Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Riforma del Titolo IV della Costituzione A.C. 4275 Lavori della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali (XIII leg.) Resoconti delle sedute in Commissione dal 28 ottobre al 4 novembre 1997 Resoconti delle sedute in Assemblea dal 26 gennaio 1998 al 9 giugno 1998
Riferimenti:
AC N. 4275/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 483    Progressivo: 3
Data: 26/05/2011
Descrittori:
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA   MAGISTRATURA
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia
Altri riferimenti:
AC N. 3931/XIII   AS N. 2853/XIII  

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di

Progetti di legge

Riforma del Titolo IV della Costituzione

A.C. 4275

Lavori della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali (XIII leg.)

Resoconti delle sedute in Commissione
dal 28 ottobre al 4 novembre 1997

Resoconti delle sedute in Assemblea
dal 26 gennaio 1998 al 9 giugno 1998

 

 

 

 

 

n. 483/4

parte IV

 

 

26 maggio 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

AVVERTENZA

 

 

La documentazione raccoglie stralci degli atti parlamentari concernenti i lavori della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (cd. Commissione D’Alema) istituita nella XIII legislatura con legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1.

Le parti stralciate riguardano la riforma del titolo IV della parte II della Costituzione rubricato “La Magistratura” ed oggetto, in particolare, dell’attività del Comitato sul sistema delle garanzie, costituito all’interno della Commissione e presieduto dall’on. Boato.

In tale ambito, con parziale esclusione dei lavori del Comitato sul sistema delle garanzie, sono state selezionate,ove possibile, le parti i cui profili di interesse coincidono con quelli del disegno di legge del Governo AC 4275 “Riforma del Titolo IV della Parte II della Costituzione”, all’esame delle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera.

Nei quattro volumi in cui si articola la documentazione sono contenuti:

§          i resoconti stenografici della sedute della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali;

§          i resoconti sommari del Comitato sul sistema delle garanzie;

§          la discussione, presso l’Assemblea della Camera dei deputati, delle linee generali del progetto di legge costituzionale (AC 3931-A/AS 2583-A).

In particolare,

Ø       Il volume primo contiene i resoconti delle sedute della Commissione bicamerale dall’11 febbraio al 27 maggio 1997;

Ø       Il volume secondo contiene i resoconti del Comitato sistema delle garanzie dal 5 marzo al 7 maggio 1997;

Ø       Il volume terzo contiene i resoconti stenografici delle sedute della Commissione bicamerale dal 3 al 30 giugno 1997, il progetto di legge costituzionale approvato (A.C. 3931 e A.S. 2583) nonché gli emendamenti presentati al Parlamento entro il 30 luglio 1997 (limitatamente a quelli riferiti agli articoli da 119 a 132 del testo approvato);

Ø       Il volume quarto contiene, infine, i resoconti stenografici delle sedute della Commissione bicamerale dal 28 ottobre al 4 novembre 2007 ed il progetto di legge costituzionale come risultante dagli emendamenti approvati (A.C. 3931-A e A.S. 2583-A) nonché la relazione di  minoranza Cossutta; i resoconti stenografici delle sedute dell’Assemblea della Camera dei deputati dal 26 gennaio al 9 giugno 1998 (data di interruzione definitiva dei lavori)

Si ricorda che l’Assemblea della Camera dei deputati, per l’anticipata e definitiva interruzione dei lavori, non ha esaminato l’articolato sul Sistema delle garanzie approvato dalla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, come risultante dagli emendamenti approvati nella sessione autunnale conclusasi il 4 novembre 1997.

I resoconti integrali degli atti parlamentari inerenti i lavori della Commissione D’Alema sono disponibili presso il Servizio Studi della Camera (volumi da I a XVII).

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: GI0558d4.doc


INDICE

 

Commissione parlamentare per le riforme costituzionali

§      Seduta del 28 ottobre 1997 (Seguito dell'esame del progetto di legge costituzionale A.C. 3931 – A.S. 2583)                                                                                                                3

Documenti esaminati nel corso della seduta di martedì 28 ottobre 199747

§      Seduta del 29 ottobre 1997 (Seguito dell'esame del progetto di legge costituzionale A.C. 3931 – A.S. 2583)                                                                                                              53

§      Seduta del 30 ottobre 1997 (Seguito dell'esame del progetto di legge costituzionale A.C. 3931 – A.S. 2583)                                                                                                            125

§      Seduta del 4 novembre 1997 (Seguito dell'esame del progetto di legge costituzionale A.C. 3931 – A.S. 2583)                                                                                                    180

Allegato: Testo risultante dalla pronuncia della Commissione sugli emendamenti         180

§      Progetto di legge costituzionale (A.C. 3931-A e A.S. 2583-A )                   180

Raffronto tra il testo risultante dalla pronuncia della Commissione sugli emendamenti presentati ai sensi del comma 5 dell'articolo 2 della legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, e il testo approvato il 30 giugno 1997                                                                    180

§      Relazione di minoranza                                                                               180

Camera dei deputati: Assemblea

Seduta del 26 gennaio 1998 Inizio della discussione del progetto di legge costituzionale. Revisione della parte seconda della Costituzione (3931)                                       180

Seduta del 27 gennaio 1998 (Seguito della discussione sulle linee generali)      180

Seduta del 28 gennaio 1998 (Seguito della discussione sulle linee generali)      180

Seduta del 30 gennaio 1998 (Conclusione della discussione sulle linee generali)          180

Seduta del 9 giugno 1998 (Comunicazioni del Presidente circa le decisioni assunte dalla Conferenza dei Presidenti di gruppo in merito alla sospensione della discussione in Assemblea del progetto di legge di revisione della parte II della Costituzione          180


Commissione parlamentare per
le riforme costituzionali


 

COMMISSIONE PARLAMENTARE

PER LE RIFORME COSTITUZIONALI

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 

 

 

68.

 

 

Seduta di MARTEdì 28 ottobre 1997

 

presidenza del presidente massimo d’alema

 

 

La seduta comincia alle 11.

 

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione (C. 3931 - S. 2583).

 

(omissis)

 

La seduta, sospesa alle 12,50, è ripresa alle 16,15.

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli da 119 a 133, riferiti alle disposizioni in materia di giustizia (v. allegato Commissione bicamerale).

Ritengo giusto che il relatore spieghi il senso delle modifiche introdotte sulla base dei lavori del Comitato ristretto e degli emendamenti presentati.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Signor presidente, poiché non abbiamo molto tempo a disposizione farò integralmente riferimento al testo della relazione scritta, allegata al verbale della seduta di giugno, per l'illustrazione dell'impianto complessivo dell'articolato.

Mi limiterò ad indicare le modifiche rispetto al testo approvato senza motivarle, anche perché sono convinto che nel corso del dibattito sui vari articoli, i colleghi manifesteranno il loro consenso o dissenso facendo emergere le problematiche su cui, come sempre accade, interverrò o replicherò.

Viene innanzitutto modificato il Titolo VI che non è più intitolato «La magistratura» bensì «La giustizia»; la sezione I, del Titolo VI - che come l'attuale è diviso in due sezioni - si intitola «Gli organi»

anziché «Ordinamento giurisdizionale», mentre la sezione II continuerà ad intitolarsi «Norme sulla giurisdizione».

Per quanto riguarda l'articolo 119 - che è l'unico su cui intervenni ampiamente nella seduta del 26 giugno per motivare il mio emendamento, al quale seguì la proposta del collega Mattarella in base alla quale votammo il testo nel suo insieme - il primo e il secondo comma sono identici a quelli contenuti nella Costituzione vigente, mentre il terzo comma concerne i magistrati del pubblico ministero e le garanzie ad essi riconosciute sia dalla Costituzione (indipendenza da ogni potere), sia con riferimento alle norme sull'ordinamento giudiziario. La norma affronta altresì il tema del coordinamento interno dell'ufficio del pubblico ministero, sia quello, ove necessario, delle attività investigative tra gli uffici del pubblico ministero.

Il terzo, il quarto e il quinto comma dell'articolo 119 approvato dalla Commissione nel mese di giugno sono stati interamente spostati al nuovo articolo 130-ter nella sezione II Norme sulla giurisdizione, con una modifica relativa al terzo comma che affronteremo allorché esamineremo quell'articolo.

Il testo dell'articolo 120 è identico a quello approvato nel mese di giugno ad eccezione, nel penultimo comma, della soppressione del termine «anche» quando si parla di giudizi di sola equità e la sostituzione dell'espressione «non professionali» con «onorari». In sostanza il comma recita che «La legge stabilisce per quali materie possono essere nominati giudici non professionali »: a giugno si decise per questa espressione, mentre oggi, con più omogeneità tecnica rispetto ad altri articoli della Costituzione, ci si riferisce ai giudici onorari.

L'articolo 121 è stato modificato nel senso che anziché parlare di tribunali amministrativi regionali, più esattamente li si definisce «tribunali regionali di giustizia amministrativa», riferendosi non solo ad una nuova e diversa denominazione dei vigenti TAR, ma anche a quello che saranno i nuovi tribunali regionali di giustizia amministrativa che assorbiranno la competenza della giurisdizione contabile, richiamata nel secondo comma. Per ragioni puramente di coordinamento linguistico, tra il primo e il secondo comma ho aggiunto la parola «altresì».

Per quanto riguarda i tribunali militari, vi è una migliore esplicitazione del testo rispetto a quello predisposto a giugno che faceva riferimento all'adempimento di obblighi internazionali. Ho adottato la terminologia, che figura nel testo peraltro già approvato dell'articolo 109, il quale recita: «La Camera dei deputati delibera su proposta del Governo l'impiego delle forze armate fuori dai confini nazionali» per le finalità consentite dalla Costituzione. Propongo di adottare l'identica definizione in modo da evitare qualunque diversità interpretativa. Il testo pertanto risulterebbe del seguente tenore: «I tribunali militari sono istituiti solo per il tempo di guerra e possono esserlo in occasione dell'impiego delle Forze armate fuori dai confini nazionali». In questo modo le finalità consentite dalla Costituzione sono già indicate nell'articolo 109 che, come tutti sappiamo, sono quelle previste all'articolo 111, prima parte, della Costituzione vigente.

Vi è inoltre l'accoglimento di un emendamento Zecchino e Parenti, che prevede: «La legge assicura che il relativo procedimento si svolga comunque nel rispetto dei diritti inviolabili della persona».

Nel testo attuale dell'articolo 122 non è più prevista la separazione del Consiglio superiore della magistratura ordinaria in due sezioni, mentre è prevista in Costituzione la facoltà di articolare il Consiglio in sezioni da parte del legislatore bicamerale. Il nuovo testo, pertanto, risulta del seguente tenore: «La legge può prevedere l'articolazione del Consiglio in sezioni per i giudici e per i magistrati del pubblico ministero». Questo è uno degli articoli di cui discuteremo ampiamente, di cui non illustro la modifica che ho testé letto perché si commenta da sé.

Vi è un'ulteriore modesta modifica all'articolo 122, perché nel testo di giugno si prevedeva che i componenti del Consiglio superiore della magistratura non potessero assumere cariche pubbliche elettive. Ho accolto la richiesta emendativa del collega Marchetti ed ho soppresso l'aggettivo «elettive» anche nell'articolo 123, il quale per la restante parte rimane immutato rispetto al testo di giugno, salvo, e lo stesso vale per l'articolo 122, il fatto che nell'ultimo comma il termine «assumere» viene sostituito da «ricoprire».

Per quanto riguarda l'articolo 124 rispetto al testo di giugno propongo di abolire l'avverbio «esclusivamente» riferito alle funzioni amministrative e di aggiungere tra le attribuzioni indicate quella della formazione, in quanto all'articolo 130, concernente le competenze del ministro di grazia e giustizia, abbiamo previsto che esso promuova la formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi. L'attribuzione di questa nuova competenza in capo al ministro è stata da qualcuno equivocata come se si sottraesse al CSM la suddetta competenza nei riguardi dei magistrati già in carica, mentre in realtà concerne i futuri magistrati ed avvocati. Ho ritenuto pertanto opportuno rendere esplicito che la formazione dei magistrati resta di competenza dei due CSM. Infine, all'articolo 124 viene aggiunto un ultimo comma in base al quale: «I Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico».

Con riferimento all'articolo 125, ho ritenuto opportuno, anche se secondo me era presente nel sistema, rendere esplicito che contro i provvedimenti disciplinare, che sono vere e proprie sentenze, atti giurisdizionali,della Corte di giustizia della magistratura (che ha due competenze giurisdizionali: una in materia di giurisdizione disciplinare e l'altra come organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti amministrativi dei due CSM), è comunque sempre ammesso ricorso in Cassazione. Anche non prevedendolo, sarebbe stato comunque così, ma per completezza ho preferito precisarlo.

Per quanto riguarda il penultimo comma, ho ritenuto opportuno modificare dal punto di vista linguistico la prescrizione che prima era all'indicativo, nel seguente modo: «I componenti della Corte non partecipano alle attività dei rispettivi Consigli di provenienza e durano in carica sino alla scadenza di questi», invece che allo scadere del mandato di tali organi. Sono modifiche puramente formali, mentre vi è un comma aggiuntivo - credo sia stato opportuno prevederlo - sul rinvio alla legge per la disciplina della Corte di giustizia della magistratura, un nuovo istituto non previsto nella Costituzione e nell'ordinamento vigente, per la possibile articolazione in sessioni.

È totalmente nuovo l'articolo aggiuntivo 125-bis che non era presente nel testo di giugno. Esso prevede l'obbligatorietà dell'azione disciplinare, che dovrà essere tipicizzata dalla legge. Esso prevede l'istituzione di un procuratore generale, eletto dal Senato da una maggioranza qualificata di tre quinti per l'esercizio obbligatorio dell'azione penale. Si propone che il procuratore venga eletto tra persone che abbiano i requisiti per la nomina a giudice della Corte costituzionale, che tale carica sia incompatibile con qualunque altra, che sia indipendente da ogni potere e che vi sia anche una incompatibilità con qualunque carica pubblica per i successivi quattro anni e che non sia rieleggibile.

Si rinvia alla legge anche per disciplinare l'organizzazione dell'ufficio del procuratore generale, anche ai fini dell'attività ispettiva propedeutica all'azione disciplinare. Quindi, al ministro non è più data la facoltà di esercitare tale azione al quale resta attribuita la funzione ispettiva generale, che è propedeutica all'esercizio dell'azione disciplinare. Sono state previste per il procuratore generale le garanzie più assolute, direi più forti, perché non vi sia totale isolamento, anche dal punto di vista della responsabilità. Ho previsto che l'azione disciplinare sia esercitata dal procuratore generale d'ufficio, ma laddove vi sia inerzia da parte sua, su richiesta del ministro della giustizia, sia comunque esercitata dal procuratore generale della Corte di cassazione e dai due Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa. Questi ultimi, non avendo più la competenza a giudicare in materia disciplinare, perché attribuita alla Corte di giustizia dei magistrati, potranno d'ora in avanti svolgere una funzione d'impulso nei confronti del neoprocuratore generale per l'azione disciplinare qualora questi non la eserciti d'ufficio.

Da ultimo, perché ci sia un minimo di raccordo - problema che nei giorni scorsi il Presidente Violante ha incidentalmente toccato in una intervista a Il Mondo - con il Parlamento, che è l'espressione della sovranità popolare - raccordo, non dipendenza - il procuratore generale riferisce alle Camere sull'esercizio dell'azione disciplinare. Ho dedicato un po' più tempo a questo articolo perché è di particolare importanza e delicatezza e costituisce un'assoluta novità rispetto al testo di giugno.

Per l'articolo 126, che riguarda i concorsi per i magistrati, la distinzione delle funzioni, il passaggio eventuale dall'uno all'altra, il testo è identico a quello di giugno, salvo: la soppressione, al secondo comma, dell'espressione «a sezioni riunite» in conseguenza della modifica dell'articolo 122; l'eliminazione dell'espressione, sempre nello stesso comma, «apposita formazione» poiché già è scritto al primo comma «previo tirocinio»; l'utilizzo dell'espressione «le norme sull'ordinamento giudiziario» invece che «la legge», ma si tratta di una questione puramente tecnica. Inoltre, a seguito di una richiesta avanzata questa mattina durante il dibattito in sede di Comitato ristretto dal collega Zecchino, se non erro, ho aggiunto la possibilità che su designazione dei due Consigli superiori si possa essere chiamati non soltanto all'ufficio di consigliere di cassazione ma anche a membro della corte di giustizia amministrativa; si tratta di un comma che, come sapete, già esiste nella Costituzione vigente con riferimento alla sola corte di cassazione, mentre in questo caso, su proposta dei due Consigli, viene riferito anche alla Corte di giustizia amministrativa. L'articolo 127, relativo alla inamovibilità ed incompatibilità, è assolutamente identico al testo di giugno.

Lo stesso vale per l'articolo 128.

L'articolo 129 era l'unico articolo della Costituzione che non avevamo toccato cioè l'ex articolo 119. Ora propongo di aggiungere, dopo la disposizione per cui «L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria», anche che «La legge ne stabilisce le modalità».

Per quanto riguarda l'articolo 130, resta il testo di giugno eccezion fatta per la promozione dell'azione disciplinare, che non è più in capo al ministro ma al neoprocuratore generale. Inoltre è previsto come secondo comma di tale articolo quello che a giugno era il secondo comma dell'articolo 132. Tale secondo comma prevedeva la relazione annuale del ministro: di fronte alle obiezioni su questa contestualità della relazione, ho ritenuto opportuno, anche per ragioni sistematiche, inserire nell'articolo 130 tutte le competenze del ministro. Quindi, il primo comma è quello che conoscete; il secondo è quello che prevede che «Il ministro della giustizia riferisce annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine». Mentre sull'azione disciplinare riferisce il procuratore generale.

Sono totalmente nuovi rispetto al testo di giugno i primi due articoli della sezione II, Norme sulla giurisdizione. Ma non ne sono totalmente nuovi i contenuti. In parte si tratta dei contenuti dell'articolo 119, terzo, quarto e quinto comma, in parte dei contenuti dell'articolo 131; infatti, il terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 131 approvato dalla Commissione in giugno sono ora trasferiti, rispettivamente, al terzo comma dell'articolo 130-ter, al quarto comma dell'articolo 130-bis ed al terzo comma sempre dell'articolo 130-bis. In pratica, è stato compiuto un lavoro di sistemazione di queste norme, sia nel passaggio dalla I sezione alla II, sia all'interno della II sezione.

Costituisce una norma totalmente nuova il primo comma dell'articolo 130-bis, che in dottrina va sotto il nome di diritto penale minimo: «Le norme penali tutelano beni di rilevanza costituzionale». Il secondo comma prevede il principio di non punibilità in caso di non concreta offensività. Il terzo comma prevede il divieto di interpretazione in modo analogico o estensivo delle norme. Il quarto è la cosiddetta riserva di codice.

Per quanto riguarda l'articolo 130-ter, il primo e il secondo comma sono costituiti dal primo e secondo comma dell'articolo 119, con il principio del giusto processo, della ragionevole durata, del contraddittorio, della parità delle parti, del giudice imparziale, cioè terzo, e dell'oralità. Vi sono però due modifiche rispetto ai testi circolati fino a questa mattina e che vi segnalo: laddove si diceva «procedimento», in questo testo si dice «processo»; laddove si diceva «oralità», qui si dice «ispirato al principio dell'oralità», in modo da superare alcune obiezioni che erano state sollevate. Il terzo comma è lo stesso di giugno e lo stesso vale per il quarto. Il quinto prevede l'istituzione di «pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire ai non abbienti il diritto di agire per difendersi davanti ad ogni giurisdizione», per non ripetere il testo identico della prima parte della Costituzione e recependo un emendamento Marchetti, che a sua volta recepiva una delle varie ipotesi delle bozze precedenti.

L'articolo 131 contiene una novità rilevante, laddove si prevede che «contro le sentenze è ammesso il ricorso in cassazione nei casi previsti dalla legge, che assicura comunque un doppio grado di giurisdizione». Inoltre, «contro i provvedimenti sulla libertà personale ( ) è sempre ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge».

Una novità rilevante c'è anche per quanto riguarda l'articolo 132, sull'azione penale. Il secondo comma è assorbito dall'articolo 130; per quanto riguarda il primo comma, vari colleghi ritenevano che il secondo periodo avesse un significato eccessivamente declaratorio («La legge stabilisce le misure idonee ad assicurarne l'effettivo esercizio»), mentre il primo periodo conferma la disposizione già prevista in Costituzione («Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale»). Nel dibattito in sede di Comitato ristretto è emersa l'esigenza, condivisa unanimemente, di prevedere in Costituzione - nell'ordinamento già è così - che le indagini si avviano quando vi sia la notitia criminis e sono finalizzate all'esercizio obbligatorio dell'azione penale; questa, dunque, è una novità rilevante introdotta nella Costituzione. L'articolo 132 reciterebbe così: «Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale ed a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di un reato».

L'articolo 133 resta identico al testo di giugno, salvo che al terzo comma si innova fortemente quando, dopo le parole «La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione», si aggiunge «e disporre altri strumenti di reintegrazione». Se non ricordo male, si tratta di un emendamento Dentamaro poi condiviso anche dagli altri colleghi.

Il testo è così finito; ho però predisposto due disposizioni transitorio di attuazione. La prima riguarda la fase di superamento della giurisdizione amministrativa in capo al Consiglio di Stato, contabile in capo alla Corte dei conti e militare in capo ai tribunali militari. Prevede quindi una fase di passaggio stabilendo che: «Entro cinque anni dall'entrata in vigore della presente legge costituzionale si procede con legge alla revisione degli organi giurisdizionali amministrativi e contabili attualmente esistenti. Tale legge attribuisce inoltre ai magistrati contabili e militari la facoltà, da esercitarsi entro sei mesi dalla predetta revisione, di essere inquadrati rispettivamente nei ruoli dei magistrati amministrativi e ordinari. Entro il medesimo termine i consiglieri di Stato esercitano l'opzione tra l'inquadramento nei ruoli del Consiglio di Stato o in quelli della Corte di giustizia amministrativa».

La seconda disposizione transitoria prevede che tutte le norme assai rigide che abbiamo introdotto all'articolo 127 in materia di incompatibilità (comprese quelle relative ai ministeri, ai collegi arbitrali, alle pubbliche amministrazioni, e così via) si applichino a decorrere dal terzo anno successivo all'entrata in vigore della presente legge costituzionale, in modo che le varie amministrazioni (ed anche il legislatore ordinario, laddove serva) abbiano il tempo necessario - e tre anni mi sembrano più che sufficienti - per disporre in materia di sostituzione di quei magistrati applicati oggi nei ministeri o nella pubblica amministrazione.

L'articolo 125 nella sua diversa versione, che trovate nell'ultima parte del fascicolo, è una mera ipotesi che prospetto alla vostra attenzione. Nel dibattito è emersa un'ipotesi alternativa di eventuale elezione della Corte di giustizia della magistratura che ha competenza in materia di giudizi disciplinari e di tutela giurisdizionale contro i provvedimenti dei due CSM. Nella prima ipotesi si prevede che tale Corte sia eletta direttamente dai due CSM (ordinario ed amministrativo) secondo queste modalità: sei membri sarebbero eletti dal CSM ordinario (quattro togati e due laici); tre membri sarebbero eletti dal CSM amministrativo (due togati ed uno laico); i componenti sarebbero complessivamente nove (sei togati e tre laici).

Nella seconda ipotesi si prevede l'elezione diretta dei membri togati (quattro dalla magistratura ordinaria e due da quella amministrativa), mentre tre membri sarebbero eletti dal Senato della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e tra avvocati dopo quindici anni di esercizio.

Si tratta di una mera ipotesi alternativa; l'ho predisposta qualora nel corso del dibattito sull'articolo 125 emergesse una propensione maggioritaria per questa seconda ipotesi.

Come i colleghi hanno potuto rilevare, non ho formalmente assunto nel testo i due emendamenti connessi di cui si è parlato in Comitato ristretto questa mattina, in relazione al combinato disposto sezioni-separazione nei ruoli, eccetera; ne ho pronta una versione definitiva per l'eventuale distribuzione. Sono disposto a presentarla soltanto nel caso in cui si prefigurasse un consenso maggioritario (non dico unanime) in Commissione su quell'ipotesi. Laddove invece, nel dibattito che ora apriremo, tale consenso non si delineasse, non presenterò formalmente quegli emendamenti.

Ringrazio i colleghi ed il presidente per l'attenzione.

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 119.

GIULIO MACERATINI. A nostro giudizio - e risparmiando alla Commissione il richiamo di tutte le questioni che in argomento sono state avanzate e che tutti conoscono - questo testo dell'articolo 119 è comunque il risultato di un'evoluzione che anche nella mente del relatore ha portato - come si può chiaramente vedere confrontando i due testi - ad una sintesi che si è ritenuto superasse i problemi.

Secondo noi i problemi non sono superati. La mia proposta - che poi illustrerò brevemente - è la seguente: il secondo periodo del secondo comma dell'articolo 119 del testo approvato dalla Commissione a giugno dovrebbe sostituire il secondo periodo del terzo comma del testo proposto dal relatore. Al posto della formula per cui le norme sull'ordinamento giudiziario assicurano il coordinamento interno dell'ufficio del pubblico ministero ed il coordinamento, ove necessario, delle attività investigative tra gli uffici del pubblico ministero si dovrebbe scegliere la dizione più asciutta: le norme sull'ordinamento giudiziario assicurano il coordinamento interno e l'unità di azione degli uffici del pubblico ministero.

In questo modo si otterrebbe il risultato di assicurare il coordinamento interno degli uffici del PM e quello ancora più significativo di garantire l'unità di azione tra gli stessi uffici, che è un problema irrisolto e che potrebbe portare - come abbiamo già fatto osservare, sia pure invano - ad un universo giudiziario somigliante ad un arlecchino, per cui a Taranto si fa una cosa, a Palermo un'altra, a Trento un'altra ancora. Se invece c'è una cosa unificante nel tessuto nazionale è l'uso e l'interpretazione della legge; ci sembra che norme che assicurino unità di azione degli uffici del PM siano profondamente democratiche perché garantiscono il pari trattamento dei cittadini di fronte alla legge. Oggi così non è perché manca il richiamo all'unità di azione degli uffici giudiziari.

Questi sono i motivi per cui avanzo formalmente questa proposta. Lei, presidente, studierà il modo per metterla in votazione: credo sia sufficientemente chiara, almeno nella sua formulazione.

FAUSTO MARCHETTI. Presidente, noi avremmo preferito che fosse rimasta l'espressione: i giudici e i magistrati del pubblico ministero sono soggetti soltanto alla legge. Per ciò che riguarda la proposta ora avanzata dal collega Maceratini, siamo contrari e riteniamo che anche il secondo periodo del terzo comma del testo proposto dal relatore dovrebbe essere soppresso e non sostituito dal secondo periodo del secondo comma del testo di giugno. Infatti, né l'unità di azione né il coordinamento realizzano l'esigenza per cui il pubblico ministero sia veramente soggetto soltanto alla legge.

GIOVANNI RUSSO. Presidente, come ha ricordato l'onorevole Maceratini questa proposta del relatore rappresenta un tentativo di mediazione tra posizioni diverse.

In Comitato ristretto abbiamo dichiarato di accettarla, anche se per quanto riguarda il primo periodo del terzo comma dell'articolo 119 nel testo del relatore avremmo preferito - e preferiremmo tuttora - una formula più semplice, quella del primo periodo del secondo comma dell'articolo 119 nel testo di giugno, secondo la quale i giudici e i magistrati del pubblico ministero sono soggetti soltanto alla legge. Essa esprime con maggiore chiarezza ed in modo più asciutto quel concetto di indipendenza dei singoli magistrati - sia giudicanti che del pubblico ministero - che ci sembra un punto essenziale.

Avevamo accettato la formula del relatore, che distingue tra i giudici soggetti soltanto alla legge ed i magistrati del pubblico ministero indipendenti da ogni potere, proprio nell'ottica di un tentativo di mediazione, riconoscendo peraltro che anche questa formula garantisce ciò che ci sta a cuore, cioè l'indipendenza del pubblico ministero.

Siamo invece nettamente contrari alla proposta di introdurre nell'articolo 119 il concetto di unità di azione del pubblico ministero. Giudichiamo pericolosa tale formula e credo sia bene averne consapevolezza. È stata una conquista realizzata nel tempo il superamento della gerarchizzazione dei magistrati del pubblico ministero. L'indipendenza del pubblico ministero deve essere anche all'interno dell'ufficio; il pubblico ministero che rappresenta l'accusa all'udienza deve essere libero di valutare in relazione ai risultati del dibattimento e di formulare sotto la sua personale responsabilità le proprie richieste.

C'è naturalmente - lo riconosciamo - un'esigenza di coordinamento dell'ufficio che mi pare sia ben espressa dalla formula proposta dal relatore: le norme sull'ordinamento giudiziario assicurano il coordinamento interno dell'ufficio del pubblico ministero, ma non l'unità di azione.

Quanto al coordinamento tra i diversi uffici, anche qui bisogna essere chiari: un conto è il coordinamento delle attività investigative, ciò che avviene ad esempio oggi relativamente alle competenze della Direzione nazionale antimafia, altro conto è il coordinamento tra gli uffici, perché in qualche maniera anche un coordinamento tra gli uffici del pubblico ministero rimanda ad una sorta di gerarchizzazione che deve essere a tutti i costi evitata.

Abbiamo detto che con questa seconda parte della Costituzione vogliamo garantire di più i cittadini. Ebbene, io credo che sia una garanzia dei cittadini l'indipendenza del pubblico ministero e l'esclusione di qualunque rapporto gerarchico all'interno dell'ufficio e, ancor più, tra gli uffici del pubblico ministero.

Saremmo quindi favorevoli al mantenimento della formula proposta dal relatore, anche se - ripeto - esprimiamo una preferenza per il primo periodo: «I giudici e i magistrati del pubblico ministero sono soggetti soltanto alla legge». Siamo disposti a rinunciare a questa nostra preferenza nel quadro della norma come complessivamente elaborata dal relatore, che ci sembra nell'insieme soddisfi l'esigenza dell'indipendenza e, nei limiti appropriati, del coordinamento, ma non della gerarchia nell'ambito degli uffici del pubblico ministero.

MARCELLO PERA. Anch'io mi associo all'emendamento suggerito dal collega Maceratini per l'introduzione dell'espressione «unità di azione» dopo o prima del coordinamento interno, così come era previsto nel testo approvato dalla Commissione e rimasto per parecchi giorni successivamente.

La ragione per cui il coordinamento interno non è sufficiente deriva dalla natura stessa del coordinamento, che non è, anzi è l'opposto della gerarchia, nella quale esiste il capo di un ufficio che dà direttive e imposizioni. Il coordinamento in quanto tale avviene tra figure, tra persone che sono alla pari e fungibili, per cui se non assicuriamo anche l'unità d'azione, ci possiamo trovare non solo di fronte al fenomeno che suggeriva il collega Maceratini di una procura con un atteggiamento diverso da un'altra, ma anche di fronte al fenomeno assai più degenere della personalizzazione delle figure di ogni singolo pubblico ministero. Siccome il coordinamento intanto è necessario in quanto c'è un ufficio, se vogliamo fare in modo che almeno quell'ufficio abbia un'unità d'azione - qui non si richiede un'unità d'azione su tutto il territorio nazionale, ma all'interno dei singoli uffici - occorre che questo concetto sia reso esplicito, perché altrimenti - ripeto - il solo coordinamento interno non assicura il fine dell'unitarietà dell'azione.

Vorrei far osservare che ho contato almeno nove emendamenti presentati da vari gruppi - Parenti, Pera; Zecchino, Bressa; Lisi, Maceratini; Marini; Manca, D'Amico; Pettinato; Masi, Bicocchi - tutti tendenti ad introdurre questo principio dell'unità d'azione. Poiché nel testo della Commissione era contenuto, desidererei che fosse mantenuto, proprio per evitare quel fenomeno degenere cui ho fatto riferimento.

LUCIANO GASPERINI. Signor presidente, suggerirei una semplificazione di questo articolo. La giustizia è amministrata in nome del popolo, questo è evidente. Aggiungerei: «I giudici e i magistrati del pubblico ministero sono indipendenti da ogni potere e godono delle garanzie stabilite nei loro riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario e sono soggetti soltanto alla legge». Punto e basta.

Con questo farei un'opera di coordinamento. Se vogliamo ribadire il concetto che sono sottoposti e soggetti soltanto alla legge, questo deve riguardare sia i giudici sia i pubblici ministeri; ambedue, come del resto tutti i cittadini, sono sottoposti soltanto alla legge. Sarebbe quindi giusto che l'organo giudicante, i giudici che giudicano in nome del popolo italiano e i magistrati del pubblico ministero nelle loro rispettive competenze con queste garanzie di indipendenza - ecco la coordinazione - fossero soggetti soltanto alla legge.

Toglierei l'ultimo inciso del terzo comma proposto dal relatore, perché può provocare seri equivoci. Che cosa significa questo coordinamento? Significa alla fin fine che l'organo superiore del pubblico ministero, il magistrato di rango superiore può coordinare il magistrato di rango inferiore. Che cosa significhi questo coordinamento, sarebbe meglio spiegarlo bene; altrimenti, metteremmo «una pezza» che potrebbe dare adito a numerosi equivoci. Il coordinamento può anche essere suggerimento, insegnamento, illuminazione, consiglio.

Se vogliamo semplificare questo articolo, direi che potremmo farlo nel modo da me suggerito.

SALVATORE SENESE. È stato già detto che noi ci riconoscevamo nel testo da ultimo proposto, che tuttavia non risponde alla nostra concezione del pubblico ministero. Abbandonavamo il primo comma, in cui si parlava di soggezione di tutti i magistrati soltanto alla legge in vista della diversa strutturazione del secondo comma.

È evidente che, ove questo secondo comma dovesse essere modificato nel senso di una gerarchizzazione degli uffici del pubblico ministero - il che creerebbe a nostro avviso problemi gravi di democrazia perché vi sarebbe al vertice un soggetto dotato di un potere enorme e, stante l'indipendenza, incontrollabile democraticamente - a quel punto chiederemmo di votare il primo comma nella stesura originaria. Troviamo anche accettabile la formulazione da ultimo suggerita dal collega Gasperini.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Come molti colleghi da varie parti hanno ricordato, questa formulazione del nuovo terzo comma riguardante i magistrati del pubblico ministero è il frutto di un faticoso ma, ritengo, positivo lavoro di mediazione tra diverse proposte. In particolare, la prima parte di quel terzo comma deriva da una formulazione del senatore Zecchino, la seconda parte da una formulazione che integra proposte della sinistra democratica, alcune mie e di altri gruppi e viene incontro a richieste avanzate dai colleghi Pera, Parenti ed altri nel corso del dibattito.

Credo che a questo punto se modificassimo l'impianto di questo comma ogni gruppo tornerebbe alle caselle di partenza, come del resto è stato spiegato chiaramente poco fa: i gruppi che hanno accettato questo terzo comma, l'hanno accettato come proposta di mediazione nel faticoso sforzo di trovare su una materia così delicata un punto di equilibrio.

Questo è il motivo per cui sono contrario a rimettere tutto in discussione (perché questo avverrebbe), quindi agli emendamenti sull'unità di azione (il collega Gasperini, all'opposto, non chiede neppure il coordinamento, ritenendo che già quello sia eccessivo, per cui va in una direzione opposta).

Devo dire per la verità che il collega Pettinato addirittura ha predisposto emendamenti espliciti che prevedono la non gerarchizzazione in Costituzione, quindi è andato in una direzione diversa. Tutti gli interventi, che esprimono esigenze rispettabilissime, fanno capire che ciascuno dei colleghi o dei gruppi presenterebbe una sua proposta di testo su questo faticoso terzo comma riguardante il pubblico ministero. Io stesso per cinque proposte successive ho presentato una formulazione che prevedeva la soggezione soltanto alla legge sia dei giudici sia dei magistrati del pubblico ministero. Però, per venire incontro ad un problema che i colleghi di forza Italia in particolare ripetutamente e fondatamente mi hanno posto nel corso del dibattito, ho riformulato il testo, tenendo conto delle esigenze degli altri gruppi ed utilizzando le espressioni contenute in un emendamento Zecchino.

Ho voluto ricordare la genesi di questo comma perché, se ne rimettiamo in discussione i singoli segmenti, è ovvio che il faticoso tentativo di trovare una formulazione equilibrata che si faccia carico del diverso modo di esprimere l'indipendenza del giudice rispetto a quella del PM (il primo è un singolo soggetto solo alla legge, mentre il secondo è indipendente ma fa anche parte di un ufficio e quindi ha un'esigenza di coordinamento), torniamo alla casella di partenza, cioè al febbraio scorso. Suggerisco di non farlo, perché è evidente che il faticoso lavoro che il relatore ha compiuto per rispondere positivamente alle esigenze che i diversi gruppi hanno prospettato verrebbe annullato. Solo per questo motivo propongo di non accogliere gli emendamenti e di votare il testo.

PRESIDENTE. Vorrei sapere dai colleghi Maceratini e Pera se ritengano di accogliere l'invito del relatore.

GIULIO MACERATINI. Il motivo per cui la proposta del collega Boato non può essere accolta è la seguente: tutto quanto è scritto qui è soggetto alla stessa logica, perché è il frutto di sei-otto mesi di lavoro comune.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Come lei sa questo è l'articolo fondamentale sul quale ci siamo impegnati, con lei per primo, per molti mesi.

GIULIO MACERATINI. Allora lo ritiriamo. È un prestito fiduciario che facciamo al relatore.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. La ringrazio.

MARCELLO PERA. Questa è la prima votazione sul tema e se questo orientamento costituisse un precedente per tutti gli articoli, saremmo di nuovo al «prendere o lasciare».

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non ho detto questo, ho solo ricostruito la genesi di questo comma.

MARCELLO PERA. Allora ritiro l'emendamento.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Ritirato l'emendamento non avrei motivo di parlare, ma desidero sottolineare che mi è sembrato opportuno ciò che il relatore ha detto in sede di replica. Egli non ha preteso dirci che il compromesso generale sul testo è un «prendere o lasciare», ma ha fatto riferimento a questo specifico articolo. Ritirare l'emendamento non significa abbandonare altri temi ma rappresenta un gesto di intelligenza e cortesia nei confronti della richiesta del relatore. Per questo sono lieto che l'emendamento sia stato ritirato.

PRESIDENTE. Senatore Gasperini, alcuni colleghi proponevano di inserire nell'articolo la garanzia dell'unità di azione degli uffici del pubblico ministero che avrebbe rafforzato in senso gerarchico - qualcuno temeva - il funzionamento dell'ufficio. Lei aveva una posizione diametralmente opposta, cioè intendeva eliminare anche il riferimento al coordinamento. Il relatore ha invitato tutti a considerare questo un punto di compromesso che prevede non una gerarchia ma un coordinamento in una forma più blanda. Vorrei sapere se anche lei accetti questa ipotesi di compromesso, dato che gli altri colleghi hanno ritirato le rispettive proposte.

LUCIANO GASPERINI. Purché non costituisca precedente.

PRESIDENTE. Qui non si costituiscono precedenti, nel senso che di volta in volta siamo liberi di decidere.

FAUSTO MARCHETTI. Avevo posto lo stesso problema.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il mio appello era rivolto anche al collega Marchetti.

PRESIDENTE. Lei chiede di tornare al testo di giugno.

FAUSTO MARCHETTI. Trovo peggiore il testo di giugno nella parte relativa al coordinamento e all'unità d'azione. Ora vi è soltanto il coordinamento nei confronti del quale rimaniamo fortemente critici perché, a nostro avviso, anche questo è un elemento che spinge nella direzione della gerarchizzazione. Esprimeremo un voto soltanto sul testo.

PRESIDENTE. Votiamo il testo, ferma restando la possibilità per ciascuno di presentare in aula gli emendamenti. Mi pare che a questo punto i termini della discussione siano chiari; si tratta di decidere quale formulazione portare in aula.

FAUSTO MARCHETTI. Desidero preannunciare l'astensione del gruppo di rifondazione comunista sull'articolo 119.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 119, nel testo del relatore.

(È approvato).

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti non integralmente assorbiti, come da elenco in allegato.

Passiamo all'articolo 120 che ha subito una modificazione di coordinamento.

MARIO GRECO. Con riferimento all'intervento del relatore che ha accolto gli emendamenti che andavano nel senso di espungere la congiunzione «anche», che vuol dire molte cose, chiedo alla Commissione se sia il caso di andare oltre in questa direzione. Intendo dire che mi sarei aspettato l'accoglimento dell'emendamento Parenti ed altri C.120.8, presentato a giugno, con il quale ci eravamo permessi di proporre la modifica del sesto ed ultimo comma dell'articolo, stabilendo che la partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia fosse limitata alle sole questioni di fatto, lungi dal porre in dubbio l'istituto della giuria popolare che è previsto nell'ultima parte dell'articolo 102 dell'attuale Costituzione e che risponde ad un'esigenza avvertita soprattutto dai paesi della socialdemocrazia secondo cui ogni persona deve essere giudicata dai propri pari.

Tuttavia, ritengo - ecco perché mi rivolgo al relatore ed ai commissari - che non sarebbe del tutto sbagliato inserire in Costituzione, dopo l'esperienza fatta con le giurie popolari, il limite della partecipazione diretta del popolo alle sole questioni di fatto. Ricordo a me stesso quello che diceva Beccaria: «Destrezza ed abilità si richiedono nella ricerca delle prove del delitto e specifica professionalità nell'interpretazione e nell'applicazione delle leggi».

Credo che il semplice buonsenso del pater familias possa servire soltanto per risolvere questioni di fatto, ma non per interpretare le leggi.

GIOVANNI PELLEGRINO. A me va bene la modifica proposta dal relatore che non è di solo coordinamento. Vorrei segnalare che essa pone un problema immediato di norme transitorie. Nel nostro ordinamento abbiamo giudici onorari non per giudizi di sola equità. Quindi, nel momento in cui passasse questo testo, che io approvo...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Collega Pellegrino, le norme rimangono all'articolo 126, quinto comma. La questione, quindi, è vera, ma è già risolta.

GIOVANNI PELLEGRINO. E quindi qual è il coordinamento?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Su richiesta del collega Greco e di altri, ho soppresso la parola «anche» riferita a questo tipo di giudici che possono essere istituiti esclusivamente «al fine di giudizi di sola equità». Si tratta di una funzione pre-giurisdizionale, mentre quella cui lei fa riferimento la trova al quinto comma dell'articolo 126, che resterebbe. In questo senso il problema è stato già risolto.

TIZIANA PARENTI. Faccio notare al relatore - la questione è importante anche se può sembrare solo tecnica - che se nel primo comma dell'articolo 120 afferma che «la funzione giurisdizionale è unitaria» non può poi all'articolo 131 prevedere che «contro le decisioni della Corte di giustizia amministrativa il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione». In questo caso il sistema non sarebbe più unitario; lo è se il ricorso è possibile anche per violazione di legge e non solo per motivi inerenti alla giurisdizione. Quindi si deve decidere: o si cancella la prima norma oppure il quinto comma dell'articolo 131. Diversamente la prima norma rappresenta un'affermazione non sostenibile alla luce dell'altro articolo.

Non ho compreso bene se si possono presentare o comunque considerare emendamenti; ne posso fare anche a meno, tanto mi pare che sia ormai l'aula che deciderà su questi punti, ma vorrei sottolineare che avevo presentato un emendamento, che ripresenterò, per la soppressione di qualunque giudice speciale, anche in materia tributaria, tanto più che qui si dice che questo è possibile anche per il giudizio di secondo grado; di questo mi pare non vi sia obiettivamente alcun bisogno, perché ci sono già i giudici speciali, ma in materia solo tributaria e senza rilevanza penale; non vi è bisogno di inserirli se si fa riferimento solo a questo; se invece si tratta anche di rilevanza penale, non possono certamente essere previsti perché questo contrasterebbe con il divieto di istituzione di giudici speciali in materia penale. Non credo che si vogliano costituzionalizzare anche le commissioni tributarie; questo mi parrebbe un eccesso di costituzionalizzazione. Penso quindi che il quarto comma dell'articolo debba essere soppresso, riservando tale funzione alle sezioni specializzate della magistratura ordinaria.

Mi associo inoltre alle considerazioni del collega Greco nel sostenere un emendamento che può apparire di poco conto e che riguarda invece un grande nodo irrisolto relativo all'ultimo comma e riferito alle Corti d'assise. O vogliamo mantenere queste Corti ed allora dobbiamo rendere autonome e indipendenti le giurie popolari, oppure togliamole perché probabilmente esse creano più danni che benefici, come anche i fatti odierni dimostrano.

Nell'impostazione del codice accusatorio, mi sembra che mantenere le Corti d'assise sotto la pressione dei giudici togati, nel momento in cui il presidente stabilisce l'ordine e l'organizzazione della raccolta delle prove, produca poi quei danni che abbiamo visto nei recenti processi. Vorrei quindi che venisse considerato questo punto, sul quale avevo presentato un emendamento, e si votasse nel senso della impossibilità che la giustizia tributaria, che ha profili penali, possa essere governata da giudici speciali; di primo o di secondo grado non ha importanza.

PRESIDENTE. Quindi lei propone la soppressione del quarto comma?

TIZIANA PARENTI. Avevo presentato l'emendamento C.120.36, ma siccome gli emendamenti non si possono discutere

PRESIDENTE. Abbiamo adottato un criterio generale, che è quello di discutere sulla base dei testi elaborati dal Comitato ristretto, ma in diversi casi abbiamo votato emendamenti che alcuni colleghi consideravano assolutamente essenziali. La votazione quindi non è esclusa; cerchiamo solo di limitarla.

TIZIANA PARENTI. L'emendamento, che è brevissimo, sostituisce il quarto comma con il seguente: «La legge disciplina l'attribuzione della giurisdizione in materia tributaria a sezioni specializzate presso il giudice ordinario».

PRESIDENTE. L'emendamento sostituisce l'intero comma o soltanto il secondo periodo?

TIZIANA PARENTI. L'intero comma, signor presidente.

PRESIDENTE. D'accordo.

GIULIO MACERATINI. Signor presidente, sono parzialmente d'accordo con la collega Parenti e non credo di essere il solo. Guardo con sospetto i giudici speciali e quindi sarei per l'abolizione. Dove però l'accordo finisce è quando si parla della giustizia tributaria, perché in quel caso sono d'accordo che venga conservata anche nel doppio grado; è l'unica eccezione che, a mio giudizio, abbia una sua giustificazione anche scientifica di autonomia della materia. Per il resto il giudice speciale è, a mio avviso, un pericolo, di cui è presente il ricordo nel testo proposto dal relatore, perché quest'ultimo si è preoccupato di limitare al primo grado la facoltà del giudice speciale, ma ciò non toglie che sempre di giudice speciale si tratta, con tutte le conseguenze del caso.

TIZIANA PARENTI. La giustizia tributaria ha forti profili penali.

GIULIO MACERATINI. I risvolti penali della giustizia tributaria non possono essere esaminati dai giudici tributari, ma dai magistrati ordinari.

TIZIANA PARENTI. Allora costituzionalizziamo le commissioni tributarie.

FAUSTO MARCHETTI. Signor presidente, anche noi abbiamo presentato un emendamento - si tratta dell'emendamento Marino S.120.16 - per vietare la istituzione di giudici speciali, per cui si propone al secondo comma di affermare che «non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali». Conseguentemente abbiamo proposto di eliminare tutto il quarto comma dell'articolo, che prevede invece questa possibilità, con riferimento anche alla giustizia tributaria; per quest'ultima abbiamo proposto una formulazione simile a quella della collega Parenti: «La legge disciplina modi e forme di attribuzione a sezioni specializzate presso il giudice ordinario della giurisdizione in materia tributaria».

Credo si perderebbe davvero un'occasione se nella revisione della seconda parte della Costituzione non si prevedesse il superamento dell'attuale situazione in materia di giustizia tributaria. È un tema di grandissimo rilievo. Ritengo che la situazione attuale vada superata e l'emendamento da noi presentato va esattamente in questa direzione, mentre il testo attuale costituzionalizzerebbe addirittura la previsione di giudici speciali per la giustizia tributaria. Se pensiamo a quelle che sono le commissioni tributarie, credo che possiamo maggiormente confermarci nell'esigenza di non avere mai giudici speciali, tanto meno in una materia come quella tributaria.

SALVATORE SENESE. Signor presidente, per quanto riguarda l'apertura che si fa ai giudici speciali in materia diversa dalla penale e soltanto per i giudizi di primo grado, essa è giustificata dall'osservazione che occorre assolutamente deflazionare il carico di controversie che l'estendersi della legislazione porta a gravare sulla giurisdizione ordinaria in primo luogo, ma anche amministrativa, determinando le note difficoltà di funzionamento dell'una e dell'altra. L'esperienza comparativa che spesso viene invocata ci dice che in paesi simili al nostro, come la Francia e l'Inghilterra, man mano che si estende il campo della regolazione giuridica il legislatore al tempo stesso istituisce degli organismi - spesso sono organismi paritari, formati da soggetti estranei all'organizzazione giudiziaria - deputati a risolvere le controversie che insorgono in materia di locazione, di responsabilità civile, di controversi tra consumatori e produttori e così via.

Tutto ciò non abbiamo potuto farlo fino ad oggi per la drasticità del divieto di istituire giudici speciali, che è frutto del clima particolare che contrassegnava gli anni 1946 e 1947: il termine «giudice speciale» evocava il tribunale speciale, quindi si è introdotto un assoluto divieto. Cito per i colleghi, molti dei quali sono tecnici, gli studi di Taruffo, di Chiarloni, di Denti, i quali hanno detto: questa è una strozzatura costituzionale ad una razionalizzazione della giustizia.

Questa norma non spezza poi l'unità giurisprudenziale, perché il giudice speciale è competente solo per il primo grado, dopo di che la controversia torna nell'alveo della giurisdizione ordinaria, quindi il diritto verrà formato dagli organi superiori della giurisdizione ordinaria. Questa è la ragione per la quale abbiamo aperto questa finestra ai giudici speciali.

La norma successiva, sempre contenuta nel quarto comma, che introduce un'eccezione allargata per la giustizia tributaria, si giustifica o si giustificava con la considerazione che nel 1993 abbiamo messo in piedi un nuovo sistema di giustizia tributaria che sembra non dare cattivo esito. Comunque, proprio nello spirito di tentativo di accordo che deve contrassegnare i nostri lavori, dichiaro, anche a nome del gruppo, che potremmo rinunciare alla seconda parte, lasciando quindi soltanto la previsione della prima parte circa la possibilità di istituire giudici speciali solo per il primo grado.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lei suggerisce di eliminare il secondo periodo del quarto comma o di sostituirlo con diversa formulazione?

SALVATORE SENESE. Di toglierlo. A questo punto le commissioni tributarie sarebbero degli altri giudici speciali ma ricompresi nel regime generale. Questo non perché sia convinto di tale soluzione, perché mi pare che quello sia un sistema che già funziona; abbiamo avuto un'illustrazione assai puntuale proprio qui nel corso di un'audizione; tuttavia, poiché capisco che vi possono essere resistenze a ciò, mi pare che su questo punto si possa ragionevolmente tentare di trovare un'intesa.

Infine, per quanto riguarda l'osservazione della collega Parenti relativa all'articolo 131, non abbiamo nulla in contrario alla soppressione dell'ultimo comma, che così recita: «Contro le decisioni della corte di giustizia amministrativa il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione». Resterà poi affidato al legislatore ordinario, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo 131, lo stabilire quando è ammesso il ricorso per cassazione in questi casi. Questa è la nostra posizione.

TIZIANA PARENTI. Vorrei un chiarimento su questa giustizia tributaria come giudice speciale, anche se resta in primo grado. Il problema della giustizia tributaria è la frammentazione, per cui abbiamo il giudice penale, il giudice tributario, ciascuno con tempi molto lunghi. Ma comunque ogni violazione tributaria, o quasi tutte le violazioni tributarie hanno un profilo penale, anche per fatti assolutamente formali. Pertanto, se diciamo che dobbiamo raccogliere tutti in capo ad un soggetto e quindi ad una sezione specializzata, ma del giudice ordinario che faccia un giudizio immediatamente complessivo, è un discorso valido, per evitare la frammentazione. Tuttavia il profilo penale non lo possiamo spostare neanche in primo grado, perché questo non si può assegnare a nessun altro.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Osservo che se venisse accolta la proposta del collega Senese, alla quale non sono contrario, perché io ho introdotto questa previsione per la giustizia tributaria non di mia iniziativa, ma in quanto nel Comitato mi fu richiesto di farlo, a quel punto quanto contenuto nel suo emendamento non occorrerebbe più prevederlo esplicitamente perché già il terzo comma così recita: «Presso gli organi giudiziari ordinari e amministrativi possono istituirsi sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura».

A quel punto potremmo semplicemente non fare menzione della questione relativa alla giustizia tributaria in Costituzione e tutto verrebbe demandato alla legge ordinaria per quanto riguarda anche l'ipotesi che lei prospetta con il suo emendamento. Non occorre a questo punto prevederlo esplicitamente. Mi pare che troveremmo una soluzione equilibrata tra le due istanze che sono state prospettate.

TIZIANA PARENTI. Al secondo comma si potrebbe prevedere che «non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali».

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa è altra questione, che in questo momento non ha nulla a che fare con la giustizia tributaria. Ho sentito il suo intervento, come lei sa abbiamo discusso per mesi di questa materia in sede di Comitato e mi pareva fosse prevalsa l'opportunità di mantenere questa ipotesi di maggiore elasticità della risposta di giustizia alle domande differenziate che emergono. La questione specifica da lei posta con il suo emendamento potrebbe invece essere risolta nel sistema sopprimendo puramente e semplicemente il secondo periodo del quarto comma. A quel punto sarà la legislazione ordinaria che prevederà la sezione specializzata o il giudice speciale e così via, anche sulla linea dell'emendamento che lei ha indicato. Come relatore, mi dichiarerei favorevole a questa ipotesi.

Per quanto riguarda il riferimento all'aggettivo «unitaria» contenuto nel primo comma, sono favorevole a mantenerlo perché è l'aggettivo che qualifica il tipo di riforma dell'unità funzionale della giurisdizione. Non sono personalmente contrario a rivedere l'ultimo comma dell'articolo 131, come lei ha chiesto; suggerirei di farlo quando arriveremo all'esame dell'articolo 131 ma, ripeto, non sono contrario.

LUCIANO GASPERINI. Siamo d'accordo per quanto riguarda il primo comma. Sul secondo comma vorremmo esprimere una precisa considerazione: non possono essere istituiti giudici straordinari e speciali. I magistrati ordinari ed amministrativi possono decidere, con delle sezioni specializzate, anche in materia di giustizia tributaria. Noi temiamo che quando al quarto comma si dice che «possono essere istituiti giudici speciali esclusivamente per determinate materie diverse da quella penale» apriamo un varco. Che cosa significa questo? Cosa potrà fare questo giudice speciale? Un attentato alla Costituzione è materia penale o materia politica? Il cittadino che commette un qualcosa contro la Costituzione che però non costituisce azione penalmente rilevante può essere sottoposto ad un giudizio speciale? Io ricordo la triste memoria dei giudici speciali istituiti durante il fascismo, per cui ritengo che sia da eliminare qualunque figura di giudice speciale, e proprio perché la funzione giurisdizionale è unitaria ed è esercitata da giudici ordinari e amministrativi è bene che ai giudici ordinari e amministrativi sia devoluto tutto il compito della giustizia in Italia.

Siamo d'accordo sul quinto comma. Ho sentito con attenzione le parole del senatore Greco e dell'onorevole Parenti in relazione all'ultimo comma dell'articolo 120. Ho esperienza in materia di processi di Corte d'assise e ricordo perfettamente che quando vengono decise questioni di diritto i giudici cosiddetti non togati e popolari si affidano al consiglio dei giudici togati. Allora distinguerei: il giudice popolare interviene su questioni di fatto, nelle quali porta l'esperienza, la volontà, la coscienza popolare; non può intervenire in questioni di diritto, per le quali sono necessari un approfondito studio ed una coscienza giuridica, oltre che una conoscenza delle leggi. Pertanto suggerisco questa aggiunta, se il relatore è d'accordo: «La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia quale giudice sulle questioni di fatto, assicurando anche per essi l'indipendenza». Anche per questi giudici popolari, infatti, deve essere assicurata indipendenza. Qui vi è una manchevolezza della legge: questi giudici popolari sono indipendenti? Ne è assicurata la loro indipendenza? Possono avere pressioni da varie parti?

Direi, dunque, che anche per l'ultimo comma vada aggiunta la questione del fatto, perché il popolo può capire del fatto mentre difficilmente capisce del diritto e si appiattisce alle regole ad esso dettate dai giudici togati. Anche per questi ultimi è poi necessaria la garanzia dell'indipendenza.

GIOVANNI PELLEGRINO. Signor presidente, sarei del parere di non toccare il quarto comma e di lasciarlo così com'è. Per quanto riguarda la prima parte il collega Senese ha detto cose esattissime: va riaffidata alla società la possibilità di scremare i conflitti che nella soluzione finale vengono affidati alla giurisdizione togata. Ecco il senso di questa disposizione: fare impegnare la giurisdizione togata sin dall'inizio, in prima battuta, su conflitti «bagatellari» è una cosa che non è propria di tutte le società complesse moderne. Diciamo che è la cultura ad andare in questa direzione. Non capisco perché oggi dobbiamo attestarci su una posizione che trovo culturalmente arretrata.

Quanto alla giurisdizione tributaria, il sistema di giustizia tributario sta funzionando nel doppio grado, sta eliminando tutto l'enorme arretrato che lo caratterizzava. Si tratta di una riforma recente che sta dando buona prova di sé. Non capisco perché dobbiamo fare passi indietro e renderli immediatamente incostituzionali. Quindi, per la giurisdizione tributaria lascerei i due gradi di specialità, mentre resterei al testo predisposto, consentendo, per le ragioni dette dal collega Senese, un intervento in prima battuta di giudici non professionali su molte materie specialistiche.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Chiedo alla cortesia del collega Boato un attimo di pazienza in più su un tema come questo, che sembra non appassionare l'opinione esterna alla nostra Commissione e che invece rappresenta, a mio giudizio, la sostanza delle decisioni che stiamo per prendere, molto più del dibattito sul pubblico ministero e i rapporti con il giudice ordinario. Se è possibile chiedo quindi ai colleghi un attimo di attenzione perché si tratta di materia di estrema delicatezza.

Il costituente del 1948, che aveva alle spalle l'esperienza del tribunale speciale fascista, ritenne opportuno sanzionare che da quel momento in poi non si sarebbero potuti istituire giudici speciali. E da allora siamo vissuti con una giurisprudenza costituzionale che ha progressivamente cancellato pezzi, frammenti, segmenti pseudo giurisdizionali di fatto politicamente dipendenti da autorità politiche.

Adesso ci troviamo di fronte ad una disposizione di proposta costituzionale che io ritengo di gravità estrema, perchè quando si dice che possono essere istituiti giudici speciali esclusivamente per determinate materie diverse da quella penale, credo che siamo in tanti a sapere che non esiste alcun criterio oggettivo per discriminare la materia penale da quella che penale non è. Da cento anni si discute se esistano criteri discriminanti: talvolta il regime sanzionatorio, la privazione della libertà, della vita, del bene; talvolta sono le fattispecie incriminatrici; tra l'altra sono un mix dell'una e dell'altra. Non esiste un criterio costituzionalmente determinato per escludere la giurisdizione penale anziché quella che penale non è.

Mi chiedo, nel votare questo articolo, se siamo veramente consapevoli del fatto che in base a tale disposizione sarebbe consentito un tribunale speciale che, per esempio, privi i cittadini dei diritti politici. Ciò non è sanzione penale nel senso in cui vi è privazione della libertà; non è privazione del bene materiale l'espropriazione; è privazione della sostanza del diritto di cittadinanza.

Mi auguro che le considerazioni della collega Parenti e degli altri possano far breccia in questo momento nella nostra intelligenza. Autorizzare tribunali speciali in questa situazione storico-istituzionale del nostro paese assume le caratteristiche di un passo indietro gravissimo in ordine ai principi elementari di libertà. Mi auguro che si voti contro, altrimenti mi auguro che, a differenza dei grandi dibattiti che si sono fatti sul tema del pubblico ministero, si apra nel paese una grande battaglia di libertà per non far passare alla Camera una norma come questa. Chiedo alla cortesia dei colleghi di non considerare la proposta come tecnica ma come un incredibile passo indietro di civiltà giuridica del nostro paese.

TIZIANA PARENTI. Signor presidente, vorrei sapere su cosa si voti. Su un emendamento totalmente o parzialmente soppressivo del quarto comma?

RESIDENTE. Quando avremo completato il dibattito e raccolto le proposte di tutti sarà ordinata la votazione, com'è naturale.

GIOVANNI RUSSO. Una brevissima considerazione sulla corte d'assise.

La formula, che è poi quella della Costituzione vigente, lascia completamente aperta la questione dell'eventuale riforma dei giudizi di assise, in quanto è detto che la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. Quindi, se si vorrà riformare l'attuale struttura della corte d'assise, il legislatore ordinario potrà farlo. Introdurre la distinzione tra questioni di fatto e questioni non di fatto lo trovo improprio in Costituzione, perché è molto difficile isolare le questioni di fatto da quelle di diritto che condizionano il fatto. Dunque, lascerei la norma così come prevista all'ultimo comma.

Vorrei poi far presente al collega Gasperini che l'indipendenza dei giudici popolari è assicurata dal secondo comma dell'articolo 128, per il quale la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.

PRESIDENTE. Sì, estranei sono quelli che non appartengono all'ordine giudiziario.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Per quanto riguarda la proposta del senatore Greco e di altri colleghi, trovo che essa sia forte e molto nobile, però cambieremmo sistema: in qualche modo, infatti, significherebbe introdurre nel sistema italiano il ruolo che la giuria ha nel sistema anglosassone; cambierebbe completamente l'impianto del nostro sistema. Non sono comunque contrario come ipotesi in astratto, ma mentre non ho nulla da dire sul fatto che vengano presentati emendamenti di questo tipo, che hanno la loro legittimità e che ci portano anche a discuterne, non è invece immaginabile che oggi pomeriggio tramite un emendamento si cambi totalmente l'impianto che abbiamo costruito; non è possibile che ciò avvenga senza neppure un minimo di lavoro istruttorio portato avanti in sede di Comitato ristretto, che come lei sa, senatore Greco, ha lavorato per mesi su questa materia.

Non sto quindi dicendo di non mettere in votazione il suo emendamento; se lei ritiene, il presidente lo porrà in votazione e servirà a promemoria per il futuro. Però credo che in questa sede ed in questo modo sia difficilmente immaginabile un totale cambiamento di questa natura. Ciò non perché questa non sia la sede per decidere ma perché questa è la sede per decidere su materie a proposito delle quali è opportuna una preventiva istruzione da parte delle articolazioni della Commissione bicamerale. È solo per questo motivo che esprimerò un parere contrario, non perchè questa proposta non abbia dignità; anzi, ha un'enorme forza che, però, va in una direzione completamente diversa rispetto al nostro impianto.

Per quanto riguarda l'intervento del collega D'Onofrio, debbo dire che l'ho ascoltato con molta preoccupazione, perché se intendessimo fare ciò che lui prefigura è ovvio che sarei totalmente d'accordo con lui ed in disaccordo con il testo che ho scritto insieme ai colleghi. Anche qua vale lo stesso ragionamento: che è una preoccupazione che ora spiegherò come potremmo eventualmente escludere nel modo più radicale.

La ratio della norma è stata esattamente spiegata dai colleghi Senese e Pellegrino. Anzi, quando il collega d'Onofrio all'inizio del proprio intervento ha ricordato l'esperienza dei tribunali speciali durante il fascismo, pensavo che terminasse dicendo che il costituente, nel 1946-47, solo a sentir parlare di speciale come aggettivo in materia di giustizia, giustamente si allarmasse. Questo ha comportato che, come è stato sostenuto precedentemente, si verificasse una sorta di strozzatura costituzionale (è stata usata questa efficace espressione a mio avviso) rispetto ad una possibile risposta di giustizia più elastica, molteplice nei confronti delle diversificate domande di giustizia moltiplicatesi nella società complessa, essendo trascorso mezzo secolo dal 1948. A fronte di quella premessa pensavo si arrivasse a dire che, pur comprendendo le preoccupazioni del costituente nel 1948 - lo capisco anch'io e l'ho scritto nella relazione stampata - oggi possiamo usare senza più tabù il significato tecnico dell'aggettivo «speciale», non il significato totalitario o di istituzione di uno Stato totalitario attribuitogli dal regime fascista.

Rivolgendomi ai colleghi che hanno contribuito a costruire questa norma li esorto ad esprimere un parere, anche per evitare improvvisazioni; si potrebbe eventualmente scrivere che «possono essere istituiti giudici speciali esclusivamente in materia civile e per il solo giudizio di primo grado», in tal modo si risponderebbe all'obiezione da lei sollevata, dai toni drammatici, da tutti recepita con grande preoccupazione, ma che sicuramente è fuori dalle intenzioni e dalla lettera della norma costruita.

Sottoporrei rapidamente all'attenzione dei colleghi, in particolare di quelli che hanno contribuito a formulare il testo in esame, l'eventuale diversa formulazione.

Per quanto riguarda la questione giuria-Corte d'assise è evidente che nulla vieta al legislatore ordinario di modificare quella materia, anche in presenza dell'ultimo coma dell'articolo 120. Ma è una questione che risolverà il legislatore ordinario, se verrà avanzata una proposta di riforma della Corte d'assise.

Avendo registrato la disponibilità del collega Senese sulla giustizia tributaria ed una posizione opposta del senatore Pellegrino, chiederei di procedere con una votazione per parti separate, al presidente quando si arriverà alla votazione del quarto comma, per rispondere anche alle esigenze della collega Parenti.

PRESIDENTE. Naturalmente il secondo comma è in relazione al quarto.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Le due questioni sono connesse; qualora sul quarto comma prevalesse un'opinione contraria, sarebbe ovvio coordinare anche il secondo comma.

PRESIDENTE. Rivolgendomi al collega Senese, vorrei dire che il senatore D'Onofrio ha manifestato una preoccupazione in ordine al rischio che la norma consenta l'istituzione di giudici speciali in materie attinenti a diritti fondamentali dei cittadini.

A parte il fatto che si parla di giudici speciali esclusivamente per il primo grado di giudizio - senza evidentemente spezzare l'unitarietà della giurisdizione e la appellabilità -, si tratta semmai, come è stato sostenuto, della possibilità di avere una risposta più flessibile alla domanda di giustizia che si scarica esclusivamente sulla magistratura ordinaria: l'esempio potrebbe essere il giudice degli sfratti, senza con ciò cancellare i diritti politici. Sotto questo profilo il relatore ha suggerito la possibilità di una formulazione che specifichi l'esclusivo riferimento alla materia civile per escludere il sospetto manifestato dal collega D'Onofrio.

SALVATORE SENESE. Capisco l'esigenza, si potrebbe dire infatti che una controversia relativa alla decadenza da un diritto politico rientri nella giurisdizione civile. Potremmo recuperare l'istanza sia escludendo espressamente la materia relativa ai diritti politici o ai diritti fondamentali, accanto a quella penale (e sarebbe la formula più semplice); sia utilizzando una formulazione completamente diversa che non evochi nemmeno il nome di «giudice speciale», il quale nel nostro paese fa pensare immediatamente al tribunale speciale fascista. Proporrei in alternativa la seguente formulazione: «La legge può prevedere che la risoluzione di controversie tra privati o nei confronti delle pubbliche amministrazioni e non relative a diritti fondamentali sia attribuita in primo grado ad organismi imparziali che operano con procedimento contenzioso». Questa versione potrebbe rassicurare dal punto di vista dell'impatto immediato, oltre a consentire l'istituzione dei cosiddetti arbitrati obbligatori che il legislatore ha tentato spesso di introdurre nei cinquant'anni trascorsi, allo scopo di rispondere alla crisi della giurisdizione civile, e che la Corte costituzionale ha correttamente cassato sulla base della norma vigente.

Un'ultima considerazione. Dopo l'appassionato appello del collega D'Onofrio prego i colleghi di valutare con freddezza e lucidità la situazione. In una norma che considero fondamentale, alla quale arriveremo, si stabilisce che la legge deve assicurare che tutti i processi, civili e penali, si concludano in tempi ragionevoli. Se però non si prevedono strumenti idonei affinché ciò avvenga, rischiamo di scrivere delle parole sulla sabbia o, come dicono i francesi, de nous payer des mots.

PRESIDENTE. Credo che questa formulazione, ancorché complessa, venga incontro alle preoccupazioni espresse da diversi colleghi.

SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, non sono riuscito a leggere questo testo, ho soltanto ascoltato le parole del collega.

PRESIDENTE. Non stavo procedendo alla votazione, abbiamo pregato la segreteria di fotocopiare il testo.

SERGIO MATTARELLA. Credevo fosse una questione personale tra i colleghi Boato e Senese.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho invitato i colleghi a pronunciarsi sulla questione sollevata dal senatore D'Onofrio che a me è sembrata eccessiva; poiché occorre farsi carico di tutti i problemi emersi, ho chiesto a lei e ai colleghi che più hanno lavorato sulla materia, di pronunciarsi.

PRESIDENTE. Siamo di fronte a tre questioni. La prima è relativa all'ultimo comma dell'articolo 120 rispetto al quale porrei in votazione l'emendamento Parenti C.120.8 posto che la questione recata dall'emendamento C.120.38 mi sembra risolta dato che nell'articolo 128 è contenuta la norma che prevede la garanzia dell'indipendenza. Sotto questo profilo mi sembrerebbe ripetitivo, anche se discuteremo se la parola «estranei» sia valida o debba essere modificata; il principio tuttavia esiste.

Chiedo che ci si pronunci innanzitutto sull'emendamento Parenti ed altri C. 120.8, su cui il relatore ha espresso parere contrario.

TIZIANA PARENTI. Non insistiamo per la sua votazione e preannuncio che lo ripresenteremo in Assemblea, perché sul punto non vi è mai stata una discussione. Mi meraviglio però della posizione del relatore (lo dico tra parentesi) perché non si cambia assolutamente nulla...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È una proposta che ha assoluta dignità.

TIZIANA PARENTI. nel nostro sistema, anzi è una conseguenza logica del codice vigente.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Forse, se fossimo riusciti a valutarla collegialmente nel Comitato sul sistema delle garanzie, può darsi che una certa consapevolezza sarebbe stata più chiara a me ed ai colleghi. Quello che ha detto l'onorevole Mattarella vale non solo per gli emendamenti che redigiamo all'ultimo momento, ma soprattutto per le grandi questioni su cui è difficile improvvisare una posizione larga di convergenza nell'ambito della Commissione, se prima non vi è stata un'istruttoria, anche su problemi cui personalmente ho riservato il massimo rispetto.

PRESIDENTE. Invito l'onorevole Senese a dare lettura del suo emendamento che, pur distribuito in copia, non risulta, almeno a me, di semplice lettura e può darsi anche di comprensione. Mi sembrano, infatti, poco chiari alcuni incisi.

SALVATORE SENESE. Concordo sulla lettura, ma spero che la sua comprensione abbia una sorte diversa. Addirittura potremmo inserire dopo le parole «Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali» (così ripetiamo la norma classica), le seguenti: «La legge può prevedere che la risoluzione di controversie tra privati o nei confronti delle pubbliche amministrazioni e non relative a diritti fondamentali» (ho usato il termine fondamentali in modo da essere ancora più cautelati) «sia attribuita, in primo grado, ad organismi imparziali che operano con procedimenti contenziosi». In questo testo vi è tutta la sostanza del problema, che ci consente di sfuggire ad eventuali paure e fantasmi.

PRESIDENTE. Questo emendamento sarebbe sostitutivo del primo periodo del quarto comma. Poi dovremmo votare la parte relativa alla giustizia tributaria.

SERGIO MATTARELLA. Presidente, esprimo sommessamente qualche dubbio su questa formulazione, che in realtà non prevede ipotesi diverse dalla formulazione attuale, salvo che appare più complicata, perché prevedendo «controversie tra privati o nei confronti delle pubbliche amministrazioni» esclude che siano penali, come è previsto nel testo attuale. Si aggiunge soltanto che si tratta di organismi imparziali, ma questo mi pare abbastanza ovvio, perché i giudici straordinari o speciali devono essere tali. Non vedo in che cosa questo emendamento modifichi nella sostanza l'attuale formulazione, se non rendendola un po' più complicata.

PRESIDENTE. Il problema è che l'attuale formulazione è contestata, onorevole Mattarella.

SERGIO MATTARELLA. Vorrei capire - ripeto - in cosa cambia rispetto alla formulazione attuale.

PRESIDENTE. Cambia nel senso che questa formulazione non ingenera il sospetto che si voglia istituire un giudice speciale per conculcare i diritti politici dei cittadini: di questo abbiamo discusso sino ad ora.

SERGIO MATTARELLA. Presidente, vorrei chiarire un aspetto. Deve essere detto se sia possibile o meno che vi sia un giudice speciale, perché una formulazione che ingeneri incertezza su questo aspetto e renda ambigua la previsione è forse la peggiore.

Quello previsto dall'emendamento Senese, è un giudice speciale o no? Se non lo è, è meglio dire che non è ammesso; se lo è, è preferibile dirlo con chiarezza. In questo modo il testo risulta di oscura interpretazione e sarà oggetto di controversia stabilire se esso consenta o meno un giudice speciale: ciò mi pare sbagliato.

GIOVANNI PELLEGRINO. Noto una difficoltà, forse mia, a cogliere il senso della discussione. Il divieto di istituire i giudici speciali riguarda un giudice che nasce tale e resta tale nei vari gradi di giudizio. Quindi, prevedere che non possono essere istituiti giudici speciali significa che alla fine saranno il giudice ordinario o amministrativo a pronunciare la parola definitiva sulla risoluzione della controversia.

L'inciso ulteriore dell'onorevole Boato apre lo spazio ad una fase di primo grado e cioè che l'accesso alla giurisdizione ordinaria e amministrativa avvenga direttamente in secondo grado attraverso un filtro che viene lasciato in primo grado alle realtà locali, per esempio, a commissioni padane, lombarde o pugliesi.

Si tratta di evitare questo monopolio della magistratura professionale che parta dall'inizio, perché porta all'ingolfamento ed alla non soluzione rapida delle controversie. Se abolissimo la giurisdizione tributaria e scaricassimo tutto sul giudice ordinario, condanneremmo il contenzioso tributario alla paralisi definitiva. Il problema è capire che bisogna andare in direzioni deflattive, dando alla società la capacità di «scremare» i conflitti e di affidare alla giurisdizione togata, al giudice ordinario e amministrativo, quelli che non riesce a «scremare».

Vorrei dire al senatore D'Onofrio che il tribunale speciale era tale perché in grado di appello non operava la Corte di appello ordinaria, ma quella speciale, unico grado del tribunale speciale.

Che senso avrebbe attentare ai diritti politici con il giudice speciale di primo grado, quando poi in appello subentra il giudice ordinario? Ma quale disegno senza senso potrebbe dar luogo a pericoli di questo genere? Si tratta di capire che una commissione di automobilisti e di assicuratori giudica in primo grado delle controversie infortunistiche, ossia commissioni miste in cui, senatore Marchetti, vi è l'appello in secondo grado, se si vuole che il sistema di giustizia funzioni. L'emendamento Senese prevede organismi imparziali che dovrebbero essere composti dalle due corporazioni contrapposte.

GIULIO TREMONTI. Sull'emendamento in questione vorrei esprimere una considerazione positiva ed una negativa. È positiva l'idea che certe materie del contendere siano definite con una logica di economia giuridica diversa da quella ordinaria. È negativa la scelta della declinatoria del secondo grado di giudizio, perché in secondo grado vi sarebbe un giudice vero e in primo grado qualcosa di abbastanza tipico nella definizione del soggetto e della procedura di giudizio. Per differenza, se in secondo grado vi è un giudice vuol dire che in primo grado vi è qualcosa di diverso e trovo davvero singolare la tipicità dell'organismo e della procedura.

Infine, poiché l'esperienza in materia fiscale è in qualche modo indicativa dei problemi che si pongono nel contenzioso cosiddetto di massa, non è che il primo grado di giudizio sia di per sé un fattore di riduzione di effetto malthusiano, perché di solito vi è un rapporto di uno a uno. Chi arriva in primo grado prosegue anche nel secondo grado ed i meccanismi di diseconomia e di disincentivo si sviluppano sul piano amministrativo, raramente nel passaggio dal primo al secondo grado di giudizio.

TIZIANA PARENTI. Avevamo già ammesso i giudizi di equità all'articolo 122 e all'articolo 126 avevamo previsto i «magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici di primo grado». Mi chiedo che bisogno vi sia di prevederne altri ancora, dal momento che vi sono già due tipi di giudizio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Quello cui ha fatto riferimento è già previsto in Costituzione e si tratta di un'altra questione; potrebbe essere, per esempio, un giudice di pace.

TIZIANA PARENTI. Appunto, quello che già esiste, così come gli arbitrati che sono già previsti e non si possono costituzionalizzare. Basta che vi sia la previsione del giudice di equità e dei giudici onorari.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Potremmo andare avanti nella discussione ancora per molte ore, però stiamo ripetendo in sede plenaria un dibattito che si è già svolto in altra sede, un dibattito in cui ovviamente ogni collega che ritiene di intervenire riapre tutte le questioni.

È ovviamente l'onorevole D'Alema a presiedere e andremo avanti nella discussione, tuttavia faccio notare che essa non ci porterà da nessuna parte. Chi non ha partecipato ai lavori istruttori ritiene che ogni comma stimoli qualche considerazione, quindi riproporrà tutte le questioni. Voi sapete che su questa materia abbiamo lavorato per decine e decine di sedute e, purtroppo, siamo stati privati dell'apporto di qualche collega, che invece avremmo gradito avere in quella sede.

Dunque - dopo di che mi rimetto alla volontà della Commissione ed al modo in cui il presidente la guiderà - chiederei al collega D'Onofrio, che comunque con il suo intervento ha stimolato un chiarimento che va al di là di ogni ragionevole dubbio sul fatto che la portata della norma vada in una direzione completamente diversa ed inferiore rispetto ai problemi che egli ha sollevato con preoccupazione, se questo dibattito, che risulterà agli atti istruttori della Commissione, non possa, almeno in questo momento, fugare le preoccupazioni che ha legittimamente sollevato e non sia possibile rimanere al testo della prima parte del quarto comma, esaminando in un secondo momento la questione della giustizia tributaria. Chiederei, cioè, al collega D'Onofrio se non si ritenga soddisfatto della discussione, che ha chiarito le sue preoccupazioni.

Nell'ipotesi, invece, che si voglia comunque votare il testo Senese, il quale è stato costretto a scriverlo all'impronta, per cui si tratta di un testo correttissimo nel merito ma un po' faticoso, diciamo, come testo costituzionale, suggerirei di rimanere al testo proposto con le chiarificazioni suscitate da D'Onofrio e di riservarci tutti un ripensamento per l'aula. Credo infatti che il nuovo testo Senese, che ci soddisfa nel contenuto, costituisca un modo più complesso di esprimere lo stesso concetto che Senese aveva espresso nel comma che abbiamo recepito.

In primo luogo, però, mi rivolgo al senatore D'Onofrio.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Non credo di avere un particolare compito nella seduta plenaria. So quanto sia faticoso lavorare in Comitato ristretto, ritenere - come ritiene il collega Boato - di avere raggiunto un risultato complessivamente buono ed accettabile e poi vedere la Commissione plenaria discutere nuovamente, ma temo due conseguenze negative. Se i dubbi espressi in questo momento anche da me, e prima di me dalla collega Parenti, certamente non fondati sulla base di ciò che ho ascoltato, sono, ciò nonostante, ricostruibili sulla base di ciò che si legge ed alla luce dell'esperienza italiana, mi pare che sia difficile accettare un testo dicendo che, però, non va interpretato in un certo modo ed in aula potrà essere modificato.

Noi possiamo fare due cose diverse - mi rendo conto che questo è punto molto delicato -: o esclusivamente dire «per determinate materie diverse da quelle concernenti i diritti fondamentali garantiti in Costituzione» e allora in questo caso mi sentirei garantito che le garanzie costituzionali non sono toccate.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. D'accordo. Se il presidente consente, dichiaro di accettare questa formulazione.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Mi sembra che ciò traduca un dibattito che tranquillizza.

PRESIDENTE. « diverse da quelle relative ai diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione», che hanno un altro tipo di tutela, compresa la possibilità di ricorso diretto alla Corte costituzionale, tanto per fare un esempio.

TIZIANA PARENTI. Perché non parliamo di materia civile e basta?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. «diverse da quella penale» - perché, ovviamente, lasciamo l'esclusione per la materia penale - «e da quelle relative ai diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione». Proporrei, a questo punto, di chiudere la discussione, altrimenti questa notte saremo ancora qui.

PRESIDENTE. Si è, dunque, chiarito entro quali limiti e con quali finalità ci sia il riferimento alla possibilità di istituire giudici speciali per il giudizio di primo grado.

Mi pare, tuttavia, che molti colleghi vogliano comunque che sia posta in votazione la proposta emendativa che prevede di mantenere, al secondo comma dell'articolo 120, la previsione della proibizione assoluta per i giudici straordinari o speciali. Nel caso di approvazione, cadrebbe conseguentemente il primo periodo del quarto comma dell'articolo.

Pongo in votazione tale proposta emendativa.

Se è approvata, è la fine di tutto e, dopo una lunga discussione, la proposta, ad occhio, sembra risultare approvata.

Il relatore chiede, comunque, che si proceda alla controprova (Commenti del senatore Lisi).

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Soprattutto chiedo di contare. Non essendo riuscito io a contare e poiché nessuno lo ha fatto, ho chiesto di poter contare.

PRESIDENTE. Va bene, procederò io stesso a contare i favorevoli e i contrari.

Pongo in votazione la proposta emendativa.

 

(È approvata).

Quindi, rimane l'attuale testo del primo periodo del secondo comma dell'articolo 102 della Costituzione.

Per quanto riguarda il secondo periodo del quarto comma dell'articolo 120, cioè quello relativo alla giustizia tributaria

ROBERTO MARONI. Mi scusi, presidente, ma poiché sono stati presentati diversi emendamenti, alcuni dei quali recitavano «e speciali», altri «o speciali», vorrei sapere se il testo approvato sia con la «e» o con la «o».

PRESIDENTE. Ho fatto riferimento espressamente al ripristino del testo attuale della Costituzione, che recita: «Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali».

ROBERTO MARONI. Va bene.

PRESIDENTE. La proposta Senese è stata ritirata. Il quarto comma cade interamente, poiché esso fa riferimento a giudici speciali per il giudizio di secondo grado in materia tributaria ed è proibito istituirne.

SERGIO MATTARELLA. Mi domando, presidente, se prima di procedere non sia il caso di riflettere sulle conseguenze del voto.

PRESIDENTE. Sulle conseguenze del voto, caro Mattarella, spero che abbia riflettuto chi lo ha espresso.

SERGIO MATTARELLA. Io non discuto e rispetto il voto. Mi pongo soltanto il problema se, prima di procedere, non sia il caso di riflettere sulla portata delle conseguenze del voto.

PRESIDENTE. È evidente che abbiamo reso incostituzionale la riforma del procedimento in materia tributaria.

SERGIO MATTARELLA. Non solo quella, presidente.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'unica cosa che si può fare, anche se non risolve il problema, è di riproporre l'emendamento Senese.

PRESIDENTE. Abbiamo rinviato tutto al giudice ordinario. Abbiamo fortemente rafforzato il potere dei giudici ordinari e dei pubblici ministeri. Abbiamo fatto un bel lavoro! Siamo per i magistrati, c'è generale soddisfazione in platea.

È esattamente la riprova che non c'è una logica in ciò che si fa. Comunque sia, cosa ci possiamo fare! (Commenti del senatore Lisi).

Per quanto concerne la questione della giustizia tributaria, si potrebbe porre in votazione l'emendamento Parenti C.120.36, che prevede l'attribuzione della giurisdizione in materia tributaria a sezioni specializzate presso il giudice ordinario, in modo da limitare l'effetto «devastante» dell'ultima votazione sull'ordinamento esistente. In questo modo si rinvia tutto al giudice ordinario.

GIOVANNI RUSSO. Presidente, esistendo comunque il terzo comma dell'articolo 120, credo non sia necessaria una previsione espressa, dato che esso rende già possibile l'istituzione di sezioni specializzate per determinate materie.

PRESIDENTE. Credo che si rientri nella clausola generale: è meglio lasciare le cose come stanno.

SERGIO MATTARELLA. Mi chiedo se, a somiglianza di quanto fatto dall'Assemblea costituente nel 1948, non potremmo prevedere in norma transitoria di salvare almeno quanto attualmente già esiste, accompagnando il voto appena espresso con una norma transitoria che salvi quanto c'è, come si fece nel 1948.

PRESIDENTE. Poiché ci siamo limitati a ripristinare la norma della Costituzione vigente, presumo che quello che c'è sia compatibile con quest'ultima.

GIOVANNI PELLEGRINO. Era compatibile perché c'era una disposizione transitoria che faceva salvi i giudici speciali; dobbiamo quindi riprodurla.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Era una norma riferita ad altre giurisdizioni speciali: suggerirei, anche in questo caso, di non improvvisare. La Commissione ha voluto approvare quella soppressione; ora andiamo avanti. Se dovremo prevedere norme transitorie, lo faremo in coda all'esame del testo. Non credo - ripeto - che sia il caso di improvvisare, dopo averlo in qualche misura già fatto, a mio parere.

PRESIDENTE. Ora valuteremo se l'attuale ordinamento della giurisdizione tributaria sia o meno compatibile con la norma che stiamo approvando. Poiché mi pare evidente che non si voleva mettere in discussione ciò, qualora sorgesse un problema di incostituzionalità, proporremo una norma transitoria per evitare danni.

Fatta salva questa garanzia, pongo in votazione l'articolo 120 nel testo del relatore, come modificato.

(È approvato).

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti non integralmente assorbiti, come da elenco in allegato.

Passiamo all'esame dell'articolo 121.

GIANCLAUDIO BRESSA. Vorrei chiederle di porre in votazione il mio emendamento C.121.2.

PRESIDENTE. È senza alcun dubbio precluso, dato che abbiamo già votato in questa materia.

GIANCLAUDIO BRESSA. Volevo avere questa conferma.

PRESIDENTE. Lo trovo sorprendente, sinceramente. Capisco che questa è una materia che appassiona fino ad obnubilare, ma prendere la parola per farsi dire che un emendamento è precluso lo trovo stupefacente!

SERGIO MATTARELLA. Vorrei chiedere un chiarimento al relatore, presidente. Nel secondo comma dell'articolo 121 nel testo proposto dal relatore è scomparsa la locuzione «su iniziativa del pubblico ministero» per quanto riguarda il procedimento di responsabilità patrimoniale. Vorrei chiederne il motivo e su iniziativa di chi si eserciterà l'attività giurisdizionale qui indicata.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. So che la Corte dei conti ci ha mandato un appunto urgente sulla questione...

SERGIO MATTARELLA. Io non l'ho ricevuto!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ma la presidenza l'ha ricevuto!

SERGIO MATTARELLA. Mi pongo il problema di chi attiverà il procedimento.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È ovvio che lo attiverà un pubblico ministero. Quello che noi (dico noi perché è stato il Comitato ristretto a proporre di non far riferimento all'iniziativa del pubblico ministero e se vogliamo reintrodurlo non ho nulla in contrario)

SERGIO MATTARELLA. Con il permesso del presidente, vorrei dire...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Posso rispondere alla sua domanda? Dicevo che nel Comitato ristretto si è deciso di non pregiudicare o precostituire in Costituzione l'esistenza o meno di un pubblico ministero ad hoc presso la giurisdizione amministrativa, lasciando al legislatore ordinario la scelta se determinare o meno questa figura.

È evidente che se c'è un'azione di responsabilità, c'è l'iniziativa di un pubblico ministero; se questa iniziativa venga da un unico pubblico ministero che agisce di fronte alla giurisdizione ordinaria o a quella amministrativa, o se invece ci sia la possibilità di prevedere un pubblico ministero specifico presso la giurisdizione amministrativa è questione che nel lavoro di questi mesi abbiamo ritenuto di non precostituire in Costituzione e di lasciare aperta all'evoluzione della legislazione ordinaria. È l'unica differenza che c'è nella prefigurazione del Consiglio superiore della magistratura ordinaria rispetto a quella del CSM amministrativo.

Questo è l'unico motivo. Se la Commissione deciderà di ristabilire l'espressione incidentale «su iniziativa del pubblico ministero», non sarò contrario. L'eliminazione è avvenuta in base ad un dibattito svoltosi in Comitato ristretto, il quale ha convenuto in larga maggioranza di chiederla, per non precostituire - ripeto - scelte in Costituzione.

SERGIO MATTARELLA. Premesso che non volevo interrompere il relatore e che pensavo avesse terminato il suo intervento, vorrei esprimere una preoccupazione. È evidente che dovrebbe essere previsto un organismo che attiva il procedimento; i lavori preparatori hanno un senso e, essendo stato approvato un certo testo a giugno, se sopprimiamo quell'inciso si può creare l'equivoco che il procedimento può essere attivato anche su iniziativa di altri soggetti.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se c'è questo equivoco, sono disposto a chiarirlo immediatamente.

SERGIO MATTARELLA. È una scelta da fare: io non sarei favorevole alla previsione di altri soggetti che investissero direttamente l'autorità giudicante. Comunque il problema intepretativo si pone.

MARIDA DENTAMARO. Vorrei chiederle, presidente, di porre in votazione il mio emendamento S.121.23, che sostituisce al «non criterio» di riparto di giurisdizione delle materie omogenee indicate dalla legge un altro criterio, quello di attribuire alla giurisdizione amministrativa tutti gli atti ed i rapporti in cui si faccia questione di pubbliche funzioni e di pubblici servizi.

Vorrei risparmiare alla Commissione il tempo di illustrazione dell'emendamento perché è un tema sul quale mi sono già soffermata nel mese di giugno.

Ricordo molto brevemente che quello su cui il relatore insiste nell'ultima proposta non è un criterio, è una delega in bianco al legislatore ordinario, tra l'altro tecnicamente inesatta, perché materie omogenee sono, per esempio, l'agricoltura, l'industria. Allora, supponiamo che si attribuisca ad una delle due giurisdizioni la materia industria; significherebbe che in quell'ambito si giudica di contrattualistica e di espropriazioni, per cui non si dà alcuna indicazione.

Anche a seguito di un confronto con altri colleghi - ricordo gli interventi del collega Pellegrino - si era ritenuto invece che la considerazione di pubbliche funzioni o pubblici servizi esaurisse veramente quella parte di rapporti specialistici sui quali è opportuno mantenere già in Costituzione un'indicazione di giurisdizione amministrativa.

Condivido l'intervento del collega Mattarella a proposito della necessità di ripristinare l'iniziativa del pubblico ministero per i giudizi di responsabilità contabile. Dico anzi che il testo di giugno è anche eccessivamente vago, nel senso che non prevede specificamente l'istituzione di un ufficio del pubblico ministero presso il giudice amministrativo, per cui segnalo l'emendamento C.121.8, per il quale si dovrebbe specificare l'istituzione di un apposito ufficio del pubblico ministero. Segnalo tra l'altro che questo agevolerebbe anche l'applicazione della normativa transitoria, perché, se consideriamo che stiamo facendo confluire in un unico ordine giudiziario amministrativo-contabile magistrati - appunto - amministrativi e contabili, dobbiamo anche avere presente problemi pratici, quantitativi, di numeri, di confluenza di magistrati. Istituire delle procure presso i tribunali regionali di giustizia amministrativa e la Corte di giustizia amministrativa certamente agevolerebbe il mantenimento di un equilibrio complessivo del sistema e dei suoi organici.

ORTENSIO ZECCHINO. Vorrei segnalare, rispetto al tema della soppressione dell'inciso sull'iniziativa del pubblico ministero, della quale in qualche modo mi sono fatto promotore nel Comitato, che nella versione precedente era inevitabile l'attribuzione della competenza al pubblico ministero presso la magistratura ordinaria - così è scritto - la qual cosa andrebbe esattamente in direzione opposta rispetto a tutti gli orientamenti di non accrescere i poteri del pubblico ministero stesso.

La soppressione, però, non deve essere interpretata nel senso della ricerca di un altro soggetto, perché il legislatore ordinario - lo voglio segnalare - potrebbe fare la scelta di legittimare la vittima del danno patrimoniale secondo la più classica delle soluzioni adottate in altri paesi.

LUCIANO GASPERINI. Io metterei la menzione del pubblico ministero, perché quest'ultimo esercita una funzione molto spesso non solo di iniziativa, ma anche di intervento ad adiuvandum dell'inerzia delle parti; rappresenta la collettività, dà un impulso diverso alla procedura.

Quindi, per me è necessario far figurare l'esistenza del pubblico ministero e la sua iniziativa, che è importante per il suo potere-dovere di impulso, ma anche di correzione degli errori altrui e di supplenza nel caso di vacanza delle parti interessate. Insisterei quindi, se il relatore è d'accordo, per aggiungere la figura e il ruolo del pubblico ministero nell'ambito della giurisdizione amministrativa.

GIOVANNI PELLEGRINO. Sul primo comma, volevo far osservare alla collega Dentamaro che quando si usa l'espressione «materie», la si usa come criterio attributivo di una competenza: si vuole chiarire che si passa dal riparto di giurisdizione fondato sulla distinzione interesse-diritto - su cui la collega è d'accordo nel superamento - ad un criterio di attribuzione di competenza per materia.

Ha ragione la collega nel ritenere che l'espressione «per la tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione» può oggi non essere pienamente soddisfacente. Vorrei in proposito richiamare all'attenzione la formulazione dell'emendamento S.121.37 che noi troveremmo più appropriata «sulla base di materie omogenee indicate dalla legge riguardanti l'esercizio di pubblici poteri o la tutela di interessi generali». Penso che potrebbe accontentare tutti, dare al legislatore ordinario un criterio nel determinare la competenza per materia del giudice amministrativo.

Vorrei però dire che il termine «materie» non fa riferimento all'industria, ma alle materie di competenza del giudice amministrativo, secondo il criterio civilistico per cui la competenza può essere o per valore o per materia; qui si tratta di una competenza per materia.

ERSILIA SALVATO. Chiedo che venga messo in votazione il nostro emendamento C.121.11 sostitutivo del terzo comma dell'articolo 121 sui tribunali militari.

A noi sembra più idonea la dizione che i tribunali militari sono istituiti solo in tempo di guerra, non per il tempo di guerra; c'è una differenza, è preferibile farli istituire in presenza di una guerra dichiarata.

Non siamo favorevoli a che gli stessi tribunali militari intervengano in occasione dell'impiego delle Forze armate fuori dai confini nazionali, perché tale impiego è disciplinato dall'articolo 11 della Costituzione. D'altra parte, noi stessi, ogni qualvolta vi è stata una missione all'estero, l'abbiamo intesa come umanitaria e di pace; in questo caso sarebbe preferibile individuare una competenza della giustizia ordinaria e non dei tribunali militari. Recita infatti l'emendamento da noi presentato: «I tribunali militari sono istituiti solo in tempo di guerra e hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate».

Credo tra l'altro che sarebbe utile una riflessione su vicende recenti - quelle della Somalia ed altre similari - dove anche militari sono stati interessati dalle indagini. Ritengo che in occasioni del genere, trattandosi non di crimini di guerra ma di crimini compiuti da militari in una missione umanitaria, sia più garantista che questi vengano giudicati alla stregua degli altri cittadini.

GIOVANNI RUSSO. Vorrei associarmi alle considerazioni del collega Pellegrino. Effettivamente un'individuazione delle materie che si attribuiscono alle competenze dei giudici amministrativi credo sia necessaria. La formula può essere quella indicata da Pellegrino e riferita ai pubblici poteri o alla tutela di interessi generali.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non ho capito a quale emendamento si riferisce.

PRESIDENTE. Agli identici emendamenti C.121.56 e S.121.37.

GIOVANNI RUSSO. Per completezza vorrei ricordare la formula di cui si è discusso nel Comitato ristretto, che mi pare ugualmente appropriata: «per la tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione o nel settore dei pubblici servizi. Nell'ambito di questa ampia materia la legge determina specificamente le materie che attribuisce al giudice amministrativo».

PRESIDENTE. Quindi, la formulazione contiene la definizione di «ambito».

GIOVANNI RUSSO. Avrei delle riserve sulla formula della collega Dentamaro, nella quale sembra che tutti gli atti indicati - e lo sono in termini molto generali - obbligatoriamente debbano essere attributi alla competenza del giudice amministrativo. Lascerei alla legge la determinazione delle materie in questo ambito.

NATALE D'AMICO. Non so come lei intenda procedere sul secondo comma, ma desidero esprimere brevemente la mia opinione. Mi pare che debba esistere un pubblico ministero che abbia l'iniziativa e che questa debba essere solo di un pubblico ministero, il quale sia istituito presso un giudice amministrativo. Uno dei problemi sui quali, con diverse opinioni, ci stiamo misurando è relativo alla possibilità che aver riaffermato l'obbligatorietà dell'azione penale in realtà attribuisca un amplissimo potere discrezionale ai pubblici ministeri penali. Eviterei di attribuire allo stesso pubblico ministero questa ulteriore funzione che preferirei fosse affidata ad un pubblico ministero istituito presso un giudice amministrativo.

PRESIDENTE. Mi pare che siano state individuate le questioni sulle quali dobbiamo pronunciarci.

MARIDA DENTAMARO. Vorrei chiedere ai colleghi della sinistra democratica se siano disposti a sostituire nel loro emendamento l'espressione «interessi generali» con le parole «pubblici servizi». Infatti parlare di interessi generali non ha significato, perché la legge disciplina anche i rapporti tra due soggetti, sempre in vista di un interesse generale. L'espressione è assolutamente insignificante in Costituzione.

MASSIMO VILLONE. Propongo ai colleghi di sopprimere la parte relativa alla tutela di interessi generali, lasciando solo quella riguardante l'esercizio di pubblici poteri.

MARIDA DENTAMARO. Sono d'accordo.

PRESIDENTE. Mi pare vi sia una convergenza sulla proposta di aggiungere a conclusione del primo comma, dopo le parole «sulla base di materie omogenee indicate dalla legge» le seguenti: «riguardanti l'esercizio di pubblici poteri».

Il relatore condivide?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono d'accordo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione tale proposta.

(È approvata).

Passiamo al secondo comma.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Propongo di ripristinare a scanso di equivoci - che non c'erano -

GIOVANNI RUSSO. Vorrei fare una proposta che tende a tener conto delle osservazioni fatte, evitando però l'uso delle parole «pubblico ministero» che lascia nell'ambiguità...

PRESIDENTE. Vi è una proposta dell'onorevole D'Amico.

GIOVANNI RUSSO. La mia proposta è quella di aggiungere al secondo comma il seguente periodo: «La legge stabilisce a quali soggetti spetta promuovere l'azione di responsabilità». Lasciamo così che sia la legge a stabilire se si istituisce un pubblico ministero presso il giudice amministrativo, se si attribuisce la legittimazione alle pubbliche amministrazioni danneggiate, se debba essere il pubblico ministero presso il giudice ordinario. Mi pare che vi sia un rinvio alla legge che non pregiudica la soluzione.

PRESIDENTE. Qui si parla della responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.

Vi è stata un'obiezione al secondo comma e qui desidero sottolineare che la forma in cui questa obiezione è pervenuta su carta intestata del consiglio di presidenza e dell'associazione dei magistrati della Corte dei conti è sinceramente molto negativa. L'obiezione è pervenuta a me, al relatore, al presidente del Comitato per le garanzie, onorevole Giuliano Urbani, ai capigruppo all'interno della Commissione bicamerale e, infine, a tutti i componenti della medesima.

Non sono contrario al dialogo e neppure all'esercizio di una ragionevole pressione, ma nel dire che l'ultimo testo diramato dal relatore - testo che peraltro è stato lungamente discusso nel Comitato ristretto e come tale poi è stato diramato - accorda completa impunità a tutti gli amministratori e funzionari pubblici che dilapidano i beni e i valori addirittura della collettività mi pare che, a tutela di un legittimo interesse corporativo, si adoperino argomenti francamente - questi sì - sconcertanti, che destano vivo sconcerto e fortissima preoccupazione. Capisco le ragioni di organico che sono state apportate e ho il massimo rispetto per gli organici, però penso che si debba rispettare anche il Parlamento.

Detto questo, credo che la questione sia così definita: vi è chi propone che si precisi già nella norma costituzionale che l'iniziativa compete ad un pubblico ministero istituito presso il giudice amministrativo, a scanso di equivoci come ha detto l'onorevole D'Amico, oppure, in alternativa, si propone di lasciare alla legge il compito di precisare quale soggetto abbia la titolarità dell'iniziativa nei confronti di pubblici funzionari in materia di responsabilità patrimoniale, cioè che non si pregiudichi la norma costituzionale decidendo l'istituzione di un pubblico ministero apposito. Questo è il punto ancora aperto, fermo restando che tutti convengono sull'opportunità di superare questa formulazione che nella sua sinteticità farebbe pensare che non ci sia la previsione di un soggetto titolare dell'azione di responsabilità nei confronti dei pubblici funzionari.

MASSIMO VILLONE. Desidero proporre una lieve correzione puramente formale alla formula indicata dal collega Russo che potrebbe essere del seguente tenore: «La legge stabilisce i soggetti che promuovono l'azione di responsabilità».

PRESIDENTE. Onorevole D'Amico, non vi è dubbio che il testo più lontano sia in questo caso quello più determinato, cioè quello che lei propone. Se lei lo chiede, lo pongo in votazione. Ascolteremo ovviamente prima il parere del relatore.

NATALE D'AMICO. Chiederei che venisse posta in votazione l'istituzione del pubblico ministero.

PRESIDENTE. D'accordo. Qual è il parere del relatore?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Per i motivi che ho accennato prima, sarei contrario a questa proposta, mentre sono favorevole o alla pura e semplice reintroduzione dell'espressione «su iniziativa del pubblico ministero» o all'ultima formulazione proposta dal collega Russo e rielaborata dal collega Villone, perché lascia aperta non solo l'iniziativa del pubblico ministero ma anche l'eventuale pluralità di soggetti che promuovono l'azione di responsabilità. Mi sembra che possa essere opportuno questo inserimento in Costituzione. Quindi, no all'ipotesi D'Amico, ma sì alla proposta Mattarella di ripristinare il testo, che del resto avevo tolto su richiesta...

SERGIO MATTARELLA. che per la verità coincide con quella D'Amico.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In questo caso no; se la proposta è di ripristinare il testo precedente sono d'accordo; alla proposta D'Amico ed eventualmente Mattarella non sono d'accordo; sì invece alla proposta più elastica Villone-Russo, perché ci permette di non irrigidire la soluzione in Costituzione, lasciando aperta ad una eventuale pluralità di soggetti l'azione di responsabilità; esattamente l'opposto di quello che veniva paventato nel comunicato cui faceva riferimento il presidente poco fa.

NATALE D'AMICO. Premesso che quel comunicato non l'ho letto e avrei piacere di leggerlo, non ho capito, nell'opinione del relatore e quindi nel testo così come lo abbiamo approvato, quale sarebbe in realtà il pubblico ministero. Sarebbe quello penale?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non sarebbe predeterminato in Costituzione; si lascia aperto al legislatore bicamerale di definire il punto, anche in relazione alla evoluzione di questa giurisdizione, senza irrigidire la soluzione in Costituzione.

PRESIDENTE. Vorrei pregare il relatore di lasciar cadere il testo originario perché questo era stato corretto sulla base di una osservazione fatta nel Comitato ristretto dal senatore Zecchino. Secondo tale osservazione, a mio giudizio non infondata, il riferimento al pubblico ministero, senza ulteriore specificazione, appariva inequivocabilmente tale da far pensare al pubblico ministero istituito presso il giudice ordinario.

In realtà le alternative sono due: o decidiamo che vi è un pubblico ministero presso il giudice amministrativo che diventa il titolare di questa azione, oppure lasciamo la questione indeterminata, aggiungendo dopo le parole «nelle altre materie specificate dalla legge» le altre «La legge stabilisce altresì i soggetti titolari dell'azione di responsabilità».

In questo modo si riafferma che debbono esistere soggetti titolari di tale potere, ma non si decide qui la loro istituzione.

MASSIMO VILLONE. Potrebbe essere un difensore civico, per fare un esempio banale, presidente.

MARCELLO PERA. Con questa formula potrebbe essere anche un pubblico ministero penale?

PRESIDENTE. Teoricamente sì, anche se - anche per il modo in cui siamo giunti a questa decisione - l'equivoco secondo cui il titolare di tale azione di responsabilità è il pubblico ministero penale viene a cadere: sarà poi la legge a determinare la pluralità dei soggetti titolari. Teoricamente la legge potrebbe inserire in questo elenco di soggetti anche il pubblico ministero penale; non lo esclude ma mi sembra anche evidente che non lo prefigura.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In questi casi non succederebbe il fatto di avere l'azione penale e contemporaneamente quella di risarcimento prima ancora che sia definita la responsabilità penale; cosa che invece oggi succede. Forse quindi si semplificherebbe anche qualche problema, dal punto di vista della giustizia.

PRESIDENTE. Credo che i termini della questione siano ormai abbastanza chiari. Credo vada posta in votazione innanzitutto la proposta D'Amico per l'introduzione dell'inciso «su iniziativa del pubblico ministero istituito presso di esso».

MARIDA DENTAMARO. Voterò a favore dell'emendamento dell'onorevole D'Amico, associandomi innanzitutto alle sue considerazioni svolte precedentemente per stigmatizzare qualsiasi forma di condizionamento o pressione da parte di qualsiasi magistratura su questa Commissione e sul Parlamento. Tuttavia, già in tempi non sospetti, quindi assai prima che pervenisse alla Commissione in questa fase dei lavori la missiva della Corte dei conti, avevo presentato un emendamento proprio in questo senso ed anche assai prima che si giungesse a parlare di norme transitorie e quindi ad immaginare gli eventuali futuri problemi di organico.

Sono invece favorevole ad un chiarimento netto in Costituzione della officialità dell'azione di responsabilità e della sua titolarità esclusiva in capo ad un apposito pubblico ministero istituito presso il relativo giudice, perché lasciare aperto lo spazio ad altri soggetti significherebbe dare al legislatore ordinario la possibilità di scelte anche pericolose e delicatissime.

L'azione di responsabilità - non il giudizio, lo sottolineo - può avere forti componenti anche di valutazione politica di comportamenti amministrativi, per cui è inopportuno anche lasciare la possibilità di agire alle vittime del danno, che sarebbero gli enti pubblici e la collettività; sarebbe, ad esempio, inopportuno lasciare ad amministratori di amministrazioni successive la possibilità di agire contro quelli che li hanno preceduti. Sul difensore civico abbiamo dibattuto a lungo il gradimento o meno di questa figura in Costituzione, ma credo che qui si tocchi una sfera di rapporti talmente delicati rispetto ai quali è assolutamente opportuna la titolarità esclusiva della azione in capo ad un pubblico ministero, che peraltro non può coincidere con il pubblico ministero che esercita l'azione penale, proprio per ragioni di eccesso di concentrazione di poteri in capo a tale pubblico ministero, nonché per ragioni culturali molto precise, che sono le stesse che ci hanno indotto alla scelta di un giudice della pubblica amministrazione distinto dal giudice ordinario.

La cultura del diritto amministrativo resta radicata in questa giurisdizione che abbiamo stabilito di conservare ed è quindi assolutamente coerente la scelta di mantenere distinte anche le procure.

GIOVANNI PELLEGRINO. Desidero esprimere una contrarietà rispetto a questo emendamento e manifestare sorpresa per come a volte le idee persistano anche quando i fatti e la realtà ne dimostrano le conseguenze negative.

Non voglio dire che le proposte dei colleghi D'Amico e Dentamaro derivano da quell'episodio che abbiamo stigmatizzato, perché questo sarebbe fare un grave torto a questi colleghi, però credo non sia dubbio che l'episodio stigmatizzato è l'effetto della proposta che ci viene oggi riproposta. Se noi abbiamo un pubblico ministero contabile, quel pubblico ministero identificherà nella propria funzione il presidio della legalità ed il presidio di quegli alti valori. Questo è il punto con il quale non ci vogliamo misurare. Finché esisterà un pubblico ministero che può fare una sola cosa, esercitare l'azione contabile, noi avremo questo tipo di eccessi; è fatale. Ecco perché sono favorevole, invece, all'ipotesi di Russo: lasciamo che sia il legislatore, in tempi più sereni e con una maturazione ulteriore, a determinare le scelte da fare rispetto a questi istituti. Non mi nascondo nemmeno che se la scelta sarà per una responsabilità di tipo sostanzialmente riparatorio, allora dovrà essere l'amministrazione che ha ricevuto il danno erariale ad attivare l'azione, eventualmente con un potere sostitutorio da attribuire ad altri soggetti. Ma il pubblico ministero contabile porterà necessariamente a questa necessaria difesa dell'istituto e della propria legittimazione: se posso fare solo quello, nel momento in cui viene abolita questa mia funzione dirò che i valori sacri vengono lesi o dilapidati.

Ecco perché sono a favore della soluzione Russo o addirittura del testo elaborato dal Comitato, che lasciava alla legge il compito di fare le scelte successive.

FAUSTO MARCHETTI. Mi dichiaro d'accordo con la proposta Russo.

PRESIDENTE. Come un collega suggerisce, con riferimento alla proposta Russo, anziché dire «stabilisce i soggetti che promuovono» si potrebbe dire «i titolari dell'azione di responsabilità»; mi sembra più proprio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. «La legge determina i titolari dell'azione di responsabilità».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento D'Amico C.121.9.

(È respinto).

Pongo in votazione la proposta Russo ed altri di aggiungere, alla fine del secondo comma, il periodo: «La legge determina i titolari dell'azione di responsabilità».

(È approvata).

Passiamo alla proposta della senatrice Salvato, tesa a sopprimere all'ultimo comma la previsione di tribunali militari in tempo di pace, i quali si costituiscano in occasione dell'impiego delle forze armate fuori dai confini nazionali, nonché a stabilire la limitazione della possibilità di istituire tribunali militari in tempo di guerra.

MARIO GRECO. Poiché è stata introdotta l'aggiunta «possono esserlo», che è diversa dalla formulazione originaria, chiedo al relatore se non si debba ripensare a questa facoltà che viene data e che trova il tempo che trova. Dico che in Costituzione non occorre essere troppo rigidi ma neppure dare semplicemente indicazioni molto generiche. Abbiamo visto che anche per recenti fatti l'impiego delle forze armate ci è stato imposto come un'esigenza impellente. Ora mi chiedo se invece di dire «possono esserlo in occasione dell'impiego delle forze armate fuori dai confini nazionali», non sia più opportuno eliminare le parole «possono esserlo» lasciando la formula «in occasione dell'impiego delle forze armate».

PRESIDENTE. Tuttavia, come lei vede, qui c'è un parere esattamente opposto. Non intendo intervenire nel merito della questione, sulla quale la Commissione si pronuncerà, però credo che esista un problema delicato. Attualmente il tribunale militare esiste anche in tempo di pace, com'è noto, tuttavia in tempo di pace applica norme diverse da quelle che applica in tempo di guerra. Se prevediamo che il tribunale possa essere istituito anche in tempo di pace, manteniamo questa diversità normativa. Il problema è abbastanza delicato, perché è ovvio che non si può pensare che in occasione dell'impiego delle forze armate si applichi il codice militare di guerra.

ANTONIO LISI. Ho l'impressione che il problema si possa superare soltanto mantenendo la previsione attuale, cioè con i tribunali militari in tempo di guerra ed in tempo di pace che sono soltanto specificamente per i reati commessi dagli appartenenti alle forze armate. Questo comprenderà tutto ciò che si potrà fare.

VALDO SPINI. Credo che su questo comma valga l'esperienza di questi mesi. Pensiamo, per esempio, che gli attuali procedimenti in corso per i fatti della Somalia sono ripartiti in più procure del nostro paese, perché ogni soldato, o comunque ogni appartenente alle forze armate, che sia imputato o sospetto di aver compiuto qualcosa di negativo rispetto al codice viene giudicato dalla procura della città di residenza, con il risultato che avremo probabilmente sette, otto giurisprudenze. Da questo punto di vista, la possibilità di avere in questo caso un giudice militare è senz'altro un elemento di efficienza e di buon senso.

Naturalmente è giusto quello che diceva il presidente D'Alema. Bisogna fare un esplicito riferimento al codice militare di pace e non certo al codice militare di guerra, per i motivi che sono evidenti. Ma direi che questa previsione, che ormai si sta verificando sempre più frequentemente, cioè di un impiego fuori del territorio nazionale, non può essere lasciata in queste condizioni; si deve dare la possibilità (perché l'emendamento non prevede l'obbligatorietà, ma la possibilità, che quindi poi viene stabilita con legge) di avere effettivamente il giudice militare, naturalmente, ripeto, con il codice militare di pace.

CESARE SALVI. Pur tenendo conto delle osservazioni del collega Spini, credo che se il problema è solo quello della procura competente per territorio lo si può risolvere in sede di disciplina processuale. Tuttavia mi pare che la distinzione, che emerge anche per quanto riguarda la legislazione applicabile, tra vero e proprio stato di guerra e missioni internazionali che hanno finalità di pace giustifichi il fatto di riservare ai tribunali militari soltanto le vere e proprie situazioni di guerra. Del resto, nella norma sostanziale abbiamo tenuto a distinguere molto bene fra le due situazioni, cioè fra uno stato di guerra e le missioni internazionali. Pertanto, l'emendamento della senatrice Salvato mi sembra meritevole di accoglimento.

LUCIANO GASPERINI. Ritengo che l'emendamento della senatrice Salvato sia condivisibile, in quanto dobbiamo distinguere il tempo di guerra dal tempo di pace. Il riferimento alla possibilità che il tribunale militare eserciti la sua funzione anche nel caso dell'impiego delle forze armate fuori dai confini nazionali non vuol dir niente; non sappiamo se significa tempo di guerra o tempo di pace. Limitiamo l'eccezione...

PRESIDENTE. In tempo di pace, perché è allora che si fanno le missioni militari all'estero. Si possono fare anche in tempo di guerra, ma qui ci si riferisce, evidentemente, a quelle previste in tempo di pace.

LUCIANO GASPERINI. Quindi manteniamo per il tempo di guerra questo codice rigoroso.

PRESIDENTE. Porrò in votazione l'emendamento Cossutta ed altri C.121.11, essendo il più radicale, perché qualora passi il principio che i tribunali militari sono istituiti soltanto in tempo di guerra, diverrebbe superflua qualsiasi altra discussione relativa all'applicazione del codice.

Pongo in votazione tale emendamento intendendolo come sostitutivo del primo periodo del terzo comma.

(È approvato).

Si dà pertanto mandato al relatore di coordinare il testo sulla base del principio approvato.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Manterrei comunque - chiedo l'attenzione della collega Salvato - l'ultimo periodo: «La legge assicura che il relativo procedimento si svolga comunque nel rispetto dei diritti inviolabili della persona».

PRESIDENTE. Anche in tempo di guerra i diritti della persona sono inviolabili.

SERGIO MATTARELLA. Chiedo che la votazione dell'articolo 121 avvenga per parti separate, cioè prima i primi due commi, poi il terzo. Sui primi due esprimeremo infatti voto contrario non essendo favorevoli, in riferimento a quando discusso e votato giovedì scorso, al trasferimento a questo nuovo organo della competenza di giurisdizione amministrativa.

PRESIDENTE. Pongo in votazione i primi due commi dell'articolo 121.

(Sono approvati).

Pongo in votazione l'ultimo comma dell'articolo 121, così come emendato.

(È approvato).

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti relativi all'articolo 121, non integralmente assorbiti come da elenco in allegato.

Passiamo all'esame dell'articolo 122.

Poiché su tale articolo vi è stata una lunga discussione, prima di vedere come si intenda procedere vorrei sapere se vi siano colleghi che desiderino intervenire per chiedere che siano posti in votazione emendamenti rilevanti rispetto al testo proposto dal relatore.

ROLANDO FONTAN. Intervengo sull'ordine dei lavori, signor presidente. Avendo già presentato una richiesta formale, cioè che vengano discussi due nostri emendamenti, tra cui quello interamente sostitutivo dell'articolo 122, chiediamo che se ne tenga conto.

PRESIDENTE. L'emendamento Fontan C.122.122, interamente sostitutivo, prevede la separazione in due ordini dei pubblici ministeri e dei giudici e che i due consigli superiori siano integralmente eletti, non modificando gli equilibri, dal Parlamento.

NATALE D'AMICO. Intervengo anch'io sull'ordine dei lavori, signor presidente. A mio avviso la Commissione dovrebbe valutare l'opportunità di sospendere i lavori e di riprenderli domani mattina, perché mi sembra che su questa materia non vi sia accordo e che la discussione che ci apprestiamo a fare, comunque impegnativa, occuperebbe molto tempo e forse assumerebbe toni più legati ai simboli che ai contenuti concreti. Riterrei opportuno, considerata anche l'ora, attendere domani mattina, cioè avere più tempo per una discussione serena e, se del caso, verificare se sia possibile raggiungere una linea di accordo maggiore su una questione così importante.

PRESIDENTE. Lei suppone che domani mattina la discussione sarà più serena?

NATALE D'AMICO. Comunque avremmo più tempo per svolgere una discussione che immagino si preannunci piuttosto lunga.

PRESIDENTE. Proprio perché sono preoccupato del fatto che la discussione possa essere lunga non escluderei di iniziarla stasera, considerato che ad un certo punto dovremo anche finire. La mia preoccupazione è esattamente contraria.

Siccome questa questione è stata lungamente discussa, può darsi che si possa anche votare senza un ulteriore dibattito, che del resto non è obbligatorio; è sufficiente una dichiarazione di voto.

MARIO GRECO. Alla discussione sull'articolo 122 sono collegati altri problemi che verranno sollevati, proprio in rapporto alla soluzione che verrà adottata per tale articolo, anche per gli articoli che seguono. Aderisco pertanto alla proposta dell'onorevole D'Amico, perché la soluzione dell'articolo 122 è legata ad altri articoli, per esempio il 126.

PRESIDENTE. Considerato che il gruppo della lega ha chiesto che si voti sull'emendamento interamente sostitutivo dell'articolo, vorrei sapere, rispetto al testo del relatore, se vi siano gruppi che propongano di votare la formulazione proposta a giugno. Quali sono i punti di grande rilevanza su cui saremmo chiamati a votare? So che in sede di Comitato ristretto la discussione non è pervenuta ad un'intesa e so anche che vi sono colleghi che hanno chiesto di ripristinare il testo di giugno, in particolare al quarto comma, dove è detto che il Consiglio superiore della magistratura ordinaria si compone di una sezione per i giudici e di una sezione per i magistrati del pubblico ministero. Però chiedo, formalmente, se si chieda di votare questo emendamento, in quanto ciò è essenziale al fine di ordinare i nostri lavori.

ANTONIO LISI. A me sembra utile e necessario votare questo emendamento.

PRESIDENTE. Quindi, lei chiede che si ripristini il testo di giugno.

ANTONIO LISI. Sì, là dove è detto: «Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria si compone di una sezione per i giudici e di una sezione per i magistrati del pubblico ministero».

PRESIDENTE. Quindi, il testo di giugno, perché, come lei vede, nella nuova formulazione c'è uno spazio bianco.

ANTONIO LISI. Gli spazi bianchi ci hanno sempre preoccupato.

PRESIDENTE. È chiaro che se venisse ripristinata quella previsione, il quinto comma cadrebbe. Ci sono altre proposte emendative? (Commenti del senatore Gasperini). Prima di esaminare e votare subemendamenti, occorre votare il testo; qualora questo venisse adottato, potrebbe essere corretto.

ORTENSIO ZECCHINO. In relazione all'articolo 122 chiediamo che si ritorni al testo originario del quarto comma, rispetto al quale chiediamo la votazione dell'emendamento S.122.216 da noi presentato.

PRESIDENTE. Ha chiesto la parola l'onorevole Folena.

PIETRO FOLENA. Veramente l'avevo chiesta prima, sull'ordine dei lavori, dal momento che non condividevo la proposta di rinvio della seduta a domani. Mi pare tuttavia che la questione sia superata.

PRESIDENTE. Ritengo possa ritenersi definito il quadro delle proposte su cui pronunciarsi con una discussione, se si vuole, e comunque con un voto. In sostanza si propone di ripristinare la previsione costituzionale delle due sezioni del Consiglio superiore della magistratura. Non so se i colleghi abbiano avuto la possibilità di esaminare l'emendamento Zecchino, perché occorre che i proponenti si mettano d'accordo sulla formulazione.

Vi è una proposta interamente sostitutiva presentata dalla lega secondo la quale la magistratura è separata in due ordini autonomi, il che comporta l'istituzione di due consigli superiori, ambedue di elezione parlamentare. A questo emendamento C.122.122 è stato presentato un subemendamento per l'elezione popolare del pubblico ministero. È una proposta globalmente innovativa, che propone la radicale riforma del sistema. (Commenti del deputato Boato). La definizione del sistema elettorale non è prevista in Costituzione.

Considerata la complessità della materia, raccoglierei le iscrizioni a parlare senza aggiornare la seduta. Non so cosa possa accadere nel corso della notte; personalmente penserei di dedicarmi ad altro anziché riflettere sulla questione di cui si dibatte da molto tempo. Non so se vi siano dei candidati per far ciò, ma poiché non mi risulta che vi siano, penso che la discussione possa serenamente iniziare sin da ora e protrarsi fino alle 20. Se non vi sono colleghi che si iscrivono a parlare, procederemo alle votazioni.

FRANCO MARINI. Considerati i tempi giustamente ristretti fissati dal presidente, per questa sera, mi limiterò a sviluppare una considerazione sintetica per motivare quanto sottolineato dal senatore Zecchino, ossia il ripristino della previsione delle due sezioni del Consiglio superiore della magistratura, peraltro già contenuta nelle varie stesure della proposta del relatore.

Poiché il tema è uno solo, e di conseguenza unica è anche la riflessione, è opportuno sgombrare il campo - o tentare di farlo, dal nostro punto di vista - da riflessioni laterali, non opportune, che nel dibattito sono state presenti in questi giorni. La scelta che riproponiamo per l'articolo 122 per noi non ha alcun sapore, né riferimento ai referendum sulle procure o sull'organizzazione giudiziaria; riteniamo non rituale un valore - voglio sottolinearlo -, quello cioé dell'indipendenza e della funzionalità della magistratura. Avendo letto questa mattina sugli organi di stampa, di interferenze, di pressioni, di sollecitazioni o consigli che sarebbero stati dati, voglio chiarire che per quanto ci riguarda tutto ciò non esiste, non ci sono stati, né li avremmo presi in considerazione. Ci muoviamo ispirati dal principio della dignità e dell'indipendenza del Parlamento e le nostre scelte, sul punto, si rifanno esclusivamente alla nostra coscienza, alle posizioni che intendiamo esprimere con l'occhio alla dignità del Parlamento.

Intendo fare un'altra brevissima considerazione guardando al domani, non con riferimento a ieri. Non da oggi - ci credevo sei mesi fa e ci credo ancora oggi - il metodo di lavoro della nostra Commissione, impegnata in spirito costituente a riformare la Costituzione italiana, non prevede rigidamente discipline maggioritarie; in altri termini da sempre abbiamo rivendicato l'utilità della ricerca di maggioranze ampie, considerando gli obiettivi che ci siamo prefissati con il lavoro svolto e che, almeno a questo livello, si sta concludendo.

Perché, dopo una discussione accesa all'interno della Commissione e dei vari gruppi, riproponiamo le due sezioni? Ho apprezzato lo sforzo concretizzatosi con la proposta del relatore, al quale va il mio ringraziamento, che pur rappresentando un passo in avanti doveva essere forse più valorizzata nei rapporti comuni perché se si fosse registrato un consenso generale, si sarebbero create le condizioni per un cammino più spedito del nostro lavoro parlamentare. Questo non si è verificato, di qui la nostra preoccupazione per un punto di merito: riteniamo che nel processo, e in particolare in quello penale italiano, si sia nei fatti - al di là delle volontà se prese singolarmente - realizzato uno squilibrio tra i poteri dell'accusa e quelli della difesa che rischia di toccare gli interessi del cittadino, astraendo da questa o quella impostazione, da questo o da quell'interesse. Questa è la preoccupazione che avvertiamo. Certo, il problema non potrà essere risolto completamente con l'introduzione delle due sezioni, ma siamo convinti dell'importanza di fissare un principio che la legge ordinaria svilupperà affinché, senza nulla togliere al ruolo del pubblico ministero, risulti chiaramente che nel processo si tratta di una parte. Deve riacquistare questa posizione in una maniera più visibile e chiara rispetto alla prassi conosciuta, perciò esaltiamo, con l'introduzione delle due sezioni, la figura del terzo, del magistrato giudicante, del giudice, con l'occhio all'interesse del cittadino. Crediamo che un principio forte di distinzione delle funzioni dei due rami della magistratura possa essere operata anche, seppure non esclusivamente, attraverso tale strada: questa è la preoccupazione che ci muove.

Il relatore Boato ha fatto uno sforzo per cercare di prefigurare un cammino, ma a noi sembra importante che i vari principi che entreranno in Costituzione, anche quello di cui ci stiamo occupando, contribuiscano a distinguere le funzioni del magistrato giudicante da quelle del pubblico ministero. Nella fase che stiamo vivendo, riteniamo che ciò corrisponda ad un interesse generale fondamentale.

Questa è la ragione per cui abbiamo riproposto e sosteniamo il nostro emendamento.

MARCELLO PERA. Anch'io intervengo sulla questione delle due opzioni che abbiamo di fronte tra le due sezioni ed il Consiglio superiore unico.

Esprimo la mia adesione all'ipotesi delle due sezioni per una serie di ragioni, la prima e principale delle quali è che introduciamo con queste norme costituzionali, credo con l'accordo di tutti, alcuni principi fondamentali: quello della parità delle parti e del giudice terzo. Affinché questi principi abbiano un senso e possano essere realizzati, è necessario che gli istituti che prevediamo in Costituzione non si contraddicano. Vi sarebbe certamente una contraddizione tra il giudice terzo o la parità delle parti ed una interferenza tra giudice e pubblici ministeri, anche nello stesso organo di autogoverno. Questa è la prima ragione per dare senso, rispettare, valorizzare e realizzare il principio della parità e della terzietà del giudice.

L'altra ragione è che il codice accusatorio vigente prevede espressamente che il pubblico ministero sia una parte del processo, ma non potrebbe essere compiutamente, nettamente e realmente tale se pubblico ministero e giudici condividessero le stesse carriere o l'amministrazione della carriera. Questa è la seconda ragione per cui ritengo sia opportuno evitare interferenze nell'amministrazione di dette figure.

Vi è una terza ragione cui mi pare abbia fatto riferimento il collega Marini. Nel nostro paese esiste nei fatti uno squilibrio tra accusa e difesa ed esiste perciò una minore equidistanza tra il pubblico ministero ed il giudice e tra il giudice e la difesa. Questo squilibrio si è verificato per una serie di motivi storici ancora in corso su cui non conviene più spendere parole o formulare diagnosi, ma che dobbiamo correggere e non potremmo farlo se nello stesso organo di autogoverno consentissimo una obiettiva interferenza del pubblico ministero sulle carriere del giudice e viceversa. Dobbiamo prefigurare un regime di separatezza tra queste due figure di cui non voglio adesso anticipare distinzioni, funzioni, carriere, ruoli e separazioni. Di proposito uso la parola separatezza, perché solo la separatezza tra il pubblico ministero e il giudice dà concretezza ai principi del processo accusatorio ed in particolare a quello della terzietà del giudice.

Da ultimo vorrei ricordare che il regime di separatezza, che nel caso dell'articolo 122 si configura nella separatezza delle due sezioni del Consiglio superiore, è ormai raccomandato più volte all'Italia anche dall'Europa. Infatti una recente risoluzione del Parlamento europeo raccomanda all'Italia e a tutti i paesi membri la separazione tra queste figure. La raccomandazione riguarda in particolare l'Italia perché, nel momento in cui ci apprestiamo ad entrare in Europa, dobbiamo anche considerare che il nostro paese su questo punto è anomalo rispetto agli altri. Siamo infatti l'unico paese in cui pubblici ministeri e giudici condividono le stesse carriere, associazioni, influenze politiche, eccetera. Anche per correggere questa struttura e, quindi, per uniformarci ai parametri di carattere europeo, dobbiamo prevedere un regime di separatezza e perciò distinguere le due sezioni del Consiglio superiore della magistratura, in modo tale che non vi sia interferenza di nessuna struttura sull'altra.

LUCIANO GASPERINI. Siamo perfettamente convinti che la parità di posizione tra accusa e difesa e l'esaltazione della terzietà del giudice si possa realizzare solamente con una netta separazione della figura, del ruolo, delle carriere e dell'estrazione del pubblico ministero dal giudice del dibattimento.

Debbo anche fare riferimento, e forse mi serve in questa sede, alla mia esperienza professionale. La difesa non è mai stata posta sullo stesso piano dell'accusa. Faccio solo un esempio: nel nostro paese, se un difensore si azzarda a mettere la testa dentro una camera di consiglio, viene veramente cacciato in malo modo, ma se vi entra un pubblico ministero ne esce quando vuole e nessuno si scandalizza.

Voglio dire che la convivenza nello stesso palazzo, l'osmosi tra una funzione e l'altra, il colloquio continuo tra pubblico ministero e colui che deve giudicare, creano inevitabilmente un sentimento di imbarazzo per quanto riguarda la difesa. Evidentemente questa comunanza di vita, questa stessa estrazione, questo modo di concepire la giurisdizione porta, come è stato autorevolmente sottolineato, ad un appiattimento del giudice sul pubblico ministero. Non penso allora sia sufficiente distinguere, come peraltro è stato suggerito dalla Comunità europea, due sezioni del Consiglio superiore della magistratura. Riteniamo che si debba partire prima di tutto dal presupposto che il modo di estrazione del giudice che giudica debba essere completamente diverso da quello del pubblico ministero. In un apposito emendamento sottolineiamo, e di ciò discuteremo quando passeremo al suo esame, la necessità dell'elezione popolazione del pubblico ministero, affinché il popolo, in nome del quale si esercita la giurisdizione e nel cui nome viene emessa la sentenza, scelga anche gli organi cui spetta l'obbligatorietà dell'azione penale.

Dirò di più: vi sono giovani magistrati che hanno iniziato immediatamente a svolgere la funzione di pubblico ministero ed hanno creato disastri in varie località (ed anche in questo caso parlo per esperienza personale). Vi sono giovani magistrati che sono rimasti nello stesso posto per anni ed anni, esercitato sempre la stessa funzione ed hanno travolto veramente il concetto di giustizia, applicando male le regole penalistiche. Quindi, la nostra proposta è di diversificare la nomina del magistrato pubblico ministero da quella del giudice che deve giudicare. Proponiamo inoltre la separazione netta delle carriere e non ci si può venire a dire che la comune esperienza e la cultura della giurisdizione è necessaria nell'uno e nell'altro caso, perché sono due ruoli ben distinti. Il pubblico ministero deve imparare a fare il suo mestiere.

Io ho visto, nella mia vita, pubblici ministeri che non sapevano condurre le indagini: avevano una cultura della giurisdizione però non sapevano condurre le indagini; talché si arrivava al processo con la sola notitia criminis ed in quella sede, già con il vecchio rito, si doveva istruire la causa. Per esperienza debbo dire che in un caso di omicidio, nel Veneto, siamo arrivati davanti alla corte d'assise ed in quella sede il presidente ha detto che di fronte ad un giovane pubblico ministero che non aveva saputo condurre le indagini bisognava cominciare il processo con la sola notitia criminis; evidentemente il pubblico ministero, che era il capo dell'indagine e coordinava la polizia, non aveva saputo fare il suo mestiere. Quindi, quello del pubblico ministero è un compito ben diverso. Il pubblico ministero deve stare in un palazzo diverso e avere stipendi diversi, non deve andare a colloquio con il giudice al banco della giustizia e parlare con lui confidenzialmente, deve essere nella stessa posizione del difensore: allora sì sorge il vero contraddittorio, con due tesi a confronto, delle quali il giudice terzo deve raccogliere il significato finale per emettere la sentenza.

Quindi, noi sosteniamo non solo la separazione delle carriere - vivere in palazzi separati ed avere un percorso separato, come è separato quello della difesa - ma anche due Consigli superiori della magistratura, che possano giudicare degli uni e degli altri in modo separato, e alla fine - e questo sarà motivo di nostra discussione - l'elezione da parte del popolo del pubblico ministero, perché sia verificata la sua attività. Sia verificato con il consenso popolare se un pubblico ministero ha fatto il suo dovere, se ha esercitato bene l'azione penale, se non ha nascosto i fascicoli, se ha applicato correttamente la legge. Non occorre dire che il pubblico ministero è soggetto alla legge; lo controllerà il cittadino di tanto in tanto, al fine di evitare che un pubblico ministero che ha fatto disastri in una certa città possa, alla fine, essere addirittura promosso al rango superiore. Chiediamo un vaglio dell'opinione pubblica, quello stesso vaglio che esercita su di noi, signor presidente, poiché se non facciamo bene il nostro lavoro giustamente l'elettore dopo due o tre anni - adesso non si sa quanti siano - ci manda a casa. Lo stesso deve avvenire con il pubblico ministero: deve sapere che gli occhi della popolazione guardano il suo operato e quindi deve comportarsi in conformità. Insistiamo, dunque, affinché questa magnifica assemblea possa accogliere il nostro emendamento all'articolo 122, poiché rappresenta quanto le moderne democrazia vengono via via elaborando un tema di figura e ruolo del pubblico ministero.

AGAZIO LOIERO. Su questo problema delle due sezioni, presidente, si è svolto un grande dibattito nel Comitato ristretto, così come si è svolto nel paese, ed è stato profuso dal relatore un grande sforzo di mediazione. Però noi consideriamo che ci sono temi sui quali il reticolo della mediazione è privo di senso e che ci sono punti cardine di un tema che vanno affrontati con un sì o con un no.

Crediamo che su questo tema complesso della giustizia l'idea di tenere distinte le funzioni del giudice da quelle del pubblico ministero sia decisiva, poiché si tratta di un tema che ha direttamente a che vedere con le libertà individuali, con le garanzie dei cittadini e con le loro prerogative in uno Stato di diritto. A sostegno di questa tesi abbiamo indicato la situazione esistente in tutto l'occidente civile, abbiamo chiesto risposte ai nostri quesiti, abbiamo ricordato che in tutta Europa, tranne in Italia ed in Francia, le carriere sono separate, così come lo sono in America, in Canada, in Australia e in tutto il mondo civile. Si risponde facendo cenno ad una sorta di sperimentalità della legge, in attesa che maturino anche in Italia condizioni europee. Si risponde con un continuo rinvio alla legge ordinaria, sia pure bicamerale. Ma legge ordinaria significa maggioranza semplice, esposta agli umori del momento; questi, magari, riflettono anche gli umori del paese, ma noi siamo legislatori e non possiamo cibarci di quegli umori. Attraverso umori - lo voglio dire - si alimenta una sorta di antiparlamentarismo. Guardate cosa è successo oggi a proposito della riduzione del numero dei parlamentari: ben sapendo che avrebbe difficoltà a passare in aula, tale riduzione è stata cavalcata da quasi tutti i gruppi - non da lei, presidente, per la verità - con un po' di demagogia, anzi con parecchia. Dunque, lo ripeto, rinvio alla legge ordinaria significa maggioranza semplice e la maggioranza semplice riduce lo spirito costituzionale, che è quello di trovare intese larghe in difesa di valori comuni o largamente condivisi. Chiedo scusa al collega Maceratini, ma vorrei proseguire nel mio intervento.

Il relatore si domanda perché immaginare un Parlamento schizoide, che andrebbe in direzione opposta al dettato costituzionale. Rispondo: per la semplice ragione che il Parlamento spesso lo è stato. Migliaia di provvedimenti legislativi lo dimostrano e senza andare lontano. Faccio riferimento, ad esempio, alla legge Rebuffa: io no ero dalla parte di Rebuffa, eppure ricordo che il Parlamento, respingendola, è andato totalmente contro quella che era stata una posizione referendaria; quindi il Parlamento può camminare a seconda degli umori del paese.

PRESIDENTE. L'esempio è mal scelto, senatore Loiero, perché in quell'occasione, secondo me, il Parlamento è andato in senso opposto rispetto agli umori del paese.

AGAZIO LOIERO. Ciò che volevo dire è che il Parlamento segue comunque alcuni umori, magari della maggioranza del momento.

In questi mesi, presidente, sui vari temi all'attenzione della Commissione bicamerale - forma di Stato, forma di governo, Parlamento - davanti alle difficoltà si è fatto sempre riferimento all'Europa, come parametro di valutazione e come chiave per uscire dalla difficoltà. Adesso l'impressione è che su questo tema, forse involontariamente, si finisca per essere condizionati da ambienti esterni. Questa è la verità. D'altra parte, noi restiamo sulle posizioni del presidente di questa Commissione, il quale, davanti ad un tentativo di ingerenza esterna da parte di altri poteri nei lavori della Commissione, espresse un no fermissimo. Non vorrei che dessimo l'impressione di essere forti, molto forti con i deboli e deboli con i forti. Abbiamo distrutto - voglio ricordarlo - il Consiglio di Stato, che è uno degli istituti più importanti di questa Repubblica, perché rappresenta solo cento magistrati.

Un'ultima considerazione e concludo, visto che siamo in sede di bilancio consultivo. La Commissione bicamerale ha svolto un lavoro enorme, ma non abbiamo saputo vincolarlo a livello di media. La stampa ha registrato i nostri conflitti ma non alcuni dati positivi e questo per colpa non soltanto della stessa stampa ma per una nostra sostanziale incapacità a comunicare. In quest'assemblea sono state approvate una nuova forma di Stato, una nuova forma di governo, una nuova struttura del Parlamento: si è trattato di una rivoluzione realisticamente inimmaginabile quando ci insediammo, se si considera quanti pregiudizi gravavano e gravano sulla Commissione. Pregiudizi derivanti dai fallimenti delle Commissioni bicamerali precedenti ma anche dovuti ad una sorta di sentimento antiparlamentare che scorre nelle vene del paese. Credo che sarà questo il problema dei prossimi anni. Ma avendo immaginato una costruzione così complessa e difficile, trovo discutibile che su un tema che attiene alle garanzie di tutti si perda un orientamento che fino ad oggi, pur tra tante difficoltà, ci ha guidato e ci ha fatto raggiungere risultati apprezzabili.

PIETRO FOLENA. Il gruppo della sinistra democratica è contrario ad entrambi gli emendamenti presentati, quello dei parlamentari della lega e quello dei colleghi Lisi e Marini. Siamo contrari perché difendiamo lo sforzo che il relatore ha fatto nella formulazione dell'articolo 122 qui riproposto; uno sforzo di alta mediazione fra posizioni che erano e rimangono diverse al nostro interno.

Quello dell'articolo 122 non è il testo della sinistra democratica; questa proposta avanzata dal relatore non è il nostro testo originario né quello che ancora qualche settimana fa avevamo suggerito; è un testo - ciò vale anche per norme successive - che si sforza di riconoscere ragioni e verità interne presenti nelle differenti posizioni sottoposte in questi mesi alla Commissione bicamerale.

Credo quindi che, pur non essendoci nulla di male nella possibilità di scegliere e di decidere, con spirito costituente noi facciamo anzitutto una valutazione politica che viene prima di quelle tecniche. Ne avrei di valutazioni tecniche da fare. Una riguarda il dubbio sul fatto che il Presidente della Repubblica, eletto direttamente dai cittadini, debba rimanere - come nella Costituzione del 1948 - Presidente anche del Consiglio superiore della magistratura. Un altro riguarda la composizione di quest'ultimo: il passaggio dai due terzi ai tre quinti non è, a mio modo di vedere, motivato da un diverso impianto istituzionale di questo organismo.

Altro è l'impianto dei colleghi della lega, che dicono: tutti di nomina politica; ciò stravolgerebbe gravemente il principio dell'indipendenza della magistratura, sottoponendola di fatto al Parlamento. Ma è una scelta del tutto legittima. Del resto, i colleghi della lega propongono tutta una serie di norme particolari, compresa quella sull'elezione dei pubblici ministeri (non so se le procedure per questa elezione sarebbero analoghe a quelle sperimentate domenica nel nord Italia): ma in ogni caso, è un metodo in vigore in altri paesi. È comunque una linea che ha una sua forza, una sua lucidità: è qualcosa di molto chiaro.

Pur essendoci critiche ad una parte di questa mediazione, siamo tuttavia convinti che il senso politico di quello che si è fatto nel corso di queste settimane potrebbe trovare, nella formulazione proposta dal relatore, un punto importante di risposta. Voglio qui interloquire con l'onorevole Marini perché ho ascoltato con attenzione il suo intervento. Egli ci ha detto che il problema è di intervenire sullo squilibrio che c'è nel processo, in particolare in quello penale. Giusto: sono d'accordo. Questo è uno dei grandi problemi che sia per via costituzionale sia per via di legge ordinaria dobbiamo, anche con una certa efficacia e rapidità, risolvere. La domanda è: risolviamo questo problema organizzando due sezioni del CSM? Prima di dire qualcosa sugli effetti di questa organizzazione, credo che già il testo sottoposto alla nostra attenzione e che il collega Marini conosce molto bene (mi riferisco al testo dei successivi articoli che dovremo esaminare e che mi auguro questa Commissione potrà approvare) contiene delle significative innovazioni sul terreno dello squilibrio e della terzietà, portando all'esaltazione la terzietà del giudice con delle indicazioni costituzionali vincolanti per ciò che riguarda la procedura.

Rileggiamo, colleghi, il testo proposto dal relatore dell'articolo 130-ter nei suoi cinque commi. Esso non solo costituzionalizza i principi del processo accusatorio ed afferma fin dall'inizio del procedimento i diritti, ma interviene anche per ciò che riguarda le norme relative alla custodia cautelare, alla difesa d'ufficio, alla durata ragionevole dei processi. A tutto ciò abbiamo inteso aggiungere altre proposte relative alla polizia giudiziaria nell'articolo 129, la previsione per cui il PM deve agire effettivamente sulla base di una notitia criminis (articolo 132). Insomma, sul terreno della procedura il problema dello squilibrio viene affrontato sul piano costituzionale come mai era avvenuto precedentemente.

Anche sul terreno del codice penale vi sono alcune norme importanti. Mi riferisco in modo particolare all'articolo 130-bis, che delimita meglio la sfera di ciò che è sanzionabile penalmente e quindi circoscrive in modo più adeguato l'iniziativa del pubblico ministero.

Infine vi sono norme sulla responsabilità che forse, tra tutte quelle che abbiamo evocato nel dibattito di questi mesi e nelle riforme di questi giorni, rappresentano un aspetto tra i più importanti perché permettono di rispondere al problema del «giudice del giudice» e quindi di come riparare a tanti torti ed ingiustizie che suscitano dubbi nella pubblica opinione.

Invece, sulle due sezioni (è inutile tornare su argomenti che abbiamo ampiamente utilizzato in precedenza) vorrei fare un estremo tentativo di rivolgermi ai colleghi che hanno presentato questi emendamenti affinché accettino il testo proposto dal relatore. Insisto sul fatto che tali emendamenti rischiano di produrre una contraddizione, un'eterogenesi di fini, di esaltare un carattere autoreferenziale e corporativo. Noi diamo un luogo costituzionale ad un pubblico ministero interno all'ordine giudiziario, dentro la magistratura, senza compiere quella scelta di radicale separazione e divaricazione che altri hanno proposto, a mio modo di vedere ottenendo un risultato contraddittorio con le finalità che si intende perseguire.

Tuttavia, credo che la norma facoltizzante (quel quinto comma inserito dal relatore Boato nel testo che ci viene sottoposto) dovrebbe essere valutata con attenzione da tutti i colleghi. So che quando si parla di norma facoltizzante si può rischiare di suscitare delle ironie: cosa vuol dire il «può prevedere»? Vuol dire riconoscere che in questa sede ci sono opinioni anche molto diverse ma che si ritiene legittimo aprire una stagione in cui, se la separazione dei ruoli e delle carriere sarà più accentuata, ergo il Consiglio potrà essere organizzato in due sezioni. Del resto, nelle ore passate è stata individuata in Comitato ristretto una soluzione che per me inspiegabilmente non è stata accolta da altre parti e che, forse altrettanto inspiegabilmente, è stata accolta da parte nostra, proprio per il suo senso politico di mediazione e di riconoscimento della legittimità di una questione che si era posta.

Il «può» non deve suscitare ironie: abbiamo già previsto una norma analoga al settimo comma dell'articolo 135 per quanto riguarda la Corte costituzionale. In ogni caso, ciò vuol dire aprire una stagione che permette al legislatore ordinario di meglio definire e risolvere i problemi qui posti. Credo quindi che anche il riferimento europeo - al quale tengo molto e che il collega Pera ha giustamente riproposto - non vada inteso in senso provincialistico, cioè che l'Italia è indietro e che gli altri paesi che hanno lo stesso ordinamento sono avanti. In tutti i paesi d'Europa è aperto un dibattito su questi temi, con ordinamenti più o meno diversi da paese a paese e con uno sforzo di indicare principi e valori comuni e - perché no? - di lasciare anche più margini al legislatore ordinario per giungere progressivamente a soluzioni che possono essere concordate.

Credo allora che la proposta di mediazione dovrebbe essere presa in considerazione nel suo valore perché avrebbe un effetto positivo sul complesso delle norme che stiamo esaminando e su quelle che poi dovremo esaminare; essa ci permetterebbe di non chiudere con un voto a maggioranza una questione che è stata posta con grande forza nel corso di questo periodo.

Se non sarà possibile - l'abbiamo già detto in altre sedi - prenderemo atto del risultato del voto e proseguiremo evidentemente la nostra iniziativa su tutti gli altri aspetti di questo articolato. Credo tuttavia sinceramente che questa occasione non dovrebbe essere sprecata proprio per il lavoro compiuto nei mesi passati.

PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare l'onorevole Boselli, la senatrice Dentamaro; seguirà un intervento del relatore, un breve dichiarazione di voto del senatore Elia e poi voteremo.

ENRICO BOSELLI. Io.

PRESIDENTE. Si iscrive anche lei? Anche lei?

CESARE SALVI. Allora, non possiamo terminare questa sera.

PRESIDENTE. Come eravamo prima, si poteva concludere; come siamo adesso, mi pare più difficile.

DOMENICO FISICHELLA. Si può votare domani.

GIULIO MACERATINI. Lei intendeva concludere alle 20, aveva detto.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Boselli, a questo punto può darsi che le dia la parola domani mattina.

Sono iscritti a parlare l'onorevole Boselli, la senatrice Dentamaro, i senatori Lisi, Maceratini, Rigo, Marchetti, l'onorevole D'Amico, il presidente Elia, il senatore Rotelli per una breve dichiarazione di voto e il relatore.

AGAZIO LOIERO. Rinuncio al mio intervento.

PRESIDENTE. La ringrazio, ma ciò non sposta a questo punto i termini generali della questione.

Considero chiuse le iscrizioni a parlare e rinvio alla seduta di domani alle 9.30 il seguito dell'esame e le votazioni: il primo iscritto a parlare, ripeto, è l'onorevole Boselli (al quale rinnovo le mie scuse).

La seduta termina alle ore 19.55.



Allegato Commissione bicamerale

 

 

DOCUMENTI ESAMINATI NEL CORSO DELLA SEDUTA DI

MARTEDI' 28 OTTOBRE 1997

Articoli riformulati.

(omissis)


TITOLO VI

LA GIUSTIZIA

Sezione I.

Gli organi.

Art. 119.

La giustizia è amministrata in nome del popolo.

I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

I magistrati del pubblico ministero sono indipendenti da ogni potere e godono delle garanzie stabilite nei loro riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Tali norme assicurano altresì il coordinamento interno dell'ufficio del pubblico ministero ed il coordinamento, ove necessario, delle attività investigative tra gli uffici del pubblico ministero.

 

Art. 120.

La funzione giurisdizionale è unitaria ed è esercitata dai giudici ordinari e amministrativi istituiti e regolati dalle norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari.

Non possono essere istituiti giudici straordinari.

Presso gli organi giudiziari ordinari e amministrativi possono istituirsi sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

Possono essere istituiti giudici speciali esclusivamente per determinate materie diverse da quella penale e per il solo giudizio di primo grado. Per la giustizia tributaria possono tuttavia essere istituiti giudici speciali anche per il giudizio di secondo grado.

La legge stabilisce per quali materie possono essere nominati giudici onorari al fine di giudizi di sola equità.

La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.

 

Art. 121.

La giurisdizione amministrativa è esercitata dai giudici dei Tribunali regionali di giustizia amministrativa e della Corte di giustizia amministrativa sulla base di materie omogenee indicate dalla legge.

Il giudice amministrativo giudica altresì della responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre materie specificate dalla legge.

I tribunali militari sono istituiti solo per il tempo di guerra e possono esserlo in occasione dell'impiego delle Forze armate fuori dai confini nazionali. Hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate. La legge assicura che il relativo procedimento si svolga comunque nel rispetto dei diritti inviolabili della persona.

 

Art. 122.

I giudici ordinari ed amministrativi e i magistrati del pubblico ministero costituiscono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di cassazione.

Gli altri componenti sono eletti per tre quinti dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero tra gli appartenenti alle varie categorie e per due quinti dal Senato della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e tra avvocati dopo quindici anni di esercizio. I componenti appartenenti alla magistratura sono eletti in modo da ri-specchiare la proporzione tra i giudici ed i magistrati del pubblico ministero.

Il Consiglio elegge un vicepresidente tra i componenti designati dal Senato della Repubblica.

La legge può prevedere l'articolazione del Consiglio in sezioni per i giudici e per i magistrati del pubblico ministero.

Il Ministro della giustizia può partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni del Consiglio e presentare proposte e richieste.

I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.

Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali né ricoprire cariche pubbliche.

 

Art. 123.

Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa è presieduto dal Presidente della Repubblica.

Ne fa parte di diritto il Presidente della Corte di giustizia amministrativa.

Gli altri componenti sono eletti per tre quinti da tutti i magistrati amministrativi appartenenti alle varie categorie e per due quinti dal Senato della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.

Il Consiglio elegge un vicepresidente tra i componenti designati dal Senato della Repubblica.

Il Ministro della giustizia può partecipare alle riunioni del Consiglio senza diritto di voto e presentare proposte e richieste.

I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.

Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali né ricoprire cariche pubbliche.

 

Art. 124.

Spettano ai Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa, secondo le norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari, le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni, la formazione, le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni nei riguardi dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero. I Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico.

 

Art. 125.

Spettano alla Corte di giustizia della magistratura i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei giudici ordinari ed amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero. La Corte è altresì organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa. Contro i provvedimenti disciplinari è ammesso ricorso in cassazione.

La Corte è formata da nove membri eletti tra i propri componenti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria elegge sei componenti, di cui quattro tra quelli eletti dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero e due tra quelli designati dal Senato della Repubblica. Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa elegge tre componenti, di cui due tra quelli eletti dai giudici ed uno tra quelli designati dal Senato della Repubblica.

La Corte elegge un Presidente tra i componenti eletti tra quelli designati dal Senato della Repubblica.

I componenti della Corte non partecipano alle attività dei rispettivi Consigli di provenienza e durano in carica sino alla scadenza di questi.

La legge disciplina l'attività della Corte e può prevederne l'articolazione in sezioni.

 

Art. 125-bis.

L'azione disciplinare è obbligatoria ed è esercitata da un Procuratore generale eletto dal Senato della Repubblica a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti tra coloro che hanno i requisiti per la nomina a giudice della Corte costituzionale. Il suo ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica. La legge ne assicura l'indipendenza da ogni potere.

Il Procuratore generale è nominato per quattro anni, non è rieleggibile e nei quattro anni successivi alla cessazione delle funzioni non può ricoprire alcuna carica pubblica.

La legge disciplina l'organizzazione dell'ufficio del Procuratore generale anche ai fini dell'attività ispettiva propedeutica all'azione disciplinare.

L'azione disciplinare è esercitata d'ufficio ovvero su richiesta del Ministro della giustizia, del procuratore generale della Corte di cassazione o dei Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa.

Il Procuratore generale riferisce alle Camere sull'esercizio dell'azione disciplinare.

 

Art. 126.

Le nomine dei magistrati ordinari e amministrativi hanno luogo per concorso e previo tirocinio.

Tutti i magistrati ordinari esercitano inizialmente funzioni giudicanti per un periodo di tre anni, al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura ordinaria li assegna all'esercizio di funzioni giudicanti ovvero inquirenti previa valutazione di idoneità.

Il passaggio tra l'esercizio delle funzioni giudicanti e del pubblico ministero è successivamente consentito a seguito di concorso riservato, secondo modalità stabilite dalla legge.

In nessun caso le funzioni giudicanti penali e quelle del pubblico ministero possono essere svolte nel medesimo distretto giudiziario.

Le norme sull'ordinamento giudiziario possono ammettere la nomina, anche elettiva. di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici di primo grado.

Su designazione dei Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa possono essere chiamati all'ufficio di consigliere di cassazione e della Corte di giustizia amministrativa, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

Le norme sull'ordinamento giudiziario possono ammettere la nomina di avvocati e professori universitari in materie giuridiche negli altri gradi della giurisdizione.

 

Art. 127.

I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero sono inamovibili.

Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del rispettivo Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie del contraddittorio stabilite dai rispettivi ordinamenti giudiziari o con il loro consenso.

La legge disciplina i periodi di permanenza nell'ufficio e nella sede dei giudici ordinari e amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero.

I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.

Nell'esercizio delle rispettive funzioni, i giudici ordinari ed amministrativi ed i magistrati del pubblico ministero si attengono ai principi di responsabilità, correttezza e riservatezza.

L'ufficio di giudice ordinario ed amministrativo e di magistrato del pubblico ministero è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico e professione. I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono far parte di collegi arbitrali, né essere distaccati presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni. Possono partecipare alle competizioni elettorali solo se si dimettono prima della presentazione delle liste elettorali.

Art. 128.

Le norme sugli ordinamenti giudiziari ordinario ed amministrativo sono stabilite esclusivamente con legge.

La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli estranei che partecipano alla amministrazione della giustizia.

 

Art. 129.

L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. La legge ne stabilisce le modalità.

 

Art. 130.

Ferme le competenze dei Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa, il Ministro della giustizia provvede all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, promuove la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi ed esercita la funzione ispettiva sul corretto funzionamento degli uffici giudiziari.

Il Ministro della giustizia riferisce annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine.

 

Sezione II.

Norme sulla giurisdizione.

Art. 130-bis.

Le norme penali tutelano beni di rilevanza costituzionale.

Non è punibile chi ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una concreta offensività.

Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo.

Nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui si riferiscono.

 

Art. 130-ter.

La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, che ne assicura la ragionevole durata.

Il processo si svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice imparziale ed è ispirato al principio dell'oralità.

La legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa; abbia la facoltà di fare interrogare le persone da cui provengono le accuse a suo carico; abbia la facoltà di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a discarico nelle stesse condizioni di quelle di accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.

La legge assicura che la custodia cautelare venga disposta in appositi istituti.

La legge istituisce pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire ai non abbienti il diritto di agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

 

Art. 131.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Contro le sentenze è ammesso il ricorso in cassazione nei casi previsti dalla legge, che assicura comunque un doppio grado di giurisdizione. Contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

Contro le decisioni della Corte di giustizia amministrativa il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

 

Art. 132.

Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale ed a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di un reato.

 

Art. 133.

Nei confronti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale, anche cautelare, con le modalità stabilite dalla legge.

Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione e disporre altri strumenti di reintegrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

 

Disposizioni transitorie e di attuazione.

 

Entro cinque anni dall'entrata in vigore della presente legge costituzionale si procede con legge alla revisione degli organi giurisdizionali amministrativi e contabili attualmente esistenti. Tale legge attribuisce inoltre ai magistrati contabili e militari la facoltà, da esercitarsi entro sei mesi dalla predetta revisione, di essere inquadrati rispettivamente nei ruoli dei magistrati amministrativi e ordinari. Entro il medesimo termine i consiglieri di Stato esercitano l'opzione tra l'inquadramento nei ruoli del Consiglio di Stato o in quelli della Corte di giustizia amministrativa.

I primi due periodi dell'ultimo comma dell'articolo 127 si applicano a decorrere dal terzo anno successivo all'entrata in vigore della presente legge costituzionale.

 

Art. 125.

Spettano alla Corte di giustizia della magistratura i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei giudici ordinari ed amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero. La Corte è altresì organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa. Contro i provvedimenti disciplinari è ammesso ricorso in Cassazione.

La Corte è formata da nove membri. Quattro componenti sono eletti dai magistrati ordinari, in modo da rispecchiare la proporzione tra i giudici e i magistrati del pubblico ministero; due componenti sono eletti dai magistrati amministrativi; tre componenti sono eletti dal Senato della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e tra avvocati dopo quindici anni di esercizio.

I membri del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.

Non possono, sinché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali né ricoprire cariche pubbliche.

La legge disciplina l'attività della Corte e può prevederne l'articolazione in sezioni.

(ulteriore formulazione alternativa).

 



 

 

COMMISSIONE PARLAMENTARE

PER LE RIFORME COSTITUZIONALI

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 

 

 

69.

 

 

Seduta di Mercoledì 29 ottobre 1997

 

presidenza del presidente massimo d’alema

 

 


La seduta comincia alle 9,50.

 

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione (C. 3931 - S. 2583).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.

Riprendiamo l'esame degli emendamenti (già pubblicati nell'apposito fascicolo) riferiti all'articolo 122. Ricordo che il testo dell'articolo è già stato pubblicato nell'allegato della seduta precedente.

LUCIANO GASPERINI. Signor presidente, vorrei avanzare una richiesta sull'ordine dei lavori. Propongo, a nome del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, che la discussione sull'articolo 122 - sull'eventuale separazione delle carriere fra pubblico ministero e magistratura giudicante - si svolga dopo la discussione sull'articolo 126, sul metodo di scelta (elettiva o per concorso) del pubblico ministero. Noi pensiamo che il metodo con il quale si sceglie il magistrato del pubblico ministero sia più importante in questo momento e prodromico ad ogni discussione. Una volta accolto l'uno o l'altro metodo di scelta, potremo disquisire in ordine alla necessità o meno di separare le carriere tra i due organi dello Stato.

Chiediamo, in sostanza, che si discuta prima sull'articolo 126 e poi sull'articolo 122. Se ciò non fosse possibile, siamo disposti anche a ritirare i nostri emendamenti in relazione all'articolo 122.

PRESIDENTE. La vostra richiesta interviene alla metà del dibattito sugli emendamenti riferiti all'articolo 122 e credo che a questo punto non appaia più ricevibile, almeno secondo la mia opinione. È del tutto evidente l'esistenza di una connessione tra le materie interessate dalla disciplina di questi due articoli. Infatti per molti aspetti la discussione ha avuto un carattere unitario, investendo l'insieme dell'ordinamento e quindi dell'organizzazione delle carriere degli organi di autogoverno della magistratura. Vi è un'organicità delle proposte, ma l'ordine logico nel quale dovranno essere esaminate può essere evidentemente valutato da ciascuno secondo la propria intenzione.

Trovo che la sua motivazione non sia affatto priva di fondamento. Ma a questo punto credo che andremo ormai a decisioni connesse e coerenti.

Non ho alcuna difficoltà a porre in votazione - anticipando la conclusione di questo dibattito - il principio contenuto nell'emendamento Maroni ed altri C.126.5 circa il carattere elettivo del pubblico ministero. Si tratterebbe di una votazione relativa ad una scelta di principio: qualora il principio venisse approvato, evidentemente ne deriverebbe una riscrittura globale degli articoli 126 e 122.

Accolgo quindi in questo senso la sua richiesta: la votazione sul vostro emendamento, per il principio innovativo che esso contiene, sarà anticipata, in modo che possa essere valutato dalla Commissione in modo preliminare.

LUCIANO GASPERINI. Signor presidente, le chiederei però di far svolgere la

otazione a questo punto, perché dai risultati di questa votazione prenderemo le nostre decisioni sul mantenimento o meno degli emendamenti sull'articolo 122.

PRESIDENTE. Questo potrà avvenire soltanto alla fine della discussione. Adesso devo dare la parola ad una serie di colleghi che intendono esporre la loro opinione sulla materia. Poi procederemo alle votazioni nell'ordine che ho ricordato: anticiperemo il voto sull'emendamento della lega relativo all'articolo 126, cioè sulla proposta che prevede l'elezione popolare dei pubblici ministeri. Voteremo sul principio, dopo di che procederemo nelle votazioni successive. Naturalmente ora occorre ascoltare con attenzione e con rispetto gli interventi dei colleghi già iscritti a parlare.

ENRICO BOSELLI. Signor presidente, ieri sera nell'intervento conclusivo del nostro dibattito il collega Folena ha respinto - giudicandole ironie fuori luogo - alcune delle considerazioni che hanno accompagnato una parte dei nostri lavori sul tema della giustizia: ironie sul tentativo di avviare e di concludere una mediazione più o meno alta. Il tentativo è stato compiuto dal relatore Boato ed è stato sostenuto anche da alcuni gruppi, in modo particolare dal partito democratico della sinistra. Devo dire innanzitutto che condivido il giudizio di Folena: ritengo fuori luogo queste ironie, perché giudico molto serio il lavoro svolto dal relatore e dal Comitato presieduto da Urbani; continuo a ritenere - come ho fatto in questi ultimi mesi - che il tentativo di raggiungere un'intesa più generale su un punto così importante del nostro lavoro sia la strada maestra anche per rispettare lo spirito costituente che anima la nostra Commissione, spirito che nasce e ci viene indicato anche dal mandato che abbiamo ricevuto con la legge istitutiva.

D'altra parte, questa è stata la ragione che ci ha portato a fine giugno a non esprimerci sul punto, cioè a non votare sulla proposta Boato (non ricordo se sia stata la prima o la seconda, perché da parte del relatore vi è stata una certa vivacità di proposta) rinviando le scelte ad oggi. Nessuna ironia, quindi, sul lavoro che è stato realizzato e sulla mediazione paziente compiuta alla ricerca di una intesa più ampia; l'intesa corrisponde allo spirito della nostra Commissione ed - immagino - corrisponderà anche allo spirito del lavoro del Parlamento al quale consegniamo in questi giorni un testo compiuto.

È anche vero che oggi dobbiamo prendere atto che la proposta di mediazione non è riuscita a raccogliere la grande maggioranza delle forze politiche o - comunque - la grande maggioranza dei componenti della Commissione. Siamo, quindi, a confrontarci nel merito. Non so se sia un bene o un male. Credo che il nostro primo orizzonte avrebbe dovuto portarci alla ricerca di un'intesa ampia, ma nel nostro lavoro prima o poi arriva anche il momento delle scelte, soprattutto attorno ai grandi nodi della vita democratica. E questo lo è sicuramente. Il problema - magari - è affrontare tali scelte con serenità, sapendo - come ha ricordato più volte negli ultimi giorni il presidente della Commissione - che si tratta di approvare e di proporre un testo del quale il Parlamento e poi i cittadini avranno modo di decidere e di esprimere una propria valutazione.

Dichiaro brevemente di condividere le motivazioni espresse ieri sera da Marini e da Pera. Ci troviamo di fronte ad una questione che per me riguarda la separazione delle carriere tra giudici e magistrati del pubblico ministero, anche se per la verità questa mattina stiamo discutendo dell'articolo 122, cioè su come separare o dividere l'organo di autogoverno in due sezioni distinte. Si tratta di una questione a mio parere cruciale per l'interesse della giustizia e per la tutela dei diritti di tutti i cittadini davanti alla legge.

Devo dire sinceramente che in questi mesi non ho ascoltato ragioni convincenti per non proporre quello che stiamo cercando di fare: mettere un rimedio rispetto ad una situazione molto grave oggi esistente, cioè uno squilibrio evidente tra gli interessi della difesa e quelli dell'accusa nel processo penale ed una debolezza altrettanto oggettiva del ruolo imparziale o terzo del giudice.

Dico con grande sincerità che la durissima polemica contro il nostro lavoro - credo effettuata per condizionare le nostre scelte - svolta da parte di numerosi procuratori della Repubblica che continuano a fare politica ogni giorno (come è ovviamente diritto di ogni cittadino) mi ha confermato la necessità di superare un gravissimo squilibrio che finisce per nuocere anzitutto ai cittadini. La ragione per cui condivido la proposta fatta da Boato lo scorso giugno è semplice: il principio della separazione tra giudice e pubblico ministero deve essere contenuto nella Costituzione perché è in quest'ultima che sono contenuti tutti i principi a tutela dei diritti di libertà dei cittadini; e questo che stiamo affrontando, alla pari dei molti altri su cui abbiamo già deciso, riveste una grande importanza.

Tutti ce lo ricordano (ognuno ha le sue opinioni che nascono dalla propria storia politica e dai principi cui ispira la propria azione) e ce lo ricorda da ultimo il Parlamento europeo, che ha sollecitato l'Italia, con un documento molto importante, ad imboccare questa strada con determinazione.

Penso piuttosto che accanto al tema affrontato con la divisione in due sezioni del Consiglio superiore della magistratura, qualora questa proposta venisse approvata al termine del dibattito, si porrà alla Commissione un altro problema, quello di un'eventuale scelta che fissasse in modo coerente il principio della separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero, che credo sia una diretta conseguenza della scelta che ci viene proposta di distinguere in due sezioni l'organo di autogoverno mediante un voto sull'articolo 122. Su questo ovviamente avremo modo di decidere nelle prossime ore; ho voluto anticipare la mia opinione su questo punto, che credo sia anche l'opinione di altri colleghi con cui ci siamo impegnati nel dibattito su questa parte del nostro lavoro negli scorsi mesi.

MARIDA DENTAMARO. Vorrei prima di tutto ricordare che la nostra posizione, fin dall'inizio dei lavori di questa Commissione e dalla stessa presentazione delle proposte di revisione costituzionale, e ancor prima da quando è aperto nel paese il dibattito su questo tema, è favorevole ad una soluzione netta e limpida di separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.

È questa infatti la soluzione che riteniamo in assoluto più rispondente alle istanze di garanzia dei diritti di libertà, mentre ci appaiono fragili ed inconsistenti gli argomenti di coloro che sostengono la tesi opposta. Dovrei anzi parlare di un solo argomento, perché sostanzialmente è sempre lo stesso che viene ripetuto: il cittadino sarebbe meglio garantito da un pubblico ministero dotato di un'ipotetica cultura della giurisdizione.

È un argomento che non richiama alcuna garanzia oggettiva e concreta, che resta interamente affidato alla personale interpretazione che ciascun magistrato dà del suo ruolo di pubblico accusatore e dello svolgimento delle indagini. Nessuna certezza esiste circa il radicamento diffuso di questa cultura della giurisdizione, essendovi ad esempio molti magistrati che iniziano e concludono le loro carriere nelle procure senza mai allontanarsene. Né possiamo dire che la cronaca quotidiana ci rassicuri pienamente sul punto; direi anzi che ce ne derivano frequenti esempi in senso diametralmente opposto.

Riteniamo che la vera garanzia oggettiva della libertà risieda in un altro elemento: la piena terzietà del giudice, la perfetta equidistanza dello stesso da un'accusa e da una difesa poste su un piano di assoluta parità. Non ci interessa che chi accusa e indaga abbia la cultura della giurisdizione; ci interessa che chi giudica sia soggetto distinto e diverso, e non solo evidentemente come persona fisica.

Nemmeno ha consistenza l'altro argomento che viene continuamente addotto, quello per cui le carriere separate comporterebbero inevitabilmente una dipendenza del pubblico ministero dall'esecutivo.

È un argomento falso e specioso. Non vi è connessione necessaria e tanto meno coincidenza o corrispondenza tra le due situazioni, né tecnicamente, né logicamente, né sul piano del diritto comparato. Non si vuole da parte nostra minimamente mettere in dubbio che i magistrati del pubblico ministero debbano costituire a loro volta un ordine autonomo e indipendente. Vorrei ricordare però che la separazione del corpo dei giudici da quello dei magistrati del pubblico ministero è la formula organizzatoria che corrisponde ai fondamenti classici del principio stesso dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, principio sacrosanto, irrinunciabile ed al quale non intendiamo rinunciare, ma che in tanto si giustifica ed anzi si impone in quanto (come ebbe a dire uno dei padri della Costituzione americana) la magistratura non dispone della borsa né della spada, non ha cioè potere di autoattivarsi.

Se ad essa è invece attribuito questo potere, come si verifica attualmente per una vera e propria anomalia del nostro ordinamento, l'autonomia e l'indipendenza diventano privilegi di un potere senza controllo, senza contrappesi, che può diventare impunemente arbitrio di fronte al quale recede qualsiasi garanzia di libertà.

Con queste convinzioni - anzi nonostante queste ultime - potremmo oggi votare un testo - quale quello proposto a giugno dal relatore e riproposto ieri dall'onorevole Marini - che non ci soddisfa pienamente perché non giunge alla soluzione netta ed inequivoca della separazione tra chi accusa e chi giudica, ma che tuttavia - attraverso la duplicità degli organi di autogoverno - sancisce una forma di separatezza (qualcuno sottolineava ieri la sfumatura non irrilevante tra separazione e separatezza) tra i due corpi.

È questo il punto massimo al quale possiamo spingerci nell'allontanarci dalle nostre posizioni di partenza. Ma non possiamo giungere fino all'ultima proposta del relatore: non possiamo accettare l'ipocrisia di una delega in bianco al legislatore ordinario. Una Costituzione non può tacere, non può rinviare su un punto così nevralgico: qui siamo al cuore delle garanzie e vorrei che di questo argomento si parlasse non già rubricandolo con linguaggio burocratico come separazione delle carriere bensì con un'espressione che alluda al suo significato sostanziale sul piano dei valori costituzionali, e quindi come terzietà del giudice. Se rinunciassimo a decidere su questo punto, credo che avremmo puramente e semplicemente rinunciato ad assolvere il compito che il Parlamento ci ha affidato.

ANTONIO LISI. Signor presidente, la ringrazio per avermi dato la parola; d'altra parte, ieri avevo ritenuto di rinunciare in previsione del voto nella serata: ciò non è accaduto e quindi chiedo scusa per un intervento che si limiterà esclusivamente ad esporre una valutazione sulla proposta avanzata dal collega Marini mediante il suo emendamento. Dico questo perché ieri nella mia proposta iniziale avevo fatto riferimento alla richiesta di passare a votare il testo redatto dal relatore nel mese di giugno, il quarto comma dell'articolo 122.

Una volta ascoltato l'intervento dell'onorevole Marini in ordine all' emendamento del quarto comma, ritengo si possa giungere ad una unificazione della proposta da me formulata e di quella avanzata con l'emendamento del gruppo dei popolari.

In particolare, prima di spiegare il motivo di questa mia convinzione, vorrei sottolineare l'ultimo periodo dell'emendamento, quello che va da «Le sezioni unite» fino a «giustizia». Vorrei chiedere agli amici popolari, ai presentatori, all'onorevole Marini, se non ritengano che si debba giungere ad una precisazione in ordine ai compiti affidati alle sezioni unite con riferimento a quest'ultima parte, ossia alla possibilità per il ministro di grazia e giustizia di richiedere alle sezioni unite pareri su disegni e proposte di legge. Dalla lettura del testo, penso che ci si debba riferire ai disegni o alle proposte di legge presentati al Senato dai senatori come disegni di legge e alla Camera dai deputati come proposte di legge. Se così non fosse, il punto potrebbe essere meglio specificato, si potrebbe dire che il ministro di grazia e giustizia, che è componente del Governo, può chiedere, se lo ritiene, il parere al Consiglio superiore della magistratura in ordine ai suoi provvedimenti, ai suoi disegni di legge, eventualmente ai suoi decreti, ai suoi schemi di decreti; non si può certo vietare al Governo di utilizzare la capacità, l'esperienza, la preparazione, la competenza del Consiglio superiore della magistratura, limitando l'intervento alle sue proposte.

Ritengo che prevedere in Costituzione la possibilità per il ministro di grazia e giustizia di chiedere il parere per tutti i disegni o le proposte di legge presentati da senatori e deputati per i quali lo ritenesse opportuno precostituirebbe una condizione assurda, incredibile, perché i pareri dovrebbero essere espressi dal ministro o dai suoi sottosegretari nelle varie Commissioni al momento della discussione sui disegni e sulle proposte di legge; ci troveremmo, per usare un termine calcistico, di fronte ad una invasione di campo che a mio avviso non sarebbe consona ai diritti e ai doveri dei parlamentari, dei senatori e dei deputati.

Vorrei sapere, ne parleremo quando sarà il momento...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Temo però che il suo interlocutore non la stia ascoltando.

ANTONIO LISI. Mi basta che mi ascolti il relatore perché è importante che tragga le conseguenze nel momento in cui dovesse procedere ad un'operazione di verifica di quanto stiamo dicendo. Eventualmente è poi interesse del presentatore dell'emendamento informarsi presso il relatore di come siano andate le cose.

Affido questo dubbio all'attenzione di chi mi ascolta, in particolare ai presentatori dell'emendamento, al relatore e ai colleghi che dovranno votare.

Perché proponiamo che si vada a separare in due sezioni il Consiglio superiore della magistratura? Abbiamo già parlato troppo a lungo in quest'aula, ma abbiamo già parlato in precedenza, ne abbiamo discusso in Comitato ristretto ed in sede plenaria.

Vorrei dare a me stesso la possibilità di chiudere brevemente questo intervento richiamando alcuni punti fondamentali della nostra convinzione. Nel codice di procedura penale del 1989 il pubblico ministero veniva già inquadrato e definito come parte nel processo; basterebbe questo piccolissimo elemento in un processo accusatorio come quello che vediamo per domandarsi come sia possibile immaginare nello stesso Consiglio superiore della magistratura senza suddivisioni una parte del processo come il pubblico ministero e il giudicante, che dovrebbe appunto decidere sulle richieste dell'altra parte in una posizione di terzietà. Si avrebbe una commistione; ci troveremmo di fronte, come ci siamo trovati di fronte... Ecco il perché delle richieste; non c'è nessuna lotta alla magistratura, non si è voluto condurre alcun attacco alla sua indipendenza, non si è voluto mettere in discussione l'autonomia della magistratura, meno che mai l'indipendenza e l'autonomia dei pubblici ministeri.

È più logico pensare ad una suddivisione all'interno del CSM in due sezioni: una che verifichi le condizioni, promuova, valuti, trasferisca una parte del processo, ossia il pubblico ministero, l'altra che si preoccupi di chiedere, di formulare, di promuovere, di valutare i giudici che debbono giudicare sulle richieste della parte.

Si è detto: è bene che non si dimentichi la cultura della giurisdizione. Ma come è andata finora? Che cosa è avvenuto di fatto nel paese? Che cosa è accaduto nella giustizia? Come si sono celebrati i processi, come si sono avviate le indagini? Non mi risulta fino ad oggi che dal 1989 fino al momento in cui stiamo parlando vi sia stato un solo pubblico ministero in Italia che sia andato alla ricerca della prova a favore dell'imputato!

Signori miei, stiamo per mettere in Costituzione quanto di più importante vi possa essere a difesa e a garanzia dei cittadini e non ci chiediamo come si sia giunti, così come si è giunti, a verificare che la cultura della giurisdizione più volte richiamata - ma solo perché costituisce una colossale, macroscopica scusa per chi non vuole giungere alla soluzione del problema - non è stata mai dimostrata nei fatti, perché mai nessun pubblico ministero - dico mai - ha dato prova di andare alla ricerca degli elementi che potessero portare alla difesa o fossero a favore dell'imputato! A questo punto è meglio la specializzazione. Preferisco la specializzazione in un mondo in cui tutto si specializza e tutti si specializzano. Ben venga la specializzazione del pubblico ministero nelle indagini, perché così, finalmente, riusciremo a vedere ancora qualche indagine nel processo, visto che ormai, da molto tempo a questa parte, l'80-90 per cento dei processi penali viene celebrato sulla base di dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e le indagini, quando vi sono, lasciano il tempo che trovano, mentre nella stragrande maggioranza dei casi, come ho detto, ci si affida solo alla parola dei collaboratori di giustizia.

Allora, lo ripeto, meglio la specializzazione. Vogliamo pubblici ministeri più specializzati, più capaci di portare avanti le indagini necessarie. Vogliamo che vi siano più garanzie per i cittadini. Avremo un giudice più terzo, avremo una giustizia migliore, avremo un giudice finalmente separato da chi è parte nel processo e che assume su di sé tutta la responsabilità che gli deriva dall'essere giudice finale delle richieste dell'accusa da una parte e della difesa dall'altra.

D'altra parte, mi chiedo - ed ho chiesto anche in Comitato ristretto - perché, se è vero quanto viene detto in contrasto con quanto noi affermiamo sulla necessità della divisione del Consiglio superiore della magistratura in due sezioni; perché, se noi proponiamo, come si dice, di far diventare più potenti i pubblici ministeri, di farli diventare più pericolosi, di creare una casta estremamente pericolosa; perché, se stessimo per consentire ai pubblici ministeri di diventare più potenti, dovremmo trovarci di fronte a reazioni così pesanti da parte degli stessi pubblici ministeri. Se stiamo per creare dei pubblici ministeri superpotenti, dei superpoliziotti, se stiamo per creare una struttura che andrà a distruggere tutti quanti, perché si lamentano, perché si preoccupano, perché non vogliono diventare più potenti? È la riprova di quanto non sia vero ciò che viene sostenuto.

Peraltro, signor presidente, signor relatore, vorrei dire che sarebbe sufficiente quello che, in contrasto con la stragrande maggioranza dei pubblici ministeri in questi ultimi tempi, ieri ha dichiarato il procuratore generale dell'antimafia, dottor Vigna, nel corso di una intervista. Egli ha detto sostanzialmente questo: io, pubblico ministero, non saprei fare il giudice. Ed ha aggiunto: oggi si migra indifferentemente da una professione all'altra e questo non mi pare corretto; il pubblico ministero è un ricercatore, il giudice deve avere altre doti; io, per esempio, non mi sentirei portato a fare il giudice. Signori, ci troviamo di fronte a dichiarazioni rese dal procuratore generale dell'antimafia, il quale sostiene - è il dottor Vigna che dice ciò, stiamoci attenti - che sarebbe difficile per lui fare il giudice, avendo altre tendenze, altre condizioni di carriera, soprattutto altre capacità che gli derivano da una lunga esperienza di pubblico ministero. A questo punto, lo stesso dottor Vigna ci indica, a mio avviso, la strada da seguire. Egli afferma di auspicare il tirocinio obbligatorio in un collegio giudicante, in modo che chi farà poi il pubblico ministero si sarà impossessato in gran parte della cultura di chi farà il giudice, e fino a questo punto siamo disposti a seguirlo. Infatti, nessuno impedisce a giudici e pubblici ministeri di procedere insieme nello studio, nei concorsi e fino a che non sia ultimato il periodo dell'uditorato, dopo aver compiuto un tirocinio presso i collegi giudicanti (perché così è necessario dire adesso), come pubblici ministeri da una parte e come giudici dall'altra. Alla fine, bisogna consentire al giudice di scegliere di fare il giudice e al pubblico ministero di scegliere di fare il pubblico ministero e questa scelta deve diventare definitiva. A questo punto, nessuno potrebbe più contrastare l'evidenza della soluzione che noi proponiamo attraverso la dichiarazione di colui che ritengo essere uno dei più bravi pubblici ministeri a disposizione della nostra nazione.

Sono dovuto uscire fuori dal riferimento all'articolo 122, andando a toccare l'articolo 126 poiché, come è già stato detto ripetutamente in quest'aula, le due norme sono certamente l'una concatenata all'altra. Se, come ho già detto all'inizio, i colleghi del partito popolare volessero precisare meglio quanto contenuto nel loro emendamento all'articolo 122 con riferimento alla possibilità da parte del ministro della giustizia di richiedere il parere non sappiamo a chi - probabilmente ce lo spiegheranno - , se potessimo eliminare quest'ultima parte o modificarla dicendo che si tratta soltanto di richieste riguardanti i disegni di legge del Governo, in questo caso non avremmo alcuna difficoltà a votare a favore di tale emendamento.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al senatore Maceratini, prossimo iscritto a parlare, vorrei fare alcune precisazioni sull'ordine dei lavori. Immagino che non sia per ragioni ostruzionistiche che sono iscritti a parlare su questo tema sedici oratori, essendo quasi tutti favorevoli ad un emendamento che, almeno nel corso della mattinata, non riusciremo a votare.

La Commissione dovrà esaurire l'esame degli articoli e degli emendamenti entro la giornata: questo comporta che non vi potrà essere alcuna interruzione. Spero che nel corso della giornata voteremo almeno sull'articolo 122. Ho constatato che la materia appassiona: hanno già parlato tre oratori, che hanno occupato complessivamente quaranta minuti, quindi è ragionevole prevedere che il dibattito prosegua per altre due ore o due ore e mezza. Poi vedremo, ma vi devo informare con allarme che la seduta non potrà subire interruzioni nel pomeriggio e proseguirà, con ogni probabilità, nella serata.

FRANCESCO SERVELLO. Almeno a titolo personale, quanto lei ha detto mi va benissimo. Ma ritengo che alle 18,30, per la partita della nazionale italiana di calcio, l'interruzione sia doverosa.

GIULIO MACERATINI. Presidente, sperando che il mio gesto sia di esempio, rinuncio a parlare.

MARIO GRECO. Mi riservo di fare alcune brevi considerazioni finali in sede di dichiarazione di voto.

FAUSTO MARCHETTI. Signor presidente, abbiamo effettivamente discusso molte volte questa materia, specialmente nella fase iniziale, prima del 30 giugno, ma anche nei Comitati. Il relatore al termine di tante discussioni ha presentato il nuovo testo dell'articolo 122 in una versione che, indubbiamente dal nostro punto di vista, si presta ancora a molte critiche.

È vero che nell'attuale testo non figura più il quarto comma del precedente articolo 122 il quale prevedeva l'immediata istituzione per norma costituzionale di una sezione per i giudici ed una per i magistrati per il pubblico ministero. Riteniamo che la stessa previsione di introdurre con legge ordinaria le due sezioni, una per i giudici ed una per i magistrati del pubblico ministero, sia il segnale di una enfatizzazione di un problema che in realtà non avrebbe ragione di sussistere, perché i magistrati, siano essi inquirenti o giudicanti, debbono avere lo stesso status ed essere soggetti soltanto alla legge. Ci siamo peraltro già trascinati questa formula in tante versioni elaborate dal relatore e poi alla fine è stata soppressa; ne è stata adottata una assai più attenuata che in qualche modo spiana la strada a soluzioni non pienamente soddisfacenti, quale quella qui delineata. Essa introduce - ripeto - un elemento che non avrebbe ragione di esistere, perché in effetti sarebbe bene mantenere il Consiglio superiore della magistratura nella composizione attuale e non vi è motivo di separare i magistrati del pubblico ministero da quelli giudicanti. Ciascuno ha uno status che consente loro di svolgere in autonomia ed indipendenza il proprio ruolo e non è certamente la presenza comune di una rappresentanza della magistratura ordinaria nel CSM ad impedire che ognuna di queste figure possa svolgere il proprio ruolo in autonomia, senza reciproche interferenze, quanto meno dal punto di vista teorico. Questo peraltro non è di per sé l'elemento che dovrebbe creare commistioni non proprie. Credo che i problemi esistenti potrebbero essere risolti attraverso la legislazione ordinaria ed avrebbero potuto già esserlo in questi anni con l'intervento appunto del legislatore ordinario, il quale effettivamente avrebbe dovuto introdurre taluni filtri, come abbiamo proposto nei nostri emendamenti. Vorrei sottolineare che sul problema eravamo già intervenuti con la presentazione di disegni di legge in periodi nei quali non si parlava ancora dell'istituzione di una Commissione bicamerale. Ricordo in particolare che tale problema era stato affrontato dal disegno di legge presentato dalla collega Salvato ed altri, con il quale si proponeva di creare filtri per il passaggio da una funzione all'altra e per evitare una permanenza a vita nello svolgimento delle stesse funzioni. Abbiamo avvertito cioè l'esigenza che nell'ambito di una comune cultura della giurisdizione, di un comune svolgimento di un'attività che deve essere ispirata ai valori della cultura delle garanzie vi debbano essere, anche per le funzioni del pubblico ministero, magistrati non solo esperti di indagine, ma anche formati nella cultura delle garanzie, nell'abitudine al contraddittorio, nell'ascolto delle ragioni di tutti, con la sola soggezione alla legge. Il ritrarsi di fronte a questa formula, alla sottolineatura di una comune soggezione di giudici e di magistrati soltanto alla legge, desta sospetti nel senso che effettivamente sorge il dubbio che si vogliano introdurre altre soggezioni, anche se ciò viene negato, ma la persona singola deve rispondere della propria attività ed esserne responsabile; come responsabile singolarmente deve essere il giudice altrettanto singolarmente deve esserlo il pubblico ministero.

Tutti gli elementi che si introducono, quale la richiesta continua di unità d'azione e quanto meno del coordinamento, che poi è stato introdotto nel testo che abbiamo votato, devono in qualche modo essere tenuti presenti. Talvolta mi rendo conto che l'esigenza del coordinamento viene proposta anche da colleghi dei quali conosco pienamente l'intenzione, che so non essere quella di determinare particolari subordinazioni. Tuttavia ritengo che anche nell'espressione del coordinamento si potrebbero inserire interpretazioni evolutive che potrebbero portare a gerarchizzazioni, alla rinascita di «porti delle nebbie» e di avocazioni che andavano bene al sistema politico, il quale poi si è svegliato e si è accorto del problema della giustizia quando una serie di indagini e di procedimenti penali lo hanno posto in discussione. Si è allora determinata una situazione pesante di crisi nel nostro paese e attraverso determinati procedimenti individuali sulle persone e l'accumulazione di una serie di effetti sono stati travolti i partiti e si è creata la situazione che tutti conosciamo.

Non vorrei che, condizionati da esperienze di questo tipo, da procedimenti che colpiscono individualmente numerosi esponenti anche politici del mondo industriale e di vari settori forti del nostro paese, si finisse per portare avanti una riforma della giustizia per molti aspetti necessaria, ponendo però le premesse per riforme regressive nel nostro paese in un settore così delicato che invece ha bisogno di grande attenzione e di grandi interventi da parte del legislatore ordinario. Si dice che occorra allontanare le due figure, separarle per garantire la terzietà; questa è un grande valore al quale tutti dobbiamo tenere, ma credo che la terzietà sia garantita nel nostro ordinamento e che si debbano introdurre norme ordinarie che tendano a garantirla maggiormente. Naturalmente poi ci sono le valutazioni soggettive sui comportamenti, ma non si deve confondere l'indipendenza con l'obiettività, questa è una virtù e non è detto che tutti i giudici ce l'abbiano; è certo però che non si pone un problema di colleganza, di allontanamento dei procuratori dai giudici dal punto di vista dello status. Perché allora non si costruisce uno status particolare del giudice d'appello rispetto a quello di primo grado? Eppure anche in quel caso c'è un controllo rispetto all'operato di un collega che ha lo stesso status e non vedo come potrebbe essere diversamente.

Se si seguissero certe logiche occorrerebbe frantumare in mille pezzi il corpo dei magistrati. La strada non è questa, ma quella, percorsa in parte dalla bozza del relatore, di introdurre anche per via costituzionale - e poi bisognerà proseguire per via ordinaria - una serie di garanzie a favore dei cittadini da porre nel corso del procedimento ispirato ai principi del processo accusatorio che vengono costituzionalizzati.

Di fronte a queste esigenze, gli emendamenti presentati e le opinioni che ieri ho sentito esprimere dalla lega e dallo stesso onorevole Marini vanno in direzione nettamente diversa e ci fanno in parte rivalutare il testo dell'articolo 122 proposto dal relatore, anche se non corrisponde alle nostre preferenze. Nel contesto della discussione che si sta svolgendo riconosciamo che quel testo potrebbe avere anche il nostro consenso a fronte di proposte così dirompenti presentate da altre parti.

NATALE D'AMICO. Uno dei problemi della discussione in Commissione bicamerale, presente anche nei testi sin qui elaborati, è che spesso si parla di una cosa alludendo ad altro. Mi pare giusto che la bicamerale si misuri con il problema dell'eccessiva pervasività dell'azione penale, del controllo penale sulla società, sull'economia, sulla politica di questo paese; ma è già stato detto - con espressione forse non elegantissima ma efficace - che questa pervasività corrisponde ad una funzione di supplenza rispetto alla debolezza della politica e del controllo democratico.

Il Parlamento aveva ed ha gli strumenti per risolvere questa debolezza della politica sul terreno della legittimazione democratica. Per questo, com'è noto, ci siamo espressi per una legge elettorale maggioritaria, a favore di un Governo forte in Parlamento e di un Presidente delle Repubblica eletto a suffragio universale e dotato di effettivi poteri di indirizzo politico. A nostro parere le proposte della bicamerale su questo terreno sono inadeguate, quindi finiamo per concentrare il nostro dibattito sull'epifenomeno più che sul fenomeno (che è - lo ripeto - la debolezza della politica) e temo che le proposte fin qui approvate in realtà indeboliscano ulteriormente la politica. Le scelte compiute in materia di bicameralismo rischiano di bloccare i processi decisionali e di determinare in questo paese un consociativismo reso obbligatorio non più da vincoli internazionali ma da vincoli istituzionali.

Tuttavia anche con gli epifenomeni bisogna confrontarsi. È vero che si pone un problema di rapporto di potere interno al procedimento penale sul quale occorre intervenire. La prima questione è se questo rapporto si ponga in termini di subordinazione dei giudici ai PM: i numeri dicono che questa subordinazione non esiste o non è così generalizzata come la si vuole far apparire. Mi pare che ancora una volta il problema sia un altro, cioè il corto circuito che si è realizzato fra avvio dell'azione penale e opinione pubblica, ma questo riporta ancora la debolezza della politica.

Riguardo ai rapporti fra PM, giudice e difesa, mi pare ci siano strumenti correttivi: la rotazione degli incarichi, i vincoli alla permanenza in sede, i vincoli alla parità delle parti in Costituzione. Queste cose in parte sono contenute nel testo alla nostra attenzione, anche se possono essere ulteriormente rafforzate, e credo - come ho più volte ribadito nel corso dei nostri lavori - che in buona parte bisognerà procedere con legislazione ordinaria.

Aggiungo una cosa, che a me pare molto importante, riguardo alla composizione del CSM. L'ultima proposta del relatore prevede espressamente la proporzionalità rispetto alla consistenza dei giudici e dei PM nella composizione del CSM; mi pare una novità importante, che probabilmente modifica i rapporti di potere.

Si pone poi un problema di efficienza e di equità, che mi pare quello principale. Se immaginiamo che esista un'azienda nella quale i lavoratori siano inamovibili, la carriera economica sia garantita, non esista alcun vincolo sull'orario di lavoro e sulla quantità prodotta, non esista alcun controllo effettivo sulla qualità prodotta, ci aspettiamo che una simile impresa non funzioni. Ma quando descriviamo un'azienda di questo tipo, descriviamo l'azienda giustizia in Italia. Considerato questo insieme di caratteristiche del sistema degli incentivi interni all'azienda, mi pare che la giustizia funzioni meglio di come sarebbe ragionevole attendersi e questo avviene per il senso del dovere che molti dei giudici italiani hanno dimostrato in questi anni. Tuttavia questi vincoli, che, determinano un sistema di incentivi che difficilmente può produrre efficienza ed equità, in qualche modo sono per noi obbligati. Abbiamo già scelto di affermare l'indipendenza del pubblico ministero nell'articolo 119 e riaffermeremo l'obbligatorietà dell'azione penale; sono due principi importanti che giustamente stiamo riaffermando, ma è evidente che si pone un problema di equilibrio fra essi e l'emersione di tendenze corporative interne alla categoria dei giudici e dei PM. Le due cose entrano in qualche modo in contraddizione tra loro. Da questo punto di vista, che non è proprio soltanto di questo settore, la domanda molto laica ed empirica che occorre porsi è, a mio avviso, se le tendenze corporative verrebbero esaltate o ridotte dalla previsione delle due sezioni autonome del CSM. In coscienza, credo che queste tendenze potrebbero risultare esaltate.

In conclusione, la questione della terzietà del giudice è un problema rilevante, molte delle motivazioni addotte in questa sede sono ragionevoli, ma abbiamo qualche dubbio sul fatto che la soluzione prospettata oggi con la riproposizione delle due sezioni del CSM vada nella direzione giusta e temiamo che essa possa essere addirittura controproducente.

Per questo motivo, a nome dell'intero gruppo di rinnovamento italiano (quindi, mio personale e del senatore Ossicini), preannuncio un voto di astensione sull'emendamento al nostro esame; il nostro atteggiamento rappresenta il rifiuto di una soluzione che rischia di alludere ad altro ed un incoraggiamento verso gli sforzi ulteriori che il relatore Boato stava facendo su questa materia e che potrebbero essere utilmente ripresi in Assemblea.

PRESIDENTE. A questo punto, ha chiesto di parlare il relatore; seguirà una serie di interventi che avranno un carattere di dichiarazione di voto (sono sei o sette) e poi si passerà al voto.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho chiesto la parola al termine del dibattito generale e prima delle dichiarazioni di voto perché credo sia diritto-dovere del relatore intervenire. Non so se sia possibile chiedere agli interlocutori di questo dibattito di ascoltare, ma forse questo è quasi impossibile.

PRESIDENTE. Ascoltare è facoltativo, ma fare silenzio sarebbe obbligatorio!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In senso tecnico, il mio è un intervento di replica, ma il significato che intendo dargli (vi chiedo scusa in anticipo se vi porterò via qualche minuto) è quello di una testimonianza a futura memoria, perché questo dibattito sull'articolo 122, come molti colleghi hanno legittimamente affermato, si riflette inevitabilmente anche su altri articoli della proposta di riforma costituzionale (è del tutto legittimo e corretto affermare questo), ma a mio avviso lo si è impropriamente caricato di una serie di valenze e di significati che vanno enormemente al di là sia della norma da me predisposta sia di quella proposta in alternativa. Mi pare che quest'ultima, allo stato, abbia i numeri per essere approvata.

Come ho affermato anche all'esterno (nessuno si offenda se lo dico in questa sede, perché lo faccio con rispetto, ma i colleghi sanno che sono abituato a dire quello che penso, a volte anche in modo non diplomatico), su questa norma sono state alzate delle bandiere o delle bandierine, dei vessilli di identità che sono stati caricati di significati che vanno molto al di là della norma. Cito in particolare l'intervento di ieri dell'onorevole Folena, il quale, non condividendo la proposta Zecchino, ha fatto bene a sdrammatizzare comunque l'esito del voto, perché la sua portata, dal punto di vista normativo, è enormemente diversa da quella che molti colleghi ieri sera e questa mattina hanno voluto attribuirgli. Può addirittura accadere, come accennava con molto garbo ed in chiave problematica il collega D'Amico motivando così la lsua astensione, che la norma proposta vada addirittura nella direzione opposta a quella che è stata proclamata, in totale buona fede, dai colleghi che sostengono la necessità di prevedere in Costituzione la separazione delle sezioni del CSM; non sarò certo io a scandalizzarmi di questa proposta, visto che l'ho fatta mia in cinque bozze successive, né ad affermare che la stessa proposta è inaccettabile in sé; intendo però spiegare perché, a mio avviso, il dibattito è andato molto al di là della norma, sovraccaricandola di significati che essa non può avere; si possono però determinare esiti politici, sia pure non voluti (intendo dirlo con grande franchezza a futura memoria).

Dal primo intervento di ieri in poi, tutti hanno parlato della necessità di affermare in Costituzione il principio della terzietà del giudice, e proprio a tal fine serve questa norma. Ma noi (dico noi perché credo che vi sia un sentire comune al riguardo, ma posso dire io, perché ho redatto tecnicamente la norma) abbiamo scolpito questo principio in quella che sarà - se lo sarà - la nuova seconda parte della Costituzione. Abbiamo scolpito il principio della terzietà del giudice che giudica, della parità delle parti, del contraddittorio, dell'oralità, sia pure nella forma che definiremo meglio dal punto di vista delle obiezioni mosse da altri colleghi. Quindi, i principi del contraddittorio, della parità delle parti e della terzietà del giudice rappresentano una norma scolpita nel testo costituzionale proposto, per cui mi appare francamente del tutto ridondante rivendicare un principio che ho proposto fin dall'inizio, anche quando mi sono state mosse obiezioni da varie parti, che il Comitato ha condiviso nella sua grande maggioranza e che mi auguro la Commissione si accinga a sanzionare con il suo voto fra qualche ora (o tra qualche decina di ore).

Si è chiesto inoltre di rafforzare le garanzie dei cittadini. Al riguardo, premesso che vorrei chiedere ai colleghi i quali vogliono il testo di giugno se siano disposti a tornare a quel testo nella sua integralità, devo rilevare che gli articoli 130-bis e 130-ter dell'attuale testo rappresentano, a mio avviso, un enorme, epocale rafforzamento delle garanzie per i cittadini (epocale rispetto al testo costituzionale).

Si è posto altresì il problema - io stesso l'ho fatto dall'inizio - di affermare pienamente l'autonomia e l'indipendenza della magistratura come ordine, nonché una diversa articolazione di questi principi considerato il diverso ruolo giudiziario dei giudici e dei pubblici ministeri. Sia pure con le forti riserve che abbiamo ascoltato ieri e che il senatore Marchetti ha richiamato poco fa (forse non ricordando che su questo si è già votato), l'articolo 119, approvato ieri, ha risolto positivamente tale questione, rafforzando l'autonomia e l'indipendenza della magistratura ma differenziando, nel modo di rafforzarla, il giudice dal magistrato del pubblico ministero; questo l'abbiamo già fatto - lo ripeto - nella seduta di ieri.

Fin dall'inizio ho sempre affermato che in uno stato democratico costituzionale, di diritto, in cui non può esservi alcun potere totalmente assoluto, autonomo e indipendente che non abbia un bilanciamento con gli altri poteri o ordini, assume rilievo la questione della responsabilità, oltre che dell'autonomia e dell'indipendenza.

Ai colleghi che hanno nostalgia del testo di giugno voglio ricordare che nel mio testo di giugno non si prevedeva l'introduzione del procuratore generale per l'azione disciplinare. Ai colleghi che hanno nostalgia del testo di giugno chiedo se vogliano tornare ad esso anche per quanto riguarda la questione della responsabilità del procuratore e l'istituzione, in esso non prevista, del procuratore generale per l'azione disciplinare. Ai colleghi che hanno nostalgia del testo di giugno chiedo se si siano accorti che in esso non è prevista la proporzionalità del CSM in relazione al corpo della magistratura tra giudici e magistrati del pubblico ministero, che invece vi è nel testo oggi alla vostra attenzione.

Credo che abbiano commesso un gravissimo errore (poiché sono franco, parlo con franchezza) quei colleghi che qui e fuori di qui hanno sostenuto che sulla questione delle sezioni Boato ha fatto marcia indietro perché ha avuto pressioni da qualcuno. Chi ha detto questo non ha capito nulla di come ho esercitato il ruolo di servitore di questa Commissione nelle funzioni di relatore!

Sono un deputato dell'Ulivo e sono orgoglioso di esserlo, ma da quando il presidente D'Alema mi ha conferito quest'incarico e dopo avermelo conferito, non ha più aggiunto neanche una virgola, mai, in nessun momento di tutto il travagliato lavoro di questa Commissione; mai, in nessun momento. Sono stati di più i colleghi del Polo che si sono rivolti a me con delle richieste. Mai, in nessun momento, anche nei momenti in cui ero contestato dalla sinistra ho avuto una richiesta da parte del presidente di questa Commissione, mai; ne ho avute molte di più dal Polo, legittime, perché erano nel dibattito ed era compito del relatore farsene carico.

FRANCESCO SERVELLO. Ma non c'è un caso Boato in discussione!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. No, c'è un caso che riguarda il testo.

Allora, ciò che voglio dire anche al collega Servello, se avrà la pazienza di ascoltarmi ancora qualche minuto con lo stesso rispetto con cui io ho ascoltato tutti, è che nel diverso testo prima in appunto datato 10 settembre ed oggi nel testo formale depositato presso la Commissione e sul terreno che riguarda le garanzie, e su quello che riguarda la responsabilità dei magistrati, oltre che la loro autonomia ed indipendenza, e sul terreno che riguarda la composizione del CSM, nessuno di questi elementi è stato frutto di pressioni o del Polo o dell'Ulivo o del PDS o di forza Italia: lo dico qui perché resti ai nostri atti, ed anche perché perché vada all'esterno della Commissione.

Se ho cambiato una posizione - e l'ho proposta in questa sede -sulla questione delle sezioni del CSM, che era stata la mia, e quindi non mi scandalizza, è perché riflettendo, discutendo, confrontandomi con gli interlocutori prima di tutto della Commissione, con i colleghi parlamentari che hanno predisposto gli emendamenti e con interlocutori esterni, quelli che si sono ispirati ad uno spirito di dialogo e di confronto civile (non quelli che fanno aggressioni personali), mi sono autonomamente convinto che, pur non essendo scandalosa, questa proposta rischia di ottenere risultati opposti a quelli cui ambisce. Questa è la mia maturazione, come relatore, nel rapporto con il Comitato, con la Commissione e con il confronto democratico all'esterno di questa Commissione.

Allora, non possiamo isolare l'articolo 122 dall'insieme di questo testo: in particolare, dall'articolo 130-bis sulle garanzie, dall'articolo 130-ter sulla terzietà, la parità delle parti, il contraddittorio, così come sono scolpiti in Costituzione; dall'articolo 126 sulla separazione netta delle funzioni; dall'articolo 125 sull'istituzione della Corte di giustizia della magistratura e per incidente vorrei dire che tra le competenze delle sezioni riunite scompare quella di nominare la Corte di giustizia della magistratura nell'emendamento che la maggioranza della Commissione si accinge a votare; vorrei capire se ci si sia fatti carico di questo problema.

Mai mi sono sognato di proporre, collega Lisi (ha ragione il collega Lisi), quello che pure c'è in un emendamento Parenti ed in un emendamento Zecchino, cioè che il ministro della giustizia chieda al CSM di esprimere pareri su disegni e proposte di legge! Mai mi sono sognato di fare una proposta di questo genere perché ritengo inaccettabile che il CSM su richiesta del ministro dia pareri, come chiedono un emendamento Parenti e uno Zecchino, su disegni e proposte di legge! Quindi, il CSM interverrebbe con pareri sul procedimento legislativo, addirittura su quello d'iniziativa parlamentare: mai mi sono sognato di fare proposte di questo genere!

ORTENSIO ZECCHINO. Queste dichiarazioni del relatore saranno pure soggette ad un dibattito!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ma certo, vi saranno le dichiarazioni di voto.

ORTENSIO ZECCHINO. In conclusione si dovrà fare una dichiarazione su tutto.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. No, sto parlando dell'articolo 122 in relazione agli altri articoli.

ORTENSIO ZECCHINO. Dici delle cose assolutamente inesatte!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Collega Zecchino, io leggo: «Le sezioni unite esprimono pareri su disegni e proposte di legge quando ne venga fatta richiesta dal ministro della giustizia».

Però, con la stessa attenzione - ed ho concluso - con cui ho ascoltato tutti in Comitato, in Comitato ristretto e qui, chiedo di ascoltare la conclusione del mio intervento.

La conclusione, a mio parere, è questa: il voto in sé, se la Commissione riterrà di darlo, è talmente non destabilizzante che personalmente ritengo doveroso astenermi da esso e ciò per correttezza, perché per cinque volte ho avanzato questa proposta, perché quindi non la ritengo di per sé una proposta scandalosa. Chiedo a tutti i colleghi di riflettere sullo sforzo che abbiamo compiuto sulle garanzie più che su qualunque altro terreno, anche perché siamo stati bombardati dall'esterno (ma il problema è se si accetti di farsi bombardare), perché siamo stati intimiditi (ma il problema è se si accetti di farsi intimidire); i bombardamenti sono stati nulli, le intimidazioni, se sono venute, non sono state accolte. Il problema è che quello delle garanzie, per il fatto di essere un tema che entra nel corpo costituzionale e nel corpo vivo della società italiana, nel sentire comune dei cittadini, nel nome dei quali si amministra la giustizia, bisogna che trovi - e questo è lo sforzo che su questo punto è risultato vano, ma su tutto il resto è stato fatto - un largo consenso parlamentare perché norme che attengono ai diritti fondamentali dei cittadini, ai fondamenti dello Stato di diritto, alle garanzie (non allo schieramento), sono norme che possono avere la loro forza intanto in Parlamento di essere approvate, ma poi di diventare corpo vivente della società italiana. Sappiamo, infatti, quanto sia lungo l'elenco delle norme costituzionali che, entrate in vigore il 1^ gennaio 1948, sono rimaste alcune per 8 anni (Corte costituzionale), alcune per 10 (CSM), alcune per 20 (regioni), altre ancora oggi inapplicate. Quindi, perché tutto questo diventi sostanza nella vita dello Stato di diritto sul piano costituzionale e nel concreto vivere della comunità civile, bisogna che si costruisca un largo consenso.

In questi nove mesi, collega Zecchino - e lei è stato protagonista con noi -, abbiamo fatto su questo terreno più passi avanti che negli ultimi 15 anni; ciò che 4 anni fa poteva fermare la precedente Commissione bicamerale con un solo pronunciamento, oggi non soltanto non ha fermato nulla, ma mese dopo mese abbiamo acquisito un consenso non unanime ma larghissimo in questa Commissione sui principi fondamentali: autonomia, indipendenza, responsabilità, garanzie per i cittadini, costituzionalizzazione del processo accusatorio. Tutto questo l'abbiamo fatto a volte con il 100 per cento, a volte con il 90, a volte con oltre l'80 per cento del consenso della Commissione.

A futura memoria dico che, pur ritenendo la norma in sé (come ho detto, mi sono convinto che sia sbagliata) del tutto rispettabile e non giudicando drammatica la scelta sul punto che si sta discutendo, reputo sbagliato che qui si giunga a votare, com'è legittimo in democrazia, con una spaccatura di stretta misura della Commissione infrangendo su questo punto il metodo di lavoro che, accettando tranquillamente anche tutte le prese in giro sulla pluralità delle bozze, consiste nel costruire insieme una nuova architettura costituzionale in tema di garanzie, di dare ad essa una grande forza perché larga parte del Parlamento la condivide nel suo insieme, al di là del singolo particolare tecnico che via via può essere aggiustato, di dare una tale forza da essere capace di diventare legge costituzionale e nuova Costituzione, ma anche di penetrare a fondo nella società civile. Ribadisco di ritenere che in dieci mesi su questo terreno abbiamo fatto più passi in avanti che negli ultimi quindici anni. Una scelta, legittima, democraticamente legittima, a stretta maggioranza, che comporti una lettura interna al Parlamento fuori di qui ed esterna nell'opinione pubblica, che su un aspetto di questo genere, su cui sono stati fatti sbandierare i vissilli delle forze politiche, sia una scelta di parte maggioritaria, ma di parte, invece che una scelta, come sempre abbiamo lavorato in questi mesi, anche nei momenti di tensione e di scontro, che in qualche modo ha saputo coinvolgere la grande maggioranza della bicamerale e poi del Parlamento. Questa preoccupazione ce l'ho, perché poi diventerà molto più difficile difendere questa scelta, molto più difficile dire che è il Parlamento nella sua grande maggioranza che in tema di garanzie ha votato.

E vorrei dire un'ultima cattiveria, visto che ne ho dette tante con totale buona fede (ma non sono cattivo: sono leale). Si è detto che in Commissione non deve valere la disciplina degli schieramenti. Per me questo è stato il dogma: appena sono stato nominato relatore su questo terreno ho rotto qualunque rapporto con lo schieramento a cui appartengo, legittimamente, come deputato dell'Ulivo. E questo lo abbiamo dimostrato in una pluralità di votazioni. Però voglio dirvi che oggi sento un richiamo alla compattezza del Polo, pur avendo una pluralità legittima di posizioni al suo interno; sento il Polo compatto più l'aggiunta, legittima, di una componente dell'Ulivo che, come voi vedete, non fa valere richiami di schieramento.

Bene, allora vorrei che si fosse più cauti in futuro nel parlare di spirito costituente e nel dire che quando entriamo qui da quella porta siamo tutti liberi dagli schieramenti e agiamo secondo coscienza, perché su questa scelta è stato fatto valere un richiamo di disciplina di uno schieramento con l'appoggio legittimo di componenti degli altri schieramenti.

Questa è una testimonianza a futura memoria che vi voglio lasciare, perché, amico e collega Pera, se io non lo dicessi oggi, rispetto alle ripercussioni che vedo sul futuro, non sarei leale con tutti i colleghi con cui ho lavorato e continuerò a lavorare in queste ore, in questi giorni, in questi mesi - mi auguro - per arrivare, qualunque scelta facciamo, ad un risultato positivo del nostro lavoro.

PRESIDENTE. Darei adesso la parola al sentore Rotelli, poi interverranno i senatori Rigo, Elia...

MARIO GRECO. Si passa alle dichiarazioni di voto o si fa la controreplica al relatore?

PRESIDENTE. Sono richieste di parlare per dichiarazione di voto. È in questo senso che mi sono state rivolte. Forse mi sono sbagliato, non so.

ETTORE ANTONIO ROTELLI. Dopo le inopinate dichiarazioni del relatore rinuncio a prendere la parola.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Inopinate ma fatte.

MARIO RIGO. Solo per dichiarare che voterò a favore dell'emendamento Follieri S.122.216.

LEOPOLDO ELIA. Signor presidente, colleghi, ho avuto più volte l'occasione di esprimere la mia opinione contraria all'articolazione del CSM in due sezioni, una per i magistrati giudici, l'altra per i magistrati pubblici ministeri. Ho ritenuto che il trapianto di questa disgiunzione dalla Costituzione francese, l'unica che abbia accolto questo istituto, nel contesto italiano così diverso rappresenti una fuga in avanti e non garantisca quegli effetti positivi che da essa deriverebbero secondo i sostenitori di questa riforma.

Pertanto, in coerenza con opinioni fortemente maturate, voterò contro l'emendamento alternativo Fontan C.122.122 e mi asterrò nella votazione dell'emendamento Follieri S.122.216 che prevede le due sezioni.

SALVATORE SENESE. Signor presidente, annuncio il voto contrario della sinistra democratica ai due emendamenti. Questa questione, come ha giustamente rilevato il relatore, si sta caricando di valenze esorbitanti, di richiami, a nostro avviso impropri, ai grandi principi di libertà.

Si è argomentato che la separazione del Consiglio superiore in due sezioni servirebbe per porre rimedio ad uno squilibrio tra accusa e difesa e, più in generale, ad uno squilibrio nel processo penale, che non saremo certo noi a negare ma del quale non vediamo il rimedio migliore in questo tipo di soluzione. Si è argomentato che in questo modo ci si allinea all'Europa e alle moderne democrazie (e io ho l'impressione che in questo dibattito abbia finito per prevalere una sorta di semplificazione comparatista). Problemi difficili e complessi sono stati risolti con formule assai sbrigative e discutibili. Due giorni fa mi è capitato di leggere su di un grande quotidiano che le carriere uniche di giudici e pubblici ministeri sarebbero un connotato dello Stato di polizia, mentre le carriere separate sarebbero connotato delle democrazie liberali. Se noi dovessimo applicare questa formula dovremmo considerare la Francia un paese autoritario, dovremmo considerare democrazia liberale il terzo Reich che conosceva la separazione delle carriere.

Le cose, in verità, sono un po' più complesse, così come più complesso è il nesso tra separazione delle carriere e processo accusatorio, che pure qui è stato insistentemente argomentato.

Proviamo a fare un rapidissimo excursus. La separazione delle carriere esiste certamente nella Repubblica federale tedesca, esiste in Belgio, esiste in Spagna. Nessuno di questi paesi ha il processo accusatorio. Per altro verso, la separazione delle carriere è spesso una conseguenza della dipendenza, in varia misura, del pubblico ministero dall'esecutivo. Così è, appunto, nei paesi che ho appena citato: Repubblica federale tedesca, Spagna, Belgio. Vi è un solo caso in cui i magistrati del pubblico ministero, organizzati come ordine, sono separati dai magistrati giudicanti e godono di piena indipendenza: è il caso del Portogallo. E non è causale che in quel paese su questo punto si sia accesa, alcuni anni fa, una fortissima tensione politica, e forze che si richiamano agli ideali liberali abbiano invece chiesto, senza ottenerla, una riunificazione delle carriere.

A sé sta il caso inglese, la patria del processo accusatorio. Ma come si può invocare quell'esperienza che, per altri versi, è così lontana dal nostro vissuto e dalla nostra storia istituzionale? L'Inghilterra non conosce un ufficio del pubblico ministero. Nel secolo scorso e fino alla metà di questo secolo era la polizia che in qualche modo svolgeva le funzioni di accusa. Solo nel 1985 è stato costituito un embrione di ufficio del pubblico ministero, il prosecutor della corona, ed è assolutamente inimmaginabile qualsiasi comparazione con quel sistema.

Per altro verso, su questo tema assistiamo in Europa ad un dibattito estremamente complesso. La Convenzione europea sui diritti dell'uomo e del cittadino assicura, agli articolo 5 e 6, la garanzia giudiziaria. Tutti i commentatori sono concordi nel dire che questa garanzia giudiziaria, che è garanzia di imparzialità e di indipendenza degli agenti coinvolti nel giudizio e nella messa in moto del giudizio, in qualche modo ricomprende anche il pubblico ministero. È vero, la convenzione europea non contiene alcuna norma che riguardi lo statuto del pubblico ministero. Ma è pur vero che la Corte europea dei diritti dell'uomo da quasi vent'anni sostiene che deve avere connotati di indipendenza anche chi ha il potere di mettere in moto l'azione penale e di seguire o dirigere le indagini. Cito la prima di queste sentenze: Schiesser contro Suisse del 1979.

Tutto ciò fa sì che gli attuali sistemi europei siano in tensione: vi è un gran dibattito proprio per superare la sistemazione che la materia ha attualmente nei vari ordinamenti. Tale sommovimento si è espresso anche nelle ultime vicende francesi: partendo da una intercambiabilità di funzioni - ma da una differenza di regime - oggi si spinge per avvicinare, anche senza confondere, lo statuto e le garanzie del pubblico ministero a quelle del giudice.

Noi non siamo affatto sordi alle esigenze di garanzia e di libertà dei cittadini. Abbiamo una proposta. Abbiamo detto che si può evitare l'irrigidimento inquisitorio di cultura e di mentalità attraverso la temporaneità delle funzioni inquirenti, la quale può servire ad evitare la concrezione di abiti mentali che distaccano sempre di più dalla cultura dell'imparzialità, dei diritti, delle garanzie, che deve essere l'altra faccia dell'attività di accertamento e della scoperta dei reati. Questa linea a noi sembra ancora oggi valida.

Tuttavia avevamo fatto di più. Proprio in considerazione del sommovimento in corso, ci eravamo indotti ad accettare una norma che facoltizzasse il legislatore ordinario ad incidere sulla materia da qui a qualche anno in un senso o nell'altro (nella direzione, per esempio, ritenuta giusta dai colleghi del Polo oppure in quella preferita da noi). In sostanza abbiamo proposto, con un atteggiamento che definisco di saggezza costituzionale, di lasciar maturare le cose per qualche tempo. La soluzione è stata sbrigativamente rifiutata ed accantonata, proprio perché in questo tema si è voluto scorgere un terreno sul quale - come giustamente ha sottolineato il relatore - bisognava alzare vessilli, segnare risultati apparenti e simbolici.

Mi chiedo, allora, e domando ai colleghi che si apprestano a votare questo pasticcio delle due sezioni: forse saremo maggiormente garantiti quando i pubblici ministeri saranno governati da un Consiglio ristretto di cui faranno parte cinque magistrati del pubblico ministero e tre membri eletti dal Parlamento? Non sarà questo un elemento di squilibrio e - è stato pur detto - di forte corporativizzazione, di allontanamento dalla cultura dei diritti e delle garanzie?

A noi sembra si tratti di una soluzione erronea, vorrei dire pasticciata: dà l'impressione di risolvere il problema ed invece rischia di creare altre difficoltà e ulteriori inconvenienti.

Non vorrei che tra qualche anno anche noi dovessimo tornare sui nostri passi, il che sarebbe molto difficile trattandosi di una norma costituzionale. E non mi sarebbe di consolazione il poter dire - secondo la formula di George Dandin - «tu l'hai voluto»: perché in questo caso le conseguenze le pagherebbero i cittadini in nome dei cui diritti ci si batte per questa soluzione.

MARCELLO PERA. I cittadini stanno già pagando adesso le conseguenze dell'assetto che lei sta difendendo, senatore Senese.

SALVATORE SENESE. Non stanno pagando le conseguenze di questa unicità di carriera, alla quale - peraltro - noi proponiamo di porre una serie di limiti e sbarramenti. Lo abbiamo detto tante volte, senatore Pera: i cittadini pagano le conseguenze di anni di legislazione di emergenza, che hanno segnato il processo penale. Oggi la parità tra accusa e difesa va restituita su di un altro terreno. Tanto quanto si sposta l'attenzione da quel terreno a questa impostazione simbolica ed apparente, si indebolisce l'impegno serio e razionale per dotare i cittadini di effettive garanzie. Sono il primo (non ho bisogno di sentire da lei questi richiami) a riconoscere e a indicare le varie sacche normative che alterano la parità fra accusa e difesa. Se lei avrà la cortesia di leggere i vari interventi che ho svolto in questa sede, troverà indicatequelle sacche normative con una puntualità che forse non ho riconosciuto nei suoi interventi. Ma proprio spostare il discorso su questo terreno è indice di una insufficiente cultura delle garanzie, che cerca un suo risarcimento in una battaglia di religione che noi rifiutiamo.

Ecco perché confermo il nostro voto contrario.

MAURIZIO PIERONI. Forse nessuna forza politica, presidente, è così lontana da culture di carattere inquisitorio o così legata a concezioni garantiste come quella che mi onoro di rappresentare. Che in Italia i problemi esistenti sul fronte della giustizia siano sentiti come una profonda ferita dalla stragrande maggioranza dei cittadini e delle forze politiche è assolutamente innegabile. Proprio per questo, però, un percorso unitario di mediazione sarebbe apparso ai cittadini come la risposta alta e adeguata da parte della classe politica. Ed è proprio il percorso che il relatore ha ostinatamente, indefessamente ricercato: per questo motivo gli esterno la gratitudine dei verdi, gruppo a cui appartiene.

La mediazione non è un valore in sé. Ma non sfugge a nessuno che in questo paese, se da una parte vi sono i problemi della giustizia, dall'altra vi sono i problemi «con» la giustizia da parte di poteri, forze politiche, interessi economici. Proprio questa situazione doveva indurci a mostrare la capacità di individuare risposte comuni.

Purtroppo questo terreno è stato invece scelto come luogo di dislocazione tattica legata a problemi politici contingenti. Mai terreno fu più inadatto per scelte del genere. Ecco perché noi voteremo contro qualunque segnale di questo tipo.

Mi si consenta, presidente, un appello ai colleghi del Polo. Di essi capisco molte delle ragioni addotte a sostegno delle loro posizioni nel corso di questo dibattito (che non ho difficoltà ad ammettere di aver seguito meno di altre discussioni svoltesi nella bicamerale). Sembrava che un esito di reciproco ascolto fosse possibile. Mi dispiace che la presenza della lega faccia al Polo l'effetto del campanello del cane di Pavlov, cioè ecciti nel Polo la salivazione di una vittoria possibile che lo inchioda ad una identità che probabilmente non corrisponde nemmeno alle ragioni reali che quello schieramento ha portato nella Commissione (Commenti del senatore Pera). Non ho alcuna intenzione di rimproverarla di nulla, collega Pera. Mi auguro che questa disponibilità alla serenità ed al ragionamento si mantenga anche nelle aule parlamentari ove altri passaggi ridefinissero - come sicuramente avverrà - i termini delle questioni che ora stiamo discutendo; mi auguro quindi che non vi sia serenità solo quando si crea uno schieramento e non quando se ne determinano altri.

GIOVANNI PELLEGRINO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PELLEGRINO. Vorrei capire se stiamo per votare su due emendamenti o su tre: l'emendamento della lega, quello presentato dal senatore Zecchino ed un altro che reintegrava il testo del relatore.

PRESIDENTE. Questo non è un intervento sull'ordine dei lavori: è un intervento di sospetto nei confronti del presidente...! È un intervento di sfiducia preventiva (Si ride)!

GIOVANNI PELLEGRINO. Presidente, il collega Lisi ha abbandonato quella sua proposta senza che nessuno l'abbia ripresa. Se nessuno lo fa, faccio mia tale proposta e chiedo che sia posta in votazione.

PRESIDENTE. Provvederò senz'altro a mettere ai voti le proposte in un ordine ragionevole: non si preoccupi, senatore Pellegrino.

LUCIANO GASPERINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Su quale tema? Sto per porre in votazione innanzitutto la sua proposta.

LUCIANO GASPERINI. Volevo illustrarla.

PRESIDENTE. Ma lo ha già fatto: il suo gruppo ha preso la parola nel corso del dibattito; la discussione su questo tema, solo in plenaria, è durata tre ore, senza considerare il dibattito preparatorio.

Anzitutto, porrò in votazione, accogliendo la richiesta in tal senso avanzata in apertura di seduta dal senatore Gasperini, l'emendamento Maroni C.126.5. È una votazione sul principio che prevede il carattere elettivo del pubblico ministero («i magistrati del pubblico ministero sono nominati a seguito di elezione, secondo le modalità stabilite dalla legge»). Conseguentemente a questa diversa legittimazione del pubblico ministero, tale emendamento propone una separazione delle carriere ed una revisione dell'ordine giudiziario.

Al di là del testo dell'emendamento, quindi, porrò in votazione il principio, che ha un forte carattere innovativo; in sostanza, si tratta di decidere se il pubblico ministero dovrà essere scelto tramite concorso, come si ribadisce nel testo del relatore, oppure se dovrà essere eletto dai cittadini. Mi pare che i termini della questione siano chiari.

GIULIO MACERATINI. Prendo la parola per annunciare che alleanza nazionale voterà contro questo principio.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Il gruppo del CCD voterà a favore perché vogliamo mantenere aperta la questione dell'elezione diretta dei PM nell'ambito del federalismo.

ROCCO BUTTIGLIONE. Voteremo a favore del principio: si tratta, del resto, di un emendamento che noi stessi avevamo proposto ad opera del senatore Ronconi.

MARCELLO PERA. Esprimerò un voto a favore - visto che questo è l'ordine che lei ha inteso dare alle nostre votazioni - sul principio dell'elezione diretta secondo la formulazione di tale principio che abbiamo proposto tramite il subemendamento Parenti C.0.126.4.3 («la legge sull'ordinamento giudiziario ammette la nomina elettiva dei magistrati del pubblico ministero»).

SERGIO MATTARELLA. Dichiaro il nostro voto contrario, presidente.

ARMANDO COSSUTTA. Dichiariamo il nostro voto contrario e la nostra preoccupazione circa la deriva, che si manifesta attraverso questa proposta, che può assumere la vita politica italiana, dopo che abbiamo deciso a maggioranza l'elezione diretta del Presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Cosa c'entra questo con l'elezione popolare dei pubblici ministeri...?

NATALE D'AMICO. Dichiaro il nostro voto contrario, presidente.

MARIO RIGO. Voterò contro, presidente.

CESARE SALVI. Dichiaro il nostro voto contrario e lo sconcerto per il fatto che improvvisamente un tema di questa rilevanza arrivi al nostro esame su iniziativa della lega (è il secondo contributo che questo gruppo dà ai nostri lavori) e che forze che si dichiarano liberali, come forza Italia, votino a favore di un principio che, al di là di ogni improponibile parallelismo con situazioni di altri paesi, porterebbe alla politicizzazione delle procure della Repubblica.

PRESIDENTE. Qual è il parere del relatore su questo principio?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Contrario, presidente.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione il principio dell'elezione popolare dei magistrati del pubblico ministero, contenuto nell'emendamento Maroni ed altri C.126.5, non accettato dal relatore.

 

(È respinto).

 

LUCIANO GASPERINI. Sciogliendo la nostra precedente riserva, il nostro gruppo non insiste sull'emendamento Fontan ed altri C.122.122.

PRESIDENTE. Ora bisogna decidere se la proposta, su cui convergono diversi commissari, di prevedere in Costituzione le due sezioni del Consiglio superiore della magistratura debba essere votata nella forma del recupero del quarto comma del testo proposto a giugno dal relatore o in quella dell'emendamento Follieri S.122.216.

È del tutto evidente che questo emendamento comporta una più vasta riscrittura e per certi aspetti urta con l'articolo 124 o comunque ad esso si sovrappone, nel senso che definisce non solo la composizione ma anche le funzioni del CSM.

ORTENSIO ZECCHINO. Presidente, credo che occorra constatare che l'emendamento che ripristina il testo di giugno e quello a cui lei ha fatto riferimento che anch'io ho sottoscritto hanno una parte comune, che potrebbe essere oggetto di una specifica votazione. Noi siamo favorevoli alla riaffermazione in Costituzione della separazione del Consiglio superiore della magistratura in due sezioni; è un dato comune a vari emendamenti.

L'emendamento Follieri S.122.216, da me sottoscritto, prevede anche la necessaria specificazione delle funzioni delle due sezioni, alle quali - affidandoci alla legge ordinaria - potrebbero anche essere attribuite funzioni consultive: credo che nessuno immagini che questa battaglia possa aver avuto ad oggetto la divisione del CSM in due sezioni con poteri consultivi.

Mi pare quindi che si possa votare separatamente la parte del nostro emendamento che coincide con quello che ripristina puramente e semplicemente il testo di giugno da quella che specifica le competenze e le funzioni delle due sezioni.

PRESIDENTE. Pongo pertanto in votazione i primi due periodi dell'emendamento Follieri ed altri S.122.216, in tutto identici ai primi due periodi del quarto comma dell'articolo 122 approvato dalla Commissione il 30 giugno scorso.

 

(Sono approvati - Commenti).

 

La votazione per alzata di mano ha carattere informale, il conto viene fatto soltanto per registrare chi è a favore e chi è contrario, per avere una valutazione; i numeri non vengono messi a verbale (Commenti dell'onorevole Fontan). Se lei ha una curiosità, dopo glieli dico (me lo ricordi).

Passiamo alla seconda parte dell'emendamento Follieri S.122.216.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Volevo far notare che la seconda parte dell'emendamento di fatto incide direttamente sulla materia dell'articolo 124, che viene cancellato; non affronta il punto se la competenza per l'elezione della Corte di giustizia dei magistrati sia in capo alle sezioni separate o alle sezioni riunite; comunque, personalmente chiedo che sia scorporato l'ultimo periodo.

Sono tre questioni diverse: l'emendamento impinge totalmente sull'articolo 124, non prevede la competenza per l'elezione della Corte di giustizia della magistratura e comunque chiedo che l'ultimo periodo venga votato separatamente.

ORTENSIO ZECCHINO. Naturalmente questo emendamento finisce per essere assorbente dell'articolo 124. A tal proposito, poiché opportunamente il relatore nell'ultima versione dell'articolo 124, che peraltro non è base delle nostre votazioni, ha inserito tra le competenze anche la formazione - d'altra parte era scontato e pacifico; è attualmente una competenza in itinere del CSM, avendo chiarito che quella propedeutica appartiene al ministro - chiederei di aggiungere al nostro emendamento, in coerenza e a chiarimento forse non del tutto indispensabile visto che il relatore l'aveva fatto sull'articolo 124, di aggiungere tra le competenze delle sezioni unite anche la formazione.

Sull'ultima parte, in ordine alla quale il relatore ed anche altri colleghi hanno eccepito sul potere di parere del CSM a sezioni unite rispetto a provvedimenti governativi, se l'espressione si presta ad equivoci - so che il collega Lisi ha sottolineato questo aspetto, lo ha fatto anche il relatore - ne preciso il senso: il Governo può chiedere sulle proprie proposte legislative un parere. Come è notorio, il CSM attualmente già ha questo potere di parere; l' emendamento tende a stabilire che il parere non può essere dato ad iniziativa del Consiglio superiore della magistratura ma a richiesta del Governo, perché il CSM deve mantenere anche questa funzione di organo consultivo del Governo. Allora, se la formulazione viene ritenuta, come molto probabilmente è, imprecisa, ho voluto chiarire che il senso vero è in questa direzione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Chiedo scusa, collega Zecchino, sono d'accordo con lei, ma, quando si parla di proposte di legge...! Bisogna scrivere «disegni di legge di iniziativa governativa» perché al Senato sono disegni di legge anche quelli di iniziativa parlamentare.

ORTENSIO ZECCHINO. Possiamo accettare questa correzione che ci suggerisce.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. La formulazione sarebbe la seguente: «Le sezioni unite esprimono pareri su disegni di legge di iniziativa del Governo quando ne venga fatta richiesta dal ministro della giustizia».

ORTENSIO ZECCHINO. Accetto la formulazione del relatore.

PRESIDENTE. Posso rivolgerle una preghiera e una domanda? Che senso ha anticipare a questo punto, all'articolo 122 una formulazione che è pressoché uguale, salvo qualche correzione che eventualmente a quel momento si potrebbe fare, all'articolo 124?

ORTENSIO ZECCHINO. Lei mi suggerisce di spostare al 124? Bene, presidente, non ho difficoltà.

MARCELLO PERA. Possiamo votare questa seconda parte, che nell'emendamento Zecchino è la seconda parte dell'articolo 122, salvo, poiché assorbe l'attuale articolo 124, in sede di coordinamento spostarla al 124; lo sostituisce.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si può poi collocarla al 124, ma la logica dell'emendamento Zecchino è di ripartire le competenze previste all'articolo 124, quelle che vanno alle sezioni separate e quelle che vanno alle sezioni riunite. Ha proposto di attribuire, nella logica dell'articolo 124, alle sezioni riunite anche la formazione. Suonerebbe quindi. «(...) riguardanti le assunzioni e la formazione dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero (...)». Ha poi riformulato la parte dei pareri, che nell'attuale formulazione dell'articolo 124 da me proposta non è più presente; quindi, questa è una novità...

ORTENSIO ZECCHINO. ...che rispecchia una situazione attualmente esistente.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il periodo è riformulato nel seguente modo: «Le sezioni unite esprimono pareri su disegni di legge di iniziativa del Governo quando ne venga fatta richiesta dal ministro della giustizia».

ORTENSIO ZECCHINO. Sulla collocazione dell'emendamento mi affido alla presidenza.

PRESIDENTE. Si valuterà in sede di coordinamento. Mi sembra che a questo punto l'unica novità riguardi il fatto che queste funzioni amministrative sono ripartite tra le due sezioni.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In parte sono attribuite alle sezioni unite.

PRESIDENTE. È evidente che nel momento in cui si è deciso di introdurre le due sezioni, questo problema si pone come esigenza di coordinamento del testo in modo, direi, oggettivo.

MARIO GRECO. Vorrei sapere che fine farà il periodo «I consigli non possono adottare atti di indirizzo politico».

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non c'è più.

ORTENSIO ZECCHINO. Accetto la sua iniziale proposta di spostare questa parte dell'emendamento all'articolo 124.

PRESIDENTE. Va bene, accantoniamo allora tali questioni; ne discuteremo in quella sede.

Passerei allora alla votazione dell'articolo così come emendato. È del tutto evidente che l'approvazione dell'emendamento comporta la soppressione del quinto comma...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ovviamente, avendo approvato nel testo identico «di giugno» e Zecchino il quarto comma, salvo l'ultimo periodo della colonna di sinistra (nello stampato distribuito), bisogna coordinare il testo con il quinto comma della colonna di sinistra, perché non si può più adottare la colonna di destra...

ORTENSIO ZECCHINO. Ormai la colonna di sinistra dell'articolo 122 è la base delle nostre votazioni, questo mi sembra pacifico.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se il presidente è d'accordo, credo che a questo punto sia coerente.

PRESIDENTE. È quindi evidente che votiamo la formulazione dell'articolo 122 nella colonna di sinistra, salvo l'ultimo periodo.

Vorrei fare una breve dichiarazione di voto, visto che voterò contro l'articolo 122. È l'unico articolo, fino a questo momento, del disegno di riforma costituzionale, contro il quale io voto, per cui vorrei in due secondi motivare le ragioni del mio voto contrario (Commenti).

Teoricamente tutti, certo. Io parlo raramente. La mia è un'eccezione, perché ho votato a favore di tutti gli articoli.

Ritengo che questo articolo introduca due norme sbagliate. Una è quella di cui si è lungamente discusso, la divisione in sessioni del Consiglio superiore della magistratura, che non consegue una divisione delle carriere dei magistrati, cosa che a mio giudizio è sbagliata - tuttavia è una riforma -, ma semplicemente vi accenna, accentuando tendenze di natura corporativa, di pura divisione corporativa all'interno dello stesso ordine giudiziario. La seconda norma che ritengo sbagliata è quella che prevede un diverso equilibrio tra i rappresentanti togati elettivi e i rappresentanti nominati dal Parlamento nell'ambito del CSM. Anche questa norma non realizza una riforma, nel senso che non modifica il rapporto, che rimane a favore dei togati, ma vi accenna - anche questa - quasi a voler dire: vogliamo aumentare l'influenza dei membri nominati dal Parlamento entro i limiti oltre i quali non riusciamo ad andare; ma c'è comunque un'espressione di volontà che va in quella direzione.

Il combinato disposto di queste due novità, una più accentuata corporativizzazione della magistratura ed una più forte presenza di un elemento di controllo politico, nel senso di una maggiore incidenza dei membri nominati dal Parlamento nelle decisioni relative alle carriere dei magistrati, sono due aspetti di una politica della giustizia che io non condivido, che ritengo sbagliata e controproducente rispetto alle finalità stesse che si propone, le quali, invece, condivido, cioè una migliore garanzia dei diritti del cittadino.

Penso anche che l'articolo fosse arrivato ad un punto estremo di mediazione, dal punto di vista di chi la pensa come me, nel senso che il testo propostoci dal relatore per molti aspetti era, nella mia intima convinzione, già quasi non condivisibile ma era dentro il quadro di un compromesso possibile. Il fatto che si sia voluta operare una forzatura ulteriore lo considero politicamente pericoloso. Noi - anche il sottoscritto - abbiamo compiuto un grande sforzo, uno sforzo che, come ha ricordato il relatore, è stato pagato anche in termini di esposizione ad una forte critica, per cercare, su una questione delicata come quella della giustizia, rispetto alla quale c'è tensione nella pubblica opinione e nei mezzi di comunicazione di massa, di definire un indirizzo comune; cioè di definire una linea di comune responsabilità delle forze politiche che sottraesse questo tema ad una contrapposizione così esposta a scadere in uno scontro emotivo, aperto ad incursioni demagogiche ed altro. Evidentemente, questo sforzo non è stato premiato da successo. Bisogna prendere atto che l'intenzione di costruire una linea di comune responsabilità, quindi di compromesso, almeno in questo momento subisce uno strappo.

Noi siamo ancora all'inizio dell'esame di un testo molto delicato. Se dovesse delinearsi - voglio dirlo, perché questo è il senso del mio voto contrario - una maggioranza - cosa del tutto legittima - che imprima un'accelerazione in un senso a mio giudizio non condivisibile, verso un indirizzo di politica costituzionale in materia di giustizia che si muova nel senso, secondo me non equivoco, di corporativizzare e di ridurre l'indipendenza dei magistrati - perché modificare i rapporti di equilibrio nel CSM va in questo senso; anche se in misura limitata, la direzione di marcia è questa - credo che questo produrrebbe uno scontro politico molto alto. Proprio perché sono in gioco principi, vorrei che questo fosse chiaro. È una considerazione del tutto oggettiva.

Ripeto: è legittimo che ciò accada. Questo delineerebbe una maggioranza costituzionale che si verrebbe caratterizzando su tali punti e, ovviamente, una minoranza che darebbe battaglia, nel Parlamento e nel rapporto con la pubblica opinione. Questo è chiaro: sono scelte politiche. Siamo tutte persone consapevoli delle scelte che facciamo. Sono scelte possibili. Sono scelte legittime, ma, naturalmente, mi si consenta di dire che è ugualmente legittimo esprimere un'opinione politica sulle conseguenze che tali scelte possono avere non soltanto su singoli aspetti, ma sul percorso complessivo di un disegno riformatore.

MARCELLO PERA. Signor presidente, continuo a non capire quali conseguenze.

PRESIDENTE. Politiche.

MARCELLO PERA. Se su una questione di principio come questa ci sono due posizioni legittime; se la Commissione

si divide, perché è una Commissione che sta discutendo un principio, che è condiviso da una parte e non condiviso dall'altra e, come lei ha verificato, sia quando è sia quando non è condiviso lo è trasversalmente; se, dunque, si divide, come presumibilmente è divisa l'opinione pubblica, quali conseguenze mai possono verificarsi?

È già accaduto che questa Commissione si sia divisa per pochi voti sul principio del presidenzialismo e in quella circostanza lei non fece allusioni a conseguenze devastanti.

PRESIDENTE. Come lei sa, sul presidenzialismo ci fu una divisione di principio e poi, con grande senso di responsabilità da parte delle forze che avevano prevalso, ci fu un impegno per ricostituire un terreno comune di intesa. Cioè si tenne conto del punto di vista degli altri nello svolgimento di quel principio.

In questo caso, invece, abbiamo avuto un lavoro assai paziente e valido, a mio giudizio, da parte del relatore per definire un compromesso, quindi non siamo al momento delle contrapposizioni. Quello era il momento iniziale, senatore Pera; ora siamo molto più avanti. Qui abbiamo un compromesso, abbiamo un testo il cui indirizzo fondamentale è di correzione in senso garantista della nostra Costituzione. Se questo compromesso, che è il punto di arrivo di un lungo lavoro adesso, a poche ore dalla conclusione, dovesse, non solo su questo punto ma più generalmente... (Commenti)

Ho ascoltato quattro ore di discussione, lasciatemi almeno finire. Se questo compromesso, dicevo, che come tale è interpretato, dovesse più generalmente essere messo in discussione, ciò determinerebbe una lacerazione politica. Questa conseguenze è nelle cose. Io ho semplicemente il dovere di renderla esplicita.

MARIO GRECO. Il testo di giugno prevedeva già quello che abbiamo votato oggi, perché in quel testo si parla già di due sezioni del CSM, e poiché non lo abbiamo votato allora lo facciamo adesso.

PRESIDENTE. Ma, come ha spiegato il relatore, il testo di giugno non prevedeva altre cose. Ad esempio, quel testo prevedeva una diversa formulazione dell'articolo 119, che, per me, era più apprezzabile. Eppure non ho rivendicato che si tornasse al testo dell'articolo 119 accettato a giugno, ma ho votato il testo di ottobre, aspettandomi che altri facessero la stessa cosa su altri punti, caro senatore Greco. Invece non è accaduto. È legittimo. Ne prendo atto. Considero sul piano politico che cosa questo significhi, dato che siamo in una sede politica. Per questo voterò contro l'articolo 122.

GIUSEPPE TATARELLA. Presidente, la ringrazio della chiarezza con cui ha esposto la sua tesi, però vorrei sdrammatizzare e ridurre il problema a quello che in effetti è: non esiste una maggioranza costituzionale. C'è la libertà di voto, la libertà di aggregazione del consenso su una tesi e ciò non è anticipazione di alcun patto politico.

La sua chiarezza è, nei fatti, nella doppia posizione che lei ha. Come presidente della Commissione bicamerale non aveva alcun titolo per fare questa dichiarazione; come segretario del PDS aveva tutti i titoli. Noi preferiamo considerare la sua dichiarazione come responsabile nazionale del partito democratico della sinistra.

FRANCO MARINI. Non so se ho capito bene il senso del suo intervento, ma l'interpretazione che ne do, è comunque la seguente. Vi sono stati altri momenti di tensione in cui è prevalsa una maggioranza su temi di complessità e di importanza paragonabili certamente a quello in esame. Subito dopo il voto si è dimostrata una grande attenzione e senso di responsabilità per gestire in maniera positiva anche i risultati di tale deliberazione in cui vi è stato chi ha prevalso e chi è rimasto in minoranza.

Devo dire che la Commissione ha dimostrato senso di responsabilità allora ed anche adesso, però sul metodo rivendico la libertà della Commissione stessa di esprimersi nelle condizioni e secondo il consenso che si forma volta per volta. Non vedo peraltro questi enormi pericoli di ingestibilità successivi al voto, pericoli che, per quanto ci riguarda, cercheremo di scongiurare.

ARMANDO COSSUTTA. Credo che le dichiarazioni del presidente abbiano un fondamento di verità e corrispondano esattamente alla situazione che si è determinata con il voto testé espresso e cioè attengono a valutazioni e conseguenze che hanno un effetto politico molto preciso. Quello che mi sfugge però è la sorpresa o l'amarezza del presidente al riguardo, perché votazioni di carattere politico che determinano conseguenze politiche molto forti si sono già verificate nel corso dei nostri lavori. Per quanto ci riguarda, sin dal primo momento, abbiamo voluto ribadire con forza come certe scelte non potevano non ripercuotersi politicamente sulla vita del Parlamento e del paese; mi riferisco in primo luogo alla votazione che si è effettuata sul tema del presidenzialismo.

Non abbiamo mai voluto tuttavia confondere la valutazione circa la gravità delle conseguenze politiche con il rapporto che la maggioranza che sostiene l'attuale governo del Presidente Prodi, un rapporto stretto, automatico, con gli esiti delle votazioni in Commissione. Un conto sono le votazioni in questa sede intorno alle questioni costituzionali, un conto sono viceversa le vicende riguardanti il rapporto della maggioranza con il Governo.

Credo sia stato sin dall'inizio un errore grave, anche da parte dei dirigenti del partito democratico della sinistra, non attribuire alle votazioni che si stavano per effettuare il giusto spessore politico e quindi di non valutarne le conseguenze politiche.

Quello che si è verificato con questo voto è un fatto politico. Vi è certamente il prevalere di una tendenza, che questa estate ho definito di destra e che faceva capo particolarmente al gruppo di alleanza nazionale, che da sempre nella storia della Repubblica ha rivendicato il presidenzialismo. Oggi vi è un nuovo sbocco, che definisco di destra, il quale va a vantaggio delle posizioni di un altro settore della destra che fa capo all'onorevole Berlusconi.

Questi sono fatti politici di fronte ai quali sarebbe bene che tutte le forze che compongono la maggioranza che sostiene il Governo Prodi riflettano politicamente. Non vi sono correlazioni o conseguenze automatiche, ma certamente conseguenze politiche che sottopongo, pacatamente ma seriamente, alla riflessione di tutti i componenti la maggioranza che sostiene il Governo.

LUCIANO GASPERINI. Il gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, cui ho l'onore di appartenere, voterà contro l'articolo 122 per ragioni di principio e non per una logica di parte o tanto meno per l'accettazione di transazione di compromesso.

Debbo rilevare, signor presidente, che il nostro voto si giustifica per una serie di ragioni, perché intravediamo nella unicità delle carriere un attentato alla stessa terzietà del giudice ed alla parità di condizioni tra accusa e difesa nel processo penale. Lo stesso concorso, i ruoli unificati, il medesimo tirocinio, la stessa progressione di anzianità, la possibilità di esercitare l'una o l'altra funzione da parte del pubblico ministero e dei giudici contraddice il monito della Corte europea dei diritti dell'uomo secondo la quale è necessaria una maggiore connotazione di indipendenza del pubblico ministero nell'ordinamento italiano.

Il processo accusatorio, la generale crisi della giustizia nel nostro paese, le deviazioni e le distorsioni avvenute nel recente passato, che spero non si ripetano più, nella funzione del pubblico ministero, costituiscono un tema importante. Constato tuttavia che il tema della separazione delle carriere non interessa buona parte dei commissari, ma interessa noi, signor presidente!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Noi la stiamo ascoltando.

LUCIANO GASPERINI. La ringrazio per la sua attenzione e per quella degli altri componenti la presidenza.

Debbo dire, signor presidente, che se non partiamo da una diversa funzione del metodo di scelta del pubblico ministero, che noi abbiamo proposto venga eletto, affinché egli non sia organo di parte, ma sia il rappresentante di quel popolo per il quale la sentenza come atto definitivo della giurisdizione viene pronunciata, non affrontiamo con coraggio il problema. Se ci limitiamo a dire che il Consiglio superiore della magistratura si compone di due sezioni non affrontiamo con coraggio e determinazione il tema caro a tutto il popolo italiano, sul quale le Camere penali italiane hanno già lanciato un grido di dolore.

Dobbiamo affrontare una volta per tutte con chiarezza, con linearità e con conseguenzialità il problema del ruolo e della funzione del pubblico ministero, perché, limitarsi a prevedere che il CSM si compone di due sezioni equivale a nulla, ad un buco nell'acqua.

Noi del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania avremmo voluto che il problema fosse stato affrontato alla radice, stabilendo come deve essere scelto il pubblico ministero e dicendo con coraggio se esso rappresenta un'istituzione o il popolo italiano. Deve essere esplicitato che le carriere devono essere separate, perché questo è un principio di civiltà, che è anche in linea con le raccomandazioni internazionali, non ultima quella da me richiamata della Corte europea dei diritti dell'uomo, con la quale si è dato un insegnamento superiore al legislatore italiano. Ci è stato infatti chiesto di fare in modo che il pubblico ministero sia indipendente da qualunque organo dello Stato, perché così si esalta la terzietà del giudice che deve giudicare e si assicura la parità delle parti nel processo italiano, altrimenti dovremo constatare che il pubblico ministero dipende in qualche modo dai partiti. Del resto sappiamo che vi è stato un pubblico ministero che non si è peritato di inviare un avviso di garanzia al Presidente del Consiglio dei ministri mentre presiedeva un convegno internazionale; peraltro, forse per mia personale ignoranza, non so quale esito abbia avuto quella comunicazione giudiziaria. Sappiamo altresì che un avviso di garanzia viene trasformato in un'accusa che poi non verrà più cancellata, perché non vi è un controllo sulla responsabilità del pubblico ministero, sul merito della sua attività, delle sue funzioni e delle sue scelte. Avremmo voluto affrontare con più coraggio questo tema, ma vedo purtroppo una generale disattenzione, tranne la cortese attenzione di cui ella, presidente, mi onora...

PRESIDENTE. Se ne discute da sei-sette ore, la tematica è stata sviscerata e la tensione si è consumata.

LUCIANO GASPERINI. Solo il nostro gruppo tiene fede ai suoi impegni di fronte agli elettori per un reale cambiamento di questa istituzione, per cui voteremo virga ferrea contro il nuovo testo dell'articolo 122.

PIER FERDINANDO CASINI. Non intervengo per motivare il nostro voto favorevole all'articolo 122, cosa che ha già fatto l'onorevole Loiero, ma per rispondere all'intervento politico che il presidente ha fatto in Commissione. Non ci sfugge la necessità di dare una valutazione rispetto alle affermazioni del presidente della bicamerale, di cui si possono dare due interpretazioni. La prima, un po' infastidita, vede nel suo intervento una forma indebita quasi di pressione nei confronti della Commissione bicamerale, e direi che l'onorevole Tatarella si è giustamente rivolto a lei come segretario del PDS. Io mi vorrei rivolgere a lei come presidente della Commissione bicamerale e dirle una cosa molto chiara, perché il suo discorso è stato tutt'altro che confuso.

C'è stato senso di responsabilità in tutta la Commissione, quando è passata la svolta presidenzialista, da parte di chi non ha preso le carte e le ha buttate all'aria perché passava un'ipotesi contraria all'impostazione tradizionale del centro-sinistra; c'è stato senso di responsabilità nel centro-destra perché, una volta passata la svolta presidenzialista, non si è spinto l'acceleratore oltre misura ma si è trovata una via di composizione politica seria. A nessuno di noi sfugge il fatto che dopo il passaggio della Commissione bicamerale c'è un passaggio ripetuto nelle aule parlamentari fino al passaggio definitivo attraverso il suffragio popolare; credo quindi che non mancherà quel senso di responsabilità che lei ci ha sollecitato ad avere come sono convinto che non mancherà in lei, che dovrà essere necessariamente il garante di un risultato finale di questa Commissione.

VALDO SPINI. Signor presidente, onorevoli colleghi, anche rispetto ad alcuni interventi pronunciati oggi, vorrei che rimanesse agli atti che non vi è assolutamente un rapporto automatico fra l'essere favorevole al semipresidenzialsmo e porsi sulla linea seguita dal Polo e dagli onorevoli Zecchino ed altri sulla questione della magistratura. Lo dico anche a nome del senatore Passigli, che su questo tema si astenne. Come è noto, ho votato a favore di un'elezione diretta del Presidente della Repubblica nell'ambito del semipresidenzialismo, ma non posso... (Commenti del senatore Zecchino). Così come non vi è rapporto fra il necessario equilibrio dei poteri all'interno del processo penale e questa distinzione in sezioni del Consiglio superiore della magistratura o la prevalenza al suo interno dell'elemento politico rispetto a quello togato. Siamo sensibili al problema dell'equilibrio dei poteri nel processo penale, ma questo non è direttamente connesso con le materie che si è voluto qui proporre probabilmente per farne un fatto politico.

Posso rispondere all'interruzione del senatore Zecchino che forse i popolari hanno cercato una rivincita rispetto a questo voto, ma non comprendo talune componenti del Polo che hanno anteposto il tema della giustizia alla capacità di mantenere l'unità in Commissione su un tema fondamentale come quello del semipresidenizalismo che per molti di loro era diventato una bandiera.

MAURIZIO PIERONI. Pur rispettando le motivazioni che hanno indotto il relatore a dichiarare la sua astensione, i verdi voteranno contro questo articolo. Le ragioni di merito le ha illustrate lei, presidente, e ci associamo ad esse.

Non mi sorprende la decisione dei colleghi della lega, perché sono sempre stato convinto che il loro ruolo in questa Commissione fosse quello di dimostrare che essa non è in grado di funzionare e forse anche oggi ci riusciranno. Ha sbagliato, in ogni caso, chi investe sui colleghi della lega pensando di usarli come sgabello per la sua politica, perché essi hanno una loro politica - che i verdi considerano pericolosa - non riducibile alla politica che le altre forze dovrebbero tenere in questa Commissione. Concludo, presidente, richiamando l'esempio del cane di Pavlov che ho citato prima, perché il campanello ha suonato ma la polpetta potrebbe non esserci.

FAUSTO MARCHETTI. Esprimo il mio voto contrario all'articolo 122.

MARIO GRECO. All'ultimo comma, laddove si parla dei «membri elettivi del consiglio» proporrei di usare l'espressione «ciascun membro elettivo» perché il Consiglio non si rinnova contestualmente, quindi dire che ciascun membro dura in carica quattro anni mi sembra più corretto da un punto di vista formale.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si è mantenuto il testo della Costituzione vigente, si può comunque verificare in sede di coordinamento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 122, come modificato.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso riferiti, non integralmente assorbiti, come da elenco in allegato.

Passiamo all'esame dell'articolo 123, il cui testo è già stato pubblicato nell'allegato della seduta precedente. Non ci sono variazioni rispetto al testo precedente, salvo la correzione dell'ultimo comma.

GIOVANNI PELLEGRINO. Voterò a favore dell'articolo 123 unicamente a seguito dell'esito che ha avuto la votazione dell'articolo 122; infatti, anche questo articolo contiene la proporzione due quinti-tre quinti che mi ha indotto a votare contro l'articolo 122.

PRESIDENTE. pongo in votazione l'articolo 123, nel testo del relatore.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso relativi, non integralmente assorbiti, come da elenco in allegato.

Passiamo all'esame dell'articolo 124, nel testo del relatore (già pubblicato nell'allegato della seduta precedente), in ordine al quale si pone un problema di coordinamento con l'articolo 122.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ritengo opportuno procedere ad una riformulazione tecnica di questo articolo, che potrei ripresentare nella seduta di oggi pomeriggio. Infatti, nell'articolo 124 vi è un riferimento indistinto, che aveva una sua logica, ai due Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa. Tuttavia, poiché occorre distinguere le sezioni e le diverse competenze delle stesse nonché delle sezioni riunite per il Consiglio superiore della magistratura ordinaria ed invece riferire tutte le competenze al Consiglio superiore della magistratura amministrativa, propongo di accantonare l'articolo 124, affinché io possa presentare un testo coordinato all'inizio della seduta pomeridiana.

ORTENSIO ZECCHINO. Questo articolo deve essere coordinato con l'articolo 125.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ricordo che in quell'ambito si dovrà decidere se le sezioni riunite eleggano i membri della Corte di giustizia della magistratura o se gli stessi componenti vengano eletti separatamente dalle rispettive sezioni. Concordo con l'esigenza di coordinamento, ma resta comunque aperto tale quesito.

ORTENSIO ZECCHINO. Invito il relatore a presentare due formulazioni, affinché nel momento della decisione la scelta risulti più facile.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono d'accordo.

ORTENSIO ZECCHINO. Ricordo che, nella logica che ispirava il mio emendamento, era previsto un modo diverso di formazione della Corte di giustizia, che doveva avvenire mediante elezione diretta.

MARIO GRECO. Mi permetto di segnalare al relatore la necessità di raccordare l'ultimo comma dell'articolo 125 («la legge disciplina l'attività della Corte e può prevederne l'articolazione in sezioni») con la previsione delle sezioni del Consiglio superiore della magistratura. Questo se si vuole rispettare lo stesso indirizzo politico.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questo non è un fatto automatico. Quando il presidente aprirà la discussione sull'articolo 125, lei ed altri colleghi potranno pronunciarsi su tale aspetto, ma non vi è un automatismo per quanto riguarda la separazione in sezioni...

MARIO GRECO. È una questione di opportunità.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. ...anche perché si parla di una Corte di giustizia che riguarda sia la magistratura ordinaria sia quella amministrativa; il riferimento all'articolazione in sezioni non era riferito tanto o necessariamente alle sezioni suddivise per segmenti del corpo giudiziario, ma poteva - si tratta comunque di una facoltà - essere collegato, per esempio, all'esigenza di prevedere una sezione per l'azione disciplinare e ad una per la tutela giurisdizionale in sede di ricorso contro i provvedimenti amministrativi.

Quello contenuto nell'articolo 125 non era un rinvio alla suddivisione delle sezioni tra giudici e pubblici ministeri, ma si intendeva demandare alla legge ordinaria l'individuazione del modo in cui organizzare eventualmente meglio la Corte di giustizia della magistratura.

Chiedo pertanto al presidente di accantonare l'articolo 124 e di aprire la discussione sull'articolo 125.

PRESIDENTE. L'articolo 124 può essere accantonato soltanto ai fini di una sua ristesura tecnica.

MARCELLO PERA. Condivido l'ipotesi di accantonare, in questo momento, l'articolo 124, ma vorrei segnalare che non si tratta soltanto di procedere ad una riformulazione tecnica di coordinamento, innanzitutto perché, come hanno già sottolineato il relatore ed il senatore Zecchino, la formulazione dell'articolo 124 dipende anche da una scelta che deve essere operata in sede di esame dell'articolo 125, concernente la Corte di giustizia della magistratura.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Per questo propongo di esaminare l'articolo 124 dopo che si sarà deliberato sull'articolo 125.

MARCELLO PERA. Su questo sono d'accordo. Intendo comunque sottolineare l'opportunità che il relatore predisponga due diverse formulazioni, rilevando nello stesso tempo che, con riferimento all'articolo 124, si pongono questioni non solo di coordinamento ma anche di merito, su cui in sede di Comitato non era stato raggiunto un accordo.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Suggerirei di non procedere alla discussione sull'articolo 124.

MARCELLO PERA. Il rinvio non è comunque legato soltanto a ragioni di carattere tecnico; restano infatti da affrontare questioni di merito, magari minori, che comunque esistono. Di questo si potrà parlare quando il relatore, nella seduta pomeridiana, ci sottoporrà possibilmente due formulazioni relative all'articolo 124.

PRESIDENTE. Non essendovi obiezioni, l'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 124 è pertanto accantonato.

Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 125, nel testo del relatore, già pubblicato nell'allegato della seduta precedente.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Nell'articolo 125, concernente la Corte di giustizia della magistratura, ho introdotto in modo esplicito la ricorribilità in Cassazione contro i provvedimenti disciplinari. Inoltre, la disciplina della Corte viene rinviata alla legge, considerato anche che, trattandosi di un organismo nuovo, dovrà essere in qualche modo istituito. Si prevede altresì la possibilità dell'articolazione in sezioni, che non è contemplata in modo rigido, ma può essere posta in relazione sia alle scelte effettuate nell'ambito dell'articolo 122 sia alla duplice competenza della Corte, in materia di provvedimenti disciplinari e quale sede di impugnazione dei provvedimenti ammnistrativi dei due CSM.

Ritengo che il testo dell'articolo 125 possa essere approvato così com'è.

TIZIANA PARENTI. Si pone un problema relativamente al terzo comma, perché è prevista un'elezione di secondo grado. Comprendo le osservazioni svolte sulla possibile o probabile accentuazione del corporativismo, ma occorre rilevare che non esistono metodi salvifici per evitare tale fenomeno, che esiste già e probabilmente continuerà ad esistere. Tuttavia, prevedendo un'elezione di secondo grado, si finisce probabilmente per accentuare lo stesso problema, in quanto si tratterà di una scelta compiuta a seconda dei soggetti e delle appartenenze, che potrebbe conferire all'organo in questione una connotazione corporativa più accentuata rispetto a quanto avverrebbe con un'elezione di primo grado.

Conseguentemente, tenendo anche conto del ruolo diverso attribuito alla Corte di giustizia della magistratura, sarebbe opportuno prevedere l'elezione diretta dei suoi componenti, affinché vi sia la possibilità di individuare quelle che la categoria e il Senato giudicano come le persone più dotate di equilibrio e capacità di giudizio.

Per quanto riguarda l'ultimo comma, ritengo che proprio in questo caso l'articolazione in sezioni rappresenti un aspetto negativo, perché un giudizio emesso in modo allargato da rappresentanti dei giudici e dei pubblici ministeri eviterebbe una chiusura rispetto al proprio ambito di categoria. Credo che proprio un giudizio emesso da nove componenti rappresenti la garanzia maggiore per evitare discriminazioni o forme di maggiore corporativismo. Chiedo quindi che sia soppresso l'ultimo comma dell'articolo 125.

ANTONIO SODA. Desidero chiedere un chiarimento in ordine alla norma secondo cui «contro i provvedimenti disciplinari è ammesso ricorso in Cassazione». Vorrei sapere se si tratti di un ricorso di mera legittimità o anche di merito. Qualora il ricorso fosse di sola legittimità, come si concilierebbe questa norma con il principio della garanzia del doppio grado di giurisdizione contenuto nell'articolo 131?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Quanto alla natura del ricorso in Cassazione, nulla s'innova rispetto alla realtà attuale: già oggi si può ricorrere per Cassazione contro i provvedimenti disciplinari ed io ho semplicemente costituzionalizzato questa possibilità in rapporto alle modifiche relative all'articolo 131.

Per quanto riguarda il doppio grado, a questo punto esso c'è perché il primo grado è quello della Corte di giustizia della magistratura, il secondo è costituito dalla Cassazione. Quindi, il testo è compatibile, è stato studiato apposta.

Valuteremo la norma da lei citata quando esamineremo l'articolo 131, ma vorrei far presente di averla introdotta per rispondere all'obiezione, se non erro, del collega Russo, il quale ha chiesto che comunque, anche rinviando alla legge la ricorribilità per Cassazione, non prevedendola perciò sempre e comunque, sia in ogni caso garantito un doppio grado di giurisdizione. Ciò è garantito perché, come ho già detto, il primo grado è quello della Corte di giustizia della magistratura, che è sede giurisdizionale in materia disciplinare, e l'altro grado è la Cassazione.

GIOVANNI PELLEGRINO. Quando in Comitato, anche sulla scorta di ciò che era emerso nelle audizioni (voglio ricordare in particolare quella del procuratore generale), abbiamo pensato a quest'organo, l'abbiamo fatto nella logica di irrigidire il controllo disciplinare sull'attività dei magistrati ordinari ed amministrativi; questo perché è giusto, nel difenderne l'autonomia, accentuarne la responsabilità.

Chiederei, pertanto, alla collega Parenti di riflettere a questo proposito: quale maggior garanzia di rigore può dare l'elezione diretta dei membri dell'organo disciplinare? Che tipo di campagna elettorale farebbero gli eligendi? Prometterebbero rigore o comprensione? Questo è il punto.

TIZIANA PARENTI. Sarebbe la stessa cosa perché l'elezione prima sarebbe già prevista in questo senso.

GIOVANNI PELLEGRINO. Mi sembra molto più filtrato.

TIZIANA PARENTI. Anzi, mi sembrerebbe una scelta mirata successivamente.

GIOVANNI PELLEGRINO. Mi sembra molto più filtrato. Aprire una campagna di elezione diretta sul tema del rigore disciplinare non mi sembra proprio opportuno: mi parrebbe andare contro ciò che vogliamo fare.

La scelta che si compie ha una sua logica complessiva: nessuno è maggioranza in quest'organo, non lo sono i giudici ordinari nella doppia distinzione tra giudici e pubblici ministeri, non lo sono i giudici amministrativi; ognuna delle componenti si trova in minoranza. In questa logica leggo la norma così com'è stata scritta non nel senso che il CSM elegge al suo interno i componenti della Corte di giustizia, perché non mi pare che questo vi sia scritto. Ciò significa che la scelta potrebbe anche ricadere su membri esterni al CSM (sarà la legge poi a precisarlo), però, tutto sommato, lascerei la norma nella sua attuale formulazione, cioè soltanto con le lievi correzioni che il relatore ha ritenuto di apportarvi.

NATALE D'AMICO. Riprendendo quanto detto in precedenza, mi pare che questa appaia come l'esaltazione del pericolo corporativo: il fatto che corpi relativamente ridotti, quali saranno questi componenti del Consiglio superiore della magistratura, eleggano coloro che dovranno giudicare avverso i ricorsi contro le loro decisioni mi pare difficilmente sostenibile. Peraltro, anche questo complicato equilibrio tra le componenti togate e non togate mi appare difficilmente comprensibile. Sancendo anche l'obbligo di attivare l'azione disciplinare, tutto sommato stiamo grandemente assimilando questo procedimento ad un vero e proprio procedimento giudiziario. Quindi, riproporrei quanto avevo proposto in alcuni emendamenti, cioè l'estrazione a sorte dei giudici componenti la Corte di giustizia. Questi giudici debbono essere tali e quindi vanno estratti tra i magistrati (mi sembra ragionevole che vengano estratti tra coloro che abbiano una certa anzianità di servizio), debbono durare in carica per un numero limitato di anni; penso che possiamo riprendere il modello che abbiamo adottato nella sostanza per giudicare i ministri della Repubblica. Quindi, chiedo che venga messo in votazione uno degli emendamenti pubblicati nell'apposito fascicolo: mi riferisco all'emendamento C.125.5 a firma D'Amico, all'emendamento C.125.55 Manca ed altri ed al C.125.41 a firma Li Calzi ed altri.

MARCELLO PERA. Proprio in quello spirito di accordo o di compromesso cui lei, presidente, faceva riferimento nel suo intervento sull'articolo 122 ed al quale si è appellato molto calorosamente il collega Boato, vorrei far osservare che sull'articolo 125, quello che disciplina le funzioni della Corte di giustizia della magistratura, durante la scorsa notte vi è stata una retrocessione rispetto ad un accordo questo sì diffuso nel Comitato ristretto sulla modalità di elezione dei membri della Corte di giustizia della magistratura. Ho davanti a me il testo consegnatoci dal relatore in data 24 ottobre, un testo che è durato due giorni; sul punto specifico dell'elezione diretta dei membri della Corte di giustizia della magistratura, elezione diretta per la parte togata da parte dei magistrati e per quella laica da parte del Senato, un accordo si era trovato. Ora, nell'ultimo fascicolo del testo del relatore, che porta la data del 28 ottobre, trovo un cambiamento rispetto al quale sono impreparato, perché è una retrocessione. Del resto, un cambiamento vi è stato anche sull'articolo 124, che abbiamo poc'anzi accantonato. Allora, mi trovo nella necessità di ripresentare un emendamento sul quale però un accordo si era trovato.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Posso chiederle la cortesia, senatore Pera, di dirmi su quale punto a suo avviso siamo tornati indietro?

MARCELLO PERA. Sull'elezione diretta dei membri della Corte di giustizia della magistratura.

PRESIDENTE. Il relatore ha proposto le due versioni alternative.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In realtà, come mia proposta principale, non ho mai proposto l'elezione diretta, ho sempre offerto con foglio volante, che potete trovare all'ultima pagina del fascicolo, l'altra ipotesi, che ho sottoposto all'attenzione della Commissione, ma in nessun momento quest'ultima o il Comitato si sono pronunciati e quindi io ho sempre mantenuto come mia proposta quella che trovate all'articolo 125; però, nello stesso tempo, ho sempre fornito, ed anche oggi l'ho fatto, anche l'ipotesi alternativa: sarà sovrana la Commissione a decidere come riterrà più opportuno.

MARCELLO PERA. Certo, la Commissione è sovrana; io ribadisco la convergenza che c'era nel Comitato ristretto circa l'elezione diretta...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questo non risulta al relatore che verbalizza tutto con assoluta precisione. Vi sono posizioni a favore e posizioni contrarie: nei casi in cui non vi sia un orientamento assolutamente prevalente, il relatore non lo assume, ma lo segnala alla Commissione, come doverosamente ho fatto.

MARCELLO PERA. Questo vale anche per l'articolo 124? Anche su questo abbiamo due testi divergenti o c'è un accordo trovato in seno al Comitato ristretto? Lo chiedo perché altrimenti rimettiamo in discussione tutto: lo possiamo fare, ma ciò avrebbe conseguenze poco gradevoli.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho riprodotto per l'aula l'identico testo dell'articolo 124 che ho presentato al Comitato ristretto.

MARCELLO PERA. Quindi concludo, rispetto all'articolo 125, che siamo in presenza di due opzioni.

PRESIDENTE. Tre per la verità, perché con un suo emendamento l'onorevole D'Amico ha proposto il sorteggio. Poi voteremo.

GIOVANNI RUSSO. Confermo anch'io, signor presidente, che in verità non vi è stato alcun accordo sul testo alternativo che il relatore si è fatto carico di redigere perché erano state formulate proposte in quel senso. Confermo che la nostra posizione è invece favorevole, per le ragioni che ha espresso molto bene il collega Pellegrino e che non ripeto, al testo che prevede l'elezione da parte dei Consigli superiori. Osservo soltanto che è molto diversa l'elezione e la correlativa campagna elettorale per quanto riguarda il Consiglio superiore della magistratura rispetto a ciò che sarebbe un elezione mirata esclusivamente alla formazione di un organismo disciplinare, perché le competenze del Consiglio superiore della magistratura vanno ben al di là dell'aspetto disciplinare. Quindi, confermo la nostra posizione.

Aggiungo una sola osservazione tecnica riguardo all'ultimo periodo del primo comma. Credo che la questione sollevata dal collega Soda sia pertinente, perché è vero che già oggi, come osservava il relatore, il ricorso in cassazione è limitato ai casi di violazione di legge, ma questo avviene perché si tratta di un ricorso proposto ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione. Se noi invece prevediamo espressamente la possibilità di ricorso, effettivamente può essere dubbio o equivoco se si tratti di un ricorso di pieno riesame o limitato alla violazione di legge. Credo quindi che andrebbe precisato che è ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge. Resterebbe, in questo caso, l'attuale situazione.

PRESIDENTE. Passiamo alle votazioni.

MARCELLO PERA. Cosa votiamo?

PRESIDENTE. Ci sarà più di una votazione. Vedo che vi è allarme ogni volta che si deve votare. La votazione è un momento normale della vita democratica (Commenti). Perché questo è stato messo in dubbio... L'onorevole Cossutta ha un'opinione diversa dalla sua, anche dalla mia in questo caso.

Si propongono tre diverse modalità di selezione dei membri di questa Corte di giustizia: vi sono la proposta di elezione diretta; la proposta di sorteggio in una rosa di magistrati che abbiano certi requisiti di anzianità; la proposta di elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Su questo punto voglio precisare al collega Pellegrino che non c'è ambivalenza sul fatto se siano interni o esterni ai consigli; infatti dal momento che il penultimo comma prevede, esplicitamente, che i componenti della Corte non partecipano alle attività dei rispettivi consigli di provenienza, è assolutamente chiaro che sono membri dei due Consigli.

PRESIDENTE. Proporrei di partire dall'emendamento più lontano rispetto al testo, cioè quello che prevede l'ipotesi del sorteggio; l'altro emendamento propone infatti un principio elettivo, mentre vi è poi quello che propone l'elezione...

MARCELLO PERA. Devo dire, a proposito dell'emendamento D'Amico, che ho capito il principio dell'elezione ma non mi sono chiari la base sorteggiabile ed i requisiti del sorteggio.

NATALE D'AMICO. È il mio emendamento C.125.5.

PRESIDENTE. L'emendamento D'Ami-co C.125.5 prevede che la Corte sia formata di 9 membri, di cui 3 sorteggiati fra i magistrati amministrativi con almeno 15 anni di esercizio delle funzioni...

NATALE D'AMICO. E 6 tra i magistrati ordinari. Però manca la parola «ordi-nari».

PRESIDENTE. Sono quindi sorteggiati fra i magistrati che abbiano certi requisiti di anzianità. Il principio alternativo è chiaro: è il sorteggio tra magistrati che abbiano certi requisiti di anzianità. Per la verità, lo avevo già illustrato.

MARCELLO PERA. Intervengo per dichiarazione di voto, signor presidente. Noi siamo contrari a questo emendamento non perché siamo contrari al sorteggio ma perché con l'emendamento D'Amico i membri della Corte risultano essere tutti e solo magistrati. Sono contrario perché ritengo che sia opportuna in questa Corte una presenza laica, da stabilire nella sua quantità, eletta, designata dal Parlamento.

GIULIO MACERATINI. Il principio del sorteggio è uno dei più giusti una volta che i magistrati siano stati ritenuti tutti meritevoli delle più alte funzioni. Però è eccessivo inserirlo in questo modo. Ecco perché sarebbe opportuno ed auspicabile un momento di riflessione del Comitato, che ho cercato di suggerire, senza molta fortuna, fuori dall'ufficialità della riunione della Commissione in seduta plenaria. Si potrebbero trovare soluzioni mediane ma dignitose. Il sorteggio si fa per i professori d'università, si fa per un livello di qualità molto alta che è tipica del magistrato, quindi non offende nessuno. In questo modo è però esaustivo del collegio che si va a nominare, in quanto manca la presenza, peraltro richiesta dagli stessi magistrati, dei componenti il Parlamento.

Ritengono, quindi, che una soluzione saggia possa venire da un colloquio che, ovviamente, non si può fare qui. È dunque un appello, il mio, che rivolgo al relatore.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Come lei sa, è una richiesta che deve fare al presidente non al relatore.

PRESIDENTE. Non siamo nelle condizioni di riconvocare adesso questo Comitato che tanto ha dato. Se poi matureranno posizioni nuove siamo in tempo a proporle per l'aula. Ora è evidente che non possiamo che votare emendamenti presentati o dal relatore a da colleghi parlamentari. L'ipotesi del sorteggio è prospettata in questa forma dall'onorevole D'Amico, per cui è così che la poniamo in votazione. Non so se vi siano colleghi che propongano di votare per divisione; non so se qualcuno ritenga che si debba selezionare per sorteggio la componente togata e procedere con un altro criterio per la componente laica. È l'onorevole D'Amico che dovrebbe eventualmente formalizzare una proposta.

NATALE D'AMICO. La mia prima opzione è quella del sorteggio tra i giudici per tutti. Se esiste un'opzione di sorteggio limitato ai magistrati vorrei poi capire in che modo vengano selezionati i laici. Fra i cittadini che hanno più di 40 anni? Il metodo del sorteggio a me va bene così come proposto. Può andar bene anche limitato ai magistrati, ma vorrei capire come vengano selezionati gli altri.

MARCELLO PERA. Un criterio potrebbe essere quello per cui la componente togata è sorteggiata con i criteri già stabiliti nella proposta Boato, mentre la componente laica è eletta dal Senato delle garanzie. Non so se il collega D'Amico intenda accettare questa...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non so se posso suggerire ai colleghi, capendo le difficoltà che avrei anch'io al loro posto, di non inventarci le norme all'impronta, seduta stante.

Come le ho detto, collega Pera, nell'ultimo Comitato ristretto ho prospettato il testo qui presentato e anche l'ipotesi alternativa. Ho anche detto che da qualche collega, come risulta dagli emendamenti che ho studiato a fondo, è altresì prospettata l'ipotesi del sorteggio; in tutto il Comitato ristretto, non vi è nessuno che abbia ripreso questo mio riferimento agli emendamenti presentati. Suggerirei che in materie così complesse e delicate non improvvisassimo norme all'impronta: non perché non ne sia capace un illustre collega, ma perché non ne è capace nessuno di noi. La mia proposta, allora, è di votare sul principio del sorteggio, qualora il presidente lo ritenesse ed il presentatore, collega D'Amico, insistesse per la votazione: ma se il principio passasse dovremmo esaminare in altra sede tutta la materia. Comprendete bene, però, che si tratta di un tema di enorme complessità.

Altrimenti forse sarebbe più saggio per tutti se il collega D'Amico ritirasse la sua proposta e la ripresentasse in Assemblea: così tutti potremmo rimeditare la questione. La proposta non è inaccettabile in linea di principio, ma se volessimo accoglierla dovrebbe essere definita in termini costituzionalmente corretti e adeguati rispetto ai testi che stiamo approvando.

Ora il problema nel dibattito è stato marcato; l'avevo anche segnalato in sede di Comitato ristretto. La mia proposta è di riflettere in vista dell'esame in Assemblea. In questo senso chiedo a D'Amico di non insistere per la votazione. Altrimenti sarà necessario votare il principio. Qualora quest'ultimo fosse respinto, occorrerà votare uno dei due testi alternativi (elezione diretta oppure elezione da parte dei consigli).

PRESIDENTE. Concordo su questa proposta procedurale. La questione è interessante e meriterebbe di essere approfondita. Personalmente ritengo che vi dovrebbe essere omogeneità di criteri: bisognerebbe forse pensare ad una rosa di nomi definita sulla base di certi criteri dal Senato; nell'ambito di questa rosa avverrebbe il sorteggio. Infatti l'idea che un organismo sia composto in parte per sorteggio ed in parte per nomina potrebbe a mio avviso determinare una disparità di condizioni: quasi che la componente politica fosse misurata e valutata mentre la restante parte fosse aggiunta abbastanza casualmente. Forse, poi, l'indicazione del sorteggio fra i magistrati con determinati requisiti dovrebbe essere ulteriormente delimitata a chi abbia esperienze di giudizio in determinati gradi. Insomma: la questione merita certamente di essere approfondita, ma noi non siamo più nelle condizioni di farlo.

A questo punto, chi ritiene potrà - in sede di votazione - pronunciarsi a favore del testo D'Amico, sapendo che contiene queste imperfezioni, affinché sia affermato un principio; ci riserveremmo poi di affinarlo in vista dell'esame in Assemblea. Se la proposta fosse respinta, la Commissione sarebbe allora chiamata a scegliere tra le restanti due opzioni, che sono più definite.

NATALE D'AMICO. Signor presidente, confermo la mia posizione favorevole al sorteggio, ma rinuncio a chiedere la votazione dell'emendamento, riservandomi di ripresentarlo in Assemblea.

Per quanto riguarda, poi, la nomina della Corte di giustizia, dichiaro il mio voto favorevole alla elezione diretta.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Pongo in votazione la proposta - contenuta nella formulazione alternativa dell'articolo 125 proposta dal relatore - di elezione diretta dei componenti della Corte di giustizia della magistratura.

 

(È respinta).

 

Pongo in votazione la proposta - contenuta nel testo dell'articolo 125 proposto in via principale dal relatore - di elezione dei suddetti componenti nell'ambito dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa.

 

(È approvata).

 

Occorre ora passare alla votazione sull'ipotesi di articolazione della Corte di giustizia in sezioni. Mi pare che l'onorevole Parenti si fosse pronunciata contro questa facoltà.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Segnalo anche la proposta di aggiungere al comma 1 dell'articolo 125, come ultimo periodo, dopo le parole: «Contro i provvedimenti disciplinari è ammesso ricorso in Cassazione» le seguenti «per violazione di legge». Ho accolto questa proposta, che ora risulta inclusa nel testo dell'articolo 125 che propongo alla Commissione. Forse potrebbe anche non essere sottoposta alla votazione, perché secondo me era implicita. Non so se qualcuno chiede che sia esplicitamente posta in votazione.

PRESIDENTE. Preciso anche che l'articolazione in sezioni non è concepita nel senso di sezioni specializzate, ma è prevista semplicemente allo scopo di organizzare meglio il lavoro della Corte o anche per ovviare ad eventuali casi di ricusazione ed incompatibilità.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il problema era stato posto in sede di Comitato ristretto. La Corte di giustizia non è concepita come un collegio perfetto: il rinvio ad una possibile articolazione in sezioni sarebbe la testimonianza - contenuta nel testo costituzionale - che non si tratta di un collegio perfetto; non deve necessariamente operare con la presenza di nove membri, perché ciò significherebbe che l'assenza di un solo componente impedirebbe alla Corte di giudicare. Forse per questo è opportuno mantenere il rinvio previsto dall'ultimo comma: rende esplicito l'aspetto che ho richiamato.

PRESIDENTE. Chiedo se si insista sulla votazione di questo punto.

GIULIO MACERATINI. Insisto, presidente, perché sono contrario all'articolazione in sezioni.

PRESIDENTE. Allora passiamo ai voti.

Pongo in votazione la proposta soppressiva delle parole «e può prevederne l'articolazione in sezioni» contenute nell'ultimo comma dell'articolo 125, nel testo del relatore.

 

(È respinta).

Pongo in votazione l'articolo 125, come riformulato dal relatore.

 

(È approvato).

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso riferiti.

Passiamo all'esame dell'articolo 125-bis, già pubblicato nell'allegato della seduta precedente, con cui si prevede l'istituzione della figura del procuratore generale per l'azione disciplinare, eletto dal Senato della Repubblica.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È all'attenzione dei colleghi il nuovo testo scaturito dal dibattito in sede di Comitato ristretto. Questa formulazione prevede anche il rinvio alla legge per la disciplina dell'organizzazione dell'ufficio anche ai fini dell'attività ispettiva propedeutica all'azione disciplinare, nonché l'obbligo per il procuratore generale di riferire alle Camere. Sottolineo che sul testo - così ordinato - non ho più raccolto alcuna osservazione. Quindi, se neanche in questa sede fossero formulate eccezioni, chiederei al presidente di procedere direttamente alla votazione.

MARIO GRECO. Il relatore ha quasi avanzato un implicito invito a non fare osservazioni. Personalmente mi sorge qualche perplessità su una figura che - nella sua più totale indipendenza (il procuratore generale viene così definito nel testo del relatore) - potrebbe rivelarsi nella pratica una «mostruosità» forse ancora più pericolosa rispetto alla constatazione di una ben nota inerzia da parte di chi attualmente (mi riferisco al ministro di giustizia) ha la titolarità dell'azione disciplinare e del potere ispettivo.

Allora mi permetto di avanzare un suggerimento: per evitare i sospetti di una giurisdizione domestica o «addomesticata» di cui ha parlato anche l'onorevole Folena durante il dibattito sulla separazione delle carriere, si potrebbe escludere che il procuratore generale - eletto, sì, tra i soggetti che hanno i requisiti per accedere alla nomina a giudice della Corte costituzionale - sia scelto tra i laici, cioè tra coloro che non ricoprano incarichi giurisdizionali ossia che provengano dalle stesse magistrature.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Devo brevissimamente rispondere a queste obiezioni.

Sono contrario a cambiare il testo perché si è consolidato in modo unanime nel lavoro istruttorio; ad ogni modo, la giurisdizione non è esercitata dal procuratore generale: essa è compito della Corte di giustizia della magistratura. Mi stupisce che lei parli di giurisdizione del procuratore generale dopo tutto il dibattito che abbiamo svolto sul ruolo giurisdizionale dei tribunali o delle corti e quello giudiziario ma non giurisdizionale...

MARIO GRECO. Poiché è quasi un'accusa di confusione mentale, vorrei dirle che non è così: l'azione disciplinare che viene effettuata prima di portare a giudizio, se un procuratore generale è sospetto di giurisdizione domestica...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ma anche l'azione penale viene prima del rinvio a giudizio e non è attività giurisdizionale, come qualche suo collega mi ha insegnato insistentemente per molti mesi!

MARIO GRECO. Infatti non bisogna confondere; ma la contiguità tra sostituti procuratori e giudici ci ha fatto sospettare che anche la giurisdizione venga amministrata dai pubblici ministeri.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non dobbiamo dare risposte emotive o emergenziali a problemi reali; questa risposta è invece di una limpidezza assoluta. Un articolo parla della Corte di giustizia della magistratura ed un distinto articolo tratta dell'obbligatorietà dell'azione disciplinare.

Voglio però calare il tono di voce e rispondere brevemente in modo dialogico. C'è una novità assoluta in Costituzione: l'azione disciplinare diventa obbligatoria. Vorrei anzi dire incidentalmente che, poiché un autorevole magistrato ha detto due giorni fa al Corriere della Sera che non gli piace il superprocuratore e che invece la Bicamerale dovrebbe approvare l'azione disciplinare obbligatoria, rispondo tramite la Bicamerale che non c'è nessun superprocuratore e che l'azione disciplinare è obbligatoria.

In secondo luogo, in casi di inerzia - che possono esistere: lei ha posto un problema reale - anche di fronte all'azione disciplinare obbligatoria, a differenza di oggi (quando tale azione è di titolarità per facoltà e non per obbligo del ministro, mentre nell'ordinamento è titolare anche il procuratore generale della Cassazione), noi prevediamo un obbligo costituzionale, la titolarità del procuratore generale, la facoltà di impulso all'azione disciplinare (laddove non venga esercitata), l'esercizio d'ufficio per il ministro della giustizia, per il procuratore generale della Cassazione, per il Consiglio superiore della magistratura ordinaria, per il Consiglio superiore della magistratura amministrativa. Per di più, questo procuratore - come è giusto che sia - riferisce alle Camere sull'esercizio dell'azione disciplinare.

Credo che una norma più blindata di questa dal punto di vista delle garanzie d'indipendenza e dell'assenza di inerzia e di responsabilità difficilmente avremmo potuto costruirla insieme: infatti, l'abbiamo costruita.

GIULIO MACERATINI. Vorrei chiedere un chiarimento al relatore. Come mai si prevede che il procuratore generale riferisca alle Camere senza prevedere anche una scansione temporale? Potrebbe non farlo mai.

MARCO BOATO, Relatore per il sistema delle garanzie. Ovviamente, se c'è un obbligo costituzionale di riferire alle Camere, queste ultime hanno tutte le possibilità di attivarsi per raggiungere questo scopo. Non abbiamo previsto una scansione temporale neanche per l'autorità di garanzia; per analogia, non l'abbiamo fatto per il procuratore generale, perché la scansione potrebbe essere più che annuale. Potrebbe avvenire che la Commissione giustizia chieda un'audizione al procuratore generale per conoscere la sua attività in un certo periodo di tempo. Immagino che sia ipotizzabile una relazione annuale, come succede in questi casi, analogamente a quella del ministro sullo stato della giustizia; non voglio però escludere (se si usa la formula «annualmente» si sottintende la presentazione di una relazione alle Camere) che le Camere possano chiedere un'audizione al procuratore generale in una situazione di incertezza conoscitiva. È però il procuratore generale l'unico titolare dell'azione disciplinare; non vorrei si tornasse all'ipotesi della preferenza per il ministro, che ha solo la facoltà di esercitarla. Quando lo fa, si dice che la esercita per motivi politici, quando non lo fa è la stessa cosa.

A me pare che questa soluzione sia garantista per tutti, anche per il ministro.

LUCIANO GASPERINI. Non si potrebbe inserire un inciso come «anche su richiesta delle Camere»?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Una richiesta delle Camere per l'azione disciplinare non è prefigurabile.

LUCIANO GASPERINI. Mi riferisco alla possibilità di riferire alle Camere.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono d'accordo con la sostanza di quello che lei dice; ma una volta che abbiamo previsto in Costituzione che il procuratore generale riferisce alle Camere, queste ultime hanno il potere per indurlo a riferire, senza che egli possa sottrarsi. La sua istanza è condivisibile ma non è necessario prevederla in Costituzione, nella quale è inserito solo il principio; per il resto, provvederanno i regolamenti delle Camere.

LUCIANO GASPERINI. Ci dispiace dirlo, ma dichiariamo il nostro voto favorevole su questo principio.

NATALE D'AMICO. Benché il testo sia consolidato ed ampiamente condiviso, vorrei annunciare il mio voto contrario. A me pare che esso vada nella direzione sbagliata: il problema è quello di rafforzare il ministro della giustizia ed il circuito della responsabilità politica, anche in relazione al funzionamento della giustizia e naturalmente salvaguardando l'indipendenza della magistratura. Mi pare però che in questo modo non ci si sottragga al circuito politico ma alla responsabilità politica: esprimerò quindi voto contrario.

TIZIANA PARENTI. Anch'io mi trovo obiettivamente molto a disagio di fronte a questo istituto del procuratore generale. La nostra Costituzione parla di un solo ministro, quello di grazia e giustizia: questo non è un caso. Nei lavori della Costituente si pose proprio il principio della responsabilità del ministro di grazia e giustizia; il fatto poi che essa non venga esercitata e che non sia stata mai adeguata rappresenta una stortura del nostro sistema, che rifugge dalle responsabilità politiche.

Le mie perplessità sono ancora maggiori per quanto riguarda il procuratore generale, che diventa un'autorità indipendente e che consacra come autorità indipendente la magistratura. Credo che questa non sia l'ottica nella quale ci siamo indirizzati; bisogna invece riportare tutti i poteri dello Stato nel circuito della responsabilità reciproca ed evitare che qualcuno (la magistratura o altri) possa uscire dal circuito della responsabilità democratica.

La norma prevede che il procuratore generale debba essere eletto a maggioranza dei tre quinti dei componenti del Senato. Pensiamo forse che questa sia una garanzia? Si tratta di un quorum talmente elevato da rischiare di bloccare la relativa elezione; in secondo luogo, per piacere a tre quinti dei componenti del Senato, deve essere qualcuno che probabilmente eserciterà l'azione con molta cautela oppure una persona integrata nel sistema della corporazione. Purtroppo gli effetti del corporativismo talvolta sono tali da non far vedere i futuri interessi; non sono quindi d'accordo con le critiche fatte alla magistratura ma per il motivo contrario, nel senso che c'è veramente il rischio - collegato alla maggioranza tanto elevata prevista per l'elezione del procuratore generale - di impedire l'istituzione dello stesso oppure di configurare definitivamente la magistratura in un certo modo, mediante l'individuazione di un soggetto che, per essere stato eletto, deve essere qualcuno che si integra organicamente nel sistema.

Noi non ci fidiamo di noi stessi, del sistema maggioritario, della magistratura; questi sono però sentimenti personali che non hanno niente a che fare con la Costituzione. Dovremmo porre dei principi di responsabilità e curare che quest'ultima - la quale rappresenta un obbligo e un diritto - venga effettivamente portata alle naturali conseguenze. Certamente ciò non avviene con persone che sono fuori da un sistema e che noi riteniamo essere indipendenti (parola che soprattutto in questo paese e forse in ciascuno suscita sempre forti perplessità). Consideriamo anche che questo soggetto può essere un magistrato, per cui si radicherebbe ancora di più questa situazione di spostamento della magistratura al di fuori del sistema; potrebbe essere un avvocato; potrebbe essere un professore universitario, che vive nella teoria e non nella pratica. Si rischia di fare cose sbagliate e comunque di allontanare sempre di più un progetto che doveva prevedere un circuito e non un corto circuito, quale quello che invece si rischia di innescaremediante la previsione costituzionale di un «allontanamento» della magistratura.

Non sono pregiudizialmente contraria, ma obiettivamente a chi risponde questo procuratore generale? Se non esercita o esercita male, che tipo di responsabilità ha? Il ministro, invece del procuratore generale, viene alle Camere e ci racconta quello che il procuratore stesso ha fatto? E noi che cosa gli diciamo? Qual è la sanzione, che cosa avviene? Non avviene nulla, perché una volta che questa persona è stata eletta, che cosa facciamo? Revochiamo l'elezione? Non è possibile, non esiste un meccanismo per fare una cosa del genere; ci sarà una censura, ma il procuratore generale alla fine non avrà alcun interesse a mettersi contro una categoria così forte anziché prendersi una censura o una sanzione. In pratica, è una persona che riferisce a se stessa e fuori dalla responsabilità.

Sarebbe stato preferibile adottare il sistema di responsabilizzare ancor di più il ministro. Mi rendo conto che sarà sempre il ministro di una maggioranza, ma mi auguro che non si continui ad intendere il sistema maggioritario secondo quella visione un po' totalizzante che attualmente ancora conserviamo. Avremmo potuto lasciare che ci fossero altre possibilità di questo tipo di responsabilità, così come suggeriva il mio emendamento; pensiamo ad un decentramento nei consigli giudiziari, ad altre possibilità di esercizio dell'azione disciplinare, senza chiudere rigidamente in una figura indipendente da ogni potere, quindi assolutamente priva di ogni responsabilità. Se avessimo fatto questo, avremmo attribuito una maggiore responsabilità al ministro, che comunque ha una responsabilità politica, ha una maggiore relazione con il Parlamento, con le conseguenze che ci possono essere sul piano politico oltre che su quello personale, lasciando la possibilità di una pluralità di esercizio dell'azione disciplinare, che al momento non è il caso di costituzionalizzare, ma che non possiamo escludere possa esserci e possa essere più adeguata.

Tuttavia non sono totalmente convinta che questa opinione sia giusta o sbagliata; trovo la formulazione abbastanza pericolosa per gli effetti che può produrre. Mi asterrò, ho bisogno di riflettere meglio, di capire quali possano essere le conseguenze, ma credo che comunque un'adeguata riflessione almeno quando andremo in aula, senza pregiudiziali di nessun tipo, sarebbe necessaria; il Comitato sicuramente ha avuto il massimo delle buone intenzioni, nessuno vuole criticarlo, ma probabilmente la valutazione da parte di un numero maggiore di persone può portare a riflessioni diverse. Questo diventerà indubbiamente uno degli argomenti più seri nell'ambito dell'intero sistema che andiamo costruendo, per cui mi auguro - da qui il mio voto di astensione - che su di esso rifletteremo con maggiore attenzione per tutti i possibili effetti che ne possono derivare.

PRESIDENTE. C'è un vasto dibattito su questo tema, di tipo ostruzionistico.

MARCELLO PERA. Una delle lamentele più diffuse in ordine all'azione disciplinare dei magistrati è che questa azione o non viene svolta oppure viene svolta in maniera politicizzata, a seconda del colore politico del ministro cui faceva attualmente capo questo potere. L'articolo attualmente in discussione è stato molto discusso, molto approfondito durante tanti mesi; forse senza tema di essere smentito, è l'articolo che più ha trovato consensi dopo questa lunga discussione nel Comitato ristretto. Si è ritenuto che una figura indipendente la quale esercitasse obbligatoriamente l'azione disciplinare garantisse meglio i cittadini dagli eventuali abusi disciplinari dei magistrati che non la situazione attuale.

È vero quanto richiamato dai colleghi del mio gruppo, che questa figura è eletta con una maggioranza politica sia pure ampia e poi non ha responsabilità rispetto alla fonte della sua elezione. Per assicurarle quella responsabilità avremmo dovuto aggiungere che il Senato elegge e poi revoca, ma in tal modo ci saremmo ritrovati nella situazione dell'attuale ministro.

Confermo - ho partecipato come tutti alla lunga discussione su questo articolo - il nostro voto favorevole, pur rendendomi conto delle preoccupazioni sollevate dai colleghi Greco e Parenti.

Solo a titolo di attenzione da parte del relatore vorrei richiamare un punto che riguarda... Non so se posso richiamare l'attenzione del relatore, presidente...

PRESIDENTE. Il relatore è andato a fumare una sigaretta, ma io riferirò puntualmente!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sto ascoltando!

MARCELLO PERA. Sta ascoltando, per cui posso proseguire. I requisiti di questo procuratore sono quelli previsti per l'elezione di membro della Corte costituzionale. Quando si parla del regime dell'incompatibilità si dice che il suo ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica; non è aggiunto nemmeno «professione», sicché alla lettera, magari cavillando un po', potrebbe anche svolgere la professione di avvocato. Mi chiedo se non sia il caso di aggiungere «e professione», oppure ripetere alla lettera il regime di incompatibilità per i membri della Corte costituzionale, sui quali questa figura è modellata. È un'osservazione di carattere tecnico, con cui concludo il mio intervento.

PRESIDENTE. Credo che l'osservazione possa essere accolta introducendo il riferimento ai requisiti e al regime di incompatibilità che vige per i membri della Corte.

ORTENSIO ZECCHINO. Anch'io volevo far riferimento al regime di incompatibilità dei membri della Corte costituzionale; d'altra parte, in alcuni emendamenti viene proposta questa più ampia previsione di incompatibilità che è funzionale all'alta carica di garanzia.

PIETRO FOLENA. Annuncio il voto favorevole della sinistra democratica perché questa norma completa un procedimento disciplinare molto forte ed ha un suo senso politico frutto di un lavoro significativo cui noi non veniamo meno.

FAUSTO MARCHETTI. Anch'io volevo formulare la proposta già avanzata dal collega Pera, alla quale si è ora associato il collega Zecchino, in ordine ai requisiti del procuratore generale richiamando, appunto, le incompatibilità cui faceva riferimento il collega Pera.

Vorrei sollevare la questione riguardante il riferimento alle Camere: credo che occorrerebbe prevedere che il procuratore generale riferisca annualmente. È vero che è stato escluso per le autorità indipendenti ma ritengo che questo sia un caso ben diverso. In quella circostanza il motivo dell'esclusione fu che si trattava di figure accomunate da alcune caratteristiche delineate vagamente in Costituzione ma assai diverse tra di loro, per cui per alcune potrebbe essere improprio prevedere un riferimento annuale. In questo caso abbiamo una figura, il procuratore generale, rispetto alla quale l'inserimento della parola «annualmente» dopo «riferisce» mi sembrerebbe opportuno. La ragione illustrata dal relatore per cui le Camere poi, anche senza prevederlo in Costituzione, possono comunque chiamare il procuratore per riferire mi sembra non idonea quanto meno per escludere l'opportunità di inserire «annualmente».

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Poiché anche il senatore Maceratini ha avanzato la stessa richiesta, venendo incontro alle due sollecitazioni propongo di aggiungere, dopo la parola «riferisce», l'avverbio «annualmente». Inoltre, come ha già detto il presidente, al primo comma, dopo le parole: «Il suo ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica» propongo di aggiungere «o professione», come hanno chiesto i senatori Pera e Zecchino.

LUCIANO GASPERINI. Io metterei «almeno annualmente», perché se questo avviene una volta l'anno e poi non si presenta più, di che controllo si tratta?

PRESIDENTE. L'«annualmente» rappresenta una norma di garanzia.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Vuol dire che non può accadere meno di una volta l'anno.

PRESIDENTE. Ora stiamo definendo un testo costituzionale. Saranno poi i regolamenti delle Camere, eventualmente, a specificare maggiormente.

Pongo in votazione l'articolo 125-bis nel testo proposto dal relatore, come riformulato.

(È approvato).

Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 126, il cui testo è stato già pubblicato nell'allegato della seduta precedente.

Ricordo che abbiamo già votato sul principio della elezione del pubblico ministero, per cui la riproposizione di tale materia è preclusa.

Domando se vi siano colleghi che chiedano di votare su emendamenti al testo proposto dal relatore.

GIOVANNI PELLEGRINO. Io chiederei di votare l'emendamento Soda ed altri C.126.144, che prevede che consiglieri del Consiglio di Stato e della Corte dei conti possano essere designati dal Consiglio superiore della magistratura amministrativa, non diversamente dagli avvocati con un certo numero di anni di esercizio professionale, a comporre la Corte di giustizia amministrativa.

Abbiamo introdotto il principio, a mio avviso giusto, della separazione tra controllo, consulenza e giurisdizione, ma io non sono favorevole a separazioni così nette, che non consentano di utilizzare nella giurisdizione la maturazione di esperienze avvenute o nell'attività professionale o nella consulenza o nel controllo.

STEFANO PASSIGLI. Con riferimento al quinto comma, vorrei richiamare l'attenzione del relatore su una possibile, ed a mio avviso esistente, incompatibilità con il comma dell'articolo 120 relativo ai giudici onorari e, comunque, suggerire una modifica. Tale quinto comma attribuisce a magistrati onorari funzioni attribuite a giudici di primo grado, ma nel giudizio di primo grado rientrano, ad esempio in sede di assise, reati molto gravi, quali la strage, per cui non credo che questa sia la volontà del relatore. Proporrei quindi di emendare il testo - ho già depositato la proposta presso la presidenza - in questo senso: «Le norme sull'ordinamento giudiziario possono ammettere la nomina di magistrati ordinari indicandone le funzioni tra quelle attribuite a giudici singoli».

L'attuale Costituzione fa riferimento a giudici singoli e parlare di giudici di primo grado - ripeto - allargherebbe immensamente la gamma di materie sulle quali potrebbe pronunciarsi un magistrato onorario. Questo, oltretutto, mi sembrerebbe contrastare con il portato dell'articolo 120. In ogni caso, credo che sarebbe opportuno parlare di giudici singoli.

PRESIDENTE. Prima di proseguire negli interventi, desidero precisare che prima di sospendere i nostri lavori vorrei avere un quadro completo delle proposte emendative sulle quali dovremmo discutere e votare.

MARCELLO PERA. Comincio, presidente, da una proposta cui faceva riferimento il collega Passigli. Il quinto comma stabilisce che: «Le norme sull'ordinamento giudiziario possono ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici di primo grado»; una proposta emendativa è quella di sostituire «giudici» con «magistrati ordinari», oppure di aggiungere, dopo la parola «giudici», «e pubblici ministeri», insomma prevedere, come già avviene nella pratica, che sia possibile la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari che abbiano anche funzioni requirenti.

STEFANO PASSIGLI. Ci siamo già pronunciati sull'elettività del pubblico ministero.

MARCELLO PERA. No, abbiamo votato sul principio della elezione del pubblico ministero. Qui si attribuisce alle norme sull'ordinamento giudiziario la possibilità di ammettere la nomina a magistrati onorari che svolgano la funzione indicata. Non diciamo che tutti i magistrati del pubblico ministero sono elettivi.

STEFANO PASSIGLI. Bisogna eliminare l'inciso «anche elettiva», in questo caso.

PRESIDENTE. Per cortesia, raccogliamo le proposte.

MARCELLO PERA. Questa è la prima proposta. Lei valuterà, ma a me non pare decaduta a seguito del voto sulla elettività di tutti i pubblici ministeri.

La seconda proposta fa riferimento agli emendamenti Parenti ed altri C.126.4; Pera ed altri S.126.203; Lisi e Maceratini S.126.2; nonché agli emendamenti Zecchino ed altri S.126.211 e S.126.8 (Commenti del senatore Salvi).

Io presento gli emendamenti C.126.4 e S.126.203, che recano entrambi la mia firma. Poiché si sta parlando del principio della separazione dei ruoli o delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, ho richiamato gli emendamenti che contengono tale principio. Cioè, oltre che dai due che contengono la mia firma, il principio è accolto anche dall'emendamento Lisi e Maceratini S.126.2 e, sotto altra dizione, dai due citati emendamenti a firma Zecchino ed altri. Il principio, lo ripeto, è identico: si tratta della separazione dei ruoli o delle carriere del pubblico ministero e del giudice.

Anche su questo tema vi è stata ampia discussione, prima in Commissione poi in Comitato, ed è uno di quelli sui quali - trattandosi di tema di principio - non è stato trovato un punto di mediazione, cosa assai difficile. Quindi, la divergenza è tra coloro che ritengono che il pubblico ministero debba essere parte del processo, distinta nettamente dal giudice, e coloro che considerano il pubblico ministero come organo giurisdizionale o paragiurisdizionale. Noi riteniamo che, allo scopo di garantire la parità delle parti - che pure è assicurata dal testo che stiamo votando all'articolo 130-ter -, allo scopo di garantire soprattutto la terzietà del giudice, i due ruoli del pubblico ministero, o le due carriere, siano nettamente distinti. In proposito vorrei anche aggiungere che l'articolazione in due sezioni del Consiglio superiore della magistratura aveva questo presupposto o corollario, che dir si voglia, a seconda da dove si inizia.

Riteniamo che questa sia una questione di principio alla quale siamo favorevoli per il motivo che ho già illustrato e cioè la massima garanzia della terzietà del giudice. Aggiungo che, assicurando la massima garanzia della terzietà del giudice, diamo massima garanzia anche ai cittadini.

Inoltre, il principio della separazione dei ruoli e delle carriere (poi vedremo come distinguerle) è uno di quegli istituti che ci viene raccomandato dal Parlamento europeo, che ha adottato recentemente, nel mese di marzo, una risoluzione, peraltro votata in maniera trasversale da tutti i gruppi, compresi quelli italiani, che in questo caso si collocano tra la maggioranza e l'opposizione. Tale risoluzione raccomanda agli Stati membri dell'Europa di accogliere il principio della separazione.

Si tratta - ripeto - di una questione di principio su cui non è stato possibile raggiungere un accordo, che credo sia difficile raggiungere, perché sono due scuole di pensiero diverse. Riteniamo che la separazione sia più congrua con gli istituti europei e se vi fosse un parametro (che invece non c'è) nel trattato di Maastricht sulla giustizia, la separazione sarebbe ricompresa tra quelli. Riteniamo altresì che tale istituto sia più compatibile con le garanzie dei cittadini. Signor presidente, anche in proposito, se non altro per prevenire una sua eventuale dichiarazione analoga a quella che ha già fatto, vorrei osservare che l'ipotetica divisione su questo punto dovrebbe essere considerata una normale divisione all'interno di un Parlamento democratico, il quale su questioni di principio può e deve esprimersi liberamente, senza sottostare a pressione o a forme più oscure di mi-naccia.

PRESIDENTE. Lei ritiene che le abbia rivolto una minaccia oscura?

MARCELLO PERA. No, in questo caso non mi riferivo alle sue pressioni o minacce...

PRESIDENTE. La ringrazio. È bene chiarire questo punto.

MARCELLO PERA. ... ma a pressioni e minacce di carattere esterno al Parlamento.

Vorrei ricordare ai membri della Commissione che quando si è discusso della questione in sede di Comitato ristretto si è fatto riferimento ad un momento di carattere sperimentale. Si è detto che in realtà su questa questione anche il nostro paese tra un certo numero di anni avrebbe dovuto (uso un'espressione non mia), per il movimento della storia, uniformarsi agli altri istituti europei. Crediamo che questo momento sperimentale sia stato superato, che sia già oggi il momento di scegliere, che sia opportuno farlo e che sia doveroso accettare tale principio: ce lo chiede l'Europa, ce lo chiedono i cittadini.

Si ha la sensazione, signor presidente, che l'unica resistenza all'accettazione di questo principio venga non da parte dei cittadini, ma di alcune componenti della magistratura. Ritengo invece che quello della separazione sia un principio altamente democratico. Ritengo altresì che dovremmo dare il massimo di trasparenza al principio della terzietà e perciò raccomando l'introduzione nel nostro ordinamento di tale istituto.

Gli emendamenti possono essere formulati in maniera diversa, come del resto dimostrano le proposte presentate da coloro che credono in questo istituto. Si può prevedere, per esempio, un accesso separato alla magistratura, all'una carriera o all'altra; oppure un accesso unico con un periodo di comune formazione e di esercizio della giurisdizione per poi operare la separazione. Si possono ipotizzare anche altri istituti, purché - questa è la mia raccomandazione - sia chiaro che a partire da un certo punto la cultura della giurisdizione ed il suo esercizio si separano dalla cultura e dall'esercizio della investigazione. È una questione di specializzazione, di culture, ma soprattutto di parità tra e nelle parti del processo. Non crediamo che tale parità sia garantita quando in un ordinamento il pubblico ministero è più vicino al giudice di quanto non lo è la difesa.

Queste sono sommariamente le ragioni per le quali voteremo a favore, che abbiamo espresso tante altre volte e sulle quali non mi dilungo oltre. Invito anche i colleghi a votare favorevolmente gli emendamenti C.126.4, S.126.203 e gli altri che accolgono il medesimo principio.

PRESIDENTE. A questo punto dobbiamo sospendere la seduta, dato che l'esame di tale articolo richiede molto tempo.

Comunico ai colleghi che l'ufficio di presidenza è convocato alle ore 15 allo scopo di valutare, sia pure rapidamente, alcuni problemi relativi ai tempi e al coordinamento del nostro lavoro.

Sospendo la seduta fino alle 15,30 perché l'esame dell'articolo 126 richiede - ripeto - molto tempo. Nel pomeriggio proseguiremo fino alla conclusione dell'esame di tutti gli articoli. Nel fissare tale orario ho cercato di tenere conto anche della richiesta di molti colleghi di sospendere la seduta verso le 18,30, che non credo sarà possibile (Commenti).

 

La seduta, sospesa alle 13.40, è ripresa alle 15.55.

 

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame degli emendamenti relativi all'articolo 126, rispetto al quale abbiamo accolto la richiesta dei senatori Pellegrino, Passigli e Pera circa le questioni da porre in votazione prima del voto dell'articolo.

Mi pare che a questo proposito vi fosse una richiesta del senatore Marchetti.

TIZIANA PARENTI. Sono stati presentati tre emendamenti che vanno dalla separazione dei concorsi al concorso unico e ad un periodo unitario di collegio giudicante con separazione successiva ad una scelta che, in base alla proposta originaria, non può avvenire dopo dieci anni.

PRESIDENTE. Mi sembra che agli stessi emendamenti si sia riferito il senatore Pera.

TIZIANA PARENTI. Mi pare di sì.

FRANCESCO TABLADINI. Avevamo presentato un emendamento sostitutivo dell'articolo 126. Poiché la parte di questo emendamento, che per noi era pregnante e che stabiliva che «i magistrati del pubblico ministero sono nominati a seguito di elezione secondo le modalità stabilite dalla legge», non è stata approvata, non insistiamo sull'intero emendamento riservandoci di presentarlo in aula.

NATALE D'AMICO. Mi pare vi sia una contraddizione tra il primo comma dell'articolo 126 e l'ultimo che in sostanza lo vanifica. Il primo comma recita: «Le nomine dei magistrati ordinari e amministrativi hanno luogo per concorso e previo tirocinio», mentre l'ultimo comma consente alla legge ordinaria di stabilire qualunque altra cosa. Credo, quindi che quest'ultimo debba essere cancellato poiché non pone limiti di alcun tipo alla legge ordinaria che volesse ammettere gli avvocati in qualunque grado di giurisdizione secondo criteri che non sono chiariti. Eventualmente, si può prevedere nel comma precedente che i Consigli superiori della magistratura possano chiamare ad esercitare funzioni giurisdizionali in tutti i gradi persone che abbiano determinate caratteristiche.

Chiedo quindi che venga posto in votazione il mio emendamento C.126.16 che tra l'altro sostituirebbe le parole «all'ufficio di consigliere di cassazione» con le parole «ad esercitare funzioni giurisdizionali», ampliando il potere del CSM ma facendo cadere la possibilità per la legge ordinaria di ammettere la funzione giurisdizionale in tutti i gradi.

PIETRO FOLENA. Intendo ripresentare a nome del gruppo della sinistra democratica l'emendamento S.126.6 che prevede che dopo il periodo iniziale in cui i magistrati esercitano funzioni giudicanti collegiali, vi sia un rinvio alla legge per la successiva assegnazione delle diverse funzioni, dopo un accertamento dell'idoneità professionale molto rigoroso. In questo testo si affermano in modo sintetico anche il principio della temporaneità della presenza nella medesima sede e il fatto che il passaggio dalle funzioni di pubblico ministero a quelle giudicanti penali non possa avvenire nell'ambito del medesimo distretto.

L'emendamento, in sostanza, sostituisce i commi 2, 3 e 4 dell'articolo.

Desidero spiegare telegraficamente la ragione di questa ripresentazione. In primo luogo essa è connessa con la votazione sull'articolo 122 essendo evidente che le due norme sono collegate. Noi vedevamo un impianto dell'articolo 12 più aperto, ma nel momento in cui è stata fatta una scelta più secca in direzione della formazione di due sezioni, con l'attuale formulazione del terzo comma dell'articolo 126 vi è un forte irrigidimento, ai limiti della separazione delle carriere. Quindi il combinato disposto tra gli articoli 122 - che da noi non è stato votato - e 126 non ci convince.

Oltre a questa vi è una ragione politica. Ho ascoltato il collega Pera e, se ho ben capito, da parte sua e del gruppo di forza Italia si intende sostenere e riavanzare l'ipotesi di votare gli emendamenti relativi ad una radicale separazione delle carriere. Ciò è legittimo, tuttavia non posso non rimarcare come proprio sull'articolo 126 tutti i gruppi dovrebbero fare un'ulteriore considerazione politica, perché un conto è pensare di circoscrivere uno strappo, una differenza, una forte diversità manifestata nell'articolo 122 operando negli articoli successivi per cercare di mantenere larga parte del lavoro che insieme abbiamo fatto nei mesi passati; procedere invece, a questo punto, ad una scelta molto radicale e che in una certa misura, nell'ipotesi di lavoro che nel Comitato si era via via esaminata, era stata non dico bocciata - perché non abbiamo mai votato - ma almeno temporaneamente accantonata, vuol dire sicuramente forzare la mano politicamente in un senso che non possiamo condividere. Pertanto, se si dovesse operare una scelta del genere, è evidente che la nostra contrarietà non solo a quel punto dell'articolo 122 ma al complesso delle norme che emergono sarebbe destinata a crescere. E non deve assolutamente stupire nessun collega (ho sentito qualche commento per la verità improprio) il fatto che noi a quel punto, se dovesse passare un'ipotesi del genere, ci dovremmo mettere nelle condizioni di lavorare per una battaglia più aperta e più libera ai fini di modificare successivamente in aula un orientamento che non condividiamo.

Se ho quindi ben inteso l'intervento del collega Casini quando il presidente D'Alema aveva preso la parola prima, secondo il quale sapremo aprire una fase di riflessione più unitaria, senza strappi e senza forzature, dopo il voto che c'è stato sull'articolo 122, credo sinceramente (lo dico soprattutto ai leader, agli esponenti del Polo e a tutti gli esponenti politici di primo piano presenti qui in Bicamerale) che non sfugga a nessuno il fatto che una forzatura su questo punto avrebbe conseguenze politiche sull'iter successivo del disegno di riforma.

ANTONIO LISI. Chiedo alla presidenza di sottoporre a votazione l'emendamento S.126.33 a mia firma, che penso possa costituire una soluzione di mediazione fra le posizioni. Con questo emendamento si propone un concorso unico per tutti i magistrati (magistrati del pubblico ministero e giudici come diventeranno dopo), lo svolgimento del tirocinio in comune, della durata di quattro anni; durante questo periodo si esercitano per almeno tre anni funzioni giudicanti in un collegio; terminato il tirocinio, i magistrati scelgono in via definitiva tra la funzione giudicante e quella inquirente.

In tal modo il pubblico ministero rimane nell'ordine giudiziario, fa il concorso insieme al giudice; dopo quattro anni di vita in comune sceglie la strada che intende seguire. Ricordo l'indicazione, alla quale ho fatto riferimento questa mattina, del pubblico ministero Vigna, il quale ha detto che non sarebbe capace di fare il giudice perché egli sa fare solo il pubblico ministero; ma prescindendo da questa indicazione, ciò potrebbe consentirci soprattutto di essere in perfetta sintonia con l'approvazione dell'articolo 122. Infatti se in quest'ultimo articolo abbiamo previsto la suddivisione in due sezioni, quella per i pubblici ministeri e quella per i giudicanti, mi pare ovvio che si possa o che si debba giungere ad una soluzione di compromesso quale quella che mi sono permesso di sottoporre alla vostra attenzione, perché da quella soluzione, dall'emendamento richiamato usciranno dopo i quattro anni i pubblici ministeri, i quali avranno la loro garanzia, il loro organo di autogoverno nella sezione dei pubblici ministeri presso il Consiglio superiore della magistratura, e così sarà anche per i giudicanti, i quali avranno scelto definitivamente di fare i giudici ed avranno la loro sezione nel Consiglio superiore della magistratura.

Chiedo, signor presidente, che al momento opportuno lei tenga conto di questo emendamento e possa eventualmente porlo in votazione.

PRESIDENTE. Comincerei con l'affrontare le questioni, diciamo così, minori. Darei la parola al relatore sulla proposta Passigli relativa alla nomina dei magistrati onorari; Passigli obietta che ai magistrati onorari possano essere assegnate le funzioni di giudici di primo grado...

STEFANO PASSIGLI. Ed anche sulla elettività, che combinata al disposto creerebbe dei giudici di nomina elettiva.

PRESIDENTE. ... e propone invece che i magistrati onorari nominati possano svolgere funzioni fra quelle attribuite a giudici singoli. Credo che il riferimento a giudici singoli sia la formulazione dell'attuale Costituzione. Vogliamo usare l'espressione «monocratici»?

GIOVANNI RUSSO. Comprendo la preoccupazione del collega Passigli, però vorrei osservare che il limite contenuto nella Costituzione vigente, relativo appunto alle funzioni di giudici singoli, ha già creato alcuni problemi ad esempio quando abbiamo dovuto affrontare il tema dell'arretrato civile e prevedere la nomina di magistrati onorari nei collegi. Poi abbiamo trovato il modo per risolvere questo

problema, ma in definitiva ciò ha costituito una limitazione. D'altra parte già in sede di interpretazione di quella norma c'è stato un ampliamento, perché è stato ammesso che i vicepretori onorari possano andare a comporre i collegi.

Penso allora che anziché questa limitazione potrebbero essere introdotti altri due tipi di limitazione. In primo luogo, si potrebbe stabilire che la nomina avvenga per un tempo determinato; mi pare una garanzia importante che non possano esserci magistrati onorari a vita, quindi che la nomina debba avvenire per un tempo determinato. Inoltre si potrebbe aggiungere «per determinate materie», in maniera che la legge, nel prevedere queste nomine, possa limitarle a determinate materie.

Mi sembra che con queste due cautele la norma assuma una sua funzione maggiore, perché effettivamente dire «tutte le funzioni del giudice di primo grado» può essere eccessivo, visto che oggi il giudice di primo grado monocratico o collegiale esamina tutte le materie.

Non sarei favorevole alla proposta, se non sbaglio avanzata dal collega Pera, di prevedere esplicitamente la possibilità di nomina dei procuratori onorari. Faccio presente che questo oggi è ammesso, ma limitatamente alle funzioni di procuratore della Repubblica presso la pretura, funzione che viene meno perché quell'ufficio è stato soppresso. Prevedere quindi che le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale, che sono delicate, possano essere svolte da magistrati onorari non mi troverebbe d'accordo. La mia proposta è di aggiungere, dopo la parola «elettiva», le parole «per un tempo determinato e per determinate materie, di magistrati onorari».

 

TIZIANA PARENTI. Poiché si sono creati vari problemi di avvocati che poi fanno costantemente i giudici onorari, sia pubblici ministeri che giudici, si potrebbe stabilire che nel periodo in cui sono giudici singoli, giudici onorari, non possono esercitare l'attività di avvocato.

MARIO GRECO. Vorrei ricordare che proprio con una legge ordinaria, nel momento in cui sono state istituite le sezioni stralcio a questo proposito, abbiamo dovuto prevedere la non possibilità dell'esercizio dell'attività forense per coloro i quali vengono chiamati a questo che è un esercizio giurisdizionale onorario, sia pure temporaneo.

PRESIDENTE. La proposta di Russo in sostanza è di delimitare materie e tempo.

STEFANO PASSIGLI. Visto che le funzioni si ampliano notevolmente e che i magistrati onorari potrebbero partecipare a collegi giudicanti anche a livelli alti della giurisdizione, chiedo al collega Russo di eliminare le parole «anche elettiva» perché è molto diverso: prima prevedevamo l'elettività come possibile, ma per funzioni a livello della pretura, mentre viceversa inserendo magistrati dei collegi giudicanti anche a livello di corte d'assise credo che si debba mantenere il principio, già votato stamane, della non elettività.

PRESIDENTE. Mi pare che non ne usciamo. La questione si complica.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Credo che succeda qui quanto già successo su altre norme. È evidente che su ciascuna di queste norme e su ciascun comma si può riaprire una discussione nella quale ciascuno legittimamente propone diverse formulazioni ed io ovviamente non mi sognerei mai di dire di non farlo, come metodo democratico. Però riapriamo totalmente una discussione che abbiamo già fatto infinite volte.

Sarei quindi contrario a togliere le parole «anche elettivo», perché questo è un principio mai attuato ma introdotto dalla Costituzione del 1948. Non vedo perché non mantenerlo nella nuova II parte della Costituzione come un'ipotesi, sia pure per ora puramente teorica; difatti si dice «anche elettivo», si tratta quindi di una facoltà; una ipotesi che non è preclusa dal voto di questa mattina; lo sarebbe se accogliessimo la proposta del collega Pera, ovviamente anche quella legittima, di estendere la previsione anche ai pubblici ministeri. Questa mattina, infatti, abbiamo votato contro la proposta della lega per la elettività dei pubblici ministeri.

Per quanto riguarda la questione suggerita dal collega Russo per rispondere all'obiezione del collega Passigli, non ho una contrarietà in linea di principio, ma trovo che stiamo sovraccaricando la norma costituzionale di una serie di specificazioni che è invece opportuno siano demandate alla legge ordinaria e alla necessaria elasticità che questa deve avere per poter rispondere ad esigenze, cambiamenti, a domande di giustizia che potranno verificarsi tra cinque-dieci o quindici anni.

Se irrigidiamo la norma in Costituzione rischiamo di precluderci delle possibilità per il futuro. È una norma che ha permesso la copertura dei giudici di pace, ha avuto un avvio molto faticoso; restringerla ulteriormente mi sembra inopportuno. Non ho, ripeto, obiezioni di dottrina o insormontabili; riterrei però inopportuno andare ad una delimitazione in base alle sollecitazioni di possibili sviluppi che ogni collega ha ovviamente nella propria mente o magari ha ricevuto da categorie interessate, come a volte succede.

Suggerirei quindi di rimanere al testo varato dal Comitato ristretto, a meno che, invece di scrivere «a giudici di primo grado», vogliamo ritornare anche in questo caso al testo costituzionale dove si parla di giudici singoli. Anche su questo, però, avevamo riflettuto.

PRESIDENTE. Sì, tant'è vero che il collega Russo ne ha motivato le ragioni. Credo anch'io sinceramente che qui si ammetta una facoltà, nel senso di prevedere che le norme sull'ordinamento giudiziario possano ammettere tale ipotesi. Saranno quelle norme a stabilire se l'incarico debba essere temporaneo e se debba riguardare determinate materie; è un rinvio alla legge. Se vogliamo imbrigliare questa legge e vogliamo scriverlo in Costituzione, mi sembra che il punto più di sostanza, se non si accoglie l'argomentazione del collega Russo secondo cui il riferimento alle funzioni attribuite ai giudici singoli finisce per essere una limitazione rispetto ad altre possibilità che già ora in qualche modo, forzando il testo costituzionale, la legge ordinaria consente; il punto di sostanza, dicevo, è se vogliamo prevedere che possano rientrare in questa categoria di magistrati onorari anche magistrati del pubblico ministero. Questo porrebbe un problema in riferimento all'inciso «anche elettivi». Mi rivolgo quindi al collega Pera per sapere se insiste su questo punto.

MARCELLO PERA. Effettivamente, presidente, questo è il punto in discussione. Circa le altre preoccupazioni espresse dai colleghi Russo, Greco e Parenti, credo che esse possano essere superate nel senso che saranno le norme dell'ordinamento giudiziario a cui la norma costituzionale rinvia a decidere su tali questioni. Il punto vero è se nel nostro ordinamento si possa ammettere o meno la nomina elettiva di un magistrato con funzioni requirenti, salvo poi che le norme decideranno il mandato, le incompatibilità e così via.

Per parlare dal punto di vista più neutro possibile, osservo che la Costituzione vigente ammette, anche se ciò non è mai stato realizzato, la nomina elettiva di giudici. Mi chiedo allora se il cittadino sia più garantito dalla nomina elettiva di un giudice o dalla previsione costituzionale di una nomina elettiva, sia pure con un mandato definito dalle norme dell'ordinamento giudiziario, di un pubblico ministero. Un giudice eletto forse garantisce meno il cittadino di quanto non faccia un pubblico ministero eletto, perché quest'ultimo sarà una parte, svolgerà l'accusa, lo farà davanti ad un giudice terzo e così via. Quindi, quella previsione, che presumibilmente per anni ed anni non sarà attuata così come mai lo è stata la previsione del giudice terzo, credo rappresenti una apertura ad un futuro indefinito che è molto lontano e probabilmente non sarà realizzato, come è accaduto per il giudice.

Ecco perché direi di lasciare questa apertura e prevedere anche la nomina, con tutte le garanzie che saranno stabilite dalle norme dell'ordinamento giudiziario, di un pubblico ministero onorario.

MARIO GRECO. Vorrei sottolineare, anche per sostenere la tesi del collega Pera, che già esiste la figura del sostituto procuratore onorario. Per tanto tempo, presso le preture, nella prima fase della loro trasformazione, abbiamo operato con un sostituto procuratore onorario.

MARCO BOATO, Relatore per il sistema delle garanzie. Lei sa che, avendo unificato le preture ed i tribunali, il problema assume ora una diversa dimensione.

STEFANO PASSIGLI. Ritiro la questione e mi rimetto al testo e alle ultime affermazioni del relatore, se anche gli altri membri della Commissione sul punto si riconoscono nel testo così come proposto dal relatore.

GIOVANNI RUSSO. Presidente, un suggerimento minimale: se togliessimo la parola «tutte» e mettessimo «per funzioni attribuite a giudici di primo grado»...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sarei d'accordo.

PRESIDENTE. Va bene. Vede, senatore Pera, il problema è che questa mattina abbiamo votato contro il principio della elettività dei pubblici ministeri. È un problema di carattere formale. Non entro nel merito delle questioni che ella ha sollevato. In effetti è vero e per quanto riguarda la mia personale opinione cancellerei le parole «anche elettivi». Penso che non solo i pubblici ministeri ma anche i giudici non dovrebbero essere elettivi, ma a questo punto della vicenda mi rimetto all'opinione del relatore che ci ripropone il testo della Costituzione vigente. Capisco che se ora ci mettiamo a vagliare, secondo il nostro personale gusto, ogni virgola di questo testo, possiamo proporne la correzione ma temo che non ne usciremo. Siamo in Commissione, non possiamo rimetterci a lavorare come in un comitato ristretto. Io rinuncio a proporre di votare per cancellare l'inciso «anche elettivi» e pregherei anche lei di rinunciare nel senso che non posso rimettere in discussione un principio su cui abbiamo già votato questa mattina e che è stato respinto.

MARCELLO PERA. La ringrazio, presidente. Capisco la preoccupazione e non intendo farne una questione di grande principio, anche se è importante. È anche vero, però, che questa mattina abbiamo votato contro la previsione del pubblico ministero professionale elettivo; in questo caso è un pubblico ministero onorario e per di più si tratta di una previsione che già copre una situazione di fatto. Se inseriamo nella previsione solo i giudici, significa che in sede costituente abbiamo eliminato circa duemila persone che oggi sono pubblici ministeri onorari e lavorano nelle nostre preture.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'unica soluzione che vedo, salvo poi il fatto che la Commissione l'approvi o meno, se lei insiste sulla sua richiesta, che è del tutto legittima su quel punto, è che allora sì bisogna togliere l'inciso «anche elettivi» e scrivere «di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici e a pubblici ministeri di primo grado».

MARCELLO PERA. In questo caso, se non capisco male, la parte che riguarda i magistrati e il pubblico ministero sarebbe considerata decaduta dal voto di questa mattina.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se la Commissione accedesse alla sua richiesta, cioè di non prevedere la nomina di magistrati onorari soltanto in funzioni di giudici ma anche in funzioni di pubblici ministeri, dobbiamo comunque sopprimere, per coerenza con il voto di questa mattina, l'inciso «anche elettiva». Scelga quale delle due strade sottoporre all'attenzione della Commissione: o ritirare la proposta, dopo questa chiarificazione, o mantenerla, ma a quel punto per renderla votabile bisogna che proponiamo, contestualmente, di sopprimere «anche elettiva» o di sostituire le parole «giudici di primo grado» con le parole «magistrati di primo grado», che comprendono tutti e due, giudici e pubblici ministeri.

MARCELLO PERA. È vero onorevole Boato che questa mattina abbiamo votato anche contro la previsione di magistrati elettivi onorari...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ci siamo chiaramente espressi, votando non una norma ma un principio, sul principio della elettività dei pubblici ministeri, e non è che abbia avuto poi un vastissimo consenso anche la parte soccombente (22 voti su 69).

PRESIDENTE. È da circa 40 minuti che discutiamo su questa questione dei magistrati onorari. È un problema appassionante!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Suggerisco, collega Pera, di sopprimere l'espressione «anche elettiva» e di sostituire la parola «giudici» con la parola «magistrati». Credo che così sia accolta l'istanza del collega Pera nonché dei colleghi Passigli, D'Alema e di vari altri colleghi che, forse, sono d'accordo.

MARCELLO PERA. Accetto la proposta del relatore.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, l'articolo si intende così riformulato dal relatore: al quinto comma, le parole «la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici di primo grado» sono sostituite dalle seguenti: «la nomina di magistrati onorari per funzioni attribuite a magistrati di primo grado».

Superata questa questione, prima di affrontare il tema della separazione delle carriere dei magistrati proporrei di passare all'emendamento Soda ed altri C.126.144.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Chiederei al collega Soda, unico firmatario dell'emendamento membro della bicamerale, di ritirarlo...

ANTONIO SODA. Non insisto.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Anche se l'onorevole Soda non insiste, vorrei spiegare perché la risposta non è negativa. È negativo inserire in Costituzione quell'emendamento, mentre nella disposizione transitoria, che voteremo alla fine di tutto, è scritto esplicitamente (anzi, su questo aspetto, cioè sul rischio di svuotare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti vi è qualche riserva da parte della collega Dentamaro) che i magistrati che appartengono al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti avranno tutti la possibilità di optare per far parte della Corte di giustizia amministrativa, mentre quelli delle corti regionali opteranno per i tribunali regionali di giustizia amministrativa.

Abbiamo previsto questa possibilità in modo molto ampio nella disposizione transitoria, per cui sarei assolutamente contrario ad inserire una norma di dettaglio, esplicita nel testo costituzionale. Comunque, dal momento che il collega Soda ha dichiarato di non insistere sull'emendamento, considererei superata questa parte.

PRESIDENTE. Mi sembra che il senatore Pellegrino chieda la votazione dell'emendamento.

GIOVANNI PELLEGRINO. Vorrei spiegare un attimo, signor presidente, perché il problema non attiene soltanto al contenuto di questo emendamento ma, direi, ad una opzione culturale di fondo, per cui sono sorpreso del giudizio così nettamente negativo dato dal relatore.

In questo settore io sono favorevolissimo ad una netta distinzione di ruoli e funzioni. Però mi sembra un arretramento culturale prevedere rigidi steccati fra ruoli e funzioni. Ciò non vale soltanto per il presente, per la fase transitoria, ma per sempre. È la stessa logica per cui non capisco perché uno che diventa pubblico ministero debba morire tale. Se dopo 15 anni decide di voler fare il giudicante perché deve fare il concorso per uditore giudiziario? In altre parti del mondo, dove le cose funzionano un poco meglio di come funzionano da noi, fra le varie categorie dei lawyers esiste una grande mobilità: i ruoli e le funzioni restano distinti, ma l'avvocato fa il pubblico ministero, poi il giudice, poi il giudice ordinario e il giudice amministrativo.

Non sono d'accordo con ciò che ha detto il procuratore Vigna. Secondo me è assurdo pensare che una persona che ha la sua esperienza non sia in condizione di fare l'uditore giudiziario. Ho esercitato la professione di avvocato per grandissima parte della mia vita, e i ruoli parlamentari mi hanno fatto poi presiedere un tribunale, come la Giunta per le elezioni, o un organo inquirente come la Commissione che attualmente ho l'onore di presiedere. Ebbene, penso che l'esperienza di avvocato mi sia servita moltissimo in tutte e due le funzioni. Un conto è distinguere le funzioni e anche le rappresentanze funzionali delle funzioni, altro è impedire una circolazione dei soggetti, delle esperienze da una funzione all'altra.

È importante aprire ai giudici onorari e agli avvocati perché questi non devono vivere come mondi chiusi, altrimenti continueremo a perpetrare questo mondo di subcorporazioni inimiche le une alle altre, che si beccano costantemente, mentre nelle altre parti del mondo vi è una grande corporazione di lawyers che vive di questo grande scambio interno di cultura e di esperienze. Per quale motivo chi ha svolto per 15 anni il consultore deve fare il concorso, come se fosse un neolaureato, se poi vuol passare a fare giurisdizione? Naturalmente, dovrà sempre essere l'organo di autogoverno a fare queste scelte. Secondo me creare è un fatto positivo, ma erigere steccati rigidi, creare non comunicabilità, subcorporazioni l'una rivale all'altra a me sembra un errore profondo, un arretramento culturale, un'occasione persa.

PRESIDENTE. In effetti è vero, la risposta del relatore...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sì, perché lui la prevede a regime.

PRESIDENTE. Esatto. Non risolve il problema posto dall'emendamento, che prevede, a regime, che i componenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, cioè quei magistrati che optano per l'organo consultivo sulla base della norma transitoria, possano poi, successivamente, accedere, essere designati quali membri della Corte di giustizia amministrativa. Esattamente come avviene per altre categorie qui previste, quali i professori ordinari, eccetera.

Il senatore Pellegrino vuole che si voti il principio dell'emendamento Soda ed altri C.126.144.

SERGIO MATTARELLA. Voteremo a favore di questo emendamento pur non condividendo la situazione di base da cui esso parte, cioè la scelta fatta dalla Commissione di ritenere il Consiglio di Stato e la Corte dei conti soltanto consultorio, giudice del controllo. Ci proponiamo di ripristinare in aula la situazione che invece nascerebbe dal nostro emendamento non accolto fin qui.

MARCELLO PERA. Non so se mi è chiaro il senso dell'emendamento, ma mi chiedo, ricordando bene, per i precedenti della discussione, che il Consiglio di Stato e la Corte dei conti non sono più organi giurisdizionali, se si possa passare, su designazione della magistratura amministrativa, all'ufficio di consigliere di una Corte di giustizia amministrativa. Non sono favorevole a questa proposta, per le stesse ragioni per cui ero favorevole alla distinzione tra il Consiglio di Stato e la Corte dei conti come organi non giurisdizionali ed i corrispettivi organi giurisdizionali di giustizia amministrativa. Mi pare che così si reintroduca invece la possibilità di iniziare una carriera dal punto di vista amministrativo per poi ritrovarsi giudice, sia pure per designazione. Non capisco la logica di una scelta del genere. In realtà si sta mettendo in discussione l'impostazione secondo cui i membri del Consiglio di Stato rientrano in una carriera amministrativa - in quanto consiglieri - e non sono giudici.

PRESIDENTE. Quello che lei dice è vero (Commenti del deputato Soda). Secondo Soda non è vero... Comunque, l'articolo 126 prevede che professori ordinari, avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori possano essere chiamati all'ufficio di consigliere di Cassazione e della Corte di giustizia amministrativa. Si propone che uomini di legge, ancorché membri di organi consultivi o di controllo, facciano parte delle categorie che possono essere chiamate a quella funzione.

MARCELLO PERA. È vero, presidente. Tuttavia mentre con l'articolo 126 avvocati e professori sono chiamati a far parte dell'organismo in quanto esperti di legge, ma come privati, qui si tratta di membri di organismi come il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, i quali sono definiti come organismi non giurisdizionali, cioè amministrativi. Prendiamo allora componenti di organismi amministrativi e li inseriamo in organismi giurisdizionali o disciplinari. Temo che si stia rimettendo in discussione - in modo un po' surretizio - la distinzione...

PRESIDENTE. No, perché - come ha spiegato il senatore Pellegrino - una cosa è distinguere le funzioni e gli organi ed evitare che all'interno dello stesso organo costituzionale si sommino funzione giurisdizionale e consultiva, altra cosa è trarre da questa distinzione una rigida impossibilità, per i singoli, di passare da una funzione all'altra. Questo, secondo il senatore Pellegrino, sarebbe limitativo della circolazione delle competenze e quindi della funzionalità del sistema. Forse lei non era attento all'esposizione del senatore Pellegrino.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Presidente, dopo questo dibattito mi rimetto alla Commissione. Le chiedo soltanto che si passi alla votazione.

PRESIDENTE. I termini della questione sono chiari; quindi possiamo procedere senz'altro alla votazione.

Pongo in votazione l'emendamento C.126.144.

 

(È approvato).

 

Naturalmente do mandato al relatore di procedere ad un coordinamento formale di quanto approvato.

Passiamo all'emendamento Parenti ed altri C.126.4, che è già stato illustrato dal senatore Pera alla conclusione della parte antimeridiana di questa seduta.

MARCELLO PERA. Signor presidente, vorrei che su questo punto si facesse un po' di chiarezza, perché molti emendamenti vanno nella stessa direzione pur senza utilizzare formulazioni analoghe. Si tratta delle proposte tendenti, per così dire, alla separazione delle carriere. Ho collazionato queste ipotesi ed ho individuato cinque formulazioni diverse, che vorrei ricordare alla Commissione.

Un primo emendamento - a firma della collega Parenti e del sottoscritto - parla di due concorsi differenziati per l'accesso alla magistratura giudicante e requirente, con formazione e giudizio di idoneità; non si prevede il passaggio.

In un secondo emendamento (Pera S. 126.203) si parla di due concorsi con formazione, tirocinio ed idoneità; sono previsti passaggi di funzioni dal giudicante al requirente.

PRESIDENTE. Ho ordinato questi emendamenti in base al criterio di lontananza dal testo del relatore. Infatti l'emendamento Parenti C.126.4 è il più lontano dal testo.

MARCELLO PERA. Vorrei completare la mia illustrazione, presidente, perché onestamente non saprei stabilire qual è il più lontano dal testo.

Un terzo emendamento (a firma del collega Lisi) prevede due concorsi, ma non è previsto alcun passaggio né si parla di tirocinio o di valutazione di idoneità.

Nell'emendamento Zecchino S.126.211 si parla di un solo concorso, di un periodo di servizio della magistratura giudicante (tre anni), di un'assegnazione successiva ad un ruolo o ad un altro. Sono poi previsti i passaggi. Qui si utilizza il termine «ruolo» mentre in altri emendamenti si parla di «carriera» o di «funzioni».

Nell'emendamento Lisi S.126.2 - il quinto del mio elenco - si prevede un concorso unitario, un periodo comune di quattro anni e poi la scelta definitiva.

Si tratta di cinque modalità per introdurre una separazione: in alcuni casi molto netta, in altri meno; in alcuni casi la separazione investe le funzioni, in altri il ruolo, in altri ancora le carriere.

PRESIDENTE. Proprio a fronte di questa pluralità di proposte, il relatore si è esercitato a trarre dalle diverse formulazioni quella contenuta nel testo al nostro esame. In essa si prevede un unico concorso, l'esercizio di funzioni giudicanti per tutti (tre anni), l'assegnazione alla funzione giudicante o inquirente previa valutazione di idoneità; successivamente il passaggio sarebbe consentito mediante concorso riservato e non a seguito di domanda. Quindi anche il relatore ha titolo per entrare nella casistica da lei ricordata, senatore Pera.

Si tratta ora di capire se la proposta del relatore - che è frutto di un lungo ed attento lavoro di vaglio delle varie proposte e di un grande sforzo di sintesi tra le diverse aspirazioni - possa rappresentare una soluzione accoglibile oppure se dobbiamo votare nuovamente sulle proposte originarie (che sono state tutte ripresentate; anche il gruppo della sinistra democratica ha ripresentato la sua). Sarebbe come dire al relatore: «Grazie, ma era inutile che tu ti affannassi perché rimetteremo in votazione tutte le proposte originarie nell'ordine di lontananza dal testo». Naturalmente è un fatto perfettamente legittimo.

MARCELLO PERA. Il problema fa parte di uno dei due punti sui quali in Comitato ristretto - nonostante gli sforzi apprezzabili, e molto apprezzati, del relatore - non è stata trovata una convergenza ampia. Mi riferisco all'articolo 122, in merito alle sezioni nel Consiglio superiore della magistratura, ed all'articolo 126, sulla separazione delle carriere e dei ruoli.

PRESIDENTE. Tuttavia il relatore propone una riforma rispetto alla situazione attuale, cioè che vi sia un'assegnazione e, una volta avvenuta quest'ultima, che il passaggio da una funzione all'altra possa avvenire soltanto attraverso concorsi e non a domanda come avviene oggi. Si tratta di capire se questo passaggio debba essere proibito per sempre...

TIZIANA PARENTI. Non deve essere proibito per sempre. Il problema è che si insiste nel parlare di concorso «riservato»; si tratta già di un concorso riservato perché i consigli giudiziari, su posti riservati, già danno un giudizio di ipotetica idoneità.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È un concorso e comunque, nel testo costituzionale che lei ha di fronte, c'è scritto «secondo modalità stabilite dalla legge».

TIZIANA PARENTI. La legge già le stabilisce: si tratta di superare questo stato di cose e trovare un'altra formulazione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non conosco altre formulazioni che non facciano riferimento a «concorsi»; anzi, ci sono state critiche perché la formulazione è stata considerata troppo rigida, dato che oggi non è previsto un concorso.

TIZIANA PARENTI. Ma cosa significa «riservato»?

PRESIDENTE. Non c'è dubbio che il riferimento al concorso riservato rappresentava un punto di compromesso: mi pare che lei ritenga non ammissibili i compromessi in questa materia...! C'è chi ritiene che il riferimento al concorso introduca un elemento di eccessiva rigidità e chi pensa che l'aggettivo «riservato» costituisca in realtà un passaggio di favore non ammissibile.

Procediamo allora alla votazione di tutte le diverse proposte, a partire da quella che a me - arbitrariamente, per così dire - è apparsa la più lontana dal testo del relatore, cioè l'emendamento Parenti C.126.4.

Naturalmente, poiché ci siamo già pronunciati sulla questione del giudice onorario, si intende che essa non faccia parte dell'emendamento in questione. L'emendamento è il più distante dal testo del relatore perché prevede due concorsi differenziati.

MARIO GRECO. L'emendamento sostituirebbe i primi quattro commi dell'articolo 126 nel testo del relatore?

PRESIDENTE. Esatto; ripeto però che il secondo comma dell'emendamento Parenti C.126.4 si intende soppresso, poiché la questione è già stata accantonata. L'emendamento prevede un meccanismo di concorsi differenziati, che è già stato illustrato questa mattina dal collega Pera.

MARCELLO PERA. Presidente, se non vado errato questo emendamento è analogo all'emendamento Lisi S.126.2, primo comma.

PRESIDENTE. Sarà analogo anche ad altri emendamenti...

MARCELLO PERA. Lo dico per capire quali altri emendamenti saranno messi in votazione.

PRESIDENTE. Porrò in votazione quelli che sono stati proposti. Una volta votato il principio dei concorsi differenziati, in caso di esito negativo della votazione lo considererò bocciato e passeremo all'esame degli emendamenti che prevedono meccanismi di concorso unico.

MARCELLO PERA. Era proprio questo il senso dell'elenco che le avevo fatto: in alcuni emendamenti è previsto un concorso differenziato e altre cose, in altri solo il concorso differenziato, in altri ancora addirittura un concorso unico.

PRESIDENTE. Ho capito: ora voteremo sul principio dei concorsi differenziati; se sarà respinto passeremo ad esaminare le varie possibilità di concorso unico. Ho posto gli emendamenti in un ordine che a me è parso quello della distanza dal testo del relatore, che è il criterio normale per votare gli emendamenti.

ORTENSIO ZECCHINO. Vorrei intervenire per dichiarare il mio voto su questo emendamento e su tutti gli altri che sono stati presentati sull'articolo 126. Il collega Pera ha evocato una serie di emendamenti fra i quali ve ne sono alcuni che anch'io ho sottoscritto.

Dichiaro di votare a favore del testo del relatore, anzitutto perché lo considero un punto di mediazione. Il mio emendamento (parlo prima di quello che ho presentato io e poi delle ragioni che mi spingono a votare contro quelli presentati da altri colleghi) rappresentava un semplice aggiustamento terminologico, al quale non intendo affezionarmi. Con il relatore - amo sottolinearlo - c'è stata una sintonia molto elevata, che si è incrinata soltanto sul noto punto relativo all'articolo 122 (e peraltro era solo il rinvio alla legge che ci divideva, ma il principio mi sembrava fosse condiviso dall'inizio). Anche per questa ragione ritiro il mio emendamento che - ripeto - non innovava per nulla il meccanismo al quale è pervenuto il relatore: si trattava solo di una distinzione terminologica, alla quale rinunzio in segno di adesione complessiva al lavoro fatto dal relatore.

Mi pare che questa motivazione valga da sola a giustificare il mio voto contrario sulle proposte più radicali, come quella relativa al doppio concorso. In Francia - molte volte tutti ci siamo compiaciuti di queste comparazioni -, che pure conosce un'effettiva e profonda diversità tra pubblici ministeri e giudici (tanto che questi ultimi continuano ad essere sottoposti al potere esecutivo), si prevede che essi nascano da uno stesso concorso. Noi stessi, che in altra norma auspichiamo una formazione propedeutica comune per giudici, avvocati e notai, contraddiremmo l'affermazione che tutti quanti abbiamo in qualche modo condiviso.

Il concorso ha una sua funzione selettiva teorica; non si capisce quale ragione potrebbe indurre a scegliere la diversità di concorso. Apprezzo quindi la soluzione scelta dal relatore del concorso unico, che nasce da questa unicità di selezione teorica dalla quale ci si avvia al tirocinio e poi ai due itinerari, il passaggio tra i quali rappresenta per altro una grande innovazione che non può essere ignorata. Tale passaggio è oggi facultato in modo totale, mentre il testo in esame lo condiziona al concorso riservato.

Sono queste le ragioni che mi inducono a rinunciare con grande tranquillità ai miei emendamenti terminologici e, con ancora maggiore tranquillità, a votare contro tutti gli altri emendamenti.

PRESIDENTE. Riterrei opportuno effettuare una votazione sui principi, a partire da quello sui concorsi differenziati; porrei poi in votazione il principio contenuto nell'emendamento S.126.203, secondo comma, che riguarda il passaggio tra le due funzioni, in cui si prevede un concorso secondo le modalità stabilite per l'accesso in magistratura, che è cosa ovviamente diversa. Infine, porrei in votazione l'emendamento Lisi S.126.2, che prevede la preclusione di ogni possibilità di passaggio da una funzione all'altra a seguito della scelta effettuata. Si stabilisce infatti che, terminato il tirocinio, i magistrati scelgono in via definitiva, senza possibilità di passaggio.

ENRICO BOSELLI. Intervengo brevemente per annunciare - come già avevo anticipato questa mattina - il mio voto favorevole all'emendamento del collega Pera che prevede l'introduzione di concorsi differenziati per il reclutamento dei magistrati e dei pubblici ministeri.

GIOVANNI PELLEGRINO. Trovo questo principio contraddittorio con quello dell'unicità del CSM; nei progetti di legge proposti i concorsi separati portavano a magistrature separate e a distinti consigli superiori. Una volta che si è fatta la scelta di un unico Consiglio superiore della magistratura, sia pure articolato in due sezioni, mi chiedo se possano esistere due diverse vie di accesso. Avremmo non due funzioni diverse della magistratura ma due magistrature diverse.

PRESIDENTE. Su questo non c'è dubbio: si tratta dell'istituzione di due magistrature diverse.

GIOVANNI PELLEGRINO. E poi abbiamo già fatto una scelta votando l'articolo 122.

GIULIO MACERATINI. Nella proposta di legge costituzionale Neri ed altri erano previsti i concorsi differenziati, l'emendamento Lisi S.126.2 prevede i concorsi differenziati. Do atto al relatore di aver portato tutti, me compreso, nella discussione ad individuare soluzioni diverse; peraltro, non sono giunte al momento ad una conclusione omogenea.

Annuncio quindi che su questo tema voteremo in coerenza con le originarie impostazioni, che quanto meno non comportano ulteriore confusione rispetto ad un CSM il quale resta unitario perché unitaria resta la funzione, ma vede attribuire a due distinte sezioni l'amministrazione delle due distinte nature di questi organi.

GIOVANNI RUSSO. Intervengo brevemente, presidente, perché di questo argomento abbiamo già discusso ampiamente. Esprimo la mia contrarietà agli emendamenti illustrati dal collega Pera nelle loro diverse formulazioni, perché tutti puntano alla separazione delle carriere, comunque ad un forte irrigidimento nei ruoli rispettivi del pubblico ministero e del magistrato giudicante.

Riferendomi all'intervento di questa mattina della collega Dentamaro, vorrei dire che in tutto questo dibattito, per la verità, non ho ascoltato nessun argomento persuasivo a favore della separazione delle carriere. L'unico argomento che viene utilizzato, quello che fa riferimento alla terzietà del giudice, è un argomento improprio perché il giudice è terzo nel processo, ma la sua terzietà certamente non si avvantaggia dalla separazione delle carriere. Ha detto bene questa mattina il collega Marchetti: questo argomento prova troppo perché se il rapporto di colleganza dovesse fare ombra all'imparzialità avremmo giudici d'appello parziali perché colleghi dei giudici di primo grado.

Vorrei invece richiamare l'attenzione sul nostro emendamento che in maniera più appropriata - mi sembra - fa un rinvio alla legge ordinaria per regolare il passaggio tra le funzioni, perché l'esigenza di una più attenta differenziazione delle stesse, soprattutto con riferimento al processo, è un'esigenza reale, alla quale però può meglio provvedere la legge ordinaria che non il testo costituzionale; legge ordinaria alla quale, peraltro, la Costituzione, se fosse accolto il nostro emendamento, fornirebbe dei criteri molto precisi e rigorosi, nel senso che si deve garantire la temporaneità delle funzioni, si deve impedire il passaggio da funzioni di pubblico ministero a funzioni giudicanti penali nell'ambito dello stesso distretto. La temporaneità delle funzioni è la vera garanzia che il magistrato che svolge una funzione determinata non si irrigidisca eccessivamente nel ruolo che gli è proprio; quindi, tutto il contrario della separazione rigida che viene proposta negli emendamenti in discussione.

Riconosco al relatore lo sforzo di individuare una soluzione mediana, che noi avremmo accettato, anche se, per la verità, lontana dal nostro convincimento perché in definitiva non favorisce ma limita il passaggio delle funzioni in maniera eccessiva. Questa mediazione è venuta meno per l'irrigidimento delle altre forze politiche che chiedono di votare sulla separazione delle carriere. Credo sia giusto che rimanga all'attenzione della Commissione il nostro emendamento.

NATALE D'AMICO. Noi del gruppo di rinnovamento italiano ci attesteremo sul testo del relatore. Lo sforzo di mediazione che egli ha fatto ci pare apprezzabile non solo perché cerca un compromesso tra diverse posizioni, ma anche perché la distinzione - non so dire se di ruolo, di funzione o di carriera - tra pubblico ministero e giudice emerge con chiarezza, senza creare rigidità che probabilmente sarebbero poco ragionevoli.

Voteremo quindi in senso contrario a tutti gli emendamenti presentati a questo testo.

AGAZIO LOIERO. Annuncio a nome del gruppo dei CCD che voteremo a favore dell'emendamento Parenti C.126.4 riguardante i concorsi differenziati tra giudici e pubblici ministeri.

LUCIANO GASPERINI. La mia dichiarazione di voto riguarda l'emendamento Parenti C.126.4.

Il nostro gruppo esprime il proprio dissenso su questo emendamento. Faccio presente che a seguito dell'abbandono della accoglibilità del secondo comma e cioè del principio elettivo del pubblico ministero si è fatto un passo indietro non solo per quanto riguarda il testo approvato dalla Commissione all'articolo 122, non solo rispetto al testo del relatore sullo stesso articolo 122, ma anche in relazione al secondo comma dell'articolo 106 della vigente Costituzione.

Crediamo quindi che per evitare qualunque discrasia come quella che è stata opportunamente segnalata, e cioè il contrasto tra separazione di carriere e poi il confluire in un unico Consiglio superiore della magistratura - anticamente, signor presidente, si parlava con termine filosofico ma non scientifico delle «convergenze parallele», queste due parallele che viaggiano distanti tra loro, secondo alcune opinioni, e poi convergono nello stesso CSM - bisogna partire dalla radice, bisogna cioè concepire l'elezione del pubblico ministero, la separazione delle carriere; tutto il resto non è che una logica conseguenza.

Voteremo dunque contro l'articolo 126 così come formulato nell'emendamento a firma Parenti, Pera e Greco e ripresenteremo le nostre considerazioni nell'aula.

MARIO RIGO. Dichiaro che voterò a favore dell'emendamento Parenti C.126.4.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Voglio ringraziare in particolare i colleghi Zecchino e D'Amico per le valutazioni che hanno espresso.

Per le ragioni che ho già spiegato questa mattina e che quindi sarebbe sgarbato nei vostri confronti ripetere, sono contrario a tutti gli emendamenti. Credo che il testo proposto alla Commissione abbia raccolto tutte le istanze che sono state proposte nell'ambito di un'ipotesi di riforma sulle garanzie suscettibile di trovare un ampio consenso. Ipotesi più «avanzate», più «radicali» erano state prospettate nel Comitato ristretto come ipotesi di mediazione e sono state respinte proprio dal collega Pera ed da altri colleghi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Parenti C.126.4.

 

(È respinto).

 

Giustamente i nostri collaboratori mi fanno osservare che la proposta Lisi che prevede l'impossibilità del passaggio dal un ruolo all'altro è più lontana rispetto a quella che prevede modalità di concorso non riservato, quindi più severo.

Pertanto, procediamo alla votazione dell'emendamento Lisi S.126.33, che prevede la sostituzione del secondo, terzo e quarto comma.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Vorrei chiedere al collega Lisi, tenendo conto dell'esito della votazione precedente ed anche del significato che assume, forse al di là della stessa volontà, l'ipotesi di impedire il passaggio da una funzione all'altra in modo rigido, di ritirare questo emendamento. Lo chiedo adesso, dopo aver constatato l'esito della precedente votazione, perché ritengo che sia più corretto.

ANTONIO LISI. Vorrei soltanto far notare alla presidenza che in questo emendamento vi è la previsione di un concorso unico.

PRESIDENTE. Certo, altrimenti non lo metterei in votazione perché sui concorsi differenziati abbiamo già votato.

ANTONIO LISI. Vi è la previsione di un tirocinio insieme e poi di una scelta in via definitiva, che, comunque, non prevedendo la possibilità di partecipare ad un concorso, non la esclude.

Dire che non si può più cambiare non è la verità. Non è previsto dal mio emendamento, ma non è che non si possa farlo. Chiunque lo voglia, potrà sostenere il concorso che noi stiamo per prevedere con l'altra norma, ed è esattamente la stessa cosa.

MARIO GRECO. A sostegno dell'emendamento Lisi, vorrei soltanto chiedere come si spieghi da parte vostra, nel momento in cui si fissa che nei primi tre anni ...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Vostra di chi?

MARIO GRECO. Da parte sua, del relatore e che viene raccomandato da parte di tutti coloro che si sono visti bocciati.

Al secondo comma si parla di un periodo di tre anni al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura ordinaria li assegna all'esercizio di funzioni giudicanti, ovvero inquirenti, previa valutazione di idoneità. Mi sapete dire come fa il Consiglio superiore a valutare l'idoneità per magistrati i quali, dal momento in cui entrano e per tutti e tre gli anni di tirocinio, sono addetti a funzioni giudicanti? Come fa a valutarne la capacità?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa è altra materia, che possiamo affrontare discutendo questo comma ma non c'entra nulla con l'impossiblità rigida, definitiva di passaggio dall'una all'altra funzione.

MARIO GRECO. Manteniamo, allora, almeno i quattro anni di cui alla proposta Lisi, sia pure aggiustando quell'indicazione di definitiva impossibilità di passaggio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non dobbiamo aggiustare nulla, c'è un emendamento.

MARIO GRECO. Però lei stesso ha detto di rendersi conto che queta formulazione impedisce...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa è altra questione. Qui stiamo votando sul principio se sia definitiva l'impossibilità di passare da una funzione all'altra.

ANTONIO LISI. Dove sta scritto che c'è questa impossiblità? È posto male il problema: non c'è questa impossibilità.

PRESIDENTE. Mi pare che il punto sia chiaro. Si insiste per la votazione.

GIULIO MACERATINI. Il gruppo di alleanza nazionale voterà a favore dell'emendamento Lisi, non perchè questi faccia parte del nostro gruppo ma perché si tratta di un emendamento che, una volta superate altre questioni, come abbiamo visto, stabilisce un principio che, secondo me, risolverebbe tutti i problemi, cioè che per passare da pubblico ministero a giudice e viceversa, pubblici ministeri e giudici devono fare un concorso come tutti i cittadini di questa Repubblica e non avere alle spalle un passaporto già concesso dal concorso precedente. È una cosa seria, che non vulnera alcun principio e che, a mio giudizio, dovrebbe essere accolta da tutti i colleghi.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il collega Maceratini, con il quale abbiamo discusso per mesi su tale questione, può notare che all'ultimo comma dell'articolo 126 prevediamo che avvocati e professori universitari in materie giuridiche possano essere inseriti negli altri gradi della giurisdizione attraverso le norme sull'ordinamento giudiziario. Quindi, il magistrato in carica, giudice o pubblico ministero che sia, deve sostenere un concorso come se iniziasse da capo la carriera, mentre avvocati e professori possono essere introdotti.

PRESIDENTE. Mi consenta, senatore Maceratini, un altro di quegli interventi che mi provocano le critiche di certi colleghi.

Io trovo che ci sia davvero in questa norma una carica di ostilità, perché in un testo costituzionale nel quale si stabilisce che un avvocato con quindici anni di esercizio può essere nominato giudice si dispone, invece, che se un magistrato che abbia svolto l'ufficio di pubblico ministero vuole fare il giudice deve sostenere il cocorso come un qualsiasi altro cittadino. Capisco che si possa avere ostilità verso i magistrati, ma che lo si debba scrivere in Costituzione mi sembra un po' forte! (Commenti del senatore Lisi).

CESARE SALVI. Anche in Germania, dove sono funzionari, ci sono casi in cui i pubblici ministeri vanno a fare i giudici.

PRESIDENTE. È quello che dicevo anch'io. Comunque, se si ritiene che si debba introdurre questa norma per cui gli avvocati possono diventare giudici mentre i pubblici ministeri debbono sostenre un concorso, facciamolo.

Pongo in votazione l'emendamento Lisi S. 126.33.

 

(È respinto).

 

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Alcuni colleghi chiedono di verificare, ma posso assicurare che sono stati espressi 26 voti favorevoli e 7 astensioni e in questo momento siamo tutti presenti. Comunque, se volete, posso contare nuovamente.

Siamo 70 e sono stati espressi 26 voti favorevoli e 7 astensioni: la norma è respinta. Comunque, se volete, ricontiamo.

ANTONIO LISI. Si può votare per appello nominale?

PRESIDENTE. Non lo abbiamo fatto per la norma che prevedeva l'elezione popolare del Presidente della Repubblica, non vorrei che lo facessimo, invece, per quella sui pubblici ministeri. Lo trovo singolare. Trovo che ci sia un rovesciamento dell'ordine di grandezza delle cose.

Ci sono 26 voti favorevoli, 7 astenuti e 69 presenti: è evidente che l'emendamento è respinto. Comunque, se volete, ricontiamo.

Il capogruppo Nania esorta ad andare avanti ed io sono d'accordo con lui.

Vorrei far rilevare al senatore Pera che l'emendamento che abbiamo testé respinto aveva effetti completamente analoghi all'emendamento che ora staremmo per porre in votazione. Infatti, non c'è dubbio che quell'emendamento prevedeva l'eliminazione dei concorsi riservati ma appunto, come è stato chiarito nel corso del dibatitto, non poteva proibire il normale accesso mediante concorso alle carriere di giudice da parte dei magistrati del pubblico ministero, che è esattamente quanto prevede l'emendamento S. 126.203. Mi pare, quindi, che su questo principio si sia già votato. Se lei insiste, lo rimetto in votazione, ma mi permetto di suggerirle questa interpretazione.

MARCELLO PERA. Presidente, mi dolgo di essere concorde con la sua interpretazione. Credo che lei si riferisca al secondo comma dell'emendamento Pera ed altri S. 126.203 e devo riconoscere che tale secondo comma avrebbe un senso qualora fosse stato approvato il precedente emendamento.

PRESIDENTE. La ringrazio.

MARCELLO PERA. Approfitto del fatto di avere la parola per sottolineare che dovremo prendere in considerazione un altro emendamento concernente non i concorsi differenziati con o senza passaggio, ma il concorso unico per la scelta tra uno e l'altro ruolo. Mi riferisco precisamente agli emendamenti Zecchino ed altri S.126.211 e S.126.8. Quest'ultimo emendamento fa salvo il primo comma così come proposto nel testo del relatore, mentre modifica il secondo ed il terzo comma. In altri termini le parole «funzioni giudicanti ovvero inquirenti» per le quali è ammesso il passaggio, vengono sostituite dall'espressione «al ruolo giudicante ovvero inquirente».

Il collega Zecchino nella sua dichiarazione di voto sull'emendamento Pera ed altre S.126.203 ha precisato che non avrebbe votato nemmeno il suo emendamento, il quale aveva valore puramente terminologico. Onestamente mi sfuggono le ragioni, anche se non chiederò adesso al senatore Zecchino di illustrarmele, della sua proposta, ma non sono convinto che l'espressione «ruolo giudicante» sia equivalente a «funzione giudicante». Questo emendamento sarebbe, in termini di gradualità, decrescente verso il testo del relatore.

PRESIDENTE. I due emendamenti sostituiscono all'espressione «funzione giudicante ovvero inquirente» quella di «ruolo giudicante ovvero inquirente». Mi consenta, senatore Pera, ma tali emendamenti non introducono alcuna modificazione al meccanismo e all'organizzazione proposta dall'articolo. Si prevede ugualmente un unico concorso, una esperienza comune di magistrato giudicante, un'assegnazione ai due ruoli ed un concorso riservato per il passaggio dall'uno all'altro. Vi è una distinzione terminologica alla quale il proponente non attribuisce un valore dirimente, ma lei dichiara di fare suo l'emendamento in questione. Vorrei sottolineare che in questa sede siamo chiamati, come del resto avevamo deciso, a votare su questioni che ciascun gruppo considerava essenziali, questioni cioè di principio di grande rilevanza. Se cominciamo a fare nostri gli emendamenti terminologici proposti da altri gruppi entriamo in una logica, del tutto legittima, di dinamica di guerriglia parlamentare, che non rientra tra i compiti della Commissione.

MARCELLO PERA. Dire che vi è un unico ordine giudiziario e due funzioni, quella giudicante ed inquirente, non è terminologicamente equivalente a dire che vi è lo stesso ordine con due ruoli. A me pare che la parola «ruoli» non sia equivalente alla parola «funzioni» e che la prima sia più congrua con l'articolazione in due sezioni del Consiglio superiore della magistratura.

Questa è la ragione per la quale chiedo di votare l'emendamento in oggetto.

PRESIDENTE. Il proponente ha ritirato - ripeto - l'emendamento, ritenendolo non essenziale ed il senatore Pera lo ha fatto proprio, secondo una tecnica che francamente in questa sede è un po' ultronea.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Mi chiedo, in effetti, se le deliberazioni precedenti non rendano in qualche misura inammissibile la votazione di tale emendamento. La Commissione ha, infatti, votato un emendamento che prevede un tipo di separazione di carriera basato sulla separazione dei concorsi. Il collega Zecchino aveva pensato in alternativa di offrire una soluzione che di fatto equivaleva a questa. Se l'emendamento non è improponibile, è evidente che può essere posto ai voti, ma personalmente ritengo sia pregiudicato dalle votazioni precedenti.

ORTENSIO ZECCHINO. Questa interpretazione per la verità non è corretta né rispetto alle intenzioni né rispetto al testo.

Vorrei chiarire anche al collega Pera che tra funzione e ruolo è una differenza di angolazione visuale; se il problema è osservato dal punto di vista ordinamentale si parla di ruolo, se invece è esaminato dal punto di vista dell'attività si può parlare di funzioni, ma non mi pare esprima concetti diversi.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Avevo preso atto positivamente del fatto che il collega Zecchino aveva ritirato l'emendamento. Egli peraltro legittimamente aveva avanzato questa proposta su questioni di cui avevamo discusso molte volte in sede di Comitato.

Credo francamente che non si dovrebbe adottare il metodo per cui quando un gruppo non insiste sui propri emendamenti, gli stessi vengono fatti propri da un altro gruppo. Ciò può succedere in aula, ma in questa sede credo che legittimamente ogni gruppo debba sostenere le proprie posizioni ed eventualmente votare a favore di quelle degli altri. Oltre tutto siamo di fronte al fatto che la Commissione (40 parlamentari su 30) hanno respinto gli emendamenti riguardanti la separazione delle carriere. Ha respinto altresì (36 parlamentari su 26, con 7 astensioni) l'emendamento Lisi che prevedeva in via definitiva il divieto di passare da una funzione all'altra.

A questo punto mi sembra che il collega Pera tenti, perché conosco la sua problematica, di reintrodurla per altra via, quella terminologica, su cui poi gli interpreti dovranno attestarsi quando la Commissione (su questo il senatore D'Onofrio ha perfettamente ragione, pur avendo egli votato a favore di quegli emendamenti) si sarà esplicitamente pronunciata.

Chiedo pertanto al presidente di non porre in votazione l'emendamento in questione e di passare ad altro punto.

ETTORE ANTONIO ROTELLI. La parola «ruolo» può essere usata in diritto e in sociologia. In questa sede la usiamo nel suo significato giuridico, che è assolutamente diverso da quello di «esercizio delle funzioni». Il «ruolo» è la pianta organica e quindi è evidente che essere iscritti ad un ruolo piuttosto che ad un altro non è la stessa cosa, così come l'esercizio di determinate funzioni in luogo di altre. Quindi, gli sforzi che vengono fatti sono degni di migliore causa.

La questione è soltanto quella di stabilire se sia legittimo o illegittimo che un emendamento proposto da un altro gruppo venga posto in votazione perché lo chiede un altro membro della Commissione. Poiché ciò è legittimo, l'emendamento, a richiesta, deve essere posto in votazione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se il ruolo è la pianta organica, è difficile esercitare il ruolo!

PRESIDENTE. Non si pone un problema di legittimità. Il problema è che in questa sede abbiamo deciso di non esaminare tutti gli emendamenti (altrimenti lo avremmo dovuto fare per 40 mila!), ma di andare ad un confronto sulle questioni che ciascun gruppo considerava essenziali: è stata una scelta metodologica e politica.

Dal punto di vista politico trovo una caduta di stile che si consideri essenziale una questione posta da un altro gruppo dal quale non è più considerata tale. Trovo che questo sia espressione di una forma di guerriglia parlamentare inadatta al metodo che ci siamo dati, non alle regole che consentono di mettere in votazione l'emendamento in questione.

MARCELLO PERA. Vorrei contestare questa sua interpretazione: non è in atto nessuna guerriglia parlamentare, ma ho cercato prima di fare un elenco sulle modalità di separazione delle carriere. Secondo la mia interpretazione, vi è un principio graduato, quello della separazione delle carriere, dei ruoli e delle funzioni. In questo momento il principio della separazione delle carriere non è stato accolto e resta valido quello della separazione dei ruoli e delle funzioni.

PRESIDENTE. Dal punto di vista dell'ordinamento, l'emendamento Zecchino ed altri S.126.8 non prevede né una modifica del meccanismo di concorso unico per il reclutamento, né incide sul concorso riservato per il passaggio da una funzione all'altra. Poiché non incide - ripeto - sull'ordinamento e sull'organizzazione dell'ordine giudiziario, esso prevede è una variazione puramente terminologica, che poi sarà oggetto di interpretazione, ma non incide, perché non tocca, il concorso unico.

MARCELLO PERA. Non tocca il concorso iniziale, né le modalità del passaggio dall'una cosa all'altra. L'una viene chiamata funzione, secondo il testo del relatore, e ruolo, secondo l'emendamento che faccio mio.

PRESIDENTE. I termini mi sembrano chiarissimi, per cui porrei in votazione i due emendamenti S.126.211 e S.126.8.

MARCELLO PERA. Sì, anche perché se fosse approvato il primo, la stessa correzione dovrebbe essere fatta al comma successivo.

PRESIDENTE. Sono riferiti entrambi allo stesso comma: uno parla di «magistratura giudicante e magistratura inquirente» e l'altro di «ruolo giudicante ovvero inquirente». Vi è una differenza terminologica, ma sono riferiti tutti e due al secondo comma. Vuole che siano votati entrambi?

MARCELLO PERA. La differenza forse è solo terminologica in quanto uno parla di «ruolo della magistratura giudicante» e l'altro di «ruolo giudicante». Chiedo quindi che venga votato l'emendamento S.126.211.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento S.126.211.

 

(È respinto).

 

Sulla stessa materia il gruppo della sinistra democratica ha presentato un emendamento su cui invito a non insistere.

PIETRO FOLENA. La ringrazio per l'invito ma questa è una decisione che avevamo già maturato. Non insistiamo per la votazione dell'emendamento S.126.6, ma ciò non vuol dire che alcune delle ragioni di merito che lo avevano ispirato, connesse con l'articolo 122, non rimangano valide. Ci riserviamo di riesaminare la questione in aula ed eventualmente di ripresentare l'emendamento. Ora vogliamo dare un contributo per non alimentare la confusione, per cui voteremo a favore dell'articolo 126, pur con le note riserve.

PRESIDENTE. Vorrei chiedere al relatore il parere sull'emendamento D'amico C.126.16, che propone la soppressione dell'ultimo comma. Il collega D'Amico, in sostanza, propone che non siano le norme sull'ordinamento giudiziario ad ammettere la nomina di avvocati, professori, eccetera, ma che questa possibilità sia prevista nelle stesse modalità indicate dal penultimo comma, dove le parole «chiamati all'ufficio di Consigliere di cassazione» dovrebbero essere sostituite con le parole «chiamati ad esercitare funzioni giurisdizio-nali».

NATALE D'AMICO. Altrimenti si svuota il primo comma.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non ho obiezioni di principio su questa proposta, però credo che i due commi abbiano interlocutori molto diversi. Il contenuto del penultimo comma è nella Costituzione vigente, anche se mai applicato (credo sia in discussione al Senato la prima legge di applicazione di quel comma), e fa riferimento alla chiamata all'ufficio di consigliere di cassazione - e noi oggi aggiungiamo «e della Corte di giustizia amministrativa» - per meriti insigni. Mentre l'ultimo comma prevede una possibilità più ampia ed elastica di inserimento nell'ordinamento giudiziario nella logica, più volte richiamata dal collega Pellegrino, di una maggiore osmosi.

La mia contrarietà quindi non è di principio, ma sarei favorevole a mantenere questa maggiore osmosi tra le varie figure di professioni giudiziarie forensi, sia pure attraverso un vaglio che in un caso è il concorso riservato, nell'altro la nomina da parte dei due CSM ed in questo fa riferimento alle norme dell'ordinamento giudiziario. Solo per questo motivo sarei contrario - e lo dico in modo problematico perché non sono contrario ad affrontare la materia - anche se capisco la preoccupazione sistematica che ha sorretto il collega D'Amico che in genere fa interventi molto calibrati e puntuali su questa materia.

Comunque, se la Commissione fosse favorevole all'emendamento, personalmente non considererei stravolto il testo.

NATALE D'AMICO. La maggior osmosi è possibile perché non stiamo vietando concorsi che consentano l'accesso al grado successivo a quello iniziale. Col primo comma stiamo vietando alla legge di disporre che si entri in magistratura se non per concorso, mentre con l'ultimo comma stabiliamo che si può entrare in magistratura in tutti i gradi anche senza concorso, essendo sufficiente una legge ordinaria.

Ritengo che l'esigenza che vi sia un'osmosi tra gli operatori della legge sia risolvibile all'interno dei primi commi che non vietano l'ingresso in magistratura in gradi diversi da quelli iniziali.

L'ultimo comma lascia un'ampia possibilità di ingresso senza concorso nella categoria dei magistrati che mi pare preoccupante, tanto da vanificare il primo comma.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si tratterà di vedere in quale forma: lo stabiliranno le norme sull'ordinamento giudiziario, tutte norme bicamerali. In questo senso non riesco ad immaginare un Parlamento che voterà delle norme attraverso le quali si accederà alla magistratura in modo «lassista».

Ho parlato spesso di bancarotta della giustizia, di crisi, di agonia, di lentezza della giustizia. Se non introduciamo norme che permettano una maggiore elasticità di risposta a questa domanda di giustizia, rischiamo di rendere vani i principi che inseriamo negli articoli 130-bis e 130-ter.

Solo per questo motivo, con il massimo rispetto per le motivazioni del collega D'Amico, mi permetto di insistere sul mantenimento del testo del relatore.

MARCELLO PERA. Sono d'accordo sul mantenimento del testo concordato in Comitato ristretto, così come indicato ora dal relatore.

ROCCO BUTTIGLIONE. Non ho capito se la proposta D'Amico sia di migliore formulazione tecnica o sostanziale. Se è una proposta sostanziale, a mio avviso va rifiutata, perché mentre il sesto comma prevede delle immissioni straordinarie (avvocati di chiara fama «che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori»), il comma successivo prevede non solo il professore ordinario ma anche il professore non ordinario, il professore associato, il giovane docente che vuole passare all'interno della magistratura, ed anche l'avvocato che non sia di chiara fama ma un giovane avvocato che voglia entrare nei ruoli. Ciò corrisponde anche ad una domanda e ad un problema che esiste di fatto all'interno della magistratura. Pertanto, o contestualmente si riformula il sesto comma sopprimendo la parola «ordinari» dopo la parola «professori» e sopprimendo dopo la parola «avvocati» le parole «che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori», oppure c'è una sostanziale differenza. Con queste due soppressioni, invece, forse riusciremmo a dire la stessa cosa in modo più elegante eliminando un comma.

NATALE D'AMICO. Considerando la proposta dell'onorevole Buttiglione, mi riservo di presentare in aula un emendamento sulla materia; quindi non insisto per la votazione dell'emendamento C.126.16.

PRESIDENTE. L'onorevole Buttiglione ha proposto una correzione formale.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Può riformularla esattamente sul piano tecnico?

ROCCO BUTTIGLIONE. Propongo di abolire la parola «ordinari» dopo la parola «professori» e di mettere il punto dopo la parola «avvocati», sopprimendo le ultime due righe e mezzo di testo.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il penultimo comma è forse perfino troppo forte, tant'è vero che non è stato mai attuato, però adesso c'è una legge in itinere per attuarlo. Se lei toglie l'aggettivo «ordinari» devo dire che ciò le fa onore, perché lei è professore ordinario; credo però che eliminare il riferimento all'anzianità degli avvocati per una nomina in cassazione ed in Corte di giustizia amministrativa sia un po' ardito. Anche in questo caso suggerirei una riflessione da parte di tutti ed un esame in aula di tali questioni.

ROCCO BUTTIGLIONE. È ovvio che in questo caso bisogna sopprimere anche il riferimento alla cassazione e alla Corte di giustizia amministrativa, in modo tale che la legge ordinaria possa poi liberamente definire qualità differenti nell'un caso e nell'altro.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Suggerisco, collega Buttiglione, di mantenere adesso il testo così com'è e di impegnarci tutti su una riscrittura della norma per l'Assemblea.

PRESIDENTE. C'era un'osservazione del collega Maceratini, ma non mi sembra che abbia un valore sostanziale.

GIULIO MACERATINI. Sì. Se vuole la illustro.

PRESIDENTE. Perché si dovrebbe eliminare al quarto comma la parola «giudicanti»?

GIULIO MACERATINI. Non la parola «giudicanti», la parola «penali»: ho sbagliato, chiedo scusa.

PRESIDENTE. Ho capito. Adesso ha un senso.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il collega Maceratini sa che ho introdotto la specificazione «penali» nel limitare questo passaggio su sollecitazione di molti colleghi nel Comitato. Personalmente non sarei contrario alla sua soppressione, però è uno di quegli elementi su cui avevamo trovato un faticoso equilibrio. Chiedo pertanto che la Commissione si pronunci al riguardo, perché, lo ripeto, era uno degli elementi di un faticoso equilibrio nell'articolo 126, dove ogni parola ed ogni aggettivo è stato studiato, come i colleghi Lisi e Maceratini sanno perfettamente.

PRESIDENTE. Si capisce dal punto di vista delle garanzie per il cittadino che un pubblico ministero non possa diventare giudice penale nello stesso distretto.

GIULIO MACERATINI. Questo è chiaro.

PRESIDENTE. Però funzioni giudicanti non penali...

GIULIO MACERATINI. Una parola sola, perché chi mi conosce in Commissione bicamerale ha sentito più volte da me, e non soltanto da me, le ragioni: in un piccolo tribunale, passare dalla procura della Repubblica a dirigere il tribunale civile significa continuare ad esercitare un potere che solo attraverso il trasferimento non prosegue nei suoi effetti che lasciano dei sospetti. Diciamo allora che la funzione giudicante è una cosa e quella inquirente è un'altra e non si possono esercitare nello stesso distretto. È un fatto di civiltà. Ferma l'unicità di carriera, ferma l'unicità di concorso, prendiamo almeno questa misura precauzionale che a mio giudizio è molto importante.

GIUSEPPE TATARELLA. Il questore non può fare il prefetto nella stessa città.

LUCIANO GASPERINI. Sono perfettamente d'accordo con l'osservazione del senatore Maceratini. A parte il fatto che il pubblico ministero interviene spesso nei procedimenti civili (si pensi solo al procedimento che riguarda la famiglia), nei piccoli tribunali la funzione del pubblico ministero ha veramente una veste preminente e può influire anche nel giudicato civile. Spesso nel giudicato civile vi è la vita stessa di una persona. Ritengo quindi che l'osservazione del senatore Maceratini meriti una riflessione. Noi siamo d'accordo sull'eliminazione della parola «penali» al quarto comma dell'articolo 126.

PIETRO FOLENA. Rivolgo al collega Maceratini un caldo invito a ripresentare questo emendamento in aula. Noi abbiamo appena ritirato un emendamento piuttosto significativo. L'articolo è imperfetto, possiamo migliorarlo in aula, ma un intervento così mi sembrerebbe improprio, perché la formulazione secca secondo cui le funzioni giudicanti e quelle del pubblico ministero non possono mai più essere svolte nel medesimo distretto giudiziario è pesante. In prima battuto invito a considerare la questione, affrontandola tuttavia in una fase successiva in aula. Se questo invito non dovesse essere accolto, e quindi se eliminassimo l'aggettivo «penali», dovremmo almeno inserire un termine temporale, «nei successivi cinque anni»; diversamente, considererei questa come una di quelle norme inutilmente vessatorie e punitive.

MARCELLO PERA. Vorrei accogliere l'invito del collega Folena ad introdurre nel testo un limite temporale, per cui chiedo al collega Folena se sia disposto ad accettare il limite di dieci anni durante i quali non si possono cambiare funzioni nel medesimo distretto.

PRESIDENTE. Ora non si può aprire questo tipo di negoziato. Il Comitato ristretto è il luogo in cui si chiede di accettare una norma; qui, se si richiede di votare, si vota, altrimenti si procede. Non possiamo aprire questo tipo di negoziato.

GIULIO MACERATINI. Presidente, io insisto.

TIZIANA PARENTI. Se il presidente consente, vorrei svolgere una dichiarazione di voto, nel senso di annunciare che voterò contro, poiché quanto abbiamo scritto lo avremmo potuto fare tranquillamente con la legge ordinaria, lasciando una possibilità a chi magari potrebbe essere, in un prossimo futuro, un pochino più all'altezza e più maturo di noi. Voi vedete che la stampa ne parla quotidianamente; avete letto ieri il bellissimo articolo...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Collega Parenti, ma adesso il presidente stava mettendo in votazione la proposta Maceratini...

TIZIANA PARENTI. Se possibile, vorrei anticipare il mio voto sull'articolo, perché poi dovrò assentarmi.

Anche questo che voi fate è semplicemente da legge ordinaria...

PRESIDENTE. Voi chi, scusi? Noi, si dice, signora; questa Commissione.

TIZIANA PARENTI. Certo.

PRESIDENTE. D'accordo, pongo in votazione la proposta del senatore Maceratini soppressiva della parola «penali» al quarto comma dell'articolo 126.

 

(È respinta - Commenti).

 

PIERFERDINANDO CASINI. Signor presidente, facciamo una verifica.

PRESIDENTE. Sta bene.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho contato i voti con scrupolo, come sempre, ma pregherei i colleghi di sedere.

PRESIDENTE. Ripetiamo la votazione. Prego il segretario, senatore D'Onofrio, di avvicinarsi al banco della presidenza per collaborare alla conta dei voti.

 

(Segue la votazione).

 

Il risultato della votazione è confermato.

Pongo in votazione l'articolo 126 predisposto dal relatore.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso riferiti, non integralmente assorbiti, come da elenco in allegato.

Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 127, già pubblicato nell'allegato alla seduta precedente (prego gli uffici nel frattempo di distribuire la nuova formulazione dell'articolo 124 accantonato questa mattina).

MARIO GRECO. Desidero svolgere qualche breve osservazione, sottolineando innanzitutto che apprezzo l'accoglimento di parte dei molti emendamenti presentati, in particolare sui principi di responsabilità, correttezza e riservatezza accolti nel quinto comma dell'articolo. Debbo però esprimere qualche perplessità sulla formulazione complessiva dell'articolo stesso, in particolare sul primo comma che riguarda l'inamovibilità e non fa alcuna distinzione fra giudici e pubblici ministeri. Ricordo, innanzitutto a me stesso, che la proposta iniziale conteneva un rischio per l'indipendenza del giudice nel momento in cui subordinava l'inamovibilità ad esigenze meramente organizzative. La formulazione attuale, invece, non tiene presente l'obiettiva esigenza di un coordinamento tra le varie indagini e le eventuali esigenze di spostamento dei magistrati del PM sul territorio a seconda delle varie emergenze connesse alle manifestazioni della criminalità, oltre che alle esigenze di coprire le cosiddette sedi disagiate. Lo Stato è dovuto ricorrere ad incentivi economici in questi casi.

Sul quarto comma non credo valga la pena di soffermarsi giacché mi sembra sia stato già respinto l'emendamento che inseriva il riferimento ai ruoli invece che alle funzioni. Mi permetto però, conclusivamente, alcune proposte: soppressione del riferimento ai pubblici ministeri nel primo comma; inserimento alla fine del terzo comma della possibilità di trasferimento dei PM per ragioni di funzionalità degli uffici giudiziari.

Vorrei si accogliesse infine una raccomandazione, che rivolgo soprattutto al relatore, perché credo che quanto sto per dire ponga anche un problema di legittimità costituzionale. Intendo dire che andiamo a fare una norma incostituzionale con la nuova Costituzione. Mi riferisco all'ultimo comma, cioè alla norma che consente ai magistrati di partecipare alle competizioni elettorali a condizione che si dimettano prima della presentazione delle liste elettorali.

Ove mai dovesse condividersi questa costituzionalizzazione - dirò poi alla fine il motivo per cui io non la condivido - bisognerebbe a mio avviso essere coerenti e andare fino in fondo, prevedendo un'ulteriore condizione e cioè che possano farlo «in collegi non compresi nella regione nel cui ambito abbiano esercitato le loro funzioni negli ultimi cinque anni». È questo il contenuto degli emendamenti Pera ed altri S.127.205 e Parenti ed altri C.127.75.

Perché dico questo, perché bisogna avere questo coraggio di andare fino in fondo? Perché, se è vero che abbiamo costituzionalizzato questo principio, ciò lo si deve al timore che il «potere» giudiziario venga esercitato anche per scopi «politici» elettorali. Quindi, dire soltanto che devono dimettersi e poi permettere ciò dove un magistrato ha esercitato le proprie funzioni giudiziarie fino al giorno prima delle dimissioni, credo che non ci consenta di perseguire l'obiettivo che vogliamo raggiungere.

Nutro anche molte perplessità sulla legittimità dell'intera previsione, poiché mi sembra che vada a violare il principio di uguaglianza dei cittadini fissato nella prima parte della Costituzione, considerato che analoga previsione non è contemplata in alcun altra parte della Costituzione stessa, né è prevista in alcuna norma della riforma di cui ci stiamo occupando, rispetto ad altri soggetti che versano in condizioni analoghe o quasi identiche a quelle dei magistrati, non fosse altro per la delicatezza delle funzioni pubbliche esercitate. Mi riferisco, per esempio, ai prefetti, agli alti graduati delle forze dell'ordine e delle Forze armate, per i quali non esiste una norma analoga a questa dei magistrati.

Ricordo poi a me stesso, e anche a voi che avete partecipato alla votazione di una recente legge, che questa materia è stata regolamentata con una legge ordinaria, per cui non vedo perché dobbiamo prevederla in Costituzione. Sotto questo aspetto, mi sembra che sia eccessivamente e ingiustificatamente penalizzante questa previsione per la magistratura.

PRESIDENTE. Quindi, lei propone la soppressione dell'ultima frase.

MARIO GRECO. Sono contro quella previsione.

MASSIMO VILLONE. Intervengo sull'ultimo comma dell'articolo 127, che credo non rechi una formulazione felice perché, pur partendo da problemi veri da tempo acquisisti alla nostra riflessione, mi sembra che arrivi a risultati solo in parte condivisibili.

Il nucleo più solido di questo ultimo comma è quello in cui si vuole introdurre una norma che ponga un ostacolo alla contiguità del giudice rispetto al potere politico o al potere economico, cioè dove si fa riferimento agli arbitrati, al distacco presso ministeri o pubbliche amministrazioni. Qui si coglie un punto da tempo presente nel dibattito, però la formulazione che si adotta, soprattutto nella prima parte del comma, conduce poi a conseguenze certamente non volute: se la norma passasse così creeremmo - faccio due esempi a tutti comprensibili - enormi difficoltà di funzionamento alla Commissione antimafia; renderemmo assai difficile il funzionamento del Ministero di grazia e giustizia. Determineremmo la paradossale conseguenza per cui alla formazione dei magistrati, che oggi si discute debba essere affidata ad un percorso postuniversitario necessario ed unico, non potrebbero partecipare i magistrati stessi, e sarebbe veramente singolare vederla affidata esclusivamente a professori universitari e ad avvocati. Mi sembra quindi che questa formulazione vada al di là dell'intenzione, in buona parte giusta, di chi ha scritto la norma.

Vorrei dunque sapere dal relatore se, riprendendo in parte emendamenti presentati da noi e da altre parti politiche, si possa pensare ad una riscrittura, che io ho cercato di fare in qualche modo e che sono pronto a consegnargli se lo ritenga opportuno, di modo che si abbia una più precisa formulazione della norma per quanto riguarda il nucleo condivisibile e condiviso, credo, da larga parte di noi; quindi, una formulazione più flessibile con il rinvio alla legge per il resto. Penserei, per intenderci, ad una norma di questo genere, che segnalo al relatore: «I giudici ordinari amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono far parte di collegi arbitrali o svolgere incarichi di Governo», essendo questo il nucleo più solido del problema. Lascerei poi alla legge il resto dicendo: «La legge regola le altre incompatibilità e le condizioni di partecipazione alle competizioni elettorali». Coglierei poi il punto da ultimo evidenziato anche dal senatore Greco precisando che resta comunque esclusa la partecipazione dove sono state esercitate le funzioni nei cinque anni precedenti«, quindi riducendo la portata del divieto costituzionale, rinviando alla legge e rendendo per il resto più flessibile l'intero meccanismo. Mi sembra che questo coglierebbe l'obiettivo che si vuole realizzare senza determinare le conseguenze, certamente paradossali, che diversamente verrebbero in essere.

Chiedo quindi al relatore se ritenga accettabile una formulazione di questo genere, che è frutto di emendamenti presentati sia da parte nostra sia da altre parti politiche.

FAUSTO MARCHETTI. Noi abbiamo votato a favore dell'articolo 126 ma ciò non significa che lo condividevamo pienamente, anzi, vi sono parti sulle quali vorremmo tornare a discutere in aula; mi riferisco, in particolare, al comma terzo, dove è previsto che il passaggio tra l'esercizio delle funzioni giudicanti...

PRESIDENTE. Stiamo all'articolo 127, senatore Marchetti.

FAUSTO MARCHETTI. ... e del pubblico ministero è successivamente consentito soltanto a seguito di concorso riservato. Volevo lasciare a verbale queste nostre riserve in ordine all'articolo 126 nonostante il voto favorevole che abbiamo espresso.

Per quanto riguarda l'articolo 127, concordo con le osservazioni dei colleghi Greco e Villone a proposito dell'ultimo periodo dell'ultimo comma. Credo che qui siamo realmente di fronte ad una norma che violerebbe chiaramente il terzo comma dell'articolo 51 della Costituzione vigente, il quale garantisce che chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro. Qui invece lo obblighiamo a dimettersi prima di presentarsi alle elezioni. Quindi, è una norma che va tolta dal testo costituzionale. Mi pare che ciò sia già stato detto dai colleghi Greco e Villone.

Esprimo anche molte riserve, anzi chiederei che fosse tolta dal testo, sulla norma di cui al quinto comma, per la quale i giudici ordinari amministrativi e i magistrati del pubblico ministero si attengono ai principi di responsabilità, correttezza e riservatezza. Ciò mi sembra cosa del tutto ovvia e certo non in grado di esaurire la completezza delle prescrizioni che occorrerebbe rivolgere ai magistrati, ad altri funzionari, eccetera. Mi sembra, piuttosto, che in questo caso si tratti di un richiamo che si vuole rivolgere ai magistrati. Credo che sia giusto criticarli, credo che vi sia ampia libertà di critica per i comportamenti di tutti - compresi quelli dei magistrati -, credo che vi siano norme particolari che questi ultimi debbano rispettare (norme specifiche, spesso riferite ad essi soltanto, che non sempre vengono rispettate) ma mi sembra veramente inopportuna collocare in Costituzione un richiamo come quello contenuto al quinto comma dell'articolo 127.

 

NATALE D'AMICO. Il quinto comma, dove è detto che i giudici ordinari ed amministrativi ed i magistrati del pubblico ministero si attengono ai principi di responsabilità, correttezza e riservatezza, a me sembra il tipico comma che allude, nel senso che la responsabilità, la correttezza e la riservatezza sono doveri di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione.

Propongo quindi che il principio sia riferito all'articolo 80, ed ovviamente si applichi anche ai magistrati. Propongo quindi che questo comma sia soppresso e le stesse parole siano semmai inserite all'articolo 80.

GIOVANNI PELLEGRINO. Concordo con il collega Villone, presidente: forse l'ultimo comma meriterebbe una riscrittura. Determinerà, comunque, la necessità di una norma transitoria, perché l'impatto in alcuni settori della pubblica amministrazione nell'immediato potrebbe essere devastante. Segna, piuttosto, un obiettivo da raggiungere nel tempo: mi domando - per esempio - come potrebbe funzionare da un giorno all'altro il Ministero di grazia e giustizia senza i magistrati che vi lavorano. Riconosco tuttavia che l'obiettivo è giusto e condivisibile.

Vorrei poi esprimere non una contrarietà ma una perplessità sul quinto comma, in una logica lievemente diversa da quella dell'intervento di D'Amico.

Abbiamo distinto nettamente le funzioni del pubblico ministero e quella del giudice; abbiamo addirittura previsto due «suborgani» di rappresentanza, le due sezioni del CSM; il concorso riservato è stato previsto come metodo di passaggio da una funzione all'altra. Mi sembra che da tutto questo dovrebbe derivare regole deontologiche diverse. Il grado di riservatezza richiesto ad un giudice, per esempio, diventa improprio per il pubblico ministero, visto che quest'ultimo fa un lavoro diverso.

PRESIDENTE. Lei è a favore del mantenimento del quinto comma, sulla previsione costituzionale della correttezza?

GIOVANNI PELLEGRINO. Non c'è dubbio, ma potrebbe essere oggetto di una formulazione migliore, che affiderei all'Assemblea. Ritengo che dovrebbe essere la legge a distinguere i doveri deontologici in rapporto alla diversità della funzione.

PRESIDENTE. Qual è il parere del relatore?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Presidente, anche la norma sulle incompatibilità - sicuramente molto rigorose - si inquadra in quell'insieme di risposte a tutta una serie di esigenze che erano state prospettate da vari gruppi nel corso dei lavori del Comitato. Tali esigenze andavano in direzione diversa dalla separazione delle carriere e da altre questioni sulle quali abbiamo discusso e votato (con esito negativo): si muovevano nel senso di inserire nella Costituzione i principi - più volte richiamati - di responsabilità, correttezza e riservatezza. È vero che essi possono essere estesi anche ad altre «categorie», ma queste ultime non hanno la possibilità di portare i cittadini sotto processo, di disporre della loro libertà, di distruggere (se del caso) la dignità di un cittadino prima che esso sia condannato definitivamente. Quindi, omologare i magistrati ad altri funzionari della pubblica amministrazione non mi sembra condivisibile. È vero che anch'essi devono rispettare questi principi, ma qui siamo di fronte a persone che se non adottano il criterio della riservatezza possono distruggere una persona, per esempio semplicemente commentando pubblicamente una comunicazione giudiziaria o una richiesta di proroga delle indagini; se non applicheranno i principi di correttezza e di responsabilità, possono provocare danni devastanti a beni di primaria importanza che riguardano i cittadini.

Ecco la ragione per cui è stato inserito il quinto comma, peraltro su richiesta di molti colleghi.

Per quanto riguarda la possibilità di trasferire i pubblici ministeri per esigenze di funzionalità della giustizia, ho ripetutamente proposto in Comitato ristretto la norma che il collega Greco ha prospettato oggi, ma i colleghi di forza Italia mi hanno chiesto di sopprimerla. È difficile che ora, all'ultimo momento, riproponga una modifica del secondo comma, che è già diverso rispetto alla Costituzione vigente, perché non si parla più di difesa ma di contraddittorio. Peraltro la modifica auspicata dal collega Greco è fondata. Ma quando l'ho avanzata forza Italia mi ha chiesto esplicitamente di sbarrare quella strada. In questa sede non vorrei riaprire la questione. Parlo di forza Italia non perché abbia più potere del gruppo della sinistra democratica, per esempio, ma perché in quel caso fu proprio il gruppo di forza Italia ad opporsi alla mia proposta, avanzata esattamente allo scopo di poter combattere meglio la criminalità organizzata e di rafforzare l'ufficio del pubblico ministero nelle sedi più esposte.

Per quanto concerne le incompatibilità previste all'ultimo comma, sono a favore di un mantenimento del testo attuale (salvo l'ultimo periodo, che considero un problema a parte). Ritengo che già nel testo scritto della Costituzione si dovrebbe dare una risposta positiva all'esigenza sollevata dal collega Pellegrino, il quale ha parlato della necessità di una disposizione transitoria. Ebbene, proprio nelle pagine successive del fascicolo che contiene i testi al nostro esame i colleghi potranno trovare una disposizione transitoria: «I primi due periodi dell'ultimo comma dell'articolo 127 si applicano a decorrere dal terzo anno successivo all'entrata in vigore della presente legge costituzionale». Ciò significa che il legislatore e l'amministrazione hanno tre anni di tempo per rispondere al problema di sostituire progressivamente i magistrati in funzioni diverse da quelle giudiziarie o giurisdizionali con personale - di qualificazione adeguata - che possa rispondere alle esigenze che essi stanno assolvendo all'interno dei ministeri e delle altre amministrazioni. Naturalmente è una questione che non può essere risolta in tempo reale, cioè nell'immediato.

Non possiamo proclamare il principio dell'incompatibilità senza poi prevederlo concretamente. Ecco perché personalmente sono contrario ad un rinvio alla legge: ciò significherebbe non fare queste norme, come abbiamo sistematicamente verificato in cinque decenni di storia repubblicana.

Sono invece favorevole - laddove lo si ritenga - a riformulare l'ultimo periodo del comma sesto, riguardante la partecipazione alle competizioni elettorali. Si potrebbe prevedere, innanzitutto, che i magistrati che abbiano preso parte alle competizioni elettorali siano in ogni caso (anche se non eletti, oppure quando rientrino nella magistratura dopo il mandato) assegnati ad altra sede o ad altro distretto; in secondo luogo, si potrebbe stabilire che i magistrati possono partecipare a competizioni elettorali soltanto in collegi o in circoscrizioni diversi da quelli in cui negli ultimi anni abbiano esercitato la funzione giudiziaria o giurisdizionale. Personalmente, quindi, sono favorevole a rendere meno rigido e più articolato l'ultimo periodo; occorre però procedere ad una riscrittura. Forse si potrebbe passare alla votazione del testo dando mandato al relatore di procedere alla riformulazione dell'ultimo periodo nel senso che ho ricordato.

Su tutto il resto sono a favore del mantenimento del testo che abbiamo elaborato in Comitato ristretto e che non ha più subito cambiamenti in tutte le versioni successive.

MASSIMO VILLONE. Presidente, apprezzo l'intento del relatore, ma scrivere in Costituzione che i magistrati non possono partecipare, per esempio, a quello che sarà il procedimento di formazione di altri magistrati non è a mio avviso condivisibile.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questo non è affatto escluso.

MASSIMO VILLONE. È scritto così: «qualunque altro ufficio, incarico e professione». Questa è la mia interpretazione, ma anche l'interpretazione di tutti i tecnici che abbiano letto la disposizione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Vorrei risponderle. Se introduciamo esplicitamente in Costituzione - cosa che non abbiamo ancora fatto - il compito della formazione attribuito ai Consigli superiori della magistratura è evidente che esso non sarà affatto escluso dagli incarichi ai magistrati. Comunque, se il dubbio sussiste, sono favorevole ad una formulazione che chiarisca il passaggio. Diverso è rinviare alla legge per tutte le incompatibilità che non siano relative a funzioni di governo. Sono contrario perché questa è una norma di rigore costituzionale che abbiamo deciso in tutte le sedi del Comitato ristretto di inserire nel testo della Costituzione.

FRANCESCO SERVELLO. Presidente, l'onorevole Iotti diceva: «Apprezzate le circostanze»... Se blocchiamo un po' lo «straripamento» del relatore - peraltro bravissimo - forse potremmo anche riuscire a vedere la partita questa sera: che ne dice?

PRESIDENTE. Non lo so: ora il collega Villone chiede di nuovo la parola su questa tematica...

MASSIMO VILLONE. Per la verità vorrei dire anch'io che non si possono fare le cose in questo modo. Se vogliamo procedere in modo ordinato, facendo sì che ognuno esprima le proprie ragioni, bene; diversamente, non credo sia opportuno dare alcun mandato al relatore.

PRESIDENTE. Propongo allora di votare l'articolo 127, eccezion fatta per l'ultimo comma, per il quale diamo mandato al relatore di predisporre una proposta che esamineremo successivamente (darò poi indicazioni sulla prosecuzione dei nostri lavori).

Pongo pertanto in votazione l'articolo 127, limitatamente ai primi cinque commi.

 

(È approvato).

 

Risultano pertanto respinti tutti gli emendamenti riferiti a tali commi.

Avverto che è stato distribuito il nuovo testo dell'articolo 124.Ritengo - apprezzate le circostanze - che per la serietà del nostro lavoro non sia pensabile che il dibattito si svolga mentre il relatore ed io siamo qui e una parte rilevante dei colleghi fa la spola tra l'aula e la televisione posta in anticamera: rischiamo di separare le carriere dei magistrati per errore o di scambiare le mani levate per un voto con quelle che si innalzano per festeggiare un gol della nazionale, e questo non è possibile, trattandosi della Costituzione!

Comunico alla Commissione che l'ufficio di presidenza ha deciso che nella mattinata di domani si concluda l'esame degli emendamenti; allo scopo di fare ciò, avverto che la Commissione è convocata per le ore 9 di domani mattina. Avverto sin d'ora che la Commissione sarà successivamente riconvocata in seduta plenaria martedì 4 novembre prossimo per l'esame delle modifiche di carattere non formale che interverranno nel lavoro di coordinamento. Il Comitato ristretto comincerà invece a lavorare domani pomeriggio, subito dopo la conclusione dell'esame degli emendamenti.

Il seguito dell'esame è pertanto rinviato alla seduta di domani, alle ore 9.

 

La seduta termina alle 18.20.



 

 

COMMISSIONE PARLAMENTARE

PER LE RIFORME COSTITUZIONALI

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 

 

 

70.

 

 

Seduta di giovedì 30 ottobre 1997

 

presidenza del presidente massimo d’alema

 

 

 

 


La seduta comincia alle 9.15.

 

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

 

Seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione (C. 3931 - S. 2583).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.

Onorevoli colleghi, proseguiamo l'esame degli emendamenti riferiti alle disposizioni in materia di giustizia: mentre si provvede alla distribuzione del nuovo testo dell'ultimo comma dell'articolo 127, ieri accantonato in attesa di una sua riformulazione sulla base dei suggerimenti emersi nel corso della discussione, vorrei chiedere se vi sono osservazioni per passare intanto all'articolo 128...

LUCIANO GASPERINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO GASPERINI. Signor presidente, se oggi sono in quest'aula non è certo per la volontà di un principe o per concorso o per diritto di nascita: sono qui perché eletto dal popolo italiano. È proprio in questa veste di rappresentante del popolo italiano che io protesto e dichiaro la mia indignazione per un fatto di estrema gravità. Ho letto e sentito da organi di informazione che la giunta esecutiva di una associazione di magistrati ha rassegnato le dimissioni per protesta in ordine a decisioni adottate da questa Commissione in materia di giustizia. Ebbene, di fronte al dramma di alcune persone che soffrono la carcerazione per avere espresso le loro idee (mi riferisco ad alcuni signori che sono saliti sul campanile di San Marco), di fronte al fatto che i massimi dirigenti...

ANTONIO SODA. Quella è una libera associazione. Non dica menzogne.

LUCIANO GASPERINI. Mi lasci parlare. Non le permetto di offendere.

ANTONIO SODA. Quelli sono stati condannati da un tribunale italiano per detenzione di armi e per sequestro...

LUCIANO GASPERINI. Lei pensi a parlare quando sarà il suo turno. Io l'ho sempre ascoltata in dignitoso silenzio.

PRESIDENTE. Onorevole Soda, lasci parlare il senatore Gasperini.

LUCIANO GASPERINI. Rispetti le mie parole!

ANTONIO SODA. E lei rispetti prima la verità!

LUCIANO GASPERINI. Io tolgo a lei il diritto di criticare!

PRESIDENTE. Onorevole Soda!

ANTONIO SODA. Non confonda le libere associazioni con la detenzione delle armi ed il sequestro!

LUCIANO GASPERINI. Stia zitto! Lei non ha partecipato al processo, ma ne ha letto le notizie solo sui giornali ed anche sommariamente!.

Signor presidente, mentre i massimi dirigenti del movimento a cui appartengo e decine di militanti sono sottoposti a processo penale per aver espresso le loro idee, questa associazione di magistrati si è permessa di convocare il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia per spiegare il suo dissenso di fronte ai cosiddetti probiviri (ma questo sostituto si è guardato bene dal rispondere a questa convocazione); ebbene, di fronte a questi fatti, io mi sento accerchiato nella libertà di espressione della mia opinione; io mi sento spossessato del diritto di concorrere - sia pure dal punto di vista dell'opposizione di cui faccio parte - alla formazione delle leggi.

Credo che questa sia un'invadenza di un potere dello Stato. Io rispetto la stragrande maggioranza dei magistrati italiani che compiono il loro dovere, ma non rispetto questa risoluzione; l'avrei rispettata se essi avessero deciso di dimettersi dal ruolo di magistrato, non sentendosi più di svolgere il loro ruolo di giudici in questa situazione. Queste dimissioni mi sembrano rassegnate «un po' per celia e un po' per non morir»!

Per concludere, in questa sede, io protesto come cittadino, come avvocato, come parlamentare e come membro di questa Commissione e rassegno a lei, signor presidente, in questo momento le mie dimissioni. Grazie.

PRESIDENTE. Senatore Gasperini, pertanto lei intende dimettersi da membro di questa Commissione ipso facto? Ci lascia?

LUCIANO GASPERINI. Mi dispiace farlo, signor presidente.

PRESIDENTE. Anche a me dispiace e le auguro una buona giornata. La informo, tuttavia, che deve dimettersi presso il Presidente del Senato e non presso di me. Infatti, è il Senato della Repubblica che deve provvedere a sostituirla secondo le norme previste dalla legge costituzionale.

LUCIANO GASPERINI. Per il momento l'ho fatto davanti a lei.

PRESIDENTE. La ringrazio per avermene informato.

L'associazione dei magistrati non è un'istituzione dello Stato, ma di cittadini privati. In questa sede noi non abbiamo discusso dello sciopero promosso dagli avvocati a sostegno della separazione delle carriere dei magistrati: si è trattato di una libera iniziativa, per cui ora non vedo perché dovremmo discutere della presa di posizione di un'associazione privata qual è l'ANM. Essa può essere giudicata opportuna o inopportuna: io stesso in una mia dichiarazione, al di fuori di quest'aula, l'ho giudicata eccessiva. Tuttavia, tale atteggiamento, pur facendo parte del dibattito politico, non ha alcuna rilevanza istituzionale, per cui non capisco le ragioni della sua protesta in questa sede che è una sede istituzionale dove ognuno opera liberamente e senza condizionamenti, né degli avvocati, né dei magistrati, né di altre categorie le quali legittimamente e nel rispetto delle leggi dello Stato possono protestare, emettere comunicati, prendere posizioni. Ci troviamo in un paese libero e ciò può essere fatto finché non si violano le leggi: quando ciò accade, vi è un controllo di legalità e si può andare in carcere come le persone alle quali lei ha fatto riferimento con parole elogiative che, secondo me, non erano ben indirizzate.

LUCIANO GASPERINI. Per le loro idee essi possono soffrire. Una persona condannata comunque soffre!

PRESIDENTE. L'ho ascoltata con garbo ed ho pregato l'onorevole Soda di lasciarla parlare, ma debbo dire che in Italia non vi sono persone incarcerate per le loro idee: ci sono stati alcuni cittadini che sono stati incarcerati per aver sequestrato e presidiato con le armi un monumento.

È per questo che non ne parlerei come di perseguitati per le loro idee e non esalterei un crimine in una sede parlamentare.

LUCIANO GASPERINI. Signor presidente, queste persone sono inquisite anche per il delitto - pensate bene! - di guerra civile davanti alla magistratura di Verona. Tale delitto, un tempo, era punito con la pena di morte, ora solo - si fa per dire - con l'ergastolo.

PRESIDENTE. È in corso un'indagine. Queste persone hanno diritto alla difesa. Resto comunque dell'avviso che in questa sede non si possa parlare di persone incarcerate per le loro idee: essi sono stati condannati per aver commesso un reato, previsto come tale. Non credo che nel Parlamento della Repubblica italiana si possa difendere o valorizzare l'azione di chi, con le armi, ha occupato il campanile di San Marco. Non credo sia ragionevole farlo. Il tema è esaurito!

LUCIANO GASPERINI. Forse, non ci siamo compresi! Queste persone (colpevoli o innocenti, lo dirà il giudice) soffrono per le loro idee. Che le abbiano messe in atto in maniera sbagliata...

PRESIDENTE. Soffrono per gli atti che hanno compiuto, non per le loro idee. Soffrono per aver compiuto degli atti contro la legge, con le armi in pugno, senatore! Per le loro idee non soffrono. In altri paesi si soffre per le proprie idee, non nel nostro nel quale vi è libertà!

Torniamo all'esame degli emendamenti (già pubblicati nell'apposito fascicolo) riferiti all'articolo 128, il cui testo è pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre. Vi sono osservazioni?

MARCELLO PERA. Signor presidente, questa querelle mi ha distratto. Che ne è del nuovo testo del relatore riferito all'ultimo comma dell'articolo 127?

PRESIDENTE. Ho annunciato all'inizio della seduta che, poiché il nuovo testo del relatore sull'articolo 127 era in distribuzione, avremmo esaminato l'articolo successivo. Questo avevo detto prima «dell'invasione del campanile di San Marco»!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Chiederei al presidente di consentire anche la distribuzione di una nuova versione dell'articolo 124 con una lievissima modifica rispetto al testo proposto ieri. Poiché non se ne è ancora discusso, pregherei che il nuovo testo fosse distribuito ora.

PRESIDENTE. Mentre si distribuiscono questi testi, vorrei sapere se i colleghi intendono svolgere osservazioni all'articolo 128. Era stata avanzata una puntualizzazione di carattere linguistico, nel senso che appariva inelegante l'espressione «degli estranei» che, peraltro, è tecnicamente propria essendo stata ripresa dalla Costituzione.

Tuttavia, qualora vi fossero ipotesi più «eleganti», le potrete prospettare in sede di coordinamento. In questa fase mi interessa sapere se vi siano obiezioni sostanziali.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Vorrei ricordare che la formulazione dell'articolo in esame non ha subito alcuna modifica rispetto al testo approvato nel mese di giugno.

MARCELLO PERA. Da parte nostra, non ci sono osservazioni: abbiamo sopportato l'espressione «estranei» per 50 anni e possiamo ancora continuare a farlo!

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 128.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso riferiti.

Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 129.

Il testo di tale articolo (già pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre) contiene una novità importante e, a mio giudizio, anche positiva. In particolare, si prevede il filtro di una legge, allo scopo di definire le modalità in base alle quali l'autorità giudiziaria dispone della polizia giudiziaria.

FAUSTO MARCHETTI. Credo che un elemento importante da salvaguardare sia quello, già previsto, in base al quale l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. Prevedere, come fa la formulazione in esame, che «la legge ne stabilisce le modalità», sembrerebbe far emergere una preoccupazione sul versante - come dire? - della tutela della polizia giudiziaria. Ripeto: a mio avviso, va salvaguardata pienamente la possibilità, in capo all'autorità giudiziaria, di disporre della polizia giudiziaria. Non avverto quindi la preoccupazione che sembrerebbe emergere dal secondo periodo dell'articolo e, anzi, ritengo che l'attuale testo della Costituzione presenti un carattere prescrittivo più netto rispetto al testo complessivo qui proposto. Mi auguro che l'intento perseguito non sia quello di limitare la possibilità dell'autorità giudiziaria di disporre direttamente della polizia giudiziaria ma, piuttosto, di assicurare che tale possibilità sia effettiva. La mia preoccupazione è, non tanto quella di una possibilità eccessiva dell'autorità giudiziaria di disporre della polizia, quanto, piuttosto, che le polizie si sottraggano alla dipendenza che, ai fini previsti in questo caso, è disposta rispetto all'autorità giudiziaria.

In definitiva, ritengo sia da preferire il testo attuale e mi auguro comunque che l'intenzione perseguita sia quella alla quale ho fatto riferimento. Ci troviamo di fronte ad una norma che - come dire? - riemerge, in coda, dopo essere apparsa nei testi da noi esaminati e, successivamente, eliminata. Nel momento in cui si poteva ritenere che tale norma non sarebbe stata reintrodotta, la ritroviamo invece nel testo. Certo, non si tratta di una vicenda particolare: nei nostri lavori accade anche questo. Ciò che ho voluto dire è che preferisco il testo vigente.

MARIO GRECO. Rilevo, con un apprezzamento al relatore, che l'integrazione della norma in base alla quale «la legge ne stabilisce le modalità», ha accolto in pratica, a mio parere in modo opportuno, alcuni degli emendamenti proposti. Nel mio emendamento 129.1 avevo suggerito di modificare una dizione che per la prima volta compare nella nuova Costituzione che ci accingiamo a definire. Mi riferisco all'espressione «autorità giudiziaria», con riferimento alla quale - ripeto - mi sono permesso di suggerire di adoperare - a fini meramente formali - l'espressione: «i pubblici ministeri e i giudici». È vero che nei codici penale e di procedura penale si usa l'espressione «autorità giudiziaria» per indicare indifferentemente sia il pubblico ministero sia il giudice. Tuttavia, considerato che, almeno così mi pare, in altre disposizioni non è indicato... (Commenti del relatore Boato). Forse c'è qualche altro articolo?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sì, l'articolo 13.

MARIO GRECO. Ad ogni modo, si trattava di un'indicazione di carattere formale, al fine di un coordinamento tra le norme.

Presidente, mi sono distratto nel momento in cui siamo passati all'approvazione dell'articolo 128, con riferimento al quale vorrei suggerire...

PRESIDENTE. Visto che abbiamo già approvato l'articolo 128, potrà farlo in sede di coordinamento.

MARIO GRECO. Proporrei di utilizzare l'espressione «cittadini estranei», già utilizzata nel comma 3 dell'articolo 120. Chiedo se sia possibile accogliere questo suggerimento in sede di coordinamento.

PRESIDENTE. Certo, senatore Greco.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non ho alcuna contrarietà al riguardo.

GIULIO MACERATINI. Siamo favorevoli al testo proposto dal relatore Boato, trattandosi di una formulazione che mira a chiarire un rapporto che è stato e continua ad essere conflittuale. Sappiamo che la polizia giudiziaria è uno degli strumenti dei quali si deve avvalere tutta l'autorità giudiziaria, cioè i magistrati del pubblico ministero e i giudici, ma che la stessa è fornita fisicamente dalle strutture dell'apparato statale che provvede all'ordine pubblico e agli altri compiti di polizia.

L'impiego di questi uomini ha sempre creato una difficoltà obiettiva derivante dalla duplicità della natura degli stessi i quali, per un verso, dipendono funzionalmente dall'autorità giudiziaria e, per altro verso, invece, dagli organi e dagli istituzioni di appartenenza. Un fatto è certo: questo problema deve essere chiarito e la legge lo potrà fare nel tempo, con la saggezza e le cautele necessarie. Riteniamo che l'opportuno richiamo alla definizione delle modalità potrà servire a far capire che questa disponibilità diretta della polizia giudiziaria non è priva di limiti, incontrollata o, addirittura, arbitraria, ma è in ogni caso governata dalla legge, che deve essere sovrana anche in questo campo.

PRESIDENTE. A questo punto, credo che i termini della questione siano chiari.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Accetto la proposta del collega Greco con riferimento all'articolo 128 e, a mia volta, propongo che in sede di coordinamento formale sia introdotta nel testo la dizione «dei cittadini estranei».

GIULIO MACERATINI. Attenzione: gli interpreti o i periti spesso sono stranieri!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'obiezione del collega Maceratini fa comprendere come il costituente abbia sempre misurato le parole. Si tratta di un'obiezione, per la quale ringrazio Maceratini e sulla quale invito il senatore Greco a riflettere un attimo, che considero fondata. Indubbiamente, potrebbe accadere che gli interpreti o i periti utilizzati siano cittadini non italiani. L'obiezione del senatore Greco sembrava fondata sotto il profilo linguistico, ma credo che Maceratini ci abbia opportunamente spiegato la ragione per la quale il costituente abbia utilizzato l'espressione «estranei» e non, invece, «cittadini estranei». A questo punto, quindi, può rimanere inteso di attenerci all'articolo 128 nella formulazione approvata. Del resto, vedo che lo stesso senatore Greco fa cenni di assenso... Grazie.

Quanto all'articolo 129, vorrei dire che l'aggiunta al testo della Costituzione vigente era già stata da me proposta il 10 settembre scorso - non si tratta, quindi, di una novità di oggi - su richiesta di alcuni colleghi...

FAUSTO MARCHETTI. Non ho detto che si tratta di una novità di oggi: ho solo detto che la norma è ritornata fuori dopo essere stata eliminata...!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Posso replicare, oppure mi è impedito? (Commenti del senatore Marchetti). La ringrazio.

Nella formulazione del 10 settembre appariva un unico periodo, la cui parte finale, preceduta da una virgola, così recitava: «secondo modalità stabilite dalla legge». Alcuni colleghi hanno obiettato che tale formulazione poteva essere interpretata in modo limitativo, per cui abbiamo diviso la formulazione in due periodi: il primo, riproduce il dettato della Costituzione vigente, se non ricordo male l'articolo 119; il secondo, volto a prevedere: «La legge ne stabilisce le modalità», per le ragioni che colleghi di vario orientamento e lo stesso presidente hanno opportunamente sottolineato. Propongo quindi che il testo sia approvato in questi termini.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione per parti separate dell'articolo 129.

FAUSTO MARCHETTI. Voteremo a favore della prima parte e in senso contrario alla seconda.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il primo periodo dell'articolo 129.

 

(È approvato).

 

Pongo in votazione il rimanente periodo dell'articolo 129.

 

(È approvato).

 

Risultano censeguentemente respinti tutti gli emendamenti riferiti a tale articolo, non integralmente assorbiti come da elenco in allegato.

Riprendiamo l'esame dell'ultimo comma dell'articolo 127, nella nuova formulazione elaborata dal relatore sulla scorta del dibattito svoltosi (v. allegato Commissione bicamerale).

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho riformulato l'ultimo comma dell'articolo 127 in base al dibattito svoltosi ieri sera; in particolare, ho riformulato sia i primi due periodi che riguardano le incompatibilità, sia l'ultimo periodo che concerne invece la partecipazione alle competizioni elettorali. Il testo che propongo è, pertanto, il seguente: «I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono svolgere attività arbitrali o di controllo né essere distaccati presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, fatta eccezione per il Ministero della giustizia, i Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa e le amministrazioni che svolgono attività imparziali o di garanzia. La legge determina le incompatibilità con qualunque altro ufficio, incarico e professione. Non possono partecipare alle competizioni elettorali nella regione in cui hanno esercitato le loro funzioni negli ultimi cinque anni né essere assegnati, per i successivi cinque anni, a sedi comprese nelle regioni nei cui territori siano stati candidati o eletti».

In questo modo ho anche recepito l'emendamento del collega Greco, le osservazioni del collega Villone e varie istanze emerse nel corso del dibattito di ieri.

È evidente che, alla luce di tale formulazione, non vi è più alcuna necessità di mantenere in vita la seconda disposizione transitoria.

LEOPOLDO ELIA. Nella formulazione proposta dal relatore, in particolare nella parte preceduta dall'espressione «fatta eccezione», sarebbe opportuno introdurre un riferimento alla Corte costituzionale, visto che, in gran parte, tutti gli assistenti sono magistrati; se non vi fosse tale specificazione, sarebbe impossibile avvalersi di questi ultimi. Credo che l'espressione «le amministrazioni che svolgono attività imparziale o di garanzia» si riferisca alle autorities.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non sarei contrario ad accogliere la proposta del senatore Elia.

MASSIMO VILLONE. Anch'io credo che si tratti di una giusta indicazione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. A questo punto, allora, si tratta di inserire le parole «per la Corte costituzionale,» subito dopo le parole «fatta eccezione».

GIULIO MACERATINI. Quando si elencano le eccezioni ci si accorge che ci si dimentica sempre qualcosa. Ovviamente, c'era da aspettarsi che il riferimento alla Corte costituzionale fosse suggerito dal collega Elia, in ragione delle sue ben note e meritorie radici. Tuttavia, anche qualcun altro se ne era accorto. A me sembra che forse sarebbe più saggio stabilire prima il principio che i magistrati non possono avere distrazioni presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, poi indicare una riserva di legge per casi tassativi che poi spetta alla saggezza del legislatore ordinario indicare, altrimenti ci troveremo sempre nei guai.

Colgo l'occasione per dichiarare la mia adesione all'ultima parte dell'articolo, che mi pare recepisca in maniera equilibrata un problema e la sua possibile soluzione.

FAUSTO MARCHETTI. Con la formulazione del relatore si andrebbe a costituzionalizzare proprio quello che invece bisogna evitare, cioè in primo luogo il fatto che i magistrati siano distaccati presso il Ministero della giustizia; ciò è in netta contraddizione con la discussione generale che abbiamo svolto sul problema dell'indipendenza della magistratura. Da un lato vogliamo sottolineare l'indipendenza della magistratura e le attribuiamo ad un organo di autogoverno, dall'altro consentiamo che i magistrati vadano a svolgere funzioni amministrative presso il Ministero della giustizia.

Credo allora che la formula proposta dal collega Maceratini, in linea di massima mi sembra condivisibile; stabilire il divieto netto e poi rimettere eventuali eccezioni alla legge mi sembra preferibile alla soluzione indicata dal relatore, anche se personalmente preferisco il testo attuale.

Quanto all'ultimo periodo, invece, mi sembra che la soluzione prospettata dal relatore possa risolvere il problema, almeno per il momento salvo migliore riflessione.

STAFANO PASSIGLI. Anch'io penso sia forse preferibile che la Costituzione sancisca un principio, rimettendo al legislatore ordinario le deroghe. Qualora invece mantenessimo il testo proposto dal relatore, consiglierei di non parlare di amministrazioni che svolgono attività imparziale, poiché in un altro articolo abbiamo riaffermato il principio che tutta la pubblica amministrazione è imparziale; se si intende far riferimento alle amministrazioni di garanzia, credo si possa omettere questo inciso che potrebbe creare confusione.

MARCELLO PERA. Aderisco alla proposta del collega Maceratini, anche perché questo argomento è stato trattato a lungo e ricordo perfettamente...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il rinvio alla legge ordinaria riapre tutta quella pluralità che volevamo impedire con una più rigorosa incompatibilità, se rinviamo alla legge ordinaria non abbiamo risolto nulla.

MARCELLO PERA. Vorrei far osservare che per mesi e mesi in Comitato ristretto siamo andati avanti immaginando un regime di rigida incompatibilità, ricordo che la ragione di questa rigida incompatibilità soprattutto per quel che riguarda il distacco dei magistrati presso il Ministero della giustizia era voler evitare che i magistrati intervenissero nel processo di formazione delle leggi, sia pure in maniera surrettizia come consiglieri del principe o della classe politica. Ricordo che il relatore era concorde su questo.

Ricordo anche che ci ponemmo un problema: se si fissa un rigido regime di incompatibilità, da un giorno all'altro, dal momento dell'approvazione della Costituzione, organi importanti come il Ministero di grazia e giustizia vengono a trovarsi privi dell'ausilio rappresentato dai magistrati. Quando fu posto questo problema, rinviammo ad una norma transitoria e questa mi sembrava una buona soluzione sulla quale avevo capito che tutti fossero d'accordo.

FAUSTO MARCHETTI. A quanto ho capito, la proposta del collega Maceratini rimanda ad una riserva di legge escludendo comunque i ministeri.

MARCELLO PERA. La mia proposta è di tornare all'antico, cioè alla formulazione immediatamente precedente a quella distribuita questa mattina dal relatore, perché il problema è stato a lungo esaminato e delibato ed una soluzione è stata individuata. In Comitato ristretto si era pensato di far entrare questo regime di rigida incompatibilità a scadenza futura attraverso una norma transitoria, ritenendo che nel frattempo potessero essere approntate quelle scuole di formazione alla professione giudiziaria e forense le quali avrebbero potuto fornire anche in Italia, come accade in altri paesi, quella classe di pubblici funzionari per la giustizia che avrebbero potuto essere di ausilio al ministro, alla Corte costituzionale e agli altri. Questa era la proposta sulla quale pensavo ci fosse un accordo ampio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ha comunque ascoltato il dibattito di ieri sera?

MARCELLO PERA. Se cominciamo con le eccezioni, sono qui a dimostrarle che ci sono tante altre eccezioni non previste nella sua ultima formulazione dell'articolo 127 e se andiamo avanti con le riserve di legge introdurremo una infinità di eccezioni. Allora perché non essere coraggiosi come siamo stati per mesi e mesi pensando di aver obiettivamente risolto il problema non facendo entrare immediatamente in vigore una norma di rigida incompatibilità e concedendo al legislatore il tempo per approntare quella classe di funzionari esperti o magari nel frattempo utilizzare professori universitari, avvocati o altri per supplire a questa incompatibilità?

Chiedo quindi al relatore e ai colleghi di tornare alla formulazione precedente.

PRESIDENTE. La questione presenta due aspetti distinti. Il primo riguarda la norma in materia di partecipazione alle competizioni elettorali, sulla quale mi pare non ci sia discussione nel senso che si dà atto al relatore di aver risolto con la nuova formulazione le obiezioni sollevate. Sono invece in discussione le norme sull'incompatibilità: nulla impedisce di ripristinare il testo precedente dell'articolo 127, essendo chiaro che quello comporta la norma transitoria, mentre il nuovo testo non la comporterebbe.

MASSIMO VILLONE. Credo che i termini siano chiari, ma forse bisogna sottolineare un punto. Il ritorno alla formulazione originaria a mio avviso è davvero insostenibile perché credo che essa vada al di là delle stesse intenzioni di chi l'ha proposta. Inserire nella Costituzione un divieto formulato in modo tale che un magistrato non può più nemmeno far parte della commissione per l'esame di procuratore legale mi pare sia al di là di ogni ragionevole intenzione. Credo pertanto che la formula, pensata a fin di bene, sarebbe destinata a produrre effetti sicuramente non ragionevoli e non ragionati, quindi va superata.

Lo si può fare o con la tecnica dell'eccezione per elenco, che è quella in qualche misura usata nella nuova formulazione del relatore, in cui si è cercato di individuare alcune ipotesi in cui sembrava comunque chiaro che potesse accettarsi la presenza di magistrati attraverso lo strumento del distacco; oppure con un rinvio alla legge come mi pare proponesse il collega Maceratini; oppure con un rinvio alla legge che abbia una limitazione specifica, come «salvo le eccezioni stabilite dalla legge limitatamente a...». Dobbiamo quindi scegliere tra queste diverse tecniche di redazione legislativa, sempre assumendo che è davvero singolare che si voglia mettere in Costituzione un divieto assoluto per qualunque magistrato per tutta la vita di questa Costituzione a prendere parte in qualche modo alle attività del Ministero di grazia e giustizia. Non mi sembra siano questioni da stabilire in Costituzione in questa forma, anche nel caso si preferisse la scelta radicale del divieto; credo siano da lasciare ad una sede legislativa ordinaria che ha la necessaria flessibilità.

Conclusivamente mi sembra che la scelta utile potrebbe essere quella di un rinvio alla legge con un ambito limitato, cioè porre in principio il divieto di attività arbitrale o di controllo e di distacco presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, innestando il rinvio alla legge per quanto riguarda le eccezioni limitatamente alla Corte costituzionale, al Ministero di grazia e giustizia, ai Consigli superiori di magistratura ed alle autorità di garanzia. Mi fermerei a questi perché se si va oltre, e si va sul terreno degli organi costituzionali in generale, si impatta con la possibilità che ci sia un distacco presso qualunque ministero, un gabinetto del ministro o una segreteria particolare.

ORTENSIO ZECCHINO. Presidente, questo è un punto sul quale abbiamo discusso a lungo nel Comitato. Vorrei ribadire alcuni principi e fare una proposta. Non solo ci siamo ispirati, nei nostri lavori, al mantenimento dell'indipendenza più assoluta, totale, dell'ordine giudiziario, ma per certi versi abbiamo anche sottolineato questa indipendenza in modo più evidente nelle norme che abbiamo predisposto. Ma proprio per la condizione particolare che continuiamo a riservare agli appartenenti dell'ordine giudiziario, dobbiamo evitare qualunque contaminazione e non possiamo utilizzare, in questa delicata materia, la tecnica del rinvio alla legge ordinaria.

Il dibattuto problema della presenza di magistrati in pubbliche amministrazioni è stato oggetto di valutazioni approfondite che ci hanno condotto al testo in esame. È fin troppo notorio il dato oggettivamente contaminante (e uso questo termine che dovrebbe essere interpretato nel senso più neutrale, cioè nel senso della compenetrazione in funzioni che non sono proprie): la presenza di magistrati negli uffici legislativi finisce per essere di orientamento delle politiche legislative, e questo non giova a nessuno. Quindi, dobbiamo mantenere rigida questa preclusione, con una sola eccezione. Il bagaglio culturale di cui dispongono i magistrati non può essere ghettizzato e non utilizzato nelle sole istituzioni in cui non influisce direttamente sulla vita politico-istituzionale, bensì sull'accrescimento culturale. Intendo riferirmi agli incarichi didattici: per utilizzare la formula dell'articolo 33, direi «istituzioni di alta cultura, università e accademie».

La storia, anche giuridica, la cultura giuridica del nostro paese non si è formata nelle università soltanto ad opera degli accademici professionali, ma molto anche per l'apporto dato da grandi magistrati. Chi appartiene, più o meno, alla mia generazione sa che il diritto privato, per esempio, lo abbiamo studiato e appreso in molti da un grande testo scritto da Andrea Torrente, grande magistrato che svolgeva anche funzioni didattiche. Credo che sarebbe un grave errore utilizzare una formula totalmente preclusiva che impedisca l'utilizzo di queste grandi esperienze. L'unica eccezione che farei, perciò, dato che non è contaminante con le attività politico-istituzionali, e che consente l'utilizzo di questo grande bagaglio che esiste nella magistratura, l'unico utilizzo che farei dei magistrati al di fuori dei compiti di istituto è quello della possibile partecipazione ad attività didattiche in queste istituzioni e, va da sé, anche nelle scuole di formazione (ma credo che questo sia implicito, anche se non lo diciamo).

La formulazione che proporrei è dunque la seguente: dopo il primo periodo dell'ultimo comma dell'articolo 127, aggiungere le parole «eccezion fatta per gli incarichi didattici in istituzioni di alta cultura, università e accademie».

GIORGIO REBUFFA. Tre questioni. In primo luogo, e mi rivolgo al relatore, non ho capito l'argomentazione per cui il testo originario è stato cambiato con l'aggiunta del regime delle eccezioni.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Le rispondo subito: a seguito del dibattito di ieri sera e dell'accantonamento del comma che abbiamo insieme deciso.

GIORGIO REBUFFA. Ho capito. Secondo. Scrivere in Costituzione un regime di eccezioni costituisce una tecnica di redazione francamente un po' sconcertante, a meno che non si preveda un regime di eccezioni generalizzato - è una tecnica che piace molto al common law - per cui, anche nella parte sulla pubblica amministrazione, stabiliamo che, per esempio nel Ministero della protezione civile, i dipendenti non possono essere distaccati se non in alcuni casi eccezionali. Questa tecnica delle eccezioni in Costituzione è proprio incongrua. Terza questione, e mi rivolgo al presidente. La settimana scorsa il presidente ricordava una certa attività di lobbying che ha visto in certi articoli che abbiamo discusso. La questione delle attività extragiudiziarie dei magistrati ordinari, ivi compresa la possibilità di partecipare all'attività degli uffici legislativi del Ministero di grazia e giustizia (quindi dove nascono gli orientamenti legislativi), è da tempo definita una lobbying istituzionale. Naturalmente, io credo che non vi sia stata alcuna attività di lobbying in questa direzione, ma per evitare che vi sia anche il sospetto è meglio tornare al testo originario. Così com'è questa riformulazione non credo sia degna di divenire testo costituzionale.

MARCELLO PERA. Soltanto una precisazione in merito alla proposta del collega Zecchino. Supponiamo che un giorno il legislatore voglia introdurre, per quanto riguarda l'università, una norma, che peraltro sarebbe ragionevole, che esiste in tutti i paesi, secondo la quale chi è professore universitario deve fare soltanto quello.

ORTENSIO ZECCHINO. Ma no!

MARCELLO PERA. Questa è una norma che varrebbe per tutti tranne i magistrati (Commenti del senatore Zecchino).

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sì, ma si tratta di contratti, di forme di insegnamento... non è che un magistrato fa il professore ordinario, perché ovviamente non lo può fare.

MARCELLO PERA. Con questa eccezione gli sarebbe concessa la facoltà di fare il professore incaricato, ogni anno, presso un'università. Può essere una buona cosa, ma è la prima eccezione ragionevole cui potrei aggiungere diverse altre eccezioni ragionevoli.

ORTENSIO ZECCHINO. Ma inseriamo solo questa, non altre!

RENATO GIUSEPPE SCHIFANI. Vorrei ricordare come di questo aspetto si sia parlato a maggio nel Comitato forma di Stato, in occasione della discussione della problematica attinente alla pubblica amministrazione. In quella occasione io stesso ebbi a rilevare come l'utilizzazione presso le alte gerarchie burocratiche dei magistrati presso il Ministero di grazie e giustizia determini anche una disparità di trattamento retributivo tra il direttore generale dipendente della pubblica amministrazione e il magistrato che svolge analoghe mansioni godendo, per il fatto di appartenere alla magistratura, di una retribuzione ben diversa, ben superiore a quella del primo. Questo aspetto è stato posto ed approfondito. L'eventuale utilizzazione del magistrato presso i ministeri, laddove vada a svolgere funzioni altamente burocratiche - perché nella maggior parte dei casi questa è l'utilizzazione della classe togata presso il Ministero di grazia e giustizia -, determina uno scompenso che dovrebbe costituire oggetto di attenta riflessione da parte della Commissione.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al relatore, vorrei rispondere all'onorevole Rebuffa, che si è rivolto al presidente. Mi pare che le ragioni per cui il relatore ha lavorato ad una ristesura risiedono nel fatto che è stato sollecitato da molti colleghi che sono intervenuti in questa sede. Personalmente, sono favorevole ad una norma rigida di incompatibilità (questa è la mia opinione personale). Penso che se ci incamminiamo sulla via dell'elencazione delle eccezioni non ne usciamo. Naturalmente, una norma rigida di incompatibilità comporta una norma transitoria, ma questa c'è. Tuttavia, forse è ragionevole che possano esservi delle eccezioni. Due sono state già prospettate: le attività formative e la Corte costituzionale. Se scegliamo la via di un'indicazione rigida di incompatibilità come norma costituzionale, possiamo forse prevedere la possibilità che, per legge, ci possano essere delle eccezioni. Questo rovescia completamente il criterio attuale, perché una cosa è fare una legge che stabilisce le incompatibilità, altra cosa è, sulla base di un'incompatibilità rigida prevista costituzionalmente, ammettere la possibilità che la legge possa espressamente e in modo motivato prevedere delle eccezioni. Credo che questo abbia un senso. Non è un'elencazione di eccezioni, è un rovesciamento del criterio. La norma è l'incompatibilità, l'eccezione deve essere prevista da una legge (ma bisogna farla, e sono operazioni anche complesse che richiedono una volontà politica attiva).

Credo che in questo modo si potrebbe raggiungere un equilibrio rispetto alle esigenze prospettate. Ma mentre sulla seconda parte penso che la formulazione fosse inutilmente punitiva e quella attuale mi sembra più appropriata, sulle incompatibilità vedo il valore di una norma di incompatibilità, perché credo che corrisponda a quel criterio di indipendenza della magistratura cui si è riferito in particolare il senatore Marchetti, e che credo sia un principio di assoluto valore.

MARCELLO PERA. Presidente, mi scusi: pensi anche al valore programmatico di quella norma con il vincolo rigido, cioè alla possibilità che finalmente lo Stato si attrezzi con una classe di funzionari che possono esercitare questi ruoli. Salva l'eccezione - capisco ragionevole - del collega Zecchino, la seconda eccezione, apparentemente anch'essa ragionevole (la Corte costituzionale), se avessimo una scuola di alta amministrazione o di educazione per la magistratura, non sarebbe più ragionevole. Intendo dire che un regime di incompatibilità rigida, salvo la norma transitoria, ha anche questo valore di stimolo programmatico per la classe politica attuale a creare una classe di pubblici funzionari che metterebbe il nostro Stato in condizione di competere con gli altri. Temo la strada sdrucciolevole rappresentata dal regime delle eccezioni affidate alla legge ordinaria: vedrà quel giorno quante ragionevoli eccezioni sarebbero in essa elencate! È esattamente la cosa che per mesi e mesi, in sede di Comitato, abbiamo cercato di escludere, ed io preferirei, proprio per queste ragioni anche programmatiche, che tale soluzione non fosse accettata.

PRESIDENTE. Però è diverso. Di fronte ad una norma generale che prevede l'incompatibilità, fare una legge che preveda le eccezioni comporta una volontà politica attiva. Molto diverso è dover fare una legge che prevede le incompatibilità: impresa non invidiabile nella quale qualche collega si adopera. Ma, stabilita l'incompatibilità, se si deve fare una legge approvata dalle Camere che stabilisce le eccezioni, questo comporta una volontà attiva: non è la stessa cosa. Comunque, ho avanzato un'ipotesi. Altrimenti, si vota sui due testi alternativi, non c'è problema.

SALVATORE SENESE. Credo che, molto realisticamente, dobbiamo porci alcune domande prescindendo dalle esigenze qui esposte in generale e che io personalmente condivido, essendo fautore del restringimento massimo di questa dispersione.

È immaginabile, domani, a regime, una volta superato il momento transitorio, che l'ufficio che abbiamo appena istituito di procuratore generale eletto dal Parlamento per la persecuzione degli illeciti disciplinari possa funzionare senza magistrati, cioè senza avvalersi di un sapere specifico alimentato non soltanto da studi specifici, ma anche da una particolare esperienza, da un vissuto?

È immaginabile che l'attività di formazione che abbiamo assegnato ai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa possa prescindere da un ufficio studi formato da magistrati?

Potrei continuare con queste eccezioni. Voglio arrivare fino all'estremo, cioè quello che considero personalmente più opinabile. Chi di voi colleghi (tutti, visto che siamo in regime di alternanza), candidato possibilmente a ricoprire la carica di ministro di grazia e giustizia, pensa di poter gestire questo dicastero senza un magistrato, soltanto con le attuali competenze o con quelle che potranno uscire da una futura scuola della pubblica amministrazione?

ORTENSIO ZECCHINO. Ma c'è anche l'università, che non viene mai utilizzata per questi incarichi. Non diciamo che tutto il sapere giuridico è dei magistrati.

SALVATORE SENESE. Sarò l'ultimo a dirlo, questo, per carità! So quanto sapere giuridico si disperde, per così dire, e non viene valorizzato nelle università.

Quindi, va bene, all'ultima domanda mi risponde il collega Zecchino: io, Zecchino, ministro di grazia e giustizia, sono sicuro di far funzionare al meglio la macchina senza nemmeno un magistrato. Ne prendo atto, ma rimangono le altre tre domande. Ecco, da qui, l'esigenza di prevedere, in qualche modo, un minimo di eccezioni. Allora, abbiamo due strade: o le prevediamo analiticamente, con gli inconvenienti di estetica istituzionale ed il rischio di dimenticare qualcosa, oppure prevediamo un divieto generale - come qui viene fatto - ed una possibilità per il legislatore di derogarvi, indicando, però, l'ambito entro cui la deroga è legittima. Io formulo una proposta, poi, naturalmente, non faccio alcuna difficoltà, anche perché credo di essere, tra tutti i presenti, quello che sulla materia ha le posizioni meno ferme, per così dire. Sono aperto, mi preoccupo solo di quello che può succedere, di come potrà funzionare questo Stato che si vuol costruire, non d'altro. Allora, l'eccezione cui facevo riferimento potrebbe essere a mio avviso così formulata: dopo aver indicato tassativamente i divieti, si potrebbe inserire l'espressione «salve le eccezioni stabilite dalla legge per incarichi o distacchi presso uffici che svolgono attività strettamente connesse con l'amministrazione della giustizia». Questo mi parrebbe (Commenti)... Allora, ditemi voi come il Consiglio superiore può effettuare la formazione dei magistrati...

ORTENSIO ZECCHINO. Ma quello non attiene all'amministrazione della giustizia!

SALVATORE SENESE. Come, non attiene all'amministrazione della giustizia! Ma, vivaddio, se fin dal primo anno di università si insegna che il Consiglio superiore della magistratura è organo di amministrazione della giurisdizione! Pizzorusso, il maggior costituzionalista italiano, l'ha spegato molto bene. È inutile richiamare l'università se poi non si leggono le cose che si fanno all'università! Abbiate pazienza, colleghi, io capisco tutto, però l'università significa sapere, competenza ed evitare di parlare a vanvera! Ho finito.

MARIO GRECO. Intervengo molto brevemente, replicando a quanto ha detto adesso il collega Senese a proposito della necessità di avere un apporto dei magistrati anche in materia di legislazione, magari proveniente dal Ministero di grazia e giustizia, quindi con riferimento ad iniziative governative. Un tale apporto lo abbiamo indirettamente già introdotto attraverso un organismo, il Consiglio superiore della magistratura, perché...

PRESIDENTE. Senatore Greco, il collega Senese non si riferiva all'attività legislativa, ma a quella amministrativa.

MARIO GRECO. La mia osservazione è valida anche per l'attività amministrativa. Nel momento in cui abbiamo un organismo come il Consiglio superiore della magistratura che in materia, appunto, di amministrazione può dare il suo apporto ed è formato anche da magistrati, credo che quel contributo di idee e di esperienza della magistratura, del potere giudiziario, possa essere fornito proprio attraverso questo organismo, non attraverso i singoli magistrati, che oltre tutto sono necessari all'amministrazione della giustizia nello svolgimento del loro compito di ufficio. Oggi ci lamentiamo tanto del fatto che la macchina giudiziaria non funziona bene anche per insufficienza di magistrati: ebbene, vi sono molti magistrati distaccati presso i ministeri e sarebbe bene che venissero fatti tornare al loro ruolo naturale.

PRESIDENTE. Analizziamo ora con ordine le possibili formulazioni sulle quali ci pronunceremo con il voto. Prego, onorevole relatore.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Nell'ipotesi che il presidente ponga in votazione soluzioni alternative (sempre ad esclusione dell'ultimo periodo del comma, sul quale voteremo separatamente e su cui mi sembra vi sia un largo consenso), propongo di aggiungere, all'ultima formulazione dell'articolo 127, comma 1, dopo l'espressione «fatta eccezione», le parole «per la Corte costituzionale», mantenendo inalterato il seguito. In accoglimento di un'obiezione sollevata dal collega Marchetti, propongo inoltre che dopo l'espressione «che svolgono attività» vengano tolte le parole «imparziale o», mantenendo quindi solo il riferimento all'attività di garanzia: l'obiezione era infatti fondata. Sono solo queste le eventuali modifiche che propongo.

MARCELLO PERA. Scusi, onorevole relatore, l'espressione «fatta eccezione per la Corte costituzionale» sostituisce quella «fatta eccezione per il Ministero della giustizia», oppure si aggiunge?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si aggiunge.

PRESIDENTE. Senatore Pera, lei deve anche stare attento, indipendentemente dalla simpatia.

MARCELLO PERA. Ma io sto attento.

PRESIDENTE. L'onorevole Boato sta dicendo che verranno messe in votazioni due ipotesi: una è quella della norma rigida sull'incompatibilità e l'altra quella appena illustrata. Poi lei voterà, se crede, a favore della norma rigida.

MARCELLO PERA. Signor presidente, io stavo attento, ma siccome le cose che ci stupiscono spesso non si percepiscono, allora...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ma lei non deve essere affatto stupito perché un relatore ascolta con attenzione il dibattito.

PRESIDENTE. Ed anche le opinioni degli altri, oltre alle sue, che sono certamente primarie.

MARCELLO PERA. Signor presidente, non sono soltanto le mie.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se poi, per cortesia, mi lascia finire, potrà ascoltare cosa dirò sul resto.

MARCELLO PERA. Mi sta zittendo, signor relatore.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sì, la prego di lasciarmi finire. Ho detto che, nell'ipotesi in cui il presidente ponga in votazione in alternativa i due testi, per quanto riguarda quello distribuito questa mattina ho proposto le due modifiche poc'anzi ricordate, sempre che, ripeto, venga messo in votazione.

ORTENSIO ZECCHINO. Non ci dica che siamo distratti: può ripeterle?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Per quanto riguarda il testo base proposto originariamente dal relatore (la nuova formulazione, infatti, è stata sollecitata dal dibattito di ieri sera, se qualcuno non era presente non è colpa mia, io ho ascoltato chi c'era), le modifiche che suggerisco sono le seguenti: innanzitutto, al sesto comma, all'espressione «non possono far parte di collegi arbitrali», propongo di sostituire la nuova formula utilizzata nel testo di questa mattina, ossia «non possono svolgere attività arbitrali o di controllo». Propongo inoltre che vengano modificate la parte iniziale e quella finale dello stesso periodo, per cui il testo risulterebbe, in definitiva, del seguente tenore: «Fermo restando che i giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono svolgere attività arbitrali o di controllo, né essere distaccati presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, la legge può stabilire i casi in cui possono svolgere attività diverse da quelle di ufficio». In questo modo si risponde alle questioni dell'insegnamento, delle commissioni e della formazione, però resta ferma l'incompatibilità rigida per quanto riguarda i ministeri e le pubbliche amministrazioni. Quest'ultima formulazione è sicuramente più rigida dell'altra, ma intermedia rispetto alla rigidità assoluta del testo di partenza.

Chiederei quindi al presidente di non porre in votazione il testo originario da me presentato, bensì, alternativamente, o il testo da ultimo riformulato (che posso rileggere, se i colleghi non hanno ben compreso), oppure quello indicato subito prima, con il riferimento alla Corte costituzionale e la soppressione dell'aggettivo «imparziale».

PRESIDENTE. Va bene, è tutto chiaro.

MARCELLO PERA. Signor presidente, per non essere ulteriormente accusato di distrazione, poiché le modifiche suggerite sono state lette in fretta, potrebbe essere così gentile da ripeterle lentamente?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il primo dei testi, quello più rigido per intenderci, recita quanto segue: «L'ufficio di giudice ordinario ed amministrativo e di magistrato del pubblico ministero è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico e professione. Fermo restando che i giudici ordinari ed amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono svolgere attività arbitrali o di controllo, né essere distaccati presso ministeri o altre pubbliche amministrazioni, la legge può stabilire i casi in cui possono svolgere attività diverse da quella di ufficio». C'è poi il periodo relativo alle elezioni, che però verrà votato separatamente.

Poi c'è l'altra formulazione, quella che è stata distribuita questa mattina, ma con l'aggiunta, che ho in precedenza proposto, del riferimento alla Corte costituzionale e con la soppressione dell'aggettivo «imparziale».

GIUSEPPE CALDERISI. Mi scusi, signor presidente: la questione è molto delicata, quindi credo sia necessario distribuire un testo scritto, altrimenti non si può votare.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. A me pare molto chiaro, però se volete predisporrò, alla luce del dibattito svoltosi, un'ulteriore formulazione dell'ultimo comma dell'articolo 127, si tratta solo di impiegare qualche minuto in più.

PRESIDENTE. Si tratta di due ipotesi alternative, chiaramente espresse, che tengono conto di quanto emerso dalla discussione: si tratta solo di effettuare, con il voto, una scelta.

GIOVANNI RUSSO. Presidente, in realtà c'era una terza ipotesi ed io vorrei che fosse nuovamente sottoposta all'attenzione della Commissione. Nel testo distribuito questa mattina, si proponeva di sostituire le parole da «fatta eccezione» in poi con le seguenti: «salve le eccezioni tassativamente stabilite dalla legge». In tal modo si eviterebbe un'indicazione analitica che è imperfetta. Cito, infatti, solo due esempi: il procuratore eletto dal Parlamento per l'esercizio dell'azione disciplinare ha bisogno di un ispettorato e non potrà utilizzare un magistrato; inoltre, la Corte di giustizia amministrativa (Commenti)... No, non è un'amministrazione pubblica. Allora, eventualmente, anziché «le amministrazioni», bisognerebbe dire «gli organi costituzionali che svolgono attività di garanzia», comprendendo così la Corte costituzionale, i consigli superiori, la Corte di giustizia amministrativa ed anche le autorità indipendenti previste dalla Costituzione. Tuttavia io credo che la formula cui ha fatto riferimento in precedenza il presidente, ossia «salve le eccezioni tassativamente» (o «espressamente») «stabilite dalla legge» sia quella che consente di indicare la necessità del rigore, lasciando però al legislatore ordinario la potestà di valutare i vari casi.

PRESIDENTE. Ma il relatore ha accolto la possibilità che vi siano eccezioni previste dalla legge, tuttavia ha inserito alcune limitazioni... Onorevole Salvi, se lei chiede una sospensione per una riunione del gruppo, posso anche consentire.

CESARE SALVI. No, signor presidente, mi scusi.

PRESIDENTE. Sembrava una discussione animata.

Dicevo che la legge può indicare i casi in cui è possibile fare un'eccezione, tuttavia si stabilisce una limitazione, mantenendo ferma la proibizione di svolgere attività arbitrali o di essere distaccati presso i ministeri o altre pubbliche amministrazioni.

GIOVANNI RUSSO. Certamente una limitazione per i magistrati è necessaria e la legge in discussione...

MARCO BOATO. Collega Russo, lei sta dicendo una cosa del tutto legittima, ma che confligge con altre posizioni. Adesso dovremo votare. Come il collega Pera non può pretendere di imporre la sua posizione, neanche lei può farlo.

GIOVANNI RUSSO. Proponevo la terza formula.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si può votare anche la terza ipotesi.

PRESIDENTE. Sì, sì; si può votare tutto, è naturale.

Per consentire che, secondo la richiesta avanzata dall'onorevole Calderisi, tutte queste formulazioni vengano messe per iscritto, accantoniamo l'argomento e passiamo all'esame, accantonato nella seduta di ieri, degli emendamenti riferiti all'articolo 124, del quale il relatore ha elaborato una nuova formulazione, alla luce delle modifiche introdotte all'articolo 122.

GIULIO MACERATINI. Signor presidente, desidero osservare che nel lodevole tentativo di dare razionalità al sistema che prevede due sezioni del CSM ed una composizione a sezioni riunite (cui occorrerà evidentemente assegnare delle funzioni che debbono essere di unità dell'ordine giudiziario), si fa una cosa rispetto alla quale nutro alcuni dubbi: più che un intervento, quindi, la mia è una richiesta di chiarimento al relatore.

Le funzioni che vengono attribuite alle sezioni riunite sono innanzitutto quelle relative alle assunzioni e mi pare che qui vi sia una logica, visto che il meccanismo di accesso alla magistratura è unitario; vi sono poi quelle inerenti alla formazione ed a questo proposito vale ciò che ho detto per le assunzioni, quindi siamo d'accordo; sono inoltre d'accordo per quanto concerne i passaggi di funzione, perché si passa dall'attività di pubblico ministero a quella di giudice con valutazione, appunto, complessiva. Vi è però un punto sul quale nutro forti dubbi, ma, come diceva quel comico napoletano, «voglio essere spiegato», ossia chiedo un chiarimento: non capisco perché le assegnazioni che riguardano i giudici o i pubblici ministeri non possano e non debbano essere effettuate dalle sezioni di appartenenza.

PRESIDENTE. Credo ci sia un equivoco, perché è evidente che ci si riferisce alle assegnazioni all'una o all'altra funzione (Commenti). Come, no...

GIULIO MACERATINI. Il termine, nella pratica del CSM, viene attribuito ad altre cose: si assegna un magistrato, per esempio, alla Corte d'appello di Catanzaro per un periodo transitorio... Allora, mi pare che vi sia un'invasione di campo, è questo il punto che volevo chiarire bene.

PRESIDENTE. Il relatore si riferisce alla previsione secondo cui, dopo un periodo di tirocinio, si assegna un magistrato all'una o all'altra funzione.

ORTENSIO ZECCHINO. No.

PRESIDENTE. Come, no. Nell'articolo 126 è scritto: «Tutti i magistrati ordinari esercitano inizialmente funzioni giudicanti per un periodo di tre anni, al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura ordinaria li assegna all'esercizio di funzioni giudicanti ovvero inquirenti previa valutazione di idoneità». Tale assegnazione non può che avvenire a sezioni riunite.

GIULIO MACERATINI. Su questo non c'è dubbio, però l'espressione non è chiara.

PRESIDENTE. Può darsi che non risulti chiara, ma poiché lei ha chiesto una spiegazione le faccio presente che il relatore si riferisce a quanto ho illustrato.

ORTENSIO ZECCHINO. Poiché, per la verità, tale formulazione riproduce quella dell'emendamento che io avevo presentato e rispetto al quale il relatore aveva il compito di coordinamento, desidero chiarire che nel mio testo le assegnazioni rientravano tra le competenze delle sezioni. Non ho fatto altro che riprodurre, per le competenze delle sezioni, la formulazione dell'attuale articolo 105 della Costituzione, in cui si dice che spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, le promozioni, i trasferimenti. Quindi, il concetto di «assegnazione» è già attualmente codificato nel testo costituzionale, pur mancando la novità, da noi introdotta, dei due itinerari cui l'assegnazione è destinata. Occorre allora, quanto meno, una specificazione che possa fugare i dubbi che, mi sembra molto utilmente, ha sollevato il collega Maceratini. Credo che anche in merito alla funzione propria delle sezioni riunite dobbiamo, come sempre, intenderci sulla sostanza delle cose, poi ci sforzeremo di trovare le parole acconce. Dobbiamo esattamente riprodurre il meccanismo dell'articolo 126: concorso unico, tirocinio unico e, poi, avvio lungo i due itinerari e successivi passaggi. Dovremmo dire, allora, «l'assegnazione iniziale».

PRESIDENTE. Si potrebbe dire «l'assegnazione alla funzione giudicante ovvero inquirente».

ORTENSIO ZECCHINO. Mi pare che l'assunzione avvenga al momento dell'immissione in ruolo, che avviene prima del tirocinio. Espletato e vinto il concorso, c'è l'assunzione e l'avvio al tirocinio. Poi c'è l'assegnazione alle due funzioni.

Il termine assegnazione, però, sta ad indicare l'assegnazione della sede e dell'ufficio anche ad itinerari individuati; quindi dobbiamo differenziare questi due concetti.

PRESIDENTE. A me risulta abbastanza chiaro, poiché l'articolo parla di assegnazioni e passaggi di funzione, quindi è del tutto evidente che ci si riferisce alla assegnazione alle diverse funzioni ed ai passaggi tra di esse. Comunque, siccome dal punto di vista sostanziale c'è piena intesa, le formulazioni si possono studiare.

A me, lo ripeto, questa sembra chiarissima, poiché c'è un iter anche logicamente e cronologicamente scandito, di cui do atto al relatore. Le assunzioni vengono prima; poi seguono la formazione, le assegnazioni ed i passaggi di funzione. Naturalmente si tratta di assegnazioni alle due diverse funzioni, come è previsto dal secondo comma dell'articolo 126.

ORTENSIO ZECCHINO. Specifichiamolo perché, lo ripeto, il termine è già usato nell'attuale Costituzione con un significato diverso.

PRESIDENTE. Mentre invece trasferimenti e promozioni competono a ciascuna sezione, come è ovvio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Si può scrivere semplicemente così: «...le assunzioni, la formazione, le assegnazioni alle due diverse funzioni e i relativi passaggi».

PRESIDENTE. Esatto. Mentre invece l'aggiornamento professionale, i trasferimenti e le promozioni competono ciascuno alla sezione competente. Mi pare che vi sia una logica abbastanza chiara.

GIULIO MACERATINI. Non è così. Le assegnazioni di cui all'attuale articolo 105 della Costituzione, presidente, rientrano in un concetto più ampio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ma non ci sarà più l'attuale articolo 105. Questa è la nuova Costituzione.

PRESIDENTE. Il relatore ha proposto di rendere il testo ancora più esplicito. A mio giudizio è chiarissimo, tuttavia si può scrivere: «...l'assegnazione alla funzione giudicante e requirente e i relativi passaggi di funzione».

GIULIO MACERATINI. Ma perché la disposizione sia completa bisogna che nella seconda parte, quando si parla delle singole sezioni, si stabilisca che le assegnazioni dei magistrati... Perché un magistrato può essere trasferito a Napoli ma poi assegnato ...

PRESIDENTE. Ma l'articolo parla di trasferimenti!

GIULIO MACERATINI. D'accordo, ma assegnato a quale ufficio? È questo il punto fondamentale, perché a Napoli ci sono cinquanta uffici giudiziari. Altrimenti l'assegnazione torna alle sezioni riunite.

Chiamo a testimonianza tutto il CSM: è come dico io. Non sto scherzando perché ne ho parlato... (Commenti del deputato Folena).

Certo, perché con il trasferimento si dà la sede, ma poi c'è l'assegnazione all'ufficio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Siccome nella sostanza mi pare che siamo d'accordo, al secondo comma si può dire: «...l'aggiornamento professionale, i trasferimenti e le relative assegnazioni e le promozioni». La logica è questa: quando si deve decidere se un magistrato, dopo il primo periodo, è assegnato alla funzione giudicante o a quella inquirente è ovvio che tale decisione compete alle sezioni riunite; quando si devono decidere, all'interno della funzione giudicante o all'interno della funzione inquirente, l'assegnazione, il trasferimento o la promozione è chiaro che ciò compete alla sezione rispettiva. Quando si deve decidere il passaggio da una funzione all'altra attraverso il concorso riservato, questo lo decidono le sezioni riunite. È il sistema che io ho ricavato da quanto abbiamo deciso ieri, tanto è vero che, per non creare equivoci, ho distinto il concetto di formazione da quello di aggiornamento professionale: la formazione è in capo alle sezioni riunite, l'aggiornamento professionale del giudice e quello del pubblico ministero sono in capo, rispettivamente, alla sezione per i giudici ed a quella per i pm.

PRESIDENTE. MI pare chiaro che il problema è quello di evitare l'equivoco tra l'uso del termine assegnazione così come si desume dal secondo comma dell'articolo 126 della Costituzione riformata, nel quale è evidente che ci si riferisce all'assegnazione del giudice ordinario alla funzione giudicante o a quella inquirente - compito che non può che spettare alle sezioni riunite -, e l'uso del termine assegnazione come risulta dalla Costituzione vigente, cioè assegnazione ad un ufficio. Quest'ultima, che chiaramente è connessa ai trasferimenti o alle promozioni dei magistrati, i quali comportano entrambi l'assegnazione ad un nuovo ufficio, non può che essere compito delle sezioni separate. Dato che non vi è dissenso di sostanza, lo possiamo rendere più chiaro.

CIRIACO DE MITA. Presidente, credo che questa discussione potrebbe essere risolta - diversamente dovremmo specificare troppo - riconducendo, lo voglio dire al relatore, alla parola «assunzione» il procedimento complessivo. L'assunzione, infatti, non consiste solo nel vincere il concorso: è superamento del concorso, periodo di formazione, assegnazione all'incarico. Quindi, poiché chi vince il concorso è assunto, in realtà, dal momento in cui è assegnato all'ufficio, utilizzando la parola «assegnazione» solo per l'amministrazione dentro le due attività distinte questo non porterebbe ad alcun equivoco.

PRESIDENTE. Abbiamo già usato, all'articolo 126, la parola «assegnazione» con riferimento alle due diverse funzioni, quindi penso che adesso si possa anche aggiungere qualche parola in più. Personalmente trovo che il testo sia chiarissimo; probabilmente non sono appassionato a questa materia come quasi tutti gli altri colleghi e quindi la esamino in modo più spassionato, ma a me il testo risulta chiarissimo (Commenti del senatore Zecchino).

Io non sono appassionato nella misura, ritengo eccessiva, in cui lo sono quasi tutti i colleghi. Il testo mi sembra di una chiarezza assoluta, ma siccome si ritiene che non lo sia sono per chiarirlo, magari usando una parola in più piuttosto che una in meno.

È chiaro che l'espressione assegnazione può essere usata in due sensi diversi, allora usiamola in due sensi diversi e specifichiamo: assegnazione alla funzione, che spetta alle sezioni riunite, e assegnazione all'ufficio o alla sede, che spetta alle sezioni separate. Così ognuno avrà assegnata la sua assegnazione, ci rassegneremo, saremo tutti contenti e sarà finita una guerra di religione sulle assegnazioni, che sinceramente mi pare al di là del ragionevole e del comprensibile fuori di qui.

ANTONIO SODA. Introduco un tema nuovo rispetto a questo dibattito. Noi qui abbiamo esplicitato le funzioni dei Consigli; nell'attuale sistema sono sempre state considerate le funzioni ausiliarie e tra tali funzioni ausiliarie erano ricompresi la formulazione di proposte sulla organizzazione dei servizi giudiziari e delle circoscrizioni e i pareri. Ora inseriamo in Costituzione espressamente, anche limitandola, la funzione relativa alla manifestazione di pareri su richiesta del ministro di grazia e giustizia, cioè introduciamo direttamente in Costituzione una delle funzioni che erano considerate ausiliarie.

Alla luce del dibattito che si è svolto devono essere intese tassativamente le funzioni specificate in Costituzione o resta un margine per il Consiglio, in sede di autoregolamentazione, per elaborare anche funzioni ausiliarie? Lo chiedo al relatore.

Se va intesa come una elencazione tassativa delle funzioni, proprio in virtù della introduzione in Costituzione del compito di esprimere pareri, l'altra funzione ausiliaria fondamentale, cioè quella di manifestare proposte sull'organizzazione dei servizi giudiziari va a nch'essa costituzionalizzata oppure no?

Se dal dibattito emerge che le funzioni che abbiamo voluto indicare sono tassative, per cui non vi è margine per una autoregolamentazione nell'ambito della quale ricavare alcune funzioni ausiliarie, allora introduciamo il potere-dovere dei Consigli di formulare proposte sull'organizzazione dei servizi. Se, al contrario, residua questo potere autorevolamentare, allora non insisterei nel proporre di aggiungere l'espressa indicazione del potere di formulare proposte sulla organizzazione dei servizi di giustizia.

ORTENSIO ZECCHINO. Ma non non abbiamo innovato rispetto alla struttura dell'attuale articolo 105, che è identico. Abbiamo soltanto innovato su un punto importante, che preciso se il presidente consente questa interruzione.

PRESIDENTE. Lei ha assolutamente il diritto di prendere la parola, anche perché l'onorevole Soda ha concluso il suo intervento, per cui non si tratta neanche di una interruzione.

ORTENSIO ZECCHINO. Quindi, noi non abbiamo innovato sulla struttura dell'articolo 105. Ci siamo molto fermati sul tema ed abbiamo posto una limitazione molto importante, che era già stata suggerita dalla Commissione Bozzi, rispetto ad un potere invasivo che il Consiglio superiore ha esercitato nella cosiddetta attività paranormativa. Abbiamo assunto nella proposta Boato il suggerimento della Commissione Bozzi, inserendo il termine «esclusivamente» nella norma costituzionale che attribuisce soltanto alla legge del Parlamento il potere di modificare l'ordinamento giudiziario. Questa è la grande limitazione che abbiamo inserito - lo voglio dire anche al collega Pera - rispetto a quelle che noi tutti dobbiamo ritenere le invasioni di campo che il Consiglio superiore ha esercitato; per il resto, abbiamo lasciato identica ed inalterata la struttura dell'attuale articolo 105 della Costituzione.

MARCELLO PERA. Poiché l'articolo 124 come ci viene oggi proposto dal relatore nasce dall'emendamento formulato ieri dal collega Zecchino e da altri ed ha un fine di coordinamento con il precedente articolo, vorrei fare alcune osservazioni.

La prima è che rispetto al testo dell'emendamento Zecchino vi è una inversione dell'ordine dei commi. IL testo Zecchino, dopo aver distinto le due sezioni, stabiliva cosa spetti all'una ed all'altra e cosa spetti successivamente - dove il termine «successivamente» fa riferimento a qualcosa di logicamente successivo - alle sezioni riunite o plenum. Il testo del relatore, invece, comincia con le sezioni riunite.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questo è un articolo autonomo sui Consigli, quindi è ovvio che dobbiamo partire da questi.

PRESIDENTE. Poiché i Consigli sono due - c'è anche quello della magistratura amministrativa - è evidente che si parte dai compiti dei Consigli. L'emendamento Zecchino si inseriva esattamente dopo l'istituzione delle due sezioni, quindi è chiaro che ne definiva i compiti; questo, invece, è un articolo autonomo.

MARCELLO PERA. L'osservazione che facevo prima di questa precisazione, di cui la ringrazio, era finalizzata anche ad un altro punto. La riscrittura che comincia dalle competenze delle sezioni riunite ha una differenza rispetto alla stesura originaria del testo Zecchino - ed a questo riguardo avanzerò una proposta - perché mentre prima si indicava cosa spetti a ciascuna sezione e si aggiungeva che «la competenza delle sezioni riunite è limitata a ...» facendo seguire un elenco che, peraltro, era composto da una sola voce, se non vado errato, per cui era una competenza per così dire residuale, adesso l'inversione dei commi comporta un'inversione di tipo sostanziale. Pertanto, chiedo - rivolgendomi anche al presentatore dell'emendamento, cioè al collega Zecchino - se, invertendo i commi o anche non invertendoli, si possa lasciare inalterata la dizione per cui «la competenza delle sezioni riunite (del Consiglio superiore della magistratura ordinaria e del Consiglio superiore della magistratura amministrativa) è limitata a ...» Questo è il primo punto che intendevo richiamare.

Il secondo riguarda la nozione di formazione. In questo testo costituzionale a proposito dei magistrati ci troviamo di fronte a tre dizioni diverse: all'articolo 130 c'è l'espressione «formazione propedeutica», che è quella in capo al ministro; al primo comma dell'articolo 124, così come ora ci viene proposto, c'è la nozione di «formazione»; al secondo comma dell'articolo 124 vi è, poi, una terza espressione, quella di «aggiornamento professionale». Mentre riesco a capire la distinzione tra aggiornamento professionale e formazione, anche se è abbastanza sottile, non riesco a capire a quale formazione ci si riferisca, in questo articolo, che sia diversa dalla formazione propedeutica e dall'aggiornamento professionale, a meno che per formazione non si intenda il tirocinio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Fase di formazione precedente alla assegnazione del magistrato che ha esercitato nei primi tre anni funzioni giudicanti ...

MARCELLO PERA. Questo mi pare si chiami tirocinio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ma abbiamo anche parlato di formazione, tanto è vero che essendo ridondante nel testo avevo tolto il termine solo per ragioni di coordinamento tecnico; ma c'era, ad esempio, nel testo di settembre. Bisognerà formarli questi magistrati, o pensiamo che si improvviseranno magistrati?

MARCELLO PERA. Dal punto di vista della successione cronologica, c'è una formazione propedeutica ...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Quella è del laureato in giurisprudenza che si avvia, ma non ha ancora deciso, a fare l'avvocato, il magistrato, il notaio e così via. Non c'entra nulla con il magistrato come tale.

MARCELLO PERA. Signor relatore, se è così cortese ...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Mi sta chiedendo dei chiarimenti e io glieli sto dando.

MARCELLO PERA. C'è un periodo di formazione propedeutica, e questo è prima del concorso...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È evidente.

MARCELLO PERA. ...ed è comune a tutti coloro che svolgono attività giudiziarie e forensi. Poi ci sono il concorso, il tirocinio e, successivamente, un aggiornamento professionale: è così oppure no?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Certo. Mi pare che sia stato molto sottolineato che, oltre ad esserci una questione di formazione comune, c'è anche la necessità che il giudice approfondisca le qualità professionali che servono a fare il giudice ed il pubblico ministero approfondisca le qualità professionali, di investigazione ed altro, che servono a fare il pubblico ministero. Questo è ciò che si intende come aggiornamento professionale, quando si sia già nella funzione o di giudice o di pubblico ministero.

MARCELLO PERA. La nozione di aggiornamento professionale mi è chiara. Volevo che mi fosse chiarita quella di formazione: se sia sinonimo di tirocinio oppure no. Se è sinonimo di tirocinio, preferisco l'espressione tirocinio, per evitare che vi sia confusione tra formazione ed aggioramento professionale, visto che, come ho già detto, si parla anche di formazione propedeutica. Propongo, dunque, di sostituire la parola «formazione» con «tirocinio».

PRESIDENTE. Va bene.

MARCELLO PERA. Non ho finito, perché ci sono altre cose abbastanza delicate in questa riscrittura del relatore.

Per assegnazione - torno su un tema su cui si è svolto un ampio dibattito - si intende la prima assegnazione all'una e all'altra funzione o si intendono anche le assegnazini successive? Io propongo che sia specificato che si tratta della prima assegnazione alle funzioni, dal momento che le altre sono trasferimenti ed assegnazioni automatiche che a questi conseguono (Commenti).

Chiedo scusa ai colleghi, ma vorrei essere ascoltato, non perché meriti di esserlo, ma perché sto avanzando una proposta e non mi si può rispondere che è già stato chiarito e detto.

PRESIDENTE. Le manderò il processo verbale nel quale potrà leggere che ciò che lei chiede è stato già chiarito.

MARCELLO PERA. È possibile.

PRESIDENTE. Lei non ascolta quando gli altri parlano...

MARCELLO PERA. Non è vero!

PRESIDENTE. ... e pretende di essere ascoltato quando parla, il che mi sembra un atteggiamento curioso. Le manderò il processo verbale.

MARCELLO PERA. Mi mandi quello che crede. Lei non può consentirsi ripetutamente di dirmi che non ascolto o sono disattento. Ascolto e mi riservo il diritto, perché credo di averlo, di ribadire anche cose che mi vengono dette da lei essere state già chiarite. La ringrazio.

Passo ad un altro punto. Nel testo si dice che le sezioni riunite del Consiglio non possono adottare atti di indirizzo politico. Anche su questo vi è stato un dibattito, parte del quale qui è scomparsa. Ricordo che nel Comitato ristretto fu chiesto ripetutamente - ed io lo chiedo ancora - che la dizione «atti di indirizzo politico» fosse completata con le parole «né di interpretazione delle leggi».

Ricordo anche che su questo punto coloro che chiedevano la eliminazione delle parole «non possono adottare atti di indirizzo politico», che consideravano una norma negativa, sostenevano che a ciò si poteva rimediare dicendo ciò che può fare esclusivamente il Consiglio superiore, cioè un elenco tassativo delle attività. Vi è però un punto più importante, sul quale richiamo l'attenzione del relatore e del collega Zecchino.

Il Consiglio superiore, a sezioni riunite - si dice - non può adottare atti di indirizzo politico: è un divieto, una norma negativa. Non piaceva a nessuno, neppure al collega Folena, ed ora ce la ritroviamo. Ma la stessa cosa non è detta per ciascuna delle due sezioni. Quindi sembrerebbe che mentre il Consiglio superiore a sezioni riunite non può adottare atti di indirizzo politico, non essendoci la stessa previsione negativa per ciascuna delle due sezioni, queste lo possano fare. Allora, o si toglie da un lato o dall'altro, oppure si mette lo stesso divieto ad entrambe.

Il modo con cui sembrava possibile raggiungere un accordo per evitare questo divieto, questa espressione negativa, era di aggiungere...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Guardi, siccome è una questione puramente linguistica e non occorre dirla con tutta questa carica polemica, se vuole...

MARCELLO PERA. Ma quale carica polemica!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. ... inseriamo un punto, scriviamo «i Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico» e il problema è risolto.

MARCELLO PERA. I Consigli?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il Consiglio è diviso in due, quindi sono due i Consigli.

MARCELLO PERA. Va bene (Commenti). È un grande problema.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. La formulazione linguistica non è un grande problema.

MARCELLO PERA. È un problema per il fatto che...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lei lo ha posto ed io l'ho già risolto: «i Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico».

MARCELLO PERA. Siete tutti veramente così bravi questa mattina, che mi date lezioni in ogni senso. Con questa sua soluzione, signor relatore, stiamo evitando una parte della discussione che ci fu in Comitato, su cui non vi fu accordo e che è stata risollevata dal collega Soda precedentemente; e cioè se l'elenco delle funzioni svolte dal Consiglio superiore sia tassativo o no. Questa fu la discussione; il collega Folena lo ricorderà: c'erano coloro che volevano introdurre l'avverbio «esclusivamente» riferito alle funzioni e indicare quindi un elenco tassativo e coloro che invece non volevano inserire quell'avverbio e proponevano di aggiungere, dopo le parole «indirizzo politico» le altre «né di interpretazione delle leggi». Questa parte del dibattito è perduta; lei mi darà una sua risposta ed io la accetterò, ma le ricordo che su quel punto non c'era un accordo. La ringrazio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Proporrà degli emendamenti e si voterà. Io ho proposto molteplici formulazioni dell'articolo 124, proprio in relazione a quel dibattito. Ieri ho proposto l'ultima formulazione, che è esattamente recepita nel testo in esame, essendo stato io obbligato dalla votazione sulle due sezioni a cambiare il testo coordinandolo con il testo dell'articolo 122, che io non ho votato, ma che la Commissione ha approvato. Ho fatto il mio dovere di relatore.

All'obiezione che il riferimento all'indirizzo politico non è chiaro ho risposto: se non è chiaro, il problema si risolve inserendo un punto e scrivendo: «I Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico». La norma quindi vale per tutti.

MARCELLO PERA. Lei, relatore, ricorda il dibattito sul riferimento all'interpretazione delle leggi (Commenti del relatore sul sistema delle garanzie, Marco Boato).

MASSIMO VILLONE. Vorrei lasciare a verbale la mia opinione circa l'inopportunità della formula «indirizzo politico», che mi sembra del tutto inappropriata e tecnicamente non utilizzabile con riferimento ad un organo di quella natura. Lo dico a futura memoria, non ne faccio oggetto di altra iniziativa.

FAUSTO MARCHETTI. Desidero associarmi a quest'ultima considerazione del collega Villone. Nel corso dei lavori del Comitato ho sempre sostenuto l'inopportunità di inserire questo divieto di adottare atti di indirizzo politico.

TIZIANA PARENTI. Per quanto riguarda il problema della formazione, siccome anche con legge ordinaria, si è detto di fare una scuola nella magistratura, è evidente che la formazione non possa essere fatta dal Consiglio superiore, ma debba essere fatta dal Ministero di grazia e giustizia; ciò perché questo è un suo compito amministrativo e finanziario ed anche per evitare la lottizzazione che viene fatta con i magistrati che vengono mandati ad insegnare, molto spesso per lunghi periodi, per cui le sedi rimangono scoperte; la logica è del tutto spartitoria.

Al di là di questo che è un costume, credo comunque che la formazione dovrebbe avere un approccio molto più laico ed essere fatta con un maggiore pluralismo, in collegamento anche con l'università; cosa che purtroppo non avviene, per cui non vi è mai una compartecipazione fra la teoria e la pratica.

Non capisco perché si voglia assegnare questo compito, che è fondamentale, ancora al Consiglio superiore e mantenere questa logica spartitoria che forma molto poco, come è noto a tutti quelli che ci sono passati, e fornisce informazioni del tutto approssimative se non inutili, peraltro molto costose; coloro che dovrebbero provvedere alla formazione, infatti, comportano un costo elevato, senza risultati di alcun tipo. Altrettanto va detto per la formazione successiva, cioè per quello che dovrebbe essere l'aggiornamento costante, che oggi viene fatto con i medesimi metodi. Chiunque vi abbia partecipato sa quanto sia basso il livello e quale sia invece il costo.

Per queste ragioni direi che la formazione, così come quella propedeutica - io avrei parlato di formazione iniziale e permanente - vada tolta tra i compiti del Consiglio superiore, eliminando un sistema che finora si è dimostrato altamente negativo e non ha prodotto alcun tipo di formazione.

PRESIDENTE. Vediamo un attimo le questioni su cui si è chiesto di votare, prima di procedere alla votazione del testo del relatore.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Propongo innanzitutto la riformulazione del testo secondo la richiesta del collega Zecchino, in modo che si faccia riferimento nel primo comma alle «assegnazioni alle due diverse funzioni e i relativi passaggi» e nel secondo comma, dopo le parole «le promozioni» si aggiunga «e le relative assegnazioni».

Per quanto riguarda l'obiezione del collega Pera, propongo di inserire il punto dopo le parole «ministro della giustizia» nell'ultimo rigo del primo comma e di aggiungere «I Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico».

PRESIDENTE. Il periodo è già retto dalle parole «I Consigli».

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Il collega Pera aveva la preoccupazione (Interruzione del deputato Pietro Folena)... Nel precedente testo dell'articolo 124 da me proposto vi era già questa formulazione; si tratta quindi di ripristinare quel testo. Non cambia assolutamente nulla.

PIETRO FOLENA. Ma allora vale anche per i pareri sui disegni di legge. Si parla dei Consigli, non delle sezioni riunite. Mi pare inequivocabile.

PRESIDENTE. Lo vedremo in sede di coordinamento.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono d'accordo con il collega Folena e mi ero un po' arrabbiato con l'amico Pera proprio perché mi sembrava un po' tignosa quella sua osservazione. Il soggetto della frase è «I Consigli».

PRESIDENTE. Non ti ascolta.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non mi ascolta. Va bene. Allora propongo di rimanere al testo, viste le contro-obiezioni che sono state fatte. Il testo è chiarissimo; in esso si dice: «I Consigli».

PRESIDENTE. Rimangono da votare alcune proposte. Il collega Pera ha proposto di sostituire nel primo comma il periodo «e non possono adottare atti di indirizzo politico» (riferito, ripeto, ai Consigli) con il seguente: «I Consigli non possono adottare atti di indirizzo politico né di interpretazione delle leggi». La sostanza della proposta mi sembra il riferimento alla interpretazioni delle leggi.

Pongo in votazione questa proposta.

 

(È respinta).

 

Per quanto riguarda la questione della formazione (non ci si riferisce all'aggiornamento) di cui si parla nel primo comma, vi sono due proposte. La prima, della collega Parenti, tende a sottrarre al Consiglio superiore i compiti in materia di formazione in modo che restino assegnati esclusivamente al Ministero di grazia e giustizia.

La formazione propedeutica è affidata al ministero...

TIZIANA PARENTI. Quella è un'altra cosa. Qui si sta parlando della formazione di quelli che hanno superato il concorso.

PRESIDENTE. Esatto. Questo compito è affidato al Consiglio superiore in quanto è considerato inerente alle funzioni amministrative.

TIZIANA PARENTI. La formazione non è una funzione amministrativa.

PRESIDENTE. Chi gestisce una determinata amministrazione normalmente organizza anche la formazione del personale interno.

TIZIANA PARENTI. Si entra attraverso il Ministero di grazia e giustizia non attraverso il Consiglio superiore.

PRESIDENTE. Non voglio entrare nel merito. Pongo quindi in votazione la proposta che l'attività formativa dei magistrati sia in capo al Ministero di grazia e giustizia e non al Consiglio superiore.

 

(È respinta).

 

L'altra proposta del collega Pera prevede la sostituzione nel primo comma della parola «formazione» con l'altra «tirocinio». La pongo in votazione.

 

(È approvata).

Il primo periodo del primo comma risulterebbe del seguente tenore:«Il Consiglio superiore della magistraturta ordinaria a sezioni riunite e il Consiglio superiore della magistratura amministrativa esercitano le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni, il tirocinio, le assegnazioni alle due diverse funzioni e i relativi passaggi rispettivamente per i giudici ordinari e i magistrati del pubblico ministero e per i magistrati amministrativi»; al secondo comma, alla parola «promozioni», seguirebbe «e le rispettive assegnazioni».

Pongo in votazione l'articolo 124 come risulta dalle correzioni apportate.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso riferiti, non integralmente assorbiti come da elenco in allegato.

Torniamo alla questione dell'ulteriore riformulazione relativa all'ultimo comma dell'articolo 127 (v. allegato Commissione bicamerale).

Procederei innanzitutto alla votazione della nuova proposta in materia di incompatibilità, che non mi pare abbia raccolto grandi consensi. Qualora venga respinta la nuova proposta, si tornerà al testo base che era al nostro esame ieri. A quel punto dovremo votare le correzioni di quel testo.

Si tratta cioè di stabilire se adottiamo come testo base quello prospettato ieri dal relatore, ovviamente per quanto riguarda l'incompatibilità. Se vi è intesa in questo senso, scartiamo la nuova formulazione, salvo l'ultimo periodo; in altre parole, accogliamo l'ultimo periodo in materia di partecipazione alle competizioni elettorali, scartiamo la norma in materia di incompatibilità, torniamo al testo base e su quello ci pronunceremo, perché chiaramente vi è un dissenso.

GIOVANNI RUSSO. Proporrei che si voti il testo alternativo; il primo comma con quella sostituzione, salve le eccezioni tassativamente stabilite dalla legge.

PRESIDENTE. Sì, ma la formulazione è esattamente uguale al testo precedente, con la soppressione delle parole «fermo restando che (...)».

GIOVANNI RUSSO. A questo punto è uguale, presidente. Il testo base riformulato prevede in modo assoluto e rigido l'impossibilità di distacchi. Quindi non sarà possibile il distacco né al Ministero di grazia e giustizia, né alla Corte costituzionale, né al Consiglio superiore della magistratura.

LEOPOLDO ELIA. Che cosa intendi per «distacco», fuori ruolo?

PRESIDENTE. Ho capito, infatti mi apprestavo a porre in votazione il testo base con la proposta di sopprimere tutto il periodo dalle parole «fermo restando che» fino a «pubblica amministrazione». In questo modo resterebbe l'affermazione generale del principio di incompatibilità e la previsione che la legge può stabilire i casi in cui... Il problema è di stabilire su quale testo lavoriamo. Innanzitutto voteremo l'ultimo periodo della proposta presentata questa mattina dal relatore, da: «Non possono partecipare» fino a «candidati o eletti». Nel proporre che venga accolta, la pongo in votazione.

 

(È approvata).

 

Pongo in votazione la proposta emendativa Russo soppressiva del secondo periodo da «Fermo restando» fino a «pubbliche amministrazioni». È del tutto evidente che se essa viene approvata, viene mantenuto il principio generale di incompatibilità e la previsione di eccezione attraverso la legge.

GIOVANNI RUSSO. Vorrei fare un'osservazione. Anche se eliminiamo il secondo periodo, rimane un primo periodo che esclude in maniera radicale...

PRESIDENTE. È evidente.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lo abbiamo spiegato molte volte questa mattina!

GIOVANNI RUSSO. Chiedo scusa, ma se formuliamo l'eccezione nel senso che «possono svolgere attività diverse da quelle d'ufficio», non introduciamo una deroga al principio precedente, perché è una cosa diversa. Quelle che possono essere svolte sono le attività didattiche, che non comprendono il distacco di magistrati presso organi costituzionali e presso il Ministero di grazia e giustizia.

La mia proposta è di lasciare alla legge l'individuazione di casi tassativi che fanno eccezione al principio. La formulazione in oggetto non dà luogo a questo risultato.

CESARE SALVI. Anche se comprendo le ragioni del collega Russo, un semplice rinvio alla legge per la definizione delle eccezioni con l'aggiunta dell'inquietante norma transitoria alla quale si è fatto riferimento,rischierebbe di lasciare le cose come stanno.

Mi pare che il testo del relatore, salvo forse un problema di riformulazione linguistica rispetto al testo costituzionale (mi rendo conto del modo affrontato con il quale è stato redatto), pone il principio, che viene fissato in Costituzione, del divieto di svolgere determinate attività. In tali casi si ritiene che esse debbano essere vietate in quanto possono mettere in discussione, anche soltanto in termini di immagine, l'imparzialità collegata al ruolo del giudice, relativamente, da una parte alle attività arbitrali o di controllo, e dall'altra a un ruolo nell'esecutivo, nel Governo e nelle sue diverse articolazioni.

Su tutte le altre ipotesi alle quali si è fatto riferimento (l'insegnamento, il distacco presso organi costituzionali, il procuratore eletto dal Senato), sarà poi la legge a decidere ed a prevedere o meno la possibilità per i magistrati di svolgere tali funzioni.

Pertanto, salvo una riserva di coordinamento relativamente alla formulazione del testo, mi pare che la soluzione sia equilibrata.

FAUSTO MARCHETTI. Intervengo per associarmi alle considerazioni svolte ora dal collega Salvi e per aderire all'ultima stesura del testo proposto dal relatore.

PRESIDENTE. Vorrei sapere dal collega Russo se insiste sulla sua proposta emendativa e se eventualmente può precisarla meglio.

GIOVANNI RUSSO. Rileggendo il testo, ho l'impressione che lei abbia ragione. Concordo quindi sull'eliminazione del secondo comma, ma mantengo l'ultimo periodo.

PRESIDENTE. La proposta del collega Russo prevede di sopprimere tutto il primo periodo da: «Fermo restando» fino a «pubbliche amministrazioni». Il relatore propone che eventuali leggi di deroga in materia di incompatibilità siano tuttavia vincolate al rispetto dei limiti da lui proposti, limiti che il collega Russo propone di sopprimere.

Pongo in votazione la proposta soppressiva del collega Russo.

 

(È respinta).

 

Pongo in votazione il testo, come ulteriormente riformulato dal relatore, dell'ultimo comma dell'articolo 127.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti riferiti a tale articolo, non integralmente assorbiti come da elenco in allegato.

Passiamo ora all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 130, già pubblicato nell'allegato alla seduta dello scorso 28 ottobre.

FAUSTO MARCHETTI. Intervengo soltanto per un'osservazione. È opportunamente previsto che il ministro della giustizia riferisca annualmente alle Camere sullo stato della giustizia. A mio avviso, quando il ministro adempie a tale compito non può non riferire anche sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine. Trovo peraltro abbastanza improprio prefigurare i contenuti della sua relazione. Se si prevede che il ministro riferisca sullo stato della giustizia, dovrebbe allora riferire, nella sua responsabilità, su tutte le questioni, tra le quali è ovviamente compreso anche l'esercizio dell'azione penale e l'uso dei mezzi di indagine. Trovo veramente priva di motivazione l'ipotesi di inserire in Costituzione il riferimento all'azione penale e ai mezzi di indagine.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta emendativa del collega Marchetti di sopprimere il riferimento all'esercizio dell'azione penale e all'uso dei mezzi di indagine, peraltro introdotto dopo ampia discussione, che ovviamente non ripeteremo ora.

FAUSTO MARCHETTI. La discussione, infatti, aveva portato all'eliminazione di queste ultime espressioni, che non capisco perché poi sono state reinserite.

CESARE SALVI. Senza voler riaprire la discussione, ritengo sensate le osservazioni del collega Marchetti. Pertanto voterò a favore della sua proposta emendativa soppressiva.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono contrario alla proposta del collega Marchetti (anche se ovviamente rispetterò la volontà della Commissione se andasse in questa direzione) che sopprime il riferimento nella relazione annuale all'esercizio dell'azione penale e all'uso dei mezzi di indagine, perché questa esplicitazione è l'elemento fondamentale che avevamo introdotto in alternativa ad ipotesi di condizionamento preventivo da parte del Parlamento all'esercizio di tale azione. Si tratta di ipotesi legittime, che peraltro la Commissione non ha mai accolto. Abbiamo infatti sempre ritenuto fondamentale il fatto che il Parlamento annualmente venisse messo di fronte ai problemi che emergono... (Commenti del senatore Marchetti). Posso parlare anch'io, collega Marchetti?

PRESIDENTE. Onorevole Boato, lei non deve chiedere se può parlare, perché questa è una domanda retorica alla quale gli atti della Commissione forniranno una risposta. Restiamo calmi: ormai siamo in dirittura d'arrivo. Prosegua pure.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa non è una questione irrilevante, ma è materia su cui, è stato osservato giustamente, abbiamo discusso per mesi, respingendo ipotesi che prevedevano la possibilità che il Parlamento indicasse talune priorità in materia di azione penale, facoltizzandone l'esercizio. Si tratta - ripeto - di ipotesi legittime e vi sono addirittura priorità riconosciute all'esecutivo e non al Parlamento. In altri sistemi è così, come per esempio in Francia, ma in Italia noi abbiamo invece proposto di mantenere l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale. Abbiamo anche riflettuto sulla necessità che il Parlamento, titolare del potere legislativo, ed il Governo, titolare del potere amministrativo, dispongano di un quadro di riferimento, perché le nuove norme penali e di procedura penale, gli stanziamenti di bilancio per il Ministero della giustizia, li decide il Parlamento su proposta del Governo.

Perciò è opportuno che annualmente il Parlamento sia messo di fronte ad una relazione predisposta dal ministro a posteriori e non a a priori rispetto all'esercizio dell'azione penale, in modo che vi sia un quadro di assunzione di responsabilità, da una parte della magistratura (in questo caso inquirente) che esercita obbligatoriamente l'azione penale, e dall'altra parte del potere esecutivo come relatore, e del potere legislativo, il Parlamento, come interlocutore. Sarà poi il Parlamento a compiere le scelte legislative ed il Governo ad effettuare quelle amministrative. Pertanto, ritenendo opportuno il mantenimento del testo, esprimo parere contrario sulla proposta emendativa del senatore Marchetti.

SALVATORE SENESE. Capisco perfettamente le ragioni del relatore. Concordo sul fatto che il ministro riferisca sull'esercizio dell'azione penale, perché la politica penale di competenza del Parlamento può andare nel senso di deflazionare il carico o di estendere l'area delle condotte penalmente sanzionabili, mentre capisco meno la necessità di riferire sull'uso dei mezzi di indagine. Cosa significa esattamente riferire sull'uso dei mezzi di indagine? Significa che possono essere usati bene o male e, in questo caso, vi può essere la responsabilità disciplinare o soltanto un fatto di inadeguatezza professionale. A me pare che riferire anche sull'uso dei mezzi di indagine sia poco coerente. Nell'ambito dell'esercizio dell'azione penale, per esempio, i pubblici ministeri non ce la fanno a svolgere in maniera effettiva l'obbligatorietà di tale azione e ritengono debba essere ridotta. Invece l'ambito relativo all'uso dei mezzi di indagine, lo vedo un po' nebuloso ed esposto ai rischi che ho ora illustrato.

TIZIANA PARENTI. L'uso dei mezzi di indagine comporta anche la destinazione di decine di miliardi, che vengono spesi per le intercettazioni telefoniche di cui non conosciamo la fine; certamente non vengono utilizzate nel dibattimento. Decine o centinaia di miliardi vengono spesi anche per i collaboratori di giustizia e non sappiamo mai da quali fondi vengono prelevati.

Se vi fosse più trasparenza sull'uso dei mezzi di indagine e sapessimo quanto gravano sul cittadino, sarebbe già un passo avanti, soprattutto se conoscessimo il fine di tali attività. Per esempio le intercettazioni telefoniche non sempre sono autorizzate dal giudice, ma molto spesso solo dal procuratore della Repubblica. Credo non sarebbe male se venisse chiarito quale sia il loro uso, invece di leggerlo sui giornali,senza conoscerne la fondatezza o meno.

ORTENSIO ZECCHINO. Intervengo telegraficamente per dichiarare il mio assenso alla formulazione proposta dal relatore. In effetti, l'espressione mezzi di indagine significa tante cose, quello che ha indicato la collega Parenti, ma anche l'uso delle consulenze tecniche di cui si avvalgono i pubblici ministeri con una dovizia che comporta spese ingenti.

Se su tutta questa materia vi fosse maggiore chiarezza, ci guadagneremmo tutti, il Parlamento nella sua capacità di indirizzo e la giustizia nella sua maggiore trasparenza.

MARIO GRECO. Vorrei aggiungere anche un'altra considerazione, proprio per spiegare cosa significa l'espressione mezzi di indagine. Vi è per esempio la tecnica di tenere l'imputato a «bagno Maria» per lungo tempo con l'archiviazione e la riapertura delle indagini, anche se dovrebbero essere osservate le norme del codice di procedura penale. Mi chiedo quanti procedimenti disciplinari abbiamo avviato nei confronti dei pubblici ministeri che fanno continuo ricorso a questo sistema per ottenere ulteriori proroghe e tenere sotto pressione gli imputati. Anche questo può essere oggetto della relazione ed attribuire tale potestà al ministro significa che deve informare il Parlamento ed eventualmente fare intervenire chi di dovere per evitare inconvenienti e l'uso distorto dei mezzi di indagine.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta emendativa soppressiva del secondo comma dell'articolo 130 del senatore Marchetti, che si riferisce all'eliminazione dell'espressione «sull'esercizio dell'azione penale».

 

(È respinta).

 

Pongo in votazione la proposta emendativa soppressiva dell'espressione «sull'uso dei mezzi di indagine».

 

(È respinta).

 

Pongo in votazione, nella formulazione proposta dal relatore, l'articolo 130.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso relativi, non integralmente assorbiti come da elenco in allegato.

Passiamo all'esame dell'articolo 130-bis (già pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre), predisposto dal relatore sulla base dei lavori del comitato ristretto e degli emendamenti presentati.

KARL ZELLER. Non vorrei avanzare obiezioni di merito, ma di forma, che sono di competenza della Commissione, perché leggendo il testo di tale articolo ci si accorge subito che le materie ivi regolate fanno parte della prima sezione della Costituzione. Mi riferisco in particolare al comma 3, il quale prevede che: «Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo». Tale previsione fa riferimento all'articolo 27 della Costituzione e dubito, anche rispetto all'articolo 130-ter, che la Commissione sia competente ad interferire in tale materia, poiché l'articolato si sovrappone - ripeto - alla prima parte della Costituzione.

MARIO GRECO. Mi permetto di avanzare due osservazioni, una formale e l'altra di merito. Ricordo che avevamo presentato un emendamento, peraltro accolto, con il quale proponevamo la non punibilità nel momento in cui vi fosse una concreta offensività. Lo stesso emendamento riguardava anche i casi di occasionalità del comportamento. Mi chiedo se sia possibile riconsiderare l'estensione da noi proposta.

Per quanto concerne l'osservazione formale, è vero che il codice non parla di perseguibilità, ma in questo caso ci stiamo riferendo all'inizio dell'azione penale. Mi chiedo perciò se non sia il caso di sostituire l'espressione «non è punibile» con «non è perseguibile chi ha commesso», per evitare appunto quell'uso prolungato dell'azione penale che porta a tenere l'imputato a «bagno Maria», prima ancora che si pronunci il GIP.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Stiamo affermando il principio che deve essere il giudice, non il PM, a stabilirlo.

MARCELLO PERA. Vorrei illustrare una proposta emendativa relativa all'articolo 130-bis, comma 2, che ho presentato questa mattina; non sono però certo che una copia sia stata distribuita ai commissari. Con tale proposta propongo che l'ordinamento penale sia ispirato al principio di determinatezza dei comportamenti punibili.

PRESIDENTE. Vorrei sottolineare che in questa sede discutiamo le proposte del relatore, elaborate in sede di Comitato ristretto, oppure gli emendamenti, pubblicati nel fascicolo, che vengono rimessi alla Commissione per essere esaminati. Il suo è un testo emendativo interessante, ma non rientra in nessuna delle due cate-gorie.

MARCELLO PERA. Questo vuol dire che non è ricevibile, presidente?

PRESIDENTE. Sarebbe così, se dovessimo rispettare le regole che ci siamo dati.

MARCELLO PERA. Ma nel Comitato ristretto, quando parlai di questo problema con il relatore, mi fu suggerito di presentare l'emendamento in Commissione. Onestamente, poi, non mi pare la prima volta che il testo è riformulato.

PRESIDENTE. Sì, diverse riformulazioni sono state discusse, ma questa introduce un altro principio, del quale non abbiamo discusso. Inoltre non fa parte degli emendamenti all'esame.

Qual è l'avviso del relatore sul problema?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Nel Comitato ristretto l'emendamento non è stato mai presentato. Corrisponde al vero, come il collega ha rilevato con la consueta attenzione, che il collega Pera mi aveva parlato della questione. Tuttavia non è mai stato da lui presentato un emendamento nel Comitato ristretto. Egli ne aveva parlato al relatore; ma se si vuole che il Comitato ristretto assuma un testo e dia mandato al relatore di formularlo, bisogna ovviamente presentare la proposta in quella sede. Da parte mia, non ho assunto quel testo - in qualità di relatore - per il semplice motivo che esso è già contenuto negli articoli 13 e 25 della Carta costituzionale; e lì è scritto meglio.

Quindi suggerirei di non insistere su questo punto. Condivido la proposta nel merito, ma la formulazione è migliore negli articoli 13 e 25 della prima parte della Costituzione.

PRESIDENTE. Vorrei rispondere, con una breve osservazione sugli articoli 130-bis e 130-ter, a quanto sostenuto dall'onorevole Zeller.

Credo che l'osservazione dell'onorevole Zeller non sia priva di fondamento. Questi due articoli rappresentano senza dubbio, più che norme di carattere ordinamentale, uno sviluppo (in modo non contraddittorio) dei principi sanciti dalla prima parte della Costituzione. Siamo quindi sul filo del rasoio delle competenze della Commissione. Il presidente, che dovrebbe vigilare sul rispetto della legge costituzionale che ha istituito la Commissione, non ha inteso sollevare il problema di ammissibilità di queste proposte, interpretandole come uno sviluppo non contraddittorio con i principi contenuti nella prima parte della Costituzione. In sostanza ne ho colto il grande valore sul terreno di un'acquisizione in senso garantista.

Naturalmente una scelta di questo tipo - cioè un'interpretazione di ammissibilità, anch'io me ne rendo conto, ai limiti - regge se sul problema vi è un largo consenso. Sicuramente assumo le mie responsabilità: ma evidentemente possiamo renderci tutti corresponsabili di una scelta che si pone ai limiti delle nostre possibilità se su queste affermazioni di notevole valore culturale e civile si registra un ampio consenso (al di là di quanto potrà essere valutato in Assemblea). Se invece si dovesse aprire uno scontro di merito su questi problemi, nel quale qualcuno volesse far valere l'obiezione - a mio giudizio non manifestamente infondata - di legittimità, allora diventerebbe una scelta molto delicata.

In sostanza, se ci facciamo concordemente carico di uno sviluppo sul terreno garantista del nostro ordinamento e lo assumiamo come tale - muovendoci ai limiti delle nostre possibilità stabilite dalla legge -, questa determinazione potrà essere assunta. Ma se sul punto dovesse aprirsi una discussione o un contrasto di principi, la situazione diventerebbe delicata ed io stesso mi troverei in un qualche imbarazzo.

LEOPOLDO ELIA. Potremmo dare spazio all'uso di un criterio di prevalenza: come se queste norme riguardassero il modo di esercitare la giurisdizione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono perfettamente d'accordo.

MARCELLO PERA. Presidente, era proprio questo lo spirito che ha presieduto all'elaborazione dei due articoli in Comitato ristretto. Si trattava di disciplinare il modo della giurisdizione ed anche di dare veste ordinamentale a principi fissati nella prima parte, senza correggerli e senza aggiungerne di nuovi. In questo spirito le norme erano state formulate dal relatore ed accolte dal Comitato: si trattava di precisare i principi dando loro veste ordinamentale. Un esempio, tra gli altri: il principio della difesa gratuita per i meno abbienti; anch'esso richiama - addirittura in maniera esplicita - un principio fondamentale della prima parte della Costituzione; qui se ne danno veste, dignità e mezzi ordinamentali.

Ecco perché vorrei richiamarmi allo spirito che ha presieduto all'elaborazione dei due articoli.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono tutte norme contenute nella sezione seconda (titolo IV), che già nella Costituzione vigente si intitola «Norme sulla giurisdizione».

ERSILIA SALVATO. Presidente, convengo con lei sia sulla valutazione in merito alle preoccupazioni dell'onorevole Zeller sia soprattutto sull'importanza di questi due articoli rispetto al nostro lavoro sul tema della giustizia.

Personalmente sono convinta che la vera parte innovativa della quale ci stiamo occupando sia questa e soltanto questa: tutto il resto (alcuni aspetti ci hanno visti anche divisi e ad essi ci siamo appassionati a mio avviso al di sopra delle righe, specialmente per il carattere simbolico che quelle norme possono avere) poteva essere affrontato anche con legge ordinaria. Rispetto alle garanzie ed alla libertà dei cittadini, invece, le uniche vere novità sono proprio quelle contenute nei due articoli in esame. Insisto pertanto che siano approvati con il più largo consenso, perché sarebbe l'unico segnale giusto che mandiamo ai cittadini del nostro paese.

ANTONIO LISI. Concordo perfettamente con la sua impostazione, presidente, nonché con quanto detto dal relatore Boato e dalla senatrice Salvato.

Sull'articolo 130-ter vorrei fare una richiesta di precisazione: ho l'impressione che manchi qualche parola nel testo. Solo questo. Quando arriveremo all'esame dell'articolo, la prego di darmi la parola per specificare di cosa si tratta.

MASSIMO VILLONE. Vorrei lasciare a verbale, presidente, che voterò a favore dei due articoli. Non posso esimermi tuttavia dal manifestare qualche perplessità sulla formulazione: per una parte sono punti già acquisiti nel nostro ordinamento costituzionale e nell'esperienza concreta (anche con riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale), per altra parte forse non sono questioni da inserire nella Costituzione. Per quanto riguarda il primo comma dell'articolo 130-bis, si tratta della traduzione in una norma costituzionale di una teoria scientifica, o scientifico-politica, certamente apprezzabilissima. Credo però che dovrebbe essere lasciata alla riflessione scientifica e non certo essere consacrata in una norma costituzionale.

PRESIDENTE. A questo punto, prego il relatore Pera di acconsentire alla reiezione del suo emendamento in modo da renderne possibile la ripresentazione in Assemblea. Propongo invece che il testo dell'articolo 130-bis sia approvato nella formulazione del relatore.

MARCELLO PERA. La ringrazio, presidente. Accetto l'invito.

PRESIDENTE. L'emendamento è pertanto considerato respinto ai fini della sua ripresentazione in Assemblea.

SALVATORE SENESE. Concordo con la formulazione dei due articoli di cui ci stiamo occupando, presidente, e con il significato che essi assumono. Anch'io ho una perplessità di ordine lessicale. L'ho lungamente argomentata nelle scorse sedute: riguarda l'interpretazione estensiva, che a me francamente pare un errore, un errore secondo le categorie usuali. Su questo punto, quindi, annuncio la presentazione di un emendamento, che eventualmente potrà essere considerato respinto dalla Commissione ai fini della ripresentazione in Assemblea. Tenterò così di risolvere questo problema - minimo - in altra sede.

AGAZIO LOIERO. Signor presidente, ho avuto l'impressione che la prima parte della Costituzione sia già stata «lambita» da altri temi che abbiamo affrontato: penso alla sussidiarietà, per esempio. Il collega Zeller credo sarebbe d'accordo a sancire questi principi, allora, con un voto nell'ultima seduta della Commissione in sede plenaria: questo ci esimerebbe dalla possibilità di trovarci in aula in una situazione di difficoltà.

PRESIDENTE. La questione sarà valutata.

Per ora, non essendovi obiezioni, consideriamo respinte le due proposte emendative presentate dal senatore Pera e dal senatore Senese.

Pongo in votazione l'articolo 130-bis nella formulazione proposta dal relatore.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti non integralmente assorbiti, riferiti alle corrispondenti disposizioni del testo approvato lo scorso 30 giugno, come da elenco in allegato.

Passiamo all'esame dell'articolo 130-ter, già pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre, e dei relativi emendzamenti.

Do la parola al senatore Lisi, il quale aveva anticipato di dover chiedere una precisazione al riguardo.

ANTONIO LISI. Si tratta di una questione che sottopongo al relatore e che non ha formato oggetto di emendamento (perché non credo possa essere tradotta in una proposta di modifica).

Mi riferisco al terzo capoverso dell'articolo: «La legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa». Fin qui non vi sono questioni da sollevare. Prosegue poi la norma: «... abbia la facoltà di fare interrogare le persone da cui provengono le accuse a suo carico». Ho qualche difficoltà a comprendere da chi queste persone dovrebbero essere interrogate: se le accuse sono state rivolte a suo carico, già provengono da qualche dichiarazione resa agli organi di polizia giudiziaria o al pubblico ministero. La facoltà che introduciamo, quindi, dovrebbe essere rivolta a far sì che le persone da cui provengono le accuse siano interrogate dal difensore dell'imputato. Ma se lasciamo il testo nell'attuale formulazione, non aggiungiamo nulla di nuovo rispetto a quanto accade già oggi.

Consiglierei quindi al relatore di riformulare il testo in tal senso: «... abbia la facoltà di interrogare o di far interrogare dal suo difensore...». Infatti la facoltà di interrogare spetterebbe alla persona accusata.

GIOVANNI RUSSO. Il testo del mio emendamento era proprio di questo tenore. Evidentemente le parole sono saltate nella trasposizione a stampa.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In effetti è occorso un errore tipografico nella riproduzione del testo proposto dal senatore Russo, il quale tendeva sostanzialmente a recepire l'articolo 6 della convenzione europea. Quindi l'osservazione del collega Lisi è accolta.

SILVIO BERLUSCONI. Vorrei chiedere al relatore se non si sia verificata una svista al secondo comma dell'articolo 130-ter, laddove si prevede che «il processo» si svolga nel contraddittorio fra le parti. Ricordo che con la proposta del 27 ottobre ed anche nella discussione svoltasi nel Comitato ristretto il riferimento al processo riguardava tutte le fasi del procedimento. Il relatore rammenterà che noi avevamo chiesto di aggiungere alla parola «procedimento» l'aggettivo «penale». Vorrei sapere se è questa la versione definitiva.

PRESIDENTE. Una volta terminati gli interventi dei colleghi il relatore risponderà a tutte le osservazioni.

SALVATORE SENESE. Vorrei esprimere la mia opinione sul problema ora sollevato dall'onorevole Berlusconi. Mi soffermerò poi su due questioni che mi hanno indotto a richiedere la parola.

Scrivere che «il procedimento penale» si svolge nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parità e che è ispirato al principio dell'oralità significherebbe rendere in pratica estremamente difficoltosa la fase iniziale delle indagini, nella quale il pubblico ministero non ha l'obbligo di informare l'indagato; soprattutto si renderebbe impossibile la fase delle indagini, caratterizzata proprio dalla non- oralità. Quindi mi pare che l'utilizzo del termine «processo» fa salva questa prima fase - rispetto alla quale, però, sussistono i diritti fondamentali stabiliti con i commi successivi - e consente di estendere questo principio di civiltà a tutti gli altri processi, oltre a quello penale, fin dal momento in cui la fase delle indagini preliminari si chiude. Manterrei quindi la formulazione proposta dal relatore.

Domando inoltre al relatore come mai non sia stato previsto il principio della concentrazione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sarebbe favorevole a scrivere «concentrazione e immediatezza»?

SALVATORE SENESE. Sì, sarei favorevole. La concentrazione, soprattutto, varrebbe ad evitare le udienze dibattimentali che si trascinano negli anni e che in qualche modo diluiscono il tema decidendum in una infinità di rivoli.

MICHELE SALVATI. Presidente, vorrei intervenire brevemente sul primo comma dell'articolo 130-ter ai fini di una valutazione generale dell'intera normativa che stiamo licenziando.

Non ho partecipato alla discussione di questo problema per mia evidente incompetenza, non per mancanza di passione. C'è però un aspetto dell'intera materia che stiamo trattando in cui la mia incompetenza è minore: attiene alla giustizia come organizzazione, come azienda che deve erogare servizi, i quali devono anche soddisfare le domande legittime degli utenti. Sotto questo profilo la magistratura è un pezzo della pubblica amministrazione, di quella parte più intimamente pubblica che deve fornire servizi in condizione di monopolio (monopolio della giustizia e della violenza legittima, che pertiene ai caratteri definitori dello Stato).

Per tutti i servizi forniti in condizioni di monopolio si pone il problema della fornitura efficiente, che soddisfi la domanda di minimo costo. Normalmente ciò è garantito da una situazione di concorrenza, ma non può essere così nel caso in questione. Il problema rischia di somigliare a una fatica di Sisifo, nel senso che non potrà mai essere risolto in modo definitivo: le soluzioni saranno sempre provvisorie e soggette a continui adattamenti.

In questo campo non può intervenire se non per esprimere attenzione o segnalare indirizzi. Così si è fatto con le norme relative alla pubblica amministrazione che, a mio modo di vedere, rappresentano un importante progresso rispetto al precedente dettato costituzionale. Io non vedo la stessa attenzione - arrivo al punto - per quel comparto della pubblica amministrazione costituito dall'amministrazione giudiziaria. In questo campo le soluzioni che possono essere adottate in altri comparti della pubblica amministrazione sono escluse se vogliamo garantire l'indipendenza della giustizia e, per conseguenza, un grado di autogoverno che è sconosciuto in altri rami dell'amministrazione pubblica.

Precluse quindi le soluzioni che abbiamo adottato per altri rami della pubblica amministrazione, il problema tuttavia rimane ed è di particolare gravità, perché, come tutti sanno, nella materia di cui discutiamo efficienza è giustizia. Capisco la passione che ha alimentato il dibattito tra ipergarantisti e, come vengono chiamati, giustizialisti - anche se l'espressione è del tutto impropria - ma non capisco perché una passione ancor maggiore non sia stata riversata sul problema dell'efficienza dei processi, dell'insopportabile, dannosa lunghezza di tutti i processi, sull'estrema difficoltà a sollecitare ritmi di lavoro e adeguatezza di risorse nel campo di cui stiamo trattando. Ripeto: efficienza è giustizia.

Esclusi, per la peculiarità del campo, gli indirizzi che abbiamo adottato in altri settori della pubblica amministrazione, quali strumenti, quali indirizzi si forniscono per l'azienda giustizia? Come si può far sentire la voce dei cittadini? Nella giustizia civile assistiamo a massicci fenomeni di esodo - di exit per usare l'antinomia - di arbitrati e compromessi stragiudiziari. E questo è spesso inefficiente e ingiusto perché ricatta le parti più deboli al di fuori della giustizia. Ma l'exit (l'uscita) non è consentito nella giustizia penale ed è molto difficoltoso nella giustizia amministrativa. Come provvediamo? E qui arrivo alla formulazione del primo comma.

Credo che l'affermazione del primo comma dell'articolo 130-ter sia un flatus vocis se non si danno strumenti che stimolino la ragionevole durata dei processi e dunque, fondamentalmente, la fornitura di risorse adeguate e una ragionevole intensità di lavoro per tutti gli addetti al comparto. la mia impressione è che le soluzioni di autogoverno estremo della magistratura per soddisfare l'esigenza suprema di indipendenza abbiano quasi completamente soffocato l'esigenza di efficienza che, lo ripeto, è un'esigenza primaria di giustizia.

L'insieme di disposizioni che diamo, il ruolo limitatissimo del ministro di grazia e giustizia e del Parlamento, sono esposte al rischio di una degenerazione corporativa e inefficiente di questo potere dello Stato, al rischio che, sotto l'egida dell'indipendenza - direi con il pretesto dell'indipendenza - i giudici nel loro autogoverno non siano sufficientemente solleciti nella loro efficienza e alla domanda dei cittadini, non sufficientemente duri nel reprimere comportamenti di colleghi che con l'efficienza contrastano.

Anche nella gestione dell'università c'è molto autogoverno della corporazione - parlo per conoscenza di causa - e poco spazio per la voce dei cittadini. Come professore universitario potrei illustrare a lungo i disastri che l'autogoverno comporta, ma, naturalmente, è una questione molto meno importante.

Ormai credo che sia tardi per intervenire (non ho partecipato ai lavori preparatori di questo gruppo per incompetenza, lo ripeto), però mi auguro che la riflessione continui e che una soluzione più adeguata del doppio problema dell'indipendenza e dell'autogoverno da un lato e dell'efficienza dall'altro possa essere trovata in aula.

Volevo solo fare queste dichiarazioni e vi chiedo scusa per il tempo che vi ho sottratto.

MARIO GRECO. Mi riservo di svolgere alcune osservazioni anche con alcuni emendamenti che il relatore sa essere stati depositati in materia di custodia cautelare e che non è il caso che esponga qui proprio per non far perdere tempo. Vi sarà modo di presentarli poi in aula.

ORTENSIO ZECCHINO. Il nuovo testo del relatore innova in due punti: nella sostituzione della parola «procedimento» con la parola «processo»; con il riferimento diverso al principio dell'oralità, che prima era, in qualche modo, più tassativo e che ora diventa più sfumato essendo «ispirato» al principio di oralità.

So a quali ragioni rispondono queste due modifiche, però debbo esprimere qualche riserva. Sulla sostituzione della parola «procedimento» con la parola «processo» pesa un dibattito dottrinario e giurisprudenziale che non ha esiti univoci e chiari. Credo che noi nel testo costituzionale dovremmo badare almeno alla coerenza terminologica che il testo ha in altre parti. E l'unica parte in cui vi è un richiamo che può essere utilizzato per noi è quella dell'articolo 24 (ne ha parlato in Comitato ristretto il senatore Pera). Ritengo di dover dare atto che per noi dovrebbe essere questo il parametro. All'articolo 24 abbiamo infatti la sanzione forte dell'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento. È questa l'espressione usata, sicché nella vaghezza che c'è nel dibattito dottrinario, noi non possiamo che far riferimento alla nozione che il testo costituzionale, nella parte che non siamo abilitati a modificare, utilizza. Io farei riferimento al procedimento.

Capisco che sorgano problemi soprattutto rispetto al principio dell'oralità, nella versione sfumata o più rigida della precedente, per quanto riguarda il processo civile. Ma credo che sia forse impossibile, in uno stesso comma, affrontare o fissare i principi che possono valere per i due processi, che hanno struttura, finalità e aggiungerei anche filosofie diverse. Ritengo che questa norma, nella sua alta funzione di garanzia, debba essere espressamente riferita al procedimento penale. Utilizzare l'espressione «procedimento» con l'aggettivo «penale» mi sembrerebbe la formulazione più propria.

Chiarito questo punto, la sfumatura derivata all'adozione del principio di oralità può essere eliminata, perché certamente può esservi una più forte sottolineatura della necessità della vigenza di questo principio nel processo penale avendo chiarito che parliamo di procedimento penale.

In conclusione, sarei favorevole a che si parli di procedimento penale e si ritorni alla formulazione «secondo il principio di oralità». Ma voglio anche aggiungere che sono d'accordo con il collega Senese nell'inserimento del principio di concentrazione e di immediatezza. Inoltre, proporrei ancora una modifica, anch'essa frutto di un dibattito svoltosi nell'ambito del Comitato - in particolare con una sottolineatura del collega Pera - nel senso di sostituire l'aggettivo «imparziale» riferito al giudice, perché, così com'è, indica piuttosto una qualità soggettiva di per sé imponderabile, con la specificazione di giudice terso, che sottolinea una condizione ontologica; quindi, non l'affidamento ad una qualità soggettiva ma ad una condizione ontologica che mi sembra più propria.

MARCELLO PERA. Gli argomenti che volevo esporre sono stati in gran parte anticipati dal collega Zecchino, perciò non mi dilungherò troppo. Però vorrei anch'io far riferimento all'appello che lei ci ha rivolto, signor presidente, a proposito dell'accordo su questi due fondamentali articoli, cioè il 130-bis e il 130-ter, e del modo di interpretarli in relazione alla parte prima della Costituzione. Io ho apprezzato quanto lei ha detto, cioè che qui siamo ai limiti, per cui non varchiamoli in tanto e in quanto cerchiamo qui di scrivere norme che non correggono né modificano in alcun modo i principi fondamentali stabiliti dalla parte prima della Costituzione. Tali limiti non vengano toccati solo se in questa seconda parte introduciamo previsioni e norme che inverino quei principi. Ma la sostituzione del termine «procedimento» con «processo» darebbe proprio la sensazione, dando poi luogo ad interpretazioni di giurisprudenza, che noi stiamo superando quei limiti, perché l'espressione «procedimento» è adoperata espressamente nella prima parte della Costituzione, all'articolo 24.

Son consapevole del fatto che l'espressione «il procedimento» con l'elencazione dei principi che segue può creare problemi circa il procedimento civile. Ricordo che, in sede di Comitato ristretto, lo stesso relatore aveva sempre insistito, fino al giorno 27, sull'espressione procedimento intendendo con ciò coprire anche il procedimento civile, eventualmente estendere questi principi a tale procedimento che soffre di gravi inefficienze in questo paese. Quindi, raccomanderei il ritorno alla dizione originaria, che era stata concordata nel Comitato ristretto proprio per il raccordo fondamentale che attua con la prima parte della Costituzione, proprio per non varcare quei limiti ai quali lei ci ha richiamato, signor presidente.

Aggiungo - ma anche quanto sto per dire è stato anticipiato dal collega Zecchino - che tra questi principi vi è quello del giudice imparziale, come qua è detto. Preferirei adoperare l'espressione «giudice terzo», oppure parlare di terzietà del giudice, in quanto il predicato «imparziale» si riferisce certamente a soggetti, a individui e a persone ed è sinonimo di non pregiudicato, di non fazioso, di sopra le parti, di non coinvolto, di galantuomo, eccetera, mentre il predicato «terzo» non si applica a individui o a persone ma a figure o a ruoli istituzionali. Un giudice potrebbe anche essere soggettivamente imparziale senza essere istituzionalmente terzo. Ecco perché sarebbe preferibile, per il raccordo con la prima parte della Costituzione, evitare di non varcare quei limiti. In questo caso, quindi, preferirei che mantenessimo la dizione «procedimento» e che parlassimo di giudice terzo o di principio della terzietà del giudice accanto a quello della oralità. Ripeto: proprio accogliendo l'appello che lei ci ha fatto, signor presidente, raccomanderei il ripristino del testo del relatore, che per mesi ci ha accompagnato - grazie anche al suo lavoro, gliene do atto volentieri - su questo punto; preferirei che tornassimo alla dizione originaria anziché ritoccare, l'ultimo giorno, norme che ci avevano visti largamente concordi.

PIETRO FOLENA. Sono state poste due questioni tra loro diverse. La prima riguarda il principio di oralità riferita al processo civile. La soluzione proposta nell'ultima formulazione del relatore, pur non rispondendo pienamente alle osservazioni che su questo punto ha svolto il collega Zecchino, e che anch'io condivido, è comunque tale da immaginare uno sviluppo del processo civile che non sia tassativamente riferito ad un principio di oralità in ogni aspetto, in ogni fase del procedimento civile nella precedente formulazione, così come poteva sembrare prima. Quindi, su questo punto difendo il testo del relatore, nel senso che lo considero un testo di mediazione; poi ci si può anche riferire solo al processo o al procedimento penale, però è anche vero che nel momento in cui nelle norme sulla giurisdizione parliamo solo del penale dovremmo inventare una norma che ci dica come dobbiamo regolarci sul civile. Questa formulazione mi sembra quindi equilibrata.

Per quanto attiene all'altra questione sollevata prima dal collega Berlusconi e adesso dai colleghi Pera e Zecchino, io ho un'opinione diversa. Del resto, non è vero che in Comitato ristretto si fosse giunti ad un punto di convergenza sulla definizione: in sede di Comitato ristretto, in ogni passaggio da parte nostra è stato sollevato questo tema.

Vorrei un attimo di attenzione, da parte dei colleghi che hanno sollevato la questione, sull'argomento che voglio adesso affrontare. Credo infatti che il secondo comma sia volto a rispondere ad un'esigenza sollevata da più parti, in particolare dall'avvocatura penalistica italiana nell'audizione che qui avevamo svolto (quella dell'Unione delle camere penali) circa la necessità di costituzionalizzare i principi del processo accusatorio. Il secondo comma - lo dico al collega Berlusconi e al collega Pera - serve alla necessità di costiutzionalizzare il processo accusatorio in ogni fase e a stabilire che nel momento stesso in cui interviene il giudice terzo, il giudice imparziale, quei diritti di contraddittorio tra le parti, di parità e di oralità siano fino in fondo rispettati. Questo è l'obiettivo che ci proponiamo anticipando anche il più possibile - aggiungo io - l'intervento del giudice terzo.

Il terzo comma, invece, non riguarda la costituzionalizzazione dei principi del processo accusatorio ma proprio il tentativo, traducendo normative internazionali ( proposta fatta inizialmente dal collega Russo) di realizzare norme garantistiche anche prima e, comunque, al di là dell'intervento del giudice terzo, proprio in riferimento al secondo comma dell'articolo 24, giustamente citato, che parla di procedimento. Di fatto, il terzo comma è un tentativo di intervenire anche nel procedimento, laddove non c'è ancora il processo vero e proprio, per garantire che la persona accusata di un reato possa subito intervenire, sapere perché è stata accusata, disporre del tempo per difendersi, controinterrogare e interrogare chi lo accusa.

Quindi, da un lato disegnamo un intervento sul procedimento di netto allargamento delle garanzie e di realizzazione dell'articolo 24 della Costituzione, dall'altro costituzionalizziamo il processo accusatorio. Se invece dovessimo stabilire che il procedimento si svolge nel contraddittorio, e via dicendo il secondo comma, troverei in parte ridondante il riferimento al terzo comma, che sarebbe una ulteriore specificazione, e credo anche che entreremmo in contraddizione con la necessità, tipica del processo accusatorio, di un pubblico ministero parte che deve intervenire - anzi, nel nostro ordinamento deve obbligatoriamente intervenire - fatte salve, però , alcune garanzie che noi descriviamo al terzo comma.

Queste ragioni mi portano quindi a dire che l'attuale formulazione sul processo nel secondo comma e questa lunga elencazione nel terzo comma permettano di far capire che vogliamo il massimo di garanzie non solo dentro il processo ma sin dalla fase preliminare.

GIOVANNI PELLEGRINO. Intervengo brevemente sulle vari questioni affrontate dai colleghi. A proposito di processo o procedimento, indubbiamente quest'ultimo era un errore ed è stato opportunamente corretto. Nel processo civile abbiamo procedimenti a contraddittorio eventuale (penso al decreto ingiuntivo), abbiamo procedimenti a contraddittorio differito (penso a tutto l'ambito delle misure cautelari). Introdurre necessariamente il principio del contraddittorio e rendere quindi incostituzionali queste norme aggraverebbe, priverebbe di effettività e di garanzia il sistema processuale.

Sono allo studio riforme del processo amministrativo in cui si prevede addirittura la possibilità di un intervento cautelare del presidente dell'organo collegiale che sia contraddittorio differito. Anche nel procedimento penale vi sono fasi in cui assicurare il principio del contraddittorio e l'oralità significa poi renderlo sostanzialmente impraticabile o inefficace. L'importante è che anche nel processo penale il bene della libertà, che è quello in discussione, non venga mai leso, se non in esito a contraddittorio e all'applicazione del principio dell'oralità.

Vorrei aggiungere che, addirittura, stabilire in Costituzione che il processo è ispirato al principio della oralità pone il problema di processi che per il loro contenuto necessariamente si svolgono meglio attraverso la forma scritta, piuttosto che orale; penso, ad esempio, ad un giudizio di legittimità. Cosa accadrebbe se un ricorso per cassazione si potesse motivare succintamente e poi illustrare oralmente? Avremmo soltanto un giudizio meno meditato da parte del giudice della legittimità.

Quanto al terzo comma, al punto in cui siamo anch'io accetto il testo del relatore. Però mi auguro che nel corso successivo della vicenda di riforma costituzionale questa disposizione possa essere asciugata. Non si scrivono i codici di procedura penale in Costituzione.

Un asciugamento della norma che la renda più chiara non è, evidentemente, cosa che possiamo fare oggi; però, nella fase successiva, recuperando emendamenti dell'aula credo che potremo arrivare ad una riscrittura della norma più asciugata e più consona ad un testo costituzionale.

Una mia osservazione personale riguardo al penultimo comma, secondo il quale: «la legge assicura che la custodia cautelare venga disposta in appositi istituti». Sembra quasi che nell'apposito istituto debba stare chi la dispone. È chiaro che il senso è che la custodia debba essere eseguita negli appositi istituti, ma la formula lessicale utilizzata non mi sembra di particolare eleganza. A meno che non vogliamo stabilire che il giudice che dispone la misura debba provare la comodità o la scomodità dell'istituto prima di disporla.

GIULIO MACERATINI. Cercando di essere, a questo punto, il più sintetico possibile, devo dire che per quanto riguarda i primi due commi mi pare che ci troviamo di fronte ad una evidente difficoltà, che nasce dal fatto che alcuni principi si applicano a tutti i processi ed altri solo o prevalentemente al processo penale. Lo sforzo che io chiedo al relatore dovrebbe essere quello di allargare il primo comma, laddove si parla della giurisdizione, per cui siamo in un ambito complessivo non discutibile e non controvertibile, portando in quella sede il concetto della imparzialità del giudice e della ispirazione al principio della oralità. Queste, infatti, riguardano i vari tipi di processi - civili, penali, amministrativi - dei quali ci dobbiamo occupare.

Invece il secondo comma, che inizia con le parole «il processo», coinvolge necessariamente il termine «procedimento» di cui all'articolo 24 della Costituzione, che ci consente di dare una sistemazione sistematica - chiedo scusa per l'aggettivo interno - che è necessaria per far capire che non abbiamo invaso il terreno della prima parte, anzi abbiamo recepito quel concetto. E parlando di procedimento si dovrebbe, semmai, aggiungere la parola «penale», il che ci toglierebbe ogni preoccupazione.

L'articolo risulterebbe così sistemato: nel primo comma si parlerebbe di tutti i processi, nel secondo ci si avvicinerebbe a quello penale, nel terzo si spiegherebbe come avvenga in particolare una certa forma di garanzia per il cittadino quando si trova di fronte ad una accusa dalla quale si deve difendere.

PRESIDENTE. Dopo l'intervento del collega Russo credo che procederemo alla votazione, per cui invito i colleghi a prendere posto.

GIOVANNI RUSSO. L'intervento del collega Pellegrino, richiamando l'attenzione sul quarto comma, mi ha suggerito una obiezione. Tale norma stabilendo che la custodia cautelare venga disposta in appositi istituti potrebbe, certamente contro l'intenzione del redattore, essere letta come un divieto di custodia cautelare nella propria abitazione; oggi, infatti, la custodia cautelare avviene anche nella forma degli arresti domiciliari, oltre che in carcere. L'intenzione è chiaramente quella di stabilire che laddove sia disposta la custodia cautelare in carcere, questa avvenga in appositi istituti; forse sarebbe il caso di specificarlo, stabilendo che «la custodia cautelare in carcere venga eseguita in appositi istituti».

Circa la proposta del senatore Maceratini, vorrei osservare che non dà risposta al problema posto dai colleghi Senese, Folena e Pellegrino. Se noi intendiamo riferire il principio del contraddittorio e della oralità all'intero arco del procedimento penale, cadiamo in una grave contraddizione con i principi stessi del processo accusatorio, il quale prevede una fase di indagini preliminari che non entra nel processo e non si svolge davanti al giudice. Pensare ad introdurre in quella fase il contraddittorio tra le parti e l'oralità è una contraddizione in termini. Se diciamo «davanti al giudice», questo potrebbe addirittura portare a ricreare la figura del giudice istruttore, stabilendo che anche le indagini debbono svolgersi davanti ad un giudice, ma allora altereremmo completamente la struttura del processo accusatorio. Ecco perché è necessario parlare di «processo», perché sia chiaro che questi principi devono avere attuazione, e attuazione piena, nella fase in cui le parti vanno davanti al giudice: lì ci deve essere il contraddittorio e, in quanto possibile, l'oralità. Questo mi pare sia un punto chiaro se vogliamo definire una norma che non soltanto stabilisca bei principi ma sia anche attuabile e coerente con il sistema complessivo che vogliamo definire. Quindi, la suddivisione tra i due commi non risolverebbe il problema.

A me pare che il secondo comma così come proposto dal relatore vada bene, perché l'espressione «ispirato al principio dell'oralità» fa salve le eccezioni alle quali si riferiva il collega Pellegrino. Del resto il processo civile, che è prevalentemente scritto, prevede comunque, poi, una presenza delle parti davanti al giudice; quindi si può proprio dire che è ispirato al principio dell'oralità, anche se questa non esaurisce l'intero processo.

SILVIO BERLUSCONI. Lei ha detto, presidente, che dopo l'intervento del senatore Russo saremmo passati al voto, ma, anche per eventuali ulteriori interventi, noi attendevamo la risposta del relatore.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Prima del voto, come lei sa, c'è sempre la replica del relatore.

SILVIO BERLUSCONI. Approfittando di avere la parola, vorrei allora confermare la nostra posizione. Insistiamo sul ritorno al precedente testo, in cui si parla di «procedimento penale» anziché di «processo»: probabilmente, per riferirci più direttamente all'articolo 24 della Costituzione si potrebbe inserire subito dopo «in ogni suo stato e grado».

Approviamo anche la proposta di introdurre l'aggettivo «terzo», quindi di dire «davanti a giudice terzo», e non ci sembra in contraddizione il mantenimento dell'aggettivo «imparziale». Quindi: «davanti a giudice terzo e imparziale». È un fatto così importante che mi sembra che avere maggiore chiarezza non guasti.

Vorrei poi ribadire ulteriormente, anche per rispondere a tutti gli interventi fatti in proposito, che noi riteniamo che l'articolo 24 della Costituzione sia fondamentale: garantisce il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento e dichiara che tale diritto è inviolabile. È chiaro che la fase investigativa pura non può essere svolta con la partecipazione del difensore e, a questo proposito, si potrebbero premettere all'inizio del secondo capoverso le parole «dopo la fase investigativa»; non credo che vi siano dubbi ma, se ve ne fossero, si potrebbe inserire questa espressione. Deve comunque essere fuori di dubbio che ogni qualvolta interviene un giudice la difesa deve essere garantita. Cioè i principi del contraddittorio, della parità delle parti e della oralità sono espressione di questo diritto della difesa; quindi devono essere garantiti nel corso di tutto il procedimento, anche in conformità - aggiungo - a quanto previsto dalle convenzioni internazionali. Nè si può tollerare quanto accade oggi nel nostro paese, cioè una procedura nella quale, in pratica, il pubblico ministero domina il giudice ed annulla l'imputato e la difesa. Infatti, nel corso delle indagini preliminari, come avviene sempre, il GIP, in assenza del contraddittorio che garantisce la pluralità delle parti, è chiamato a pronunciarsi solo sulla base delle richieste del pubblico ministero, che non sono controbilanciate dalle deduzioni in contraddittori della difesa. In sostanza, durante le indagini preliminari il GIP svolge unicamente la funzione di controllo dell'apparente professionalità del pubblico ministero, non della effettiva correttezza del corso delle indagini, che invece dovrebbero essere oggetto - ripetiamo ancora - del controllo imparziale di un giudice terzo. Quindi - e concludo - occorre che la fase del procedimento nella quale si formano elementi di prova utilizzabili nel processo e che possono prevedere atti rilevanti della limitazione della libertà dell'indagato, sia condotta nel rispetto dei principi fondamentali di civiltà giuridica propri degli stati di diritto.

PRESIDENTE. C'è una proposta Berlusconi, che è apprezzabile.

ERSILIA SALVATO. Proprio prendendo le mosse dall'ultima proposta dell'onorevole Berlusconi, mi dichiaro favorevole a che si riprenda il testo dell'articolo 24, cioè si parli di «procedimento». A mio avviso era già implicito che la fase delle indagini fosse inclusa, però mi sembra molto importante che la norma parli di «procedimento», in modo da assicurare che anche nella fase in cui interviene il GIP vi sia una reale, possibile parità tra le parti, cosa che oggi non è assicurata. Resto tanto più convinta di questa necessità dopo aver ascoltato le obiezioni di alcuni colleghi, i quali parlando del processo accusatorio si sono riferiti soltanto al momento del processo, il che a mio avviso è una limitazione. Se diciamo che «il procedimento penale, esaurita la fase delle indagini preliminari, si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti a giudice terzo» credo che abbiamo svolto al meglio il nostro ruolo.

PRESIDENTE. Si è venuta precisando una proposta ed io vorrei avanzare un dubbio dal punto di vista di organizzazione del discorso. Il secondo comma si riferisce al processo non esclusivamente penale ed afferma principi che hanno una validità generale; capisco che per quanto riguarda il procedimento penale si voglia sottolineare, come ha fatto l'onorevole Berlusconi, che tali principi si applicano a partire dal momento in cui si esaurisce l'indagine preliminare, per non lasciare il dubbio che, invece, ci si riferisca solo al dibattimento. Si potrebbe sostenere che la parola «processo» è comprensiva delle fasi...

MARIO GRECO. Si potrebbe parlare di «processo in ogni stato e grado».

PRESIDENTE. Si è insistito, non da parte mia ma da parte del senatore Pera e dell'onorevole Berlusconi, perché ci si riferisca all'espressione «procedimento» che è prevista all'articolo 24 della Costituzione; quindi, se ella vuole obiettare, obietti...

MARIO GRECO. Io non sto obiettando.

PRESIDENTE. Io penso che questa specificazione potrebbe intervenire lasciando il secondo comma così com'è ed aggiungendo successivamente: «Tali principi si applicano nel procedimento penale una volta esaurita la fase delle indagini preliminari». Giustamente, infatti, il relatore si è preoccupato di indicare norme di carattere generale, non esclusivamente relative al procedimento penale ma, più in generale, alla giurisdizione. Dunque, si potrebbe accogliere la proposta dell'onorevole Berlusconi lasciando immodificato l'attuale secondo comma ed aggiungendo, come ho detto: «Tali principi si applicano al procedimento penale una volta esaurita la fase delle indagini preliminari».

TIZIANA PARENTI. Mi scusi, presidente, ma forse si sta facendo un po' di confusione. Finita la fase investigativa siamo al processo e una persona può essere arrestata anche prima perché eviti di inquinare le investigazioni, per cui il contraddittorio non si instaurerebbe mai in quella fase. Quindi, ripetendo esattamente l'espressione dell'articolo 24 - «in ogni stato e grado del procedimento» - eliminiamo ogni problema. Non dimentichiamo che la Costituzione vigente ha come punto di riferimento il codice Rocco, nel quale il pubblico ministero aveva una fase limitatissima di indagine, essendo questa affidata al giudice. Però, se ripetiamo quella formula forse recuperiamo tutta la situazione. Non si può fare riferimento, infatti, a quando siano finite le indagini.

PRESIDENTE. Questo non l'ho detto io, l'ha detto l'onorevole Berlusconi. Avevamo recepito una proposta dell'onorevole Berlusconi.

SILVIO BERLUSCONI. Deve essere chiaro, presidente, che deve esserci per il cittadino la garanzia che quando può essere sottoposto ad un provvedimento restrittivo della sua libertà, allora deve esserci la possibilità di controdedurre. Cioè, quando c'è nella fase investigativa l'intervento di un giudice, lì il cittadino deve poter contrapporre alle accuse che gli vengono rivolte la sua difesa. Questo è il momento discriminante rispetto alle due dizioni.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Prima di arrivare a formulazioni tecniche, che, come sapete, è sempre difficile improvvisare in base a una risposta sull'istante ai vari interventi, vorrei, per correttezza nei confronti dei colleghi e per la delicatezza della materia, fare qualche osservazione.

Riguardo alla primissima osservazione, mi pare fatta dal collega Pera, che io avrei cambiato rispetto a cose già acquisite, ricordo che nella relazione stampata che correda il testo di giugno ho scritto: «Si tratta del principio del giusto processo, della ragionevole durata dello stesso, della necessità che il procedimento si svolga nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parità davanti a un giudice imparziale e che sia informato al principio dell'oralità. Peraltro gli unici punti sui quali è emersa una differenziazione critica riguardano il riferimento al »procedimento« anziché al »processo« e l'eventuale previsione del principio dell'oralità riferito soltanto al processo penale». Quindi ho dato atto, nella relazione stampata, di questo dibattito che è rimasto aperto e non ho fatto alcuna forzatura. Anzi, ho tenuto conto dello sviluppo di questo dibattito.

Sulla obiezione del senatore Pera...

MARCELLO PERA. Onorevole Boato...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Collega Pera, mi lasci svolgere una replica non solo a lei ma a tutti i colleghi. Poi interverrà nuovamente.

MARCELLO PERA. Io ho un testo del 27 ottobre, ultimo giorno in cui si è svolta una riunione del Comitato ristretto, e poi un testo da lei consegnato il 28 ottobre che reca una formulazione diversa, quella attualmente al nostro esame. Ecco perché...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non è facile che ogni collega, legittimamente, impicchi il relatore alla formulazione di un testo, perché questo dovrebbe valere per tutto. Ad esempio, le norme contenute negli articoli 130-bis e 130-ter inizialmente non erano previste nel testo di giugno così organizzate, così ampie e così garantiste. Bisognerebbe sapere tutti che l'evoluzione del dibattito non è mai una risposta solo a Pera o solo a Russo ma è il crescere comune di una consapevolezza e di una elaborazione tecnica sui vari problemi. Dopo di che, mi lasci dire, perché sono temi delicati, su cui non si può fare il botta e risposta.

Rileggendo una relazione depositata il 30 giugno ho dato atto che questa problematica era presente in tutti i lavori della Commissione.

Non ho mai lasciato cadere il principio della concentrazione e, anzi, rispondendo alla giusta sollecitazione del collega Senese ho suggerito di prevedere anche l'immediatezza. In tutto il dibattito ho fatto riferimento ai principi di oralità, concentrazione e immediatezza e, non essendo tutti così sensibili come il collega Senese a queste tematiche, ho recepito un principio che trovava un universale accordo, sia pure con diverse formulazioni, quella della oralità. Per quanto riguarda me, come relatore, sono favorevolissimo ad introdurre il riferimento, sia pure con la dizione «ispirato ai principi», non solo alla concentrazione ma anche alla immediatezza. Questo risponde anche all'intervento del collega Salvati, il quale lamenta una sottovalutazione dei problemi dell'azienda, che, invece, non abbiamo affatto sottovalutato; infatti, quando si scrive in Costituzione che «la legge assicura la ragionevole durata» - sottolineo «assicura» - si obbliga il legislatore ordinario a quel tipo di interventi che il collega Salvato, in uno splendido discorso, ci ha ricordato ma che non possiamo inserire in Costituzione. Dobbiamo scrivere il principio... (Interruzione del senatore Senese). Sì, questo avrebbe aiutato molto il principio della «ragionevole durata» di cui al primo comma. La questione dei giudici speciali possiamo riesaminarla in aula; su di essa si è svolta una votazione controversa, ma è prevalsa quella posizione.

Sono quindi totalmente d'accordo con l'intervento della collega Salvato. Peraltro della problematica ci siamo fatti carico nella redazione del testo (uso il plurale, non per superbia, ma perché molti colleghi hanno contribuito alla sua elaborazione) ed il principio, quello per cui siamo più frequentemente condannati dalla Corte di giustizia di Strasburgo, l'abbiamo ora «scolpito» in Costituzione.

Per quanto riguarda la questione procedimento-processo, in tutte le fasi, anche quelle ricordate dalla collega Salvato (fermo restando che chiederò al presidente di far votare la Commissione sulla proposta alternativa), che ha citato opportunamente alcuni esempi, e quelle citate dal collega Berlusconi, pure nella fase precedente al dibattimento, vi è un momento processuale. Quando interviene il giudice, quello è un momento processuale in cui vale la parità delle parti, il contraddittorio, l'oralità eccetera. Quindi, quando usiamo il termine processo, non utilizziamo la parola dibattimento, un punto questo spiegato molto bene anche dal collega Folena.

Questa è una risposta positiva alle sollecitazioni degli onorevoli Salvato e Berlusconi, che esprimono due posizioni molto diverse, ma che su tale punto convergono. Essi hanno posto il problema che l'espressione «processo» non è equivalente a quella di «dibattimento», ma per tutti gli aspetti sacrosanti che riguardano la fase preprocessuale a quella dell'indagine, vi prego di non svincolare il secondo comma dal terzo.

Per consentire di comprendere meglio il testo, che poi voteremo, anche da parte di chi ci ascolta, vi prego di scusarmi, ma ritengo opportuno dare lettura del terzo comma dell'articolo 130-ter: «La legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa; abbia la facoltà di interrogare o di fare interrogare dal suo difensore le persone da cui provengono le accuse a suo carico; abbia la facoltà di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a discarico nelle stesse condizioni di quelle di accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo».

Per quanto riguarda la questione della carcerazione preventiva e della custodia cautelare, sono d'accordo sull'opportunità di modificare il testo da me proposto e di riformularlo in questo modo: «La legge assicura che la custodia in carcere venga eseguita» (questo mi è stato suggerito dal senatore Pellegrino) «in appositi istituti». Abbiamo introdotto in Costituzione norme garantiste rigorosissime per la fase preprocessuale. La norma, così come l'ho riformulata, tenendo conto di tutte le osservazioni ed anche della riflessione in atto in dottrina (che ho cercato di compiere con i collaboratori del Servizio studi della Camera che, come sempre, mi hanno aiutato anche in tale materia), prevede che il processo si svolga nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice imparziale ed ispirato al principio dell'oralità. Tutta la fase del procedimento, esclusi i momenti processuali, come quelli davanti al GIP o al GUP, è già garantita. Quelli di tipo processuale sono garantiti dal secondo comma, mentre quelli di tipo preprocessuale o non, sono garantiti in modo rigorosissimo dal terzo comma.

Da ultimo, sarei personalmente contrario a limitare la dizione processo-procedimento a quello penale, perché esso ha una grandissima importanza, ma i principi del contraddittorio, della parità delle parti,del giudice imparziale, dell'oralità e, aggiungo volentieri, della concentrazione devono valere, se la Commissione sarà d'accordo, per tutti i tipi di processo, poiché non vi è solo quello penale.

Queste sono le ragioni per cui personalmente suggerirei, con le modifiche che ho apportato anche in base agli interventi degli onorevoli Lisi, Maceratini e Pellegrino, di mantenere questo testo, salvo che non venga chiesto al presidente di porre in votazione le proposte alternative che, ovviamente, in tal caso voteremmo. Questa è la logica, che ho cercato di motivare, cui si ispira il testo.

VALDO SPINI. Posso avanzare una proposta, presidente?

PRESIDENTE. Certamente.

VALDO SPINI. Lo spirito è quello di aiutare i nostri lavori. Poiché giustamente l'onorevole Parenti e la senatrice Salvato hanno fatto riferimento all'articolo 24 della Costituzione, che non possiamo ignorare, a me sembra che l'articolo 130-ter proposto dal relatore si componga in realtà di due parti. I primi due commi sono ispirati al problema del processo, mentre il terzo comma riguarda il procedimento penale. Potremmo pertanto scindere i primi due commi, che concernono il processo, e nel terzo comma, relativo al procedimento penale, richiamare i principi dell'articolo 24.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa è un'altra questione, la mia proposta è più dettagliata. Non possiamo ora riaprire il problema...

VALDO SPINI. Mi ascolti prima di dire che non possiamo riaprire il problema!

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non possiamo adesso affrontare una discussione sull'articolo 24 per le questioni richiamate dal terzo comma, un problema su cui abbiamo lavorato per mesi.

VALDO SPINI. Lei non può abolire l'articolo 24! Se ne rende conto, vero?

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Non lo stiamo affatto abolendo.

VALDO SPINI. Se lei motiva...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Anzi, stiamo da sempre...

VALDO SPINI. Mi lasci dire una cosa. Se lei afferma che il processo riguarda sia il penale sia il civile, dice una cosa giusta, che io rispetto. Quindi, ripeto, il processo riguarda sia il penale, sia il civile, ma se al terzo comma si parla del procedimento penale, mi permetta di affermare che forse si tratta di questione ancora regolata dall'articolo 24 della Costituzione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Continua ad essere regolata, ma in questa fase stiamo esaminando le norme sulla giurisdizione. Si tratta di una fase che sviluppa questo tipo di principi dal punto di vista delle garanzie del cittadino.

ERSILIA SALVATO. Ho ascoltato con attenzione il relatore. È stato chiarito che il secondo comma si riferisce al processo penale e civile. Il terzo comma, invece, potrebbe essere riformulato nel seguente modo: «La legge assicura che la persona accusata di un reato, in ogni stato e grado del procedimento penale, sia informata...». Non credo si preveda nulla di ultroneo, siamo soltanto più chiari, perché riportiamo nell'ambito del procedimento penale l'articolo 24.

 

PRESIDENTE. La proposta emendativa della senatrice Salvato, che specifica l'intervento svolto dall'onorevole Spini, riformula il testo dell'articolo dell'articolo 130-ter. Di conseguenza, i primi due commi si riferiscono in generale al processo civile e penale, mentre il terzo comma riguarderebbe il procedimento penale in ogni suo stato o grado, secondo quanto previsto dall'articolo 24 della Costituzione.

Pertanto, fermo restando che il relatore ha accolto la proposta di riferirsi anche al principio di concentrazione e di immediatezza, personalmente ritengo si possa utilizzare l'espressione «giudice terzo o imparziale», ed anche se il termine «terzo» in Costituzione non è brillante, serve a chiarire il senso.

A questo punto, dobbiamo decidere se la proposta emendativa della senatrice Salvato risolve il problema posto.

ORTENSIO ZECCHINO. Apprezzo lo sforzo della collega Salvato, peraltro anticipato dall'onorevole Spini, ma ho una sola preoccupazione. Anche nella recente modifica apportata all'articolo 513 del codice di procedura penale, abbiamo ampliato i casi di intervento del GIP nella fase delle indagini, cioè i casi dell'incidente probatorio. Di conseguenza, oggi nella fase delle indagini preliminari, la figura del GIP, che è già immanente, acquista una immanenza, se così posso esprimermi, più pregnante per le possibilità di un suo intervento in una gamma di situazioni che prima non esistevano. Questo significa che in quelle fasi dobbiamo garantire il rispetto del principio del contraddittorio.

Da tale punto di vista, riterrei che la querelle processo-procedimento, nonostante gli indubbi chiarimenti e le interpretazioni che sono state date circa la non coincidenza tra processo e dibattimento (che nessuno peraltro aveva mai immaginato), non mi pare risolvano il problema, anche dopo la formulazione proposta dalla senatrice Salvato, che pure è un passo avanti.

Vorrei allora suggerire, nella logica della proposta della collega Salvato, di inserire nel terzo comma la formula «in ogni stato e grado del procedimento penale» (in questo caso, finalmente, ci riferiamo soltanto di quello penale) e provare a prevedere alcune necessità imprescindibili del processo penale indicate nel secondo comma. Mi riferisco, per esempio, ad una più forte sottolineatura del principio di oralità, che nel processo civile deve restare sfumato, ma soprattutto a quello del contraddittorio. È un tentativo, perché il terzo comma prevede una serie di garanzie che attengono proprio al momento dell'impianto, come l'informazione nel più breve tempo possibile. Si potrebbe provare, anche in relazione al tempo che abbiamo a disposizione, a riformulare il testo, sebbene sia sempre difficile farlo in modo estemporaneo quando si è in presenza di norme così delicate.

Mi pare giusto, relativamente al terzo comma, che pacificamente si riferisce solo al procedimento penale, utilizzare la formula dell'articolo 24 della Costituzione e cercare il modo per dare più forza al principio del contraddittorio, che è presente, ma che, per le ragioni illustrate, estendendosi molto di più alla fase delle indagini preliminari, ha bisogno di essere ulteriormente sottolineato.

LEOPOLDO ELIA. Forse non è chiaro a tutti che nell'articolo 24 il diritto di difesa è affermato come inviolabile, ma non è affermata (il che costituisce un passo ulteriore, peraltro compiuto dopo) la parità tra difesa ed accusa. Nell'articolo 24 cioè si vuole tutelare la difesa, senza specificare la parità tra accusa e difesa. In questo testo si compie - ripeto - un passo ulteriore. Quindi è bene lasciare l'articolo 24 da parte e capire che in questo caso si va oltre tale articolo.

PRESIDENTE. A questo punto dobbiamo votare, oppure aggiornare la seduta, perché non credo che possiamo, in un dibattito così confuso, riscrivere la Costituzione. Se si ritiene necessario apportare correzioni sostanziali, è preferibile aggiornare la seduta alle 16.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Suggerirei, in modo che tutti possano riflettere informalmente sulla questione, di accogliere la proposta del presidente.

MARCELLO PERA. Se dobbiamo aggiornare i lavori della Commissione, dal momento che si è posto un problema di stesura del testo e di definizione di una norma, sarebbe opportuno convocare prima il Comitato ristretto.

PRESIDENTE. Potete certamente riunirvi con il relatore anche subito.

MARCELLO PERA. Credo che in questo modo risulterà più facile anche la riformulazione del testo.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Sono favorevole alla sospensione della seduta e ad incontrare immediatamente i colleghi interessati.

PRESIDENTE. Resta inteso che la Commissione riprenderà i suoi lavori alle ore 16 e presumibilmente li esaurirà in breve tempo. Prima dell'inizio della seduta si riunirà il Comitato ristretto.

 

La seduta, sospesa alle 12.45, è ripresa alle 16.10.

 

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori. Il relatore ha presentato un'ulteriore riformulazione dell'articolo 130-ter(v. allegato Commissione bicamerale), sulla base del dibattito svoltosi.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. La nuova formulazione è frutto di un lavoro collegiale con i colleghi dei vari gruppi che hanno ritenuto di fermarsi nella riunione informale svoltasi al termine dei lavori antimeridiani.

Nella nuova formulazione abbiamo unificato il primo ed il secondo comma del testo precedente del relatore; abbiamo introdotto i principi sollecitati dal collega Senese; abbiamo aggiunto nell'ex terzo comma, ora secondo comma, il riferimento al «procedimento penale», venendo incontro alle sollecitazioni emerse dagli interventi dei colleghi Pera, Berlusconi, Salvato ed altri.

A questo punto l'articolo consta quindi di quattro commi. Il primo, come ho già detto, unifica il primo ed il secondo comma del testo precedente; il secondo comma introduce il riferimento al procedimento penale; gli altri due commi sono rimasti sostanzialmente uguali, salvo il riferimento alla custodia cautelare che, come abbiamo detto questa mattina, è ora del seguente tenore «la legge assicura che la custodia cautelare in carcere venga eseguita» (e non disposta) «in appositi istituti».

Si è trattato di un lavoro molto positivo anche perché, sia pure da posizioni diverse, si è poi trovata una convergenza di tutti i partecipanti. Debbo aggiungere che rimane un dubbio, che è anche mio oltre che del collega Russo, sull'avere introdotto in Costituzione il termine «giudice terzo» anziché quello di «giudice imparziale». Poiché però tale richiesta di fare esplicito riferimento nella Costituzione alla terzietà del giudice era venuta da molti gruppi, in sede di redazione collegiale abbiamo accolto la richiesta stessa, salvo restando che se nel prosieguo dei lavori nelle assemblee di Camera e Senato ci verrà in mente qualcosa di più corretto, forse, potremo adottarlo; il termine usato è corretto in dottrina, ma il collega Russo ed io abbiamo qualche dubbio sul suo uso in Costituzione. È chiaro che l'imparzialità del giudice consta nella sua terzietà rispetto ad accusa e difesa; queste ultime sono primo ed secondo elemento e il giudice è terzo, ma abbiamo - ripeto - qualche dubbio terminologico. Ci è sembrato comunque opportuno inserire questo termine e rispondere alle istanze venute da vari gruppi. Il collega Elia, che in questo momento non è con noi, aveva suggerito l'espressione «giudice in posizione di terzietà»; questa potrebbe essere una delle formulazioni eventualmente da adottare successivamente, non cambierebbe nulla. Siamo ormai alla scelta di un'espressione terminologica o di un'altra per esprime un concetto su cui vi è l'unanimità dei colleghi.

Vi è poi la costituzionalizzazione dei principi del processo accusatorio: contraddittorio, condizioni di parità tra le parti, giudice terzo; in più la ragionevole durata e tutto il resto.

Il processo si ispira ai principi dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza. Per quanto riguarda l'oralità, l'attuale secondo comma prevede una serie di norme che rendono nel procedimento penale questa oralità più cogente che non una semplice fonte di ispirazione. L'ispirarsi ai principi dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza vale per tutti i processi; nel secondo comma, con riferimento esplicito al procedimento penale, si prevedono norme che rendono cogente l'oralità nel procedimento penale stesso. Questo è tutto.

PRESIDENTE. Vi sono osservazioni sul nuovo testo? Ottimo ed abbondante, secondo il collega Ossicini.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È stato un successo collegiale.

PRESIDENTE. Vediamo come va a finire, prima di parlare di successo.

FRANCESCO SERVELLO. Non so se si tratti di una disattenzione o se il fatto sia voluto, ma il secondo comma inizia con il riferimento al procedimento penale e si conclude con quello al processo, per quanto riguarda la lingua impiegata. È chiaro che il procedimento fa parte del processo.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In quel caso ci riferiamo esclusivamente alla lingua impiegata nel processo; il termine non è riferito all'insieme del comma e la terminologia è quella adottata all'articolo 6 della Convenzione internazionale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà (Commenti del senatore Francesco Servello). In questo caso non è la stessa cosa perché, proprio per venire incontro alle esigenze manifestate da vari colleghi questa mattina, l'espressione «procedimento penale» copre fasi precedenti a quella processuale.

GIOVANNI RUSSO. Forse, proprio per la specificazione del relatore, si potrebbe anche dire «la lingua impiegata nel procedimento», per evitare che si possa intendere che l'assistenza sia limitata ad alcune fasi.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Nulla osta a scrivere in questo senso, inserendo il termine «procedimento penale» anche nell'ultimo periodo del comma.

ORTENSIO ZECCHINO. Credo si potrebbe far riferimento alla «lingua utilizzata»; il riferimento al procedimento penale è contenuto nella parte precedente dello stesso comma.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Anche l'osservazione del collega Zecchino è puntuale. Avendo aggiunto all'inizio del comma il riferimento al «procedimento penale», lo possiamo togliere alla fine.

PRESIDENTE. D'accordo. Pongo in votazione l'articolo 130-ter, in quest'ultima stesura.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti gli emendamenti non integralmente assorbiti (come da elenco in allegato), riferiti alle corrispondenti disposizioni del testo approvato lo scorso 30 giugno.

Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 131, già pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Rispetto al testo del giugno scorso, i commi terzo, quarto e quinto sono rispettivamente assorbiti dagli articoli 130-bis e 130-ter già approvati. Per quanto riguarda l'ultimo comma era emerso l'orientamento - che chiedo se sia confermato - di sopprimerlo. Ovviamente bisognerà che la legge ordinaria regoli la materia dei conflitti di giurisdizione che togliamo dalla Costituzione.

Per quanto riguarda il secondo comma, vi è la novità - già contenuta in formulazioni precedenti - che «contro le sentenze è ammesso ricorso in cassazione nei casi previsti dalla legge» con l'aggiunta «che la legge assicura comunque un doppio grado di giurisdizione». Tutto il resto è uguale alla Costituzione vigente.

Se viene confermata l'opportunità di sopprimere l'ultimo comma, il relatore non si oppone.

GIOVANNI RUSSO. Credo sia utile sopprimere l'ultimo comma perché nella Costituzione vigente esso ha la sua ragion d'essere nel fatto che è sempre prevista la possibilità di ricorso in Cassazione. Il senso dell'ultimo comma, quindi, è limitativo nella Costituzione vigente, che prevede che «contro le decisioni del Consiglio di Stato (...) il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione». Nel momento in cui non è più previsto prescrittivamente il ricorso in cassazione contro tutte le sentenze, non è più il caso di prevedere questa ipotesi nella Costituzione, perché sarà prevista dalla legge ordinaria. Per queste ragioni mi sembra corretto sopprimere l'ultimo comma.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se il presidente è d'accordo, considererei il testo del relatore con la soppressione dell'ultimo comma già acquisita. Chiederei quindi siano posti in votazione solo il primo e il secondo comma, quest'ultimo modificato, come suggerisce il collega Maceratini, con il riferimento al doppio grado di «giudizio» anziché di «giurisdizione».

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 131 nel testo ora delineato dal relatore.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti gli emendamenti ad esso riferiti, non integralmente assorbiti, come da elenco in allegato.

Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 132, già pubblicato nell'allegato della seduta dello scorso 28 ottobre.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho già illustrato ieri l'altro le novità di questo testo. È stata soppressa la frase «la legge stabilisce le misure idonee ad assicurarne l'effettivo esercizio», che qualche collega riteneva inefficace allo scopo, mentre ho introdotto, dopo la conferma dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, l'espressione «ed a tal fine» (cioè al fine dell'obbligatorietà) «il pubblico ministero avvia le indagini quando ha notizia di un reato», cioè quando ha la notizia criminis. Anche su tale innovazione credo si sia registrata l'unanimità del Comitato ristretto.

TIZIANA PARENTI. La mia posizione sull'argomento è già nota e quindi non voglio intrattenervi su questo punto. A prescindere da ciò, però, vorrei capire cosa significa «... ed a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di un reato». È l'ovvio che si costituzionalizza. Quando viene avviata l'azione penale? Quando c'è una notizia di reato.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa precisazione è stata chiesta dal gruppo di forza Italia e dal gruppo dei popolari .

TIZIANA PARENTI. Mi sembra un po' eccessivo, però, costituzionalizzare l'ovvio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Secondo alcuni colleghi, anche del suo gruppo, a volte accade che le indagini siano avviate anche senza notizia di reato, magari per perseguire qualcuno o qualcosa.

TIZIANA PARENTI. Sì, ho capito. Ma in questo caso ci si fa fare l'articolo dall'amico giornalista o ci si fa mandare un rapporto dalla polizia giudiziaria...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lo sappiamo anche noi...

TIZIANA PARENTI. Allora è inutile scriverlo.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Se intende sopprimere queste parole, posso chiedere al suo gruppo se la sua posizione è condivisa. Sta di fatto che l'ho inserita su richiesta del suo gruppo, oltre che su proposta del collega Zecchino.

PRESIDENTE. Ovviamente l'onorevole Parenti può proporre di sopprimere una parte dell'articolo senza l'autorizzazione del suo gruppo.

TIZIANA PARENTI. Non sapevo della posizione assunta dal mio gruppo, tuttavia questo non fa cambiare la mia idea.

PRESIDENTE. In questo caso si tratterebbe sostanzialmente di ripristinare il testo attuale della Costituzione.

TIZIANA PARENTI. Volevo chiedere anche un'altra cosa al relatore. Non ho fatto parte del Comitato ristretto e quindi non conosco quali posizioni abbiano espresso i diversi gruppi. Nel testo di giugno l'obbligatorietà dell'azione penale era stata messa in rapporto a fatti che abbiano determinato una concreta offensività.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Questa parte è stata introdotta al secondo comma dell'articolo 130-bis.

TIZIANA PARENTI. Perché non lo riferiamo a questa parte del testo? Avrebbe un senso dal punto di vista sistematico.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È già stato approvato, questa mattina.

TIZIANA PARENTI. Mi riferivo ad un miglioramento che non ha rilievi dal punto di vista del contenuto: è un fatto di coordinamento.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'esercizio obbligatorio dell'azione penale è stato regolamentato con l'articolo 130-bis, perché sarà il giudice - e non il pubblico ministero - a dichiarare la non punibilità.

TIZIANA PARENTI. Anche l'archiviazione viene chiesta al giudice, però...

PRESIDENTE. Onorevole Parenti, lei insiste per la soppressione della seconda parte dell'articolo 132?

TIZIANA PARENTI. Abbiamo costituzionalizzato tante cose sbagliate: costituzionalizziamo anche l'ovvio. Mi limito a formulare questa osservazione.

PRESIDENTE. Io devo soltanto procedere alla votazione nel caso in cui lei lo richieda. Insiste?

TIZIANA PARENTI. Non insisto, presidente.

 

PRESIDENTE. La ringrazio.

Pongo pertanto in votazione l'articolo 132 nel testo proposto dal relatore.

 

(È approvato).

Passiamo all'esame degli emendamenti riferiti all'articolo 133.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'unica modifica rispetto al testo approvato dalla Commissione è contenuta nel terzo comma ed è stata introdotta su proposta della collega Dentamaro. Dopo le parole: «La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione», sono state aggiunte le seguenti: «e disporre altri strumenti di reintegrazione...».

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, pongo in votazione l'articolo 133 nel testo proposto dal relatore.

 

(È approvato).

 

Risultano conseguentemente respinti gli emendamenti ad esso relativi, non integralmente assorbiti, come da elenco in allegato.

Il relatore ha proposto delle modifiche relativamente al titolo di questa parte della Costituzione e per quanto riguarda la prima sezione.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Le modifiche riguarderebbero la denominazione del titolo, che da «La magistratura» diventerebbe «La giustizia», ed il titolo della sezione prima, che da «Ordinamento giurisdizionale» diventerebbe «Gli organi» (si tratta di un suggerimento del collega Zecchino, poiché in questa parte si fa riferimento non soltanto a magistrati).

GIOVANNI RUSSO. Concordo sul titolo del titolo («La giustizia»), mentre come titolo della sezione mi sembrerebbe più appropriato «La magistratura», perché questa parte è dedicata appunto alla magistratura. Non è, comunque, una questione di grande rilevanza.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Nella sezione prima si parla anche del ministro. In questo senso la dizione «Organi» è stata ritenuta comprensiva dei diversi aspetti disciplinati.

GIOVANNI RUSSO. Chiaramente faccio riferimento ad un concetto di prevalenza.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Da parte mia non ho nulla in contrario: se lei lo propone, il presidente potrà porre alternativamente in votazione le due dizioni del titolo. Nel qual caso mi rimetterei al voto della Commissione.

GIOVANNI RUSSO. Mi sembrerebbe semplicemente più elegante e più corretto.

ORTENSIO ZECCHINO. Il ministro non è organo che rientra nel concetto di magistratura. Poiché in questa parte se ne regolamentano le funzioni, mi sembra più appropriato e corretto il titolo «Gli organi».

PRESIDENTE. Indubbiamente il ministro non è un organo giudiziario, ma politico, che tuttavia esercita determinate funzioni nell'ambito della giustizia. In realtà in questa parte si parla della magistratura, dei Consigli, del ministro, della Corte, del Procuratore generale eletto dal Parlamento con responsabilità sull'azione disciplinare. Credo che nel complesso il titolo «Gli organi» potrebbe essere più appropriato, pur essendo prevalente la parte di normativa riguardante la magistratura.

GIOVANNI RUSSO. Non insisto nella mia richiesta, che non ha valore sostanziale.

PRESIDENTE. Vorrei rimanesse a verbale che ho fatto un intervento a favore di Zecchino... È il primo, e forse anche l'ultimo!

ETTORE ANTONIO ROTELLI. Voterò contro la nuova titolazione, presidente, perché ritengo che la giurisdizione non abbia nulla a che fare con la giustizia.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Pongo in votazione le nuove denominazioni del titolo VI («La giustizia») e della sezione I («Gli organi»).

 

(Sono approvate).

 

Passiamo ora all'esame delle disposizioni transitorie; il relatore ne ha predisposta un'ulteriore (v. allegato Commissione bicamerale).

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. L'ultimo testo che è stato distribuito (riguardante il quarto comma dell'articolo 130-bis) deriva da una semplice dimenticanza materiale ed è ispirato da un emendamento del collega Senese sull'attuazione della riserva di codice.

PIETRO FOLENA. Presidente, vorrei proporre una integrazione dopo il primo periodo della prima disposizione transitoria, volta a dare copertura costituzionale alla commissioni tributarie dopo il voto che la Commissione ha espresso nella giornata di ieri l'altro. La proposta consiste nell'aggiungere, dopo le parole «alla revisione degli organi giurisdizionali amministrativi e contabili attualmente esistenti», il seguente periodo: «Le commissioni tributarie previste dalla legge 30 dicembre 1991, n. 413, continuano a operare fino a tale revisione».

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Personalmente non mi oppongo. Sperando che questa disposizione aggiuntiva sia resa inutile da un eventuale pronunciamento dell'aula che riconsideri meglio il voto sulle giurisdizioni speciali.

PRESIDENTE. L'Assemblea potrebbe rendere inutili tutte le disposizioni transitorie. Se, per esempio, ripristinasse l'attuale ruolo del Consiglio di Stato e della Corte dei conti...

SERGIO MATTARELLA. È un auspicio molto intenso, presidente!

PRESIDENTE. Ho appena anticipato l'onorevole Mattarella! Comunque è evidente che l'aula sarà sovrana.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In ogni caso concordo, presidente, con la proposta dell'onorevole Folena.

SALVATORE SENESE. Un'osservazione, presidente, sulla disposizione transitoria relativa all'articolo 130-bis. Al secondo comma, anziché di «leggi per la organica attuazione», parlerei di «leggi organiche per l'attuazione».

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. No, perché rischiamo di introdurre una nuova tipologia di leggi. Fra le molte che abbiamo introdotte, la legge organica non è stata prevista (era invece presente nel progetto della precedente Bicamerale). Questo è il motivo per cui mi sono permesso di utilizzare la formulazione che lei ha ricordato.

SALVATORE SENESE. Ma l'aggettivo «organica» non si capisce.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Possiamo sopprimerlo, lasciando semplicemente: «... sono emanate leggi per l'attuazione».

PRESIDENTE. Sono d'accordo. Tutte le teorie che hanno fatto riferimento all'organicismo hanno dato cattiva prova di sé nel corso di questo secolo...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Pertanto il secondo comma della disposizione transitoria, sulla cosiddetta riserva di codice, recita come segue: «Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale sono emanate leggi per l'attuazione del quarto comma dell'articolo 130-bis».

PRESIDENTE. Se non vi sono altre osservazioni, pongo in votazione le disposizioni transitorie nel testo proposto dal relatore, come riformulato.

 

(Sono approvate).

FRANCESCO SERVELLO. Resta la definizione della composizione di Camera e Senato, presidente.

PRESIDENTE. Ha ragione. Per quanto concerne la questione del numero dei parlamentari, l'emendamento generosamente predisposto dall'onorevole Calderisi per spirito di servizio (raccogliendo un'istanza di altri parlamentari, non come espressione di una sua ispirazione primaria) ha incontrato moltissime obiezioni, alcune delle quali anche sostanziali. Si ritiene che l'estrema variabilità del numero dei parlamentari porterebbe tutto il sistema in una condizione di fluttuazione estremamente incerta. A conti fatti si configurerebbe infatti un numero variabile fra 400 e 570 deputati e fra 200 e 285 senatori; conseguentemente la variabilità si ripercuote anche sui rappresentanti delle regioni. Ora, la fluttuazione cui ho fatto riferimento finirebbe per far dipendere il sistema da leggi ordinarie che potrebbero essere modificate di volta in volta dalle diverse maggioranze, con conseguenti cambiamenti dei collegi. Francamente la norma è stata pensata per ragioni lodevoli, ma rischia di creare una grande confusione. Incontra inoltre - come ho ricordato - moltissime obiezioni.

Si è anche obiettato che nei paesi in cui sono presenti sistemi elettorali uninominali maggioritari il numero dei parlamentari generalmente è fisso - e non variabile - proprio per l'estrema delicatezza del problema della definizione dei collegi. Naturalmente, non per questo significa fissato in Costituzione. Però in questo momento introduciamo un principio di variabilità in Costituzione, un principio sulla base del quale ogni volta è possibile variare il numero. Vi sono dubbi su questo, per cui se si ritiene pongo in votazione l'emendamento che l'onorevole Calderisi ha ritirato ma che chiunque può fare proprio. Ma, allo stato delle cose, nel Comitato l'elaborazione non si è spinta oltre questa proposta che incontra tante perplessità e che, certamente, non rappresenta un punto di approdo unitario per la Commissione.

Se vogliamo votare possiamo farlo, perché abbiamo due proposte su cui esprimerci, cioè sul testo di giugno, che prevedeva 400 deputati e 200 senatori, e sulla proposta nota, in quanto illustrata e discussa nella precedente riunione. Se vogliamo compiere un estremo tentativo abbinando questa questione al coordinamento e rinviandola a martedì possiamo darci un ulteriore tempo di riflessione, altrimenti temo che andremmo ad un dibattito senza rete, per così dire, perché allo stato attuale della elaborazione le proposte in campo sono la ex proposta Calderisi oppure il testo di giugno. Non disponiamo di altro.

Per evitare una votazione improvvisata, proporrei che si compia un tentativo in sede di coordinamento per vedere se siamo in grado di definire qualcosa di convincente.

GIULIANO URBANI. Signor presidente, naturalmente non ho nulla in contrario a che si faccia questo tentativo fino a martedì, in modo da istruire anche altre possibilità. Però credo che fin da adesso ci troviamo o potremmo trovarci di fronte non solo alle due possibilità note ma a una terza possibilità che deriva dalle sue premesse quando ha descritto le difficoltà che abbiamo fin qui incontrato nel definire questo problema attraverso un articolo costituzionale.

La terza possibilità, molto semplice, sta nell'opportunità di non mettere in Costituzione il numero dei componenti il Parlamento. Che cosa, a mio parere, spinge un po' a favore di questa terza ipotesi da considerare accanto alle altre due? Il fatto è che non vogliamo mettere in Costituzione, anche perché non la conosciamo, la soluzione, che giudichiamo ottimale, da dare alla scelta dei sistemi elettorali per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato. Non avendo idee sufficientemente definite e consentite su questi due strumenti, il buon senso richiederebbe che non fissassimo il numero dei parlamentari perché facendolo ci pregiudicheremmo la possibilità di adottare, sia per il Senato sia per la Camera (mi scuso di riferirmi ad una terminologia tecnica, ma immagino che tutti la conosciamo), i sistemi elettorali che si basano su un numero di parlamentari variabile (sono infiniti, praticamente sono tutte le varianti delle grandi famiglie dei sistemi elettorali).

Allora, perché pregiudicare una decisione che in questo momento non siamo in condizione di assumere? Sembrerebbe veramente strano farlo, perché ci costruiremmo un vincolo ulteriore su una decisione che già di per sé è difficile e complessa. Quindi, se vogliamo istruire questa decisione fino a martedì credo, tutto sommato, che possa essere la soluzione più saggia, però fin d'ora pregherei tutti noi di considerare non solo le prime due ipotesi ma soprattutto la terza, che si presenta molto consigliabile sotto il profilo del buon senso.

PRESIDENTE. In effetti, la questione ha un fondamento. Aggiungo un'altra considerazione: siccome noi non abbiamo cambiato, anche perché non ci compete, le leggi elettorali, possiamo auspicare - anzi, abbiamo auspicato - con un ordine del giorno firmato da diversi colleghi che il Parlamento approvi una nuova legge elettorale per la Camera dei deputati. Però non sappiamo se questo auspicio avrà poi buon fine. Potremmo correre il rischio di trovarci in una situazione di incostituzionalità, naturalmente non della legge elettorale ma della attuale ripartizione del territorio in collegi. Potremmo cioè trovarci di fronte ad una situazione in cui l'approvazione del nuovo testo costituzionale non seguita dall'approvazione di una nuova legge elettorale renderebbe indisponibile la legge elettorale attuale, se non attraverso una nuova procedura di definizione dei collegi, che dovrebbe essere disposta.

Quindi, a mio avviso la questione è abbastanza delicata. Dobbiamo un po' riflettere, per questo e per altri aspetti, su come sarà questa transizione istituzionale, nella quale non possiamo certo creare una situazione di impasse tale per cui, di fatto, stabiliamo una proroga dell'attuale Parlamento per una quindicina d'anni. Infatti, rischiamo di rendere inutilizzabile la legge elettorale, ineleggibili gli organi costituzionali, quindi di creare una situazione di ingorgo istituzionale abbastanza complessa. È anche per questo che rinvierei questo tema ad una riflessione, che dovremo fare in questi giorni, che ci consenta di esaminare questi aspetti contestualmente.

GIUSEPPE CALDERISI. Allora lasciamo aperto il problema, non mettiamo 400 deputati...

PRESIDENTE. Adesso c'è questo numero; possiamo cambiarlo martedì, adesso non possiamo sopprimerlo. Martedì, prima di andare in aula, facciamo in tempo a riesaminare la questione alla luce di queste considerazioni.

ETTORE ANTONIO ROTELLI. Vorrei soltanto far osservare, perché se ne tenesse conto, che abbiamo approvato il penultimo comma dell'articolo 86 relativo alla composizione del Senato. In tale articolo è detto che i seggi sono ripartiti secondo la popolazione e che ad ogni regione sono comunque attribuiti quattro senatori, ad eccezione del Molise che ne ha due e della Val d'Aosta che ne ha uno. Nella fase finale dei lavori del Comitato e della Commissione il presidente D'Alema esibì un calcolo dal quale risultava che l'alterazione della proporzione sarebbe stata molto limitata: la Lombardia, in particolare, risultava penalizzata di uno o due senatori, e in generale non vi erano altre penalizzazioni. Ma ciò dipendeva dal fatto che il calcolo era stato fatto su 200; quindi, se adesso il calcolo non fosse più fatto su tale numero, l'alterazione interna ai rapporti fra le regioni potrebbe ulteriormente aumentare. Questo collegamento andrebbe tenuto presente.

PRESIDENTE. Se mi consente, senatore, questo rischio esiste soltanto nel caso, che mi sembra quanto mai improbabile, di una riduzione dei 200 senatori previsti, perché se vi fosse un aumento non vi è dubbio che esso andrebbe tutto a beneficio delle regioni più popolose. Siccome a occhio l'ipotesi di una riduzione di questo numero non mi sembra quella prevalente, credo che la sua preoccupazione possa essere considerata non così incombente. Se aumenta il numero, evidentemente la garanzia minima che copre le regioni più piccole risulta meno penalizzante per le regioni più grandi.

Se siamo d'accordo - come mi sembra - a rinviare questa rilevante questione alla seduta di martedì, vorrei qui affrontare una questione che credo di più facile soluzione ma che richiede una deliberazione della Commissione. Sulla base dell'articolo 3, comma 2, della legge istitutiva della Commissione, dobbiamo costituire formalmente un Comitato che ci rappresenti davanti alle assemblee. Naturalmente, tale Comitato avrà tutte le funzioni normalmente previste per il Comitato dei nove, anche se la legge ci consente di decidere sul numero dei suoi membri, nel senso che non siamo vincolati al principio dei nove. I poteri di questo Comitato sono rilevanti perché rappresenta la Commissione, e quest'ultima può presentare emendamenti o subemendamenti fino a 48 ore prima dell'inizio della seduta in cui è prevista la votazione degli articoli o degli emendamenti ai quali si riferiscono. Quindi, come avviene per il Comitato dei nove, la Commissione ha poteri rilevanti anche durante l'esame dell'aula. Tali poteri debbono intendersi delegati a questo Comitato, salvo che, di fronte a questioni particolarmente rilevanti, non si ritenga, in base ad una facoltà del presidente, che, come è evidente, sarà esercitata in relazione al consenso dei gruppi, di riconvocare la Commissione stessa nel suo plenum, per l'esercizio dei poteri di cui al terzo comma dell'articolo 3, durante l'esame da parte delle aule. È quindi evidente come, anche allo scopo di garantire tutti, questo Comitato debba essere ampiamente rappresentativo. Credo, in particolare, che dovrebbe essere costituito oltre che dal presidente e dai relatori - ciò è già previsto dalla legge - anche dai vicepresidenti e, comunque, dai parlamentari che hanno presieduto i diversi gruppi di lavoro (tra questi tre sono vicepresidenti della Commissione, ad eccezione della senatrice Salvato); in più dovrebbero esservi i capigruppo di tutti i gruppi rappresentati in Commissione.

Naturalmente per i gruppi è fatta salva la possibilità, in discussioni di natura particolare, di farsi rappresentare nelle riunioni interne da altri parlamentari. Ciò non è però possibile nelle aule della Camera e del Senato. Il fatto che il Comitato rappresenti la Commissione nelle aule dei due rami del Parlamento significa che quando, per esempio, al Senato si discuterà della legge di riforma costituzionale, i membri del Comitato avranno il diritto-dovere, ancorché siano deputati, di seguire i lavori dell'aula, avranno diritto di accesso all'aula del Senato. Nel lavoro corrente del Comitato, quando si affronteranno singole questioni sarà invece ammissibile, come abbiamo sempre consentito, che i capigruppo possano farsi accompagnare o sostituire da parlamentari esperti delle singole materie. Questo è un criterio di lavoro, ma voi capite anche che vi è un certo grado di formalità a proposito di questo Comitato, non solo perché è previsto dalla legge ma perché alla definizione formale dello stesso corrispondono certe facoltà, certi poteri, in quanto il Comitato rappresenta la Commissione bicamerale di fronte alle aule parlamentari (Commenti dell'onorevole Parenti). Lei ha visto che quando si discute una legge in aula vi è un luogo in cui si siedono...

MARCO BOATO. È il banco delle Commissioni.

TIZIANA PARENTI. Sedersi in un luogo...

MARCO BOATO. In cinquant'anni di storia repubblicana, non è mai accaduto che un deputato partecipi ai lavori dell'aula del Senato, e viceversa.

PRESIDENTE. Sì, quindi è un fatto di portata storica.

Il Comitato esprime pareri sugli emendamenti. Come lei sa, nel corso del dibattito, il Comitato che siede in aula esprime pareri sugli emendamenti man mano che vengano presentati. E questa, come lei comprende, è una funzione molto importante nella procedura parlamentare.

GIUSEPPE CALDERISI. Forse è bene precisare, signor presidente, che il Comitato, salvo l'eventualità di dover convocare la Commissione, decide, se vi è bisogno, con riferimento alla composizione della Commissione. Mi riferisco al voto ponderato con riferimento alla composizione della Commissione.

PRESIDENTE. La valutazione è con il voto ponderato, e si tratta di una scelta cospicua, perché parliamo di venti persone, un numero a proposito del quale avremmo potuto fare una scelta più riduttiva. Tuttavia, data la rilevanza della materia sarebbe sbagliato seguire un criterio di ponderazione maggioranza-opposizione, che finirebbe con il penalizzare i gruppi minori. Credo sia giusto che tutti siano rappresentati, per cui questo Comitato diventa di venti persone; è l'unica soluzione che sia all'altezza della portata dei problemi, nonché rispettosa del lavoro che è stato svolto dai relatori, dai presidenti dei gruppi e da tutti i colleghi.

In sostanza, questa è la proposta che vi sottopongo.

TIZIANA PARENTI. Con l'augurio, però, che non ci siano gli ordini dei gruppi. Poiché non si tratta di una legge ordinaria, poiché la stragrande maggioranza dei colleghi non ha partecipato alle sedute della Commissione e poiché la Costituzione non è riservata agli ordini dei partiti, mi auguro che questo non si verifichi in Assemblea.

PRESIDENTE. In questa sede ognuno ha votato secondo coscienza. I casi nei quali i gruppi hanno votato compattamente sono stati la minoranza; non si può certo dire che vi sia stata disciplina di gruppo e credo che in aula, da questo punto di vista, sarà ancor peggio, o meglio, a seconda di come la si intenda.

FRANCESCO SERVELLO. Desidero rassicurare la collega Parenti sui poteri di questo Comitato, che sono quelli previsti dal regolamento: valutare gli emendamenti e la loro ammissibilità, presentare eventuali subemendamenti o, addirittura, formulare nuovi emendamenti.

Per quanto riguarda l'indicazione operativa che lei ha fornito, presidente, penso che i capigruppo si avvarranno dei colleghi, deputati o senatori, che di una determinata materia si sono occupati più di altri, in maniera che ci sia una certa rotazione e, quindi, dando luogo ad una dialettica più ampia, secondo le raccomandazioni della collega Parenti.

PRESIDENTE. Questo è certamente vero, con la precisazione, tuttavia, che nelle aule parlamentari dovranno essere i capigruppo, se lo ritengono, a prendere posto ed esprimere il parere. Non potranno farsi sostituire perché c'è una definizione formale: siamo regolati da una legge la quale stabilisce che la Commissione è rappresentata da un Comitato, che viene eletto.

Se non vi sono obiezioni, pongo in votazione la proposta di costituzione del Comitato di cui all'articolo 3, comma 2, della citata legge istitutiva nei termini indicati.

 

(È approvata).

Mi riservo di nominare i componenti, una volta pervenute le designazioni dei gruppi.

La Commissione è nuovamente convocata per martedì prossimo: propongo per le 10.30, poiché penso - per l'esattezza, spero - che il lavoro preliminare sia molto più impegnativo di quello che svolgerà poi la Commissione, che dovrebbe consistere, salvo questioni controverse, in una presa d'atto.

ORTENSIO ZECCHINO. Fissiamo allora alle 11.

PRESIDENTE. Sta bene, la Commissione è convocata per martedì 4 novembre prossimo, alle 11.

Il Comitato ristretto, invece, è convocato per questo pomeriggio alle 17.30, per avviare il lavoro di coordinamento del testo.

La seduta termina alle 17.



 

COMMISSIONE PARLAMENTARE

PER LE RIFORME COSTITUZIONALI

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

 

 

 

71.

 

 

Seduta di MARTEdì 4 NOVEMBRE 1997

 

presidenza del presidente massimo d’alema

 

La seduta comincia alle 11.35.


(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione (C. 3931 - S. 2583).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.

È stata distribuita la documentazione contenente le proposte di coordinamento e il testo di alcuni articoli in base all'ultima formulazione elaborata dal Comitato, riunitosi questa mattina. Vorrei al riguardo ringraziare gli uffici che hanno compiuto un lavoro davvero straordinario per mettere a nostra disposizione questo complesso materiale.

Prima di passare all'esame delle proposte di coordinamento, di cui esamineremo soltanto quelle su cui i colleghi riterranno di dover intervenire e che non porrò in votazione singolarmente, dobbiamo ultimare l'approvazione degli articoli di cui non avevamo concluso l'esame.

Ricordo che avevamo accantonato l'articolo 85 riguardante il numero dei deputati, di cui il Comitato stamane, sulla base degli emendamenti presentati, ha redatto una nuova formulazione (v. allegato Commissione bicamerale). Essa prevede, rispetto al testo elaborato a giugno, anziché la fissazione del numero dei deputati in 400, un ammontare minimo di 400 e massimo di 500, lasciandone la determinazione alla legge elettorale. Tale valutazione nasce dalla considerazione che non fosse giusto precludere con una norma costituzionale la possibilità di prevedere con legge elettorale un numero di deputati variabile, problema di cui si è più volte discusso. Si è ritenuto che la fissazione di un numero massimo di 500 fosse più congrua rispetto ai criteri di cui si è discusso, anche in relazione...

MARCO BOATO. Ai riferimenti europei.

PRESIDENTE. Ai riferimenti europei comparativi. Si è ritenuto, in altri termini, che il terzo comma della precedente formulazione dell'articolo 85 (che stabilisce in modo puntuale la proporzionalità del numero dei deputati, l'assegnazione alle circoscrizioni in relazione ai quozienti interi, ai più alti resti, eccetera), possa essere eliminato, perché contiene una normativa, a questo punto, ridondante, abbastanza inutile; nella nuova formulazione il testo dell'articolo 85 risulterebbe così più asciutto.

Nel Comitato si è anche valutato di non agganciare il numero dei deputati a quello dei senatori, dato che questo collegamento era relativo ad un certo sistema bicamerale, e che le funzioni del Senato (la cui composizione raggiunge i 400 membri se integrata dai rappresentanti delle regioni e del sistema delle autonomie), sono compatibili con il numero determinato di 200 senatori elettivi. In caso contrario, la legge elettorale dovrebbe definire il numero dei senatori e quello dei suoi rappresentanti «a catena», lasciando una situazione di indeterminatezza. D'altro canto, tutta la logica del sistema che abbiamo costruito, giusto o sbagliato che sia (personalmente ritengo sia giusto), prevede funzioni fortemente differenziate, con l'attribuzione al Senato di una funzione di garanzia. Tale sistema, anche se poi non sarà compito nostro, ma del Parlamento, spinge ragionevolmente verso leggi elettorali differenziate e quella del Senato dovrà essere in grado di garantire una più ampia rappresentatività in ragione di tale ruolo di garanzia. Da questo punto di vista non si vede la necessità di una legge elettorale che preveda un numero variabile, trattandosi in generale di leggi di ispirazione maggioritaria e non proporzionale. Anche per tale ragione si è ritenuto che il collegamento numero dei deputati e numero dei senatori potesse venire meno, che l'articolo 86 potesse determinare il numero di 200 senatori e che per i deputati si potesse adottare la formulazione variabile, di lasciare cioè alla legge elettorale la determinazione del numero.

Dobbiamo inoltre esaminare e votare gli articoli 138 e 139 della Costituzione, che si propone di lasciare invariati nelle formulazioni vigenti, salvo la modifica di coordinamento formale dell'articolo 138, rispetto al quale si propone di sostituire le parole «Consigli regionali» con «Assemblee regionali». Pertanto, sugli articoli 138 e 139, dopo valutazione attenta, la Commissione, ha ritenuto di non proporre modifiche; saranno poi le Assemblee parlamentari a discutere della loro eventuale modifica.

Un'altra considerazione riguarda i titoli. Viene proposta una diversa dislocazione della materia e qualche variazione dei titoli rispetto a quelli riportati nell'attuale Costituzione, due punti su cui la Commissione dovrà deliberare. Ricordo peraltro che alcuni sono stati discussi dalla Commissione, ma non vi è stata ancora una deliberazione formale.

Vi sono inoltre due questioni importanti da affrontare, una di natura sostanziale, l'altra di carattere formale, sulle quali è necessario il mandato della Commissione.

Il Comitato si è orientato nel senso di non sottoporre in questo momento all'approvazione della Commissione le disposizioni transitorie e finali. Di conseguenza, anche quelle riportate nel fascicolo in distribuzione, in parte approvate a giugno, in parte modificate, si devono intendere stralciate. Su questa parte della riforma è stato svolto un rilevante lavoro e una serie di disposizioni, già esaminate, appaiono convincenti. Si è valutata la possibilità di riservare ad essa un approfondimento complessivo, trattandosi di materia abbastanza delicata, poiché definiscono il passaggio dall'assetto attuale a quello riformato delle istituzioni. Questo comporta una grande attenzione, soprattutto per quanto riguarda il funzionamento degli organi costituzionali. Quindi, poiché le disposizioni transitorie conseguono dall'approvazione delle nuove norme, ci riserviamo di elaborare una proposta organica che intervenga al momento opportuno durante l'esame in Assemblea. Da questo punto di vista, può essere utile anche ascoltare la discussione sulle linee generali, che dovrebbe svolgersi alla Camera alla fine del mese di novembre, anche per verificare in quella sede quale sia il grado di consenso.

Vi sono poi valutazioni da cui in parte dipendono tali norme, come quelle riguardanti i tempi possibili di approvazione della nuova Costituzione, valutazioni che è difficile fare in questo momento. Poiché la legge consente alla Commissione di presentare emendamenti e subemendamenti fino a 48 ore prima dell'esame degli articoli, riteniamo di riservare al Comitato, ed eventualmente alla Commissione (data la complessità della materia sarà forse necessario riunirla in seduta plenaria), la possibilità di avanzare una proposta organica in materia di disposizioni transitorie in sede di Assemblea.

Infine, chiedo mandato per un lavoro di accorpamento di articoli: naturalmente non è un lavoro di coordinamento, perché non si tratta di cambiare neanche una virgola, si tratta di accorpare gli articoli per fare in modo - questa è la volontà espressa nel Comitato - che l'ultimo articolo sia il 139, cioè che non cambi la numerazione degli articoli complessivi della Costituzione. Dal punto di vista sostanziale questa decisione non ha un enorme valore; tuttavia è stata opinione unanime dei colleghi quella di cercare di garantire questa continuità numerica. Attualmente vi sono 5 articoli aggiuntivi in più, per cui arriveremmo a 144, ma esistono diverse proposte, avanzate dai colleghi, relative a possibili ed abbastanza semplici accorpamenti che ci consentirebbero di tornare a 139. È un aspetto simbolico, però per cambiare i numeri ho bisogno di un mandato; se la Commissione me lo darà, procederò volentieri in tal senso con l'aiuto degli uffici.

Prima di passare al coordinamento, occorre dunque deliberare sulle questioni di cui ho parlato, a cominciare dall'articolo 85 per passare poi all'articolo 138, all'articolo 139, alla decisione concernente le disposizioni transitorie, ai titoli, all'organizzazione della materia, al mandato per accorpare gli articoli.

Passiamo ora all'esame dell'articolo 85.

FRANCESCO SERVELLO. L'articolo 85 reca una variazione consistente, solida rispetto all'accordo del luglio scorso, perché nella sostanza può portare il numero dei deputati a 500: non penso che poi le leggi elettorali condurranno a diminuzioni rispetto a questo numero massimo che si prevede nella proposta.

La prima richiesta che formulo, e che è stata avanzata dalla collega Pasquali nell'ambito del Comitato ristretto, è quella di sapere se in questo numero minimo-massimo di deputati siano compresi o da comprendere, ove intervenisse l'approvazione della legge costituzionale relativa al voto degli italiani all'estero, i deputati che saranno eletti sulla base di questa legge costituzionale e quindi della legge elettorale conseguente.

Secondo punto. Mi pare che questo compromesso numerico ed anche di criterio, intervenuto tra la settimana scorsa e questa, sia del tutto inventato. Noi molte volte ci siamo riferiti agli altri Parlamenti, ma non siamo mai riusciti ad avere una mappa della composizione degli altri Parlamenti in relazione anche all'esistenza o meno delle due Camere. Sicché quando si dice da parte di qualcuno che questo è un criterio che ci pone nella condizione di non essere alla Camera dei deputati in numero minore rispetto ai Parlamenti degli altri paesi, credo che questa tesi sul criterio sia un po' «stiracchiata».

A prescindere comunque da ciò, già la volta scorsa mi ero limitato a dire che sarebbe stato preferibile rimanere al progetto di luglio, salvo vedere, alla Camera prima e al Senato dopo, se intervenisse nel frattempo un riferimento preciso ad un criterio che avrebbe consentito una variazione eventuale ai 400 deputati e ai 200 senatori.

Personalmente quindi non voterò a favore di questo numero, che può essere eccessivo e può essere anche più ristretto rispetto alle esigenze ed ai confronti che si vogliono operare con gli altri Parlamenti europei.

Aggiungo che mi sembra del tutto impropria la decisione di cancellare dal progetto costituzionale il numero previsto dei senatori, perché non si è cancellato solo il numero 200, si è cancellato un criterio in base al quale dall'entrata in vigore della Costituzione ad oggi i senatori sono stati sempre la metà dei deputati eletti. Pertanto questa è una variazione sostanziale, rispetto alla quale non penso che il Senato accoglierà tanto facilmente una così veloce eliminazione di questo punto di riferimento, perché le due cose vanno collegate. Né si può dire che se il numero fosse portato a 500 i senatori sarebbero 250, ergo con la rappresentanza delle altre autonomie locali e regionali il numero sarebbe poi spropositato, perché il Senato è composto dai senatori eletti: le altre categorie - enti locali, autonomie, regioni - partecipano alle riunioni collegate a determinati argomenti che attengono direttamente o indirettamente a problemi finanziari, politici, costituzionali che riguardano le regioni, le province e i comuni.

Da questo punto di vista sono quindi nettamente contrario all'aver eliminato il numero, che era un criterio, quello della metà dei deputati, anche perché non è accertato che il numero dei deputati sia questo alla fine dell'iter parlamentare, neanche alla fine dei lavori della Camera dei deputati. Molto meglio sarebbe stato rimanere su quella posizione, o comunque prevedere, con la definizione che più volte abbiamo qui sottolineato, che il Senato è composto della metà del numero dei deputati, salvo poi variare, trovare altri criteri, adattare questa norma che, partendo dal silenzio, certamente avrà un'accoglienza non molto entusiastica da parte dei senatori.

ARMANDO COSSUTTA. Per quanto riguarda l'articolo 85, considero molto positivo il fatto che si vada a stabilire che sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni abbiano compiuto 21 anni di età. È una richiesta che noi - ma non soltanto noi - da tempo avevamo avanzato e che trova riscontro nel nostro progetto e - mi auguro - nel voto finale del Parlamento.

Siamo invece nettamente contrari alla formulazione, illustrata dal presidente, relativa ad un numero dei deputati non inferiore a 400 e non superiore a 500. Credo che sia da confermare e mantenere, viceversa, la formula che avevamo adottato nel testo originario di questa estate, relativa a 400 deputati: questo numero è sufficiente per svolgere le attività legislative previste per la Camera dei deputati, fortemente ridotte rispetto alle attuali, dato che è previsto un fortissimo trasferimento di funzioni legislative alle assemblee regionali. Si tratta inoltre di un numero adeguato rispetto al fatto che in altri paesi (conosciamo i raffronti con altri paesi, perlomeno quelli più vicini a noi in Europa) esiste un sistema di rappresentanza parlamentare che, variando da paese a paese, comporta comunque un numero di parlamentari tra deputati e senatori (altrove sono denominati in modo diverso) abbastanza simile a quello che potrebbe definirsi con il progetto dei 400 deputati.

Considero peraltro inaccettabile la formula da 400 a 500, perché è bene affidare alla legge elettorale una definizione esatta del numero dei deputati in base al meccanismo elettorale (questo lo capisco benissimo), ma se lasciamo così modificata la dizione, da 400 a 500, non è da 400 a 440 o a 420, come potrebbero essere nel caso in cui venisse approvata una legge elettorale che, come per le attuali elezioni regionali, consente di avere un lieve spostamento, comunque mai superiore al 10 per cento degli eletti. Quindi capirei una dizione che possa cautelarci nel caso in cui si voglia fare una legge elettorale con queste caratteristiche, ma giammai una dizione che comprenda da 400 a 500 deputati.

Le leggi elettorali possono essere cambiate spesso, non sono leggi costituzionali. Sarebbe bene avere una legge elettorale che possa durare a lungo nel tempo, ma nessuno può escludere che viceversa si introducano cambiamenti nelle leggi elettorali. Non vorrei che una maggioranza costituitasi possa poi decidere di modificare la legge elettorale aumentando il numero dei deputati perché attraverso questo sistema può ulteriormente garantire il permanere di una tale maggioranza; sappiamo tutti che questo può avvenire sulla base della modificazione dei collegi, come sempre è avvenuto nella storia d'Italia e di ogni paese del mondo in cui vi siano collegi elettorali. Una variazione del numero dei deputati così consistente, qualora le leggi elettorali via via modificate introducessero un aumento o una riduzione dei deputati, obbligherebbe alla modificazione dei collegi, quindi con conseguenze che potrebbero essere particolarmente rilevanti ai fini della costituzione di una maggioranza, o persino con la difficoltà, per esempio, a modificare una legge elettorale alla vigilia di una campagna elettorale, quando appunto i nuovi collegi dovrebbero essere definiti dal mutato numero dei deputati; non sarebbe praticamente possibile farlo, o sarebbe difficile e comunque non corretto.

Sono per mantenere le norme che abbiamo indicato nel testo di giugno e ribadire con fermezza il numero di 400 deputati, un numero adeguato per poter svolgere le attività legislative che saranno proprie della nuova Camera dei deputati.

PAOLO ARMAROLI. Signor presidente, mi sembra che l'onorevole Cossutta non distingua nel suo intervento una cosa che a me pare importante: sono troppi o troppo pochi i deputati previsti nella banda di oscillazione? La mia risposta è: dipende. Dipende essenzialmente - l'ho detto nel Comitato e mi corre l'obbligo di ripeterlo adesso - dalla legge elettorale. Tanto più la legge è proporzionale, tanto più il numero sarà piccolo, perché che si sia in 400, o addirittura in 300 o 200 a rappresentare i partiti, con la proporzionale si può drasticamente ridurre il numero dei deputati (non giungo al paradosso di Croce il quale diceva che gli organi collegiali funzionanti devono avere un numero dispari di membri, possibilmente inferiore a tre). Col collegio uninominale ciò non avviene e ne è prova il fatto che la Camera dei comuni ha attualmente, se ricordo bene, 651 deputati. È evidente che la nostra legge elettorale attuale è un mix di maggioritario e proporzionale, per cui questa banda di oscillazione fra 400 e 500 mi pare tutto sommato ragionevole, anche se forse non corrisponde alla media europea.

A questo riguardo, signor presidente, farei presente che forse sarebbe meglio aggiungere all'articolo 85 la dizione «comprendendo in tale numero i parlamentari rappresentanti i cittadini residenti all'estero che verranno eletti secondo le modalità previste dalla legge». Lo dico come rappresentante di alleanza nazionale, perché mi permetto di ricordarle che questo Governo, con legge ordinaria, voleva concedere il diritto di voto amministrativo agli immigrati extracomunitari, mentre mi pare prioritario, con legge ordinaria - non costituzionale e quindi non con una manipolazione della Costituzione - concedere...

PRESIDENTE. Chiedo scusa se la interrompo, ma vorrei fare una precisazione. Non vorrei che si aprisse un dibattito su questo tema.

È in corso da parte del Parlamento l'esame di una riforma costituzionale, riferita alla prima parte della Costituzione, proprio per introdurre il diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero. Non dubito che una volta approvata questa riforma, ne possano conseguire delle modificazioni della seconda parte della Costituzione, ma che noi possiamo introdurle in questo momento è inammissibile. Non è questione sulla quale io mi opponga nel merito, ma mi pare evidente che, essendo in corso l'esame di una proposta di riforma costituzionale su questa materia riferita, come è giusto, alla prima parte della Costituzione, noi non possiamo occuparcene. Tanto è vero che all'inizio dei nostri lavori abbiamo esaminato proprio questo punto; i Presidenti delle Camere hanno convenuto di non trasmetterci i disegni di legge sulla materia e noi ne abbiamo preso atto. Non vedo come a questo punto possiamo, modificando un'impostazione che abbiamo avuto sin dall'inizio, prendere in esame proposte relative a questa materia che è esplicitamente esclusa.

Non vorrei che alla fine il messaggio fosse che la bicamerale si è pronunciata contro il voto degli italiani all'estero. La bicamerale non si è pronunciata; il presidente è favorevole; ma questa materia è esclusa, non ci è stata assegnata e anzi, all'inizio dei nostri lavori, abbiamo esplicitamente preso atto che si tratta di materia sulla quale siamo incompetenti. La ringrazio.

PAOLO ARMAROLI. Sono io che la ringrazio, signor presidente, per le sue perspicue precisazioni. Desidero a mia volta precisare che è vero che toccando l'articolo 48 si versa nella prima parte della Costituzione, però non vorrei spaccare il capello in quattro. Ferme restando le sue precisazioni, ci stiamo occupando dell'articolo 85 e del numero dei parlamentari, per cui sarebbe stato un punto fermo la dizione che mi sono permesso di suggerire che riguarda il numero dei parlamentari e quindi la seconda parte della Costituzione. Si tratta di due questioni distinte anche se connesse; comunque prendo atto di quanto ella ha detto.

Signor presidente, lei ha parlato incidentalmente delle leggi di attuazione. In proposito siamo molto preoccupati perché non vorremmo che un Piero Calamandrei del 2000 scrivesse un saggio sulla riforma costituzionale tradita! Non so esattamente quante siano le riserve di legge e le leggi di attuazione, ma credo siano una trentina, cioè moltissime: dico questo perché a volte è necessario il rinvio alla legge di attuazione, ma altre volte esso mi è parso un espediente per rinviare a domani quello che oggi avrebbe potuto creare tensioni o problemi.

Prendo atto del fatto che finalmente oggi variamo una riforma costituzionale, però ad essa non seguiranno delle leggi ordinarie, avremo una riforma costituzionale sospesa a mezz'aria come un caciocavallo.

LUIGI GRILLO. Desidero preannunciare il voto contrario sull'articolo 85 per le seguenti considerazioni. Nel dibattito in plenaria è stato osservato che per individuare il numero dei parlamentari occorreva rifarsi ad un criterio o ad un parametro. Alcuni di noi avevano giustamente osservato che su due questioni occorreva che la bicamerale concentrasse l'attenzione, questioni dirompenti attorno alle quali la risposta organizzata appariva debole: mi riferisco al numero dei parlamentari e al ruolo e alla funzione del Senato.

Oggi purtroppo dobbiamo prendere atto che la risposta rimane debole, nel senso che residuano numeri gettati lì senza una logica e senza un parametro, non essendovi alcun riferimento alla realtà degli altri paesi dell'Europa occidentale o alla popolazione. Non è stata considerata la proposta - che ritenevo saggia - di non indicare in Costituzione alcun numero, ma di rimettere il tutto ad una legge successiva. Dico con amarezza che anche tutte le questioni in ordine alle funzioni ed al ruolo del Senato appaiono quanto meno confuse e un po' contraddittorie.

Perché oggi si offre questa proposta la cui originalità appare a prima vista? Perché un'impostazione diversa tra Camera e Senato? Perché - si dice - il Senato è integrato da un ugual numero di membri, ma questo è aspetto che le Assemblee verificheranno in quanto non mi pare acquisito il salto del cosiddetto «camerino» al Senato integrato da un pari numero di rappresentanti degli enti locali.

Il testo che ci è stato presentato questa mattina appare un po' stravagante ed individua due percorsi differenti. Per questo non possiamo - lo dico a titolo personale - assolutamente essere d'accordo.

MASSIMO VILLONE. Voterò a favore dell'articolo 85, ma voglio lasciare a verbale il mio dissenso sul meccanismo contenuto nel primo comma. Non ritengo opportuna la scelta di un numero variabile, la cui definizione è rimessa alla legge. Non vi è motivo di fare questa scelta pensando - come qualcuno credo abbia fatto - a premi di maggioranza, i quali si possono avere chiaramente anche con un numero fisso, per cui non vi è alcuna argomentazione tecnica che colleghi la variabilità del numero al sistema elettorale. Vi è invece un fortissimo argomento contrario nel fatto che un meccanismo di questo genere apre la porta al gerrymandering, cioè alla tecnica del ritaglio dei collegi. In particolare la banda di oscillazione è talmente ampia da permettere di ridisegnare collegi e incidere fortemente sulla traduzione dei voti in seggi. Mi pare che nel nostro contesto e nella prospettiva di qualche instabilità politico istituzionale questo sia un meccanismo che non è opportuno scrivere in Costituzione.

Sono invece d'accordo sulla soppressione del terzo comma che sicuramente non ha ragione di essere in Costituzione, nel contesto attuale: si tratta di una norma che può essere soppressa senza danno e probabilmente con qualche vantaggio di elasticità di sistema.

Sul voto degli italiani all'estero, mi sembra corretta la risposta data dal presidente. Abbiamo avuto una sorta di riparto di competenze su questo tema. Difatti, avendo in Commissione la proposta, certamente al Senato non avremmo potuto occuparci del numero dei parlamentari. Mi pare che ora, con la chiusura dei lavori, si vada verso la prospettiva di un coordinamento possibile che però dovrà essere fatto in aula.

Per quanto riguarda i senatori, credo non sia necessaria una connessione tra il numero dei deputati e quello dei senatori, il quale può essere più basso - secondo me deve esserlo - non per la presenza della componente integrata ma perché le funzioni sono molto differenziate, per cui il Senato non può più essere una Camera di rappresentanza territoriale di collegio, come attualmente è. Ora, infatti, il tipo di rappresentanza del senatore è esattamente sovrapponibile al tipo di rappresentanza del deputato. Così non sarà più per una questione non di numeri ma di funzioni. Il senatore non potrà più avere il tipo di rappresentanza che ha il deputato. La questione del numero si scioglie così. Anzi, sarebbe opportuno un numero più basso per avere un collegio autorevole, che assuma decisioni di rilevante peso istituzionale e politico; il Senato non dovrebbe più esprimere la rappresentanza accentuatamente territoriale che invece spetta alla Camera dei deputati. Non mi pare, quindi, che il problema sia stato ben affrontato.

In conclusione dichiaro il mio voto favorevole, sottolineando però il mio forte dissenso nei confronti del meccanismo ipotizzato con il primo comma.

ADRIANA PASQUALI. Presidente, mi sono iscritta a parlare prima di conoscere il contenuto dell'intervento dell'onorevole Armaroli il quale si è soffermato su un tema su cui anch'io ho sentito l'esigenza di intervenire (nonostante avessi già sollevato il problema in Comitato ristretto). È importante, affinché resti agli atti, che sia dichiarato in una riunione plenaria ciò che sta a cuore ad un gruppo. Evidentemente ad alleanza nazionale sta molto a cuore l'introduzione di un riferimento al voto degli italiani all'estero. Avrei dovuto prendere la parola per chiedere la votazione di due proposte di modifica a firma mia e di altri colleghi del gruppo (relative agli articoli 85, primo comma, ed 86, terzo comma), al fine di aggiungere dopo le parole, rispettivamente, «quattrocento» e «duecento», le seguenti: «comprendendo in tale numero i parlamentari rappresentanti i cittadini residenti all'estero, che verranno eletti secondo le modalità previste dalla legge».

Ho ascoltato le obiezioni che mi sono state avanzate in Comitato ristretto, così come le considerazioni formulate poc'anzi dal presidente della Commissione. Ma mi sembra che in realtà una norma del genere non rappresenterebbe un vulnus alla prima parte della Costituzione.

Come è già stato detto, infatti, quando il nostro testo arriverà all'esame dell'Assemblea il voto degli italiani all'estero sarà già previsto per legge. L'iter della relativa disciplina si trova già in una fase decisamente avanzata: si è svolto velocemente al Senato, ma poiché è stata introdotta una modifica purtroppo si è innescato l'effetto navetta. Siamo comunque vicinissimi all'approvazione.

Ritengo quindi che l'inserimento della norma che ho ricordato corrisponda ad un intervento di ingegneria costituzionale possibile e non solo ad un'esigenza sentita da alleanza nazionale sul piano della giustizia sostanziale e della stessa etica (per l'attribuzione di pari diritti).

D'altra parte, la variazione apportata oggi - in sede di Comitato ristretto - per quanto riguarda il numero dei deputati (prima fisso, 400 componenti, poi flessibile, cioè variabile da 400 a 500 componenti) non rappresenta un'opera di puro coordinamento, ma interviene nella sostanza del problema. A questo punto, sotto il profilo formale si potrebbe anche aggiungere le parole che ho ricordato. Per alleanza nazionale è stata una battaglia lunga (in particolare la battaglia - di una vita - di un parlamentare, al quale si sono andati aggiungendo tutti gli altri), ma soprattutto ci sembra una scelta giusta. Ci si dice che l'eliminazione del terzo comma dell'articolo 85 potrà facilitare la futura introduzione della norma che proponiamo, ma io ritengo che questo principio - che corrisponde veramente ad un'affermazione di giustizia sostanziale - dovrebbe entrare nella Costituzione.

GUSTAVO SELVA. La mia, signor presidente, sarà una semplice e telegrafica dichiarazione di voto.

Voterò contro questo testo dell'articolo 85. Non vedo quali elementi siano mutati rispetto allo scorso giugno, quando era stato approvato il numero di 400 deputati. Mi sembra, inoltre, che la scelta della diminuzione consistente del numero dei deputati sia stata una delle decisioni salutate con maggiore soddisfazione e con maggiore consenso da parte dell'opinione pubblica. Lo dico anche se non dobbiamo cedere alle sensazioni esterne e dobbiamo ispirarci a razionalità. Aggiungo, infine, che tutta la parte della Costituzione riguardante le rappresentanze decentrate porta ad un aumento dei poteri legislativi delle regioni, il che mi sembrerebbe giustificare una riduzione del numero dei componenti delle assemblee elettive centrali, secondo una linea di razionalità e di snellimento dei lavori parlamentari.

Questa tesi, poi, viene confermata da un confronto con altri paesi europei ed extraeuropei. Vorrei soffermarmi in particolare sul caso degli Stati Uniti d'America, visto che fino ad oggi sono stati molti citati i paesi europei. Ebbene, nel più grande Stato democratico del mondo il Congresso è formato da 535 membri (435 per la Camera dei rappresentanti 100 per il Senato): non possiamo certo dire che esista quella proporzionalità rispetto alla popolazione che si vorrebbe introdurre in Italia.

Ritengo in definitiva che il numero di 400 deputati (con eventuali modificazioni che potrebbero essere apportate dall'aula) dovrebbe essere mantenuto, perché corrisponde ad un complesso organico di razionalità politica che diversamente sarebbe attenuato ed annacquato dall'introduzione di una quota variabile. Sappiamo anche che, nelle condizioni in cui certe operazioni si svolgono nel nostro paese, si finirebbe sempre per scegliere il numero massimo e non certo quello minimo.

Per i motivi che ho ricordato voterò contro l'articolo 85.

MARCO BOATO. Presidente, voglio esprimere - anche a nome del collega Pieroni - il nostro parere positivo, e conseguentemente il voto favorevole, sulla proposta elaborata dal Comitato ristretto.

Credo che la principale riflessione da fare, anche indirizzandola agli organi di informazione che saranno il tramite di questa nostra decisione rispetto all'opinione pubblica, è che occorre bandire qualunque forma di demagogia sul numero dei parlamentari.

In proposito vorrei soffermarmi su qualche riferimento comparativo con gli altri paesi d'Europa. Ma, visto che il collega Selva vi ha fatto riferimento, il paragone può riguardare anche gli Stati Uniti d'America. Resta il fatto che noi facciamo parte dell'Unione europea.

Attualmente l'Italia - con 945 parlamentari - si colloca, insieme con Francia e Spagna, all'undicesimo, dodicesimo e tredicesimo posto sui quindici paesi che compongono l'Unione europea. Mi riferisco al rapporto percentuale fra numero di parlamentari e 100 mila abitanti, che per l'Italia è di 1,6. Ricorderò brevemente l'andamento di questo valore negli altri Stati membri: Lussemburgo 15,6, Irlanda 6,4, Svezia 4,0, Finlandia 4,0, Danimarca 3,4, Austria 3,2, Grecia 2,9, Portogallo 2,3, Belgio 2,2, Gran Bretagna 1,7 (ma se calcolassimo tutti i membri della Camera dei Lords, si arriverebbe a 3,2). A questo punto della graduatoria arrivano Italia, Francia e Spagna, con un valore di 1,6.

Seguono i Paesi Bassi, con 1,5, e la Germania con 0,9.

Portando i deputati a 500 (il numero previsto come tetto massimo, ma in realtà non è detto che questa quota sia raggiunta, poiché ci si potrebbe fermare - per esempio - a 475, pensando al numero degli attuali collegi) ed i senatori a 200, si arriverebbe a 700 parlamentari. In questo modo si giungerebbe, secondo un calcolo approssimativo, ad un valore di 1,1.

Quindi vorrei dire al collega Grillo che proprio facendo una comparazione fra i diversi Stati europei nel rapporto fra parlamentari e 100 mila abitanti, in base al meccanismo introdotto con questo articolo 85 l'Italia si collocherebbe al quattordicesimo posto su quindici paesi membri dell'Unione europea. Solo la Germania rimarrebbe al di sotto, con un rapporto che oggi è di 0,9 e che nel 2002 - con una lieve riduzione del numero dei membri del Bundestag - arriverà a 0,8.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti d'America, è vero che il Congresso nel suo insieme conta 535 componenti (435 membri della Camera dei rappresentanti e 100 senatori), ma è anche vero che in ogni singolo Stato federale siede un rilevantissimo numero di deputati e senatori. Quindi il limitato numero dei membri del Congresso - pure importante - ha come corrispettivo un elevatissimo numero di deputati e senatori di ciascuno Stato federale.

ARMANDO COSSUTTA. In Italia i consiglieri regionali sono oltre mille, caro Boato! Quindi in proporzione sono più che negli Stati Uniti.

MARCO BOATO. Non è vero. Se rapportiamo il numero anche a quello dei consiglieri regionali (un calcolo che è stato effettuato in un pregevole dossier del servizio studi del Senato), facendo un paragone con il numero dei membri dei Lander tedeschi, per esempio, l'Italia continua ad essere uno dei paesi con il più basso rapporto fra rappresentanza politica e consistenza della popolazione. Ciò vale, quindi, anche a livello territoriale e non soltanto a livello centrale.

Tutto ciò, naturalmente, non spinge me od altri a sostenere che il numero dei parlamentari dovrebbe essere elevato: ci mancherebbe altro. Ma occorre tener conto che già oggi ci collochiamo tra l'undicesima e la tredicesima posizione (perché i valori di Italia, Francia e Spagna sono identici) nella graduatoria dei quindici paesi dell'Unione europea e che con la riforma contenuta in questo articolo 85 l'Italia arriverebbe a collocarsi al quattordicesimo posto.

Ho voluto ricordare questi elementi di fatto sia ai colleghi parlamentari sia - se posso permettermelo - agli organi di informazione, i quali, se non terranno conto di questa analisi comparativa, rischieranno di fare solo disinformazione e demagogia a basso prezzo. Siccome gli organi di informazione che si sono occupati dei problemi della bicamerale hanno avuto il merito di essere attenti alla sostanza delle questioni affrontate ed anche all'equilibrio con cui sono state esaminate, credo che sottolineare il significato positivo - anche dal punto di visto comparativo - della scelta che ci accingiamo a compiere sia utile per il prosieguo dei nostri lavori.

AGAZIO LOIERO. Signor presidente, vorrei brevemente sollevare una questione di merito. Di rinvio in rinvio ci troviamo a trattare nell'ultimo giorno una materia così incandescente: è un capolavoro di autolesionismo. Dopo tanto lavoro, oggi si parla del numero dei deputati. Già nelle settimane scorse la notizia era rimasta sui giornali per due giorni; sicuramente sarà ben presente anche domani. Così il messaggio che daremo l'ultimo giorno e che resterà nella scia della memoria dei cittadini sarà quello di una bicamerale che ha parlato del numero dei deputati. Abbiamo forse sbagliato il metodo, perché qui dentro si è finito per accentuare una vena antiparlamentare presente nel paese. La precedente ipotesi (400 e 200) era totalmente sganciata - lo hanno detto tutti - da un criterio e da una media europea; tanto che, se va bene la quota di 500, quella di 400 non poteva essere adeguata.

A questo punto, forse avremmo potuto lasciare impregiudicato il numero, senza inserirlo nell'articolato. Il testo sarebbe poi passato all'esame dell'Assemblea.

Per i motivi che ho esposto, in sede di votazione mi asterrò.

RENATO GIUSEPPE SCHIFANI. Preannuncio, presidente, il mio personale voto contrario sul nuovo testo. Non ho difficoltà a motivare questa scelta. Quando intervenni a nome del gruppo di forza Italia sulla precedente formulazione dell'articolo 85, ebbi modo di dichiarare il voto favorevole del gruppo, pur manifestando riserve e perplessità in ordine alle metodologie di quantificazione del numero dei parlamentari. Ebbi ad auspicare in quell'occasione che la bicamerale potesse concludere i propri lavori con l'approvazione di un ordine del giorno, introducendo per il Parlamento una fase propositiva, una fase - la definii - dinamica, che desse chiarimenti, fissasse un percorso sull'esigenza di individuare parametri, criteri, in forza dei quali arrivare ad un numero vuoi della Camera, vuoi del Senato; auspicai che si evitasse quindi di indicare numeri i quali non fossero il frutto di alcun ragionamento logico.

Oggi ci troviamo ad esaminare un'elaborazione dell'articolo 85: non mi risulta che in Comitato ristretto (pur non avendovi partecipato) tale articolo sia stato il frutto dell'applicazione di un parametro. Si è parlato nel dibattito parlamentare di due principi: quello della media europea e l'altro del rapporto tra la popolazione degli elettori e l'eletto. Non credo che nessuno di tali parametri abbia costituito il fulcro decisionale di questa proposta. Quindi, quello che temevo si è realizzato: ci accingiamo ad esitare un testo per il Parlamento il quale indica numeri che non obbediscono ad un'elaborazione concettuale che abbia prevalso su altri criteri e su altre decisioni.

A proposito di quanto si è detto in ordine al funzionamento del Senato e alla congruità del numero dei senatori, temo proprio, tenuto conto della farraginosità - purtroppo - della procedura legislativa che uscirà dalla Bicamerale e proporremo al paese, che il numero dei senatori, ridotto così com'è, porrà seri problemi di funzionamento a un consesso parlamentare. Anche perché, quando si afferma che il Senato non sarà composto da 200 ma da 400 senatori, si dimentica che in quell'occasione esso si occuperà esclusivamente di argomenti particolari che abbiamo già delineato; saranno delle sessioni particolari relative alla materia del federalismo, per la quale opportunamente abbiamo dato una finestra di accesso alla rappresentanza del mondo delle autonomie; siamo stati - credo - tutti d'accordo su questo argomento. Ma non possiamo sistematicamente affermare che il numero dei senatori sarà pari a 400 perché commetteremmo, ritengo, un errore macroscopico.

PRESIDENTE. Intendono intervenire l'onorevole D'Amico e il senatore Russo. Ci sono altri? Il tema appassiona molto; dobbiamo esaurire la materia oggi: penso che forse ci riconvocheremo alle 16...

NATALE D'AMICO. Intervengo velocemente per annunciare il voto favorevole a questo articolo dei rappresentanti in questa Commissione di rinnovamento italiano.

Nella proposta del mio gruppo era previsto che il numero dei deputati fosse ridotto a 475. Non esiste un criterio logico per stabilire il numero dei deputati di un Parlamento. A noi sembrava opportuno che la bicamerale desse un segnale nella direzione di un Parlamento composto da un numero inferiore di deputati dotati di maggiore prestigio e - aggiungo - anche di maggiori mezzi. L'individuazione del numero 475 era legato ad un criterio empirico molto semplice, ossia alla possibilità di andare ad una modifica semplice dell'attuale legge elettorale in un'evoluzione decisamente maggioritaria che non comportasse la revisione dei collegi.

La proposta oggi al nostro esame - un numero compreso tra 400 e 500 - pare a noi ragionevole, anche perché rende possibile questa evoluzione, che forse allo stato dei fatti non è probabile, ma sarà oggetto di lotta politica. La nostra approvazione su questo articolo non comporta affatto la condivisione della soluzione trovata sul bicameralismo, che a noi pare complessivamente poco ragionevole e poco efficiente; probabilmente andrà rivista nelle aule parlamentari.

GIOVANNI RUSSO. Al di là della questione del numero dei parlamentari, credo sia sbagliato e pericoloso rimetterne alla legge la determinazione nell'ambito di una fascia di oscillazione così ampia (da 400 a 500 deputati) per le ragioni illustrate dal collega Villone. Mi sembra che in questo modo si dia alla maggioranza del momento la possibilità di incidere sulla formazione dei collegi e di precostituire un risultato elettorale.

Personalmente ritengo sia bene in questa fase mantenere il numero di 400, lasciando poi eventualmente al dibattito parlamentare una riflessione sul punto; qualora si ritenesse che questo numero dovesse essere aumentato, dovrebbe però essere modificato in modo determinato.

Mi esprimo quindi in senso contrario a questa proposta, preferendo che rimanga il testo del progetto approvato a giugno.

ARMANDO COSSUTTA. Ho già detto e quindi non ritorno sulla nostra opposizione a questa formulazione. Condivido le valutazioni espresse dai senatori Villone e Russo sull'enormità di questa banda di fluttuazione tra 400 e 500. Si tratta del 25 per cento in più! Una maggioranza faziosa potrebbe determinare il modificarsi della situazione politica attraverso una variazione del numero dei deputati.

Ma ho preso la parola perché ho sentito prima dall'onorevole Boato e poi dall'onorevole D'Amico un riferimento che mi ha molto allarmato, laddove si dice che attraverso questa possibilità di definire con legge elettorale il numero dei deputati, si potrebbe arrivare, per esempio, - sono parole dell'onorevole Boato - al numero di 475, tanti quanti sono gli attuali collegi; quindi - soggiunge l'onorevole D'Amico - senza bisogno di modificare la legge elettorale, se non eliminando la parte proporzionale.

MARCO BOATO. Non ho detto questo!

ARMANDO COSSUTTA. L'ha detto l'onorevole D'Amico; lei ha detto la prima cosa e l'onorevole D'Amico ha soggiunto il resto, senza tener conto del fatto che questa Commissione bicamerale ha preso atto di un ordine del giorno firmato da tutti i gruppi...

NATALE D'AMICO. No, non c'è ordine del giorno e non c'è presa d'atto, come lei sa.

ARMANDO COSSUTTA. La Commissione ha preso atto - la cosa è a verbale - di un ordine del giorno firmato da tutti i gruppi parlamentari presenti in questa Commissione secondo cui, per quanto riguarda la nuova legge elettorale, bisogna richiamarsi ai principi sanciti nell'attuale legge elettorale, cioè al mantenimento della quota proporzionale.

Questo riferimento degli onorevoli Boato prima e D'Amico poi mi allarma moltissimo, al punto da ritenere che l'opposizione a questa dizione debba essere ulteriormente rafforzata. Insisto perché effettivamente si vada davanti alle Assemblee con il numero di 400 deputati.

MARCO BOATO. Posso solo precisare che il mio era un riferimento puramente tecnico, non aveva alcuna rilevanza politica.

PRESIDENTE. Questo è ovvio: quello che può dire lei o l'onorevole D'Amico, del tutto legittimamente, non modifica la legge elettorale. L'argomento è chiaramente ultroneo: sono pareri legittimamente espressi in questa sede che non possono cambiare la legge elettorale, che è quella vigente, non quella cui fa riferimento, eventualmente, l'ordine del giorno del quale abbiamo preso atto.

NATALE D'AMICO. Presidente, mi scusi: l'espressione «ordine del giorno» mi pare un po' impropria; non è stato presentato, discusso e messo ai voti un ordine del giorno.

PRESIDENTE. Era un documento firmato da un gruppo di colleghi...

NATALE D'AMICO. Ce ne sono due, allora.

PRESIDENTE. Ce ne è un altro, sì.

Vorrei rispondere ad alcune osservazioni, poi voteremo. Svolgo in questo caso la funzione di relatore per conto del Comitato, non sono il proponente di questo testo, ho votato a favore del numero di 400 deputati e non ho presentato alcun emendamento al testo presentato a giugno; quindi, personalmente non ho sollevato la questione, me ne faccio carico perché è stata posta da diversi colleghi. Vorrei essere chiaro: non sono proponente di alcun emendamento al testo di giugno.

Per quanto riguarda la questione dei rappresentanti dei cittadini italiani all'estero, torno a ribadire ai colleghi che l'hanno sollevata che in questa sede il testo da loro proposto non è ammissibile. Naturalmente, in Assemblea sarà un altro problema che riguarderà il Presidente della Camera, ma i Presidenti di Camera e Senato all'inizio dei nostri lavori, nel trasmetterci le proposte di legge attinenti alla nostra Commissione, esplicitamente dissero: «Per quanto concerne invece le proposte di legge riguardanti il diritto di voto dei cittadini italiani all'estero, la Presidenza ha ritenuto, unitamente alla Presidenza del Senato, che il formale riconoscimento di tale diritto previsto dalle proposte di legge come modifica della parte prima della Costituzione fosse preminente e pregiudiziale rispetto alle eventuali norme di attuazione di rango costituzionale». La previsione nel numero dei parlamentari anche di rappresentanti di cittadini italiani all'estero è un'evidente norma di attuazione del principio (il principio è «preminente e pregiudiziale»). La senatrice Pasquali ha espresso l'auspicio, la convinzione che la riforma della prima parte della Costituzione interverrà molto presto; condivido pienamente tale auspicio e tale convinzione; non appena interverrà procederemo. Oggi non è intervenuta, per cui non possiamo procedere, è del tutto evidente! Quindi, condivido con la senatrice Pasquali l'auspicio che quando la nostra proposta sarà in aula sarà già stata approvata la riforma della prima parte della Costituzione; in tal caso, senza alcun dubbio in quella sede il suo emendamento sarà ritenuto ammissibile e sarà approvato. Attualmente non si può, insisto su questo punto: non si può (non «non voglio»), dato che non possiamo esaminare proposte che non ci siano state trasmesse e siamo vincolati ad un giudizio dei Presidenti di Camera e Senato i quali ritengono che la modifica della prima parte della Costituzione sia «preminente e pregiudiziale». Tale modifica non ha ancora completato il suo iter; siamo quindi in attesa e dopo procederemo nel senso auspicato.

Sugli altri aspetti sollevati dai colleghi, dico sinceramente che trovo abbastanza singolare il riferimento al fatto che il Comitato non si sarebbe collegato a criteri oggettivi. Il riferimento a criteri e parametri oggettivi nella determinazione del numero dei parlamentari non ha alcuna base logica. È del tutto evidente che non è oggettivo il riferimento agli altri paesi europei, i quali hanno sistemi parlamentari molto diversi dal nostro. La Gran Bretagna ha 651 deputati e tuttavia non ha alcun senatore eletto dai cittadini: i 1.195 membri della Camera dei lords sono nominati. È difficile considerare questo numero di parlamentari paragonabile con quello dei nostri senatori, per cui dovremmo dire che l'Inghilterra, che grosso ha modo lo stesso numero di abitanti dell'Italia, ha 651 deputati parlamentari eletti e la riforma da noi proposta ne prospetta 700 in una dimensione del tutto paragonabile. La Francia elegge 577 deputati; i 321 senatori sono eletti in secondo grado, esattamente come la rappresentanza dei consigli regionali e provinciali che noi abbiamo considerato ammissibile. Mi pare che il numero da noi prospettato sia del tutto paragonabile con quello della Francia. L'onorevole Boato si è soffermato su parametri e numeri, ma anche quei numeri rischiano di ingannarci perché, avendo l'ufficio studi del Senato sommato i membri del Parlamento inglese con i lord, risultano dei parametri...

MARCO BOATO. Ho citato solo una parte dei lord.

PRESIDENTE. Vorrei che almeno tra di noi ragionassimo con serietà. I numeri prospettati - il numero massimo di 500 deputati e di 200 senatori eletti, cioè di 700 parlamentari eletti in un paese di 57 milioni di abitanti - sono perfettamente allineati con le grandi democrazie del nostro continente, non risultano per nulla punitivi in relazione alle particolarità degli altri sistemi parlamentari, che sono diversi l'uno dall'altro e quindi difficilmente paragonabili in una logica strettamente numerica.

Credo che il parametro che dovrebbe essere assunto è quello del numero dei parlamentari eletti dai cittadini, perché questo è un parametro ragionevole, al quale è difficile sommare i lord o gli eletti di secondo grado. Mi sembra, dunque, che prospettiamo un numero tutt'altro che illogico e che, ragionevolmente, rientra nel quadro del numero dei rappresentanti presenti negli altri paesi democratici del nostro continente.

Vorrei anche osservare che l'estrema drammatizzazione della previsione in Costituzione non di una banda di oscillazione ma di un numero minimo e di un numero massimo - la legge elettorale potrà anche determinare il numero preciso - mi pare sinceramente... Se guardiamo alle altre Costituzioni europee, vediamo che vi sono paesi, assolutamente democratici, nei quali il numero dei parlamentari non è affatto previsto dalla Costituzione ma semplicemente rinviato alle leggi ordinarie. La Spagna, ad esempio, prevede in Costituzione una banda di oscillazione tra 300 a 400 e, poi, la legge ordinaria ha stabilito in 450 il numero dei deputati. Mi pare che la determinazione di un numero fisso dei parlamentari in Costituzione non costituisca affatto una caratteristica imprescindibile delle democrazie, almeno a giudicare dalle democrazie esistenti. Personalmente, non ho nulla in contrario che si possa ridurre la distanza tra numero minimo e numero massimo; trovo che abbia una certa logica la determinazione di un numero minimo e di uno massimo e non quella di un numero fisso proprio per la ragione, ricordata anche dall'onorevole Cossutta, relativa alla possibilità di una legge elettorale che preveda un numero di parlamentari variabile, in relazione al tipo di sistema maggioritario che si adotta. Siccome tale possibilità appare, esiste una volontà politica che va in questa direzione, un vincolo costituzionale potrebbe creare un serio problema, nel senso che potremmo trovarci di fronte alla necessità di una riforma costituzionale per poter cambiare la legge elettorale, il che potrebbe determinare una seria difficoltà.

Dunque, da questo punto di vista l'idea di un numero variabile mi sembra da difendere. Se, poi, la Commissione boccerà l'emendamento e si tornerà all'indicazione di 400 deputati io non mi metterò a piangere, perché personalmente non ho sollevato tale questione. Tuttavia, convengo con chi l'ha sollevata nel ritenere che l'idea del numero variabile sia degna di essere difesa.

Personalmente, non vedo la minaccia di una maggioranza che cambi il numero dei deputati per modificare i collegi. Si tratta, comunque, di una legge elettorale che andrebbe approvata dalle due Camere...

MARCO BOATO. Ma, presidente, il gerrymandering si può fare anche in collegi a numero fisso, cioè anche in quel caso si possono ritagliare i collegi per ragioni...

PRESIDENTE. Io non vedo incombente questo pericolo democratico. Tuttavia, se si ritiene di dover ridurre il margine di oscillazione si può elevare il numero minimo previsto a 450. Lo si può fare subito o, successivamente, in aula.

Invece, difendo la scelta, fatta in Comitato ristretto, di non collegare il numero dei deputati a quello dei senatori. Questo per una ragione relativa al mutamento di sistema che noi proponiamo. Proponiamo, infatti, un Senato delle garanzie con funzioni rilevantemente diverse rispetto al Senato odierno. Il rapporto tra deputati e senatori aveva una ragione legata al bicameralismo perfetto; oggi, invece, pensiamo ad un Senato che non ha più il compito di esaminare tutte le proposte e tutti i disegni di legge. Non per questo si tratta di compiti meno rilevanti; anzi, sono rilevantissimi, in alcuni campi esclusivi, pensiamo ed esempio alle nomine. Si tratta, però, di compiti diversi: è diverso il sistema; con ogni probabilità saranno diverse le leggi elettorali, anche con riferimento ai principi ispiratori. Oggi non è così, ma ritengo che con ogni probabilità saranno diverse, dovranno esserlo. Quindi non si vede più la ragione per la quale il numero dei senatori debba essere collegato a quello dei deputati. Peraltro, la determinazione di 200 senatori in rapporto al compito di garanzia mi sembra una determinazione ragionevole, anche perché un compito di garanzia richiede un'Assemblea altamente qualificata e, secondo me, con un numero non elevatissimo di componenti. Personalmente, avrei ritenuto ragionevole anche un'ulteriore diminuzione del numero, proprio per qualificare un collegio di garanzia, che può svolgere il suo ruolo, non avendo il compito dell'esame di tutte le leggi, anche in un numero più ristretto rispetto all'attuale.

Dunque, a me sembra che le proposte abbiano una logica. Che poi tali proposte, dal punto di vista dei numeri e delle funzioni, possano incontrare difficoltà di consenso nelle aule parlamentari è possibile. Discuteremo, battaglieremo, ognuno di noi sosterrà le sue tesi; ma è difficile dire che queste proposte siano prive di alcun fondamento logico. Tra l'altro, come è stato ricordato, corrispondono alla possibilità di snellire il Parlamento anche in relazione ad un trasferimento imponente di funzioni legislative presso le assemblee regionali. Avremo, quindi, un Parlamento meno oberato di leggi e leggine - così lo abbiamo pensato - con compiti differenziati tra Camera e Senato e, a mio giudizio, con un numero di parlamentari adeguato ad affrontare tali compiti.

Detto questo, passerei alla votazione del nuovo testo dell'articolo 85.

FRANCESCO SERVELLO. Desidero far notare che, a mio avviso, la dichiarazione di inammissibilità, sulla base delle comunicazioni del Presidente della Camera, è una forzatura. Infatti, la prima parte della Costituzione recita esattamente così: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età», senza prevedere se residenti in Italia o all'estero.

MARCO BOATO. Presidente, non c'è dibattito sull'ammissibilità!

FRANCESCO SERVELLO. Dico soltanto che mi pare che nella seconda parte possa essere prevista specificamente un'indicazione riguardante gli italiani all'estero, in quanto non incompatibile con la prima parte della Costituzione.

PRESIDENTE. Non è questo il punto.

FRANCESCO SERVELLO. Ho capito che è in itinere la legge costituzionale.

PRESIDENTE. Purtroppo, la legge costituzionale sul voto degli italiani all'estero non è stata assegnata alla nostra Commissione, poiché si è ritenuta preminente l'affermazione del principio nella prima parte della Costituzione.

Le misure ordinamentali, cioè quelle della seconda parte, sono conseguenti alle decisioni che il Parlamento prenderà sulla riforma della prima parte. Noi non possiamo anticiparle, sia pure nell'aspettativa gioiosa che la riforma sia imminente.

Dobbiamo, invece, aspettare che questo processo si compia. Poi faremo come dice lei.

FRANCESCO SERVELLO. Non voglio fare il Boato della situazione, però avrei ritenuto preferibile non una dichiarazione di inammissibilità bensì, semmai, un invito al ritiro per ridiscutere la questione nelle aule parlamentari.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa ed invito al ritiro. L'importante è precisare che io non potrei mettere in votazione quell'emendamento.

Ho voluto sottolineare, anche richiamando la lettera del Presidente della Camera, la valutazione di impossibilità proprio perché non vorrei che uscisse all'esterno che la Commissione bicamerale si è pronunciata in modo negativo su tale questione. Io dico che noi non possiamo pronunziarci; anzi, il nostro auspicio è che tale riforma abbia buon fine.

ADRIANA PASQUALI. Come prima firmataria, ritiro le due proposte di modifica, che resteranno accantonate per l'Assemblea.

ARMANDO COSSUTTA. Prima di mettere in votazione la formulazione che ci viene sottoposta, che prevede l'oscillazione da 400 a 500, propongo che sia votato un subemendamento che prevede una possibilità di variazione tra 400 e 440. Infatti, un'oscillazione del 10 per cento è compatibile, anzi auspicabile nel caso in cui si debba disporre una legge elettorale, ad esempio, analoga a quella dei consigli regionali che prevede, appunto, la possibilità di maggiorazione del numero dei deputati. Mi pare si tratti di una proposta razionale e funzionale rispetto agli obiettivi che ci prefiggiamo.

PRESIDENTE. Sono d'accordo con lei. Naturalmente, la riduzione della variazione tra numero minimo e numero massimo può avvenire a diversi livelli di avvicinamento alla cifra di 500, per cui porrei in votazione innanzitutto il principio, in modo da evitare che chi condivide la sua preoccupazione ma ritiene quello di 440 un numero troppo basso non lo voti. Se il principio di ridurre l'oscillazione verrà accolto, vedremo allora a quale numero massimo fare riferimento, lo dico proprio per evitare che si possano sommare, nel voto negativo, anche le preoccupazioni di chi ritiene troppo basso il numero di 440 ma, tuttavia, condivide la sua preoccupazione di ridurre l'oscillazione. Poiché si tratta di due cose diverse, metterei per prima in votazione la proposta di ridurre a circa il 10 per cento l'oscillazione tra numero minimo e numero massimo.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Presidente, chiedo scusa e chiedo al collega Cossutta, che opportunamente ha insistito su questo tema, un attimo di attenzione. È ovvio che c'è un collegamento con il tipo di legge elettorale che verrà adottata, ma noi abbiamo votato un ordine del giorno che prevede un eventuale premio di maggioranza del 20 per cento. Una riduzione di oscillazione al di sotto del 20 per cento renderebbe quell'ordine del giorno non attuabile, desidero che sia chiaro.

Noi voteremo contro... (Commenti).

Sono opinioni e, come tali, reggono votazioni. Noi voteremo contro la riduzione dell'oscillazione per questa ragione.

PRESIDENTE. Non vorrei ora addentrarmi nei calcoli. L'onorevole Mattarella, che in questa materia è il più esperto di tutti noi, tace.

MASSIMO VILLONE. Che si possa prevedere un premio di maggioranza anche con un numero fisso credo sia indiscutibile. È evidente che lo si possa fare, non vi è alcuna difficoltà tecnica.

PRESIDENTE. Certo che si può fare.

Passiamo dunque a votare il principio di ridurre l'oscillazione a circa il 10 per cento, rispetto al 25 per cento previsto dal testo proposto dal Comitato.

ORTENSIO ZECCHINO. Non è pregiudiziale, non è necessario stabilire se si accetti l'oscillazione o la fissità del numero?

PRESIDENTE. Nessuno ha chiesto di votare su questo concetto, mentre l'onorevole Cossutta ha chiesto di votare sul margine di oscillazione. Nessun collega ha chiesto di prevedere un numero fisso, altrimenti l'avrei posto in votazione. Lei vuole un numero fisso?

Io indìco le votazioni sulla base delle richieste che mi vengono avanzate.

ORTENSIO ZECCHINO. Mi sembrava che il collega Villone avesse sostenuto questa tesi.

PRESIDENTE. Ma il collega Villone non ha chiesto una votazione: ha annunciato una riserva. Invece il collega Cossutta ha chiesto di votare un subemendamento.

ORTENSIO ZECCHINO. Ne prendo atto ed aggiungo la mia riserva a quella del collega Villone.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di ridurre a circa il 10 per cento il margine di oscillazione fra numero minimo e massimo di deputati.

(È respinta).

Pongo in votazione l'articolo 85 come riformulato dal Comitato ristretto.

(È approvato).

Risultano conseguentemente respinti tutti gli emendamenti ad esso riferiti.

Passiamo alla votazione dell'articolo 138, al quale il Comitato non propone modificazioni, salvo il coordinamento formale consistente nella sostituzione, al secondo comma, primo periodo, delle parole «Consigli regionali», con le seguenti «Assemblee regionali» (per le proposte di coordinamento vedi allegato Commissione bicamerale).

MASSIMO VILLONE. Mi dispiace che sia decaduta la possibilità di prevedere nell'articolo 138 la partecipazione delle regioni alla funzione di revisione della Costituzione per la parte relativa alle autonomie, che mi sarebbe sembrato un opportuno coronamento dell'impianto assunto nel testo per quanto riguarda le autonomie medesime. Anche questa è una riserva, mentre il mio voto sarà favorevole.

PRESIDENTE. Il relatore si è riservato di presentare in Assemblea una proposta organica in questo senso. Questo suo intento è dunque vivamente apprezzato.

DOMENICO NANIA. Il gruppo di alleanza nazionale non voterà a favore del testo dell'articolo 138, avendo peraltro presentato emendamenti diretti a modificare il terzo comma di tale articolo. Riteniamo che questo sia un argomento da approfondire e che cammini di pari passo con le leggi elettorali che saranno approvate.

È chiaro infatti che, se davvero la legge elettorale che sarà approvata con riferimento al Senato avrà contenuto proporzionale, l'attuale formulazione dell'articolo 138 potrà essere tenuto in piedi; se invece, per le ragioni della politica che non sono sempre prevedibili, ci trovassimo in una situazione per la quale anche la legge del Senato dovesse risentire di effetti maggioritari, mantenendo in piedi questa formulazione dell'articolo 138 potremmo arrivare all'assurdo che una minoranza, in conseguenza degli effetti maggioritari, possa da sola raggiungere i due terzi dei parlamentari sia alla Camera sia al Senato. Questo può avvenire già alla Camera e potrebbe avvenire anche al Senato.

Esprimiamo intanto una posizione di astensione dichiarando esplicitamente che, se la legge per il Senato dovesse contenere effetti maggioritari, non si potrebbe a nostro avviso che abolire il terzo comma dell'articolo 138 che evita il referendum, in quanto si avrebbe la situazione paradossale di una minoranza che può farsi le riforme da sola e si impedirebbe al corpo elettorale di azionare il meccanismo referendario. In questo quadro allo stato, nel preannunciare il voto di astensione del gruppo di alleanza nazionale, volevo rendere consapevole la plenaria che questo del terzo comma dell'articolo 138 è un terreno delicato che va ulteriormente approfondito in relazione alla legge elettorale.

PRESIDENTE. Prendiamo atto di questa riserva, che però è difficile anticipare perché le leggi elettorali non ci competono.

Pongo in votazione il mantenimento del testo costituzionale dell'articolo 138, con il ricordato coordinamento formale al secondo comma.

(È approvato).

S'intendono pertanto respinti tutti gli emendamenti ad esso relativi.

Passiamo all'articolo 139 al quale il Comitato non propone modifiche (naturalmente dobbiamo votare perché con il voto respingiamo implicitamente gli emendamenti che sono stati presentati e consentiamo di ripresentarli in Assemblea. La votazione non è dunque un esercizio ginnico).

Pongo in votazione il mantenimento del testo costituzionale dell'articolo 139.

(È approvato).

S'intendono pertanto respinti tutti gli emendamenti ad esso relativi.

Abbiamo così esaurito la votazione degli articoli.

ANTONIO SODA. Dobbiamo ancora votare l'articolo 56.

PRESIDENTE. Si tratta di una proposta di correzione, sulla quale voteremo, ma non di un nuovo articolo.

Passiamo alla votazione dei titoli. È noto che abbiamo proceduto in parte ad un diverso accorpamento della materia; in particolare, sottraendo materie al titolo del Governo, abbiamo istituito il titolo V che affronta le questioni relative alle pubbliche amministrazioni, alle autorità di garanzia e agli organi ausiliari. Si è ritenuto di farlo sia perché le pubbliche amministrazioni non fanno capo solo al Governo dello Stato ma anche alle amministrazioni periferiche, sia per una migliore organizzazione della materia. Poi abbiamo variato altri titoli, prevedendo «la giustizia» invece che «la magistratura».

MASSIMO VILLONE. Preannunzio la mia astensione sulla votazione relativa ai titoli. La mia posizione può sembrare curiosa, ma in una Costituzione i titoli hanno una funzione di messaggio e di immagine. Il messaggio che diamo, che per me è inaccettabile, è quello di un declassamento della rappresentanza parlamentare, che trova radice in alcune norme sbagliate che abbiamo approvato...

MARCO BOATO. Abbiamo anticipato adesso, con questa modifica!

MASSIMO VILLONE. Sì, ma complessivamente è così. Comunque, secondo me non abbiamo trovato il giusto equilibrio nella definizione della rappresentanza parlamentare. Siccome per me il luogo della democrazia è pur sempre il Parlamento e non l'azione di governo, dichiaro la mia astensione sull'organizzazione che si è data.

ARMANDO COSSUTTA. Il nostro gruppo si asterrà sulla dizione relativa al primo dei titoli, e cioè «Ordinamento federale della Repubblica», non già perché contrastiamo l'ordinamento federale ma perché non troviamo traccia di un ordinamento federale negli articoli che fanno seguito a questo titolo, che dunque consideriamo improprio.

MARCO BOATO. Questo titolo non è in discussione. Sono in discussione solo le modifiche del Comitato ristretto rispetto alle votazioni della Commissione.

PRESIDENTE. In effetti, onorevole Cossutta, il titolo relativo all'ordinamento federale della Repubblica è stato già votato.

Pongo in votazione le denominazioni dei titoli e delle sezioni non approvate in precedenza, con le proposte di coordinamento di cui all'allegato.

(Sono approvate).

Risultano conseguentemente respinti gli emendamenti ad esse relativi.

Propongo ora lo stralcio delle disposizioni transitorie approvate a giugno nel quadro della decisione, che propongo di adottare, di rinviare al momento dell'avvio della discussione davanti alle Assemblee del testo di riforma costituzionale la presentazione di un testo organico di disposizioni transitorie e finali. Naturalmente si dà mandato al Comitato che è stato eletto, salvo la riconvocazione della Commissione, che io ritengo sia da prevedere, per l'esame di tutto questo capitolo.

MARCO BOATO. Premesso che sono d'accordo sulla proposta che lei ha avanzato, pongo solo una questione tecnica. Ho l'impressione che tecnicamente non dobbiamo adottare uno stralcio, perché se noi le stralciassimo, quelle norme darebbero vita ad un autonomo disegno costituzionale in materia di revisione della Costituzione; non dovremmo farlo perché - come lei ha giustamente osservato - dobbiamo riservarci di reintrodurre tutta la materia nella fase finale dell'esame da parte delle Assemblee. Dobbiamo quindi procedere ad una soppressione tecnica di quelle norme, con la riserva politica di riprenderle nella fase finale.

PRESIDENTE. Dobbiamo fare una soppressione temporanea, a tempo determinato: si deve precisare che il tempo è determinato per evitare sofferenze.

ARMANDO COSSUTTA. Penso che si possa trovare una soluzione. Vorrei però un chiarimento: se non presentiamo alle Assemblee, perché le stralciamo, le norme transitorie e finali, gli emendamenti da parte dei deputati e dei senatori possono essere presentati?

MARCO BOATO. Se facciamo la soppressione, si possono ripresentare tutti.

PRESIDENTE. Chiunque potrà presentare una propria proposta di disposizione transitoria, che diventa un emendamento, nella forma dell'articolo aggiuntivo, al disegno di riforma costituzionale. Ci riserviamo di presentare le proposte della Commissione che avranno la forma di emendamento aggiuntivo al disegno di riforma costituzionale.

ARMANDO COSSUTTA. Alle quali è possibile presentare subemendamenti.

PRESIDENTE. Precisamente, onorevole Cossutta.

Ritengo che questa sia una misura di saggezza (d'altro canto le disposizioni transitorie derivano dall'approvazione del testo) per non anticipare una discussione che rischia di essere confusa e per non condizionare l'approvazione delle norme stesse, che invece credo debbano essere discusse nella loro autonomia. Poi bisognerà fare una riflessione molto attenta perché ci sono complessi meccanismi di passaggio dalle istituzioni attuali riformate, che devono essere studiati anche facendo una valutazione più attendibile sui possibili tempi necessari per l'approvazione definitiva del testo di riforma costituzionale.

GIUSEPPE CALDERISI. Solo una breve precisazione, presidente. Le norme oggetto della soppressione temporanea sono tutte quelle approvate a giugno ma anche quelle - mi sembra che ce ne sia qualcuna - approvate in quest'ultima fase.

PRESIDENTE. Tutte le norme che rientrano nel titolo «Disposizioni transitorie e finali».

MARCO BOATO. Poiché lasciamo agli atti dichiarazioni di intenti, signor presidente, essendo io l'autore di alcune di quelle norme, ribadisco l'intenzione del relatore, qualora venisse sostanzialmente confermato dall'Assemblea il testo approvato dalla Commissione, di ripresentare tutte le disposizioni transitorie che oggi sopprimiamo per ragioni meramente tecniche.

GIOVANNI PELLEGRINO. Vorrei che rimanga a verbale una mia segnalazione sull'importanza della norma transitoria che prevede l'entrata in vigore del nuovo sistema di giustizia amministrativa. Poiché quello è un settore in cui abbiamo realizzato una vera e propria rivoluzione copernicana, graduare nei tempi l'entrata in vigore del nuovo sistema mi sembrerebbe decisivo anche ai fini di una valutazione della riforma.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Dichiaro di concordare con la proposta da lei formulata, presidente. Noi abbiamo le norme transitorie al termine di una valutazione complessiva del nuovo assetto costituzionale. Avendo proposto a giugno talune norme transitorie riferite ad un modello di decentramento che non è quello di settembre, avrei avuto grande difficoltà a conservare quelle vecchie o a scriverne di nuove; mi sembra dunque molto più opportuno che si scrivano le norme transitorie ad assetto istituzionale definito. Questa è dunque una decisione saggia, che sgombra il terreno da un'attenzione morbosa verso questa o quella norma transitoria e che mi auguro consenta di tornare a discutere della sostanza dei problemi e poi della loro traduzione in pratica. Ecco perché sono particolarmente lieto della soluzione prospettata.

ADRIANA PASQUALI. Signor presidente, potrei essere tranquilla perché il Comitato avrà sempre una possibilità di valutazione e di contatti con l'Assemblea ed il relatore potrà sempre portare la voce e le istanze di chi vive le realtà specifiche cui appunto si fa riferimento in queste norme transitorie, in relazione all'adeguamento degli statuti delle regioni a statuto speciale. Fatto comunque questo atto di fede nei confronti dei relatori e di chi rappresenterà i diversi gruppi - per quanto mi riguarda, mi interessa ovviamente chi rappresenterà il gruppo di alleanza nazionale - auspico che, in relazione a quanto lei stesso ha detto, signor presidente, vi sia ancora una seduta della Commissione plenaria in cui si possano esaminare queste norme e ciascun commissario possa intervenire su singoli punti specifici, che possono anche essere molto rilevanti e densi di conseguenze.

PRESIDENTE. Innanzitutto lei ha, in quanto parlamentare, la facoltà di proporre norme transitorie, secondo il suo punto di vista, e certamente, come ho anticipato, prima di presentare la proposta emendativa della Commissione, penso sia giusto riconvocare la Commissione stessa. Si tratta di un emendamento di tale portata che mi sembra il Comitato debba predisporlo ma non possa arrogarsi il diritto di presentarlo in Assemblea prima di aver sentito la Commissione.

Nessun altro chiedendo di parlare, pongo in votazione la proposta di una soppressione tecnica delle disposizioni transitorie e finali (approvate nella precedente fase conclusasi a giugno e nelle sedute fin qui tenutesi dopo la ripresa dei lavori) e di un mandato al Comitato di predisporre un testo più organico di tali disposizioni da sottoporre poi alla Commissione, per l'esame in Assemblea.

(È approvata).

Chiedo inoltre il mandato ad accorpare gli articoli, al fine di far sì che essi risultino 139 rispetto ai 144 attuali. Non essendovi obiezioni, pongo in votazione tale proposta.

(È approvata).

A questo punto, colleghi, possiamo proseguire la seduta fino ad esaurire l'ordine del giorno - si tratta ora di esaminare, spero con rapidità, le proposte di coordinamento - oppure sospendere i lavori per riconvocarci alle 16.

MARCO BOATO. Signor presidente, credo che andando ora avanti potremo concludere in circa mezz'ora. In questo modo il pomeriggio potrà essere dedicato al lavoro in sede tecnica.

PRESIDENTE. D'accordo.

Passiamo dunque all'esame delle proposte di coordinamento (v. allegato Commissione bicamerale). La prima riguarda alcune modifiche all'articolo 56. In particolare è stato chiesto che, al primo comma, siano aggiunte infine le seguenti parole: «La legge garantisce le autonomie funzionali». Non si tratta di una correzione meramente formale. Tuttavia, anche dall'esame dei verbali, risulta che durante la complessa discussione sulla questione della sussidiarietà è caduto il riferimento alle «autonomie funzionali» che era presente nel testo di giugno senza che su questo vi sia stata una espressa volontà della Commissione. In realtà non se ne era discusso per nulla.

Siccome, ripeto, si tratta di una correzione non meramente formale, la porrei in votazione.

FAUSTO MARCHETTI. Signor presidente, ho sollevato io questo problema. In realtà, nel testo dell'articolo 56, nella formulazione di giugno, era presente la formulazione «nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute dalla legge». È stato poi approvato un nuovo testo di questo, che è stato uno degli articoli più discussi nella Commissione e fuori da questa. Il fatto che ora l'espressione non sia più richiamata nel nuovo testo - che, ripeto, è stato lungamente discusso - non è, a mio avviso, una dimenticanza, ma frutto di una volontà esplicita.

Non considero l'espressione, che ora si propone di reinserire, una norma di coordinamento, desidero che rimanga a verbale questa mia riserva e voterò comunque contro il suo inserimento.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'inserimento, al termine del primo comma, delle parole: «La legge garantisce le autonomie funzionali».

(È approvato).

Vi sono altre obiezioni sull'articolo 56?

GIUSEPPE VEGAS. Al terzo comma, dopo le parole «senza oneri finanziari aggiuntivi» si propone di aggiungere le parole «per gli enti interessati»: questo significa che gli altri enti meno interessati, come ad esempio le regioni e lo Stato, possono avere oneri finanziari aggiuntivi? Se così fosse, credo sarebbe meglio lasciare il testo precedente.

MASSIMO VILLONE. Bisognerebbe quanto meno escludere, signor presidente, gli oneri per lo Stato. Che lo Stato finanzi le aree metropolitane credo non sia proprio nell'ordine delle possibilità.

STEFANO PASSIGLI. Qui di parla di istituzione e quindi in questa fase vi possono essere oneri senza i quali si potrebbe configurare una difficoltà per la istituzione. Eliminare questa previsione potrebbe creare, ripeto, una difficoltà alla istituzione di aree metropolitane, mentre vi è un interesse a permettere questo.

MASSIMO VILLONE Diciamo allora «senza oneri finanziari aggiuntivi per lo Stato» invece che «per gli enti interessati». Chi le vuole fare, se le paga! L'unica cosa impossibile mi pare sia che lo Stato paghi per gli altri.

FRANCESCO D'ONOFRIO. Le questioni poste oggi riguardano decisioni sostanzialmente diverse l'una dall'altra. Dire «senza oneri per lo Stato», per cui comuni e province, se le vogliono, se le pagano, è esattamente l'opposto di quanto è detto nella norma di coordinamento in esame, nella quale si vorrebbe appunto che comuni e province non fossero indotti a fare aree metropolitane indifferenti al costo aggiuntivo.

La norma era originariamente intesa per evitare oneri aggiuntivi per chicchessia e da questo punto di vista era astrattamente la preferibile; era stato però notato che questa generica indicazione poteva lasciare il dubbio su quali fossero gli enti i cui oneri potessero essere aggiuntivi. Allora, per quanto mi riguarda, considero più che sufficiente la formulazione originaria dal punto di vista della garanzia che non vi siano oneri aggiuntivi per alcuno; sarei contrario a prevedere che questo valga solo per lo Stato per le ragioni opposte.

PRESIDENTE. In verità queta aggiunta è stata fatta per ragioni rafforzative, come a dire: badate, enti interessati, che non potete ...

MASSIMO VILLONE. Il risultato è che la domanda verrà posta ad altri enti. Non è un discorso astratto.

PRESIDENTE. Se si determina un equivoco, come risutla evidente, si può sopprimere.

MASSIMO VILLONE. È meglio sopprimerla, io credo.

GIOVANNI RUSSO. Signor presidente, vorrei un chiarimento sull'articolo 56 ed in particolare sulla soppressione, al secondo comma del testo precedente, delle parole «approvata dalle due Camere». Questa soppressione ricorre anche riguardo ad altri articoli. Il chiarimento che vorrei è questo: laddove è scritto «legge», si deve intendere «legge monocamerale» oppure un rinvio alla norma generale?

PRESIDENTE. In sede di coordinamento si è ritenuto di eliminare il più possibile quesa ridondanza, perché la norma generale è chiarissima.

GIOVANNI RUSSO. Allora, però, desidero segnalare che la formulazione «con legge approvata dalle due Camere» è rimasta nell'articolo 97 e questo può determinare degli equivoci. Credo che l'espressione debba essere cancellata in tutti gli articoli.

PRESIDENTE. Comunque qui è chiaro che le leggi relative all'ordinamento comunale sono leggi bicamerali e quindi per evitare una ripetizione si rinvia alla norma generale.

Tornando ora alla precedente proposta, poiché anche il relatore conviene che l'espressione «per gli enti interessati» può creare confusione, la consideriamo soppressa.

Procediamo oltre. Ricordo che le proposte sulle quali non vi è una votazione specifica, sono da considerarsi recepite da un'unica adozione complessiva.

La proposta riguardante l'articolo 59 è di puro coordinamento: in particolare, al primo comma si è tolto il riferimento all'«organizzazione» poiché su tale materia vi è riserva di regolamento. La proposta riguardante l'articolo 61 attiene ad alcune formulazioni che non risultavano chiare.

Seguono le proposte concernenti gli articoli 62, 64, 69, 70 e 73. Per quanto riguarda l'articolo 76, la materia è stata riorganizzata smembrando il precedente articolo 115. La proposta dell'articolo 78-bis risponde ad un problema di omogeneità di materia e di migliore collocazione, rispetto al precedente articolo 97-bis. Seguono le proposte di modifica dei titoli cui abbiamo prima accennato e la modifica dell'articolo 79 che si riferisce alla materia dei regolamenti.

MARCO BOATO. Tutta questa parte andrà inserita dopo le norme relative al Parlamento, accogliendo in parte l'obiezione del collega Villone.

PRESIDENTE. Il che tuttavia non è stato sufficiente ad impedire al collega Villone di astenersi...

MASSIMO VILLONE. Temo di no!

PRESIDENTE. Altrimenti, avrebbe votato contro.

MASSIMO VILLONE. È molto probabile.

MARCO BOATO. Signor presidente, vorrei porre una questione puramente formale sull'articolo 78-bis in materia di Conferenza permanente. Mi pare che avevamo deciso di adottare in tutto il testo costituzionale l'elencazione «comuni, province e regioni», a partire appunto dai comuni. Forse bisognerebbe dunque adeguare anche questa norma, a meno che in questo caso il riferimento non sia alla Conferenza esistente. Forse questo è il motivo di questa diversa elencazione che, però, è l'unica in tutto il testo.

PRESIDENTE. Il testo dell'articolo è tratto dal decreto istitutivo. È pur vero, però, che la Costituzione può modificare i decreti e non viceversa.

MARCO BOATO. Nulla vieta che venga adeguato il decreto istitutivo.

PRESIDENTE. Facciamo questo dispetto al ministro Bassanini!

L'espressione «le Province» di cui all'articolo 78-bis è comprensiva di quelle autonome. In questo caso non vedo la necessità di farvi riferimento.

CESARE SALVI. La stessa espressione è riportata nell'articolo 55.

PRESIDENTE. Sarà la legge a risolvere il problema. In questo caso, sono comprese - ripeto - anche le province autonome.

MARCO BOATO. Il problema si potrebbe risolvere invertendo la formulazione, nel senso di prevedere oltre a comuni, province e regioni, anche le province autonome.

ORTENSIO ZECCHINO. Rispetto al testo attuale vi è una differenza, in quanto della Conferenza fanno parte anche i presidenti delle due province autonome.

MARCO BOATO. Il terzo comma dell'articolo 58 prevede che: «La Regione Trentino-Alto Adige si articola nelle Province autonome di Trento e di Bolzano».

PRESIDENTE. Con questa norma diamo «copertura» alla Conferenza, ma sarà poi la legge a definire il problema. Abbiamo già inserito in Costituzione le province autonome dove andavano inserite, ma non possiamo ripetere tale prerite, ma non possiamo ripetere tale previsione ad ogni occasione.

SERGIO MATTARELLA. Mi scusi, presidente, quale sarebbe quindi la formulazione dell'articolo? Il testo, rimane così com'è?

PRESIDENTE. No, si adotta la seguente formula: «Comuni, Province, Regioni e Stato», che è quella adottata in tutto il testo costituzionale.

SERGIO MATTARELLA. Vorrei avanzare una piccola obiezione: una cosa è dove sono enumerate queste realtà istituzionali, altra cosa è la Conferenza di cui all'articolo 78-bis. Nell'ambito dell'organizzazione centrale, la Conferenza mette a confronto collaborativo lo Stato con le altre realtà istituzionali (Comuni, Regioni e Province). Pur non trattandosi di un problema particolarmente importante, mi chiedo se l'inversione dell'ordine di tali realtà sia valida.

PRESIDENTE. Non credo. La formulazione è la seguente: «La Conferenza permanente per i rapporti tra Comuni, Province, Regioni e Stato...» è il famoso principio della sussidiarietà.

SERGIO MATTARELLA. Non è esattamente questo; comunque, non ho problemi a mantenere il testo così com'è.

FRANCESCO SERVELLO. Il fatto che la questione sia stata posta, la dice lunga, nel senso che si vuole continuare dal primo all'ultimo articolo a lasciare lo Stato ai margini. Si tratta in questo caso di un'accezione molto precisa e significativa: tra chi sono i rapporti? Tra i singoli comuni? No, alla Conferenza partecipa lo Stato che si mette a confronto con comuni, province e regioni. Quello di capovolgere, per ripetere...

MARCO BOATO. Ritiro la proposta di coordinamento tecnico e propongo di mantenere il testo com'è, così abbiamo risolto il problema.

PRESIDENTE. Avanzo una proposta intermedia. Si potrebbe prevedere: «La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, i Comuni, le Province e le Regioni...»

SERGIO MATTARELLA. È esattamente quello che poc'anzi cercavo di dire!

PRESIDENTE. Abbiamo ridato priorità allo Stato, senatore Servello: è stata una sua battaglia vittoriosa!

FRANCESCO SERVELLO. Non so se lo Stato le sarà grato.

PRESIDENTE. S'intende che, in generale, nel testo venga seguita sempre la successione: comune, provincia e regione.

Passiamo alle proposte di coordinamento relative agli articoli 86, 90, 92, 96 o 97.

GIOVANNI RUSSO. Mi chiedo se sia il caso di mantenere, al primo comma dell'articolo 97, il riferimento alla «legge approvata dalle due Camere». Ritengo che se in qualche norma inseriamo questa specificazione, consentiamo di interpretare la parola «legge» in senso monocamerale. Se in una norma si sente il bisogno di specificare che deve trattarsi di legge approvata dalle due Camere, dobbiamo decidere se eliminare o mantenere dappertutto tale specificazione.

PRESIDENTE. Ritengo anch'io che l'espressione di cui al primo comma dell'articolo 97, potrebbe essere soppressa, anche perché lo stesso concetto è specificato nell'ultimo comma, dove invece è necessario mantenere la distinzione per ragioni che risultano evidenti. Quindi, se non vi sono obiezioni, viene soppressa.

GIOVANNI RUSSO. Se capisco bene, vi è una legge monocamerale che ammette il riesame su richiesta di un certo numero di senatori.

PRESIDENTE. La questione è semplice: in questa elencazione figurano leggi bicamerali perfette e leggi bicamerali imperfette, ai sensi dell'articolo 113, che poi vengono approvate in via definitiva dalla Camera. Nel penultimo periodo dell'articolo 97 le due fattispecie sono state differenziate. Per evitare confusioni, abbiamo stabilito che tutte queste leggi sono esaminate dalle due Camere, per consentirne l'esame da parte del Senato integrato e tuttavia i disegni di legge di cui alle lettere b) e c) del secondo comma sono di tipo monocamerale, la cui approvazione finale spetta alla Camera. I disegni di legge sono esaminati da entrambe le Camere, proprio perché non tutte sono sottoposte all'approvazione di entrambe.

MARIDA DENTAMARO. Vorrei soltanto rilevare che abbiamo sempre utilizzato l'espressione «dalle due Camere» anziché «da entrambe le Camere». Propongo pertanto che sia apportata questa modifica.

PRESIDENTE. Ha ragione, ne prendo atto.

MARCO BOATO. Non occorre mantenere l'espressione di cui al primo comma, perché comunque si tratta di legge bicamerale, mentre nel penultimo comma, dove si prevede: «I disegni di legge di cui al presente articolo sono esaminati», bisognerebbe apportare la seguente modifica: «I disegni di legge di cui al precedente comma sono esaminati da entrambe le Camere», poiché essi si riferiscono alle lettere a), b), c) e d) e poi si specifica che su quelli di cui alle lettere b) e c) delibera definitivamente la Camera. Aggiungo soltanto che i disegni di legge previsti al primo comma, sono bicamerali in quanto leggi di ordinamento.

PRESIDENTE. Pertanto la formulazione è la seguente: «I disegni di legge di cui al precedente comma sono esaminati dalle due Camere».

MARCO BOATO. In questo caso, l'espressione «dalle due Camere» non è la stessa cosa di «leggi bicamerali».

Al primo comma, la formulazione più sintetica, come suggerito dal senatore Passigli, potrebbe essere la seguente: «La legge stabilisce i criteri per l'elezione dei consiglieri».

PRESIDENTE. Sulle proposte di coordinamento relative agli articoli 98, 100-bis e 101 non vi sono obiezioni.

Passiamo alla proposta di coordinamento relativa all'articolo 102.

MARIDA DENTAMARO. Vorrei avanzare una proposta di modifica puramente formale, nel senso di aggiungere una virgola dopo la parola «elettorale» e di sopprimerla dopo la parola «legislativa».

MASSIMO VILLONE. Presidente, se capisco bene, viene proposta una nuova formulazione.

MARIDA DENTAMARO. Tale articolo pone limiti al procedimento in Commissione in sede redigente. Come il senatore Villone ricorderà, è stata soppressa la sede legislativa rispetto alla quale la Costituzione vigente prevede alcune limitazioni di materia. Nel sopprimere la sede legislativa ed introdurre quella redigente, la Commissione non ha posto alcun limite. Il Comitato, all'unanimità, ha allora ritenuto opportuno introdurre una limitazione al procedimento speciale.

PRESIDENTE. Il Comitato si è espresso all'unanimità.

MASSIMO VILLONE. È un profilo di mera opportunità; non si pone nessun problema particolare.

MARCO BOATO. Vorrei sottolineare che all'articolo 107 abbiamo aggiunto i commi superflui dell'articolo 115.

PRESIDENTE. Le proposte di coordinamento relative agli articoli 108 e 111 se non vi sono obiezioni, si intendono accolte.

Passiamo alla proposta di coordinamento relativa all'articolo 112.

GIUSEPPE VEGAS. Vorrei porre una questione che sembra terminologica, ma non lo è assolutamente. L'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 112 è stato modificato, nel senso che il precedente testo recitava: «Le proposte di modifica al bilancio e gli altri disegni di legge che costituiscono la decisione annuale di finanza pubblica sono ammesse nel rispetto dell'equilibrio di bilancio fissato». Nel testo al nostro esame la parola «costituiscono» viene sostituita da «che concorrono alla» e le parole «bilancio fissato» vengono sostituite dall'espressione «bilancio programmato». È chiaro che «concorrono» alla finanza pubblica esprime un concetto più ampio di «costituiscono». Quindi si intende non solo il vecchio provvedimento collegato, ma anche altre leggi annuali e di questo bisogna avere prontezza nel momento in cui si decide.

Per quanto riguarda poi l'espressione «nel rispetto dell'equilibrio di bilancio fissato», mi rendo conto che la parola «fissato» è esteticamente brutta, meglio sarebbe stata «approvato», ma vorrei rilevare che nella nostra legislazione contabile esiste una differenza tra legislazione vigente e bilancio programmatico. In sostanza ciò significa fare riferimento ai valori contenuti nel bilancio programmatico, che è una cosa molto diversa dal bilancio a legislazione vigente. Ne risulterebbe che i limiti all'emendabilità dovrebbero essere, stante questa dizione nella Costituzione, riferiti al bilancio programmatico, una sorta di dichiarazione di intenzioni del Governo, cioè un atto non sottoposto a deliberazione parlamentare, se non per grandi linee in occasione della votazione del documento di programmazione finanziaria. Se vogliamo prefissare canoni rigorosi non possiamo far altro che riferirci al bilancio a legislazione vigente. Mi permetto pertanto di consigliare il mantenimento della precedente formulazione; tuttavia, consapevole dell'inadeguatezza della parola «fissato», propongo di sostituirla con «approvato», oppure non aggiungere nulla dopo la parola «bilancio».

MARIDA DENTAMARO. Vorrei far notare al senatore Vegas che quell'espressione si riferisce all'equilibrio di bilancio, non al bilancio.

GIUSEPPE VEGAS. Ma tra programmato e definito vi è una certa differenza.

MASSIMO VILLONE. Vorrei un chiarimento per un dubbio che mi è sorto dopo l'intervento del collega Vegas. Quella in questione è una norma che si applica, se ho capito bene, anche al di fuori della sessione di bilancio, in qualunque momento.

GIUSEPE VEGAS. Nella stesura precedente, il riferimento era limitato alla sessione di bilancio ed agli eventuali provvedimenti collegati, ancorché trattati al di fuori di essa, ma connessi alla legge di bilancio. Nella nuova formulazione, il suo significato è molto esteso, perché sostanzialmente si riferisce a tutta la legislazione relativa al corso dell'anno che abbia effetto sui saldi di finanza pubblica.

MASSIMO VILLONE. Su questo esprimo la mia contrarietà, presidente.

MARIDA DENTAMARO. Se può insorgere questo dubbio, anch'io sono contraria. L'idea non era assolutamente questa, era solo di migliorare formalmente il testo. Tuttavia se questa diversa formulazione può determinare un dubbio di questo tipo, preferisco anch'io tornare a quella originaria.

PRESIDENTE. Dovremmo dire «costituiscono» e «approvato» invece di «fissato».

MARIDA DENTAMARO. Sono d'accordo.

PRESIDENTE. «Fissato» può sembrare una cosa maniacale.

MARCO BOATO. È sufficiente dire «costituiscono» invece di «concorrono» e parlare di «equilibrio di bilancio» senza aggettivi o participi passati.

PRESIDENTE. Procediamo. Dell'articolo 115 abbiamo già parlato. In mancanza di obiezioni, considero approvate le modifiche agli articoli 117, 120, 122 e 125-bis.

Passiamo alle proposte di coordinamento relative all'articolo 126.

GIOVANNI PELLEGRINO. La terza modifica proposta è tesa a sostituire le parole «la legge sull'ordinamento del giudice amministrativo disciplina» con le seguenti «le norme sull'ordinamento giudiziario disciplinano». Il senso mi sembra chiaro: andando verso l'unità funzionale della giurisdizione, si pensa ad una legge unica sull'ordinamento giudiziario. La scelta mi sembra bella e giusta, tuttavia vorrei esprimere una preoccupazione al riguardo. Sono quarant'anni che non si riesce a fare la nuova legge sull'ordinamento giudiziario...

PRESIDENTE. Innanzitutto «le norme» è la formulazione che abbiamo usato in tutti i casi; inoltre essa non preclude l'approvazione di una legge sul giudice amministrativo, tuttavia non obbliga ad approvare tale legge; lascia il Parlamento libero di elaborare una normativa per tutti o una legge specifica.

GIOVANNI PELLEGRINO. Resta la possibilità di fare leggi separate?

PRESIDENTE. Certo, il sostantivo è al plurale: «le norme sull'ordinamento giudiziario».

MARCO BOATO. Abbiamo scritto «le norme» proprio per coprire quelle che riguardano sia la giurisdizione ordinaria sia quella amministrativa.

PRESIDENTE. Passiamo alla proposta di coordinamento relativa all'articolo 127.

MARCO BOATO. Là dove si parla di magistrati occorre scrivere più esattamente «i giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero», adottando la terminologia che viene usata.

PRESIDENTE. Viene proposta questa aggiunta: «i magistrati del pubblico ministero».

In mancanza di obiezioni, considero approvate anche le modifiche agli articoli 128, 131 (abbiamo soppresso le parole «in tempo di guerra»; quando è stato possibile, abbiamo tolto la guerra!) e 135. Mi pare che non vi siano altre questioni.

GIOVANNI RUSSO. Chiedo scusa, ma se fosse possibile vorrei tornare per un momento agli articoli 100 e 101, che mi pare pongano un problema su cui forse non sarebbe male avere un chiarimento. Dal testo coordinato dei due articoli risulta quanto segue. Se il disegno di legge è monocamerale, esso è presentato necessariamente alla Camera dei deputati. Sembrerebbe (mi pare che la norma si debba interpretare così) che anche se l'iniziativa legislativa è di un senatore il disegno di legge viene presentato alla Camera, perché l'articolo 99 stabilisce che l'iniziativa delle leggi appartiene a tutti i parlamentari. L'articolo 101 stabilisce quanto segue: «Quando i disegni di legge devono essere approvati dalle due Camere, sono presentati al Senato della Repubblica quelli di iniziativa delle Assemblee regionali e di iniziativa popolare». Dal combinato disposto dei due articoli, sembrerebbe che solo questi siano presentati al Senato.

MARCO BOATO. Questi sono obbligatoriamente presentati al Senato.

GIOVANNI RUSSO. Lo so, però mi sembra che un chiarimento sia necessario, perché interpretando le due norme sembra che solo questi disegni di legge siano presentati al Senato, e che quindi quelli di iniziativa dei senatori o del Governo debbano invece essere presentati alla Camera. È chiaro che non è questa l'intenzione, però le due norme, se lette insieme, possono dar luogo a questa interpretazione, perché dall'articolo 100 risulta uno svincolo tra l'iniziativa e la presentazione: è pacifico che anche se l'iniziativa è di un senatore i disegni di legge sono presentati alla Camera, per cui potrebbe non essere illogico che anche l'articolo 101 preveda lo stesso iter.

Poiché l'intenzione non è questa, credo che sia necessario apportare una correzione formale perché resti chiaro che laddove l'iniziativa è dei senatori i disegni di legge vanno al Senato e che il Governo può scegliere di presentare i disegni di legge al Senato o alla Camera; se non si ritiene necessario apportare tale correzione, quanto meno dovrebbe restare a verbale un chiarimento in tal senso, a fini interpretativi.

MARCO BOATO. È sufficiente rovesciare la frase: «i disegni di legge di iniziativa delle Assemblee regionali e di iniziativa popolare che devono essere approvati dalle due Camere sono presentati al Senato della Repubblica». In questo modo si esclude qualunque interpretazione difforme.

PRESIDENTE. Rifletterei ancora al riguardo, perché il secondo comma rischia di non essere più retto dal primo, perché si riferisce non soltanto ai disegni di legge di iniziativa delle Assemblee regionali e di iniziativa popolare.

MARCO BOATO. È sufficiente specificarlo.

PRESIDENTE. Comunque non c'è alcun dubbio che il riferimento è in questi casi obbligatorio ma non esclusivo.

IDA DENTAMARO. Presidente, credo che sia implicita, dall'insieme dei tre articoli, la regola generale per la quale il singolo parlamentare presenta i propri disegni di legge alla Camera di appartenenza, dopo di che in realtà è disciplinata la prima lettura più che la presentazione.

PRESIDENTE. Non c'è dubbio. Per quanto riguarda i disegni di legge monocamerali, questo comporterà dal punto di vista regolamentare che i disegni di legge monocamerali presentati da un senatore siano trasmessi dalla Presidenza del Senato a quella della Camera per la prima lettura. C'è un problema regolamentare da questo punto di vista. Forse all'articolo 99, riguardante l'iniziativa delle leggi, si potrebbe precisare meglio un principio che è implicito, cioè che ciascun componente delle Camere esercita l'iniziativa presso la Camera di appartenenza.

SERGIO MATTARELLA. È logico, anche perché l'iniziativa si colloca nell'ambito della competenza complessiva della Camera di cui fa parte.

PRESIDENTE. Questa è semplicemente la previsione che le leggi bicamerali di iniziativa popolare o di iniziativa delle Assemblee regionali debbono obbligatoriamente essere presentate presso il Senato, nel senso che si attribuisce al Senato delle garanzie questa funzione di interlocutore delle regioni e dei cittadini, mentre invece il Governo è libero, in relazione alle sue scelte politiche, ed i parlamentari presentano ciascuno presso la propria Camera. In sostanza, l'iniziativa delle leggi è così organizzata (il senso è chiaro): il Governo è libero, i parlamentari presentano presso la Camera di appartenenza, i disegni di legge di iniziativa dei cittadini e delle regioni vanno al Senato.

LEOPOLDO ELIA. Quello che può risultare meno chiaro è l'ambito dell'iniziativa: prevedere che i disegni di legge siano presentati alla Camera dei deputati può far pensare ad un'iniziativa che non solo si esercita nell'ambito di una Camera ma che è anche delimitata rispetto alle competenze della Camera stessa.

PRESIDENTE. Forse all'articolo 100 l'espressione «sono presentati» non è essenziale, perché la presentazione è regolata dall'articolo 99. Si potrebbe dire che «i disegni di legge sono esaminati dalla Camera dei deputati» nel senso di rendere chiaro che si tratta di un primo esame.

MARCO BOATO. I disegni di legge monocamerali presuppongono che ci sia un richiamo per avere la seconda lettura al Senato; non è automatico.

LEOPOLDO ELIA. Ma i senatori hanno la possibilità di presentare anche nel campo in cui la legge è monocamerale; questo è il punto che andrebbe chiarito.

MASSIMO VILLONE. Sì, questo è opinabile.

PRESIDENTE. All'articolo 100 dovremmo dire «sono esaminati», cioè rendere chiaro che si tratta di una procedura, della prima lettura, mentre l'atto della presentazione può avvenire presso il Senato da parte del senatore.

MASSIMO VILLONE. Presidente, credo che il collega Elia abbia sollevato un punto davvero rilevante, perché a parte il tecnicismo bisogna capire se intendiamo che il senatore possa presentare un disegno di legge anche in materia monocamerale, rimanendo inteso che presentarlo significa poi che sia ammissibile o inammissibile. Dobbiamo sciogliere il profilo sostanziale.

PRESIDENTE. Con l'articolo 99 abbiamo stabilito che l'iniziativa delle leggi appartiene al Governo e a ciascun componente delle Camere, non abbiamo introdotto delle limitazioni.

MASSIMO VILLONE. Quindi si intende che anche per la legge monocamerale c'è una potestà di iniziativa del singolo parlamentare.

PRESIDENTE. Però naturalmente è sottoposta alla procedura prevista dall'articolo 100, per cui questo disegno di legge è esaminato dalla Camera.

MASSIMO VILLONE. Ma per esempio poi si partecipa ai lavori in qualche modo? Ovviamente no.

PRESIDENTE. Però il Parlamento esamina anche proposte presentate da cittadini o da Assemblee regionali che non partecipano ai lavori.

FRANCESCO SERVELLO. Presidente, mi pare che questo principio vada bene: solo i senatori hanno la proibizione, mentre cittadini, regioni e comuni possono presentare le iniziative che credono.

PRESIDENTE. Sto dicendo l'opposto.

MARCO BOATO. Il presidente ha detto esattamente il contrario.

PRESIDENTE. Adesso il testo è del tutto chiaro; non vorrei che per una esigenza di chiarimento lo modificassimo nella sostanza, semmai lo faranno le Assemblee. Il punto è chiaro: l'iniziativa delle leggi appartiene ai parlamentari. È chiaro che i senatori possono presentare anche disegni di legge monocamerali, non è fissata alcuna limitazione, essendo evidente però che le leggi monocamerali sono esaminate dalla Camera. Pertanto propongo - si tratta di una correzione formale a fini di chiarezza - di scrivere all'articolo 100 «sono esaminati dalla Camera», e non «sono presentati», perché si tratta di una procedura.

MARCO BOATO. Sono d'accordo.

PRESIDENTE. In tal modo è chiaro che il senatore presenta il disegno di legge al Senato, non alla Camera; poi la Presidenza del Senato, poiché la procedura prevede l'esame da parte della Camera, lo trasmette a quella della Camera.

MARCO BOATO. La collega Dentamaro propone di sostituire le parole «se approvati» con le parole «se li approva».

PRESIDENTE. Sta bene. Il primo comma risulta pertanto del seguente tenore: «I disegni di legge sono esaminati dalla Camera dei deputati e, se approvati, sono trasmessi al Senato della Repubblica».

Se non vi sono obiezioni, si considerano approvate le proposte di coordinamento finora esaminate, come modificate.

(Così rimane stabilito).

Prima di concludere la seduta, ritengo doveroso dare lettura di una lettera che ho ricevuto dal Capo dello Stato, perché è rivolta non soltanto alla mia persona ma, per le considerazioni che contiene, è evidentemente rivolta alla Commissione bicamerale nel suo complesso.

«Onorevole presidente, mentre si concludono i lavori della Commissione per le riforme costituzionali, desidero esprimere a lei, che ne ha diretto i lavori con intelligente e appassionato impegno, e alla Commissione tutta una viva espressione di gratitudine e di plauso.

Dopo quasi quindici anni di studi, di proposte, di discussioni, una formulazione organica di riforma viene presentata al Parlamento. È un oggettivo e meritorio successo. Non è certo mio compito entrare nel merito. La discussione nei due rami del Parlamento sarà ampia e approfondita per giungere al testo definitivo, ma intanto vi è una formulazione completa sulla quale discutere e lavorare.

L'altra conquista realizzata dalla Commissione è quella di aver trovato sui temi dominanti e qualificanti della riforma una larga maggioranza indispensabile per dettato costituzionale ma soprattutto essenziale perché la volontà politica riformatrice sia il più possibile rappresentativa del popolo italiano, destinatario dell'impegnativo lavoro svolto dalla Commissione. Tale ampia maggioranza ha già superato la difficile prova di diversi passaggi non semplici, dimostrando di essere seriamente motivata.

L'augurio è che il complesso lavoro parlamentare che sta per iniziare riesca a trovare su un testo definitivo la convinta adesione del maggior numero di parlamentari, per dare ancora più ampia ed intensa forza alle norme che saranno poi sottoposte alla decisione sovrana del voto popolare.

Grazie a lei, onorevole presidente, a tutta la Commissione e a ciascun componente di essa per l'importante lavoro portato a compimento.

Il Capo dello Stato, Oscar Luigi Scàlfaro«.

Credo fosse doveroso dare lettura di questa lettera. Ho provveduto a ringraziare il Capo dello Stato con una mia lettera - la cui lettura vi risparmio - che impegna soltanto il firmatario. Penso che l'apprezzamento del Capo dello Stato rappresenti un riconoscimento giusto del lavoro che abbiamo fin qui svolto e che non è terminato.

Vorrei ora dar conto alla Commissione di un problema che è stato sollevato dai colleghi del gruppo di alleanza nazionale, relativo alla composizione del Comitato prevista dall'articolo 3, comma 2, della legge del 24 gennaio scorso, istitutiva della Commissione.In sostanza, i colleghi di alleanza nazionale obiettano che il loro gruppo senatoriale non risulta rappresentato nel Comitato e ritengono, sulla base di una documentata nota, che il riferimento a deputati e senatori in rappresentanza di tutti i gruppi - così dice la legge - debba essere inteso come rappresentanza di tutti i gruppi del Senato e della Camera e non di quelli costituiti nella Commissione bicamerale, così come io ho inteso la legge.

Sinceramente non voglio entrare in motivazioni di opportunità, ma è evidente, dal mio punto di vista, che il Comitato debba essere più rappresentativo possibile. Tuttavia credo di dover esprimere il mio parere: non credo che si possa intendere che la norma dell'articolo 3, comma 2, della legge istitutiva della Commissione, stabilisca che devono essere rappresentati nel Comitato tutti i gruppi parlamentari del Senato e della Camera. La formulazione, infatti, è analoga a quelle utilizzate dalle leggi istitutive per determinare la composizione delle Commissioni bicamerali nelle quali è richiesta la presenza di tutti i gruppi parlamentari costituiti in almeno uno dei rami del Parlamento. È del tutto evidente che la rappresentanza è riferita ai gruppi della Commissione bicamerale, essendo impossibile per taluni gruppi essere rappresentati con un deputato ed un senatore.

L'inconveniente che riguarda il gruppo di alleanza nazionale interessa anche altri gruppi, come quello di rinnovamento italiano che ha un solo rappresentante nel Comitato e dovrà scegliere se esso debba essere un deputato o un senatore. Il gruppo di alleanza nazionale, come tutti i gruppi numerosi, grazie al meccanismo da me proposto che include anche relatori e membri dell'ufficio di presidenza, ha più di un rappresentante nel Comitato e avrebbe dovuto fare in modo che questa rappresentanza plurima abbracciasse il gruppo del Senato e quello della Camera. Per altri gruppi ciò è addirittura precluso, in quanto hanno un solo rappresentante; per i gruppi maggiori questa possibilità esiste, ma è lasciato alla facoltà di ciascuno decidere e non può essere il presidente a stabilire che la rappresentanza di ciascun gruppo debba essere composta da un deputato e un senatore.

Questo è il criterio generale costantemente impiegato per la costituzione di Comitati paritetici di omologhe Commissioni dei due rami del Parlamento che abbiano deliberato di svolgere congiuntamente un'indagine conoscitiva. La rappresentanza dei gruppi si intende globalmente e quello di alleanza nazionale nella bicamerale è un solo gruppo formato da deputati e senatori.

Credo di aver agito nel rispetto del principio generale e di una consuetudine ormai consolidata. Nel dire questo, esprimo il mio rammarico, perché è evidente che da parte mia non vi è alcuna volontà preclusiva, anzi abbiamo studiato una proposta che consente a tutti i gruppi maggiori di essere rappresentati nel Comitato in modo plurimo. Abbiamo altresì detto che nel lavoro del Comitato si procederà secondo il metodo informale seguito sin qui che consente la partecipazione alle diverse riunioni, a seconda delle materie di cui si discute, non soltanto dei rappresentanti formalmente scelti, ma anche di altri colleghi che, per le loro specifiche competenze possono dare un apporto al tema in discussione.

SERGIO MATTARELLA. Che facciano sempre parte della bicamerale!

PRESIDENTE. È naturale. Questo è il criterio seguito fin qui e che lo sarà anche in futuro.

Mi attiverò presso i Presidenti delle due Assemblee per verificare se sia possibile - io ritengo che lo sia, ma non dipende da me deliberarlo - che, per seguire i lavori d'aula, vi sia la possibilità di supplenza. È evidente che seguire i lavori d'aula comporta un'attenzione, una presenza ed anche una responsabilità, per cui credo si possa pensare ad una supplenza.

Come dicevo, vorrei dare al Comitato un carattere il più possibile informale e aperto, ma se dovessi ammettere il criterio interpretativo che mi viene proposto, secondo il quale il Comitato deve garantire la rappresentanza di tutti i gruppi della Camera e del Senato, dovrei affrontare la questione, indipendentemente dalla consistenza dei gruppi, in modo ben più generale che non allargando il Comitato ad un senatore di alleanza nazionale, in quanto dovrei considerare tutti quei gruppi della Camera e del Senato che non vi sono rappresentati. In questo modo andremmo verso qualcosa di numericamente insostenibile.

Per queste ragioni, comprendendo e cercando attraverso gli accorgimenti che ho suggerito di trovare una soluzione che consenta un'ampia rappresentatività, prego di ritirare questa istanza perché non mi pare fondata e perché, se accolta, comporterebbe la costituzione di un Comitato assai più numeroso di quello di cui abbiamo parlato sin qui.

GIULIO MACERATINI. Signor presidente, ho ascoltato tutti i passaggi del suo intervento che ha certamente cercato di coprire i vari aspetti della questione, però non ci è riuscito. Innanzitutto lei è stato costretto ad eseguire, rispetto al testo di legge costituzionale che governa questa Commissione, una prima forzatura quando ha inserito i vicepresidenti. Infatti, la legge parla di presidente, relatore, deputati e senatori in rappresentanza di tutti i gruppi, per cui un aggiustamento, sia pure ragionevole e saggio, lo ha dovuto fare.

Vi è un'altra questione che mi pare ancor più rilevante: non abbiamo proceduto in questa sede alla costituzione dei gruppi. Lei li ha ricevuti come le sono stati trasferiti dalla Camera e dal Senato. Ha fatto un riferimento al collega D'Amico, però nel momento in cui egli è entrato a far parte della Commissione, rinnovamento italiano non aveva un gruppo al Senato. A me sembra che da questo punto di vista la dizione della legge non può che far riferimento a tutti i gruppi che possono essere presenti solo in un ramo del Parlamento, ma in quel caso solo il criterio numerico può portare, nella distribuzione dei 70 componenti della bicamerale, ad avere la rappresentanza di un gruppo. Una volta superata quella soglia, tutti i gruppi in questa sede rappresentano quelli del Parlamento, e quindi di Camera e Senato. L'accorgimento proposto, tra l'altro, si sarebbe risolto nell'allargamento del Comitato ad un solo componente.

Non credo di poter ritirare una questione formale che può trovare soluzioni di saggezza empirica. D'altro canto nemmeno il presidente può interpretare la legge in un modo che ne stravolge il contenuto letterale. Lei afferma che la norma riguarda i gruppi qui costituiti. Ho letto e studiato tutti i verbali della Commissione e posso dire che non abbiamo mai costituito i gruppi, per cui il suo è il riferimento ad un atto virtuale e non effettivo della Commissione. Per ciò insisto su questa lettura che mi pare corretta.

PRESIDENTE. I gruppi sono costituiti formalmente ed è del tutto evidente che la legge si riferisce ai gruppi in quanto costituiti nella Commissione bicamerale. Se non fossero costituiti qui non si vede come potrebbero essere rappresentati nel Comitato. Ciò è talmente vero che l'ufficio di presidenza allargato ha già lavorato, integrato dai capigruppo, i quali sono stati nominati sulla base della costituzione non dei gruppi dei deputati e dei senatori ma di quelli bicamerali della Commissione. Ho invitato l'onorevole Nania non in quanto rappresentante del gruppo di alleanza nazionale della Camera ma in quanto capogruppo del gruppo di alleanza nazionale nella bicamerale. Dal punto di vista dell'interpretazione formale mi permetto di non avere dubbi: la legge fa riferimento ai gruppi costituiti nell'ambito di questa Commissione. È evidente che tale riferimento si giustifica alla luce di quel criterio di rappresentatività politica che il Comitato deve avere e che è soddisfatta dalla rappresentanza dei gruppi nella bicamerale e non di quelli costituiti nelle due Assemblee.

Credo sinceramente che da questo punto di vista non vi siano dubbi interpretativi. Vi è un problema di opportunità, però il gruppo di forza Italia lo ha sciolto articolando la propria rappresentanza in modo da garantire la presenza di un deputato ed un senatore (così mi è stato comunicato che intende fare). Altri gruppi, cioè, trovandosi nelle stesse condizioni di alleanza nazionale - ossia avendo due rappresentanti all'interno del Comitato - si sono organizzati. Allora dovrei penalizzare chi ha provveduto autonomamente? Dovrei dire che non ce n'era bisogno, perché comunque avrei provveduto direttamente ope legis ad aggiungere un rappresentante?

Mi mettete in una posizione difficilmente sostenibile. Dal punto di vista del principio non vi è una motivazione ed il risultato sarebbe una penalizzazione di quei gruppi che abbiano provveduto ad articolare la loro rappresentanza in modo da garantire la presenza di un deputato e di un senatore: infatti - se non lo avessero fatto - avrebbero visto aggiungersi un componente da parte del presidente «d'ufficio». Sinceramente non lo posso fare, anche se non avrei obiezioni in tal senso.

GIULIO MACERATINI. Vorrei farle una richiesta, presidente. Siccome non esauriamo con oggi i lavori della bicamerale, potrebbe cortesemente differire la decisione su questo punto alla prossima seduta? Ciò le consentirebbe di sentire il presidente del Senato ed i referenti politici dei quali ha fatto opportunamente menzione. Forse il problema potrebbe essere risolto così; ascoltando si impara anche. Se deciderà domani o martedì prossimo, invece di oggi, non succederà niente.

PRESIDENTE. Senatore Maceratini, noi abbiamo già deciso, nel senso che abbiamo votato. Come si dice nel vostro esposto, abbiamo deliberato «frettolosamente»: non so se sia stato così, ma certamente abbiamo deliberato, con una votazione che è stata effettuata senza alcuna obiezione da parte di nessuno.

FRANCESCO SERVELLO. Ma se lei legge attentamente il mio intervento nella seduta del 30 ottobre, presidente, emerge che sulla questione dei gruppi parlamentari rimaneva l'equivoco.

Signor presidente, a titolo personale vorrei dirle che la questione non può finire così, con una sua sentenza e con un'interpretazione opinabile quanto meno nelle due parti indicate dal presidente Maceratini e nell'accettazione del principio secondo cui faranno parte del Comitato anche i presidenti dei diversi gruppi di lavoro. Questo vale, per esempio, per una collega da me assolutamente gradita. In sostanza, presidente, chiamando a far parte del Comitato i vicepresidenti ed i presidenti dei sottocomitati lei ha operato una forzatura dell'interpretazione. Ora, però, lei ritiene che non possa essere risolto il problema di un gruppo parlamentare il quale conta 44 senatori. Mi sembra un po' troppo. Lei non può limitarsi a rigettare la decisione su di noi: deve considerare il problema in base al principio che il Comitato deve essere formato da «deputati e senatori» (non da deputati «o» senatori) in rappresentanza di tutti i gruppi parlamentari. Ciò è detto dalla legge in maniera chiara.

Se si tratta di non inserire la rappresentanza senatoriale di alleanza nazionale, allora qualcuno ha inventato un criterio che non voglio interpretare a titolo personale ma che mi dispiace molto, perché ho seguito i lavori - insieme con gli altri colleghi senatori - sia nei sottocomitati sia nella Commissione. Un'esclusione di tutto il gruppo suona come un'offesa: quindi invoco da lei - come ha già fatto Maceratini - un ripensamento sulla questione. Sarebbe anche un modo per alleviare la mia amarezza per il fatto che non viene considerato in alcun modo l'apporto che ho tentato di dare - con le mie residue forze - anche in questa vicenda, che vorrei si concludesse con una mia partecipazione e non con le dimissioni dalla Commissione.

PRESIDENTE. Allo stato, lo ripeto, abbiamo deliberato regolarmente. Quindi il Comitato è costituito. Ho già espresso il mio parere: il comma 2 dell'articolo 3 parla di «deputati e senatori in rappresentanza di tutti i gruppi»; il riferimento è con ogni evidenza alla Commissione, che è il soggetto di questo periodo.

FRANCESCO SERVELLO. Questa è una sua affermazione, ma così non è. Maceratini ed io le abbiamo fatto avere, presidente, un parere del direttore dell'ufficio legislativo del Senato che suona esattamente al contrario. Può fare quello vuole, presidente, ma questo atto finale non è molto elegante da parte sua!

PRESIDENTE. Senatore Servello, credo che lei sia alterato. Comprendo le sue ragioni e sono stato il primo ad averle dato atto del suo contributo. Tuttavia devo adottare un criterio omogeneo per tutti i gruppi, non posso ricorrere ad un provvedimento speciale. Il criterio generale è quello previsto dalla legge, il quale vale per tutti i gruppi: nessun gruppo mi ha posto un problema del genere; il Comitato - regolarmente costituito - prevede anche per altri gruppi una rappresentanza plurima di deputati, senza senatori. È il caso, per esempio, del gruppo di forza Italia: se questo gruppo intenderà provvedere autonomamente in senso diverso, lo farà, ma non ha sollevato un problema di interpretazione della legge (assai dubbio, peraltro). Noi abbiamo seguito un criterio di ampia rappresentanza politica, come si fa in questi casi, garantendo che tutte le parti politiche siano rappresentate. Infatti, proprio perché non vi erano fra i relatori esponenti dei due maggiori gruppi di opposizione (da questo punto di vista mi si è addirittura rimproverata una forzatura rispetto al testo della legge) ho voluto avanzare la proposta relativa ai vicepresidenti ed ai presidenti dei gruppi di lavoro. Se ho operato una forzatura del genere è stato proprio in considerazione del fatto che fra i quattro relatori non vi erano esponenti dei due maggiori gruppi di opposizione né del gruppo di rifondazione comunista. È per questo che di mia iniziativa ho ritenuto di proporre che facessero parte del Comitato anche i vicepresidenti della Commissione ed i presidenti dei comitati: per avere tra i membri del Comitato l'onorevole Tatarella, l'onorevole Urbani, la senatrice Salvato, in considerazione del peso delle forze politiche che essi rappresentano. Quindi non si poteva stare al criterio letterale indicato dalla norma (i soli relatori), perché esso avrebbe finito per penalizzare grandi forze politiche. Se ho fatto una forzatura, ciò è dovuto certamente alla volontà di allargare la rappresentatività politica del Comitato e non per restringerla.

Ora mi viene posto un problema, di cui avverto la rilevanza, ma la soluzione prospettata secondo me non può essere adottata, perché comporterebbe l'applicazione di un criterio speciale per un gruppo, diversamente che per tutti gli altri.

Ci rifletterò. Non voglio pronunciare sentenze. Ascolterò l'opinione del presidente del Senato. Ma in questo momento non mi sento di mutare le determinazioni assunte dalla Commissione con un voto unanime, che è a verbale. Comunque la questione sarà approfondita con le Presidenze delle Camere.

MASSIMO VILLONE. Forse è il caso di sottolineare, presidente, che la Commissione nel deliberare (avendo lei assunto quella posizione per allargare la rappresentanza) non ha inteso escludere in alcun modo che durante i lavori del Comitato i gruppi possano definire diversamente la presenza dei propri componenti, con le possibili sostituzioni. Nulla, nella deliberazione della Commissione, impedisce questa soluzione.

PRESIDENTE. Non c'è il minimo dubbio.

MASSIMO VILLONE. Resta quindi ai gruppi la possibilità di assumere le determinazioni conseguenti.

PRESIDENTE. Senz'altro.

Ciò stabilito, rinvio il seguito dei nostri lavori alla prossima seduta.

La seduta termina alle 14.25.



Allegato

Testo risultante dalla pronuncia della Commissione sugli emendamenti

 

PROGETTO DI LEGGE COSTITUZIONALE

 

(omissis)



Titolo VII

LA GIUSTIZIA

Sezione I

Gli organi.

 

Art. 117.

La giustizia è amministrata in nome del popolo.

 

I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

I magistrati del pubblico ministero sono indipendenti da ogni potere e godono delle garanzie stabilite nei loro riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Tali norme assicurano altresì il coordinamento interno dell'ufficio del pubblico ministero ed il coordinamento, ove necessario, delle attività investigative tra gli uffici del pubblico ministero.

 

Art. 118.

La funzione giurisdizionale è unitaria ed è esercitata dai giudici ordinari e amministrativi istituiti e regolati dalle norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari.

Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali.

Presso gli organi giudiziari ordinari e amministrativi possono istituirsi sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.

 

Art. 119.

La giurisdizione amministrativa è esercitata dai giudici dei Tribunali regionali di giustizia amministrativa e della Corte di giustizia amministrativa sulla base di materie omogenee indicate dalla legge riguardanti l'esercizio di pubblici poteri.

Il giudice amministrativo giudica altresì della responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre materie specificate dalla legge. La legge determina i titolari dell'azione di responsabilità.

I tribunali militari sono istituiti solo in tempo di guerra ed hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate. La legge assicura che il relativo procedimento si svolga comunque nel rispetto dei diritti inviolabili della persona.

 

Art. 120.

I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero costituiscono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria è presieduto dal Presidente della Repubblica.

Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria si compone di una sezione per i giudici e di una sezione per i magistrati del pubblico ministero. Il diverso numero dei componenti di ciascuna sezione è determinato dalla legge.

I componenti di ciascuna sezione sono eletti per tre quinti rispettivamente dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero tra gli appartenenti alle varie categorie e per due quinti dal Senato della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.

Il Consiglio elegge un vice presidente e ciascuna sezione elegge il proprio presidente tra i componenti designati dal Senato della Repubblica.

Il Ministro della giustizia può partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni delle sezioni riunite e di ciascuna sezione del Consiglio e presentare proposte e richieste.

Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa è presieduto dal Presidente della Repubblica.

Ne fa parte di diritto il presidente della Corte di giustizia amministrativa.

Gli altri componenti sono eletti per tre quinti da tutti i magistrati amministrativi appartenenti alle varie categorie e per due quinti dal Senato della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.

Il Consiglio elegge un vicepresidente tra i componenti designati dal Senato della Repubblica.

Il Ministro della giustizia può partecipare alle riunioni del Consiglio senza diritto di voto e presentare proposte e richieste.

I membri elettivi dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.

Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né ricoprire cariche pubbliche.

 

Art. 121.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria a sezioni riunite e il Consiglio superiore della magistratura amministrativa esercitano le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni, il tirocinio, le assegnazioni alle due diverse funzioni e i relativi passaggi rispettivamente per i giudici ordinari e i magistrati del pubblico ministero e per i magistrati amministrativi. I Consigli possono esprimere pareri sui disegni di legge di iniziativa del Governo prima della loro presentazione alle Camere, quando ne venga fatta richiesta dal Ministro della giustizia, e non possono adottare atti di indirizzo politico.

Spettano a ciascuna sezione del Consiglio superiore della magistratura ordinaria e al Consiglio superiore della magistratura amministrativa le funzioni amministrative riguardanti l'aggiornamento professionale, i trasferimenti, le promozioni e le relative assegnazioni, rispettivamente, dei giudici ordinari, dei magistrati del pubblico ministero e dei magistrati amministrativi.

 

Art. 122.

Spettano alla Corte di giustizia della magistratura i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei giudici ordinari ed amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero. La Corte è altresì organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa. Contro i provvedimenti disciplinari è ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge.

La Corte è formata da nove membri, eletti tra i propri componenti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria a sezioni riunite elegge sei componenti, di cui quattro tra quelli eletti dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero e due tra quelli designati dal Senato della Repubblica. Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa elegge tre componenti, di cui due tra quelli eletti dai giudici ed uno tra quelli designati dal Senato della Repubblica.

La Corte elegge un presidente tra i componenti eletti tra quelli designati dal Senato della Repubblica.

I componenti della Corte non partecipano alle attività dei rispettivi Consigli di provenienza e durano in carica sino alla scadenza di questi.

La legge disciplina l'attività della Corte e può prevederne l'articolazione in sezioni.

 

Art. 123.

L'azione disciplinare è obbligatoria ed è esercitata da un Procuratore generale eletto dal Senato della Repubblica a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti tra coloro che hanno i requisiti per la nomina a giudice della Corte costituzionale. L'ufficio di Procuratore generale è incompatibile con qualsiasi altra carica o professione. La legge ne assicura l'indipendenza da ogni potere.

Il Procuratore generale è nominato per quattro anni, non è rieleggibile e nei quattro anni successivi alla cessazione delle funzioni non può ricoprire alcuna carica pubblica.

La legge disciplina l'organizzazione dell'ufficio del Procuratore generale anche ai fini dell'attività ispettiva propedeutica all'azione disciplinare.

L'azione disciplinare è esercitata d'ufficio ovvero su richiesta del Ministro della giustizia, del Procuratore generale della Corte di cassazione o dei Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa.

Il Procuratore generale riferisce annualmente alle Camere sull'esercizio dell'azione disciplinare.

 

Art. 124.

Le nomine dei magistrati ordinari e amministrativi hanno luogo per concorso e previo tirocinio.

Tutti i magistrati ordinari esercitano inizialmente funzioni giudicanti per un periodo di tre anni, al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura ordinaria li assegna all'esercizio di funzioni giudicanti ovvero inquirenti, previa valutazione di idoneità.

Il passaggio tra l'esercizio delle funzioni giudicanti e del pubblico ministero è successivamente consentito a seguito di concorso riservato, secondo modalità stabilite dalla legge.

In nessun caso le funzioni giudicanti penali e quelle del pubblico ministero possono essere svolte nel medesimo distretto giudiziario.

Le norme sull'ordinamento giudiziario possono ammettere la nomina di magistrati onorari per materie e per funzioni attribuite a magistrati di primo grado ovvero per giudizi di sola equità.

Su designazione dei Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa possono essere chiamati all'ufficio di consigliere di cassazione e della Corte di giustizia amministrativa, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

Le norme sull'ordinamento giudiziario disciplinano le modalità con cui componenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti possono essere designati dal Consiglio superiore della magistratura amministrativa all'ufficio di consiglieri della Corte di giustizia amministrativa.

Le norme sull'ordinamento giudiziario possono ammettere la nomina di avvocati e professori universitari in materie giuridiche negli altri gradi della giurisdizione.

 

Art. 125.

I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero sono inamovibili.

Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del rispettivo Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie del contraddittorio stabiliti dai rispettivi ordinamenti giudiziari o con il loro consenso.

La legge disciplina i periodi di permanenza nell'ufficio e nella sede dei giudici ordinari e amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero.

I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.

Nell'esercizio delle rispettive funzioni, i giudici ordinari e amministrativi ed i magistrati del pubblico ministero si attengono ai princìpi di responsabilità, correttezza e riservatezza.

L'ufficio di giudice ordinario e amministrativo e di magistrato del pubblico ministero è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico e professione. Fermo il divieto per i giudici ordinari e amministrativi e per i magistrati del pubblico ministero di svolgere attività arbitrali o di controllo e di essere distaccati presso Ministeri o altre pubbliche amministrazioni, la legge può stabilire i casi in cui ad essi è consentito svolgere attività diverse da quelle d'ufficio.

I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono partecipare alle competizioni elettorali nella regione in cui hanno esercitato le loro funzioni negli ultimi cinque anni nè essere assegnati, per i successivi cinque anni, a sedi comprese nelle regioni nel cui territorio siano stati candidati o eletti.

 

Art. 126.

Le norme sugli ordinamenti giudiziari ordinario ed amministrativo sono stabilite esclusivamente con legge.

La legge assicura l'indipendenza degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.

 

Art. 127.

L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. La legge ne stabilisce le modalità.

 

Art. 128.

Ferme le competenze dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa, il Ministro della giustizia provvede all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, promuove la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi ed esercita la funzione ispettiva sul corretto funzionamento degli uffici giudiziari.

Il Ministro della giustizia riferisce annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine.

 

Sezione II

Norme nella giurisdizione.

Art. 129.

Le norme penali tutelano beni di rilevanza costituzionale.

Non è punibile chi ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una concreta offensività.

Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo.

Nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui si riferiscono.

 

Art. 130.

La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, ispirati ai principi dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti a giudice terzo. La legge ne assicura la ragionevole durata.

Nel procedimento penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa; abbia la facoltà di interrogare o far interrogare dal suo difensore le persone da cui provengono le accuse a suo carico; abbia la facoltà di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a discarico nelle stesse condizioni di quelle di accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata.

La legge assicura che la custodia cautelare in carcere venga eseguita in appositi istituti.

Le legge istituisce pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire ai non abbienti il diritto di agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

 

Art. 131.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Contro le sentenze è ammesso il ricorso in cassazione nei casi previsti dalla legge, che assicura comuque un doppio grado di giudizio. Contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari.

 

Art. 132.

Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale ed a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di un reato.

 

(omissis)



CAMERA DEI DEPUTATI

SENATO DELLA REPUBBLICA

N. 3931-A

N. 2583-A


XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE

PER LE RIFORME COSTITUZIONALI

Progetto di legge costituzionale

Revisione della parte seconda della Costituzione

Testo risultante dalla pronuncia della Commissione sugli emendamenti presentati ai sensi del comma 5 dell’articolo 2 della legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1

 

 

Relazione introduttiva:

Massimo D'ALEMA, Presidente della Commissione.

Relazioni:

Francesco D'ONOFRIO, relatore sulla forma di Stato;

Cesare SALVI, relatore sulla forma di governo;

Marida DENTAMARO, relatrice sul Parlamento e le fonti normative e sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea;

Marco BOATO, relatore sul sistema delle garanzie.

 

 

 

 

Trasmesso alla Presidenza della Camera dei Deputati e

alla Presidenza del Senato della Repubblica il 4 novembre 1997


RELAZIONE SUL SISTEMA DELLE GARANZIE

DEL DEPUTATO MARCO BOATO

 

 


Premessa.

La relazione sul «sistema delle garanzie» dà conto del contenuto del progetto di revisione costituzionale approvato dalla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali in riferimento agli articoli della seconda parte della Costituzione contenuti:

a) nella nuova sezione II («Autorità di garanzia e organi ausiliari») del nuovo Titolo V (la cui prima sezione riguarda invece le pubbliche amministrazioni);

b) nel nuovo Titolo VII riguardante la giustizia (corrispondente al Titolo IV della Costituzione vigente riguardante la magistratura);

c) nella sezione I, riguardante la Corte costituzionale, del nuovo Titolo VIII riguardante le garanzie costituzionali (mentre sono rimasti identici - salvo la sostituzione dell'espressione «Consigli regionali» con quella «Assemblee regionali» - gli articoli conclusivi 138 e 139, che costituiscono la sezione seconda dello stesso Titolo).

La relazione che segue - in riferimento alle norme approvate dalla Commissione nella seduta del 30 giugno e modificate nella sessione autunnale conclusasi il 4 novembre 1997 - ricostruisce anche i termini essenziali del dibattito che ha caratterizzato tanto il lavoro istruttorio del Comitato sul sistema delle garanzie, quanto l'esame di tali materie svoltosi nelle due fasi dei lavori della Commissione bicamerale in sede referente.

Nell'ordine in cui le disposizioni compaiono nel progetto di nuova seconda parte della Costituzione, la relazione illustra i contenuti e le problematiche connesse a:

1) Autorità di garanzia e di vigilanza;

2) Banca d'Italia;

3) Difensore civico;

4) Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro;

5) Consiglio di Stato;

6) Corte dei Conti;

7) Avvocatura dello Stato;

8) sistema della giustizia nel quadro dell'unità funzionale della giurisdizione, articolata in giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, con i relativi organi e le conseguenze ordinamentali;

9) Corte costituzionale, anche in relazione alle norme conseguenti alle scelte compiute negli altri Titoli della seconda parte della Costituzione in materia di forma di Stato, forma di governo e Parlamento.

Il relatore ringrazia il Servizio studi della Camera dei deputati (e, in particolare, il dott. Raffaele Maresca ed il dott. Giovanni Rizzoni) per la preziosa collaborazione tecnica prestatagli in tutte le fasi del proprio lavoro, sottolineando d'altra parte la propria esclusiva responsabilità per le proposte sottoposte all'esame della Commissione e per i contenuti della relazione, che è dedicata alla memoria di Michele Coiro.

(omissis)

5. La giustizia.

Venendo ora all'illustrazione delle problematiche relative alle disposizioni sulla giustizia, recate dal Titolo IV della parte seconda della Costituzione vigente («La Magistratura», articoli da 101 a 113), che nel testo approvato dalla Commissione sono previste nel nuovo Titolo VII («La giustizia», articoli da 117 a 133), desidero anzitutto far presente che l'articolato ora sottoposto alla valutazione delle Camere è frutto di un intenso lavoro, svolto in otto mesi di approfondimenti e confronti - e non solo nelle sede parlamentari -, nonchè di un meticoloso esame ed elaborazione sia di tutte le iniziative legislative ed emendative presentate alla Commissione, sia delle proposte emerse in più sedi nel corso dei lavori della Commissione stessa, sia, infine, delle preziose considerazioni fornite dagli studiosi e dagli operatori del diritto, il cui apporto ad ogni fase del dibattito è stato sempre vivamente apprezzato e tenuto nella dovuta considerazione.

Vorrei inoltre sottolineare preliminarmente che le norme in materia di giustizia oggi sottoposte all'attenzione dell'Assemblea delineano un sistema intimamente connesso, la cui struttura portante può essere individuata in alcune idee-guida condivise, vorrei dire quasi unanimemente, dalla Commissione. Il grado di novità di tali norme rende vivissimo l'auspicio che l'eco e l'interesse suscitato da tali profonde ed incisive riforme non siano superati e posti in secondo piano dal clamore provocato da taluni aspetti, certo non secondari ma forse neanche preminenti, sui quali si è invece maggiormente appuntata l'attenzione dell'opinione pubblica.

Le idee-guida cui accennavo poc'anzi, con i relativi corollari, saranno illustrate nelle pagine che seguono. Mi preme tuttavia sottolineare sin d'ora che lo scopo fondamentale che ha guidato il lavoro svolto da tutti i componenti della Commissione in questi mesi è stato quello di individuare proposte esclusivamente finalizzate a rendere più vicino ai cittadini il sistema della giustizia, che spesso viene visto, finanche dagli addetti ai lavori, come un mondo avvolto in un rituale e paludato esoterismo, anziché come una fondamentale espressione di una irrinunciabile funzione dello Stato.

Quella di rendere giustizia è infatti, come del resto ogni altra attività dei pubblici poteri, anzitutto una attività di servizio ai cittadini. Affermando chiaramente fondamentali principi costituzionali, il nostro scopo, quindi, deve essere principalmente quello di favorire la crescita di un sistema al quale i cittadini possano rivolgersi con fiducia, nella certezza di avere giuste decisioni secondo diritto, in tempi e con modalità tali da non porre sostanzialmente nel nulla le ragioni per le quali ci si rivolge alla giustizia.

Troppo spesso il dibattito sui temi della giustizia sembra snodarsi attorno a problematiche che coinvolgono meno i cittadini che alcuni rapporti tra i componenti del relativo sistema, il quale sembra avvilupparsi sempre più su se stesso in una crescente affabulazione la cui fecondità è quantomeno dubbia. È auspicabile, invece, che proprio la funzionalità del sistema in relazione ai diritti e agli interessi  dei cittadini sia la stella polare, sulla quale orientare il lavoro costituente in questa fase della vita della Repubblica. Sembrano maturi i tempi per chiarire con norme chiare e semplici che le istituzioni, ciascuna nel proprio ambito e tutte insieme tra loro, non hanno altra ragion d'essere se non quella di assicurare una pacifica, ordinata e civile regolazione della vita pubblica.

5.1. L'unità funzionale della giurisdizione.

Il testo approvato dalla Commissione è diretto ad operare un significativo e - c'è da augurarsi - efficace sforzo per razionalizzare il sistema degli organi chiamati a rendere giustizia, adeguandolo al principio dell'unità funzionale della giurisdizione, alla stregua del quale, peraltro, è già tendenzialmente improntato il testo della vigente Carta costituzionale, nei termini che cercherò di precisare più diffusamente in seguito.

La tematica richiamata non rappresenta, come forse potrebbe sembrare ad una prima impressione - e come forse è sembrato a taluno -, l'occasione per complesse querelles tra addetti ai lavori: al contrario, ha implicazioni di grande rilevanza sia sul piano dei rapporti tra poteri che su quello della reale e concreta effettività dell'ordinamento.

Non può infatti sfuggire a nessuno - solo per svolgere alcuni brevi ed immediati richiami ad alcune problematiche connesse ad una tematica di così grande rilievo e complessità - che una effettiva e piena indipendenza e, vorrei dire, separazione del giudice amministrativo (che il testo all'esame delle Camere equipara in tutto e per tutto, quanto a status, al giudice ordinario) dall'esecutivo non potrà che avere riflessi positivi nei rapporti contenziosi tra i cittadini e le pubbliche amministrazioni. Del pari è immediatamente evidente che le indefettibili garanzie di autonomia e indipendenza riconosciute a tutti i giudici implicano, perchè esse non rimangano un mero flatus vocis, magari a senso unico, un effettivo e rigoroso regime delle incompatibilità. Tale regime è finalizzato ad evitare in radice anche semplicemente il sospetto della possibilità di qualsiasi commistione, per non dire compromissione, di un solo singolo appartenente all'ordine giudiziario con funzioni in qualche misura riconducibili all'esecutivo.

Le norme che illustrerò di seguito sono quindi «costituzionali» nel senso più pieno del termine, ed hanno un rilievo che certo non sfuggirà all'esame dei colleghi parlamentari chiamati a valutarle, come pure non sfuggirà loro che quella dell'unità funzionale della giurisdizione, con tutti i corollari che ne conseguono, è una delle linee-guida fondanti del complesso delle disposizioni approvate dalla Commissione in materia di giustizia.

5.1.1. La genesi delle disposizioni connesse all'unità funzionale della giurisdizione.

Il rilievo delle tematiche che ho brevemente richiamato è stato immediatamente presente all'attenzione della Commissione. Va quindi ricordato che il Comitato istituito per l'esame istruttorio delle norme in materia di «sistema delle garanzie» aveva iniziato i suoi lavori proprio affrontando i problemi relativi all'unità o pluralità della giurisdizione. Si era infatti giustamente ritenuto che la soluzione di tale questione fosse preliminare alla complessiva impostazione delle disposizioni relative alla giustizia.

Come tutti sanno, la giurisdizione è l'affermazione dell'ordinamento nel caso concreto e rappresenta, quindi, un momento indefettibile della società organizzata e una condizione di esistenza dell'ordinamento giuridico.

Della giurisdizione (prescindendo da quella costituzionale, sulla quale mi soffermerò più diffusamente nella parte conclusiva di questa relazione) si riconoscono vari tipi, in ragione della natura degli interessi tutelati. La giurisdizione civile (distinta in contenziosa e volontaria), che regola le controversie tra i privati e, in  certi - eccezionali - casi, tra i privati e la pubblica amministrazione; quella penale, diretta a tutelare l'interesse della collettività rispetto a taluni valori fondamentali mediante l'irrogazione di una pena a coloro che li abbiano violati e, infine, la giurisdizione amministrativa, che, nel sistema vigente, tutela gli interessi legittimi, e in alcuni casi eccezionali i diritti soggettivi, dei cittadini lesi da un atto della pubblica amministrazione. I giudici cosiddetti ordinari (ossia quelli indicati all'articolo 1 dell'ordinamento giudiziario) amministrano la giurisdizione civile e quella penale (tranne che la giurisdizione penale militare, riservata alla competenza di appositi tribunali).

La Costituzione vigente vieta peraltro l'istituzione di giudici straordinari o speciali (articolo 102, secondo comma; desidero qui anticipare che tale disposizione è stata confermata nel testo approvato dalla Commissione, al termine peraltro di un serrato confronto, del quale darò conto di seguito) e la VI disposizione transitoria prevedeva la revisione entro un quinquennio degli organi di giurisdizione speciale, facendo peraltro salva quella del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei tribunali militari.

Al riguardo devo tuttavia far presente sin d'ora che, fermo restando il divieto di istituzione di giudici straordinari (sempre presente in tutti gli articolati sottoposti in materia all'attenzione del Comitato o della Commissione), nell'ambito dei lavori del Comitato sul sistema delle garanzie si era da più parti ritenuto di grande interesse - e corrispondente all'attuale evoluzione degli ordinamenti giuridici in relazione a quella delle società moderne - l'ipotesi di abolire il divieto di istituzione dei giudici speciali in materia diversa da quella penale, al fine di dare una risposta efficace al concreto bisogno di giustizia sempre più avvertito nella società.

Nel corso dei lavori del Comitato, in un primo momento, come peraltro accadde anche all'Assemblea costituente (le cui vicende, almeno su questo punto specifico, sono state ripercorse, per alcuni aspetti, con singolare coincidenza), era peraltro emersa la prevalenza di un'ipotesi favorevole all'unità sostanziale della giurisdizione. Si tratta di quella complessiva impostazione per effetto della quale tutte le attuali giurisdizioni sarebbero state ricondotte ad unità, da realizzarsi in capo ad un'unica magistratura, che, quindi, non sarebbe più stata a quel punto «ordinaria». Di conseguenza il cittadino, con una semplificazione da non sottovalutare, avrebbe potuto rivolgersi ad un solo giudice - che sarebbe stato ovviamente organizzato mediante un'articolazione in sezioni specializzate - per la decisione di qualsiasi tipo di controversia, indipendentemente dalla natura delle posizioni soggettive che avesse inteso far valere.

In sede di Assemblea costituente, com'è noto, Piero Calamandrei si era espresso in favore del giudice unico, con la conseguente soppressione anchedelle giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti: l'unità della giurisdizione, in quest'ottica, era vista come scelta strumentale al raggiungimento degli obiettivi dell'indipendenza del giudice, della certezza del diritto, della semplificazione dell'ordinamento giudiziario e alla riduzione della giurisdizione ad un ordine unico. Invece, la tendenza favorevole alla conservazione delle giurisdizioni speciali di giustizia amministrativa sosteneva la scelta in favore del principio della pluralità delle giurisdizioni, considerandolo un correttivo alle insufficienti risorse ed attitudini della giurisdizione ordinaria a far fronte agli aspetti eterogenei di una società moderna. Tale posizione era rappresentata principalmente dalle posizioni di Costantino Mortati ed ebbe alla fine sostanzialmente il sopravvento.

Come già ho avuto modo di anticipare, la dottrina dominante, con tesi peraltro condivisa dalla Corte costituzionale (v. le sentenze n.41 del 1957, n.48 del 1959, n.117 del 1963), ritiene tuttavia che la Costituzione abbia comunque operato una scelta in favore dell'unità della giurisdizione, nel senso che eventuali deroghe a tale principio sono comunque ammissibili solo nei casi ammessi dal Costituente. La rilevanza di tali deroghe ha, tuttavia,  indotto altra parte della dottrina a ritenere che il principio dell'unità della giurisdizione sia stato comunque sostanzialmente svuotato di contenuto e non costituirebbe altro se non una formula vuota, dietro la quale si cela la vera scelta sostanziale, improntata al criterio del pluralismo giurisdizionale.

Comunque sia, il vigente sistema costituzionale si impernia: sull'adozione di un principio unitario di massima, con i temperamenti e le eccezioni prima illustrati; sulla previsione del criterio della specializzazione; sulla previsione specifica di giudici speciali amministrativi e sulla revisione del giudici speciali istituiti prima dell'entrata in vigore della Costituzione. Questo impianto istituzionale, in ultima analisi, ha dato origine ad una sorta di sistema intermedio, in cui il principio unitario coesiste con rilevanti e frequenti applicazioni di quello pluralistico.

Da un più ampio punto di vista, si può forse ritenere al riguardo che la persistenza di organi di giurisdizione amministrativa rappresenti le tracce ancora visibili dello Stato amministrativo nel tessuto dello Stato di diritto, dello Stato parlamentare e dello Stato democratico. Come sempre accade quando un'entità subentra ad un'altra e le nuove strutture si sostituiscono alle precedenti adattandole alla nuova realtà, dopo anni le antiche presenze assumono nuove forme che ne rendono riconoscibile solo a fatica l'origine.

Nel corso dei lavori del Comitato, successivamente alla presentazione della prima ipotesi di articolato il 3 aprile 1997 e a seguito della conseguente nuova fase di dibattito, era tuttavia prevalsa un'ulteriore ipotesi, che è stata denominata di unità funzionale della giurisdizione. Si tratta di una differente impostazione, per effetto della quale continua a sussistere la distinzione tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa, le quali vengono in ogni caso ricondotte ad un più ampio grado di coordinamento e di unitarietà nei termini che meglio verranno illustrati di seguito.

Prendendo doverosamente atto di tale orientamento divenuto prevalente, a partire dal 15 aprile sono stati conseguentemente predisposti diversi articolati improntati a tale principio dell'unità funzionale della giurisdizione, che caratterizza quindi anche il testo approvato dalla Commissione.

Non posso, tuttavia, sottacere che il relatore avrebbe continuato a preferire l'ipotesi dell'unità sostanziale della giurisdizione, la cui approvazione avrebbe potuto determinare una più compiuta svolta storica e istituzionale nel mondo della giurisdizione e avrebbe forse facilitato i suoi rapporti con i cittadini.

5.1.2. La separazione delle funzioni e degli organi come effetto dell'unità funzionale della giurisdizione.

Venendo all'illustrazione dell'articolato, devo preliminarmente rammentare e sottolineare che l'opinione del Comitato prima e della Commissione poi è stata unanime nel ritenere che un qualsivoglia giudice non può (e non deve) comunque svolgere sia funzioni consultive (o funzioni di controllo), sia funzioni giurisdizionali. Tale opinione, peraltro, è stata condivisa dalla Commissione, che ha approvato un testo di revisione dell'articolo 100 della Costituzione vigente (ora corrispondente all'articolo 113 del progetto di legge costituzionale approvato dalla Commissione) coerente con il principio esposto, respingendo emendamenti diretti a mantenere in capo ad un unico organo istituzionale (rispettivamente Consiglio di Stato e Corte dei conti) funzioni consultive o di controllo accanto a funzioni giurisdizionali.

Coerentemente con questa scelta, il nuovo articolo 113 (già articolo 100), attribuisce al Consiglio di Stato ed alla Corte dei conti solo funzioni rispettivamente consultive e di controllo, collocando tali istituti esclusivamente nell'ambito della nuova sezione II ("Autorità di garanzia e organi ausiliari") del nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione. Tale sezione ha mutato titolo in quanto ricomprende anche le autorità di garanzia e di vigilanza, previste all'articolo 109.

Il rilievo della funzione di consulenza giuridico-amministrativa affidata al Consiglio di Stato si dimostra, peraltro, sempre più significativo anche in relazione alla complessità dell'attività normativa svolta dal Governo e dalle pubbliche amministrazioni. Del resto, tale funzione, in prospettiva, ed anche alla luce del complessivo impianto di riforma della forma di Stato e della forma di governo previsto dal progetto di legge approvato dalla Commissione, acquisterà un'importanza sempre maggiore. In questo contesto devono quindi essere ancor più valorizzate le competenze in grado di rendere tali attività coordinate ed efficaci; si tratta, infatti, di un nodo istituzionale di grande importanza, dal quale dipende in definitiva l'efficacia stessa della macchina amministrativa.

L'articolato approvato dalla Commissione prevede, quindi, all'articolo 119, comma 1 (corrispondente all'articolo 103, comma 1 della Costituzione vigente) l'istituzione della Corte di giustizia amministrativa, alla quale sono affidate esclusivamente funzioni giurisdizionali. Il sistema di giustizia amministrativa è completato dalla previsione espressa, sempre al citato articolo 119, comma 1, dei tribunali regionali di giustizia amministrativa (scelta coerente anche con la soppressione dell'articolo 125 della Costituzione vigente, che al secondo comma prevede l'istituzione nelle Regioni di organi di giustizia amministrativa di primo grado).

Nella stessa direzione si pongono le disposizioni previste dal secondo comma dell'articolo 113 del testo approvato dalla Commissione (anch'esso dopo che erano stati respinti una serie di emendamenti modificativi), relative alle nuove funzioni attribuite alla Corte dei conti, chiamata ad una profonda ed incisiva trasformazione delle sue funzioni di controllo. Tale scelta si colloca in una linea evolutiva coerente sia con la più recente normativa in materia di bilancio, sia con la ormai indifferibile esigenza di passare da ipotesi basate su un mero riscontro di legittimità formale ad una nuova e più moderna prospettiva volta, invece, al controllo successivo dell'efficienza e dell'economicità dell'azione amministrativa. Si deve d'altra parte sottolineare che il testo approvato non fa riferimento al parametro di controllo dell'efficacia, previsto da alcuni emendamenti non accolti, in quanto tale parametro avrebbe presupposto in capo alla Corte dei conti lo svolgimento di valutazioni di merito tali da coinvolgere responsabilità di natura politica che non possono che spettare ad organi responsabili e legittimati politicamente.

La Corte dei conti è quindi chiamata ad una grande sfida per contribuire alla crescita del Paese, ed è certo che un istituto di così grandi tradizioni saprà raccoglierla e affrontare nel migliore dei modi le difficoltà che un cambiamento di tali dimensioni richiede, non solo in ordine alle strutture ma anche alla mentalità ed alla professionalità dei suoi componenti. In questa rinnovata prospettiva sarà sicuramente superata la comprensibile tentazione della difesa di posizioni e competenze (quali il controllo di legittimità formale del singolo atto, che troppo spesso non serve ad altro se non a ritardare inutilmente l'azione della pubblica amministrazione, quando non è strumentalmente utilizzato per interferire con l'esercizio di altre responsabilità), che riflettono esigenze non più primarie per uno Stato moderno, il quale deve affrontare la sfida della complessità e funzionalità dell'apparato pubblico nella prospettiva europea e della globalizzazione.

È peraltro evidente che una riforma così profonda ed innovativa necessita del tempo necessario per essere posta adeguatamente in essere. Era stata quindi approvata una disposizione transitoria e di attuazione secondo la quale, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale in esame, il legislatore ordinario deve procedere alla revisione degli organi giurisdizionali amministrativi e contabili attualmente esistenti. Per quanto riguarda il personale magistratuale in servizio presso la Corte dei Conti, la medesima disposizione gli attribuisce la facoltà, da esercitarsi entro  sei mesi dalla predetta revisione, di essere inquadrato nei ruoli dei magistrati amministrativi; per i consiglieri di Stato è invece previsto che, entro lo stesso termine di sei mesi, possano esercitare l'opzione tra l'inquadramento nei ruoli del Consiglio di Stato o in quelli della Corte di giustizia amministrativa. Tale disposizione, tuttavia, unitamente a tutte le altre, non è stata confermata nella fase conslusiva di coordinamento del testo, rinviandone l'esame al termine della prima lettura da parte della Camera.

Per concludere la trattazione relativa agli organi ausiliari del Governo, è necessario infine rilevare che, già in giugno, la Commissione ha approvato un emendamento con il quale si introduce un quarto comma all'articolo 113 (già articolo 100). Tale disposizione prevede la costituzionalizzazione delle funzioni di rappresentanza, patrocinio ed assistenza svolte dalla Avvocatura dello Stato in favore delle amministrazioni dello Stato, rinviando alla legge per la definizione degli altri compiti assegnati a tale istituto. Peraltro, di fronte ad emendamenti, respinti, che tendevano ad introdurre formulazioni più ampie rispetto a quella approvata, si deve far presente che quest'ultima, da un lato, individua le funzioni più propriamente relative agli aspetti di difesa tecnica svolte dall'Avvocatura dello Stato e, dall'altro, consente il rispetto sia delle autonomie regionali e locali, sia delle altre funzioni svolte dalla stessa Avvocatura dello Stato.

5.1.3. I giudici speciali e la giurisdizione tributaria: un problema aperto.

In materia di giurisdizione, oltre al più volte ricordato principio che afferma in modo chiaro ed univoco l'unitarietà della funzione, fermo restando il divieto di istituzione di giudici straordinari, nel testo approvato dalla Commissione in giugno era stata prevista, come già accennato in precedenza, la possibilità di istituire giudici speciali in materia diversa da quella penale e per il solo giudizio di primo grado (essendo prevista la possibilità di un secondo grado solo per la giustizia tributaria), recependo con ciò indicazioni emerse nel corso dei lavori del Comitato sul sistema delle garanzie.

Tali disposizioni erano state introdotte nel corso dei lavori del Comitato, il quale su di esse si era espresso quasi unanimemente in senso favorevole, ed erano dirette a consentire al legislatore ordinario di disporre di strumenti dotati di una maggiore elasticità per far fronte al bisogno di giustizia emergente nella società. Questo bisogno non sempre viene soddisfatto dagli uffici e dai servizi giudiziari ordinari, i quali, per una serie complessa di ragioni, non forniscono una risposta adeguata alla crescente domanda di giustizia. Tuttavia, le citate disposizioni sono state soppresse nella seduta del 28 ottobre, sulla scorta di preoccupazioni secondo le quali, in sostanza, l'introduzione di giudici speciali avrebbe in qualche misura determinato una riduzione delle garanzie di terzietà e indipendenza del giudice.

Sul punto, tuttavia, il relatore ritiene doveroso richiamare l'attenzione e una diversa considerazione da parte dell'Assemblea, perchè si tratta di disposizioni di grande importanza, la cui soppressione è stata verosimilmente determinata da un irrisolto equivoco di fondo. Le norme sui giudici speciali potrebbero costituire una forte innovazione nel nostro ordinamento, suscettibile di contribuire in larga misura al decongestionamento degli uffici giudiziari nonchè ad avvicinare la giustizia ai cittadini. Del resto, in alcune esperienze straniere, come in quella francese e, principalmente, inglese, i giudici speciali sono parte integrante della giurisdizione ed hanno dato esiti assai positivi.

Al riguardo c'è da ritenere che talune obiezioni avanzate nei confronti dell'introduzione dei giudici speciali, beninteso tranne che in materia penale e per il solo giudizio di primo grado, siano state determinate dallo stesso nomen iuris dell'organo, che richiama esperienze non felici nella storia della giustizia italiana, puntualmente emerse nel corso della discussione del testo, ma che, ovviamente, nulla  hanno a che vedere con l'articolato approvato in giugno dalla Commissione. Forse altre resistenze sono state determinate anche da una certa diffidenza nei confronti di organi che, per la loro stessa natura, avrebbero adottato verosimilmente procedure più agili. Non si deve, tuttavia, dimenticare che i giudici speciali sono comunque organi giurisdizionali, soggetti ai principi processuali di cui si dirà più ampiamente nel seguito e che, in ogni caso, il testo approvato in giugno dalla Commissione non solo escludeva la giurisdizione penale dalle loro attribuzioni, ma in ogni caso consentiva la riconduzione dell'attività di tali istanze nell'alveo della giurisdizione ordinaria, la cui attività esse potrebbero deflazionare non poco, essendo comunque la loro competenza - come già ricordato - limitata al giudizio di primo grado.

La soppressione della possibilità per il legislatore ordinario di istituire giudici speciali ha inoltre travolto anche il sistema di giustizia tributaria vigente, tanto da far ritenere a taluno che le due problematiche, tra di loro nettamente distinte (non a caso erano affrontate in due distinti periodi del citato quarto comma dell'articolo 118) siano state in qualche misura confuse. A partire dalla preoccupazione che la soppressione della disposizione sulla giustizia tributaria possa rendere immediatamente incostituzionale il sistema vigente, era risultato pertanto opportuno approvare una apposita disposizione transitoria, per prorogare l'operatività delle commissioni tributarie previste dalla legge 30 dicembre 1991, n.413, fino alla revisione degli organi giurisdizionali e amministrativi attualmente esistenti, da effettuarsi entro cinque anni dall'entrata in vigore della legge costituzionale in esame. Anche in questo caso, tuttavia, tale disposizione transitoria non è stata, da ultimo, confermata nel testo coordinato, rinviandone l'esame al termine della prima lettura da parte della Camera.

Su tale questione è necessario osservare, infine, che, di fatto, la situazione così determinatasi rischia di comportare un devastante incremento del carico attribuito agli organi giurisdizionali ordinari; ed è purtroppo facile prevedere che ciò si rifletterà assai pesantemente sulla già scarsa efficenza degli uffici giudiziari, verosimilmente paralizzandone l'attività. In tal caso, verrebbero del tutto vanificati gli sforzi per avvicinare la giustizia ai cittadini garantendo processi se non rapidi, almeno tali da potersi concludere in tempi ragionevoli.

L'articolo 124, al quinto comma, prevede, inoltre, che le norme sull'ordinamento giudiziario possano ammettere la nomina di magistrati onorari per materie e per funzioni attribuite a magistrati di primo grado ovvero per giudizi di sola equità. In tal caso i soggetti considerati non sono giudici speciali ma onorari, come tali già previsti dall'ordinamento giudiziario. La norma predetta nasce da una fusione e riformulazione, per ragioni sistematiche, di quanto già previsto dal secondo comma dell'articolo 106 della Costituzione vigente e dal quarto comma dell'articolo 118 del testo approvato in giugno dalla Commissione.

(omissis)

5.4. La magistratura ordinaria.

Il sistema giudiziario esistente in Italia, al momento in cui l'Assemblea costituente svolgeva i propri lavori, derivava in gran parte dall'organizzazione giudiziaria già istituita nel Regno di Sardegna, sul modello della legislazione francese, e incentrata sulla figura del giudice-funzionario.

Lo Statuto del 1848 sanciva la diretta emanazione della giustizia dal Re e, in generale, le disposizioni previste in materia dagli articoli 68-73 non davano alla magistratura un ordinamento autonomo ed indipendente. Nel 1859 il decreto Rattazzi strutturava la magistratura come un corpo sottoposto all'esecutivo, ponendo il Guardasigilli al vertice di tutti i funzionari giudiziari, alla carriera dei quali presiedeva, e configurando il pubblico ministero come rappresentante del potere esecutivo presso ogni autorità giudiziaria.

La legge n.6878 del 1890 (cosiddetta "legge Zanardelli") cominciò ad aprire taluni spiragli per accentuare le garanzie di indipendenza dei giudici, garanzie che furono rafforzate dalla legge n.1511 del 1907 (cosiddetta "legge Orlando"), la quale istituì un Consiglio superiore della magistratura con funzioni consultive-deliberative in materia di promozioni, che erano tuttavia sempre adottate con decreto del ministro, dalla legge n.438 del 1908 che assicurò l'inamovibilità di sede e con il decreto n.1978 del 1921 (cosiddetto "decreto Rodinò"), che previde l'elettività del Consiglio superiore della magistratura ed estese l'inamovibilità ai pretori.

In epoca fascista la legislazione fu, invece, caratterizzata da una inversione di tendenza, a partire dall'ordinamento giudiziario del 1923 che eliminò l'elettività del Consiglio, accentuando la struttura gerarchica degli uffici giudiziari. L'ordinamento giudiziario del 1941 (ancora per gran parte in vigore) disciplinò in maniera organica la dislocazione, le funzioni e la composizione degli organi giudizari, la carriera e lo status giuridico dei magistrati ordinari.

Subito dopo la fine della guerra, con il regio decreto legislativo n.511 del 31 maggio 1946, furono ripristinate le garanzie di indipendenza dei giudici, in parte estese ai pubblici ministeri.

In sede di Assemblea costituente emersero vari orientamenti in ordine all'autogoverno della magistratura, al collegamento del pubblico ministero con l'esecutivo, alla sorte da riservare all'ufficio del Ministro della giustizia, alla realizzazione dell'unità della giurisdizione, mentre su altre questioni, quali il superamento della configurazione delegata della giurisdizione, l'accoglimento del principio di legalità dell'azione penale e l'eliminazione di ingerenze dell'esecutivo sui provvedimenti concernenti lo status dei magistrati, si registrò un sostanziale accordo sin dall'inizio della discussione

Il testo vigente della Costituzione, agli articoli 101-113, sostanzialmente si basa sui principi della differenziazione solo funzionale dei magistrati, della previsione delle garanzie del giudice, della collocazione del pubblico ministero nell'ordinamento giudiziario, della previsione del Consiglio superiore della magistratura come organo a composizione mista, nonchè sulla precisazione dei rapporti tra magistratura ed esecutivo.

Si deve peraltro notare che la dottrina ha rilevato taluni problemi di conciliabilità, ad esempio, tra la riconducibilità della funzione giudiziaria alla sovranità popolare, prevista dall'articolo 101, primo comma, ed il sistema di nomina per concorso, previsto dall'articolo 106; tra la distinzione dei magistrati solo per funzioni, prevista dal terzo comma dell'articolo 107, e il sistema di promozioni come sarebbe presupposto dall'articolo 105; tra la differenziazione del pubblico ministero dalla magistratura giudicante, previsto dal quarto comma dell'articolo 107, e la riconduzione dello stesso all'ordine giudiziario, prevista dal terzo comma del medesimo articolo 107. Tutti questi problemi, in varia misura, sono puntualmente emersi nel corso dei lavori del Comitato prima e della Commissione poi.

5.4.1. Giudice e pubblico ministero.

Le disposizioni costituzionali vigenti si aprono con le affermazioni secondo le quali la giustizia è amministrata in nome del popolo (articolo 101, comma 1) e i giudici sono soggetti soltanto alla legge (comma 2). Per il pubblico ministero, l'ultimo comma dell'articolo 107 prevede che tale organo gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario.

La Costituzione afferma quindi, in limine, l'indipendenza e l'autonomia del giudice (come singolo), anticipando in tal modo quella dell'ordine giudiziario nel suo complesso (affermata dagli articoli 104-107), indipendenza ed autonomia che rappresentano un valore strumentale rispetto a quello della legalità e obiettività dell'amministrazione della giustizia.

Quella della distinzione tra magistratura giudicante e inquirente è stata una delle tematiche su cui sia il Comitato sul sistema delle garanzie, sia la Commissione, si sono particolarmente e a lungo soffermati.

Si tratta di una questione che ha lontane origini storiche e che ha accompagnato per secoli la dialettica istituzionale in relazione all'evoluzione degli ordinamenti giuridici moderni e contemporanei, principalmente con riferimento al bilanciamento dei poteri ed alla definizione delle competenze tra gli organi dello Stato.

Prescindendo dalle prime origini dell'istituto del pubblico ministero, che possono essere individuate in alcuni istituti del diritto romano, l'organo in esame, ossia un complesso di uffici pubblici cui viene demandato il compito di proporre azioni o intervenire in giudizi promossi da privati, comincia a delinearsi in termini moderni negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione francese, mostrando peraltro immediatamente quei caratteri di ambiguità che hanno sempre accompagnato la storia dell'istituto, tanto che il decreto dell'Assemblea nazionale sull'organizzazione giudiziaria del 16-24 agosto 1790 (che avrebbe poi ispirato tutte le legislazioni europee in materia) da un lato confermava l'appartenenza degli uffici del pubblico ministero all'ordine giudiziario, mentre dall'altro li definiva agenti del potere esecutivo presso i tribunali.

Questi riferimenti sono sufficienti a chiarire come i problemi, che ancor oggi vengono dibattuti, affondino le loro radici nella storia. Si tratta di tematiche intimamente connesse alla nascita della stessa democrazia e, comunque, investono imprescindibili aspetti di bilanciamento dei poteri, la cui struttura determina la forma di governo di un ordinamento. Con ciò non si intende certo affermare che il problema della definizione della natura dell'organo pubblico ministero - e dei suoi rapporti con le altre istituzioni, segnatamente con l'esecutivo - sia determinante ai fini della qualificazione di un certo ordinamento come democratico o meno. Ben si sa, infatti, che, in ordinamenti di Stati che hanno rappresentato e rappresentano un esempio di democrazia, il pubblico ministero è posto alle dipendenze dell'esecutivo, mentre in altri, non meno democratici, quest'organo è variamente sottratto alle ingerenze governative. Non siamo di fronte ad un dogma della  democrazia, e sul punto non devono quindi scatenarsi guerre di religione.

La risposta, per ciascun Paese, nasce dalla sua storia, dalle sue tradizioni, dalla particolare struttura della società civile e di quella politica, dal delicato meccanismo di pesi e contrappesi istituzionali, di cui esso è o non è dotato.

Al riguardo, volendo solo esemplificativamente fare dei brevi cenni di diritto comparato, faccio presente che in Belgio tutte le nomine alle procure sono fatte direttamente dal Re, senza necessità di preventive designazioni od elezioni. Il pubblico ministero esercita le proprie funzioni sotto l'autorità del Ministro della giustizia e la lettera della Costituzione non estende agli organi della pubblica accusa le stesse garanzie di autonomia riservate ai membri della magistratura giudicante.

In Germania le funzioni di pubblico ministero sono esercitate da funzionari reclutati, nella generalità dei casi, separatamente dai giudici e con uno status differente rispetto agli stessi. Nella maggior parte dei Laender i pubblici ministeri sono funzionari politici (politische Beamte), e presso le Corti statali sono nominati dai ministri della giustizia dei Laender competenti, mentre per le Corti federali la nomina viene effettuata dal Ministro federale della giustizia, su approvazione del Bundesrat.

In Inghilterra l'azione penale viene esecitata (peraltro discrezionalmente) dal Crown Prosecution Service, un'autorità indipendente che non svolge indagini, affidate alla polizia. Tale autorità è organizzata a livello piramidale, e al suo vertice è posto l'Attorney General, che è membro e consigliere giuridico del Governo, pur non appartenendo al Gabinetto.

Nei Paesi Bassi i pubblici ministeri sono tenuti a conformarsi alle direttive che vengono loro impartite dalle autorità sovraordinate competenti, in nome del Re, mentre in Spagna il pubblico ministero ha al vertice della struttura un procuratore generale dello Stato, nominato dal Re su proposta del Governo, udito il Consiglio generale del potere giudiziario.

In Francia i magistrati del pubblico ministero sono posti sotto la direzione ed il controllo dei capi degli uffici, ai quali sono assegnati, e sotto l'autorità del Ministro della giustizia; non beneficiano della prerogativa dell'inamovibilità, che è propria dei membri della magistratura giudicante. È peraltro noto che in Francia è in corso un processo di riforma tendenzialmente diretto ad assicurare un più ampio grado di autonomia agli organi della pubblica accusa, sebbene nelle diverse sezioni dell'organo di autogoverno della magistratura dovrebbe persistere una maggioranza di consiglieri laici (cfr. il noto "Rapporto Tuche").

In Svezia la carriera della pubblica accusa è separata dalla magistratura giudicante e dagli altri corpi dello Stato ed il procuratore generale, il suo sostituto, i procuratori regionali e quelli dei distretti di maggiore importanza sono nominati dal Governo, mentre gli altri sono assegnati ai loro uffici con decisione del procuratore generale. L'indipendenza del pubblico ministero è tuttavia prevista dalla Costituzione.

Negli Stati Uniti, infine, novantaquattro District Attorneys dirigono gli uffici del pubblico ministero presso ogni tribunale federale di prima istanza. La loro nomina è di competenza del Presidente degli Stati Uniti, ma deve essere ratificata dal Senato. Le proposte di nomina sono fatte dall'Attorney General, figura sostanzialmente corrispondente al Ministro della Giustizia.

Per quanto riguarda la storia italiana, dalla legge del 1865, per la quale i magistrati del pubblico ministero costituivano un ruolo a se stante, si è passati, attraverso alterne vicende, all'unificazione dei ruoli, per poi porre, con l'articolo 69 dell'ordinamento giudiziario del 1941, il pubblico ministero alle dipendenze del Ministro della giustizia e, successivamente, ad individuarne talune garanzie di indipendenza, pur non coincidenti con quelle dei giudici, con il regio decreto legislativo n.511 del 1946.

In sede di Assemblea costituente il problema della natura promiscua delle  funzioni del pubblico ministero (ossia dell'attribuzione a tale organo di funzioni giurisdizionali - nel rito penale dell'epoca, ad esempio, ordini di cattura e concessione della libertà provvisoria - ed esecutive) fu ampiamente sottolineato e dibattuto e, com'è ben noto, si scontrarono due opposte tendenze, rispettivamente riconducibili ai progetti Calamandrei e Leone, la prima delle quali favorevole all'indipendenza dell'organo e la seconda, invece, favorevole a configurarlo come organo del potere esecutivo. Prevalse una tesi intermedia, la cui approvazione ha dato origine al testo del quarto comma dell'articolo 107 della Costituzione vigente, secondo il quale il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario.

Tale disposizione, da leggersi anche in relazione all'articolo 101, secondo comma, della Costituzione vigente ("I giudici sono soggetti soltanto alla legge"), evidenzia il livello non costituzionale delle garanzie riconosciute al pubblico ministero. Si deve però osservare che comunque la Costituzione riconosce la necessità di tali garanzie, che il primo comma dello stesso articolo 107 estende anche al pubblico ministero la garanzia di inamovibilità prevista per i giudici, che le stesse garanzie oggettive assicurate all'intero ordine giudiziario dall'esistenza del Consiglio superiore della magistratura sono evidentemente riconosciute anche ai magistrati inquirenti e che lo stesso obbligo di esercitare l'azione penale per più versi sottintende e presuppone l'indipendenza del pubblico ministero. In ogni caso, si deve rilevare che la legislazione post-costituzionale è stata caratterizzata da un progressivo avvicinamento ed assimilazione del regime giuridico dei magistrati inquirenti a quello dei giudici.

L'articolo 101 (e, in particolare, il citato comma 2 di tale articolo) è stato oggetto di ampio ed approfondito dibattito, sia nel Comitato sul sistema delle garanzie che in Commissione. Su tale materia, in verità, si sono registrate posizioni alquanto divergenti, che sono state, infine, ricondotte ad unità solo con una certa difficoltà e con uno sforzo collegiale, capace di tener conto dell'approfondimento critico delle diverse posizioni a confronto e di ascoltare le ragioni degli altri.

Il testo approvato in giugno dell'articolo 117, comma 2 (corrispondente al comma 2 dell'articolo 101 della Costituzione vigente), rendeva soggetti soltanto alla legge non solo i giudici, ma anche i magistrati del pubblico ministero. Per far fronte agli eventuali problemi che avrebbero potuto sorgere da una effettiva frantumazione delle attribuzioni in materia inquirente, e per assicurare un certo grado di unitarietà nello svolgimento delle relative funzioni, il testo prevedeva anche che le norme sull'ordinamento giudiziario avrebbero assicurato il coordinamento e l'unità di azione degli uffici del pubblico ministero.

Tale formulazione, tuttavia, si prestava alla critica, fondata, secondo la quale, mentre la soggezione alla legge è concetto che si riferisce agevolmente al giudice inteso come singolo (tenuto presente quanto prima esposto circa le relazioni tra tale principio e le norme di cui agli articoli 104 e 107 della vigente Costituzione), essa potrebbe invece dar luogo a difficoltà in riferimento alla sua applicazione al pubblico ministero, il quale, come è noto, è un ufficio e non un giudice.

Tenendo conto di queste considerazioni critiche, il relatore ha quindi presentato un nuovo testo del citato comma secondo dell'articolo 117 che, prendendo in considerazione iniziative emendative assunte da più gruppi, era probabilmente suscettibile di far fronte ai rilievi critici evidenziati, confermando al tempo stesso l'indipendenza del pubblico ministero di fronte ad ogni potere. Tale nuovo testo, approvato dalla Commissione nella seduta del 28 ottobre, scinde in due commi le disposizioni relative rispettivamente ai giudici e alle guarentigie del pubblico ministero, prevedendo che i giudici sono soggetti soltanto alla legge (articolo 117, secondo comma) e che i magistrati del pubblico ministero sono indipendenti da ogni potere e godono delle garanzie stabilite nei loro riguardi dalle norme sull'ordinamento  giudiziario, le quali assicurano altresì il coordinamento interno dell'ufficio del pubblico ministero ed il coordinamento, ove necessario, delle attività investigative tra gli uffici del pubblico ministero (articolo 117, terzo comma).

Al riguardo vorrei segnalare che la formulazione approvata dalla Commissione da un lato conferma, peraltro non poco rafforzandole, le garanzie previste dalla vigente Costituzione in favore degli organi di pubblica accusa e, dall'altro, conferisce piena cittadinanza nel nostro ordinamento ad organi di coordinamento investigativo - come, ad esempio la Direzione nazionale antimafia - che si rivelassero necessari per la conduzione di indagini particolarmente complesse, che investano la competenza di più uffici giudiziari.

Mi sembra, inoltre, che da un punto di vista sia sistematico che sostanziale la formulazione approvata abbia il pregio della chiarezza e sia suscettibile di porre fine ai numerosi equivoci che pure si sono verificati.

Uno degli elementi che accomunano giudici e pubblici ministeri nel vigente testo costituzionale è costituito dal sistema di nomina, che, secondo quanto previsto dal primo comma dell'articolo 106 vigente, ha luogo per concorso, il che, come è stato sostenuto in dottrina e riconosciuto dalla Corte costituzionale (v. la sentenza n.49 del 1968), costituirebbe una ulteriore garanzia di indipendenza posta in favore dei magistrati inquirenti.

Prima di passare all'illustrazione del testo dell'articolo 124 approvato dalla Commissione (corrispondente all'articolo 106 della Costituzione vigente), occorre ricordare che le norme in questione sono state oggetto di ampio ed approfondito dibattito nel Comitato sul sistema delle garanzie e successivamente nella Commissione: si tratta, infatti, di una questione rispetto alla quale le posizioni originarie dei vari gruppi erano assai lontane.

Il testo approvato all'articolo 124, primo comma, dispone anzitutto che anche i magistrati amministrativi non possono essere nominati se non per concorso e prevede che la nomina è condizionata al positivo esperimento di un periodo di tirocinio.

Nel nuovo sistema dell'unità funzionale della giurisdizione, nel quale i magistrati ordinari ed amministrativi sono totalmente equiparati quanto a status e garanzie, sarebbe infatti una grave incongruenza ipotizzare che i magistrati amministrativi possano, sia pur parzialmente, essere nominati dal Governo. Ci sarebbe da chiedersi, infatti, quale terzietà potrebbe vantare chi è chiamato ad esercitare la giurisdizione, e poi proprio quella amministrativa, in base ad una nomina effettuata dall'esecutivo.

Va quindi ribadito che il testo approvato equipara in tutto e per tutto, nelle garanzie come nelle responsabilità, nel sistema di nomina come nelle incompatibilità, i giudici ordinari a quelli amministrativi. Ed in effetti parrebbe assai strano, oltre che pericoloso, che la giurisdizione venisse svolta da organi i cui componenti non fornissero assolute garanzie di terzietà. Posizioni culturali secondo le quali i giudici amministrativi potrebbero in sostanza continuare ad essere funzionalmente collegati all'esecutivo e, più in generale, i giudici potrebbero essere chiamati a svolgere compiti estranei alla giurisdizione - e, segnatamente, a ricoprire incarichi di ogni sorta nelle pubbliche amministrazioni -, si giustificherebbero, sia pure a fatica e con qualche sospetto di incostituzionalità, soltanto in un quadro costituzionale diverso da quello approvato dalla Commissione.

Sempre all'articolo 125 il testo approvato prevede inoltre, e conseguentemente, all'ultimo comma, un rigoroso regime delle incompatibilità per tutti i magistrati, che troppo spesso svolgono funzioni eccessivamente distanti da quelle giurisdizionali, talvolta a scapito delle stesse e spesso alle dipendenze dell'esecutivo. In questi casi è evidente il rischio di ricadute negative sulla stessa autonomia della magistratura e anche sul suo prestigio, a tutela del quale, nel quinto comma, si è  prevista anche la costituzionalizzazione dei principi di responsabilità, correttezza e riservatezza.

In ordine a tali disposizioni è opportuno sottolineare che, nel corso del dibattito in Commissione, è stato pressocchè unanimemente ritenuto che i giudici non devono svolgere incarichi presso l'esecutivo o pubbliche amministrazioni (pur essendosi prospettate talune eccezioni in merito alla loro utilizzazione esclusivamente presso il Ministero della giustizia, sia pure in numero estremamente ridotto), né partecipare ad arbitrati o a collaudi e simili.

Il testo approvato consente, peraltro, la partecipazione dei magistrati ad attività nelle quali la loro specifica competenza può rivelarsi di grande utilità, come, ad esempio, l'insegnamento, la partecipazione all'attività di formazione dei magistrati, la partecipazione a commissioni di concorso e simili. Per quanto riguarda il citato quinto comma, vorrei ribadire che, come è emerso nel corso del dibattito, i magistrati non sono assimilabili agli altri pubblici impiegati se non solo formalmente. Questi ultimi, infatti, pur svolgendo certo funzioni di responsabilità, non hanno il potere di disporre della libertà, dei diritti e dei beni dei cittadini. È quindi evidente che la disposizione che costituzionalizza i principi, cui devono attenersi tutti i magistrati nel corso dell'esercizio delle loro funzioni, è tutt'altro che superflua.

Va infine rilevato che il nuovo ultimo comma dell'articolo 125, relativo alla partecipazione dei magistrati alle competizioni elettorali, ha ottenuto il consenso pressocchè unanime della Commissione. Mi sembra che la soluzione prescelta permetta un equilibrato bilanciamento tra la libertà di concorrere alle cariche elettive e la necessità di consentire sia la parità dei partecipanti alle competizioni elettorali, sia un corretto svolgimento delle stesse nonchè dell'attività giudiziaria, sia, infine, il prestigio della magistratura.

Per quanto riguarda il regime transitorio, la Commissione aveva approvato una disposizione transitoria e di attuazione, secondo la quale le norme relative alle incompatibilità dei magistrati si applicano a decorrere dal quarto anno successivo all'entrata in vigore della riforma costituzionale ora all'esame delle Camere. Come nei casi precedentemente segnalati, anche tale disposizione non è stata confermata nella fase di coordinamento finale del testo, rinviandone l'esame al termine della prima lettura del progetto costituzionale da parte della Camera. Va rilevato, inoltre, che le disposizioni in materia di partecipazione dei magistrati alle competizioni elettorali sono comunque immediatamente precettive.

Il terzo comma dell'articolo 124 stabilisce che, ferma restando l'unicità delle modalità di ingresso in magistratura e delle carriere, sia previsto una sorta di filtro per il successivo passaggio tra le funzioni giudicanti e quelle del pubblico ministero, e viceversa. Tale filtro è rappresentato da un concorso riservato (riservato, ovviamente, ai soli magistrati, onde evitare equivoci di sorta) che dovrà svolgersi secondo modalità stabilite dalla legge. È peraltro previsto, al quarto comma dello stesso articolo 124, che in nessun caso le funzioni inquirenti e quelle giudicanti penali possono essere svolte nel medesimo distretto giudiziario.

La ratio di tali disposizioni è del tutto evidente. Si tratta, da un lato, di evitare facili e possibili commistioni tra le varie funzioni, nonché i pericoli che ciò comporta per una ordinata amministrazione della giustizia e, dall'altro, di favorire le reali aspirazioni personali al fine di una più efficace azione giudiziaria. È infatti senz'altro vero che, per svolgere le funzioni di giudice, occorrono qualità, interessi e motivazioni differenti da quelle necessarie all'adempimento delle funzioni affidate ai magistrati inquirenti, pur nella comune cultura della giurisdizione, o, come meglio dovrebbe dirsi, nella comune cultura della legalità e delle garanzie, la quale dovrebbe essere patrimonio inalienabile di tutti i magistrati.

D'altro canto, è innegabile che lo svolgimento delle funzioni di pubblico ministero richiede una formazione, non solo culturale ma anche di tecnica investigativa,  del tutto particolare, che è obiettivamente assai diversa da quella richiesta per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali.

Il relatore deve peraltro dar conto del fatto che in Commissione erano stati presentati, da alcuni gruppi, emendamenti indirizzati a realizzare una piena separazione delle carriere tra giudici e magistrati del pubblico ministero, prevedendo di conseguenza un accesso alla magistratura attraverso concorsi separati ovvero rendendo irreversibile la scelta operata sulla funzione da svolgere. Posti in votazione, tali emendamenti, che evidentemente sottintendono una impostazione notevolmente diversa da quella infine approvata dalla Commissione, sono stati respinti.

Nel testo approvato dell'articolo 124 è stato comunque previsto che tutti i magistrati debbono svolgere inizialmente funzioni giudicanti, onde perseguire quella unitarietà iniziale della cultura della legalità e della giurisdizione cui prima si accennava. Per il suo conseguimento è stato anche previsto, all'articolo 128 del testo approvato dalla Commissione (corrispondente all'articolo 110 della Costituzione vigente), che il Ministro della giustizia debba promuovere la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi: formazione propedeutica per i futuri magistrati ed i futuri avvocati, che è altra cosa dalla formazione e dall'aggiornamento dei magistrati, che restano evidentemente affidati ai Consigli superiori.

Al riguardo, va ricordato che in dottrina è stata più volte lamentata l'assenza di una scuola della magistratura, sull'esempio dell'Ecole nationale de la magistrature in Francia, della Referendarszeit in Germania e dell'Escuela judicial in Spagna; sulla questione, peraltro, ci si soffermerà in termini più generali in occasione dell'illustrazione dell'articolo 128, riguardante le competenze del Ministro della giustizia. Un primo passo in questa direzione è tuttavia stato fatto recentemente anche in Italia, con il decreto legislativo di attuazione della delega prevista dall'articolo 17, comma 113, della legge 15 maggio 1997, n.127, che prevede l'istituzione delle scuole biennali di specializzazione per le professioni legali.

L'articolo 107 della Costituzione vigente, al primo comma, assicura ai magistrati (quindi sia ai giudici sia ai magistrati del pubblico ministero) la garanzia dell'inamovibilità, da intendersi nel senso che qualsiasi provvedimento destinato ad incidere sull'esercizio della funzione del singolo magistrato deve essere assunto dal Consiglio superiore della magistratura alle condizioni indicate nel primo comma citato.

La garanzia in esame era già prevista dallo Statuto del 1848, che tuttavia la limitava al grado, senza estenderla a tutti i magistrati (erano infatti esclusi quelli con meno di tre anni di anzianità, i pretori e i pubblici ministeri). La norma della vigente Costituzione, come accennato, si applica, invece, a tutti i magistrati, senza distinzione di categorie e, dal punto di vista oggettivo, concerne sia la sede che la funzione cui il magistrato sia stato assegnato e costituisce la più rilevante guarentigia dello status del singolo magistrato. Tale norma riguarda, del resto, il profilo di garanzia anche all'interno dello stesso ordine giudiziario, con ciò rafforzando ulteriormente i principi di indipendenza e di autonomia già previsti dall'articolo 104 vigente con riferimento all'intero ordine.

Il diritto alla conservazione delle funzioni e della sede, d'altra parte, non è svincolato dai limiti che esso può incontrare a causa della esigenza di tutelare altri interessi costituzionalmente garantiti, come si ricava dalla lettura dello stesso primo comma dell'articolo 107. Da essa emerge che il Costituente non ha attribuito a tale garanzia valore assoluto ed incondizionato, ma strumentale, nel senso che la inamovibilità è garantita per assicurare l'autonomia e l'indipendenza dell'ordine giudiziario, nonché quelle del singolo magistrato.

D'altro canto, la previsione di un intervento in materia, comunque possibile solo da parte dell'organo di governo autonomo  della magistratura, aggravato da una espressa ed ulteriore garanzia procedimentale, rafforza ancor più tale guarentigia. A tali preminenti esigenze, si è ritenuto di poter fare ugualmente fronte con una modifica del secondo comma dell'articolo 107 della Costituzione vigente (corrispondente al secondo comma dell'articolo 125 approvato dalla Commissione), con la quale si prevede la sostituzione delle previste garanzie di difesa con quelle di garanzia del contraddittorio.

Allo stesso articolo 125, al primo comma, il testo approvato ribadisce ed estende ai magistrati amministrativi il principio della inamovibilità, prevedendosi inoltre al terzo comma che la legge disciplina i periodi di permanenza nell'ufficio e nella sede dei giudici (ordinari e amministrativi) e dei magistrati del pubblico ministero.

5.4.2. Consiglio superiore della magistratura e azione disciplinare.

Le tematiche relative al Consiglio superiore della magistratura, al pubblico ministero, all'azione penale e a quella disciplinare sono state oggetto di approfonditi e ripetuti dibattiti nel Comitato sul sistema delle garanzie prima e nella Commissione poi.

Per quanto riguarda in particolare il Consiglio superiore della magistratura, le disposizioni previste dagli articoli 104 e 105 della Costituzione vigente, accanto alla garanzia di indipendenza funzionale del singolo giudice (prevista dall'articolo 101, secondo comma), pongono istituti volti a garantire l'indipendenza della magistratura nel suo complesso. Il Consiglio superiore della magistratura è appunto l'organo cui è affidato il compito di assicurare l'autonomia e l'indipendenza dell'ordine della magistratura.

Tale organo è non solo previsto, ma anche disciplinato in molteplici aspetti dall'articolo 104 della Costituzione vigente ed è stato tuttavia tardivamente istituito con la legge n.195 del 1958, successivamente più volte modificata.

Il Consiglio è attualmente composto da 33 membri, dei quali 3 di diritto (il Presidente della Repubblica, che lo presiede ai sensi degli articoli 87 e 104 della Costituzione vigente, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione), 20 eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie e 10 dal Parlamento in seduta comune tra professori di università in materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio. I membri elettivi durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.

I componenti di nomina parlamentare sono eletti dai due rami del Parlamento in seduta comune, a scrutinio segreto con la maggioranza dei tre quinti dell'Assemblea, che si riduce, nelle successive votazioni, a tre quinti dei votanti, mentre all'elezione dei componenti togati partecipano tutti i magistrati con voto personale, segreto e diretto. I togati sono eletti in collegi circoscrizionali, in ognuno dei quali sono presentate liste di candidati; il riparto dei seggi è disposto secondo il sistema proporzionale e sussiste una clausola di sbarramento del nove per cento sul piano nazionale. Da più parti è stato rilevato che tale sistema elettorale rischia di favorire ed incentivare la "correntocrazia", brutta copia della partitocrazia, all'interno della magistratura, ed è stata di conseguenza auspicata a tale riguardo una adeguata riforma elettorale, che non comporta revisione costituzionale.

Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è eletto fra i componenti designati dal Parlamento, ha poteri propri e poteri delegati dal Presidente della Repubblica e, con il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione, compone il Comitato di presidenza, organo previsto dalla legislazione ordinaria. Per la validità delle deliberazioni del Consiglio è necessaria la presenza di almeno 14 magistrati e di almeno 7 componenti eletti dal Parlamento.

Per quanto riguarda i rapporti tra il Consiglio ed il Ministro della giustizia, prescindendosi ora dalla problematica relativa  alla facoltà a questi attribuita di promuovere l'azione disciplinare, va ricordato che il Ministro, ai sensi dell'articolo 110 della Costituzione vigente, ha competenza in materia di predisposizione delle strutture materiali necessarie alla amministrazione della giustizia ma, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (v. la sentenza n.168 del 1963), ha anche poteri che riguardano sia l'organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all'attività e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti.

Peraltro, la legge n.1198 del 1967 ha svincolato le deliberazioni consiliari in materia dalla richiesta dell'esecutivo, mentre rimane la necessità di un atto di proposta formulato da una commissione del Consiglio, di concerto con il Ministro della giustizia, per il conferimento degli incarichi direttivi. Tale disposizione ha dato tuttavia origine ad un conflitto di attribuzione, deciso dalla Corte costituzionale (v. la sentenza n.379 del 1992) nel senso che il Consiglio ed il Ministro hanno un dovere di collaborazione leale e costruttiva per ricercare una concertazione, e solo se questa non viene raggiunta il Consiglio può disattendere l'avviso del Ministro.

Il Consiglio superiore della magistratura ha quindi funzioni amministrative - che attuano nel loro complesso l'organizzazione della giurisdizione e sono relative, da un lato, al funzionamento e all'organizzazione dello stesso Consiglio e, dall'altro, allo status dei magistrati (sia ordinari che onorari) - e funzioni giurisdizionali, che svolge nell'ambito del procedimento disciplinare, volto ad accertare la responsabilità disciplinare dei magistrati. Nello svolgimento di tale ultima funzione, il Consiglio provvede a tutelare l'interesse oggettivo all'attuazione dell'ordinamento generale e si trova in una posizione di estraneità per effetto della quale opera dunque come un giudice (speciale) e le relative deliberazioni hanno quindi natura giurisdizionale.

La cognizione delle questioni disciplinari è devoluta ad una apposita sezione disciplinare, composta da nove membri effettivi; il vicepresidente del Consiglio è membro di diritto della sezione, che è altresì formata da due componenti eletti tra quelli disegnati dal Parlamento e da sei componenti eletti tra quelli togati.

Le deliberazioni del Consiglio aventi natura amministrativa (adottate in conformità, a seconda dei casi, con decreto del Presidente della Repubblica ovvero con decreto del Ministro della giustizia) sono impugnabili di fronte al giudice amministrativo, il cui sindacato, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (v. la sentenza n.44 del 1968) si estende ai vizi degli atti costituiti dalle statuizioni del Consiglio superiore, mentre le deliberazioni assunte in materia disciplinare, che hanno, come si è visto, natura giurisdizionale, sono ricorribili in Cassazione.

Accanto alle competenze in materia di status dei magistrati e disciplinare, espressamente attribuite dalla Costituzione vigente al Consiglio, si è tuttavia venuta configurando nella prassi una nuova ed ulteriore funzione, che è stata generalmente definita "paranormativa" e che consiste nella adozione ed emanazione di atti di varia tipologia (sostanzialmente riconducibili a regolamenti, determinazioni e circolari) di contenuto generale ed astratto.

La legittimità dello svolgimento di tale funzione ha suscitato più di una perplessità nel corso dei lavori del Comitato e della Commissione, ed in realtà essa sembra suscettibile in alcuni casi di determinare un effettivo spostamento di competenze dal potere legislativo in favore dell'organo di governo autonomo della magistratura. Questa questione, comunque, verrà affrontata più diffusamente in seguito, con particolare riferimento agli articoli 122 e 126 del testo approvato dalla Commissione (corrispondente agli articoli 105 e 108 della Costituzione vigente).

Le proposte e i disegni di legge assegnati alla Commissione, per le parti relative  alle iniziative di riforma del Consiglio superiore della magistratura, erano quant'altre mai distanti tra loro, frutto di impostazioni ontologicamente differenti e difficilmente riconducibili ad unità. Mentre alcuni gruppi e singoli parlamentari proponevano distinti Consigli superiori per la magistratura inquirente e quella giudicante (in coerenza peraltro con un'impostazione complessiva dei rapporti tra le varie funzioni), altri ritenevano invece valida l'attuale normativa costituzionale ed altri ancora prevedevano doversi fare espressa menzione del metodo elettorale e doversi variamente diversificare le quote degli eletti dal Parlamento e dalla magistratura.

Il testo approvato dalla Commissione, relativamente alla tematica del Consiglio superiore della magistratura ordinaria, è frutto di votazioni contrastate, e tuttavia, anche considerando l'articolato nel suo complesso, credo possa in questa fase rappresentare comunque una proposta finalizzata ad individuare un possibile punto di equilibrio e di convergenza fra posizioni, come si è detto, originariamente assai diverse e distanti, senza che, peraltro, esso comporti la rinuncia a nessuno dei principi affermati e garantiti dal vigente testo costituzionale.

D'altra parte, proprio per le caratteristiche del dibattito svoltosi in Commissione al riguardo, è facilmente prevedibile che il problema della articolazione in sezioni del Consiglio superiore della magistratura ordinaria verrà sottoposto ad ulteriore verifica nell'esame da parte delle Assemblee. A questo proposito, nel corso del confronto fra le diverse posizioni svoltosi nel Comitato ristretto prima delle ultime votazioni, il relatore aveva prospettato un'ipotesi emendativa finalizzata a rendere necessaria l'articolazione del Consiglio in sezioni per i giudici e per i magistrati del pubblico ministero solo a seguito dell'eventuale separazione dei ruoli giudicanti rispetto a quelli inquirenti disposta dalla legge, con la previsione comunque della possibilità di passaggio dagli uni agli altri a seguito di concorso riservato. Ma non avendo tale ipotesi ottenuto il necessario ampio consenso, essa non è conseguentemente mai stata formalizzata dal relatore in formale proposta emendativa.

Venendo all'illustrazione dell'articolato in questa materia, il testo approvato prevede anzitutto due Consigli superiori della magistratura, uno per quella ordinaria ed uno per quella amministrativa (previsti originariamente in due distinti articoli, e poi unificati nell'unico articolo 120 nella fase di coordinamento finale del testo). Per il Consiglio superiore della magistratura ordinaria è prevista una suddivisione in due sezioni (una per i magistrati giudicanti ed una per quelli del pubblico ministero), è previsto che ciascuna sezione sia eletta per tre quinti dai magistrati (rispettivamente giudici e pubblici ministeri) e per due quinti dal Senato della Repubblica, e che il Ministro della giustizia possa partecipare alle relative sedute senza diritto di voto e con facoltà di avanzare proposte e richieste. Il diverso numero dei componenti di ciascuna sezione è rinviato alla determinazione della legge.

Va osservato che la disposizione relativa alla partecipazione alle sedute dei Consigli da parte del Ministro della giustizia si limita a costituzionalizzare quanto già previsto dalla legislazione ordinaria. La diversa proporzione tra i componenti "togati" e "laici", da una parte, rappresenta un punto di equilibrio tra le diverse e contrapposte proposte dei vari gruppi sulla questione della composizione dei Consigli e, dall'altra, consente una più efficace dialettica tra esponenti di istanze istituzionali comunque coinvolte nella vita della giustizia, anche tenendo conto della provenienza professionale (docenti universitari in materie giuridiche ed avvocati con almeno quindici anni di esercizio) dei componenti di nomina da parte del Parlamento (rectius, da parte del Senato della Repubblica), che è espressione della sovranità popolare.

Va rilevato, inoltre, che il testo approvato mantiene comunque una netta prevalenza dei componenti eletti da parte della magistratura e che i paventati rischi  di una eccessiva "politicizzazione" dei Consigli non dipendono tanto da un modesto incremento della componente "laica" di nomina parlamentare, quanto piuttosto, e nella maggior parte dei casi, dalla esasperata politicizzazione interna e nei reciproci rapporti tra le varie correnti della magistratura, favorita anche dal particolare sistema elettorale attualmente vigente.

Per quanto riguarda, in modo specifico, la questione dell'organo cui affidare le competenze in materia disciplinare nei confronti dei magistrati, il testo approvato dalla Commissione prevede l'istituzione della Corte di giustizia della magistratura, con l'inserimento in Costituzione del nuovo articolo 122.

L'istituzione di tale organo, che trae la sua legittimazione dagli stessi organi di governo autonomo della magistratura (in quanto i componenti sono designati con elezione di secondo grado e non possono partecipare ad altra attività dei rispettivi Consiglio di provenienza), assicura una più ampia coerenza al sistema già delineato dalla Costituzione vigente e fornisce maggiori garanzie circa il corretto esercizio di questa particolare e delicatissima giurisdizione. L'istituzione della Corte di giustizia della magistratura consente, inoltre, di individuare una valida soluzione al problema dell'impugnazione dei provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli della magistratura ordinaria e amministrativa.

Il quadro di riferimento delle disposizioni costituzionali in materia è completato dall'articolo 123, che attribuisce competenza all'esercizio dell'azione disciplinare non più al Ministro della giustizia ma ad un istituendo Procuratore generale.

La vigente Costituzione, al secondo comma dell'articolo 107, attribuisce al Ministro della giustizia la facoltà di promuovere l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati, con disposizione che si inserisce nella complessiva determinazione dei poteri del Ministro, peraltro ora più organicamente disciplinati all'articolo 128 del testo approvato dalla Commissione.

La legge ordinaria istitutiva del Consiglio superiore della magistratura ha tuttavia ripartito la competenza in materia di azione disciplinare tra Ministro e Procuratore generale presso la Corte di cassazione, stabilendo che questi è titolare degli atti anche quando l'azione è promossa dal Ministro e che quest'ultimo opera attraverso la Procura generale della Cassazione.

Tale disciplina, oltre che ad una commistione di funzioni e ad una certa confusione nella definizione dei ruoli e della natura degli organi che intervengono nel procedimento - si pensi, ad esempio, alla posizione della Procura generale, che per più versi potrebbe nei casi in esame essere considerata strumento del potere esecutivo -, ha dato origine a più di una perplessità circa la stessa coerenza della normativa ordinaria vigente rispetto al dettato costituzionale.

Anche a tacere del fatto che delle competenze del Procuratore generale della Corte di cassazione in materia di azione disciplinare non vi è traccia nella Costituzione, tale organo è comunque membro di diritto del Consiglio superiore della magistratura e concorre, quindi, alla definizione del governo autonomo dell'ordine giudiziario. Al contempo, tuttavia, la Procura generale viene chiamata ad assumere iniziative che determinano l'esercizio di quello stesso governo autonomo, configurando una possibile e conseguente carenza di terzietà, con tutto ciò che questo comporta. Va ricordato al riguardo, invece, che, in relazione agli articoli 120 e 122 del testo approvato, il Ministro della giustizia non è membro di diritto dei Consigli superiori e neanche della Corte di giustizia della magistratura, alla quale ultima neppure partecipa.

Nel corso del dibattito è stata quindi prospettata l'ipotesi, peraltro già avanzata in sede di Assemblea costituente, di porre la titolarità all'esercizio dell'azione disciplinare in capo ad un organo appositamente costituito, connotato in maniera tale da assicurarne l'indipendenza e l'autonomia. La nomina del Procuratore generale per l'azione disciplinare è stata  prospettata in modo tale da garantire che sia espressione di un ampio consenso, al fine di non far sorgere neanche il sospetto che funzioni così delicate possano essere affidate a soggetti sospetti di parzialità.

L'articolo 123 del testo approvato dalla Commissione, come accennato, recepisce tali indicazioni e prevede, oltre all'istituzione di un apposito Procuratore generale, l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione disciplinare.

Le disposizioni approvate prevedono che il Procuratore generale sia eletto dal Senato della Repubblica, a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, tra coloro che hanno i requisiti per la nomina a giudice della Corte costituzionale, e che goda della garanzia dell'indipendenza da ogni potere. Al fine di assicurare l'imparzialità dell'organo è previsto un rigoroso regime di incompatibilità (l'ufficio in questione è incompatibile con qualsiasi altra carica o professione), la non rieleggibilità della persona eletta (per quattro anni) e l'incompatibilità anche per i successivi quattro anni con qualsiasi carica pubblica.

La titolarità dell'azione disciplinare è posta in capo al Procuratore generale in via esclusiva e viene esercitata d'ufficio. È sembrato tuttavia opportuno mantenere una facoltà di richiesta da parte sia del Ministro della giustizia, sia del Procuratore generale della Corte di cassazione sia, infine, dei Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa. Questi quattro organi possono in tal modo non solo supplire ad eventuali inerzie del Procuratore, ma anche concorrere alla definizione di un circuito istituzionale, nel quale ciascuna istanza è chiamata a partecipare nell'ambito dei poteri che gli sono propri.

Anche a tal fine è previsto che il Procuratore generale riferisca annualmente alle Camere sull'esercizio dell'azione disciplinare. Al riguardo desidero precisare che si è preferito attribuire al Procuratore generale, anzichè al Ministro della giustizia, tale compito di riferire annualmente in materia alle Camere, in quanto si tratta di attribuzioni proprie e in considerazione della natura stessa dell'organo istituendo, che non ha alcun collegamento a livello istituzionale con l'esecutivo.

In estrema sintesi, e con un valore meramente esemplificativo, si può in sostanza dire che nel sistema delineato, nel testo approvato dalla Commissione, al Procuratore generale è affidato in materia disciplinare un ruolo analogo a quello del pubblico ministero, ed alla Corte di giustizia della magistratura un ruolo analogo a quello del giudice.

Nel sistema costituzionale, dopo le disposizioni sulla composizione dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa, sono previste quelle sulle competenze di tali organi.

Il Comitato sul sistema delle garanzie aveva lungamente discusso, con riferimento all'articolo 121 del testo poi approvato dalla Commissione, corrispondente all'articolo 105 del testo della Costituzione vigente, sul modo più efficace per assicurare che le funzioni amministrative affidate ai Consigli superiori mantengano tale natura, con particolare riferimento critico alle funzioni paranormative cui ho prima accennato.

L'approvazione del quarto comma dell'articolo 120, in base al quale il Consiglio superiore della magistratura ordinaria si compone di una sezione per i giudici e di una sezione per i magistrati del pubblico ministero - unitamente alla soppressione in tale comma dell'inciso per effetto del quale sarebbe stata la legge a stabilire funzioni e competenze delle sezioni riunite, e alle ulteriori considerazioni svolte nel corso del dibattito - ha tuttavia consigliato una più precisa ed analitica riscrittura dell'articolo 121.

L'articolo 121, infatti, nel testo approvato dalla Commissione, si compone di due commi: il primo dedicato alle funzioni amministrative delle sezioni riunite del Consiglio superiore della magistratura ordinaria e del Consiglio superiore della magistratura amministrativa, ed il secondo che fa particolare riferimento alle competenze delle due sezioni del Consiglio superiore della magistratura ordinaria.

Tali funzioni e competenze sono nominativamente ed analiticamente indicate dalle disposizioni in esame. Desidero tuttavia sottolineare - anche in relazione ai compiti affidati al Ministro della giustizia in ordine alla comune formazione propedeutica degli operatori del diritto - che l'aggiornamento professionale di tutti i magistrati è posto in capo agli organi di governo autonomo dell'ordine; né, ragionevolmente, potrebbe individuarsi una soluzione alternativa.

Per quanto riguarda la possibilità accordata a tali organi di esprimere pareri sui disegni di legge di iniziativa del Governo prima della loro presentazione alle Camere, su richiesta del Ministro della giustizia, occorre segnalare che analoga facoltà è attualmente prevista dalla legislazione ordinaria per il CSM. L'inciso che limita tale possibilità alla fase precedente alla presentazione alle Camere è sembrato necessario per evitare interferenze con l'attività legislativa del Parlamento, in quanto pareri difformi, espressi nell'ambito di una facoltà prevista dalla Costituzione, potrebbero, nel migliore dei casi, determinare situazioni di imbarazzo, se non, peggio, di conflitto e confusione interistituzionale.

D'altro canto, sembra altresì necessario un qualche ulteriore approfondimento, e una più puntuale specificazione, circa l'attribuzione di pari facoltà al Consiglio superiore della magistratura amministrativa, anche in relazione alle attribuzioni consultive che sono proprie del Consiglio di Stato, come delineato nel testo approvato dalla Commissione all'articolo 113.

5.4.3. Altre disposizioni in materia di giustizia.

L'articolo 108, primo comma, della Costituzione vigente riserva alla legge la disciplina dell'ordinamento giudiziario e di ogni magistratura.

La Costituzione vigente fa più volte espresso riferimento all'ordinamento giudiziario, in particolare agli articoli 102, primo comma, 105, primo comma, 106, secondo comma, 107, quarto comma, e alla VII disposizione transitoria. In sede di Assemblea costituente, peraltro, furono avanzate proposte per attribuire valore costituzionale alle leggi che regolano l'ordinamento degli uffici giudiziari e lo stato giuridico dei magistrati e degli altri addetti all'ordine giudiziario (Calamandrei), per qualificare come norma costituzionale la legge di ordinamento giudiziario (Leone) e per prevedere che le leggi in materia avrebbero dovuto essere approvate a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere (Uberti-Bozzi).

Il complesso delle citate disposizioni costituzionali ha posto una serie di problemi, sostanzialmente riconducibili sia alla posizione nel sistema delle fonti della legge sull'ordinamento giudiziario, sia alla latitudine della riserva di legge prevista dall'articolo 108, primo comma, sia, inoltre, con riferimento alla VII disposizione transitoria, alla possibilità di ultrattività dell'ordinamento giudiziario previgente (problema, quest'ultimo, di non poco momento in relazione alle tematiche dell'unità funzionale della giurisdizione).

Al riguardo è necessario ricordare che già il termine di ordinamento giudiziario ha, nel nostro ordinamento, una genesi storicamente ben definita, in quanto con tale titolo sono state successivamente denominate le leggi che, nel corso del tempo, hanno sistematicamente disciplinato, strutturandola di volta in volta secondo un modello ben preciso, l'organizzazione giudiziaria. Si tratta, del regio decreto 6 dicembre 1865, n.2626, del regio decreto 30 dicembre 1923, n.2786, e, infine, del regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, il quale, sia pure più volte significativamente modificato, costituisce tuttora la vigente normativa in tema di ordinamento giudiziario.

D'altra parte, tutto ciò, con riguardo al sistema delle fonti, e quindi alla prima delle problematiche accennate, non implica che alla legge sull'ordinamento giudiziario debba essere attribuita una posizione particolare, come ha anche precisato la Corte costituzionale, in specie con la sentenza n.184 del 1974. Secondo tale  sentenza, infatti, i richiami testuali all'ordinamento giudiziario contenuti nella Costituzione non determinano una posizione differenziata delle relative norme, le quali, pertanto, sono modificabili in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, con legge ordinaria.

Per quanto riguarda, invece, la questione relativa alla portata della riserva di legge prevista dall'articolo 108, primo comma, della Costituzione vigente, occorre anzitutto sottolineare che si tratta di una riserva di legge statale, come già affermato da una delle prime sentenze della Corte costituzionale, la n.4 del 1956. Secondo questa sentenza, tale esclusione si desume dal sistema adottato dal Costituente di procedere per materie determinate ad un decentramento istituzionale nel campo legislativo ed amministrativo in favore dell'ente Regione, escludendo tuttavia dal decentramento tutto il settore giudiziario. Veniva così dettato uno di quei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato che costituiscono limiti insuperabili all'esercizio della potestà legislativa delle Regioni, orientamento peraltro successivamente confermato dalla più recente sentenza n.43 del 1982. Questi princìpi sono stati esplicitamente confermati anche nel testo approvato dalla Commissione in materia di forma di Stato (articolo 58, primo comma, lettera p) e in materia di Parlamento e fonti normative (articolo 90, secondo comma, lettera f).

In materia, tuttavia, i lavori svolti dal Comitato sul sistema delle garanzie si sono incentrati su un altro aspetto, ben più problematico, connesso alla riserva di legge in argomento, e già affrontato dalle precedenti Commissioni per le riforme istituzionali (in particolare da quella presieduta dall'onorevole Bozzi).

Si tratta del problema della coerenza tra la prevista riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario e una prassi, alla quale si è già accennato in precedenza, attraverso la quale il Consiglio superiore della magistratura, per effetto dell'emanazione di una serie di atti atipici, ha in sostanza strutturato un vero e proprio corpus iuris, sovente non solo interpretativo, ma addirittura integrativo della vigente legislazione in materia.

È necessario quindi definire una prospettiva di riforma dei rapporti istituzionali, nell'ambito della quale ogni soggetto svolga i propri compiti in un quadro di competenze ben definite, il cui corretto esercizio contribuisca alla funzionalità complessiva del sistema. Un assetto istituzionale garantisce la tenuta reale della democrazia solo nel momento in cui gli attori delle vicende politico-istituzionali interpretano i rispettivi ruoli - certo, con il grado di elasticità necessario per adeguarli alle varie e mutevoli situazioni e contingenze, anche storiche - con piena coscienza non solo del significato della propria funzione, ma anche delle relazioni che il corrispettivo esercizio implica.

In caso contrario, infatti, nasce la pericolosa tendenza a legittimare, e, talvolta, ad autolegittimare, funzioni di supplenza, che poi indebitamente si cristallizzano, provocando in ultima analisi la definizione per via surrettizia di un nuovo quadro istituzionale, privo tuttavia di qualunque legittimazione costituzionale.

Le problematiche connesse all'articolo 108 (corrispondente all'articolo 126 del testo approvato dalla Commissione), come del resto anche le altre, vanno affrontate alla luce di tali princìpi, prevedendo che la riserva di legge in materia di ordinamenti giudiziari debba essere intesa nel senso più stringente, senza lasciar spazio ad interpretazioni che, in sostanza, si risolvono nello svuotamento della riserva stessa e in uno spostamento surrettizio di competenze, il quale si rifletterebbe anche sulla reale forma di governo.

Di conseguenza, nel testo approvato del primo comma dell'articolo 126, viene introdotta una modifica al primo comma dell'articolo 108 vigente, anzitutto nel senso di effettuare anche in tema di ordinamento giudiziario una assoluta equiparazione tra magistratura ordinaria ed amministrativa, ma anche disponendo che le norme sugli ordinamenti giudiziari sono stabilite "esclusivamente" con legge, con una formulazione già proposta dalla Commissione Bozzi nella IX Legislatura.

Per concludere l'esame dell'articolo 126, deve solo riferirsi che il secondo comma è stato modificato come conseguenza della soppressione della possibilità di istituire giudici speciali, sicchè la garanzia di indipendenza ivi prevista è ora posta solo in capo agli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia, e non più anche ai giudici delle giurisdizioni speciali ed al pubblico ministero presso di esse.

Nel vigente sistema costituzionale, l'articolo 109 rappresenta una sorta di norma cerniera tra le disposizioni sull'ordinamento giurisdizionale e quelle sulle competenze del Ministro della giustizia. La collocazione sistematica di tale articolo, secondo il quale l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, è sintomatica dei problemi che esso sottintende, collocato com'è in una zona di confine tra giurisdizione ed amministrazione. La polizia giudiziaria (ossia l'attività di polizia, non preventiva, avente finalità specifiche di reintegrazione del diritto già violato, di regola preordinata all'esercizio della giurisdizione penale) è infatti funzionalmente dipendente dall'autorità giudiziaria, ma gerarchicamente dal potere esecutivo.

In materia l'Assemblea costituente non approvò un iniziale orientamento diretto a creare uno speciale corpo di polizia alle dirette dipendenze dell'autorità giudiziaria (soprattutto sulla scorta di difficoltà di carattere finanziario), limitandosi ad accentuare il profilo di dipendenza funzionale che, non considerato in alcun modo dallo Statuto del 1848, era stato adombrato dall'articolo 220 del codice di procedura penale del 1930, senza che tuttavia fosse instaurato alcun rapporto gerarchico o disciplinare tra magistratura ed organi di polizia.

Il Comitato sul sistema delle garanzie aveva discusso a lungo dell'opportunità di modificare l'articolo 109, ritenendosi che si dovessero in qualche misura precisare i soggetti che possono disporre della polizia giudiziaria e le relative modalità, secondo quanto era previsto, peraltro, da alcuni dei progetti e disegni di legge assegnati alla Commissione. Su tale disposizione non si era tuttavia registrata una opinione concorde o prevalente, sicché si ritenne preferibile, da ultimo, nel testo approvato in giugno, lasciare inalterata la norma vigente. L'articolo 109 vigente (che nel testo approvato dalla Commissione corrisponde all'articolo 127), copre comunque tutte le ipotesi di possibile utilizzazione della polizia giudiziaria da parte della magistratura, e in definitiva, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n.194 del 1963 e n.114 del 1968, non determina alcuna collisione tra il rapporto di dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dalla magistratura e il rapporto di dipendenza burocratico e disciplinare in cui questa si trova, invece, con l'esecutivo. In relazione a questo articolo, d'altra parte, erano stati presentati da vari gruppi emendamenti di specificazione delle modalità dell'utilizzo della polizia giudiziaria da parte dei diversi organi componenti l'autorità giudiziaria. Sulla scorta di tali istanze è stato quindi approvato un nuovo testo dell'articolo in esame, che aggiunge al vigente testo costituzionale un periodo, secondo il quale è affidato alla legge il compito di stabilire le modalità con le quali l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.

L'articolo 110 della Costituzione vigente prevede che, ferme restando le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Tale disposizione trova origine da un complesso dibattito, già in parte illustrato, svoltosi in Assemblea costituente sul ruolo, le competenze, il significato e la stessa sopravvivenza della figura del Ministro della giustizia nel nuovo quadro disegnato dalla Carta costituzionale, con particolare riferimento ai compiti affidati al Consiglio superiore della magistratura. In definitiva, tale norma configura l'attività di competenza dell'esecutivo, nella materia in esame, come attività strumentale all'esercizio di quella giudiziaria, ferme restando le competenze dell'amministrazione  in materie connesse ma, per qualche verso, residuali.

Proprio in tale prospettiva, il testo dell'articolo 128 (corrispondente al testo dell'articolo 110 della Costituzione vigente), approvato dalla Commissione, specifica più dettagliatamente le competenze spettanti al Ministro della giustizia, sottraendogli tuttavia la facoltà di promuovere l'azione disciplinare, in quanto attribuita al nuovo Procuratore generale, che la esercita d'ufficio.

La norma approvata stabilisce che il Ministro provvede alla organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, oltre che, come già accennato, a promuovere la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi, e prevede inoltre esplicitamente che il Ministro esercita la funzione ispettiva sul corretto funzionamento degli uffici giudiziari (competenza, quest'ultima, che è già attualmente in capo al Ministro, ma che non gli è espressamente attribuita dalla Costituzione vigente).

Riguardo tale disposizione, va ricordato che una prima stesura della norma prevedeva che il Ministro "assicura" (e non "promuove") la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi. La diversa formulazione della disposizione, come approvata già in giugno, raccoglie indicazioni e obiezioni emerse prima nel corso dei lavori del Comitato sul sistema delle garanzie e poi in quelli della Commissione, ed è suscettibile di configurare e, per più versi prefigurare, la partecipazione di altre istituzioni, e, in particolare, delle Università, a tale attività di formazione.

5.5. Norme sulla giurisdizione.

5.5.1. I principi del processo e i principi del procedimento penale.

Cominciando l'illustrazione delle disposizioni contenute nella sezione II ("Norme sulla giurisdizione"), desidero richiamare particolarmente l'attenzione sul contenuto degli articoli 129 e 130.

Ritengo, infatti, che le disposizioni recate da questi due articoli costituiscano uno dei punti più qualificanti della complessiva riforma del sistema della giustizia, suscettibile in alto grado di favorire quel processo di avvicinamento tra i cittadini ed il sistema giudiziario cui accennavo all'inizio della mia relazione.

Le norme in questione, che successivamente illustrerò analiticamente, traggono origine dal lavoro del Comitato sul sistema delle garanzie, nel quale esse hanno trovato una prima elaborazione sulla base delle iniziative legislative iscritte all'ordine del giorno della Commissione.

Nel testo approvato in giugno dalla Commissione, gran parte delle disposizioni contenute dai due articoli in esame era recato dagli articoli 117 (al terzo, quarto e quinto comma) e 131 (terzo, quarto e quinto comma). Peraltro erano stati avanzati fondati rilievi circa l'opportunità di una loro migliore collocazione sistematica, sicchè il relatore, in una nuova elaborazione del testo, ha ritenuto opportuno, come lo ha poi ritenuto anche la Commissione, di introdurre due nuovi articoli di ancor più ampia portata in apertura della sezione dedicata alle norme sulla giurisdizione.

Il primo comma dell'articolo 129 prevede che le norme penali tutelano beni di rilevanza costituzionale. Il secondo comma del medesimo articolo prevede che non è punibile chi ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una concreta offensività.

Si tratta di disposizioni tra loro intimamente connesse, dirette in sostanza a costituzionalizzare quei principi che, con estrema sintesi, si è soliti definire con la formula "diritto penale minimo" e che recepiscono una importante linea di pensiero della dottrina penalistica, risalente storicamente all'illuminismo e, in particolare, a Beccaria in Italia (secondo il quale "chi dichiara infami azioni per sè indifferenti sminuisce l'infamia delle azioni  che sono veramente tali"), a Montesquieu ("le leggi inutili affievoliscono le leggi necessarie") e Condorcet ("un torto leggero non può essere l'oggetto delle leggi criminali") in Francia, a Pufendorf e Thomasius in Germania e a Bentham (che si pronunciò contro "le violazioni futili e puerili") in Inghilterra.

Alla base del paradigma assiologico del diritto penale minimo è la considerazione secondo la quale, tenuto conto che la sanzione penale è quella più drastica prevista dall'ordinamento (si tratta, infatti, in sostanza della privazione della libertà personale, a tacere degli ordinamenti che prevedono anche la soppressione fisica del reo), essa deve essere irrogata come extrema ratio.

In tale ottica è tuttavia necessario definire un parametro, alla stregua del quale il legislatore penale possa non solo adeguare l'entità della sanzione, ma, ancor prima, individuare le caratteristiche del bene da sottoporre a tutela, al fine della valutazione del disvalore da attribuire all'atto lesivo e di di apprestare un adeguato bilanciamento degli interessi da regolare. Nel corso dei secoli, tuttavia, la dottrina si è lungamente affannata per definire con chiarezza il concetto di bene giuridico, giungendo in definitiva, e in estrema sintesi, alla conclusione che si tratta si un concetto essenzialmente dinamico, da rapportare all'evoluzione della società.

Si è ritenuto quindi opportuno connettere, con la disposizione recata dal primo comma, tale nozione con i valori consacrati dalla Carta fondamentale che regola la convivenza sociale, in modo tale da fornire al legislatore un preciso punto di riferimento, ad un tempo assai chiaro e sufficentemente dinamico per individuare i valori la cui offesa deve essere punita con con la sanzione penale. Il principio recato dal secondo comma, invece, è rivolto alla giurisdizione, per escludere che comportamenti astrattamente puniti come reato, ma privi di evento dannoso o di pericolo socialmente apprezzabile, siano assoggettati a sanzione penale.

Il terzo comma dell'articolo 129 prevede che le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo.

Al riguardo, è necessario osservare che il divieto di interpretazione analogica ed estensiva in materia penale non è oggi (quantomeno) espressamente previsto dalla Costituzione, sebbene l'opinione prevalente, ma non unanime, in dottrina - con riferimento, in verità, alla sola interpretazione analogica - lo ritenga compreso nel principio di legalità previsto al comma secondo dell'articolo 25, per effetto del quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

È noto, peraltro, che il divieto di analogia è già previsto dall'articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al codice civile, secondo il quale le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati.

Tale divieto oggi può tuttavia essere violato da comportamenti interpretativi dei singoli giudici. Una violazione da parte del legislatore può avere luogo solo nell'ipotesi, invero non molto credibile, di leggi ordinarie che volessero ammettere l'analogia in relazione all'applicazione di particolari norme penali. Queste considerazioni valgono, a maggior ragione, in ordine all'eventuale divieto di interpretazione estensiva.

Riguardo quest'ultima questione, tuttavia, si deve far presente che, in alcune sentenze della Corte costituzionale, mentre da un lato sembra confermata in via interpretativa la asserita costituzionalizzazione del divieto di analogia, dall'altro sembra però consentito il ricorso all'interpretazione estensiva nella parte in cui con tali sentenze è stata ritenuta la costituzionalità di disposizioni recanti indicazioni estensive, ossia di indicazioni con le quali si assegna all'interprete il compito di attuare il procedimento ordinario di interpretazione, anche se diretto ad operare l'inserzione di un caso in una fattispecie. La Corte ha infatti argomentato  che, in questi casi, si tratterebbe di operazione diversa dall'applicazione analogica e che quindi non sarebbe ricompresa nell'ambito del divieto di analogia di cui al secondo comma dell'articolo 25 (v. le sentenze n.79 del 1982 e, meno recenti, n.120 del 1965 e n.27 del 1961).

Considerata tale situazione, la Commissione ha approvato la proposta che, nella sede delle disposizioni dedicate alla giurisdizione, si chiariscano le implicazioni connesse all'applicazione delle norme penali, sempre nell'ottica di semplificazione della legislazione penale e di chiarezza nei rapporti tra magistratura e cittadino, il quale deve ben conoscere a quali comportamenti la legge, e solo la legge, attribuisce un disvalore tale da ritenerli meritevoli di sanzione penale.

Peraltro, non sembra potersi sostenere che l'espressa previsione in Costituzione del divieto di interpretazione estensiva vieti anche tale modalità di interpretazione in ordine alle norme cosiddette di favore, in quanto, seguendo l'insegnamento della miglior dottrina, già il divieto di analogia è circoscritto alle norme che operano in malam partem (ossia aggravando la posizione dell'imputato), e non si estende a quelle di favore, in quanto tale divieto è posto in funzione di garanzia dell'individuo e non in funzione di certezza dell'ordinamento. Si deve quindi ritenere che tale ragionamento valga a maggior ragione in ordine all'interpretazione estensiva e che, conseguentemente, il relativo divieto non si applichi alle norme di favore.

Il quarto comma dell'articolo 129 prevede che nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui si riferiscono.

Tale disposizione introduce quindi nella Costituzione il principio della "riserva di codice", con lo scopo di porre rimedio all'effetto perverso determinato dall'inflazione legislativa in materia penale, a causa della quale, di fatto, l'obbligo di conoscenza di tali disposizioni posto in capo a tutti i cittadini dall'articolo 5 del codice penale (secondo il quale nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale) è obbligo del quale non si può ragionevolmente pretendere l'adempimento.

La razionalizzazione della tecnica legislativa, in forza dell'imposizione di un vincolo costituzionale al legislatore, facilitando la conoscibilità delle disposizioni penali, costituirà quindi una garanzia per il cittadino e, al contempo e conseguentemente, meglio assicurerà l'applicazione della stessa legge penale, senza che ne possa essere invocata in alcun caso l'ignoranza.

La portata e le implicazioni, anche relative alla tecnica legislativa, determinate dalla introduzione del principio della riserva di codice nel testo della Costituzione sono del tutto evidenti. È peraltro del tutto evidente anche la necessità di porre mano ad un riorganizzazione della legislazione penale al fine di adeguarla all'esposto criterio costituzionale, dal momento che l'obbligo della riserva di codice è imposto solo al futuro legislatore.

Conseguentemente era stata approvata una disposizione transitoria che prevedeva, al primo comma, che la disposizione in esame si applica a decorrere dal quarto anno successivo a quello dell'entrata in vigore della legge di revisione costituzionale e, al secondo comma, che entro tre anni dalla medesima data sono emanate leggi per l'attuazione del principio della riserva di codice. Come già più volte ricordato, nella seduta del 4 novembre, al termine del coordinamento formale del testo, la Commissione ha ritenuto tuttavia di non confermare in questa fase tutte le disposizioni transitorie fino allora approvate, la cui definizione e il cui esame sono stati demandati alla fase conclusiva della prima lettura del progetto costituzionale da parte della Camera.

Il primo comma dell'articolo 130 enuncia i principi e le caratteristiche del processo (di ogni processo). È previsto che la giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, ispirati ai principi dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza, che ogni processo si  svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti a giudice terzo e che la legge ne assicura la ragionevole durata.

Il comma in esame rappresenta, a mio avviso, uno delle norme cardine dell'intero processo di riforma del sistema della giustizia, e reca delle disposizioni suscettibili di far evolvere positivamente quel problematico rapporto tra cittadini e giustizia, e, più in generale, istituzioni, cui ho più volte fatto riferimento.

Da un lato, sono individuate delle caratteristiche generali ed indefettibili di ogni processo (contraddittorio, parità delle parti, terzietà del giudice), che è tanto il luogo nel quale, quanto il mezzo attraverso cui si attua la giurisdizione. Dall'altro, sono fornite al legislatore precise indicazioni (assicurare una ragionevole durata dei processi) unitamente alla individuazione dei principali strumenti per raggiungere tale obiettivo (oralità, concentrazione ed immediatezza).

Non è necessario spendere molte parole per sottolineare che quello di consentire una ragionevole durata dei processi è un obiettivo di civiltà, il cui conseguimento dovrebbe essere scontato in uno Stato moderno. Troppo spesso, invece, in Italia azionare un diritto significa rinunciarvi: di fatto, una sentenza che giunge dopo anni, se non dopo decenni - e non è un'esagerazione -, non è mai una sentenza giusta. È sempre, invece, una sentenza che produce sfiducia nella istituzioni, allontana i cittadini dalla giustizia, favorisce il ricorso a modalità alternative di risoluzione delle controversie, che non sempre rientrano nella legalità e che anzi, talora, aprono varchi all'inserimento di intermediazioni da parte della criminalità.

I principi processuali individuati nel comma in esame come ispiratori del legislatore ordinario - al quale, peraltro, nulla vieta di utilizzare altri strumenti per favorire la risoluzione delle controversie in tempi ragionevoli - possono, in estrema sintesi, essere così individuati: la trattazione della causa tendenzialmente (ancorchè non esclusivamente) in forma orale (oralità), in unico periodo, ossia in unica udienza o in poche udienze ravvicinate (concentrazione), e con un rapporto diretto tra il giudice e la persona della quale il giudice stesso deve valutare le dichiarazioni (immediatezza).

Desidero soffermarmi in particolare sul principio dell'oralità, in quanto diversi emendamenti erano diretti a ricondurre lo stesso esclusivamente nell'ambito del processo penale. Al riguardo, devo anzitutto osservare che già una integrale riconduzione del rito penale al principio dell'oralità susciterebbe non poche perplessità e difficoltà in ordine alla disciplina dei riti abbreviati e far inoltre presente che la norma in esame rappresenta una indicazione al legislatore e non certo un principio cui adeguare integralmente la disciplina del processo, sicchè l'oralità, unitamente agli altri principi della concentrazione e della immediatezza, individua una delle linee guida , cui accennavo all'inizio di questa parte della mia relazione, per il legislatore ordinario nella materia processuale.

Bisogna inoltre chiarire definitivamente che la contrapposizione oralità-scrittura è una falsa contrapposizione. Esemplificando, già nella vigente disciplina del rito civile è previsto che l'oralità caratterizza il modo della trattazione, articolo 180 c.p.c., o della discussione, articolo 429 c.p.c., ed appartiene al regime formale degli atti del processo. Non si parla, quindi, di oralità in senso stretto, esclusiva o alternativa rispetto alla trattazione scritta.

Un altro equivoco da fugare è quello tra oralità e pubblicità, che sono nozioni ben distinte tra loro. Anche nei procedimenti in camera di consiglio, ad esempio, l'assenza di pubblicità non implica che non ci sia o non ci possa essere oralità.

Il principio in esame non è quindi limitato alla disciplina formale degli atti del processo, ma ha un significato preciso quale modello astratto che domina dall'inizio del secolo i dibattiti sulle riforme processuali, in Italia e non solo.

Storicamente il processo orale ha trovato la sua realizzazione ed applicazione  in periodi di civiltà giuridica più raffinata. Il processo romano era orale, e l'abbandono dell'oralità avvenne con il processo di tipo germanico e sotto l'influsso del carattere formale della prova (principio della prova legale), in contrasto con quello, peraltro attualmente vigente nel nostro ordinamento, del libero convincimento del giudice.

L'idea dell'oralità del processo ha inoltre ripreso piede già nel secolo scorso in molti ordinamenti (in particolare in quelli francese e tedesco), sebbene il codice di rito italiano del 1865 realizzasse principalmente un processo scritto. Il nuovo codice di procedura civile del 1940, principalmente sotto l'impulso della scuola facente capo a Giuseppe Chiovenda e dopo decenni di dibattiti in dottrina, accolse tuttavia una concezione del tutto opposta e tentò di introdurre nel codice il principio dell'oralità. Le condizioni drammatiche dell'epoca di emanazione e le istanze pressanti dei «pratici» condussero tuttavia ad una controriforma, che attenuò fortemente tali elementi innovativi, con particolare riguardo al regime delle preclusioni (L. 581/1950), riveduto poi dal legislatore del 1990.

La più accorta dottrina, tuttavia, ha sempre spinto nel senso della realizzazione di un processo orale (vedi gli esiti della Commissione Liebman che redasse un progetto di riforma del II libro del codice di rito, presentato nel 1975 e 1977, esiti che si concretizzarono in un disegno di legge delega presentato nel 1981), seguita peraltro (sebbene parzialmente) anche dal legislatore che ha introdotto notevoli elementi di oralità nel nuovo processo del lavoro (L. 533/1973): processo che non a caso dura molto meno di quelli celebrati col rito ordinario, sebbene la crisi della giustizia civile non abbia certo risparmiato anche il processo del lavoro.

Va ricordata inoltre la già accennata legge di riforma del codice di rito (L. 353/1990), che ha operato principalmente sul regime delle preclusioni, con una significativa applicazione del principio della concentrazione, il quale opera, appunto, sulle preclusioni. Vorrei, inoltre, sottolineare che la più incisiva riforma effettuata in Europa negli ultimi tempi (dalla Repubblica federale di Germania nel 1977) ha sostanzialmente preso le mosse proprio dagli accennati assunti chiovendiani.

Per quanto riguarda la posizione costituzionale dei principi recati dal primo comma dell'articolo 130, si è osservato in dottrina che essi sono pienamente coerenti all'idea di fondo che ispira l'orientamento della vigente Costituzione in materia processuale: ossia l'idea di un processo il più rapido possibile e idoneo al contempo a consentire concretamente alle parti di difendere i loro diritti in un contraddittorio effettivo e diretto.

Si tratta tuttavia di principi oggi riconducibili solo indirettamente al dettato costituzionale, e la cui previsione espressa rappresenterebbe un dato estremamente qualificante e significativo della riforma del sistema della giustizia, delineata nel testo approvato dalla Commissione ed ora all'attenzione delle Camere.

Sempre all'articolo 130, al secondo comma, il testo approvato dalla Commissione recepisce le proposte di costituzionalizzazione dei diritti della difesa nell'ambito dell'intero procedimento penale, secondo quanto previsto dall'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Per quanto riguarda in maniera specifica tale disposizione, occorre ricordare che le relative norme sono già vigenti nel nostro ordinamento per effetto del recepimento della citata Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n.848. Tuttavia è chiaro il significato che assume non solo in termini simbolici, ma anche come ricaduta sull'attività legislativa ordinaria e come parametro per il vaglio di costituzionalità delle disposizioni oggi vigenti, la costituzionalizzazione dei princìpi espressi dalla norma in esame.

Mi sembra peraltro opportuno cercare di chiarire i rapporti e le connessioni tra  il primo e il secondo comma dell'articolo 130, onde evitare incertezze circa il loro significato e l'effettiva portata della loro applicazione.

È necessario in primo luogo precisare che il primo comma è relativo al processo - e, come si è visto, ad ogni genere di processo -, mentre il secondo comma afferisce al procedimento, e solo a quello penale. In estrema sintesi, il primo comma postula la presenza di un giudice, mentre il secondo presuppone un rapporto tra persona accusata di un fatto ed organo inquirente. Con maggior precisione, e sempre al fine di chiarire i rapporti tra i due commi in esame, occorre tener presente che l'imputazione è la linea di confine, marcata con grande nettezza nel codice di procedura penale, tra il procedimento penale, nel quale trovano posto le attività della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, ed il processo. Il procedimento esaurisce la sua funzione con l'imputazione, che determina l'apertura del processo. D'altro canto è la presenza del giudice che rende processo il procedimento; anche le udienze innanzi al giudice delle indagini preliminari sono processo.

Desidero infine sottolineare che la formulazione approvata dalla Commissione salvaguarda pienamente i diritti della persona sottoposta alle indagini e, al contempo, permette un ordinato ed efficace svolgimento delle stesse anche nelle fasi iniziali ed in quelle coperte da segreto d'indagine. A tal fine sarà sufficiente che tutti rispettino la legge.

Continuando l'esame delle disposizioni contenute nella sezione II del nuovo Titolo VII, è necessario soffermarsi sul testo approvato dell'articolo 131, corrispondente all'articolo 111 della Costituzione vigente.

Sulla disposizione, confermata al primo comma di tale articolo, secondo la quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati, non si sono registrate proposte di modifica. Tale norma, come è ben noto, è stata letta come l'affermazione di un principio democratico di controllo generalizzato sull'amministrazione della giustizia (sebbene oggi si tenda a ritenere tale controllo assicurato anche con la pubblicità dei processi) e di applicazione del principio di legalità, ed è stata, inoltre, ritenuta strumentalmente diretta all'esercizio della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, della quale si occupa il medesimo articolo.

Il testo del comma 2 dell'articolo 111 della Costituzione vigente (corrispondente all'articolo 131, secondo comma del testo approvato) unifica le distinte ipotesi di impugnabilità in Cassazione di tutte le sentenze dei giudici ordinari e speciali, nonché quella di tutti i provvedimenti restrittivi della libertà personale, costituzionalizzando, quindi, due garanzie differenti. La prima, per usare le parole di Piero Calamandrei (che non a caso era anche contrario al decentramento della Corte di cassazione), si richiama all'unità del diritto nazionale attraverso l'uniformità della interpretazione giurisprudenziale (ed in ciò consiste la funzione nomofilattica della Cassazione). La seconda di tali garanzie, invece, intende realizzare una sorta di habeas corpus continentale, cioè una delle più grandi garanzie conquistate da un regime democratico, come fu detto proprio all'Assemblea costituente.

Tuttavia, va dato atto che è stata più volte riproposta, sia nel Comitato che nella Commissione, l'esigenza di una limitazione della ricorribilità in Cassazione contro le sentenze, in maniera tale da deflazionare l'attività di quest'organo in relazione a fattispecie di minor rilievo, ferma restando la ricorribilità contro tutti i provvedimenti sulla libertà personale.

Si tratta di una materia di grande complessità e delicatezza, rispetto alla quale il relatore, recependo talune indicazioni emerse dal dibattito, ha proposto un testo, approvato dalla Commissione, che demanda alla legge la previsione dei casi di ricorribilità in Cassazione contro le sentenze, restando sempre e comunque garantito almeno un doppio grado di giudizio. Tale ultima precisazione si è resa indispensabile, nel testo approvato nella sessione autunnale, in quanto in taluni  procedimenti non è oggi previsto un gravame di merito e, qualora il futuro legislatore dovesse escluderli dal novero dei casi ricorribili in Cassazione, il relativo giudizio si restringerebbe ad un unico grado, il che non è apparso assolutamente condivisibile.

Conviene peraltro qui nuovamente ricordare, come del resto già rilevato in precedenza, che - su proposta di alcuni membri della Commissione emersa nel dibattito - è stato soppresso l'ultimo comma dell'articolo 131 del testo approvato in giugno dalla Commissione (corrispondente all'ultimo comma dell'articolo 111 della vigente Costituzione), in base al quale il riparto della giurisdizione era costituzionalmente affidato alla Corte di cassazione.

5.5.2. L'esercizio dell'azione penale e la relazione del Ministro della giustizia.

Il dibattito nel Comitato sul sistema delle garanzie e nella Commissione si è a lungo soffermato sulla disposizione recata dall'articolo 112 della Costituzione vigente (corrispondente all'articolo 132 del testo approvato), secondo il quale il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale.

Si tratta di una tematica di grande complessità, nella quale si intersecano problematiche di equilibrio costituzionale, di garanzia dell'effettività dell'ordinamento giuridico, di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, di diritto processuale ed ordinamentale e, ancora, molteplici ed evidenti elementi di interconnessione con le problematiche relative all'indipendenza del pubblico ministero.

La stessa genesi della disposizione, nei lavori della Costituente, si è intrecciata con il problema dei rapporti del pubblico ministero con il Ministro della giustizia. In effetti, sul principio dell'obbligatorietà dell'azione penale alla Costituente si registrò un accordo unanime, e discordanza vi fu piuttosto tra chi riteneva, come Calamandrei, che ciò comportasse necessariamente l'istituzione di un pubblico ministero indipendente ed inamovibile e chi, invece, come Leone, sosteneva la non inconciliabilità del principio dell'obbligatorietà con la dipendenza dell'accusa pubblica dall'esecutivo.

D'altra parte, già in sede di Assemblea costituente si pose il problema di considerare o meno l'azione penale come di esclusiva titolarità del pubblico ministero. Si tratta del noto problema del monopolio dell'azione penale, che i costituenti intesero escludere, respingendo la formulazione che prevedeva espressamente la pubblicità dell'azione penale, proprio per dare la possibilità al legislatore ordinario di eventualmente introdurre anche forme di azione penale sussidiaria, dando così spazio nel processo alle istanze dei soggetti privati del rapporto giuridico penale.

Sul punto si è anche espressa la Corte costituzionale, secondo la quale l'ordinamento può ben prevedere azioni penali sussidiarie o concorrenti rispetto a quella obbligatoriamente esercitata dal pubblico ministero (v. le sentenze n.84 del 1979, n.114 del 1982 e n.61 del 1987). Va rilevato, tuttavia, che l'articolo 231 delle norme di attuazione del codice di procedura penale ha abrogato tutte le disposizioni che prevedevano l'esercizio dell'azione penale da parte di organi diversi dal pubblico ministero.

Al riguardo è opportuno ricordare che, comunque, alla Commissione era stato presentato un emendamento, sottoscritto da vari gruppi, tendente a costituzionalizzare il principio della attribuzione per legge ad altri soggetti dell'esercizio dell'azione penale in via sussidiaria e concorrente.

In materia di obbligatorietà dell'azione penale le posizioni dei diversi gruppi parlamentari, espresse nelle proposte e nei disegni di legge all'esame della Commissione ed emerse durante il lavoro del Comitato sul sistema delle garanzie, erano in origine particolarmente differenziate.

Unanime è stato comunque il rilievo secondo il quale l'affermato principio dell'obbligatorietà dell'azione penale in concreto, ossia nella pratica degli uffici giudiziari, subisce una serie di eccezioni,  attenuazioni e differenziazioni tali da potersi affermare senza esagerazioni che, di fatto, la discrezionalità è ormai la regola, sebbene, come affermato anche dalla Corte costituzionale (v. la sentenza n.22 del 1959) l'obbligatorietà dell'azione penale comporti l'esclusione di qualsiasi discrezionalità in ordine all'opportunità o meno del promuovimento dell'azione stessa.

È evidente, peraltro, che talune deviazioni dal principio dipendono anche da fattori fisiologici, in quanto in molti casi - direttamente ricollegabili all'attività del pubblico ministero ovvero di altri organi (come, ad esempio, la polizia giudiziaria) - il principio dell'obbligatorietà subisce interferenze che, in concreto, determinano deroghe più o meno incisive.

Resta tuttavia fermo l'affermato principio che, di fronte ad un reato, l'atteggiamento del pubblico ministero non può essere determinato se non dalla legge che gli impone di procedere, ossia di richiedere al giudice di decidere sulla fondatezza di una certa notizia di reato e sulla conseguente applicazione della legge penale.

Al riguardo mi sembra opportuno ribadire che, nel nuovo rito accusatorio, il momento di esercizio dell'azione penale è stabilito con precisione dall'articolo 405 del codice di procedura penale, in base al quale il pubblico ministero, quando non deve chiedere l'archiviazione (al giudice delle indagini preliminari), esercita l'azione penale (di fronte al giudice dell'udienza preliminare) formulando l'imputazione nei procedimenti speciali o la richiesta di rinvio a giudizio.

È quindi necessario non confondere - come talvolta accade, anche per effetto di residui culturali del rito inquisitorio (o misto, come più propriamente dovrebbe definirsi il modello processual-penalistico vigente nel nostro Paese prima della riforma del 1989) - l'esercizio dell'azione penale con lo svolgimento delle indagini preliminari, che tuttavia non possono che trarre origine da una notitia criminis, sia pur acquisita nel corso di altre indagini.

La formulazione dell'articolo 132, nel testo approvato dalla Commissione nella sessione autunnale, intende proprio rendere manifesta la connessione dell'esercizio dell'azione penale con lo svolgimento di indagini determinate da una ben precisa notitia criminis, in maniera tale da rendere esplicito che tali indagini sono consentite solo per la persecuzione di reati e non per acquisire elementi e informazioni non direttamente ed immediatamente connessi a tale scopo.

La gravità della situazione attuale, in tema di obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, è stata tuttavia resa manifesta anche dalle audizioni svolte di fronte alla Commissione ed è confermata, nei fatti, da talune iniziative, peraltro in gran parte necessitate, assunte da alcuni Procuratori della Repubblica.

Si è quindi imposta l'esigenza di individuare un meccanismo che, evitando mere petizioni di principio, consenta di porre rimedio a tale situazione, definendo un circuito suscettibile di coinvolgere in modo pieno ed efficace tutti i livelli di responsabilità istituzionale e di rendere effettiva la dichiarata obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale.

È anche in quest'ottica che deve leggersi la disposizione (già prevista nel testo approvata in giugno dalla Commissione al secondo comma dell'articolo 132 ed ora confermata e collocata, per ragioni sistematiche, al secondo comma dell'articolo 130), per effetto della quale il Ministro della giustizia deve riferire annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine.

Tale norma esclude che il Parlamento possa interferire direttamente sull'esercizio dell'azione penale, mentre rafforza l'esigenza di un raccordo istituzionale tra Governo e Parlamento su tematiche di grande rilievo, quali quelle della giustizia in tutti i suoi aspetti, che in quella circostanza verrebbero affrontate in maniera organica e sistematica, e non frammentaria, episodica od «emergenziale».

 

(omissis)

 

Marco BOATO,

Relatore sul sistema delle garanzie.

4 novembre 1997.



Raffronto tra il testo risultante dalla pronuncia della Commissione sugli emendamenti presentati ai sensi del comma 5 dell'articolo 2 della legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, e il testo approvato il 30 giugno 1997

TESTO APPROVATO IL 30 GIUGNO 1997

TESTO RISULTANTE DALLA PRONUNCIA DELLA COMMISSIONE SUGLI EMENDAMENTI

PROGETTO DI LEGGE COSTITUZIONALE

PROGETTO DI LEGGE COSTITUZIONALE

(omissis)

Titolo VI

LA MAGISTRATURA

Sezione I

Ordinamento giurisdizionale.

Titolo VII

LA GIUSTIZIA

Sezione I

Gli organi.

Art. 119.

Art. 117.

La giustizia è amministrata in nome del popolo.

Identico.

I giudici e i magistrati del pubblico ministero sono soggetti soltanto alla legge.

I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

Le norme sull'ordinamento giudiziario assicurano il coordinamento interno e l'unità di azione degli uffici del pubblico ministero.

(v. terzo comma).

 

I magistrati del pubblico ministero sono indipendenti da ogni potere e godono delle garanzie stabilite nei loro riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Tali norme assicurano altresì il coordinamento interno dell'ufficio del pubblico ministero e il coordinamento, ove necessario, delle attività investigative tra gli uffici del pubblico ministero.

La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, che ne assicura la ragionevole durata.

(v. art. 130, primo comma).

Il procedimento si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, secondo il principio dell'oralità e davanti a giudice imparziale.

(v. art. 130, primo comma).

La legge assicura l'effettivo esercizio del diritto di difesa, in ogni fase del procedimento, anche da parte dei non abbienti.

(v. art. 130, quarto comma).

Art. 120.

Art. 118.

La funzione giurisdizionale è unitaria ed è esercitata dai giudici ordinari e amministrativi istituiti e regolati dalle norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari.

Identico.

Non possono essere istituiti giudici straordinari.

Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali.

Presso gli organi giudiziari ordinari e amministrativi possono istituirsi sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

Identico.

Possono essere istituiti giudici speciali esclusivamente per determinate materie diverse da quella penale e per il solo giudizio di primo grado. Per la giustizia tributaria possono tuttavia essere istituiti giudici speciali anche per il giudizio di secondo grado.

Soppresso.

La legge stabilisce per quali materie possono essere nominati giudici non professionali, anche al fine di giudizi di sola equità.

(v. art. 124, quinto comma).

La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia.

Identico.

Art. 121.

Art. 119.

La giurisdizione amministrativa è esercitata dai giudici dei tribunali amministrativi regionali e della Corte di giustizia amministrativa sulla base di materie omogenee indicate dalla legge.

La giurisdizione amministrativa è esercitata dai giudici dei tribunali regionali di giustizia amministrativa e della Corte di giustizia amministrativa sulla base di materie omogenee indicate dalla legge riguardanti l'esercizio di pubblici poteri.

Il giudice amministrativo, su iniziativa del pubblico ministero, giudica della responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre materie specificate dalla legge.

Il giudice amministrativo giudica altresì della responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre materie specificate dalla legge. La legge determina i titolari dell'azione di responsabilità.

I tribunali militari sono istituiti solo per il tempo di guerra o per l'adempimento di obblighi internazionali ed hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate.

I tribunali militari sono istituiti solo in tempo di guerra e hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate. La legge assicura che il relativo procedimento si svolga comunque nel rispetto dei diritti inviolabili della persona.

Art. 122.

Art. 120.

I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero costituiscono un ordine autonomo e indipendente da ogni potere.

Identico.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria è presieduto dal Presidente della Repubblica.

Identico.

Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione.

Identico.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria si compone di una sezione per i giudici e di una sezione per i magistrati del pubblico ministero. Il diverso numero dei componenti di ciascuna sezione è determinato dalla legge. La legge stabilisce funzioni e competenze delle sezioni riunite.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria si compone di una sezione per i giudici e di una sezione per i magistrati del pubblico ministero. Il diverso numero dei componenti di ciascuna sezione è determinato dalla legge.

I componenti di ciascuna sezione sono eletti per tre quinti rispettivamente dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero tra gli appartenenti alle varie categorie e per due quinti dal Senato della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.

Identico.

Il Consiglio elegge un vice presidente e ciascuna sezione elegge il proprio presidente tra i componenti designati dal Senato della Repubblica.

Identico.

Il Ministro della giustizia può partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni delle sezioni riunite e di ciascuna sezione del Consiglio e presentare proposte e richieste.

Identico.

I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.

(v. ultimo comma).

Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né assumere cariche pubbliche elettive.

(v. ultimo comma).

Art. 123.

 

Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa è presieduto dal Presidente della Repubblica.

Identico.

Ne fa parte di diritto il presidente della Corte di giustizia amministrativa.

Identico.

Gli altri componenti sono eletti per tre quinti da tutti i magistrati amministrativi appartenenti alle varie categorie e per due quinti dal Senato della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.

Identico.

Il Consiglio elegge un vicepresidente tra i componenti designati dal Senato della Repubblica.

Identico.

Il Ministro della giustizia può partecipare alle riunioni del Consiglio senza diritto di voto e presentare proposte e richieste.

Identico.

I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili.

Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né assumere cariche pubbliche elettive.

I membri elettivi dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa durano in carica quattro anni e non sono rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né ricoprire cariche pubbliche.

Art. 124.

Spettano ai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa, secondo le norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari, esclusivamente le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni nei riguardi dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero.

Art. 121.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria a sezioni riunite e il Consiglio superiore della magistratura amministrativa esercitano le funzioni amministrative riguardanti le assunzioni, il tirocinio, le assegnazioni alle due diverse funzioni e i relativi passaggi rispettivamente per i giudici ordinari e i magistrati del pubblico ministero e per i magistrati amministrativi. I Consigli possono esprimere pareri sui disegni di legge di iniziativa del Governo prima della loro presentazione alle Camere, quando ne venga fatta richiesta dal Ministro della giustizia, e non possono adottare atti di indirizzo politico.

Spettano a ciascuna sezione del Consiglio superiore della magistratura ordinaria e al Consiglio superiore della magistratura amministrativa le funzioni amministrative riguardanti l'aggiornamento professionale, i trasferimenti, le promozioni e le relative assegnazioni, rispettivamente, dei giudici ordinari, dei magistrati del pubblico ministero e dei magistrati amministrativi.

Art. 125.

Art. 122.

Spettano alla Corte di giustizia della magistratura i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei giudici ordinari e amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero. La Corte è altresì organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa.

Spettano alla Corte di giustizia della magistratura i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei giudici ordinari e amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero. La Corte è altresì organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti amministrativi assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa. Contro i provvedimenti disciplinari è ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge.

 

La Corte è formata da nove membri, eletti tra i propri componenti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa.

Identico.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria elegge sei componenti, di cui quattro tra quelli eletti dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero e due tra quelli designati dal Senato della Repubblica. Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa elegge tre componenti, di cui due tra quelli eletti dai giudici e uno tra quelli designati dal Senato della Repubblica. I componenti designati tra quelli eletti dai magistrati sono scelti assicurando la rappresentanza delle varie categorie.

Il Consiglio superiore della magistratura ordinaria a sezioni riunite elegge sei componenti, di cui quattro tra quelli eletti dai giudici e dai magistrati del pubblico ministero e due tra quelli designati dal Senato della Repubblica. Il Consiglio superiore della magistratura amministrativa elegge tre componenti, di cui due tra quelli eletti dai giudici e uno tra quelli designati dal Senato della Repubblica.

La Corte elegge un presidente tra i componenti eletti tra quelli designati dal Senato della Repubblica.

Identico.

I componenti della Corte non possono partecipare ad altra attività dei rispettivi Consigli di provenienza e durano in carica fino allo scadere del mandato di tali organi.

I componenti della Corte non partecipano alle attività dei rispettivi Consigli di provenienza e durano in carica sino alla scadenza di questi.

 

La legge disciplina l'attività della Corte e può prevederne l'articolazione in sezioni.

 

Art. 123.

L'azione disciplinare è obbligatoria ed è esercitata da un Procuratore generale eletto dal Senato della Repubblica a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti tra coloro che hanno i requisiti per la nomina a giudice della Corte costituzionale. L'ufficio di Procuratore generale è incompatibile con qualsiasi altra carica o professione. La legge ne assicura l'indipendenza da ogni potere.

Il Procuratore generale è nominato per quattro anni, non è rieleggibile e nei quattro anni successivi alla cessazione delle funzioni non può ricoprire alcuna carica pubblica.

La legge disciplina l'organizzazione dell'ufficio del Procuratore generale anche ai fini dell'attività ispettiva propedeutica all'azione disciplinare.

L'azione disciplinare è esercitata d'ufficio ovvero su richiesta del Ministro della giustizia, del procuratore generale della Corte di cassazione o dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa.

Il Procuratore generale riferisce annualmente alle Camere sull'esercizio dell'azione disciplinare.

 

Art. 126.

Art. 124.

Le nomine dei magistrati ordinari e amministrativi hanno luogo per concorso e previo tirocinio.

Identico.

Tutti i magistrati ordinari esercitano inizialmente funzioni giudicanti per un periodo di tre anni, al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura ordinaria a sezioni riunite li assegna all'esercizio di funzioni giudicanti ovvero inquirenti, previa apposita formazione e valutazione di idoneità.

Tutti i magistrati ordinari esercitano inizialmente funzioni giudicanti per un periodo di tre anni, al termine del quale il Consiglio superiore della magistratura ordinaria li assegna all'esercizio di funzioni giudicanti ovvero inquirenti, previa valutazione di idoneità.

Il passaggio tra l'esercizio delle funzioni giudicanti e del pubblico ministero è successivamente consentito a seguito di concorso riservato, secondo modalità stabilite dalla legge.

Identico.

In nessun caso le funzioni giudicanti penali e quelle del pubblico ministero possono essere svolte nel medesimo distretto giudiziario.

 

Identico.

La legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici di primo grado.

Le norme sull'ordinamento giudiziario possono ammettere la nomina di magistrati onorari per materie e per funzioni attribuite a magistrati di primo grado ovvero per giudizi di sola equità.

Su designazione dei Consigli superiori della magistratura possono essere chiamati all'ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

Su designazione dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa possono essere chiamati all'ufficio di consigliere di cassazione e della Corte di giustizia amministrativa, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

Le norme sull'ordinamento giudiziario disciplinano le modalità con cui componenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti possono essere designati dal Consiglio superiore della magistratura amministrativa all'ufficio di consiglieri della Corte di giustizia amministrativa.

La legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina di avvocati e professori universitari in materie giuridiche negli altri gradi della giurisdizione.

Le norme sull'ordinamento giudiziario possono ammettere la nomina di avvocati e professori universitari in materie giuridiche negli altri gradi della giurisdizione.

Art. 127.

Art. 125.

I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero sono inamovibili.

Identico.

Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del rispettivo Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie del contraddittorio stabiliti dai rispettivi ordinamenti giudiziari o con il loro consenso.

Identico.

La legge disciplina i periodi di permanenza nell'ufficio e nella sede dei giudici ordinari e amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero.

Identico.

I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.

Identico.

Nell'esercizio delle rispettive funzioni, i giudici ordinari e amministrativi ed i magistrati del pubblico ministero si attengono ai princìpi di responsabilità, correttezza e riservatezza.

Identico.

L'ufficio di giudice ordinario e amministrativo e di magistrato del pubblico ministero è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico e professione. I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono far parte di collegi arbitrali, né essere distaccati presso Ministeri o altre pubbliche amministrazioni. Possono partecipare alle competizioni elettorali solo se si dimettono prima della presentazione delle liste elettorali.

L'ufficio di giudice ordinario e amministrativo e di magistrato del pubblico ministero è incompatibile con qualunque altro ufficio, incarico e professione. Fermo il divieto per i giudici ordinari e amministrativi e per i magistrati del pubblico ministero di svolgere attività arbitrali o di controllo e di essere distaccati presso Ministeri o altre pubbliche amministrazioni, la legge può stabilire i casi in cui ad essi è consentito svolgere attività diverse da quelle d'ufficio.

I giudici ordinari e amministrativi e i magistrati del pubblico ministero non possono partecipare alle competizioni elettorali nella Regione in cui hanno esercitato le loro funzioni negli ultimi cinque anni nè essere assegnati, per i successivi cinque anni, a sedi comprese nelle Regioni nel cui territorio siano stati candidati o eletti.

Art. 128.

Le norme sugli ordinamenti giudiziari ordinario ed amministrativo sono stabilite esclusivamente con legge.

Art. 126.

Identico.

La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.

La legge assicura l'indipendenza degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.

Art. 129.

L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.

Art. 127.

L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. La legge ne stabilisce le modalità.

Art. 130.

Art. 128.

Ferme le competenze dei Consigli superiori della magistratura ordinaria ed amministrativa, il Ministro della giustizia provvede all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, promuove la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi, esercita la funzione ispettiva sul corretto funzionamento degli uffici giudiziari, promuove l'azione disciplinare.

Ferme le competenze dei Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa, il Ministro della giustizia provvede all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, promuove la comune formazione propedeutica all'esercizio delle professioni giudiziarie e forensi ed esercita la funzione ispettiva sul corretto funzionamento degli uffici giudiziari.

La legge può individuare altri soggetti titolari in via sussidiaria dell'azione disciplinare.

Soppresso.

(v. art. 132, secondo comma).

Il Ministro della giustizia riferisce annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine.

Sezione II

Norme sulla giurisdizione.

Sezione II

Norme sulla giurisdizione.

 

Art. 129.

Le norme penali tutelano beni di rilevanza costituzionale.

 

Non è punibile chi ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una concreta offensività.

(v. art. 131, quinto comma).

Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo.

(v. art. 131, quarto comma).

Nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui si riferiscono.

 

Art. 130.

(v. art. 119, terzo e quarto comma).

La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, ispirati ai principi dell'oralità, della concentrazione e dell'immediatezza. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti a giudice terzo. La legge ne assicura la ragionevole durata.

(v. art. 131, terzo comma).

Nel procedimento penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa; abbia la facoltà di interrogare o far interrogare dal suo difensore le persone da cui provengono le accuse a suo carico; abbia la facoltà di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a discarico nelle stesse condizioni di quelle di accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata.

 

La legge assicura che la custodia cautelare in carcere venga eseguita in appositi istituti.

(v. art. 119, ultimo comma).

La legge istituisce pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire ai non abbienti il diritto di agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

Art. 131.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Art. 131.

Identico.

Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

Contro le sentenze è ammesso il ricorso in cassazione nei casi previsti dalla legge, che assicura comunque un doppio grado di giudizio. Contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari.

La legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa; abbia la facoltà di interrogare o far interrogare le persone da cui provengono le accuse a suo carico; abbia la facoltà di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a discarico nelle stesse condizioni di quelle di accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.

(v. art. 130, secondo comma).

Nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui esse si riferiscono.

(v. art. 129, quarto comma).

Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo.

(v. art. 129, terzo comma).

Contro le decisioni della Corte di giustizia amministrativa il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

Soppresso.

Art. 132.

Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. La legge stabilisce le misure idonee ad assicurarne l'effettivo esercizio.

Art. 132.

Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale e a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di un reato.

Il Ministro della giustizia riferisce annualmente al Parlamento sullo stato della giustizia, sull'esercizio dell'azione penale e sull'uso dei mezzi di indagine.

(v. art. 128, secondo comma).

(omissis)

 


CAMERA DEI DEPUTATI

SENATO DELLA REPUBBLICA

N. 3931-A

N. 2583-A


XIII LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE

PER LE RIFORME COSTITUZIONALI

Progetto di legge costituzionale

Revisione della parte seconda della Costituzione

Testo risultante dalla pronuncia della Commissione sugli emendamenti presentati ai sensi del comma 5 dell’articolo 2 della legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1

 

 

Relazione di minoranza

Armando COSSUTTA, relatore di minoranza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Trasmesso alla Presidenza della Camera dei Deputati e

alla Presidenza del Senato della Repubblica il 4 novembre 1997



I parlamentari dei Gruppi di Rifondazione comunista-progressisti presenti nella Commissione parlamentare per le riforme costituzionali esprimono la loro contrarietà alla proposta di riforma della parte seconda della Costituzione, risultante a seguito della pronuncia della Commissione sugli emendamenti presentati al progetto di legge trasmesso alla Camera ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge costituzionale 24 gennaio 1997, n.1.

Il testo attuale non è migliorato rispetto al progetto di giugno, ma, per molti aspetti, ha subìto modifiche molto negative.

La proposta porta ancora di più il segno delle destre in tutti i punti nodali.

 

(omissis)

 

Altro punto caldo della riforma è quello della giustizia e, in particolare, del l'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Confermiamo la nostra convinzione che siano necessari vasti e profondi interventi della legislazione ordinaria per riformare norme sostanziali e processuali. Riteniamo anche che siano positive alcune soluzioni adottate per affermare l'unitarietà della funzione giurisdizionale, che sarà esercitata da giudici ordinari ed amministrativi istituiti e regolati da norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari.

Si è giustamente previsto uno status di autonomia e di indipendenza per i magistrati amministrativi e si sono separate le funzioni consultive e di controllo da quelle giurisdizionali. Questo indirizzo positivo è contraddetto dalla tendenza a condizionare la magistratura ordinaria. Una tendenza che non ha trovato piena esplicitazione nel testo adottato, che pur contiene alcune disposizioni nettamente finalizzate a questo scopo.

Sulla giustizia lo scontro è stato duro e le destre, anzitutto Forza Italia, lo hanno condotto decisamente, trovando incertezze, divisioni e sostanziali cedimenti nei gruppi dell'Ulivo.

A giugno la proposta del relatore fu adottata solo formalmente, senza che vi fosse sugli articoli essenziali (dal 117 al 133) un vero esame da parte della Commissione.

A fine ottobre l'inevitabile confronto ha visto la prevalenza delle posizioni delle destre, avallate dalla maggioranza dei Popolari, da alcuni parlamentari del gruppo misto e dai leghisti. Come è accaduto in un altro momento fondamentale - quello della scelta per il presidenzialismo - il voto dei leghisti si è unito a quello di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, mentre vi sono stati, in entrambi i casi, anche voti di parlamentari dell'Ulivo che si sono uniti a quelli delle destre. È il risultato di una impostazione generale delle forze determinanti dell'Ulivo in Bicamerale e prima della Bicamerale.

Si è inseguita la Destra sulle sue posizioni: sul presidenzialismo e sul ruolo del Parlamento il cedimento ha origine dal prevalere negli anni recenti delle culture di destra, a livello nazionale e internazionale, che hanno influenzato anche settori democratici; sulla magistratura pesano direttamente le vicende delle quali è stata protagonista, determinando il crollo di partiti fondamentali negli assetti politici precedenti, oltreché scottanti procedimenti pendenti.

Lo scontro è avvenuto essenzialmente sul ruolo del pubblico ministero. Noi riteniamo che sia sbagliato dividere la magistratura ordinaria in due settori separati.

È propria dei sistemi che non prevedono l'obbligatorietà dell'azione penale la subordinazione del pubblico ministero ad altri poteri (ricordiamo la proposta iniziale di Forza Italia di sottoporre a controllo politico il pubblico ministero e di rendere discrezionale l'azione penale). Nel nostro sistema, imperniato sul principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, questa deve essere esercitata da un magistrato indipendente. Ci sembra che corrisponda ad esigenze di garanzia affidare il delicato potere di iniziativa penale a magistrati esperti di indagini, ma anche formati nella cultura delle garanzie, nell'abitudine al contraddittorio, nell'ascolto delle ragioni di tutti e dei quali sia prevista la soggezione soltanto alla legge. Quest'ultima previsione, presente nelle varie bozze del relatore, è stata ora modificata e si stabilisce la soggezione «soltanto alla legge» per i soli giudici. Si prevede, inoltre, «il coordinamento interno dell'ufficio del pubblico ministero ed il coordinamento, ove necessario, delle attività investigative tra gli uffici del pubblico ministero». Non si parla più di «unità d'azione», ma la scelta del coordinamento e l'esclusione della sottoposizione «soltanto alla legge» fanno temere il risorgere di pratiche gerarchiche, che  possono ricondurci ai «porti delle nebbie» e all'epoca dell'insabbiamento di tanti procedimenti sulle stragi e la corruzione.

La separazione dei magistrati del pubblico ministero dai magistrati giudicanti trasformerebbe i primi in «super-poliziotti», stabilendosi rapporti permanenti e condizionamenti fra questi e gli organi di polizia che snaturerebbero la funzione specifica dei magistrati del pubblico ministero: è, invece, necessario che l'autorità giudiziaria disponga direttamente della polizia giudiziaria e che ne disponga effettivamente, superando le resistenze dei vari apparati di polizia. La previsione per la quale la legge stabilisce le modalità attraverso le quali si realizza il potere dell'autorità giudiziaria di disporre della polizia giudiziaria sembra ispirata non dalla volontà di rendere effettiva la dipendenza delle polizie, ma dall'obiettivo negativo di attenuarla. Su questo tema delicatissimo dello status dei magistrati del pubblico ministero le destre hanno raggiunto un risultato importante spezzando l'unitarietà del Consiglio Superiore della Magistratura ordinaria che, secondo la proposta inviata alle Camere, «si compone di una sezione per i giudici e di una sezione per i magistrati del pubblico ministero».

Certamente torneranno all'attacco per una netta separazione delle carriere dei pubblici ministeri da quelle dei giudici: non è per le destre sufficiente nemmeno la formulazione presente nell'articolo 124 che consente il passaggio tra l'esercizio delle funzioni giudicanti e del pubblico ministero «a seguito di concorso riservato, secondo modalità stabilite dalla legge», escludendo, in ogni caso, che le funzioni giudicanti penali e quelle del pubblico ministero possano essere svolte nel medesimo distretto giudiziario. Abbiamo da tempo sostenuto la temporaneità dell'ufficio di pubblico ministero e la possibilità, con precisi filtri - non concorsuali - del passaggio ad altre funzioni giudiziarie: i filtri dovrebbero essere di carattere temporale e territoriale. Si tratta di separare effettivamente le funzioni. Ci preoccupa, invece, un ufficio del pubblico ministero costituito da accusatori in servizio permanente effettivo per tutta la propria quarantennale carriera, mentre le preoccupazioni di tanti «garantisti» di spezzare il «rapporto di colleganza», se sviluppate coerentemente, dovrebbero indurli addirittura a proporre una frammentazione della magistratura, separando anche, per esempio, le carriere dei magistrati d'appello da quelle dei giudici di primo grado, poiché, indubbiamente, i primi sono colleghi e controllori dei secondi. In realtà ben altri possono essere i fattori condizionanti della terzietà effettiva del giudice nell'attuale società, come dimostrano anche recenti clamorose vicende.

Conclusivamente riproponiamo sul tema della giustizia i punti essenziali da salvaguardare, indicati nella nostra relazione del 30 giugno.

Il nostro auspicio, espresso nella relazione di giugno, che, nell'esame degli emendamenti da parte della Commissione, si potesse restituire slancio e vigore all'opera riformatrice per un'espansione della democrazia e per creare le condizioni di una crescente partecipazione, non ha finora trovato ascolto.

Lo rinnoviamo ora con un pressante invito ad un'azione comune che rivolgiamo alle forze di sinistra e a tutte le espressioni della democrazia italiana che vogliono salvaguardare realmente i valori della Costituzione, nata dalla Resistenza e dalla lotta contro la dittatura fascista.

L'esito negativo attuale dovrebbe indicare a tutti coloro che hanno a cuore una positiva riforma, che allarghi gli spazi della democrazia, altre strade e strategie nuove per l'impegno parlamentare che ci attende.

La scelta del confronto privilegiato con le destre ha portato a cedimenti e sconfitte che si potevano evitare ed ha reso i leghisti decisivi in momenti essenziali.

Si può ancora impedire la deriva presidenzialista.

Si può riaffermare il ruolo di centralità del Parlamento, garantendone trasparenza ed efficienza.

Si può ancora riformare la «forma di Stato», valorizzando pienamente le autonomie senza concessioni negative e demagogiche alle istanze leghiste. Si può svolgere ancora un'azione positiva per difendere l'autonomia e l'indipendenza di una magistratura che, anche con errori, svolge, in generale, forse per la prima volta nella storia d'Italia, un'azione non subordinata a poteri forti economici, finanziari o politici.

La nostra proposta complessiva si evince dalle proposte che formano parte integrante della relazione del 30 giugno.

Partendo da esse siamo aperti ad un reale confronto che coinvolga anzitutto ogni forza di sinistra e del centro democratico per costruire una unità democratica progressista intorno alle linee generali della riforma. Soltanto se nelle prossime discussioni parlamentari si creerà un nuovo rapporto tra queste forze, si potrà evitare il prevalere delle culture politico-istituzionali delle destre.

Armando COSSUTTA,

relatore di minoranza.


 


Camera dei deputati: Assemblea


 

RESOCONTO STENOGRAFICO

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302.

 

Seduta di lunedì26 gennaio 1998

 

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

INDI

DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE

 

 

 


Discussione del progetto di legge costituzionale: Revisione della parte seconda della Costituzione (3931) (ore 10,58).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del progetto di legge costituzione: Revisione della parte seconda della Costituzione.

 

(omissis)

 

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore sul sistema delle garanzie, onorevole Boato.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Signor Presidente della Camera, presidente D'Alema, colleghi senatori della bicamerale, colleghi deputati, la certezza del diritto è un requisito fondamentale della convivenza democratica, è la base essenziale per un positivo e fiducioso rapporto tra cittadini ed istituzioni. Troppe volte in questo turbinoso periodo di transizione ci si è dovuti chiedere se in Italia esista, ed in quale misura esista, uno Stato di diritto degno di questo nome.

Oggi il nostro compito non è quello di rincorrere o rinfocolare polemiche contingenti, né tanto meno dobbiamo cadere nella tentazione di favorire contrapposizioni e lacerazioni, dentro e fuori il Parlamento. Dobbiamo, invece, assumerci pienamente le nostre responsabilità costituenti - o, meglio, di organica revisione costituzionale riferita alla seconda parte della Costituzione - anche sul terreno fondamentale del sistema delle garanzie, in generale, e della giustizia, in particolare.

A questo proposito, il presidente della bicamerale, onorevole D'Alema, anche nella veste di segretario del suo partito, ha scritto recentemente alcune riflessioni che, se pur da lui riferite in particolare alla sinistra, personalmente credo siano più largamente condivisibili da tutti coloro che siano ispirati da un'autentica volontà riformatrice e che per questo credo sia utile riproporre anche in sede parlamentare, all'inizio di questo importante dibattito generale sulla riforma costituzionale: «Sulla via delle riforme c'è il grande problema della giustizia, dei conflitti e delle passioni che questo problema suscita spesso in modo estremo e fuorviante. Capisco che si tratta di un terreno minato. Da una parte c'è la volontà di rivincita contro i magistrati, che in questi anni hanno spezzato la rete di impunità che troppo a lungo ha protetto i potenti; dall'altra parte, però, si agita talora un giustizialismo primitivo, che ha la sua origine in un lungo periodo oscuro, nel quale l'azione giudiziaria è parsa a molti come l'unica efficace per colpire una classe dirigente per altri versi inamovibile».

«Una sinistra moderna» - io aggiungerei: una democrazia moderna - «deve superare questo tipo di conflitto, deve battersi per una giustizia normale capace, come dice il Capo dello Stato, di garantire insieme i diritti dei cittadini e la tutela della legalità».

«Una sinistra moderna» - io aggiungerei: una democrazia moderna - «deve sforzarsi di far riguadagnare alla politica la funzione che le è propria, e che non può essere delegata alla magistratura, compreso il compito di affermare una nuova e rigorosa moralità pubblica».

«Per questo l'azione politica e i problemi giudiziari devono essere tenuti distinti, sebbene ciò non sempre sia facile nella concreta e travagliata vicenda del nostro paese e sebbene qualche volta si  debba pagare il prezzo dell'incomprensione e dell'impopolarità. Io sono però convinto che una forza che voglia affermare principi essenziali per la convivenza civile e che abbia l'ambizione di guidare il Paese verso un equilibrio democratico più avanzato ed europeo, debba anche saper pagare di questi prezzi».

Come ho detto, condivido pienamente queste affermazioni, che credo possano e debbano avere una portata che va anche al di là di una specifica forza politica e anche al di là di un particolare schieramento politico, perché si tratta di valutazioni che attengono appunto alla piena realizzazione di uno Stato costituzionale di diritto.

In un altro dibattito generale, quello che si è svolto all'inizio dei lavori della Commissione bicamerale nel febbraio 1997, la questione giustizia era apparsa subito come un terreno di iniziale contrapposizione frontale, seminato di scelte istituzionali contrapposte, apparentemente inconciliabili.

Per parte mia fin da allora, prima ancora della mia nomina a relatore sul sistema delle garanzie, ero intervenuto nel tentativo di trovare invece un ambito comune di confronto e di possibile ampia convergenza tra i diversi schieramenti: quello del rafforzamento sia dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura (ma anche della sua responsabilità), sia delle garanzie per tutti i cittadini. E questa è rimasta la mia «bussola» di orientamento anche in tutte le fasi successive, ben consapevole, del resto, che anche l'autonomia e l'indipendenza della magistratura sono valori e requisiti che trovano il loro significato e il loro fondamento prima di tutto e soprattutto in riferimento alla tutela e alla garanzia dei cittadini.

Se riflettiamo su tutto questo e sulla straordinaria importanza del sistema delle garanzie nell'ambito della organica riforma della seconda parte della Costituzione, si rimane sconcertati a ritornare con la memoria ai ricorrenti tentativi che si sono, pur vanamente, verificati - e che talora addirittura si ripropongono, sia pure con una stanca ripetitività - finalizzati a impedire o a bloccare la riforma costituzionale in materia di garanzie, in generale, e di giustizia, in particolare.

Fin dall'inizio, infatti, dall'esterno del Parlamento (ma anche con qualche minoritaria eco interna, rimasta senza seguito), c'è stato chi ha cercato di delegittimare in radice il nostro compito riformatore, pretendendo addirittura di ignorare e calpestare il dettato della legge costituzionale istitutiva della bicamerale.

Fallito questo patetico e giuridicamente inconsistente tentativo, sono subentrati altri sforzi sistematici di condizionamento, di pressione, talora di ricatto anche attraverso un uso distorto di taluni organi di informazione.

Ma tutto ciò è fallito per la capacità di reazione della bicamerale e del suo presidente, delle Camere e dei loro Presidenti. Il Parlamento è disposto a confrontarsi e a discutere anche criticamente con chiunque, com'è doveroso e come ha sistematicamente fatto e sta tuttora facendo, ma non è certo disposto ad abdicare ai compiti istituzionali e costituzionali propri del potere legislativo, che è espressione della sovranità popolare e che solo da questa riceve la propria legittimazione.

Signor Presidente, colleghi, non è possibile oggi in pochi minuti illustrare dettagliatamente, anche nella loro complessità tecnico-giuridica, tutte le disposizioni costituzionali ricomprese nella competenza attribuita fin dall'inizio al Comitato della bicamerale sul sistema delle garanzie, presieduto dal collega Giuliano Urbani.

L'ampia e dettagliata relazione scritta, da me presentata, dà conto del contenuto del progetto di revisione costituzionale in riferimento agli articoli della seconda parte della Costituzione che riguardano: la nuova sezione II (intitolata «Autorità di garanzia e organi ausiliari») del nuovo titolo V, la cui I sezione riguarda invece le pubbliche amministrazioni; l'intero nuovo titolo VII riguardante la giustizia, corrispondente al titolo IV della Costituzione vigente riguardante la magistratura; la  sezione I, riguardante la Corte costituzionale, del nuovo titolo VIII concernente le garanzie costituzionali, mentre sono rimasti identici, salvo un adeguamento formale, gli articoli conclusivi 138 e 139, riguardanti il procedimento di revisione costituzionale e la non sottoponibilità a revisione della forma repubblicana.

Conseguentemente a questo ambito di competenza, nella relazione scritta, alla quale rinvio integralmente per i necessari approfondimenti e anche per i confronti critici, che sono elemento fondamentale sia del dibattito parlamentare sia del dialogo con i cittadini e con l'opinione pubblica non solo italiana, ho ricostruito anche i termini essenziali tanto del lavoro istruttorio compiuto dal Comitato sul sistema delle garanzie quanto dell'esame e del dibattito che su tali materie si sono svolti nelle due fasi, primaverile e autunnale, dei lavori della Commissione bicamerale in sede referente.

In particolare, seguendo l'ordine in cui le disposizioni compaiono nel progetto di nuova seconda parte della Costituzione che è ora all'esame del Parlamento, a partire da questa Camera dei deputati, la relazione scritta illustra i contenuti specifici e le problematiche più generali connesse alle seguenti materie: autorità di garanzia e di vigilanza; Banca d'Italia; difensore civico; Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro; Consiglio di Stato; Corte dei conti; Avvocatura dello Stato; sistema della giustizia nel quadro dell'unità funzionale della giurisdizione, articolata in giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, con i relativi organi e le conseguenze ordinamentali; Corte costituzionale, anche in relazione alle norme conseguenti alle scelte compiute negli altri titoli della seconda parte della Costituzione in materia di forma di Stato, forma di governo e Parlamento.

Per quanto riguarda il metodo del nostro lavoro, da una parte vi erano le numerosissime proposte e disegni di legge di iniziativa parlamentare, che sono il punto obbligato di riferimento iniziale per il relatore e per la bicamerale, dall'altra parte ci si è subito prospettata la necessità di ripercorrere tutte le tappe del processo riformatore, risalendo fino alle origini della nostra Carta costituzionale.

Di qui l'esame sistematico del dibattito e dei lavori dell'Assemblea costituente del 1946-1947, delle elaborazioni e proposte delle precedenti Commissioni bicamerali (fin dalla IX legislatura e poi nell'XI), dei vari comitati parlamentari e governativi (fin dalla VIII legislatura e poi nella XII), dei messaggi presidenziali nella X legislatura, dei numerosi dibattiti parlamentari alla Camera e al Senato a più riprese ormai nell'arco di oltre 15 anni, ma anche dei più significativi contributi della dottrina, della evoluzione della giurisprudenza, del concreto configurarsi della «costituzione materiale» (per usare un'espressione cara a Costantino Mortati) nell'evoluzione storica ed istituzionale.

Questo è stato, dunque, il metodo di lavoro adottato fin dall'inizio, col prezioso contributo tecnico e documentario degli uffici della Camera e del Senato, senza mai prescindere anche dall'analisi comparativa degli altri sistemi democratici, continentali e anglosassoni in particolare.

Da più parti, anche in relazione a vicende giudiziarie recenti, di cui ha dovuto istituzionalmente occuparsi la Camera in relazione a quanto disposto dal secondo comma del già riformato articolo 68 della Costituzione, si è tentato di stabilire indebite interferenze tra contingenti casi giudiziari e le riforme costituzionali in materia di garanzie e di giustizia in particolare. Credo sia merito della grande maggioranza del Parlamento, in tutti i suoi schieramenti, aver saputo e saper sottrarsi a questa tentazione, che piegherebbe erroneamente le scelte costituzioni a risposte emergenziali rispetto alla quotidianità giudiziaria. Non crediate tuttavia, Presidente e colleghi, che questo rischio si sia presentato solo oggi, alla bicamerale prima e al Parlamento poi.

Ho dedicato la giornata di ieri, domenica, alla preparazione anche spirituale - permettetemi di dirlo - all'appuntamento odierno con l'inizio dell'esame parlamentare del progetto costituzionale. Ho riletto per ore ed ore, nel primo volume degli atti  della costituente, l'intero dibattito sul progetto elaborato dalla Commissione dei 75, iniziato nella seduta del 4 marzo 1947 in un'aula semivuota, come subito lamentò in apertura il Presidente Terracini.

Ebbene, nel suo appassionato e ancor oggi attualissimo intervento, Piero Calamandrei polemizzò duramente con l'allora procuratore generale della Corte di cassazione, dottor Pilotti, il quale nella recente inaugurazione dell'anno giudiziario 1947 aveva tenuto un atteggiamento «offensivo per la Repubblica e per il suo Capo», come denunciò nell'aula della Costituente, che era quest'aula, lo stesso Calamandrei, aggiungendo che le indebite interferenze politiche del procuratore generale Pilotti avevano in primo luogo danneggiato la credibilità e il prestigio della magistratura.

Ma subito dopo aver rilevato con forza tutto questo, con equilibrio e intelligenza - che io condivido pienamente - Piero Calamandrei aggiunse: «Ma lasciamo stare il caso Pilotti e ritorniamo al nostro discorso. Secondo me è un errore formulare gli articoli della Costituzione con lo sguardo fisso agli eventi vicini, agli eventi appassionati, alle amarezze, agli urti, alle preoccupazioni elettorali dell'immediato avvenire in mezzo alle quali molti dei componenti di questa Assemblea» - era l'Assemblea costituente - «già vivono. La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano non essere miope». A distanza di oltre mezzo secolo, la penso esattamente come Piero Calamandrei, e rileggere quelle pagine della Costituente mi ha aiutato a capire quanto forte si ponesse anche allora il problema del rapporto tra giustizia e politica e quanto sia sbagliato mitizzare acriticamente il passato in relazione al presente. Anche la mitizzazione acritica della Costituente serve a imbalsamarla e devitalizzarla nella memoria storica, non certo a riviverla come esperienza ancor feconda e vitale, con cui confrontarsi e da cui trarre ancora alimento.

Anche oggi siamo a pochi giorni di distanza dalla inaugurazione dell'anno giudiziario 1998. Bancarotta della giustizia, denegata giustizia, crisi del rapporto tra cittadini e giustizia, crisi nel rapporto tra giustizia e politica: questo è il groviglio di problemi che è nuovamente emerso con forza dalla maggior parte degli interventi. E sono problemi a cui rispondere non con una falsa e strumentale contrapposizione tra legislazione ordinaria e riforme costituzionali, ma anzi sapendo operare in modo sistematico e complementare lungo entrambe le dimensioni di intervento.

D'altra parte, nell'arco di vent'anni l'Italia ha attraversato tre grandi «emergenze»: quella del terrorismo degli «anni di piombo», quella della criminalità organizzata (culminata nel 1992 nelle stragi di Capaci e di via D'Amelio a Palermo e nel 1993 nella serie di attentati a Firenze, Roma e Milano), quella infine della criminalità dei «colletti bianchi», cioè dell'onnipervadente sistema di corruzione politica ed economico-finanziaria.

Il sistema giustizia è uscito profondamente trasformato dal carattere prevalentemente «emergenziale» della risposta politico-istituzionale e giudiziaria. Voglio essere chiaro al riguardo. A mio parere, e non da oggi, la principale responsabilità nella legislazione, nella cultura e nella pratica dell'emergenza va attribuita in primo luogo al potere politico - legislativo ed esecutivo - e non alla magistratura.

Ma gli effetti di tutto questo, talora devastanti, si sono fatti sentire anche e particolarmente sul piano giudiziario: fenomeni di indebita «supplenza» e di protagonismo esasperato, interferenza tra i diversi poteri e organi istituzionali, perdita della «terzietà» della magistratura giudicante, abnorme dilatazione dei poteri di quella inquirente, con evidenti disparità rispetto alla difesa, effetti perversi del «circo mediatico-giudiziario» (con uno snaturamento anche del ruolo e del potere del sistema mediatico dell'informazione), moltiplicazione degli apparati investigativi e di polizia giudiziaria anche con aspetti degenerativi e concorrenziali l'uno all'altro.

Nella lunga e più volte interrotta fase di transizione dal vecchio al nuovo sistema politico-istituzionale (dalla prima  alla seconda Repubblica o anche dalla prima alla seconda fase della Repubblica, senza fare delle parole un feticcio), si era inserita persino, da parte di taluno, la illusoria pretesa di una sorta di «rivoluzione giudiziaria», il protagonismo di un millantato «partito dei giudici», disconosciuto dalla stragrande maggioranza degli stessi magistrati e comunque privo di qualunque legittimazione costituzionale.

Su questi scogli si era schiantata - non per propria volontà - la bicamerale della XI legislatura, che pure aveva già cominciato ad affrontare molte delle tematiche istituzionali e costituzionali del sistema delle garanzie.

Dopo il fallimento riformatore anche della XII legislatura e dopo il secondo scioglimento anticipato del Parlamento nell'arco di soli due anni, da lì bisognava dunque ripartire. E ripartire con un disegno riformatore di vasta portata, senza cadere, appunto, nell'equivoca trappola di una risposta «emergenziale» sul piano costituzionale al pur reale groviglio di problemi esistenti in quest'ambito.

Si è molto ironizzato da parte di taluno sulla pluralità di «bozze» che hanno segnato la prima parte del nostro percorso. Eppure il succedersi delle varie ipotesi di riforma - nient'altro che questo erano, doverosamente, le «bozze» sul sistema delle garanzie - era l'indice più evidente dell'apertura al confronto e al dialogo, alla verifica critica di ogni successiva fase di elaborazione, senza dogmatismi e posizioni rigidamente predeterminate.

Si è trattato dunque di un doveroso e faticoso work in progress, finalizzato ad individuare le soluzioni più equilibrate, caratterizzate da una necessaria coerenza sistematica (e sistemica) e dalla capacità di individuare possibili soluzioni di larga convergenza parlamentare, ben al di là degli schieramenti precostituiti, lasciando ai margini solo le posizioni estreme, improntate, le une, all'immobilismo e al conservatorismo più assoluto, le altre, allo stravolgimento dell'impianto del nostro sistema costituzionale in materia di garanzie.

Il rinvio alla sistematica e organica relazione scritta, nella quale sono affrontate anche le questioni ancora suscettibili di riflessioni critiche e di significative modifiche, con particolare riferimento all'assetto del Consiglio superiore della magistratura ordinaria, ma non solo, mi permette di concludere sottolineando soltanto alcuni aspetti essenziali.

Per quanto riguarda la questione giustizia, come ho già ricordato, la principale riforma riguarda l'affermazione costituzionale dell'unità funzionale della giurisdizione, articolata quindi nelle due giurisdizioni ordinaria e amministrativa, totalmente parificate quanto a status dei magistrati, garanzie, poteri di autogoverno, responsabilità disciplinare, inamovibilità e incompatibilità.

Fortemente innovativa è inoltre tutta la parte che riguarda le garanzie dei cittadini e la costituzionalizzazione dei principi del «giusto processo»: ragionevole durata, contraddittorio, parità delle parti, terzietà e imparzialità del giudice.

Avendo confermate e rafforzate le garanzie di autonomia, di indipendenza e di responsabilità per tutti i magistrati, dalla costituzionalizzazione dei principi del processo accusatorio è derivata anche la conseguente netta separazione delle funzioni della magistratura giudicante e di quella inquirente, senza alcun rischio di condizionamento politico di quest'ultima.

Colleghi, si tratta di un progetto organico, coerente sul piano sistematico e pienamente conseguente alle istanze riformatrici emerse nell'arco di oltre quindici anni. Vi sono, come ho detto, questioni ancora aperte e sottoposte ad ulteriore verifica. Ma per la prima volta il Parlamento è messo in grado di valutare e di decidere in piena e consapevole autonomia. Sono convinto che saprà farlo, portando a compimento, anche sul terreno del sistema delle garanzie, quella organica revisione della seconda parte della Costituzione su cui l'ultimo giudice sarà il popolo sovrano (Applausi).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Boato. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Armando Cossutta.

ARMANDO COSSUTTA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, colleghe e colleghi, il progetto presentato dalla maggioranza della Commissione bicamerale non ha il consenso di rifondazione comunista. Anzi, i nostri gruppi parlamentari hanno formulato non soltanto molti emendamenti, ma una proposta alternativa e profondamente, modernamente innovativa, che mi auguro sia attentamente valutata da tutti i colleghi.

Perché siamo contrari, così fortemente contrari a questo progetto? Perché secondo noi esso si regge su due capisaldi che consideriamo nettamente sbagliati e che ambedue, non a caso, recano il segno vincente delle destre: quello del presidenzialismo e quello della giustizia. Sul primo, ha avuto il sopravvento l'onorevole Fini; sul secondo, ha vinto l'onorevole Berlusconi. Ed invece, per l'uno e l'altro punto, occorrono soluzioni diverse.

(omissis)

Non mi rimane che qualche minuto per dire dell'altra ragione fondamentale che ci porta a respingere il progetto della bicamerale. Mi riferisco al tema della giustizia,  su cui in questi giorni si è vista la spaccatura clamorosa dell'Ulivo e il trionfo delle destre.

Il progetto accentua il contrasto su un tema delicatissimo: il ruolo della magistratura, che tutti dicono di volere assolutamente indipendente, sottoposta soltanto al rigore della legge, ma che di fatto si opera perché sia condizionata al potere politico. A questo porta la separazione tra giudice e pubblico ministero, facendo divenire quest'ultimo una sorta di superpoliziotto, vincolato alle logiche del ministro di turno.

Io non so, signor Presidente, onorevoli colleghi, se il progetto della bicamerale reggerà il confronto con la Camera e poi con il Senato, poi ancora, dopo tre mesi, con la Camera e con il Senato: vedo contrasti di fondo che stanno per esplodere tra le diverse componenti che l'hanno redatta. Alle forze democratiche, mi sento di rimproverare di avere cercato il compromesso con le destre e con la lega al livello più basso: un compromesso può essere necessario, utile e comunque esso può reggere se animato da valori forti, e qui invece si fa strame, colleghi, di alcuni dei valori che sono stati alla base del grande compromesso realizzato dai costituenti dopo la vittoria contro il fascismo e la conquista della Repubblica nata dalla resistenza.

(omissis)

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è giusto che sul testo elaborato dalla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali - oggi all'esame della Camera - si svolga preliminarmente  un approfondito dibattito di carattere generale.

(omissis)

Vorrei fare un'ultima considerazione, signor Presidente e onorevoli colleghi, con riferimento al sistema delle garanzie. Anche in proposito ritengo che la Bicamerale abbia fatto una semiriforma con la separazione del CSM in due sezioni. Occorre mostrare più coraggio, senza imbrigliarsi in vincoli di coalizione, per dare vita ad un sistema capace di riequilibrare il rapporto accusa-difesa davanti ad un giudice terzo, se del caso anche con la separazione delle carriere dei magistrati.

(omissis)

PIETRO CAROTTI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto esprimere un ringraziamento sentito per il lavoro svolto dalla Commissione, dagli onorevoli e senatori relatori e dal presidente che con determinazione ha consentito un esame ormai non più rinviabile, all'attenzione del paese, di una rivisitazione complessiva di una parte del patto sociale fondamentale che è finalmente uscito dagli oscuri e paludati dibattiti di ordine scientifico per addetti ai lavori e per i giuristi per arrivare ad esplodere nelle aule parlamentari, per essere sottoposto ad esame, per operare una verifica di aggiornamento che non sarebbe stato possibile rinviare (ciò sarebbe stato infatti incomprensibile agli occhi dell'intero paese).

L'esiguità del tempo a mia disposizione mi obbliga a circoscrivere il mio intervento ad alcune osservazioni sul tema, per così dire, onnivoro della giustizia, che ha indiscutibilmente catturato gran parte dell'attenzione e che rappresenta un punto nodale di scelte politiche e per la verifica delle opzioni scientifico-ideologiche di un'intera classe politica, oggi chiamata a ripensare se stessa.

(omissis)

Venendo quindi al problema della giustizia, vorrei intanto segnalare che secondo il mio punto di osservazione la crisi di quest'ultima - un dato che effettivamente merita la massima riflessione - non trova la causa, la giustificazione, l'origine nell'assetto costituzionale delle norme, quanto piuttosto in una disciplina ordinaria sulla quale obiettivamente questo Parlamento ha ormai inciso il bisturi e che ci aspettiamo possa avere un miglioramento, ponendosi anche come referente quella serie di principi di cui molto brevemente parlerò di qui a qualche momento.

Ritengo che l'accostamento al problema operato dal lavoro della bicamerale sia estremamente corretto. È stata effettivamente amplificata quella visione della giustizia in termini di servizio e non di bilanciamento di poteri. La giustizia - come ricordava Aristotele, onorevole Soda - è certamente un mezzo e non è un fine; è il tipico strumento per poter rappresentare i diritti dei cittadini. La stessa autonomia della magistratura è stata osservata e disegnata dal nostro padre costituente e anche dalle leggi dell'ordinamento giudiziario non come semplice disegno e confine dei suoi rapporti con il Parlamento e gli organi esecutivi, ma come mezzo e strumento per poter realizzare meglio le garanzie dei cittadini. E il fatto che oggi ci sia una necessità di aggiornare, per i prossimi cinquant'anni, un patto sociale sottoscritto, che è nato da grandi valori e la cui parte fondamentale resta attuale - qualcuno, con termine oculistico, giustamente ha ricordato che si parlava di visione presbite e non certo miope -, ci obbliga ad usare lo stesso metro di giudizio. Ci obbliga quindi a non contestualizzare, sulla scorta dell'onda emotiva, alcuni episodi recenti, fino al punto di fare guerre di religione o fino al punto di giustificare dei deliri di onnipotenza, che avrebbero uno spazio corto rispetto ad una visione che invece deve disciplinare in maniera corretta, sulla spinta e sull'ottica del rispetto delle garanzie dei cittadini, quelle garanzie che noi riteniamo ormai non più differibili.

Dico questo perché ho colto - aleggiava in qualche intervento - una qualche venatura critica (e ne faccio parola perché vorrei che di questo restasse traccia) a proposito di alcune scelte sull'interpretazione dell'articolo 68 della Costituzione che hanno visto in qualche modo una diversificazione di posizione. Io faccio parte di coloro che hanno raccolto «frizzi e lazzi» per una scelta che è stata interpretata in maniera probabilmente non aderente alla visione complessiva della maggioranza. Però, forse, io ho commesso l'errore di prendere effettivamente sul serio tutti coloro i quali facevano riferimento ad una libertà di coscienza (esponenti politici di grande autorevolezza), i quali, nel momento in cui poi si è esercitata la libertà di coscienza, hanno ritenuto più libera la coscienza conforme e compatibile ad una determinata visione. Se questo dovesse essere un elemento che in qualche modo - insieme ad altri, insieme all'agitazione che interviene nei rapporti difficili, resi tali anche dall'intervento pregevole della magistratura, alla quale riconosco il grandissimo merito di aver inciso col bisturi su fenomeni che non potevano più essere tollerati - facesse da guida, certamente non sarebbe un viatico per porre delle regole, che probabilmente avrebbero il difetto di essere mirate su una visione immediata e di corto respiro rispetto invece a quello che deve essere il disegno complessivo.

Per quanto riguarda le soluzioni adottate, io condivido l'opinione del relatore, quando fa riferimento alla necessità di spingersi oltre rispetto alla unità non meramente funzionale della giurisdizione, la quale mi sembra più un trucco terminologico che la rispondenza ad un principio di diritto fondamentale. Secondo me, la scelta deve essere ancor più radicale e  sono per la necessità di una unità sostanziale, che probabilmente verrebbe ad incidere in maniera non estremamente positiva sul disegno dell'architettura istituzionale attuale, ma renderebbe un servizio utile all'intera cittadinanza, al popolo italiano.

Allo stesso modo, sulla differenziazione delle funzioni tra le attività dell'organo inquirente e quelle dell'organo giudicante, dico con molta chiarezza - si tratta di una mia opinione personale e, immagino, del gruppo al quale appartengo - che non c'è alcun retropensiero nel sostenere a voce alta che il nostro obiettivo è di potenziare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.

Vorrei, inoltre, che non vi fossero interpretazioni non autentiche rispetto ad una mia posizione, che ho espresso anche in altre sedi, circa l'opportunità di amplificare, di marcare geneticamente in maniera un po' più visibile la differenziazione delle funzioni nella magistratura, tenendo conto che abbiamo alle spalle una riforma che ha stravolto il procedimento penale, trasformando in accusatorio un regime inquisitorio che aveva rappresentato la stella polare dalla quale era derivato il disegno di tutta la normativa precedente.

Il potenziamento e l'autonomia della magistratura, al cui interno, ovviamente, vedo la figura dei rappresentanti del ministero pubblico, non può che transitare attraverso il riconoscimento di caratteristiche diverse. Si tratta di un punto che ha formato oggetto di un dibattito acceso, che probabilmente risente di alcuni vizi di interpretazione, quali quelli che segnalavo nella prima parte del mio intervento. Non vorrei si dimenticasse che il tasso di democrazia di un ordinamento non è dipendente dalla natura dell'organo del ministero pubblico o dai suoi rapporti con gli organismi politici od istituzionali. Vi sono paesi di sicura tenuta democratica nei quali vi è addirittura una contiguità, un'osmosi con il potere esecutivo, che sfiorano la subordinazione gerarchica; mi riferisco alla Francia, alla Gran Bretagna, alla Svezia, ai Paesi bassi e perfino alla Cina popolare.

In sostanza, banalizzare un pensiero, come da qualcuno è stato fatto, per cui coloro che sono favorevoli alla diversificazione delle funzioni vorrebbero in qualche modo subordinare l'attività del pubblico ministero al potere esecutivo, è un atteggiamento che a mio avviso arreca un grave torto anzitutto all'intelligenza di chi lo assume, ma, soprattutto, alla storia recente e meno recente del nostro paese.

Vanno privilegiate una cultura di legalità, una cultura di garanzie ed una cultura di giurisdizione. Probabilmente avremmo avuto - per così dire - meno dialogo tra sordi se si fosse proceduto in maniera diversa: anziché depotenziare un'autonomia degli organi inquirenti, si sarebbe dovuto arrivare al potenziamento delle attività e della parità difensive. In questo modo, probabilmente, si sarebbero sciolti alcuni equivoci e il discorso sarebbe stato più scorrevole e avrebbe consentito di conseguire traguardi espressivi più conformi alla mia visione del problema.

Sotto il profilo concreto, vi sono alcune scelte che rimetto alla valutazione del relatore, del presidente e di tutti i membri della Commissione, scelte di immensa portata che segnano davvero un passaggio storico sotto l'aspetto della filosofia del diritto. Penso, ad esempio, all'articolo 129, nel testo risultante dall'ultima elaborazione della Commissione. In tale disposizione si fa riferimento a tre concetti fondamentali. In particolare, segnalo che parlare di tutela penale in relazione a beni di esclusiva rilevanza costituzionale implica una scelta della quale si deve tenere conto anche nella prosecuzione dell'esame della legge sulla depenalizzazione, della quale sono stato relatore. Infatti, la quasi totalità delle disposizioni contravvenzionali tutela beni non di rilevanza costituzionale. Pertanto, se questa scelta - che, a quanto mi risulta, è stata effettuata in maniera pressoché unanime - sarà condivisa, le conseguenze non potranno che essere quelle, che peraltro mi sento di sposare a pieno titolo, della  riduzione al concetto di diritto penale minimo, che vada a relegare l'intervento soltanto a quei settori che rendono indispensabile un'attività dello Stato tanto costosa per i cittadini e per lo Stato medesimo.

Lo stesso riferimento al criterio di offensività, un diaframma difficilmente coglibile dal quale addirittura far conseguire la non punibilità nel caso in cui non vi sia non soltanto un'offensività ma un'offensività concreta, implica a mio avviso scelte che dovrebbero essere demandate quanto meno all'articolazione di una legge ordinaria. Come principio costituzionale, la cosa è assolutamente condivisibile ma non aggiunge e non toglie nulla rispetto alla definizione del concetto...

(omissis)

SEBASTIANO NERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione che si sta avviando sulla proposta di legge costituzionale elaborata dalla Commissione bicamerale segna un momento importante nella vita della nostra democrazia, perché si svolge in una fase in cui profonde trasformazioni sono intervenute nella nostra società e tra le forze politiche che l'hanno interpretata.

(omissis)

Ridisegnare i rapporti costituzionali in questo contesto significa rivedere gli equilibri fra i poteri dello Stato e scrivere regole che garantiscano un confronto e che assicurino realmente un'alternanza che dia senso ad un bipolarismo che non è ancora compiuto. Intendo dire che in tale contesto, nel momento in cui abbiamo scelto una strada bipolare e ad impronta maggioritaria, con la possibilità per forze che non rappresentano la maggioranza assoluta nel paese di governarlo stabilmente per la durata di una legislatura, era fondamentale rivedere il sistema delle garanzie. Ed era importante rivederle in ambito politico affinché la minoranza non fosse prevaricata, messa a tacere, ma potesse legittimamente aspirare e coltivare il progetto di ottenere in futuro la maggioranza. Inoltre, era importante rivedere il sistema delle garanzie in ordine alla posizione dei cittadini ed ai diritti di libertà degli stessi.

In questo contesto non poteva non essere ritoccato il sistema delle garanzie in relazione all'azione della magistratura. Nel 1989, con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, abbiamo definitivamente scelto in materia penale un sistema di processo accusatorio, vale a dire un processo di parti. Si è trattato di un primo passo, che oggi deve essere completato sul piano costituzionale, per stabilire che la giurisdizione ha una posizione ed una funzione di terzietà nell'ambito dei rapporti tra poteri dello Stato.

Bisognava rimarcare questo ruolo affinché la fase di transizione - purtroppo lunghissima - che il nostro paese sta attraversando non si protraesse oltre e affinché i poteri dello Stato avessero ciascuno una sua precisa identità, che potesse poi consentire un corretto esercizio delle proprie funzioni nel rispetto delle garanzie dei cittadini, che sono i destinatari ultimi dell'equilibrio funzionante di un sistema costituzionale. Terzietà della giurisdizione, quindi, significa assoluta autonomia ed indipendenza di chi è chiamato a stabilire o a ristabilire i principi della legalità violata. È infatti evidente che fisiologicamente, laddove non vi sia violazione della legalità, manca il presupposto per un intervento di quello che è il potere della magistratura; laddove si rende necessario l'intervento della magistratura, di per sé deve esservi stata una violazione dei principi di legalità.

Se l'assetto politico assume una connotazione bipolare, quindi di un confronto tra posizioni alternative che si contrappongono l'una all'altra per affermare il diritto di ciascuno a governare sulla base del consenso espresso dai cittadini; se la traduzione di questo principio in tutti i gangli costituzionali porta ad accettare quella che è la regola del processo delle parti, sia in materia civile che in materia penale, specialmente con riguardo alla giurisdizione penale bisogna accettare il principio che il pubblico ministero oggi svolge un'azione di parte e non certamente un'azione giurisdizionale in senso stretto.

Questa è una parte particolare. Non mi addentro nel dibattito perché i termini temporali non consentono di sviluppare questo tema, sul quale la discussione è accesissima; ma certamente in questo contesto e alla luce delle scelte ordinamentali del processo penale vigente, non si può affermare che l'azione della pubblica accusa sia soltanto una parte dell'azione giurisdizionale in senso lato: il pubblico ministero è, con tutte le sue peculiarità, parte in un processo nel quale è chiamato a giudicare un giudice che deve e non può che essere terzo.

La Costituzione deve recepire un'impostazione di questo tipo? Certamente sì! Essa deve garantire questa posizione di terzietà del giudice.

La tradizione italiana non consentiva e non consente però, a mio avviso, di fare passaggi radicali e di arrivare ad una  radicale separazione delle carriere, come pure avviene in altri paesi a democrazia consolidata. Per cui, il problema vero non è «separazione sì, separazione no» delle carriere; il problema è, in relazione all'assetto costituzionale complessivo che uscirà all'esito dei lavori della bicamerale, quale sarà l'equilibrio tra i poteri. Il sistema funziona quando il sistema di pesi e contrappesi risulta essere armonico ed equilibrato. Ed ecco che allora quel problema non è più o non può essere quello della separazione delle carriere in sé; il problema è quello di vedere in che termini viene e può essere garantita la terzietà dei giudici e l'autonomia assoluta ed indiscutibile dei pubblici ministeri. Nello specifico, visto che discutiamo di una proposta concreta di riforma della Costituzione, se le proposte uscite dalla bicamerale garantiscono da un lato la terzietà del giudice, dall'altro lato devono fare altrettanto riguardo all'autonomia dei pubblici ministeri.

Credo di poter dare una risposta positiva a questo problema, perché l'ultimo testo licenziato dalla bicamerale, dopo l'esame degli emendamenti, ribadisce la sottoposizione del pubblico ministero soltanto alla legge e all'ordinamento giudiziario. Credo di poter dare una risposta positiva anche perché il mantenimento del pubblico ministero nell'ordine della magistratura consente di estendere allo stesso quelle garanzie che sono previste per tutta la magistratura. E tuttavia la diversità di ruolo non poteva non essere rimarcata e riconosciuta e non poteva non essere recepita nel testo costituzionale.

L'argomento che sta sollevando maggiori discussioni è quello della divisione del Consiglio superiore della magistratura in sezioni.

PRESIDENTE. Onorevole Neri, deve avviarsi a concludere.

SEBASTIANO NERI. Di quanto tempo dispongo ancora, Presidente?

PRESIDENTE. Dispone ancora di 39 secondi.

SEBASTIANO NERI. Spero di riuscire a completare il mio pensiero.

La divisione in sezioni del Consiglio superiore della magistratura può essere condivisa o meno. A mio modesto parere - ed esprimo in proposito un'opinione personale - sarebbe stato probabilmente preferibile affidarla ad una riserva di legge ordinaria, perché ciò avrebbe dato al sistema maggiore flessibilità ed avrebbe consentito di sperimentarne il funzionamento. Non credo tuttavia che la scelta operata in tal senso sia fondamentalmente irreparabile. La diversità delle funzioni e la disciplina interna autonoma prevista per i pubblici ministeri non intacca certamente la loro autonomia né è propedeutica - secondo l'impianto costituzionale proposto - ad una sottoposizione del pubblico ministero all'esecutivo.

Dobbiamo fare tutti uno sforzo concreto di lettura attenta del nuovo dettato costituzionale ed evitare speculazioni emotive.

Nel ringraziare il presidente per la tolleranza che ha dimostrato nel concedermi di concludere il mio intervento, termino con un'ultima considerazione. Noi dovevamo chiedere - e credo che i fondamentali siano stati effettivamente inseriti nella formulazione licenziata dalla bicamerale - la garanzia della terzietà del giudice, la garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza del pubblico ministero, la possibilità che l'ordine giudiziario nel suo complesso non abbia a temere alcuna ingerenza indebita da parte della politica in quelle che sono le sue prerogative.

L'autonomia e l'indipendenza della magistratura con questa formulazione restano a presidio di un equilibrio ragionevole tra i poteri. Credo non vi debbano essere altre preoccupazioni. Le Camere dovranno eventualmente indirizzare il proprio sforzo alla finalità di perfezionare questi ruoli e non certo per riprendere in esame argomenti che nessuno ha inteso lasciare nel limbo della discussione nel testo già licenziato dalla bicamerale. L'autonomia e l'indipendenza della magistratura nel suo complesso sono ancora riconosciute e garantite da questo testo della  Costituzione. Se sul piano funzionale riusciremo a fare di meglio, ne trarrà vantaggio tutto il paese. Laddove dovessimo adottare questo testo, credo che nessuno avrebbe motivo di gridare allo scandalo, perché non vi è lesione di alcuna prerogativa costituzionale pregressa né di alcun principio fondamentale di una società democratica.

(omissis)

TULLIO GRIMALDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, che il dibattito si sarebbe svolto in un'aula vuota era prevedibile, direi anzi scontato; ma che la seduta sia disertata anche da qualche relatore è cosa che io ritengo vada anche al di là di quello scadimento dei lavori parlamentari che tutti purtroppo dobbiamo constatare quotidianamente.

(omissis)

Quanto alle norme in materia di giustizia, si è già parlato della separazione del Consiglio superiore in due sezioni, fatto che chiaramente prelude alla separazione delle carriere. In effetti, non si comprende perché si proponga di procedere in questi termini: tra l'altro, potrebbe essere lo stesso Consiglio superiore a gestire due carriere differenti o due funzioni diverse. In realtà, con una distinzione in due sezioni, la parte che si vorrebbe ridimensionare, i pubblici ministeri, finisce per acquistare maggiore potere o, per lo meno, per assumere un potere gestito diversamente.

Vi sono ulteriori norme che risultano ancor più gravi. Penso, per esempio, alla previsione volta ad introdurre la corte disciplinare chiamata a controllare l'attività dei magistrati; ciò comporterà un controllo molto più attento, puntuale ed intenso sui magistrati, in presenza però di un procuratore generale politico, un procuratore generale, cioè, eletto dal Parlamento. È fuori di dubbio che quest'ultimo rappresenta la volontà popolare, ma in questo caso è evidente che la nomina del procuratore generale è determinata dalla maggioranza politica; il procuratore, dal canto suo, promuove l'azione disciplinare giudicata non, come accade oggi, dal Consiglio superiore della magistratura ma da una corte disciplinare formata ad hoc. Anche rispetto a questo esempio è inutile continuare a parlare di indipendenza della magistratura. Di indipendenza della magistratura tutte le Costituzioni sono piene, ma si tratta di verificare in che modo questo principio operi. Nel momento in cui vi sono controlli ed interferenze non si può parlare di indipendenza: l'indipendenza non esiste più, così come non è esistita fino a quando nella magistratura le carriere sono state controllate dall'alto e, in particolare, dal potere esecutivo. Questo è il punto!

Una serie di altre «perle» riguarda la giurisdizione. In questo settore si propongono norme che, da modesto giurista, non saprei come definire. Il primo comma dell'articolo 129 recita: «Le norme penali tutelano beni di rilevanza costituzionale». Questo significa che tutto il resto non ha più rilevanza penale, tranne i principi costituzionali che hanno una loro tutela. Le norme costituzionali dovrebbero funzionare da garanzie ed impedire la criminalizzazione di alcuni casi, invece qui il principio funziona al rovescio: laddove la Costituzione non preveda alcunché, non si può intervenire dal punto di vista penale, il che è incredibile.

Vi è poi una seconda affermazione: «Non è punibile chi ha commesso un  fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una concreta offensività». È una norma che non è stata inserita a caso, perché qualche decennio fa si discuteva molto tra i penalisti - era una moda - della cosiddetta «adeguatezza sociale». Vi era cioè una scriminante che funzionava nel caso in cui una qualsiasi azione che potesse costituire reato veniva invece ritenuta di adeguatezza sociale. Era un principio che veniva in un certo senso mutuato dalla cultura nazista.

Noi qui dobbiamo valutare, caso per caso, se ci sia o no un'offensività. Ebbene, quando è che non c'è offensività? Quando un ragazzo ruba delle caramelle in un supermercato o quando un ex ministro prende 21 miliardi per corrompere qualcuno? Ci dobbiamo intendere a tale riguardo. Intendiamoci! Ebbene, io ho paura di fronte ad un principio del genere inserito nella Costituzione.

Il terzo comma dell'articolo 129 poi recita: «Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo». A questo proposito nel diritto penale si è sviluppata un'ampia letteratura.

Tutto questo non è privo di logica. Infatti, non si può incriminare quando non c'è un principio costituzionale; il che vuol dire che si può fare quello che si vuole, se non c'è nella Costituzione.

Il comma 4 dell'articolo 129 recita: «Nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se sono contenute in leggi disciplinanti organicamente l'intera materia cui si riferiscono». Quindi, non si possono inserire norme penali in leggi ordinarie, ma bisogna fare un codice. Se improvvisamente bisogna tutelare un particolare bene che non è adeguatamente protetto, ad esempio, l'ambiente, ciò non si può fare, perché non si può approvare una norma in tal senso se non viene inserita in un codice o in una legge organica.

Vi è poi un'ultima perla. Infatti, si dice che l'azione penale è obbligatoria, però l'articolo 132 prevede che: «Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale e a tal fine avvia le indagini quando ha notizia di reato».

Presidente, lei forse ricorderà - perché, come me, ha fatto parte della magistratura - che negli anni cinquanta i procuratori della Repubblica non si muovevano se non erano sollecitati dai carabinieri. In altre parole, stavano nelle loro sedi ed aspettavano. Tangentopoli non c'era né avrebbe potuto esserci a quell'epoca, perché non sussisteva la notitia criminis. Non se la potevano procurare né potevano averla aliunde, ma dovevano avere una notizia qualificata di reato. Il che vuol dire che i pubblici ministeri di Milano o i pubblici ministeri di Palermo da questo momento in poi se ne dovranno stare buoni nei loro uffici, perché si muoveranno solo quando avranno una notizia di reato e agiranno secondo i principi su cui mi sono soffermato in precedenza, vale a dire quelli della concreta offensività del reato e via dicendo.

Mi chiedo allora se questa riforma della Costituzione fosse necessaria in un momento come questo, in cui la corruzione dilaga. Io dico che forse era necessaria perché probabilmente essa conviene a qualche parte politica (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).

(omissis)

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE (ore 18,05)

PAOLO RICCIOTTI. Sui problemi della giustizia, Rinnovamento italiano ha precisato - anche nelle sedi opportune - che la visione alla quale si ispira prevede che la costituzionalizzazione dei diritti dei cittadini sia considerata un fatto positivo. Concordiamo pertanto con il relatore su tali posizioni. Siamo tuttavia convinti dell'esigenza di ampliare tale concetto, senza che ciò oltre tutto comporti la separazione del CSM. Riteniamo inoltre che l'autonomia della magistratura sia irrinunciabile anche a garanzia dei cittadini.

(omissis)

PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, colleghi, le relazioni di questa mattina e il lavoro svolto in Commissione bicamerale consegnano all'aula una proposta  che non solo merita approfondimenti, come è ovvio, ma che necessita anche di significativi chiarimenti e modifiche. Sbaglia chi ritiene che sia compito di quest'Assemblea demolire pregiudizialmente l'importante lavoro della Commissione bicamerale, ma sbaglia anche chi vede l'Assemblea di Montecitorio come luogo di ratifica delle decisioni prese dalla Commissione a cui guardare con diffidenza nel prosieguo dell'iter di queste importanti riforme.

(omissis)

Venendo al capitolo delle garanzie, voglio innanzitutto ringraziare per il lavoro da lui svolto il relatore Boato, al quale, pur non condividendo parte delle sue proposte, è doveroso esprimere solidarietà per quella che a volte è stata una campagna di linciaggio pregiudiziale scatenata non tanto contro le sue proposte quanto contro la sua persona e la sua storia politica.

Nel capitolo sulle garanzie vi è una parte che in questi mesi è stata poco valorizzata, quasi compressa dall'interesse esasperato, seppure importante, per il futuro del CSM o per le carriere dei magistrati. Poco si è parlato delle importanti novità introdotte come garanzie dei cittadini, la costituzionalizzazione del concetto del processo giusto e rapido, della parità tra accusa e difesa, del valore prioritario del contraddittorio orale. Per noi (e credo di interpretare l'opinione di tutti i verdi) i valori espressi negli articoli dedicati alle garanzie del cittadino sono fondamentali. Il Parlamento, nella sua sovranità, deciderà e discuterà liberamente sul CSM e sulle carriere dei giudici e noi esprimeremo le nostre opinioni, ma la parte relativa al rapporto tra cittadini e giustizia dovrà comunque essere salvaguardata dalle contingenze del dibattito politico, perché rappresenta l'assunzione di un riferimento generale che deve diventare parte integrante dei valori fondanti della nostra Costituzione e della cultura giuridica nel nostro paese. Per la prima volta, infatti, il cittadino non è più oggetto ma soggetto della giustizia e del suo funzionamento, mentre gli operatori della giustizia, siano essi avvocati o magistrati, ritrovano quella funzione di servizio quasi silenziosa ma non per questo meno essenziale che soprattutto negli ultimi anni sembrano aver perso.

La rivendicazione coerente e decisa dell'autonomia e della indipendenza della magistratura come uno dei pilastri fondamentali della nostra Costituzione deve rimanere in questo processo di riforma e di affermazione delle garanzie un valore irrinunciabile. Solo nell'ambito di ciò è possibile rimodulare l'organizzazione del CSM mantenendo la sua unicità, separare le funzioni del pubblico ministero da quelle del giudice nell'ambito comunque dell'unicità dell'ordinamento, ma soprattutto respingere quelle posizioni che vorrebbero l'elezione popolare dei pubblici ministeri o il venire meno dell'obbligatorietà dell'azione penale.

Il capitolo delle garanzie è tanto più importante se si considera la necessità, ormai non più rinviabile, di superare le emergenze giudiziarie che dagli anni settanta in poi hanno caratterizzato le scelte del potere legislativo e l'esercizio delle funzioni della magistratura, fino al punto di mettere a rischio le stesse regole costituzionali e generali della nostra Carta fondamentale. In quella stagione delle emergenze non c'è stato conflitto tra politica e magistratura, come in maniera semplicistica e sbagliata si afferma oggi, ma entrambi questi poteri hanno consapevolmente e gravemente usato il luogo giudiziario, il processo e il diritto penale per regolamentare i conflitti e le contraddizioni della società, fino al punto di uno strumentale, reciproco travalicamento dei poteri, ormai non più accettabile in una democrazia matura.

(omissis)

GIUSEPPE GAMBALE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel prendere la parola in questo dibattito voglio innanzitutto ringraziare i componenti della Commissione bicamerale, il suo presidente e i relatori che hanno svolto in questi mesi un lavoro prezioso e difficile che ha consentito al lungo dibattito sulle riforme di giungere finalmente oggi in quest'aula.

(omissis)

Passo ora ad affrontare il tema del sistema delle garanzie, la delicata questione giustizia. Lo stesso onorevole D'Alema, tempo fa, ha dichiarato: «Nessuna discussione sulla giustizia può prescindere dal fatto che questo paese è giunto ad un passaggio di cambiamento dal quale può uscire un'Italia più aperta, più libera e moderna, anche perché abbiamo conquistato una soglia di controllo di legalità che prima non c'era». Non c'è da meravigliarsi se intorno alla giustizia sono sempre aspre le polemiche e le controversie. La giurisdizione è funzione estremamente delicata che non tollera violenze: ne vanno di mezzo, oltre ai diritti dei cittadini, le fondamentali libertà civili. Pertanto, qualsiasi revisione dell'ordinamento della giurisdizione deve avvenire nel chiaro rispetto dei principi fondamentali e delle regole del diritto.

Ritengo, inoltre, che il contrasto venutosi a creare tra magistratura e classe politica si sia sviluppato in un sistema politico-istituzionale per decenni bloccato, in quanto non ha conosciuto il regime dell'alternanza, e caratterizzato, fino a qualche anno fa, da un'alta concentrazione del potere politico nei partiti, che si è sovrapposto alla funzione legislativa e di governo, per cui, sostanzialmente, l'unico mezzo di garanzia a favore della legalità è stata l'azione della magistratura.

Nel nuovo sistema istituzionale, che dovrebbe vedere più sedi di potere, centrali e territoriali, forti ed in equilibrio tra loro, il rispetto del diritto dovrebbe essere maggiormente assicurato e diminuirebbe, quindi, il ruolo di tutela della legalità svolto finora in modo necessariamente preponderante dalla magistratura nei confronti di un ceto politico prevalente nelle istituzioni: la politica riprenderebbe così il suo ruolo.

Inoltre, nell'ordinamento delle autonomie andrebbe prevista la costituzione di organi di giustizia territoriali più agili e più vicini ai reali bisogni di tutela della convivenza sociale e dei diritti dei cittadini. Penso soprattutto alla giustizia civile, quella che più da vicino tocca spesso il cittadino.

Ciò detto, ritengo necessario ribadire che va mantenuta ferma l'indipendenza degli organi giudiziali, come cardine dell'ordinamento dello Stato e della vita stessa della democrazia, indipendenza che ripete la propria legittimazione dall'affermazione del diritto e della legge e non dal consenso politico. È da questo che derivano la fondamentale ragione della distinzione della giurisdizione dalla politica e la necessità di mantenere l'obbligatorietà dell'azione penale.

Certamente sussiste la necessità di rendere compatibile detta indipendenza con il principio dell'unità dello Stato e con la certezza del diritto. Il primo di detti fini può essere raggiunto stabilendo opportune forme di raccordo tra il CSM, cui deve essere riconosciuto anche il ruolo di rappresentanza costituzionale dell'ordine giudiziario nei rapporti con gli altri poteri dello Stato, le due Camere ed il Governo, in ordine all'andamento dell'azione giudiziaria. Ritengo che l'organismo adatto per questo scopo sia proprio il CSM, perché nettamente distinto dagli organi giudiziari, escludendo quindi che il raccordo con le Camere avvenga attraverso questi ultimi organi, perché ciò comprometterebbe l'indipendenza della giurisdizione e contrasterebbe con il principio della fondamentale distinzione delle funzioni dello Stato.

Per questa stessa ragione sono contrario alla separazione delle carriere dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero ed all'istituzione di due separati Consigli della magistratura.

Riguardo al CSM, con adeguate forme di elezione o nomina dei membri togati e laici del predetto organo, si dovrebbe poi tendere a ridurne il lamentato tasso di politicizzazione e ad assicurarne il carattere di rappresentatività dell'ordine giudiziario.

Il secondo fine - la certezza del diritto - può essere conseguito disciplinando l'attività giudiziaria con norme ordinamentali  e di funzionamento degli uffici giudiziari. Si tratta di ridare autorità e responsabilità ai capi degli uffici superiori (procure generali e corti), il tutto completato con le opportune riforme processuali, recuperando - credo - anche forme del processo penale più consone alla nostra cultura e tradizione giuridica, rivalutando il ruolo del giudice nella fase delle indagini preliminari, dinanzi al quale l'accusa e la difesa possano svolgere la propria attività su un piano di parità, e facendo così recuperare al processo più celerità e razionalità.

Siamo appena all'inizio di questa importante discussione. Se questa Assemblea e quindi tutti noi saremo capaci di ascoltarci reciprocamente e di prestare ascolto alle istanze che vengono dalla società, credo che potremo dare un contributo di vero progresso democratico al nostro paese nel rispetto di quei principi contenuti nella prima parte della nostra Carta costituzionale per i quali si sono battuti i nostri padri costituenti e nei quali ancora oggi tutti noi ci riconosciamo (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armando Veneto. Ne ha facoltà.

ARMANDO VENETO. Signor Presidente, signor presidente della Commissione bicamerale, onorevoli colleghi, il tema della giustizia ha rilevanza centrale rispetto al dibattito in corso, è uno dei nodi strutturali da sciogliere, eppure esso viene giocato su profili piuttosto bassi, tra cronaca e storia. Il massimo della storia possibile sembra essere rappresentato dalla circostanza che il tema della giustizia possa coinvolgere addirittura la tenuta della coalizione di Governo. Sul piano più semplicistico della cronaca, pare che il tema della giustizia in qualche modo risulti influenzato dalle vicende della cronaca medesima, dalla circostanza che taluni fatti possano in qualche misura incidere sul cammino della modifica dell'assetto costituzionale rispetto al tema della giustizia. Sicché potrebbe sembrare che questo problema debba essere, per un verso, banco di prova perché ciascuno mostri la propria forza e che, per altro verso, si risolva affermando che esso è strumentale per castigare qualcuno, per provocare rivincite, per aumentare poteri, per far mantenere posizioni di forza. Ritengo che tutto questo minimizzi il valore da attribuire alla centralità del tema.

Allo scopo di dimostrare intanto a me stesso come il momento sia importante e l'argomento centrale per la costruzione di uno Stato moderno, voglio misurarmi con la prospettiva di innestare un discorso che, da un'altra angolazione, dia conto proprio della esigenza di modificare ora ed in questa sede il «pianeta giustizia» e tutti gli aspetti che sono contermini rispetto al nodo essenziale che la questione della giustizia determina.

È un discorso questo che - consentitemi di dirlo - può appartenere soltanto a forze moderne, progressiste, capaci di interpretare la storia, di precorrerne le ragioni al di fuori di ogni prospettiva tattica che, per il solo fatto di essere tale, è indegna di dimorare all'interno di questo dibattito. Dirò subito che, a parer mio, la crisi della giustizia, della sua collocazione rispetto ai poteri e alle funzioni di uno Stato moderno è proiezione della più vasta crisi postilluminista che faticosamente adesso sta facendo emergere i nuovi scenari di organizzazione dei popoli. È cessato il tempo della ragione come motore di ogni conoscenza, della pretesa di sistemare tutto attraverso una normativa che contempli tutte le ipotesi possibili. È finito il tempo degli archetipi immutabili assunti a parametro di ogni agire umano. È allora entrato in crisi il sistema giustizia, costituito sul rapporto fattispecie legale e fattispecie astratta, tra ipotesi e previsione di carattere generale ed accadimento umano, che contemplava e per ciò stesso voleva il giudice al centro di questo rapporto a fare da arbitro della relazione tra l'archetipo e la previsione di  carattere generale e l'accadimento del singolo uomo e nel singolo momento della sua storia.

Oggi, nel tempo di una laicità che si esprime attraverso forme nuove di interazione tra accadimento e concetto, il giudice non può più essere soltanto arbitro di questo rapporto. Egli deve essere liberato dallo spazio angusto nel quale questo rapporto si costruisce e si realizza e deve essere posto nelle condizioni di ergersi sul fatto, di ergersi sull'uomo autore del fatto per giudicarlo nella specificità propria e peculiare di quell'uomo e di quel fatto, avendo così, per un verso, norme di riferimento, ma per altro verso potendo spaziare nell'universo della conoscenza, non solo gestita dalla intelligenza, ma anche da tutto quel complesso strutturale che fa l'uomo integrale allo scopo di apprezzare il fatto, il suo disvalore giuridico, per applicare la sanzione.

Per fare ciò, deve essere libero, stare al di sopra delle parti, sganciato da prepoteri e sostenuto da una corretta informazione, soggetto alla legge, ma non solo e non tanto a quella ordinaria, piuttosto ai valori essenziali che la norma costituzionale, la norma fondamentale esprime. Allora il dato fondamentale che a parer mio può e deve essere posto a fondamento delle riforme da fare è la battaglia per un giudice forte e nel contempo soggetto alla norma fondamentale: il fine è quello di un giudice forte, le cui decisioni siano rispettate dal corpo sociale, il che significa ricollocare negli ambiti propri gli altri attori del dramma giustizia, le altre parti, fra le quali quella pubblica, le altre autorità che concorrono alla migliore conoscenza possibile del fatto perché il giudice, sbagliando il meno possibile, decida al meglio.

Credo che, se questo discorso è corretto, non è possibile immaginare un giudice coabitatore, cointeressato, collegato nei club, nelle carriere, nelle funzioni e così via; altrimenti, bisogna dire che questa disputa è banale rispetto alla prospettiva storica, che impone una revisione sui temi della giustizia. Questa prospettata ed indimostrata preoccupazione di un'emarginazione del pubblico ministero dall'area della giurisdizionalità intanto suona offesa nei confronti dello stesso magistrato del pubblico ministero, che non dovrebbe soffrire crisi di giuridicità, egli che è chiamato a far rispettare la legge e che dovrebbe per primo rispettarla; eppoi non vi è una ragione soltanto che sia seria, che sia fuori dalla preoccupazione dei clan, che possa creare condizioni di disfavore, di disagio rispetto ad una netta separazione di funzioni, necessaria se la prospettiva storica è corretta; la distinzione delle carriere è un succedaneo, che direi però logico, strutturale, ontologico.

L'occasione che ci si offre, per concludere, credo che non vada sprecata; ritengo che abbiamo la possibilità di costruire un sistema che sostituisca la strategia ai tatticismi, la libertà alle strumentalizzazioni, il servizio al potere. Abbiamo la possibilità di accompagnare la storia che si va facendo, di anticiparne l'esigenza di sciogliere grovigli tra poteri e all'interno di taluni di essi, di ridare slancio ad un'idea di giustizia più alta, perché più vera rispetto ad una legalità che, tanto più è di facciata, tanto peggio risolve i problemi della civile convivenza.

Questo sforzo dobbiamo farlo, lontani dalla cronaca e da un basso profilo della storia, rendendoci interpreti proprio di una storia che prevede la necessità che il giudice sia posto un gradino più in su rispetto a chiunque altro - ripeto, parte pubblica o privata - si affacci nell'arengo della giustizia. Questo sforzo è proprio dei veri democratici e consiste nel chiedere ai gruppi e agli interessi che essi portano di fare un passo indietro per cogliere le opportunità che sempre più insistentemente si materializzano all'orizzonte della storia. Credo che i popolari siano pronti a discutere, a ragionare, tenendo conto della circostanza che non dipende dalle prepotenze, dalle maggioranze, dalla quantità di voti modificare la storia, poiché quello che conta è mettersi accanto ad essa, ragionare con questo «essente», come dice Severino, che si va costruendo accanto a noi, riuscire ad interpretarlo e  a captarlo proprio stando lontano da quella cronaca banale che vorrebbe intristire la storia che andiamo facendo (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e della sinistra democratica-l'Ulivo).

(omissis)



 

 

RESOCONTO STENOGRAFICO

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303.

 

Seduta di MARTEDì 27 GENNAIO 1998

 

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

INDI

DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE E LUIGI PETERLINI

 



Seguito della discussione del progetto di legge costituzionale: Revisione della parte seconda della Costituzione (3931) (ore 11,11).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di  legge costituzionale: Revisione della parte seconda della Costituzione.

(Ripresa della discussione sulle linee generali - A.C. 3931)

(omissis)

FABIO DI CAPUA. Presidente, onorevoli relatori, il processo di riforma che abbiamo avviato in queste settimane e che è giunto nella nostra aula è il risultato anche di una forte sollecitazione che ci è giunta dal paese, dai cittadini, dalla gente, dal popolo.

(omissis)

Per quanto attiene alla giustizia, sono uno di coloro che non considera sostanziale la separazione delle carriere dei magistrati, perché vorrei soltanto che venisse sancito in modo chiaro un principio: quello della salvaguardia ad ogni costo dell'autonomia della magistratura. Ritengo, infatti, che l'esame delle riforme non debba rappresentare un'occasione di rivalsa nei confronti di un'azione meritoria che ha consentito negli anni passati al paese di cambiare e di rinnovarsi, di modificare il suo assetto, di interpretare i veri bisogni e di corrispondere alle sollecitazioni reali dei cittadini.

(omissis)

GIOVANNI MELONI. Signor Presidente, se mi consente un'osservazione forse poco aulica e curiale, mi pare che in questa discussione, almeno fino a questo punto, ci troviamo in una situazione che definirei un po' strana.

Chi è presente in questa sede, mentre interviene, sottolinea l'importanza di questa discussione, quasi la storicità dell'evento.

(omissis)

Vengo ora a parlare rapidamente di alcuni dei temi che più mi stanno a cuore. Desidero parlare delle questioni che concernono i problemi della giustizia. Tutti sappiamo che su questo tema non si è manifestato accordo, non si sono potute fare votazioni, non si è arrivati ad uno stato definitivo della questione. Vorrei fare un'osservazione rispetto al ragionamento che ieri ci ha proposto in quest'aula in modo articolato (lo aveva già fatto più volte) l'onorevole Boato. Egli in sostanza afferma di essersi mosso costantemente tra autonomia e responsabilità della magistratura da un lato e diritti dei cittadini dall'altro. Sembrerebbe dunque che l'autonomia della magistratura debba trovare un limite affinché essa non leda i diritti dei cittadini. Sembrerebbe che autonomia da un lato e diritti dei cittadini dall'altro rappresentassero due interessi non dico contrapposti, ma comunque diversi, rispetto ai quali bisogna operare  una mediazione. A me, francamente, onorevole Boato, non pare che sia così. A me sembra...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Posso fare un'interruzione?

GIOVANNI MELONI. Sì, anche due.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Ho detto che il valore dell'autonomia e dell'indipendenza, che va salvaguardato e rafforzato, è anche a tutela dei cittadini, non che va limitato in rapporto ai cittadini.

GIOVANNI MELONI. Non ho detto...

PRESIDENTE. Diamo atto che l'onorevole Meloni avrà letto la sua relazione, onorevole Boato.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. È un dialogo rispettoso con Meloni.

GIOVANNI MELONI. Certo. Quello che volevo dire - anche con questa precisazione, onorevole Boato, il senso del mio ragionamento non cambia - è che a me sembra che non vi sia niente da mediare tra l'autonomia del magistrati e la libertà dei cittadini, perché l'autonomia dei magistrati è una condizione, la condizione indispensabile dei diritti dei cittadini.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Esattamente quello che penso anch'io.

GIOVANNI MELONI. Bene, allora vediamo se riusciamo a metterci d'accordo anche su qualcos'altro.

Se ci fosse un momento in cui l'autonomia dei magistrati - credo che in proposito non faticheremo a metterci d'accordo - fosse altro che non difesa, garanzia dei diritti dei cittadini, sarebbe arbitrio, sarebbe violazione di legge, sarebbe reato da perseguire attraverso altre strade, ma certo non si difende questo tipo di diritti dei cittadini attraverso una compressione, una limitazione o una subordinazione del potere giudiziario al potere politico. Non è certo questa l'operazione che deve essere fatta con la Costituzione.

E allora proviamo ad osservare alcuni punti, sui quali brevemente concludo. Secondo l'articolo 117, «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». I pubblici ministeri, no; si usa per i pubblici ministeri una diversa formulazione. Perché si distingue? Onorevole Presidente, lei che è un fine giurista, quali immagina che saranno i commenti fra qualche mese, fra qualche anno, quando la dottrina si occuperà di questa distinzione per arrivare poi alla pratica? Quando si incomincerà a vedere che, per esempio, nei lavori preliminari, in una prima fase, nel testo della bicamerale sia i giudici sia i magistrati del pubblico ministero erano soggetti soltanto alla legge e poi si è acceduto invece a questa trasformazione. Come verrà interpretata? Si dirà, secondo un antico brocardo, che ubi lex voluit dixit e se non dice che è così, vuol dire che è diversamente. E dunque i pubblici ministeri rischiano di essere soggetti a qualcos'altro. La stessa idea del coordinamento fra gli uffici del pubblico ministero non rischia - vado molto rapidamente - di incidere sulla sostanza dell'azione penale?

Ma andiamo oltre, all'articolo 118: unità della giurisdizione. Credo che l'ultimo testo presentato sia largamente migliorato rispetto a quello precedente, per lo meno perché non ci sono più i giudici speciali, ma non c'è unità della giurisdizione, non c'è unità della giurisdizione! Badate, vorrei solo notare che, per Costituzione, è stata abolita la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi, distinzione sulla quale si fondava la giurisdizione amministrativa, per lunga tradizione. Avendo abolito questa distinzione, perché mantenere la distinzione tra magistratura ordinaria e magistratura amministrativa? Per di più, dicendo che i magistrati amministrativi si occuperanno di che cosa? Di una cosa curiosa, difficile da definire: di tutte quelle materie che  attengono all'esercizio dei poteri pubblici, cosa che non è così facilmente e immediatamente delimitabile.

Nell'articolo 120 la magistratura viene considerata autonoma da ogni potere. Sarà una questione lessicale, ma io avrei preferito dire «da ogni altro potere», perché ritengo che la magistratura sia un potere.

Per chiudere, vorrei fare riferimento alle due sezioni del CSM, questione che credo sia destinata ad animare ancora la discussione, per dire semplicemente che tutta la partita che riguarda le due sezioni del CSM, ma anche gli articoli 122 e 124, relativi alla Corte di giustizia, ci presenta una situazione che io credo sia inquietante. Le due sezioni del CSM distinte in qualche modo postulano una specializzazione in senso poliziesco dei pubblici ministeri, per cui se questo in qualche modo avvenisse credo che ci troveremmo di fronte a tanti Forrester, che agiscono magari con ispirazioni di carattere politico, come in questi giorni sembra stia avvenendo negli Stati Uniti. Contemporaneamente, si pongono dei paletti molto forti al passaggio dall'una all'altra funzione dei magistrati, richiedendo ad essi il concorso. Contemporaneamente, d'altro canto, si fa un'operazione rispetto alla quale i CSM, sia quello della magistratura ordinaria sia quello della magistratura amministrativa, sostanzialmente scompaiono. La Corte di giustizia composta da nove membri giudica e si muove non soltanto con riferimento alle azioni disciplinari, peraltro esercitate da un procuratore generale, ma agisce addirittura come giudice di unico grado per le decisioni amministrative assunte dai rispettivi CSM. Presidente, credo che non possa sfuggire come in questa situazione il vero ed unico Consiglio superiore della magistratura sia proprio la Corte di giustizia, che di fatto rischia di annullare il governo di autonomia dei magistrati.

(omissis)

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3931)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.

PIETRO FOLENA. Senza molti giri di parole vorrei dire che nella proposta di riforma costituzionale al nostro esame quello della giustizia è un nodo ancora politicamente irrisolto. Dico questo senza fare torti al lavoro faticoso, di cui del resto la nostra parte politica è stata protagonista, condotta nel Comitato per le  garanzie della bicamerale e condotta in aula, in due occasioni di confronto che hanno registrato anche qualche momento difficile. Di questo lavoro sicuramente il relatore, onorevole Boato, è stato un tessitore infaticabile - e di ciò gli va dato merito, lo dico con ammirazione sincera - talvolta perfino al di là del necessario limite che esiste alla pazienza umana nel cercare punti di intesa, di compromesso o soluzione.

Ma non sarebbe corretto rappresentare i termini del lavoro che si è fin qui condotto, anche per vedere che cosa possiamo fare nella fase che si apre, quando esamineremo gli emendamenti, come una mediazione fra giustizialisti e nemici dei magistrati. Per parte nostra - non ho ragione di ricredermi anche rispetto alle prime affermazioni che avemmo modo di fare in sede di bicamerale e credo debba essere questa la tensione culturale ideale che attraversa la posizione della sinistra - il nodo «giustizia politica» non è il cuore del moderno problema della giustizia. Noi non neghiamo che questo nodo si ponga in termini molto complessi e che anzi costituisca un nervo scoperto, ma, colleghi, facciamo attenzione - questo mi pare il problema che abbiamo, anche in questa discussione - a rappresentare al paese, all'Italia una specie di lotta sorda, senza esclusione di colpi, fra poteri e istituzioni: chi (come per esempio il potere giudiziario) assumendo un indebito profilo politico e chi (una parte del mondo politico) manifestando una volontà, che appare odiosa, di creare una nuova area di immunità per le classi dirigenti, una specie di giustizia per i «vip» contrapposta ad una giustizia per le persone normali. Questa rappresentazione, se dovesse passare, sarebbe benzina sul fuoco di un malessere che esiste sul punto della giustizia, perché avverrebbe al di sopra delle teste di chi lavora, delle famiglie, delle imprese, delle comunità, del grande bisogno di giustizia che cresce e si moltiplica nella società e che purtroppo nel 1998 rimane ancora largamente inevaso, largamente denegato.

Le liti condominiali, gli sfratti, le cause di lavoro (il processo del lavoro fu riformato più di vent'anni fa) i tempi, i costi, l'inefficacia del giudicato, tutto questo fa sentire chiunque ha a che fare con la giustizia, senza che sia un delinquente, di essere considerato dentro un procedimento come un delinquente. Si dice che la più grande condanna è dover partecipare ad un procedimento, non è la condanna. O la riforma della giustizia, per via costituzionale e per via ordinaria, riuscirà a rispondere con coraggio a questo problema, oppure, se rimarrà nell'ambito della polemica quotidiana fra giustizia e politica, fra politica e giustizia, avremo fatto tutti fallimento.

Quindi, credo che abbia ragione il presidente Fini quando ricorda che al termine di questo processo si voterà per il referendum e che, aggiungo, il voto sarà giustamente uno solo (non si cambiano le regole del gioco a metà partita e non avrebbe senso spezzettare un'espressione di sovranità su una materia come questa). Ma voglio aggiungere che il cittadino di fronte alla riforma, che presenteremo, a quel momento del voto saprà valutare su questo punto se prevale lo spirito del passato, i fantasmi di ieri, una voglia di rivalsa, l'insofferenza sistematica per i controlli di legalità, oppure se le sue garanzie - nel processo penale, quelle di difesa, se imputato, ma anche quelle di risarcimento e di tutela, se vittima di un reato nel medesimo processo (anche a quelle garanzie bisogna pensare) - saranno più forti. Il cittadino nel voto valuterà se le garanzie di una giustizia meno costosa, di un accesso a chi ha un reddito più basso, di tempi più rapidi, della certezza del giudicato, saranno più forti.

Certo, sappiamo che non tutto si fa per riforma costituzionale, ma noi dobbiamo disegnare un progetto che sappia dare risposta a questo problema - questo per noi è garantismo, radicale nei valori, perché pone il tema delle libertà dell'uomo, dei diritti, delle garanzie nella società di oggi e di domani - e poi sappia individuare concrete soluzioni. Non invece  un garantismo a intermittenza, della domenica, delle feste comandate; non solo quando qualcuno di noi - e ci è successo - si sente, oppure è ingiustamente colpito, accusato, sbattuto in prima pagina. Il garantismo non può nascere solo da questo.

Non c'è stato in questi mesi - io credo - un assedio nei confronti del Parlamento. C'è stata una discussione vivace, dura, in qualche momento anche un po' scomposta, a volte ingiusta, a cui però hanno partecipato in modo importante magistrati, avvocati, operatori della giustizia e cittadini e questa è una grande ricchezza a cui io credo non dobbiamo rinunciare. Dobbiamo saper ascoltare quello che viene da questi mondi della giustizia e della società.

È vero che si è rappresentato il dibattito in modo un po' improprio, appunto: la magistratura che criticava ciò che avveniva qui dentro (e non dico che non vi siano state delle dichiarazioni o degli elementi, in certi passaggi, che hanno confermato questo dubbio). Ma è anche vero, d'altra parte, che non sono mancate polemiche e campagne a volte molto scomposte contro singoli uffici giudiziari, contro singoli magistrati, in cui ogni atto della magistratura veniva descritto come un tentativo di interferire nel processo di riforme costituzionali.

Ebbene, noi, tra Scilla e Cariddi, tra giustizialismo e garantismo della domenica, siamo convinti che bisogna muoversi - ed in questo senso siamo aperti sul terreno delle soluzioni - in un passaggio stretto, con una linea di equilibrio, di sobrietà, sapendo che forse oggi questa linea è minoritaria nel Parlamento e, probabilmente, anche nel paese (gli animi sono ancora molto eccitati e su questi temi si vorrebbe la lotta di tutti contro tutti: la politica che usa le inchieste o la magistratura che fa politica). Badate che la linea dell'equilibrio, fino a due-tre anni fa, non esisteva, ma io credo che essa sia destinata a crescere nell'opinione pubblica del paese.

In questa discussione e nel confronto che avremo successivamente, noi non pretendiamo di avere la verità e le soluzioni tecniche giuste. Lo spirito che ci anima non è questo. Siamo pronti alla ricerca anche di nuove soluzioni che fino a questo punto non sono state esaminate in bicamerale. Ma, a mio modo di vedere, in Italia il problema non è dato dall'eccesso di controllo di legalità sulle classi dirigenti: non è qui la patologia. La patologia è, semmai, in uno Stato invadente, in troppe leggi, nell'invadenza, per molti anni, di partiti in molte sfere della società, in un'idea di giurisdizione ottocentesca, di garantismo formale, ma che non badava alle vere garanzie dei cittadini, nella convinzione che tutto debba per forza finire di fronte ad un giudice, anzi ad un tribunale, in gradi di giudizio che si aggiungono gli uni agli altri e che non sono più soltanto tre. È in questa direzione che, a mio giudizio, cresce la sfiducia.

Credo che - lo dico con vera volontà di dialogo ai colleghi del Polo e, in particolare, a quelli di forza Italia, i quali si richiamano apertamente alle tradizioni del liberalismo democratico - dovrebbe costituire motivo di interesse il lavorare per individuare soluzioni che abbiano la capacità di autoregolamentare molti conflitti nella società, inserendo meccanismi di equilibrio che permettano ai più deboli di ricevere tutela. Intendo dire, cioè, che la crisi dello Stato sociale, la minore capacità di rappresentanza sociale di molti interessi, è l'altra faccia della crisi della giustizia. Molti conflitti imboccano la via giurisdizionale, specie quella penale. Così, nella società si domanda più legittimazione politica alla magistratura, anzi alle magistrature. Si tratta di un grande problema contemporaneo che non riguarda soltanto l'Italia (dove pure è più acuto, perché le strutture sono inefficienti, farraginose, vi è uno Stato ottocentesco e, quindi, una concezione molto burocratica) ma un ambito più vasto.

La novità, quindi, andrebbe ricercata, sia per via costituzionale sia per via ordinaria, nella grande sfida delle soluzioni extragiudiziarie, nei filtri, nelle forme di conciliazione, nei sistemi più  efficaci di risoluzione immediata dei conflitti, nei giudizi di sola equità, negli arbitrati accessibili a tutti, nelle forme di mediazione anche sociale, di conflitti, in un nuovo ruolo che anche il settore del volontariato può assumere in questo campo, collocando quindi nel procedimento giurisdizionale vero e proprio ciò che è effettivamente meritevole di attenzione in quell'ambito.

Ci dicono: voi parlate d'altro ma il problema è quello del rapporto tra giustizia e politica. Io rispondo: no, siete voi a parlare d'altro! Il punto è proprio questo. La riforma qualche passo in avanti ce lo fa fare nel senso di questa nuova idea di giustizia; cito, ad esempio: l'unicità delle giurisdizioni; la specializzazione del giudice amministrativo non più come giudice dell'interesse legittimo ma del conflitto tra individuo, comunità sociali ed organizzazione dei servizi pubblici; la riserva di codice e la grande stagione di riforma dei codici, che noi dobbiamo aprire; il tema della riforma della giustizia costituzionale, allargando la possibilità di accesso ma anche stando attenti a contemperare tale possibilità con la necessità di non collassare l'organo supremo che chiude il sistema.

Credo che occorra maggiore coraggio per spingere in questo senso. In una società dove cresce la libertà, non tutto deve essere regolato pubblicamente dalla procedura, ma ciò che lo è deve essere sicuro, efficace, accessibile e certo per tutti.

È in questo quadro che si pone il tema del penale: il giusto processo, la parità delle parti, la terzietà del giudice. Noi non solo non neghiamo che il problema esista, ma riteniamo anche che si tratti di un problema fondamentale che va comunque letto all'interno di questa ottica, del rapporto tra società e giustizia.

E qui non possiamo negare, colleghi, che la bicamerale ha espresso due voti contraddittori: infatti, da un lato ha detto «no» alla separazione delle carriere, dall'altro ha detto «sì» alla separazione delle sezioni del Consiglio superiore della magistratura. Questa contraddizione non regge e voglio dirlo con simpatia ed amicizia ai colleghi che hanno sostenuto l'utilità della separazione delle sezioni del Consiglio superiore della magistratura. Fate attenzione perché questa soluzione realizza finalità opposte rispetto a quelle che ci si propone: ha solo una finalità genericamente simbolica, enfatizza l'autoreferenzialità del pubblico ministero, la sua irresponsabilità e fa venire meno persino il controllo sulla carriera dei pubblici ministeri che nel Consiglio superiore della magistratura i giudici esercitano sui pubblici ministeri.

Al di là della questione delle due sezioni, voglio domandare pacatamente se siamo davvero convinti che uno Stato di diritto sia più forte dove le carriere sono separate, dove l'accusa viene fatta dalla polizia o dove il procuratore è eletto. Dico questo non per demonizzare quei sistemi, perché sono grandi democrazie liberali, però leggo sul New York Times di questi giorni, a proposito del procuratore speciale Kenneth Starr che, spendendo 30 milioni di dollari in quattro anni, ha organizzato un ufficio che ha come unico compito quello di mettere sotto accusa il Presidente degli Stati Uniti, che «la Costituzione americana non prevede questo ufficio, un sistema di governo in cui un ispettore generale con poteri illimitati tiene in pugno il Presidente degli Stati Uniti». Aggiunge «non sembra esserci limite; c'è il rischio di assoggettare la Presidenza ad un'inchiesta giudiziaria permanente». Questo è il modello degli Stati Uniti, che ci viene descritto da molti come quello da perseguire. Si ricorderà che è il frutto del Watergate e si rammenterà la storia di questi uffici, ma tutto ciò è anche il frutto di un sistema accusatorio di quel tipo, che non è quello a cui noi aspiriamo, un sistema in cui il dominio dell'accusa in molti casi appare davvero illimitato.

Allora noi consigliamo prudenza, colleghi. Ci vuole prudenza e non si deve spettacolarizzare né attribuire un eccessivo significato simbolico a tale aspetto. Il presidente Berlusconi ha detto ieri: o cambia la riforma o non votiamo. A parte che non è un buon modo di discuterlo  quello di dire: o cambia la riforma o non votiamo, vorrei osservare inoltre che anche noi vogliamo che questa riforma cambi, perché siamo sinceramente convinti che sia un errore, pure dal punto di vista di chi sostiene la separazione delle carriere, l'idea delle due sezioni, tuttavia cerchiamo una linea di equilibrio.

Deve essere chiaro che il PDS e la sinistra democratica non potrebbero accettare o tollerare gravi stravolgimenti, contro i principi di controllo della legalità, che minino l'indipendenza della magistratura e che in qualche modo la assoggettino al potere politico. Se questa volontà si dovesse affermare, sicuramente per noi ciò costituirebbe uno strappo non accettabile.

Invece apprezziamo la ricerca aperta. L'onorevole Mantovano, coordinatore di alleanza nazionale, l'altro giorno ha detto che la separazione delle sezioni non li convince e che bisogna lavorare sul cosiddetto «lodo Tinebra», con ciò intendendo la possibilità di eleggere proporzionalmente il Consiglio superiore della magistratura in rapporto a pubblici ministeri e giudici. Ebbene, discutiamo questa proposta.

L'onorevole Marini, a sua volta, ha sollecitato la formulazione in questi giorni di nuove idee e di nuove proposte; siamo prontissimi a discuterne e apprezziamo questa volontà di ricerca. Noi non ci confronteremo, quindi, sulla base di vincoli di maggioranza, bensì sulla base della constatazione che anche le forze che sostengono il Governo possono essere più forti nel momento in cui affrontano il nodo delle differenze che ci sono fra di loro e cercano soluzioni di tipo nuovo.

Concludendo, vorrei dire che abbiamo di fronte un passaggio veramente difficile. Basta poco per far saltare questo sforzo, ma è un passaggio possibile, che si può perseguire.

Lo spirito costituente sta nel saper mettere da parte ragioni di fazione, nel saper individuare il bene comune. Noi, rappresentati talvolta come coloro che danno ordini alle procure e talaltra come coloro che ricevono ordini dalle procure - almeno si decidano! -, proprio perché tutto questo non è vero, abbiamo da anni avviato un mutamento. Sentivamo che la nostra cultura politica della sinistra era insufficiente per valorizzare i temi della libertà, dei diritti e delle garanzie. Abbiamo quindi avviato un cambiamento che riguarda tutti, perché questa è una ricerca che deve riguardare tutti.

Chiediamo anche agli altri di guardare avanti e di non soffermarsi sulle ragioni di rancore, né di rimanere con la testa rivolta al passato, ma di volgere la testa al domani, con la volontà di evitare davvero che il paese sia dominato dalla cronaca giudiziaria.

L'Italia sta trovando un po' più di serenità sul terreno economico e sociale e sta trovando un po' più di orgoglio. Abbiamo la grande possibilità di dare tutti insieme, ciascuno dalle diverse collocazioni politiche e parlamentari, un contributo al bisogno di fiducia e di giustizia del paese. Evitiamo, dunque, che tutto ciò vada sprecato a causa di una volontà faziosa o di parte di imprimere un segno di rivalsa o di rivincita alle discussioni sulla giustizia nelle prossime settimane (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo).

(omissis)

ROBERTO MANZIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi deputati, onorevoli colleghi senatori, onorevole rappresentante del Governo, l'attuale stagione di riforme costituzionali costituisce il punto di approdo, in Parlamento, di un dibattito, di un confronto e di uno scontro dialettico che ha visto ormai da anni impegnate tutte le forze politiche, spesso supportate dal contributo di molti e autorevoli rappresentanti del mondo accademico e scientifico.

(omissis)

Passando adesso al tema della giustizia, dirompenti appaiono le novità introdotte nel sistema in tema di giustizia amministrativa, ancor più se rapportate ad un progetto di riforma costituzionale che nel suo complesso, in particolar modo per quanto riguarda la giustizia, è improntato all'insegna della prudenza estrema, se non addirittura dell'immobilismo. Tramontato, per fortuna, il mito della giurisdizione unica, che sarebbe stato un ritorno più che un'innovazione, atteso che fra il 1865 e il 1889 il sistema della giurisdizione unica era stato sperimentato nel nostro paese con risultati poco soddisfacenti, si è passati ad un concetto, per la verità abbastanza ambiguo, di unità funzionale della giurisdizione. Viene modificata la concezione, ispirata al sistema francese, di una giustizia amministrativa che ruota intorno al Consiglio di Stato nella sua doppia funzione di consigliere del principe - attività consultiva - e giudice (ora quasi solo di appello), per arrivare ad un sistema nel quale il Consiglio di Stato è declassato quale organo ausiliario di consulenza giuridico-amministrativa del Governo. Il ruolo del Consiglio di Stato verrebbe assunto dalla Corte di giustizia amministrativa che dovrebbe essere investita di funzioni di appello rispetto ai TAR regionali. In tal modo il giudice amministrativo nel suo complesso diventa così un giudice puro, assorbendo anche le funzioni giurisdizionali in materia di contabilità pubblica e di responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari, esercitate fino ad oggi dalla Corte dei conti.

Altra novità importante, anche se ancora non meglio definita è da ravvisarsi nel criterio di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, passandosi dalla distinzione dei diritti oggettivi...

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Soggettivi!

ROBERTO MANZIONE. ... fra diritti soggettivi ed interessi legittimi. Grazie, onorevole Boato.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. La sto ascoltando con attenzione.

ROBERTO MANZIONE. La ringrazio. Dicevo, passandosi dalla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi a  quella della competenza sulla base di materie omogenee indicate dalla legge.

Tutto l'impianto, però, non ci convince appieno ed occorrerà operare una rivisitazione del nuovo sistema prospettato, anche sulla scorta degli emendamenti presentati.

Così come, onorevole Boato - illustre relatore -, non ci convince appieno il prospettato sistema della separazione delle funzioni tra magistrati del pubblico ministero ed i giudici ordinari. Non ci convince perché è una scelta a metà rispetto a due modelli assolutamente antitetici e contrapposti. In questa logica, consequenzialmente, non ci convince la bipartizione del CSM che, invece, avrebbe ragion d'essere solo in considerazione della effettiva separazione delle carriere. Al riguardo abbiamo letto i fiumi di inchiostro che sono stati scritti in merito a quella necessità di cultura della giurisdizione che giustificherebbe da sola la necessità di non separare le carriere. La verità è che a parte gli organismi rappresentativi, ribadita l'indipendenza dall'esecutivo, gli stessi giudici non vedrebbero male una netta separazione delle carriere rispetto ai magistrati del pubblico ministero; cosa, questa, che si sposerebbe - e non è un dato secondario - con i principi di terzietà del giudice previsti dalla riforma del codice di procedura penale, vanificando e facendo venir meno quelle diffidenze legate ad una forma di inquinamento ambientale che obiettivamente contamina il nostro sistema processual-penalistico.

Allo stesso modo non si comprende perché, rispetto all'obbligatorietà dell'azione penale, pur riconoscendo tutti la sostanziale ipocrisia della dizione, non si sia operata una scelta che consentisse in qualche modo di mitigare o eliminare una discrezionalità assolutamente insindacabile che, di fatto, il sistema attuale riconosce ad ogni pubblico ministero. Né si può ritenere che l'aver introdotto l'obbligo per il ministro della giustizia (per fortuna è sparita la grazia) di riferire annualmente al Parlamento sull'esercizio dell'azione penale costituisca in qualche modo un deterrente o una garanzia. Tutto sommato mi convinceva di più la vecchia formulazione dell'articolo 132 che prevedeva la possibilità di stabilire per legge le misure idonee ad assicurarne l'effettivo esercizio. Tale assunto, per esempio, poteva configurare una preindicazione delle priorità sulla falsa riga della famosa circolare Zagrebelsky che tutti conosciamo. Né mi tranquillizza, a tale proposito, la scoperta da parte della Commissione dell'articolo 405 del codice di procedura penale, che ha determinato l'inserimento dell'inciso relativo alla notitia criminis. E che questo sia l'effettivo nervo scoperto di tutto il nostro sistema delle garanzie è testimoniato dalla ricorrenza del problema in tutte le audizioni, da quello di Gaetano Pecorella, presidente dell'Unione delle camere penali, a quella di Elena Paciotti, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, che espressamente riconosce - e bisogna dargliene atto - che esiste realmente un problema di non effettività del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.

Certamente apprezzabili appaiono poi le più specifiche garanzie processuali assicurate ai cittadini con il disposto dell'articolo 130. A parte la collocazione, la paura è però che in un sistema processuale così squilibrato e così condizionato come quello attuale certe previsioni possano restare mere enunciazioni di principio.

(omissis)

ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, vorrei anzitutto ricordare che ho ritenuto di presentare pochi emendamenti al testo licenziato dalla bicamerale e che, fin dalla scorsa legislatura, avevo sottoscritto la proposta di istituire un'assemblea costituente.

(omissis)

Quanto alla giustizia, si tratta di un tema del quale si parla moltissimo. Condivido l'orientamento di chi sostiene che le riforme debbano essere realizzate con una visione presbite e non miope. Il contributo offerto dalla Commissione bicamerale sul versante delle garanzie e del potenziamento dei diritti della difesa è fondamentale. A mio avviso, invece, tale contributo risulta assolutamente negativo sotto il profilo dell'atteggiamento punitivo nei confronti di una parte della magistratura, così come si esplica, ad esempio, nella divisione del CSM e nei meccanismi disciplinari. Laddove si rivendica una maggiore tutela del cittadino, si definisce invece un meccanismo che porterebbe gran parte della magistratura italiana ad essere facilmente e permanentemente sottoposta a procedimenti disciplinari. Si tratta di un aspetto che, a mio avviso, non agevola un rapporto più equilibrato e che, invece, rende più perverso il meccanismo della giustizia.

Se si riuscirà ad introdurre modifiche a questa parte del testo, considerando che in questo paese si avverte la necessità di rendere paritari i diritti di accusa e di difesa... Tale obiettivo può essere conseguito in due modi: riducendo la forza e le possibilità della magistratura, sia inquirente sia giudicante, oppure potenziando e rafforzando i diritti della difesa. Credo che il secondo percorso sia quello giusto, mentre la prima via, molte volte sbandierata soprattutto dalle formazioni del centro-destra in questo Parlamento, rappresenti un tentativo di ridurre l'indipendenza della magistratura, aspetto sul quale, invece, dobbiamo essere particolarmente attenti, proprio per la visione di lungo periodo che deve ispirare la riforma e considerando che in questo paese, negli ultimi quarant'anni, abbiamo sofferto per la poca indipendenza e non per la troppa indipendenza della magistratura. Questo è un paese nel quale la magistratura è stata per anni subalterna, incapace di far rispettare le leggi dello Stato. Questo lo dicono quelli che oggi accusano la magistratura di incorrere in un eccesso di attività. In realtà, abbiamo avuto per anni  un totale eccesso di disattenzione, se non di subalternità al potere politico, nonostante le garanzie di indipendenza previste dalla Costituzione.

Un Parlamento che guarda in modo presbite dovrebbe preoccuparsi di quello che è avvenuto e capire che la situazione odierna è caratterizzata da eventuali eccessi che vanno limitati, ma che la storia di questo quarantennio - e, quindi, della Costituzione vigente - è invece una storia diversa, cioè la storia di una magistratura che è stata subalterna al potere politico, al punto da non controllare in modo diffuso le vicende del potere politico che hanno portato alla corruzione ed al malcostume in questo paese ad un livello obiettivamente esagerato. La nostra classe politica - ahimè! - non è riuscita nemmeno, in cinque-sei anni dall'inizio delle famose inchieste di Mani pulite, a istituire una Commissione d'inchiesta per accertare cosa sia stata la corruzione nel nostro paese, né a costituire una Commissione sulla vicenda della Guardia di finanzia, mentre oggi si invoca una Commissione d'inchiesta volta a stabilire le ragioni per le quali la magistratura ha realizzato certi interventi.

Se riusciremo a raggiungere un equilibrio riflettendo sui principi e sui valori, potremmo senz'altro essere d'accordo. La vera posizione giustizialista nella storia di questo paese è quello di chi vuole il piccolo extracomunitario in galera ed il grande faccendiere di Stato in libertà: questa è la vera posizione di tutti i peronismi! Dobbiamo smetterla con la favola del giustizialismo, riferito tra l'altro a chi chiede semplicemente che i politici seguano le stesse procedure giudiziarie che deve seguire il normale cittadino di questo paese. Proprio oggi abbiamo vissuto il paradosso dato dal fatto che, quando un parlamentare si considera spiato, afferma che si tratta di una cosa gravissima, di un complotto, mentre quando lo stesso mette le microspie, ciò diventa quasi una prerogativa del parlamentare.

(omissis)

NICOLA MIRAGLIA DEL GIUDICE. Penso che l'impianto della Commissione bicamerale possa trovare accoglimento all'interno di questo Parlamento.

(omissis)

Mi preme fare alcune considerazioni, iniziando dalla relazione dell'onorevole Boato in tema di giustizia. È una relazione sicuramente interessante - del resto l'onorevole Boato è un esperto in questa materia - ma vi sono alcuni elementi che mi lasciano perplesso. Non riesco a capire la distinzione del Consiglio superiore della magistratura in due tronconi, uno per il pubblico ministero e l'altro per l'organo giudicante: allora si dovrebbe avere anche il coraggio di separare le carriere tra magistrati ed inquirenti e magistrati requirenti, garantendo tuttavia che l'ordinamento costituzionale tuteli l'autonomia e l'indipendenza del pubblico ministero e della magistratura requirente. Guai se pensassimo ad un pubblico ministero dipendente dal potere esecutivo! Anzi - devo dire quello che penso - preferirei che la Costituzione rimanesse così com'è, senza separazione delle carriere e senza distinzione all'interno del Consiglio superiore della magistratura. Una cosa è certa: se non si perverrà ad una separazione delle carriere, sicuramente io ed altri deputati firmatari di emendamenti in tal senso non voteremo a favore della divisione del Consiglio superiore della magistratura in due tronconi.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lei sa che neanch'io ho votato a favore: è stato il suo gruppo che ha votato a favore!

NICOLA MIRAGLIA DEL GIUDICE. Per questo affermavo che il principio pacta sunt servanda vale relativamente, perché ogni deputato in questo caso è libero di decidere come vuole. Ritengo che l'autonomia e l'indipendenza della magistratura siano beni di altissimo valore e  che nessuno possa imporre ad un deputato di modificare il suo orientamento. Sono convinto che l'autonomia e l'indipendenza di tutta la magistratura, inquirente e requirente, siano valori che tutti quanti noi, nuovi costituenti, dobbiamo tenere in considerazione. È meglio pertanto che la magistratura sia lasciata così com'è, magari con degli accorgimenti.

Forse un accorgimento potrebbe essere incidere sull'obbligatorietà dell'azione penale. Ferma restando l'indipendenza della magistratura, penso che forse intervenire su tale requisito non sarebbe una cosa campata in aria; il Parlamento potrebbe fissare dei criteri di priorità dell'azione penale, che altrimenti vengono decisi dal procuratore della Repubblica di ogni singolo circondario. È inutile negare l'evidenza: ogni procuratore, in buona fede, ritenendo che determinati interessi siano meritevoli di tutela rispetto ad altri, predilige determinati affari da portare avanti. Pertanto il Parlamento, in sede di riforma costituzionale, potrebbe stabilire i casi nei quali si renda effettivo l'inizio dell'azione penale.

Un altro punto sul quale mi preme di intervenire riguarda la giustizia amministrativa. Il Consiglio di Stato e la Corte dei conti perderebbero, secondo la riforma costituzionale, la giurisdizionalizzazione, nel senso che non avrebbero più potere giurisdizionale e sarebbero soltanto dotati di poteri consultivi. Invito ad una riflessione al fine di evitare che organi di questa competenza non riescano a prestare la loro opera nell'amministrazione della giustizia.

Concludendo il discorso sulla giustizia, che ci vedrà impegnati in seguito, ho inteso soltanto manifestare l'orientamento mio e di altri colleghi sulla necessità di non effettuare riforme che possano ledere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Lei sa che noi abbiamo rafforzato l'indipendenza del pubblico ministero stabilendo che è indipendente da ogni potere.

NICOLA MIRAGLIA DEL GIUDICE. È stato un fatto molto positivo inserito nel progetto di revisione costituzionale.

(omissis)


 


 

RESOCONTO STENOGRAFICO

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304.

 

Seduta di MERCOLEDì 28 GENNAIO 1998

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI

INDI

DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

E DEI VICEPRESIDENTI PIERLUIGI PETERLINI E MARIO CLEMENTE MASTELLA

 

 



Seguito della discussione del progetto di legge costituzionale: Revisione della parte seconda della Costituzione (3931) (ore 11,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di legge costituzionale: Revisione della parte seconda della Costituzione.

(Ripresa della discussione sulle linee generali - A.C. 3931)

(omissis)

GLORIA BUFFO. Il problema italiano - si è sostenuto da molte parti - è essenzialmente quello della stabilità dei governi. Così si è motivata - in un momento tanto impegnativo per il nostro paese: l'appuntamento con l'Europa, la necessità di riformare lo Stato sociale e di riavviare lo sviluppo - l'urgenza di varare la riforma della seconda parte della Costituzione.

(omissis)

Ultimo, non certo per importanza, è il tema delle garanzie. Molto particolareggiato è stato il lavoro della Commissione bicamerale sulla giustizia, ma poco, troppo poco, quello sul conflitto di interesse, che credo vada meglio specificato. Mentre è condivisibile la scelta del diritto penale minimo, e bene faremmo prima o poi ad esaminare il tema della carcerazione preventiva per tutti i cittadini, ed è anche condivisibile il riequilibrio tra accusa e difesa, seri dubbi sollevano altre proposte.

Credo che le condizioni individuate dal collega Urbani nel suo intervento sulla magistratura, cioè autonomia, terzietà e imparzialità, non sarebbero favorite se, alla fine, dovessimo confermare che la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (e il momento disciplinare è chiaramente uno dei più significativi dell'autonomia di un'ordine come quello giudiziario) è presieduta da un politico e che il ministro, un politico anch'esso, diventa parte del Consiglio. Né sarebbe una garanzia per i cittadini, come ha ricordato il collega Folena, la separazione di carriere e funzioni tra giudici e pubblici ministeri.

È evidente che qui si gioca un presupposto decisivo per la riuscita della riforma. Riuscita che, vorrei ricordarlo a tutti noi, non si misura nel fare una riforma purché sia. Quando si è impegnati a riscrivere parte del patto fondamentale bisogna, io credo, levare gli occhi dalle carte e chiedersi se ciò che si sta facendo lo si fa per sé, per legittimare una classe politica o per contribuire a migliorare l'assetto democratico. Non è una domanda oziosa né maliziosa. Il riflesso autoreferenziale, sempre possibile in tempi che, come ha ricordato in quest'aula il presidente, sono grigi e poco eroici, darebbe forse respiro al ceto politico, ma la politica e la democrazia non si esauriscono in questo e noi (parlo in questo caso della mia generazione e in particolare della sua parte femminile) abbiamo un'ambizione che di questo non si accontenta (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).

(omissis)

ACHILLE OCCHETTO. Signor Presidente, signor presidente della bicamerale, onorevoli colleghi, l'enorme quantità degli emendamenti che stanno sul tavolo della Camera dei deputati, al di là di alcune manifestazioni goliardiche che suonano più sberleffo che effettiva volontà emendatrice, sono tuttavia il segnale di un malessere profondo.

(omissis)

Sulla giustizia, onorevoli colleghi, mi viene difficile soffermarmi, in quanto sento che ci troviamo di fronte ad un terreno notevolmente friabile. Questo capitolo sembra sempre meno avere valore per sé stesso, ma rappresenta una sorta di continua licitazione del complesso gioco politico che sta alla base della bicamerale. Non si capisce, infatti, come mai ci si ostini a farne materia della bicamerale; o meglio forse lo si capisce fin troppo bene, nel senso che la giustizia non viene considerata un capitolo alla pari degli altri, ma esso si erge sugli altri come generale materia di scambio, o come equivalente generale dello scambio. Se così non fosse, infatti, si potrebbe per davvero rinviare tutto alle leggi ordinarie.

Non insisterei su questa proposta se ci trovassimo dinanzi a soluzioni risolutive, capaci di determinare un ampio e convinto accordo tra tutte le forze, ma tutti voi potete benissimo constatare che così non è.

Più in generale, quello che ci deve guidare - badate bene, onorevoli colleghi - non deve essere l'assillo di chiudere in  qualunque modo. State attenti a non farvi guidare dall'idea che ci si possa legittimare come forza decisiva della seconda Repubblica solo perché si è sottoscritto un pezzo di carta. Ricordatevi che sarete, saremo chiamati davanti al giudizio dei cittadini al momento del referendum e in quell'occasione le astute manovre interne al ceto politico potranno non essere capite, anzi potranno essere sdegnosamente respinte.

Per tornare ancora un attimo sul tema della giustizia, pur non volendomi addentrare in quel complesso di norme, intendo dire la mia su una questione.

Io sono contrario ad un certo uso della carcerazione preventiva. Tuttavia la Camera dei deputati la settimana scorsa ha fatto un torto alla generalità dei cittadini, negando l'applicazione di tale istituto ad uno dei suoi componenti. Il mio pensiero non può non andare ai tanti che sono stati colpiti, ai più deboli, agli umili, agli indifesi, che hanno dovuto, devono, dovranno sopportare i duri rigori della legge fino al punto di essere gettati con infamia in carcere.

Si tratta di grandi e piccole vicende dietro alle quali si cela una diffusa sofferenza umana. Fra tante permettetemi di ricordare quella capitata a Marco Fredda che, per essere all'epoca un esponente, nemmeno responsabile di primo piano, della tesoreria del PDS, fu arrestato nel momento stesso in cui io salivo sul palco dell'ultima festa dell'Unità dalla quale avrei parlato come segretario del PDS. E dovette restare per un mese intero in carcere, accompagnato dai titoli di scatola dei grandi quotidiani che lo trattavano come un colpevole.

Allora nessuno di coloro che nell'ultima vicenda legata a Previti ho scoperto essere dei convinti garantisti spese una parola per garantire non dico la libertà...

ALFREDO BIONDI. Questo non è vero!

ACHILLE OCCHETTO. ... ma almeno la reputazione di Marco Fredda, non deputato e semplice cittadino.

ALFREDO BIONDI. Questo non è vero!

ACHILLE OCCHETTO. Per fortuna non ce ne era bisogno, perché egli ben presto fu prima liberato dal tribunale della libertà e successivamente assolto da tutte le imputazioni per le quali aveva subito il carcere preventivo.

Ricordando questo episodio non posso accettare che nel nostro paese ci siano due pesi e due misure e, siccome nessuno di noi gioisce all'idea di gettare in carcere dei cittadini che non sono stati ancora riconosciuti colpevoli, intendo chiedervi se non vogliamo affrontare in modo ancora più esclusivamente funzionale tutta la materia degli strumenti cautelari, utilizzando anche le risorse tecnologiche che ci permettono di non servirci del carcere come strumento che interviene nella fase degli accertamenti cautelari.

Credo che si possa proporre che il carcere preventivo sia abolito per tutti, che tutti i cittadini italiani siano messi nelle stesse condizioni attraverso misure cautelative domiciliari. Credo pertanto che sia possibile immaginare, malgrado i passi in avanti fatti con la più recente normativa, delle proposte che regolino ulteriormente l'istituto delle misure cautelative, cancellando le attuali differenze di trattamento tra i cittadini.

Accanto a ciò propongo che la giustizia venga collocata al di fuori della materia di esame della bicamerale e ciò non solo perché la giustizia stessa rischia di trasformarsi, da pronube della bicamerale, nel suo becchino, ma anche perché dobbiamo evitare che i rapporti non limpidi che si sono creati tra giustizia e politica, che non possono essere negati e che hanno determinato un intreccio indistricabile in tutta la storia della Repubblica, possano perpetuarsi anche nella seconda Repubblica. Tanto più se, come dicevo prima, non avremo la possibilità di varare una riforma alta, forte, ampiamente condivisa da tutti.

Io ritengo che sia per davvero più saggio evitare una drammatizzazione del problema; drammatizzazione che potrebbe  giungere al punto da presentarsi nel referendum confermativo come un'ombra che aleggia sull'insieme delle riforme, rischiando così di andare incontro ad un indecifrabile voto di fiducia dell'intera classe politica. Allora sì che avremo messo in scena l'ultimo atto preparatorio dell'avvento del tanto temuto e malamente fronteggiato pericolo plebiscitario.

Siamo ancora in tempo ad evitare che la Commissione bicamerale sia servita a questo, a fare cioè da apprendista stregone. Si rende dunque necessaria una chiara battaglia di emendamenti che rompa le righe degli accordi prestabiliti (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e di rifondazione comunista-progressisti).

(omissis)

Sulle questioni della giustizia civile non emergono particolari indicazioni, nonostante  le clamorose ed inaccettabili condizioni in cui versa, che evidenziano quanto l'efficacia ed il prestigio della giustizia siano cadenzati da tempi ragionevoli, diversi da quelli praticati oggi, che sconfinano nell'assurdo.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. E alla ragionevolezza della durata dei processi!

FABIO CIANI. Non che la giustizia penale sia risparmiata dalla questione tempo, se è sempre attuale il rischio di prescrizione anche per processi di particolare rilievo. Ma, sulla base di indicazioni formulate dalla bicamerale, sembra opportuno (questa, almeno, è la nostra opinione) operare per la costituzione di un unico Consiglio superiore della magistratura, adottando lo stesso metodo per la nomina dei giudici costituzionali, con un criterio proporzionale per i rappresentanti della magistratura giudicante e di quella requirente. Naturalmente, per ciò che è avvenuto in anni recenti, il problema di fondo (è argomento non di nuovo conio) è rappresentato dal ruolo della magistratura requirente. La sua indipendenza dal potere politico e dall'esecutivo, affrontata con la Costituzione del 1948, è stata sottoposta ad una verifica cinquantennale e si può dire che abbia retto bene alla prova. È un'esperienza che ci pone all'avanguardia nel confronto con altri sistemi democratici, che ci ha conferito titoli di originalità e che ha determinato occasioni di apprezzamento e di interesse.

Mi riporto all'inizio del mio intervento e alla circostanza straordinaria di poter celebrare innovando.

In questo caso si tratta di confermare il principio dell'indipendenza della magistratura ed insieme di adeguarlo alla trasformazione completa del processo da requisitorio in accusatorio e di prevedere nella legislazione ordinaria, nell'ordinamento giudiziario, il sistema di garanzie nel quale l'autonomia del pubblico ministero deve essere inserita e salvaguardata.

(omissis)

GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, signor presidente della Commissione bicamerale, colleghi, i socialisti italiani hanno sostenuto il processo riformatore della seconda parte della nostra Costituzione in Commissione bicamerale, in Parlamento con l'approvazione della legge che la istituì e nel paese.

(omissis)

Per quanto riguarda il sistema dei diritti e delle libertà dei cittadini sul loro esercizio e sul quadro di garanzie giuridiche e giurisdizionali, ha troppo pesato l'attualità di fatti e interessi che ha posto al centro dell'attenzione la giustizia penale. Dobbiamo recuperare la serenità e la lucidità per volare alto, con l'obiettivo di rispondere alle esigenze di una giustizia che funzioni in tempi certi e ragionevoli, con forme, modalità e costi apprezzabili e sostenibili per i cittadini e per la collettività.

Come ha ricordato bene ieri l'onorevole Acquarone, il ricorso alla giustizia penale dovrebbe essere raro e patologico, mentre molto più costante è quello con i giudici civili, tributari, amministrativi. Io credo che vada fatta chiarezza e ricercata in aula una soluzione più consona al problema che è al centro di mille polemiche e di mille strumentalizzazioni. Faccio riferimento alla separazione delle funzioni giudicanti da quelle inquirenti. I socialisti hanno sostenuto, e sostengono, l'applicazione anche in Italia della recente risoluzione del Parlamento europeo che i parlamentari del PDS e socialisti italiani del gruppo parlamentare socialista di Strasburgo hanno votato insieme. È possibile che la sinistra riformista lasci alla destra italiana il compito di difendere una scelta che l'accomuna in tutt'Europa?

Noi rinnoviamo il nostro impegno per migliorare il testo licenziato dalla Commissione bicamerale, dando atto al relatore Boato del positivo lavoro svolto, che trova il nostro sostegno.

È con sincera emozione, signor Presidente, che i deputati del partito dei socialisti italiani si accingono a rinnovare e ad onorare l'impegno politico e culturale dei loro predecessori profuso in quest'aula cinquant'anni or sono (Applausi dei deputati dei gruppi misto-socialisti italiani, dei popolari e democratici-l'Ulivo e misto-verdi-l'Ulivo).

(omissis)

MAURO PAISSAN. Signor Presidente, colleghe e colleghi della Commissione, signori deputati, i verdi si ritengono partecipi, in qualche misura protagonisti dell'opera di ridisegno del nostro Stato e delle nostre istituzioni.

(omissis)

Mi limiterò ad alcune osservazioni sulle parti più problematiche della proposta al nostro esame, iniziando dall'ultima parte riguardante il sistema delle garanzie, di cui è relatore il collega verde Marco Boato. Dico subito chiaramente che una cosa sono le interviste, le dichiarazioni, le polemiche che hanno accompagnato da vari versanti il lavoro svolto su questa parte - il mio giudizio al riguardo non è positivo, ma ha poca importanza in questa sede -, un'altra sono le scelte di fondo in tema di diritti e garanzie che ispirano l'articolato proposto dalla Commissione. Penso che tali scelte rappresentino un sicuro progresso, un indubitabile passo in avanti verso una civiltà più evoluta nel rapporto tra il cittadino e la giustizia. Molte cose sono ancora da correggere e una da estirpare: la divisione in due sezioni del Consiglio superiore della magistratura, alla quale siamo nettamente contrari. Personalmente sono contrario anche alla riproposizione in Costituzione, come sarebbe nelle intenzioni di alcuni settori politici, della divisione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.

Innovando questa parte della Costituzione dobbiamo riuscire ad affermare un reale garantismo dalla parte dei cittadini, non certo dei potenti; ad affermare l'autonomia non l'irresponsabilità dei magistrati. In tema di garanzie penali e processuali il testo è comunque più ricco della Carta del 1948. Certo, può essere e va migliorato, ma non scardinato.

(omissis)

ROBERTO MARONI. Il prodotto della Commissione bicamerale arriva in aula, per la prima lettura, dopo una settimana in cui sono stati lanciati quelli che io considero messaggi intimidatori alle forze politiche di opposizione.

(omissis)

ROBERTO MARONI. Il prodotto della Commissione bicamerale arriva in aula, per la prima lettura, dopo una settimana in cui sono stati lanciati quelli che io considero messaggi intimidatori alle forze politiche di opposizione. La tentata carcerazione dell'onorevole Previti e il processo di Bergamo contro Umberto Bossi, che ha visto gran parte del Parlamento con i parlamentari della sinistra, del PPI e di AN, schierati compatti a sostenere la sera prima l'azione di condanna del giorno dopo del magistrato di Bergamo. Quel magistrato che - quando si dice il caso! - è il fratello dell'ex sindaco democristiano di Bergamo, nonché presidente democristiano della provincia, nonché candidato al Parlamento della DC - trombato, grazie alla lega - e poi del PPI - trombato sempre grazie alla lega - nonché magistrato civile nello stesso tribunale di Bergamo.

Con il processo di Bergamo si è avviata di fatto una nuova fase della politica italiana. La fase in cui il cambiamento, non potendo più avvenire all'interno delle istituzioni romane, sta per esplodere nella società e nella quale il Governo e i partiti che lo sostengono, insieme alla falsa opposizione, mettono in campo il loro armamentario fatto di poliziotti manganellatori, di magistrati che fanno i processi politici e di servizi che denunciano rischi di terrorismo che imputano ad altri, ma che forse si preparano a fare loro (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

La lotta politica della lega nelle istituzioni romane può ormai solo rallentare la restaurazione del regime. Ormai, tutti i poteri dello Stato ed anche i partiti di questo Parlamento sono uniti in quello che molti sentono come un complotto di unità nazionale, grave come e più degli anni di piombo. Allo stesso modo, è la ragion di Stato che guida ormai l'azione dei vari pool di magistrati che carcerano molto ma processano poco. Eppure, viene prima la verità della giustizia. Devo prima conoscere la verità, cioè svolgere il processo, per poter poi fare giustizia, cioè assolvere o condannare. Da noi invece pare che non si voglia sapere, che non si voglia scoprire, come se già si conoscesse fin troppo bene quali siano ed a che livello siano l'illegalità e la corruzione. Se la gente sapesse, se sapesse tutto, allora sì sarebbe davvero pericoloso. Se si portasse a galla la verità, quasi certamente si verificherebbe il crollo dello Stato, la cancellazione dei partiti e di molti dei principali manager pubblici. È per questo motivo che la verità sulle madri delle tangenti è difesa dalla ragion di Stato. I magistrati, che il popolo immagina intenti a fare giustizia, in questo caso fanno il contrario, mettono in galera gli avversari politici del regime e minacciano i figli del popolo padano (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Mettono in galera prima dei processi; si interessano di «cosette» minori, ma soprattutto impediscono - per la ragion di Stato - che venga a galla la verità, che pure è molto semplice: il consociativismo fu costruito alla fine degli anni settanta, con i Governi di unità nazionale, da comunisti e democristiani. Viene da pensare, cari giudici, che, se non siete capaci di trovare i colpevoli veri, ve li possiamo indicare noi: democristiani e comunisti, sono costoro i responsabili del consociativismo, delle terribili madri delle tangenti. Hanno nomi famosi questi latitanti che nessun magistrato cerca. Furono osannati i segretari di partito ed i loro esperti economici - ben conosciuti in questa sede - ed i loro portaborse.

Penso inoltre al ruolo della magistratura che soltanto dopo la caduta del comunismo e solo dopo che la lega aveva fatto crollare il CAF avviò, con «mani pulite», un processo di condanna del consociativismo. Un'azione comunque cominciata fuori tempo massimo e che si fermò all'affare Enimont, che è soltanto un episodio di quella grande madre delle tangenti che si chiama affare IMI-SIR.

Di tutto il resto di questo grande scandalo non vi è niente, tranne l'ultimo riverbero su Previti.

Una voce dai banchi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo: Avete votato contro!

ROBERTO MARONI. Quando avviene una rapina, bisogna risalire innanzitutto ai principali colpevoli, a chi l'ha ideata, a chi l'ha messa in pratica, senza fermarsi alla manovalanza. Avete coinvolto anche la lega ed un giorno ci si racconterà come andò, chi tramò, perché fu colpita la forza del cambiamento. Se si risalisse ai veri responsabili, ai distruttori del paese, i magistrati dovrebbero entrare nei meandri del «Palazzo». Dovrebbero ad esempio capire in che modo venne disattesa la legge n. 787 del 1978 che dava la possibilità di creare consorzi bancari per salvare aziende in crisi. La magistratura dovrebbe spiegare perché la classe politica centralista sostenne il progetto faraonico del polo chimico mediterraneo di uno sconosciuto imprenditore; dovrebbe spiegarci chi realmente dirigesse l'IMI e chi il consorzio bancario della SIR. È garantito che i nostri cari magistrati, in certi casi, si perderebbero negli alberi genealogici di nomi noti. Dovrebbero interrogarsi su come fu possibile bruciare 4 mila miliardi solo nel primo anno (circa 20 mila miliardi di oggi), di cui 1.269 di titoli decennali infruttiferi dell'IMI, prestati dalla Cassa depositi e prestiti (a cui i nostri comuni sono oggi costretti a cedere gratis i loro risparmi) e ben 1.600 miliardi persi in proprio. Dovrebbero chiedersi se, quando il comitato per la SIR cedette numerose delle sue attività fallimentari all'ENI ed alla Montedison, le perizie che vennero fatte fossero aderenti ai valori aziendali, occupazionali e tecnologici vantati. Quelle perizie, infatti, ebbero il loro peso nella sentenza con cui il tribunale di Roma ha costretto l'IMI a pagare circa mille miliardi agli eredi Rovelli.

I signori magistrati dovrebbero considerare come mai non sia stato preso in considerazione il circostanziato esposto del sindacato autonomo SILCEA, presentato alla procura generale presso la Corte dei conti ed inviato anche personalmente a Di Pietro, che denunciava il comportamento negligente del presidente dell'IMI, che avrebbe fatto ricadere solo sul suo istituto la condanna a pagare mille miliardi ai Rovelli.

Quante cose si sarebbero potute fare e non si sono fatte. Ci si è limitati al caso del povero Gardini, il quale, truffato dalla promessa della licenza per poter produrre la benzina ecologica, comprò la Montedison distrutta dalle operazioni dei politici, accettando di accollarsi gli oneri del rilancio e che poi per disfarsene fu travolto dal giro tangentista.

Questa è stata la sola parte indagata da Mani pulite in un processo che è servito senz'altro a sciogliere i resti del pentapartito, ma che di fatto ha interferito con il processo di normale concorrenza politica che, se lasciato a sé, avrebbe forse permesso alla lega di cambiare davvero il paese.

Per fare pulizia occorre cercare a monte, ma è in quella direzione che c'è l'impedimento della ragione di Stato, perché il paese perderebbe l'ultimo partito che gli è rimasto, perché lo scandalo coinvolgerebbe manager e uomini politici che stanno molto in alto. Si sceglie invece di cercare solo in basso.

A Previti, il quale avrebbe distribuito qualche decina di miliardi ai magistrati romani per indirizzare positivamente il processo Rovelli, si faccia il processo subito, invece di mandarlo in carcere cautelativamente, perché il carcere è un luogo pericoloso per chi fosse a conoscenza di verità scottanti. È stato pericoloso per Cagliari, il mediatore della vendita delle aziende SIR all'ENI ed alla Montedison, morto in carcere suicida - dicono - con un sacchetto di plastica. È stato pericoloso per Gardini, pure lui suicida, dicono.

La ragione di Stato sembra essere alla base di tutto questo girare a vuoto. È un teatro dove i famosi «pulitori» non possono o non vogliono pulire, o addirittura devono garantire che nessuno possa farlo.

Mi sono dilungato sugli antecedenti del caso Previti sia perché la stampa di regime ha fatto credere che la lega abbia salvato Previti e non invece la giustizia,  quella onesta, ma soprattutto perché tutto questo ha a che fare moltissimo con la bicamerale. Se la magistratura, che dovrebbe essere garante del sistema democratico, decide di non agire contro queste madri delle tangenti per la ragione di Stato, diventa allora impossibile cambiare il sistema.

Se la ragione di Stato trasforma in un teatro ipocrita la giustizia, diventa teatro e finzione anche la bicamerale; un teatro drammatico e vergognoso, la cui logica è quella del Gattopardo: fingere di cambiare affinché nulla cambi. Ed infatti questa bicamerale è semplicemente dannosa per il paese.

Di federalismo, caro onorevole D'Onofrio, nel testo da lei predisposto non c'è neppure l'ombra. Resta in vita la scelta dei Savoia, che poneva nel Parlamento romano la mediazione tra nord e sud, lasciandola alle trattative libere tra segreterie e lobby di partito, senza regole certe, senza chiarezza costituzionale, ma favorendo invece ambiguità e corruzione.

C'è sullo sfondo la concezione dalemiana del federalismo, che poggia sul vecchio progetto craxiano, fatto proprio dal Governo Prodi, e cioè togliere peso alle regioni, che sono gli unici organismi istituzionali sufficientemente grandi da potersi opporre al centralismo statale, cancellare le province ed accorpare i comuni: quindi annientare le identità storiche, sostituendole con il becerume artificiale delle aree metropolitane.

È una prospettiva brutalmente centralista, che se sposata alla forma di governo presidenziale esporrebbe il paese a rischi di un centralismo ancora più autoritario di quello che oggi abbiamo.

C'è poi il fondamentale problema di una magistratura largamente inquinata dalla politica e dai partiti. Il testo presentato in bicamerale ha reso praticamente impossibile votare per un compiuto cambiamento del sistema giudiziario, in quanto prima bisognava votare per il CSM, poi per l'eventuale separazione delle carriere e, da ultimo, per l'elezione dei magistrati della procura. Tutto è stato cioè messo al contrario di come doveva essere presentato.

Prima occorre, infatti, decidere se i magistrati debbano continuare ad essere nominati dall'alto oppure se sia finalmente arrivato il momento di farli eleggere dal popolo, di farli uscire dal loro aristocratico e statocentrico paradiso (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

Solo dopo aver deciso se anche la magistratura inquirente deve essere eletta dal popolo o da Roma si potrà decidere in merito alle carriere e al CSM.

Dalla bicamerale è uscito, invece, un testo squinternato. La magistratura resta completamente nominata da Roma, ma c'è il doppio CSM, il che significa che i due poli si spartiranno il controllo della magistratura: ad uno andranno i procuratori, all'altro i magistrati giudicanti. Siamo al peggio del peggio, alla magistratura controllata e spartita!

(omissis)

FRANCO MARINI. Signor Presidente, colleghi, debbo dire che non condivido il giudizio espresso poco fa dall'onorevole Bertinotti sul quadro nel quale ci muoviamo, cioè il presunto disinteresse del paese e del cittadino rispetto al dibattito sulle riforme avviato in questi giorni nell'Assemblea della Camera dei deputati.

(omissis)

Sarò assolutamente breve sul tema della giustizia. I costituenti del 1947 assicurarono l'indipendenza della magistratura. Noi confermiamo questa linea. Dovremmo tentare di uscire dai condizionamenti di una dialettica che esiste nel paese, di un contrasto che è quotidiano e pensare a tutto questo in maniera più alta, più legata alla prospettiva che all'attualità. Noi ci muoviamo per riformare, ma non abbiamo conti da regolare con la magistratura. L'indipendenza del giudice va fissata in Costituzione, così pure l'autonomia del pubblico ministero da altri poteri e in Europa ci sono situazioni diverse, alle quali non aspiriamo. Proprio perché ribadiamo l'indipendenza del pubblico ministero, riteniamo necessaria una distinzione netta di funzioni tra pubblico ministero e giudice che giudica, il giudice terzo. Questo perché vogliamo creare condizioni per il processo giusto e rafforzare i poteri della difesa, un problema aperto nella vita quotidiana del nostro paese. Vogliamo insomma mettere l'interesse del cittadino al centro di questa nostra azione di riforma, senza voglia di penalizzare questo o quell'ordine, ribadendo che siamo affezionati all'indipendenza della magistratura.

Le esigenze - queste che ho detto - del cittadino nel processo giusto, rivalutando i diritti della difesa, sono esigenze per noi irrinunciabili, lo voglio sottolineare. Il modo, il metodo, credo possa essere rimesso ad un confronto serio tra di noi; può darsi che ci siano soluzioni alle quali possiamo chiamare una larga maggioranza in questo Parlamento. Ci sentiamo fortemente impegnati in questa direzione.

(omissis)

SILVIO BERLUSCONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 2 agosto 1996 votammo alla Camera la legge istitutiva della bicamerale. Era passato esattamente un anno da quando mi ero rivolto, a nome di tutto il Polo delle libertà, a questa Assemblea per spiegare e sostenere le ragioni e l'urgenza di una profonda riforma della seconda parte del nostro ordinamento costituzionale.

(omissis)

Quanto alla giustizia, si tratta sicuramente di un progetto innovativo: giudice terzo, equilibrio tra accusa e difesa, centralità  dei diritti dei cittadini. Ma la separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice, presupposto perché vi sia una giustizia realmente equa ed efficiente, sembra ancora di là da venire. Questa distinzione esiste in tutte le democrazie occidentali che pure hanno a cuore, almeno quanto noi, l'autonomia e l'indipendenza dei giudici. Pertanto, essa non può e non deve essere intesa come una soluzione contraria alla magistratura. Chiediamo l'equidistanza tra giudice e pubblico ministero. Se essi hanno la stessa carriera, la stessa associazione, lo stesso elettorato attivo e passivo nell'organo di autogoverno, lo stesso ufficio e si scambiano le funzioni ogni volta che lo desiderino, non vi è più parità tra le parti. In queste condizioni, il pubblico ministero è più vicino al giudice di quanto lo sia il difensore. Perciò - lo ribadiamo - non c'è equidistanza né parità; senza parità, le garanzie dei cittadini si affievoliscono o decadono. Ecco perché la separazione delle carriere è per noi un punto fondamentale.

(omissis)

FABIO MUSSI. Signori Presidenti, nei nostri ordinamenti resta - e con la riforma credo resterà indelebilmente impresso - il segno democratico, repubblicano ed antifascista della Costituzione del 1948.

(omissis)

Infine, la giustizia. Dobbiamo certamente (anche su questo concordo con il collega Marini) metterci dal punto di vista del cittadino. Che cosa serve al cittadino? Un controllo efficace di legalità, rapidità nei processi, imparzialità ed efficienza nell'amministrazione giudiziaria, garanzia di parità tra accusa e difesa, affermazione della terzietà del giudice. Però sulla nostra discussione - è inutile negarlo, ne abbiamo sentita anche oggi l'eco - pesa il rapporto irrisolto tra politica e giustizia. E il fatto che mai - mai - nella storia dell'Italia moderna si è raggiunto un livello accettabile di equilibrio tra fondamentali poteri dello Stato, quel maturo, evoluto sistema di bilanciamenti, controlli, autonomie da cui dipende la salute di uno Stato di diritto. I principi sono restati scolpiti nel bronzo, ma la realtà è diventata figlia di adattamenti e rimbalzi, di compensazioni e slittamenti. Abbiamo tanti magistrati martiri - ed è bene magari render loro qui onore, piuttosto che criticarli - della difesa della legge e della democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo, di rifondazione comunista-progressisti, dei popolari e democratici-l'Ulivo e di rinnovamento italiano). Certo, vi sono molti scrupolosi amministratori di giustizia, però la tendenza ad oscillare poi tra conformismo, subordinazione al potere e fiammate giacobine - sì, è vero - ha portato ad un pericoloso pendolo, sempre fuori dal punto esatto di equilibrio. Nostro compito, mi pare, è identificare la norma che favorisca la costituzione del campo vero dell'autonomia e dell'indipendenza del potere giudiziario. Insomma, né giudici governanti, né giudici governati dall'esterno, ma solo autogovernati con i loro organismi.

Il relatore Boato ha lavorato, attraverso discussioni ampie e spesso burrascose, ad un testo largamente condivisibile. Si vuole modificare? Qui voglio ripetere che noi non potremo in nessun modo condividere l'introduzione della separazione delle carriere. Inutile parlare in astratto; qui, ora, c'è chi auspica la possibilità - se si vuole l'inevitabile tentazione di fronte ad una soluzione così - che si istituisca un corpo di PM separati, una superpolizia che pure avrà bisogno di un comando. E il comando non potrebbe essere che corporativo o politico. Bene, questa possibilità è concreta ed è sbagliato arrischiarla. Chiediamo a tutti di riflettere perché il testo non sia sostanzialmente modificato. Anzi, se dovesse essere condivisa - spero vivamente di sì - questa posizione, appare tanto più ultronea ed improvvisata la soluzione delle due sezioni del CSM.

Condivido invece l'apertura fatta ieri dall'onorevole Folena rispetto all'ipotesi di un'elezione con criterio proporzionale del Consiglio superiore della magistratura. Vorrei appellarmi alla saggezza dei colleghi.

(omissis)

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, signor presidente della bicamerale, onorevoli colleghe e colleghi.

(omissis)

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, signor presidente della bicamerale, onorevoli colleghe e colleghi. Nelle prossime settimane saremo chiamati a scelte destinate ad incidere profondamente sulla vita dell'intera collettività, sul rapporto tra cittadini e istituzioni, sul destino delle generazioni future. Proprio per questo, di fronte alla necessità ampiamente riconosciuta di adeguare alcune norme costituzionali all'evoluzione dei tempi, sento l'esigenza di ribadire il convincimento che tali modifiche potevano e dovevano avvenire con la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione. Ne è conferma il fatto che - pure di fronte a modifiche fortemente innovative della seconda parte della Costituzione - non si è ritenuto di proporre la modifica proprio dell'articolo 138, confermando così la validità e l'attualità di tale norma di garanzia. Una premessa, questa, doverosa e necessaria, non certo per spirito polemico, ma per chiarezza nei confronti di chi sarà chiamato, col referendum, ad avere l'ultima parola sulle scelte del Parlamento. Accettare le decisioni della maggioranza, del resto, è la base stessa della democrazia. Così come, porre riserve sul metodo, sollevare rilievi e perplessità rispetto alle soluzioni adottate, battersi con forza per modifiche migliorative, non significa non riconoscere il lavoro e lo sforzo fatto dai componenti della Commissione. Il riconoscimento di tale lavoro spero possa diventare apprezzamento rispetto al risultato finale del vostro e del nostro approfondimento. Così come spero che il testo che stiamo esaminando non sarà considerato un punto di arrivo, ma la base per un ampio confronto costruttivo tra idee, opzioni, posizioni e proposte diverse. Un punto di partenza, quindi, per un lavoro comune, che sappia rispondere all'esigenza di una maggiore partecipazione dei cittadini rispetto a scelte che riguardano il loro vivere quotidiano, i loro diritti, le garanzie rispetto alla libertà individuale. E che, nel contempo, rafforzi le autonomie locali, senza però scalfire i principi di eguaglianza e solidarietà sociale che in una società pluralista e complessa come quella in cui viviamo tendono sempre di più ad essere, non a parole ma nei fatti, indeboliti.

Un progetto, quello che stiamo esaminando, che, a mio avviso, presenta luci ed ombre e lo dico con il massimo rispetto per chi ha profuso energie, intelligenze, speranze e pazienza nella ricerca, non certo facile, di un equilibrio tra posizioni anche profondamente diverse. Come non condividere, del resto, il richiamo fatto da  più parti a considerare la Costituzione come patrimonio di tutti e non di una parte politica?

Luci ed ombre, dicevo. Ombre già evidenziate dall'onorevole Cossutta nella sua relazione, che si è soffermata in particolare sulle problematiche relative al Parlamento, alla forma di Stato e di governo.

Il modello semipresidenziale non ci convince, in quanto determina un rafforzamento dei poteri del Capo dello Stato a scapito del Parlamento, mentre il problema, a nostro avviso, era quello di trovare gli strumenti per rendere il Parlamento sempre di più il centro della rappresentanza democratica. La nostra posizione su questo punto è sempre stata chiara e coerente, in favore dell'adozione di un sistema monocamerale, che consentirebbe il rafforzamento delle prerogative parlamentari e una maggiore efficienza e rapidità nell'approvazione delle leggi; un sistema dunque rispondente alle aspettative della società. Le democrazie si misurano con la forza del Parlamento.

L'obiettivo era quello di uno snellimento del Parlamento, che avrebbe ridotto radicalmente una delle ragioni della sua crisi: i tempi lunghi del processo decisorio, il prevalere degli interessi localistici e la sua pletoricità. Un'unica Camera con non più di 400 parlamentari avrebbe risolto i grandi mali che affliggono il nostro paese nel campo dell'attività legislativa e della governabilità.

Nonostante la non condivisione delle nostre proposte, ci saremmo però aspettati un intervento più incisivo sull'attuale sistema di bicameralismo perfetto, che viene invece sostituito da meccanismi complessi che rischiano di essere forieri di gravi inconvenienti. Come non comprendere, ad esempio, che demandare alla legge ordinaria la possibilità di decidere sul numero dei parlamentari, pur tra un minimo di 400 e un massimo di 500, come è previsto dall'articolo 78, significa aprire un varco dai rischi incalcolabili? Basti pensare alla possibilità per una maggioranza di votare, anche nell'imminenza delle elezioni, una modifica tesa a favorire la propria parte politica a scapito delle opposizioni e in particolare delle minoranze.

Quanto alla forma di Stato, mi limito - dato il ridotto tempo disponibile - a poche osservazioni soprattutto sugli aspetti che più suscitano perplessità.

Il potere sostitutivo del Governo nei confronti delle regioni nei soli casi di pericolo per la sicurezza e incolumità pubblica incide anche sul principio di eguaglianza tra i cittadini. Confido fortemente e fermamente che il confronto parlamentare possa portare ad un'estensione di tale intervento quanto meno al fine di garantire a tutti un livello minimo di prestazioni sociali.

Né può essere condivisa l'attribuzione delle norme elettorali alla potestà legislativa regionale. La materia elettorale incide direttamente su uno dei diritti fondamentali del cittadino e va dunque interamente ed esclusivamente disciplinata dalla legislazione statale.

Per quanto concerne il sistema delle garanzie, il mio giudizio è sostanzialmente positivo in quanto ritengo si sia raggiunto, su gran parte del testo, un punto di equilibrio che, certo, non era facile. Tanto più se si considerano la delicatezza dei temi e le polemiche che hanno accompagnato i lavori della Commissione nonché, e a maggior ragione, se si considera che vi erano spinte forti, del tutto legittime anche se non condivisibili, che tendevano a mettere in discussione alcuni principi fondamentali, quali l'obbligatorietà dell'azione penale, l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e, quindi, a mio avviso, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Debbo dare atto all'onorevole Boato di grande equilibrio, soprattutto di fronte ad attacchi ingiusti ed ingiustificati, provenienti anche da chi neppure si era premurato di leggere le proposte del relatore e fomentava le polemiche per fini che nulla avevano a che vedere con la giustizia. Un conto sono le critiche costruttive ed i rilievi a scelte non condivise, altro è l'attacco gratuito e strumentale.

Anche in tema di giustizia, la Commissione ha fatto una precisa scelta rispetto al dibattito che ha diviso nel tempo i costituzionalisti di tutto il mondo e che già aveva diviso i Padri costituenti. Diversamente dalle prime costituzioni ottocentesche, che si limitavano ad enunciare alcuni principi fondamentali relativi all'organizzazione dello Stato ed ai diritti e doveri dei cittadini (basti ricordare, a tale proposito, l'affermazione napoleonica secondo cui una costituzione deve essere «breve ed oscura»), l'Assemblea costituente, seguendo la tendenza a comprendere nelle carte costituzionali un complesso più ampio di principi tesi a garantire una quantità maggiore di rapporti, fece la scelta di una Carta costituzionale più dettagliata e - aggiungerei - chiara e comprensibile a tutti. Il che era forse necessario, in quanto il nostro paese usciva da una dittatura e forte era l'esigenza, soprattutto da parte di chi era stato in prima linea nella lotta di liberazione, di regolare in modo preciso tutti i principi fondamentali di convivenza civile, in maniera tale da rendere più difficile un loro sovvertimento.

Nella stessa direzione si è mossa la Commissione bicamerale. Prendo atto di questa scelta e confido nel fatto che possa essere uno strumento ulteriore, se non il punto di partenza, per avvicinare i cittadini alla giustizia e la giustizia ai cittadini.

Non può non vedersi con favore, allora, la costituzionalizzazione di alcuni fondamentali principi di civiltà giuridica già consacrati nelle convenzioni internazionali: oralità, concentrazione ed immediatezza, tempestività dell'accusa, parità tra le parti del processo, effettività del diritto di difesa anche per i non abbienti.

L'unico rischio sul quale vale la pena di soffermare la riflessione di tutti, in pieno spirito costruttivo, è che, in periodi di profonda e continua evoluzione della società dal punto di vista politico, sociale, economico, una Costituzione eccessivamente rigida possa rendere più difficile - e in taluni casi ritardare - le eventuali, necessarie modifiche di adeguamento alla realtà sociale.

Per quanto riguarda il merito del testo, profonda è la mia convinzione che sia stato raggiunto l'obiettivo di impedire qualsiasi limitazione all'autonomia e all'indipendenza di tutta la magistratura. Le garanzie di indipendenza della magistratura requirente risultano addirittura rafforzate rispetto all'attuale formulazione dell'articolo 107. Il testo proposto dalla Commissione («I magistrati del pubblico ministero sono indipendenti da ogni altro potere e godono delle garanzie stabilite nei loro riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario») offre le più ampie garanzie rispetto al rischio di sottoposizione dei pubblici ministeri all'esecutivo o anche soltanto della limitazione della loro indipendenza.

È pur vero che in una prima ipotesi si prevedeva che non solo i giudici ma anche i PM fossero sottoposti soltanto alla legge; in tal senso andava anche la proposta di riforma costituzionale da me presentata. Ma, al di là della necessità di un ulteriore approfondimento, non è secondaria la considerazione che il PM non è un giudice e che quello del pubblico ministero è un ufficio con una precisa gerarchia: procuratore capo, procuratore aggiunto, sostituti procuratori.

La formulazione valida per i giudici, quindi, potrebbe creare per i pubblici ministeri difficoltà, polemiche e scontri che danneggerebbero la giustizia.

Viene inoltre riaffermata con forza l'obbligatorietà dell'azione penale. I reati debbono essere perseguiti chiunque sia il responsabile. Né sembra sminuire la portata di tale fondamentale principio il fatto che il pubblico ministero possa avviare le indagini solo in presenza di una notitia criminis. Anzi, tale indicazione potrà evitare in futuro eccessi, abusi o e invasioni di campo che vi sono state in passato, anche se da parte di un numero estremamente limitato di pubblici ministeri, e che tanto hanno danneggiato l'amministrazione della giustizia.

Particolarmente positive sono le norme tese a rafforzare il ruolo del giudice, a garantirne la terzietà nel senso di renderlo effettivamente imparziale tra accusa  e difesa. Merita di essere sottolineato il secondo comma dell'articolo 129 - la cui formulazione è peraltro, a mio avviso, suscettibile di miglioramento - che attribuisce rango costituzionale al cosiddetto principio di offensività da tempo considerato dalla dottrina, soprattutto da quella progressista, un imprescindibile pilastro dell'ordinamento penale di uno Stato di diritto.

In virtù di tale principio non può avere rilevanza penale un fatto che non crei effettiva lesione del bene giuridico tutelato. È vero che il principio di offensività, secondo autorevole dottrina, è già sancito dall'articolo 49 del codice penale e che è ritenuto comunque operante quantomeno come canone interpretativo. Tuttavia, l'espressa consacrazione di tale principio a livello costituzionale non può essere sottovalutata ed è un forte segnale rispetto al tanto auspicato diritto penale minimo o diritto penale mite.

La formulazione dell'articolo 131 merita una più approfondita riflessione. È certamente positivo che, nell'ammettere il ricorso per cassazione solo nei casi previsti dalla legge, sia in ogni caso assicurato un doppio grado di giudizio. Ma mi chiedo, e vi chiedo, se non sia il caso di prevedere espressamente, quantomeno in presenza di condanne a pena detentiva, un doppio grado di giudizio di merito oltre alla possibilità di ricorrere in Cassazione. Non sarebbe questo un segnale di alta civiltà giuridica e un modo per limitare, per quanto umanamente possibile, i troppo frequenti errori giudiziari? Non vorrei che, dopo aver previsto nuove e giuste garanzie a tutela dei diritti individuali, si finisse per non porre uno steccato alla soppressione, purtroppo da più parti auspicata, di una garanzia fondamentale a tutela della libertà individuale, cioè la possibilità di impugnazione nel merito e per violazione di legge quantomeno quando le sentenze incidono sulla libertà personale dei cittadini.

Forti perplessità, invece, suscita la suddivisione in due sezioni del Consiglio superiore della magistratura ordinaria. Non credo realistico il rischio, pur paventato da molti, di un presunto imbavagliamento nei confronti dei pubblici ministeri. Al contrario, temo fortemente che, se il Parlamento non si orienterà diversamente, si rafforzerà ulteriormente il potere dei pubblici ministeri. Se l'obiettivo era quello di pervenire ad una effettiva terzietà del giudice, di restituire alla difesa il ruolo di garante del giusto processo senza indebolire il pubblico ministero, forte è il timore che la scelta della suddivisione del Consiglio superiore della magistratura in due sezioni finirà con l'essere un vero e proprio boomerang. Anziché la parità tra accusa e difesa e un giudice equidistante tra le parti, avremo un pubblico ministero con ancora più potere non solo rispetto alla difesa, ma anche - temo - nei confronti del giudice. Con il rischio di stravolgere, con questo solo articolo, quel delicato equilibrio cui tendono altre parti del testo approvato dalla Commissione.

Invito i colleghi tutti a riflettere sul rischio, anzi la certezza, del fatto che la divisione in sezioni del Consiglio superiore della magistratura determinerà un ulteriore squilibrio anche a livello istituzionale. Non mi soffermo in questa sede sulla distinzione fra potere e ordine. Certo è che - con la divisione del Consiglio superiore della magistratura in due sezioni, ciascuna con un proprio presidente - avremo di fatto quattro poteri dello Stato: l'esecutivo, il legislativo, il giudiziario giudicante e il giudiziario requirente, con tutte le conseguenze facilmente intuibili a livello istituzionale e a livello endoprocessuale.

Non condivido, invece, gli allarmismi suscitati dalla modifica della proporzione tra i componenti laici e i componenti togati. Resta la prevalenza dei membri togati e soprattutto questi, eletti dal Senato delle garanzie tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati di grande esperienza, saranno e dovranno essere espressione non del potere politico, ma della cultura giuridica.

Come dimenticare, del resto, che proprio in sede di Comitato per le garanzie della Costituente era stata approvata, oltre che prospettata, la parità numerica dei  componenti laici e di quelli togati. Piuttosto, vale la pena di rivedere il rapporto numerico tra componenti del CSM e componenti della corte di giustizia della magistratura, di costituzionalizzazione del quorum per l'elezione dei componenti laici, onde evitare che, in un sistema maggioritario, siano tutti espressione della stessa cultura e portatori degli stessi valori.

Fondamentale poi è una più approfondita riflessione rispetto alla presidenza del CSM. Con l'elezione diretta non avremo più un Presidente della Repubblica super partes e quindi con quel ruolo di garanzia anche per l'autonomia di indipendenza di giudici e di pubblici ministeri.

Nella direzione di un rafforzamento delle garanzie di indipendenza della magistratura si muove, a mio avviso, anche la proposta di attribuire l'azione disciplinare ad un organo realmente autonomo e indipendente, quale il procuratore generale eletto dal Senato della Repubblica a maggioranza dei tre quinti e con tassative incompatibilità. Tema delicatissimo, certo, ma troppi dimenticano che oggi l'azione disciplinare è facoltativa ed è demandata al procuratore generale presso la Corte di cassazione, che pure fa parte del CSM, e al ministro della giustizia, espressione dell'esecutivo e quindi soggetto politico e di parte. La stessa Associazione nazionale magistrati, del resto, oggi critica rispetto all'obbligatorietà dell'azione penale, si era in passato ripetutamente espressa «proprio allo scopo di garantire indipendenza e correttezza dei magistrati per la riforma del sistema disciplinare attraverso i due correlati istituti della tassatività degli illeciti e dell'obbligatorietà dell'azione penale».

(omissis)

Quello della Commissione bicamerale è stato, al di là delle riserve sottolineate in molti interventi, un lavoro importante; importante per quanto riguarda la giustizia in questo punto di approdo, sia pur così parziale, per le significative modifiche avvenute nel corso del cammino intrapreso, e speriamo ancora più significative per gli ulteriori miglioramenti che potremo apportare nell'interesse dei cittadini affinché il testo sappia coniugare tutela dei diritti individuali e collettivi, obbligatorietà dell'azione penale, in un diritto penale minimo e mite, autonomia e indipendenza della magistratura. Questo è il nostro obiettivo; se saremo in grado di raggiungerlo potremo finalmente dare una risposta alle attese dei cittadini, nella prospettiva di una giustizia garantita e garantista, equa e non vendicativa, che non sia - come troppo spesso accade - forte con i deboli e debole con i forti. Una giustizia che trasformi da mera petizione di principio a realtà concreta il principio secondo cui la legge è uguale per tutti (Applausi dei deputati dei gruppi di rifondazione comunista-progressisti, della sinistra democratica-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Pisapia.

È iscritto a parlare l'onorevole Galati. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GALATI. Signor Presidente, il dibattito che ci vede impegnati sulla base dell'intenso e non facile lavoro compiuto dalla Commissione bicamerale riguarda la necessità - in un momento difficile della nostra storia - che il Parlamento e le forze politiche raggiungano un decisivo accordo per riscrivere la seconda parte della Costituzione.

(omissis)

Per quanto riguarda poi la magistratura, il fatto più rilevante che è emerso per quanto riguarda l'opinione pubblica credo sia stata l'attenzione da parte dei magistrati per il lavoro compiuto dalla bicamerale e dal relatore. Dobbiamo allora chiarire fino in fondo che cosa vogliamo per il sistema delle garanzie e per la magistratura.

Certamente non è sostenibile il principio delle due sezioni senza creare le condizioni per la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Qualcuno oggi in quest'aula ricordava che bisogna assolutamente assicurare l'indipendenza della magistratura, che è senz'altro una conquista di civiltà. Tuttavia, la separazione delle carriere non significa che il pubblico ministero debba essere soggetto all'esecutivo o ne debba essere condizionato; ci sono forme, modi e provvedimenti per poterlo evitare.

Credo quindi che a noi ed a questa discussione serva una riflessione molto attenta. Non si tratta di fare dei compro  messi; non sono pensabili per una vicenda che riguarda il futuro del paese compromessi politici o accordi di altra natura, perché qui non sono in discussione una legge, né una riforma ordinaria, ma la qualità e la stabilità della nostra democrazia.

Il risultato della bicamerale, quindi, è un punto di partenza, non di arrivo. Ora è giunto il momento delle scelte, quelle scelte che la bicamerale non ha voluto o non ha potuto fare, perché ha cercato di raccogliere intorno alle sue proposte la maggiore quantità di consensi. Non sempre, però, l'ottima qualità dei risultati dipende dalla quantità dei consensi.

(omissis)

ERNESTO STAJANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il testo licenziato dalla Commissione bicamerale, che ci apprestiamo ad esaminare, è frutto di un lungo e complesso lavoro che ha visto a confronto maggioranza ed opposizione in un dibattito spesso spigoloso, ma sempre improntato ad un alto senso di responsabilità ed arricchito dal contributo di tutte le correnti della variegata cultura politica italiana.

(omissis)

Vorrei spendere la seconda parte del mio intervento per affrontare i temi della magistratura. Pur essendo da qualche tempo interessato ad altre questioni, non posso non riconoscere una affezione profonda e forse anche una qualche maturata esperienza in tale settore.

Devo dire che la riforma istituzionale sui temi relativi alla magistratura appare eccessivamente tiepida e modesta. L'indirizzo di riforma costituzionale, infatti, mi pare cogliere solo in parte le necessità di un intervento radicale su un tema rispetto al quale da troppo tempo ci sono infingimenti e su cui molti manifestano, in modo certamente errato, specie quando si tratta di questioni costituzionali, una falsa o addirittura una cattiva coscienza.

Non credo possa essere messo in discussione, in uno Stato moderno e democratico qual è il nostro, il principio della libertà e dell'indipendenza dei giudici; nessuno può fondatamente oggi sostenere  che una cosa è il ruolo affidato alla magistratura giudicante, ben altro è quello che viene affidato invece alla magistratura inquirente e requirente. Costoro non sono giudici, bisogna riconoscerlo chiaramente ed hanno diritto pertanto ad un tipo di indipendenza diversa da quella che compete ai giudici. Probabilmente, se vogliamo affrontare questo tema fino in fondo, dovremo anche interrogarci sul valore che vogliamo attribuire all'obbligatorietà dell'azione penale, uno dei mezzi attraverso cui i magistrati inquirenti tentano di guadagnare una indipendenza che di fatto non hanno ontologicamente. Soprattutto dobbiamo considerare che, al di là della rigidità dell'astratta formula che vuole obbligatoria l'azione penale, i fatti dimostrano - e bene lo sappiamo - come la realtà sia diversa.

PRESIDENTE. Sono spiacente, onorevole Stajano, ma purtroppo per me, visto l'interesse con cui sto seguendo il suo ragionamento, ha superato il tempo a sua disposizione. La invito pertanto a concludere.

ERNESTO STAJANO. Sarò brevissimo nella mia conclusione. Poiché ho sostituito un collega, non sapevo con precisione quanto tempo avevo a disposizione. Mi scusi, signor Presidente. Cercherò di concludere il più rapidamente possibile.

PRESIDENTE. Il suo ragionamento interessa anche me. Prosegua pure.

ERNESTO STAJANO. Vi è il rischio che in questa materia vi sia la tendenza a coltivare feticci e ad adorare idoli, che poi nel concreto non esistono.

L'azione obbligatoria nel nostro ordinamento è spesso tale solo per coloro che devono subirla, non certo per i magistrati che la esercitano. Lo dico con la serena coscienza che mi deriva dall'avere esercitato funzioni, per la verità non requirenti o inquirenti, giudicanti per molti anni. Non è certamente un rimedio a questa situazione la separazione dei due Consigli superiori o il trovare qualche elemento di fittizia ed artificiosa distinzione di carriera: ci vuole ben altro.

Vorrei ancora dire una cosa a proposito del Consiglio superiore e poi mi avvio a concludere davvero. Purtroppo la ristrettezza dei tempi non mi consente di articolare le mie motivazioni e di ampliare le giustificazioni; questo mi fa correre il rischio di essere apodittico nelle mie affermazioni, il che, in tale materia, è veramente grave. Spero che i colleghi sappiano comprendere che se ciò avverrà è perché sono indotto ad un intervento rapido e ad affermazioni perentorie.

Ebbene, credo che nell'ambito della riforma del Consiglio superiore si debba considerare il fatto che con l'attuale legge elettorale nell'elezione dei componenti togati l'unico serio rischio all'indipendenza dei magistrati nel nostro ordinamento costituzionale viene proprio dal Consiglio superiore della magistratura (Applausi dei deputati del gruppo di rinnovamento italiano).

(omissis)

ORESTE ROSSI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, «bisogna contrapporre la federazione alla fusione e non all'unità. Un patto tra popoli liberi è la sola via che può avviare alla concordia ed all'unità, ma ogni fusione conduce al divorzio, all'odio.

(omissis)

Vorrei spendere la seconda parte del mio intervento per affrontare i temi della magistratura. Pur essendo da qualche tempo interessato ad altre questioni, non posso non riconoscere una affezione profonda e forse anche una qualche maturata esperienza in tale settore.

Devo dire che la riforma istituzionale sui temi relativi alla magistratura appare eccessivamente tiepida e modesta. L'indirizzo di riforma costituzionale, infatti, mi pare cogliere solo in parte le necessità di un intervento radicale su un tema rispetto al quale da troppo tempo ci sono infingimenti e su cui molti manifestano, in modo certamente errato, specie quando si tratta di questioni costituzionali, una falsa o addirittura una cattiva coscienza.

Non credo possa essere messo in discussione, in uno Stato moderno e democratico qual è il nostro, il principio della libertà e dell'indipendenza dei giudici; nessuno può fondatamente oggi sostenere  che una cosa è il ruolo affidato alla magistratura giudicante, ben altro è quello che viene affidato invece alla magistratura inquirente e requirente. Costoro non sono giudici, bisogna riconoscerlo chiaramente ed hanno diritto pertanto ad un tipo di indipendenza diversa da quella che compete ai giudici. Probabilmente, se vogliamo affrontare questo tema fino in fondo, dovremo anche interrogarci sul valore che vogliamo attribuire all'obbligatorietà dell'azione penale, uno dei mezzi attraverso cui i magistrati inquirenti tentano di guadagnare una indipendenza che di fatto non hanno ontologicamente. Soprattutto dobbiamo considerare che, al di là della rigidità dell'astratta formula che vuole obbligatoria l'azione penale, i fatti dimostrano - e bene lo sappiamo - come la realtà sia diversa.

PRESIDENTE. Sono spiacente, onorevole Stajano, ma purtroppo per me, visto l'interesse con cui sto seguendo il suo ragionamento, ha superato il tempo a sua disposizione. La invito pertanto a concludere.

ERNESTO STAJANO. Sarò brevissimo nella mia conclusione. Poiché ho sostituito un collega, non sapevo con precisione quanto tempo avevo a disposizione. Mi scusi, signor Presidente. Cercherò di concludere il più rapidamente possibile.

PRESIDENTE. Il suo ragionamento interessa anche me. Prosegua pure.

ERNESTO STAJANO. Vi è il rischio che in questa materia vi sia la tendenza a coltivare feticci e ad adorare idoli, che poi nel concreto non esistono.

L'azione obbligatoria nel nostro ordinamento è spesso tale solo per coloro che devono subirla, non certo per i magistrati che la esercitano. Lo dico con la serena coscienza che mi deriva dall'avere esercitato funzioni, per la verità non requirenti o inquirenti, giudicanti per molti anni. Non è certamente un rimedio a questa situazione la separazione dei due Consigli superiori o il trovare qualche elemento di fittizia ed artificiosa distinzione di carriera: ci vuole ben altro.

Vorrei ancora dire una cosa a proposito del Consiglio superiore e poi mi avvio a concludere davvero. Purtroppo la ristrettezza dei tempi non mi consente di articolare le mie motivazioni e di ampliare le giustificazioni; questo mi fa correre il rischio di essere apodittico nelle mie affermazioni, il che, in tale materia, è veramente grave. Spero che i colleghi sappiano comprendere che se ciò avverrà è perché sono indotto ad un intervento rapido e ad affermazioni perentorie.

Ebbene, credo che nell'ambito della riforma del Consiglio superiore si debba considerare il fatto che con l'attuale legge elettorale nell'elezione dei componenti togati l'unico serio rischio all'indipendenza dei magistrati nel nostro ordinamento costituzionale viene proprio dal Consiglio superiore della magistratura (Applausi dei deputati del gruppo di rinnovamento italiano).

(omissis)

ORESTE ROSSI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, «bisogna contrapporre la federazione alla fusione e non all'unità. Un patto tra popoli liberi è la sola via che può avviare alla concordia ed all'unità, ma ogni fusione conduce al divorzio, all'odio.

(omissis)

Per quanto riguarda il sistema delle garanzie, peggio che mai! La lega ritiene che manchi completamente per il cittadino qualsiasi possibilità di controllo e valutazione sull'attività della magistratura. Anche in questo caso, tutte le iniziative di riforma tendenti a garantire trasparenza, controllo e professionalità dell'attività giurisdizionale, sono via via venute meno, sia per l'attività intimidatoria svolta dalla maggioranza, sia per la mancanza di coraggio politico nel riformare il sistema. Anche in tale materia la lega aveva ed ha le sue proposte: elezione diretta del pubblico ministero secondo il collegio di appartenenza e divieto di trasferimento da una carriera all'altra; separazione della carriera giudicante da quella inquirente; non obbligatorietà dell'azione penale; soppressione dei TAR, Corte dei conti e Consiglio di Stato e conseguente passaggio delle competenze agli organi della giustizia ordinaria.

La lega aveva chiesto chiaramente che a cambiare la Costituzione fosse un'assemblea costituente eletta con il sistema proporzionale; un organo che, nel tempo, avrebbe potuto formulare riforme serie. Invece, abbiamo in mano un testo che non ha previsto ciò che si desiderava e si sperava.

La lega nord per l'indipendenza della Padania è fortemente contraria, proprio per i motivi che ho indicato, al testo oggi  in esame, che non rispetta minimamente il diritto all'autodeterminazione dei popoli, all'indipendenza e - perché no - alla secessione. Noi riteniamo che sia diritto di un popolo anche quello di chiedere la secessione, forse come ultima possibilità; tuttavia, il diritto a chiedere la secessione dovrebbe essere garantito in ogni Stato democratico (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Li Calzi. Ne ha facoltà.

MARIANNA LI CALZI. Presidente, il disegno di riscrittura dell'intera parte seconda della Costituzione repubblicana riflette la ricerca della sintesi alta tra culture e tendenze ideali diverse, presenti e forti nella nostra società civile e quindi nel nostro Parlamento.

(omissis)

Sulla giustizia, il relatore, onorevole Boato, non ha taciuto delle intense polemiche sollevatesi sulle soluzioni individuate. Anzi, proprio il tema della giustizia ha rischiato e tuttora rischia di essere il nodo più aggrovigliato.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 20,25)

MARIANNA LI CALZI. A ben vedere, le politiche della giustizia dovrebbero essere il più improprio dei terreni sui quali combattere un acerrimo scontro politico.

Nello Stato di diritto la giustizia è uno degli essenziali servizi da rendere ai cittadini e dovrebbe richiamare l'attenzione  vigile, il concorde concorso della cultura politica, di quella giuridica, di quella civile in forza di grandi e forti principi condivisi. Se così non accade nel nostro paese, e soprattutto negli anni a venire, ciò deve essere motivo di grande allarme, perché vuol dire che il servizio giustizia verte in una gravissima crisi e che, perciò, uno dei pilastri su cui si regge la convivenza civile è minato e rischia di travolgere tutto e tutti nel suo crollo.

A questo stato di cose si è giunti per responsabilità diverse, perché da decenni alla giustizia sono state negate strutture e mezzi indispensabili e perché la protervia dei poteri criminali, sconosciuta almeno nella misura vista in Italia, in altri paesi democratici, ha alzato in modo intollerabile il livello dello scontro, mettendo a serissimo rischio la convivenza civile delle istituzioni democratiche.

Perché un'invasiva forma di corruzione, che ha rischiato di corrodere dall'interno tutti i pubblici apparati, ha offuscato a lungo le coscienze, fino a renderle insensibili.

La riforma della seconda parte della Costituzione repubblicana sarebbe, dunque, l'occasione per ribadire e rendere attuali i principi fondamentali da porre a base di un rinnovato edificio del servizio giustizia.

Allo stesso tempo, il Governo e il Parlamento dovrebbero proseguire nella positiva azione avviata in questa legislatura per colmare i deficit strutturali e per tradurre in leggi i principi affermati nella Carta.

Se queste sono le sincere intenzioni del confronto, non è da dubitare che il dialogo che si apre potrà essere utile ad evitare le dissonanze, a relegare ai margini gli strumentalismi, la permanente cultura emergenziale da un lato, la tendenza a «normalizzare» un potere scomodo, dall'altro.

Il relatore, onorevole Boato, ha sottolineato con grande vigore la costituzionalizzazione dei diritti dei cittadini, con particolare riferimento alle prerogative della difesa da parificare a quelle dell'accusa. Non si vede chi possa essere ostile alla solenne riaffermazione di uno dei principi cardini dello Stato di diritto. Ma sarebbe distruttivo utilizzare questo principio per contrapporre i cittadini alla magistratura o comunque ai magistrati della pubblica accusa. I magistrati, anche quelli dell'ufficio del pubblico ministero, applicano le leggi che esistono. Se queste leggi sembrano squilibrate, non compatibili con i diritti dei cittadini, deve essere il Parlamento a cambiarle, senza chiudersi al confronto, agli apporti di conoscenza che possono venire dall'esterno e, in particolare, a quelli altamente tecnici di chi le leggi è, quotidianamente, chiamato ad applicare.

Ancora più erroneo sarebbe far discendere dalla costituzionalizzazione dei diritti dei cittadini in materia di giustizia una necessitata separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati requirenti.

Questa separazione è stata, in Commissione bicamerale, il vero terreno di uno scontro aspro e incomponibile, che ha costretto il relatore Boato a fare e disfare la sua bozza di relazione, alla stregua della famosa tela di Penelope.

Devo dire, in tutta franchezza, che la soluzione individuata - con la divisione del CSM in due sezioni, vista come prodromica alla vera e propria separazione delle carriere - legittima le accusa di compromesso al livello più basso che sono, per altri versi del tutto ingiustificatamente, piovute sui lavori della Commissione bicamerale.

Non temo accuse di difesa corporativa, tant'è che significative componenti della magistratura associata dissentono apertamente su alcuni punti della mia impostazione. Né pavento l'ironia sulla cultura della giurisdizione dei pubblici ministeri, che accompagna questa argomentazione.

Purtroppo, non passerebbe molto tempo dalla separazione delle carriere fra magistrati requirenti e quelli giudicanti per fa constatare che, nell'intento di porre riparo a certi guasti, se ne sarebbero causati altri ben più gravi.

Se la funzione requirente viene assegnata ad un corpo di funzionari dello  Stato, caratterizzati dalla separatezza, dalla non comunicabilità, primo o poi ci si troverebbe di fronte a rischi di un organismo di superpoliziotti, sganciati da ogni controllo, che si autoreferenzia.

E a quel punto non resterebbe che collocare la pubblica accusa sotto la direzione ed il controllo del governo, così come avviene in tutti i sistemi che hanno scelto la separazione della funzione accusatoria da quella giudicante. Esito che tutti dichiarano di non volere e, anzi, di voler scongiurare.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Noi lo abbiamo escluso scrivendo «indipendente da ogni potere».

MARIANNA LI CALZI. Questo è da vedere.

Se davvero si vuole ovviare ai problemi che si sono evidenziati con la presunta discrezionalità di fatto dell'esercizio dell'azione penale da parte della magistratura inquirente, si deve ribadire nella Carta il principio irrinunciabile dell'autonomia e dell'indipendenza di tutta la magistratura, rimandando alla legge ordinaria una distinzione corretta delle funzioni. Introducendo, cioè, i principi dell'incompatibilità, congruamente temporanea, delle funzioni monocratiche e degli incarichi direttivi legata non alle persone, ma al territorio.

Se la questione della distinzione delle funzioni della magistratura viene affrontata in quest'ottica, anche il problema del CSM perde il suo carattere dirompente. Il CSM potrebbe conservare le sole funzioni amministrative, riservando l'azione disciplinare ad una corte elettiva che resterebbe in carica per un tempo sfalsato rispetto al CSM, in modo da esorcizzare ogni rischio di scambio. Il diverso rapporto numerico tra laici e togati e la previsione della rappresentanza per categorie in relazione a numero nella composizione nel CSM e della corte possono consentire di superare, da una parte le critiche rivolte al supposto corporativismo dei magistrati, e dall'altra il rischio della preponderanza di una categoria rispetto alle altre.

PRESIDENTE. Dovrebbe dare una «frenata» alla sua interessante esposizione, onorevole Li Calzi!

MARIANNA LI CALZI. Ho finito, Presidente.

Il peggiore di tutti i rimedi sarebbe l'introduzione di un'anomala figura di procuratore generale eletta dal Senato, preposto all'esercizio dell'azione disciplinare. La responsabilità dell'azione disciplinare deve rimanere soltanto in capo al ministro di grazia e giustizia, che la esercita attraverso la procura generale presso la Corte di cassazione e ne riferisce al Parlamento: la responsabilità «politica» del ministro compenserebbe la mancata previsione dell'obbligatorietà dell'azione disciplinare.

Le esigenze di garanzia in ordine all'esercizio dell'azione penale, anziché attraverso l'istituzione delle sezioni separate del CSM, possono essere meglio soddisfatte prevedendo un coordinamento degli uffici del pubblico ministero. Si consentirebbe in tal modo ai procuratori generali nelle relazioni annuali, e quindi al ministro di grazia e giustizia, di riferire al Parlamento sui tempi e sulle modalità del suo esercizio.

Ai problemi che sono emersi si trovano risposte adeguate senza venire meno ai principi se cessa ogni guerra di religione, se alla contrapposizione preconcetta subentra il confronto rispettoso delle diverse posizioni. È un metodo che vale per la giustizia come per gli altri grandi temi per chi si impegna a riscrivere la Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi di rinnovamento italiano, della sinistra democratica-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

RINO PISCITELLO. Presidente, colleghi, il dibattito di questi giorni non può correre il rischio di essere un freddo e stanco rituale destinato a passare alla storia e a glorificare come padri costituenti i diciotto autorevoli colleghi del Comitato o i settanta della Commissione, o al più a consentire agli altri colleghi di poter pronunciare la storica frase «Io c'ero».

(omissis)

Pensiamo soltanto, ad esempio, alla contraddizione di un Presidente eletto da una parte politica il quale, contemporaneamente, presiede il Consiglio superiore della magistratura, con i conseguenti poteri. Lo stesso concetto di separazione e di equilibrio tra i poteri viene seriamente messo in discussione. Lo stesso equilibrio che rischia di venire meno con l'impostazione scelta nella parte sulla giustizia.

Ferma restando - per sgombrare subito il campo - la nostra condivisione dell'estensione dei diritti dell'accusato nel procedimento penale, non ci convince affatto, invece, la divisione in due sezioni del CSM, che di fatto apre la strada alla separazione delle carriere tra giudici e PM e, per conseguenza, favorisce chi spera si possa arrivare ad un controllo politico sui secondi. Senza parlare della previsione di un procuratore generale che ha potere di attivare l'azione disciplinare e che è eletto dal Senato! I commenti al riguardo sono superflui.

Il segnale che rischia di arrivare con queste modifiche è quello di un tentativo di avviare un ridimensionamento di fatto dell'indipendenza della magistratura. Crediamo che questa parte vada fortemente corretta.

(omissis)

RAFFAELE CANANZI. Passando al tema della giustizia, compito del legislatore costituzionale è quello di disciplinare un complessivo sistema della giustizia che consenta ai cittadini di sperimentare la tempestiva efficienza nell'imparzialità delle decisioni emesse da giudici indipendenti e soggetti soltanto alla legge.

La Commissione bicamerale aveva tre strade percorribili. La prima, quella fin qui praticata, della pluralità delle giurisdizioni e della confusione tra momento consultivo e momento giurisdizionale, tra momento del controllo e momento giurisdizionale, nonché della facile intercambiabilità tra momento inquirente e momento giudicante.

La seconda strada era quella dell'unità strutturale della giurisdizione, con tutte le conseguenze del caso, certamente dirompenti rispetto al sistema fin qui praticato, ma idonee forse ad una maggiore rapidità ed efficienza della sostanziale decisione giurisdizionale cui il cittadino aspira.

La terza era dell'unità funzionale della giurisdizione, che ingloba nelle due giurisdizioni, l'ordinaria e l'amministrativa, tutte le forme di controversie, distinte per oggetto, materie omogenee, e non più sull'antica ma sempre controversa specie dei diritti e degli interessi legittimi.

Sul Consiglio di Stato e sulla Corte dei conti mi richiamo al testo scritto, dichiarando di condividere quanto detto dal collega Cerulli Irelli nel suo intervento in quest'aula.

Su tre questioni emergenti dal titolo VII, quello concernente la giustizia, vorrei richiamare l'attenzione dell'Assemblea. La prima concerne la costituzione delle due sezioni, una per i giudici ed una per i magistrati del pubblico ministero presso il Consiglio superiore della magistratura. Questa disposizione è priva di ogni ragionevole disposizione anzi, per la verità, ne ha una sola, peraltro adombrata o esplicitata da alcuni sostenitori: quella di essere il preludio alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, una separazione alla quale però la stessa bicamerale ha detto no, riaffermando invece il principio (articolo 125) che i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Un preludio che la maggioranza degli italiani certamente non accetta come minaccioso avviso ai pubblici ministeri, i quali invece, passando in politica, come chiari esempi recenti dimostrano, ricevono ampi consensi, più fondati sulla funzione già esercitata che su una capacità politica ancora non dimostrata.

Questa separazione stride terribilmente con la cultura di questo paese, che non sopporterebbe certamente di sostituire i pubblici ministeri, prima giudici, con i pubblici ministeri, prima poliziotti. Senza nulla togliere al benemerito compito della polizia giudiziaria, il cittadino si sente assai più garantito da un pubblico ministero che è accusa pubblica nel processo non perché ha più privilegi della difesa privata, ma perché esprime una mentalità di giustizia volta non necessariamente a  condannare, ma ad applicare la legge, che può ben essere assolutoria nel caso concreto.

Per quanto mi riguarda, concordo in pieno con questi cittadini e noto con piacere che, nonostante alcuni eccessi nel recente passato ai quali si può porre certamente rimedio con forme diverse delle due sezioni, che non rispondono certamente allo scopo, la cultura giuridica, anche nelle modalità del processo accusatorio del pubblico ministero prima giudice e poi pubblico ministero fatte proprie dal sistema italiano, attrae non poche altre nazioni, fra cui la vicina Francia. Sarebbe ben strano che, nel momento in cui gli altri guardano con estremo interesse al nostro sistema e tentano di uniformarsi, noi ce ne distaccassimo, abbassando certamente la qualità dell'accusa, la sua autonomia e la sua capacità di essere accusa equilibrata nel sistema e non invece accusa squilibrata nell'esclusiva volontà punitiva. Se separazione non c'è e non vi deve essere, il preludio alla separazione con le due sezioni non ha senso alcuno. Anzi, paradossalmente, come è stato notato, consente ai pubblici ministeri di costituirsi come ordine autonomo nell'ordine dei magistrati per quanto attiene all'aggiornamento professionale (il più poliziotto piuttosto che il più giudice), ai trasferimenti, alle promozioni ed alle relative assegnazioni. Certamente non è poco quanto ad autonomia ed alla possibilità di rendere più incisivo un potere che invece, anche in sede di amministrazione dei componenti, è bene che sia gestito in consonanza e con la partecipazione dei giudici.

Se la carriera è comune, è bene che tutti gli appartenenti alla stessa carriera decidano, attraverso i loro rappresentanti in un unico collegio, trasferimenti, promozioni ed assegnazioni. Non mi pare proprio che le due sezioni possano contribuire alla distinzione delle funzioni ed alla terzietà dei giudici. Il giudice non diventa parziale perché nel CSM vi sono due o tre magistrati che, avendo esercitato funzioni di pubblico ministero, contribuiscono con il loro voto a determinare la sua posizione amministrativa: è assurdo pensarlo quando i componenti del CSM sono per ben due quinti laici e, dei tre quinti composti da magistrati, i giudici sono più dei pubblici ministeri. Non sono le due sezioni che mutano la consuetudine di vita amicale fra giudici e pubblici ministeri nei piccoli e grandi uffici giudiziari della Repubblica. La terzietà del giudice è garantita dalle norme processuali, che rispetto al processo pongono l'accusa e la difesa in situazione di parità. Per questo l'articolo 130 del progetto costituzionale è di piena attualità.

La distinzione delle funzioni è poi garantita dalle norme dettate dagli articoli 124 e 125 del progetto in esame, e non certamente dalle due sezioni. Queste perciò non servono, né ai fini della terzietà del giudice né per rimarcare la distinzione delle funzioni; paradossalmente possono conseguire l'effetto contrario a quello che si intende ottenere ed in ogni caso agitano lo spettro di una dialettica intemperante fra le due sezioni, che certamente non giova al prestigio dei giudici, alla pur necessaria serenità e non animosità dei pubblici ministeri, al decoro del Consiglio ed alla complessiva dignità della funzione giudiziaria.

Nell'attuale passaggio della vicenda italiana ed alla luce della complessiva riforma costituzionale sulla giustizia, le due sezioni sono o inutili o dannose e non si legifera in sede costituzionale né inutilmente né per provocare danni che tolgano credibilità allo Stato democratico. Ho già richiamato l'articolo 124 dove, per il passaggio fra le funzioni, è previsto un concorso riservato: mi pare che riservato voglia dire interno al ramo della magistratura che si considera ordinario-amministrativa e che concorso, più che specifica modalità di accesso, intenda sostanziare il concorrere da parte dei magistrati che ne fanno domanda. È forse il caso, per non dare adito all'equivoco che i magistrati vengano di nuovo sottoposti ad un vero e proprio concorso, esprimere il concetto con «esame interno-valutazione interna», che la legge ordinaria potrà articolare tenendo conto dello stato della carriera,  dei titoli, delle attitudini psichiche degli istanti e perciò della loro complessiva idoneità. Si tratta dunque di una valutazione interna di idoneità.

La terza questione concerne l'articolo 122. I Consigli superiori della magistratura sono organi di rilevanza costituzionale; non si può consentire che sul merito delle loro decisioni intervengano le normali istanze giudiziarie. La valutazione di merito deve essere esclusiva di questi organi elettivi e costituzionali; le questioni per violazione di legge devono trovare nelle sezioni unite della Cassazione, per garanzia e per autorevolezza, l'unico giudice. Tale giudice non può essere la corte di giustizia della magistratura, ché diverrebbe una sorta di superconsiglio superiore, assumendo - notate bene! - poteri assai vasti sui magistrati sia in campo amministrativo, sia in campo disciplinare. Nove persone elette in seno ai due Consigli superiori finirebbero con l'assumere tutti i poteri di amministrazione e di disciplina di tutti i magistrati italiani. Perciò si impone la modifica dell'articolo 122.

Onorevoli colleghi, ho toccato alcuni punti che mi sembrano nodali nel quadro dell'impegno che assumiamo di fronte al paese, a questa e anche probabilmente a qualche altra prossima generazione di cittadini.

Ciò che deve guidarci nella fatica che iniziamo a compiere come Assemblea parlamentare non è lo spirito di parte, ma la volontà decisa e la sana ambizione di aiutare il paese a voltare pagina. Non perché la precedente sia tutta nera, ma perché la precedente, tra il bianco e nero, ha fatto la sua parte. Ora c'è una parte nuova, c'è un respiro forte di libertà e un anelito alto di giustizia. Il tempo è maturo perché l'orizzonte della nostra bella Italia, tutta intera, si apra verso mete sempre più umane. (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulio).

(omissis)

TIZIANA MAIOLO. Signor Presidente della Camera, signor presidente della Commissione bicamerale, signori deputati, sono tra i pochi deputati che non hanno dato un voto favorevole all'istituzione della Commissione bicamerale perché credo che, quando si decide di riformare la Costituzione, questo debba essere un momento alto e solenne, così alto e solenne da richiedere un grande consenso popolare.

(omissis)

Punto centrale della nostra discussione è, dal mio punto di vista, quello dei diritti, i diritti di ogni cittadino, delle libertà di ogni cittadino, della giustizia; quella giustizia che ogni cittadino ben sa quanto sia difficile conquistare, quella giustizia che oggi è schiacciata dalla cronaca giudiziaria, che ogni giorno ci porta lontano dallo Stato di diritto, tanto che il nostro paese è considerato maglia nera in Europa ed il nostro Governo è stato bocciato dai giudici della Convenzione europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo.

Nel 1997 il Governo Prodi ha conquistato il record negativo di denuncie (2066). Non parliamo poi delle condanne: nel 1996 l'Italia ne ha subite 464, la Francia poco più di un centinaio e quasi zero tutti gli altri paesi europei. Ciò significa che ogni anno i contribuenti, cioè i cittadini italiani, sono costretti, a causa della cattiva amministrazione della giustizia, a pagare miliardi e miliardi di lire.

Pur di fronte a questi dati, l'onorevole Folena, responsabile della giustizia del PDS, ci ha detto in quest'aula che il suo partito ha a cuore i diritti dei cittadini più deboli. Onorevole Folena, rifletta su questi numeri e veda con quale faccia impresentabile ci affacciamo all'Europa! Non bastano i parametri economici per andare in Europa: occorrono anche quelli dello Stato di diritto. Osservi, onorevole Falena - e, ovviamente, anche lei, presidente D'Alema - quale mutilazione dell'onore del nostro paese, dell'integrità dei nostri cittadini viene prodotta ogni giorno a causa dell'incapacità di pochi!

Sto parlando della professionalità dei magistrati italiani, in particolare di quelli che svolgono il ruolo di pubblici accusatori. Ho l'impressione che, persino mentre stiamo per cambiare la Costituzione, non ci rendiamo conto del fatto che il nostro paese rappresenta un caso deviante, sia per le caratteristiche del sistema giudiziario sia per i rapporti tra l'ordine giudiziario ed i poteri dello Stato sia, infine, per gli squilibri esistenti tra magistratura e classe politica.

La prima devianza è costituita dal fatto, unico al mondo, che il soggetto il quale rappresenta una parte processuale - la pubblica accusa - ed il soggetto giudice compiano la stessa carriera, siano cioè colleghi e creino tra loro quella solidarietà processuale che lede gravemente i diritti della difesa. Come può il cittadino avere giustizia se chi lo accusa ha continuamente contatti con chi dovrà giudicare, se lavorano entrambi negli stessi palazzi, appartengono alle stesse associazioni professionali, hanno lo stesso organo di autogoverno che eleggono congiuntamente, godono dello stesso trattamento economico, se, insomma, hanno interessi corporativi comuni?

Non solo, ma questa comunanza di vita produce la condivisione di valori, di cultura, di rapporti privilegiati, produce la consapevolezza di appartenere ad un comune destino che è comune interesse tutelare.

Le conseguenze di questa situazione costituiscono grave minaccia per l'indipendenza e l'imparzialità del giudice.

Il grande potere acquisito nel nostro paese dai procuratori minaccia le garanzie del cittadino e vanifica il diritto di ogni cittadino a difendersi in posizioni di parità rispetto a chi lo accusa. In poche parole, nel nostro paese non esiste l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

I magistrati ci dicono che non si può toccare il principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale. Vediamo  allora come viene applicato questo sacro principio e con quali risultati. Esaminiamo i dati ufficiali del 1996, come ce li ha mostrati il procuratore generale presso la Cassazione.

In Italia rimane impunito l'83 per cento dei reati; il che significa che dei 2.974.042 reati denunciati - parlo del 1996, questi sono gli ultimi dati - ben 2.469.658 sono rimasti senza responsabile. Forse, penso, non c'era un numero sufficiente di pentiti ad aiutare quei magistrati. Se scomponiamo il dato, scopriamo che il furto nel nostro paese non è più un reato; infatti, nel 97,4 per cento dei casi non si è trovato il responsabile. Certo, il furto non è un reato tra i più gravi, anche se ai cittadini dà molto fastidio, ma come la mettiamo con il fatto che rimane impunito il 61,3 per cento degli omicidi, l'86,5 per cento delle rapine e il 71,8 per cento dei sequestri di persona?

Domandiamoci allora se sia davvero così sacro questo principio ipocrita dell'obbligatorietà, un principio che non esiste nei paesi dove più sacro è lo Stato di diritto come quelli anglosassoni. La verità è che questo principio costituzionale si è affermato come criterio ideologico, tanto è vero che non è mai esistito alcun controllo ufficiale ed obiettivo sulla sua reale applicazione. Nessun organo inquirente è in grado di riferire, e nessuno glielo chiede, su quali siano le priorità nella applicazione di tale principio. Può spiegarci il procuratore di Milano con quale criterio il suo ufficio, anche con metodi discutibili, abbia privilegiato la repressione dei reati contro la pubblica amministrazione rispetto agli omicidi e alle rapine? Crede proprio che per il cittadino sia indifferente essere scippato per strada in nome della «crociata santa» cui il dottor Borrelli è stato chiamato non si sa bene da chi? E il procuratore di Palermo, che senza i pentiti sarebbe un disoccupato, ci vuol spiegare perché in quattro anni si è occupato solo di Andreotti e di Berlusconi, mentre la mafia continua ad insanguinare la Sicilia?

Se non si svolgono indagini, sarà ben difficile arrivare ad individuare i responsabili dei reati. Occorre allora una linea di politica giudiziaria che individui delle priorità, di cui i procuratori rendano conto ogni anno a qualche organo istituzionale. Perché sotto l'ombrello ipocrita del principio dell'obbligatorietà si nasconde una discrezionalità di fatto che è diventata arbitrio; un arbitrio che ha profili di scelta politica, come dimostra tutta la storia di Tangentopoli, che pare esistere solo laddove non governa la sinistra e che non è servita a cambiare i costumi, che a detta di tutti non sono affatto mutati, ma solo ad eliminare dalla scena alcuni partiti e a salvarne altri. E la persecuzione che alcuni magistrati stanno mettendo in atto nei confronti di dirigenti della lega nord altro non è che la prosecuzione di questa attività, che è politica.

Non è forse politico l'attacco massiccio, mai visto nella storia della Repubblica, compiuto da magistrati compiacenti nei confronti di Silvio Berlusconi, indagato a Palermo prima ancora che vincesse le elezioni del 1994 e minacciato dal procuratore Borrelli fin da quando decise di scendere in campo?

L'irresponsabile arbitrio che è oggi nelle mani di ogni singolo procuratore porta l'amministrazione della giustizia sempre più lontano dai cittadini, impedisce controlli diretti o indiretti da parte della sovranità popolare. È dunque il singolo procuratore, senza rispondere ad alcuno, che sceglie non solo quali reati perseguire e quali no, ma anche chi perseguire e chi no. È il pubblico ministero, in questo sistema, a determinare di fatto una disuguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Oggi anche la sinistra ci dice che non si può arrivare né a toccare il principio dell'obbligatorietà né quello della carriera unica perché si intaccherebbe l'indipendenza della magistratura, dal momento che nessun magistrato potrebbe più colpire il potere politico. Che cosa ci volete dire, cari colleghi della sinistra? Che negli Stati Uniti o in Inghilterra non esistono pubblici accusatori o addirittura non esistono giudici imparziali, capaci di dimostrare che i cittadini sono tutti uguali  davanti alla legge? Che dire allora del procuratore Starr, che sta rischiando di far cadere il Presidente degli Stati Uniti?

Io dico che, così come avviene in Inghilterra, andrebbe abolita la magistratura, perché occorrerebbe mantenere soltanto i giudici ed avere quindi dei procuratori coraggiosi e giusti, che non guardino in faccia nessuno e che sappiano dirigere le indagini. Ma li vogliamo anche più vicini ai cittadini.

In un sistema federale, colui che rappresenta lo Stato contro le devianze non può che essere eletto dalla comunità che è chiamato a rappresentare. Quindi, deve rappresentare quel pezzo di Stato che è più vicino al luogo dove lui ha presentato un programma elettorale.

A quella stessa comunità, in sede locale, questo procuratore dovrà rispondere delle sue scelte di politica giudiziaria, anche magari della repressione di quei cosiddetti reati minori che però ai cittadini stanno a cuore perché vedono minacciata la loro sicurezza.

Vogliamo poi un giudice imparziale, com'è nei paesi anglosassoni, dove i giudici sono nominati a vita e quindi non possono subire condizionamenti, e questa è la garanzia più alta della loro indipendenza.

Ho terminato, signor Presidente. Non posso che concludere con un giudizio negativo perché, se quanto oggi proposto dalla Commissione bicamerale vedrà la luce, l'esito che prevedo è il seguente: o una nuova Costituzione materiale si sovrapporrà a quella scritta e i partiti riprenderanno definitivamente il sopravvento sulle istituzioni o la seconda Repubblica avrà vita breve e, in ogni caso, non avremo reso un buon servizio né al paese né ai cittadini (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

(omissis)

MARIO BORGHEZIO. Presidente, colleghi, in un momento in cui altri si industriano attivamente per far dimenticare la propria storia oltre che la propria identità politica e culturale, noi rivendichiamo di essere i figli dei figli di coloro che otto secoli fa diedero vita all'esaltante esperienza della civiltà comunale.

(omissis)

Sul tema scottante della magistratura è inutile negare quello che è sotto gli occhi di tutti. Oggi la magistratura, per chiamare le cose con il loro nome, è quasi un  soggetto costituzionalmente a rischio; serpeggia verso di essa - o parte non irrilevante di essa - un diffuso disfavore, specie da noi in Padania. Vogliamo interrogarci sul perché?

Alla magistratura giudicante, ad esempio, si rimprovera la lungaggine estrema dei processi per cui, come tutti sappiamo, l'Italia viene condannata un giorno sì e l'altro no dalla Corte di giustizia di Strasburgo. Nel testo licenziato dalla bicamerale, però, non rinvengo alcuna fissazione di un limite temporale alla durata dei processi e Dio sa quanto sia elevato il danno che essa procura, nel settore civile, ad esempio, nei confronti dell'economia produttiva, delle piccole e medie imprese, cioè del nord. Non è ancora venuto il momento di stabilire costituzionalmente che ogni processo deve avere un suo limite massimo di durata, nel settore civile ed ovviamente anche nel penale, dove spesso in gioco è l'onore delle persone, il loro futuro, le prospettive economiche e professionali? Un termine superato il quale la causa deve essere sottratta alla magistratura ordinaria ed attribuita, ad esempio, ad un giurì finale formato, che so, da ex magistrati, avvocati, cultori del diritto, reclutati ovviamente in sede locale, che dovrà decidere entro un termine molto vicino, di 60, 90 giorni, sulla base degli atti...

PRESIDENTE. Onorevole Borghezio, il tempo a sua disposizione è terminato.

La prego di concludere.

MARIO BORGHEZIO. Presidente, credo che al mio gruppo spetti ancora un residuo non irrilevante di tempo. Ho controllato in precedenza presso la Presidenza.

FRANCESCO D'ONOFRIO, Relatore sulla forma di Stato. Perché ieri Maroni non ha parlato.

PRESIDENTE. Allora utilizza il tempo altrui.

MARIO BORGHEZIO. Non tantissimo.

PRESIDENTE. Non lo sapevo. Parli pure. Non è appropriazione indebita, quindi può andare avanti.

MARIO BORGHEZIO. Altro che riforme: qui non si ha nemmeno il coraggio di applicare la Costituzione vigente, quanto previsto, ad esempio, dall'articolo 106 in tema di magistratura onoraria.

L'altra inesauribile fonte di recriminazioni fondate nei confronti dell'attività talora inconsulta dei PM - il loro attuale reclutamento e la loro sostanziale impermeabilità ad ogni controllo - resta, di fatto, inalterata con questa pseudoriforma. Noi, al contrario, vogliamo intaccare l'irresponsabilità, non certo l'indipendenza, l'autonomia del PM e per questo motivo sosteniamo con forza non soltanto la necessità della separazione delle carriere e quella dei due Consigli superiori (per i pubblici ministeri e per la magistratura giudicante ordinaria), ma soprattutto l'elezione popolare diretta dei pubblici ministeri.

Perché? Lo ha detto molto bene durante i lavori della Commissione il senatore Gasperini: «Perché sia verificato con il consenso popolare se un pubblico ministero ha fatto il suo dovere, se ha esercitato bene l'azione penale, se non ha nascosto i fascicoli, se ha applicato correttamente la legge. Non occorre dire» - prosegue Gasperini - «che il pubblico ministero è soggetto alla legge: lo controllerà il cittadino di tanto in tanto, al fine di evitare che un pubblico ministero che ha fatto disastri in una certa città possa alla fine essere addirittura promosso al rango superiore».

Chiediamo un vaglio dell'opinione pubblica: il pubblico ministero deve sapere che gli occhi della popolazione guardano il suo operato e quindi deve comportarsi di conseguenza!

Si deve attribuire ai PM una responsabilità che costituisca il necessario bilanciamento dell'enorme potere che oggi essi esercitano, che è causa non secondaria degli squilibri denunciati della giurisdizione e che consiste nella prevalenza degli effetti preliminari e cautelari.

Deve allora essere eletto perché abbia la responsabilità della tutela della legalità e dell'ordine nelle aree territoriali in cui viene reclutato e in cui opera. Forse in altre zone della penisola rispetto a quelle da cui proveniamo si teme che l'elettività del pubblico ministero sia irrealizzabile. Sappiamo tutti che non è certo il caso della Padania, dove i cittadini hanno, fortunatamente, quella cultura della legalità che, da un lato, li motiva a partecipare responsabilmente a questa designazione e, dall'altro, li rende giustamente insofferenti ad una indipendenza di pura facciata di tanti PM dietro cui l'attuale ordinamento lascia tranquillamente passare in maniera surrettizia le preferenze politiche dei medesimi.

Va da sé che perché l'azione penale non si riduca a burletta sotto il peso schiacciante di un'infinità di reati, quali la nostra legislazione penale è venuta moltiplicando negli ultimi decenni, si rende necessaria una coraggiosa depenalizzazione, ma sappiamo bene che una certa cultura giuridica che permea non pochi magistrati politicizzati è favorevole a depenalizzare reati come truffa, furto, scippo, spaccio, che pure contribuiscono a rendere più bassa ed insicura la qualità della vita, ed è invece orientata ad aumentare in maniera esponenziale, colpendoli con sanzioni penali, illeciti legati, per esempio, all'ambiente, al lavoro, alla produzione, oltre ogni ragionevolezza.

Noi ci opponiamo a questa cultura e a politiche giudiziarie di tal genere, perché siamo convinti sostenitori della tesi che questo sia un modo di impedire, attraverso l'imperio della legge, a chi lavora e produce di continuare a farlo vivendo in tranquillità.

L'elezione popolare diretta dei PM potrebbe senz'altro porre rimedio anche a queste storture culturali. Un secolo e mezzo di appartenenza allo Stato centralista unitario non ha mutato, fortunatamente, il portato della storia, che ha visto la Padania ed alcune regioni del centro della penisola caratterizzate da stili di vita e sistemi politici nettamente differenziati rispetto a quelli delle regioni meridionali.

Al nord il popolo era composto da cittadini, al sud spesso da sudditi, nel senso che il nord aveva una struttura socio-politica fatta di rapporti, alleanze, obblighi sociali e politici di tipo orizzontale, laddove questi al sud erano tipicamente gerarchizzati in senso verticale. In Padania da dieci secoli almeno è attestata dai documenti storici e giuridici e dai fatti economico-sociali l'esistenza diffusa e reale delle cosiddette virtù civiche, trasfuse nella partecipazione generalizzata alla cosa pubblica, nello spirito di collaborazione e di fiducia, di mutua assistenza e di solidarietà, fra cittadini che si sentivano e si sentono uguali fra loro.

Le pubbliche istituzioni statali al sud sono state per contro espressione di quella che oggi chiamiamo una società civile totalmente sottomessa al potere feudale più accentratore.

Il vostro Stato unitario e centralista, cari colleghi del Polo e dell'Ulivo, è una angusta ed opprimente prigione istituzionale per i popoli padani, ma non è riuscita ad intaccarne la capacità e la vocazione all'impegno civico, fondato sull'etica della responsabilità.

Il federalismo, che la proposta elaborata dalla Commissione bicamerale non riesce a far presagire nemmeno lontanamente, è e resta per noi padani un mito: il mito del federalismo, quello senza aggettivi, che solo la Padania potrà realizzare quando, con l'autodeterminazione, riuscirà a darsi nuovamente istituzioni consone alla grande ininterrotta tradizione di virtù civiche, che ha punteggiato la storia dei nostri popoli.

(omissis)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Veltri. Ne ha facoltà.

ELIO VELTRI. Signor Presidente, colleghi della Commissione bicamerale, leggerò l'intervento per rispettare il tempo che mi è stato assegnato. Il mio intervento peraltro è dedicato in larga parte al problema della giustizia, perché è il testo della Commissione bicamerale che condivido meno.

(omissis)

Voglio impegnare il mio tempo intervenendo sul capitolo della giustizia, che non condivido, perché mi sembra pasticciato, disorganico, pericoloso per l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, e perché rischia di favorire meccanismi di burocratizzazione dell'azione giudiziaria e dell'organizzazione della magistratura al suo interno.

Poiché le critiche più feroci vengono da forze politiche e da gruppi che si definiscono autenticamente liberali, mi servirò soprattutto dell'aiuto del più grande studioso liberale del dopoguerra delle nostre istituzioni e delle dichiarazioni autentiche (che riporterò tra virgolette) di magistrati di altri paesi per sostenere che è un errore cambiare il testo della Costituzione sulla giustizia e per dimostrare come in altri paesi presi ad esempio la magistratura ha le mani legate di fronte al potere, sia esso politico o imprenditoriale.

Il grande studioso è Giuseppe Maranini, il quale nel libro Storia del potere in Italia (con prefazione, guarda caso, di Angelo Panebianco) ha scritto: «I costituenti, discordi nelle ideologie e nella competizione politica, furono d'accordo nel desiderare un sistema di libertà autentico e valido, fondato su sicuri controlli giudiziari. Questa fu la vera, la profonda, la sola rivoluzione liberatrice contenuta nella Costituzione scritta. In molte sue parti la Costituzione italiana è oggetto di contrastanti giudizi: ma almeno uno dei suoi titoli, quello dedicato alla giustizia, ha trovato negli uomini più illustri degli opposti settori politici concorde e calorosa lode. Luigi Einaudi» - che mi sembra fosse un grande liberale - «vedeva nel nuovo assetto promesso alla giustizia il più sicuro pegno della consistenza del nuovo esperimento di democrazia liberale». L'ultimo convegno organizzato da Maranini a Firenze nel 1961 non a caso aveva per tema «Magistrati o funzionari?». Il problema si ripropone oggi in tutta la sua evidenza.

Partendo da un'opinione comune di tutti sulla necessità di riformare la giustizia, un'ampia discussione si è sviluppata sulla controversa questione: riforme costituzionali o legge ordinarie? Il professor Pizzorusso, noto costituzionalista, ha scritto, ricordando quel convegno: «Si ha l'impressione che alcuni considerino problemi come quello dell'assetto da dare al pubblico ministero e al Consiglio superiore della magistratura come problemi completamente nuovi, con riferimento ai quali si tratta di raccogliere una serie di proposte originali, di scartare quelle più stupide e di accogliere quelle più intelligenti, come se si trattasse di organizzare un nuovo reparto di un grande magazzino o una fabbrica per la produzione di qualche nuovo elettrodomestico da immettere sul mercato. I problemi della giustizia non riguardavano i principi, ma l'efficienza: per risolverli non c'era bisogno dunque di riforme costituzionali, ma di migliorare l'assetto della legislazione, di stanziare le somme occorrenti per realizzare infrastrutture necessarie ed altre strutture di questo genere».

I punti più pericolosi della proposta Boato riguardano la composizione e la divisione del CSM in due sezioni; la sproporzione della rappresentanza nelle riunioni comuni delle due sezioni tra magistrati ordinari e amministrativi (8 mila i primi e 400 i secondi); l'obbligatorietà dell'azione disciplinare promossa da un procuratore generale di nomina politica, con inevitabile moltiplicazione dei procedimenti e paralisi della magistratura; i collegamenti più o meno espliciti del ministro e del procuratore generale con il Parlamento; il cambiamento di ruolo e l'enfatizzazione della figura del pubblico ministero, che deve superare un concorso selettivo. Esattamente il contrario dell'obiettivo che si vuole perseguire: il pubblico ministero di fronte al giudice diventa un gigante.

L'onorevole Boato ha citato Piero Calamandrei quale difensore della sovranità del Parlamento di fronte alle censure del procuratore generale della Cassazione. Ma l'onorevole Boato sa bene due cose. In primo luogo, che Calamandrei apparteneva a quella schiera di fastidiosi liberali, azionisti, liberalsocialisti e federalisti come Gobetti, Salvemini, Rosselli, Rossi, Lombardi e Parri, che hanno sempre coniugato etica e politica e che per questo sono stati isolati e sconfitti. Essi per comodità vengono tirati fuori dall'armadio dei ricordi quando fa comodo anche da chi per cultura, ideali, comportamenti politici, dista anni luce. Sa un'altra cosa, l'onorevole Boato, che se Calamandrei avesse avuto in Parlamento certi compagni di viaggio prima di polemizzare con il procuratore generale avrebbe chiesto ai suoi colleghi di dimettersi. Calamandrei sulla rivista Il Ponte del luglio-agosto 1946 scriveva: «Speriamo che la Repubblica non deluda nel popolo l'esigenza della rinascita morale che è stato il motivo più solido e più consolante della vittoria repubblicana». Ed è proprio vero, come diceva Malraux che non si fa la politica con la morale, ma nemmeno senza.

Per quanto riguarda l'esercizio della giurisdizione penale degli altri paesi ai quali si fa continuamente riferimento, ascoltiamo cosa dicono protagonisti e testimoni. Il dottor Jimenez Villarejo, procuratore generale nazionale anticorruzione di Spagna dice: «Il procuratore generale dello Stato ha il potere di decidere se un affare è di competenza nostra o no. Egli può essere destituito in ogni momento dal governo. Io penso che noi abbiamo una procedura penale efficace per i furti, per i delitti sessuali, per gli omicidi. Ma per i delitti economici esistono debolezze evidenti. La nostra risposta in questo campo è molto limitata, soprattutto se la si paragona con l'efficacia della giustizia italiana. Per i delitti economici che riguardano personaggi detti «protetti», come ministri e deputati, la Corte di giustizia nazionale, competente a giudicarli, provoca ritardi supplementari».

Il dottor Baltazar Garcon, giudice istruttore a Madrid, dice a sua volta: «I blocchi si producono sempre agli stessi livelli, quando un affare tocca il potere politico e il potere esecutivo».

Il dottor Renaud Van Ruymbeke, consigliere di Corte d'appello a Rennes, dice: «Il parquet» - cioè i procuratori - «è sottomesso al potere politico. So bene che il ministro dice che non interviene. Dicono tutti la stessa cosa. Dimenticano solo di precisare che il telefono esiste, che le carriere dei magistrati dipendono da loro. I giudici italiani sono completamente liberi. In Francia si ha l'abitudine di dire che in Italia la situazione è veramente grave e che da noi sarebbe più sana. Ma io dico che senza termometro non si può misurare la febbre».

Il dottore Bernard Bertossa, procuratore generale di Ginevra, dice: «All'inizio sono stati gli italiani che ci hanno messo di fronte a fatti d corruzione. Poi sono venuti i francesi e gli spagnoli. Io noto una grande ipocrisia: non si può affermare senza mentire di essere contemporaneamente a favore dell'indipendenza della giustizia e, allo stesso tempo, partigiani del sistema di dipendenza nel quale i parquet sono legalmente e psicologicamente mantenuti». Queste sono le opinioni di alcuni giudici di paesi ai quali si vuole fare riferimento.

È questo il modello che vogliamo introdurre anche in Italia? Se è così lo si dica con chiarezza e ci si assuma tutte le responsabilità.

 

(omissis)

GIOVANNI PILO. Signor Presidente, signori colleghi, avremmo dovuto cambiare la Costituzione già molti anni fa, dopo la sconfitta del terrorismo, dopo l'esito sorprendente del referendum sulla scala mobile, dopo la marcia dei quarantamila «quadri» a Torino, ma forse avremmo dovuto pensare a cambiare la Costituzione anche dopo il referendum sul divorzio e quello sull'aborto. Si trattava di fatti importanti, che segnalavano come l'Italia stesse cambiando e che era già cambiata tanto.

(omissis)

Ci ha profondamente turbato negli ultimi mesi la inusitata durezza che le forze di polizia hanno messo in atto contro le pacifiche manifestazioni dei nostri allevatori e colpisce la clamorosa diversità di trattamento che viene normalmente riservata alle manifestazioni di altre classi di lavoratori, anche quando costoro eccedono i limiti delle proprie prerogative.

Ci ha turbato la leggerezza con la quale l'apparto dello Stato si è, diciamo così, lasciato sfuggire di mano, pochi giorni prima dell'azione, i goffi serenissimi di piazza san Marco, che erano da tempo sotto l'osservazione dei servizi di sicurezza, per catturarli a tempo debito nel corso di una spettacolarissima azione, che ha fatto solo il gioco di chi voleva alimentare l'impressione di un pericolo terrorista. C'è di più: si è lasciata trapelare la sensazione che questo pericolo fosse collegato all'azione di una forza politica parlamentare.

E soprattutto ci turba sentire, da parte di chi spalleggia ad ogni costo le azioni, anche più discutibili, di alcuni (pochi) magistrati, abusare di un argomento del tutto falso, quello della obbligatorietà dell'azione penale. Nessuno dovrebbe ignorare che questo fondamentale principio è clamorosamente inapplicato, provocando una vastissima disparità di trattamento dei cittadini e la diffusione di un generale senso di illegalità. Sia chiaro: è sbagliato quando da parte di forza Italia si dà la sensazione che la nostra forza politica sia nemica della magistratura. Al contrario, io credo che noi dobbiamo ribadire che siamo favorevoli alla completa autonomia della magistratura; anzi, gelosi garanti di tale autonomia. Con i problemi che ho prima denunciato, che senso mai avrebbe da parte nostra lavorare per una subordinazione della magistratura al potere politico? Il problema della giustizia esiste solo perché è un problema per i cittadini. I numeri sono numeri: ogni anno nel nostro paese vengono commessi circa due milioni di reati; una famiglia su dieci è vittima ogni anno di un reato contro il patrimonio, per lo più furti.

Quando va bene, per il cinque per cento dei reati viene individuato un responsabile; infatti, nelle nostre carceri ci sono circa 50 mila persone che, con il turn over, diventano al massimo centomila all'anno. Ciò significa che ciascun pubblico ministero ogni anno ha a che fare con circa 1.300 delitti per i quali, se è tanto bravo, individua meno di 100 sospetti colpevoli, lasciando irrisolti 1.200 casi.

Come si fa in queste condizioni a non vedere che, di fatto, diciamo pure senza colpa, nel nostro paese l'azione penale - ripeto: di fatto - è chiaramente, forse casualmente, mai Dio voglia dolosamente facoltativa?

E quando, in tale situazione, veniamo a sapere che lo Stato ha arruolato uno spaventoso esercito composto da 1.700 killer cosiddetti pentiti, la situazione si fa maledettamente preoccupante. Non è che a me sfugga l'importanza che può avere avuto qualche pentito, specie i primi  (penso a Buscetta) nella sacrosanta lotta alla mafia; ma 1.700 pentiti sono una enormità ed i risultati rischiano di essere drammaticamente paradossali. A parte che, quando vediamo nei film western i commercianti che assoldano gli assassini per difendersi dai ladri di cavalli, proviamo un senso di ribrezzo; a parte che, come abbiamo detto, quasi 2 milioni di famiglie ogni anno si vedono negare il diritto alla difesa da parte dello Stato contro la criminalità; a parte che 1.700 pentiti sono più dei 1.500 pubblici ministeri (per cui mi domando: come si fa a gestirli?); a parte tutto questo, e trascurando - sempre che si possa, ma si può - il diritto naturale, c'è il rischio che questi 1.700 pentiti, molti dei quali ancora collegati con elementi malavitosi in attività, oltre che collegati tra di loro direttamente o attraverso dichiarazioni sui giornali, avviluppino la macchina della giustizia in una tale rete di complotti e menzogne da metterla completamente sotto scacco, oppure la indirizzino capziosamente ai propri fini.

Cosa resterà del rispetto per la legge, del senso di giustizia, della fiducia da parte dei cittadini verso la legge e le istituzioni se, supponiamo, per i delitti Falcone e Borsellino dovessimo alla fine avere gli assassini impuniti e stipendiati dallo Stato e dovessero essere condannati soltanto i picciotti di quart'ordine? Temo che ciò rientri in ciò che ci siamo abituati a considerare «Costituzione materiale», cioè a dire: in fatto di diritti fondamentali, si fa ciò che si può. Ma questo non va bene perché, come si è visto, l'arbitrio è sempre fin troppo possibile; anzi, l'arbitrio è probabile.

Onorevole D'Alema, non che mi piaccia mettere i piedi nel piatto in un momento nel quale si ricerca una grande armonia, ma debbo dire che il richiamo che lei ha rivolto all'onorevole Marini per la posizione che il PPI ha tenuto durante la votazione sul caso Previti non è una questione domestica, interna alla maggioranza. Preoccupa che, su un argomento come quello della giustizia, il PPI possa essere sottoposto a pressioni politiche. L'onorevole Marini ha quindi fatto bene a ricordare fermamente che proprio lei, onorevole D'Alema, ha più volte sottolineato la possibilità del formarsi di diverse maggioranze in seno alla bicamerale.

Come dicevo, avremmo dovuto avere il coraggio di cambiare prima perché, non cambiando, abbiamo lasciato la Costituzione nelle mani dei potenti di turno, che l'hanno di volta in volta modificata surrettiziamente. Quando la Costituzione materiale lasciava la possibilità che tanti spazi fossero occupati dai partiti anziché dai cittadini e dalle associazioni oppure dalle istituzioni, ecco che nasceva la partitocrazia e, da quest'ultima, è nata Tangentopoli. Quindi, Tangentopoli è figlia della Costituzione materiale quanto è figlia della partitocrazia.

Ma anche il potere abnorme della magistratura dopo Tangentopoli è figlio della Costituzione materiale e, dunque, è illegittimo. Supponiamo pure che la giustificazione storica consenta di capire tutto ciò che è successo ma, certo, non lo giustifica.

(omissis)

PIERLUIGI PETRINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le nuove Costituzioni originano solitamente da un mito costituente, ovvero da un evento non necessariamente violento di rottura con il passato che porta all'affermazione di nuovi ordini sociali ed istituzionali, fondati su valori condivisi, ma fino allora negati o repressi.

(omissis)

In conclusione, vorrei dire due parole sul problema della giustizia. Se la Costituzione è strumento di tutela e di garanzia dell'individuo nei confronti dell'esercizio del potere, è chiaro che l'individuo deve essere tutelato anche nei confronti dell'azione indagatoria della magistratura; è altrettanto chiaro però che la stessa tutela deve essere corrisposta all'individuo che è leso nei suoi diritti fondamentali dal reato. Quindi la magistratura ha una  funzione di doppia tutela, è contemporaneamente oggetto e soggetto di garanzia e soltanto nella certezza del diritto potrà essere esercitata questa doppia tutela.

Diverso è il caso del rapporto tra il sistema giudiziario - la magistratura - e il sistema politico. In questo caso la magistratura è sicuramente soggetto di garanzia, deve cioè tutelare il cittadino da un potere che può essere momento di reato. Se è vero che il «tintinnar di manette» non è civiltà giuridica, è altrettanto vero che il «frusciar di mazzette» non è civiltà democratica. Non è assolutamente immaginabile che l'azione della magistratura si possa fermare nel momento in cui la stessa, perseguendo reati e comminando pene, abbia ad avere degli effetti o degli epifenomeni politici. L'unica garanzia che la politica può avere dall'invadenza della magistratura è nell'esercizio virtuoso del potere e nessun'altra.

(omissis)

ALFREDO BIONDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho voluto parlare dal banco dal quale avrebbe parlato Aldo Bozzi.

(omissis)

La giustizia deve essere come io la immagino, perché un avvocato va davanti ai giudici sperando che siano i più bravi e i più giusti: è la sfida di tutti i giorni. Se pensassimo che siano venduti, come purtroppo ci capita di dover sentire che è possibile - non lo credevamo, non lo crediamo, fino a che i processi non saranno terminati e speriamo che non sia -, che siano politicizzati, legati alle loro correnti, non capaci di rispondere alla propria coscienza, che è il più severo dei giudici e che non concede le attenuanti generiche quando si sa che si è commesso qualcosa di male... Allora forse potranno dire all'onorevole Biondi, al ministro Biondi ed anche al ministro Mancuso, che è qui accanto a me, che le battaglie che abbiamo fatto non sono state per ridurre la loro autonomia. Le battaglie che abbiamo fatto le abbiamo fatte perché i cittadini sapessero che chi aveva il potere-dovere di assumere le proprie responsabilità di fronte alle altrui denunce non ha avuto paura di farlo per non guastarsi la reputazione o qualcosa di peggio, qualche volta persino l'incolumità.

Anche su questo tema ci batteremo. Sulla questione delle carriere ho forse idee più blande di quelle presenti nel mio gruppo. Non credo che sia una specie di legge assoluta che le carriere debbano essere separate. I ruoli debbono essere separati, gli uomini devono avere una sede ed una posizione diversa! La scelta professionale deve corrispondere alle attitudini! Il passaggio da un'attività all'altra deve essere fatto in modo tale che chi effettua il passaggio non porti il peggio di sé, ma realizzi il meglio, che è poi quello di essere giudice terzo.

Un'accusa, una difesa, un giudice. Non quello di Berlino, quello che ci aspettiamo in tutte le città del nostro paese (Applausi).

(omissis)

NANDO DALLA CHIESA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa è un'occasione storica, un'occasione da non perdere e da non sacrificare sull'altare di interessi contingenti, che talvolta si sono dimostrati anche non troppo limpidi. Un'occasione da non sacrificare nemmeno sull'altare di progettazioni astratte rispetto alle effettive condizioni storiche e culturali del paese.

(omissis)

La magistratura, in terzo luogo. Sulla giustizia la bicamerale ha prodotto parti buone, quelle relative alla tutela e alle garanzie del comune cittadino, e parti per nulla condivisibili, come quei passi gravidi  di implicazioni per l'autonomia della magistratura. E se chi si è battuto per l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, chi si è battuto per i diritti civili non può non vedere con favore la costituzionalizzazione di alcuni importanti principi di garanzia, al tempo stesso egli non potrà che vivere con profonda diffidenza e ostilità tutti i meccanismi atti a manomettere l'autonomia piena dell'ordine giudiziario. Meccanismi elaborati come male minore davanti a veti e pressioni assai forti, me ne rendo conto, ma sui quali non si può transigere.

Penso all'aumento dei membri di nomina politica nel CSM, aumento che nessuno fin qui è stato in grado di giustificare decorosamente. In primo luogo, perché se c'è una cosa di cui gli italiani non sentono proprio il bisogno, questa è l'ulteriore politicizzazione della magistratura. In secondo luogo, perché è incongruo l'incremento di membri di nomina politica proprio in un organo di autogoverno che si vuole svolga funzioni ora meramente amministrative e interne. In terzo luogo, perché il Presidente della Repubblica non più di garanzia già introduce nel CSM logiche di parte sufficientemente rischiose per gli equilibri istituzionali attuali.

Penso ancora alla Corte di giustizia e a quei meccanismi apparentemente tecnico-contabili con i quali si svuota ulteriormente il CSM dei membri togati con diritto di voto, ottenendo di fatto una quasi parità tra togati e politici che prelude ad uno snaturamento pieno del CSM, ossia dell'organo che per eccellenza governa un fondamentale contrappeso del potere politico, cioè il controllo di legalità. Penso ancora alle due sezioni del CSM, preludio ad una differenziazione delle carriere che a mio avviso punisce, anziché innalzare il livello complessivo della legalità.

Altro è dunque istituire meccanismi di buon senso e di correttezza procedurale che impediscano ad un magistrato di inquisire e giudicare nello stesso luogo nel breve volgere di pochi anni; altro è sviluppare un'opera di addomesticamento politico della magistratura. Non sono tra coloro che danno colpe di ciò al relatore, il quale ha dovuto operare una difficile sintesi di posizioni diverse. Ma è certo che se qualcuno ha giudicato irrinunciabili i meccanismi di addomesticamento su denunciati, fino a farne la conditio sine qua non della propria accettazione del progetto di riforma, ebbene altri, per ragioni opposte con pari legittimazione, giudicheranno irrinunciabile la soppressione o la modifica di quegli stessi meccanismi per accettare a propria volta il progetto medesimo.

(omissis)

VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, senza enfatizzare il risultato conseguito dai lavori della Commissione bicamerale, ma anche senza disperderne i contenuti più innovativi che, nel complesso del testo e degli emendamenti accolti, perviene al nostro esame per essere presentato poi ai cittadini, credo che il Parlamento debba corrispondere a questo lavoro così complesso proseguendo con buona volontà comune, pur nel rispetto di ogni dissenso, alla riforma intrapresa.

(omissis)

A me preme, tuttavia, sottolineare particolarmente la grande occasione che al Parlamento viene offerta per risolvere il problema della fissazione di principi costituzionali nuovi in materia di organizzazione ed amministrazione della giustizia.

Questa non era materia da rimettere alla legislazione ordinaria, perché è in questa parte nuova della Costituzione che vanno scritte regole per il rispetto delle norme del titolo I, specie quelle degli articoli 13 e 27. Queste ultime norme, come è noto, per non essere state osservate, ci hanno portato numerose volte anche innanzi alla Corte europea dei diritti umani.

Al di là degli scontri sulla giustizia, non sempre ispirati da volontà di riforma ma attraversati da rancori, protagonismi, a volte comprensibili sofferenze ma non condivisibili attacchi all'ordine giudiziario, noi dobbiamo riaffermare che la crisi profonda che nel sistema giudiziario compromette le garanzie del cittadino è documentata dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale di questi decenni.

Straripamento dei poteri del pubblico ministero anche per le supplenze che si sono rese necessarie nel nostro paese, mancata realizzazione della terzietà del giudice, dilatazione della carcerazione preventiva - continuo a definirla così e non custodia cautelare, come con mera finzione nominale si chiama -, compressione dei diritti della difesa, sono fatti ormai riconosciuti, sovente anche dalla Corte costituzionale, sicché si evince proprio dall'interno del sistema giurisdizionale costituzionale la necessità di fissare in Costituzione norme esplicite che assicurino la effettività delle garanzie di un giusto processo, soprattutto per chi, più debole, più indifeso, lontano dal circuito mediatico, rischia di vedere stravolti i suoi diritti di libertà.

L'ottimo lavoro svolto dal relatore onorevole Boato per questa parte consente di riflettere sulla importanza dell'inserimento nella seconda parte della Costituzione di norme cogenti a tutela dei diritti di libertà, un riscatto sicuro dopo i guasti prodotti dalle legislazioni delle varie emergenze o da quelle in qualche caso schizofreniche che oscillano sempre tra riforma e controriforma.

Certo, la questione del pubblico ministero non può essere risolta pretendendo di isolarne il ruolo e confinandolo in una sorta di splendido isolamento, pur riservandogli la titolarità dell'esercizio dell'azione penale.

I principi di indipendenza, di autogoverno e di autonomia della magistratura vanno in questo caso difesi con forza proprio perché è a questi principi che si collega la crescita del sistema di garanzie di un processo giusto. L'eccesso di soggettivizzazione del pubblico ministero può produrre tendenze autocratiche e di autonomia nell'autonomia, che avrebbero l'effetto di sdoppiare il potere giudiziario in un unico potere, quello del pubblico ministero, ed in un servizio, quello della giurisdizione.

Attenzione, insomma, a non costruirci figure che evocano quella, alquanto angosciante e di moda in questi giorni, del procuratore Starr!

Ne consegue che l'affrettata scelta del testo sul Consiglio superiore duale va rimeditata per evitare quella rottura dell'unità di autogoverno della magistratura che anche porterebbe alla moltiplicazione di poteri. Ed invece il Parlamento si impegni, nella elaborazione del testo finale, a potenziare le norme sulle garanzie giurisdizionali, per la realizzazione effettiva del processo accusatorio, per la crescita reale di una parità tra accusa e difesa, per la estinzione di ogni residuo inquisitorio, per fare della certezza del diritto non una declamazione virtuale, per  sostituire finalmente la certezza della pena definitiva alla paradossale certezza della sola custodia cautelare che dovrebbe essere invece eccezionale.

Scriva il Parlamento norme cogenti sulla ragionevole durata del processo, sull'accesso alla giustizia per tutti, imputati e vittime, noti ed anonimi, ricchi e poveri. Il paese attende il ripristino del valore alto della giustizia, come garanzia delle libertà, della società, dello Stato (Applausi dei deputati dei gruppi della sinistra democratica-l'Ulivo e misto-verdi-l'Ulivo).

(omissis)

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI RAFFAELE CANANZI, MARETTA SCOCA E ALFREDO BIONDI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI SUL PROGETTO DI LEGGE COSTITUZIONALE N. 3931

(omissis)

ALFREDO BIONDI. …

(omissis)

Il titolo VI, relativo alla magistratura, è quello che ha suscitato più polemiche e più clamori. D'altra parte, in questi anni tutto quello che ha a che fare con la giustizia suscita reazioni nevrotiche e parossistiche, ed interventi anche gravemente impropri da parte della magistratura, alcuni settori della quale hanno dimostrato e continuano a dimostrare una precisa volontà di interferire sul processo  non soltanto legislativo ma anche costituente. Questo, lo abbiamo detto mille volte, è inaccettabile.

L'autonomia che non solo i giudici, ma i magistrati del pubblico ministero giustamente invocano, significa che non vi devono essere interdipendenze fra la funzione giudiziaria e l'esercizio della sovranità che, secondo la parte non modificabile della Costituzione, appartiene al popolo, ai suoi rappresentanti eletti. Il testo uscito dalla Commissione bicamerale, anche in questa materia, rappresenta un compromesso prudente fra esigenze diverse; la distinzione funzionale fra giudici e pubblici ministeri è soltanto accennata, eppure numerosi pubblici ministeri hanno espresso gravi timori sulla perdita della loro autonomia. A loro e a tutti noi voglio ricordare che un magistrato, per essere un buon magistrato, deve essere autonomo anche dagli interessi della propria corporazione, e che l'autonomia dipende dai comportamenti e dalla deontologia individuale, piuttosto che da una modalità di inquadramento.

Quanto sta avvenendo in questi giorni negli Stati Uniti, lo scandalo che ha investito il Presidente Clinton, dovrebbe far riflettere su quanto poco un magistrato possa essere condizionabile dall'esecutivo, pure in un sistema come quello americano, che rappresenta probabilmente l'esempio più estremo di rigida separazione fra accusa e giudizio.

Del problema della separazione delle carriere si è parlato fin troppo, come se questo fosse l'aspetto determinante della questione giustizia. In realtà il vero problema è il rapporto fra la funzione del pubblico ministero, che aspira legittimamente ad essere il rappresentante dell'interesse generale della collettività, e quella della difesa, che rappresenta l'interesse del singolo, della persona nella sua individualità. È questo un interesse ancora più alto e ancora più meritevole di tutela. Se il pubblico ministero si sente anche giudice e si comporta come se lo fosse, e agli effetti pratici lo diventa nel sentire comune e nelle conseguenze stesse del suo operare, non solo viene meno l'equilibrio accusa-difesa, ma si stravolge lo scopo stesso del sistema giudiziario. Questo è il vero nodo della giustizia in Italia, al quale troviamo, nel progetto della bicamerale, solo risposte parziali.

Abbiamo dato volentieri atto al relatore su questi temi di uno sforzo molto serio, condotto con rigore ed onestà intellettuale, per individuare una strada percorribile; sono le condizioni oggettive ad averci condotto verso soluzioni ibride e poco chiare anche in queste materie.

Il tema per esempio dell'unicità della giurisdizione, della distinzione fra giustizia ordinaria e amministrativa, dell'istituzione di giudici speciali, come definito dall'articolo 120, risulta non soltanto complesso e disomogeneo ma - come ha illustrato il collega Meloni nei giorni scorsi - carente di motivazione, di giustificazione logica e giuridica. Questo, in materia di giustizia, può comportare effetti molto più gravi e molto più complessi di quanto si consideri sull'onda delle polemiche quotidiane e delle esigenze di mediazione che ne scaturiscono.


 


 

RESOCONTO STENOGRAFICO

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306.

 

Seduta di venerdì 30 gennaio 1998

 

presidenza del presidente LUCIANO VIOLANTE

 

 


(omissis)

Seguito della discussione del progetto di legge costituzionale: Revisione della parte seconda della Costituzione (3931) (ore 9,13).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di legge costituzione: Revisione della parte seconda della Costituzione.

(Ripresa della discussione sulle linee generali - A.C. 3931)

(omissis)

SALVATORE VOZZA. Signor Presidente, signor presidente della bicamerale, è un buon testo di riforma della seconda parte della Costituzione quello che la Commissione bicamerale ha presentato all'esame del Parlamento?

(omissis)

L'ultimo aspetto che desidero toccare è quello della giustizia. La riforma deve delineare un disegno organico dell'equilibrio dei poteri, a maggior ragione se viene introdotta l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Il testo - e il dibattito che ha prodotto - non ha esplicitato sino in fondo i disegni alternativi fra l'autonomia e la responsabilità e l'autonomia e la responsabilità politica del controllo di legalità. Sono ben convinto che, con il riordino costituzionale e con il sistema maggioritario, la responsabilità della decisione e l'agire politico debbano acquisire più forza. Il controllo di legalità non può entrare nella legittimità delle scelte o condizionarne l'alternatività.

L'autonomia della politica, però, richiede piena assunzione di responsabilità, verifiche e sanzioni politiche. Proprio perché credo questo, penso sia sbagliato anche dare solo l'impressione che si voglia  mettere in discussione l'obbligatorietà dell'azione penale, non solo nella forma, ma anche nella sostanza. Si può lasciare nella forma ma lavorare per un controllo del pubblico ministero che ne vanifichi il reale esercizio. A me sembra inoltre che non vi sia piena consapevolezza che l'obbligatorietà dell'azione penale è vanificata dallo stato in cui versa la giustizia (penso alle sedi, agli strumenti a disposizione, ai concorsi stessi). Il testo elaborato dalla Commissione bicamerale - è questa l'impressione che ne ricavo - non ha esplicitato sino in fondo l'alternatività di questi progetti. Tale non chiarezza è stata molto implicita - vorrei dire all'onorevole Boato - ed ha risentito del momento storico in cui si vive che è connotato da un grande numero di processi che investono uomini politici, da casi eclatanti di rinvio a giudizio, da ripetute e spesso strumentali domande di garantismo che emergono sempre quando - ed è stato ricordato in quest'aula parlamentare - bisogna assicurare garanzie ad un potente e mai quando il problema riguarda un cittadino comune.

Vengono proposte forme di condizionamento dell'autonomia e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, senza preoccuparsi mai del bisogno alto di ogni democrazia di avere un rigoroso funzionamento degli uffici giudiziari, in particolare di quelli civili. Se si esplicita un disegno di messa in discussione dell'obbligatorietà dell'azione penale e di un rapporto diretto fra l'esecutivo e la magistratura (il pubblico ministero), allora bisogna pensare a nuovi livelli di equilibrio fra i poteri, così come avviene in altri paesi, non ultimo gli Stati Uniti.

Ma se, come si è fatto qui, non si mettono in discussione né i diritti di cui alla prima parte della Costituzione, né in modo esplicito l'obbligatorietà dell'azione penale, le soluzioni che emergono rischiano nei fatti di determinare un indebolimento della democrazia, perché si mina alla base il presupposto su cui si fonda l'equilibrio dei poteri.

Non comprendo ad esempio - voglio dirlo con grande chiarezza - la costituzionalizzazione del doppio linguaggio tra magistrati e giudici perché o dice troppo o troppo poco. Non mi spiego poi addirittura la costituzionalizzazione del procedimento penale nel momento in cui il ministro ci sta presentando il riassetto dell'ordinamento giudiziario. Non condivido, infine, la divisione del Consiglio superiore della magistratura in sezioni separate.

Il disegno qui presentato può farci correre due rischi, ossia la corporativizzazione massima della magistratura ed il suo condizionamento rispetto agli interessi di parte e di parte politica. Un disegno che, lungi dal qualificarne le competenze, le professionalità e l'indipendenza, quindi l'autorevolezza, ne ripropone tutti i limiti di casta, di un corpo separato, ed anche eventualmente di centro vero e proprio di potere.

Da più parti viene sollecitata una maggiore riflessione su tutta la materia della giustizia e si avanza la richiesta di arrivare anche ad uno stralcio. La richiesta di stralcio dell'intera materia, per quanto mi riguarda, nasce da queste considerazioni e dalla necessità di affrontare in modo organico l'insieme delle questioni che sono sul tappeto: competenze, professionalità, sviluppo di carriera, distinzione di funzioni, organizzazione più complessiva della giustizia.

Come si vede, su questi aspetti non c'è una chiusura se la discussione si può svolgere sulla base di un disegno organico che consenta di ragionare sull'insieme dei problemi aperti. Ecco perché non sarebbe superfluo riflettere sulla possibilità di stralciare l'intera materia.

L'ampio di battito di questi giorni rappresenta un riferimento importante per cercare tutte le correzioni utili a migliorare il testo, per rendere più coerente la proposta di revisione della seconda parte della Costituzione.

Le soluzioni, le proposte, gli emendamenti presentati hanno lo scopo di contribuire al lavoro, di cui tutti noi riconosciamo l'importanza ed il valore, che è stato portato avanti dalla Commissione bicamerale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Parenti. Ne ha facoltà.

TIZIANA PARENTI. Signor Presidente della Camera, signor presidente della Commissione bicamerale, questa mattina, venendo a Montecitorio, stavo dubitando che ci fossimo ancora o che, magari, avessimo «sbaraccato», visto l'esito della giornata di ieri del convegno dell'Associazione nazionale magistrati, non so se presieduta dal Presidente della Repubblica; sembrava infatti fosse una presidenza non onorifica, ma reale.

Che cosa è emerso ieri di così grave da indurmi a strappare il «discorsetto» che mi ero preparata per andare invece a meditare sugli eventi odierni? È emerso che, come al solito, la magistratura non sa ripensarsi. Io, invece, ho ripensato al nostro relatore, onorevole Boato, il quale ha dimostrato in questi mesi, così difficili per lui come per tutti noi che ci siamo occupati di questo argomento, la capacità di ripensarsi e di ripensare. Evidentemente, la magistratura non è dotata di questi poteri ed è forse l'ordine - o potere che dir si voglia - più chiuso e conservatore, l'unico che non ha la capacità di riflettere e di confrontarsi con il resto del mondo.

Il collega del PDS parlava poc'anzi di uno stralcio. Possiamo stralciare tutto, possiamo fare tutto, ma ciò che possiamo fare non è sempre ciò che dobbiamo fare.

Voi, probabilmente, avete la fortuna di frequentare molto poco le aule giudiziarie o le nostre carceri.

Non avete, quindi, la cognizione esatta di quanto le regole ordinarie siano saltate in questo paese: sono saltate per i ricchi, per i poveri, per i potenti e per quelli che non contano nulla. Sono saltate per tutti noi.

Fareste forse un esercizio spirituale molto encomiabile se vi dedicaste in questo periodo di lavoro della bicamerale a frequentare le aule giudiziarie e le carceri, senza distinzione tra i destinatari della giurisdizione e dell'ordinamento giudiziario.

Non si può pensare ad una Costituzione, se non si pensa al patto fondamentale tra il cittadino e lo Stato. Non si possono creare sovrastrutture - quali il presidenzialismo, il federalismo o quant'altro - se prima non si stabiliscono quali sono le regole che rapportano il cittadino allo Stato e lo Stato al cittadino, quali sono le garanzie del cittadino rispetto allo Stato ed i doveri dello Stato rispetto al cittadino.

Stralciare questa materia significherebbe cercare una modesta legittimazione di secondi repubblicani, dimostrando in realtà di essere il sottoprodotto della prima Repubblica, che ha avuto il grande torto di non essere stata capace di fare grandi riforme con autorevolezza, la stessa che ci manca e in mancanza della quale siamo indotti a mediare il non mediabile: sui principi della democrazia, io credo, infatti, non si possa mediare.

Dice la signora Paciotti, applaudita dal Capo dello Stato: noi aspettiamo grandi riforme ordinarie. Ma avete cognizione dei processi virtuali che si celebrano nel nostro paese? Centocinquanta processi alla lega: quanto costano allo Stato questi processi virtuali, che sono politici, per reati di opinione, per scelte politiche che devono essere contrastate, se necessario, politicamente ma non certamente dalla magistratura? Quanto ci costeranno i centocinquanta processi politici alla lega? Credo che ci costeranno non solo economicamente, perché mentre celebriamo centocinquanta processi politici, non siamo capaci di garantire l'integrità fisica di un sequestrato! Rischiamo di far morire una persona perché lo Stato ritiene che ciò sia giusto per prevenire eventuali altri reati, come se non fosse obbligo dello Stato garantire, innanzitutto, la vita dei cittadini.

Mentre si celebrano i 150 mila - perché non sono centocinquanta - processi virtuali, non siamo in grado di fare una scelta di politica anticrimine che garantisca l'incolumità, il patrimonio e la libertà dei cittadini dalle cosche criminali. Non ne siamo assolutamente capaci!

Siamo però capaci di criminalizzare intere regioni del sud, così come abbiamo cominciato a criminalizzare intere regioni del nord. Queste sono scelte politiche, non di politica anticrimine, perché la sicurezza non è garantita a nessuno, né al nord né al sud. Mentre spendiamo per processi inutili per fatti inesistenti o per criminalizzazioni individuali, non garantiamo né la libertà del cittadino dallo Stato, né la libertà del cittadino dalla criminalità.

Vorrei fare anche un'altra notazione, visto che si parla tanto di indipendenza della magistratura. Fate caso che, in questi tre anni in cui sono stati celebrati questi processi virtuali e non, sono stati colpiti soltanto soggetti dell'opposizione. Non è che sarei contenta che fossero colpiti anche rappresentanti della maggioranza (non ve ne sarebbe motivo), ma è giusto che si rilevi la situazione: sono soltanto i soggetti dell'opposizione, per un motivo o per un altro, per fatti veri o per fatti inventati, per reati di opinione o politici. Questo non mi pare un dato irrilevante in un sistema maggioritario.

Quel che è peggio è che il Presidente della Repubblica delegittima il Parlamento: questo ieri è avvenuto! Non è la prima volta! Addirittura si era messo a leggere la Costituzione al contrario ed aveva ritenuto che il sistema delle garanzie fosse contenuto nella prima pare della Costituzione stessa. Poi gli hanno spiegato che doveva rovesciare il libro che leggeva e allora ha detto che era nella seconda parte, ma ieri ha affermato che tale sistema non si può toccare e che condivide in pieno il discorso encomiabile della signora Paciotti.

Credo si tratti di veri e propri conflitti di potere: la magistratura contro il potere legislativo, il Presidente della Repubblica contro il potere legislativo, in un'alleanza veramente singolare con la magistratura. Se è vero che il Presidente della Repubblica è il Presidente del Consiglio superiore, quest'ultimo è un organo amministrativo e certamente per tale motivo il Presidente della Repubblica non può opporsi alle Camere, né ad alcuna riforma. Questo, in un paese civile, sarebbe stato causa di impeachment: da noi è oggetto di una breve notizia sul giornale.

Cosa manca e cosa è mancato in questo progetto costituzionale? È mancata la condivisione dei principi. Nessuno ha attentato alla libertà e all'indipendenza della magistratura, ammesso che l'autonomia e l'indipendenza ci sia mai stata (personalmente ho grossi dubbi), o che vi sia tuttora.

Avremmo avuto un grande compito, ma la signora Paciotti ci ha trattato un po' da sciocchi o da ignoranti, visto che ha detto che ben altra levatura avevano i padri costituenti. Questo è possibile, probabilmente noi siamo di grado assolutamente inferiore, ma ogni epoca ha i figli che merita, sia tra i politici, sia tra i magistrati. Vorrei tuttavia ricordare alla signora Paciotti - che presumo abbia letto gli atti relativi ai lavori dell'Assemblea costituente - che se ben altra levatura sicuramente c'era, c'era anche altra autorevolezza. E c'era anche la consapevolezza di mettere in discussione tutti i problemi che si potevano creare con una magistratura talmente autonoma ed indipendente da diventare un corpo separato dello Stato.

Ricordiamo a noi stessi, più che alla signora Paciotti ed al Presidente della Repubblica, quanto diceva Calamandrei: «Con una magistratura così chiusa ed appartata, si potrebbero verificare conflitti con il potere legislativo e con quello esecutivo in quanto la magistratura potrebbe per esempio rifiutarsi all'applicazione della legge o attribuirsi poteri di stabilire criteri generali di interpretazione delle leggi». Questo è avvenuto: è vero, non vi è stato neanche allora il coraggio di portare alle conseguenze necessarie il progetto Calamandrei e le sue osservazioni, peraltro condivise da tutti e dallo stesso Togliatti, vorrei ricordarlo al presidente D'Alema. Togliatti ha affermato, in merito al potere autonomo della magistratura: «una concessione che ritiene democraticamente non accettabile». Questo non significa ledere l'indipendenza e l'autonomia, che è una garanzia per la  democrazia; ma una cosa è l'indipendenza e l'autonomia, altra cosa è la separatezza dai poteri dello Stato, perché a quel punto chi è un corpo separato dello Stato diventa un potere eversivo nei suoi confronti, tanto più se costituzionalmente garantito, tanto più se privo di alcun tipo di responsabilità.

Non vi è dubbio che oggi siamo di fronte a questo grave conflitto, una questione che Calamandrei e Togliatti per ragioni diverse avevano evidenziato e raccomandato all'attenzione dei costituenti. Non vi è dubbio che oggi questo grave conflitto tra potere giudiziario e potere legislativo deve trovare una risposta.

Non si tratta di essere i garantisti della domenica, come diceva l'onorevole Folena, forse parlando di sé. Io non mi sento affatto una garantista della domenica e neanche del sabato: mi ritengo persona che ha a cuore i diritti di tutti i cittadini, come noi avremmo dovuto averli in questa sede.

Allora, siccome dobbiamo entrare in Europa, entriamoci davvero con una grande civiltà giuridica, quella del nostro passato, che non riconosciamo più, perché tra i rancori del passato e quelli che ci portiamo dietro abbiamo distrutto la nostra civiltà giuridica. Cerchiamo di ricostruirla in termini di democrazia che ogni paese da anni, talvolta in qualche caso da decenni o da secoli, ha già conquistato.

La separazione dei poteri vuole che siano sullo stesso piano l'accusa e la difesa; vuole che vi sia un giudice terzo, passivo rispetto alle istanze delle accuse e della difesa: non mi pare una grande cosa, sembra quasi anche banale doverlo ripetere ogni volta.

Ma pensiamo soprattutto ad una cosa. Noi abbiamo il feticcio dell'obbligatorietà dell'azione penale. So che quasi tutti sono in disaccordo con me, ma già si sente sollevare questo dubbio all'interno della magistratura. Non esiste e non è mai esistita da nessuna parte l'obbligatorietà dell'azione penale. Noi dobbiamo arrivare alla trasparenza dell'azione penale, in modo che sappiamo chi conduce le scelte di politica criminale, chi è il soggetto responsabile di stabilire per il paese quali siano le priorità per garantire i cittadini. Dobbiamo stabilire che queste scelte vengono approvate da chi ha una responsabilità, cioè dal Parlamento, e soprattutto che tutti i magistrati si uniformino a questo.

Non possiamo fare processi virtuali da un lato e avere, dall'altro, l'80 per cento dei reati che non vengono perseguiti, perché da ciò dipende la sicurezza della collettività. Non possiamo spendere miliardi in intercettazioni telefoniche per spiare e controllare le opinioni altrui o i fatti personali e poi non garantire al cittadino che si allontana da casa una settimana di non trovarla al suo ritorno completamente svuotata o devastata. Noi dobbiamo cercare di contemperare queste due esigenze, ma poiché esiste una limitatezza di mezzi, dobbiamo fare in modo che questi ultimi siano adoperati nel modo migliore e soprattutto nel modo più responsabile.

Questa separatezza e questa chiusura della magistratura non garantiscono assolutamente nulla, né la libertà del cittadino, né le garanzie, né il vivere civile. Qui veniamo al punto relativo al Consiglio superiore della magistratura.

Abbiamo veramente creato una non indipendenza interna dei magistrati, siano essi pubblici ministeri o giudici. L'indipendenza non è solo quella esterna, ma è soprattutto quella interna, nel senso che il soggetto, nell'ambito delle proprie funzioni, deve poter godere di una indipendenza e di una responsabilità.

Mi chiedo, per concludere, se siamo maturi per fare queste riforme oppure se su questo Parlamento aleggi una specie di maledizione di tutti i problemi, di tutti i nodi della prima Repubblica che non si sono mai sciolti. La tensione di essere legittimati ciascuno a modo proprio è l'effetto di questa maledizione. Possiamo chiamarla in tutti i modi, Cosa uno, Cosa due, Cosa tre o in altri modi diversi, ma quella maledizione, di cui in qualche modo è stata partecipe o agente o conduttrice la magistratura, pesa come un macigno.

Per condividere i principi bisogna essere liberi, bisogna condividere i valori di una democrazia. Ma questa maledizione che pesa, queste risposte mai date sulla nostra storia credo ci impediscano di condividere valori e principi. Allora, forse è meglio fermarsi e aspettare. Aspettare che ci siamo dati delle risposte, perché la Costituzione è ciò in cui si devono riconoscere tutti i cittadini, e non solo quelli della maggioranza o quelli dell'opposizione. Per fare questo occorre che tutti i cittadini, ma soprattutto chi li rappresenta, si siano liberati da queste maledizioni politiche, che ancora imperano, e che possano finalmente essere liberi di condividere i principi democratici (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).

(omissis)

RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente della Camera, signor presidente della Commissione bicamerale, onorevoli colleghi, prendo la parola per formulare qualche osservazione sulla parte riguardante la giustizia e le garanzie del testo proposto dalla Commissione bicamerale, in considerazione dell'attività svolta nella vita civile.

(omissis)

Desidero ora fare alcune considerazioni di carattere generale in tema di giustizia, che poco hanno a che vedere con i rilievi di ordine costituzionale. Lo stato della giustizia è comatoso, è drammatico: la gente lamenta che, per vedere risolta una controversia di carattere civile, si debbano attendere decenni; lamenta che la persona sottoposta ad indagine debba attendere anni per vedere risolta, in un senso o nell'altro, la sua posizione, dopo aver subito danni irreversibili. Ciò è dovuto alla mancanza di strutture reali e personali, ma le associazioni dei magistrati si sono dimostrate insensibili a queste esigenze che, da quando sono entrato in magistratura, ho sempre continuato a prospettare: i giudici sono numericamente impari e non possono far fronte ai loro compiti. Bisogna aumentare gli organici perché non si possono fare le nozze con i fichi secchi ed il bilancio dello Stato deve stanziare maggiore risorse.

Ci si è sempre dimostrati sordi ed ora, quando l'ammalato è moribondo, si somministra una cura forte che, anziché guarirlo, forse lo porterà a morte definitiva. In quest'ultimo decennio sono stati aumentati gli organici a scapito della qualità della magistratura; prima si affermava di non voler dequalificare la categoria, ma ora il paese è stato squalificato: siamo stati più volte condannati dalle Corti europee per la durata irragionevoli dei processi. Questa è la verità, ma nessuno vi pone mano. Mi rendo conto che questi problemi non hanno nulla a che vedere con l'assetto costituzionale; tuttavia non è stato possibile lanciare un segnale d'allarme nell'ambito di un dibattito sulla giustizia, perché esso non c'è stato, ed io colgo l'occasione per denunciare tutto questo.

Vi sono tuttavia alcuni riflessi di rilievo costituzionale: vi è il rapporto fra i giudici ed i PM e l'esigenza della terzietà del giudice. Il progetto che ci ha consegnato la Commissione bicamerale prevede la divisione del Consiglio superiore della magistratura in due sezioni, una per i giudici ed un'altra per i PM. Apriti cielo! Dico subito che sono a favore della separazione delle carriere e non sono tra coloro i quali affermano che questa distinzione, non accompagnata dalla separazione delle carriere, sia una cosa inutile e quindi da espungere dalla riforma. Oltre a questa previsione, nella proposta...

PRESIDENTE. Onorevole Marotta, ha quasi esaurito il tempo a sua disposizione.

RAFFAELE MAROTTA. Solo un minuto, Presidente. Dimostri la stessa benevolenza che ha avuto nei confronti di qualche altro collega.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Anche perché è l'ultimo!

RAFFAELE MAROTTA. Sono l'ultimo e quindi non offendo nessuno.

PRESIDENTE. In realtà non è l'ultimo ed io non ho usato benevolenza: ho semplicemente segnalato a tutti i colleghi che il tempo stava terminando. Poi ciascuno amministra il tempo residuo come crede.

RAFFAELE MAROTTA. L'articolo 124 prevede che dopo tre anni, durante i quali debbono svolgere funzioni giudicanti, i magistrati vengano assegnati chi alla funzione giudicante e chi a quella requirente, previa valutazione di idoneità. Una volta ottenuta l'assegnazione a questa o a quella funzione, il passaggio da una categoria all'altra è subordinato all'esito favorevole di un concorso; inoltre è vietato in maniera assoluta il passaggio da un ramo all'altro nell'ambito dello stesso distretto.

Questa normativa - parliamoci chiaro - prefigura una separazione delle carriere de facto, tant'è vero che ci si duole proprio di questo. È - lo ripeto - una prefigurazione de facto della separazione delle  carriere, rafforzata dalla divisione del Consiglio superiore della magistratura in due sezioni, cosa non trascurabile. Ed allora, manca solo la sanzione de iure. Facciamola, non ci vedo niente di sconvolgente!

Tutti diciamo che è un valore avere il giudice terzo; deve esserlo anche nei confronti del pubblico ministero. Il giudice, che è super partes, deve essere chiamato «vostro onore» non solo dal difensore dell'imputato, ma anche dal pubblico ministero e non c'è niente di sconvolgente. Il processo accusatorio, che è di parte, comporta ineludibilmente questa conseguenza. Non c'è niente da fare, ma non c'è offesa per nessuno.

Si teme l'assoggettamento al potere esecutivo, ma non è così. Si stabilisce, mi pare nell'articolo 117, che il pubblico ministero sia indipendente da ogni altro potere. Ed allora che cosa si teme? Si tratta di preoccupazioni assolutamente infondate, anche perché alcuni sostengono che si creerebbe una categoria di incontrollati e di incontrollabili, mentre altri sostengono che si tratterebbe di assoggettati al potere esecutivo. Sono due timori contrastanti, che si elidono a vicenda. Non so se ho reso l'idea. La separazione delle carriere è il portato della natura accusatoria del nostro processo. Non vedo assolutamente niente di sconvolgente.

Oltre tutto, diciamo la verità, nella Costituzione vigente il principio secondo cui si è soggetti soltanto alla legge viene affermato con riferimento ai giudici, ma non al pubblico ministero. Si dice solo che la magistratura costituisce un ordine...

PRESIDENTE. Onorevole Marotta, non voglio porle un limite, ma un termine deve esserci prima o dopo. Veda un po' lei...

RAFFAELE MAROTTA. In base all'articolo 107, poi, il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite dalle norme sull'ordinamento giudiziario.

A mio avviso, è fuori da ogni seria considerazione la preoccupazione che chissà cosa succederebbe separando le carriere. Concordo con il collega Grimaldi in ordine alla norma di cui all'articolo 129. A questo riguardo, onorevole Boato, è necessario stare attenti: come si può togliere l'interpretazione estensiva? Vogliamo veramente che il giudice sia un robot?

L'interpretazione estensiva ha consentito, ad esempio, di ritenere che sia furto quello dell'energia elettrica, perché la cosa mobile non si poteva tanto facilmente identificare con l'energia.

Non è da condividere neanche il principio secondo cui chi commette un fatto considerato come reato non è punibile ove non abbia determinato una concreta offensività. Che significa offensività? Idoneità a ledere. Si parla di atti idonei in modo non equivoco.

Penso che lo sdoppiamento dell'antigiuridicità formale da quella sostanziale non debba essere consentito. Concordo però con la Commissione nel ritenere che debbono avere sanzione penale solo gli interessi di rilievo costituzionale.

In conclusione, mi permetto, in virtù dei miei capelli bianchi, di invitare i colleghi a profondere tutti i loro sforzi per approntare un testo degno della nostra Assemblea.

Lasciamo stare le considerazioni che ha fatto, forse molto inopportunamente, il Presidente della Repubblica. Il potere legislativo appartiene a noi; nessuno ce lo ha tolto né ce lo potrà togliere, egregi signori. Esercitiamolo appieno senza timore né preoccupazione, in spirito di collaborazione e con l'orgoglio di essere dei costituenti, ma anche con umiltà, per affrontare e risolvere problemi di grande rilievo.

Lo dobbiamo alla nazione, che troppo tempo ha atteso. Dobbiamo ricreare quel clima di tensione morale e di entusiasmo; dobbiamo eliminare quello hiatus che vi è tra le istituzioni e i cittadini.

Mi permetto di concludere, ringraziando il signor Presidente della bontà e della benevolenza che ha manifestato pure nei miei confronti (Applausi).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Buontempo, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.

Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori - A.C. 3931)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Cossutta.

ARMANDO COSSUTTA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, colleghi, alla conclusione di questa nostra discussione sulle linee generali mi sento di confermare il giudizio che ho espresso nella relazione di minoranza e cioè un giudizio non soltanto critico, ma fortemente negativo rispetto al progetto che ci è stato presentato.

(omissis)

Una terza questione, già affrontata, ma sulla quale ritorno, riguarda il tema della giustizia. In proposito il contrasto, le differenze sono profondi. Ho ascoltato e letto con grande attenzione il discorso svolto ieri dalla presidente dell'Associazione magistrati ed ho anche letto, attraverso le agenzie, il testo dell'intervento del Capo dello Stato. Credo che l'intervento di Scàlfaro rappresenti un contributo di cui  il Parlamento dovrà tenere conto. Infatti, oltre a sottolineare con forza come le garanzie individuali, e quindi i principi che segnano l'eguaglianza dei cittadini, siano direttamente legate alle garanzie di indipendenza della magistratura, Scàlfaro ribadisce un elemento fondamentale che mi trova d'accordo: la Carta costituzionale è chiara, comprensibile ed essenziale, guai a fare del nostro testo costituzionale qualcosa che comporti un'ipertrofia costituzionale; infatti, pur articolando tutti gli elementi di civiltà giuridica che meritano di essere costituzionalizzati, un'eccessiva precisazione di punti e dettagli può invece entrare in contraddizione con questa esigenza di essenzialità ed irrigidire una Carta che, a differenza delle leggi ordinarie, non può essere modificata continuamente. Sono ammonimenti dei quali tenere conto, così come ho già detto della richiesta che unanimemente viene avanzata di rifiuto alla separazione delle carriere ed alla divisione del Consiglio superiore della magistratura.

(omissis)

PRESIDENTE. La ringrazio, senatrice Dentamaro.

Ha facoltà di replicare il relatore sul sistema delle garanzie, onorevole Boato.

Debbo dirle, onorevole Boato, che i colleghi senatori, grazie alla loro carica ed al fatto che per la prima volta hanno prestato la propria opera in questa sede, hanno goduto - come dire - di franchigie abbondanti sul tempo, cosa che a lei non capiterà.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. Forse potrò godere di una tolleranza di qualche secondo.

PRESIDENTE. La tolleranza è una virtù, come è noto, prima che degeneri in vizio.

MARCO BOATO, Relatore sul sistema delle garanzie. In previsione, questa notte ho preparato un testo scritto.

Signor Presidente della Camera, presidente D'Alema, colleghi e senatori della bicamerale, colleghi deputati, questo amplissimo dibattito parlamentare sul progetto di revisione dell'intera seconda parte della Costituzione si è svolto nell'arco di cinque giorni, nel corso dei quali ha preso la parola un numero elevatissimo di parlamentari, ben 134, oltre ai relatori.

Si è trattato, non a caso, di un unicum nell'intera storia parlamentare, ben al di là di quanto avvenne nella stessa Assemblea costituente, quando, nel dibattito generale sul progetto elaborato dalla Commissione dei 75, intervennero soltanto i principali leader delle forze politiche rappresentate nell'Assemblea. È per questo motivo che non solo mi è impossibile, come avrei desiderato, citare tutti coloro che hanno affrontato nel proprio intervento la tematica delle garanzie, in generale, e della giustizia, in particolare, ma ancor meno mi è possibile in venti minuti replicare puntualmente a tutti, come sarebbe stato auspicabile e doveroso in un dibattito di minore portata e ampiezza.

Vorrei, in ogni caso, ringraziare tutti i colleghi che hanno espresso un consenso di fondo sulle caratteristiche generali della parte del progetto costituzionale riguardante il sistema delle garanzie: dal presidente della Commissione giustizia della Camera ai presidenti dei gruppi parlamentari dell'Ulivo e di rinnovamento italiano, insieme ad altri colleghi, fino a numerosi esponenti di tutti i gruppi del Polo delle libertà, ben sapendo che su singoli punti e su singole questioni sono state sollevate anche esplicite riserve critiche, di cui ho preso accuratamente nota per il prosieguo dei nostri lavori.

Al riguardo vorrei ricordare e ringraziare in modo del tutto particolare l'onorevole Iotti, unica costituente presente in quest'aula e alla Camera, tuttora partecipe e attiva protagonista del nuovo processo costituente.

Ringrazio parimenti anche tutti gli altri colleghi, che sono intervenuti manifestando posizioni di ben più ampia e talora radicale critica al testo sulle garanzie varato dalla Commissione bicamerale. Quando non si è trattato, in rarissimi casi, di contrapposizioni pregiudiziali e frontali, basate talora sulla cultura del sospetto o sul disconoscimento persino del testo letterale delle norme approvate in sede referente, in tutti gli altri casi - e sono la grande maggioranza - si è comunque trattato di un utile e prezioso contributo ad un confronto più approfondito e alla ricerca doverosa di miglioramenti e perfezionamenti delle disposizioni costituzionali sottoposte al vaglio parlamentare ora da parte della Camera e, nella fase successiva, da parte del Senato.

Passando adesso ad una rapida ricognizione dei principali temi emersi nel dibattito, vorrei in primo luogo accennare alla problematica relativa alle autorità di garanzia e di vigilanza.

Non siamo in questo caso in presenza tanto di organi dotati di autonome e riservate competenze tecnico-amministrative,  ma pur sempre subordinate al controllo ed all'indirizzo espresso dagli organi politici, quanto di enti che paiono svincolati da qualsiasi riferimento al circuito di espressione dell'indirizzo politico. La specificità delle autorità di garanzia e di vigilanza consiste proprio nell'attenuazione del carattere discrezionale dell'attività da esse posta in essere. Tali autorità non svolgono una funzione attiva finalizzata al perseguimento di particolari interessi pubblici, ma rappresentano piuttosto istanze di garanzia e di controllo del rispetto delle regole poste all'attività dei privati in un certo settore.

Di qui la configurazione delle autorità come arbitri e non come giocatori nel settore affidato alla loro regolazione; di qui anche il limite che deve essere individuato per assicurare legittimità alla loro posizione di indipendenza e di affrancamento dall'indirizzo politico. Tale limite va appunto individuato nell'impossibilità, per le autorità, di porre in essere attività fortemente contrassegnate in senso discrezionale, le quali altrimenti finirebbero per configurarsi come attività di indirizzo politico, affrancate dalla necessaria legittimazione democratica.

La spinta ad inserire in Costituzione una norma riguardante la Banca d'Italia è stata originata dalla grandissima importanza assunta da questo istituto nell'assicurare un bene collettivo di primario rilievo come quello costituito dal governo della moneta. La banca centrale è emersa da questo punto di vista come un organo di assoluto rilievo nella Costituzione materiale del nostro paese. La revisione della Carta fondamentale cui stiamo ponendo mano difficilmente poteva ignorare questa realtà; d'altra parte la Banca d'Italia è naturalmente investita dall'intenso processo di ridefinizione degli assetti istituzionali europei in campo monetario e, di conseguenza, il contenuto della disciplina costituzionale della Banca deve essere definito in modo da evitare l'introduzione di disposizioni che siano di ostacolo a questo processo di integrazione europea. Di qui la scelta di una norma costituzionale di carattere estremamente secco, con la quale si statuisce che la Banca d'Italia svolge le sue funzioni in condizioni di autonomia e di indipendenza, garantendone quindi sia l'autonomia statutaria sia la posizione di affrancamento dagli organi di indirizzo politico.

Venendo ora alle problematiche relative alla giustizia, vorrei sottolineare che le norme contenute nel nuovo titolo VII della seconda parte della Costituzione delineano un sistema intimamente connesso, di vasta portata informatrice, centrato - lo ricordo ancora una volta - sull'unità funzionale della giurisdizione, sui principi di autonomia, indipendenza e responsabilità per tutta la magistratura, sul rafforzamento delle garanzie per tutti i cittadini. Il grado di novità di tali norme rende vivissimo l'auspicio che l'eco e l'interesse suscitati da tali profonde ed incisive riforme costituzionali non siano superati e posti in secondo piano dal clamore provocato da taluni aspetti ordinamentali, certo non secondari, ma forse neppure preminenti, sui quali invece si è maggiormente appuntata l'attenzione dell'opinione pubblica, anche in queste ultime ore.

Dall'intero dibattito generale è emerso chiaramente che l'impianto fondamentale della riforma è largamente condiviso da un'ampia maggioranza parlamentare, al di là di qualunque schieramento precostituito, che del resto non dovrebbe mai essere evocato in materia di riforme costituzionali. Oltre ad alcuni pur rilevanti problemi di necessario perfezionamento tecnico-giuridico è d'altra parte risultato evidente, come avevo già esplicitamente ricordato nella mia relazione di lunedì 26 gennaio, che resta aperto il confronto sull'assetto del Consiglio superiore della magistratura ordinaria, anche in correlazione con la problematica della separazione delle funzioni, ovvero delle carriere, a seconda delle posizioni espresse, della magistratura giudicante e di quella inquirente. Su tutto questo tornerò fra poco. Tuttavia, di fronte a ricorrenti e pretestuose accuse rivolte al Parlamento di voler attentare all'autonomia ed indipendenza della magistratura, accuse che non  trovano riscontro alcuno nelle disposizioni approvate dalla bicamerale, vorrei riaffermare con pacatezza, e nel contempo con forza, anche l'autonomia, l'indipendenza e la libertà del Parlamento stesso (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del deputato D'Alema), che è diretta espressione della sovranità popolare e che solo da questa riceve la propria legittimazione costituzionale.

Chiunque ha diritto di esprimere le proprie critiche e le proprie proposte nei confronti del Parlamento, sia che si tratti di singoli cittadini, sia che si tratti di associazioni di categoria, sia che si tratti anche dei massimi vertici istituzionali, ma il Parlamento è e deve essere libero ed autonomo - dopo aver ascoltato tutti e doverosamente valutato tutto - di prendere le proprie determinazioni, tanto più in materia di riforme costituzionali.

Lo scopo fondamentale che ha guidato il lavoro della bicamerale nell'arco di quasi dieci mesi è stato quello di individuare proposte esclusivamente finalizzate a rendere più vicino ai cittadini il sistema della giustizia, che spesso viene visto, financo dagli addetti ai lavori, come un mondo avvolto in un rituale e paludato esoterismo, anziché come una fondamentale espressione di una irrinunciabile funzione dello Stato.

Quella di rendere giustizia è infatti - come del resto ogni altra attività dei pubblici poteri - anzitutto un'attività al servizio dei cittadini. Affermando chiaramente fondamentali principi costituzionali in materia di giustizia, il nostro scopo deve essere quindi quello di favorire la crescita di un sistema al quale i cittadini possono rivolgersi con fiducia, nella convinzione di ottenere giuste decisioni sulla base della certezza del diritto, in tempi ragionevoli e con modalità tali da non porre sostanzialmente nel nulla le ragioni per le quali si rivolgono alla giustizia.

Troppo spesso il dibattito sui temi della giustizia sembra snodarsi attorno a problematiche che coinvolgono meno i cittadini che i rapporti tra i componenti del relativo sistema, il quale rischia allora di avvilupparsi sempre di più su se stesso, in una crescente affabulazione la cui fecondità è quanto meno dubbia.

È auspicabile invece che proprio la funzionalità del sistema giustizia, in relazione ai diritti ed agli interessi dei cittadini, sia la stella polare sulla quale orientare il disegno di riforma costituzionale in questa delicatissima fase della vita della Repubblica. Sembrano maturi i tempi per chiarire e riaffermare sul piano costituzionale che le istituzioni - ciascuna nel proprio ambito e tutte insieme tra loro - non hanno altra ragion d'essere se non quella di assicurare una pacifica, ordinata e civile regolazione della vita pubblica, nell'ambito di un autentico Stato costituzionale di diritto.

È questa anche la finalità della più volte richiamata unità funzionale della giurisdizione, sulla base della quale si arriverà, da una parte, ad una piena valorizzazione delle funzioni consultive del Consiglio di Stato e delle funzioni di controllo della Corte dei conti mentre, dall'altra, la nuova Corte di giustizia amministrativa assumerà esclusivamente funzioni giurisdizionali, insieme ai tribunali regionali di giustizia amministrativa. La funzione giurisdizionale relativa alla responsabilità patrimoniale dei pubblici funzionari nelle materie di contabilità pubblica non sarà affatto soppressa, come da taluno incautamente paventato anche in recenti occasioni istituzionali, ma confluirà, insieme all'attuale giurisdizione amministrativa, nel nuovo, più ampio sistema di giustizia amministrativa, i cui magistrati godranno del medesimo status e delle medesime garanzie di autonomia, indipendenza, responsabilità ed autogoverno della magistratura ordinaria.

Per quanto riguarda quest'ultima, ed in particolare la distinzione delle funzioni del giudice e del pubblico ministero, i problemi che ancor oggi vengono dibattuti (non solo in Italia; è un dibattito a livello europeo, pensiamo alla vicina Francia) affondano le loro radici nella storia. Si tratta di tematiche intimamente connesse alla nascita stessa della democrazia e, comunque, investono imprescindibili  aspetti di bilanciamento dei poteri, la cui struttura contribuisce a determinare anche la forma di governo di un ordinamento.

La risposta a tali problemi, per ciascun paese, nasce anche dalla sua storia, dalle sue tradizioni, dalla particolare struttura della società civile e di quella politica, dal delicato meccanismo di pesi e contrappesi istituzionali, di cui esso è o non è dotato.

Non a caso, nella mia relazione scritta - alla quale debbo ancor oggi integralmente rinviare, proprio per la sua doverosa complessità ed articolazione analitica - ho svolto un rapido excursus storico-comparativo in riferimento alla diversa configurazione istituzionale del pubblico ministero nei diversi ordinamenti.

Anche nell'Assemblea costituente si scontrarono due opposte tendenze, rispettivamente riconducibili ai progetti Calamandrei e Leone. Il primo (Calamandrei) era favorevole all'indipendenza del pubblico ministero, mentre il secondo (Leone) era favorevole a configurarlo come organo del potere esecutivo. Prevalse, per certi aspetti, una tesi intermedia, la cui approvazione ha dato origine al quarto comma dell'articolo 107 della Costituzione vigente, secondo cui: «Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario» - che, come voi tutti sapete, non sono norme costituzionali ma ordinarie -, mentre il secondo comma dell'articolo 101 della Costituzione vigente prevede: «I giudici sono soggetti soltanto alla legge».

Personalmente ritengo che anche su questo punto avesse ragione Piero Calamandrei e comunque il progetto varato dalla bicamerale introduce un terzo comma nel nuovo articolo 117, secondo cui: «I magistrati del pubblico ministero sono indipendenti da ogni potere».

Come è dunque possibile che - al di fuori del Parlamento, ma qualche isolata eco c'è stata anche in quest'aula - si continui a paventare il pericolo di una sottoposizione del pubblico ministero al potere politico, in particolare al potere esecutivo? Ignoranza del testo della bicamerale, stampato e diffuso già dal 4 novembre scorso? Cultura del sospetto? Volontà di esacerbare pretestuosamente le tensioni, anche quando non ce ne è alcun motivo? Sinceramente, talora resto allibito, incapace di darmi una risposta plausibile.

Fortunatamente, un consenso vastissimo hanno trovato le nuove norme contenute negli articoli 129 e 130, tra le quali ricordo il principio del diritto penale minimo, quello di concreta offensività, la riserva di codice, la costituzionalizzazione dei principi del giusto processo (e non è solo il processo penale: sono tutti i processi), e quindi il contraddittorio, la parità delle parti, la terzietà del giudice. Una volta confermate e rafforzate le garanzie di autonomia e di indipendenza per tutti i magistrati - ordinari ed amministrativi, giudici e pubblici ministeri -, deriva da qui la separazione delle funzioni tra magistratura giudicante ed inquirente, la cui formulazione tecnico-giuridica, del resto, può essere migliorata senza difficoltà.

Resta aperto - lo so bene, lo sappiamo tutti - il problema dell'articolazione del Consiglio superiore della magistratura ordinaria in sezioni - disposizione approvata senza il mio voto in una contrastata seduta della bicamerale - e la prospettata ipotesi di separazione delle carriere, respinta, anche con il mio voto contrario, dalla stessa bicamerale.

Non credo di sbagliarmi se rilevo che in questi giorni di dibattito generale, pur avendo ciascuna forza politica riaffermato legittimamente i propri diversi punti di vista, le differenti posizioni non si sono tuttavia irrigidite in sterili contrapposizioni.

Su questa materia - apparsa la più incandescente anche nei confronti dell'opinione pubblica e di una parte rilevante della stessa magistratura - a me è sembrato notare un inizio di «disgelo», una maggiore disponibilità da parte di molti - non ancora di tutti - a cercare soluzioni meno contrastate, possibili punti di equilibrio e di convergenza più avanzati e meno divaricanti. Fortunatamente, per individuarli in modo adeguato e sulla base di un confronto costruttivo e sereno,  abbiamo di fronte a noi ancora un congruo lasso di tempo, in relazione al calendario dei nostri lavori (la materia delle garanzie verrà alla fine).

A questo proposito ho già più volte prospettato l'ipotesi di superare l'articolazione in sezioni del CSM ordinario, prevedendo tuttavia che i componenti «togati» vengano eletti in proporzione alla consistenza dei giudici e dei pubblici ministeri nell'ambito della magistratura. Ed ho inoltre prospettato l'ulteriore ipotesi del rinvio alla legge ordinaria per l'eventuale futura separazione dei ruoli giudicanti rispetto a quelli inquirenti, ferme restando le garanzie di autonomia e di indipendenza sia per i giudici che per i magistrati del pubblico ministero. Soltanto a seguito di questa eventuale scelta, fatta in futuro dalla legge ordinaria, si potrebbe conseguentemente prevedere l'articolazione in sezioni del CSM.

Non so se questa complessiva ipotesi potrà diventare il possibile terreno di incontro, ma l'ho voluta ufficializzare in quest'aula in modo che su di essa ci si possa confrontare liberamente, rispettoso delle diverse esigenze prospettate anche nel dibattito generale che stiamo concludendo.

Sono comunque fiducioso che una possibile ampia convergenza possa essere trovata e vada dunque pazientemente ricercata, con grande senso di responsabilità e autentico «spirito costituente» da parte di tutti; vanno evitate contrapposizioni e dilacerazioni foriere di rischi per tutti.

Signor Presidente e colleghi, so bene di non aver affrontato puntualmente tutte le questioni emerse nel dibattito, anche se per alcune altre ho già lavorato per prospettare ipotesi di miglioramento del testo da sottoporre al Comitato della Commissione bicamerale, prima, e al possibile esame da parte dell'aula della Camera, poi.

(omissis)

Sul sistema delle garanzie, sono convinto che la Commissione bicamerale abbia fatto un lavoro, prima istruttorio poi referente, assai positivo e di grande portata riformatrice. Il cammino da percorrere è ancora lungo, ma, dopo aver ascoltato il dibattito di questi cinque giorni, sono ancor più convinto che il Parlamento questa volta sarà in grado di portare a conclusione il processo riformatore, su cui il popolo sovrano si pronuncerà con l'unico referendum, che chiuderà questa lunga e travagliata fase di transizione (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il presidente della Commissione, onorevole D'Alema.

MASSIMO D'ALEMA, Presidente della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali. Vorrei innanzitutto ringraziare i numerosi parlamentari che hanno preso la parola in una discussione che è stata assai ampia, impegnativa, seria, ricca (e non soltanto), com'era giusto che fosse, di osservazioni critiche, le quali tuttavia nella stragrande maggioranza degli interventi non hanno messo in discussione la necessità di fare le riforme e l'impegno perché esse divengano nuova legge fondamentale dello Stato.

Il dibattito è stato ricco anche di proposte concrete, di indicazioni assai utili nella individuazione di aspetti irrisolti, di miglioramenti seri ed anche rilevanti che possono essere introdotti nel testo per rendere più convincente e forte la proposta di riforma della nostra Costituzione.

(omissis)

Non affronto i temi delle garanzie. Avremo modo di parlarne e vorrei fare una considerazione politica, concludendo.

GIULIANO URBANI. Anche questo è a rischio di connivenza!

MASSIMO D'ALEMA, Presidente della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali. No, avrò modo di farlo anche questo pomeriggio, in una sede non istituzionale.

PRESIDENTE. Se i colleghi consentono, può proseguire.

MASSIMO D'ALEMA, Presidente della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali. Voglio soltanto dire una cosa da questo punto di vista.

Vi sono alcuni singoli punti che nel testo, come è noto, non ho condiviso e che spero si possano correggere perché - mi riferisco alla parte delle garanzie - ritengo siano sbagliati, controproducenti. In particolare mi riferisco all'articolo che affronta il tema del Consiglio superiore della magistratura, della sua composizione, delle sezioni separate.

Credo però che non si debba dire che la proposta della bicamerale contiene una spallata all'autonomia della magistratura, perché non c'è: non c'è. Se poi vogliamo dire che quel testo è stato frutto di una elaborazione faticosa, che esso reca il segno, qua e là, persino in certe espressioni - non ne faccio colpa a Boato - di un malessere verso la magistratura, di una diffidenza, di una preoccupazione garantista che è cresciuta in questi anni difficili e in forme non sempre giuste - sono garantista ma il garantismo deve essere considerato più ampiamente, come garanzia dei cittadini, come rispetto delle leggi, della legalità e non solo dei diritti degli imputati - questo sì. Nella nostra proposta però non c'è un attacco all'autonomia dei magistrati. Se non diciamo questa verità e subiamo una campagna falsa, a mio giudizio, da questo punto di vista, facciamo un torto al Parlamento, a noi stessi e impostiamo, in modo sbagliato, il necessario confronto con la magistratura. Ho letto la relazione della presidente dell'Associazione nazionale dei magistrati che credo non contenga solo critiche, ma anche proposte delle quali il Parlamento dovrà tener conto, come teniamo conto delle osservazioni provenienti dai comuni, dalle regioni, dai professori, da tutti. Il Parlamento deve dialogare con il paese e tener conto di quello che il paese propone, soprattutto nelle sue espressioni più qualificate.

A mio giudizio, questo dibattito dovrebbe aiutare a sgombrare il campo da posizioni propagandistiche, da timori, da timori politici.

All'onorevole La Malfa vorrei dire che ognuno è padrone di ritenere che le riforme si debbano o non si debbano fare, ma certamente non è vero che il processo riformatore mina la stabilità politica. Una cosa è sicura da questo punto di vista: l'aver avviato un processo riformatore è stato un elemento di rafforzamento nella stabilità politica ed istituzionale del paese. Questo mi è ben chiaro e me ne sono assunto la responsabilità, a garanzia di una stabilità politica che credo di aver costruito come altri, ma non meno di altri, per il paese.

Penso che ce la faremo; ce la faremo in quanto ci libereremo da ragioni contingenti, da calcoli strumentali, da preoccupazioni legate allo sviluppo dei nostri movimenti politici, dal timore che se accettassimo una certa riforma, qualcuno potrebbe costituire un movimento; però, ragionando così, saremo sconfitti.

Qui non c'è nessun asse! Si è polemizzato perché in una certa fase c'era l'asse D'Alema-Berlusconi, l'inciucio; adesso si parla dell'asse D'Alema-Fini. È veramente deprimente introdurre, in un dibattito così importante per il futuro del nostro paese, argomentazioni desunte dalla polemica politica quotidiana più trita!

Credo che qui costruiremo un asse, diciamo così, tra quanti comprendono che stiamo gettando le basi di una nuova stagione democratica per il nostro paese.

Sono interessato a che le riforme, come ho detto più volte, siano sentite come proprie dalla grande maggioranza degli italiani e del Parlamento; sono disposto a collaborare con tutti quelli che guardano lontano e vogliono dare un'impronta al processo riformatore, indipendentemente dalle proprie opinioni politiche.

L'onorevole Berlusconi ha pronunciato un discorso in questa sede, ma ha ragione l'onorevole De Mita quando sostiene che quel discorso non guarda lontano, perché appare prigioniero di convenienze, di problemi, di divisioni...

ELIO VITO. Questo non è un giudizio da presidente della Commissione!

MASSIMO D'ALEMA, Presidente della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali. È un giudizio mio che lei potrà anche contestare.

ELIO VITO. Non è da vero presidente!

MASSIMO D'ALEMA, Presidente della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali. Penso, e lo dico con dispiacere, che anche nell'impostazione di rifondazione comunista ci sia un residuo ideologico, propagandistico, perché non è vero che in questa proposta c'è il presidenzialismo, altrimenti non avremmo ricevuto tante critiche da quella parte, così come non è vero che in questa proposta c'è una spallata all'autonomia dei giudici. Quindi, non essendo vere le due critiche principali, tutto il ragionamento appare indebolito da una impostazione propagandistica. So bene che rifondazione comunista rappresenta una ricchezza di cultura e di rappresentanza sociale e spero che questa forza sia nel processo costituente non con un'impostazione propagandistica, ma con la ricchezza delle sue proposte, più di quanto non sia avvenuto sin qui.

Ritengo che questo sia lo spirito con il quale il Parlamento può vincere la sua sfida. Non è soltanto una sfida del Parlamento e del ceto politico: sono convinto che il successo delle riforme sia il successo dell'Italia (Applausi).

PRESIDENTE. Ricordo al presidente, ai vicepresidenti della Commissione ed ai relatori il previsto immediato incontro nella biblioteca del Presidente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.



 

RESOCONTO STENOGRAFICO

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309.

 

Seduta di martedì 9 giugno 1998

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA

indi DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

 

 


(omissis)

Sull'ordine dei lavori (ore 15,10).

PRESIDENTE. Comunico che il presidente della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali mi ha comunicato che l'ufficio di presidenza della Commissione, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella sua odierna riunione ha preso atto del venir meno delle condizioni politiche per la prosecuzione della discussione in Assemblea del progetto di legge per la revisione della parte seconda della Costituzione; sono state quindi rimesse alla Conferenza dei presidenti di gruppo le conseguenti determinazioni in ordine all'iter del progetto di legge.

Sulla base di quelle condizioni politiche, era stato sospeso l'esame presso le Commissioni affari costituzionali dei due rami del Parlamento dei progetti di legge costituzionale in materia; il venir meno di quelle condizioni politiche fa sì che ora le Commissioni stesse potranno procedere all'eventuale esame, ai sensi dell'articolo 138  della Costituzione, dei progetti di legge costituzionale alle stesse assegnati, concernenti la parte seconda della Costituzione, secondo le decisioni che i rispettivi uffici di presidenza riterranno di adottare.

La Conferenza dei presidenti di gruppo, nella riunione odierna, ha di conseguenza unanimemente convenuto, sulla base delle conclusioni dell'ufficio di presidenza della Commissione bicamerale, di togliere dal programma e dal calendario dei lavori dell'Assemblea il seguito dell'esame del progetto di legge di revisione della parte seconda della Costituzione, salvo successive diverse determinazioni.

Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.

(Così rimane stabilito).

TEODORO BUONTEMPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Vorrei una chiarificazione sui progetti proposti dalla Commissione bicamerale. Se anziché il percorso «proposta della bicamerale-Assemblea», si segue la procedura di cui all'articolo 138, si dovrebbe riaprire la possibilità di presentare nuove proposte di legge. Questo è il mio quesito, se cioè questa interpretazione sia corretta oppure no.

PRESIDENTE. Sì, si riapre il procedimento ordinario e chiunque può presentare proposte di legge costituzionale, che saranno prese in esame secondo gli ordinari criteri dalle Commissioni affari costituzionali, e lo stesso vale per quelle già all'esame della Commissione bicamerale.

ALBERTO LEMBO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALBERTO LEMBO. Lei ha dato una comunicazione molto pacata, molto serena, come se fosse un ordine di servizio, di quello che in realtà è invece il certificato di morte della Commissione bicamerale (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Il fallimento di questo strumento tanto decantato da alcune componenti politiche - che ha assorbito gran parte del tempo di questa legislatura, che ha in molti casi bloccato l'attività legislativa, che ha inibito addirittura la prosecuzione dell'esame di alcuni provvedimenti effettivamente necessari alla società e all'economia, per gli spazi che si sono voluti riservare alla trattazione della presunta riforma legata alla bicamerale - viene presentato in quest'aula come un atto dovuto: una comunicazione del Presidente ci annuncia che è possibile ripartire con l'iter normale e quindi con l'attivazione delle procedure inerenti i provvedimenti che giacciono presso le varie Commissioni.

Dal punto di vista formale credo che la comunicazione possa essere anche corretta, ma, signor Presidente, lei che è tanto sensibile alla società che vive al di fuori di questi palazzi, lei che è tanto sensibile da aprire i palazzi in modo che i bambini, i giovani, gli anziani, tutti i cittadini - elettori e non elettori - possano entrare a vedere come funziona o come non funziona il Parlamento italiano, si renderà conto che in realtà alcune forze politiche hanno preso in giro il corpo elettorale italiano per due anni. Con la scusa di mettere in atto uno pseudoprocesso riformatore, di fatto è stata bloccata l'attività del Parlamento.

Certo non è possibile rimproverare che questo sia accaduto a causa dell'azione della lega nord per l'indipendenza della Padania, come è stato sostenuto da qualche gruppo, anche recentemente, in quest'aula. In realtà, la lega nord ha sempre voluto ed indicato la via per affrontare riforme effettive, incisive, che togliessero di mezzo tutto ciò che non è più adeguato e consono alla nostra realtà, dopo oltre cinquant'anni di vigenza della Carta costituzionale.

Non sono fuori tema, signor Presidente, perché fare riferimento semplicemente  alla procedura prevista dall'articolo 138 ed alla possibilità che in I Commissione siano presentate proposte di modifica della Costituzione significa - lo sappiamo benissimo - usare strumenti inadeguati per affrontare riforme che non ci saranno mai: il vincolo è nella stessa essenza della Costituzione, nel catenaccio dell'articolo 138 e di altre norme.

Quando qualcuno ha voluto spacciare la legge costituzionale istitutiva della Commissione bicamerale come strumento di riforma, sapeva benissimo di essere nel falso, perché soltanto alcune parti potevano essere toccate, non altre. Qualcuno ha finto di credere nella Commissione bicamerale, perché poteva essere interessato a qualche parte legata alla giustizia, alla legge elettorale o ad altri aspetti: così ha tenuto il sacco di chi in realtà non voleva giungere ad alcuna riforma.

Signor Presidente, mentre denuncio questo fatto davanti a tutta l'opinione pubblica ed a tutto il corpo elettorale - italiano e soprattutto padano -, chiedo che, da ora in poi, sia mantenuto il massimo spazio disponibile in aula per tutte le proposte che possano veramente contenere elementi innovativi, sulle quali certamente il nostro gruppo non si tirerà indietro. Parlo di proposte di riforma a tutto campo: esattamente il contrario di quello che era la bicamerale. Su questo non mancheremo di prendere l'iniziativa in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo ed in tutte le occasioni possibili: per riforme vere, non per finte riforme di cui oggi con gioia vediamo l'annuncio funebre.