Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disposizioni in materia di unioni di fatto - AA.C. 1065 e abb. - Schede di lettura e testo a fronte
Riferimenti:
AC N. 1862/XVI   AC N. 1932/XVI
AC N. 1065/XVI   AC N. 1631/XVI
AC N. 1637/XVI   AC N. 1756/XVI
AC N. 1858/XVI   AC N. 1862/XVI
AC N. 3841/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 629
Data: 18/04/2012
Descrittori:
CONVIVENTI     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

 


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

Disposizioni in materia di unioni di fatto

AA.C. 1065 e abb.

 

 

n. 629

 

18 aprile 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

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Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

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( 066760-2278 – * bib_segreteria@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: gi0724.doc


Indice

 

Quadro normativo

§      1. Il fenomeno “convivenza”                                                                                                                                         1

§      2. Il “favor” riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale alla famiglia fondata sul matrimonio                             2

§      3. Il riconoscimento della convivenza more uxorio nella giurisprudenza e nella legislazione                                     4

§      4. Le unioni omosessuali                                                                                                                                             18

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE e procedure di contenzioso
(A cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione europea)                                                                                                                                                     25

Le unioni civili in Belgio, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna

(a cura del Servizio Biblioteca)                                                                                                                                 

§      Belgio, La convivenza legale                                                                                                                                         29

§      Francia, Il patto civile di solidarietà (PACS)                                                                                                                  31

§      Germania, La convivenza registrata                                                                                                                            33

§      Regno Unito, La civil partnership                                                                                                                                  36

§      Spagna                                                                                                                                                                          38

Contenuto delle proposte di legge                                                                                                                                                                        41

Confronto tra le proposte di legge                                                                                                                                                                        I

 

 

 


Quadro normativo

1. Il fenomeno “convivenza”

L’ordinamento giuridico italiano non dedica una disciplina organica alle convivenza, alle convivenze more uxorio o alla famiglia di fatto. Ciononostante, è innegabile come la famiglia di fatto stia gradualmente recuperando terreno nella considerazione del legislatore e soprattutto della giurisprudenza, anche in relazione alla necessità di tutelare una sempre crescente pluralità di persone che, nel nostro Paese, decidono di costruire un rapporto affettivo e di reciproca solidarietà al di fuori dell’istituto matrimoniale.

E’, ormai dato statistico consolidato la continua crescita nel nostro Paese del numero delle convivenze more uxorio: si è infatti passati dalle 127.000 libere unioni degli anni 1993-94, alle 342.000 del 1998, alle 556.000 del 2003 e, infine, alle 897.000 libere unioni quantificate dall’ISTAT nel 2009 (il 5,9% delle coppie)[1].

Dai dati ISTAT emerge:

§         che quasi 6 milioni di persone hanno sperimentato nel corso della loro vita la convivenza, considerando sia quelle che continuano a convivere, sia quelle che si sono sposate con il partner con cui convivevano, che quelle che hanno concluso definitivamente l’unione;

§         le libere unioni nel 2009 sono 897 mila e rappresentano il 5,9% delle coppie (8,7% nel Nord-est. Sono più diffuse nel Nord-est, presentano un titolo di studio più elevato e una quota di coppie in cui ambedue lavorano più alta di quelle coniugate. Diminuisce la quota di chi era deciso a sposarsi fin dall’inizio dell’unione e cresce la percentuale di “possibilisti” (34%).

 

L’esperienza di libera unione avviene in modo differente nelle varie zone del Paese. I livelli maggiori sono raggiunti nel Nord-est (16,7%), nel Nord-ovest e nel Centro (13% circa) e i minori nelle Isole (8,5%) e al Sud (4,4%). Inoltre, nei comuni al centro delle aree metropolitane (15,3%) si riscontra una maggior quota di persone con esperienza di convivenza attuale o passata, nel Trentino-Alto Adige (20,4%) – in particolare la provincia di Bolzano (26,5%) – in Valle d’Aosta (19,7%), Emilia-Romagna (18,3%), Friuli-Venezia Giulia (17,2%). L’esperienza di convivenza ha coinvolto il 41% degli attuali divorziati, il 24% dei separati. Le persone con titolo di studio elevato (19,3% tra le persone laureate) hanno sperimentato di più la convivenza e così gli occupati (18,7%). L’insieme di coloro che hanno vissuto una libera unione è costituito, nel 53,2% dei casi, da coppie che sono poi approdate al matrimonio, nel 30,3% da chi sta ancora convivendo e nel 25,2% da coppie che hanno convissuto senza sposarsi e senza più proseguire.

 

Tab. 1. “Nuove famiglie” e persone che vivono in nuove famiglie per tipo. Anni 1998 e 2009, dati in migliaia

 

Numero di famiglie

Numero di persone che ci vivono

Per 100 abitanti

 

1998

2009

1998

2009

1998

2009

Single non vedovi

2.204

4.157

2.204

4.157

3,9

6,9

Libere unioni

340

881

948

2.523

1,7

4,2

Famiglie ricostituite coniugate

377

629

1.142

1.972

2,0

3,3

Madri sole non vedove

568

1.012

1.579

2.765

2,8

4,6

Padri soli non vedovi

100

163

272

495

0,5

0,8

Combinazioni delle precedenti forme familiari

4

24

25

129

0,0

0,2

TOTALE

3.594

6.866

6.169

12.010

10,9

20

Fonte: ISTAT, Anno 2009. Come cambiano le forme familiari, Report statistiche el 15 settembre 2011

 

§         La presenza di figli riguarda il 49,7% delle coppie non coniugate, una quota in crescita rispetto al 1998 (40,1%). Nel 36,4% dei casi si tratta di figli di ambedue i partner, nel 6,5% di figli di uno solo dei due e nel 6,9% di figli sia di uno dei partner che di ambedue. I minori che vivono in coppie non coniugate sono 572 mila e vivono nel 44,1% delle coppie non coniugate.

§         Il 44,4% delle unioni libere di recente formazione (2004-2009) è andata a vivere in una casa in affitto o subaffitto e nel 41% dei casi in una di proprietà. Nel 50% dei casi l’abitazione del nuovo nucleo è stata presa appositamente.

 

2. Il “favor” riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale alla famiglia fondata sul matrimonio

Il diritto a costituire una famiglia di fatto sembra essere garantito dall’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (e adesso con lo stesso valore giuridico dei Trattati in base all’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea - TUE), secondo cui “il diritto di sposarsi ed il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.

 

Nell’ambito della normativa europea, si ricorda la direttiva 2003/86/CEdel Consiglio, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, che prevede all’art. 4, par. 3, che gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l'ingresso e il soggiorno ai sensi della presente direttiva del partner non coniugato cittadino di un paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante, o del cittadino di un paese terzo legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata, ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, nonché dei figli minori non coniugati, anche adottati, di tali persone, come pure i figli adulti non coniugati di tali persone, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute.

L’art. 5, par. 2 prevede poi che la domanda deve essere corredata dai documenti che comprovano i vincoli familiari ed il rispetto delle condizioni previste e che nell'esaminare una domanda concernente il partner non coniugato del soggiornante, gli Stati membri tengono conto, per stabilire se effettivamente esista un vincolo familiare, di elementi quali un figlio comune, una precedente coabitazione, la registrazione formale della relazione e altri elementi di prova affidabili.

Si ricorda inoltre che la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, reca all’art. 2 alcune definizioni, secondo le quali si intende per «familiare» tanto il coniuge quanto il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante.

 

Il tema delle unioni di fatto può essere inquadrato da un punto di vista costituzionale attraverso gli articoli 2 e 29 della Costituzione: il primo riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, il secondo riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Dalla lettura di queste due disposizioni si ricava il particolare valore e la specifica rilevanza che il Costituente ha attribuito alla famiglia fondata sul matrimonio (favor matrimonii). La stessa Corte costituzionale ha costantemente affermato che “la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale” e a questo non meccanicamente assimilabile al fine di desumerne l’esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento (sent. 352 del 2000). Anzi, pur non disconoscendo il valore di altre forme di convivenza, ha affermato che l’articolo 29 della Costituzionericonosce alla famiglia legittima “unadignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio”(sent. 310 del 1989).

Oltre che nella citata sentenza del 1989, la Corte, in diverse altre decisioni[2] ha posto in luce la netta diversità strutturale e contenutistica del rapporto coniugale - caratterizzato da stabilità e certezza nonché dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio - dalla convivenza di fatto, fondata sull'affectio quotidiana di ciascuna delle parti, liberamente e in ogni istante revocabile (sentenze 8/1996 e 461/2000).

Per la Consulta non è – quindi - né irragionevole, né arbitrario che il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente contemplata nell’articolo 29 della Costituzione, e per la famiglia di fatto, tradizionalmente ricondotta all’articolo 2 della Costituzione (ord. 121/2004).

In particolare, con la sentenza n. 8 del 1996 la Corte ha fornito una lettura precisa del dettato costituzionale: citando la sentenza n. 237 del 1986, la Consulta ha ricordato come quest’ultima, pur ribadendo la rilevanza costituzionale del "consolidato rapporto" di convivenza, ancorché rapporto di fatto, lo ha tuttavia distinto dal rapporto coniugale, “secondo quanto impongono il dettato della Costituzione e gli orientamenti emergenti dai lavori preparatori”.

 

Solo quest’ultimo è stato ricondotto alla protezione dell'art. 29 della Costituzione, mentre il rapporto di fatto ricadrebbe nell'ambito della protezione, offerta dall'art. 2, dei diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali.Forme di convivenza diverse dal matrimonio, proseguiva la Corte, non sono indifferenti né al diritto, né alla Costituzione, e “trovano una tutela – sicuramente meno forte, ma pur sempre una tutela”; in particolare, dove esiste un rapporto stabile e duraturo, si è, comunque, pur tra qualche dissenso, riconosciuta una formazione sociale di rilievo costituzionale. Tenendo distinta l'una dall'altra forma di vita comune tra uomo e donna – proseguiva la Corte -“si rende possibile riconoscere a entrambe la loro propria specifica dignità; si evita di configurare la convivenza come forma minore del rapporto coniugale, riprovata o appena tollerata e non si innesca alcuna impropria "rincorsa" verso la disciplina del matrimonio da parte di coloro che abbiano scelto di liberamente convivere”.

La Corte esclude, infine, che tale valutazione costituzionale possa essere contraddetta da opposte visioni dell'interprete, in quanto i punti di vista di principio assunti dalla Costituzione valgono innanzitutto come criteri vincolanti di comprensione e classificazione, e quindi di assimilazione o differenziazione dei fatti sociali giuridicamente rilevanti. In tal modo, sono poste le premesse “per una considerazione giuridica dei rapporti personali e patrimoniali di coppia nelle due diverse situazioni, considerazione la quale - fermi in ogni caso i doveri e i diritti che ne derivano verso i figli e i terzi - tenga presente e quindi rispetti il maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla soggettività individuale dei conviventi; e viceversa dia, nel rapporto di coniugio, maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzione sovraindividuale”.

 

La Corte ha inoltre rilevato,posto che la convivenza rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio, che “l’estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti” (sentenza n. 166 del 1998).

Analoga linea è dettata più recentemente dalla Consulta. Con la sentenza n. 140 del 2009 è stato affermato che «si deve ribadire quanto già più volte affermato, cioè che la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale e non può essere assimilata a questo per desumerne l’esigenza costituzionale di una parità di trattamento. La stessa Costituzione ha valutato le due situazioni in modo diverso, ed il dato assume rilievo determinante in un giudizio di legittimità costituzionale. Infatti, il matrimonio forma oggetto della specifica previsione contenuta nell’art. 29 Cost., che lo riconosce elemento fondante della famiglia come società naturale, mentre il rapporto di convivenza assume anch’esso rilevanza costituzionale, ma nell’ambito della protezione dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali garantita dall’art. 2 Cost».

 

3. Il riconoscimento della convivenza more uxorio nella giurisprudenza e nella legislazione

L’assenza di una disciplina organica della convivenza e di un riconoscimento esplicito della famiglia di fatto ha favorito la frammentarietà degli interventi normativi, indirizzati, così, a risolvere “a macchia di leopardo” specifiche situazioni in diversi ambiti dell’ordinamento e soprattutto ha determinato un massiccio intervento della giurisprudenza, dal quale non si può oggi prescindere nella descrizione del quadro normativo vigente.

 

Le prime limitate equiparazioni della convivenza allo status giuridico dei coniugi sono state infatti operate dalla giurisprudenza, che è giunta ad elaborare il concetto di famiglia di fatto, con assimilazione terminologica alla famiglia legittima fondata sul matrimonio. Le indicate equiparazioni, pur essendo espressione di una evoluzione della sensibilità giuridica, risultano comunque circoscritte alla risoluzione di specifiche situazioni, senza dar luogo ad un riconoscimento generalizzato della convivenza di fatto. Il legislatore è intervenuto poi a disciplinare alcuni specifici aspetti.

E’ soprattutto la Corte di cassazione ad avere fornito spunti di rilievo ai fini dell’individuazione degli elementi caratterizzanti le convivenze more uxorio; va peraltro osservato che la preoccupazione di delineare i criteri di individuazione della famiglia di fatto, più che alla finalità di un suo riconoscimento, sembra piuttosto collegarsi allo scopo di evitare un’indistinta applicazione della normativa sulla famiglia legittima a ogni tipo di convivenza che si sviluppi fuori dal matrimonio. Ciononostante, proprio i giudici di legittimità sono costantemente sembrati più propensi - rispetto a quelli costituzionali - a dare una qualche rilevanza giuridica alle convivenze more uxorio.

 

In generale, si può affermare che la giurisprudenza riconosce una tutela alla famiglia di fatto quando la convivenza si basa su legami affettivi che abbiano raggiunto un sufficiente grado di stabilità e serietà, tali da assomigliare ai legami che caratterizzano il rapporto coniugale dovrà trattarsi di una comunità affettiva fondata, pur in assenza di riconoscimenti formali, su vincoli di solidarietà affettiva ed economica, che si realizza attraverso una comunione di vita ed interessi della quale la coabitazione costituisce il principale strumento di espressione ma che ben può essere individuata in base a diverse coordinate[3].

 

Il richiamo alla stabilità del rapporto di fatto risulta una costante della giurisprudenza della Suprema Corte. Tra le diverse pronunce e senza pretesa di esaustività, si segnalano, in particolare, Cass. Civile, sez. III, 28 marzo 1994, n. 2988,ove si è definita la convivenza more uxorio come “una relazione interpersonale, con carattere di tendenziale stabilità, di natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza materiale e morale”. In seguito, in misura più penetrante, la sentenza n. 3503 del 1998, in materia di diritto alla conservazione dell’assegno di mantenimento (a seguito di successiva instaurazione di convivenza more uxorio da parte del coniuge separato) ha fornito alla Suprema Corte l’occasione di fare il punto sull’evoluzione nella giurisprudenza e nel costume della rilevanza della convivenza di fatto. Preliminarmente, ai fini del diritto all’assegno (e alla sua quantificazione), viene ribadita la rilevanza della prestazione di assistenza di tipo coniugale da parte del convivente more uxorio, che di fatto riduce o addirittura esclude lo stato di bisogno del coniuge separato o divorziato (v. anche Cass., sentenze 5 giugno 1997, n. 5024, 4 aprile 1998, n. 3503; 22 aprile 1993, n. 4761; 27 marzo 1993, n. 3720). La Cassazione precisa però che, per dispiegare tali effetti, la convivenza deve essere “caratterizzata da inequivocità, serenità e stabilità, da non confondere con i meri rapporti sessuali, che possono dar luogo alla nascita di figli naturali……” Affermava la Suprema Corte come in proposito, il costume prima e la stessa giurisprudenza poi – che non può essere influenzata dal primo – siano passati da una considerazione del tutto negativa qualificando come concubinato qualunque convivenza al di fuori del matrimonio, ad una fase neutra, in cui per contraddistinguere i caratteri di stabilità e durevolezza – ad instar della famiglia legittima – ma non di certezza, la giurisprudenza adottò l’espressione convivenza more uxorio, una cohabitation sans mariage (Trib. Napoli, 26 gennaio 1979). Ha affermato la Suprema Corte che “al fine di distinguere tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, deve tenersi soprattutto conto del carattere di stabilità che conferisce grado di certezza al rapporto di fatto sussistente tra le persone, tale da renderla rilevante sotto il profilo giuridico”, rilevando come “il quid pluris che conferisce carattere di affidabilità e stabilità alla famiglia di fatto è la sussistenza di un rapporto di coppia fondato, non su investiture esterne bensì su un consenso che si rinnova continuamente e rappresenta il fondamento e il limite del rapporto stesso”.

Analoghi principi sono alla base delle decisioni della Cassazione in materia di incidenza dell’instaurata relazione more uxorio da parte del beneficiario in relazione al diritto alla conservazione dell’assegno divorzile.

Ad esempio, in Cass., I sez. civile, sentenza 2 giugno 2000, n. 7328la Suprema corte ha cassato la decisione del giudice d’appello secondo il quale la “semplice” convivenza, priva del requisito di stabilità tipico del vincolo coniugale, “non può dare luogo ad una esclusione dell’assegno di divorzio, ma solo ad una sua riduzione”. Distaccandosi completamente da questo minoritario, e ormai superato, orientamento della giurisprudenza di merito, la Cassazione ha invece ribadito - confermando l’indirizzo consolidatosi fra i giudici di legittimità - il diverso principio secondo cui (al contrario delle nuove nozze che, a prescindere dalla nuova situazione economica dell'avente diritto, fanno venir meno il diritto all’assegno) l'instaurazione di una convivenza more uxorio di per sé non incide sul diritto all'assegno di divorzio, ma può incidervi ove si accerti che in conseguenza di essa venga meno o si riduca (e solo finché venga meno o si riduca) la necessità dell'assegno ai fini della conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (nello stesso senso, Cass., 26 gennaio 2006 n. 1546).

In definitiva, la convivenza, qualora abbia carattere di stabilità e dia luogo a prestazioni di assistenza economica di tipo familiare da parte del convivente, può incidere sia sul diritto che sulla misura dell'assegno che l'ex marito deve prestare alla moglie”.(Cass. 3 novembre 2004 n. 21080). Tra l’ormai solida giurisprudenza in tale direzione, Cass., sent. 13060 del 2002, sent. 8 agosto 2003, n. 11975 e sent. 8 luglio 2004, n. 12557.

Anche in una fattispecie di risarcimento danni derivanti da illecito penale, la Suprema Corte ha riconosciuto la rilevanza giuridica delle relazioni more uxorio qualificate dalla stabilità. Si legge, infatti, in Cass. pen., sent. 8 luglio 2002, n. 33305 che “la lesione di qualsiasi forma di convivenza, purché dotata di un minimo di stabilità, tale da non farla definire episodica, ma idoneo e ragionevole presupposto per un'attesa di apporto economico futuro e costante costituisce legittima causa petendi di una domanda di risarcimento danni proposta di fronte al giudice penale chiamato a giudicare dell'illecito che tale lesione ha causato”.

 

Per quanto riguarda gli interventi del legislatore in materia di famiglia di fatto, questi non sono mai risultati organici e, come accennato, volti ad un riconoscimento ”diretto” e generalizzato della convivenza fuori dal matrimonio. Di seguito è dato conto, nella materia in esame, dei più significativi interventi del legislatore in ambito civile e penale ed in leggi speciali; parallelamente all’illustrazione della normativa, sono ricordati alcuni, ulteriori significativi interventi della giurisprudenza.

 

La filiazione

Nel settore civile, il diritto di famiglia, così come la costante giurisprudenza, più che alla tutela diretta della convivenza di fatto appare volto alla protezione del valore costituzionale della filiazione: ai sensi dell’articolo 30 della Costituzione, infatti, «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio» (comma 1) e «la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima» (comma 3).

Dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 in avanti, per quanto riguarda la condizione giuridica dei figli, si è sempre più affermata la tendenza ad attribuire una limitata importanza all’eventuale rapporto di coniugio dei genitori[4].

Conseguentemente, nei rapporti con i genitori, il figlio naturale gode degli stessi diritti del figlio legittimo, alla cui posizione è in sostanza equiparato anche nei rapporti con tutti i terzi che non siano i membri della famiglia legittima del genitore naturale, qualora costui sia sposato.

L’attribuzione di rilevanza alla filiazione naturale non coincide tuttavia con il riconoscimento di una rilevanza della famiglia di fatto; in questo senso può essere letto anche l’articolo 317-bis c.c., relativo all’esercizio della potestà genitoriale sul figlio naturale, laddove attribuisce ai genitori naturali conviventi l’esercizio congiunto della potestà genitoriale mentre, in caso contrario (ovvero quando manchi la convivenza), la stessa è esercitata dal genitore che per primo ha riconosciuto il figlio. Alla convivenza tra l’uomo e la donna non coniugati è attribuita dalla norma un riconoscimento che si sviluppa in due direzioni: da un lato, nei confronti del figlio naturale che è assoggettato ad una potestà parentale diversa in ragione della convivenza o meno dei genitori e sostanzialmente identica a quella in vigore nella famiglia legittima; dall’altro, rispetto al rapporto tra i genitori conviventi, la cui unione, pur in assenza di formalizzazione legale, risulta produttiva di effetti giuridici. L’art. 317-bis c.c. individua, in definitiva, un rapporto di natura familiare tra i conviventi more uxorio attribuendo rilevanza giuridica alla famiglia naturale fondata sulla semplice coabitazione di fatto e caratterizzata dall’assenza di vincoli legalmente formalizzati tra i suoi componenti.

 

I giudici di merito hanno affermato che “al fine di evitare un'inammissibile e ingiustificata discriminazione tra i figli nati da convivenze more uxorio e quelli nati in costanza di matrimonio, l'art. 317-bis, comma secondo, c.c., va interpretato nel senso di consentire al giudice di disporre l'affidamento congiunto dei figli minori ad entrambi gli ex conviventi quando vi siano i necessari presupposti di fatto” (Tribunale per i minorenni di L’Aquila, sentenza del 22 aprile 1998).

Peraltro, è tuttora negato ai fratelli e alle sorelle naturali del "de cuius", in mancanza di membri della famiglia legittima intesa in senso stretto, il diritto di successione. Anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 377 del 1994, pur dichiarando la questione di legittimità costituzionale degli articoli 565 e 572 c.c. inammissibile, ha affermato che “dopo vent’anni dalla riforma del diritto di famiglia appare sempre meno plausibile la regola che esclude dall’eredità i fratelli e le sorelle naturali del defunto a beneficio anche di lontani parenti legittimi fino al sesto grado. Il legislatore deve prendere atto del notevole incremento verificatosi nel frattempo, sebbene in misura inferiore che in altri paesi, delle nascite fuori del matrimonio e del fenomeno parallelo della famiglia di fatto”.

Sempre nella direzione di tutela della filiazione, devono essere lette due ulteriori decisioni della Corte costituzionale:

§       la citata sentenza n. 166 del 1998 con la quale la Corte ha disposto che, in caso di cessazione di una convivenza more uxorio, il genitore naturale affidatario della prole (o convivente con prole maggiorenne non economicamente autosufficiente) deve essere preferito nell’assegnazione della casa coniugale, indipendentemente dalla titolarità dell’immobile adibito ad abitazione familiare;

§       la sentenza n. 203 del 1997 con la quale la Corte ha sancito il principio del diritto alla ricongiunzione al figlio minore del genitore extracomunitario anche se non sposato con l'altro genitore naturale. Anche in tal caso il riconoscimento della rilevanza giuridica della famiglia di fatto avviene non direttamente ma, in via mediata, tramite il riconoscimento e la tutela del diritto fondamentale del minore a poter vivere con entrambi i genitori.

 

Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari

Un riconoscimento del rilievo giuridico della convivenza può, poi, essere rinvenuto negli artt. 342-bis e 342-ter del codice civile (in tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari) introdotti nell’ordinamento dalla legge 154 del 2001. Tali norme prevedono le stesse forme di tutela dagli abusi sia per il coniuge che per il convivente; allo stesso modo, gli ordini di protezione possono essere rivolti sia nei confronti del coniuge che del convivente violento. Analoga tutela è apprestata dagli artt. 330 e 333 del codice civile in relazione al possibile l’allontanamento, dalla residenza familiare, oltre che del genitore, del convivente maltrattante o abusante (novella introdotta dalla legge149/2001 di riforma della disciplina dell’adozione).

 

Interdizione, inabilitazione e amministratore di sostegno

Di rilievo, inoltre, le previsioni dell’art. 406 del codice civile che prevede, tra i soggetti legittimati al ricorso per l’istituzione dell’amministratore di sostegno, (di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 6) anche “la persona stabilmente convivente”, parimenti abilitata dal novellato art. 417 a promuovere l’interdizione e l’inabilitazione. La stessa legge 6/2004, modificando l’art. 408 del codice civile, prevede che il giudice tutelare debba designare come amministratore di sostegno, in mancanza del coniuge non separato legalmente, la persona stabilmente convivente, con preferenza rispetto a qualsiasi altro soggetto.

Da segnalare in tali casi come - recependo le indicazioni della giurisprudenza (v. ante) - il rilievo giuridico è dato non alla semplice convivenza ma a quella qualificata dalla “stabilità” del rapporto.

 

Il regime patrimoniale della convivenza

Durante la convivenza nessuna norma impone ai conviventi more uxorio diritti e doveri reciproci di coabitazione, assistenza morale e materiale, nonché di fedeltà. In particolare, per quanto riguarda il concorso dei partners nel sostenere gli oneri economici del ménage familiare, l’ordinamento giuridico non individua obblighi giuridicamente coercibili di contribuzione a carico dei conviventi, diversamente da quanto accade per i coniugi ai sensi dell’art. 143 c.c.

Peraltro, sebbene non esistano diritti e doveri reciproci di mantenimento o contribuzione giuridicamente garantiti, qualche riflesso sul piano giuridico può individuarsi a posteriori in riferimento agli oneri già sostenuti. L’unione di fatto, infatti, limitatamente al periodo in cui esiste, implica per i conviventi l’assunzione reciproca deldovere morale e sociale di assistersi. Pertanto le reciproche erogazioni dei conviventi, effettuate per sopperire alle necessità della famiglia di fatto sono inquadrate nell’ambito delle obbligazioni naturali (ex art. 2034 c.c.), con conseguente irripetibilità di quanto prestato[5].

In riferimento, invece, al regime patrimoniale, la giurisprudenza ha sino ad oggi sempre escluso che si possa analogicamente applicare alla famiglia di fatto il regime della comunione legale tra coniugi.

La giurisprudenza ha affermato che ciascun convivente rimane, in linea di principio, proprietario esclusivo dei beni acquistati in proprio nome, sui quali l’altro non può avanzare nessuna pretesa di contitolarità. In tema, la Corte di appello di Firenze ha affermato che “Il regime della comunione legale tra coniugi non e' applicabile ai conviventi more uxorio; pertanto, l'acquisto di un bene immobile effettuato da uno dei partners opera solo in suo favore, a nulla rilevando che egli, in seno al rogito d'acquisto, abbia dichiarato, contra veritatem, d'essere coniugato con il convivente” (sentenza del 12 febbraio 1991).

In una sentenza del 20 gennaio 2000, il Tribunale di Bolzano ha sostenuto che “nell'ipotesi di contestazione d'un conto corrente bancario a due conviventi more uxorio, alla cessazione della convivenza le somme a credito nel conto devono considerarsi appartenenti in parti uguali a ciascuno dei conviventi, ancorché sia pacifico in causa che soltanto l'uomo, col suo lavoro di pubblico dipendente, aveva originariamente la proprietà delle somme via via depositate mentre la donna, durante la convivenza, s'era completamente dedicata alla famiglia di fatto, come casalinga, giacche' le somme risparmiate e come sopra depositate sul conto cointestato devono considerarsi destinate alle spese riguardanti la famiglia stessa, secondo gli usi”.

 

Il lavoro e l’impresa familiare

La giurisprudenza di legittimità ha poi ripetutamente affrontato anche il tema del lavoro prestato da uno dei partner a favore del convivente, respingendo le richieste di interpretazione analogica dell’articolo 230-bis del codice civile in tema di impresa familiare (Cass., Sez. lavoro, sent. n. 4204 del 1994)[6]. Pertanto, al fine di stabilire se le prestazioni lavorative svolte nello ambito di una convivenza more uxorio diano luogo ad un rapporto di lavoro subordinato, oppure siano riconducibili ad una diversa relazione dalla quale esuli il requisito della subordinazione, la Cassazione invita il giudice ad escludere l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato solo in presenza “della dimostrazione rigorosa di una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi, che non si esaurisca in un rapporto meramente spirituale, affettivo e sessuale, ma, analogamente al rapporto coniugale, dia luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, del convivente more uxorio alle risorse della famiglia di fatto” (Cass., Sez. Lavoro., sent. n. 7486 del 1986)[7].

 

Le situazioni soggettive conseguenti alla morte del convivente: successione, diritto di abitazione, pensione di reversibilità

In caso di morte del convivente, tanto il legislatore quanto la giurisprudenza, hanno sempre escluso che il partner superstite appartenga alla categoria dei successibili ad intestatio: in caso di morte del partner, il convivente more uxorio non ha dunque alcun diritto di successione legittima. In particolare, con la sentenza n. 310 del 1989, la Corte costituzionale ha respinto la censura di costituzionalità rivolta agli articoli 565 e 582 del codice civile, nella parte in cui non includono tra gli eredi legittimi, parificandolo al coniuge, il convivente more uxorio: la Corte ha infatti affermato che il riconoscimento della vocazione legittima contrasterebbe con i principi del diritto successorio, il quale esige che le categorie di successibili siano individuate in base a rapporti giuridici certi e incontestati; ha inoltre negato una violazione dell’articolo 2 Cost., ritenendo che il reciproco diritto di successione mortis causa fra i conviventi non rientri nel novero dei diritti inviolabili.

In caso di morte di uno dei due partner, tuttavia, il Tribunale di Torino (VIII sez. civile, sent. 28 febbraio 2002) ha stabilito il riconoscimento dell'usucapione del diritto di abitazione da parte del convivente more uxorio che ha convissuto con compossesso ultraventennale corrispondente al diritto reale di abitazione, di cui all'art. 1022 c.c.. Il convivente superstite – secondo i giudici torinesi - acquisisce, per usucapione, la titolarità, vita natural durante, del diritto di abitazione, di una casa, di cui l'altro convivente, premorto, era proprietario. Il fondamento giuridico di tale decisione va ravvisato nella considerazione che "nel rapporto di fatto con il bene, costituito dal possesso tutelato ex lege, il convivente non può essere discriminato rispetto ai componenti della famiglia legittima”; il possesso deve essere però continuo, pacifico e pubblico.

Il convivente more uxorio non ha neanche diritto alla pensione di reversibilità, che viene invece attribuita comunque al coniuge, anche se separato o divorziato. Anche in questo caso, la Corte costituzionale ha giustificato (sentenza n. 461 del 2000) il mancato inserimento del convivente tra i destinatari del beneficio in quanto il trattamento pensionistico si collega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico che, nel caso della famiglia di fatto, manca. Conseguentemente, la diversità delle situazioni poste a raffronto ne giustifica una differenziata disciplina, e non può essere invocata la violazione dell’articolo 2 Cost. perché, anche in questa ipotesi, il diritto alla pensione di reversibilità non è un diritto inviolabile[8].

Un riconoscimento, sia pur indiretto, del rilievo che, ai fini indicati, può assumere la convivenza si è tuttavia avuto con Cassazione, sentenza n. 15148 del 10 ottobre 2003.  Per la Suprema Corte, la ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza "more uxorio" non una semplice valenza "correttiva" dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, a condizione che la detta convivenza sia caratterizzata da un grado di stabilità, nonché da comportamenti dei conviventi corrispondenti, in una effettiva comunione di vita, all'esercizio di "diritti" e "doveri" connotato da reciprocità e corrispettività (caratteristiche che devono essere rigorosamente dimostrate dal coniuge superstite con idonei mezzi probatori). Più recentemente, nello stesso senso, Cassazione, sentenza n. 26358 del 7 dicembre 2011.

In tale settore va ricordata, peraltro, la diversa posizione della Corte di giustizia delle Comunità europee (Grande Sezione, sentenza 1° aprile 2008) che ha affermato che l'attribuzione ai superstiti di una pensione di reversibilità, prevista nell'ambito di un regime previdenziale di categoria, rientra nella nozione di retribuzione, con la conseguente applicazione della direttiva comunitaria n. 2000/78 riguardante la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Per la Corte europea l’esclusione dal diritto a ottenere una simile prestazione nei confronti di partner di unioni civili registrate, costituisce una discriminazione basata sull'orientamento sessuale vietata dal diritto comunitario qualora, invece, analogo diritto sia attribuito ai coniugi superstiti.

 

La tutela risarcitoria

La giurisprudenza ha progressivamente riconosciuto alle situazioni di convivenza una tutela di tipo risarcitorio,inizialmentein riferimento ai soli danni morali subiti dal convivente more uxorio.

 

La più recente giurisprudenza della Suprema Corte ha superato l’orientamento che circoscriveva la possibilità di ottenere il ristoro dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., per lo più alle fattispecie nelle quali fossero ravvisabili gli estremi di un reato. Con le sentenze 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828 della Cassazione e la sentenza n. 233/2003 della Corte Costituzionale è stata operata, difatti, la rilettura dell’art. 2059 c.c.

Il risarcimento del danno non patrimoniale, attualmente, in virtù di un’impostazione che il Supremo Collegio richiama anche nella sent. n. 15760 del 2006, si può ottenere ogniqualvolta venga leso un interesse costituzionalmente protetto inerente alla persona e non connotato da rilevanza economica. E’ il caso, ad esempio, sempre secondo quanto precisato della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, del danno biologico, del danno morale, del danno da uccisione del congiunto.

In coerenza con tale linea giurisprudenziale, nel 2006 è stato riconosciuto il risarcimento da danni morali o non patrimoniali (art. 2059 c.c.) ai genitori di un ragazzo minorenne deceduto nel 1989 in un incidente in mare, investito da una moto d’acqua condotta da un altro minorenne (Cass., Sezione III Civile, sentenza n. 15760 del 12 luglio 2006). Proprio in tale decisione, la Suprema Corte ha operato un’apertura ai Patti civili di solidarietà[9]. Sottolineando come il danno morale derivante dalla morte di un parente interessa la lesione di due beni della vita, l’integrità e la solidarietà familiare, la Cassazione ha affermato che anche se nel caso specifico (richiesta da parte dei genitori del defunto) il danno parentale interessa una societas stabilizzata con vincolo matrimoniale e discendenza legittima, onde i referenti costituzionali sono certi, “l’attuale movimento per la estensione della tutela civile ai PACS (patti civili di solidarietà ovvero stabili convivenze di fatto) conduce appunto alla estensione della solidarietà umana a situazioni di vita in comune, e dunque prima o poi anche i “nuovi parenti” vittime di rimbalzo lamenteranno la perdita del proprio caro”.

 

Successivamente anche il danno patrimoniale, con maggiore difficoltà, è entrato a far parte dei danni risarcibili al convivente; ciò, in particolare, con riferimento al caso di morte del convivente provocata dal fatto ingiusto altrui.

 

La Cassazione, nella sentenza n. 2988 del 1994 aveva equiparato il convivente more uxorio ai prossimi congiunti ai fini del riconoscimento del danno patrimoniale subito per morte della vittima per la perdita delle contribuzioni che da quella ricevevano ed avrebbero presumibilmente ancora ricevuto in futuro (danno emergente e lucro cessante), sempre pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza civile (sentenze 3929/1969; 2063/1975; 4137/1981; 11453/1995; 1085/1998; ma v. anche Corte costituzionale, sentenza 372/1994).

Successivamente, la Suprema Corte si è andata orientando nel diverso senso che “anche la convivenza, non necessariamente limitata alla categoria "more uxorio", possa bene costituire titolo per il risarcimento del danno da illecito penale.

Ricordando tale revirement giurisprudenziale nella citata sentenza n. 33305 del 2002, la Cassazione ha riconosciuto la legittimazione anche dei genitori della persona offesa, purchè conviventi, a costituirsi parte civile nel processo penale, quanto meno per esigere la rifusione del danno patrimoniale derivante dal contestato reato di lesioni colpose, restando impregiudicato ogni altro profilo, e particolarmente quello attinente al danno cd. morale.

In tale pronuncia, la Suprema Corte rilevava come sia del tutto arbitrario ritenere che l’illecito penale, lesivo dello specifico diritto risarcibile, debba consistere necessariamente nella morte della persona offesa”. Proseguiva la Cassazione che “deve ulteriormente osservarsi che, ai fini della valutazione delle conseguenze dell'aggressione al rapporto di convivenza da parte del terzo, l'insegnamento di questa Suprema Corte è nel senso che l'aggressione ad opera del terzo legittima il convivente a costituirsi parte civile, essendo questi leso nel proprio diritto di libertà, nascente direttamente dalla Costituzione" (così: Cass. pen., sent. 4 febbraio 1994).In merito, la Corte ha affermato che anche la convivenza, non necessariamente limitata alla categoria more uxorio, può bene costituire titolo per il risarcimento del danno da fatto illecito penale”. La legittimazione al risarcimento deriva infatti dalla “lesione di qualsiasi forma di convivenza, purché dotata di un minimo di stabilità, tale da non farla definire episodica, ma idoneo e ragionevole presupposto per un’attesa di apporto economico futuro e costante”.

 

In relazione al risarcimento danni da illecito civile va segnalata una interessante decisione dei giudici di legittimità che ha ammesso, pur a precise condizioni, che il convivente di una persona che abbia riportato gravi danni in un incidente stradale possa essere risarcito dal responsabile del fatto (Cass., III sez., sent. 29 aprile 2005, n. 8976) .

 

Secondo la Cassazione, il convivente more uxorio ha infatti diritto ad ottenere il risarcimento del danno morale (analogo a quello della famiglia legittima: art. 2059 cod. civ.), patrimoniale (per il contributo alla vita quotidiana: art. 2043 le cod. civ.), e biologico, come quello sofferto per la morte o lesioni di prossimi congiunti. A supporto di tale tesi, la suprema Corte ha affermato che “il dato comune che emerge dalla legislazione vigente e dalle pronunce giurisprudenziali, è che la convivenza assume rilevanza sociale, etica e giuridica in quanto somiglia al rapporto di coniugio, anche nella continuità nel tempo”. Partendo da ciò, sono però posti a carico del richiedente specifici oneri probatori: il soggetto che - come vittima secondaria - chiede la liquidazione del danno derivatagli dalla lesione materiale cagionata al suo convivente dalla condotta illecita del terzo, deve cioè dimostrare l’esistenza e la portata dell’equilibrio affettivo - patrimoniale instaurato con la medesima, e perciò, per poter esser ravvisato il vulnus ingiusto a tale stato di fatto, deve esser dimostrata l’esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale. Secondo la Corte, non è sufficiente a tal fine la prova di una relazione amorosa, per quanto possa esser caratterizzata da serietà di impegno e regolarità di frequentazione nel tempo, perché soltanto la prova della assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica di fronte ai terzi.

Quanto poi alla prova di tali elementi strutturali e qualificativi, concreti e riconoscibili all’esterno, presupposti dì esistenza della convivenza more uxorio e parametri caratterizzanti la stessa, può essere fornita con qualsiasi mezzo (articolo 2697 Cc), mentre il certificato anagrafico (Dpr 223/89) può tutt’al più provare la coabitazione, insufficiente a provare altresì la condivisione di pesi e oneri di assistenza personale e di contribuzione e collaborazione domestica analoga a quella matrimoniale

 

La disciplina penale e del processo penale

Per quanto concerne la disciplina penale, a fronte di disposizioni codicistiche che non fanno mai riferimento alla convivenza more uxorio, la giurisprudenza ha atteggiamenti contraddittori: talvolta interpreta la normativa in modo rigoroso, e quindi nega valenza esterna alla famiglia di fatto; altre volte estende la nozione di famiglia, così da ricomprendervi anche la convivenza more uxorio.

Quanto al primo profilo, si pensi ai casi di non punibilitàdel favoreggiamento personale, quando il fatto sia stato commesso nella necessità di salvare un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento (art. 384). Ai sensi del codice penale (art. 307, terzo comma, c.p.), nella categoria dei prossimi congiunti non rientra il convivente di fatto, e tanto la Corte costituzionale – chiamata a più riprese a giudicare della legittimità delle norme penali nella parte in cui non si applicano anche alla famiglia di fatto – quanto la Corte di cassazione – chiamata a dare un’interpretazione estensiva dei casi di non punibilità – hanno sempre escluso che tali disposizioni si applichino alla convivenza more uxorio, ritenendo in tal senso necessario un intervento del legislatore (Corte cost., ord. n. 121 del 2004)[10].

Di contro, la giurisprudenza ha sempre riconosciuto la rilevanza esterna alla convivenza more uxorio per quanto riguarda il delitto di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 572 c.p. In particolare, la Corte di Cassazione ha costantemente affermato che la sussistenza di tale reato non presuppone necessariamente l’esistenza di vincoli di parentela civili o naturali ma sussiste anche nei confronti del convivente more uxorio venendo in tal casi a crearsi quel rapporto stabile di comunità familiare che il legislatore ha ritenuto di dover tutelare (Cass., sentenze 144802 del 1979, 171979 del 1985, 184342 del 1989, 193274 del 1992, 208444 del 1997, 36576 del 2001).

Analogo indirizzo è stato confermato da Cassazione, sentenza n. 20647 del 2008, cheha precisato come ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, non assume alcun rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia commessa ai danni di una persona convivente more uxorio, atteso che il richiamo contenuto nell'articolo 572 del Cp alla «famiglia» deve intendersi riferito a ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo. (Nel caso di specie, la Suprema corte ha ravvisato l'esistenza di una convivenza di fatto di durata ultradecennale e connotata dalla nascita di due figlie, che ha dato luogo a una situazione qualificabile come «famiglia di fatto», ricompresa in quanto tale nell'ambito della tutela prevista dall'articolo 572 del codice penale).

Per quanto riguarda invece la disciplina processuale penale, la nozione di prossimo congiunto è stata estesa dal legislatore così da ricomprendere anche il convivente more uxorio. L’art. 199 c.p.p., in tema di facoltà di astensione dalla testimonianza da parte dei prossimi congiunti include infatti anche la persona che, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso”, tra i soggetti esentati dall'obbligo di deporre, pur limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza. Una ulteriore significativa disposizione è prevista dall'art. 681 c.p.p. che, innovando rispetto alla disciplina del codice previgente, include il convivente tra i soggetti che possono sottoscrivere la domanda di grazia, diretta al Presidente della Repubblica.

Lo stesso codice di rito penale prevede, in materia di notificazioni, la possibilità, in assenza dell’imputato, di  procedere alla notifica dell’atto mediante consegna al convivente (art. 157, comma 5).

 

Va, inoltre, ricordata la sentenza della Cassazione che, ribadendo un orientamento consolidato, ha affermato che, per la determinazione dei limiti di reddito ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio (TU spese di giustizia, DPR 115/2002, art. 76), occorre tenere conto della somma dei redditi facenti capo all’interessato ed agli altri familiari conviventi, compreso il convivente more uxorio (Cass., IV sez. penale, sentenza n. 109 del 5 gennaio 2006). Il Collegio ha ritenuto pienamente condivisibile tale indirizzo interpretativo anche perché lo stesso “risulta assolutamente in linea con la significativa evoluzione sociale, normativa e giurisprudenziale, registratasi negli ultimi tempi ed evidentemente finalizzata a dare rilievo sociale e giuridico (ovviamente, sia in bonam che in malam partem) alla famiglia di fatto e, di conseguenza, al rapporto more uxorio…”.

 

La locazione abitativa e l’edilizia residenziale

Nell’ambito della legislazione speciale, i settori della locazione abitativa e dell’edilizia residenziale popolare appaiono quelli nei quali la famiglia di fatto assume il punto massimo di rilevanza giuridica e, a dimostrazione di questo, viene spesso richiamata la giurisprudenza della Corte costituzionale. Infatti, con la nota sentenza n. 404 del 1988, il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 1, della legge n. 392 del 1978 (cd. legge sull’equo canone) in materia di locazione di immobili urbani, nella parte in cui non prevede fra coloro che possono succedere nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio. Tuttavia, l’illegittimità della disposizione è dichiarata nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione stipulato dal conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del convivente di questo, quando vi sia prole naturale

 

In realtà, nella nota sentenza n. 404/1988 non c’è alcun riconoscimento della dignità costituzionale della convivenza, ma solo una tutela del figlio naturale e un’affermazione del diritto all’abitazione. E’ attraverso la tutela di quest’ultimo diritto che il convivente more uxorio - non come tale o come rappresentante della famiglia di fatto, ma solo quale individuo, titolare di diritti inviolabili, abitualmente convivente con il conduttore - beneficia della successione nel contratto di locazione.

 

I tentativi di equiparare la situazione del convivente con prole a quello senza prole ai fini della successione nel contratto di locazione con la motivazione che la residua esclusione del convivente more uxorio risulterebbe ormai priva di ragionevolezza e tale da vulnerare il fondamentale diritto alla abitazione sono stati puntualmente respinti dalla Consulta (v. C. cost., ordinanze n. 204 del 2003 e n. 7 del 2010)

Ciò dopo che l'art. 22 della legge 8 agosto 1977, n. 513, aveva incluso (ai fini della quantificazione del reddito familiare  per la determinazione del canone) "i conviventi in forma continuativa a qualunque titolo" tra coloro che appartengono al nucleo familiare dell'assegnatario.

Non riconosce una tutela diretta alla famiglia di fatto neanche la sentenza n. 559 del 1989, con la quale la Corte è intervenuta in tema di edilizia residenziale popolare, dichiarando l’illegittimità di una legge regionale del Piemonte: la Corte ha infatti affermato che il convivente, rimasto nell’alloggio di edilizia residenziale pubblica dopo l’abbandono dello stesso alloggio da parte dell'assegnatario, ha diritto a succedere nell’assegnazione dell’alloggio. Infatti, l’incostituzionalità è stata dichiarata a tutela sia del diritto inviolabile all'abitazione (art. 2), sia del principio di ragionevolezza (art. 3) - in quanto quella stessa legge prevedeva altre ipotesi nelle quali era invece riconosciuto il diritto alla successione nell'assegnazione – senza alcun riferimento diretto ad una tutela della famiglia di fatto.

Più recentemente, la recente legge finanziaria 2006 (L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 598) in materia di vendita di immobili I.A.C.P. ha previsto, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, il diritto di subentro nell’acquisto anche da parte del convivente more uxorio da almeno 5 anni, con facoltà di rinunzia, nell’ordine, dopo il coniuge in regime di separazione dei beni e prima dei figli conviventi e non conviventi.

 

Sempre nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, la legge 513 del 1977 ai fini del cumulo dei redditi familiari per la determinazione del canone minimo include “i conviventi in forma continuativa a qualunque titolo” tra coloro che appartengono al nucleo familiare dell’assegnatario (art. 22).

Numerose sono, poi, le leggi regionali che trattando il tema dell’edilizia popolare estendono la definizione di nucleo familiare alle convivenze more uxorio.

 

La disciplina antimafia e le provvidenze a favore delle vittime della criminalità

Con particolare riferimento alla disciplina antimafia, si ricorda che:

§         l’art. 19, co. 3, del D.Lgs. n. 159 del 2011 (cd. Codice antimafia) prevede che le indagini concernenti i soggetti passibili di applicazione di misure di prevenzione possano essere esperite anche nei confronti di coloro che nell'ultimo quinquiennio hanno convissuto con i soggetti medesimi;

§         l'art. 9, co. 5,del decreto-legge n. 8 del 1991[11], in tema di misure di protezione per le persone che collaborano con la giustizia, prevede, tra l'altro, l'adozione delle citate misure anche nei confronti di coloro che convivono “stabilmente” coi collaboranti.

 

In materia di provvidenze a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata:

§      l’art. 4 della legge 302 del 1990 Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e l’art. 8 della legge 44 del 1999, Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, prevedono che alle speciali elargizioni ai superstiti previsti dalle rispettive discipline concorrano - dopo la moglie, i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle del defunto – il convivente more uxorio e i soggetti, diversi da quelli indicati, conviventi nei tre anni precedenti l'evento a carico della persona.

 

Il TU immigrazione

Altra questione sottoposta al vaglio della Consulta ha riguardato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, lettera d), del D.Lgs 286/1998 (Testo unico immigrazione) nella parte in cui non estende al padre naturale, cittadino extracomunitario, il beneficio della sospensione del provvedimento di espulsione in ipotesi di convivente in stato di gravidanza ovvero in presenza di prole dall’età infrasemestrale. Dopo che la sentenza n. 376 del 2000 della Corte costituzionale aveva dichiarato tale norma illegittima in relazione alla mancata previsione del diritto del marito alla sospensione dell’espulsione, costante giurisprudenza ha sempre negato, sulla base della diversa qualificazione giuridica del matrimonio rispetto alla convivenza, l’estensione di tale sospensione al convivente della donna in gravidanza (tra le altre, Corte cost, ordinanza n. 397 del 2007).

Analogo indirizzo è stato confermato da Corte cost., ordinanza n. 111 del 2009 in sede di scrutinio di costituzionalità dell’art. 19, comma 2, lettera c), del citato Testo unico immigrazione, nella parte in cui non include, tra le situazioni ostative all’espulsione dello straniero irregolarmente presente nel territorio nazionale, la convivenza more uxorio del predetto con persona di nazionalità italiana.

 

Le ulteriori leggi speciali che riconoscono rilievo giuridico alla convivenza

Esistono, inoltre, ulteriori disposizioni contenute in altre legge speciali che, pur inserite in una disciplina rivolta a differenti oggetti (anagrafico, penitenziario, assistenziale, pensionistico etc.) e, spesso, per finalità che esulano da una diretta tutela della convivenza, presentano aspetti che oggettivamente ne prevedono una specifica forma di considerazione giuridica.

Si ricordano, tra le altre:

§      la legge 24 dicembre 1954 n. 1228 (anagrafi della popolazione residente) che prevede che ”sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che hanno fissato nel Comune la residenza” (art. 1);

§      il nuovo regolamento anagrafico (D.P.R. 223 del 1989) che dispone che, ai soli effetti anagrafici, «per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune» (art. 4);

§      l’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354) che inserisce il convivente tra i soggetti ai quali non può negarsi la facoltà di intrattenere colloqui con il detenuto, anche quando lo stesso sia sottoposto ad un regime di sorveglianza particolare (art. 14-quater) e prevede che, nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, il detenuto possa richiedere un permesso di visita (art. 30);

§      la legge 29 luglio 1975, n. 405, istitutiva dei consultori familiari, che stabilisce il diritto ai servizi di assistenza non soltanto in favore dei coniugi, ma, in generale, "per i problemi della coppia, della famiglia, anche in ordine alla problematica minorile" (art. 1);

§      il DPR 915 del 1978, testo unico in materia di pensioni di guerra, che prevede (art. 37) possa essere corrisposta la pensione, in presenza di specifici requisiti, alla promessa sposa del militare deceduto, convivente more uxorio da almeno un anno (il limite temporale non rileva in caso di presenza di un figlio riconosciuto dal militare deceduto o di cui sia stata accertata giudizialmente la paternità);

§      la legge 194 del 1978 (sulla interruzione di gravidanza) che permette la partecipazione al procedimento di chi è indicato "padre del concepito", quindi anche in presenza di coppie non sposate (art. 5);

§      la legge n. 184 del 1983[12], che consente l’adozione a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni (art. 6) ma dispone anche che il requisito della stabilità del rapporto possa ritenersi realizzato anche in presenza di convivenza stabile e continuativa per un periodo di tre anni prima del matrimonio[13]; l’art. 44 consente, inoltre, in specifiche definite ipotesi, la cd. adozione in casi particolari (ovvero l’adozione di minori non dichiarati in stato di adottabilità) oltre ai coniugi “anche a chi non é coniugato”;

§      la legge 1° aprile 1999, n. 91, in materia di trapianto d’organi stabilisce che, all'inizio del periodo di osservazione ai fini dell'accertamento di morte, i medici delle strutture di rianimazione forniscono informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non separato o al convivente more uxorio del soggetto (art. 3). Analogamente, in mancanza della moglie, l’art. 23 riconosce al convivente il diritto di opposizione al prelievo di organi;

§      la legge 8 marzo 2000, n. 53, che prevede che la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica (art. 4);

§      la legge n. 40 del 2004[14] che prevede che possano accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi (art. 5).

 

 

 

4. Le unioni omosessuali

Nell’ordinamento giuridico italiano non figurano disposizioni di legge volte a disciplinare il matrimonio omosessuale, né esistono norme sulle convivenze omosessuali o sulle procedure di registrazione di tale forma di unione.

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è considerato dal punto di vista giuridico “inesistente”. In Italia, due persone dello stesso sesso che convivono non possono quindi sposarsi e neppure vedere riconosciuta dalla legge la propria convivenza come famiglia di fatto.

L’art. 29 Cost. riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. L’art. 3 Cost. prevede, in ogni caso, la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso nonché l’obbligo dello Stato alla rimozione degli ostacoli che limitino di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della personalità umana. Nonostante il dettato dell’art. 29 Cost., è innegabile che la stessa norma non specifica che il matrimonio deve essere consentito solo a coppie in cui i partner hanno un sesso diverso.

La giurisprudenza è, peraltro, costante nel precludere alle coppie omosessuali la possibilità sia di contrarre matrimonio in Italia che di vedersi trascritto un eventuale matrimonio celebrato all’estero.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010,ha affermato che una legge che introducesse nel nostro ordinamento il matrimonio omosessuale, equiparato tal quale a quello eterosessuale, sarebbe incostituzionale per violazione dell’art. 29 della Costituzione. La Consulta conferma, quindi, che la “famiglia fondata sul matrimonio”, prevista dal citato art. 29 Cost., è esclusivamente quella tra uomo e donna e che le unioni omosessuali non possono essere “omogenee” al matrimonio ma che sono tutelate dall’art. 2 della Costituzione che tutela le formazioni sociali ove si svolge la personalità dell’uomo. In definitiva, lo strumento per ottenere il riconoscimento dei diritti e doveri della coppia omosessuale deve venire dal Parlamento, con una legge ordinaria.

Argomenti analoghi sono stati addotti nelle ordinanze n. 276 del 2010 e n. 4 del 2011.

 

L’art. 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) prevede che “a partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”.

La Corte EDU, nella sentenza Christine Goodwin contro Regno Unito del 2002 ha affermato che l’art. 12 non deve più essere inteso quale determinazione del genere in base a criteri solamente biologici, in considerazione dei mutamenti sociali intercorsi dopo l’adozione della CEDU e basandosi anche sul contenuto dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Nella sentenza Schalk e Kopf contro Austria del 24 giugno 2010, la Corte, richiamando la propria precedente giurisprudenza, riconosce che il tenore letterale dell’art. 12 della Convenzione parrebbe escludere il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Peraltro, la Corte rileva che occorre considerare il contesto storico in cui fu adottata la Convenzione: negli anni ’50 il matrimonio era inteso nel senso tradizionale di unione tra partner di sesso diverso. La Corte richiama quindi i mutamenti sociali intervenuti con riguardo all’istituto matrimoniale e osserva che non vi è unanime consenso europeo in ordine al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il giudice di Strasburgo evidenzia quindi che l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali UE ha intenzionalmente fatto venire meno il richiamo a uomini e donne rimettendo quindi agli Stati la decisione in ordine all’ammissione o meno dei matrimoni omosessuali. La Corte conclude quindi che, considerato il contenuto dell’art. 9 della Carta UE, il diritto di sposarsi contenuto dell’art. 12 della CEDU non può essere più considerato in qualsiasi caso limitato alle persone di sesso diverso: la questione è rimessa al legislatore nazionale. Le connotazioni culturali possono differire ampiamente da una società all’altra e sono le autorità nazionali che possono meglio valutare i bisogni della società.

Nella sentenza Gas et Dubois contro Francia del 15 marzo 2012 la Corte EDU ha confermato quanto già evidenziato con la precedente sentenza, pronunciandosi in ordine al rifiuto delle giurisdizioni francesi di accogliere la richiesta di adozione presentata da una donna, che aveva concluso un patto civile di solidarietà (PACS) con un’altra donna (l’adozione riguardava il figlio della seconda donna, concepito in Belgio a seguito di procreazione medicalmente assistita da donatore anonimo). Nella fattispecie la Corte ha escluso il carattere discriminatorio ai danni delle ricorrenti, effettuando una comparazione con il trattamento riservato dalla normativa nazionale alle coppie eterosessuali non sposate.

 

 

Una recentissima decisione della Corte di cassazione (sent. 15 marzo 2012, n. 4184) in materia di trascrivibilità di un matrimonio omosessuale contratto all’estero, pur arrivando alla conclusione che le unioni omosessuali sono intrascrivibili per “la loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano” adduce argomentazioni di notevole rilievo.

 

La Cassazione ha preso in considerazione la citata sentenza della Corte EDU del 24 giugno 2010, sottolineando in particolare il passaggio in cui  la Corte europea scrive che non ritiene più che il diritto al matrimonio di cui all’articolo 12 debba essere limitato in tutti i casi al matrimonio tra persona di sesso opposto […], rimettendo alla legislazione nazionale dello Stato contraente se permettere o meno il matrimonio omosessuale. L’Italia, per ora, non lo permette, e la Corte europea, pur riconoscendolo come un diritto legittimo, non lo impone. Ma l’interpretazione della Corte di cassazione si spinge oltre rilevando come tale “riserva assoluta di legislazione nazionale”, non significa, però, che le menzionate norme, convenzionale e comunitaria nonspieghino alcun effetto nell’ordinamento giuridico italiano, fintantoché il Parlamento – libero di scegliere, sia nell’an sia nel quomodo– non garantisca tale diritto o preveda altre forme di riconoscimento giuridico delle unione omosessuali. […] Il limitato ma determinante effetto dell’interpretazione della Corte europea […] sta nell’aver fatto cadere il postulato implicito, il requisito minimo indispensabile a fondamento dell’istituto matrimoniale, costituito dalla diversità di sesso dei coniugi e, conseguentemente, nell’aver ritenuto incluso nell’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo anche il diritto al matrimonio omosessuale.

Quello che importa, in breve, è che la CEDU abbia riconosciuto presente la possibilità e il diritto del matrimonio omosessuale nella normativa europea a cui, pur non dovendosi adeguare per forza, l’Italia è soggetta. Perché in questo modo, conclude la Cassazione, “l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza”, ma dalla “loro inidoneità a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”.

Secondo la Cassazione, i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se - secondo la legislazione italiana - non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all'estero, tuttavia - a prescindere dall'intervento del legislatore in materia -, quali titolari del diritto alla "vita familiare" e nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie, in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di ragionevolezza.

 

Come accennato, una pari dignità delle diverse forme di convivenza, anche omosessuali, viene comunemente riconosciuta dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo e adesso parte integrante dei Trattati in base all’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea - TUE). L’articolo 9 della Carta afferma solennemente che “il diritto di sposarsi ed il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio” così non facendo alcun riferimento a matrimonio o convivenza tra persone di sesso diverso. La norma appare coerente con l'art. 21 della stessa Carta, che recita testualmente che "è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale".

 

Il Trattato sull’Unione Europea - di cui è parte integrante la citata Carta dei diritti fondamentali della UE - afferma (art. 2) che l'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

 

Il Parlamento europeo si è ripetutamente occupato dei diritti civili degli omosessuali, soprattutto attraverso lo strumento della risoluzione, invitando gli Stati membri alla rimozione di ogni ostacolo e disparità di trattamento normativo a loro danno.

Tra le altre, su ricordano:

§         la risoluzione del 17 settembre 1996 sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'UE nel 1994, che chiedeva, al paragrafo 84, ai Paesi membri l'eliminazione di ogni discriminazione e di ogni disparità di trattamento a danno degli omosessuali. Tra gli obiettivi della risoluzione, l’eliminazione degli ostacoli frapposti dagli Stati membri al matrimonio di coppie gay o ad altro istituto giuridico equivalente, garantendo i diritti del matrimonio e prevedendo la registrazione delle unioni civili, nonché cercare di porre fine alla limitazione del diritto degli omosessuali di essere genitori ovvero di adottare o avere in affidamento bambini.;

§         la Risoluzione del 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani nell’Unione europea relativa al biennio 1998-1999, in cui l’Europarlamento “osserva con soddisfazione che in numerosissimi Stati membri vige un crescente riconoscimento giuridico della convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso; sollecita gli Stati membri che non vi abbiano già provveduto ad adeguare le proprie legislazioni per introdurre la convivenza registrata tra persone dello stesso sesso riconoscendo loro gli stessi diritti e doveri previsti dalla convivenza registrata tra uomini e donne; chiede agli Stati che non vi abbiano ancora provveduto di modificare la propria legislazione al fine di riconoscere legalmente la convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso; rileva la necessità di compiere rapidi progressi nell'ambito del riconoscimento reciproco delle varie forme di convivenza legale a carattere non coniugale e dei matrimoni legali tra persone dello stesso sesso esistenti nell'UE”;

§         la Risoluzione del 4 settembre 2003 sui diritti umani nell’Unione (conosciuta anche come Rapporto Sylla) che rinnovava “la propria richiesta agli Stati membri di abolire qualsiasi forma di discriminazione – legislativa o de facto – di cui sono ancora vittime gli omosessuali, in particolare in materia di diritto al matrimonio e all’adozione” raccomandando “gli stati membri di riconoscere, in generale, i rapporti non coniugali fra persone sia di sesso diverso che dello stesso sesso, conferendo gli stessi diritti riconosciuti ai rapporti coniugali, oltretutto adottando le disposizioni necessarie per consentire alle coppie di esercitare il diritto alla libera circolazione nell’Unione”.

§         La Risoluzione dell’8 giugno 2005 sulla protezione delle minoranze e le politiche contro la discriminazione nell'Europa allargata che ha, tra l’altro, invitato la Commissione a presentare una comunicazione sugli ostacoli alla libera circolazione nell'Unione europea delle coppie omosessuali sposate o legalmente riconosciute;

§         la Risoluzione del 14 gennaio 2009, che ha approvato la Relazione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea 2004-2008. Nella Relazione – che non ha però carattere vincolante – si sostiene la necessità di tutelare i diritti individuali, delle minoranze etniche, delle donne (soprattutto per quanto riguarda l’autodeterminazione sessuale), degli omosessuali, degli anziani e dei minori; si invocano misure contro omofobia e razzismo, per il rispetto delle libertà nella lotta contro il terrorismo, per la rimozione delle discriminazioni verso i gay (anche per le coppie) e per l’autodeterminazione dell’individuo (in particolare, sul tema dell’eutanasia e del testamento biologico);

§         la Risoluzione del 28 settembre 2011 con cui il Parlamento europeo chiede agli Stati membri di stabilire una roadmap per approvare provvedimenti contro l'omofobia e le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale;

§         la Risoluzione sulla parità tra donne e uomini nell'Unione europea approvata il 13 marzo 2012, con cui il matrimonio omosessuale ha ottenuto un sostanziale riconoscimento dal Parlamento europeo. I governi degli Stati membri, secondo il Parlamento europeo, non devono dare “definizioni restrittive di famiglia” allo scopo di negare protezione alle coppie omosessuali e ai loro figli. Viene ricordato che il diritto dell'UE viene applicato senza discriminazione sulla base di sesso o orientamento sessuale, in conformità della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea”. Il Parlamento europeo chiede alla Commissione di elaborare proposte per il riconoscimento reciproco delle unioni omosessuali tra gli Stati membri che già le ammettono “al fine di garantire un trattamento equo per quanto concerne il lavoro, la libera circolazione, l'imposizione fiscale e la previdenza sociale, la protezione dei redditi dei nuclei familiari e la tutela dei bambini”. E al Consiglio europeo si chiede di «riaffermare il principio di uguale trattamento senza distinzione di religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale”.

 

Nel nostro ordinamento, nel 2004, le Regioni Toscana ed Umbria hanno approvato statuti che aprono alla tutela di altre forme di convivenza, anche omosessuale; le norme statutarie sono state impugnate dal Governo davanti alla Corte costituzionale, che ha però respinto i ricorsi (sentenze n. 372/2004, n. 378/2004).

 

Pur non dichiarandone l’illegittimità costituzionale, le citate sentenze della Corte hanno peraltro depotenziato il valore normativo delle norme statutarie impugnate. Tali disposizioni sono state, infatti, definite dalla Consulta come "proclamazioni di finalità da perseguire", cui, nel contempo, è negata "efficacia giuridica" dal momento che si collocherebbero "precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell'approvazione dello Statuto". Si tratterebbe dunque, di enunciazioni "di carattere non prescrittivo", che "esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa".

 

In ordine ad altre forme di tutela della convivenza fra persone omosessuali si ricorda che nel comune di Bologna l’ente che provvede alla assegnazione degli alloggi di edilizia economica e popolare di proprietà pubblica (IACP) ha da tempo disposto che tra i beneficiari possano figurare anche le coppie omosessuali. Tale decisione è stata assunta sulla base dell’ampia formulazione della legge regionale dell’Emilia Romagna del 14 marzo 1984, n. 12 (oggi legge regionale 8 agosto 2001, n. 24, Disciplina generale dell'intervento pubblico nel settore abitativo, art. 24), che individua il concetto di “nucleo familiare”, rilevante ai fini dell’assegnazione degli alloggi. Tale disposizione prevede, infatti, che possono essere considerate componenti del nucleo familiare anche persone non legate da vincoli di parentela o affinità, qualora la convivenza istituita abbia carattere di stabilità e sia finalizzata alla reciproca assistenza morale e materiale. La convivenza deve sussistere da almeno due anni e deve essere dichiarata in forma pubblica.

 

Tra le prime forme di tutela delle coppie omosessuali si segnala l’interpretazione data dalla giurisprudenza alla citata norma del codice di procedura penale che disciplina la facoltà di astensione dall’obbligo di testimoniare nel processo penale. L’art. 199 c.p.p., include, come si è detto, tra i soggetti esentati dall’obbligo di deporre la persona che, “pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso”. Un’ordinanza della Corte d’Assise di Torino del 19 novembre 1993 ha riconosciuto il diritto di astensione dal deporre, ai sensi del citato art. 199 c.p.p., al teste, convivente omosessuale dell’imputato.

 

La possibilità di adozione di minori da parte di coppie omosessuali non è, infine, ammessa dall’ordinamento italiano. A tal proposito, occorre riferirsi alla disciplina dettata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), che prevede che l’adozione sia consentita, salvo casi eccezionali, alle sole coppie unite in matrimonio e conviventi.

L’impossibilità di contrarre un matrimonio valido agli effetti civili preclude, quindi, alle coppie omosessuali la possibilità di adozione, essendo, per il nostro ordinamento, proprio il matrimonio l’elemento che caratterizza positivamente le relazioni di coppia; “il vincolo giuridico che garantisce stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività di diritti e di doveri del nucleo in cui il minore è accolto” (Corte costituzionale, sentenza n. 310 del 1989).

 

In riferimento alla necessità di regolarizzazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso, risultano presentate al Parlamento, fin dalle passate legislature, numerose iniziative legislative volte alla regolarizzazione delle unioni civili; tali progetti di legge, però, non hanno mai avuto un concreto seguito.

Nonostante l’assenza di una specifica previsione normativa, alcuni comuni italiani hanno ugualmente deliberato l’istituzione di Registri delle unioni civili, con la finalità di regolarizzare le convivenze “more uxorio” sia etero che omosessuali. Come detto, nel nostro ordinamento, tale Registro non è previsto, ma non è neppure espressamente vietato.

 

A livello regionale, va segnalato il caso della Toscana, antesignana dei Registri civili, dove le relative delibere istitutive, inizialmente annullate dal Co.re.co, competente organo pro-termpore di controllo regionale, sono state infine “legittimate” da una sentenza del TAR Toscana (11 giugno 2001, n. 1041) che ha però considerato i Registri privi di “alcuna finalità anagrafica e di stato civile”.

Se il primo comune ad istituire il Registro è stato Empoli nell’ottobre del 1993, mano a mano se ne sono aggiunti numerosi altri (tra cui Pisa, Arezzo, Scandicci, S. Giovanni Valdarno, Livorno, Cecina, Rosignano e Firenze); attualmente anche in numerosi altri comuni italiani risultano istituiti registri delle unioni civili (Desio, Bologna, Ferrara, Perugia, Ivrea, Bolzano, Bari, Terni, Gubbio, Cogoleto, Bagheria, La Spezia, ecc.). A Bologna è previsto, dal gennaio 1999, un “Attestato di costituzione di famiglia affettiva”.

Il comune di Padova (a maggioranza di centrosinistra), con la deliberazione approvata il 4 dicembre 2006 ha introdotto un riconoscimento anagrafico - come famiglia fondata su vincoli affettivi - delle coppie conviventi, sia etero che omosessuali. il Consiglio comunale impegna, con la delibera, il Sindaco e la Giunta ad istruire l'ufficio anagrafe affinchè rilasci, ai componenti delle famiglie anagrafiche che ne facciano richiesta, l' ”Attestazione di famiglia anagrafica basata su vincoli di matrimonio o parentela o affinità o adozioni o tutela o vincoli affettivi". Impegna, inoltre, a sollecitare il Parlamento, attraverso i Presidenti di Camera e Senato, perché affronti il tema del riconoscimento giuridico di diritti, doveri e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto.

Più di recente (2011), il sindaco di Torino ha introdotto “l’attestato di convivenza”, che permette alle unioni more uxorio di beneficiare di servizi pubblici (asili nido, case popolari, etc.) dai quali, fino a quel momento, venivano escluse.  

Registri delle unioni civili risultano recentemente istituiti anche dai comuni di Palermo e di Sassari.

 

 


Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE e procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Il tema delle unioni di fatto e delle unioni registrate, nella prospettiva del reciproco riconoscimento in materia di cooperazione giudiziaria civile e del diritto alla libertà di circolazione all’interno dell’Unione, è stato recentemente affrontato dal Parlamento europeo in due risoluzioni approvate rispettivamente il 13 marzo e il 29 marzo 2012.

In particolare, nella risoluzione del 13 marzo scorso sulla parità tra uomini e donne nell’Unione europea, il Parlamento europeo considerando che le famiglie nell'UE sono diverse e comprendono genitori coniugati, non coniugati e in coppia stabile, genitori di sesso diverso e dello stesso sesso, genitori singoli e genitori adottivi che meritano eguale protezione nell'ambito della legislazione nazionale e dell'Unione europea, invita la Commissione e gli Stati membri a elaborare proposte per il riconoscimento reciproco delle unioni civili e delle famiglie omosessuali a livello europeo tra i paesi in cui già vige una legislazione in materia, al fine di garantire un trattamento equo per quanto concerne il lavoro, la libera circolazione, l'imposizione fiscale e la previdenza sociale, la protezione dei redditi dei nuclei familiari e la tutela dei bambini.  Il Parlamento europeo esprime inoltre rammarico per l’adozione da parte di alcuni Stati membri di definizioni restrittive di «famiglia» con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli e ricorda che il diritto dell'UE viene applicato senza discriminazione sulla base di sesso o orientamento sessuale, in conformità della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;

Nella risoluzione sull’eliminazione degli ostacoli all'esercizio dei diritti dei cittadini dell'Unione, approvata il 29 marzo 2012, il Parlamento europeo ribadisce le sue precedenti richieste agli Stati membri di garantire la libera circolazione per tutti i cittadini dell'UE e le loro famiglie, senza discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale o della nazionalità; ribadisce la sua richiesta agli Stati membri di dare piena attuazione ai diritti sanciti dall'articolo 2 e dall'articolo 3 della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e di riconoscere tali diritti non soltanto ai coniugi di sesso diverso, ma anche ai partner legati da un'unione registrata, ai membri del nucleo familiare e ai partner con cui un cittadino dell'UE abbia una relazione stabile e debitamente attestata, ivi compresi i membri di coppie dello stesso sesso, in accordo con i principi di reciproco riconoscimento, uguaglianza, non discriminazione, dignità e rispetto della vita privata e familiare; invita la Commissione, in tale contesto, a garantire che la direttiva sia applicata rigorosamente.

Si segnala inoltre che il 16 marzo 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (COM(2011)127) .

La proposta fa parte di un pacchetto legislativo che comprende anche una proposta di regolamento relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi ; (COM(2011)126)

Ai fini della proposta di regolamento, gli “effetti patrimoniali” sono definiti quali l’insieme delle norme che regolano i rapporti patrimoniali dei partner tra loro e con terzi, derivanti direttamente dal vincolo creato dalla registrazione dell’unione; per “unione registrata” si intende il  regime legale di comunione di vita tra due persone registrato da un’autorità pubblica.

Nella valutazione di impatto che accompagna la proposta (SEC(2011)327), la Commissione osserva che le cause dei problemi che incontrano le coppie legate da unione registrata, per quanto riguarda il riconoscimento degli effetti patrimoniali dell’unione nei vari Stati membri, sono sostanzialmente le stesse di quelli delle coppie sposate; i partner registrati, però, avrebbero ulteriori difficoltà in considerazione del fatto che il concetto di “unione registrata” esiste soltanto in 14 Stati membri, (Austria, Olanda , Francia, Ungheria, Regno Unito, Repubblica ceca, Danimarca, Slovenia, Finlandia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Irlanda; in Svezia le unioni registrate sono state introdotte nel 1994 e dal 2009 sono stati autorizzati i matrimoni tra persone dello stesso sesso) e che non tutti gli Stati membri dipongono di norme sostanziali al riguardo e solo pochi Stati membri hanno adottato norme sulla competenza e sulla legge applicabile.

Secondo i dati riportati nella valutazione di impatto, nel 2007 le unioni registrate nell’UE erano circa 211.000, oltre 41.000 delle quali presentavano una “dimensione internazionale” per quanto riguarda il patrimonio (totale delle unioni registrate internazionali, dei partner di un’unione registrata che vivono all’estero o che possiedono beni all’estero). Di esse, circa 8.500 (pari al 4%) sarebbero terminate a causa di separazione, e 1.266 ( pari allo 0,6%) a causa della morte del partner. L’ammontare complessivo dei costi annuali per la soluzione di problemi legati alla liquidazione del patrimonio, ammonterebbe a circa 17 milioni di euro. La Commissione osserva che, pur trattandosi di una cifra molto inferiore a quella evidenziata per i regimi patrimoniali tra coniugi, essa parrebbe destinata ad un rapido incremento, in ragione del progressivo aumento delle unioni registrate e dell’introduzione dell’istituto in altri Stati Membri.

Base giuridica della proposta è l’articolo 81, par.3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, secondo cui le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo.

La Commissione europea sottolinea che la proposta non pregiudica il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, né il diritto di sposarsi e costituire una famiglia secondo le leggi nazionali, previsti dagli articoli 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e che tiene in debito conto l’articolo 21 che vieta qualsiasi forma di discriminazione,

 

Procedure di contenzioso

Il 27 ottobre 2011 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora ai sensi dell’articolo 258 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea per violazione del diritto dell’Unione, con riferimento ad alcune norme nazionali di recepimento della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (procedura di infrazione n. 2011/ 2053). Alcuni dei rilievi della Commissione europea riguardano il diritto alla libera circolazione delle coppie di fatto e delle coppie registrate.

Il particolare, la Commissione sottolinea che, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2004/38/CE, gli Stati membri sono tenuti ad agevolare l’ingresso e il soggiorno del partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata. La Commissione europea ritiene che tale norma non sia stata correttamente recepita nell’ordinamento italiano, in quanto l’articolo 3 del decreto legislativo 30/2007 introdurrebbe la condizione aggiuntiva della debita attestazione della relazione stabile “da parte dello Stato del cittadino dell’Unione”. Secondo quanto ricordato dalla Commissione, nelle osservazioni scritte inviate il 30 settembre 2010, le autorità italiane avrebbero spiegato che, poiché l’ordinamento giuridico italiano non riconosce le coppie di fatto, un’attestazione dello Stato membro di origine offrirebbe maggiori garanzie circa la prova dell’esistenza del legame familiare. La Commissione europea osserva tuttavia che la direttiva 2004/38/CE non consente agli ordinamenti nazionali di limitare i mezzi di prova ai documenti ufficiali dello Stato membro e ricorda in proposito gli Orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva in questione, adottati dalla Commissione europea stessa nel luglio 2009 (COM(2009)313),  nei quali si sottolinea  che la prova della relazione stabile può essere fornita con ogni mezzo idoneo.

Analoghe argomentazioni sono svolte dalla Commissione europea con riferimento alle disposizioni della circolare 18 luglio 2007 n. 39 del Ministero dell’Interno laddove essa richiede, per l’iscrizione all’anagrafe dei familiari del cittadino dell’Unione, che venga fornita la documentazione dello Stato del cittadino dell’Unione dalla quale risulti la relazione stabile, registrata nel medesimo Stato.

 

 

 

 


Le unioni civili in Belgio, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna
(a cura del Servizio  Biblioteca)

Belgio, La convivenza legale

In Belgio la Loi instaurant la cohabitation légale del 23 novembre 1998, entrata in vigore il 1° gennaio 2000, ha istituito la convivenza legale, inserendo nel Libro III del Codice civile un nuovo Titolo V bis composto dagli artt. 1475 a 1479.

Per “convivenza legale” si intende la situazione di vita comune di due persone che abbiano reso una dichiarazione nei termini specificati all’art. 1476 del Codice civile.

Secondo la dottrina, l’ampiezza della definizione codicistica permette di ricomprendere nel nuovo istituto tutte le persone che formano una coppia senza condizioni riferite al sesso. Può quindi trattarsi non solo di una coppia eterosessuale od omosessuale, ma anche di fratelli e sorelle, di genitori e figli, di amici ecc.

Per ottenere la convivenza legale le due parti devono soddisfare alle seguenti condizioni:

§         non essere legate da un matrimonio o da altra convivenza legale;

§         avere la capacità di contrarre ai sensi degli artt. 1123 e 1124 del Codice civile.

La dichiarazione di convivenza legale di cui all’art. 1476 è fatta per mezzo di uno scritto consegnato dietro ricevuta all’ufficiale di stato civile del domicilio comune. Questi, dopo aver verificato che le due parti soddisfano alle condizioni previste dalla legge, annota la dichiarazione nel registro della popolazione.

La dichiarazione legale prende fine quando una delle due parti contrae matrimonio ovvero per comune accordo o ancora per decisione unilaterale di uno dei due conviventi, mediante dichiarazione scritta consegnata dietro ricevuta all’ufficiale di stato civile.

Si applicano per analogia alla convivenza legale tre articoli del Codice civile riguardanti il matrimonio, segnatamente gli artt. 215, 220, § 1 e 224 § 1, 1.[15]

Tornando ai contenuti salienti della legge del 1998, essa specifica che i conviventi legali contribuiscono agli oneri della vita comune in proporzione alle loro possibilità. Secondo la dottrina, tale contributo può essere apportato non solo in termini monetari, ma anche nella forma di una partecipazione attiva alla vita comune attraverso prestazioni di tipo domestico o professionale.

La legge specifica poi che ogni debito contratto da uno dei conviventi legali per le necessità della vita comune e dei figli educati dalla coppia obbliga solidarmente l’altro convivente. Tuttavia, questi non è obbligato dai debiti eccessivi in rapporto alle risorse dei conviventi.

Secondo la dottrina, il “debito eccessivo” è quello che, alla luce del tenore di vita dei conviventi legali, non può essere ragionevolmente compreso fra quelli contratti per le necessità della vita comune e dei figli.

La legge aggiunge che ciascun convivente legale conserva i beni di cui può dimostrare la proprietà, i redditi procurati da tali beni e i redditi da lavoro.

I beni di cui nessuno dei due conviventi può dimostrare la proprietà ed i redditi da essi prodotti sono considerati indivisi.

Se il convivente legale superstite è un erede del convivente premoriente, l’indivisione di cui sopra sarà considerata, nei confronti degli eredi riservatari del premoriente, come una liberalità, salvo prova contraria.

La legge belga, quindi, non crea né una comunione di beni in senso proprio, salvo l’indivisione dei beni di cui non può essere dimostrata la proprietà esclusiva, né una vocazione successoria fra le due parti.

Inoltre, i conviventi regolano le modalità della loro convivenza legale per via pattizia come lo ritengono opportuno, a condizione che tale patto non contenga alcuna clausola contraria all’art. 1477 del Codice civile, all’ordine pubblico, al buon costume o alle norme riguardanti l’autorità genitoriale, la tutela e l’ordine legale di successione. Questo patto è stipulato davanti ad un notaio, in forma autentica, e viene menzionato nel registro della popolazione.

La convivenza legale non facilita l’accesso al territorio belga, per la ricongiunzione familiare, né conferisce diritto alla cittadinanza belga.

In base alla legge, inoltre, se l’intesa fra i conviventi legali è seriamente perturbata, il giudice di pace ordina, su richiesta di una delle parti, provvedimenti urgenti e provvisori riguardanti l’occupazione della residenza comune, i beni dei conviventi e dei figli nonché gli obblighi legali e contrattuali dei conviventi. Il giudice di pace fissa la durata di validità dei provvedimenti da lui ordinati.

Cessata la convivenza legale, e sempreché ne sia stata presentata la domanda nei tre mesi successivi, il giudice di pace ordina i provvedimenti urgenti e provvisori giustificati dalla cessazione. Egli fissa la durata di validità dei provvedimenti da lui ordinati, che non può essere superiore a un anno.

Per quanto riguarda l’imposizione, la Loi portant réforme de l’impôt des personnes physiques del 10 agosto 2001 ha completamente assimilato, nel suo articolo 2, i conviventi legali a dei coniugi sposati.

Occorre aggiungere che il Belgio, con la successiva legge del 13 febbraio 2003 (Loi ouvrant le mariage à des personnes du même sexe), ha introdotto il matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Ancora successivamente, con la Loi reformant l’adoption del 24 aprile 2003, con la Loi-programme del 27 dicembre 2004 e con la Loi modifiant certaines dispositions du Code civil en vue de permettre l’adoption par des personnes de même sexe del 18 maggio 2006, sono state apportate rilevanti modifiche alla disciplina nazionale sull’adozione.

In particolare, l’art. 343 § 1 modificato del Codice civile consente l’adozione anche da parte dei conviventi (cohabitants), definiti come coloro che, alla data di presentazione della domanda di adozione, hanno già presentato una dichiarazione di convivenza legale oppure che vivono insieme in modo permanente e affettivo da almeno tre anni, purché non abbiano fra loro legami di parentela comportanti il divieto di matrimonio. Le citate leggi di modifica hanno infatti espunto da questo articolo del Codice civile tutti i riferimenti alla differenza di sesso.

 

Francia, Il patto civile di solidarietà (PACS)

La legge n. 99-944, del 15 novembre 1999, relativa al “patto civile di solidarietà” (pacte civil de solidarité - PACS),definisce quest’ultimo come un contratto concluso tra due persone maggiorenni dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune.

In particolare, l’art. 1 della legge ha introdotto nel libro I del Codice civile un nuovo titolo XII (artt. 515-1 a 515-8), intitolato "Du pacte civil de solidarité et du concubinage".

Successivamente, con la legge n. 2006-728, del 23 giugno 2006, di riforma delle successioni e delle liberalità, sono state introdotte modifiche alla predetta normativa civilistica sui PACS che hanno inciso profondamente sul diritto patrimoniale e successorio degli stessi.

Il PACS è qualificato come contratto bilaterale, a titolo oneroso, a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata. Il Conseil constitutionnel, investito del controllo di conformità costituzionale della legge, nella sua decisione n. 99-419 del 9 novembre 1999, ha precisato come esso debba essere considerato un patto estraneo al matrimonio, che non modifica lo stato civile dei contraenti e non sortisce alcuna conseguenza nei confronti dei figli.

Non possono concludere un PACS fra loro, a pena di nullità, ascendenti e discendenti in linea retta, parenti in linea retta e collaterale fino al terzo grado, persone di cui una è già coniugata, persone di cui una è già legata da un altro PACS.

Per essere valido, essodeve formare oggetto di una dichiarazione congiunta, presentata e registrata alla cancelleria del Tribunal d’instance (tribunale civile) nella giurisdizione di residenza. Pena l’irricevibilità della dichiarazione, i conviventi iscrivono altresì nel registro una convenzione stipulata fra loro con atto pubblico o scrittura privata. Si noti che la convenzione iniziale può essere modificata con un’altra convenzione, secondo le stesse modalità. L’iscrizione nel registro conferisce data certa al patto e lo rende opponibile ai terzi.

I conviventi legati da un PACS si impegnano a condurre una vita in comune, come anche a fornirsi un aiuto materiale e un’assistenza reciproca. La vita in comune,  come ha precisato il Conseil constitutionnel, consiste non soltanto nella  “comunione di interessi " e nella "esigenza di coabitazione", ma anche nella "residenza in comune" e nella "vita di coppia".

Le concrete modalità dell’aiuto materiale e dell’assistenza reciproca sono rimesse all’accordo delle parti. In ciò risiede la caratteristica più innovativa del PACS, rispetto ad altri modelli giuridici in cui la legge risulta più penetrante.

Nell’eventuale silenzio della convenzione, è compito del giudice, in caso di disaccordo, determinare le modalità di attuazione secondo le capacità di ciascuno dei conviventi.

La coppia è solidalmente responsabile nei confronti dei terzi relativamente alle obbligazioni assunte da ciascuno dei due conviventi per i bisogni della vita quotidiana. Tuttavia questa solidarietà non sussiste per le spese manifestamente eccessive, provvedendosi così alla tutela del partner non contraente, alla stessa stregua di quanto avviene per i coniugi nel matrimonio. Inoltre ciascun convivente è responsabile da solo delle obbligazioni personali assunte prima o durante il patto, ferma restando la responsabilità solidale nel caso sopra menzionato.

Passando ora al regime patrimoniale del PACS, ciascuno dei due conviventi, salvo diversi accordi nella succitata convenzione, conserva l’amministrazione, il godimento e la disponibilità dei suoi beni personali. Viene così meno la presunzione di indivisibilità che, prima della succitata legge del 2006, riguardava i beni acquisiti a titolo oneroso da ogni convivente.

I beni sui quali nessuno dei due conviventi può dimostrare la proprietà esclusiva sono ritenuti di loro proprietà indivisa, nella misura della metà per ciascuno. Tuttavia, i conviventi possono, nella convenzione, scegliere di sottoporre al regime dell’indivisione i beni che acquisiscono, insieme o separatamente, dopo la registrazione della convenzione medesima. Infine, per l’amministrazione dei beni indivisi, essi possono stipulare un’ulteriore convenzione, al fine di concordare fra loro l’esercizio dei rispettivi diritti.

Ad integrazione dei suddetti principi la legge dispone che alcuni beni da essa nominativamente elencati restino in ogni caso di proprietà esclusiva di ciascuno dei due conviventi. I più importanti sono: i denari percepiti da ciascun convivente, a qualunque titolo, dopo la conclusione del patto e non impiegati nell’acquisto di un bene; i beni creati e i loro accessori; i beni aventi carattere personale; i beni acquisiti mediante denari appartenenti ad un convivente prima della registrazione della convenzione iniziale o modificativa ai sensi della quale tale regime è stato scelto; infine, i beni acquisiti mediante denari ricevuti per donazione o successione.

In materia di adozioni il silenzio della normativa sui PACS lascia immutata la precedente normativa vigente in questo settore, per cui l’adozione non è possibile per le coppie che hanno contratto un patto civile di solidarietà, non importa se omosessuali o eterosessuali.

Il PACS termina per volontà congiunta o unilaterale dei contraenti, nonché per matrimonio o decesso di uno di essi. In caso di scioglimento consensuale la dichiarazione congiunta deve essere presentata al cancelliere del tribunale in cui è stato registrato il PACS. Nel caso invece di recesso unilaterale di uno dei due conviventi, questi deve notificare la sua decisione all'altro nonché  produrre copia di tale notifica alla cancelleria dello stesso tribunale. Il cancelliere registra la dissoluzione e provvede alla necessaria pubblicità. La dissoluzione ha effetto, nei rapporti fra i conviventi, dalla data di registrazione in cancelleria. E’ invece opponibile ai terzi dal giorno in cui sono state compiuti gli adempimenti in materia di pubblicità.

Le conseguenze patrimoniali dello scioglimento, in base al principio dell'autonomia contrattuale che pervade l’intera disciplina del PACS, sono regolate dalle parti ma, in mancanza di accordo, compete al giudice intervenire, stabilendo, eventualmente, una riparazione per il danno subito. Salvo diverso accordo, i crediti reciproci fra i conviventi sono stimati in base all’art. 1469 del Codice civile. Tali crediti possono essere compensati con i vantaggi che il loro titolare ha potuto trarre dalla vita comune, in particolare non contribuendo in proporzione alle sue facoltà ai debiti contratti per i bisogni della vita quotidiana.

Inoltre, se al momento della morte di un convivente quello rimasto in vita e ammesso alla successione occupa effettivamente, a titolo di abitazione principale, un alloggio appartenente ai conviventi o totalmente dipendente dalla successione, egli ha diritto, per un anno, al godimento gratuito dell’alloggio medesimo e dei mobili in esso contenuti.

Le persone che hanno contratto un PACS sono considerate come dei terzi in relazione alla successione dell’una e dell’altra. Di conseguenza nella normativa francese, in assenza di testamento, esse non hanno alcun diritto alla successione.

Per contro i conviventi in regime di PACS possono ricevere donazioni o legati per testamento.

Se non esiste alcun erede riservatario, è possibile legare per testamento l’insieme dei propri beni al convivente superstite. In caso contrario, il legato non può superare la “quota disponibile”, ossia la parte di cui può disporre liberamente il testatore.

Infine, il PACS differisce dal concubinato, definito nel capo II della legge (art. 515-8 del Codice civile) "una unione di fatto, caratterizzata dalla vita in comune, stabile e continuativa, tra due persone di sesso differente o dello stesso sesso, che vivono in coppia".

 

Germania, La convivenza registrata

L’istituto giuridico della “convivenza registrata” (eingetragene Lebenspartnerschaft) è stato introdotto in Germania dalla Legge per la cessazione della discriminazione nei confronti delle comunità di ugual sesso (Gesetz zur Beendigung der Diskriminierung gleichgeschlechtlicher Gemeinschaften: Lebenspartnerschaften) del 16 febbraio 2001, entrata in vigore il 1° agosto successivo.[16] Discostandosi dal progetto di legge originariamente presentato in parlamento, il provvedimento approvato regolava solo alcuni settori, tralasciandone altri come, ad esempio, quelli della previdenza e della successione.[17]

A differenza di quanto previsto in Belgio, Francia, Olanda e Lussemburgo, la legge tedesca sulla convivenza registrata si applica esclusivamente a coppie omosessuali, così come previsto nel Regno Unito e in tutti i paesi nordici (Danimarca, Finlandia e Svezia nella UE, Norvegia e Islanda fuori di essa).

Con la sentenza del 17 luglio 2002 (BVerfG, 1 BvF 1/01), la Corte costituzionale federale (Bundesverfassungsgericht) ha statuito che la legge sulla convivenza registrata non pregiudica la protezione del matrimonio da parte dello Stato, prevista dall’art. 6 della Legge fondamentale. In particolare, tale protezione non comporta per il legislatore il dovere di garantire all’istituto una posizione di supremazia rispetto ad altri modelli giuridici. La sentenza della Corte costituzionale federale ha di fatto aperto la strada ad una graduale equiparazione giuridica dell’unione fra omosessuali al matrimonio fra eterosessuali.

Successivamente, è stata approvata una Legge di revisione della normativa sulla convivenza registrata (Gesetz zur Überarbeitung des Lebenspartnerschaftsrechts) del 15 dicembre 2004[18], entrata in vigore il 1° gennaio 2005. Questa legge si proponeva di integrare le disposizioni già esistenti disciplinando i settori che non erano stati presi in considerazione nel 2001: sulla scia delle conclusioni della citata sentenza della Corte costituzionale, essa si occupa infatti del diritto patrimoniale, successorio e previdenziale, nonché dell’adozione e dello scioglimento, allineando in massima parte questi aspetti alla normativa sul matrimonio.

Passando ai contenuti della normativa vigente in Germania, affinché due persone dello stesso sesso possano dar vita ad una convivenza “registrata” devono da un lato non essere vincolate da un matrimonio o da un’altra convivenza registrata, dall’altro dichiarare reciprocamente e personalmente dinanzi all’autorità competente di voler condurre una convivenza a vita. I conviventi possono scegliere un cognome comune (c.d. nome della convivenza, Lebenspartnerschaftsname), che corrisponde a quello dell’uno o dell’altro. La dichiarazione relativa alla determinazione del nome deve aver luogo in occasione della costituzione della convivenza o, successivamente, tramite autentica per atto pubblico. Questo nome comune può essere conservato dopo lo scioglimento della convivenza registrata.

Il procedimento di registrazione della convivenza è disciplinato in modo autonomo dalla legge di ogni Land, per cui convivono autorità (comune, notaio, ecc.) e procedimenti (registro, atto, ecc.) notevolmente diversi fra loro.

Sono applicabili alla convivenza registrata le disposizioni relative alla promessa di matrimonio di cui ai §§ 1297-1302 del Codice civile: diritto al risarcimento in caso di ritiro dalla promessa, restituzione dei doni, breve durata del termine di prescrizione.

La legge stabilisce, così come per i coniugi, che entrambi i conviventi provvedano in modo adeguato al sostentamento della loro unione con il proprio lavoro e il proprio patrimonio. Di conseguenza essa prevede anche la responsabilità solidale per i debiti contratti da uno dei due soggetti nell’interesse della convivenza. Il regime previsto per legge, se non diversamente concordato, è quello ordinario per le coppie sposate, cioè la comunione degli acquisti di cui al § 1363 del Codice civile (Zugewinngemeinschaft). I conviventi possono tuttavia  stipulare un contratto di convivenza (Lebenspartnerschaftsvertrag) e optare in esso per la separazione dei beni e per altri accordi speciali di natura patrimoniale.

Per determinate categorie di beni, come l’abitazione o i mobili in essa contenuti, è sempre necessario il consenso del convivente non stipulante nel caso in cui l’altro intenda disporne. La dottrina ha integrato questa disposizione di legge rilevando come essa si applichi a prescindere dal regime patrimoniale prescelto .

In materia di diritto delle successioni, le norme approvate con la citata legge di revisione del 2004 erano finalizzate all’equiparazione della posizione ereditaria del convivente superstite con quella del coniuge. Analogamente, per quanto concerne il diritto previdenziale, sono state modificate alcune norme del Libro sesto del Codice di legislazione sociale (Sozialgesetzbuch) per attribuire al convivente superstite il diritto alla pensione di reversibilità alla stessa stregua di un coniuge.

La convivenza registrata conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza (ad esempio la procedura agevolata per ottenere la naturalizzazione) e di ricongiunzione familiare.

Per quanto riguarda i figli, la legge tedesca prevede l’esercizio congiunto, fra il genitore e il suo partner, di alcuni diritti della potestà (kleines Sorgerecht: “piccola potestà”). Infatti, quando un genitore, che per legge esercita da solo la potestà parentale su un figlio, registra una convivenza, il suo partner ha diritto, d’accordo con l’altro, alla codecisione (Mitenscheidung) nelle questioni di vita quotidiana del bambino. Tuttavia il Giudice competente per le cause inerenti la famiglia (Familienrichter) può decidere di limitare tale diritto quando ciò sia necessario per assicurare il benessere del minore.

Il genitore cui spetta la potestà parentale su un figlio e il suo convivente possono attribuire al figlio che sia stato accolto nel loro nucleo familiare il cognome comune scelto per la convivenza, effettuando un’apposita dichiarazione dinanzi all’autorità competente.

Passando ora alla materia dell’adozione, la disciplina tedesca sulla convivenza registrata non risulta completamente allineata a quella vigente per il matrimonio. Quando un convivente adotta da solo un bambino, è necessario il consenso dell’altro, ai sensi del § 9 (6). Inoltre, un convivente può adottare da solo il figlio minore dell’altro (Stiefkindadoption), ai sensi del § 9 (7). Non è quindi consentita, come nel matrimonio, un’adozione congiunta.

La legge allinea la disciplina dello scioglimento (Aufhebung) della convivenza registrata alla normativa, personale e patrimoniale, vigente in materia di separazione e divorzio. La convivenza viene sciolta su istanza di uno o di entrambi i conviventi con sentenza del giudice. E’ sufficiente – come per i coniugi – che abbiano vissuto separati per un certo periodo di tempo. La sentenza di scioglimento interviene dopo che siano trascorsi un anno o tre anni di separazione a seconda che la richiesta provenga da entrambi i conviventi (o se presentata da uno solo sia stata approvata dall’altro) oppure da uno solo di essi in via unilaterale.

E’ altresì prevista la regola secondo cui, nel caso di procedimento contenzioso, non si fa luogo allo scioglimento, ancorché vi sia stata separazione per tre anni, se esso appare come un “onere così duro” (so schwere Härte), a motivo di circostanze eccezionali, da rendere necessaria la prosecuzione della convivenza, considerate anche le ragioni dell’istante. 

Il diritto al mantenimento sorge solo in capo al convivente che dimostri di non essere in grado di prendersi cura di sé per effetto dell’impossibilità di assumere un lavoro retribuito, in particolare a causa dell’età o di uno stato di malattia o disabilità. L’importo del mantenimento è espressamente riferito dalla legge al tenore di vita goduto in costanza del rapporto di convivenza. In sede di scioglimento può essere altresì stabilita l’assegnazione della casa familiare. Infine, con lo scioglimento ha luogo tra i conviventi un conguaglio tra le aspettative pensionistiche di ciascuno (Versorgungsausgleich), così come previsto dal § 1587 ss. del Codice civile in caso di divorzio. I conviventi possono tuttavia concordare espressamente di escludere tale fattispecie in un apposito contratto di convivenza. L’esclusione non ha effetto se entro un anno dalla conclusione del contratto viene presentata istanza di scioglimento della convivenza stessa.

Infine, nella citata sentenza del 2002 la Corte costituzionale federale ha anche richiamato l’attenzione sul fatto che, mentre ai sensi del § 1, comma 2, n. 1 della Legge sulla convivenza registrata una convivenza non può essere efficacemente costituita se uno dei due partner è coniugato con un’altra persona, nella normativa sul matrimonio mancava una specifica disposizione che prevedesse il caso contrario. La citata legge di revisione del 2004 ha quindi modificato il § 1306 del Codice civile stabilendo che non si può contrarre matrimonio se uno dei due sposi è già convivente con una terza persona.

La questione di una più completa equiparazione della convivenza registrata con l’istituto del matrimonio, soprattutto per quanto concerne alcuni settori giuridici specifici (in particolare il diritto tributario e il diritto in materia di pubblico impiego), è stata affrontata per la prima volta nell’attuale legislatura il 10 febbraio 2006, quando il Bundestag ha discusso il testo della mozione “Completare l’equiparazione della convivenza registrata”, presentata il 1° febbraio 2006 dal Gruppo parlamentare dei Verdi, in cui si sollecitava il Governo ad elaborare una nuova legge integrativa sulla convivenza registrata (c.d. Lebenspartnerschaftsergänzungsgesetz). Non trovando il necessario consenso da parte delle forze politiche, divise su questi temi anche all’interno della Große Koalition, la mozione è stata rinviata all’esame delle diverse Commissioni parlamentari per un ulteriore fase consultiva, ma non vi è più stato alcun esito fino al termine della legislatura.

 

Regno Unito, La civil partnership

A seguito dell’approvazione del Civil Partnership Act 2004, promulgato il 18 novembre 2004, il legislatore britannico ha riconosciuto e disciplinato gli accordi di convivenza tra persone dello stesso sesso (civil o registered partnership)[19].

La legge in esame ha avuto un iter alquanto tormentato e in parte riproduce nei contenuti le previsioni di progetti di iniziativa parlamentare ripetutamente presentati nel corso delle precedenti sessioni parlamentari, ma mai giunti all’approvazione. Finalità di tali progetti era quella di introdurre il riconoscimento e la disciplina - previa la loro registrazione - delle unioni civili tra persone indipendentemente dal loro sesso, con inclusione, pertanto, sia delle coppie eterosessuali che omosessuali. Queste iniziative, tuttavia, avevano ottenuto un sostegno solo parziale da parte del Governo, disponibile a prenderle in esame solo quando ne fosse stato stimato l'impatto finanziario ed amministrativo, così come era avvenuto nell’ottobre 2001; l'opposizione parlamentare, dal canto suo, non aveva accolto favorevolmente le proposte ritenendo che taluni aspetti fossero già regolati - per quanto concerne le coppie eterosessuali - dalle vigenti norme sul matrimonio civile, e che la questione dei diritti delle coppie tra persone del medesimo sesso meritassero alcuni approfondimenti.

Dopo aver annunciato di voler ripresentare al Parlamento disposizioni in materia, il 30 giugno 2003 il Governo ha pubblicato un proprio documento, intitolato Civil Partnership: a framework for the legal recognition of same-sex couple, nel quale venivano anticipati i contenuti di una organica disciplina delle unioni civili riferita alle sole coppie omosessuali; analoghe iniziative venivano assunte, con la pubblicazione di consultation papers riferiti ai rispettivi ambiti di competenza, dagli organi di governo locale della Scozia e dell’Irlanda del Nord.

Durante la consultazione pubblica promossa sul relativo avanprogetto di legge, in realtà, non sono mancate osservazioni critiche, da parte di settori qualificati dell’opinione pubblica, circa la scelta di escludere dal campo applicativo della legge le unioni civili tra persone eterosessuali. Tali obiezioni sono state però superate dal Governo alla luce della considerazione che le coppie eterossessuali hanno pur sempre, attraverso l’istituto del matrimonio, la possibilità di conseguire uno status socialmente e giuridicamente riconosciuto, mentre ciò era precluso, allo stato del diritto vigente, alle coppie formate da persone dello stesso sesso.[20]

L’opzione prevalsa è dunque quella di introdurre una disciplina specifica per le unioni civili tra persone dello stesso sesso, prevedendosi per tale istituto un regime distinto da quella applicabile alla convivenza tra persone eterosessuali, regolata dal diritto comune per gli aspetti patrimoniali e, per altro verso, assimilata dalla recente legislazione al matrimonio per quanto concerne la materia del mantenimento e dell’educazione dei figli (parental responsibilities). Articolato in 8 parti e corredato di numerosi allegati, il Civil Partnership Act (la cui presentazione ha richiesto la preventiva valutazione di impatto normativo ed economico nella forma del Regulatory Impact Assessment) delinea ora i requisiti e la procedura per ottenere la registrazione della civil partnership, enuncia i diritti e i doveri che ne derivano e detta previsioni applicabili in caso di scioglimento dell’unione e sulle relative conseguenze di ordine patrimoniale.

In particolare, il testo legislativo reca, nel primo capitolo della prima parte, la definizione di civil partnership, formata da due persone del medesimo sesso, la cui costituzione ha luogo mediante registrazione. E’ venuta meno, nel testo approvato, la previsione originariamente contenuta nel progetto che in via residuale ammetteva l’unione civile di persone di sesso diverso purché in possesso di determinati requisiti.

Adempiuti i particolari oneri di pubblicità prescritti dal testo legislativo, la registrazione delle due persone come civil partners (consentita con riferimento alle persone maggiori di 16 anni e, ove richiesta da minori di 18 anni, previo il consenso di chi eserciti la patria potestà) ha luogo dinanzi ad un pubblico ufficiale (con funzioni di civil partnership registrar) e alla presenza di due testimoni. E’ espressamente previsto che durante la procedura non possano svolgersi cerimonie religiose, e che tali formalità, il cui svolgimento è previsto in diverse forme a seconda di determinate circostanze, non possano aver luogo in edifici di culto.

Le vicende inerenti allo scioglimento o alla nullità della partnership sono disciplinate nel secondo capitolo della seconda parte del testo normativo. A questo riguardo sono tipizzati, in primo luogo, gli atti giudiziali (orders) mediante i quali possono essere dichiarati lo scioglimento, in presenza di determinate condizioni,[21] o la nullità dell’unione, oppure la separazione dei partners o la morte presunta di uno di essi. Analogamente alle cause matrimoniali, nei procedimenti relativi alla dissolution di un’unione registrata può intervenire, ad istanza del giudice presso cui si svolge il procedimento, il Queen’s Proctor (procuratore della regina), il cui compito, svolto sulla base di istruzioni dell’Attorney General, è quello di eccepire la mancanza delle condizioni per l’emissione di decreti di scioglimento o di nullità.

Specifiche previsioni sono dedicate alle cause di nullità dell’unione (relative all’insussistenza dei requisiti personali) e alle cause per le quali può esserne richiesto in giudizio l’annullamento, individuate nell’invalidità del consenso; nello stato di gravidanza, al momento della registrazione, di uno dei partners all’insaputa dell’altro; al cambiamento di sesso di uno dei partners.

La registrazione della civil partnership comporta per le persone che la formano un assetto patrimoniale che, pur senza espressamente costituire forme di comunione dei beni, garantisce tuttavia i diritti di ciascuna su di essi. E’ infatti stabilito, dalle disposizioni raccolte nel terzo capitolo della seconda parte della legge (Property and financial arrangements), che le migliorie apportate da un partner ai beni di proprietà dell’altro debbano considerarsi, agli effetti della separazione o dello scioglimento dell’unione, alla stregua di una quota dei beni acquisita dal primo (o dell’accrescimento della quota eventualmente già detenuta). E’ del pari riconosciuto, nel quarto capitolo, a ciascuno dei partners l’interesse ad agire dinanzi alle corti di contea o alla High Court per le controversie patrimoniali relative alla partnership, prevedendosi, a questo riguardo, che l’accordo sottostante non costituisce un contratto e non può quindi dare luogo ad azioni giudiziali per inadempimento o dirette all’esecuzione del contratto.

Nel capitolo quinto della seconda parte si dispongono le modifiche al Children Act del 1989 e all’Adoption and Children Act del 2002 rese necessarie dall’introduzione della civil partnership. Si prevede, tra l’altro, che il partner possa acquisire la potestà (parental responsibility) sui figli dell’altro partner pur senza esserne il genitore naturale, allo stesso modo della persona sposata con il genitore. Per quanto riguarda l’adozione, degna di nota è la disposizione (art. 79) diretta a modificare in più punti l’Adoption and Children Act del 2002. Per effetto di tali modifiche il testo del 2002 prevede ora che due civil partners possano congiuntamente adottare minori, e che ciascuno di essi possa adottare i figli dell’altro. La definizione di “coppia” include, a seguito delle modifiche anzidette, le persone legate da un rapporto di civil partnership (art. 144.4); l’adozione è pertanto consentita alla coppia (indipendentemente dal vincolo matrimoniale o dal rapporto di civil parnership: art. 50) purché formata da persone maggiori di 21 anni; sono, inoltre, individuate le circostanze in base alle quali è consentito al civil partner avviare il procedimento di adozione per proprio conto e non in quanto membro di una partnership (art. 51, 3A).Per quanto concerne la successione ereditaria si segnala l’art. 57, il quale dispone che, in caso e in costanza di separazione dei partners, e di successiva morte di uno di essi, non opera la successione legittima nei confronti dell’altro.[22] La diversa ipotesi della successione nei rapporti di locazione è disciplinata nel terzo capitolo della terza parte della legge, dove si sancisce la continuità di tali rapporti (occupancy right) a favore del partner superstite.

 

Spagna

In Spagna non esiste alcuna normativa, a livello nazionale, che disciplini lo status giuridico delle coppie di fatto, al di fuori del matrimonio.

L’articolo 32 della Costituzione spagnola del 1978 menziona infatti soltanto il matrimonio come forma di unione tra uomo e donna.[23]

Nell’estate del 2005 è stata approvata la Ley 13/2005, de 1 de julio, por que se modifica el Código Civil en materia de derecho a contraer matrimonio, con la quale è ora consentito contrarre matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso, in completa uguaglianza con le coppie eterosessuali.

A partire dal 1998, comunque, le regioni spagnole (Comunidades autónomas) avevano iniziato a legiferare in materia di unioni di fatto, considerando tale aspetto come rientrante tra le competenze proprie di diritto civile, con particolare riferimento alla registrazione dello stato civile, nonché all’autorganizzazione della funzione pubblica.

Le leggi regionali sulle unioni di fatto

La Catalogna è stata la prima Comunità autonoma ad approvare, nel 1998, una legge sulle “unioni stabili di coppia” (Ley 10/1998, de 15 de julio, de uniones estables de pareja)[24]. La legge catalana è divisa in due parti, la prima concernente la “unione stabile eterosessuale” e la seconda relativa alla “unione stabile omosessuale”.

La prima tipologia riguarda un uomo e una donna, entrambi maggiorenni e senza alcun impedimento legale per contrarre matrimonio, che abbiano convissuto come marito e moglie per un periodo ininterrotto di due anni[25] oppure abbiano sottoscritto un documento pubblico nel quale manifestano la volontà di costituire una unione stabile; almeno uno dei due componenti della coppia deve avere la residenza in Catalogna.

La regolamentazione dettagliata dei reciproci diritti e doveri e dei rapporti personali e patrimoniali sui quali si basa la convivenza può avvenire in forma verbale o scritta, con documento privato o con scrittura pubblica.

In assenza di patti espressi dalle parti, la legge dà alcune indicazioni generali sulle spese comuni della coppia e sul mantenimento della casa. Sono specificati in dettaglio i benefici per i conviventi che lavorano nell’ambito della funzione pubblica regionale, in materia di aspettative, permessi e riduzioni di orario.

Lo scioglimento dell’unione, infine, può dare diritto ad indennizzi economici o ad assegni per alimenti, a favore della parte che risulti svantaggiata.

L’unione stabile omosessuale è formata invece da persone conviventi dello stesso sesso che abbiano sottoscritto un apposito documento pubblico. Non possono costituire tale unione i minori, le persone sposate, coloro che già fanno parte di un’altra coppia stabile, i parenti in linea diretta ed i collaterali fino al secondo grado.

Per quanto riguarda i patti tra le parti, i benefici per i lavoratori dell’amministrazione regionale, le spese comuni ed il mantenimento della casa, nonché le conseguenze derivanti dallo scioglimento dell’unione, si applicano sostanzialmente le stesse disposizioni previste per le coppie eterosessuali.

Dopo la Catalogna altre undici regioni spagnole hanno approvato leggi sulle unioni di fatto, per un totale di 12 Comunità su 17.

In particolare si tratta dell’Aragona nel 1999, la Navarra nel 2000, la Comunità di Valencia, le Isole Baleari e la Comunità di Madrid nel 2001, le Asturie e l’Andalusia nel 2002, le Canarie, l’Estremadura ed i Paesi baschi nel 2003, la Cantabria nel 2005.

Non tutte le regioni hanno usato le stesse espressioni formali. Dopo le “unioni stabili di coppia” (uniones estables de pareja) della Catalogna e le “coppie stabili non sposate” (parejas estables no casadas) dell’Aragona, hanno prevalso le “unioni di fatto “ (uniones de hecho) delle Comunità di Valencia e di Madrid, le “coppie stabili” (parejas estables) della Navarra, delle Isole Baleari e delle Asturie e, recentemente, le “coppie di fatto” (parejas de hecho) dell’Andalusia, delle Canarie, dell’Estremadura, dei Paesi baschi e della Cantabria.

Lo schema della legge catalana, con la divisione in due parti, relative alle coppie eterosessuali e a quelle omosessuali, non è stato seguito dalle altre Comunità e vi è sempre una definizione univoca del tipo di unione, che lega comunque due persone adulte, indipendentemente dal sesso e dall’orientamento sessuale, con divieto di ogni forma di discriminazione. Talora è richiesto il requisito della convivenza minima per uno o due anni, ai fini dell’iscrizione in appositi registri delle coppie o delle unioni di fatto, istituiti nelle diverse Comunità. Tale periodo minimo, che pure non è indicato in alcune leggi, non è richiesto in presenza di figli della coppia.

Per i patti di regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali viene generalmente richiesta la forma scritta, pubblica o privata, e in alcune Comunità è possibile depositarli presso il registro stesso delle coppie di fatto.

Così come avviene nella legge della Catalogna sono disciplinati gli effetti giuridici dell’unione, nonché le conseguenze legali in caso di scioglimento; in maniera simile alla normativa catalana sono anche indicati i diritti spettanti ai conviventi che lavorano nelle amministrazioni regionali.

Uno degli aspetti più controversi resta quello della possibilità di adottare minori di età, da parte dei componenti di una coppia di fatto registrata. Lo schema della legge catalana consentiva originariamente un distinguo, superato nel 2005, cosa che non era possibile negli altri casi, posto il divieto iniziale di ogni forma di discriminazione legata al sesso o all’orientamento sessuale. La maggioranza delle leggi non contiene quindi alcun riferimento all’adozione tout court, mentre cinque regioni la prevedono, anche a favore delle coppie omosessuali: si tratta della Navarra, dei Paesi baschi, dell’Aragona, che nel maggio del 2004 ha modificato in tal senso il testo base del 1999, della Catalogna, a seguito delle modifiche apportate nel 2005 al testo base del 1998 ed al Codice della Famiglia, e della Cantabria, con la nuova legge approvata nel 2005.

 

 

 


Contenuto delle proposte di legge

La Commissione Giustizia della Camera è chiamata ad esaminare una serie di proposte di legge tutte volte, seppur con diversi presupposti e eterogenee modalità, a riconoscere un maggior rilevo nell’ordinamento alla convivenza.

Come è noto analoghi tentativi sono già stati compiuti nelle ultime legislature, senza successo. Si ricorda, in particolare, il recente dibattito svoltosi sui c.d. Di.Co. nella XV legislatura al Senato a seguito della presentazione del disegno di legge del Governo AS 1339 (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), elaborato dai Ministri Pollastrini (Pari Opportunità) e Bindi (Famiglia)[26].

 

Rinviando alla successiva tabella il confronto analitico tra le diverse disposizioni delle proposte di legge, di seguito si dà sinteticamente conto del loro contenuto.

 

A.C. 1065, Bernardini e altri

La proposta di legge (Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di unione civile), attraverso l’inserimento nel libro I del codice di un nuovo titolo, intende disciplinare l’unione civile, ovvero il contratto tra due persone dello stesso sesso o di sesso diverso, legate da una comunione di vita e spirituale, per l’organizzazione della vita in comune.

La proposta istituisce un registro delle unioni civili presso ogni comune e delinea la procedura da seguire per l’iscrizione nonché per lo scioglimento del vincolo. A seguito dell’iscrizione nel registro, lo stato di parte di un’unione civile viene equiparato a quello di membro di una famiglia, secondo «criteri di parità di trattamento, assicurando uguale incidenza in presenza di uguali circostanze in ordine, in particolare, alle condizioni economiche e di salute e all’esistenza di figli». Alle parti di un’unione civile è consentita l’adozione, a parità di condizioni con le coppie di coniugi.

La proposta disciplina analiticamente il regime patrimoniale dell’unione optando per la separazione legale dei beni, cui le parti potranno derogare con apposita convenzione. Molte disposizioni sono dedicate a novellare l’ordinamento al fine di «dare “copertura” normativa a tutti quegli ambiti di espressione e di svolgimento della personalità finora lasciati giuridicamente inespressi, che negli anni hanno determinato ingiustificabili discriminazioni e inaccettabili incertezze sul piano della coltivazione degli affetti, del lavoro e delle questioni a carattere sanitario o successorio» (analiticamente, dall’accesso alla cittadinanza e al permesso di soggiorno, all’assistenza sanitaria e penitenziaria, dall’impresa familiare agli obblighi alimentari, dalla previdenza al risarcimento danni da illecito, al diritto d’abitazione, dalla locazione al diritto penale e processuale-penale).

 

A.C. 1631, Concia e A.C. 1637, Concia

Le due proposte di legge dell’On. Concia meritano di essere sintetizzate insieme in quanto si integrano, delineando il complessivo obiettivo della proponente:

§         con la prima (AC 1631, Disciplina dell’unione civile) si intende infatti regolamentare esclusivamente il legame tra due persone dello stesso sesso, prevedendo un contratto denominato “unione civile”, dal quale scaturisce l’estensione alle parti dell’applicazione di tutte le disposizioni relative al matrimonio civile;

§         con la seconda (AC 1637, Disciplina del patto civile di solidarietà) si intende invece disciplinare la convivenza tra due persone (dello stesso sesso o di sesso diverso) che non intendono legarsi con un vincolo matrimoniale.

 

Nella relazione illustrativa dell’A.C. 1631 si evidenzia infatti che «solo l'introduzione delle unioni civili, o comunque di un istituto che garantisca alle persone dello stesso sesso la piena libertà di regolare i propri rapporti, qualora lo desiderino, nello stesso modo consentito agli eterosessuali con il matrimonio, consentirebbe davvero di legiferare in modo non discriminatorio anche sulle famiglie di fatto. L'auspicabile legge sulle famiglie di fatto, qualora fosse introdotta con l'intento di risolvere (anche) i problemi posti dalle convivenze omosessuali, non potrebbe infatti che risultare altrimenti o troppo invasiva ed esigente, imponendo alle coppie conviventi eterosessuali, che hanno pure scelto volontariamente di non sposarsi, il peso di vincoli non voluti, o insufficiente ad assicurare alle coppie dello stesso sesso, che non hanno potuto scegliere di attribuire ai propri rapporti giuridici un assetto diverso, una tutela che vada al di là dello stretto indispensabile. Solo se la possibilità di optare per una regolamentazione identica a quella prevista, limitatamente ai rapporti tra i coniugi, nel matrimonio fosse a disposizione anche delle coppie dello stesso sesso la normativa sulle famiglie di fatto svolgerebbe la medesima funzione in entrambi i casi».

 

In particolare, l’unione civile prevista dall’AC 1631 intende porre i cittadini dello stesso sesso stabilmente conviventi nella condizione di poter scegliere quale assetto conferire ai propri rapporti giuridici e patrimoniali in posizione di uguaglianza rispetto ai cittadini eterosessuali. Ciò avviene prevedendo che due persone dello stesso sesso possano contrarre un’unione civile che ha come conseguenza l’applicazione alle parti di tutte le disposizioni civili, penali, amministrative, processuali e fiscali relative al matrimonio civile. Viene espressamente esclusa l’adozione e specificato che la celebrazione dell’unione civile non ha conseguenze sullo status dei figli dei contraenti; viene regolamentato l’uso del cognome.

 

Diversamente, il patto civile di solidarietà previsto dall’AC 1637 intende disciplinare l’accordo tra due persone, anche dello stesso sesso, stipulato allo scopo di regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune, fornendo «la possibilità di optare per uno strumento regolativo pattizio più snello e leggero alle coppie che non intendano o non possono impostare la propria vita sulla base della regolamentazione civilistica tipizzata dalle norme sul matrimonio». La proposta definisce i presupposti e la procedura di costituzione del patto, delineando un possibile iter presso il tribunale per l’ipotesi in cui l’ufficiale dello stato civile si rifiuti di presiedere alla sottoscrizione o di iscrivere il patto nel registri. Viene regolamentato inoltre il regime patrimoniale dei contraenti (separazione dei beni) e la loro possibilità di derogarvi (comunione legale o convenzionale dei beni) e disciplinato lo scioglimento del patto. Gli articoli finali della proposta sono volti a disciplinare gli effetti giuridici del patto in vari settori della vita di coppia: dall’assunzione di decisioni in ambito sanitario, ai diritti successori, al lavoro, alla disciplina fiscale e previdenziale, prevedendosi inoltre novelle alle disposizioni di diritto internazionale privato contenute nella legge n. 218 del 1995 e ai codici penale e di procedura penale.

 

A.C. 1756, Barani e altri

La proposta di legge (Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi) muove dalla convinzione che la famiglia fondata sul matrimonio sia l’unica possibile destinataria delle politiche di sostegno, economiche e sociali, messe in atto dallo Stato; peraltro, nella consapevolezza delle dimensioni sociali del fenomeno della convivenza i proponenti intendono «stabilire un nucleo di tutela dei diritti di natura individuale di cui ciascun soggetto, nell'ambito del rapporto solidaristico, potrà essere considerato titolare, senza per questo prevedere la stipula di accordi negoziali che, a differenza di quanto è stato previsto in altre iniziative legislative, possano rendere strutturata la convivenza».

La proposta preliminarmente definisce il proprio ambito d’applicazione, limitandolo alla convivenza (che, in assenza di specificazioni, può evidentemente riguardare tanto persone dello stesso sesso quanto persone di sesso diverso) che si protrae stabilmente da almeno 3 anni, stabilendo che per l’individuazione dell’inizio della stessa debba farsi riferimento al regolamento anagrafico (DPR n. 223/1989). Dal rapporto di convivenza discendono per i conviventi alcuni specifici e limitati diritti: di assistenza e decisione, in caso di malattia o di ricovero ovvero in caso di decesso; di abitazione, in caso di decesso del convivente proprietario dell’immobile; di subentro nel contratto di locazione, nonché il diritto di ricevere gli alimenti in situazioni di bisogno e incapacità di provvedere al proprio mantenimento «per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza».

In ordine alla formulazione del testo si evidenzia che:

-          l’art. 3 (Assistenza in caso di malattia o di ricovero), pur affermando il diritto, ne subordina l’esercizio alle «regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate»;

-          l’art. 6 (Successione nel contratto di locazione), nel disciplinare la successione del convivente nel contratto di locazione, non interviene con riguardo al caso di morte del conduttore; la disposizione pare consentire al convivente il subentro nel contratto, indipendentemente dal consenso del proprietario, nel caso in cui il convivente conduttore intenda recedere anticipatamente, presumibilmente per abbandono dell’immobile e della convivenza. Tale possibilità viene estesa anche alle convivenze di durata infratriennale, in presenza di figli comuni.

 

 

A.C. 1858, Lucà e altri

La proposta di legge (Riconoscimento giuridico di diritti, responsabilità e facoltà alle persone che fanno parte di unioni di fatto e delega al Governo per la disciplina della successione tra le medesime) intende esclusivamente riconoscere alcuni specifici diritti alle persone che costituiscono un’unione di fatto.

 

«Gli obiettivi della presente proposta di legge sono così sintetizzabili: a) definire sempre i diritti come diritti delle persone nelle unioni e non delle unioni come tali; b) prevedere la certificazione a livello comunale non per celebrare unioni, ma per formalizzare la loro previa esistenza, per cui il diritto nasce dal fatto e non viceversa; c) prevedere che i diritti siano proporzionati ai doveri e che, pertanto, coinvolgano almeno l'estensione dell'assistenza sanitaria e penitenziaria, la successione nel contratto di locazione, il titolo di preferenza per l'inserimento nelle graduatorie occupazionali e per l'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, i trattamenti previdenziali e la successione».

 

Conseguentemente, ai fini del riconoscimento dei diritti, occorre che le parti presentino una dichiarazione all’ufficio anagrafe del Comune di residenza (analogamente, con una semplice dichiarazione, anche di una sola delle parti, si comunicherà la cessazione dell’unione); da tale certificazione discendono alcune conseguenze giuridiche: la proposta disciplina infatti i rapporti economici e patrimoniali tra le parti dell’unione, introduce il diritto di assistenza sanitaria e penitenziaria, regolamenta la successione nel contratto di locazione e il diritto di abitazione nonché gli obblighi alimentari (per due anni dalla cessazione dell’unione). Per la disciplina della successione mortis causa, la proposta prevede una delega al Governo, per la quale detta principi e criteri direttivi (tra i quali si segnala, in particolare, la possibile successione legittima solo a seguito di unione di fatto protratta per almeno sette anni)

 

A.C. 1862, Mantini

Anche la proposta di legge AC 1862 (Norme sulla responsabilità delle persone stabilmente conviventi, in materia di successione, obblighi alimentari, prestazione di lavoro, permesso di soggiorno, contratti di locazione, assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, assistenza in caso di ricovero, internamento o detenzione, nonché di decisioni in materia di salute e in caso di morte) si propone di ampliare i diritti ed i doveri della persona nelle sue relazioni e non di disciplinare un nuovo istituto riguardante “la coppia”. A tal fine novella il codice civile e alcune leggi speciali, riconoscendo diritti ai conviventi quando la convivenza risulti dai registri anagrafici e sia protratta da almeno nove anni (sono sufficienti tre anni per la successione nel contratto di locazione).

In particolare, in presenza di questi presupposti, la proposta disciplina la successione legittima del convivente ed il suo possibile concorso con discendenti, ascendenti o fratelli del de cuius; vengono altresì disciplinati il lavoro nell’impresa, gli obblighi alimentari, la successione nel contratto di locazione, l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, il rilascio del permesso di soggiorno agli stranieri ed il riconoscimento dei diritti di prestare assistenza e di assumere decisioni in caso di detenzione, malattia e di decesso.

 

A.C. 1932, Naccarato

La proposta di legge (Disposizioni per la certificazione e l’autocertificazione della convivenza di coppia per legame affettivo) mira a «dare riconoscimento e tutela giuridica alla convivenza di coppia integrando la disciplina attualmente recata dal regolamento anagrafico» (DPR 223/1989). In particolare, l’art. 1 prevede l’emersione della c.d. famiglia anagrafica disponendo che due persone già conviventi (come risulta dai dati anagrafici) possano richiedere la certificazione dello stato di convivenza, con indicazione della data di inizio della stessa, e la specifica che si tratta di una convivenza fondata su un legame affettivo.

Parallelamente, in fase di avvio della convivenza, la coppia che si registra residente nella medesima abitazione può chiedere che sia specificato da subito negli atti anagrafici che la convivenza è fondata su un legame affettivo  e che l’intenzione è quella di «vivere il legame con continuità, avendo comunanza di vita e costituendo un’unità economica che organizza su tali basi la propria famiglia anagrafica».

 

A.C. 3841, Di Pietro e altri

La proposta di legge AC 3841 (Disciplina del patto civile di solidarietà) ha un contenuto pressoché identico alla proposta AC 1637 Concia; entrambe le relazioni illustrative, infatti, specificano che per la redazione si è fatto riferimento alla disciplina del patto civile di solidarietà già presentata nelle precedenti legislature (segnatamente, entrambe le proposte traggono spunto dall’AC 33 della XV legislatura presentato dall’On. Grillini).

Anche la proposta Di Pietro e altri, dunque, intende disciplinare con il patto di solidarietà l’accordo tra due persone, anche dello stesso sesso, stipulato allo scopo di regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune. La proposta definisce i presupposti e la procedura di costituzione del patto, delineando un possibile iter presso il tribunale per l’ipotesi in cui l’ufficiale dello stato civile si rifiuti di presiedere alla sottoscrizione o di iscrivere il patto nel registri. Viene regolamentato inoltre il regime patrimoniale dei contraenti (separazione dei beni) e la loro possibilità di derogarvi (comunione legale o convenzionale dei beni) e disciplinato lo scioglimento del patto. Gli articoli finali della proposta sono volti a disciplinare gli effetti giuridici del patto in vari settori della vita di coppia: dall’assunzione di decisioni in ambito sanitario, ai diritti successori, al lavoro, la disciplina fiscale e previdenziale, prevedendo inoltre novelle alle disposizioni di diritto internazionale privato contenute nella legge n. 218 del 1995 e ai codici penale e di procedura penale.

In ordine alla formulazione del testo si evidenzia che questa proposta – rispetto all’AC 1637 – in alcuni articoli (artt. 21, 22 e 23) fa riferimento non solo alle persone legate da un patto civile di solidarietà, ma anche da un’unione civile o registrata o da altro istituto affine. Si tratta in verità di istituti non disciplinati dalla proposta di legge.

 

 


Confronto tra le proposte di legge AA.C. 1065, 1631, 1637, 1756, 1858, 1862 e 3841

 


Confronto tra le proposte di legge AA.C. 1065, 1631, 1637, 1756, 1858, 1862 e 3841

Nella tabella che segue sono stati individuati una serie di argomenti alla luce dei quali sono state confrontate le proposte di legge all’esame della Commissione Giustizia, volte a regolamentare – talvolta per gli aspetti essenziali, altre in modo molto più analitico – la convivenza di persone di sesso diverso o dello stesso sesso. Per la proposta di legge n. 1932 (Naccarato), caratterizzata da un’impostazione completamente diversa dalle altre, che interessa esclusivamente la certificazione anagrafica della convivenza, si veda l’illustrazione precedente.

 

ATTENZIONE: per stampare correttamente la tabella:

 

 

A.C. 1065 (Bernardini e altri)

A.C. 1631 (Concia)

A.C. 1637 (Concia)

 

A.C. 1756 (Barani e altri)

A.C. 1858 (Lucà e altri)

A.C. 1862 (Mantini e altri)

A.C. 3841 (Di Pietro e altri)

 

Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di unione civile

Disciplina dell’unione civile

Disciplina del patto civile di solidarietà

 

Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi

Riconoscimento giuridico di diritti, responsabilità e facoltà alle persone che fanno parte di unioni di fatto e delega al Governo per la disciplina della successione tra le medesime

Norme sulla responsabilità delle persone stabilmente conviventi, in materia di successione, obblighi alimentari, prestazione di lavoro, permesso di soggiorno, contratti di locazione, assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, assistenza in caso di ricovero, internamento o detenzione, nonché di decisioni in materia di salute e in caso di morte

Disciplina del patto civile di solidarietà

Regolamentazione

Novella il codice civile introducendovi il Titolo XIV-bis, Dell’Unione civile; modifica i codici penale e di procedura penale; introduce disposizioni speciali.

Legge speciale.

Legge speciale; novelle al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e alla legislazione speciale.

 

Legge speciale.

Legge speciale

Novelle al codice civile limitatamente agli aspetti relativi alla successione e all’impresa familiare; novelle alle leggi speciali.

 

Oggetto della proposta

Disciplinare l’unione civile, ovvero il contratto tra due persone dello stesso sesso o di sesso diverso, legate da una comunione di vita e spirituale, per l’organizzazione della vita in comune (art. 1, che inserisce l’art. 455-bis c.c.)

Disciplinare l’unione civile, ovvero il contratto che sancisce il legame tra due persone dello stesso sesso (non è previsto per persone di sesso diverso) (art. 1, co. 1), estendendole l’applicazione di tutte le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, co. 2).

Disciplinare il patto civile di solidarietà tra due persone, dello stesso sesso o di sesso diverso, allo scopo di regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune (art. 2)

 

Disciplinare i diritti ed i doveri di coloro (non è specificato se dello stesso o diverso sesso) che convivono stabilmente da almeno 3 anni, e che sono uniti da legami affettivi e di solidarietà, ai fini di reciproca assistenza e solidarietà materiali e morali (art. 2, comma 1)

Disciplinare i diritti, le responsabilità e le facoltà spettanti a coloro che, impegnandosi  ad assicurarsi reciproche solidarietà e assistenza morali e materiali, nonché a garantire il mantenimento, l’istruzione e la formazione agli eventuali figli comuni, convivono stabilmente (componenti un’unione di fatto).

Riconoscere ai conviventi alcuni diritti (segnatamente relativi alla successione, all’assistenza, all’abitazione), subordinati alla certificazione anagrafica della convivenza e al protrarsi della stessa – senza interruzioni – da almeno nove anni (tre anni per la successione nel contratto di locazione).

Disciplinare il patto civile di solidarietà tra due persone, dello stesso sesso o di sesso diverso, allo scopo di regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune (art. 2).

Presupposti per il vincolo

 

 

L’art. 3 afferma che l’assenza dei presupposti comporta la nullità del vincolo (comma 7). La nullità può essere dichiarata su istanza di chiunque vi ha interesse o del pubblico ministero.

 

 

 

 

L’art. 3 afferma che l’assenza dei presupposti comporta la nullità del vincolo (comma 7). La nullità può essere dichiarata su istanza di chiunque vi ha interesse o del pubblico ministero.

età

Due persone maggiorenni (art. 1, alinea art. 455-bis)

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

 

 

Due persone maggiorenni (art. 2, comma 1)

Due persone maggiorenni (art. 1, comma 2)

 

 

cittadinanza

L’art. 455-quater c.c. (introdotto dall’art. 1) afferma che l’ufficiale dello stato civile deve verificare il rispetto delle norme di legge riguardanti i cittadini stranieri.

L’art. 1, comma 1, stabilisce che almeno una delle due persone deve avere cittadinanza italiana o risiedere regolarmente nel territorio della Repubblica.

L’art. 19, comma 1, afferma che possono concludere un patto civile di solidarietà in Italia un cittadino straniero e un cittadino italiano fra loro, o due cittadini stranieri.

 

 

 

 

L’art. 19, comma 1, afferma che possono concludere un patto civile di solidarietà in Italia un cittadino straniero e un cittadino italiano fra loro, o due cittadini stranieri.  

Assenza di ostacoli al vincolo

L’art. 455-quater (introdotto dall’art. 1 della pdl) richiede l’assenza di precedenti vincoli derivanti da matrimonio o unione civile (ai sensi dell’art. 86 del codice civile, che viene contestualmente novellato dall’art. 19)

Assenza di precedenti vincoli derivanti da matrimonio o unione civile (art. 1, comma  4).

Assenza di precedenti vincoli derivanti da matrimonio o patto civile di solidarietà (art. 3, comma 1).

 

Assenza di precedenti vincoli matrimoniali (art. 2, comma 1).

Assenza di precedenti vincoli derivanti da matrimonio o unione di fatto (art. 2, comma 2).

 

Assenza di precedenti vincoli derivanti da matrimonio o patto civile di solidarietà (art. 3, comma 1).

 

Assenza di vincoli di parentela, affinità, adozione o affiliazione (ai sensi dell’art. 87 del codice civile)

Assenza di vincoli di parentela, affinità, adozione o affiliazione (ai sensi dell’art. 87 del codice civile) (art. 1, comma 2, che dispone l’applicazione delle disposizioni sul matrimonio civile)

Assenza di vincoli di parentela, affinità, adozione o affiliazione (ai sensi dell’art. 87 del codice civile (art. 3, comma 2). Deroghe per lo zio e il nipote, la zia e la nipote e per gli affini in linea collaterale in secondo grado quando i contraenti il patto civile di solidarietà sono dello stesso sesso (art. 3, comma 3).

 

Assenza di vincoli di parentela (art. 2, comma 1).

L’art. 2, comma 2 esclude la dichiarazione dell’unione di fatto per

-                    gli ascendenti e i discendenti in linea retta, entro il primo grado, legittimi o naturali;

-                    gli affini in linea retta, entro il secondo grado;

-                    l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti;

-                    l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato;

-                    - i soggetti legati da rapporti di tutela, curatela e amministrazione di sostegno.

 

Assenza di vincoli di parentela, affinità, adozione o affiliazione (ai sensi dell’art. 87 del codice civile (art. 3, comma 2). Deroghe per lo zio e il nipote, la zia e la nipote e per gli affini in linea collaterale in secondo grado quando i contraenti il patto civile di solidarietà sono dello stesso sesso (art. 3, comma 3).

 

 

 

 

 

 

Assenza di rapporti contrattuali, anche lavorativi, che comportano necessariamente la convivenza (art. 2, comma 2, lett. i))

 

 

 

Non essere stati condannati per omicidio del coniuge del partner (ai sensi dell’art. 88 del codice civile)

Non essere stati condannati per omicidio del coniuge del partner (ai sensi dell’art. 88 del codice civile) (art. 1, comma 2, che dispone l’applicazione delle disposizioni sul matrimonio civile)

Non essere stati condannati o rinviati a giudizio o sottoposti a misura cautelare per omicidio del coniuge del partner o di persona legata da patto di solidarietà con il partner (art. 3, commi 5 e 6).

 

 

Non essere stati condannati o rinviati a giudizio o sottoposti a misura cautelare per omicidio del coniuge del partner o di persona legata da unione di fatto con il partner (art. 2, comma 2).

 

Non essere stati condannati o rinviati a giudizio o sottoposti a misura cautelare per omicidio del coniuge del partner o di persona legata da patto civile di solidarietà con il partner (art. 3, commi 5 e 6).

Adempimenti amministrativi

L’art. 1 inserisce nel codice civile l’art. 455-ter (Istituzione del registro delle unioni civili) che prevede l’istituzione, presso l’ufficio dello stato civile di ogni comune, del registro delle unioni civili. L'ufficiale dello stato civile provvede alle registrazioni, alle annotazioni e alle variazioni delle unioni nel registro.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 4, comma 1, prevede che il patto civile di solidarietà debba essere sottoscritto, a pena di nullità, davanti all’ufficiale dello stato civile.

L’art. 19, comma 2, dispone che all’estero la costituzione del patto civile di solidarietà tra due persone, di cui almeno una di cittadinanza italiana, e la modificazione del medesimo patto, sono assicurate dalle rappresentanze consolari e diplomatiche italiane.

 

L’articolo 2, comma 2, stabilisce che per l’individuazione dell’inizio della stabile convivenza si applica l’art. 5, comma 1 del DPR 223/1989 (Regolamento anagrafico).

L’art. 2, comma 1, stabilisce che i componenti dell’unione di fatto debbano presentare una dichiarazione congiunta in forma scritta all'ufficio dell'anagrafe del comune dove uno dei due ha la residenza o dove entrambi intendono stabilire la loro residenza comune.

La convivenza deve essere provata dalle risultanze anagrafiche.

L’art. 4, comma 1, dispone che il patto civile di solidarietà debba essere sottoscritto, a pena di nullità, davanti all'ufficiale dello stato civile.

L’art. 19, comma 2, dispone che all’estero la costituzione del patto civile di solidarietà tra due persone, di cui almeno una di cittadinanza italiana, e la modificazione del medesimo patto, sono assicurate dalle rappresentanze consolari e diplomatiche italiane.

Procedura

La procedura, delineata dagli articoli 455-quater e 455-quinquies del codice civile (inseriti dall’art. 1), prevede:

-        una dichiarazione congiunta presentata all'ufficio dello stato civile del comune nel quale le parti fissano la propria residenza;

-        una certificazione rilasciata dall'ufficiale dello stato civile, che verifica il rispetto dei presupposti. Il documento deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale legale e della loro residenza. Deve contenere altresì i dati anagrafici degli eventuali figli minori delle parti dell'unione civile, indipendentemente dalla durata della stessa;

-        la registrazione dell'unione civile nell'apposito registro; l’ufficiale dello stato civile effettua le annotazioni e le variazioni conseguenti alle dichiarazioni nel registro delle unioni civili entro dieci giorni dalla loro ricezione.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 4 prevede la sottoscrizione del patto civile di solidarietà davanti all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza di uno dei contraenti.

Preliminarmente, le parti, congiuntamente, presentano istanza in carta libera all'ufficiale dello stato civile, con la quale autocertificano il possesso dei requisiti e chiedono di essere convocate per la sottoscrizione del patto civile di solidarietà.

L’ufficiale deve convocare le parti entro un mese dalla presentazione dell’istanza (in caso di grave pericolo di vita, entro 12 ore).

L’ufficiale redige tre esemplari del patto, iscrivendone uno immediatamente nel registro dello stato civile.

La procedura è esente da tributi.

 

L’art. 5 prevede l’obbligo per l’ufficiale dello stato civile di presiedere alla sottoscrizione del patto e di procedere alla sua iscrizione sul registro. In caso di rifiuto provvede il Tribunale in camera di consiglio che può ordinare all’ufficiale di compiere le attività richieste. Le spese sono a carico del comune che deve anche il risarcimento dei danni.

 

 

L’art. 2, comma 4, demanda ad un decreto del ministro della giustizia la definizione del contenuto delle dichiarazioni dell’unione di fatto (tanto per la costituzione quanto per la cessazione). Il Ministro dovrà provvedere entro 2 mesi dall’entrata in vigore della legge.

 

L’art. 4 prevede la sottoscrizione del patto civile di solidarietà davanti all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza di uno dei contraenti.

Preliminarmente, le parti, congiuntamente, presentano istanza in carta libera all'ufficiale dello stato civile, con la quale autocertificano il possesso dei requisiti e chiedono di essere convocate per la sottoscrizione del patto civile di solidarietà.

L’ufficiale deve convocare le parti entro un mese dalla presentazione dell’istanza (in caso di grave pericolo di vita, entro 12 ore).

L’ufficiale redige tre esemplari del patto, iscrivendone uno immediatamente nel registro dello stato civile.

La procedura è esente da tributi.

 

L’art. 5 prevede l’obbligo per l’ufficiale dello stato civile di presiedere alla sottoscrizione del patto e di procedere alla sua iscrizione sul registro. In caso di rifiuto provvede il Tribunale in camera di consiglio che può ordinare all’ufficiale di compiere le attività richieste. Le spese sono a carico del comune che deve anche il risarcimento dei danni.

Rapporti patrimoniali

La proposta di legge prevede un regime patrimoniale ordinario (art. 455-undecies) e la possibilità di apportarvi deroghe (art. 455-sexies).

L’art. 455-undecies del codice civile (Regime patrimoniale dell'unione civile) dispone che in assenza di convenzione tra le parti, il regime patrimoniale ordinario dell’unione civile sia la separazione legale dei beni.

All'atto di costituzione dell'unione civile le parti possono scegliere mediante convenzione un regime patrimoniale diverso.

L’art. 455-sexies del codice civile (introdotto dall’art. 1), disciplina la stipula della convenzione per disciplinare gli aspetti patrimoniali dell’unione civile, nonché i termini per la cessazione unilaterale e le conseguenze patrimoniali.

La convenzione deve avere forma scritta (art. 18 che novella l’art. 1350 c.c.) e, se fatta per atto pubblico, è opponibile ai terzi.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

La proposta di legge (art. 8) dispone che in assenza di espressa volontà delle parti il regime patrimoniale ordinario è la separazione legale (comma 5). Ciascun contraente del patto civile di solidarietà è tenuto a provvedere alle esigenze economiche della coppia in ragione delle proprie sostanze e della propria capacità lavorativa. Le parti sono solidalmente obbligate nei confronti dei terzi per i debiti contratti, entro limiti ragionevoli, per soddisfare le esigenze della vita di coppia (commi 1 e 2).

I contraenti del patto civile di solidarietà possono però scegliere anche un diverso regime patrimoniale, disciplinato dal codice civile e dunque la comunione legale dei beni o la comunione convenzionale dei beni (è una comunione legale modificata dalle parti, per tenere fuori dal vincolo ovvero per includervi taluni beni). Il regime patrimoniale scelto è annotato a margine dell'iscrizione nel registro dello stato civile (commi 3 e 4) e solo attraverso tale annotazione diviene opponibile ai terzi.

 

 

La proposta di legge (art. 4) dispone che il regime patrimoniale dell’unione di fatto è la separazione dei beni (comma 2).

Ciascun componente l’unione di fatto è solidalmente obbligato nei confronti dei terzi per i debiti contratti, anche disgiuntamente, per soddisfare le esigenze che si manifestano nell'ambito della vita comune (comma 1).

La disposizione aggiunge che gli atti di disposizione patrimoniale effettuati tra le persone componenti l'unione di fatto in proporzione ai rispettivi redditi, alle rispettive sostanze e alle rispettive capacità lavorative costituiscono adempimento di obbligazione naturale, in conformità alla disciplina stabilita dall'articolo 2034 del codice civile (comma 3). Salvo prova contraria, si presume che gli atti di disposizione patrimoniale eccedenti la misura individuata dal comma 3 costituiscono donazioni (comma 4).

 

La proposta di legge (art. 8) dispone che in assenza di espressa volontà delle parti il regime patrimoniale ordinario è la separazione legale (comma 5). Ciascun contraente del patto civile di solidarietà è tenuto a provvedere alle esigenze economiche della coppia in ragione delle proprie sostanze e della propria capacità lavorativa. Le parti sono solidalmente obbligate nei confronti dei terzi per i debiti contratti, entro limiti ragionevoli, per soddisfare le esigenze della vita di coppia (commi 1 e 2).

I contraenti del patto civile di solidarietà possono però scegliere anche un diverso regime patrimoniale, disciplinato dal codice civile e dunque la comunione legale dei beni o la comunione convenzionale dei beni (è una comunione legale modificata dalle parti, per tenere fuori dal vincolo ovvero per includervi taluni beni). Il regime patrimoniale scelto è annotato a margine dell'iscrizione nel registro dello stato civile (commi 3 e 4) e solo attraverso tale annotazione diviene opponibile ai terzi.

Scioglimento

 

 

 

 

 

 

 

 

Cause

L’art. 455-octies del codice civile (introdotto dall’art. 1) disciplina la cessazione dell'unione civile. Ciò avviene:

-        in caso di morte di una delle parti;

-        mediante conversione dell'unione civile in matrimonio;

-        a seguito di dichiarazione consensuale di scioglimento, che le parti presentano all'ufficiale dello stato civile;

-        a seguito di richiesta di scioglimento presentata solo da una delle parti all'ufficiale dello stato civile e notificata all'altra parte entro cinque giorni. In tale ipotesi tutti gli effetti dell'unione civile sono protratti per un anno dalla data di presentazione della domanda di scioglimento, salvo che non sia diversamente stabilito per convenzione ai sensi dell'articolo 455-sexies (v. infra).

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 16 disciplina lo scioglimento del patto civile di solidarietà. Ciò avviene:

-     in caso di morte di una delle parti;

-     in caso di matrimonio di una delle parti;

-     in caso di dichiarazione congiunta di scioglimento (mutuo consenso);

-     a seguito di atto scritto notificato da una parte all'altra a mezzo di ufficiale giudiziario. In tale caso il patto si scioglie decorsi tre mesi dalla data della notifica ed è nullo l'accordo con il quale le parti escludono l'esistenza di tale diritto, anche quando l'esclusione riguarda entrambi i contraenti.

 

 

L’art. 9 prevede la cessazione dell'unione di fatto attraverso una dichiarazione all'ufficiale dell'anagrafe competente, resa anche solo da una delle parti.

Con la cessazione vengono meno i diritti, le responsabilità e delle facoltà previsti dalla  legge.

Per le controversie eventualmente insorte tra i componenti l'unione di fatto è competente il tribunale del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio.

 

L’art. 16 disciplina lo scioglimento del patto civile di solidarietà. Ciò avviene:

-     in caso di morte di una delle parti;

-     in caso di matrimonio di una delle parti;

-     in caso di dichiarazione congiunta di scioglimento (mutuo consenso);

-     a seguito di atto scritto notificato da una parte all'altra a mezzo di ufficiale giudiziario. In tale caso il patto si scioglie decorsi tre mesi dalla data della notifica ed è nullo l'accordo con il quale le parti escludono l'esistenza di tale diritto, anche quando l'esclusione riguarda entrambi i contraenti.

Provvedimenti riguardo ai figli

L’art. 455-decies del codice civile (inserito dall’art. 1) prevede l’applicazione dell’art. 155 del codice (che detta provvedimenti riguardo ai figli in caso di separazione dei coniugi) anche in caso di scioglimento dell'unione civile.

 

L’art. 17 prevede in caso di figli comuni, e solo in caso di disaccordo tra le parti, l’applicazione dell’art. 155 del codice (che detta provvedimenti riguardo ai figli in caso di separazione dei coniugi) anche allo scioglimento del patto civile di solidarietà.

 

 

 

 

L’art. 17 prevede in caso di figli comuni, e solo in caso di disaccordo tra le parti, l’applicazione dell’art. 155 del codice (che detta provvedimenti riguardo ai figli in caso di separazione dei coniugi) anche allo scioglimento del patto civile di solidarietà.

Conseguenze economiche dello scioglimento

L’art. 455-octies del codice civile (introdotto dall’art. 1) disciplina le conseguenze economiche dello scioglimento nel caso in cui non sia stata stipulata la convenzione di cui all’art. 455-sexies (v. sopra).

Se le parti non trovano un accordo per la divisione del patrimonio, il giudice, indipendentemente dalla titolarità o dal possesso dei beni, tenuto conto della consistenza del patrimonio costituito dalle parti con apporti di lavoro professionale e casalingo, procede alla divisione del patrimonio in parti uguali, ai sensi dell'articolo 194 del codice civile. È fatta salva la possibilità per le parti di agire per il risarcimento del danno eventualmente subìto.

La disposizione (commi 5 e 6) prevede che se una delle parti si trova in stato di necessità, il giudice può stabilire il diritto all’assegno di mantenimento. L’obbligo di mantenimento decade dopo 2 anni dallo scioglimento dell’unione ovvero nel caso in cui la parte beneficiaria abbia contratto matrimonio o una nuova unione civile.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

Se le parti non hanno disciplinato con il patto civile di solidarietà le conseguenze economiche del patto, in base all’art. 18 in caso di disaccordo la controversia è di competenza del tribunale.

 

 

 

 

Se le parti non hanno disciplinato con il patto civile di solidarietà le conseguenze economiche del patto, in base all’art. 18 in caso di disaccordo la controversia è di competenza del tribunale.

Conseguenze giuridiche del vincolo

 

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 6 stabilisce che al patto civile di solidarietà si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice civile in materia di contratti. Eventuali termini o condizioni presenti nel patto civile di solidarietà si hanno per non apposti.

 

 

 

 

L’art. 6 stabilisce che al patto civile di solidarietà si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice civile in materia di contratti. Eventuali termini o condizioni presenti nel patto civile di solidarietà si hanno per non apposti.

Status

La proposta di legge equipara lo status di parte di unione civile allo stato di membro di una famiglia (art. 1, che introduce l’art. art. 455-septies nel codice civile).

All'unione civile sono estesi i diritti spettanti al nucleo familiare, secondo criteri di parità di trattamento, assicurando uguale incidenza in presenza di uguali circostanze in ordine, in particolare, alle condizioni economiche e di salute e all'esistenza di figli (art. 455-novies). A sostegno di questa equiparazione la proposta vieta (art. 22) ogni forma di discriminazione in qualunque settore della vita pubblica o privata.

Piena equiparazione dei figli nati in costanza di matrimonio con i figli delle parti dell’unione civile (art. 455-decies).

Piena equiparazione dell’unione civile al matrimonio civile quanto a celebrazione, scioglimento, rapporti tra contraenti, successione, diritto civile, penale, amministrativo, processuale e fiscale (art. 1, co. 2).

La celebrazione dell’unione civile non ha effetti sullo stato dei figli dei contraenti (art. 3, co. 1) non consente l’accesso all’adozione (art. 3, co. 3).

La proposta di legge non equipara le parti del patto civile di solidarietà ai coniugi; in molte ipotesi estende però ad esse la disciplina di favore prevista in caso di matrimonio (es. successione legittima, assistenza sanitaria, rilascio del permesso di soggiorno).

In alcuni settori prevede un’assimilazione allo stato coniugale solo per patti costituiti da almeno 2 anni (es. diritto al lavoro, art. 12, comma 2; militari e forze dell’ordine, art. 13, comma 1)

 

 

 

 

La proposta di legge non equipara le parti del patto civile di solidarietà ai coniugi. In alcuni settori prevede un’assimilazione allo stato coniugale solo per patti costituiti da almeno 2 anni (es. diritto al lavoro, art. 12, comma 2; militari e forze dell’ordine, art. 13, comma 1)

Obblighi

 

 

L’art. 7 afferma il dovere di ciascun contraente del patto civile di solidarietà di collaborare alla vita di coppia in ragione delle proprie capacità e possibilità (comma 1).

 

 

L’art. 3 afferma che le persone componenti l'unione di fatto hanno il dovere di assicurarsi reciproche assistenza e solidarietà morali e materiali, in ragione delle proprie possibilità e capacità, e a garantire il mantenimento, l'istruzione e la formazione degli eventuali figli (comma 1).

La disposizione precisa inoltre che i componenti l’unione fissano la residenza dell'unione di fatto secondo le esigenze preminenti dell'unione e stabiliscono insieme gli indirizzi della loro vita comune. A ciascun componente spetta il potere di attuare gli indirizzi concordati (comma 2).

 

L’art. 7 afferma il dovere di ciascun contraente del patto civile di solidarietà di collaborare alla vita di coppia in ragione delle proprie capacità e possibilità (comma 1).

Cognome

 

L’art. 2 della proposta stabilisce che i contraenti mantengono ciascuno il proprio cognome, salvo che, all'atto della celebrazione dell'unione civile, stabiliscano che uno dei due, o entrambi, aggiungano al cognome dell'uno quello dell'altro.

 

 

 

 

 

 

Adozione

E’ consentita. Si ricorda chele parti dell’unione civile possono essere persone dello stesso sesso; l’adozione è consentita a parità di condizione con le coppie di coniugi (art. 1, che introduce l’art. 455-decies nel codice civile).

E’ esclusa. L’art. 3, comma 3, esclude che le disposizioni che regolano l’adozione di minori da parte dei coniugi si applichino alle unioni civili.

 

 

 

 

 

 

Cittadinanza

L’art. 2 novella la legge sulla cittadinanza (91/1992) stabilendo che la parte dell'unione civile, straniero o apolide, legata a un cittadino italiano acquista la cittadinanza quando risiede in Italia da almeno due anni dalla data della stipulazione dell'unione civile.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 20, comma 2, novella la legge sulla cittadinanza (91/1992) stabilendo che lo straniero o l'apolide che ha stipulato un patto civile di solidarietà da almeno cinque anni con un cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando ha risieduto nello stesso periodo legalmente in Italia.

 

 

 

 

L’art. 20 comma 2 novella la legge sulla cittadinanza (91/1992) stabilendo che lo straniero o l'apolide che ha stipulato un patto civile di solidarietà da almeno cinque anni con un cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando ha risieduto nello stesso periodo legalmente in Italia.

Permesso di soggiorno

 

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 20, comma 1, novella il TU immigrazione (d.lgs. 286/1998) equiparando, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, il matrimonio al patto civile di solidarietà. Conseguentemente, il permesso è rilasciato anche agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto un patto civile di solidarietà con cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti.

 

 

 

L’art. 5 novella il TU immigrazione (d.lgs. 286/1998) inserendovi l’art. 30-bis (Permesso di soggiorno per i conviventi). Per il rilascio del permesso di soggiorno è richiesta una convivenza (provata dalle risultanze anagrafiche) ininterrotta da almeno 9 anni.

L’art. 20, comma 1, novella il TU immigrazione (d.lgs. 286/1998) equiparando, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, il matrimonio al patto civile di solidarietà. Conseguentemente, il permesso è rilasciato anche agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto un patto civile di solidarietà con cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti.

Assistenza sanitaria e penitenziaria

L’art. 3 estende alle parti dell’unione civile tutti i diritti e i doveri spettanti al coniuge relativi all'assistenza sanitaria e penitenziaria.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 15 estende alle parti di un patto civile di solidarietà tutti i diritti e i doveri spettanti al coniuge relativi all'assistenza sanitaria e penitenziaria.

 

L’art. 3 afferma che in caso di malattia o di ricovero del convivente, l'altro convivente ha diritto di visitarlo e di accudirlo secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate.

L’art. 5, comma 1, estende alle parti componenti l’unione di fatto tutti i diritti e i doveri spettanti al coniuge relativi all'assistenza sanitaria e penitenziaria.

L’art. 7 (Assistenza in caso di ricovero di conviventi) demanda alle strutture ospedaliere la disciplina dell’esercizio del diritto di accesso del convivente per fini di visita e di assistenza; è richiesta una convivenza (provata dalle risultanze anagrafiche) ininterrotta da almeno 9 anni. La disposizione prevede inoltre che entro 2 mesi, con DPCM, sia modificata la «Carta dei servizi pubblici sanitari».

L’art. 9 (Modifiche all'articolo 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di colloqui, corrispondenza e informazione del convivente detenuto o internato) novella l’ordinamento penitenziario accordando particolare favore ai colloqui con il convivente purché si tratti di convivenza (provata dalle risultanze anagrafiche) ininterrotta da almeno 9 anni; i medesimi presupposti sono richiesti per autorizzare i colloqui telefonici.

L’art. 15 estende alle parti di un patto civile di solidarietà tutti i diritti e i doveri spettanti al coniuge relativi all'assistenza sanitaria e penitenziaria.

Interdizione e inabilitazione;
amministratore di sostegno

L’art. 4 novella l’art. 712 del codice di procedura civile per inserire anche i dati sulla parte dell’unione civile nella domanda di interdizione o inabilitazione. Si ricorda infatti che ai sensi dell’art. 417 c.c. già attualmente l’istanza può essere presentata dalla persona stabilmente convivente.

La disposizione aggiunge che ciascuna delle parti dell'unione civile può, ove sussistano le condizioni richieste dalla legge, assumere la tutela o la curatela dell'altra parte dichiarata interdetta o inabilitata (comma 2).

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 21, comma 2, novella le disposizioni del codice civile sull’amministratore di sostegno per equiparare al coniuge la persona legata un patto civile di solidarietà (nuovo art. 403-bis c.c.)

 

 

 

 

L’art. 21, comma 2, novella le disposizioni del codice civile sull’amministratore di sostegno per equiparare al coniuge la persona legata un patto civile di solidarietà, da un’unione civile o registrata o da altro istituto affine (nuovo art. 403-bis c.c.).

Provvedimenti in caso di incapacità e di decesso

L’art. 5 dispone che - in assenza di diverse volontà espresse per iscritto - se una delle parti dell’unione civile si trova in condizioni di incapacità di intendere e di volere, anche temporanea, o di decesso, tutte le decisioni relative allo stato di salute, o riguardanti l'eventuale donazione di organi, le scelte di natura religiosa, culturale e morale e concernenti le celebrazioni funerarie, sono prese dall'altra parte dell'unione civile.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 10 dispone che - in assenza di diverse volontà espresse per iscritto ovvero di procura sanitaria - se una delle parti del patto civile di solidarietà si trova in condizioni di incapacità di intendere e di volere, anche temporanea, o di decesso, tutte le decisioni relative allo stato di salute, o riguardanti l'eventuale donazione di organi, le scelte di natura religiosa, culturale e morale e concernenti le celebrazioni funerarie, sono prese dall'altro contraente, sentiti gli ascendenti e i discendenti dell’interessato.

 

L’art. 4 stabilisce che ciascun convivente può designare l’altro quale suo rappresentante per assumere decisioni in caso di malattia (decisioni in materia di salute) o di decesso (decisioni sulla donazione degli organi, sul trattamento del corpo e sulle celebrazioni funerarie). La designazione deve avere forma scritta e autografaovvero avvenire in presenza di due testimoni.

L’art. 5, comma 2, stabilisce che ciascun componente l'unione di fatto può designare l'altro come persona di fiducia per l'assunzione di decisioni in materia di salute o riguardanti l'eventuale donazione di organi ovvero le scelte di natura religiosa, culturale e morale conseguenti alla propria morte, comprese le celebrazioni funerarie. La designazione deve essere effettuata con atto scritto e autografo.

L’art. 6 novella la legge n. 91/99 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti) introducendovi l’art. 4-bis (Decisioni dei conviventi in materia di salute e in caso di morte). La convivenza (provata dalle risultanze anagrafiche) ininterrotta da almeno 9 anni consente al convivente di designare il partner quale rappresentante in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere nonché in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

L’art. 10 dispone che - in assenza di diverse volontà espresse per iscritto ovvero di procura sanitaria - se una delle parti del patto civile di solidarietà si trova in condizioni di incapacità di intendere e di volere, anche temporanea, o di decesso, tutte le decisioni relative allo stato di salute, o riguardanti l'eventuale donazione di organi, le scelte di natura religiosa, culturale e morale e concernenti le celebrazioni funerarie, sono prese dall'altro contraente, sentiti gli ascendenti e i discendenti dell’interessato.

Impresa familiare

L’art. 6 novella l’art. 230-bis del codice civile (Impresa familiare) aggiungendovi che ciascuna delle parti di un'unione civile che ha prestato attività lavorativa continuativa nell'impresa di cui è titolare l'altra parte può rivolgersi al giudice per chiedere il riconoscimento della partecipazione agli utili dell'impresa.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 21 novella l’art. 230-bis del codice civile (Impresa familiare) inserendo la persona legata da un patto civile di solidarietà tra i familiari cui si riferisce la disposizione.

 

 

 

L’art. 2 novella il codice civile inserendovi l’art. 230-ter (Agevolazioni e tutela del convivente in materia di lavoro). In caso di convivenza (provata dalle risultanze anagrafiche) ininterrotta da almeno 9 anni, il convivente che ha prestato attività lavorativa continuativa nell'impresa di cui sia titolare l'altro convivente, può chiedere - salvo che l'attività medesima si basi su di un diverso rapporto - il riconoscimento della partecipazione agli utili dell'impresa in proporzione dell'apporto fornito.

L’art. 21 novella l’art. 230-bis del codice civile (Impresa familiare) inserendo la persona legata da un patto civile di solidarietà, da un’unione civile o registrata o da altro istituto affine tra i familiari cui si riferisce la disposizione.

Successioni

L’art. 7 equipara anche ai fini della successione legittima lo status di parte dell’unione civile a quello di coniuge (comma 1). Conseguentemente dispone che nel libro II del codice civile ogni riferimento al coniuge si consideri esteso anche alla parte di un’unione civile (comma 2).

L’art. 21 disciplina il concorso tra il coniuge separato e la parte dell'unione civile in caso di successione, novellando l’art. 548 del codice civile.

La disposizione stabilisce che se chi muore lascia il coniuge separato con sentenza passata in giudicato e la parte dell'unione civile, a quest'ultima è riservato un quarto del patrimonio, al coniuge separato la metà. Quando chi muore lascia altresì un figlio legittimo o naturale, alla parte dell'unione civile è riservato un quinto del patrimonio. Se i figli sono più di uno, un ottavo del patrimonio spetta alla parte dell'unione civile.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 11, comma 1, equipara anche ai fini della successione legittima lo status di persona legata al defunto da un patto civile di solidarietà a quello di coniuge (comma 1).

 

 

La proposta di legge (art. 8) delega il Governo a disciplinare l'attribuzione ai componenti le unioni di fatto di benefìci in materia di successione.

Entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge il Governo dovrà approvare decreti legislativi che rispettino i seguenti principi e criteri direttivi:

-                    proporzionalità del beneficio concesso alla durata del rapporto, che comunque non può essere inferiore a sette anni, decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione dell’unione di fatto;

-                    continuità e sufficiente stabilità dell'unione di fatto;

-                    salvaguardia dei diritti eventualmente spettanti ad altri soggetti.

L’art. 1 novella il codice civile inserendo nel libro II (Delle successioni) il capo II-bis (Della successione del convivente), composto degli articoli da 585-bis a 585-sexies.

La convivenza (provata dalle risultanze anagrafiche) ininterrotta da almeno 9 anni consente al convivente di concorrere alla successione legittima dell'altro convivente (art. 585-bis).

In caso di concorso con figli, il convivente ha diritto a un terzo dell'eredità se alla successione concorre un solo figlio e a un quarto dell'eredità se concorrono due o più figli (art. 585-ter).

In caso di concorso con ascendenti, fratelli o sorelle, il convivente ha diritto alla metà dell'eredità in caso di concorso con ascendenti legittimi o con fratelli o con sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri (art. 585-quater).

In caso di concorso con parenti entro il terzo grado – e in mancanza di figli, di ascendenti, di fratelli o di sorelle - al convivente sono devoluti i due terzi dell'eredità e, in assenza di altri parenti entro il terzo grado in linea collaterale, è devoluta l'intera eredità (art. 585-quinquies).

L’art. 11, comma 1, equipara anche ai fini della successione legittima lo status di persona legata al defunto da un patto civile di solidarietà a quello di coniuge (comma 1).

Obblighi alimentari

L’art. 455-octies del codice civile (introdotto dall’art. 1), oltre a prevedere all’atto di scioglimento dell’unione, che il giudice possa disporre l’obbligo per una delle parti di corrispondere all’altra – per massimo 2 anni – l’assegno di mantenimento, precisa (comma 6) che nell'anno intercorrente tra la presentazione della richiesta di scioglimento e lo scioglimento dell'unione civile, le parti sono tenute agli obblighi alimentari di cui al titolo XIII del libro I del codice.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 21 novella le disposizioni del codice civile sugli alimenti per:

-     inserire la persona legata da patto civile di solidarietà tra le persone obbligate, alla stregua del coniuge (art. 433 c.c.);

-     stabilire che la persona che è stata legata da un patto civile di solidarietà è tenuta a prestare gli alimenti all'altra parte contraente, fino al termine di due anni dallo scioglimento del patto. L'obbligo di prestare gli alimenti cessa comunque nel momento in cui l'avente diritto contrae matrimonio o un nuovo patto civile di solidarietà (art. 438 c.c.).

 

L’art. 7 dispone che se uno dei conviventi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, l’altro convivente è tenuto a prestare gli alimenti oltre la cessazione della convivenza, con precedenza sugli altri obbligati, per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza medesima.

L’art. 10 dispone che se uno dei componenti l’unione di fatto versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, l’altro componente è tenuto a prestare gli alimenti oltre la cessazione dell’unione, per due anni. L’obbligo cessa se l’avente diritto contrae matrimonio o costituisce una nuova unione di fatto.

L’art. 3 novella il codice civile introducendovi l’art. 433-bis (Obblighi alimentari del convivente). La convivenza (provata dalle risultanze anagrafiche) ininterrotta da almeno 9 anni obbliga il convivente a prestare all'altro convivente gli alimenti nell'ipotesi in cui questi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. L’obbligo permane anche oltre la cessazione della convivenza, per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza stessa; l’obbligo cessa se l’avente diritto contrae matrimonio o inizia una nuova convivenza.

L’art. 21 (commi 3 e 4) novella le disposizioni del codice civile sugli alimenti per:

-     inserire la persona legata da patto civile di solidarietà, da unione civile o registrata o da altro istituto affine, tra le persone obbligate, alla stregua del coniuge (art. 433 c.c.);

-     stabilire che la medesima persona è tenuta a prestare gli alimenti all'altra parte contraente, fino al termine di due anni dallo scioglimento del patto. L'obbligo di prestare gli alimenti cessa comunque nel momento in cui l'avente diritto contrae matrimonio o un nuovo patto civile di solidarietà o una nuova unione civile o registrata (art. 438 c.c.).

Regime fiscale

L’art. 8 precisa che l’equiparazione con il nucleo familiare opera anche rispetto alle agevolazioni ed agli oneri previsti dalla normativa fiscale.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 14 comma 1 afferma che le persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile e costituito da almeno due anni sono equiparate agli appartenenti ad un nucleo familiare per quanto riguarda la disciplina fiscale.

 

 

 

 

L’art. 14 comma 1 afferma che le persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile e costituito da almeno due anni sono equiparate agli appartenenti ad un nucleo familiare per quanto riguarda la disciplina fiscale.

Previdenza

L’art. 9 disciplina le conseguenze previdenziali e pensionistiche dell'unione civile, equiparando le parti di questa unione con i membri del nucleo familiare (comma 1). La disposizione precisa (comma 2) che in caso di morte di una parte dell'unione civile nel corso dell'anno intercorrente tra la presentazione della richiesta di scioglimento e lo scioglimento dell'unione, la parte superstite ha diritto all'erogazione della pensione di reversibilità fino allo scioglimento stesso.

L’art. 20 novella l’art. 9 della legge sul divorzio (898/1970) per quanto concerne la pensione di reversibilità per aggiungere ad ogni riferimento al coniuge quello alla parte dell’unione civile.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 14, comma 2, afferma che le persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile e costituito da almeno due anni sono equiparate agli appartenenti ad un nucleo familiare ai fini previdenziali e pensionistici, ivi compresa la pensione di reversibilità.

 

 

 

 

L’art. 14, comma 2, afferma che le persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto nel registro dello stato civile e costituito da almeno due anni sono equiparate agli appartenenti ad un nucleo familiare ai fini previdenziali e pensionistici, ivi compresa la pensione di reversibilità.

Risarcimento danni da illecito

L’art. 10 disciplina il risarcimento del danno causato da fatto illecito da cui è derivata la morte di una delle parti dell'unione civile, per equiparare la parte superstite al coniuge superstite.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

 

 

 

 

 

 

Servizio militare e civile; forze armate

L’art. 11 equipara l’appartenenza all’unione civile all’appartenenza al nucleo familiare ai fini degli esoneri, delle dispense e delle agevolazioni relativi al servizio militare volontario, al servizio civile o all'impiego nelle Forze armate.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2)..

L’art. 13 equipara i contraenti di un patto civile di solidarietà costituito da almeno due anni agli appartenenti al nucleo familiare ai fini degli esoneri, delle dispense, delle agevolazioni e delle indennità relative ai militari in servizio o all'impiego nelle Forze dell’ordine.

 

 

 

 

L’art. 13 equipara i contraenti di un patto civile di solidarietà costituito da almeno due anni agli appartenenti al nucleo familiare ai fini degli esoneri, delle dispense, delle agevolazioni e delle indennità relative ai militari in servizio o all'impiego nelle Forze dell’ordine.

Diritto di abitazione

 

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2).

L’art. 11 riserva al contraente di un patto civile di solidarietà che sopravvive all’altro il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che l'arredano, se di proprietà del defunto o comuni, sia in caso di successione legittima sia nel caso di successione testamentaria. Il diritto è riconosciuto per un anno.

 

L’art. 5, in caso di morte di uno dei conviventi, riconosce il diritto vitalizio di abitazione nella casa ove convivevano (se di proprietà del defunto) al convivente superstite. Il diritto cessa in caso di matrimonio o d'inizio di una nuova convivenza.

L’art. 6, comma 2, in caso di morte di uno dei componenti l’unione di fatto, riconosce al superstite il diritto di abitare nell’immobile adibito a residenza comune (se di proprietà del defunto).

L’art. 1 introduce nel codice civile l’art. 585-sexies (Diritti del convivente) che attribuisce al convivente (decorsi nove anni dall'inizio della convivenza e fatti salvi i diritti dei legittimari), i diritti di abitazione nella casa adibita a residenza della convivenza e di uso dei mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

L’art. 11 riserva al contraente di un patto civile di solidarietà che sopravvive all’altro il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che l'arredano, se di proprietà del defunto o comuni, sia in caso di successione legittima sia nel caso di successione testamentaria. Il diritto è riconosciuto per un anno.

Edilizia residenziale pubblica

L’art. 13 equipara l’appartenenza al nucleo familiare all’appartenenza all’unione civile ai fini delle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2).

 

 

 

L’art. 7 equipara l’appartenenza al nucleo familiare all’appartenenza all’unione di fatto ai fini delle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.

L’art. 8 novella l’art. 2 del DPR 1035/1972 in materia di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica. La disposizione stabilisce che nell’assegnazione di un alloggio le regioni e le province autonome debbano tener conto anche dello stato di convivenza, purché sia provato dalle risultanze anagrafiche e sia protratto da almeno 9 anni.

 

Locazione

L’art. 12 novella la legge sulle locazioni (392/1978) per estendere al convivente la successione nel contratto di locazione attualmente prevista per i familiari e per porre a carico del conduttore l’onere di comunicare al locatore eventuali matrimoni, unioni civili o convivenze di fatto.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2).

L’art. 22 novella la legge sulle locazioni (392/1978) per estendere, in caso di decesso del conduttore, al contraente un patto civile di solidarietà la successione nel contratto di locazione attualmente prevista per i familiari del conduttore.

 

L’art. 6 dispone che laddove il convivente conduttore intenda risolvere anticipatamente il contratto di locazione dell’abitazione adibita a comune residenza, l’altro convivente possa succedergli nel contratto.

In presenza di figli non rileva la durata triennale della convivenza.

L’art. 6 dispone che in caso di abbandono della comune residenza o di decesso del componente l'unione di fatto che risulta locatario, l'altro componente subentra nella titolarità del contratto di locazione.

L’art. 4 novella l’art. 6 della legge 392/1978 consentendo al convivente di succedere del contratto di locazione, con il medesimo titolo, in caso di morte del convivente conduttore, purché la convivenza (provata dalle risultanze anagrafiche) risulti ininterrotta da almeno 3 anni.

L’art. 22 novella la legge sulle locazioni (392/1978) per estendere, in caso di decesso del conduttore, al contraente un patto civile di solidarietà, un’unione civile o registrata, la successione nel contratto di locazione attualmente prevista per i familiari del conduttore.

Disoccupazione

L’art. 14 equipara l’appartenenza al nucleo familiare all’appartenenza all’unione civile ai fini delle graduatorie occupazionali o per l'inserimento in categorie privilegiate di disoccupati.

Si applicano le disposizioni relative al matrimonio civile (art. 1, comma 2).

L’art. 12, comma 1, equipara i contraenti di un patto civile di solidarietà costituito da almeno due anni agli appartenenti al nucleo familiare ai fini delle graduatorie occupazionali o per l'inserimento in categorie privilegiate di disoccupati.

L’art. 12, comma 2, equipara i contraenti di un patto civile di solidarietà costituito da almeno due anni ai coniugi ai fini dei titoli di preferenza nello svolgimento di un concorso pubblico.

 

 

L’art. 7 equipara l’appartenenza all’unione di fatto all’appartenenza al nucleo familiare ai fini delle graduatorie occupazionali.

 

L’art. 12, comma 1, equipara i contraenti di un patto civile di solidarietà costituito da almeno due anni agli appartenenti al nucleo familiare ai fini delle graduatorie occupazionali o per l'inserimento in categorie privilegiate di disoccupati.

L’art. 12, comma 2, equipara i contraenti di un patto civile di solidarietà costituito da almeno due anni ai coniugi ai fini dei titoli di preferenza nello svolgimento di un concorso pubblico.

Lavoro

L’art. 15 equipara le parti dell’unione civile ai coniugi ai fini dei diritti, delle facoltà e dei benefìci previdenziali e assistenziali o comunque connessi alle diverse tipologie di contratto di lavoro subordinato o atipico, di formazione o di tirocinio, ovvero alla sussistenza di un'attività di lavoro autonomo.

L’art. 4 stabilisce che le disposizioni dei contratti collettivi di lavoro dirette a garantire l'assolvimento dell'obbligo di reciproca assistenza, relative al matrimonio e al coniuge del lavoratore, si applicano anche all'unione civile.

L’art. 14 equipara le persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto da almeno due anni nel registro dello stato civile ai coniugi  ai fini dei diritti connessi al rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato o alla sussistenza di un'attività di lavoro autonomo.

 

 

 

 

L’art. 14 equipara le persone legate da un patto civile di solidarietà iscritto da almeno due anni nel registro dello stato civile ai coniugi  ai fini dei diritti connessi al rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato o alla sussistenza di un'attività di lavoro autonomo.

Novelle al codice penale

L’art. 16, comma 1, novella l’art. 307 c.p. (Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata) per introdurre una causa di non punibilità per chi commette il fatto in favore della parte dell'unione civile.

 

L’art. 23, comma 1, novella l’art. 307 c.p. (Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata) per introdurre una causa di non punibilità per chi commette il fatto in favore dell’altra parte di un patto civile di solidarietà, ovvero della persona cui è legato da un’unione di fatto.

 

 

 

 

L’art. 23, comma 1, novella l’art. 307 c.p. (Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata) per introdurre una causa di non punibilità per chi commette il fatto in favore dell’altra parte di un patto civile di solidarietà, ovvero della persona cui è legato da un’unione civile o registrata o altro istituto affine.

 

L’art. 16, comma 2, novella l’art. 384 c.p. relativo ai casi di non punibilità per i delitti contro l’attività giudiziaria, per aggiungere la non punibilità di chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare la parte dell’unione civile da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.

 

L’art. 23, comma 2, novella l’art. 384 c.p. relativo ai casi di non punibilità per i delitti contro l’attività giudiziaria, per aggiungere la non punibilità di chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare la parte di un patto civile di solidarietà o la persona cui è legato da un’unione di fatto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.

 

 

 

 

L’art. 23, comma 2, novella l’art. 384 c.p. relativo ai casi di non punibilità per i delitti contro l’attività giudiziaria, per aggiungere la non punibilità di chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare l’altra parte di un patto civile di solidarietà, di un’unione civile o registrata o di altro istituto affine da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.

Novelle al codice di procedura penale

L’art. 17 novella l’art. 199 c.p.p. (Facoltà di astensione dei prossimi congiunti) per inserire tra i soggetti che non sono obbligati a deporre, oltre ai prossimi congiunti dell’imputato, anche la parte dell’unione civile.

 

L’art. 24 novella l’art. 199 c.p.p. (Facoltà di astensione dei prossimi congiunti) per inserire tra i soggetti che non sono obbligati a deporre, oltre ai prossimi congiunti dell’imputato, anche l’altra parte un patto civile di solidarietà o la persona legata da un'unione di fatto con l'imputato o con uno dei coimputati del medesimo reato.

 

 

 

 

L’art. 24 novella l’art. 199 c.p.p. (Facoltà di astensione dei prossimi congiunti) per inserire tra i soggetti che non sono obbligati a deporre, oltre ai prossimi congiunti dell’imputato, anche l'altra parte di un patto civile di solidarietà, di un'unione civile o registrata o di altro istituto affine contratto con l'imputato o con uno dei coimputati del medesimo reato.

Ulteriori novelle al codice civile

 

 

L’art. 21 novella l’art. 2941 c.c. in tema di sospensione della prescrizione per rapporti tra le parti, per inserire accanto ai coniugi le persone legate da patto civile di solidarietà.

 

 

 

 

L’art. 21 novella l’art. 2941 c.c. in tema di sospensione della prescrizione per rapporti tra le parti, per inserire accanto ai coniugi le persone legate da patto civile di solidarietà, da unione civile o registrata o da altro istituto affine.

Diritto internazionale privato

L’art. 23, rinviando alle disposizioni in materia di diritto internazionale privato, contiene il riconoscimento delle unioni civili o degli istituti equivalenti contratti all'estero dal cittadino italiano o dal cittadino straniero e afferma che gli effetti giuridici prodotti da tali istituti sono opponibili nel territorio italiano. Il comma 4 aggiunge che le disposizioni delle convenzioni internazionali in materia di matrimonio e diritti di successione si applicano bilateralmente, ove possibile, previo espresso consenso dell’altro Stato contraente, in relazione all’unione civile.

L’art. 24 stabilisce che entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge il Ministero degli esteri avvia contatti bilaterali con gli omologhi organi stranieri per il reciproco riconoscimento degli istituti atti a disciplinare le diverse forme familiari e di convivenza e per l'applicazione bilaterale delle convenzioni internazionali in materia di matrimonio e diritti di successione nonché nelle altre materie relative al diritto di famiglia.

L’art. 5 afferma che le disposizioni dei trattati internazionali relative al matrimonio non possono essere applicate all'unione civile senza il consenso dell'altro Stato contraente.

L’art. 19 novella le disposizioni di diritto internazionale privato contenute nella legge 218/1995 per:

- affermare il principio in base al quale la capacità per costituire un patto civile di solidarietà, un'unione civile o registrata o un altro istituto affine e le altre condizioni per la loro validità sono regolate dalla legge del luogo ove il patto è stato concluso o l'unione è sorta (art. 27-bis);

- aggiungere nella disposizione relativa alla forma del matrimonio (art. 28) il riferimento al patto civile di solidarietà, all'unione civile o registrata e ad ogni altro istituto affine;

- disciplinare i rapporti personali e patrimoniali tra soggetti uniti da patto civile di solidarietà o da unione civile o registrata  (art. 30-bis), rinviando in generale alla legge nazionale comune ovvero, in mancanza, alla legge dello Stato ove il patto è stato concluso o l'unione è stata celebrata;

- disciplinare lo scioglimento del patto civile di solidarietà e dell’unione civile o registrata (art. 31-bis), rinviando alla legge nazionale comune delle parti contraenti al momento della domanda di scioglimento e, in mancanza, alla legge dello Stato ove il patto è stato concluso o l'unione è stata celebrata;

- individuare la giurisdizione in materia di nullità, annullamento, separazione personale e scioglimento del matrimonio, del patto civile di solidarietà e dell'unione civile o registrata (art. 32).

 

 

 

 

L’art. 19 novella le disposizioni di diritto internazionale privato contenute nella legge 218/1995 per:

- affermare il principio in base al quale la capacità per costituire un patto civile di solidarietà, un'unione civile o registrata o un altro istituto affine e le altre condizioni per la loro validità sono regolate dalla legge del luogo ove il patto è stato concluso o l'unione è sorta (art. 27-bis);

- aggiungere nella disposizione relativa alla forma del matrimonio (art. 28) il riferimento al patto civile di solidarietà, all'unione civile o registrata e ad ogni altro istituto affine;

- disciplinare i rapporti personali e patrimoniali tra soggetti uniti da patto civile di solidarietà o da unione civile o registrata  (art. 30-bis), rinviando in generale alla legge nazionale comune ovvero, in mancanza, alla legge dello Stato ove il patto è stato concluso o l'unione è stata celebrata;

- disciplinare lo scioglimento del patto civile di solidarietà e dell’unione civile o registrata (art. 31-bis), rinviando alla legge nazionale comune delle parti contraenti al momento della domanda di scioglimento e, in mancanza, alla legge dello Stato ove il patto è stato concluso o l'unione è stata celebrata;

- individuare la giurisdizione in materia di nullità, annullamento, separazione personale e scioglimento del matrimonio, del patto civile di solidarietà e dell'unione civile o registrata (art. 32).


 



[1]    I dati citati sono costituiti dalla somma del totale delle libere unioni di celibi e nubili con il totale delle cd. famiglie ricostituite non coniugate (ovvero ricostituite dopo la separazione). Fonte ISTAT, Strutture familiari e opinioni su famiglia e figli, Indagine multiscopo sulle famiglie, anno 2003; collana “Informazioni” n. 18/2006. Per gli ultimi dati si è fatto riferimento al report statistico ISTAT del 15 settembre 2011 dal titolo “Come cambiano le famiglie. Anno 2009”.

[2]    Sentenze 45/1980, 237/1986, 404 e 423 del 1988, ordinanze 313 e 491 del 2000, sentenze 352/2000 e 204/2003

[3]     La Corte di Cassazione ha, ad esempio, affermato che per estendere alla convivenza more uxorio alcuni degli istituti previsti nell’ambito della famiglia legittima occorre la rigorosa dimostrazione di una comunanza spirituale (di vita e di interessi) ed economica analoga a quella propria del rapporto coniugale, che, se non richiede necessariamente le note dell'apparenza e della notorietà e può essere data in via presuntiva, deve essere idonea ad escludere la sussistenza di un rapporto meramente affettivo e sessuale” (Sez. Lav., sent. n. 7486 del 1986).

[4]    La Corte costituzionale ha infatti affermato (in occasione di una decisione in materia di assegnazione della casa familiare) che la condizione giuridica dei genitori in relazione al vincolo coniugale “non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché quell’insieme di regole che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano nell’obbligo di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore trova fondamento nell’art. 30 della Costituzione che richiama i genitori all’obbligo di responsabilità” (sent. 166 del 1998).

[5]     Il primo comma dell’articolo 2034 c.c. dispone che «Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace». Anche la dazione di denaro da parte di uno degli ex partner in favore dell’altro, all’atto della separazione, viene ricondotta dalla Corte di cassazione all’adempimento di una obbligazione naturale, con la conseguenza che la somma non può poi essere chiesta in restituzione, né dedotta in compensazione da parte del solvens (Sez. III, sent. n. 285 del 1989).

[6]     Dichiarando manifestamente infondata una questione di costituzionalità dell’art. 230-bis, nella parte in cui esclude dall'ambito dei soggetti tutelati il convivente more uxorio, la Cassazione ha affermato che “l'art. 230-bis c.c., che disciplina l'impresa familiare, costituisce norma eccezionale, in quanto si pone come eccezione rispetto alle norme generali in tema di prestazioni lavorative ed è pertanto insuscettibile di interpretazione analogica” e che l’elemento saliente dell'impresa familiare “è la famiglia legittima, individuata nei più stretti congiunti, e che un'equiparazione fra coniuge e convivente si pone in contrasto con la circostanza che il matrimonio determina a carico dei coniugi conseguenze perenni ed ineludibili (quale il dovere di mantenimento o di alimenti al coniuge, che persiste anche dopo il divorzio), mentre la convivenza è una situazione di fatto caratterizzata dalla precarietà e dalla revocabilità unilaterale ad nutum".

[7]     In merito si vedano anche Sez. Lav., sent. n. 3585 del 1976; Sez. Lav., sent. n. 1024 del 1978 (“l'attività lavorativa svolta da una persona a favore di un'altra, con lei convivente more uxorio, deve presumersi resa a causa di affetto o di benevolenza, e perciò non costitutiva di un rapporto di lavoro, col relativo diritto alla retribuzione. La presunzione può ritenersi vinta solo se risulti che le persone abbiano inteso obbligarsi, rispettivamente ad un lavoro e ad un compenso, si che tra le due prestazioni sussista un nesso sinallagmatico”); Sez. Lav., sent. n. 3012 del 1978; Sez. Lav., sent. n. 4221 del 1979; Sez. Lav., sent. n. 5373 del 1983 (“per poter ritenere estensibile la presunzione di gratuità, che assiste le prestazioni lavorative svolte nell'ambito di comunità familiari, alla convivenza more uxorio, occorre la rigorosa dimostrazione di una comunanza spirituale ed economica analoga a quella propria del rapporto coniugale, che, se non richiede necessariamente le note dell'apparenza e della notorietà e può essere data in via presuntiva, deve essere idonea ad escludere la sussistenza di un rapporto meramente affettivo e sessuale”).

[8]     Alcuni legislatori regionali prevedono invece una reversibilità a favore del convivente delle indennità corrisposte ai consiglieri regionali: cfr. ad esempi, L.R. Friuli-Venezia Giulia, 13 settembre 1995, n. 38, Disposizioni in materia di trattamento indennitario dei consiglieri regionali (art. 16); L.R. Lazio 2 maggio 1995, n. 19, Disposizioni in materia di indennità dei consiglieri regionali (art. 12).

[9]    I P.A.C.S.,introdotti in Francia con legge n. 99-944 del 15 novembre 1999 (Du pacte civil de solidarité et du concubinage), sono contratti conclusi tra due adulti di sesso diverso o dello stesso sesso per disciplinare e organizzare la loro vita in comune. Si tratta di una negoziazione dei termini dell'unione da parte dei due partner che prevedono reciproci diritti di rilevanza pubblicistica (non dà, però, diritto di adozione), regolazione del rapporto di locazione, misure fiscali, ecc…, e in cui il ruolo del pubblico ufficiale è limitato alla registrazione. Il Pacs è “concluso” con una dichiarazione congiunta scritta alla cancelleria del Tribunale presso cui il testo della convenzione è tenuto in un apposito registro. Il contratto, che non modifica lo stato civile dei contraenti, termina con la morte di uno dei due conviventi e può essere sciolto con dichiarazione congiunta (dopo 3 mesi dalla richiesta) o semplicemente con il matrimonio eterosessuale. I benefici del welfare e la riduzione delle tasse si acquisiscono dopo tre anni dalla stipulazione.

[10]    L’ordinanza conferma la linea interpretativa tracciata dalle sentenze nn. 6 del 1977, 237 del 1986 e 8 del 1996. In quest’ultima decisione la Corte ha affermato che le questioni che le vengono sottoposte mirano “a una decisione additiva che manifestamente eccede i poteri della Corte costituzionale a danno di quelli riservati al legislatore. Innanzitutto, l'estensione di cause di non punibilità, le quali costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria: un giudizio che è da riconoscersi ed è stato riconosciuto da questa Corte appartenere primariamente al legislatore”.

[11]    Decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia, convertito in legge, con modificazioni, con legge 15 marzo 1991, n. 82.

[12]    Legge 4 maggio 1983, n. 184, Diritto del minore ad una famiglia, così come modificata dalla recente l. 28 marzo 2001, n. 149.

[13]    Con la modifica dell’articolo 6 della legge n. 184, con la quale si valorizza la convivenza pre-matrimoniale, il legislatore del 2001 ha accolto un’indicazione della Corte costituzionale. Infatti, nella sentenza n. 281 del 1994, la Corte, pur respingendo la questione di costituzionalità, aveva affermato che non può «negarsi validità alla suggestiva considerazione che, proprio ai fini della tutela dell'interesse del minore, la solidità di una vita matrimoniale potrebbe risultare, oltre che da una convivenza successiva alle nozze protratta per alcuni anni, anche da un più lungo periodo, anteriore alle nozze, caratterizzato da una stabile e completa comunione materiale e spirituale di vita della coppia stessa, che assuma poi col matrimonio forza vincolante. Pertanto, fermo restando questo primo e indeclinabile presupposto matrimoniale (con i diritti e doveri che ne conseguono), la scelta potrebbe, eventualmente, cadere anche su coniugi sposati da meno di tre anni, ma con una consistente convivenza more uxorio precedente alle nozze».

[14]    Legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita.

[15]    “Art. 215 - §1 - Uno dei due sposi non può, senza accordo dell’altro, disporre fra vivi a titolo oneroso o gratuito dei diritti che possiede sull’immobile adibito ad alloggio principale della famiglia, né ipotecare tale immobile.

Senza lo stesso accordo egli non può disporre fra vivi a titolo oneroso o gratuito dei mobili che occupano l’immobile adibito ad alloggio principale della famiglia, né darli in pegno.

Se lo sposo il cui accordo è necessario lo rifiuta senza motivi gravi, l’altro può farsi autorizzare dal tribunale di prima istanza e, in caso di urgenza, dal presidente di tale tribunale a stipulare l’atto da solo.

§2 - Il diritto alla locazione (bail) dell’immobile locato dall’uno o dall’altro sposo, anche prima del matrimonio, e adibito in tutto o in parte ad alloggio principale della famiglia appartiene congiuntamente agli sposi. Tale norma prevale su qualsiasi patto contrario.

Le disdette e le notifiche relative a tale locazione devono essere indirizzate e consegnate separatamente a ciascuno sposo o emanare da entrambi.

Ciascuno dei due sposi potrà far valere la nullità di tali atti indirizzati e consegnati all’altro o emanati da questo soltanto a condizione che il locatore abbia conoscenza del loro matrimonio.

Ogni contestazione fra loro in merito all’esercizio di tale diritto è risolta dal giudice di pace.

Le disposizioni del presente paragrafo non si applicano né alle locazioni commerciali né a quelle agricole.”

“Art. 220 - §1 - Se uno dei due sposi è assente, interdetto o nell’impossibilità di manifestare la sua volontà, l’altro può farsi autorizzare dal tribunale di prima istanza a stipulare da solo gli atti di cui al §1 dell’art. 215”.

“Art. 224 - § 1 - Sono annullabili su richiesta di uno dei due sposi e senza pregiudizio per la concessione di un eventuale risarcimento dei danni:

1. gli atti compiuti dall’altro sposo in violazione delle disposizioni dell’art. 215”.

[16]Secondo una particolare tecnica di redazione normativa a cui talora ricorre il legislatore tedesco, la Legge sulla convivenza registrata (Lebenspartnerschaftsgesetz) costituisce l’art. 1 della più ampia Legge per la cessazione delle discriminazioni nei confronti delle comunità di ugual sesso.

[17]La originaria proposta della coalizione di governo prevedeva inizialmente un’assimilazione più marcata tra il nuovo istituto e il matrimonio; il progetto iniziale è stato tuttavia scisso in due testi diversi e, in un certo senso, complementari. Soltanto il primo dei due, che raggruppava i principi generali della materia e non necessitava del consenso del Bundesrat, è stato approvato ed è divenuto legge; il secondo, che era destinato ad integrare il dispositivo generale con norme specifiche, non ha ottenuto il necessario consenso politico nel Bundesrat.

[18]   Il link alla legge, riportato alla nota 2, rinvia al testo aggiornato della Lebenspartnerschaftsgesetz, comprensivo non solo della revisione del 2004 ma anche delle modifiche successive.

[19] Le modifiche successive non hanno alterato l’impianto fondamentale della legge, con riferimento ai contenuti esposti nella presente scheda.

[20]   In questo senso, ad esempio, alcune osservazioni sul progetto legislativo indirizzate alla Women Equality Unit. Al riguardo, si veda il documento del novembre 2003 intitolato Responses to Civil Partnership.

[21]   A norma dell’art. 44, le quattro ipotesi in cui la relazione alla base della civil partnership può essere considerata ormai definitivamente compromessa e se ne può decretare lo scioglimento (dissolution), sono individuate, rispettivamente, nel comportamento di uno dei partners tale da far ragionevolmente ritenere che l’altro non possa proseguire la convivenza; che i partners abbiano vissuto separatamente nei due anni precedenti il ricorso, e che vi sia il consenso di entrambi allo scioglimento; che, altrimenti, i medesimi non abbiano convissuto nei precedenti cinque anni; che il ricorrente sia stato abbandonato dall’altro partner per il biennio precedente al ricorso.

[22]    Section 57 - Effect of separation order. If either civil partner dies intestate as respects all or any of his or her real or personal property while (a) a separation order is in force, and (b) the separation is continuing, the property as respects which  he or she died intestate devolves as if the other civil partner had then been dead.

[23]   Art. 32 Cost.: 1.L'uomo e la donna hanno il diritto di contrarre matrimonio in piena eguaglianza giuridica. 2.La legge regolerà le modalità del matrimonio, l'età e la capacità per contrarlo, i diritti e i doveri dei coniugi, le cause di separazione e scioglimento e i loro effetti.

[24]   Dal 1° gennaio 2011 le norme di questo provvedimento sono state trasfuse, con alcune modifiche, nella Ley 25/2010, de 29 de julio, del libro segundo del Código civil de Cataluña, relativo a la persona y la familia.

[25]   Tale limite non è richiesto in presenza di figli nati dalla coppia.

[26]   Del provvedimento è stato avviato l’esame in sede referente da parte della Commissione Giustizia, che lo ha esaminato congiuntamente ad altri disegni di legge. Il 4 dicembre 2007 la Commissione ha adottato come testo base il TU del relatore, e presidente della Commissione, Sen. Salvi (testo che passava dai Di.Co. ai c.d. Cus, Contratti di Unione Solidale, proposti dallo stesso relatore). L’interruzione della legislatura ha impedito la prosecuzione dell’esame.