornice temporale.

Secondo quanto indicato nel 5° considerando della direttiva “per ottemperare in maniera economicamente efficiente all’impegno di abbattere le emissioni di gas a effetto serra della Comunità di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990, le quote di emissione assegnate a tali impianti dovrebbero essere, nel 2020, inferiori del 21% rispetto ai livelli di emissione registrati per detti impianti nel 2005”.

La direttiva provvede quindi a riscrivere l’art. 10 della direttiva 2003/87/CE prevedendo un sistema di aste, dal 2013, per l'acquisto delle quote di emissione, i cui introiti andranno a finanziare misure di riduzione delle emissioni e di adattamento al cambiamento climatico.

Viene altresì previsto (attraverso la riscrittura dell’art. 9 della direttiva 2003/87/CE) che il quantitativo comunitario di quote rilasciate ogni anno a decorrere dal 2013 diminuisca in maniera lineare, a partire dall’anno intermedio del periodo 2008-2012, di un fattore pari all’1,74% rispetto al quantitativo medio annuo totale di quote rilasciate dagli Stati membri conformemente alle decisioni della Commissione sui loro piani nazionali di assegnazione per il periodo 2008-2012.

Tra le altre novità inserite nel testo della direttiva 2003/87/CE si segnala il nuovo art. 10-ter recante “Misure di sostegno a favore di determinate industrie ad elevata intensità energetica nell’eventualità di una rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”.

Il termine per il recepimento nell’ordinamento nazionale delle disposizioni della direttiva 2009/29/CE è fissato al 31 dicembre 2012.


Direttiva 2009/30/CE

 

(Specifiche relative a benzine, combustibile diesel e gasolio e controllo delle emissioni di gas a effetto serra)

 

 

La direttiva 2009/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (che modifica la direttiva 98/70/CE - per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio nonché l'introduzione di un meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, modifica la direttiva 1999/32/CE del Consiglio per quanto concerne le specifiche relative al combustibile utilizzato dalle navi adibite alla navigazione interna e abroga la direttiva 93/12/CEE), per ragioni di tutela della salute e dell'ambiente, fissa nuove specifiche tecniche per i carburanti.

Ai sensi della direttiva, le emissioni di gas serra prodotte dal ciclo dei combustibili dovranno essere abbattute di almeno il 6% entro il 2020.

L'obiettivo, imposto dalla direttiva, sarà assicurato tramite il divieto di commercializzazione di benzine e combustibili diesel con tenore di zolfo e additivi superiori ai nuovi limiti sanciti dalla direttiva in parola e alle nuove caratteristiche che i biocombustibili dovranno avere. Per la fabbricazione di questi ultimi sarà infatti vietato l'impiego di materie prime che può cagionare danni all'agricoltura e l'utilizzo di terreni che mediante la conversione a fonte di produzione possano provocare una perdita di carbonio non compensabile.

La direttiva, che dovrà essere trasposta nel diritto nazionale entro il 31 dicembre 2010, si applica a veicoli stradali, macchine mobili non stradali (comprese le navi adibite alla navigazione interna quando non sono in mare), trattori agricoli e forestali e imbarcazioni da diporto.


Direttiva 2009/31/CE

 

(Stoccaggio geologico di biossido di carbonio)

 

 

Nel 5° considerando della direttiva 2009/31/CE, relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio, viene ricordato che secondo le stime preliminari effettuate per valutare l’impatto della direttiva stessa si potrebbero stoccare 7 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020 e fino a 160 milioni di tonnellate entro il 2030: le emissioni di CO2 così evitate nel 2030 corrisponderebbero al 15% circa delle riduzioni richieste nell’UE.

La direttiva 2009/31/CE prevede quindi l’istituzione di un quadro giuridico per lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuro di biossido di carbonio (CO2) con la finalità di contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici (art. 1).

Gli articoli da 4 a 11 disciplinano la scelta dei siti di stoccaggio e la procedura per il rilascio, il rinnovo e l’eventuale revoca delle autorizzazioni allo stoccaggio. Viene altresì disciplinata (artt. 12-20) la gestione, la chiusura e la fase post-chiusura dei siti di stoccaggio.

Gli articoli da 31 a 37 recano una serie di modifiche di coordinamento alle direttive 85/337/CEE, 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE e 2008/1/CE, nonché del regolamento (CE) 1013/2006.

Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri scade il 25 giugno 2011.


Direttiva 2009/33/CE

 

(Promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada)

 

 

La direttiva 2009/33, il cui termine di recepimento è fissatoal 4 dicembre 2010, si inserisce nel quadro delle iniziative comunitarie volte a ridurre i livelli di inquinamento derivante dalla circolazione dei veicoli stradali.

In particolare, la comunicazione della Commissione del 10 gennaio 2007 Una politica energetica per l'Europa, prevede un impegno dell'Unione europea a ridurre entro il 2020 le emissioni di gas a effetto serra almeno del 20% rispetto ai valori del 1990. Inoltre, sono stati proposti obiettivi vincolanti per migliorare ulteriormente, entro la stessa data, l'efficienza energetica del 20%, includendo una quota del 20% di energia rinnovabile e una quota del 10% di energia rinnovabile nel settore dei trasporti nella Comunità.

Con la comunicazione del 7 febbraio 2007, Risultati del riesame della strategia comunitaria per ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri, la Commissione ha delineato una strategia per consentire all'Unione di conseguire entro il 2012 l'obiettivo di 120 g/km per le emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture nuove.

Va inoltre ricordato che nel Libro verde della Commissione del settembre 2007 Verso una nuova cultura della mobilità urbana, si sottolinea l’esigenza di favorire l’immissione di veicoli puliti ed efficienti, promuovendone l’acquisto da parte delle amministrazioni e dei soggetti competenti in materia di trasporto pubblico 

La direttiva mira pertanto a stimolare e influenzare il mercato dei veicoli standard prodotti su larga scala come autovetture, autobus, pullman e autocarri, garantendo una domanda di veicoli adibiti al trasporto su strada puliti e a basso consumo energetico.

A tal fine, si prevede che le amministrazioni aggiudicatrici di servizi di trasporto debbano tenere conto, al momento dell’acquisto dei veicoli, dell’impatto energetico e dell’impatto ambientale ad essi imputabili, con specifico riguardo al consumo energetico e all’emissione di CO2 e di articolato. Le amministrazioni dovranno quindi inserire la valutazione dei predetti impatti fra i criteri destinati a determinare l’aggiudicazione degli appalti per i servizi di trasporto.

La direttiva stabilisce nel dettaglio la metodologia di calcolo che dovrà essere utilizzata per valutare i costi di esercizio imputabili al consumo energetico dei veicoli per l’intero periodo di utilizzo.

Quanto alla platea dei destinatari, la direttiva si applica ai veicoli adibiti al trasporto su strada acquistati dalle amministrazioni aggiudicatici, sia pubbliche che private, e ha per oggetto l'acquisto di veicoli adibiti al trasporto su strada utilizzati per la prestazione di servizi pubblici di trasporto passeggeri in virtù di un contratto di servizio pubblico; gli Stati membri conservano peraltro la facoltà di escludere dal rispetto della normativa in esame gli acquisti di modesta entità.

Per quanto riguarda la compatibilità della direttiva con la disciplina degli aiuti di Stato, si ricorda che la possibilità di un sostegno pubblico per l'acquisto di veicoli adibiti al trasporto su strada a basso consumo energetico è riconosciuta nella Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale e nel regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, che prevede alcune specifiche categorie di aiuti compatibili con il mercato comune, in applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato

La Commissione dovrà elaborare ogni due anni una relazione sull’applicazione della direttiva, e sulle iniziative dei singoli Stati volte a promuovere l’acquisto di veicoli a basso consumo energetico.


Tabella

 


Direttive contenute nel ddl comunitaria 2009
da attuare per delega

Direttive da attuare con decreti legislativi

(Contenute negli articoli e negli allegati A e B del ddl comunitaria 2009 – A.C. 2449-A)

 

Allegato A

 

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI
RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI

2008/72/CE

del Consiglio, del 15 luglio 2008, relativa alla commercializzazione delle piantine di ortaggi e dei materiali di moltiplicazione di ortaggi, ad eccezione delle sementi (Versione codificata)

Non c’è termine espresso

NO

2008/106/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare (rifusione)

Non c’è termine espresso

NO

2008/119/CE

del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli (versione codificata)

Non c’è termine espresso

NO

2008/120/CE

del Consiglio, del 18 dicembre 2008, che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini (versione codificata)

Non c’è termine espresso

NO

2008/124/CE

della Commissione, del 18 dicembre 2008, che limita la commercializzazione delle sementi di talune specie di piante foraggere, oleaginose e da fibra alle sementi ufficialmente certificate "sementi di base" o "sementi certificate" (versione codificata)

Non c’è termine espresso

NO

2009/15/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alle disposizioni ed alle norme comuni per gli organismi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime

17/6/2011

NO

2009/41/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati (rifusione)

Non c’è termine espresso

NO

 

 


Allegato B

 

DIRETTIVA

TITOLO

TERMINE DI
RECEPIMENTO

PARERE DELLE COMMISSIONI

2008/92/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, concernente una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas ed energia elettrica (rifusione)

 

Non c’è termine espresso

 

2008/95/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (Versione codificata)

 

Non c’è termine espresso

 

2008/96/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali

 

19/12/2010

 

 

2008/99/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell'ambiente

 

26/12/2010

 

 

2008/101/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra

 

2/2/2010

[79]

2008/104/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale

 

05/12/2011

 

 

2008/105/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive del Consiglio 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE e 86/280/CEE, nonché modifica della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio

 

 

13/7/2010

 

 

2008/110/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, che modifica la direttiva 2004/49/CE relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie (direttiva sulla sicurezza delle ferrovie)

 

24/12/2010

 

 

2008/112/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, che modifica le direttive del Consiglio 76/768/CEE, 88/3789/CEE, 1999/13/CE e le direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE allo scopo di adeguarle al regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele

 

1/4/2010 applicaz: 1/6/2010

 

2008/122/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 gennaio 2009, sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi aia prodotti per le vacanze a lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio

 

23/2/2011

 

 

2009/4/CE

della Commissione, del 23 gennaio 2009, sulle contromisure volte a prevenire e rilevare la manipolazione delle registrazioni dei tachigrafi, che modifica la direttiva 2006/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme minime per l'applicazione dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e (CEE) n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che abroga la direttiva 88/599/CEE del Consiglio

 

31/12/2009

 

 

2009/5/CE

della Commissione, del 30 gennaio 2009, che modifica l'allegato III della direttiva 2006/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme minime per l'applicazione dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e (CEE) n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada

 

31/12/2009

 

 

2009/12/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2009, concernente i diritti aeroportuali

15/3/2011

 

2009/13/CE

del Consiglio, del 16 febbraio 2009, recante attuazione dell'accordo concluso dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006 e modifica della direttiva 1999/63/CE

Contestual-

mente all’entrata in vigore della Convenzione sul lavoro marittimo del 2006[80]

2009/16/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo (rifusione)

 

31/12/2010

 

 

2009/17/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, recante modifica della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione

 

30/11/2010

 

 

2009/18/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che stabilisce i prìncipi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica la direttiva 1999/35/CE del Consiglio e la direttiva 2002/59/CE del parlamento europeo e del Consiglio

 

17/6/2011

 

2009/21/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera

 

17/6/2011

 

 

2009/28/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE

 

5/12/2010

 

2009/29/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra

 

31/12/2012

 

2009/30/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, che modifica la direttiva 98/70/CE per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio nonché l'introduzione di un meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, modifica la direttiva 1999/32/CE del Consiglio per quanto concerne le specifiche relative al combustibile utilizzato dalle navi adibite alla navigazione interna e abroga la direttiva 93/12/CEE

 

31/12/2010

 

 

2009/31/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio e recante modifica della direttiva 85/337/CEE del Consiglio, delle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2008/1/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio

 

25/6/2011

 

 

2009/33/CE

del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada

 

04/12/2010

 

 

 

 

 



[1]     Legge 9 marzo 1989, n. 86, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.

[2]     Legge 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari.

[3]    Si tratta di direttive che comportano la codificazione o la rifusione di direttive già vigenti, che non implicano necessariamente un’attuazione da parte dello Stato.

[4]     Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.

[5]     Legge 5 agosto 1978, n. 468, Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.

[6]     L’art. 81, co. 4°, Cost. stabilisce che ogni legge che importi nuove o maggiori spese, rispetto alla legge di bilancio, deve indicare i mezzi per farvi fronte.

[7]     Al riguardo si ricorda che la Corte costituzionale, con la sent. 53/1997, confermata dalla successiva sent. 456/1998, ha avuto modo di pronunciarsi criticamente sulla scarsa precisione dei princìpi e criteri direttivi relativi alle sanzioni penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi delegati. La Corte ha infatti affermato, in relazione alla disposizione dell’art. 2, lett. d), della L. 146/1994 – legge comunitaria per il 1993 – analoga a quella contenuta nella lett. c) in esame, che la disposizione, che stabilisce i criteri e princìpi direttivi della delega conferita al Governo, in ordine alle sanzioni per le infrazioni alle norme delegate “non appare certo perspicua. […] La Corte esprime dunque l’auspicio che il Legislatore, ove conferisca deleghe ampie di questo tipo, adotti, per quanto riguarda il ricorso alla sanzione penale, al cui proposito è opportuno il massimo di chiarezza e certezza, criteri configurati in modo più preciso”.

[8]    Le infrazioni lesive di determinati interessi generali dell’ordinamento interno, in quanto ritenuti meritevoli di tutela penale, erano state escluse dalla depenalizzazione effettuata dalla L. 689/1981 e, da ultimo, dalla ulteriore depenalizzazione prevista dalla L. 205/1999, e dal D.Lgs. 507/1999, emanato in base alla delega ivi prevista.

[9]     D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468.

[10]    Legge 16 aprile 1987, n. 183, Coordinamento delle politiche riguardanti l’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell’ordinamento interno agli atti normativi comunitari.

[11]   Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[12]   Legge 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[13]   Lo stesso articolo 9 stabilisce che tali tariffe siano predeterminate e pubbliche.

[14]    Legge 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa (c.d. “Bassanini 1”). L’art. 20, norma base delle leggi di semplificazione, è stato più volte modificato, da ultimo dalla L. 246/2005 (legge di semplificazione 2005).

[15]   Legge 22 febbraio 1994, n. 146, art. 8.

[16]   Legge 6 febbraio 1996, n. 52, art. 8.

[17]  Si ricorda che l’art. 234 TCE prevede che la Corte di giustizia sia competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:

a) sull'interpretazione del presente trattato;

b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità e della BCE;

c) sull'interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi.

     L’art. 35, par. 1, TUE, invece, attribuisce alla Corte di giustizia la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità o l'interpretazione delle decisioni-quadro e delle decisioni, sull'interpretazione di convenzioni stabilite ai sensi del Titolo VI (Disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale) e sulla validità e sull'interpretazione delle misure di applicazione delle stesse.

[18]  L’art. 88 TCE prevede che la Commissione proceda con gli Stati membri all'esame permanente dei regimi di aiuti esistenti. In particolare, alla Commissione devono essere comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Qualora la Commissione constati che uno di tali aiuti non è compatibile con l'articolo 87 TCE decide se lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo entro un termine da essa fissato. Nel caso in cui lo Stato non si dovesse conformare, la Commissione (o altro Stato interessato) può adire direttamente la Corte di giustizia.

[19]   Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, che modifica la direttiva 2000/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE).

[20]   D.M. 31-07-2006 Disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l'organizzazione comune di mercato (OCM) del vino, ai sensi dell'articolo 10, commi 1 e 2, dell'articolo 11, dell'articolo 14, commi 5, 8 e 24, della L. 20 febbraio 2006, n. 82.

[21]   D.M. 04-04-2007 Disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l'organizzazione comune di mercato (OCM) del vino, ai sensi degli articoli 8 e 10 della L. 20 febbraio 2006, n. 82.

[22]   Tale titolo (ai sensi dell’art. 267, comma 1), ai fini della prevenzione e della limitazione dell'inquinamento atmosferico, si applica agli impianti, inclusi gli impianti termici civili non disciplinati dal titolo II, ed alle attività che producono emissioni in atmosfera e stabilisce i valori di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi delle emissioni ed i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite. Sono invece esclusi dal campo di applicazione della parte quinta del decreto 152/2006 (ai sensi del comma 2 dell’art. 267) gli impianti disciplinati dal D.Lgs. 133/2005 (relativo all’incenerimento di rifiuti). Il comma 3 dell’art. 267 dispone, invece, che fermo restando, per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale, quanto previsto dal D.Lgs. 59/2005 in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, per i medesimi impianti l'autorizzazione integrata ambientale sostituisce l'autorizzazione alle emissioni prevista dal titolo I della parte V dello stesso D.Lgs. 152/2006.

[23]   Direttiva del Consiglio relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 152/1999, le cui disposizioni sono successivamente confluite nel cd. codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006).

[24]   Un articolo di analogo tenore risulta inserito nel testo del decreto-legge recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee pubblicato da “Il Sole 24 ore” del 10 settembre 2009. Il decreto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri mercoledì 9 settembre e, alla data di chiusura del presente dossier (11 settembre 2009), non risulta ancora pubblicato in “Gazzetta Ufficiale” e trasmesso alle Camere.

[25]   Vale a dire 90 gg. dopo l’entrata in vigore del decreto, come previsto dal comma 2 dell’art. 3 del decreto medesimo.

[26]   D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 Attuazione della direttiva 89/395/CEE e della direttiva 89/396/CEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.

[27]   Un articolo di analogo tenore risulta inserito nel testo del decreto-legge recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee pubblicato da “Il Sole 24 ore” del 10 settembre 2009. Il decreto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri mercoledì 9 settembre e, alla data di chiusura del presente dossier (11 settembre 2009), non risulta ancora pubblicato in “Gazzetta Ufficiale” e trasmesso alle Camere.

[28]   Dir. 27 novembre 2007, n. 2007/68/CE che modifica l’allegato III bis della direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto concerne l'inclusione di alcuni ingredienti alimentari.

[29]   Attuazione della direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato destinati all'alimentazione umana.

[30]   Dir. 26 settembre 2007, n. 2007/61/CE che modifica la direttiva 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all’alimentazione umana.

[31]   Dir. 20 dicembre 2001 n. 2001/114/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana

[32]   In merito si veda il D.M. 9 aprile 2009, n. 82 Regolamento concernente l'attuazione della direttiva 2006/141/CE per la parte riguardante gli alimenti per lattanti e gli alimenti di proseguimento destinati alla Comunità europea ed all'esportazione presso Paesi terzi.

[33]   L’articolo 31 del citato regolamento CE disciplina le conseguenze finanziarie della verifica di conformità alla normativa comunitaria effettuata dalla Commissione europea sulle spese eseguite dagli Stati membri nel’ambito del finanziamento della politica agricola comune.

[34]   L. 898/1986, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, recante misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio di oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo.

[35]   Regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1234/2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM).

[36]   Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella «lista del patrimonio mondiale», posti sotto la tutela dell'UNESCO.

[37]   L. 30 marzo 2001, n. 125, Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati.

[38]   Il Trattato di Maastricht ha creato il “Terzo pilastro” dell’Unione Europea con il nome di Giustizia e affari interni (GAI) e con lo scopo di creare uno spazio europeo di libertà, di sicurezza e di giustizia all'interno dell'UE. Il Trattato di Amsterdam ha in seguito trasferito parte delle competenze – specialmente in materia civilistica – entro il “Primo pilastro” dell’Unione (Comunità Europea). Conseguentemente, il terzo pilastro assume oggi il nome di "Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale". In tale quadro, il Consiglio europeo definisce i principi e gli orientamenti generali; il Consiglio dell'Unione prende le decisioni di definizione e attuazione del terzo pilastro.

[39]   D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della L. 29 settembre 2000, n. 300.

[40]   La relazione illustrativa riferita al d.d.l. originario spiega che l’ampliamento del termine a sessanta giorni è legato al numero e alla complessità delle decisioni quadro da recepire.

[41]   Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della L. 29 settembre 2000, n. 300.

[42]   Recante Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.

[43]    Introdotto dalla decisione 2006/512/CE.

[44]   Attuazione della direttiva 91/629/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli.

[45]   Attuazione della direttiva 91/630/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini.

[46]   Si consideri che l'articolo 1, comma 1, del disegno di legge comunitaria in esame dispone che, per le direttive che non stabiliscono un termine di recepimento, i decreti legislativi di attuazione vanno adottati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

 

[47]   Entrata in vigore il 28 novembre 2008.

[48]   Decisione 92/10/CEE del Consiglio.

[49]   Per ridurre il numero totale dei marchi di impresa registrati e tutelati nella Comunità, e di conseguenza il numero di conflitti che possono insorgere al riguardo, la direttiva prescrive che i marchi di impresa registrati vengano effettivamente usati, a pena di decadenza.

[50]   Vale in tal caso per l'adozione dei decreti legislativi di attuazione il termine stabilito dall'articolo 1, comma 1, del disegno di legge comunitaria in esame, che lo fissa entro i dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

 

[51]    Gli altri obiettivi sono:

§          incoraggiare gli utenti ad un migliore comportamento;

§          sfruttare il progresso tecnico;

§          sicurezza del trasporto professionale di merci e di passeggeri;

§          soccorso e assistenza alle vittime della strada;

§          raccolta, analisi e diffusione dei dati sugli incidenti.

[52]   Sentenza 13 settembre 2005, causa C-176/03, con la quale è stata annullata la decisione quadro relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, affermando che la Comunità, anche se non dispone si una competenza normativa “generale” in materia penale, può adottare provvedimenti finalizzati al riavvicinamento delle legislazioni penali nazionali in materia di ambiente, ove ciò risulti necessario a garantire piena efficienza al diritto comunitario. Sentenza 23 ottobre 2007, causa C-440/05, per l’annullamento della decisione quadro 2005/667/GAI intesa a rafforzare la cornice penale per la repressione dell’inquinamento provocato dalle navi.

[53]   L'introduzione del lavoro interinale è stata espressamente prevista nel Protocollo del 2 luglio 1993 tra Governo e parti sociali sulla politica dei redditi e sull'occupazione, i cui principi sono stati richiamati e integrati nell'Accordo per il lavoro del settembre 1996 (che ha intravisto nel nuovo istituto benefìci sia in termini di regolarizzazione di posizioni di lavoro oggi sommerse, che di gettito contributivo e fiscale) e in gran parte sostanzialmente fatti propri dalla legge n. 197/1996.

[54]   Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30.

[55]   Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.

[56]   La somministrazione a tempo indeterminato era uno strumento contrattuale inedito per l'Italia, ma molto diffuso negli Stati Uniti fin dai primi anni ’80. Con tale istituto sostanzialmente si introduceva anche nell’ordinamento italiano il cosiddetto leasing di manodopera (staff leasing), grazie al quale le aziende potevano "affittare" la forza-lavoro anche a tempo indeterminato e non solo a termine. Invece, con il contratto di fornitura di lavoro interinale di cui alla legge n. 196/1997, l’impresa fornitrice metteva a disposizione dell’impresa utilizzatrice un lavoratore solamente per esigenze lavorative di carattere temporaneo.

Si consideri tuttavia che l’articolo 20 del d.lgs. 276/2003 prevedeva una tassativa elencazione delle attività per le quali è legittima la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, in presenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo. Si trattava in particolare delle seguenti attività:

§       servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati;

§       servizi di pulizia, custodia, portineria;

§       servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci;

§       gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato;

§       attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale;

§       attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale;

§       gestione di call-center, nonché avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del 21 giugno 1999 del Consiglio, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali;

§       costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa.

La somministrazione a tempo indeterminato era inoltre lecita in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative.

[57]   La norma fa riferimento agli artt. 4 e 24 della L. 23 luglio 1991, n. 223, Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro.

[58]   Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

[59]   Vita animale e vegetale caratterizzante una regione (http://81.208.25.93/RSA/capitolo_8/main_glossario.htm). In ambito acquatico il riferimento è quindi a pesci, molluschi, crostacei ecc.

[60]   Tale possibilità viene concessa poiché – come sottolineato nel “considerando 19” – “in prossimità degli scarichi da fonti puntuali le concentrazioni degli inquinanti sono di solito più elevate delle concentrazioni ambiente nelle acque”.

[61]   In proposito si veda la Decisione n. 339 del 16 aprile 2009 (che ha modificato la decisione quadro n. 589 del 18 luglio 2007) che ha stabilito specifiche linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni e dei dati relativi alle tonnellate-chilometro per le attività di trasporto aereo.

[62]   Ulteriori misure urgenti per il recepimento della medesima direttiva risultano inserite nel testo del decreto-legge recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee pubblicato da “Il Sole 24 ore” del 10 settembre 2009. Il decreto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri mercoledì 9 settembre e, alla data di chiusura del presente dossier (11 settembre 2009), non risulta ancora pubblicato in “Gazzetta Ufficiale” e trasmesso alle Camere.

 

[63]   La direttiva era originariamente inserita nell’allegato A. E’ stata trasferita nell’allegato B a seguito di un emendamento approvato dalla XIV Commissione.

[64]   Direttiva recepita con D.M. 27 gennaio 1979, D.M. 10 dicembre 1979, D.M. 15 febbraio 1980, D.M. 6 giugno 1980, L. 11 ottobre 1986, n. 713 e Circolare 18 ottobre 1990 n. 27.

[65]   Direttiva recepita con D.Lgs. 27 settembre 1991, n. 313 e con D.M. 9 ottobre 2007. Il D.M. 13 dicembre 1991 ha emanato le modalità di presentazione delle istanze di autorizzazione alla certificazione CEE previste dalla Dir. 88/378/CEE.

[66]   Direttiva recepita con D.M. 16 gennaio 2004, n. 44.

[67]   Direttiva recepita con D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209.

[68]   Direttiva recepita con D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151.

[69]   Direttiva recepita con D.Lgs. 27 marzo 2006, n. 161.

[70]   Direttiva 26 ottobre 1994, n. 94/47/CEE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili.

      La direttiva è stata attuata nel nostro ordinamento attraverso la legge 24 aprile 1998, n. 128 e il decreto legislativo 9 novembre 1998, n. 427. Tale decreto è stato poi abrogato dal c.d. Codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), i cui articoli da 69 a 81 disciplinano la multiproprietà in attuazione della disciplina comunitaria.

[71]   L’Allegato I della direttiva è relativo ai contratti di multiproprietà e prescrive che oltre a una descrizione del prodotto debbano essere fornite al consumatore informazioni sul prezzo e l'eventuale piano di pagamento scaglionato, debbano essere indicati i servizi inclusi come elettricità, acqua e manutenzione, nonché le strutture a disposizione della struttura. Inoltre, l'operatore dovrà chiarire se ha aderito a un codice di condotta applicabile agli operatori del settore che deve essere adottato dagli organismi di categoria e se è stato attivato un sistema di scambio (il formulario per i contratti di scambio è contenuto nell’allegato IV), specificandone i costi. E' stato altresì predisposto un formulario informativo per i contratti relativi a prodotti per le vacanze di lungo termine (allegato II), così come per i contratti di rivendita (allegato III).

[72]    La direttiva 2006/22/CE è stata recepita in Italia con il D.Lgs. 4 agosto 2008, n. 144.

[73]    La direttiva 2006/22/CE è stata recepita in Italia con il D.Lgs. 4 agosto 2008, n. 144.

[74]   L’entrata in vigore della convenzione è subordinata alla sua ratifica da parte dei singoli Stati membri. Alla data del 10 settembre 2009 non risulta ancora presentato alle Camere il relativo disegno di legge di ratifica.

[75]    La direttiva 2002/59/CE è stata recepita in Italia con il D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 196. Tale decreto legislativo è stato successivamente modificato dal D.Lgs. 17 novembre 2008, n. 187, allo scopo di conformare la normativa nazionale ai rilievi mossi dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2316 del 12 ottobre 2006, avviata per il non corretto recepimento della direttiva 2002/59/CE.

[76]   La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, è un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell'utilizzo dei mari e degli oceani, definendo le linee guida che regolano le trattative, l'ambiente e la gestione delle risorse naturali. Al momento 155 Stati hanno firmato la Convenzione. La Comunità europea ha firmato e ratificato;.l'Italia ha ratificato la convenzione a mezzo della legge del 2 dicembre 1994, n. 689. Ai sensi della cit. Convenzione, per acque interne s’intende lo spazio di mare all'interno della linea di base (una linea spezzata che unisce i punti notevoli della costa ), per acque territoriali lo spazio di mare compreso dalla linea di base alle 12 miglia nautiche.

[77]   Entrata in vigore il 25 giugno 2009.

[78]   Per consumo finale lordo di energia s’intendono “i prodotti energetici forniti a scopi energetici all'industria, ai trasporti, alle famiglie, ai servizi, compresi i servizi pubblici, all'agricoltura, alla silvicoltura e alla pesca, ivi compreso il consumo di elettricità e di calore del settore elettrico per la produzione di elettricità e di calore, incluse le perdite di elettricità e di calore con la distribuzione e la trasmissione”.

[79]   Al recepimento della direttiva 2008/101/CE è già finalizzata la deliberazione n. 27/2009 del Ministero dell’ambiente e dello sviluppo economico in data 6 agosto 2009 (pubblicata nella G.U. n. 195 del 24 agosto 2009).

Ulteriori misure urgenti per il recepimento della medesima direttiva risultano inserite nel testo del decreto-legge recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee pubblicato da “Il Sole 24 ore” del 10 settembre 2009. Il decreto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri mercoledì 9 settembre e, alla data di chiusura del presente dossier (11 settembre 2009), non risulta ancora pubblicato in “Gazzetta Ufficiale” e trasmesso alle Camere.

 

[80] L’entrata in vigore della convenzione è subordinata alla sua ratifica da parte dei singoli Stati membri. Alla data del 10 settembre 2009 non risulta ancora presentato alle Camere il relativo disegno di legge di ratifica.