Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense - A.C. 3900 - Schede di lettura e riferimenti normativi
Riferimenti:
AC N. 3900/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 425
Data: 25/01/2011
Descrittori:
AVVOCATI E PROCURATORI   LIBERI PROFESSIONISTI
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Nuova disciplina dell'ordinamento
della professione forense

A.C. 3900

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

 

n. 425

 

 

 

25 gennaio 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§         La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§         Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: gi0509.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Titolo I DISPOSIZIONI GENERALI3

§      Articolo 1 (Disciplina dell’ordinamento forense)3

§      Articolo 2 (Disciplina della professione di avvocato)6

§      Articolo 3 (Doveri e deontologia)11

§      Articolo 4 (Associazioni e società tra avvocati e multidisciplinari)13

§      Articolo 5 (Segreto professionale)17

§      Articolo 6 (Prescrizioni per il domicilio)19

§      Articolo 7 (Impegno solenne)22

§      Articolo 8 (Specializzazioni)23

§      Articolo 9 (Informazioni sull'esercizio della professione)27

§      Articolo 10 (Formazione continua)29

§      Articolo 11 (Assicurazione per la responsabilità civile)32

§      Articolo 12 (Conferimento dell'incarico e tariffe professionali)34

§      Articolo 13 (Mandato professionale. Sostituzioni e collaborazioni)42

Titolo II ALBI, ELENCHI E REGISTRI44

§      Articolo 14 (Albi, elenchi e registri)44

§      Articolo 15 (Modifiche all'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in materia di elenchi e tabelle dei difensori d'ufficio)48

§      Articolo 16 (Iscrizione e cancellazione)50

§      Articolo 17 (Incompatibilità)58

§      Articolo 18 (Eccezioni alle norme sull'incompatibilità)61

§      Articolo 19 (Sospensione dall'esercizio professionale)64

§      Articolo 20 (Esercizio effettivo e continuativo e revisione degli albi, degli elenchi e dei registri)66

§      Articolo 21 (Albo speciale per il patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori)69

§      Articolo 22 (Avvocati degli enti pubblici)71

Titolo III ORGANI E FUNZIONI DEGLI ORDINI FORENSI73

Capo I L'ordine forense  73

§      Articolo 23 (L'Ordine forense)73

Capo II Gli ordini circondariali75

§      Articolo 24 (L'Ordine circondariale forense)75

§      Articolo 25 (Organi dell'ordine circondariale e degli ordini del distretto)77

§      Articolo 26 (L'assemblea)78

§      Articolo 27 (Il consiglio dell'ordine)80

§      Articolo 28 (Compiti e prerogative del consiglio)83

§      Articolo 29 (Il collegio dei revisori)88

§      Articolo 30 (Funzionamento dei consigli dell'ordine per commissioni)90

§      Articolo 31 (Scioglimento del consiglio)91

Capo III Consiglio nazionale forense  92

§      Articolo 32 (Durata e composizione)93

§      Articolo 33 (Compiti e prerogative)96

§      Articolo 34 (Competenza giurisdizionale)99

§      Articolo 35 (Funzionamento)102

§      Articolo 36 (Eleggibilità e incompatibilità)104

Capo IV Congresso Nazionale Forense  105

§      Articolo 37 (Congresso nazionale forense)105

Titolo IV ACCESSO ALLA PROFESSIONE FORENSE   106

Capo I Tirocinio professionale  106

§      Articolo 38 (Accordi tra università e ordini forensi)108

§      Articolo 39 (Contenuti e modalità di svolgimento del tirocinio)109

§      Articolo 40 (Norme disciplinari per i praticanti)115

§      Articolo 41 (Corsi di formazione per l'accesso alla professione di avvocato)116

§      Articolo 42 (Frequenza di uffici giudiziari)118

§      Articolo 43 (Certificato di compiuto tirocinio)119

Capo II Esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato  121

§      Articolo 44 (Disposizioni generali)122

§      Articolo 45 (Esame di Stato)123

§      Articolo 46 (Commissioni d’esame)128

§      Articolo 47 (Disciplina transitoria per la pratica professionale)131

§      Articolo 48 (Disciplina transitoria per l'esame)133

Titolo V Il procedimento disciplinare  134

§      Articolo 49 (Organi del procedimento disciplinare)135

§      Articolo 50 (Competenza)140

§      Articolo 51 (Azione disciplinare)141

§      Articolo 52 (Prescrizione dell'azione disciplinare)143

§      Articolo 53 (Istruttoria disciplinare)144

§      Articolo 54 (Dibattimento disciplinare)146

§      Articolo 55 (Decisione disciplinare e sanzioni)150

§      Articolo 56 (Impugnazioni)152

§      Articolo 57 (Rapporto fra procedimento disciplinare e processo penale)156

§      Articolo 58 (Riapertura del procedimento disciplinare)157

§      Articolo 59 (Sospensione del procedimento a seguito di cancellazione volontaria dall'albo)158

§      Articolo 60 (Sospensione cautelare)159

§      Articolo 61 (Esecuzione)162

§      Articolo 62 (Poteri ispettivi del CNF)164

Titolo VI Delega al Governo e disposizioni transitorie e finali165

§      Articolo 63 (Delega al Governo per il testo unico)165

§      Articolo 64 (Disposizioni transitorie)167

§      Articolo 65 (Disposizione finale)169

§      Articolo 66 (Clausola di invarianza finanziaria)171

Riferimenti normativi

§      R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578. Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore.175

§      R.D. 22 gennaio 1934, n. 37. Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sull'ordinamento della professione di avvocato e di procuratore.213

§      D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382. Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali.243

 


Schede di lettura

 


Titolo I
DISPOSIZIONI GENERALI

Articolo 1
(Disciplina dell’ordinamento forense)

1. La presente legge, nel rispetto dei princìpi costituzionali e della normativa comunitaria, disciplina la professione di avvocato.

2. L’ordinamento forense, stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta:

a) regolamenta l’organizzazione e l’esercizio della professione di avvocato e, nell'interesse pubblico, assicura la idoneità professionale degli iscritti onde garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi sui quali essa incide;

b) valorizza la rilevanza sociale ed economica della professione forense, al fine di garantire in ogni sede, in attuazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, la tutela dei diritti, delle libertà e della dignità della persona;

c) garantisce l’indipendenza e l’autonomia degli avvocati, indispensabili condizioni dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti;

d) tutela l’affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l'obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale;

e) favorisce l'ingresso alla professione di avvocato e l'accesso alla stessa in particolare delle giovani generazioni.

3. All’attuazione della presente legge si provvede mediante regolamenti adottati con decreto del Ministro della giustizia, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro un anno dalla data della sua entrata in vigore, previo parere del Consiglio nazionale forense (CNF) e, per le sole materie di interesse di questa, della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. Il CNF esprime i suddetti pareri entro novanta giorni dalla richiesta, sentiti i consigli dell’ordine territoriali e le associazioni forensi che siano costituite da almeno cinque anni e che siano state individuate come maggiormente rappresentative dal CNF. Gli schemi dei regolamenti sono trasmessi alle Camere, ciascuno corredato di relazione tecnica, che evidenzi gli effetti delle disposizioni recate, e dei pareri di cui al primo periodo, ove gli stessi risultino essere stati tempestivamente comunicati, perché su di essi sia espresso, nel termine di sessanta giorni dalla richiesta, il parere delle Commissioni parlamentari competenti.

4. Decorsi i termini per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari, i regolamenti possono essere comunque adottati. Il Ministro della giustizia, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva.

5. Entro due anni dalla data dell'entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3, ovvero, qualora siano più d'uno, dalla data dell'entrata in vigore dell'ultimo degli stessi, possono essere adottate, con la medesima procedura dei commi 3 4 e 5, le disposizioni integrative e correttive ritenute necessarie.

L’articolo 1 introduce il contenuto della legge di riforma della professione di avvocato, delineando anche la procedura per l’attuazione della legge.

In particolare, la legge di riforma (comma 2):

§      regolamenta l’organizzazione e l’esercizio della professione assicurando l’idoneità professionale degli iscritti (lettera a);

§      valorizza la rilevanza sociale ed economica della professione forense (lettera b);

§      garantisce l’indipendenza e l’autonomia degli avvocati (lettera c);

§      tutela l’affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l'obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale (lettera d);

§      favorisce l'accesso alla professione da parte dei giovani (lettera e).

 

I commi 3 e 4 prevedono che la legge sia attuata mediante regolamenti del ministro della giustizia da approvare entro un anno dall’entrata in vigore della medesima. Per l’emanazione di tali regolamenti la legge delinea una particolare procedura, soprattutto sotto il profilo del parere parlamentare. Sugli schemi di regolamento, il ministro dovrà infatti acquisire:

§      il parere del Consiglio nazionale forense nonché – nelle materia di specifico interesse – della Cassa di previdenza. Il CNF dovrà esprimersi entro 90 giorni dalla richiesta sentendo a sua volta gli ordini territoriali e le associazioni forensi che si siano costituite da almeno 5 anni e siano state individuate come “maggiormente rappresentative”;

 

In origine i disegni di legge all’esame del Senato e, soprattutto, il testo approvato dalla Commissione giustizia del Senato in sede referente, assegnavano direttamente al CNF potestà regolamentare per l’attuazione della riforma forense. Sul punto si era criticamente pronunciato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che, nella segnalazione del settembre 2009, aveva affermato «Siffatta attribuzione risulta in contrasto con i principi comunitari di concorrenza che esigono una netta distinzione tra la regolazione autoritativa delle attività private che deve essere appannaggio di soggetti pubblici, effettiva espressione di interessi generali, e le varie forme di autodisciplina dei propri interessi che possono essere dettate dagli stessi privati interessati. L’Autorità auspica quindi l’eliminazione della previsione, in quanto l’attribuzione di una potestà regolatoria in capo al CNF, che si trova di per sé in una posizione di conflitto di interessi, in quanto espressione di interessi di categoria, risulta idonea a determinare importanti restrizioni della concorrenza tra i professionisti».

 

§      il parere delle commissioni giustizia della Camera e del Senato entro 60 giorni dalla richiesta. Gli schemi dovranno essere inviati alle Camere corredati da una relazione tecnica e dei suddetti pareri degli organismi di categoria.

Decorso inutilmente il termine di 60 giorni senza che il Parlamento si sia pronunciato, il Ministro potrà comunque emanare i regolamenti; se intenderà invece discostarsi dal parere parlamentare dovrà ripresentare gli schemi alle Camere con le sue osservazioni e rendere specifiche comunicazioni agli organi parlamentari. Trascorsi ulteriori 30 giorni dalla seconda trasmissione, il Ministro della giustizia potrà comunque approvare i regolamenti.

Il comma 5 applica ai regolamenti attuativi della riforma forense la prassi ormai consolidata nelle procedure di delega delle disposizioni integrative e correttive: il Ministro potrà infatti, entro un anno dall’emanazione di ciascun regolamento, adottare le modifiche che reputi opportune, sempre sentendo il CNF (o la Cassa di previdenza) e i competenti organi parlamentari.


Articolo 2
(Disciplina della professione di avvocato)

1. L'avvocato è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza, svolge le attività di cui ai commi 5 e 6.

2. L'avvocato, quale soggetto necessario e insostituibile per l'attuazione concreta della giustizia nella società e nell'esercizio della giurisdizione, ha la funzione indispensabile di garantire al cittadino l'effettività della tutela dei diritti in ogni sede.

3. L'iscrizione ad un albo circondariale è condizione per l'esercizio della professione di avvocato. Possono essere iscritti coloro che, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, hanno superato l'esame di Stato di cui all'articolo 45, ovvero l'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato prima della data di entrata in vigore della presente legge. Possono essere altresì iscritti: a) coloro che hanno svolto le funzioni di magistrato ordinario, di magistrato militare, di magistrato amministrativo o contabile, o di avvocato dello Stato, e che abbiano cessato le dette funzioni senza essere incorsi nel provvedimento disciplinare della censura o in provvedimenti disciplinari più gravi. L'iscritto, nei successivi due anni, non può esercitare la professione nei circondari nei quali ha svolto le proprie funzioni negli ultimi quattro anni antecedenti alla cessazione; b) i professori universitari di ruolo, dopo cinque anni di insegnamento di materie giuridiche. L'avvocato può esercitare l'attività di difesa davanti a tutti gli organi giurisdizionali della Repubblica. Per esercitarla davanti alle giurisdizioni superiori deve essere iscritto all'albo speciale regolato dall'articolo 21. Restano iscritti agli albi circondariali coloro che, senza aver sostenuto l'esame di Stato, risultino iscritti alla data di entrata in vigore della presente legge.

4. L'avvocato, nell'esercizio della sua attività, è soggetto solo alla legge.

5. Sono attività esclusive dell'avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l'assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali.

6. Fuori dai casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l'attività di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale è riservata agli avvocati. È comunque consentita l'instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ovvero la stipulazione di contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata, aventi ad oggetto la consulenza e l'assistenza legale stragiudiziale, nell'esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l'opera viene prestata. Se il destinatario delle predette attività è costituito in forma di società, tali attività possono essere altresì svolte in favore dell'eventuale società controllante, controllata o collegata, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. Se il destinatario è un'associazione o un ente esponenziale nelle diverse articolazioni, purché portatore di un interesse di particolare rilievo sociale e riferibile ad un gruppo non occasionale, tali attività possono essere svolte esclusivamente nell'ambito delle rispettive competenze istituzionali e limitatamente all'interesse dei propri associati ed iscritti. È altresì consentita, nelle medesime forme e con gli stessi limiti, la prestazione di consulenza da parte di professori universitari di ruolo e di ricercatori confermati in materie giuridiche.

7. L'uso del titolo di avvocato spetta esclusivamente a coloro che siano o siano stati iscritti ad un albo circondariale, nonché agli avvocati dello Stato.

8. L'uso del titolo è vietato a chi sia stato radiato.

 

L’articolo 2, dopo aver indicato in generale i requisiti per poter esercitare la professione di avvocato, individua il contenuto della professione delineando le attività riservate in via esclusiva al professionista e disciplina l’uso del titolo.

 

Analiticamente, i commi 1 e 2 definiscono l’avvocato un libero professionista, soggetto «necessario e insostituibile per l'attuazione concreta della giustizia nella società e nell'esercizio della giurisdizione» e titolare della funzione indispensabile «di garantire al cittadino l'effettività della tutela dei diritti in ogni sede» (comma 2).

Il comma 4 aggiunge che l’avvocato, nell’esercizio della sua attività, è soggetto solo alla legge.

 

Si ricorda che l’art. 101, secondo comma, della Costituzione afferma lo stesso principio per i magistrati.

 

Il comma 3 stabilisce che condizione indispensabile per l’esercizio della professione forense è l’iscrizione all’albo; elenca dunque i presupposti per potervi essere iscritti. Possono ottenere l’iscrizione all’albo (oltre a coloro che vi risultano già iscritti al momento dell’entrata in vigore della riforma):

§      i laureati in giurisprudenza che hanno superato l’esame di Stato previsto dall’art. 45 del disegno di legge (v. infra) o l’esame di abilitazione previsto dalla disciplina vigente;

§      coloro che hanno svolto le funzioni di magistrato (ordinario, militare, amministrativo, contabile) ovvero le funzioni di avvocato dello Stato e sono cessati dalla funzione senza essere incorsi in provvedimenti disciplinari analoghi o più gravi della censura. In questo caso la riforma richiede che per i primi 2 anni dall’iscrizione all’albo degli avvocati il professionista non possa esercitare nei circondari nei quali ha svolto le funzioni nei 4 anni precedenti la cessazione dalle funzioni;

 

Attualmente, l’art. 26 della legge professionale consente l’iscrizione nell’albo a coloro che per 5 anni almeno siano stati magistrati ordinari, militari o amministrativi oppure avvocati dell’Avvocatura dello Stato. La disposizione – per i soli ex magistrati ordinari – esclude l’esercizio della professione davanti all’autorità giudiziaria presso la quale abbiano esercitato negli ultimi 3 anni le loro funzioni, se non sia trascorso un biennio dalla cessazione delle funzioni stesse.

§      i professori universitari di ruolo, dopo 5 anni di insegnamento di materie giuridiche.

 

Attualmente l’art. 26 della legge professionale consente l’iscrizione all’albo ai professori universitari di ruolo, dopo 2 anni di insegnamento nonché a coloro che - avendo conseguito l'abilitazione alla libera docenza e la definitiva conferma - abbiano per almeno 6 anni esercitato l'incarico dell'insegnamento di materia attinente all'esercizio professionale.

 

L’avvocato iscritto all’albo può esercitare l’attività di difesa davanti a tutti gli organi giurisdizionali della Repubblica (analoga previsione è attualmente contenuta nell’art. 4 della legge professionale); laddove si tratti di giurisdizioni superiori occorrerà che l’avvocato sia anche iscritto in un albo speciale (vedi infra, articolo 21).

 

I successivi commi 5 e 6 delineano le attività riservate all’avvocato.

 

Attualmente, secondo la giurisprudenza, "la prestazione di opere intellettuali nell'ambito dell'assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, di diretta collaborazione con il giudice nell'ambito del processo; al di fuori di tali limiti, l'attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti negli albi professionali" (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2006, n. 12840, in Giust. civ. Mass. 2006, 5).

Si ricorda inoltre che la Corte costituzionale (sentenza 12 luglio 1995, n. 345) ha chiarito che l’attribuzione di esclusive deve rispondere alle esigenze della società nel suo complesso e non dei singoli ordini.

 

La riforma forense amplia le attività esclusive dell’avvocato, prevedendo, oltre all’assistenza, rappresentanza e difesa davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali, anche tutte le attività di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, con le seguenti eccezioni:

-       casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate;

-       consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale, nell'esclusivo interesse del datore di lavoro (contratto di lavoro subordinato) o del soggetto in favore del quale viene svolta l'opera (contratti di prestazione di opera continuativa e coordinata) purché tali attività costituiscano oggetto del contratto. In queste ipotesi, se il destinatario delle predette attività è costituito in forma di società, la consulenza e l’assistenza potranno essere svolte dal soggetto non avvocato (c.d. giurista d’impresa) anche in favore dell'eventuale società controllante, controllata o collegata. Se il destinatario è un'associazione o un ente portatore di un interesse di particolare rilievo sociale, le attività di consulenza e assistenza stragiudiziale potranno essere svolte esclusivamente nell'ambito delle competenze istituzionali e limitatamente all'interesse degli associati;

-       professori universitari di ruolo e di ricercatori confermati in materie giuridiche possono rendere consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale «nelle medesime forme e con gli stessi limiti». Tale ultimo riferimento sembrerebbe comportare che anche per queste categorie è richiesto un contratto di prestazione di opera continuativa e coordinata.

 

Sull’ampliamento delle attività riservate in esclusiva agli avvocati si sono espresse criticamente sia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

 

In particolare, nella segnalazione al Parlamento “in merito alle restrizioni alla concorrenza presenti nella proposta di riforma della professione forense del luglio 2009”, con riferimento a tale profilo, l’Antitrust rilevava come l’ordinamento comunitario ponga esplicitamente come regola la libertà di concorrenza e come eccezione l’attribuzione legale di esclusive, che comunque devono essere giustificate dal perseguimento di interessi generali.

Sulla riserva d’attività a favore degli avvocati in particolare nell’attività di assistenza stragiudiziale si sono espresse criticamente anche l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (segnalazione del 20 novembre del 2009) e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (segnalazione del 2 dicembre 2010), che hanno evidenziato come tale previsione possa pregiudicare la tutela stragiudiziale di consumatori ed imprese.

 

Da ultimo, i commi 7 e 8 disciplinano l’uso del titolo di avvocato, che è riservato agli avvocati dello Stato ed a coloro che siano – o siano stati – iscritti all’albo circondariale. Solo in caso di radiazione, l’uso del titolo è interdetto. La riforma non prevede sanzioni specifiche per l’abuso del titolo.

 

Troveranno peraltro applicazione le disposizioni previste in generale dal codice penale. Si tratta in particolare:

-    dell’art. 348 c.p. (Abusivo esercizio di una professione), in base al quale chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da 103 a 516 euro;

-    dell’art. 498 c.p. (Usurpazione di titoli o di onori), depenalizzato, che punisce ora con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929, chiunque, abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato ovvero si arroga qualità inerenti a tale professione.

Si ricorda che ai sensi dell'art. 1 della legge professionale nessuno può assumere il titolo, né esercitare le funzioni di avvocato se non è iscritto nell'albo professionale. Conservano tuttavia il titolo quegli avvocati che, dopo averne acquistato il diritto, sono stati cancellati dall'albo per una causa che non sia di indegnità.

Esso stabilisce inoltre che la violazione delle disposizioni precedenti, quando non costituisca più grave reato, sia punita, nel caso di usurpazione del titolo di avvocato, ai sensi dell’art. 498 c.p. e, nel caso di esercizio abusivo delle funzioni, ai sensi dell’art. 348 c.p.


Articolo 3
(Doveri e deontologia)

1. L'esercizio dell'attività di avvocato deve essere fondato sull'autonomia e sulla indipendenza dell'azione professionale e del giudizio intellettuale. L'avvocato ha obbligo, se chiamato, di prestare la difesa d'ufficio e di assicurare il patrocinio in favore dei non abbienti.

2. La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa e rispettando i princìpi della corretta e leale concorrenza.

3. L'avvocato esercita la professione uniformandosi ai princìpi contenuti nel codice deontologico emanato dal CNF ai sensi degli articoli 33, comma 1, lettera d), e 64, comma 6. Il codice deontologico stabilisce le norme di comportamento che l'avvocato è tenuto ad osservare in via generale e, specificamente, nei suoi rapporti con il cliente, con la controparte, con altri avvocati e con altri professionisti. Il codice deontologico espressamente individua fra le norme in esso contenute quelle che, rispondendo alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione, hanno rilevanza disciplinare. Tali norme devono essere caratterizzate dalla stretta osservanza del principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l'espressa indicazione della sanzione applicabile.

4. Il codice deontologico di cui al comma 3 e i suoi aggiornamenti sono pubblicati e resi accessibili a chiunque secondo disposizioni stabilite con decreto del Ministro della giustizia, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Il codice deontologico entra in vigore decorsi sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

L'articolo 3 elenca i doveri dell'avvocato ed i principi cui deve ispirare la sua attività. In particolare, l’avvocato deve adempiere agli obblighi della difesa d’ufficio e del patrocinio a favore dei non abbienti (comma 1) e rispettare le norme deontologiche (comma 3). L’elenco contenuto nella disposizione non ha carattere esaustivo, in quanto ulteriori obblighi sono fissati da altre disposizioni della legge di riforma (cfr., ad esempio, l’obbligo della formazione continua contemplato dall’articolo 10).

L’esercizio della professione forense dovrà quindi avvenire nel rispetto dei seguenti principi (comma 2):

§         indipendenza

§         lealtà

§         probità

§         dignità

§         decoro

§         diligenza

§         competenza

§         corretta e leale concorrenza.

Il comma 3 della disposizione in commento individua il contenuto minimo del codice deontologico approvato dal CNF nelle regole di comportamento che l’avvocato deve rispettare e specifica che all’interno di tale codice dovranno essere segnalate le disposizioni che hanno rilevanza disciplinare: dovrà trattarsi di condotte tipizzate rispetto alle quali sia chiaramente individuata la sanzione disciplinare applicabile.

Il comma 4 stabilisce inoltre che le disposizioni del codice deontologico siano pubbliche e accessibili non solo attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma con ulteriori modalità che dovrà definire il Ministero della giustizia con proprio regolamento.

 

Il contenuto di tali disposizioni in parte si sovrappone a quello degli articoli 33, comma 1, lett. d), e 64, comma 6 (su cui infra), disposizioni queste ultime richiamate dal comma 3. In proposito appare opportuno un coordinamento tra tali disposizioni, in particolare sotto il profilo dell’entrata in vigore del codice deontologico e della disciplina transitoria (l’entrata in vigore è disciplinata dall’articolo 3, la norma transitoria è contenuta nell’articolo 64) e delle modalità di pubblicazione del medesimo codice (l’articolo 3 le rimette ad un D.M.; l’articolo 33 attribuisce in via generale al CNF il compito di curare la pubblicazione e la diffusione del codice in modo da favorirne la più ampia conoscenza).


Articolo 4
(Associazioni e società tra avvocati e multidisciplinari)

1. La professione forense può essere esercitata individualmente o con la partecipazione ad associazioni o società tra avvocati. L'incarico professionale è tuttavia sempre conferito all'avvocato in via personale. La partecipazione ad un'associazione o ad una società tra avvocati non può pregiudicare l'autonomia, la libertà e l'indipendenza intellettuale o di giudizio dell'avvocato nello svolgimento dell'incarico che gli è conferito. È nullo ogni patto contrario.

2. Alle società si applicano le norme del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96. Alle associazioni professionali si applicano l'articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1815, e le disposizioni relative alla società semplice, in quanto compatibili. Hanno responsabilità solidale e illimitata nei confronti dei terzi gli associati e i soci, salvo il caso in cui questi non partecipino all'amministrazione della società per effetto di pattuizione a norma dell'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.

3. Allo scopo di assicurare al cliente prestazioni anche a carattere multidisciplinare, possono partecipare alle associazioni o alle società di cui al comma 1, oltre agli iscritti all'albo forense, anche altri liberi professionisti appartenenti alle categorie individuate con regolamento del Ministro della giustizia ai sensi dell'articolo 1, commi 3 e seguenti. La professione forense può essere altresì esercitata da un avvocato che partecipa ad associazioni o società costituite fra altri liberi professionisti, purché le stesse abbiano caratteristiche identiche a quelle di cui al comma 2.

4. Possono essere soci delle associazioni o società tra avvocati solo coloro che sono iscritti al relativo albo. Le associazioni e le società tra avvocati sono iscritte in un elenco tenuto presso il consiglio dell'ordine nel cui circondario hanno sede, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera l). La sede dell'associazione o della società è fissata nel circondario ove si trova il centro principale degli affari. Gli associati e i soci hanno domicilio professionale nella sede della associazione o della società. L'attività professionale svolta dagli associati o dai soci dà luogo agli obblighi e ai diritti previsti dalle disposizioni in materia previdenziale.

5. L'avvocato può essere associato ad una sola associazione o società.

6. Le associazioni o le società tra professionisti possono indicare l'esercizio di attività proprie della professione forense fra quelle previste nel proprio oggetto sociale, oltre che in qualsiasi comunicazione a terzi, solo se tra gli associati o i soci vi è almeno un avvocato iscritto all'albo.

7. La costituzione di società di capitali che indicano l'esercizio di attività proprie della professione forense fra quelle previste nel proprio oggetto sociale, oltre che in qualsiasi comunicazione a terzi, è vietata. Sono nulli i relativi atti costitutivi e quelli successivamente intervenuti di modifica dei patti sociali, contenenti la detta indicazione. Sono altresì nulli i contratti stipulati con terzi a seguito delle comunicazioni di cui al primo periodo del presente comma.

8. La violazione di quanto previsto ai commi 5 e 6 costituisce illecito disciplinare.

9. I redditi delle associazioni e delle società tra avvocati sono determinati secondo i criteri di cassa, come per i professionisti che esercitano la professione in modo individuale.

10. Gli avvocati, le associazioni e le società di cui al presente articolo possono stipulare fra loro contratti di associazione in partecipazione ai sensi degli articoli 2549 e seguenti del codice civile.

11. Il socio o l'associato è escluso se cancellato o sospeso dall'albo per un periodo non inferiore ad un anno con provvedimento disciplinare definitivo. Può essere escluso per effetto di quanto previsto dall'articolo 2286 del codice civile.

12. Le associazioni e le società che hanno ad oggetto esclusivamente lo svolgimento di attività professionale non sono assoggettate alle procedure fallimentari e concorsuali.

 

L’articolo 4 riguarda l’esercizio della professione forense in forma associata o societaria.

 

Attualmente, l'art. 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1815[1], prevede la possibilità -anche per gli avvocati - di costituire associazioni professionali. Al contrario, l'art. 2 di tale legge vietava originariamente il ricorso alla forma societaria: tale divieto è stato abrogato dall'art. 24 della legge 7 agosto 1997, n. 266[2].

Il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96[3] prevede oggi, agli artt. 16 e ss., che l'attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio possa essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti (s.t.p.), disciplinata dallo stesso decreto legislativo e, ove non diversamente disposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo. E' fatto salvo quanto previsto dalla legge 1815/1939 in materia di associazioni.

Ai sensi dell'art. 25 del decreto legislativo 96/2001, il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico. La società risponde con il suo patrimonio. Nel caso in cui, prima dell'inizio dell'esecuzione del mandato, la società non abbia comunicato al cliente il nome del socio o dei soci incaricati, per le obbligazioni derivanti dall'attività professionale, oltre alla società, sono responsabili illimitatamente e solidalmente tutti i socie.

Ai sensi dell'art. 27 del decreto legislativo 96/2001, la s.t.p. è iscritta in una sezione speciale dell'albo del Consiglio dell'ordine nella cui circoscrizione è posta la sede legale.

Si ricorda infine che l'art. 2, comma 1, lett. c), del decreto Bersani ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti (c.d. società multidisciplinari), fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.

 

In base al comma 1, la professione forense può essere svolta anche attraverso la partecipazione ad associazioni o società tra avvocati; in ogni caso, tuttavia, l’incarico professionale è conferito all’avvocato in via personale.

Alle associazioni e società tra avvocati possono partecipare solo gli iscritti all’albo (comma 4).

In virtù del comma 2, la sopra richiamata disciplina della società tra avvocati (art. 16 ss. d.lgs. 96/2010) e delle associazioni professionali (art. 1 l. 1815/1939) si applica anche alle associazioni e società disciplinate dall’articolo 4. Nei limiti della compatibilità si applica anche la disciplina della società semplice.

Si prevede, inoltre, la possibilità per l’avvocato, le associazioni e le società tra professionisti, di stipulare contratti di associazioni in partecipazione ai sensi degli artt. 2549 c.c. (comma 10)

 

Ai sensi dell'art. 2549 c.c., con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

 

Come previsto dal decreto Bersani, il progetto di legge conferma che le associazioni e le società possono fornire prestazioni di natura multidisciplinare (comma 3); alle società o associazioni di natura multidisciplinare, oltre che gli iscritti all’albo forense, possono partecipare anche altri professionisti appartenenti alle categorie individuate con D.M. giustizia. Dall’ammissibilità di tale tipo di associazioni o società tra professionisti deriva che l’esercizio dell’attività professionale forense può non essere oggetto sociale esclusivo della società o associazione (comma 6).

 

Tra gli ulteriori principali profili di novità rispetto alla disciplina vigente si segnala l’esclusione della responsabilità solidale e illimitata dei soci e degli associati che non partecipano all’amministrazione della società per effetto di pattuizione a norma dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 96/2001 (comma 2).

 

In base a tale ultima disposizione, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri. La disciplina della responsabilità professionale vigente è contenuta nell’art. 26 del d.lgs. 96/2001, che prevede: personale e illimitata responsabilità dei soci incaricati per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico (la società risponde con il suo patrimonio); nel caso di mancata comunicazione dei soci incaricati, per le obbligazioni derivanti dall'attività professionale svolta da uno o più soci, oltre alla società, responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci; per le obbligazioni sociali non derivanti dall'attività professionale responsabilità personale e solidale di tutti i soci (il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi).

 

Il progetto di legge conferma invece il divieto di costituzione di società di capitali che indichino l’esercizio dell’attività professionale forense tra quelle previste nel proprio oggetto sociale (sancendo anche la nullità dei relativi atti costitutivi e di modifica dei patti sociali, oltre dei contratti stipulati con i terzi) (comma 7); il divieto di partecipare a più di una associazione o società (comma 5), la cui violazione costituisce illecito disciplinare (comma 8); la non sottoponibilità alle procedura fallimentari e concorsuali delle associazioni e società che hanno per oggetto esclusivamente lo svolgimento dell’attività professionale (comma 12), l’esclusione dalla società o dall’associazione del socio o dell’associato cancellato o sospeso dall’albo (con la specificazione che la sospensione deve essere non inferiore ad un anno) (comma 11); l’iscrizione delle associazioni e delle società in un elenco tenuto presso il consiglio dell’ordine nel cui circondario hanno sede (comma 4).

 

Con riferimento a tale ultimo profilo, attualmente la società tra avvocati è iscritta in una sezione speciale dell'albo del Consiglio dell'ordine nella cui circoscrizione è posta la sede legale (art. 27, comma 1, d.lgs. 96/2001); ai sensi dell'art. 1 della legge 1815/1939, l'esercizio in forma associata della professione deve essere notificato al Consiglio dell'ordine.

 

L’articolo 4 in commento aggiunge che l’attività professionale svolta dagli associati e dai soci dà luogo agli obblighi e ai diritti previsti dalle disposizioni in materia previdenziale (comma 4) e che i redditi delle associazioni e delle società tra avvocati sono determinati secondo i criteri di cassa, come per i professionisti che esercitano la professione in modo individuale (comma 9).


Articolo 5
(Segreto professionale)

1. L'avvocato è tenuto, nell'interesse della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale sui fatti e sulle circostanze apprese nell'attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell'attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale.

2. L'avvocato è tenuto altresì all'osservanza del massimo riserbo verso i terzi.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche nei confronti dei dipendenti e dei collaboratori anche occasionali dell'avvocato, oltre che di coloro che svolgono il tirocinio presso lo stesso, in relazione ai fatti e alle circostanze da loro apprese nella loro qualità o per effetto dell'attività svolta. L'avvocato è tenuto ad adoperarsi affinché anche da tali soggetti siano osservati gli obblighi di segretezza e di riserbo sopra previsti.

4. L'avvocato, i suoi collaboratori e i dipendenti non possono essere obbligati a deporre nei procedimenti e nei giudizi di qualunque specie su ciò di cui siano venuti a conoscenza nell'esercizio della professione o dell'attività di collaborazione o in virtù del rapporto di dipendenza, salvi i casi previsti dalla legge.

5. La violazione degli obblighi di cui ai commi 1 e 2 costituisce illecito disciplinare. La violazione degli obblighi di cui al comma 3 costituisce giusta causa per l'immediato scioglimento del rapporto di collaborazione o di dipendenza.

 

L’articolo 5 impone all’avvocato l’osservanza del dovere di riservatezza e del segreto professionale.

 

Attualmente il tema è disciplinato dall’art. 622 del codice penale, dall’art. 200 del codice di procedura penale e dall’art. 13 della legge professionale. Questa ultima esclude che gli avvocati e i procuratori possano essere obbligati a deporre nei giudizi di qualunque specie su ciò che a loro sia stato confidato o sia pervenuto a loro conoscenza per ragione del proprio ufficio, salvo quanto previsto dall’art. 200 del codice di procedura penale. L'art. 200 c.p.p., in materia di segreto professionale, stabilisce che gli avvocati non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.

Più in generale, si ricorda che l’art. 622 del codice penale (rivelazione di segreto professionale) punisce con la reclusione fino a un anno o con la multa chiunque, avendo notizia a causa della propria professione, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto.

 

In particolare, in base al disegno di legge l’avvocato è tenuto:

§      al segreto professionale, nell’interesse dell’assistito, sui fatti e le circostanze di cui ha avuto conoscenza attraverso l’attività di assistenza giudiziale e stragiudiziale (comma 1);

§      all’osservanza del massimo riserbo verso i terzi (comma 2).

La violazione di tali obblighi comporta responsabilità disciplinare (comma 5). Tale forma di responsabilità naturalmente concorre con la responsabilità penale prevista dall’art. 622 c.p. (rivelazione di segreto professionale), non richiamato dalla disposizione in commento.

 

L’obbligo di segretezza e di riserbo vale anche per i dipendenti, i tirocinanti e collaboratori anche occasionali dell’avvocato; spetta all’avvocato il compito di adoperarsi affinché tali obblighi siano effettivamente osservati (comma 3). Laddove i collaboratori a vario titolo dell’avvocato vengano meno a questi doveri, egli ha una giusta causa per sciogliere il rapporto di collaborazione o di dipendenza (comma 5, ultimo periodo).

 

Il comma 4 aggiunge che l’avvocato, i suoi collaboratori e dipendenti non possono essere obbligati a deporre nei procedimenti e nei giudizi di qualunque specie su ciò di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio della professione o dell’attività di collaborazione o in virtù del rapporto di dipendenza, salvo quanto disposto dalla legge.

Tale disposizione riafferma il principio di cui all’art. 200 del codice di procedura penale, che tuttavia non viene richiamato espressamente.


Articolo 6
(Prescrizioni per il domicilio)

1. L'avvocato deve iscriversi nell'albo del circondario del tribunale ove ha domicilio professionale, di regola coincidente con il luogo in cui svolge la professione in modo prevalente, come da attestazione scritta da inserire nel fascicolo personale e da cui deve anche risultare se sussistano rapporti di parentela, coniugio, affinità e convivenza con magistrati, rilevanti in relazione a quanto previsto dall'articolo 18 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni. Ogni variazione deve essere tempestivamente comunicata dall'iscritto all'ordine. In mancanza, ogni comunicazione del consiglio dell'ordine di appartenenza si intende validamente effettuata presso l'ultimo domicilio comunicato.

2. Gli ordini professionali presso cui i singoli avvocati sono iscritti pubblicano in apposito elenco, consultabile dalle pubbliche amministrazioni, gli indirizzi di posta elettronica comunicati dagli iscritti ai sensi dell'articolo 16, comma 7, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, anche al fine di consentire notifiche di atti e comunicazioni per via telematica da parte degli uffici giudiziari.

3. L'avvocato che stabilisca uffici al di fuori del circondario del tribunale ove ha domicilio professionale ne dà immediata comunicazione scritta sia all'ordine di iscrizione, sia all'ordine del luogo ove si trova l'ufficio.

4. Presso ogni ordine è tenuto un elenco degli avvocati iscritti in altri albi che abbiano ufficio nel circondario ove ha sede l'ordine.

5. Gli avvocati italiani, che esercitano la professione all'estero e che ivi hanno la loro residenza, mantengono l'iscrizione nell'albo del circondario del tribunale ove avevano l'ultimo domicilio in Italia.

6. La violazione degli obblighi di cui ai commi 1 e 3 costituisce illecito disciplinare.

 

 

L’articolo 6 dispone in ordine al domicilio professionale dell’avvocato, determinante per individuare l’albo professionale al quale lo stesso dovrà iscriversi.

 

Attualmente, in base all’art. 10 della legge professionale, l’avvocato deve risiedere nel capoluogo del circondario del Tribunale al quale è assegnato, a meno che il Presidente del Tribunale, sentito il parere del Consiglio dell'ordine, non lo autorizzi a risiedere in un'altra località del circondario, purché egli abbia nel capoluogo un proprio ufficio, anche presso un altro avvocato.

 

Il disegno di legge supera il concetto di residenza per attribuire esclusiva rilevanza a quello di domicilio professionale, ovvero al luogo dove l’avvocato esercita prevalentemente la professione.

Il comma 1 dell’art. 6 dispone infatti, pena l’incorrere in una responsabilità disciplinare (comma 5), che l’avvocato debba iscriversi nell’albo del circondario del tribunale nel cui territorio ha il proprio domicilio professionale; nel fascicolo personale del professionista dovrà essere conservata un’attestazione scritta nella quale egli dichiari che proprio in quei luoghi egli esercita in modo prevalente la propria attività. Nella stessa attestazione dovrà essere esplicitato se nell’ambito del circondario indicato sussistano per l’avvocato rapporti di parentela, coniugio, affinità o convivenza con magistrati rilevanti in relazione a quanto previsto dall’articolo 18 dell’ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941[4]).

 

Tale ultima disposizione prevede in generale che i magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo grado, il coniuge o il convivente, esercitano la professione di avvocato; essa detta inoltre criteri per verificare in concreto la ricorrenza dell’incompatibilità.

 

Se l’avvocato stabilisce uffici anche al di fuori del circondario del Tribunale ove ha domicilio professionale, ne deve dare immediata comunicazione scritta sia all’ordine di iscrizione, sia all’ordine del luogo ove si trova l’ufficio (comma 3); a tal fine, presso ogni ordine dovrà essere tenuto un elenco degli avvocati iscritti in altri albi che abbiano ufficio nel circondario ove ha sede l’ordine (comma 4).

In caso di avvocato italiano residente e esercitante la professione all’estero, il disegno di legge (comma 5) prevede comunque un’iscrizione nell’albo del Tribunale dell’ultimo domicilio in Italia.

Con disposizione ulteriore, il comma 2 prevede la pubblicazione da parte degli ordini professionali dell’elenco degli indirizzi di posta elettronica comunicati dagli avvocati iscritti ai sensi dell'articolo 16, comma 7, del d.l. 185/2008[5] (L. 2/2009), anche al fine di consentire notifiche di atti e comunicazioni per via telematica da parte degli uffici giudiziari. Tale elenco è consultabile dalla P.A.

 

In base all’art. 16, comma 7, d.l. 185/2008 i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Gli ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni, i dati identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata.

 

Occorre valutare se non sia più opportuno collocare la disposizione, piuttosto che nell’articolo 6, in materia di domicilio professionale, nell’articolo 14, in materia di albi, elenchi e registri istituiti e tenuti dai consigli dell’ordine.

 


Articolo 7
(Impegno solenne)

1. Per poter esercitare la professione, l'avvocato assume dinanzi al consiglio dell'ordine in pubblica seduta l'impegno di osservare i relativi doveri, secondo la formula: "Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno solennemente ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell’assistito nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento”.

 

 

L'articolo 7 stabilisce che, per potere esercitare, l’avvocato deve assumere, dinanzi al Consiglio dell’ordine in pubblica seduta, l’impegno di osservare i doveri connessi alla professione forense.

 

Attualmente, l'art. 12 del regio decreto-legge 1578/1933 prevede che gli avvocati non possano esercitare la professione se prima non hanno prestato giuramento in una pubblica udienza della Corte d'appello o del Tribunale con la formula seguente: "Giuro di adempiere ai miei doveri professionali con lealtà, onore e diligenza per i fini della giustizia e per gli interessi superiori della Nazione".

 

Rispetto alla formulazione attuale, il disegno di legge:

§      prevede che il giuramento venga fatto dinanzi al Consiglio dell’ordine e non in pubblica udienza davanti agli organi giudiziari;

§      aggiunge nella formula un richiamo alla tutela degli assistiti.


Articolo 8
(Specializzazioni)

1. È riconosciuta la possibilità per gli avvocati di ottenere e indicare il titolo di specialista secondo modalità che sono stabilite con regolamento adottato dal Ministro della giustizia previo parere del CNF, ai sensi dell'articolo 1, e acquisiti i pareri delle associazioni specialistiche costituite ai sensi del comma 9 del presente articolo.

2. Il regolamento di cui al comma 1 prevede, in maniera da garantire libertà e pluralismo dell'offerta formativa e della relativa scelta individuale:

a) l'elenco delle specializzazioni riconosciute, tenuto anche conto delle specificità formative imposte dai differenti riti processuali, da aggiornare almeno ogni tre anni;

b) percorsi formativi e professionali, di durata almeno biennale per un totale di almeno centocinquanta ore complessive, necessari per il conseguimento dei titoli di specializzazione, ai quali possono accedere soltanto gli avvocati che alla data della presentazione della domanda di iscrizione abbiano maturato una anzianità di iscrizione all'albo degli avvocati, ininterrottamente e senza sospensioni, di almeno un anno;

c) le prescrizioni destinate agli ordini territoriali, alle associazioni forensi e ad altri enti ed istituzioni pubbliche o private, prioritariamente alle facoltà di giurisprudenza nell'ambito delle proprie risorse finanziarie e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, per l'organizzazione, anche di intesa tra loro, di scuole e corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista;

d) le sanzioni per l'uso indebito dei titoli di specializzazione;

e) i requisiti richiesti ai fini del conferimento da parte dei consigli dell'ordine del titolo di specialista agli avvocati iscritti all'albo da almeno dieci anni.

3. Al termine del percorso formativo per il conseguimento del titolo di specialista l'avvocato sostiene un esame di specializzazione presso il CNF, il cui esito positivo è condizione necessaria per l'acquisizione del titolo. La commissione d'esame è designata dal CNF e composta da suoi membri, da avvocati indicati dallo stesso CNF e dagli ordini forensi del distretto, da docenti universitari, da magistrati a riposo, da componenti indicati dalle associazioni forensi di cui al comma 9.

4. Il titolo di specialista è attribuito esclusivamente dal CNF e può essere revocato nel caso previsto dal comma 5.

5. L'avvocato specialista è tenuto a curare il proprio specifico aggiornamento professionale con riferimento alla disciplina giuridica per cui ha conseguito il titolo. Il CNF stabilisce, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con proprio regolamento le modalità con cui ha luogo detto aggiornamento, i cui corsi annuali devono essere di almeno cinquanta ore. L'aggiornamento professionale in relazione alla disciplina giuridica specialistica è condizione per il mantenimento del titolo.

6. I soggetti di cui al comma 2, lettera c), organizzano con cadenza annuale, nell'ambito delle proprie risorse finanziarie e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, corsi di formazione continua nelle materie specialistiche conformemente al regolamento di cui al comma 1.

7. Il conseguimento del titolo di specialista non comporta riserva di attività professionale.

8. Gli avvocati docenti universitari in materie giuridiche e coloro che abbiano conseguito titoli specialistici universitari possono indicare il relativo titolo accademico con le opportune specificazioni.

9. Tra avvocati iscritti agli albi possono essere costituite associazioni specialistiche nel rispetto dei seguenti requisiti:

a) l'associazione deve avere adeguata diffusione e rappresentanza territoriale, secondo quanto stabilito con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 1, per il riconoscimento e il mantenimento della qualifica di associazione maggiormente rappresentativa a livello nazionale per il relativo settore specialistico;

b) lo statuto dell'associazione prevede espressamente come scopo la promozione del profilo professionale, la formazione e l'aggiornamento specialistico dei suoi iscritti;

c) lo statuto include espressamente il rilascio da parte dell'associazione di attestati di competenza professionale;

d) lo statuto prevede una disciplina degli organi associativi su base democratica ed esclude espressamente ogni attività a fini di lucro;

e) l'associazione si dota di strutture, organizzative e tecnico-scientifiche, idonee ad assicurare adeguati livelli di qualificazione professionale e il relativo aggiornamento professionale;

f) le associazioni professionali sono incluse in un elenco tenuto dal CNF.

10. Il CNF, anche per il tramite degli ordini circondariali, esercita la vigilanza sui requisiti e le condizioni per il riconoscimento delle associazioni di cui al presente articolo ed il controllo sul rispetto delle prescrizioni di cui al comma 2, lettera c).

11. Gli avvocati che alla data di entrata in vigore della presente legge risultano iscritti all'albo da almeno dieci anni sono dispensati dalla frequenza dei corsi di cui al comma 6 e sono autorizzati a qualificarsi con il titolo di specialista in una o più discipline giuridiche previo superamento dell'esame di cui al comma 3.

 

L’articolo 8 della riforma introduce le specializzazioni, prevedendo che l’avvocato possa indicare il titolo di specialista in vari rami del diritto, senza che questo comporti riserva di attività professionale, dopo aver seguito scuole e corsi di formazione di durata non inferiore a due anni e dopo aver superato un apposito esame presso il CNF. Una volta conseguito il titolo, l’avvocato potrà conservarlo solo curando il proprio costante aggiornamento.

 

Si ricorda che il 24 settembre 2010 il Consiglio nazionale forense ha approvato il regolamento sulle specializzazioni forensi, che disciplina le aree di specialità professionale e le modalità per acquisire il titolo di specialista. Come precisato nel comunicato del CNF, ”il regolamento gioca d’anticipo rispetto alla riforma forense, il ritardo nell’approvazione della quale ha spinto il Cnf ad approvare l’articolato pur con l’avvertenza che si tratta di un testo che entro un anno dalla sua entrata in vigore potrà esser sottoposto a revisione”. In dettaglio. le aree di specialità individuate sono 11 (Diritto di famiglia; diritto della responsabilità civile e delle assicurazioni; diritto commerciale; diritto del lavoro; diritto industriale; diritto della concorrenza; diritto tributario; diritto amministrativo; diritto della navigazione; diritto dell’Unione europea; diritto penale) e il regolamento stabilisce che l’avvocato può conseguire il diploma di specializzazione in non più di due aree. Per poter conseguire il titolo di avvocato specialista, l’avvocato dovrà aver maturato un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno sei anni; dovrà inoltre aver frequentato continuativamente, per almeno un biennio, una scuola riconosciuta dal Cnf (minimo di duecento ore di studio e esercitazioni) e infine dovrà aver superato un apposito esame. Il regolamento entrerà in vigore il 30 giugno 2011; è prevista una prima fase applicativa di carattere sperimentale, al termine della quale potranno essere decise modifiche ed adattamenti.

 

Analiticamente, il comma 1 affida ad un regolamento attuativo (cfr. articolo 1, comma 3) il compito di definire le modalità per l’acquisizione da parte degli avvocati del titolo di specialista. Tale regolamento, sul quale il ministro della giustizia dovrà sentire tanto il CNF quanto le associazioni specialistiche eventualmente costituite dagli avvocati (v. infra comma 9), dovrà in particolare disciplinare (comma 2):

-       l’elenco delle possibili specializzazioni, che dovrà essere aggiornato ogni 3 anni;

-       i percorsi formativi biennali (almeno 150 ore complessive) necessari per il conseguimento del titolo, ai quali potranno accedere soltanto i professionisti con almeno un anno di anzianità di iscrizione all’albo;

-       le prescrizioni per i formatori, individuati in prima battuta nelle facoltà di giurisprudenza (ma anche negli ordini territoriali, nelle associazioni forensi ed in altri enti pubblici o privati). La riforma prevede che i corsi per l’ottenimento del titolo debbano essere organizzati senza oneri per la finanza pubblica;

-       le sanzioni per l’uso indebito del titolo di specializzazione;

-       i requisiti per l’attribuzione del titolo di specialista agli avvocati che vantino un’anzianità d’iscrizione all’albo di almeno 10 anni.

 

All’esito della frequenza ai corsi di formazione l’avvocato dovrà sostenere un esame di specializzazione, presso il CNF e dinanzi ad una commissione composta oltre che di avvocati anche di docenti universitari e magistrati a riposo, il cui esito positivo è condizione necessaria per l’acquisizione del titolo (comma 3). Il titolo di specialista viene dunque conferito dal CNF e può essere revocato (comma 4) se il professionista non cura il proprio costante aggiornamento professionale.

 

La c.d. formazione continua, infatti, non riguarda solo e in generale l’avvocato, ma a maggior ragione l’avvocato specialista che a norma dei commi 5 e 6 dovrà aggiornarsi (corsi di almeno 50 ore annue) nel rispetto delle modalità che saranno definite da un regolamento del CNF. Spetterà agli stessi soggetti che curano la formazione per l’acquisizione del titolo, predisporre anche percorsi formativi per l’aggiornamento professionale degli specialisti, ancora una volta senza oneri per la finanza pubblica.

 

Come detto, il comma 7 specifica che il titolo di specialista non comporta una riserva di attività per il professionista.

 

La possibilità di conseguire il titolo di specialista, con le modalità che dovranno essere definite dai regolamenti attuativi, va tenuta distinta dalla possibilità che lo stesso articolo 8, comma 8, attribuisce agli avvocati che siano anche docenti universitari in materie giuridiche. Questi ultimi, infatti, senza alcun percorso formativo o alcun esame, potranno indicare il proprio titolo accademico con le opportune specificazioni.

 

Il comma 9 stabilisce inoltre che gli avvocati possano costituire associazioni specialistiche, purché le stesse abbiano un’adeguata diffusione e rappresentanza territoriale e prevedano come scopo associativo la promozione del profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti senza finalità di lucro. Di tali associazioni sarà conservato un elenco presso il CNF, cui è attribuita anche una funzione di vigilanza (comma 10).

 

Infine, il comma 11 specifica che – salva l’emanazione del regolamento attuativo previsto dal comma 2 – comunque gli avvocati con un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno 10 anni sono esonerati dalla formazione biennale per l’acquisizione del titolo di specialista. Questi professionisti potranno infatti direttamente sostenere l’esame per il conseguimento del titolo.


Articolo 9
(Informazioni sull'esercizio della professione)

1. E' consentito all'avvocato dare informazioni sul modo di esercizio della professione, purché in maniera veritiera, non elogiativa, non ingannevole e non comparativa.

2. Il contenuto e la forma dell'informazione devono essere coerenti con la finalità della tutela dell'affidamento della collettività, nel rispetto del prestigio della professione e degli obblighi di segretezza e di riservatezza nonché nel rispetto dei principi del codice deontologico.

3. Il CNF determina i criteri concernenti le modalità dell'informazione e della comunicazione.

4. L'inosservanza dei commi 1 e 2 comporta illecito disciplinare.

 

 

L'articolo 9 interviene sulla materia della c.d. pubblicità professionale (che il disegno di legge descrive con l’espressione - tratta dall’attuale codice deontologico - “informazioni sull’esercizio della professione”).

 

Si ricorda che l'art. 2 del decreto Bersani ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto deve essere verificato dall'ordine.

Conseguentemente all'entrata in vigore della suddetta disposizione, il CNF ha modificato gli articoli del codice deontologico forense in materia di pubblicità, i quali, nella nuova versione, prevedono che l’avvocato possa dare informazioni sulla propria attività professionale purché tali informazioni siano per contenuto e forma coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività. In particolare, quanto al contenuto, l’informazione deve essere conforme a verità e correttezza e non può avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale. L’avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, anche se questi vi consentono. Quanto invece alla forma e alle modalità, l’informazione deve rispettare la dignità e il decoro della professione. In ogni caso, l’informazione non deve assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa (art. 17, Informazioni sull’attività professionale). Il codice deontologico individua inoltre, all’articolo 17-bis, i mezzi di informazione consentiti (si va dalla carta da lettera, ai biglietti da visita, alle targhe, gli annuari professionali e i siti web).

 

Il disegno di legge, ricalcando sostanzialmente il contenuto dell’attuale codice deontologico, autorizza l’avvocato a dare informazioni sul modo di esercizio della professione, purché ciò avvenga in modo (comma 1):

-       veritiero;

-       non elogiativo;

-       non ingannevole;

-       non effettuando comparazioni con l’attività di altri professionisti.

Il contenuto e la forma dell’informazione all’utenza – i cui criteri dovranno essere definiti dal CNF (comma 3) – dovranno essere tali da garantire la tutela dell’affidamento, il rispetto del prestigio della professione, gli obblighi di riservatezza e i principi del codice deontologico (comma 2), pena l’incorrere in illecito disciplinare (comma 4).

 

Sul tema delle informazioni sull’esercizio dell’attività professionale si è pronunciata anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione del 18 settembre 2009 sulle restrizioni alla concorrenza contenute nella proposta di riforma della professione forense. L’Antitrust, commentando un testo sostanzialmente analogo a quello poi approvato dal Senato, ha affermato che: «l’utilizzo della locuzione “informazione” in luogo del termine “pubblicità” risulta fuorviante e limitativo, in quanto non esplicita con chiarezza la possibilità per il professionista di ricorrere allo strumento pubblicitario, ai fini della promozione della propria attività. Inoltre, la disciplina sopra esposta risulta restrittiva della concorrenza perché vieta ingiustificatamente il ricorso alla pubblicità comparativa, nonché l’utilizzo di toni elogiativi propri delle comunicazioni pubblicitarie, atteso che lo strumento pubblicitario rappresenta un’importante leva concorrenziale a disposizione del professionista. È di tutta evidenza che la pubblicità comparativa è anch’essa soggetta al criterio di veridicità, completezza e chiarezza».

 


Articolo 10
(Formazione continua)

1. L'avvocato ha l'obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell'interesse dei clienti e dell'amministrazione della giustizia.

2. Sono esentati dall'obbligo di cui al comma 1: gli avvocati che hanno ottenuto il titolo di specialista, ai sensi dell'articolo 8, fermo quanto previsto nel regolamento del CNF di cui al comma 5 del medesimo articolo; gli avvocati sospesi dall'esercizio professionale, ai sensi dell'articolo 19, comma 1, per il periodo del loro mandato; gli avvocati dopo venticinque anni di iscrizione all'albo o dopo il compimento del sessantesimo anno di età; i membri del Parlamento nazionale ed europeo; i consiglieri regionali; i presidenti di provincia e gli assessori provinciali; i sindaci e gli assessori di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti; i docenti e i ricercatori confermati delle università in materie giuridiche.

3. Il CNF stabilisce le modalità e le condizioni per l'assolvimento dell'obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti e per la gestione e l'organizzazione dell'attività di aggiornamento a cura degli ordini territoriali, delle associazioni forensi e di terzi.

4. L'attività di formazione svolta dagli ordini territoriali, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti, non costituisce attività commerciale e non può avere fini di lucro.

5. Le regioni, nell'ambito delle potestà ad esse attribuite dall'articolo 117 della Costituzione, possono disciplinare l'attribuzione di fondi per l'organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale per avvocati.

 

 

L’articolo 10 introduce per l’avvocato l’obbligo del costante aggiornamento professionale secondo regole che dovranno essere stabilite dal CNF.

Da tale obbligo sono esentate le seguenti categorie di iscritti all’albo (comma 2):

§      gli avvocati specialisti. Si ricorda peraltro che in base all’art. 8, comma 5 (v. sopra) questi professionisti sono comunque tenuti – pena la perdita del titolo - a curare il proprio aggiornamento professionale con riferimento alla disciplina giuridica per cui hanno conseguito il titolo frequentando corsi annuali di almeno 50 ore;

§      gli avvocati sospesi dall'esercizio professionale perché chiamati a svolgere una particolare funzione pubblica (art. 10, comma 2 e art. 19, comma 1), come  l’avvocato eletto o nominato:

-            presidente della Repubblica;

-            presidente del Senato o della Camera dei deputati;

-            Presidente del Consiglio dei ministri,

-            Ministro, Viceministro o Sottosegretario di Stato;

-            membro della Corte costituzionale;

-            membro del CSM;

-            senatore, ovvero deputato o membro del parlamento europeo;

-            presidente di regione o presidente di una provincia autonoma;

-            consigliere regionale;

-            presidente di provincia o assessore provinciale;

-            sindaco o assessore di comune con popolazione superiore a 100.000 abitanti.

§      gli avvocati dopo 25 anni di iscrizione all'albo;

§      gli avvocati ultrasessantenni;

§      gli avvocati che siano anche docenti o ricercatori confermati delle università in materie giuridiche.

 

Il disegno di legge chiarisce che l’attività di formazione svolta dagli ordini territoriali non costituisce attività commerciale e dunque non può avere fini di lucro (comma 4) e dà quindi facoltà alle regioni di finanziare la formazione professionale degli avvocati (comma 5). Peraltro, tale facoltà appare già implicita nella competenza legislativa concorrente che l’articolo 117, terzo comma, Cost., attribuisce alle Regioni sulla materia delle professioni.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

 

In una risoluzione del 17 giugno 2010 sul tema “Formazione giudiziaria e programma di Stoccolma”, il Parlamento europeo ha accolto con favore l’intenzione della Commissione di presentare, nel corso del 2011, un piano d'azione in materia di formazione europea per tutte le professioni legali e di lanciare progetti pilota concernenti programmi di scambio del tipo "Erasmus" per le autorità giudiziarie e i professionisti del diritto. Il PE ha inoltre esortato la Commissione, con la collaborazione degli Stati membri, partendo dalle strutture e dalle reti esistenti (in particolare la Rete europea di formazione giudiziaria (REFG) e l'Accademia di diritto europeo), ad elaborare proposte volte alla creazione di una rete UE di istituti di formazione giuridica, che siano abilitati a fornire corsi di familiarizzazione al diritto nazionale, comparato ed europeo su base stabile e continuativa.

Istituita nel 2000, la REFG raggruppa in un’associazione gli organi nazionali di formazione e si ripropone di promuovere, per i membri del corpo giudiziario europeo, un programma di formazione con una dimensione realmente europea e di sviluppare la cooperazione in materia di analisi delle necessità formative, scambio di esperienze, elaborazione di programmi e strumenti comuni. La rete raggruppa le strutture competenti per la formazione dei giudici, anzitutto, e dei pubblici ministerisoltanto nella misura in cui questi fanno parte della magistratura. Tuttavia, in una comunicazione del 2006 relativa alla formazione giudiziaria nell’UE (COM(2006)356), la Commissione aveva già affermato  la necessità di rafforzare anche la formazione delle altre professioni legali, in particolare degli avvocati.

L’Accademia del diritto europeo (ERA -Europaïsche Rechtacademie), fondata nel 1992 a Treviri con il sostegno dell’UE, è volta a diffondere una migliore conoscenza del diritto europeo fra i giuristi e le professioni legali.

Si segnala, inoltre, che in una risoluzione del Consiglio del 22 novembre 2008 relativa alla formazione dei giudici, dei procuratori e degli operatori giudiziari nell'UE, gli Stati membri sono stati invitati a: 

·         inserire la formazione in diritto europeo nei rispettivi programmi nazionali di formazione iniziale e nei rispettivi programmi e curricula di formazione continua delle professioni legali;

·         promuovere tra i giudici, i procuratori e gli operatori giudiziari, la conoscenza di almeno un'altra lingua ufficiale dell'UE, in particolare tramite i programmi di formazione;

·         sostenere l'apprendimento in materia di strumenti di giustizia elettronica europei.


Articolo 11
(Assicurazione per la responsabilità civile)

1. L'avvocato, l'associazione o la società fra professionisti devono stipulare, anche per il tramite di convenzioni sottoscritte dal CNF, da ordini territoriali, associazioni ed enti previdenziali forensi, polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione, compresa quella per la custodia di documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti. L'avvocato, se richiesto, rende noti al cliente gli estremi della propria polizza assicurativa.

2. Degli estremi della polizza assicurativa e di ogni sua successiva variazione è data comunicazione al consiglio dell'ordine.

3. La mancata osservanza delle disposizioni previste nel presente articolo costituisce illecito disciplinare.

4. Le condizioni essenziali e i massimali minimi della polizza sono stabiliti e aggiornati ogni cinque anni dal Ministro della giustizia, sentito il CNF.

 

 

L'articolo 11 introduce anche per gli avvocati, così come già accade per altri professionisti, l'obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione (comma 1) e prevede che la violazione di tale obbligo costituisca illecito disciplinare (comma 3).

 

Attualmente gli avvocati non sono obbligati a stipulare una polizza assicurativa. Il legislatore ha però recentemente introdotto tale obbligo per i notai. La legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), infatti, è stata modificata dal decreto legislativo 4 maggio 2006, n. 182 (Norme in materia di assicurazione per la responsabilità civile derivante dall'esercizio dell'attività notarile ed istituzione di un Fondo di garanzia in attuazione dell'articolo 7, comma 1, della L. 28 novembre 2005, n. 246) che, attraverso gli articoli 19 e 20 ha previsto che:

§       il consiglio nazionale del notariato provveda a forme collettive di assicurazione per la responsabilità civile derivante dall'esercizio dell'attività notarile, uniformi per tutti i notai, con oneri a carico del proprio bilancio;

§       che l'impresa assicuratrice debba essere scelta con procedure ad evidenza pubblica;

§       che nell'ipotesi di ricorso a forme collettive di copertura assicurativa sia fatta salva la facoltà di ciascun notaio di stipulare polizze aggiuntive a proprie spese;

§       che in mancanza di forme collettive di copertura assicurativa il notaio debba provvedere alla stipula di una polizza assicurativa individuale;

§       che gli estremi della polizza siano resi disponibili ai terzi;

§       che sia il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sentito il consiglio nazionale del notariato, ad individuare con decreto il massimale minimo delle polizze assicurative individuali e collettive;

§       che il mancato adempimento dell'obbligo di assicurazione costituisca un illecito disciplinare.

 

In particolare, il disegno di legge prevede che:

§      le caratteristiche della polizza siano stabilite dal Ministro della giustizia, sentito il CNF (comma 4);

§      le polizze assicurative possano essere negoziate con le compagnie dal CNF, dagli ordini territoriali ma anche da associazioni ed enti previdenziali forensi (comma 1);

§      l’avvocato debba sempre comunicare gli estremi della polizza e di ogni successiva variazione al Consiglio dell'ordine (comma 2);

§      l'avvocato debba comunicare gli estremi della polizza al cliente solo se richiesto (comma 1).

 


Articolo 12
(Conferimento dell'incarico e tariffe professionali)

1. L'incarico professionale non può essere conferito con l'apposizione di condizioni.

2. Il compenso professionale è determinato tra cliente e avvocato con accordo pattuito in funzione della natura, della complessità e del valore della controversia determinato a norma del codice di procedura civile, nel rispetto del principio di libera determinazione di cui all'articolo 2233 del codice civile. La violazione della disposizione di cui al comma 6 comporta la nullità dell'accordo.

3. L'avvocato è tenuto a rendere nota la complessità dell'incarico, fornendo le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili al momento del conferimento. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso o di nullità dell'accordo di cui ai commi 2 e 7, si applicano le tariffe professionali approvate ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia su proposta del CNF, sentiti il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e il Consiglio di Stato.

4. Per ogni incarico professionale, l'avvocato ha diritto ad un giusto compenso e al rimborso delle spese documentate, ai sensi dell'articolo 2233 del codice civile. L'avvocato può prestare la sua attività gratuitamente per giustificati motivi. Sono fatte salve le norme per le difese d'ufficio e per il patrocinio dei non abbienti.

5. Le tariffe professionali, approvate secondo quanto previsto dal comma 3, devono essere semplici e di facile comprensione per il cliente. Esse devono indicare solo gli onorari minimi e massimi e le spese da rimborsare per l'attività effettivamente svolta. La misura degli onorari e dei rimborsi deve essere articolata in relazione al tipo di prestazione e al valore della pratica.

6. Tranne che nelle particolari ipotesi disciplinate dalle tariffe, gli onorari minimi previsti dagli scaglioni tariffari di riferimento commisurati al valore di ciascuna controversia sono inderogabili e vincolanti indipendentemente dalla natura occasionale o continuativa della prestazione. Se le parti convengono una clausola di contenuto contrario, questa è nulla e sono dovuti gli onorari minimi. A tale norma deve attenersi ogni magistratura giudicante allorché procede alla liquidazione di spese, onorari e competenze.

7. È consentito che venga concordato tra avvocato e cliente un compenso ulteriore rispetto a quello tariffario per il caso di conciliazione della lite o di esito positivo della controversia, fermi i limiti previsti dal codice deontologico. Sono nulli gli accordi che prevedano la cessione all'avvocato, in tutto o in parte, del bene oggetto della controversia o che attribuiscano all'avvocato una quota del risultato della controversia. Deve essere redatto per iscritto, a pena di nullità, ogni accordo:

a) quando l'ammontare del compenso è predeterminato tra le parti;

b) che preveda un premio in caso di esito positivo della controversia o in caso di conciliazione della lite.

 

8. Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della solidarietà.

9. In mancanza di accordo tra avvocato e cliente, ciascuno di essi può rivolgersi al consiglio dell'ordine affinché esperisca il tentativo di conciliazione e, se esso non è raggiunto, per determinare i compensi, secondo le voci ed i criteri della tariffa, ai sensi dell'articolo 28, comma 1, lettera l).

10. Le eccezioni di nullità di cui ai commi 2 e 7 non possono essere sollevate decorsi cinque anni dalla conclusione dell'incarico o del rapporto professionale in caso di pluralità di incarichi.

 

 

L'articolo 12, oltre a sancire in termini generali il divieto di apporre condizioni in sede di conferimento dell’incarico professionale, interviene sulla materia delle tariffe professionali, recentemente innovata dall'art. 2 del decreto Bersani; la disposizione in particolare reintroduce la vincolatività dei minimi tariffari e il divieto del patto di quota-lite.

 

Il quadro normativo precedente all'entrata in vigore del decreto Bersani

Ai sensi dell'art. 57 del R.D.L. 1578/1933, i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del CNF. Nello stesso modo provvede il CNF per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di cassazione. Tali deliberazioni devono essere approvate dal Ministro della giustizia. I suddetti criteri sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell'autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi. Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo. Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell'entità dell'affare.

Successivamente il legislatore è tornato sulla materia. L'art. 1 della legge 536/1949 prevede che i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del CNF, approvata dal Ministro della giustizia. L'articolo unico della legge 1051/1957  estende tale procedimento anche agli onorari, diritti e indennità spettanti agli avvocati per prestazioni giudiziali in materia civile. La determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziale è contenuta da ultimo nel D.M. giustizia 127/ 2004.

L'art. 24 della legge 794/1942 prevedeva che gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati fosse inderogabili e che ogni convenzione contraria fosse nulla. Tale principio era ripreso dal suddetto D.M. 127/2004 che all'art. 4 stabiliva che gli onorari minimi ed i diritti stabiliti per le prestazioni dell'avvocato fossero inderogabili, specificando che i minimi potevano essere diminuiti ed i massimi aumentati soltanto qualora fra le prestazioni dell'avvocato e l'onorario previsto dalle tabelle apparisse, per particolari circostanza del caso, una manifesta sproporzione e la parte che vi abbia interesse esibisse il parere del competente Consiglio dell'ordine. L'inderogabilità comportava altresì che l'autorità giudiziaria, nel liquidare gli onorari al termine del giudizio, dovesse contenere la liquidazione entro i limiti del massimo e del minimo contenuti nella tariffa, come previsto dall'art. 60, quarto comma, del regio decreto-legge 1578/1933. Ai sensi dell'art. 43, quinto canone, del codice deontologico, era consentito all’avvocato concordare onorari forfettari per le prestazioni continuative solo in caso di consulenza e assistenza stragiudiziale, purché fossero proporzionali al prevedibile impegno.

L'art. 2233, terzo comma, c.c. prevedeva che gli avvocati non potessero, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni. Anche l'art. 45 del codice deontologico vietava la pattuizione diretta ad ottenere, a titolo di corrispettivo della prestazione professionale, una percentuale del bene controverso ovvero una percentuale rapportata al valore della lite. Esso consentiva tuttavia la pattuizione scritta di un supplemento di compenso, in aggiunta a quello previsto, in caso di esito favorevole della lite, purché fosse contenuto in limiti ragionevoli e sia giustificato dal risultato conseguito.

Sulla compatibilità delle tariffe forensi italiane con la regole comunitarie sulla concorrenza si è pronunciata la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia, sentenze 19 febbraio 2002 e 5 dicembre 2006); nell’ultima delle due decisioni richiamate la Corte di giustizia intervenendo sulla normativa anteriore all'entrata in vigore della legge Bersani, ha confermato l'orientamento comunitario secondo cui il "divieto italiano assoluto di derogare ai minimi tariffari stabiliti per gli avvocati costituiva una restrizione della libera prestazione di servizi". Secondo la Corte: "Gli artt. 10 CE, 81 CE e 82 CE non ostano in linea di principio all’adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, anche sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate né per quelle che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa. Tuttavia, una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa professionale costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE. Spetterà in concreto al giudice di merito verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi".

La normativa vigente: il decreto Bersani

Con riferimento alle tariffe, l'art. 2 del decreto-legge Bersani (decreto-legge 223 del 2006, convertito dalla legge 248 del 2006) ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. esso tuttavia ha fatto salve le tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti e ha confermato che il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale.

Con riferimento all’eliminazione del divieto del patto di quota-lite, il richiamato articolo 2 ha sostituito il terzo comma dell'art. 2233 c.c., prevedendo esclusivamente la forma scritta ad substantiam (e quindi la nullità nel caso di inosservanza dell’obbligo formale) per i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali.

Infine, le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni suddette dovevano essere adeguate, anche con l'adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto detto sono in ogni caso nulle.

Per quanto riguarda le modifiche apportate dal CNF al codice deontologico in attuazione del decreto Bersani, si segnalano in particolare quelle relative al patto di quota-lite (art. 45): è stata abrogata la disposizione precedente, che vietava espressamente il patto di quota lite, ma consentiva la pattuizione scritta di un supplemento di compenso (il cosiddetto palmario), in caso di esito favorevole della lite, purché contenuto in limiti ragionevoli rispetto al risultato conseguito ed è stata sostituita con la nuova formulazione "è consentito all'avvocato pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell'articolo 1261 c.c. e sempre che i compensi siano proporzionati all'attività svolta". Come risulta dalla relazione illustrativa, da tale modifica si evince che è legittimo il patto di quota lite inteso come patto con il quale si stabilisce un compenso correlato al risultato pratico dell’attività svolta e comunque in ragione di una percentuale sul valore dei beni o degli interessi litigiosi; invece, il patto di quota lite inteso come cessione di diritti oggetto di contestazione davanti all’Autorità giudiziaria, deve ritenersi tuttora nullo ex art. 1418 c.c., nella misura in cui il suo assetto concreto replica la previsione dell’articolo 1261 c.c., realizzando in via diretta o indiretta la cessione del credito o del bene litigioso.

Si ricorda infine che la materia delle tariffe professionali è affrontata, con generale riferimento alle professioni, dall’art. 6 dell’AC 503 (Siliquini) e, relativamente ai contratti con la pubblica amministrazione, dall’art. 17 dell’AC 3480 (Lo Presti). Entrambe le proposte di legge sono in corso di esame da parte della Commissione giustizia.

 

In base al comma 4 (salve le ipotesi di incarico gratuito per giustificati motivi e le norme per le difese d'ufficio e per il patrocinio dei non abbienti) per ogni incarico professionale, l'avvocato ha diritto ad un giusto compenso e al rimborso delle spese documentate, ai sensi dell'articolo 2233 del codice civile.

 

Tale disposizione del codice civile prevede, in materia di professioni intellettuali, che la misura del compenso sia adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

 

Il compenso è determinato consensualmente dalle parti in funzione dei seguenti criteri (comma 2):

§      natura;

§      complessità;

§      valore della controversia.

 

L’accordo di predeterminazione del compenso deve rivestire la forma scritta ad substantiam (comma 7).

In mancanza di accordo sul compenso, sia l’avvocato sia il cliente possono rivolgersi al consiglio dell'ordine affinché esperisca il tentativo di conciliazione e, se esso non è raggiunto, per dare un parere sulla liquidazione dei compensi (comma 9).

 

In base al comma 3, si applicano le tariffe professionali in caso di:

§      nullità dell’accordo (con particolare riferimento al caso di accordo di determinazione del compenso che non sia stato concluso per iscritto);

§      mancata predeterminazione del compenso.

 

Per quanto riguarda la procedura di adozione (comma 3), le tariffe sono approvate ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia su proposta del CNF, sentiti il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e il Consiglio di Stato.

Per quanto riguarda il contenuto (comma 5), le tariffe professionali devono indicare solo gli onorari minimi e massimi e le spese da rimborsare per l'attività effettivamente svolta; la misura degli onorari e dei rimborsi deve poi essere articolata in relazione al tipo di prestazione e al valore della pratica. In ogni caso le tariffe devono essere semplici e di facile comprensione per il cliente.

 

In base al comma 6, gli onorari minimi sono inderogabili e vincolanti. Più in dettaglio, in base a tale disposizione:

§      sono vincolanti gli onorari minimi previsti dagli scaglioni tariffari di riferimento commisurati al valore di ciascuna controversia (indipendentemente dalla natura occasionale o continuativa della prestazione);

§      sono nulle le clausola di contenuto contrario;

§      in caso di nullità, l’accordo viene integrato ex lege con gli onorari minimi.

 

La vincolatività degli onorari minimi opera anche per la magistratura allorché proceda alla liquidazione di spese, onorari e competenze.

 

Si segnala la necessità di un coordinamento tra il comma 6, che prevede la nullità della clausola che deroga agli onorari minimi e l’integrazione ex lege con i medesimi onorari minimi, con il comma 2, che sembra invece stabilire la nullità dell’intero accordo di determinazione del compenso, in caso di violazione del comma 6.

 

Il comma 7 ripristina il divieto del patto di quota-lite, stabilendo la nullità degli accordi che prevedano:

§      la cessione all'avvocato, in tutto o in parte, del bene oggetto della controversia;

§      l’attribuzione all'avvocato di una quota del risultato della controversia.

È legittimo esclusivamente l’accordo con il quale venga concordato tra avvocato e cliente un compenso ulteriore rispetto a quello tariffario per il caso di conciliazione della lite o di esito positivo della controversia (e, in ogni caso, con i limiti previsti dal codice deontologico).

Tale accordo deve rivestire la forma scritta a pena di nullità, onere formale che, come si è visto, grava, più in generale, sulla predeterminazione consensuale del compenso. Le nullità contemplate dalla disposizione (per violazione degli neri formali e mancato rispetto degli onorari minimi) devono essere sollevate entro cinque anni dalla conclusione dell’incarico o del rapporto professionale (nel caso di pluralità di incarichi) (comma 10).

 

I due profili della vincolatività dei minimi tariffari e del divieto del patto di quota lite sono stati presi in considerazione dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato nella sopra richiamata segnalazione al Parlamento del 18 settembre del 2009. Secondo l’Autorità antitrust, in particolare, “le tariffe professionali fisse e minime costituiscono una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono agli iscritti all’albo di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. A protezione del cliente e, in particolar modo, delle persone fisiche e delle piccole imprese, potrebbe trovare giustificazione il mantenimento soltanto delle tariffe massime, con riferimento a prestazioni aventi carattere seriale e di contenuto non particolarmente complesso”. L’AGCM aggiunge che il richiamo alla “tariffa”, quale parametro di riferimento al fine di determinare un “compenso ulteriore” da riconoscere all’avvocato, risulta in contrasto con i sopra richiamati principi antitrust di libera determinazione del compenso, nonché con il citato D.L. n. 223/2006, che ha abolito il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.

 

Il comma 8, infine, detta una norma a garanzia del pagamento dei compensi professionali, nel caso in cui una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale venga definita mediante accordi; la disposizione, in particolare, prevede che le parti siano solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni.

Procedure di contenzioso

(a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)

Il 19 dicembre 2008 la Commissione ha inoltrato un ricorso (causa C-565/08) contro l’Italia alla Corte di Giustizia al fine di constatare che la fissazione di tariffe massime obbligatorie per le attività giudiziali e stragiudizialidegli avvocati costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento di cui all'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ex articolo 43 del Trattato CE) e alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’articolo 56 del TFUE (ex articolo 49 del TCE)[6].

Nel ricorso la Commissione osserva che l’esistenza di tariffe massime obbligatorieda applicare indipendentemente dalla qualità dell'opera svolta, dal lavoro necessario a svolgerlo e dai costi sostenuti, rappresenta un ulteriore freno alla libera circolazione dei servizi legali nel mercato interno e può rendere il mercato italiano dei servizi legali non attraente per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri. Inoltre, l’obbligo di rispettare tariffe massime in un rapporto tra avvocato e cliente costituisce un limite alla libertà contrattuale di questi ultimi.

Il Governo italiano ha addotto il fatto che non vi è, nel nostro ordinamento, un principio che vieti di superare le tariffe massime applicabili alle attività degli avvocati. Inoltre, la prescrizione di limiti tariffari massimi mirerebbe a perseguire obiettivi di interesse generale quali l’accesso alla giustizia, la tutela dei destinatari dei servizi, nonché la buona amministrazione della giustizia.

Ad avviso della Commissione, invece, le disposizioni oggetto di rilievi non appaiono né idonee al raggiungimento degli obiettivi di interesse generale indicati dalle autorità italiane né proporzionate visto che esistono altre misure meno restrittive nei confronti degli avvocati stabiliti all'estero. Infine, a giudizio della Commissione le autorità italiane non avrebbero spiegato se e quali misure alternative, e di carattere meno restrittivo nei confronti degli avvocati stabiliti in altri Stati membri, siano state esaminate, né hanno illustrato le ragioni per cui gli interessi generali perseguiti non sarebbero già tutelati dalle disposizioni che regolano la professione forense negli altri Stati Membri dell’UE.

 

Dopo aver esaminato la causa sottoposta alla Corte, il 6 luglio 2010 l’avvocato generale ha presentato le sue conclusioni, in vista dell’eventuale pronuncia definitiva della Corte, nelle quali sottolinea, in particolare, che l’esame della normativa italiana relativa al compenso degli avvocati non evidenzierebbe l’esistenza di un divieto a carico degli avvocati di pattuire con i clienti tariffe più elevate di quelle massime. Inoltre, la Commissione non avrebbe dimostrato che, nonostante la mancanza del suddetto divieto, i giudici nazionali interpretano la normativa in questione nel senso che le tariffe massime costituiscono i limiti della libertà contrattuale degli avvocati e dei loro clienti.

Sulla base delle suddette valutazioni l’avvocato generale conclude che il ricorso della Commissione contro l’Italia dovrebbe essere dichiarato infondato.


Articolo 13
(Mandato professionale. Sostituzioni e collaborazioni)

1. Salvo quanto stabilito per le difese d'ufficio ed il patrocinio dei meno abbienti, l'avvocato ha piena libertà di accettare o meno ogni incarico. Il mandato professionale si perfeziona con l'accettazione. L'avvocato ha inoltre sempre la facoltà di recedere dal mandato, con le cautele necessarie per evitare pregiudizi al cliente.

2. L'incarico per lo svolgimento di attività professionale è personale anche nell'ipotesi in cui sia conferito all'avvocato componente di un'associazione o società professionale. Con l'accettazione dell'incarico l'avvocato ne assume la responsabilità personale illimitata, solidalmente con l'associazione o la società. Gli avvocati possono farsi sostituire da altro avvocato, con incarico anche verbale, o da un praticante abilitato, con delega scritta.

3. L'avvocato che si fa sostituire o coadiuvare da altri avvocati o praticanti rimane personalmente responsabile verso i clienti.

4. La collaborazione tra avvocati, anche se continuativa, non dà mai luogo a rapporto di lavoro subordinato.

5. L'avvocato può nominare stabilmente uno o più sostituti presso ogni ufficio giudiziario, depositando la nomina presso l'ordine di appartenenza.

 

 

L’articolo 13 interviene in tema di mandato professionale e di sostituzioni e collaborazioni.

Quanto al primo aspetto, il comma 1 stabilisce che il mandato si perfeziona al momento dell’accettazione e riconosce all’avvocato (comma 1):

§      piena libertà di accettare o rifiutare qualsiasi incarico (salvo quanto stabilito per le difese d’ufficio e il patrocinio dei non abbienti);

§      la facoltà di recedere dal mandato in qualsiasi momento (con le cautele necessarie ad evitare pregiudizi al cliente).

L’incarico è personale e personale è la responsabilità dell’avvocato che lo assume, anche quando affidi ad altri il compito di sostituirlo (comma 3) o lo stesso operi in associazione o società professionale (comma 2); in tale ultimo caso opera la responsabilità solidale dell’associazione o della società.

Per quanto riguarda le sostituzioni, il disegno di legge prevede che l’avvocato possa farsi sostituire in giudizio:

-       da un altro avvocato, e in questo caso l’incarico può essere anche attribuito verbalmente;

-       da un praticante, e in questo caso è richiesta una delega scritta.

In base al comma 5, il professionista può nominare stabilmente uno o più sostituti presso ogni ufficio giudiziario, depositando la nomina presso l'ordine di appartenenza.

 

Attualmente, ai sensi dell’articolo 9 della legge professionale, con atto ricevuto dal cancelliere e comunicato al Consiglio dell’ordine, l’avvocato può, sotto la sua responsabilità, procedere alla nomina di sostituti, in numero non superiore a 3. Il sostituto rappresenta a tutti gli effetti il procuratore che lo ha nominato. Il procuratore può anche, sotto la sua responsabilità, farsi rappresentare da un altro procuratore esercente presso uno dei Tribunali della circoscrizione della Corte d'appello e sezioni distaccate. L'incarico è dato di volta in volta per iscritto negli atti della causa o con dichiarazione separata. Laddove consentito la rappresentanza può essere conferita ad un praticante procuratore.

 

In tema di collaborazioni, il comma 4 precisa che anche quando il legame tra avvocati è continuativo, questo non dà mai luogo a rapporti di lavoro subordinato.

 


Titolo II
ALBI, ELENCHI E REGISTRI

Articolo 14
(Albi, elenchi e registri)

1. Presso ciascun consiglio dell'ordine sono istituiti e tenuti aggiornati:

a) l'albo ordinario degli esercenti la libera professione. Per coloro che esercitano la professione in forma collettiva sono indicate le associazioni o le società di appartenenza;

b) gli elenchi speciali degli avvocati dipendenti da enti pubblici;

c) gli elenchi degli avvocati specialisti;

d) l'elenco speciale dei docenti e ricercatori universitari a tempo pieno;

e) l'elenco degli avvocati sospesi dall'esercizio professionale per qualsiasi causa, che deve essere indicata, ed inoltre degli avvocati cancellati per mancanza dell'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione;

f) l'elenco degli avvocati che hanno subìto provvedimento disciplinare non più impugnabile, comportante la radiazione;

g) il registro dei praticanti;

h) l'elenco dei praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo, allegato al registro di cui alla lettera g);

i) la sezione speciale dell'albo degli avvocati stabiliti, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, che abbiano la residenza o il domicilio professionale nel circondario;

l) l'elenco delle associazioni e delle società comprendenti avvocati tra i soci, con l'indicazione di tutti i partecipanti, anche se non avvocati;

m) l'elenco degli avvocati domiciliati nel circondario ai sensi del comma 3 dell'articolo 6;

n) ogni altro albo, registro o elenco previsto dalla legge o da regolamento.

2. La tenuta e l'aggiornamento dell'albo, degli elenchi e dei registri, le modalità di iscrizione e di trasferimento, i casi di cancellazione e le relative impugnazioni dei provvedimenti adottati in materia dai consigli dell'ordine sono disciplinati con un regolamento emanato dal Ministro della giustizia, sentito il CNF.

3. L'albo, gli elenchi ed i registri sono a disposizione del pubblico e sono pubblicati nel sito internet dell'ordine. Almeno ogni due anni, essi sono pubblicati a stampa ed una copia è inviata al Ministro della giustizia, ai presidenti di tutte le corti di appello, ai presidenti dei tribunali del distretto, ai procuratori della Repubblica presso i tribunali e ai procuratori generali della Repubblica presso le corti di appello, al CNF, agli altri consigli degli ordini forensi del distretto, alla Cassa nazionale di assistenza e previdenza forense.

4. Entro il mese di marzo di ogni anno il consiglio dell'ordine trasmette per via telematica al CNF gli albi e gli elenchi di cui è custode, aggiornati al 31 dicembre dell'anno precedente.

5. Entro il mese di giugno di ogni anno il CNF redige, sulla base dei dati ricevuti dai consigli dell'ordine, l'elenco nazionale degli avvocati, aggiornato al 31 dicembre dell'anno precedente.

6. Le modalità di trasmissione degli albi e degli elenchi, nonché le modalità di redazione e pubblicazione dell'elenco nazionale degli avvocati sono determinate dal CNF.

 

L’articolo 14 è dedicato alla tenuta di albi, elenchi e registri da parte dei Consigli dell'ordine.

 

Si ricorda che attualmente, in base all’art. 16 della legge professionale (R.D.L. n. 1578 del 1933), rivista recentemente dal D.L. n. 112 del 2008, per ogni Tribunale è costituito un albo di avvocati nel quale è indicato, oltre al codice fiscale del professionista anche l’indirizzo di posta elettronica certificata. Tali dati, aggiornati con cadenza giornaliera, sono resi disponibili per via telematica al CNF e al Ministero della giustizia nelle forme previste dalle regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Il Consiglio dell'ordine degli avvocati procede al principio di ogni anno alla revisione degli albi ed alle occorrenti variazioni, osservate per le cancellazioni le relative norme. La cancellazione è sempre ordinata qualora la revisione accerti il difetto dei titoli e requisiti in base ai quali fu disposta l'iscrizione, salvo che questa non sia stata eseguita o conservata per effetto di una decisione giurisdizionale concernente i titoli o i requisiti predetti.

A decorrere dalla data fissata dal Ministro della giustizia con decreto emesso sentiti i Consigli dell'Ordine, gli albi riveduti debbono essere comunicati per via telematica, a cura del Consiglio, al Ministero della giustizia nelle forme previste dalle regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile.

Il Consiglio dell'ordine, inoltre, mantiene aggiornato il registro dei praticanti, annotandovi coloro che sono ammessi all'esercizio del patrocinio.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che presso ciascun Consiglio sono tenuti:

§      l’albo ordinario di coloro che esercitano la professione forense. Per coloro che esercitano la professione in forma collettiva, nell’albo dovranno essere indicate le associazioni o le società di appartenenza;

§      l’elenco speciale degli avvocati dipendenti da enti pubblici;

§      gli elenchi degli avvocati specialisti (v. sopra art. 8);

§      l’elenco speciale dei docenti e ricercatori universitari a tempo pieno. L’art. 18, comma 2, del disegno di legge consente infatti ai docenti e ricercatori universitari a tempo pieno di esercitare l'attività professionale nei limiti consentiti dall'ordinamento universitario;

§      l’elenco degli avvocati sospesi dall’esercizio professionale, con l’indicazione della causa della sospensione stessa, e l’elenco degli avvocati cancellati a causa del mancato esercizio continuativo della professione;

§      l’elenco degli avvocati radiati dall’ordine;

§      il registro dei praticanti con allegato l’elenco di coloro che sono stati abilitati al patrocinio;

§      il registro degli avvocati stabiliti, che abbiano il domicilio professionale nel circondario (ovvero dei cittadini degli Stati membri in possesso del titolo professionale che, ai sensi dell’articolo 6 del d.lgs. n. 96 del 2001, sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell'albo costituito nella circoscrizione del tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale);

§      l’elenco delle associazioni e delle società comprendenti avvocati tra i soci, con l’indicazione di tutti i partecipanti, anche se non avvocati;

§      l’elenco degli avvocati che, pur esercitando la professione abitualmente in altro circondario, hanno comunque stabilito un ufficio anche nel circondario di competenza del Consiglio dell’ordine di cui trattasi;

§      ogni altro albo o registro previsto dalla legge o da un regolamento.

 

Si ricorda inoltre che, in base all’articolo 6, comma 2, del progetto di legge, gli ordini professionali devono pubblicare l’elenco degli indirizzi di posta elettronica comunicati dagli avvocati iscritti ai sensi dell'articolo 16, comma 7, del d.l. 185/2008[7] (L. 2/2009), anche al fine di consentire notifiche di atti e comunicazioni per via telematica da parte degli uffici giudiziari.

 

Spetterà ad un regolamento del Ministro della giustizia – sentito il CNF - disciplinare la tenuta e l’aggiornamento di tutti questi albi ed elenchi, definire le modalità di iscrizione e di trasferimento nonché i casi di cancellazione e le relative impugnazioni dei provvedimenti assunti in materia dai Consigli dell’ordine (comma 2).

 

Si tratta ad ogni modo di elenchi pubblici, che dovranno essere pubblicati sul sito internet dell’ordine e, con cadenza biennale, stampati e inviati (comma 3):

-       al Ministro della giustizia;

-       ai presidenti di tutte le Corti d’appello ed ai procuratori della Repubblica presso le medesime Corti;

-       ai presidenti dei Tribunali del distretto, ai procuratori della Repubblica presso i tribunali e ai procuratori generali presso le Corti d’appello.

In merito alla formulazione di tale parte del comma 3, si rileva che non è previsto un obbligo di invio nei confronti della magistratura amministrativa e contabile. Si segnala inoltre che l’invio deve avvenire, relativamente ai tribunali, solo nei confronti dei presidenti dei tribunali del distretto di Corte d’appello; con riferimento invece ai procuratori della Repubblica genericamente nei confronti di tutti i tribunali. Sul punto sarebbe opportuno un chiarimento.

 

-       al CNF. Peraltro, il comma 4 aggiunge che entro il marzo di ogni anno il Consiglio dell’ordine deve trasmettere per via telematica al CNF tutti gli albi o elenchi di cui è custode, aggiornati al 31 dicembre dell’anno precedente; ciò consentirà al Consiglio nazionale, ogni anno entro il mese di giugno, di redigere l’elenco nazionale degli avvocati (comma 5);

-       a tutti gli altri consigli dell’ordine del distretto di Corte d’appello;

-       alla Cassa nazionale di previdenza.

 

Spetterà al CNF definire le modalità di trasmissione degli albi e degli elenchi, nonché le modalità di redazione e pubblicazione dell'elenco nazionale degli avvocati (comma 6).


Articolo 15
(Modifiche all'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in materia di elenchi e tabelle dei difensori d'ufficio)

1. Il comma 1 dell'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, di seguito denominate «decreto legislativo n. 271 del 1989» è sostituito dal seguente:

«1. Il Consiglio dell'ordine forense predispone e aggiorna annualmente l'elenco alfabetico degli iscritti disponibili ad assumere le difese d'ufficio di cui all'articolo 97 del codice in modo tale che il numero degli iscritti garantisca le esigenze degli uffici giudiziari».

2. Il comma 1-bis dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 271 del 1989 è sostituito dal seguente:

«1-bis. Per l'iscrizione nell'elenco dei difensori di ufficio di cui al comma 1 è necessario essere iscritti nell'elenco degli avvocati specialisti in diritto penale e non aver riportato sanzioni disciplinari superiori all'avvertimento nei cinque anni precedenti la richiesta di iscrizione. L'irrogazione di una sanzione disciplinare comporta l'esclusione dall'elenco dei difensori di ufficio».

3. Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano a decorrere dal quarto anno successivo all'entrata in vigore della presente legge.

 

L’articolo 15 novella le disposizioni di attuazione e coordinamento del codice di procedura penale in tema di elenco dei difensori d’ufficio.

 

Si ricorda che se l'imputato non nomina un difensore di fiducia o, dopo averlo nominato, ne resta privo per qualsiasi causa, viene assistito da un difensore d'ufficio, designato sulla base di elenchi prestabiliti e di turni determinati secondo tabelle, che vengono predisposti dal Consiglio dell'Ordine forense del circondario, d'intesa con il presidente del tribunale (art. 97 c.p.p.).

Negli elenchi dei difensori d'ufficio possono essere iscritti i professionisti che dimostrino di aver esercitato la professione in sede penale per almeno due anni o che abbiano ottenuto l'attestazione di idoneità dall'ordine forense di appartenenza (legge 6 marzo 2001, n. 60).

La nomina del difensore d'ufficio, sulla scorta degli elenchi e delle tabelle, è fatta dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero o dal giudice, a seconda di chi deve compiere un atto delle indagini preliminari o processuale, che richieda la presenza del difensore (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, artt. 28 e 29).

Il difensore d'ufficio ha gli stessi diritti e obblighi del difensore di fiducia e deve esercitare il patrocinio con i medesimi criteri di diligenza, di perizia e di lealtà prescritti per il difensore di fiducia. Il difensore d'ufficio ha l'obbligo di prestare il patrocinio e può essere sostituito soltanto per giustificato motivo; cessa dalle sue funzioni non appena viene nominato un difensore di fiducia; ha diritto alla retribuzione per l'opera prestata a carico della parte che ne ha fruito, salvo quando questa sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 74-145), nel qual caso la retribuzione è posta a carico dell'erario.

 

 

Normativa vigente

A.C. 3900

Articolo 29
Elenchi e tabelle dei difensori di ufficio

1. Il consiglio dell'ordine forense predispone e aggiorna almeno ogni tre mesi l'elenco alfabetico degli iscritti negli albi disponibili ad assumere le difese di ufficio.

1. Il Consiglio dell'ordine forense predispone e aggiorna annualmente l'elenco alfabetico degli iscritti disponibili ad assumere le difese d'ufficio di cui all'articolo 97 del codice in modo tale che il numero degli iscritti garantisca le esigenze degli uffici giudiziari.

1-bis. Per l'iscrizione nell'elenco di cui all'articolo 97 del codice, è necessario il conseguimento di attestazione di idoneità rilasciata dall'ordine forense di appartenenza al termine della frequenza di corsi di aggiornamento professionale organizzati dagli ordini medesimi o, ove costituita, dalla camera penale territoriale ovvero dall'unione delle camere penali. I difensori possono, tuttavia, essere iscritti nell'elenco, a prescindere dal requisito di cui al periodo precedente, dimostrando di aver esercitato la professione in sede penale per almeno due anni, mediante la produzione di idonea documentazione.

1-bis. Per l'iscrizione nell'elenco dei difensori di ufficio di cui al comma 1 è necessario essere iscritti nell'elenco degli avvocati specialisti in diritto penale e non aver riportato sanzioni disciplinari superiori all'avvertimento nei cinque anni precedenti la richiesta di iscrizione. L'irrogazione di una sanzione disciplinare comporta l'esclusione dall'elenco dei difensori di ufficio.

2-7. Omissis

2-7. Identico.

 

Il disegno di legge novella l’art. 29 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale disponendo che:

-       l’elenco alfabetico degli avvocati disponibili alla difesa d’ufficio sia aggiornato ogni anno (in luogo dell’attuale cadenza trimestrale);

-       il consiglio dell’ordine debba impegnarsi affinché il numero degli iscritti nell’elenco sia congruo a garantire le esigenze degli uffici giudiziari;

-       possano iscriversi nell’elenco solo gli avvocati specialisti in diritto penale che – nei 5 anni precedenti all’iscrizione - non abbiano riportato sanzioni disciplinari superiori all’avvertimento;

-       laddove sia irrogata una qualsiasi sanzione disciplinare l’avvocato già iscritto debba essere cancellato dall’elenco.

 


Articolo 16
(Iscrizione e cancellazione)

1. Costituiscono requisiti per l'iscrizione all'albo:

a) essere cittadino italiano o di Stato appartenente all'Unione europea, salvo quanto previsto dal comma 2 per gli stranieri cittadini di uno Stato non appartenente all'Unione europea;

b) avere superato l'esame di abilitazione;

c) avere il domicilio professionale nel circondario del tribunale ove ha sede il consiglio dell'ordine;

d) godere del pieno esercizio dei diritti civili;

e) non trovarsi in una delle condizioni di incompatibilità di cui all'articolo 17;

f) non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive;

g) essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense.

2. L'iscrizione all'albo per gli stranieri privi della cittadinanza italiana o della cittadinanza di altro Stato appartenente all'Unione europea è consentita esclusivamente nelle seguenti ipotesi:

a) allo straniero che ha conseguito il diploma di laurea in giurisprudenza presso un'università italiana e ha superato l'esame di Stato, o che ha conseguito il titolo di avvocato in uno Stato membro dell'Unione europea ai sensi della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, previa documentazione al consiglio dell'ordine degli specifici visti di ingresso e permessi di soggiorno di cui all'articolo 47 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394;

b) allo straniero regolarmente soggiornante in possesso di un titolo abilitante conseguito in uno Stato non appartenente all'Unione europea, nei limiti delle quote definite a norma dell'articolo 3, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, previa documentazione del riconoscimento del titolo abilitativo rilasciato dal Ministero della giustizia e del certificato del CNF di attestazione di superamento della prova attitudinale.

3. L'accertamento dei requisiti è compiuto dal consiglio dell'ordine, osservate le norme dei procedimenti disciplinari, in quanto applicabili.

4. L'iscrizione nella sezione speciale dell'albo ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, può essere subordinata dal consiglio dell'ordine alla presentazione di apposita documentazione comprovante l'esercizio della professione nel Paese di origine per un congruo periodo di tempo.

5. Per l'iscrizione nel registro dei praticanti occorre il possesso dei requisiti di cui alle lettere a), c), d), e), f) e g) del comma 1.

6. È consentita l'iscrizione ad un solo albo circondariale salva la possibilità di trasferimento.

7. La domanda di iscrizione è rivolta al consiglio dell'ordine del circondario nel quale il richiedente intende stabilire il proprio domicilio professionale e deve essere corredata dai documenti comprovanti il possesso di tutti i requisiti richiesti.

8. Il consiglio, accertata la sussistenza dei requisiti e delle condizioni prescritti, provvede alla iscrizione entro il termine di tre mesi dalla presentazione della domanda. Il rigetto della domanda può essere deliberato solo dopo aver sentito il richiedente nei modi e nei termini di cui al comma 13. La deliberazione deve essere motivata ed è notificata in copia integrale entro quindici giorni all'interessato. Costui può presentare entro venti giorni dalla notificazione ricorso al CNF. Qualora il consiglio non abbia provveduto sulla domanda nel termine di tre mesi di cui al primo periodo, l'interessato può entro dieci giorni dalla scadenza di tale termine presentare ricorso al CNF, che decide sul merito dell'iscrizione. Il provvedimento del CNF è immediatamente esecutivo.

9. Gli iscritti ad albi, elenchi e registri devono comunicare al consiglio dell'ordine ogni variazione dei dati di iscrizione con la massima sollecitudine.

10. La cancellazione dagli albi, elenchi e registri è pronunciata dal consiglio dell'ordine a richiesta dell'iscritto, quando questi rinunci all'iscrizione, ovvero d'ufficio o su richiesta del procuratore generale:

a) quando viene meno uno dei requisiti indicati nel presente articolo;

b) quando l'iscritto non abbia prestato l'impegno solenne di cui all'articolo 7 senza giustificato motivo entro sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento di iscrizione;

c) quando viene accertata la mancanza del requisito dell'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione ai sensi dell'articolo 20;

d) per gli avvocati dipendenti di enti pubblici, di cui all'articolo 22, quando sia cessata l'appartenenza all'ufficio legale dell'ente, salva la possibilità di iscrizione all'albo ordinario, sulla base di apposita richiesta.

11. La cancellazione dal registro dei praticanti e dall'elenco allegato dei praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo è deliberata, osservata la procedura prevista nei commi 13, 14 e 15, nei casi seguenti:

a) se il tirocinio è stato interrotto senza giustificato motivo per oltre un anno. L'interruzione è in ogni caso giustificata per accertati motivi di salute e quando ricorrono le condizioni per l'applicazione delle disposizioni in materia di maternità e di paternità oltre che di adozione;

b) dopo il rilascio del certificato di compiuta pratica, che non può essere richiesto trascorsi sei anni dall'inizio, per la prima volta, della pratica. L'iscrizione può tuttavia permanere per tutto il tempo per cui è stata chiesta o poteva essere chiesta l'abilitazione al patrocinio sostitutivo;

c) nei casi previsti per la cancellazione dall'albo ordinario, in quanto compatibili.

12. Gli effetti della cancellazione dal registro si hanno:

a) dalla data della delibera, per i casi di cui al comma 11;

b) automaticamente, alla scadenza del termine per l'abilitazione al patrocinio sostitutivo.

13. Nei casi in cui sia rilevata la mancanza di uno dei requisiti necessari per l'iscrizione, il consiglio, prima di deliberare la cancellazione, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento invita l'iscritto a presentare eventuali osservazioni entro un termine non inferiore a trenta giorni dal ricevimento di tale raccomandata. L'iscritto può chiedere di essere ascoltato personalmente.

14. Le deliberazioni del consiglio dell'ordine in materia di cancellazione sono notificate, entro quindici giorni, all'interessato.

15. L'interessato può presentare ricorso al CNF nel termine di trenta giorni dalla notificazione. Il ricorso proposto dall'interessato ha effetto sospensivo.

16. L'avvocato cancellato dall'albo ai sensi del presente articolo ha il diritto di esservi nuovamente iscritto qualora dimostri la cessazione dei fatti che hanno determinato la cancellazione e l'effettiva sussistenza dei titoli in base ai quali fu originariamente iscritto e sia in possesso dei requisiti di cui alle lettere da b) a f) del comma 1. Per le reiscrizioni sono applicabili le disposizioni dei commi da 1 a 8.

17. Non si può pronunciare la cancellazione quando sia in corso un procedimento disciplinare, salvo quanto previsto dall'articolo 59.

18. L'avvocato riammesso nell'albo ai termini del comma 16 è anche reiscritto nell'albo speciale di cui all'articolo 21 se ne sia stato cancellato in seguito alla cancellazione dall'albo ordinario.

19. Qualora il consiglio abbia rigettato la domanda oppure abbia disposto per qualsiasi motivo la cancellazione, l'interessato può proporre ricorso al CNF ai sensi dell'articolo 56. Il ricorso contro la cancellazione ha effetto sospensivo e il CNF può provvedere in via sostitutiva.

20. Divenuta esecutiva la pronuncia, il consiglio dell'ordine comunica immediatamente al CNF e a tutti i consigli degli ordini territoriali la cancellazione.

 

 

L’articolo 16 disciplina l’iscrizione (commi 1-9) e la cancellazione (commi 10-20) dall’albo degli avvocati.

 

Normativa vigente: iscrizione all’albo degli avvocati

Attualmente, l'art. 17 del regio decreto-legge 1578/1933, prevede che per l'iscrizione nell'albo dei procuratori è necessario:

§         essere cittadino italiano;

§         godere il pieno esercizio dei diritti civili;

§         essere di condotta specchiatissima ed illibata;

§         essere in possesso della laurea in giurisprudenza conferita o confermata in una università della Repubblica;

§         avere compiuto lodevolmente e proficuamente un periodo di pratica, frequentando lo studio di un procuratore ed assistendo alle udienze civili e penali della Corte d'appello o del Tribunale almeno per due anni consecutivi, posteriormente alla laurea;

§         essere riuscito vincitore dell’esame di Stato;

§         avere la residenza o il proprio domicilio professionale nella circoscrizione del tribunale nel cui albo l'iscrizione è domandata.

Non possono conseguire l'iscrizione nell'albo o nel registro dei praticanti coloro che abbiano riportato una delle condanne o delle pene accessorie o si trovino sottoposti ad una delle misure di sicurezza che (a norma dell'art. 42) darebbero luogo alla radiazione dall'albo e coloro che abbiano svolto una pubblica attività contraria agli interessi della Nazione. In particolare, l’art. 42 prevede la radiazione in caso di:

§         interdizione perpetua dai pubblici uffici o dall’esercizio della professione;

§         condanna per uno dei seguenti reati: falsa testimonianza (art. 372 c.p.), falsa perizia o interpretazione (art. 373 c.p.), frode processuale (art. 374 c.p.), intralcio alla giustizia (art. 377 c.p.), patrocinio o consulenza infedele (art. 380 c.p.) o altre infedeltà del patrocinatore (art. 381 c.p.).

 

Il comma 1 individua i requisiti per l’iscrizione all’albo degli avvocati. Alcuni di questi hanno carattere soggettivo e attengono alla persona dell’aspirante avvocato che:

§      deve essere cittadino italiano o di uno Stato appartenente all’Unione europea (lettera a). Per gli stranieri si vedano i commi 2 e 4;

§      deve godere del pieno esercizio dei diritti civili (lettera d);

§      deve tenere una condotta irreprensibile in base ai canoni del codice deontologico (lettera g);

§      non deve trovarsi in una condizione di incompatibilità (v. infra, articolo 17) con l’esercizio della professione (lettera e);

§      non deve essere sottoposto a pene detentiva, a misura cautelare o a misura interdittiva (lettera f);

 

Si ricorda che sono pene detentive l’arresto, la reclusione e l’ergastolo; le misure cautelari sono provvedimenti del procedimento penale che incidono sulla libertà della persona (misure cautelari personali) o sui suoi beni (misure cautelari patrimoniali); le misure personali si distinguono a loro volta in coercitive e interdittive. Le prime (artt. 280-286 c.p.p.) comportano la privazione o la limitazione della libertà della persona (divieto di espatrio, obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria in giorni e ore fisse, divieto e obbligo di dimora, arresti domiciliari, custodia cautelare in carcere, custodia cautelare in un luogo di cura), mentre quelle interdittive (artt. 287-290 c.p.p.) comportano la perdita o la limitazione dell'esercizio di alcuni diritti o di alcune funzioni (sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori, sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio e divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali o professionali).

 

Si rileva che il comma 1, lett. f), prende distintamente in considerazione le misure interdittive rispetto alle misure cautelari. Sarebbe opportuno un chiarimento circa la portata della disposizione e, in particolare, circa la sua riferibilità alle pene accessorie (in particolare, all’interdizione dai pubblici uffici, da una professione o da un’arte, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese). Si segnala, inoltre, che la disposizione non fa alcun espresso riferimento alle misure di prevenzione.

 

Ulteriori requisiti attengono alle capacità professionali dell’aspirante avvocato – accertate attraverso il superamento dell’esame di abilitazione (lettera b) – e al suo domicilio professionale (lettera c) che, come già disposto dall’art. 6 del disegno di legge (v. sopra), deve situarsi nel circondario del tribunale ove ha sede il consiglio dell'ordine.

 

Il comma 2 consente l’iscrizione all’albo degli extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia nelle seguenti ipotesi:

-       se lo straniero si è laureato in giurisprudenza in Italia e ha superato l’esame di Stato;

-       se lo straniero ha già conseguito il titolo di avvocato in uno Stato membro dell’UE;

-       se lo straniero, oltre ad aver conseguito in uno Stato extracomunitario un titolo abilitante all’esercizio della professione che sia stato riconosciuto dal Ministero della giustizia, ha anche superato la prova attitudinale richiesta dal CNF e sono rispettati i limiti delle quote definite dal c.d. decreto-flussi.

 

L’articolo 3, comma 4, del TU immigrazione stabilisce che annualmente un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri definisca, entro il termine del 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto, sulla base dei criteri generali individuati nel documento programmatico, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo. I visti di ingresso ed i permessi di soggiorno sono rilasciati entro il limite delle quote predette.

 

Il rispetto dei requisiti per l’iscrizione all’albo deve essere verificato dal consiglio dell’ordine (comma 3).

 

Il comma 4 prevede che al fine dell’iscrizione dell’avvocato comunitario nell’albo speciale il consiglio dell’ordine possa richiedere come ulteriore requisito una documentazione comprovante l’esercizio della professione nel paese di origine per un congruo periodo di tempo.

 

Occorre valutare la compatibilità con la direttiva 98/5/CE della facoltà attribuita ai consigli dell’ordine di subordinare l’iscrizione alla sezione speciale dell’albo da parte dell’avvocato di un altro Stato membro all’esercizio della professione nel Paese d’origine per un congruo periodo di tempo.

 

Si ricorda, infatti, che in base all’art. 6 del decreto legislativo n. 96 del 2001[8], attuativo della medesima direttiva, per l'esercizio permanente in Italia della professione di avvocato, i cittadini degli Stati membri in possesso di un titolo abilitante sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell'albo costituito nella circoscrizione del tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale, nel rispetto della normativa relativa agli obblighi previdenziali. In base al comma 2 dell’articolo 6, l'iscrizione nella sezione speciale dell'albo è subordinata alla iscrizione dell'istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine.

In proposito, si ricorda che l’articolo 3, comma 2, della direttiva 98/5/CE prevede che l'autorità competente dello Stato membro ospitante procede all'iscrizione dell'avvocato su presentazione del documento attestante l'iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine e che essa può esigere che l'attestato dell'autorità competente dello Stato membro di origine non sia stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione.

 

 

Il comma 5 stabilisce che i requisiti per l’iscrizione all’albo richiesti dal comma 1 – escluso ovviamente l’aver superato l’esame di abilitazione - devono sussistere anche per l’iscrizione nel registro dei praticanti avvocati.

 

Il comma 6 precisa che l’avvocato può chiedere l’iscrizione in un solo albo circondariale[9]; peraltro, già l’articolo 6 del progetto di legge (v. sopra) ha chiarito che laddove l’avvocato abbia uffici in circondari diversi, dovrà iscriversi nell’albo del circondario del domicilio professionale nonché registrarsi anche negli elenchi a tal fine previsti nei diversi consigli dell’ordine competenti per territorio.

 

I commi 7 e 8 disciplinano il procedimento per l’iscrizione all’albo.

 

In base all’art. 31 della legge professionale, la domanda per l'iscrizione all'albo degli avvocati è rivolta al Consiglio dell'ordine degli avvocati nella cui circoscrizione il richiedente ha la residenza, e deve essere corredata dei documenti comprovanti i requisiti stabiliti dalla legge.

Il Consiglio, entro 3 mesi dalla presentazione della domanda, deve accertare la sussistenza delle condizioni richieste e, sempre che non sussistano motivi di incompatibilità[10], ordinare l'iscrizione. Se trascorsi i 3 mesi previsti il Consiglio non ha provveduto sulla domanda, l'interessato può nei 10 giorni successivi alla scadenza del termine, presentare ricorso al CNF, che decide sul merito dell'iscrizione.

Il rigetto della domanda per motivi di incompatibilità o di condotta non può essere pronunciato se non dopo avere sentito il richiedente. Ad ogni modo la deliberazione deve essere motivata e notificata entro 15 giorni all'interessato e al PM, al quale sono trasmessi altresì i documenti giustificativi. Nei 10 giorni successivi il PM riferisce con parere motivato al Procuratore generale presso la Corte d'appello. Quest'ultimo e l'interessato possono presentare, entro 20 giorni dalla notificazione, ricorso al CNF; solo il ricorso del Pubblico Ministero ha effetto sospensivo.

 

Il progetto di legge elimina ogni intervento del pubblico ministero; la questione dunque dell’iscrizione all’albo viene risolta dal Consiglio adito ed eventualmente dal Consiglio nazionale forense.

Il particolare, la domanda di iscrizione deve essere corredata dai documenti comprovanti il possesso dei requisiti richiesti (comma 7); spetta poi al Consiglio adito (quello nel quale il richiedente intende stabilire il domicilio professionale):

§      accertare la sussistenza dei requisiti prescritti;

§      provvedere all’iscrizione entro 3 mesi dalla presentazione della domanda. Non innovando rispetto alla disciplina vigente, il progetto di legge prevede che in caso di violazione di questo termine, l’aspirante avvocato possa entro 10 giorni ricorrere al CNF, che decide sul merito dell'iscrizione, con provvedimento immediatamente esecutivo.

Laddove sussistano motivi per respingere la domanda stessa, il Consiglio dovrà comunque garantire all’istante il rispetto del contraddittorio con le modalità definite dal comma 13 (v. infra); la deliberazione di rigetto dovrà essere motivata e notificata entro 15 giorni all’interessato che potrà, nei successivi 20 giorni presentare ricorso al CNF (comma 8).

 

Il comma 9 dispone infine che coloro che ottengono l’iscrizione nell’albo, negli elenchi o nel registro, debbano tempestivamente comunicare al consiglio dell'ordine ogni variazione dei dati di iscrizione.

 

I commi da 10 a 20 dell’articolo in commento disciplinano la cancellazione dall’albo degli avvocati.

 

Normativa vigente: cancellazione dall’albo degli avvocati

Attualmente, ai sensi dell'art. 37 del regio decreto-legge 1578/1933, la cancellazione avviene nei seguenti casi.

1) nei casi di incompatibilità;

2) quando sia venuto a mancare uno dei requisiti indicati nei numeri 1° (cittadinanza italiana) e 2° (godimento dei diritti civili) dell'art. 17, salvi i casi di radiazione;

3) quando il procuratore non osservi l'obbligo della residenza;

4) quando l'avvocato trasferisca la sua residenza fuori della circoscrizione del Tribunale presso cui è iscritto;

5) quando l'iscritto non abbia prestato giuramento senza giustificato motivo entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento di iscrizione;

6) quando l'iscritto rinunci all'iscrizione.

 

In particolare, il comma 10 prevede che la cancellazione possa avvenire, oltre che a richiesta dell'interessato, anche d’ufficio o su richiesta del procuratore generale nei seguenti casi:

§      viene meno uno dei requisiti per l'iscrizione;

§      l’interessato non ha assunto l’impegno solenne di cui all’art. 7 (v. sopra) entro 60 giorni dalla notificazione del provvedimento di iscrizione;

§      viene accertata la mancanza del requisito dell’esercizio continuativo della professione (prescritto dall’art. 20, v. infra);

§      per gli avvocati dipendenti di enti pubblici è cessata l’appartenenza all’ufficio legale dell’ente (cfr. infra, art. 22). La disposizione in questo caso fa salva la possibilità di iscrizione all’albo ordinario, sulla base di apposita richiesta; tale norma tuttavia va coordinata con l’incompatibilità della professione di avvocato con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario limitato (cfr. art. 17, su cui infra).

 

I commi 11 e 12 dispongono invece in ordine alla cancellazione dal registro dei praticanti e dei praticanti abilitati al patrocinio, prevedendo che possa avvenire (comma 11):

§      nelle ipotesi previste per la cancellazione dall’albo degli avvocati, laddove compatibili (lett. c);

§      in caso di interruzione ingiustificata del tirocinio per oltre un anno (lett. a). La riforma giustifica l’interruzione imputabile a motivi di salute (accertati) ovvero a maternità o paternità (comprese le ipotesi di adozione);

§      dopo il rilascio del certificato di compiuta pratica, a meno che non sia stata chiesta (o possa essere chiesta) l’abilitazione al patrocinio sostitutivo. La disposizione esclude che il certificato di compiuto tirocinio, di cui si occupa l’articolo 43 della riforma (v. infra) possa essere richiesto se sono trascorsi 6 anni dall'inizio, per la prima volta, della pratica.

 

Ai sensi del comma 12, gli effetti della cancellazione dal registro dei praticanti decorrono dalla data della delibera del consiglio dell’ordine ovvero dalla scadenza del termine per l’abilitazione al patrocinio sostitutivo.

 

I commi da 13 a 15, 17 e 20, disciplinano il procedimento per la cancellazione, nei seguenti termini:

§      anzitutto, la cancellazione non può essere pronunciata se è in corso un procedimento disciplinare, salva l’ipotesi in cui sia lo stesso avvocato o praticante soggetto a procedimento disciplinare a chiedere di essere cancellato, ai sensi dell’articolo 59 del disegno di legge (comma 17);

§      il Consiglio, se rileva una causa di cancellazione, invita l’iscritto con raccomandata con ricevuta di ritorno a presentare eventuali osservazioni entro 30 giorni. L’interessato può chiedere di essere sentito personalmente (comma 13);

§      se il Consiglio delibera la cancellazione deve notificare la decisione entro 15 giorni, all’interessato (comma 14);

§      l’interessato ha 30 giorni di tempo per presentare ricorso al CNF; il ricorso ha effetto sospensivo (comma 15);

§      se la deliberazione diviene esecutiva, il Consiglio dell’ordine comunica al CNF e a tutti i consigli degli ordini territoriali l’avvenuta cancellazione (comma 20).

 

I commi 16, 18 e 19 disciplinano infine il procedimento di reiscrizione all’albo dell’avvocato cancellato, prevedendo che l’avvocato già cancellato dall’albo ha diritto alla reiscrizione se dimostra che i fatti che hanno determinato la cancellazione sono venuti meno e che possiede tutti i requisiti richiesti per l’iscrizione. Anche in questo caso se il consiglio dell’ordine rifiuta la reiscrizione egli potrà rivolgersi al CNF.


Articolo 17
(Incompatibilità)

1. La professione di avvocato è incompatibile:

a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale. È consentita l'iscrizione nell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell'elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili;

b) con l'esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui. È fatta salva la possibilità di assumere incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa;

c) con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l'esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L'incompatibilità non sussiste se l'oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all'amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico;

d) con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato.

 

L’articolo 17 disciplina le incompatibilità con l’esercizio della professione di avvocato.

 

Normativa vigente

Attualmente, ai sensi dell'art. 3 della legge professionale (R.D.L. n. 1578/1933), l'esercizio della professione di avvocato è incompatibile:

-        con l'esercizio della professione di notaio;

-        con l'esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui;

-        con la qualità di ministro del culto;

-        con la qualifica di giornalista professionista, di direttore di banca, di mediatore, di agente di cambio, di sensale, di ricevitore del lotto, di appaltatore di un pubblico servizio o di una pubblica fornitura, di esattore di pubblici tributi o di incaricato di gestioni esattoriali;

-        con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio presso amministrazioni pubbliche;

-        con ogni altro impiego retribuito che non abbia carattere scientifico o letterario.

Sono attualmente eccettuati dalla disposizione suddetta:

     a)  i professori e gli assistenti delle università e degli altri istituti superiori ed i professori degli istituti secondari dello Stato;

     b) gli avvocati degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso enti pubblici, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera (tali avvocati sono iscritti in un elenco speciale annesso all'albo).

 

Il disegno di legge – diversamente da quanto attualmente previsto dalla legge professionale – consente anche ai ministri di culto l’esercizio della professione forense.

Per quanto riguarda invece i lavoratori dipendenti, la riforma conferma la disciplina attuale negando (lett. d) l’iscrizione all’albo anche quando i lavoratori svolgono l’attività subordinata part-time (per gli insegnanti nelle scuole secondarie e i docenti universitari si veda il successivo art. 18; per gli avvocati di enti pubblici si veda l’art. 22 del disegno di legge).

 

Normativa vigente

Va ricordato che la legge 662/1996[11] (articolo 1, commi 56, 56-bis e 57) ha escluso l'applicabilità ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale e con prestazione lavorativa non superiore al 50%, delle vigenti disposizioni in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi recate dal testo unico sul pubblico impiego[12] (comma 56). La legge ha, inoltre, previsto l'abrogazione delle disposizioni che vietano l'iscrizione ad albi e l'esercizio di attività professionali per i predetti soggetti, ferme restando quelle in materia di requisiti per l'iscrizione ad albi professionali e per l'esercizio delle relative attività. Vi si specifica, peraltro, che ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale non possono essere conferiti incarichi professionali dalle amministrazioni pubbliche, e gli stessi non possono assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione (comma 56-bis). Il comma 57, infine, stabilisce che il rapporto di lavoro part-time può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quelle delle forze di polizia e del corpo nazionale dei vigili del fuoco (comma 57).

Per effetto del combinato disposto di tali disposizioni con l'articolo 3, secondo comma, della legge professionale del 1933, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro part-time e con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento non si applica il divieto di iscrizione ad albi e di esercizio di attività professionali.

Successivamente, per evitare effetti negativi per la professione forense (in particolare, dal punto di vista dell'indipendenza del difensore) è intervenuta la legge 25 novembre 2003, n. 339[13], che ha ripristinato i divieti e le incompatibilità previste dalla legge professionale degli avvocati sancendo la non applicabilità della disciplina della legge 662/1996 per l'iscrizione agli albi degli avvocati e dettando una specifica disciplina transitoria.

 

Con riferimento a tale profilo, si ricorda che la Corte di giustizia, con la sentenza sulla causa C-225/2009 dello scorso 2 dicembre, ha ritenuto legittima la disciplina italiana che prevede l’incompatibilità tra l’iscrizione all’albo degli avvocati e l’impiego, anche part-time, presso una pubblica amministrazione. Secondo la Corte, la normativa italiana non è contraria né alle norme del Trattato sulla libera concorrenza né alla direttiva 98/5/CE (recepita in Italia con il decreto legislativo n. 96 del 2001) sull’esercizio della professione in uno Stato diverso da quello in cui si è acquisita la qualifica.

 

Si rileva invece che nella sopra richiamata segnalazione al Parlamento , l’Autorità antitrust non riteneva “necessarie né proporzionali rispetto alla garanzia dell'autonomia degli avvocati o alla tutela dell'integrità del professionista le incompatibilità a svolgere altre attività di lavoro autonomo o dipendente, anche part-time”.

 

Per quanto riguarda il lavoro autonomo, l’articolo 17 del disegno di legge prevede l’incompatibilità per quelle attività svolte continuativamente o professionalmente che non abbiano carattere scientifico, letterario, artistico e culturale; consentendo invece l’iscrizione ai giornalisti pubblicisti, ai commercialisti ed ai revisori contabili (lett. a).

Se l’imprenditore commerciale non può iscriversi all’albo, l’avvocato iscritto può assumere incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa (lett. b).

Infine, per quanto riguarda le società, la professione forense è incompatibile con la qualità di socio illimitatamente responsabile, o di amministratore di società di persone esercenti attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, e con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione (lett. c).

L’articolo 17 dunque consente l’esercizio della professione se l'oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all'amministrazione di beni, personali o familiari e per gli enti e consorzi pubblici, nonché per le società a capitale interamente pubblico.

 

Nella sopra richiamata segnalazione al Parlamento, l'Autorità antitrust sottolinea “come non vi siano ragioni per precludere l’esercizio della professione nella forma delle società di capitali, ancor più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni, in modo tale da consentire ai professionisti italiani di poter rispondere adeguatamente alle sfide che saranno chiamati ad affrontare nel contesto europeo”.


Articolo 18
(Eccezioni alle norme sull'incompatibilità)

1. In deroga a quanto stabilito nell'articolo 17, l'esercizio della professione di avvocato è compatibile con l'insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nell'università e nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate.

2. I docenti e i ricercatori universitari a tempo pieno possono esercitare l'attività professionale nei limiti consentiti dall'ordinamento universitario. Per questo limitato esercizio professionale essi devono essere iscritti nell'elenco speciale, annesso all'albo ordinario.

3. È fatta salva l'iscrizione nell'elenco speciale per gli avvocati che esercitano attività legale per conto degli enti pubblici con le limitate facoltà disciplinate dall'articolo 22.

 

Il comma 1 consente – in deroga alle disposizioni dell’articolo 17, che vietano l’esercizio della professione ai lavoratori dipendenti – a docenti e ricercatori universitari in materie giuridiche, nonché ai professori di materie giuridiche delle scuole secondarie (pubbliche o private parificate) di svolgere anche la professione di avvocato.

Pertanto, rispetto alla disciplina vigente (si veda commento all’art. 17), per quanto riguarda professori e ricercatori si circoscrive l’ambito solo a quelli in materie giuridiche[14], mentre, per quanto riguarda le scuole secondarie, si passa dal riferimento alle “scuole dello Stato” al riferimento alle scuole secondarie pubbliche e private parificate.

 

Con riguardo a tale ultimo aspetto, si ricorda che la L. n. 62 del 2000[15]stabilisce che il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Le scuole private e degli enti locali – a domanda, e a condizione che sussistano determinati requisiti – sono riconosciute come scuole paritarie ed abilitate al rilascio di titoli di studio aventi valore legale.

In seguito, l’art. 1-bis del D.L. n. 250 del 2005[16] ha adeguato la disciplina delle scuole non statali recata dal D.lgs. n. 297/1994[17] alle disposizioni sulla parità scolastica introdotte dalla legge 62/2000, stabilendo che le diverse tipologie di scuole non statali previste dal citato decreto legislativo (parte II, titolo VIII, capi I, II e III), tra le quali le scuole parificate – ossia, ai sensi dell’art. 344 del D.lgs., quelle gestite da enti o associazioni aventi personalità giuridica e che siano riconosciute ad ogni effetto legale mediante apposita convenzione – sono state ricondotte alle due tipologie di scuole paritarie riconosciute e scuole non paritarie.

 

Alla luce della ricostruzione normativa, sembrerebbe opportuno sostituire l’espressione “scuole pubbliche e private parificate” con l’espressione “scuole statali e paritarie”. Inoltre, dopo la parola “secondarie” occorre aggiungere le parole “di secondo grado”.

 

Il comma 2 stabilisce, però, che docenti e ricercatori universitari a tempo pieno possono esercitare la professione nei limiti stabiliti dall’ordinamento universitario, previa iscrizione nell’elenco speciale annesso all’albo ordinario (di cui all’art. 14, comma 1, lett. d)).

 

L’art. 6, comma 9, della recente legge di riforma universitaria (L. n. 240 del 2010[18]) – intervenendo nell’ambito già disciplinato dall’art. 11 del DPR 382 del 1980[19]e dall’art. 1 del D.L. n. 57 del 1987 (L. 158/1987)[20]– stabilisce per docenti e ricercatori universitari l’incompatibilità del regime di tempo pieno con l’esercizio di attività libero-professionale.

Il comma 12 del medesimo articolo stabilisce, invece, che i professori e i ricercatori a tempo definito possono svolgere attività libero professionali e di lavoro autonomo anche continuative, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse rispetto all’ateneo di appartenenza[21].

 

Alla luce della ricostruzione normativa effettuata – che, come si è visto, consente l’esercizio di libere professioni solo ai professori e ai ricercatori universitari a tempo definito – occorre valutare la ratio del comma 2.

 

Il comma 3 fa salva l’iscrizione nell’elenco speciale per gli avvocati che esercitano attività legale per conto degli enti pubblici, rinviando all’art. 22 la regolamentazione dell’esercizio della professione da parte di tali soggetti.


Articolo 19
(Sospensione dall'esercizio professionale)

1. Sono sospesi dall'esercizio professionale durante il periodo della carica: l'avvocato eletto Presidente della Repubblica, Presidente del Senato della Repubblica, Presidente della Camera dei deputati; l'avvocato nominato Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Viceministro o Sottosegretario di Stato; l'avvocato eletto presidente di giunta regionale e presidente delle province autonome di Trento e di Bolzano; l'avvocato membro della Corte costituzionale o del Consiglio superiore della magistratura; l'avvocato eletto presidente di provincia con più di un milione di abitanti e sindaco di comune con più di 500.000 abitanti.

2. L'avvocato iscritto all'albo può chiedere la sospensione dall'esercizio professionale per giustificati motivi, pubblici o privati.

3. Della sospensione, prevista dai commi 1 e 2, è fatta annotazione nell'albo.

 

L’articolo 19 prevede alcune cause di sospensione dall'esercizio professionale.

In particolare, il comma 1 prevede una sospensione dall’esercizio professionale connessa ad una particolare carica che l’avvocato è chiamato a coprire, sospensione che opera per la durata della carica stessa. Si tratta della carica di:

§      Presidente della Repubblica;

§      Presidente del Senato;

§      Presidente della Camera;

§      Presidente del Consiglio dei ministri;

§      Ministro, viceministro o sottosegretario;

§      presidente della Regione o della Provincia autonoma;

§      presidente della Provincia con più di un milione di abitanti;

§      Sindaco del Comune con più di 500.000 abitanti;

§      membro della Corte costituzionale (si ricorda che già l’art. 135, sesto comma, della Costituzione afferma che «l’ufficio di giudice della Corte è incompatibile…con l’esercizio della professione forense»);

§      membro del Consiglio superiore della magistratura (si ricorda che già l’art. 104, settimo comma, della Costituzione afferma che i membri del CSM «non possono, finché sono in carica, essere iscritti in albi professionali…»).

 

Si ricorda che, in virtù del rinvio contenuto nell’articolo 10 (su cui sopra), tali soggetti sono esentati dall’obbligo di formazione continua.

 

In base al comma 2 dell’articolo 19, la sospensione può anche essere il frutto di una esplicita richiesta in tal senso dell’avvocato, che adduca motivi giustificati, pubblici o privati.

Ad ogni modo, ai sensi del comma 3, la sospensione è annotata nell’albo.

 


Articolo 20
(Esercizio effettivo e continuativo e revisione degli albi, degli elenchi e dei registri)

1. La permanenza dell'iscrizione all'albo è subordinata all'esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, salve le eccezioni previste anche in riferimento ai primi anni di esercizio professionale. Le modalità di accertamento dell'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, le eccezioni consentite e le modalità per la reiscrizione sono disciplinate con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite.

2. Il consiglio dell'ordine, con regolarità ogni tre anni, compie le verifiche necessarie anche mediante richiesta di informazione all'ente previdenziale.

3. Con la stessa periodicità, il consiglio dell'ordine esegue la revisione degli albi, degli elenchi e dei registri, per verificare se permangano i requisiti per la iscrizione, e provvede di conseguenza. Della revisione e dei suoi risultati è data notizia al CNF.

4. La mancanza della effettività, continuatività, abitualità e prevalenza dell'esercizio professionale comporta, se non sussistono giustificati motivi, la cancellazione dall'albo. La procedura deve prevedere il contraddittorio con l'interessato, che dovrà essere invitato a presentare osservazioni scritte e, se necessario o richiesto, anche l'audizione del medesimo in applicazione dei criteri di cui all'articolo 16, comma 13.

5. Qualora il consiglio dell'ordine non provveda alla verifica periodica dell'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente o compia la revisione con numerose e gravi omissioni, il CNF nomina uno o più commissari, scelti tra gli avvocati con più di venti anni di anzianità anche iscritti presso altri ordini, affinché provvedano in sostituzione. Ai commissari spetta il rimborso delle spese di viaggio e di soggiorno e una indennità giornaliera determinata dal CNF. Spese e indennità sono a carico del consiglio dell'ordine inadempiente.

6. La prova dell'effettività, continuità, abitualità e prevalenza non è richiesta durante il periodo della carica, per gli avvocati sospesi di diritto dall'esercizio professionale ai sensi dell'articolo 19, e per gli avvocati che svolgono funzioni di membro del Parlamento nazionale o del Parlamento europeo, di consigliere regionale, di membro di giunta regionale, di presidente di provincia, di membro di giunta provinciale, di sindaco di comune con più di 30.000 abitanti, di membro di giunta comunale di comune con più di 50.000 abitanti, nonché per gli avvocati che ricoprono un incarico pubblico o di rilievo sociale che il CNF giudica equivalente.

7. La prova dell'effettività, continuità, abitualità e prevalenza non è, in ogni caso, richiesta:

a) alle donne avvocato in maternità e nei primi due anni di vita del bambino o, in caso di adozione, nei successivi due anni dal momento dell'adozione stessa. L'esenzione si applica, altresì, agli avvocati vedovi o separati affidatari della prole in modo esclusivo;

b) agli avvocati che dimostrino di essere affetti o di essere stati affetti da malattia che ne ha ridotto grandemente la possibilità di lavoro in modo tale da non rientrare nel limite minimo di reddito imponibile.

 

L’articolo 20, con disposizione innovativa rispetto all’ordinamento vigente, richiede all’avvocato l’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, pena la cancellazione dall’albo.

Spetterà ad un regolamento di attuazione (da emanarsi nel rispetto delle procedure previste dall’art. 1, v. sopra) disciplinare le modalità di accertamento dell'esercizio della professione e le modalità per la reiscrizione (comma 1); il disegno di legge anticipa però che uno dei criteri che potrà essere tenuto in considerazione è quello dei versamenti alla Cassa di previdenza forense.

La verifica sull’esercizio della professione dovrà essere svolta ogni 3 anni dal consiglio dell’ordine (comma 2) che provvederà conseguentemente ad aggiornare gli albi, gli elenchi ed i registri, dandone poi comunicazione al CNF (comma 3). Se il consiglio dell’ordine omette tale verifica periodica ovvero la svolge in modo parziale sarà il CNF a nominare dei commissari (avvocati con più di 20 anni di anzianità, eventualmente anche iscritti in ordini territoriali diversi) che – sostituendosi ai colleghi – svolgano tali procedure e aggiornino gli albi a spese del consiglio inadempiente (comma 5).

L’esercizio della professione in modo non effettivo, non continuativo, non abituale e non prevalente comporta la cancellazione dell’avvocato dall’albo all’esito di una procedura che prevede il contraddittorio con l’interessato (comma 4). In particolare, attraverso il contraddittorio l’avvocato potrebbe dimostrare l’esistenza di giustificati motivi che impedivano l’esercizio effettivo e continuativo della professione.

Il disegno di legge esclude che si proceda alla cancellazione dall’albo nei confronti delle seguenti categorie di avvocati, sostanzialmente presumendo che si tratti di situazioni che di fatto impediscono (nei casi di cui all’art. 19, v. sopra) o ostacolano seriamente lo svolgimento della professione:

-       avvocato eletto Presidente della Repubblica;

-       avvocato nominato Presidente del Consiglio dei ministri, ministro, viceministro o sottosegretario;

-       avvocato deputato o senatore;

-       avvocato parlamentare europeo

-       avvocato presidente di regione o di provincia autonoma;

-       avvocato consigliere regionale o assessore regionale

-       avvocato presidente di provincia o assessore provinciale

-       avvocato eletto sindaco del Comune con più di 30.000 abitanti;

-       avvocato nominato assessore del Comune con più di 50.000 abitanti

-       avvocato nominato membro della Corte costituzionale;

-       avvocato eletto membro del Consiglio superiore della magistratura.

Peraltro, il comma 6 consente al CNF di individuare ulteriori ipotesi di incarico pubblico o comunque di rilievo sociale che, ostacolando l’esercizio della professione, esonera l’avvocato dalla prova dell’effettività, continuatività, abitualità e, soprattutto, prevalenza dell’esercizio della professione.

Infine, il comma 7 esclude la prova dell’esercizio della professione con le modalità richieste anche per:

§      le donne avvocato durante il periodo della maternità e nei primi 2 anni di vita del bambino (alla nascita è equiparata l’adozione);

§      gli uomini avvocato nei primi due anni di vita del bambino purché risultino affidatari della prole in modo esclusivo;

 

Si segnala che la disposizione, richiamando esclusivamente la situazione di vedovanza o separazione dell’avvocato cui è affidato il bambino, non copre tutte le ipotesi nelle quali il padre può essere affidatario della prole.

 

§      gli avvocati che dimostrino di essere affetti o di essere stati affetti da malattia che ne ha ridotto grandemente la possibilità di lavoro «in modo tale da non rientrare nel limite minimo di reddito imponibile».

 

Con riferimento a tale ultima ipotesi di esenzione, viene richiamato il criterio del «limite minimo di reddito imponibile»; la disposizione cui deroga tale previsione non contempla tuttavia espressamente il criterio del reddito ai fini dell’accertamento dell’esercizio della professione, ma piuttosto rinvia ad un regolamento attuativo.

 


Articolo 21
(Albo speciale per il patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori)

1. L'iscrizione nell'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori può essere richiesta al CNF da chi sia iscritto in un albo ordinario circondariale da almeno cinque anni e abbia superato l'esame disciplinato dalla legge 28 maggio 1936, n. 1003, e dal regio decreto 9 luglio 1936, n. 1482, al quale sono ammessi gli avvocati iscritti all'albo.

2. L'iscrizione può essere richiesta anche da chi, avendo maturato una anzianità di iscrizione all'albo di otto anni, successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell'avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF. Il regolamento può prevedere specifici criteri e modalità di selezione per l'accesso e per la verifica finale di idoneità. La verifica finale di idoneità è eseguita da una commissione d'esame designata dal CNF e composta da suoi membri, avvocati, professori universitari e magistrati addetti alla Corte di cassazione, con un esame incentrato prevalentemente sui settori professionali esercitati dal candidato.

3. Coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge sono iscritti nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori conservano l'iscrizione. Allo stesso modo possono chiedere l'iscrizione coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge abbiano maturato i requisiti per detta iscrizione secondo la previgente normativa.

4. All'articolo 4 della legge 28 maggio 1936, n. 1003, il quinto comma è sostituito dal seguente:

«Sono dichiarati idonei i candidati che conseguano una media di sette decimi nelle prove scritte e in quella orale avendo riportato non meno di sei decimi in ciascuna di esse».

 

L’articolo 21 disciplina il patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori.

 

Normativa vigente

Attualmente, l'art. 4, comma 2, della legge professionale (regio decreto-legge 1578/1933) prevede che davanti alla Corte di cassazione, al Consiglio di Stato, alla Corte dei conti in sede giurisdizionale e al Tribunale superiore delle acque pubbliche il patrocinio possa essere assunto soltanto dagli avvocati iscritti nell'albo speciale di cui all'art. 33 del medesimo provvedimento.

L’art. 33 subordina l’iscrizione all’albo speciale ai seguenti requisiti:

§       12 anni di iscrizione nell'albo ordinario (senza alcun ulteriore requisito), ai sensi dell'art. 4, comma 1, della legge 24 febbraio 1997, n. 27[22], ovvero

§       5 anni di iscrizione nell'albo ordinario e superamento di un esame, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3 della legge 28 maggio 1936, n. 1003[23] e dell'art. 4, comma 3, della legge n. 27/1997. La legge del 1936, all'art. 4, comma 5, ritiene idonei i candidati che conseguano una media di otto decimi nelle prove scritte ed in quella orale, avendo riportato non meno di sette decimi in ciascuna di esse.

Infine, ai sensi dell'art. 34 della legge professionale, possono essere iscritti nell'albo speciale, a condizione che siano iscritti in un albo degli avvocati, anche se non hanno materialmente esercitato la professione:

§       i professori universitari di ruolo di discipline giuridiche dopo quattro anni di insegnamento (termine così ridotto ad opera dell'art. 1, comma 2, della legge 1003/1936);

§       ex consiglieri di cassazione e di corte d'appello;

§       avvocato generale, vice-avvocato generale o avvocato distrettuale dello Stato, ecc.;

§       coloro che avendo conseguita l'abilitazione alla libera docenza e la definitiva conferma, abbiano esercitato per almeno otto anni un incarico di insegnamento.

 

In particolare, il progetto di legge consente il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori ai seguenti soggetti:

-      coloro che risultino già iscritti all’albo speciale, al momento dell’entrata in vigore della legge, ovvero che abbiano a tale data maturato i requisiti per l’iscrizione, fino a quel momento richiesti dalla normativa;

-      coloro che siano iscritti in un albo ordinario circondariale da almeno 5 anni ed abbiano superato l'esame già disciplinato dalla legge n. 1003 del 1936. Peraltro, l'esame diventa più semplice, in quanto si prevede che siano dichiarati idonei i candidati che, in ciascuna prova, abbiano ottenuto una votazione non inferiore a sei e una media, tra tutte le prove, non inferiore a sette (invece che media dell'otto e nessun voto inferiore al sette);

-      coloro che siano iscritti in un albo ordinario circondariale da almeno 8 anni ed abbiano «lodevolmente e proficuamente» frequentato la Scuola superiore dell'Avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento del CNF. Tale regolamento potrà prevedere specifici criteri e modalità di selezione per l’accesso e per la verifica finale di idoneità. La verifica finale di idoneità sarà eseguita da una commissione d’esame designata dal CNF e composta da suoi membri, avvocati, professori universitari e magistrati, con un esame incentrato prevalentemente sui settori professionali esercitati dal candidato.

La riforma, in sostanza elimina l’attuale automaticità dell’iscrizione all’albo speciale richiedendo o il superamento di un esame o la frequenza, valutata positivamente, della Scuola; essa inoltre non riproduce la previsione dell’iscrizione nell’albo speciale delle specifiche categorie di soggetti con i requisiti indicati dall’articolo 34 della legge professionale (tra i quali professori universitari e magistrati).

 


Articolo 22
(Avvocati degli enti pubblici)

1. Fatti salvi i diritti acquisiti alla data di entrata in vigore della presente legge, gli avvocati degli uffici legali specificamente istituiti presso gli enti pubblici, anche se trasformati in persone giuridiche di diritto privato, sino a quando siano partecipati prevalentemente da enti pubblici, ai quali venga assicurata la piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente ed un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta, sono iscritti in un elenco speciale annesso all'albo. L'iscrizione nell'elenco è obbligatoria per compiere le prestazioni indicate nell'articolo 2. Nel contratto di lavoro è garantita l'autonomia e l'indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica dell'avvocato.

2. Per l'iscrizione nell'elenco gli interessati presentano la deliberazione dell'ente dalla quale risulti la stabile costituzione di un ufficio legale con specifica attribuzione della trattazione degli affari legali dell'ente stesso e l'appartenenza a tale ufficio del professionista incaricato in forma esclusiva di tali funzioni; la responsabilità dell'ufficio è affidata ad un avvocato iscritto nell'elenco speciale che esercita i suoi poteri in conformità con i princìpi della legge professionale.

3. Gli avvocati iscritti nell'elenco sono sottoposti al potere disciplinare del consiglio dell'ordine.

 

L’articolo 22 disciplina lo status degli avvocati degli enti pubblici.

 

Normativa vigente

Attualmente, ai sensi dell'art. 3, comma quarto, lett. b), della legge professionale, sono iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo gli avvocati degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso enti pubblici, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera.

Come più volte affermato dalla Corte di cassazione (cfr., da ultimo, Sez. U., sent. n. 28049 del 25/11/2008), l’iscrizione nell’elenco speciale richiede il concorso di due presupposti:

a) deve esistere nell’ambito dell'ente pubblico un ufficio legale che costituisca un unità organica autonoma;

b) colui che chiede l’iscrizione - dipendente dell’ente ed in possesso del titolo di avvocato – deve far parte, in maniera stabile, dell’ufficio legale e deve essere incaricato di svolgervi tale attività professionale, limitatamente alle cause ed agli affari propri dell’ente, con sostanziale estraneità all'apparato amministrativo, in posizione di indipendenza da tutti i settori previsti in organico e con esclusione di ogni attività di gestione (cfr. anche Sez. U., sent. n. 5559 del 18-04-2002). Tale principio è stato da ultimo confermato dalle Sezioni unite (sent. n. 15 settembre 2010 n. 19547), che hanno precisato che l’iscrizione nell'elenco speciale richiede, quale presupposto imprescindibile la "esclusività" dell'espletamento, da parte degli stessi, dell'attività di assistenza, rappresentanza e difesa dell'ente pubblico e che tale esclusività deve essere accertata con riferimento ad una valutazione sostanziale della natura delle attività svolte dal dipendente e deve essere esclusa qualora accanto a compiti riconducibili all'attività di assistenza e rappresentanza e difesa dell'ente lo stesso svolga mansioni amministrative o comunque di natura diversa.

Laddove enti pubblici si siano trasformati in società per azioni (si pensi al caso di Ferrovie dello Stato), la Cassazione ha sostenuto che in presenza di una disposizione che per i dipendenti fa salvi "i diritti acquisiti, gli effetti speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell'ente di appartenenza", sussiste il diritto degli avvocati cosiddetti interni di mantenere l'iscrizione nell'elenco speciale dell'albo degli avvocati, con relativa facoltà di rappresentare e difendere in giudizio la società per azioni in cui l'ente pubblico s'è trasformato ed alle cui dipendenze ora si trovano (cfr. Sez. U. sent. n. 7985 del 03-06-2002).

 

La disposizione (comma 1) prevede l'iscrizione obbligatoria in un elenco speciale degli avvocati degli uffici legali specificatamente istituiti presso gli enti pubblici, anche se trasformati in società per azioni, sino a quando siano partecipati esclusivamente da enti pubblici; la disposizione, quali requisiti per l’iscrizione, precisa che tali avvocati debbano occuparsi, con autonomia e indipendenza da ogni altro ufficio, esclusivamente della trattazione degli affari legali dell’ente e che il loro trattamento economico sia adeguato alla funzione professionale svolta. A tali avvocati deve, inoltre, essere garantita dal contratto di lavoro l’autonomia e l’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica.

 

La disposizione fa salvi «i diritti acquisiti alla data di entrata in vigore della presente legge»; sembrerebbe opportuno un chiarimento sulla portata di tale clausola, sia con riferimento all’ipotesi di cessazione da parte dell’avvocato già iscritto alla data di entrata in vigore della legge dell’appartenenza all’ufficio legale dell’ente (si ricorda che l’articolo 16, comma 10, lett. d), prevede esplicitamente in tale ipotesi la cancellazione dall’elenco speciale) sia agli effetti su tale iscrizione di un’eventuale privatizzazione dell’ente.

 

Ai fini dell’iscrizione nell’elenco gli interessati presentano la deliberazione dell’ente dalla quale risulti la stabile costituzione di un ufficio legale con specifica ed esclusiva attribuzione della trattazione degli affari dell’ente stesso e l’appartenenza a tale ufficio del professionista incaricato in forma esclusiva di tali funzioni (comma 2).

Il comma 3 infine prevede il potere disciplinare del consiglio dell’ordine anche per gli avvocati iscritti nell’elenco speciale (comma 3).


Titolo III
ORGANI E FUNZIONI DEGLI ORDINI FORENSI

Capo I
L'ordine forense

Articolo 23
(L'Ordine forense)

1. Gli iscritti negli albi degli avvocati costituiscono l'ordine forense.

2. L'ordine forense si articola negli ordini circondariali e nel CNF.

3. Il CNF e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei princìpi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all'esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Essi sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, sono finanziati esclusivamente con i contributi degli iscritti, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge, e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministro della giustizia.

 

 

Il Titolo III del progetto di legge è dedicato agli organi e alle funzioni degli ordini forensi.

 

Normativa vigente

La materia degli organi e delle funzioni degli ordini forensi è attualmente disciplinata dal decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382, recante "Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali", che all'art. 18 prevede l'applicazione di tale disciplina (che riguardava in prima battuta altre professioni) anche alla professione di avvocato "fino a quando non si sarà provveduto alla riforma dell'ordinamento forense".

Si veda anche il decreto legislativo del Capo dello Stato 21 giugno 1946, n. 6, recante "Modificazioni agli ordinamenti professionali".

 

In particolare, l'articolo 23 disciplina l'ordine forense – costituito dall'insieme degli iscritti negli albi degli avvocati (comma 1) –prevedendo che esso si articoli nel CNF e negli ordini circondariali (comma 2).

In base al comma 3, tali articolazioni dell’ordine forense sono enti pubblici non economici a carattere associativo.

 

Tale definizione riprende quella contenuta nell’articolo 6 del d.lgs. 139/2005, relativo all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Come si è osservato nei primi commenti al progetto di riforma, in tal modo, da un lato, si è ritenuto di valorizzare l'autonomia degli ordini territoriali rispetto alla struttura nazionale, sia con l'esclusione di relazioni gerarchiche, sia optando per una definizione esplicitamente “associativa” di entrambe le entità (“enti pubblici non economici a carattere associativo”); dall’altro, si è valorizzato il substrato personalistico dell'ente: gli ordini sono sì enti pubblici, soggetti pertanto al principio di legalità, ma sono anche gli organismi esponenziali di una comunità.

 

Sempre in base al comma 3, il CNF e gli ordini circondariali:

§      sono chiamati a garantire il rispetto della legge professionale e delle regole deontologiche;

§      hanno finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale;

§      sono dotati di autonomia organizzativa, che svolgono attraverso regolamenti;

§      sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria e finanziati esclusivamente con i contributi degli iscritti;

§      sono soggetti alla vigilanza del Ministro della giustizia.

 

Anche tale parte della disposizione in parte riprende il sopra richiamato art. 6 della legge 139/2005.

Il tema della natura del CNF e degli ordini circondariali è stato affrontato nel corso dell’esame del progetto di legge al Senato dove è stata in particolare evidenziata una possibile contraddizione tra lo status di ente pubblico non economico a vigilanza statale e l’affermazione della totale autonomia patrimoniale e finanziaria (finanziamenti da parte dei soli iscritti). Il carattere pubblicistico dell’ordine è stato però giustificato per le finalità di carattere pubblicistico che CNF e ordini sono chiamati a perseguire (si sono richiamate nel dibattito sia la tutela di carattere interno riguardo all'osservanza delle norme deontologiche e all'esercizio del potere disciplinare, sia i rapporti con i terzi, con l'esterno, sia, soprattutto, la funzione di garanzia verso l'utenza e di tutela della credibilità nei confronti dei clienti).

 


Capo II
Gli ordini circondariali

Articolo 24
(L'Ordine circondariale forense)

1. Presso ciascun tribunale è costituito l'ordine degli avvocati, al quale sono iscritti tutti gli avvocati aventi il principale domicilio professionale nel circondario. L'ordine circondariale ha in via esclusiva la rappresentanza istituzionale dell'avvocatura a livello locale e promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni.

2. L'ordine circondariale di Roma capitale ha sede presso la Corte di cassazione.

3. Al fine di assicurare il funzionamento in relazione alle effettive esigenze gestionali ed organizzative del consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma, capitale della Repubblica, sono ad esso destinati i medesimi locali e spazi utilizzati dallo stesso consiglio alla data di entrata in vigore della presente legge nell'edificio della suprema Corte di cassazione.

4. Gli iscritti aventi titolo eleggono i componenti del consiglio dell'ordine, con le modalità stabilite dall'articolo 27 e in base a regolamento adottato ai sensi dell'articolo 1.

5. Presso ogni consiglio dell'ordine è costituito il collegio dei revisori dei conti, nominato dal presidente del tribunale.

6. Presso ogni consiglio dell'ordine è costituito il comitato pari opportunità degli avvocati, eletto con le modalità stabilite con regolamento approvato dal consiglio dell'ordine.

 

L’articolo 24 dispone in ordine all’ordine circondariale. Si tratta dell’articolazione locale dell’ordine forense, che ha sede presso ciascun tribunale; per il circondario del tribunale di Roma, la sede dell’ordine circondariale è presso la Corte di cassazione (comma 2), per la precisione nei «medesimi locali e spazi utilizzati dallo stesso consiglio alla data di entrata in vigore della presente legge» (comma 3).

 

Come evidenziato anche nel corso del dibattito al Senato, tale ultima disposizione, assai dettagliata, si inserisce in una querelle da anni aperta tra la presidenza della Corte di cassazione – che lamenta una cronica penuria di locali per i magistrati all’interno dello storico palazzo della Corte – e l’ordine degli avvocati di Roma - che all’interno di tale palazzo già occupa alcuni spazi. In proposito, si ricorda che, con nota prot. n. 2008/6097/RC del 30 settembre 2008, l'Agenzia del demanio ha ordinato al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma il rilascio di tali locali nella considerazione della «necessità di recuperare all'uso governativo locali posti all'interno dell'immobile», manifestata dalla Suprema Corte di cassazione per «far fronte alle accresciute necessità connesse alla propria attività istituzionale, da svolgersi all'interno dello storico edificio di piazza Cavour», fermo restando che il predetto Consiglio «non ha carattere nazionale e ... pertanto... l'ubicazione all'interno del palazzo... è in netto contrasto con la specifica norma delle legge 99/95». Il TAR Lazio-Roma, con sentenza 6 aprile 2009 n. 3619, ha respinto il successivo ricorso presentato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma.

 

All'ordine circondariale – cui il progetto di legge attribuisce «in via esclusiva» la rappresentanza istituzionale dell'Avvocatura a livello locale - sono iscritti tutti gli avvocati che hanno nel circondario del tribunale il proprio domicilio professionale; gli stessi iscritti procederanno all’elezione dei componenti del Consiglio circondariale in base all’art. 27 del progetto di legge (v. infra) e al relativo regolamento di attuazione.

In base ai commi 5 e 6, presso ogni consiglio circondariale sono costituiti inoltre:

-      il Collegio dei revisori dei conti, nominato dal presidente del tribunale;

-      il Comitato Pari Opportunità, che dovrà essere eletto con le modalità stabilite con regolamento approvato dal Consiglio dell'Ordine.

 


Articolo 25
(Organi dell'ordine circondariale e degli ordini del distretto)

1. Sono organi dell'ordine circondariale:

a) l'assemblea degli iscritti;

b) il consiglio;

c) il presidente;

d) il segretario;

e) il tesoriere;

f) il collegio dei revisori.

2. Il presidente rappresenta l'ordine circondariale.

3. Sono organi degli ordini circondariali del distretto:

a) il Consiglio istruttore di disciplina;

b) il Collegio giudicante.

 

 

L’articolo 25 individua gli organi degli ordini circondariali (definiti dall’articolo 24, v. sopra) e degli ordini circondariali del distretto, ovvero degli ordini nel cui circondario ha sede la corte d'appello.

 

Sono organi dell'ordine circondariale:

§      l’assemblea, costituita da tutti gli avvocati iscritti all'albo ed agli elenchi speciali (v. infra, art. 26);

§      il consiglio (v. infra, artt. 27, 28, 30 e 31);

§      il presidente;

§      il segretario;

§      il tesoriere;

§      il collegio dei revisori (v. infra, art. 29).

 

Sono organi dell’ordine circondariale del distretto:

§      il Consiglio istruttore di disciplina;

§      il Collegio giudicante.

 

Gli organi degli ordini distrettuali sono più dettagliatamente disciplinati dall’articolo 49 e ss. del progetto di riforma; ad essi sono attribuite funzioni disciplinari.

 


Articolo 26
(L'assemblea)

1. L'assemblea è costituita dagli avvocati iscritti all'albo ed agli elenchi speciali. Essa elegge i componenti del consiglio; approva il bilancio consuntivo e quello preventivo; esprime il parere sugli argomenti sottoposti ad essa dal consiglio; esercita ogni altra funzione attribuita dall'ordinamento professionale.

2. L'assemblea, previa delibera del consiglio, è convocata dal presidente o, in caso di suo impedimento, dal vicepresidente o dal consigliere più anziano per iscrizione.

3. Le regole per il funzionamento dell'assemblea e per la sua convocazione, nonché per l'assunzione delle relative delibere, sono stabilite da apposito regolamento adottato ai sensi dell'articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite.

4. L'assemblea ordinaria è convocata almeno una volta l'anno per l'approvazione dei bilanci consuntivo e preventivo. L'assemblea per la elezione del consiglio si svolge, per il rinnovo normale, entro il mese di gennaio successivo alla scadenza.

5. Il consiglio delibera altresì la convocazione dell'assemblea ogniqualvolta lo ritenga necessario o qualora ne faccia richiesta almeno un terzo dei suoi componenti o almeno un decimo degli iscritti nell'albo.

 

 

Tutti gli avvocati iscritti all’albo circondariale ed agli elenchi speciali costituiscono l’assemblea degli iscritti che, a norma dell’articolo 26, svolge le seguenti funzioni:

-      elegge i componenti del consiglio. A tal fine l’assemblea deve essere convocata entro il mese di gennaio successivo alla scadenza del consiglio precedente (per la durata del mandato, v. infra, art. 27);

-      approva annualmente il bilancio consuntivo e quello preventivo;

-      esprime il parere sugli argomenti che le vengono sottoposti dal consiglio;

-      esercita ogni altra funzione attribuita dall'ordinamento professionale.

 

Il funzionamento dell’assemblea, nonché le modalità per la sua convocazione, dovranno essere disciplinate da un regolamento attuativo della riforma (per la procedura, v. sopra, art. 1); l’articolo 26 si limita infatti a prevedere che alla convocazione possa procedere – previa delibera del consiglio - il presidente o, in caso di suo impedimento, il vicepresidente o il consigliere più anziano per iscrizione.

In particolare, il consiglio può decidere la convocazione dell’assemblea ogni qualvolta lo ritenga opportuno ma deve obbligatoriamente procedervi se ne ha fatto richiesta:

-       un terzo dei componenti del consiglio;

-       un decimo degli iscritti nell’albo.

 

Con riferimento all’ipotesi di convocazione dell’assemblea a seguito di richiesta di almeno un decimo degli iscritti nell’albo, occorre precisare se tale facoltà di richiesta compete, oltre che agli iscritti all’albo ordinario, anche agli iscritti agli elenchi speciali, che, peraltro, sono componenti dell’assemblea.

 


Articolo 27
(Il consiglio dell'ordine)

1. Il consiglio, fatta salva la previsione di cui all'articolo 24, comma 2, ha sede presso il tribunale ed è composto:

a) da cinque membri, qualora l'ordine conti fino a cento iscritti;

b) da sette membri, qualora l'ordine conti fino a duecento iscritti;

c) da nove membri, qualora l'ordine conti fino a cinquecento iscritti;

d) da undici membri, qualora l'ordine conti fino a mille iscritti;

e) da quindici membri, qualora l'ordine conti fino a duemila iscritti;

f) da ventuno membri, qualora l'ordine conti fino a cinquemila iscritti;

g) da venticinque membri, qualora l'ordine conti oltre cinquemila iscritti.

2. I componenti del consiglio sono eletti dagli iscritti con voto segreto in base a regolamento adottato ai sensi dell'articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite. Hanno diritto al voto tutti coloro che risultano iscritti negli albi e negli elenchi dei dipendenti degli enti pubblici e dei docenti e ricercatori universitari a tempo pieno e nella sezione speciale degli avvocati stabiliti, il giorno antecedente l'inizio delle operazioni elettorali. Sono esclusi dal diritto di voto gli avvocati per qualunque ragione sospesi dall'esercizio della professione.

3. Ciascun elettore può esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere, arrotondati per difetto.

4. Sono eleggibili gli iscritti che hanno diritto di voto, che non abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell'avvertimento.

5. Risultano eletti coloro che hanno riportato il maggior numero di voti. In caso di parità di voti risulta eletto il più anziano per iscrizione e, tra coloro che abbiano uguale anzianità di iscrizione, il maggiore di età. I consiglieri non possono essere eletti consecutivamente più di tre volte, salvo che uno dei tre mandati abbia avuto durata inferiore ad un anno.

6. In caso di morte, dimissioni, decadenza, impedimento permanente per qualsiasi causa di uno o più consiglieri, subentra il primo dei non eletti. In caso di parità di voti, subentra il più anziano per iscrizione e, tra coloro che abbiano uguale anzianità di iscrizione, il maggiore di età. Il consiglio, preso atto, provvede all'integrazione improrogabilmente nei trenta giorni successivi al verificarsi dell'evento.

7. Il consiglio dura in carica un quadriennio e scade il 31 dicembre del quarto anno. Il consiglio uscente resta in carica per il disbrigo degli affari correnti fino all'insediamento del consiglio neoeletto.

8. L'intero consiglio decade se cessa dalla carica oltre la metà dei suoi componenti.

9. Il consiglio elegge il presidente, il segretario e il tesoriere. Nei consigli con almeno quindici componenti, il consiglio può eleggere un vicepresidente. A ciascuna carica è eletto il consigliere che ha ricevuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è eletto presidente o vice presidente, segretario o tesoriere il più anziano per iscrizione all'albo o, in caso di pari anzianità di iscrizione, il più anziano per età.

10. La carica di consigliere è incompatibile con quella di consigliere nazionale, di componente del consiglio di amministrazione e del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. L'eletto che viene a trovarsi in condizione di incompatibilità deve optare per uno degli incarichi entro trenta giorni dalla proclamazione. Nel caso in cui non vi provveda, decade automaticamente dall'incarico assunto in precedenza. Ai componenti del consiglio, per il tempo in cui durano in carica, non possono essere conferiti incarichi giudiziari da parte dei magistrati del circondario.

11. Per la validità delle riunioni del consiglio è necessaria la partecipazione della maggioranza dei membri. Per la validità delle deliberazioni è richiesta la maggioranza assoluta di voti dei presenti.

12. Contro i risultati delle elezioni per il rinnovo del consiglio dell'ordine ciascun avvocato iscritto nell'albo può proporre reclamo al CNF entro dieci giorni dalla proclamazione. La presentazione del reclamo non sospende l'insediamento del nuovo consiglio.

 

L’articolo 27 disciplina la composizione, le modalità di elezione, la durata del mandato e l’articolazione interna del Consiglio dell’ordine.

 

Normativa vigente

In ogni circondario di tribunale ha sede un Consiglio dell'ordine degli avvocati, organo di rappresentanza territoriale la cui disciplina è dettata, oltre che dalla legge professionale, dal soprarichiamato D.Lgs. Lgt. n. 382 del 1944.

Il Consiglio è eletto dall'Assemblea degli iscritti nell’albo, con voto segreto, ed è composto da un minimo di 5 a un massimo di 15 membri, in ragione del numero di iscritti all’albo:

§       5 componenti, se gli iscritti all’albo sono fino a 100;

§       7 componenti, se il numero di iscritti è compreso tra 101 e 500;

§       9 componenti, se il numero di iscritti è compreso tra 501 e 1.500;

§       15 componenti, se gli iscritti all’albo superano le 1.500 unità.

L’elezione ha luogo attraverso schede contenenti un numero di nomi uguale a quello dei componenti da eleggere. Risultano eletti coloro che hanno conseguito la maggioranza assoluta, procedendo eventualmente a ballottaggio e preferendo, in caso di parità di voti, il candidato più anziano per iscrizione all’albo e – in seconda battuta – per età.

In caso di contestazione delle elezioni, ogni iscritto all’albo può – entro 10 giorni dalla proclamazione – proporre reclamo al CNF.

Il Consiglio resta in carica 2 anni ed elegge al proprio interno un Presidente, con funzioni di rappresentanza, un segretario ed un tesoriere.

 

Il progetto di legge individua la sede del Consiglio presso il Tribunale e, con riferimento al numero di componenti, dispone che esso sia composto da un minimo di 5 a un massimo di 25 membri (attualmente sono massimo 15), in proporzione al numero di iscritti nell’albo (comma 1).

Analiticamente,

§           5 membri                    fino a 100 iscritti

§           7 membri                    da 101 a 200 iscritti

§           9 membri                    da 201 a 500 iscritti

§           11 membri                  da 501 a 1000 iscritti

§           15 membri                  da 1001 a 2000 iscritti

§           21 membri                  da 2001 a 5.000 iscritti

§           25 membri                  oltre i 5.000 iscritti

Quanto alle modalità di elezione, la riforma rinvia ad un regolamento di attuazione della legge (v. sopra, articolo 1), ribadendo il carattere segreto del voto (comma 2) e la possibile contestazione delle elezioni attraverso reclamo al CNF (comma 12), e disponendo inoltre che (commi 2-6):

§      l’elettorato attivo spetta a tutti gli avvocati che risultino iscritti all’albo e agli elenchi speciali (che non siano, per qualunque ragione, sospesi dall’esercizio della professione);

§      ogni elettore può esprimere un numero di voti non superiore ai 2/3 dei consiglieri da eleggere (attualmente ciascun elettore esprime tanti nomi quanti sono i consiglieri da eleggere);

§      l’elettorato passivo spetta a tutti coloro che godono dell’elettorato attivo purché non siano incorsi nei 5 anni precedenti in sanzioni disciplinari più gravi dell’avvertimento;

§      per l’elezione è necessaria la maggioranza relativa dei voti preferendo, in caso di parità, il candidato più anziano per iscrizione all’albo e – in caso di ulteriore parità – per età. In caso di impossibilità per il singolo consigliere di svolgere le funzioni, subentra il primo dei non eletti;

§      i consiglieri non possono essere eletti consecutivamente per più di tre mandati (a meno che uno dei tre non abbia avuto una durata inferiore a un anno);

§      la carica di consigliere è incompatibile con quella di membro del CNF e degli organi direttivi della Cassa di previdenza. L’eletto che rivesta tali cariche dovrà optare per uno degli incarichi entro 30 giorni dalla proclamazione, pena la decadenza dall’incarico assunto in precedenza (comma 10).

 

Il consiglio resta in carica 4 anni solari (in luogo degli attuali 2) e scade il 31 dicembre; potrà comunque restare in carica per l’ordinaria amministrazione, fino all’insediamento del nuovo consiglio (comma 7). L’articolo precedente dispone infatti che l’assemblea per l’elezione del nuovo consiglio debba essere convocata entro il mese di gennaio.

Laddove cessino dalla carica più della metà dei componenti, l’intero consiglio decade (comma 8).

Il testo di riforma (comma 9) conferma l’attuale articolazione interna del Consiglio (Presidente, segretario e tesoriere) aggiungendo la possibilità di eleggere un vicepresidente per i consigli con almeno 15 membri (e dunque laddove l’albo conti oltre 1.000 iscritti).

Le riunioni del Consiglio sono valide se vi partecipano la maggioranza dei membri e le deliberazioni devono essere assunte a maggioranza assoluta dei presenti (comma 11).

 


Articolo 28
(Compiti e prerogative del consiglio)

1. Il consiglio:

a) provvede alla tenuta degli albi, degli elenchi e dei registri;

b) approva i regolamenti interni, i regolamenti in materie non disciplinate dal CNF e quelli previsti come integrazione ad essi;

c) sovraintende al corretto ed efficace esercizio del tirocinio forense. A tal fine, secondo modalità previste da regolamento del CNF, istituisce ed organizza scuole forensi, promuove e favorisce le iniziative atte a rendere proficuo il tirocinio, cura la tenuta del registro dei praticanti, annotando l'abilitazione al patrocinio sostitutivo, rilascia il certificato di compiuta pratica;

d) organizza e promuove l'organizzazione di eventi formativi ai fini dell'adempimento dell'obbligo di formazione continua in capo agli iscritti;

e) organizza e promuove l'organizzazione di corsi e scuole di specializzazione;

f) vigila sulla condotta degli iscritti e deve denunciare al Consiglio istruttore di disciplina ogni violazione di norme deontologiche di cui sia venuto a conoscenza; elegge i componenti del Consiglio istruttore di disciplina in conformità a quanto stabilito dall'articolo 49;

g) esegue il controllo della continuità, effettività, abitualità e prevalenza dell'esercizio professionale;

h) tutela l'indipendenza e il decoro professionale e promuove iniziative atte ad elevare la cultura e la professionalità degli iscritti e a renderli più consapevoli dei loro doveri;

i) svolge i compiti indicati nell'articolo 10 per controllare la formazione continua degli avvocati;

l) dà pareri sulla liquidazione dei compensi spettanti agli iscritti;

m) nel caso di morte o di perdurante impedimento di un iscritto, a richiesta e a spese di chi vi ha interesse, adotta i provvedimenti opportuni per la consegna degli atti e dei documenti;

n) può costituire camere arbitrali, di conciliazione ed organismi di risoluzione alternativa delle controversie, in conformità a regolamento adottato ai sensi dell'articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite;

o) interviene, su richiesta anche di una sola delle parti, nelle contestazioni insorte tra gli iscritti o tra costoro ed i clienti in dipendenza dell'esercizio professionale, adoperandosi per comporle; degli accordi sui compensi è redatto verbale che, depositato presso la cancelleria del tribunale che ne rilascia copia, ha valore di titolo esecutivo con l'apposizione della prescritta formula;

p) può costituire o aderire ad unioni regionali o interregionali tra ordini, nel rispetto dell'autonomia e delle competenze istituzionali dei singoli consigli. Le unioni possono avere, se previsto nello statuto, funzioni di interlocuzione con le regioni, con gli enti locali e con le università, provvedono alla consultazione fra i consigli che ne fanno parte, possono assumere deliberazioni nelle materie di comune interesse e promuovere o partecipare ad attività di formazione professionale. Ciascuna unione approva il proprio statuto e lo comunica al CNF;

q) può costituire o aderire ad associazioni, anche sovranazionali, e fondazioni purché abbiano come oggetto attività connesse alla professione o alla tutela dei diritti;

r) garantisce l'attuazione, nella professione forense, dell'articolo 51 della Costituzione;

s) svolge tutte le altre funzioni ad esso attribuite dalla legge e dai regolamenti;

t) vigila sulla corretta applicazione, nel circondario, delle norme dell'ordinamento giudiziario segnalando violazioni ed incompatibilità agli organi competenti.

2. La gestione finanziaria e l'amministrazione dei beni dell'ordine spettano al consiglio, che provvede annualmente a sottoporre all'assemblea ordinaria il conto consuntivo e il bilancio preventivo.

3. Per provvedere alle spese di gestione e a tutte le attività indicate nel presente articolo e ad ogni altra attività ritenuta necessaria per il conseguimento dei fini istituzionali, per la tutela del ruolo dell'avvocatura nonché per l'organizzazione di servizi per l'utenza e per il miglior esercizio delle attività professionali il consiglio è autorizzato:

a) a fissare e riscuotere un contributo annuale o contributi straordinari da tutti gli iscritti a ciascun albo, elenco o registro;

b) a fissare contributi per l'iscrizione negli albi, negli elenchi, nei registri, per il rilascio di certificati, copie e tessere e per i pareri sui compensi.

4. L'entità dei contributi di cui al comma 3 è fissata in misura tale da garantire il pareggio di bilancio del consiglio.

5. Il consiglio provvede alla riscossione dei contributi di cui alla lettera a) del comma 3 e di quelli dovuti al CNF, anche ai sensi del testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858, mediante iscrizione a ruolo dei contributi dovuti per l'anno di competenza.

6. Coloro che non versano nei termini stabiliti il contributo annuale sono sospesi, previa contestazione dell'addebito e loro personale convocazione, dal consiglio dell'ordine, con provvedimento non avente natura disciplinare. La sospensione è revocata allorquando si sia provveduto al pagamento.

 

 

 

Normativa vigente

Il Consiglio dell’ordine svolge principalmente le seguenti funzioni (art. 14, legge professionale):

·   custodia degli albi e dei registri dei praticanti;

·   potere disciplinare nei confronti degli iscritti agli albi ed ai registri (può comminare le sanzioni dell'avvertimento, censura, sospensione, cancellazione e radiazione dall'albo);

·   vigilanza sul decoro dei professionisti;

·   vigilanza sull’esercizio della pratica forense;

·   parere sulle liquidazioni di onorari, nei casi previsti dalla legge;

·   funzioni conciliative nelle contestazioni tra avvocati e tra avvocati e clienti;

Ai consigli dell’ordine sono poi attribuite funzioni rilevanti in materia di difesa d’ufficio[24] (art. 97, comma 2, c.p.p.).

 

 

La disposizione (comma 1) sostanzialmente conferma le funzioni di tenuta dell’albo, di vigilanza sul decoro dei professionisti e sul tirocinio professionale, nonché le funzioni consultive in materia di onorari e le funzioni conciliative nelle contestazioni tra avvocati e tra avvocati e clienti. Con specifico riferimento al tirocinio, la disposizione prevede che il consiglio istituisca e organizzi scuole forensi secondo le modalità indicate dal CNF.

Le novità più rilevanti contenute nell’articolo 28 attengono:

§      alla sottrazione ai consigli dell’ordine circondariale delle competenza in materia disciplinare. Il progetto di riforma attribuisce tale competenza a due organismi (il consiglio istruttore di disciplina, titolare dell’azione disciplinare, e il collegio giudicante) operanti a livello distrettuale (artt. 49 ss.); al consiglio dell’ordine, oltre che l’elezione dei componenti del  Consiglio istruttore di disciplina, spettano esclusivamente compiti di denuncia al medesimo delle violazioni deontologiche. 

§      all’attribuzione di nuovi compiti ai consigli dell’ordine locali legati in particolare agli ulteriori obblighi a carico degli avvocati introdotti dal testo di riforma. In particolare, spetterà al consiglio dell’ordine locale vigilare sulla sussistenza dei requisiti di continuità, effettività, abitualità e prevalenza dell’esercizio professionale (art. 20) e organizzare attività di formazione ed aggiornamento così da consentire agli avvocati l’assolvimento dell’obbligo di formazione continua (articolo 10). Più in generale, in materia di formazione, la disposizione prevede l’organizzazione e promozione di corsi e scuole di specializzazione e la promozione di iniziative per elevare la cultura e la professionalità degli iscritti;

§      la costituzione di camere arbitrali, di conciliazione ed organismi di risoluzione alternativa delle controversie, in conformità a un regolamento adottato ai sensi dell'articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite

In proposito, si ricorda che il decreto legislativo n. 28 del 2010, in materia di mediazione civile e commerciale, prevede che i consigli degli ordini degli avvocati possano istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all'articolo 16.

§      l’attuazione, nella professione forense, del principio di pari opportunità di cui all’articolo 51 Cost;

§      la vigilanza sulla corretta applicazione, nel circondario, delle norme dell'ordinamento giudiziario, attraverso la segnalazione di violazioni ed incompatibilità agli organi competenti.

 

La disposizione disciplina anche la “dimensione esterna” dei consigli e, in particolare, la loro partecipazione ad unioni regionali ed interregionali tra ordini (alle quali vengono attribuite funzioni di interlocuzioni con le regioni e le università, formative e di deliberazione su materie di comune interesse) e ad associazioni e fondazioni aventi come oggetto lo svolgimento di attività connesse all’esercizio della professione o la tutela dei diritti.

 

L’elenco di funzioni indicato nell’articolo non ha carattere esaustivo, essendo attribuita ai consigli ogni altra funzione prevista dalla legge o dai regolamenti.

 

Il comma 2 conferma i compiti dei consigli legati alla gestione finanziaria e all’amministrazione dei beni.

In relazione alle spese di gestione e alle altre attività che il consiglio è chiamato a svolgere, il comma 3 prevede che lo stesso possa stabilire contributi a carico degli iscritti, la cui entità è fissata così da garantire il pareggio di bilancio (comma 4).

Per quanto riguarda la tipologia di contributi, si tratta di

§      contributi annuali o straordinari a carico degli iscritti;

§      contributi per l'iscrizione all’albo;

§      contributi per il rilascio di certificati, copie e tessere;

§      contributi per i pareri sui compensi.

 

Nella normativa vigente, l’articolo 7 del D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944 attribuisce ai Consigli dell’ordine compiti di amministrazione dei beni spettanti all'ordine e di redazione del conto consuntivo e del bilancio preventivo per l'approvazione dell'assemblea; la medesima disposizione prevede che il Consiglio possa, entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese dell'ordine o collegio, stabilire una tassa annuale, una tassa per l'iscrizione nel registro dei praticanti e per l'iscrizione nell'albo, nonché una tassa per il rilascio di certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari.

 

Per quanto riguarda le modalità di riscossione dei contributi annuali e straordinari a carico degli iscritti e di quelli dovuti al CNF, il comma 5 rinvia al T.U. delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette (D.P.R. n. 858 del 1963), prevedendo l’iscrizione a ruolo dei contributi dovuti per l’anno di competenza.

 

Il comma 6 dispone la sospensione dall’esercizio della professione - con provvedimento non avente natura disciplinare – dell’avvocato che non versi nei termini stabilii il contributo annuale e la revoca della medesima sospensione allorquando si sia provveduto al pagamento.

 

Si segnala che la disposizione fa riferimento ai soli contributi annuali e non anche agli eventuali contributi straordinari fissati dal consiglio dell’ordine.

 

Nella normativa vigente, in base all’articolo 2 della legge n. 536 del 1949, coloro che non adempiono al versamento possono essere sospesi dall'esercizio professionale, osservate le forme del procedimento disciplinare. La sospensione così inflitta non è soggetta a limiti di tempo ed è revocata con provvedimento del Presidente del Consiglio professionale, quando l'iscritto dimostri di aver pagate le somme dovute.


Articolo 29
(Il collegio dei revisori)

1. Il collegio dei revisori è composto da tre membri effettivi ed un supplente nominati dal presidente del tribunale e scelti tra gli avvocati iscritti al registro dei revisori contabili.

2. Per gli ordini con meno di tremilacinquecento iscritti la funzione è svolta da un revisore unico.

3. I revisori durano in carica quattro anni e possono essere confermati per non più di due volte consecutive.

4. Il collegio, che è presieduto dal più anziano per iscrizione, verifica la regolarità della gestione patrimoniale riferendo annualmente in sede di approvazione del bilancio.

5. Le competenze dovute ai revisori sono liquidate tenendo conto degli onorari previsti dalle tariffe professionali ridotte al 50 per cento.

 

L’articolo 29 stabilisce che i revisori siano nominati dal presidente del Tribunale tra gli avvocati iscritti al registro dei revisori contabili.

 

La disciplina dei requisiti per l’iscrizione al registro dei revisori era originariamente contenuta nel D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 88[25], provvedimento recentemente abrogato dall’articolo 43 del D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39[26] (che ha attuato in Italia la nuova disciplina europea del settore, contenuta nella direttiva 2006/43/CE).

Il citato articolo 43 ha disposto, tuttavia, che le norme abrogate continuino ad applicarsi nelle more dell’emanazione dei regolamenti attuativi della nuova disciplina; essi, tra l’altro, concernono anche i requisiti per l’abilitazione all’esercizio della revisione legale (ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs. 39/2010).

Dal momento che tali provvedimenti non risultano ancora emanati, trova ancora applicazione la disciplina contenuta nell’articolo 3 del D. Lgs. 88/92, ai sensi del quale l’iscrizione al registro dei revisori contabili è subordinata al superamento di apposito esame, cui possono essere ammessi coloro che possiedono i seguenti requisiti:

a) aver conseguito in materie economiche, aziendali o giuridiche un diploma di laurea ovvero un diploma universitario o un diploma di una scuola diretta a fini speciali, rilasciati al compimento di un ciclo di studi della durata minima di tre anni;

b) aver svolto, presso un revisore contabile, un tirocinio triennale, avente ad oggetto il controllo di bilanci di esercizio e consolidati.

Per i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, il tirocinio triennale è svolto presso un funzionario pubblico abilitato al controllo legale dei conti.

Le nuove norme (articolo 2, comma 2 del D. Lgs. 39/2010) consentono l’iscrizione al registro dei revisori legali sia alle persone fisiche che alle persone giuridiche in possesso di determinati requisiti. Per quanto riguarda le persone fisiche, esse devono:

a) essere in possesso dei requisiti di onorabilità definiti con regolamento adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Consob;

b) essere in possesso di una laurea almeno triennale, tra quelle individuate con regolamento dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Consob;

c) avere svolto il periodo di tirocinio;

d) avere superato l’esame di idoneità professionale.

 

Sembrerebbe opportuno precisare se i componenti del collegio dei revisori debbano essere scelti tra gli avvocati dell’ordine circondariale, nonché disciplinare anche l’ipotesi in cui tra i medesimi avvocati non vi siano iscritti al registro dei revisori contabili.

 

Il numero dei revisori varia in funzione delle dimensioni del consiglio dell’ordine forense circondariale:

 

§       almeno 3.500 avvocati iscritti all’ordine

collegio dei revisori, composto da 3 membri effettivi ed un supplente (comma 1). Il revisore più anziano per iscrizione assumerà la presidenza del collegio (comma 4)

§       meno di 3.500 avvocati iscritti all’ordine

unico revisore (comma 2)

 

Al comma 4, sarebbe opportuno chiarire se l’anzianità di iscrizione si riferisce all’albo degli avvocati o al registro dei revisori.

 

I revisori durano in carica 4 anni e possono essere confermati fino a due volte consecutive (per un totale di 12 anni).

Per quanto riguarda le funzioni, il collegio (ovvero il singolo revisore) verifica la regolarità della gestione patrimoniale riferendo annualmente all’assemblea che provvedere all’approvazione del bilancio.

Per determinare il compenso spettante agli avvocati componenti del collegio, ovvero al singolo revisore, occorre dimezzare gli onorari previsti dalle tariffe professionali.

 

Anche con riferimento al comma 5, sarebbe opportuno chiarire se le tariffe professionali ivi richiamate sono quelle contemplate dall’ordinamento dei revisori o le tariffe forensi.

 


Articolo 30
(Funzionamento dei consigli dell'ordine per commissioni)

1. I consigli dell'ordine composti da nove o più membri possono svolgere la propria attività mediante commissioni di lavoro composte da almeno tre membri, che devono essere tutti presenti ad ogni riunione per la validità delle deliberazioni.

2. Il funzionamento delle commissioni è disciplinato con regolamento interno ai sensi dell'articolo 28, comma 1, lettera b). Il regolamento può prevedere che i componenti delle commissioni possano essere scelti, eccettuate le materie deontologiche o che trattino dati riservati, anche tra gli avvocati iscritti all'albo, anche se non consiglieri dell'ordine.

 

 

Ai sensi dell'articolo 30, i Consigli dell’ordine composti da 9 o più membri (relativi, quindi, in base all’articolo 27, ad ordini con più di 200 iscritti) possono svolgere la propria attività mediante commissioni di lavoro composte da almeno 3 membri. La disposizione richiede che i tre commissari siano tutti presenti al fine della validità della deliberazione (comma 1).

Il funzionamento delle commissioni dovrà essere disciplinato dagli stessi consigli dell’ordine con proprio regolamento (v. sopra, articolo 28): in merito, il progetto di legge dà ai consigli la facoltà di prevedere la nomina a commissario di avvocati iscritti all’ordine ma non facenti parte del consiglio stesso. Questa possibilità è comunque esclusa per la trattazione di questioni deontologiche ovvero di materie che coinvolgano la trattazione di dati riservati (comma 2).


Articolo 31
(Scioglimento del consiglio)

1. Il consiglio è sciolto:

a) se non è in grado di funzionare regolarmente;

b) se non adempie agli obblighi prescritti dalla legge;

c) se ricorrono altri gravi motivi di rilevante interesse pubblico.

2. Lo scioglimento del consiglio e la nomina del commissario di cui al comma 3 sono disposti con decreto del Ministro della giustizia, su proposta del CNF, previa diffida.

3. In caso di scioglimento, le funzioni del consiglio sono esercitate da un commissario straordinario, nominato dal CNF e scelto tra gli avvocati con oltre venti anni di anzianità, il quale, improrogabilmente entro centoventi giorni dalla data di scioglimento, convoca l'assemblea per le elezioni in sostituzione.

4. Il commissario, per essere coadiuvato nell'esercizio delle sue funzioni, può nominare un comitato di non più di sei componenti, scelti tra gli iscritti all'albo, di cui uno con funzioni di segretario.

 

L’articolo 31 disciplina le ipotesi di scioglimento del consiglio dell’ordine.

 

Normativa vigente

In base all’art. 8 del Decreto luogotenenziale n. 382 del 1944 il Ministro della giustizia, sentito il CNF, può sciogliere il Consiglio se questo non è in grado di funzionare. In tal caso le funzioni sono affidate a un Commissario straordinario, che potrà a sua volta nominare un comitato (da 2 a 6 componenti da individuare fra gli iscritti all’albo) per assisterlo nello svolgimento delle attività.

Il nuovo Consiglio dovrà essere eletto entro 90 giorni dallo scioglimento del precedente.

 

Rispetto alla normativa vigente, il progetto di legge amplia i casi di scioglimento, aggiungendo all’impossibilità di funzionamento le seguenti ipotesi:

§      il consiglio non adempie agli obblighi prescritti dalla legge;

§      ricorrono altri gravi motivi di rilevante interesse pubblico.

Competente a disporre lo scioglimento è sempre il Ministro della giustizia che si attiverà però non più sentito il CNF ma previa proposta del CNF e, in ogni caso, non prima di aver inoltrato una diffida al consiglio.

Il Commissario straordinario dovrà essere nominato dal CNF che potrà individuarlo tra gli avvocati con oltre 20 anni di anzianità; egli potrà essere coadiuvato nell'esercizio delle sue funzioni da un comitato – da lui nominato – composto da massimo sei iscritti all'albo.

L’assemblea per la nuova elezione del consiglio dovrà essere convocata entro 120 giorni (oggi sono 90) dalla data di scioglimento del precedente.


Capo III
Consiglio nazionale forense

Il Capo III (articoli da 32 a 36) del progetto di legge disciplina il Consiglio Nazionale forense, facendo in parte salva la normativa attuale, che viene espressamente richiamata.

 

Normativa vigente

Il Consiglio nazionale forense è l’organismo di rappresentanza nazionale dell’avvocatura ed espressione della classe forense nella sua unità.

Per specifica disposizione legislativa, il CNF ha sede a Roma presso il Ministero della giustizia ed è composto da tanti membri quanti sono i distretti delle Corti di Appello (26), eletti tra gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alle magistrature superiori (art. 21, D.Lgs.Lgt. 382/1944). L’elezione non è compiuta direttamente dagli iscritti agli albi ma indirettamente dai Consigli degli ordini locali.

I componenti sono eletti per un periodo di 3 anni: possono essere rieletti e alla scadenza del mandato rimangono in carica fino all’insediamento del nuovo Consiglio. Il Consiglio elegge al proprio interno un presidente, 2 vicepresidenti, il segretario e il tesoriere. Il CNF è poi diviso al proprio interno in Commissioni (per le attività legislative, consultiva, per l’accesso alla professione, ecc…).

Il Consiglio nazionale forense svolge le seguenti funzioni:

§       funzione giurisdizionale (in secondo grado)[27], che si realizza nel giudicare sui ricorsi proposti avverso le decisioni degli Ordini territoriali in materia disciplinare, di tenuta degli albi e di reclami elettorali;

§       tenuta dell’Albo degli Avvocati abilitati al patrocinio innanzi le magistrature superiori;

§       funzione consultiva sui progetti di legge e di regolamento che riguardano, principalmente, direttamente e indirettamente, la professione forense;

§       proposta, redazione e aggiornamento delle tariffe professionali;

§       redazione e aggiornamento del Codice deontologico forense ovvero della disciplina che fissa i principi di comportamento degli avvocati e regolamenta la loro attività professionale e i rapporti con la clientela;

§       funzione consultiva in ordine allo scioglimento dei Consigli degli Ordini;

§       designazione degli avvocati quali componenti le Commissioni di esame di abilitazione;

§       approvazione e coordinamento dei programmi delle scuole forensi.

Ferme restando le competenze degli organi istituzionali di rappresentanza dell’avvocatura, spetta comunque al Ministro della giustizia esercitare l'alta vigilanza sull'esercizio della professione forense (art. 15, legge professionale).

 

Articolo 32
(Durata e composizione)

1. Il CNF, previsto e disciplinato dagli articoli 52 e seguenti del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e dagli articoli 59 e seguenti del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37, ha sede presso il Ministero della giustizia e dura in carica quattro anni. I suoi componenti non possono essere eletti consecutivamente più di due volte. Il Consiglio uscente resta in carica per il disbrigo degli affari correnti fino all'insediamento del Consiglio neoeletto.

2. Il CNF è composto da avvocati aventi i requisiti di cui all'articolo 36. Ciascun distretto di corte d'appello in cui il numero complessivo degli iscritti agli albi è inferiore a diecimila elegge un componente. Risulta eletto chi abbia riportato il maggior numero di voti. Non può appartenere per più di due mandati consecutivi allo stesso ordine circondariale il componente eletto in tali distretti. Ciascun distretto di corte di appello in cui il numero complessivo degli iscritti agli albi è pari o superiore a diecimila elegge due componenti; in tali distretti risulta primo eletto chi abbia riportato il maggior numero di voti, secondo eletto chi abbia riportato il maggior numero di voti tra gli iscritti ad un ordine circondariale diverso da quello al quale appartiene il primo eletto. In tutti i distretti, il voto è comunque espresso per un solo candidato. In ogni caso, a parità di voti, è eletto il candidato più anziano di iscrizione. Le elezioni per la nomina dei componenti del CNF devono svolgersi nei quindici giorni prima della scadenza del Consiglio in carica. La proclamazione dei risultati è fatta dal Consiglio in carica, il quale cessa dalle sue funzioni alla prima riunione del nuovo Consiglio convocato dal presidente in carica.

3. A ciascun consiglio spetta un voto per ogni cento iscritti o frazione di cento, fino a duecento iscritti; un voto per ogni successivi trecento iscritti, da duecentouno fino ad ottocento iscritti; un voto per ogni successivi seicento iscritti, da ottocentouno fino a duemila iscritti; un voto per ogni successivi mille iscritti, da duemilauno a diecimila iscritti; un voto per ogni successivi tremila iscritti, al di sopra dei diecimila.

4. Il CNF elegge il presidente, due vicepresidenti, il segretario ed il tesoriere, che formano il consiglio di presidenza. Nomina inoltre i componenti delle commissioni e degli altri organi previsti dal regolamento.

5. Si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382, per quanto non espressamente previsto.

 

Come detto, il progetto di legge non ridisciplina completamente il Consiglio nazionale forense, ma richiama espressamente e fa salve le disposizioni di cui alla legge professionale (R.DL. n. 1578 del 1933, artt. 52-56) e al provvedimento di attuazione (R.D. n. 37 del 1934, artt. 59-65).

 

Si sottolinea tuttavia che molte delle previsioni della legge professionale relative al CNF sono comunque sostanzialmente incompatibili con il capo III del progetto di legge (es. artt. 54 e 56) o già attualmente tacitamente abrogate (es. artt. 52, 53, 55) da riforme precedenti.

 

L’articolo 32 del progetto di legge conferma per il CNF la sede presso il Ministero della giustizia e ne prolunga la durata da 3 a 4 anni; i componenti potranno essere eletti consecutivamente per non più di 2 volte (comma 1).

 

Diversamente dalla disciplina attuale, che fissa a 26 il numero dei componenti del CNF (in misura di un rappresentante per ciascun distretto di Corte d’appello), la riforma prevede che il numero di componenti del Consiglio non sia predeterminato, ma derivi dal numero degli avvocati iscritti agli albi. Il CNF sarà infatti composto da avvocati eletti a livello di distretto di Corte d’appello, in numero di (comma 2):

§      un rappresentante per ciascun distretto con meno di 10.000 iscritti;

§      due rappresentanti per ciascun distretto con più di 10.000 iscritti.

L’elezione dei componenti del CNF non è compiuta direttamente dagli iscritti agli albi ma, indirettamente, dai Consigli circondariali attraverso un sistema di voto ponderato.

Analiticamente, ciascun consiglio dell’ordine circondariale forense ha a disposizione un numero di voti calcolato sul numero degli iscritti, secondo la seguente progressione (comma 3):

 

Numero di avvocati iscritti all’ordine circondariale

Voti a disposizione dell’ordine circondariale per esprimere il componente/i del CNF spettante/i al distretto

1-100

1

101-200

2

201-500

3

501-800

4

801-1.400

5

1.401-2.000

6

2.001-3.000

7

3.001-4.000

8

4.001-5.000

9

5.001-6.000

10

6.001-7.000

11

7.001-8.000

12

8.001-9.000

13

9.001-10.000

14

10.001-13.000

15

13.000-16.000

16

16.000-19.000

17

Ogni ulteriori 3.000 iscritti

Un voto in più

 

Se al distretto spetta un solo rappresentante (in quanto ha meno di 10.000 avvocati), i voti dei consigli circondariali porteranno all’elezione di colui (avente i requisiti previsti dall’art. 36, v. infra) che ha riportato il maggior numero di voti.

Se al distretto spettano 2 rappresentanti (in quanto ha più di 10.000 avvocati), risulterà eletto in primo luogo colui che ha riportato il maggior numero di voti; per l’individuazione del secondo eletto occorrerà tener conto non solo del numero dei voti riportati ma garantire anche che i due rappresentanti non appartengano al medesimo circondario, per cui risulterà eletto chi abbia riportato il maggior numero di voti tra gli iscritti ad un ordine circondariale diverso da quello al quale appartiene il primo eletto.

In relazione alla rieleggibilità dei componenti del Consiglio, il comma 2 – per i distretti con meno di 10.000 avvocati – prescrive che il componente eletto in tali distretti non possa appartenere per più di due mandati consecutivi allo stesso ordine circondariale.

 

Per quanto riguarda la tempistica del passaggio di funzioni tra vecchio e nuovo CNF, l’articolo 32 stabilisce che:

-       il CNF resta in carica 4 anni;

-       le elezioni devono svolgersi 15 giorni prima della scadenza del consiglio in carica;

-       il CNF uscente resta in carica per gli affari correnti, fino alla prima riunione del nuovo Consiglio, del quale proclama anche i risultati elettorali.

 

Senza innovare la disciplina attuale, il progetto di legge (comma 4) dispone che il CNF, oltre a nominare i componenti delle commissioni e degli altri organi previsti dal regolamento, elegga il Consiglio di presidenza, formato da:

-       presidente;

-       2 vicepresidenti;

-       segretario;

-       tesoriere.

 

Infine, il comma 5 richiama in quanto compatibili le disposizione del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali.

 


Articolo 33
(Compiti e prerogative)

1. Il CNF:

a) ha in via esclusiva la rappresentanza istituzionale dell'avvocatura a livello nazionale e promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni competenti;

b) adotta i regolamenti interni per il proprio funzionamento e, ove occorra, per quello degli ordini circondariali;

c) esercita la funzione giurisdizionale secondo le previsioni di cui agli articoli da 59 a 65 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37;

d) emana e aggiorna periodicamente il codice deontologico, curandone la pubblicazione e la diffusione in modo da favorirne la più ampia conoscenza, sentiti i consigli dell'ordine circondariali, anche mediante una propria commissione consultiva presieduta dal suo presidente o da altro consigliere da lui delegato e formata da componenti del CNF e da consiglieri designati dagli ordini in base al regolamento interno del CNF;

e) cura la tenuta e l'aggiornamento dell'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e redige l'elenco nazionale degli avvocati ai sensi dell'articolo 14, comma 5;

f) promuove attività di coordinamento e di indirizzo dei consigli dell'ordine circondariali al fine di rendere omogenee le condizioni di esercizio della professione e di accesso alla stessa;

g) propone ogni due anni al Ministro della giustizia le tariffe professionali;

h) collabora con i consigli dell'ordine circondariali alla conservazione e alla tutela dell'indipendenza e del decoro professionale;

i) provvede agli adempimenti previsti dall'articolo 38 per i rapporti con le università e dall'articolo 41 per quanto attiene ai corsi di formazione di indirizzo professionale;

l) esprime pareri in merito alla previdenza forense;

m) approva i conti consuntivi e i bilanci preventivi delle proprie gestioni;

n) propone al Ministro della giustizia di sciogliere i consigli dell'ordine circondariali quando sussistano le condizioni previste nell'articolo 31;

o) cura, mediante pubblicazioni, l'informazione sulla propria attività e sugli argomenti d'interesse dell'avvocatura;

p) esprime, su richiesta del Ministro della giustizia, pareri su proposte e disegni di legge che, anche indirettamente, interessino la professione forense e l'amministrazione della giustizia;

q) istituisce e disciplina, con apposito regolamento, l'osservatorio permanente sull'esercizio della giurisdizione, che raccoglie dati ed elabora studi e proposte diretti a favorire una più efficiente amministrazione delle funzioni giurisdizionali;

r) designa rappresentanti di categoria presso commissioni ed organi nazionali o internazionali;

s) svolge ogni altra funzione ad esso attribuita dalla legge e dai regolamenti.

2. Nei limiti necessari per coprire le spese della sua gestione, e al fine di garantire quantomeno il pareggio di bilancio, il CNF è autorizzato:

a) a determinare la misura del contributo annuale dovuto dagli avvocati iscritti negli albi ed elenchi;

b) a stabilire diritti per il rilascio di certificati e copie;

c) a stabilire la misura della tassa di iscrizione e del contributo annuale dovuto dall'iscritto nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori.

3. La riscossione del contributo annuale è compiuta dagli ordini circondariali, secondo quanto previsto da apposito regolamento adottato dal CNF.

 

L'articolo 33 del progetto di legge elenca le funzioni che il Consiglio nazionale forense è chiamato a svolgere. L’elencazione non ha carattere esaustivo in quanto è la lett. s) prevede che esso svolga «ogni altra funzione ad esso attribuita dalla legge e dai regolamenti».

Le competenze attribuite al CNF possono essere così raggruppate (comma 1):

§      funzioni di rappresentanza e di vertice dell’avvocatura: il Consiglio ha la rappresentanza istituzionale dell'avvocatura a livello nazionale e promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni competenti (lett. a) e designa i rappresentanti di categoria presso commissioni ed organi nazionali o internazionali (lett. r); cura la tenuta e l'aggiornamento dell'albo speciale per il patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori (lett. e); promuove il coordinamento dei consigli circondariali per rendere omogenee le condizioni di esercizio della professione e l’accesso alla stessa (lett. f); collabora con i consigli dell'ordine alla conservazione e alla tutela dell'indipendenza e del decoro professionale (lett. h); cura l'informazione sulla propria attività e sugli argomenti d'interesse dell'avvocatura (lett. o); cura i rapporti con le università (lett. i).

§      funzioni normative: adotta i propri regolamenti interni (lett. b); emana e aggiorna periodicamente il codice deontologico (lett. d); approva i conti consuntivi e i bilanci preventivi delle proprie gestioni (lett. m); istituisce e disciplina, con apposito regolamento, l'osservatorio permanente sull'esercizio della giurisdizione, che raccoglie dati ed elabora studi e proposte diretti a favorire una più efficiente amministrazione delle funzioni giurisdizionali (lett. q);

§      funzioni consultive e di proposta: propone al Ministro le tariffe professionali (lett. g) e lo scioglimento dei consigli dell'ordine circondariali (lett. n); esprime pareri in merito alla previdenza forense (lett. l) e – su richiesta del Ministro - su proposte e disegni di legge che, anche indirettamente, interessino la professione forense e l'amministrazione della giustizia (lett. p);

§      funzioni giurisdizionali (lett. c): il CNF, come specifica il successivo articolo 34, si pronuncia sui reclami avverso i provvedimenti disciplinari nonché in materia di albi, elenchi e registri e rilascio di certificato di compiuta pratica. Pronuncia inoltre sui ricorsi relativi alle elezioni dei consigli dell'ordine, risolve i conflitti di competenza tra ordini circondariali ed esercita le funzioni disciplinari nei confronti dei propri componenti.

Nei limiti necessari per coprire le spese della sua gestione, il CNF è autorizzato a determinare la misura del contributo annuale dovuto da tutti gli iscritti negli albi ed elenchi, del contributo degli iscritti nell’albo speciale delle giurisdizioni superiori ed a stabilire diritti per il rilascio di copie (comma 2). Spetterà poi agli ordini circondariali procedere concretamente alla riscossione di detti contributi (comma 3).


Articolo 34
(Competenza giurisdizionale)

1. Il CNF pronuncia sui reclami avverso i provvedimenti disciplinari nonché in materia di albi, elenchi e registri e rilascio di certificato di compiuta pratica; pronuncia sui ricorsi relativi alle elezioni dei consigli dell'ordine; risolve i conflitti di competenza tra ordini circondariali; esercita le funzioni disciplinari nei confronti dei propri componenti, quando il Consiglio istruttore di disciplina competente abbia deliberato l'apertura del procedimento disciplinare. La funzione giurisdizionale si svolge secondo le previsioni di cui agli articoli da 59 a 65 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37.

2. Le udienze del CNF sono pubbliche. Ad esse partecipa, con funzioni di pubblico ministero, un magistrato, con grado non inferiore a consigliere di cassazione, delegato dal procuratore generale presso la Corte di cassazione.

3. Per la partecipazione alle procedure in materia disciplinare del CNF, ai magistrati non sono riconosciuti compensi, indennità o gettoni di presenza.

4. Le decisioni del CNF sono notificate, entro trenta giorni, all'interessato e al pubblico ministero presso la corte d'appello e il tribunale della circoscrizione alla quale l'interessato appartiene. Nello stesso termine sono comunicate al consiglio dell'ordine della circoscrizione stessa.

5. Nei casi di cui al comma 1 la notificazione è fatta agli interessati e al pubblico ministero presso la Corte di cassazione.

6. Gli interessati e il pubblico ministero possono proporre ricorso avverso le decisioni del CNF alle sezioni unite della Corte di cassazione, entro trenta giorni dalla notificazione, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.

7. Il ricorso non ha effetto sospensivo. Tuttavia l'esecuzione può essere sospesa dalle sezioni unite della Corte di cassazione in camera di consiglio su istanza del ricorrente.

8. Nel caso di annullamento con rinvio, il rinvio è fatto al CNF, il quale deve conformarsi alla decisione della Corte di cassazione circa il punto di diritto sul quale essa ha pronunciato.

 

 

 

Ai sensi dell'articolo 34 il CNF si pronuncia in sede di reclamo avverso i provvedimenti disciplinari (emessi a livello distrettuale, cfr. artt. 49 ss.) nonché in materia di albi, elenchi e registri e rilascio di certificato di compiuta pratica; decide sui ricorsi relativi alle elezioni degli organi forensi; risolve i conflitti di competenza tra Ordini circondariali; esercita le funzioni disciplinari nei confronti dei propri componenti, sempre che il Consiglio istruttore di disciplina competente abbia deliberato l’apertura del procedimento disciplinare (comma 1).

Per l’esercizio della funzione giurisdizionale, il progetto di legge rinvia al Capo IV (articoli da 59 a 65) del R.D. n. 37 del 1934, di attuazione della legge professionale (analogo rinvio è contenuto nell’art. 33, comma 1, lettera c).

 

 

Gli articoli da 59 a 65 del R.D. n. 37 del 1934 prevedono che il ricorso al CNF:

§       sia presentato al Consiglio che ha emesso la pronuncia;

§       debba contenere l'indicazione specifica dei motivi sui quali si fonda, ed essere corredato della copia della pronuncia stessa, notificata al ricorrente;

§       sia comunicato alle altre parti a cura del Consiglio che ha emesso il provvedimento e riceve il ricorso stesso;

§       resti depositato unitamente agli atti del procedimento per ulteriori 10 giorni rispetto al termine per ricorrere e poi viene trasmesso al CNF (art. 59).

Spetta poi al CNF comunicare gli atti al PM presso la Cassazione. Nel frattempo le parti interessate dovranno eleggere il proprio domicilio a Roma mentre il professionista interessato potrà essere assistito da un avvocato iscritto all’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori (art. 60).

Il procedimento presso il CNF prevede quindi che:

§       il Presidente del Consiglio nomini un relatore tra i componenti del Consiglio stesso e fissi la data della seduta per la discussione del ricorso, dandone comunicazione al ricorrente ed alle altre parti (art. 61);

§       alla discussione intervenga sempre il PM se il ricorso è stato proposto dalla pubblica accusa ovvero se il ricorso riguarda un provvedimento disciplinare o di cancellazione dall’albo speciale. In tutti gli altri casi alla discussione può intervenire il PM (artt. 62 e 65);

§       in sede di discussione il relatore riferisca sul ricorso consentendo poi al professionista (o al suo difensore) di prendere la parola e lasciando la conclusione al PM (se intervenuto);

§       il CNF possa procedere a ulteriori indagini ritenute necessarie all’accertamento dei fatti prima di assumere la decisione (art. 63);

§       la decisione sia pronunciata in nome del Popolo Italiano, sia redatta dal relatore e contenga oltre al dispositivo l’esposizione dei motivi. La decisione è pubblicata mediante deposito presso la segreteria del CNF (art. 64).

 

Le suddette disposizioni trovano naturalmente applicazione nei limiti in cui non sia diversamente disposto dal progetto di riforma che, seppur sommariamente, descrive il procedimento. L’articolo 34 prevede, in particolare che:

·       le udienze del CNF siano pubbliche;

·       ad esse partecipi con funzioni di PM un magistrato (almeno consigliere di cassazione) appositamente delegato dal procuratore generale presso la Cassazione (comma 2). Quando l’udienza riguardi provvedimenti disciplinari, il magistrato non dovrà percepire compensi, gettoni o indennità (comma 3);

·       la decisione del CNF debba essere notificata entro 30 giorni ai seguenti soggetti (commi 4 e 5):

-       interessato;

-       PM presso la Cassazione;

-       tribunale della circoscrizione alla quale l’interessato appartiene;

-       PM presso la relativa Corte d’appello;

-       consiglio dell’ordine circondariale (d’appartenenza del professionista).

·       gli interessati e il PM possano proporre ricorso avverso al decisione del CNF alle sezioni unite della Cassazione entro 30 giorni per i seguenti vizi (comma 6):

-       incompetenza;

-       eccesso di potere;

-       violazione di legge.

La presentazione del ricorso non sospende l’efficacia del provvedimento a meno che non decidano in tal senso le Sezioni Unite, su istanza del ricorrente (comma 7).

Le sezioni unite possono annullare il provvedimento rinviando la decisione al CNF, che dovrà conformarsi al punto di diritto affermato dalla Suprema Corte (comma 8).


Articolo 35
(Funzionamento)

1. Il CNF pronuncia sui ricorsi indicati nell'articolo 34 secondo le previsioni di cui agli articoli da 59 a 65 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37, applicando, se necessario, le norme ed i princìpi del codice di procedura civile.

2. Nei procedimenti giurisdizionali si applicano le norme del codice di procedura civile sulla astensione e ricusazione dei giudici. I provvedimenti del CNF su impugnazione di delibere dei Consigli istruttori di disciplina e dei consigli circondariali hanno natura di sentenza.

3. Il controllo contabile e della gestione è svolto da un collegio di tre revisori dei conti nominato dal primo presidente della Corte di cassazione, che li sceglie tra gli iscritti al registro dei revisori, nominando anche due revisori supplenti. Il collegio è presieduto dal componente più anziano per iscrizione.

4. Per il compenso dei revisori si applica il criterio di cui all'articolo 29, comma 5.

5. Il CNF può svolgere la propria attività non giurisdizionale istituendo commissioni di lavoro, anche eventualmente con la partecipazione di membri esterni al Consiglio.

 

Il contenuto dell’articolo 35 può essere diviso in tre parti:

§         la prima (commi 1 e 2) rappresenta il seguito di quanto già affermato in ordine alla competenza giurisdizionale dall’articolo 34;

§         la seconda (commi 3 e 4) attiene invece al controllo contabile e dunque al ruolo dei revisori;

§         la terza (comma 5) afferma per il Consiglio la possibilità di istituire commissioni interne per lo svolgimento dell’attività non giurisdizionale.

 

In ordine alla competenza giurisdizionale, infatti, l’articolo in commento rinvia di nuovo agli articoli da 59 a 65 del RD n. 37 del 1934 (analogo rinvio è contenuto nell’art. 33, comma 1, lettera c), e nell’art. 34, comma 1) e, per quanto non disposto, al codice di procedura civile. Il rinvio al codice di rito vale in particolare per le disposizioni sull’astensione e ricusazione dei giudici. Il comma 2 stabilisce che i provvedimenti adottati dal CNF in sede di reclamo delle decisioni dei Consigli istruttori di disciplina e dei consigli circondariali hanno natura di sentenza.

 

Dal punto di vista della collocazione sistematica, occorre valutare se inserire la parte della disposizione relativa alla competenza giurisdizionale del CNF (commi 1 e 2) nell’ambito dell’articolo 34 (specificamente dedicato a tale materia) e, comunque, di espungere il rinvio agli articoli da 59 a 65 del RD n. 37 del 1934, già contenuto nell’art. 33, comma 1, lettera c), e nell’art. 34, comma 1.

 

Per quanto riguarda il controllo contabile e della gestione del Consiglio nazionale forense, il progetto di legge lo affida a un collegio di 3 revisori dei conti (cui si aggiungono 2 supplenti), nominato dal Presidente della Corte di cassazione, e presieduto dal revisore più anziano (comma 3). I revisori debbono essere iscritti al registro dei revisori (la disposizione non precisa se, come nel caso dei revisori degli ordini circondariali, debba trattarsi di avvocati iscritti all’albo). Anche in questo caso – come per i revisori del consiglio circondariale (v. sopra, art. 29) - per determinare il compenso spettante ai revisori occorre dimezzare gli onorari previsti dalle tariffe professionali dei revisori contabili (comma 4).

 

Come detto, il comma 5 prevede – analogamente a quanto consentito ai consigli circondariali dall’articolo 30 (v. sopra) – che il CNF possa costituire commissioni di lavoro alle quali partecipano anche membri esterni purché le stesse non debbano occuparsi di questioni giurisdizionali.


Articolo 36
(Eleggibilità e incompatibilità)

1. Sono eleggibili al CNF gli iscritti all'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori. Risultano eletti coloro che hanno riportato il maggior numero di voti. In caso di parità di voti risulta eletto il più anziano per iscrizione e, tra coloro che abbiano uguale anzianità di iscrizione, il maggiore di età.

2. Non possono essere eletti coloro che abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, condanna esecutiva anche non definitiva ad una sanzione disciplinare più grave dell'avvertimento.

3. La carica di consigliere nazionale è incompatibile con quella di consigliere dell'ordine e di componente del consiglio di amministrazione e del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

4. L'eletto che viene a trovarsi in condizione di incompatibilità deve optare per uno degli incarichi entro trenta giorni dalla proclamazione. Nel caso in cui non vi provveda, decade automaticamente dall'incarico assunto in precedenza.

 

 

L’articolo 36, in materia di eleggibilità e incompatibilità, va letto in combinato con l’articolo 32 del progetto di legge (v. sopra), che disciplina le modalità di elezione del CNF.

 

Peraltro si osserva che il disposto del comma 1 sull’elezione di colui che ha riportato il maggior numero di voti ovvero – in caso di parità – del più anziano per iscrizione è in parte ripetitivo di quanto previsto dal precedente art. 32, comma 2.

 

Per l’elettorato passivo il progetto di legge richiede che gli aspiranti membri del CNF siano avvocati iscritti all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori (comma 1) e non abbiano subito, nei 5 anni precedenti, una sanzione disciplinare più grave dell’avvertimento (comma 2).

La carica di membro del CNF è incompatibile con le seguenti cariche:

-          membro del consiglio dell’ordine circondariale;

-          amministratore della Cassa di previdenza forense.

 

In caso di elezione il membro del CNF dovrà optare per uno degli incarichi entro 30 giorni, pena la decadenza automatica dall’incarico assunto in precedenza.

 

Le situazioni di incompatibilità per i componenti del CNF corrispondono a quelle previste dall’articolo 27, comma 10, per i consiglieri degli ordini circondariali. Anche per le situazioni di incompatibilità di questi ultimi è previsto un termine di 30 giorni per optare per uno degli incarichi e la decadenza automatica dall’incarico precedente.


Capo IV
Congresso Nazionale Forense

Articolo 37
(Congresso nazionale forense)

1. Il CNF convoca il congresso nazionale forense almeno ogni tre anni.

2. Il congresso nazionale forense è la massima assise dell'avvocatura italiana nel rispetto dell'identità e dell'autonomia di ciascuna delle sue componenti associative. Tratta e formula proposte sui temi della giustizia e della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, nonché le questioni che riguardano la professione forense.

3. Il congresso nazionale forense delibera autonomamente le proprie norme regolamentari e statutarie, ed elegge l'organismo chiamato a dare attuazione ai suoi deliberati.

 

Il progetto di legge introduce un ulteriore organo, il Congresso nazionale forense, al quale dedica un capo della riforma (composto da un solo articolo), definendolo «la massima assise dell’avvocatura italiana».

 

L’articolo 37 non chiarisce però da chi sia composto tale organo né con quali modalità possa deliberare proprie norme regolamentari e statutarie ovvero eleggere «l’organismo chiamato a dare attuazione ai suoi deliberati».

 

Ciò che invece la disposizione in commento afferma è che:

§      il Congresso nazionale forense è convocato dal CNF;

§      tale convocazione deve essere effettuata almeno ogni tre anni;

§      il Congresso nazionale forense formula proposte «sui temi della giustizia e della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, nonché le questioni che riguardano la professione forense».

 


Titolo IV
ACCESSO ALLA PROFESSIONE FORENSE

In base al Titolo IV per svolgere la professione forense occorre che il laureato in giurisprudenza soddisfi i seguenti requisiti:

-       aver svolto il tirocinio professionale (della durata di 24 mesi) con le modalità indicate dal Capo I;

-       aver superato l’esame di Stato per l’iscrizione all’Ordine.

Capo I
Tirocinio professionale

Il Capo I è dedicato al tirocinio che deve essere svolto per potere essere ammessi a sostenere l'esame di abilitazione alla professione di avvocato.

 

Attualmente, l'accesso al tirocinio è regolato dal Capo I del Titolo I del regio decreto 37/1934 in base al quale possono svolgere la pratica tutti i laureati in giurisprudenza che siano stati ammessi da un avvocato a frequentare il proprio studio. E’ invece il D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101 che regolamenta nel dettaglio la pratica forense per l'ammissione dell'esame di Stato.

 

In estrema sintesi, e rinviando all’esame delle singole disposizioni per l’approfondimento, si può affermare che la riforma rende più severa la disciplina del tirocinio.

Se dal punto di vista dei tempi, la durata biennale della pratica è confermata, il progetto di legge stabilisce che il tirocinio pratico debba essere accompagnato da un approfondimento teorico – sempre biennale – da realizzare attraverso la frequenza di appositi corsi di formazione, al termine dei quali è prevista una verifica dell’apprendimento.

Contestualmente, al praticante è vietato instaurare un rapporto di lavoro pubblico mentre è consentito instaurare un rapporto di lavoro subordinato privato purché questo abbia modalità ed orari idonei a consentire l'effettivo e puntuale svolgimento del tirocinio.

Dal punto di vista economico il tirocinio comporta comunque l’obbligo per l’avvocato di corrispondere al praticante il rimborso delle spese sostenute per conto dello studio professionale e l’obbligo per l’avvocato di corrispondere al praticante, ma solo dopo il primo anno di tirocinio, un «rimborso congruo» (e non un compenso) per l’attività svolta, da calcolare tenendo conto dell’apporto professionale dato ma anche dell’uso dei servizi e delle strutture dello studio professionale.

Per quanto riguarda le modalità del tirocinio, la riforma prevede che questo possa svolgersi non solo presso il professionista che vanti un’anzianità di iscrizione all’albo almeno quinquennale, o presso l’avvocatura dello Stato, ma anche – seppur per periodi limitati - presso un ufficio giudiziario (le modalità dovranno essere definite da un regolamento attuativo) o presso un avvocato che eserciti in uno Stato dell’Unione europea.

 

Sulla nuova disciplina del tirocinio, nella sopra richiamata segnalazione al Parlamento, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha evidenziato alcune criticità, legate in primo luogo alle nuove limitazioni relative all’attività del praticante (tra le quali, in particolare, la previsione dello svolgimento della pratica presso lo studio di un avvocato con almeno 5 anni di anzianità, l’incompatibilità dell’attività di tirocinio con qualsiasi rapporto di impiego pubblico o privato, con l’esercizio dell’attività di impresa e con lo svolgimento anche di tirocini, le limitazioni alle attività professionali del tirocinante abilitato). L’AGCM affronta anche il tema del compenso del praticante (su cui infra) e dei corsi di formazione obbligatori, osservando come questi ultimi “dovrebbero semmai essere sostitutivi del tirocinio e non aggiuntivi al patrocinio”.


Articolo 38
(
Accordi tra università e ordini forensi)

1. I consigli dell'ordine degli avvocati possono stipulare convenzioni, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con le università per la disciplina dei rapporti reciproci.

2. Il CNF e la Conferenza dei presidi delle facoltà di giurisprudenza promuovono, anche mediante la stipulazione di apposita convenzione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, la piena collaborazione tra le facoltà di giurisprudenza e gli ordini forensi, per il perseguimento dei fini di cui al presente capo.

 

L’articolo 38 è volto a rafforzare la collaborazione tra consigli dell'ordine e facoltà di giurisprudenza, nell'ottica di orientare il percorso universitario verso la formazione professionale dell'avvocato («per il perseguimento dei fini di cui al presente capo»). In particolare, mentre il comma 1 riguarda la stipula la convenzioni a livello locale tra singole università e consigli dell’ordine, il comma 2 riguarda convenzioni-quadro da stipulare a livello nazionale tra il CNF e la Conferenza dei presidi delle facoltà di giurisprudenza.

 


Articolo 39
(Contenuti e modalità di svolgimento del tirocinio)

1. Il tirocinio professionale consiste nell'addestramento, a contenuto teorico e pratico, del praticante avvocato finalizzato a fargli conseguire le capacità necessarie per l'esercizio della professione di avvocato e per la gestione di uno studio legale nonché a fargli apprendere e rispettare i princìpi etici e le regole deontologiche.

2. Presso il consiglio dell'ordine è tenuto il registro dei praticanti avvocati, l'iscrizione al quale è condizione per lo svolgimento del tirocinio professionale. Ai fini dell'iscrizione nel registro dei praticanti è necessario aver conseguito la laurea in giurisprudenza.

3. Per l'iscrizione nel registro dei praticanti avvocati e la cancellazione dallo stesso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall'articolo 16.

4. Lo svolgimento del tirocinio è incompatibile con qualunque rapporto di impiego pubblico. Al praticante avvocato si applicano le eccezioni previste per l'avvocato dall'articolo 18. Il tirocinio può essere svolto contestualmente ad attività di lavoro subordinato privato, purché con modalità ed orari idonei a consentirne l'effettivo e puntuale svolgimento.

5. Il tirocinio è svolto in forma continuativa per ventiquattro mesi. La sua interruzione per oltre sei mesi, senza giustificato motivo, comporta la cancellazione dal registro dei praticanti, salva la facoltà di chiedere nuovamente l'iscrizione nel registro, che può essere deliberata previa nuova verifica da parte del consiglio dell'ordine della sussistenza dei requisiti stabiliti dalla presente legge.

6. Il tirocinio può essere svolto:

a) presso un avvocato, con anzianità di iscrizione all'albo non inferiore a cinque anni;

b) presso l'Avvocatura dello Stato o presso l'ufficio legale di un ente pubblico o presso un ufficio giudiziario per non più di dodici mesi;

c) per non più di sei mesi, in altro Paese dell'Unione europea presso professionisti legali, con titolo equivalente a quello di avvocato, abilitati all'esercizio della professione.

7. L'avvocato è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in modo proficuo e dignitoso per la finalità di cui al comma 1 e non può assumere la funzione per più di tre praticanti contemporaneamente, salva l'autorizzazione rilasciata dal competente consiglio dell'ordine previa valutazione dell'attività professionale del richiedente e dell'organizzazione del suo studio.

8. Il tirocinio professionale non determina l'instaurazione di rapporto di lavoro subordinato anche occasionale. Al praticante avvocato è sempre dovuto il rimborso delle spese sostenute per conto dello studio presso il quale svolge il tirocinio. Ad eccezione che negli enti pubblici e presso l'Avvocatura dello Stato, decorso il primo anno, l'avvocato riconosce al praticante avvocato un rimborso congruo per l'attività svolta per conto dello studio, commisurato all'effettivo apporto professionale dato nell'esercizio delle prestazioni e tenuto altresì conto dell'utilizzo da parte del praticante avvocato dei servizi e delle strutture dello studio.

9. Nel periodo di svolgimento del tirocinio il praticante avvocato, decorso un anno dall'iscrizione nel registro dei praticanti, può esercitare attività professionale solo in sostituzione dell'avvocato presso il quale svolge la pratica e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso, in ambito civile di fronte al tribunale e al giudice di pace, e in ambito penale nei procedimenti che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, rientravano nella competenza del pretore. L'abilitazione decorre dalla delibera di iscrizione nell'apposito registro. Essa può durare al massimo cinque anni, salvo il caso di sospensione dall'esercizio professionale non determinata da giudizio disciplinare, alla condizione che permangano tutti i requisiti per l'iscrizione nel registro.

10. Il Ministro della giustizia con proprio decreto adotta, sentito il CNF, il regolamento che disciplina:

a) le modalità di svolgimento del tirocinio e le relative procedure di controllo da parte del competente consiglio dell'ordine;

b) le ipotesi che giustificano l'interruzione del tirocinio, tenuto conto di situazioni riferibili all'età, alla salute, alla maternità e paternità del praticante avvocato, e le relative procedure di accertamento;

c) i requisiti di validità dello svolgimento del tirocinio, in altro Paese dell'Unione europea.

11. Il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l'ordine del luogo ove intenda proseguire il tirocinio. Il consiglio dell'ordine autorizza il trasferimento, valutati i motivi che lo giustificano, e rilascia al praticante un certificato attestante il periodo di tirocinio che risulta regolarmente compiuto.

 

 

Il progetto di legge definisce il tirocinio professionale come l'addestramento teorico-pratico dell’aspirante avvocato volto (comma 1):

-       al conseguimento delle capacità necessarie all’esercizio della professione e alla gestione di uno studio legale;

-       all’apprendimento e al rispetto dei princìpi etici e delle regole deontologiche.

 

Il tirocinio può essere svolto da chiunque sia laureato in giurisprudenza, previa iscrizione al registro dei praticanti avvocati (comma 2). Per l’iscrizione al registro valgono però – laddove compatibili – i requisiti previsti per l’iscrizione all’albo degli avvocati dall’articolo 16 (v. sopra) e quindi si applicano le limitazioni relative alla cittadinanza, al domicilio professionale, al godimento dei diritti civili, ai carichi penali e alla condotta (comma 3).

Per quanto riguarda le situazioni di incompatibilità con il tirocinio, l’articolo 39, comma 3, rinvia, nei limiti della compatibilità, all’articolo 16 del progetto di legge. Tale disposizione subordina l’iscrizione all’albo degli avvocati al fatto che l’aspirante professionista non si trovi in una delle condizioni di incompatibilità di cui all’articolo 17, che, si ricorda, esclude la compatibilità della professione forense «con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato».

Il comma 4 dell’articolo 39, invece, afferma l’incompatibilità con qualunque rapporto di impiego pubblico (salve le ipotesi di cui all’art. 18, relativo ai docenti e ai ricercatori universitari), consentendo invece che il tirocinio si svolga in presenza di un impiego subordinato privato, purché quest’ultimo consenta all’aspirante avvocato l’effettivo e puntuale svolgimento del tirocinio.

 

Nella normativa vigente, Cass., SS.UU., 28170/2008 ha affermato la compatibilità tra pratica forense (salvo che per i praticanti ammessi al tirocinio) e rapporti di lavoro dipendenti pubblici e privati.

 

Il comma 5 stabilisce che il tirocinio debba essere svolto in forma continuativa per 24 mesi: l’interruzione ingiustificata per oltre sei mesi comporta la cancellazione dal registro, salva la facoltà di chiedere nuovamente l’iscrizione nel registro, che può essere deliberata previa nuova verifica da parte del consiglio dell’ordine della sussistenza dei requisiti.

 

Attualmente, ai sensi dell'art. 17, primo comma, n. 5, della legge professionale, il periodo di pratica ha la durata di due anni consecutivi.

Ai sensi dell'art. 1 del D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101, la pratica si svolge principalmente presso lo studio e sotto il controllo di un avvocato e comporta il compimento delle attività proprie della professione. La frequenza dello studio può essere sostituita, per un periodo non superiore ad un anno, dalla frequenza di una scuola di specializzazione per le professioni forensi. Costituisce integrazione della pratica forense, contestuale al suo normale svolgimento, la frequenza di scuole di formazione professionale istituite dai Consigli dell'ordine.

Per quanto riguarda l’interruzione della pratica, ai sensi dell'art. 4, comma 3, del regio decreto 37/1934, se questa si protrae per un periodo superiore a sei mesi il praticante è cancellato dal registro, rimanendo privo di effetti il periodo di pratica già compiuto.

 

La disposizione non chiarisce se, come nella normativa vigente, in caso di interruzione, il periodo di pratica già compiuto precedentemente all'interruzione stessa rimanga privo di effetti.

 

Il tirocinio potrà svolgersi (comma 6):

 

§      presso un avvocato, con anzianità di iscrizione all’albo non inferiore a cinque anni; il tirocinio potrà essere svolto per l’intero periodo con queste modalità. L’avvocato non potrà far svolgere presso il proprio studio il tirocinio a più di tre praticanti a meno che il consiglio dell’ordine – valutata l’attività professionale e l’organizzazione dello studio legale del richiedente – non conceda un’apposita autorizzazione (comma 7);

 

Attualmente, l’articolo 4 del DPR n. 101/1990 attribuisce ai consigli dell’ordine il compito di accertare e promuovere la disponibilità degli iscritti ad accogliere nei propri studi i laureati in giurisprudenza che intendano svolgere il tirocinio forense. La disposizione stabilisce inoltre che gli avvocati abilitati da almeno un biennio sono tenuti, nei limiti delle proprie possibilità, ad accogliere nel proprio studio i praticanti, istruendoli e preparandoli all'esercizio della professione, anche sotto il profilo dell'osservanza dei princìpi della deontologia forense.

 

§      presso l’Avvocatura dello Stato ovvero presso l’ufficio legale di un ente pubblico ovvero presso un ufficio giudiziario. In tutte e tre le ipotesi, questo tipo di tirocinio non può durare più di dodici mesi;

§      presso professionisti legali, con titolo equivalente a quello di avvocato, in altro paese dell’Unione europea. Il tirocinio svolto con queste modalità non può avere una durata superiore a sei mesi.

 

Rispetto alla disciplina attuale, le maggiori novità sono dunque le seguenti:

-    il progetto di legge ha eliminato la frequenza alla scuola di formazione forense che attualmente può sostituire, per un periodo non superiore ad un anno, la frequenza dello studio professionale (sui corsi di formazione si veda però, infra, l’articolo 41);

-    la pratica presso l’avvocato italiano può essere sostituita parzialmente (per massimo 6 mesi) dalla pratica presso un avvocato che eserciti in uno Stato dell’Unione europea, nonché dalla frequenza di uffici giudiziari (in questo caso per massimo 12 mesi);

-    la pratica presso l’Avvocatura dello stato non può durare oltre 12 mesi (attualmente, l’art. 24 R.D. 1611/1933 prevede che essa non possa durare oltre il tempo minimo richiesto per essere ammessi agli esami per la iscrizione negli albi professionali).

 

In base al comma 8, il tirocinio professionale non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato anche occasionale.

Dal punto di vista economico il progetto di legge prevede che:

§      al praticante sia sempre dovuto il rimborso delle spese sostenute per conto dello studio professionale;

§      decorso il primo anno, al praticante sia dovuto anche un «rimborso congruo» (e non un compenso) per l’attività svolta, da calcolare tenendo conto dell’apporto professionale dato ma anche dell’uso dei servizi e delle strutture dello studio professionale. Questa disposizione non si applica al tirocinio svolto presso enti pubblici o l’Avvocatura dello Stato.

 

Da tali disposizioni deriva che al praticante, da un lato, è inibito lo svolgimento di attività lavorativa in ambito pubblico e fortemente limitata l’attività privata, dall’altro che, almeno per il primo anno di tirocinio, non spetta alcun rimborso o compenso. Contestualmente, il successivo articolo 41 prevede la partecipazione obbligatoria per l’accesso alla professione a corsi di formazione, dei quali non è esclusa l’onerosità. Occorre valutare gli effetti di tale disciplina in termini di limitazione all’accesso alla professione.

 

Trascorso un anno dall’iscrizione nel registro dei praticanti, e per un termine massimo di cinque anni, il tirocinante può – sotto il controllo e la responsabilità dell’avvocato presso il quale svolge il tirocinio – sostituire il dominus (comma 9):

- in sede civile, di fronte al tribunale o al giudice di pace;

- in sede penale, nelle controversie già di competenza del pretore.

 

La disposizione rinvia alla disciplina in vigore prima della riforma del giudice unico (d.lgs. n. 51 del 1998). In particolare, si ricorda che ai sensi dell’articolo 7 del codice di procedura penale – poi abrogato da tale riforma – erano di competenza del pretore i seguenti reati:

-    reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovvero una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva;

-    violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 336 comma 1 del codice penale;

-    resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 337 del codice penale;

-    oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell'articolo 343 comma 2 del codice penale;

-    violazione di sigilli aggravata a norma dell'articolo 349 comma 2 del codice penale;

-    avoreggiamento reale previsto dall'articolo 379 del codice penale;

-    maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, quando non ricorre l'aggravante prevista dall'articolo 572 comma 2 del codice penale;

-    issa aggravata a norma dell'articolo 588 comma 2 del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime;

-    omicidio colposo previsto dall'articolo 589 del codice penale;

-    violazione di domicilio aggravata a norma dell'articolo 614 comma 4 del codice penale;

-    furto aggravato a norma dell'articolo 625 del codice penale;

-    truffa aggravata a norma dell'articolo 640 comma 2 del codice penale;

-    ricettazione prevista dall'articolo 648 del codice penale.

 

Da un punto di vista formale, occorre valutare se, ai fini dell’individuazione delle controversie in materia penale rispetto alle quali il praticante può esercitare attività professionale, mantenere, come nel comma 9, il rinvio ad una disposizione non più in vigore o esplicitare tali ipotesi.

 

Spetterà al ministro della giustizia adottare un regolamento (sentito il CNF) attraverso il quale disciplinare (comma 10):

-       le modalità di svolgimento del tirocinio e le relative procedure di controllo da parte del competente consiglio dell’ordine;

-       le ipotesi che giustificano l’interruzione del tirocinio, tenuto conto di situazioni riferibili all’età, alla salute, alla maternità e paternità del praticante avvocato, e le relative procedure di accertamento;

-       le condizioni e le modalità di svolgimento del tirocinio in altro paese dell’Unione europea.

 

Infine, il comma 11 consente al tirocinante di trasferire la propria iscrizione al registro dei praticanti tenuti da un diverso consiglio dell’ordine, conservando validità al periodo di tirocinio già compiuto. In merito si veda anche, infra, l’art. 43, comma 2.

 


Articolo 40
(Norme disciplinari per i praticanti)

1. I praticanti osservano gli stessi doveri e norme deontologiche degli avvocati e sono soggetti al potere disciplinare del consiglio dell'ordine.

 

L’articolo 40 prevede che i praticanti debbano osservare gli stessi doveri e norme deontologiche degli avvocati e che siano soggetti al potere disciplinare del Consiglio dell’ordine.

 

La disposizione non chiarisce quali effetti abbia l’esercizio del potere disciplinare sul tirocinio in corso.

 


Articolo 41
(Corsi di formazione per l'accesso alla professione di avvocato)

1. Il tirocinio, oltre che nella pratica svolta presso uno studio professionale, consiste altresì nella frequenza obbligatoria e con profitto, per un periodo non inferiore a ventiquattro mesi, di corsi di formazione di indirizzo professionale tenuti da ordini e associazioni forensi, nonché dagli altri soggetti previsti dalla legge.

2. Il CNF disciplina con regolamento ai sensi dell'articolo 28, comma 1, lettera c):

a) le modalità e le condizioni per l'istituzione dei corsi di formazione di cui al comma 1 da parte degli ordini e delle associazioni forensi giudicate idonee, in maniera da garantire la libertà ed il pluralismo dell'offerta formativa e della relativa scelta individuale;

b) i contenuti formativi dei corsi di formazione in modo da ricomprendervi, in quanto essenziali, l'insegnamento del linguaggio giuridico, la redazione degli atti giudiziari, la tecnica impugnatoria dei provvedimenti giurisdizionali e degli atti amministrativi, la tecnica di redazione del parere stragiudiziale e la tecnica di ricerca;

c) la durata minima dei corsi di formazione, prevedendo un carico didattico non inferiore a centosessanta ore per l'intero biennio;

d) le modalità e le condizioni per la frequenza dei corsi di formazione da parte del praticante avvocato nonché quelle per le verifiche intermedie e finale del profitto, che sono affidate ad una commissione composta da avvocati, magistrati e docenti universitari, in modo da garantire omogeneità di giudizio su tutto il territorio nazionale. Ai componenti della commissione non sono riconosciuti compensi, indennità o gettoni di presenza.

 

L’articolo 41 dispone che il tirocinio di durata biennale debba essere accompagnato da un approfondimento teorico – di pari durata – da realizzare attraverso la frequenza di appositi corsi di formazione. Ai fini dell’ammissione all’esame di Stato, la frequenza a tali corsi è obbligatoria e deve aver avuto luogo con profitto.

 

Attualmente esistono due tipi di scuole: le scuole di specializzazione per le professioni legali e le c.d. scuole forensi.

Le scuole di specializzazione per le professioni legali sono state istituite presso le facoltà di giurisprudenza e nascono da una delega (art. 17, commi 113 e 114, della legge 15 maggio 1997, n. 127) per la riforma del concorso in magistratura. L’idea di fondo era di prevedere come condizione per l'ammissione al concorso l'obbligo di conseguire un diploma presso tali scuole; tale titolo sarebbe stato poi valutabile anche ai fini del compimento del periodo di pratica forense. In attuazione della delega, il decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398 ha stabilito (art. 16) che le suddette scuole provvedono alla formazione comune dei laureati in giurisprudenza attraverso l'approfondimento teorico, integrato da esperienze pratiche, finalizzato all'assunzione dell'impiego di magistrato ordinario o all'esercizio delle professioni di avvocato o notaio. La durata delle Scuole di specializzazione è fissata in due anni per coloro che conseguono la laurea in giurisprudenza secondo il vecchio ordinamento didattico (corso quadriennale); mentre è fissata in un anno per coloro che hanno conseguito la laurea secondo il nuovo ordinamento (laurea triennale più laurea specialistica biennale)[28]. L'accesso alla scuola avviene mediante concorso per titoli ed esame. Ai sensi del D.M. 11 dicembre 2001, n. 475, il diploma di specializzazione conseguito presso la scuola è valutato, ai fini del compimento del periodo di pratica forense, per il periodo di un anno.

Invece, ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. n. 101/1990 i consigli dell'Ordine possono istituire scuole di formazione professionale (c.d. scuole forensi) la cui frequenza, contestuale al suo normale svolgimento, integra la pratica forense. I corsi sono tenuti nell'ambito di un biennio e debbono avere un indirizzo teorico-pratico comprendente anche lo studio della deontologia e della normativa sulla previdenza forense. Il programma dei corsi deve contemplare un adeguato numero di esercitazioni interdisciplinari, su tutte le materie di esame, condotte da professionisti esperti negli specifici settori operativi e consistenti anche nello studio, l'analisi e la trattazione, da parte dei praticanti e sotto la guida dei docenti, di casi pratici di natura civile, penale e amministrativa. Il programma dei corsi deve essere preventivamente approvato dal CNF.

 

In particolare, l’articolo in commento attribuisce al CNF il compito di regolamentare l’istituzione dei corsi di formazione da parte dei consigli dell’ordine e delle associazioni forensi, garantendo il pluralismo dell’offerta formativa.

Il CNF dovrà inoltre definire i contenuti formativi, la durata minima dei corsi (non meno di 160 ore nel biennio), le modalità e le condizioni della frequenza e delle verifiche intermedie.

Il progetto di legge stabilisce inoltre che la verifica finale sia affidata a una commissione composta da avvocati, magistrati e docenti universitari, che garantisca uniformità di giudizio su tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda la compatibilità dei corsi di formazione di cui all’articolo 41 con le scuole di specializzazione per le professioni legali, occorre fra riferimento ad un diverso articolo del progetto di legge. Sulla base dell’articolo 47 (v. infra) – che contiene una disciplina transitoria sul tirocinio – deve escludersi che la frequenza della scuola di specializzazione per le professioni legali (e conseguimento del relativo diploma) possa essere valutata ai fini del compimento del periodo di pratica forense.

 


Articolo 42
(Frequenza di uffici giudiziari)

1. L'attività di praticantato presso gli uffici giudiziari è disciplinata da apposito regolamento da emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il CNF.

 

 

Se l’articolo 39, comma 6, stabilisce che per massimo 12 mesi il tirocinio possa essere svolto presso un ufficio giudiziario (v. sopra), l’articolo 42 attribuisce ad un regolamento del Ministero della giustizia, da emanare entro un anno dall’entrata in vigore della riforma, sentiti CSM e CNF, il compito di disciplinare le modalità di questa attività di praticantato.

 


Articolo 43
(Certificato di compiuto tirocinio)

1. Il consiglio dell'ordine presso il quale è compiuto il biennio di tirocinio rilascia il relativo certificato.

2. In caso di domanda di trasferimento del praticante avvocato presso il registro tenuto da altro consiglio dell'ordine, quello di provenienza certifica la durata del tirocinio svolto fino alla data di presentazione della domanda e, ove il prescritto periodo di tirocinio risulti completato, rilascia il certificato di compiuto tirocinio.

3. Il praticante avvocato è ammesso a sostenere l'esame di Stato nella sede di corte di appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. Nell'ipotesi in cui il tirocinio sia stato svolto per uguali periodi sotto la vigilanza di più consigli dell'ordine aventi sede in distretti diversi, la sede di esame è determinata in base al luogo di svolgimento del primo periodo di tirocinio.

 

L’articolo 43 disciplina la conclusione del tirocinio, attestata dal certificato di compiuta pratica.

 

Il certificato di compiuta pratica è attualmente disciplinato dalle seguenti disposizioni:

-    art. 10 del regio decreto 37/1934, ai sensi del quale il Consiglio dell'ordine rilascia, su richiesta degli interessati, un certificato di compimento della pratica a coloro che, dai documenti prodotti, risultino avere atteso alla pratica stessa, per il periodo prescritto, con diligenza e profitto. Il Consiglio deve deliberare sulla richiesta dell'interessato entro 15 giorni; avverso la deliberazione con la quale la richiesta non sia stata accolta, ovvero avverso il silenzio del consiglio, l'interessato ha facoltà di presentare reclamo al CNF;

-    art. 9 del D.P.R. 101/1990, modificato nel 2003[29], ai sensi del quale il certificato deve essere rilasciato dal consiglio dell'ordine del luogo ove il praticante ha svolto la maggior parte della pratica ovvero, in caso di parità, del luogo in cui la pratica è stata iniziata. Il certificato di compiuta pratica non può essere rilasciato più di una volta. In caso di trasferimento del praticante, il consiglio dell'ordine di provenienza certifica il periodo di tirocinio già svolto. È il certificato che individua la Corte di appello presso cui il praticante può sostenere gli esami di avvocato.

 

La disposizione in commento stabilisce che se il biennio di tirocinio è svolto integralmente presso un consiglio dell’ordine, spetta a questo rilasciare il certificato di compiuta pratica (comma 1).

Più complessa è l’ipotesi in cui il praticante - come consentito dall’art. 39, comma 11 – trasferisca la propria iscrizione presso un ordine diverso dall’originario e dunque svolga il tirocinio presso consigli dell’ordine diversi. In questo caso, infatti, il comma 2 stabilisce che il consiglio dell’ordine di provenienza debba attestare la durata del tirocinio svolto prima della domanda di trasferimento ed eventualmente – laddove verifichi che il biennio è completato – rilasciare il certificato di compiuta pratica. La disposizione non esplicita però che se il tirocinio non è completato nella prima sede, il certificato di compiuta pratica dovrà essere rilasciato dal consiglio dell’ordine presso il quale il tirocinio è completato (ovvero quello di destinazione).

La formulazione della norma lascia quindi aperta la possibilità di avere più certificati, rilasciati da consigli dell’ordine diversi, che attestano ciascuno una pratica incompleta. Ciò giustificherebbe la formulazione del comma 3, in base al quale la Corte d’appello ove sostenere l’esame non è quella ove ha sede il consiglio dell’ordine che ha rilasciato il certificato, bensì quella ove ha sede il consiglio dell’ordine presso il quale è stata svolta la maggior parte della pratica.

Confermando la disciplina attuale – introdotta nel 2003 - In caso di equivalenza dei periodi di tirocinio, la sede d’esame va individuata nel distretto di Corte d’appello ove si è iniziata la pratica forense.

 

Prima del 2003 la collocazione territoriale dello studio legale presso il quale si concludeva la pratica determinava la Corte di appello presso cui il praticante poteva sostenere gli esami. Per contrastare la prassi del trasferimento del praticante nell’ultimo semestre di pratica al solo fine di scegliere la sede d’esame, la disciplina attuale prevede che il certificato non venga rilasciato più dal Consiglio dell’ordine del luogo ove è stato effettuato tale ultimo semestre bensì dal Consiglio dell’ordine del luogo dove il praticante ha svolto la maggior parte della pratica (quindi oltre un anno), ovvero, in caso di parità, del luogo ove la pratica è iniziata.

 

Si sottolinea che la riforma in esame non riproduce la disposizione che attualmente stabilisce che il certificato di compiuta pratica può essere rilasciato una sola volta. Tale disposizione (introdotta sempre nel 2003) era volta ad evitare che l’aspirante avvocato potesse successivamente allo svolgimento di un primo biennio di tirocinio svolgere un nuovo periodo di pratica presso una diversa sede, al fine di scegliere una diversa sede d’esame.

 


Capo II
Esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato

Il Capo II descrive il secondo passaggio che il laureato in giurisprudenza deve superare per poter iscriversi all’albo degli avvocati ed esercitare la professione forense: l’esame di Stato.


Articolo 44
(Disposizioni generali)

1. L'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato può essere sostenuto soltanto dal praticante avvocato che abbia effettuato il tirocinio professionale.

2. L'esame di Stato si svolge con periodicità annuale nelle date fissate e nelle sedi di corte d'appello determinate con apposito decreto del Ministro della giustizia, sentito il CNF. Nel decreto è stabilito il termine per la presentazione delle domande di ammissione.

 

 

L’articolo 44 ribadisce che possono sostenere l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione forense esclusivamente i praticanti che abbiano svolto il tirocinio disciplinato dalle disposizioni precedenti (comma 1).

Non innovando rispetto alla disciplina attuale, la disposizione stabilisce che le prove d’esame si tengano ogni anno nelle diverse sedi di Corte d’appello e siano indette con un apposito decreto del Ministro della giustizia, sentito il CNF (comma 2).

 

Attualmente, è formalmente ancora in vigore l'art. 17, primo comma, n. 6, della legge professionale, che prevede che ogni anno siano messi a concorso un numero limitato di posti. In particolare, ai sensi dell'art. 19, nel mese di ottobre di ogni anno i Consigli dell'ordine degli avvocati, ciascuno per la rispettiva circoscrizione, tenuto conto del numero degli iscritti, delle vacanze verificatesi e del complesso degli affari giudiziari, indicano, con parere motivato, al Ministro della giustizia il numero di coloro che potrebbero essere ammessi nell'anno seguente negli albi. Il Ministro della giustizia, sentito il parere del CNF, stabilisce, entro il successivo mese di dicembre, il numero massimo dei nuovi procuratori che complessivamente potranno essere iscritti nell'anno seguente negli albi dei Tribunali compresi in ciascun distretto di Corte d'appello e la loro ripartizione nei singoli albi.

L'art. 1 del decreto legislativo luogotenenziale n. 215 del 1944 ha sospeso "temporaneamente" l'applicazione delle norme concernenti la limitazione del numero dei posti da conferire annualmente per l'iscrizione o per trasferimento negli albi dei procuratori.

Ai sensi dell'art. 15, comma 1, del regio decreto 37/1934, "il Ministro per la grazia e la giustizia stabilisce, con suo decreto, i giorni in cui dovranno aver luogo le prove scritte degli esami per la professione di procuratore, ed il termine entro il quale dovranno essere presentate le domande di ammissione agli esami medesimi". Ai sensi dell'art. 22, comma 1, del regio decreto-legge 1578/1933, "gli esami di avvocato hanno luogo contemporaneamente presso ciascuna Corte di appello". Ai sensi dell'art. 20, comma 1, del regio decreto-legge 1578/1933, "l'esame di concorso per la professione di procuratore è prevalentemente pratico, ed è scritto ed orale. Esso ha valore di esame di Stato".

 


Articolo 45
(Esame di Stato)

1. L'esame di Stato si articola in tre prove scritte ed in una prova orale.

2. Le prove scritte sono svolte sui temi formulati dal Ministro della giustizia ed hanno per oggetto:

a) la redazione di un parere motivato, da scegliere tra due questioni in materia regolata dal codice civile;

b) la redazione di un parere motivato, da scegliere tra due questioni in materia regolata dal codice penale;

c) la redazione di un atto giudiziario che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale, su un quesito proposto, in materia scelta dal candidato tra il diritto privato, il diritto penale ed il diritto amministrativo.

3. Nella prova orale il candidato illustra la prova scritta e dimostra la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale; nonché di altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, ordinamento giudiziario e penitenziario.

4. Per la valutazione di ciascuna prova scritta, ogni componente della commissione d'esame dispone di dieci punti di merito; alla prova orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e un punteggio non inferiore a 30 punti in ciascuna prova.

5. La commissione annota le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti. Il Ministro della giustizia determina, mediante sorteggio, gli abbinamenti per la correzione delle prove scritte tra i candidati e le sedi di corte di appello ove ha luogo la correzione degli elaborati scritti. La prova orale ha luogo nella medesima sede della prova scritta.

6. Il Ministro della giustizia, sentito il CNF, disciplina con regolamento le modalità e le procedure di svolgimento dell'esame di Stato e quelle di valutazione delle prove scritte ed orali da effettuare sulla base dei seguenti criteri:

a) chiarezza, logicità e rigore metodologico dell'esposizione;

b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici;

c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati;

d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà;

e) dimostrazione della conoscenza delle tecniche di persuasione e argomentazione.

7. Le prove scritte si svolgono con il solo ausilio dei testi di legge senza commenti e citazioni giurisprudenziali. Esse devono iniziare in tutte le sedi alla stessa ora, fissata dal Ministro della giustizia con il provvedimento con il quale vengono indetti gli esami. A tal fine, i testi di legge portati dai candidati per la prova devono essere controllati e vistati nei giorni anteriori all'inizio della prova stessa e collocati sul banco su cui il candidato sostiene la prova. L'appello dei candidati deve svolgersi per tempo in modo che le prove scritte inizino all'ora fissata dal Ministro della giustizia.

8. I candidati non possono portare con sé testi o scritti, anche informatici, né ogni sorta di strumenti di telecomunicazione, pena la immediata esclusione dall'esame, con provvedimento del presidente della commissione, sentiti almeno due commissari.

9. Qualora siano fatti pervenire nell'aula, ove si svolgono le prove dell'esame, scritti od appunti di qualunque genere, con qualsiasi mezzo, il candidato che li riceve e non ne fa immediata denuncia alla commissione è escluso immediatamente dall'esame, ai sensi del comma 8.

10. Chiunque faccia pervenire in qualsiasi modo ad uno o più candidati, prima o durante la prova d'esame, testi relativi al tema proposto è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la pena della reclusione fino a tre anni. Per i fatti indicati nel presente comma e nel comma 9, i candidati sono denunciati al Consiglio istruttore di disciplina del distretto competente per il luogo di iscrizione al registro dei praticanti, per i provvedimenti di sua competenza.

11. Per la prova orale, ogni componente della commissione dispone di dieci punti di merito per ciascuna delle materie di esame.

12. Sono giudicati idonei i candidati che ottengono un punteggio non inferiore a trenta punti per ciascuna materia.

13. I costi per l'espletamento delle procedure di esame devono essere posti a carico dei soggetti partecipanti.

 

L’articolo 45 delinea la nuova articolazione dell’esame di Stato per l’iscrizione all’albo degli avvocati.

Non innovando rispetto alla normativa attuale (come si evince dal testo a fronte che segue) la riforma prevede tre prove scritte e una prova orale (comma 1). In particolare, le tre prove scritte sono identiche alle attuali (comma 2) e cambia solo leggermente il punteggio richiesto al fine del passaggio alla prova orale (comma 4). Come previsto attualmente, la correzione degli elaborati scritti è affidata a una commissione d’esame situata presso una diversa corte d’appello, attraverso abbinamenti stabiliti dal Ministro della giustizia mediante sorteggio.

 

Normativa vigente

AC. 3900

R.D. n. 37/1934, art. 17-bis[30])

Art. 45

1. Le prove scritte sono tre. Esse vengono svolte sui temi formulati dal Ministro di grazia e giustizia ed hanno per oggetto:

2. Le prove scritte sono svolte sui temi formulati dal Ministro della giustizia ed hanno per oggetto:

a) la redazione di un parere motivato, da scegliersi tra due questioni in materia regolata dal codice civile;

a) la redazione di un parere motivato, da scegliere tra due questioni in materia regolata dal codice civile;

b) la redazione di un parere motivato, da scegliersi tra due questioni in materia regolata dal codice penale;

b) la redazione di un parere motivato, da scegliere tra due questioni in materia regolata dal codice penale;

c) la redazione di un atto giudiziario che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale, su un quesito proposto, in materia scelta dal candidato tra il diritto privato, il diritto penale ed il diritto amministrativo.

c) identica.

2. Per ciascuna prova scritta ogni componente delle commissioni d'esame dispone di 10 punti di merito; alla prova orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a 30 punti per almeno due prove.

4. Per la valutazione di ciascuna prova scritta, ogni componente della commissione d'esame dispone di dieci punti di merito; alla prova orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e un punteggio non inferiore a 30 punti in ciascuna prova.

 

 

Per quanto riguarda la prova orale – che come attualmente previsto ha luogo nella stessa sede della prova scritta - la riforma mira a rendere l’esame più difficile. Se infatti attualmente il candidato deve dimostrare la conoscenza di deontologia e ordinamento forense e discutere questioni relative a 5 materie a scelta, il comma 3 dell’articolo in commento prevede che l’aspirante avvocato dimostri la conoscenza – oltre che di deontologia e ordinamento forense – anche di 4 materie obbligatorie (diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale) e 2 materie a scelta. L’elenco delle materie disponibili è analogo al vigente, con la sola aggiunta dell’ordinamento giudiziario e penitenziario. Come nella normativa vigente, non è prevista alcuna prova di conoscenza della lingua straniera.

In sostanza, dunque, se oggi il candidato porta all’esame, oltre a deontologia e ordinamento forense, 5 materie scelte – potendo escludere quelle che ritiene più complesse – con la riforma le materie d’esame diventano – oltre a deontologia e ordinamento forense - 6 e vengono limitate le possibilità di scelta da parte del candidato.

 

 

Normativa vigente

AC. 3900

R.D. n. 37/1934, art. 17-bis[31])

Art. 45

3. Le prove orali consistono:

a) nella discussione, dopo una succinta illustrazione delle prove scritte, di brevi questioni relative a cinque materie, di cui almeno una di diritto processuale, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto civile,diritto commerciale, diritto del lavoro,diritto penale, diritto amministrativo, diritto tributario, diritto processuale civile, diritto processuale penale, diritto internazionale privato, diritto ecclesiastico e diritto comunitario;

b) nella dimostrazione di conoscenza dell'ordinamento forense e dei diritti e doveri dell'avvocato.

3. Nella prova orale il candidato illustra la prova scritta e dimostra la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale; nonché di altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, ordinamento giudiziario e penitenziario.

4. Per la prova orale ogni componente della commissione dispone di 10 punti di merito per ciascuna delle materie oggetto dell'esame.

11. Per la prova orale, ogni componente della commissione dispone di dieci punti di merito per ciascuna delle materie di esame.

5. Sono considerati idonei i candidati che ricevono un punteggio complessivo per le prove orali non inferiore a 180 punti ed un punteggio non inferiore a 30 punti per almeno cinque prove.

12. Sono giudicati idonei i candidati che ottengono un punteggio non inferiore a trenta punti per ciascuna materia.

 

L’articolo 45 introduce però ulteriori novità:

§      prevede che il voto numerico assegnato per ogni prova scritta al candidato debba essere accompagnato da una motivazione. A tal fine il comma 5 stabilisce che la commissione debba annotare le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato;

§      attribuisce al Ministro della giustizia, sentito il CNF, il compito di regolamentare le modalità e le procedure di svolgimento dell’esame di Stato ma anche di valutazione delle prove. Tale valutazione dovrà tener conto di una serie di criteri enumerati, gli stessi attualmente previsti dall’art. 22, comma 9 della legge professionale (chiarezza, logicità e rigore metodologico dell'esposizione; dimostrazione della capacità di soluzione di specifici problemi giuridici e della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati; dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà e delle tecniche di persuasione e argomentazione);

§      stabilisce che le prove si svolgono col solo ausilio dei testi di legge, senza commenti e citazioni giurisprudenziali (mentre attualmente l'art. 21 del regio decreto 37/1934 consente la consultazione dei codici commentati con la giurisprudenza). Come avviene anche oggi, i testi di legge portati dai candidati dovranno essere controllati e vistati nei giorni anteriori all’inizio della prova e collocati sul banco del candidato (comma 7);

§      esclude che i candidati possano portare con sé o ricevere dall’esterno testi o scritti, anche informatici, e ogni sorta di strumenti di telecomunicazione, pena la immediata esclusione dall’esame e la denuncia al Consiglio istruttore di disciplina (commi 8 e 9);

§      punisce con la reclusione fino a 3 anni chiunque faccia pervenire ai candidati all’interno della sede d’esame testi relativi al tema proposto (comma 10). Il candidato destinatario dei testi resterà esente da conseguenze penali, ma sarà denunciato al consiglio istruttore di disciplina;

§      imputa agli aspiranti avvocati i costi sostenuti per l’espletamento delle procedure d’esame (comma 13).

 

 


Articolo 46
(Commissioni d’esame)

1. La commissione di esame è nominata, con decreto, dal Ministro della giustizia ed è composta da cinque membri effettivi e cinque supplenti, dei quali: tre effettivi e tre supplenti sono avvocati designati dal CNF tra gli iscritti all'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, uno dei quali la presiede; un effettivo e un supplente sono magistrati in pensione; un effettivo e un supplente sono professori universitari o ricercatori confermati in materie giuridiche.

2. Con il medesimo decreto, presso ogni sede di corte d'appello, è nominata una sottocommissione avente composizione identica alla commissione di cui al comma 1.

3. Presso ogni corte d'appello, ove il numero dei candidati lo richieda, possono essere formate con lo stesso criterio ulteriori sottocommissioni per gruppi sino a trecento candidati.

4. Esercitano le funzioni di segretario uno o più funzionari distaccati dal Ministero della giustizia.

5. Non possono essere designati nelle commissioni di esame avvocati che siano membri dei consigli dell'ordine o componenti del consiglio di amministrazione o del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense e del CNF.

6. Gli avvocati componenti della commissione non possono essere eletti quali componenti del consiglio dell'ordine, del consiglio di amministrazione o del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense e del CNF nelle elezioni immediatamente successive alla data di cessazione dell'incarico ricoperto.

7. L'avvio delle procedure per l'esame di abilitazione deve essere tempestivamente pubblicizzato secondo modalità contenute nel regolamento di attuazione emanato dal Ministro della giustizia entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.

8. Il CNF può nominare ispettori per il controllo del regolare svolgimento delle prove d'esame scritte ed orali e l'uniformità di giudizio tra le varie commissioni d'esame. Gli ispettori possono partecipare in ogni momento agli esami e ai lavori delle commissioni di uno o più distretti indicati nell'atto di nomina ed esaminare tutti gli atti, con facoltà di intervenire e far inserire le proprie dichiarazioni nei verbali delle prove. Gli ispettori redigono ed inviano al CNF la relazione di quanto riscontrato, formulando osservazioni e proposte. Il Ministro della giustizia può annullare gli esami in cui siano state compiute irregolarità. La nullità può essere dichiarata per la prova di singoli candidati o per tutte le prove di una commissione o per tutte le prove dell'intero distretto.

9. Dopo la conclusione dell'esame di abilitazione con risultato positivo, la commissione rilascia il certificato per l'iscrizione nell'albo degli avvocati. Il certificato conserva efficacia ai fini dell'iscrizione negli albi.

 

L’articolo 46 disciplina prevalentemente le commissioni esaminatrici.

 

Per quanto riguarda la normativa vigente si ricorda che il decreto legge 21 maggio 2003, n. 112[32], novellando la legge professionale (art. 22), ha istituito presso il Ministero della giustizia una Commissione centrale, composta da 5 membri titolari e 5 supplenti (2 + 2 scelti tra avvocati iscritti all’Albo da almeno 12 anni; 2 + 2 tra magistrati con qualifica non inferiore a magistrato di Corte di appello; 1 + 1 tra professori ordinari o associati in materie giuridiche presso sedi universitarie italiane o presso istituti superiori). Compito della Commissione è definire i criteri per la valutazione degli elaborati scritti e delle prove orali, dandone comunicazione alle sottocommissioni.

Lo stesso provvedimento ha infatti previsto sottocommissioni presso le singole corti d’appello, con composizione identica alla Commissione centrale. l presidente e il vicepresidente della commissione e di ogni sottocommissione sono nominati dal Ministro, che li sceglie tra i componenti avvocati. Ad ogni sottocommissione non può essere assegnato un numero di candidati superiore a 300; in caso di numero superiore, un decreto del Ministro della giustizia nominerà ulteriori sottocommissioni.

 

In particolare, i commi da 1 a 3 – in linea sostanzialmente con la normativa attuale – disciplinano la commissione centrale e alle sottocommissioni da istituire presso ogni sede di corte d’appello.

La commissione esaminatrice è nominata dal Ministro della giustizia ed è composta da 5 membri effettivi e cinque supplenti, dei quali (comma 1):

-       3 effettivi e 3 supplenti (in luogo degli attuali 2+2) sono avvocati designati dal CNF tra gli iscritti all’albo speciale per il patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori, uno dei quali la presiede;

-       un effettivo e un supplente sono magistrati in pensione;

-       un effettivo e un supplente sono professori universitari o ricercatori confermati in materie giuridiche.

Pertanto rispetto alla attuale composizione vengono previsti un magistrato in meno e un avvocato in più.

Con il medesimo decreto, analogamente a quanto accade oggi, presso ogni sede di Corte d’appello, è nominata una sottocommissione avente composizione identica alla commissione (comma 2). Laddove nella singola corte d’appello abbiano presentato domanda per l’esame di abilitazione più di 300 candidati, dovranno essere formate con i medesimi criteri ulteriori sottocommissioni per gruppi sino a 300 candidati (comma 3).

Presso ogni sottocommissione esercitano le funzioni di segretario uno o più funzionari distaccati dal Ministero (comma 4).

 

I commi 5 e 6 disciplinano le incompatibilità prevedendo in particolare che il commissario d’esame non possa essere membro del consiglio dell’ordine o degli organismi rappresentativi della cassa di previdenza, né possa accedere a tali cariche nelle elezioni immediatamente successive alla data di cessazione dell’incarico di commissario.

 

Gli ultimi tre commi della disposizione non riguardano in realtà le commissioni di esame, bensì alcuni aspetti della procedura d’esame. In particolare:

§      il comma 7 riguarda la pubblicità delle procedure per l’esame di abilitazione, che dovranno essere definite da apposito regolamento attuativo, da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore della riforma;

§      il comma 8 attribuisce al CNF un potere ispettivo per il controllo del regolare svolgimento delle prove d’esame e dell’uniformità di giudizio tra le varie commissioni. All’esito di una relazione degli ispettori, il Ministro della giustizia potrà annullare le prove di singoli candidati, di un’intera commissione o tutte le prove svolte in un distretto di Corte d’appello;

§      infine, il comma 9 stabilisce che a positiva conclusione dell’esame di Stato, la commissione rilasci un certificato che consente l’iscrizione nell’albo degli avvocati. Dal silenzio del legislatore si ricava che una volta conseguito il certificato, l’aspirante avvocato avrà sempre diritto all’iscrizione all’albo, non essendo richiesto che vi proceda entro un determinato arco temporale.

 


Articolo 47
(Disciplina transitoria per la pratica professionale)

1. Fino al quinto anno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, l'accesso all'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato è condizionato allo svolgimento di un periodo di tirocinio pratico di due anni, condotto secondo le modalità indicate nel capo I, senza avere frequentato i corsi di formazione di cui all'articolo 41.

2. Il termine di cui al comma 1 può essere prorogato con decreto del Ministro della giustizia, previo parere del CNF.

3. All'articolo 1, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 11 dicembre 2001, n. 475, le parole: «alle professioni di avvocato e» sono sostituite dalle seguenti: «alla professione di».

 

Gli articoli 47 e 48 del progetto di legge contengono disposizioni transitorie relative alla pratica professionale e all’esame di Stato.

 

In particolare, l’articolo 47 stabilisce che per i primi 5 anni dall’entrata in vigore della riforma sia possibile svolgere il tirocinio senza la prescritta frequenza dei corsi di formazione previsti dall’art. 41 (comma 1). Allo spirare del termine quinquennale il Ministro della giustizia potrà comunque prorogare il termine – previo parere del CNF – con proprio decreto; presumibilmente l’intento del legislatore è quello di garantire che su tutto il territorio nazionale sia stata attivata una congrua e omogenea offerta formativa (comma 2).

 

Si segnala che il comma 2 attribuisce ad un D.M. giustizia la facoltà di prorogare, senza alcuna limitazione e senza alcun criterio, un termine fissato dalla legge.

 

Infine, il comma 3 coordina la normativa sui corsi di formazione con l’attuale disciplina delle scuole di specializzazione per le professioni legali: intervenendo sul Decreto del ministro della giustizia 11 dicembre 2001, n. 475[33], il progetto di legge esclude che la frequenza di queste scuole produca effetti ai fini del tirocinio professionale per l’esercizio della professione forense (conseguentemente, il diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali è valutato ai fini del compimento del periodo di pratica per l'accesso alla sola professione di notaio).

 

Si segnala che, attraverso il comma 3, si interviene direttamente con un atto di rango primario su una fonte secondaria (il regolamento contenuto nel D.M. 475/2001); in ogni caso occorre valutare la collocazione di tale disposizione nell’ambito delle norme transitorie.

 


Articolo 48
(Disciplina transitoria per l'esame)

1. Per i primi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge l'esame di abilitazione all'esercizio della professione di avvocato si effettua, sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame, secondo le norme previgenti.

2. Per i successivi tre anni le modalità delle prove, sia scritte sia orali, sono disciplinate dalle norme previgenti. L'ammissione alle prove orali è subordinata al raggiungimento del punteggio non inferiore a trenta punti per ciascuna prova scritta. Per le prove orali l'idoneità è subordinata al raggiungimento del punteggio non inferiore a trenta punti per ciascuna materia. 

 

 

L’articolo 48 prevede un’applicazione graduale della nuova disciplina sull’esame di Stato (artt. 44-46).

In particolare:

-    per 2 anni dall’entrata in vigore della riforma tutte le disposizioni sull’esame di Stato (es. prove d’esame, commissioni d’esame, pubblicità e poteri ispettivi) non troveranno applicazione. Conseguentemente, per tale periodo gli esami di abilitazione si svolgeranno in base alla disciplina attualmente vigente (comma 1);

-    anche nei successivi 3 anni (e dunque dal terzo al quinto anno di vigenza della riforma) gli esami di abilitazione si svolgeranno in base alla disciplina attualmente vigente, con l’unica eccezione dei nuovi requisiti di profitto richiesti per l’accesso alla prova orale e per l’idoneità. Si applicheranno dunque a partire dal terzo anno di vigenza della riforma le disposizioni (art. 45, commi 4 e 12) che richiedono che il candidato raggiunga un punteggio non inferiore a 30 punti per ciascuna prova (tanto per le tre prove scritte, quanto per le singole materie dell’orale).

 

 


Titolo V
Il procedimento disciplinare

Il Titolo V del progetto di legge disciplina il procedimento disciplinare, materia alla quale sono attualmente applicabili:

-       gli artt. 38 - 51 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578;

-       gli artt. 47 - 68 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37;

-       il decreto legislativo del Capo dello Stato 28 maggio 1947, n. 597[34].

Il progetto di legge affronta il tema sottraendo la competenza in materia di procedimento disciplinare al consiglio dell'ordine che ha la custodia dell'albo in cui il professionista è iscritto, per conferirla a due organismi (il consiglio istruttore di disciplina, titolare dell’azione disciplinare, e il collegio giudicante) che, pur essendo composti esclusivamente da avvocati ed essendo emanazione degli ordini circondariali, dovrebbero presentare maggiori garanzie di neutralità, essendo di livello distrettuale.

La riforma conferma peraltro la disciplina attuale affermando che la competenza a provvedere sugli illeciti deontologici spetta in prima istanza agli organi locali dell’ordine (in questo caso organi distrettuali), in seconda istanza al CNF, ed in terza istanza alla Corte di cassazione, che provvedere a  sezioni unite.


Articolo 49
(Organi del procedimento disciplinare)

1. L'azione disciplinare è esercitata, in ogni distretto, dal Consiglio istruttore di disciplina e dal Collegio giudicante.

2. Il Consiglio istruttore di disciplina e il Collegio giudicante sono organi degli ordini circondariali del distretto. Il Consiglio istruttore di disciplina è istituito a livello distrettuale presso il consiglio dell'ordine nel cui circondario ha sede la corte d'appello.

3. Ciascun consiglio dell'ordine circondariale elegge, fra gli iscritti al proprio albo, i componenti del Consiglio istruttore di disciplina nel numero e con le modalità previste con regolamento del CNF. Il mandato è quadriennale e non può essere rinnovato per più di una volta.

4. Le operazioni di voto avvengono a scrutinio segreto e risultano eletti coloro che hanno riportato il maggior numero di voti. In caso di parità di voti risulta eletto il più anziano per iscrizione all'albo.

5. La carica di componente del Consiglio istruttore di disciplina è incompatibile con quella di consigliere nazionale forense, di consigliere dell'ordine, di componente di uno degli organi della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense e di componente del Collegio giudicante. Si applica, inoltre, ogni altra causa di incompatibilità prevista dalla presente legge per la carica di consigliere dell'ordine. Il componente del Consiglio istruttore di disciplina cessato dalla carica è ineleggibile alle cariche di cui al primo periodo per i tre anni immediatamente successivi alla cessazione. Nei tre anni si computa l'anno solare in corso all'atto della cessazione dalla carica di consigliere istruttore.

6. La riunione di insediamento del Consiglio istruttore di disciplina viene convocata per la prima volta dal presidente del consiglio dell'ordine nel cui circondario ha sede la corte d'appello entro trenta giorni dalla ricezione dell'ultima comunicazione da parte dei consigli dell'ordine circondariali all'esito delle elezioni. Nella stessa riunione, presieduta dal componente di maggiore anzianità di iscrizione, il Consiglio istruttore di disciplina elegge tra i propri componenti il presidente.

7. Il Consiglio istruttore di disciplina siede presso la sede del consiglio dell'ordine distrettuale, è composto da tre membri effettivi e da un supplente, viene costituito mediante criteri predeterminati, disciplinati con regolamento del CNF, ed è presieduto dal componente più anziano per iscrizione all'albo.

8. Il Collegio giudicante è composto per ogni procedimento da sette membri effettivi e da tre supplenti: il presidente del consiglio dell'ordine competente ai sensi dell'articolo 50, comma 1, o altro consigliere da lui delegato per l'ipotesi di sua impossibilità o incompatibilità a partecipare, due membri effettivi designati dal consiglio dell'ordine competente e quattro membri effettivi indicati tra i componenti degli altri consigli dell'ordine del distretto. Il consiglio dell'ordine competente indica un componente supplente, gli altri consigli dell'ordine del distretto designano due consiglieri supplenti. Il Collegio viene costituito mediante criteri predeterminati, disciplinati con regolamento del CNF, e non può mutare la sua composizione dopo l'inizio del dibattimento. Il regolamento disciplina anche la formazione del Collegio giudicante per i casi in cui, per motivi di incompatibilità o altro, ne sia impossibile la costituzione secondo i criteri sopra indicati.

9. Il Collegio giudicante è presieduto dal presidente del consiglio dell'ordine circondariale competente o dal suo delegato ai sensi del comma 8.

10. Fermo quanto previsto dall'articolo 50, comma 2, per i componenti del Consiglio istruttore di disciplina, nell'ipotesi in cui il procedimento riguardi un consigliere di un ordine circondariale, quale persona indagata, incolpata, offesa o danneggiata, al Collegio giudicante non possono partecipare altri consiglieri dello stesso ordine e il dibattimento deve tenersi presso la sede del consiglio dell'ordine distrettuale. Se il procedimento riguardi un componente del consiglio dell'ordine distrettuale, quale persona indagata, incolpata, offesa o danneggiata, l'istruttoria e il giudizio si tengono presso la sede distrettuale determinata ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale.

11. I componenti del Collegio giudicante possono essere ricusati per gli stessi motivi, in quanto applicabili, previsti dal codice di procedura civile e devono astenersi quando vi sia un motivo di ricusazione da essi conosciuto, anche se non contestato.

12. Per la validità delle riunioni del Consiglio istruttore di disciplina e del Collegio giudicante è necessaria la presenza di tutti i componenti.

13. I costi del Consiglio istruttore di disciplina e del Collegio giudicante sono sostenuti dai consigli dell'ordine circondariali del distretto in proporzione al numero degli iscritti all'albo ordinario.

14. Il CNF disciplina con regolamento il funzionamento, l'organizzazione e i relativi criteri di ripartizione delle spese tra gli ordini del distretto del Consiglio istruttore di disciplina e del Collegio giudicante.

15. Rimangono regolati dalla previgente disciplina i procedimenti disciplinari per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge sia già stato notificato il capo di incolpazione. In caso contrario gli atti sono trasmessi al Consiglio istruttore di disciplina competente.

 

 

L’articolo 49 disciplina gli organi del procedimento disciplinare, che operano a livello distrettuale. In ogni distretto di corte d’appello l’azione disciplinare sarà esercitata dal consiglio istruttore di disciplina e la decisione sarà assunta dal collegio giudicante (comma 1).

 

Andrebbe chiarita la formulazione del comma 1, che, nel suo testo attuale, sembra attribuire il potere di attivare il procedimento disciplinare non solo al Consiglio istruttore di disciplina, ma anche al Collegio giudicante.

 

Il Consiglio istruttore di disciplina ha sede presso il consiglio dell’ordine nel cui circondario ha sede la corte d’appello (comma 2 e comma 7).

Esso è composto da 3 membri effettivi e un supplente - tutti rigorosamente avvocati - ed è presieduto dal componente che può vantare la più lunga iscrizione all’albo.

I componenti del consiglio istruttore di disciplina restano in carica 4 anni (con possibilità di un solo rinnovo) e sono eletti dai consigli dell’ordine del distretto tra i propri iscritti all’albo, con un sistema di voto che dovrà essere definito dal CNF con proprio regolamento (comma 3). La riforma si limita a statuire (comma 4) che il voto è segreto e che risultano eletti coloro che hanno riportato il maggior numero di voti (in caso di parità si deve valutare l’anzianità d’iscrizione all’albo).

Il comma 5 afferma che la carica di componente del consiglio istruttore di disciplina è incompatibile – oltre che con la carica di componente del collegio giudicante - con le seguenti cariche:

-       membro del CNF;

-       membro del consiglio dell’ordine circondariale;

-       amministratore della Cassa di previdenza forense.

 

Si segnala che l’incompatibilità con la carica di componente del consiglio istruttore di disciplina andrebbe precisata anche negli articoli 27, comma 10 (relativo alle incompatibilità dei consiglieri dell’ordine) e 36 (relativo alle incompatibilità dei componenti del CNF).

 

Alla scadenza del mandato il componente del consiglio istruttore di disciplina sarà ineleggibile alle suddette cariche per tre anni.

Il consiglio istruttore di disciplina è convocato la prima volta dal presidente del consiglio dell’ordine nel cui circondario ha sede la corte d’appello; nel corso della prima riunione – presieduta dal componente più anziano per iscrizione all’albo (comma 6) – viene eletto il presidente (che in base al comma 7 è il più anziano per iscrizione all’albo).

 

In merito alla formulazione della parte della disposizione relativa al Consiglio istruttore di disciplina si segnala:

§      relativamente alla sede dell’organo, i commi 2 e 7 recano disposizioni parzialmente coincidenti;

§      relativamente alla composizione e all’elezione dell’organo, il comma 7 riproduce in parte il contenuto del comma 3;

§      relativamente alla presidenza dell’organo, i commi 6 e 7 recano disposizioni parzialmente contraddittorie.

 

Il Collegio giudicante non è un organo istituito stabilmente bensì un organo che si istituisce ogniqualvolta sia richiesto un giudizio disciplinare.

La riforma prevede che sia il CNF, con proprio regolamento, a fissare i criteri per la composizione dell’organo, limitandosi a stabilire che il collegio giudicante deve essere composto da 7 membri effettivi e 3 supplenti così individuati:

§      il presidente. Si tratta del presidente del consiglio dell’ordine (o consigliere delegato) territorialmente competente (ex art. 50, comma 1, v. infra);

§      2 membri effettivi e un supplente designati dal consiglio dell’ordine competente;

§      4 membri effettivi e due supplenti individuati tra i consiglieri degli altri ordini appartenenti al medesimo distretto di corte d’appello dell’ordine circondariale competente.

Una volta istituito il collegio, la composizione non può essere modificata fino alla fine del dibattimento (comma 8).

 

Il comma 9 prevede che l’organo è presieduto dal presidente del consiglio dell’ordine circondariale competente o da suo delegato ai sensi del comma 8.

 

Con riferimento alla presidenza dell’organo, i commi 8 e 9, che hanno contenuto in parte coincidente, andrebbero meglio coordinati.

 

Il comma 10 detta alcune disposizioni in tema di incompatibilità stabilendo che:

§         se una delle parti del procedimento disciplinare è consigliere dell’ordine, del collegio giudicante non possono far parte i consiglieri del medesimo ordine circondariale. In questo caso, la sede del dibattimento è individuata nel «consiglio dell’ordine distrettuale».

 

Si segnala che, in tale ipotesi di incompatibilità, la disposizione non chiarisce chi dovrebbe far parte del collegio giudicante al posto dei consiglieri dell’ordine circondariale incompatibili.

 

§         che se una delle parti del procedimento disciplinare è consigliere dell’ordine distrettuale («componente del consiglio dell’ordine distrettuale») la sede di istruttoria e dibattimento è individuata in base all’art. 11 del codice di procedura penale, relativo all’individuazione della sede competente a giudicare i magistrati.

 

L’articolo 11 c.p.p. (come modificato dalla legge n. 420 del 1998) individua la competenza dell’autorità giudiziaria per l’ipotesi in cui indagato, imputato, persona offesa o danneggiato dal reato sia un magistrato. In tali ipotesi, se i criteri ordinari attribuiscono la competenza all'ufficio giudiziario ricompreso nell'ambito del distretto in cui il magistrato esercita (o esercitava al momento del fatto) le proprie funzioni, la norma prevede che il giudice competente sia individuato in quello che ha sede nel capoluogo di un diverso distretto di Corte d'Appello, indicato dalla legge. A tal fine, il legislatore ha predisposto una specifica tabella allegata all'art. 1 delle disposizioni di attuazione del codice, nella quale è adottato un criterio di competenza di tipo sostanzialmente "circolare", strutturato come una sorta di meccanismo a catena (es. per il distretto di Roma è competente il distretto di Perugia; per Perugia è competente il distretto di Firenze; per Firenze è competente il distretto di Genova, ecc..)..

 

Si ricorda che attualmente, ai sensi dell’art. 38, quarto comma, della legge professionale, il potere disciplinare nei confronti degli avvocati membri di un consiglio dell’ordine spetta al Consiglio nazionale forense.

 

 

Il comma 11 rinvia per l’individuazione delle ipotesi di incompatibilità, astensione e ricusazione al codice di procedura penale (artt. 34-37 c.p.p.).

 

I successivi commi dell’articolo 49 disciplinano:

-       i requisiti per la validità delle riunioni degli organi disciplinari, richiedendo la presenza di tutti i componenti (comma 12);

-       la ripartizione dei costi del procedimento disciplinare, imputandoli ai consigli dell’ordine circondariali del distretto in proporzione al numero degli iscritti (comma 13). Spetterà comunque ad un regolamento del CNF disciplinare nel dettaglio anche questo aspetto (comma 14).

 

Per quanto riguarda i procedimenti disciplinari per i quali – alla data di entrata in vigore della riforma - sia stato già notificato il capo di incolpazione, continua a trovare applicazione la normativa oggi vigente (comma 15). In tutti gli altri casi gli atti dovranno essere trasmessi al consiglio istruttore di disciplina.

 


Articolo 50
(Competenza)

1. La competenza territoriale del Consiglio istruttore di disciplina e del Collegio giudicante è determinata dal luogo in cui si trova l'ordine presso il cui albo, elenchi speciali o registro è iscritto l'avvocato o il praticante avvocato, ovvero dal luogo ove l'iscritto ad altro albo, elenco o registro abbia commesso il fatto. La competenza è determinata, volta per volta, dalla prevenzione.

2. Nell'ipotesi in cui l'indagato, l'incolpato, la persona offesa o danneggiata sia uno dei componenti del Consiglio istruttore di disciplina o del Collegio giudicante, nonché in ogni altro caso di incompatibilità, la competenza a provvedere è determinata ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale.

 

 

L’articolo 50 definisce la competenza territoriale confermando la disciplina attuale che vuole competenti sia l’ordine presso il cui albo è iscritto l’avvocato sia l’ordine del luogo ove il fatto è stato commesso. La scelta tra i due ordini è rimessa alla prevenzione, dipende dunque dalla tempestività dell’azione (comma 1).

 

Attualmente, ai sensi dell'art. 38, secondo comma, della legge professionale, sono alternativamente competenti a procedere disciplinarmente il Consiglio dell'ordine che ha la custodia dell'albo in cui il professionista è iscritto o il Consiglio nella cui giurisdizione è avvenuto il fatto per il quale si procede. La competenza è determinata, volta per volta dalla prevenzione.

Secondo l’orientamento prevalente il momento di inizio del procedimento disciplinare, sul quale determinare il criterio di prevenzione, corrisponde a quello in cui il consiglio dell’ordine emette la delibera con la quale dichiara aperto il procedimento disciplinare.

I conflitti di competenza sono risolti dal CNF.

 

Se sussistono ipotesi di incompatibilità ovvero una delle parti del procedimento disciplinare (indagato, incolpato, persona offesa o persona danneggiata) è membro del Consiglio istruttore di disciplina o del Collegio giudicante, la competenza è determinata (comma 2) a norma dall’art. 11 del codice di procedura penale (v. sopra).

 

Sul punto, si segnala che la disposizione non chiarisce quali siano le ipotesi di incompatibilità, non rinviando espressamente alla disciplina del codice di procedura penale.

 


Articolo 51
(Azione disciplinare)

1. L'azione disciplinare è obbligatoria ed è esercitata dal Consiglio istruttore di disciplina ogni volta che venga a conoscenza di fatti suscettibili di rilievo disciplinare. Nel caso in cui la relativa segnalazione non provenga dal consiglio dell'ordine, il Consiglio istruttore di disciplina ne dà immediata notizia al consiglio dell'ordine competente trasmettendogli gli atti per conoscenza.

2. Al fine di cui al comma 1:

a) il consiglio dell'ordine circondariale che abbia ricevuto notizia di fatti suscettibili di rilievo disciplinare, ovvero l'abbia acquisita d'ufficio, la trasmette entro quindici giorni al Consiglio istruttore di disciplina;

b) l'autorità giudiziaria è tenuta a dare immediata notizia al consiglio dell'ordine circondariale competente quando nei confronti di un iscritto all'albo, agli elenchi speciali o al registro è esercitata l'azione penale, ovvero è disposta l'applicazione di misure cautelari o di sicurezza, ovvero sono effettuati perquisizioni o sequestri ovvero sono emesse sentenze che definiscono il grado di giudizio nonché in merito agli sviluppi processuali successivi. Il consiglio dell'ordine circondariale trasmette al Consiglio istruttore di disciplina la notizia nel termine di cui alla lettera a).

3. Se l'esponente è un avvocato e l'esposto riguardi violazioni del rapporto fra colleghi, o dei rapporti con il consiglio dell'ordine, o dei rapporti con i praticanti, come disciplinati dal codice deontologico forense, fatta salva l'immediata trasmissione degli atti secondo il disposto di cui al comma 2, lettera a), il consiglio dell'ordine circondariale che abbia ricevuto la segnalazione tenta la conciliazione tra i colleghi e ne comunica l'esito al Consiglio istruttore di disciplina.

4. L'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza..

 

L’articolo 51 afferma l'obbligatorietà dell'azione disciplinare (comma 1); essa deve essere esercitata d’ufficio dal consiglio istruttore di disciplina non appena acquisisca la conoscenza di fatti che hanno rilievo disciplinare.

Per quanto riguarda le modalità di acquisizione delle notizie, la disposizione prevede che:

-       se la notizia arriva al consiglio dell’ordine circondariale, questo debba trasmetterla entro 15 giorni al consiglio istruttore di disciplina (comma 2, lett. a);

-       se, viceversa, la notizia arriva direttamente al consiglio istruttore di disciplina il consiglio dell’ordine circondariale, dovrà essere l’organo istruttore a comunicare tempestivamente al consiglio dell’ordine i fatti (comma 1, secondo periodo);

-       l’autorità giudiziaria debba comunicare tempestivamente al consiglio dell’ordine competente l’esercizio dell’azione penale nei confronti dell’iscritto all’albo o negli elenchi speciali; analogamente dovrà procedere in caso di applicazione di una misura cautelare o di sicurezza, se procede a sequestri o perquisizioni, ovvero in caso di provvedimenti che definiscono, anche in via non definitiva, giudizi pendenti. Il consiglio dell’ordine trasmetterà la notizia entro 15 giorni al consiglio istruttore di disciplina (comma 2, lett. b). 

 

Il comma 3 configura un tentativo di conciliazione obbligatorio presso il consiglio dell’ordine circondariale, se colui che denuncia fatti suscettibili di rilievo disciplinare è un avvocato e la denuncia riguarda violazioni del rapporto fra colleghi, o dei rapporti con il consiglio dell’ordine, o dei rapporti con i praticanti, come disciplinati dal codice deontologico forense.

L’esperimento del tentativo di conciliazione non esclude l’obbligatoria trasmissione delle notizie al consiglio istruttore di disciplina ai sensi del comma 2

 

Il comma 4chiude l’articolo 51 affermando che se i fatti esposti sono di scarsa rilevanza, l’illecito disciplinare non è configurabile.

 


Articolo 52
(Prescrizione dell'azione disciplinare)

1. L'azione disciplinare si prescrive nel termine di cinque anni dal fatto.

2. Nel caso di condanna penale per reato non colposo, il termine di prescrizione per la riapertura del procedimento disciplinare ai sensi dell'articolo 58 è di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna.

3. Il termine della prescrizione è interrotto:

a) dalla comunicazione di apertura del procedimento disciplinare;

b) dalla comunicazione all'iscritto del capo di incolpazione;

c) dalla notificazione della delibera di convocazione dell'incolpato;

d) dalla notificazione della decisione del consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante emessa all'esito del dibattimento;

e) dalla notificazione all'iscritto della sentenza pronunciata ai sensi dell'articolo 56.

4. Dalla data di comunicazione o notificazione dell'atto interruttivo della prescrizione di cui al comma 3 decorre un nuovo termine della durata di cinque anni. In caso di pluralità di atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi, ma in nessun caso il termine di prescrizione di cui al comma 1 può essere prolungato di oltre la metà.

 

 

L’articolo 52 del progetto di legge prevede che l’azione disciplinare si prescriva nel termine di 5 anni dal fatto (comma 1). Identico termine è attualmente previsto dall’art. 51 della legge professionale.

Se l’avvocato è stato condannato penalmente per un reato non colposo, la prescrizione per la riapertura del giudizio disciplinare è di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza penale (comma 2).

 

Nella disciplina vigente, con riferimento alla prescrizione dell’azione disciplinare per fatti costituenti reato, si richiamano le Sezioni unite della Cassazione civile (sent. n. 9893 del 06 ottobre 1993), che hanno chiarito che, nel caso di fatti punibili solo in sede disciplinare, il termine quinquennale di prescrizione decorre dal giorno della consumazione del fatto; nel caso di fatti costituenti reato il termine predetto non può decorrere che dalla definizione del processo penale e cioè dal giorno in cui la sentenza penale diviene irrevocabile, restando irrilevante il periodo decorso dalla commissione del fatto all'instaurazione del procedimento penale, anche se in tale periodo il Consiglio dell'ordine, venuto a conoscenza del fatto, abbia avviato il procedimento disciplinare, per poi sospenderlo di fronte all'avvenuto inizio dell'azione penale.

 

Il comma 3 elenca le cause di interruzione della prescrizione prevedendo che da ogni interruzione decorra un nuovo termine della durata di cinque anni. Se gli atti interruttivi sono più di uno, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi, ma in nessun caso il termine ordinario può essere prolungato di oltre la metà (comma 4).


Articolo 53
(Istruttoria disciplinare)

1. Ricevuti gli atti, il presidente del Consiglio istruttore di disciplina provvede senza ritardo ad iscrivere in apposito registro la notizia in relazione alla quale può aprirsi un procedimento disciplinare, indicando il nome dell'iscritto a cui la stessa si riferisce, e assegna il procedimento al collegio competente per la trattazione dell'istruttoria. Del collegio non può far parte un iscritto allo stesso albo dell'indagato.

2. Il presidente del collegio istruttorio designa per la trattazione se stesso o altro componente del collegio stesso. L'istruttore designato diventa responsabile della fase istruttoria a lui affidata e comunica senza ritardo all'iscritto l'avvio di detta fase, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, fornendogli ogni elemento utile ed invitandolo a formulare per iscritto le proprie osservazioni entro venti giorni dal ricevimento della comunicazione. L'interessato può chiedere di essere ascoltato personalmente dall'istruttore ed ha la facoltà di farsi assistere da un difensore. Il collegio istruttorio provvede ad ogni accertamento di natura istruttoria nel termine di sei mesi dall'iscrizione della notizia di illecito disciplinare nel registro di cui al comma 1. Nel termine non sono calcolati i periodi di sospensione per qualunque causa e per i rinvii ottenuti dall'interessato. Si tiene conto in ogni caso della sospensione feriale dei termini.

3. Conclusi gli atti di sua competenza, nel solo caso di manifesta infondatezza della notizia di illecito disciplinare, l'istruttore propone al collegio di appartenenza richiesta motivata di archiviazione o, in caso contrario, di apertura del procedimento disciplinare. In questa seconda ipotesi, egli formula la proposta del capo di incolpazione e deposita il fascicolo in segreteria. Il collegio istruttorio delibera, con la partecipazione dell'istruttore, l'archiviazione o l'apertura del procedimento.

4. Il provvedimento di archiviazione è comunicato all'iscritto, al consiglio dell'ordine presso il quale l'avvocato è iscritto, al pubblico ministero ed all'esponente.

5. Il provvedimento di apertura del procedimento disciplinare e quello di rinvio a giudizio sono impugnabili al CNF solo insieme alla decisione che contenga l'applicazione di una sanzione.

 

Gli articoli 53, 54, 55 e 56 del progetto di legge disciplinano le varie fasi del procedimento disciplinare, che così si articola:

-    istruttoria, della quale come detto è competente il consiglio istruttore di disciplina (art. 53);

-    dibattimento, che si svolge dinanzi al collegio giudicante (art. 54);

-    decisione (art. 55)

-    eventuali impugnazioni (art. 56).

 

Attualmente, il Consiglio dell’ordine, ricevuta notizia di un presunto illecito disciplinare, ne valuta la fondatezza; se lo ritiene manifestamente infondato lo archivia senza nemmeno avvisare l’avvocato; se viceversa non lo ritiene manifestamente infondato ne dà comunicazione all’interessato e assegna a questi un termine per difendersi.

In base al R.D. n. 37/1934, all’avvocato incolpato deve essere assegnato un termine non minore di 10 giorni per presentare le proprie deduzioni intorno ai fatti; egli potrà anche chiedere e ottenere di esporre personalmente le sue giustificazioni e presentare testimoni, eventualmente assistito da un difensore (art. 45).

A seguito degli scritti difensivi, il Consiglio dell’ordine delibera se archiviare il procedimento oppure se iniziarlo. Se decide di aprire il procedimento disciplinare deve formulare un capo di incolpazione con l’enunciazione sommaria dei fatti, e tale provvedimento deve essere immediatamente comunicato all'interessato ed al Pubblico Ministero (art. 47). Il Presidente del consiglio dell’ordine – o un consigliere delegato – provvedono all’istruzione del procedimento, raccogliendo le informazioni ed i documenti che reputino necessari, nonché le deduzioni dell'incolpato e del PM, decidendo quali testimoni siano utili per l'accertamento dei fatti. Successivamente il presidente nomina un relatore, fissando la data della seduta per il giudizio.

 

In particolare, l’articolo 53 prevede che l’istruttoria possa durare al massimo sei mesi (al netto di eventuali sospensioni, dei rinvii e della sospensione feriale dei termini) e che si articoli nei seguenti passaggi:

§      il presidente del consiglio istruttore di disciplina che riceve la notizia di fatti che possono avere un rilievo disciplinare li iscrive in un registro, indicando il nome dell’avvocato indagato. Da questo atto cominciano a decorrere i 6 mesi dell’istruttoria. Il presidente trasmette poi gli atti al collegio (comma 1), del quale non potrà far parte nessun avvocato iscritto allo stesso albo dell’indagato (per la composizione del consiglio istruttore di disciplina si veda sopra l’articolo 49);

§      uno dei componenti del collegio (potrebbe essere lo stesso presidente) svolge le funzioni di relatore («istruttore designato»), responsabile della fase istruttoria e di tutte le comunicazioni con l’indagato (l’atto inviato all’avvocato dovrà contenere ogni elemento utile a consentirgli da subito – entro 20 giorni - per iscritto di formulare proprie osservazioni);

§      l’avvocato può chiedere di essere sentito personalmente dall’istruttore e può farsi assistere da un difensore (comma 2).

 

L’istruttoria può concludersi in due modi (comma 3):

-       archiviazione. Si ha quando a giudizio dell’istruttore la notizia di illecito disciplinare è manifestamente infondata ed egli chiede motivatamente al collegio di pronunciarsi in tal senso. Il provvedimento è comunicato all’indagato, al suo consiglio dell’ordine, al PM ed eventualmente a colui che aveva presentato la denuncia dei fatti (comma 4);

-       apertura del procedimento. È decisa dal collegio attraverso l’approvazione del capo d’incolpazione formulato dall’istruttore. La decisione del collegio in ordine all’apertura del procedimento non è autonomamente impugnabile; potrà essere impugnata al CNF solo unitamente alla decisione di irrogazione della sanzione (comma 5).

 


Articolo 54
(Dibattimento disciplinare)

1. Qualora il Consiglio istruttore di disciplina disponga l'apertura del procedimento disciplinare, ne dà comunicazione all'incolpato, al pubblico ministero e al consiglio dell'ordine competente.

2. La comunicazione contiene:

a) il capo d'incolpazione con l'enunciazione:

1) delle generalità dell'incolpato e del numero cronologico attribuito al procedimento;

2) dell'addebito, con l'indicazione delle norme violate; se gli addebiti sono più di uno, gli stessi sono contraddistinti da lettere o numeri;

3) della data della delibera di approvazione del capo d'incolpazione;

b) l'avviso che l'incolpato, nel termine di venti giorni dal ricevimento della stessa, ha diritto di accedere ai documenti contenuti nel fascicolo, prendendone visione ed estraendone copia integrale, e ha facoltà di depositare memorie e documenti.

3. Decorso il termine concesso per il compimento degli atti difensivi, il Consiglio istruttore di disciplina trasmette gli atti al competente consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante.

4. Il presidente del consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante nomina il consigliere relatore e ne dà comunicazione all'incolpato e al pubblico ministero a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento.

5. Il consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante può disporre il proscioglimento nelle forme di cui all'articolo 55, comma 1, lettera a), oppure il rinvio a giudizio dell'incolpato.

6. Il consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante notifica a mezzo dell'ufficiale giudiziario o a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento il proscioglimento al Consiglio istruttore di disciplina, al pubblico ministero, all'incolpato e all'autore dell'esposto. In caso di rinvio a giudizio, la citazione a giudizio è notificata negli stessi modi all'incolpato, nonché al pubblico ministero, il quale ha facoltà di presenziare alla udienza dibattimentale, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma precedente e almeno venti giorni liberi prima della data di comparizione. La citazione contiene:

a) le generalità dell'incolpato;

b) l'enunciazione in forma chiara e precisa degli addebiti, con l'indicazione delle norme violate; se gli addebiti sono più di uno, essi sono contraddistinti da lettere o numeri;

c) l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione avanti al Collegio giudicante per il dibattimento, con l'avvertimento che l'incolpato potrà essere assistito da un difensore e che, in caso di mancata comparizione, non dovuta a legittimo impedimento o assoluta impossibilità a comparire, si procederà in sua assenza;

d) l'avviso che l'incolpato ed il pubblico ministero hanno diritto di produrre documenti e di indicare testimoni, con l'enunciazione sommaria delle circostanze sulle quali essi dovranno essere sentiti, nel termine di sette giorni prima della data fissata per il dibattimento;

e) l'elenco dei testimoni che il Collegio intende ascoltare;

f) la data e la sottoscrizione del presidente.

7. Nel corso del dibattimento, che si apre con l'esposizione dei fatti da parte del relatore, l'incolpato ed il pubblico ministero hanno diritto di produrre documenti, di interrogare o far interrogare testimoni, di rendere dichiarazioni. L'incolpato, ove lo chieda o vi acconsenta, è sottoposto all'esame del Collegio. L'incolpato ha la parola per ultimo.

8. Il consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante acquisisce i documenti prodotti dall'incolpato e dal pubblico ministero; provvede all'esame dei testimoni e, subito dopo, all'esame dell'incolpato che ne abbia fatto richiesta o vi abbia acconsentito; procede d'ufficio, o su istanza di parte, all'ammissione e all'acquisizione di ogni eventuale ulteriore prova necessaria od utile per l'accertamento dei fatti.

9. Sono utilizzabili per la decisione le dichiarazioni e i documenti provenienti dall'incolpato e dal pubblico ministero, gli atti formati ed i documenti acquisiti nel corso della fase istruttoria e del dibattimento, gli esposti e le segnalazioni inerenti alla notizia di illecito disciplinare ed i verbali di dichiarazioni testimoniali redatti nel corso dell'istruttoria.

10. Terminato il dibattimento, il presidente ne dichiara la chiusura e dà la parola al pubblico ministero, all'incolpato e al suo difensore, per le loro conclusioni e per la discussione, che si svolge nell'ordine che precede. L'incolpato e il suo difensore hanno in ogni caso la parola per ultimi.

11. Conclusa la discussione, il Collegio delibera il provvedimento a maggioranza.

12. Viene data immediata lettura alle parti del dispositivo con l'indicazione del termine per l'impugnazione, che decorre dal deposito della motivazione.

13. La motivazione del provvedimento è predisposta dal relatore o da altro consigliere se il presidente lo ritenga opportuno. Il provvedimento è sottoscritto dal presidente del Collegio e dal relatore e depositato nella segreteria del consiglio dell'ordine entro il termine di sessanta giorni dalla lettura del dispositivo. Copia integrale del provvedimento è notificata all'incolpato, al pubblico ministero, al procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello del distretto, al Consiglio istruttore di disciplina, nonché all'autore dell'esposto nel solo caso di proscioglimento. Nel caso di decisioni complesse, il termine per il deposito della motivazione può essere aumentato fino al doppio, con provvedimento del presidente del consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante allegato al dispositivo della decisione.

14. Per quanto non specificatamente disciplinato, si applicano le norme del codice di procedura civile, se compatibili.

15. Il procedimento avanti il consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante si conclude entro il termine di diciotto mesi dalla sua apertura. Nel termine non sono calcolati i periodi di sospensione e quelli per i rinvii ottenuti dall'incolpato o gli eventuali rinvii dovuti all'impossibilità di costituire il Collegio giudicante. Si tiene conto in ogni caso della sospensione feriale dei termini.

 

L’articolo 54 disciplina il dibattimento e la decisione di accertamento della responsabilità disciplinare; questa fase, dinanzi al collegio giudicante, non potrà protrarsi per più di 18 mesi (comma 15).

 

Attualmente, in base al R.D. n. 37 del 1934, a chiusura dell’istruttoria il Presidente del consiglio dell’ordine nomina il relatore tra i componenti del Consiglio, e fissa la data della seduta per il giudizio, ordinando la citazione dell'incolpato in un termine non minore di 10 giorni. La citazione è notificata all'incolpato ed al PM; sono contestualmente citati gli eventuali testimoni (art. 48).

Nella seduta fissata il relatore espone i fatti e le risultanze dell’istruttoria; viene dunque sentito l'incolpato, sono esaminati i testimoni e il difensore è ammesso ad esporre le sue deduzioni; all’incolpato spetta, se lo desidera, parlare per ultimo (art. 50).

Chiusa la discussione, il Consiglio delibera in assenza dell’incolpato e del difensore. La decisione è redatta dal relatore e deve contenere la esposizione dei fatti, i motivi sui quali si fonda, il dispositivo, l'indicazione del giorno, del mese e dell'anno in cui è pronunziata e la sottoscrizione del Presidente e del segretario. Essa è pubblicata mediante deposito dell'originale negli uffici di segreteria.

 

In particolare, i commi da 1 a 3 attengono ad attività ancora di competenza del consiglio istruttore di disciplina. Se infatti questo organo si è pronunciato per l’apertura del dibattimento, deve darne comunicazione all’incolpato, al PM e al consiglio dell’ordine competente. Il progetto di legge disciplina analiticamente il contenuto della comunicazione, che ovviamente dovrà comprendere l’indicazione del capo di incolpazione, con l’indicazione delle norme violate oltre all’avviso che entro 20 giorni l’interessato potrà prendere visione del fascicolo e produrre memorie e documenti. Decorso tale termine, il consiglio istruttore trasmette gli atti al collegio giudicante.

 

I commi da 4 a 6 disciplinano invece le attività preliminari al dibattimento vero e proprio, cui deve provvedere il collegio giudicante. Si tratta in particolare della nomina da parte del presidente del collegio del relatore, con conseguente avviso alle parti.

Già in questa fase il collegio giudicante può, senza procedere al dibattimento, decidere il proscioglimento dell’incolpato (per le formule, v. infra, articolo 55), dandone comunicazione alle parti e al consiglio istruttore di disciplina; in alternativa, il collegio si pronuncia per il rinvio a giudizio.

La citazione a giudizio è ugualmente notificata alle parti e al PM - che potrà comparire – e contiene, oltre agli elementi analiticamente descritti dal comma 6, l’indicazione del luogo e del giorno della comparizione dinanzi al collegio per il dibattimento.

 

I commi da 7 a 10 riguardano il dibattimento vero e proprio, che si apre con l’esposizione dei fatti da parte del relatore e che può prevedere l’audizione di testimoni, la produzione di documenti, l’acquisizione di prove e eventualmente l’esame dell’incolpato.

Alla fine del dibattimento il presidente dà la parola al PM, all’incolpato e al suo difensore che illustrano le proprie conclusioni.

 

A conclusione della discussione il collegio decide a maggioranza (comma 11) e dà immediata lettura alle parti del dispositivo.

Il termine per impugnare decorre dal deposito delle motivazioni del provvedimento, che dovrà essere depositato presso la segreteria del consiglio dell’ordine entro 60 giorni (che possono diventare fino a 120 per i casi più complessi) dalla lettura del dispositivo nonché notificato alle parti (commi 12 e 13).

 

Tale disposizione va coordinata con l’articolo 56, comma 3, che invece prevede come termine a quo del ricorso al CNF la notifica della decisione eseguita ai sensi dell’articolo 54, comma 13.

 

Infine, l’articolo 54 rimanda per quanto non espressamente disciplinato al codice di procedura civile (comma 14) e, come detto, stabilisce che tutto il procedimento dinanzi al collegio giudicante debba concludersi entro 18 mesi dall’apertura; in tale termine non sono calcolati i periodi di sospensione e quelli per i rinvii ottenuti dall'incolpato o gli eventuali rinvii dovuti all'impossibilità di costituire il Collegio giudicante. (comma 15).

La disposizione non esplicita quale sia il momento processuale dal quale decorre il termine di 18 mesi; presumibilmente si tratta della decisione del consiglio istruttore di disciplina sull’apertura del procedimento, il che spiegherebbe la previsione secondo la quale nel computo del termine non si tiene conto degli «eventuali rinvii dovuti all'impossibilità di costituire il Collegio giudicante».

 


Articolo 55
(Decisione disciplinare e sanzioni)

1. Con la decisione che definisce il dibattimento disciplinare possono essere deliberati:

a) il proscioglimento, con la formula: «non esservi luogo a provvedimento disciplinare». Il consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante può pronunciarsi con la medesima formula in ogni stato del procedimento;

b) l'irrogazione di una delle seguenti sanzioni disciplinari: avvertimento, censura, sospensione dall'esercizio della professione da un mese a tre anni, radiazione.

2. L'avvertimento consiste nell'informare l'incolpato che la sua condotta non è stata conforme al codice deontologico e alle norme di legge, con invito ad astenersi dal compiere altre infrazioni.

3. La censura consiste nel biasimo formale.

4. La sospensione importa l'esclusione temporanea dall'esercizio della professione o dal tirocinio.

5. La radiazione consiste nell'esclusione definitiva dall'albo, elenco speciale o registro e impedisce l'iscrizione a qualsiasi albo, elenco speciale o registro tenuti da altro consiglio dell'ordine, salvo quanto stabilito nell'articolo 61, comma 7. La radiazione è inflitta per violazioni che rendono incompatibile la permanenza dell'incolpato nell'albo, elenco speciale o registro.

6. Nella determinazione della sanzione si tiene conto della gravità dell'infrazione, del grado di responsabilità, dei precedenti dell'incolpato, del suo comportamento successivo al fatto e dell'eventuale reiterazione di comportamenti illeciti.

 

 

L’articolo 55 dispone in ordine alla decisione che conclude il procedimento disciplinare, elencando le possibili sanzioni.

 

Con la decisione che definisce il procedimento disciplinare, possono essere in particolare deliberati (comma 1):

-    il proscioglimento, con la formula "non esservi luogo a provvedimento disciplinare";

-    l’irrogazione di una sanzione disciplinare.

 

Attualmente, l'art. 40 del regio decreto-legge 1578/1933 prevede come sanzioni: l'avvertimento, la censura, la sospensione dall'esercizio della professione per un tempo non inferiore a due mesi e non maggiore di un anno, la cancellazione dall'albo, la radiazione dall'albo.

La legge professionale individua una serie di fattispecie dalle quali derivano obbligatoriamente le sanzioni della sospensione, della cancellazione e della radiazione dall’albo. In particolare, comportano di diritto la sospensione dall'esercizio della professione:

-    il ricovero in un manicomio giudiziario, in una casa di cura o di custodia o l'applicazione di una misure di sicurezza non detentiva (art. 215 c.p., comma terzo, numero 1), 2) e 3);

-    l'applicazione provvisoria di una pena accessoria o di una misura di sicurezza, ordinata dal giudice a norma degli articoli 140 e 206 del codice penale.

Comportano la cancellazione dagli albi:

-    l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dall'esercizio della professione;

-    l ricovero in manicomio giudiziario o l'assegnazione ad una colonia agricola od a una casa di lavoro.

Comportano di diritto la radiazione dall’albo la condanna penale all’interdizione perpetua dai pubblici uffici o dall'esercizio della professione nonché la condanna per uno dei reati previsti dagli articoli 372, 373, 374, 377, 380 e 381 del codice penale. Inoltre, la legge professionale (art. 41) impone la radiazione per l'avvocato che abbia, con la sua condotta, compromesso la propria reputazione e la dignità della classe forense.

In questi casi, le misure sono dichiarate dal Consiglio dell'ordine, sentito il professionista.

 

 

Le sanzioni disciplinari previste dalla riforma sono le seguenti:

-    avvertimento. Consiste nell’informare l’incolpato che la sua condotta non è stata conforme alle norme deontologiche e di legge e nell’invito ad astenersi dal compiere altre infrazioni;

-    censura. Consiste nel biasimo formale;

-    sospensione temporanea dall’esercizio della professione o dal tirocinio;

-    radiazione. Consiste nell’esclusione definitiva dall’albo, elenco o registro e impedisce la iscrizione in qualsiasi altro albo, elenco o registro. La definitività della cancellazione dall’albo va però contemperata con la possibilità per il professionista radiato di chiedere, dopo 5 anni, di essere nuovamente iscritto (v. infra, articolo 61, comma 7).

 

Il comma 6 specifica che nella scelta della sanzione da irrogare il collegio giudicante dovrà tener conto – oltre che della gravità dell'infrazione e del grado di responsabilità – anche dei precedenti dell'incolpato, del suo comportamento successivo al fatto e dell'eventuale reiterazione di comportamenti illeciti.

 


Articolo 56
(Impugnazioni)

1. Avverso la decisione disciplinare è ammesso ricorso al CNF da parte dell'incolpato, da parte del procuratore generale presso la corte d'appello del distretto ove ha sede il consiglio dell'ordine che ha emesso la decisione, e da parte del Consiglio istruttore di disciplina nel solo caso di proscioglimento.

2. L'autore dell'esposto ha facoltà di presentare al procuratore generale competente per territorio e al presidente del Consiglio istruttore di disciplina richiesta motivata di impugnazione della decisione di proscioglimento.

3. Il ricorso si propone con atto scritto, depositato presso la segreteria del consiglio dell'ordine presso il quale opera il Collegio giudicante che ha emanato la decisione impugnata, nel termine di venti giorni dalla notifica eseguita ai sensi dell'articolo 54, comma 13. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 50 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni.

4. Nel ricorso, a pena di inammissibilità, sono indicati il provvedimento impugnato e la data del medesimo, ed enunciati i capi o i punti del provvedimento ai quali si riferisce l'impugnazione, i motivi dell'impugnazione con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che li sorreggono, le conclusioni e le richieste.

5. La proposizione del ricorso sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo il provvedimento di sospensione cautelare di cui all'articolo 60.

6. Il giudizio si svolge secondo le norme previste per il procedimento davanti al CNF di cui al regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37. Le funzioni requirenti sono svolte dal procuratore generale presso la Corte di cassazione o da un suo sostituto.

7. Per quanto non specificato nel presente articolo, per il procedimento davanti al CNF si applicano gli articoli da 59 a 65 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37.

8. Avverso la sentenza del CNF può essere proposto ricorso alle sezioni unite civili della Corte di cassazione, dall'incolpato e dal procuratore generale presso la corte d'appello al cui distretto appartiene l'incolpato. Il ricorso non ha effetto sospensivo. Si applicano, per quanto non stabilito dal presente articolo, l'articolo 56 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni, e gli articoli 66, 67 e 68 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37.

9. È fatta salva la possibilità del giudizio di revocazione disciplinato ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile.

 

 

L’articolo 56 del progetto di legge disciplina il sistema di impugnazione della decisione resa sul procedimento disciplinare.

 

Attualmente, i provvedimenti disciplinari adottati dai consigli degli ordini locali sono ricorribili dinanzi al CNF in fase di gravame.

Il ricorso deve essere presentato negli uffici del Consiglio che ha emesso la pronuncia, e deve contenere l'indicazione specifica dei motivi sui quali si fonda, ed essere corredato della copia della pronuncia stessa, notificata al ricorrente. L'ufficio del Consiglio comunica immediatamente, in copia, alle altre parti e al PM il ricorso presentato. Tutti gli atti del procedimento rimangono depositati negli uffici del Consiglio per il termine di 10 giorni dalla scadenza di quello stabilito per ricorrere, affinché le parti possano prenderne visione, proporre deduzioni ed esibire documenti. Solo successivamente, tutti gli atti saranno trasmessi al CNF (cfr. art. 59, R.D. n. 37/1934).

La segreteria del CNF, non appena ricevuti gli atti, li comunica alla procura generale presso la Corte di cassazione (art. 60) ed avverte il ricorrente e le altre parti interessate del termine fino al quale gli atti rimarranno depositati negli uffici del Consiglio nazionale.

Entro tale periodo le parti potranno infatti prendere visione degli atti, proporre deduzioni ed esibire documenti.

Il Presidente del CNF nomina dunque il relatore fra i componenti del Consiglio stesso e fissa la data della seduta per la discussione del ricorso, dandone immediata comunicazione alle parti (art. 61).

L’intervento del PM presso la Corte di cassazione è disciplinato dall’art. 62 del R.D. n. 37/1934, ai sensi del quale la partecipazione della pubblica accusa è necessaria quando:

- il ricorso sia stato proposto dal PM (anche in via incidentale)

- il ricorso proposto dal professionista attiene ad un provvedimento di radiazione dall'albo.

In ogni altro caso è in facoltà del Pubblico Ministero di intervenire comunque.

Nel corso della seduta di discussione, il consigliere incaricato riferisce sul ricorso; il professionista è ammesso ad esporre le sue deduzioni personalmente o a mezzo del suo difensore, ed il Pubblico Ministero, quando sia intervenuto, svolge le sue conclusioni. È possibile, anche in questa fase, che il CNF svolga, su richiesta delle parti o di ufficio, ulteriori indagini necessarie per l'accertamento dei fatti.

Anche in questa sede la decisione è deliberata in camera di consiglio alla presenza del PM (art. 63).

Avverso la decisione del CNF è ammesso ricorso per Cassazione (artt. 66 e 67, R.D. n. 37/1934).

 

 

La riforma della professione forense attribuisce la competenza a conoscere dei ricorsi contro le decisioni adottate dagli organi distrettuali in sede disciplinare al CNF.

L’incolpato e il procuratore generale presso la corte d'appello (del distretto ove ha sede il consiglio dell'ordine che ha emesso la decisione) sono sempre legittimati a ricorrere avverso la decisione del collegio giudicante mentre il Consiglio istruttore di disciplina può procedervi solo in caso di proscioglimento (comma 1).

L’autore dell’esposto è escluso dai legittimati, potendo al più in caso di proscioglimento presentare al procuratore generale e al consiglio istruttore di disciplina una richiesta motivata affinché siano questi soggetti a impugnare la decisione (comma 2).

 

I commi da 3 a 5 disciplinano il ricorso prevedendo che:

§      abbia forma scritta e sia depositato presso la segreteria del Consiglio dell’ordine ove operava il collegio che ha emesso la decisione;

§      debba essere presentato entro 20 giorni dalla notifica della decisione (sulla necessità di un coordinamento con l’art. 54, coma 12, cfr. sopra). Il comma 3 prevede, in quanto compatibile, l’applicazione dell’art. 50 della legge professionale del 1933: si intende sostanzialmente richiamare la disciplina del ricorso incidentale ivi prevista.

 

L’art. 50 della legge professionale disciplina gli effetti delle decisioni assunte dai consigli dell’ordine nell’ambito del procedimento disciplinare. In particolare, la disposizione richiede la notifica delle decisioni suddette entro 15 giorni all'interessato e al PM che hanno tempo 20 giorni per presentare ricorso al CNF. Il ricorso ha effetto sospensivo.

Se a ricorrere è il solo professionista, il PM può proporre ricorso incidentale entro 15 giorni dalla scadenza del termine precedente. Per effetto del ricorso incidentale il CNF potrà anche arrivare a infliggere al professionista ricorrente una pena disciplinare più grave, per specie e durata, di quella già inflitta dal consiglio dell'ordine. Il ricorso incidentale mantiene efficacia anche laddove l’avvocato abbia rinunciato al ricorso principale.

 

§      la sua presentazione sospenda l’esecuzione del provvedimento (comma 5), a meno che non sia disposta la sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense a norma dell’art. 60 (v. infra);

§      abbia un contenuto necessario a pena di inammissibilità (si tratta dell’individuazione del provvedimento impugnato, dell’enunciazione dei punti ai quali si riferisce l’impugnazione e dei motivi – in fatto e in diritto – della stessa, nonché delle conclusioni e delle richieste).

 

Quanto alle modalità del giudizio in sede di impugnazione, i commi 6 e 7 prevedono che questo si svolga secondo le norme previste per il procedimento davanti al CNF di cui agli articoli da 59 a 65 del regio decreto 37/1934 e che le funzioni requirenti siano svolte dal procuratore generale presso la Corte di cassazione (o da un suo sostituto).

 

Anche la decisione del CNF è impugnabile, ma solo dall’interessato e dal PM presso la Corte d’appello: sono competenti le Sezioni unite civili della Corte di cassazione e si applica l’art. 56 della legge professionale.

 

L’articolo 56 prevede che le decisioni del CNF rese in sede di impugnazione debbano essere notificate all’interessato, al PM e al consiglio dell’ordine entro 30 giorni; nei successivi 30 giorni i primi due soggetti potranno ricorrere alle sezioni unite della Corte di cassazione. I vizi denunciabili alla Corte sono: incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.

Il ricorso non ha effetto sospensivo anche se l’esecuzione della decisione del CNF potrà essere sospesa dalla stessa Cassazione, in camera di consiglio, su istanza del ricorrente.

Le sezioni unite dovranno pronunciarsi sul ricorso entro 90 giorni; in caso di annullamento la questione viene rinviata al CNF che dovrà uniformarsi al punto di diritto affermato dalla Corte.

 

Per quanto riguarda le modalità del ricorso alla Cassazione, si fa invece riferimento agli articoli 66-68 del regio decreto n. 37/1934.

 

Tali disposizioni prevedono, in particolare che:

-        il ricorso alle sezioni unite debba essere notificato a cura del ricorrente alle altre parti interessate nel termine di 30 giorni;

-        nei successivi 15 giorni il ricorso debba essere presentato nella cancelleria della Corte unitamente all'atto originale di notificazione ed alla copia della decisione impugnata, che è stata notificata al ricorrente;

-        le altre parti possano far pervenire le loro deduzioni entro 20 giorni dallo spirare del termine per le notificazioni

-        la cancelleria comunichi il ricorso al Procuratore generale presso la stessa Corte e richieda gli atti del procedimento alla segreteria del CNF;

-        il Primo Presidente della Corte di cassazione fissi l'udienza di discussione, nomini il relatore e comunichi gli atti al PM;

-        nel corso dell’udienza l’interessato possa esporre le sue difese personalmente o per mezzo di un avvocato iscritto nell'albo speciale per l’esercizio della professione dinanzi alla giurisdizioni superiori;

-        la Cassazione dopo aver sentito le conclusioni del PM decida.

 

Infine, il comma 9 prevede che anche in ordine al giudizio disciplinare sia possibile accedere al giudizio di revocazione a norma del codice di procedura civile.

 


Articolo 57
(Rapporto fra procedimento disciplinare e processo penale)

1. Il procedimento disciplinare si svolge ed è definito con procedura e con valutazioni autonome rispetto all'eventuale processo penale avente per oggetto i medesimi fatti.

2. Il Consiglio istruttore di disciplina e il consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante hanno il potere di acquisire atti e documenti appartenenti al processo penale presso l'autorità giudiziaria.

3. Se dai fatti oggetto del procedimento disciplinare emergono estremi di un reato procedibile d'ufficio, l'organo procedente ne informa l'autorità giudiziaria.

4. La durata della pena accessoria dell'interdizione dalla professione inflitta all'avvocato dall'autorità giudiziaria è computata in quella della corrispondente sanzione disciplinare della sospensione dalla professione.

 

 

L'articolo 57 afferma che la procedura e le valutazioni del procedimento disciplinare sono separati da quelli dell’eventuale processo penale avente ad oggetto gli stessi fatti (comma 1).

In realtà, il successivo articolo 58 (v. infra) prevede ipotesi di riapertura del procedimento disciplinare in relazione agli esiti del processo penale.

In particolare, se in sede penale il processo si è concluso con un’assoluzione anche il procedimento disciplinare, eventualmente già concluso con l’irrogazione di una sanzione, deve essere riaperto. Parallelamente, la condanna penale per un reato non colposo comporta una riapertura del procedimento disciplinare che si sia precedentemente concluso con un proscioglimento, se il giudizio della magistratura ha potuto fondarsi su elementi ignoti al procedimento disciplinare.

 

Per quanto i giudizi siano autonomi, inoltre, sia il Consiglio istruttore di disciplina sia il collegio giudicante possono chiedere all’autorità giudiziaria di acquisire ai fini disciplinari atti e documenti del processo penale (comma 2); parallelamente, se nel corso del procedimento disciplinare emergono profili di responsabilità penale a carico dell’avvocato incolpato (in relazione a un reato procedibile d’ufficio), gli stessi organi della procedura dovranno informarne l’autorità giudiziaria (comma 3).

 

Laddove il processo penale si concluda con una condanna e con la pena accessoria dell’interdizione dalla professione, e contestualmente anche il procedimento disciplinare si concluda con la sanzione disciplinare della sospensione dalla professione, le due misure decorreranno contemporaneamente (comma 4).

 


Articolo 58
(Riapertura del procedimento disciplinare)

1. Il procedimento disciplinare, concluso con provvedimento definitivo, è riaperto:

a) se è stata inflitta una sanzione disciplinare e, per gli stessi fatti, l'autorità giudiziaria ha emesso sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'incolpato non lo ha commesso;

b) se è stato pronunciato il proscioglimento e l'autorità giudiziaria ha emesso sentenza di condanna per reato non colposo fondata su fatti rilevanti per l'accertamento della responsabilità disciplinare, che il consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante non ha potuto valutare.

2. La riapertura del procedimento disciplinare avviene a richiesta dell'interessato o d'ufficio con le forme del procedimento ordinario.

3. Per la riapertura del procedimento e per i provvedimenti conseguenti è competente il consiglio dell'ordine che ha emesso la decisione. In tal caso il presidente lo assegna ad un Collegio giudicante che deve essere diversamente formato da quello che ha emesso il precedente provvedimento.

 

 

Come detto in sede di esame dell’articolo 57, il procedimento disciplinare ed il processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti rappresentano giudizi autonomi e dunque separati. L’articolo 58 pone però delle eccezioni a questa regola stabilendo che il procedimento disciplinare conclusosi prima del processo penale possa essere riaperto in due casi (comma 1):

§      se erano state irrogate sanzioni disciplinari e l’avvocato è poi stato assolto in sede penale (con le formule «perché il fatto non sussiste» o «perché l'imputato non lo ha commesso»);

§      se non erano state irrogate sanzioni disciplinari e l’avvocato è stato poi condannato in sede penale per un reato non colposo, purché il giudizio penale si sia fondato su «fatti rilevanti per l'accertamento della responsabilità disciplinare, che il consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante non ha potuto valutare». In tal caso, i nuovi fatti verranno liberamente valutati nel procedimento disciplinare riaperto.

La riapertura del procedimento disciplinare avviene a richiesta dell’interessato o d’ufficio con le forme del procedimento ordinario (comma 2).

La competenza è sempre del consiglio dell’ordine che ha adottato il primo provvedimento, che dovrà però predisporre un collegio giudicante diverso dal precedente (comma 3).


Articolo 59
(Sospensione del procedimento a seguito di cancellazione volontaria dall'albo)

1. Nel caso di cancellazione dall'albo, d'ufficio o a seguito di richiesta dell'avvocato o del praticante avvocato sottoposto a procedimento disciplinare, se già ha avuto luogo l'iscrizione dell'interessato nel registro di cui all'articolo 53, comma 1, tale procedimento rimane sospeso e deve essere ripreso qualora l'avvocato o il praticante avvocato sia nuovamente iscritto. Dalla delibera di cancellazione a quella di nuova iscrizione sono sospesi i termini del giudizio ed i termini di prescrizione.

 

L’articolo 59 prevede la sospensione del procedimento disciplinare nel caso in cui l’incolpato sia cancellato dall’albo, d’ufficio o su richiesta. Le ipotesi di cancellazione d’ufficio sono elencate nell’articolo 16, comma 10 (su cui sopra). Il procedimento disciplinare dovrà riprendere qualora colui che è stato cancellato dall’albo chieda e ottenga una nuova iscrizione.

 

Con riferimento all’ipotesi di cancellazione d’ufficio occorre un chiarimento in merito al coordinamento tra la disposizione in esame e l’articolo 16, comma 17, che vieta la cancellazione quando sia un corso un procedimento disciplinare, salvo quanto appunto previsto dall’articolo 59.

Si segnala inoltre che la disposizione fa riferimento sia alla cancellazione volontaria sia alla cancellazione d’ufficio dall’albo, allorché invece la rubrica si riferisce alla sola cancellazione volontaria.


Articolo 60
(Sospensione cautelare)

1. La sospensione cautelare dalla professione o dal tirocinio deve essere deliberata dal consiglio dell'ordine competente, previa audizione dell'interessato, fatta salva la sua rinuncia, anche a mezzo di un consigliere delegato, nei seguenti casi:

a) applicazione di misura cautelare detentiva o interdittiva emessa in sede penale e non impugnata o confermata in sede di riesame o di appello;

b) applicazione di misura di sicurezza detentiva;

c) condanna in primo grado per i reati previsti negli articoli 372, 374, 377, 378, 381, 640, 646, se commessi nell'ambito dell'esercizio della professione o del tirocinio, 244, 648-bis e 648-ter del codice penale;

d) condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni;

e) in ogni altro caso in cui il fatto contestato sia di gravità tale da rendere necessaria la sospensione per la tutela del decoro dell'avvocatura o dei diritti di terzi.

2. La decisione è deliberata in camera di consiglio, dopo aver concesso un termine per il deposito di difese non inferiore a dieci giorni. Gli atti del procedimento e la decisione devono essere immediatamente trasmessi al Consiglio istruttore di disciplina. Nei casi di eccezionale urgenza il termine per il deposito di difese viene assegnato con il provvedimento di sospensione. In tale caso il consiglio dell'ordine prende in esame le difese al fine della conferma, modifica o revoca del provvedimento assunto, quindi trasmette immediatamente gli atti del procedimento e i provvedimenti assunti al Consiglio istruttore di disciplina.

3. La sospensione cautelare non può avere durata superiore ad un anno ed è esecutiva dalla data della notifica all'interessato.

4. La sospensione cautelare perde efficacia qualora, nel termine di due anni dalla sua irrogazione, non sia deliberato il provvedimento sanzionatorio. Nel termine non si computano i periodi di cui all'articolo 54, comma 15.

5. La sospensione cautelare perde altresì efficacia se sia deliberato di non esservi luogo a provvedimento disciplinare, ovvero se sia disposta l'irrogazione dell'avvertimento o della censura.

6. La sospensione cautelare può essere revocata o modificata nella sua durata, d'ufficio o su istanza di parte, qualora, anche per circostanze sopravvenute, non appaia adeguata ai fatti commessi.

7. Contro la sospensione cautelare l'interessato può proporre ricorso davanti al CNF nel termine di venti giorni dall'avvenuta notifica nei modi previsti per l'impugnazione dei provvedimenti disciplinari.

 

Ai sensi dell'articolo 60, il consiglio dell’ordine presso il quale il professionista è iscritto ne delibera la sospensione cautelare dalla professione o dal tirocinio, previa audizione dell’interessato, nei seguenti casi (comma 1):

§      se al professionista è stata applicata in sede penale una misura cautelare detentiva o interdittiva che non è stata impugnata, ovvero che è stata confermata in sede di riesame o di appello;

§      se al professionista  è stata applicata una misura di sicurezza detentiva;

§      se il professionista è stato condannato – anche con sentenza non definitiva – per i seguenti reati, commessi nell’esercizio della professione (o del tirocinio):

-       art. 372 c.p., falsa testimonianza;

-       art. 374 c.p., frode processuale;

-       art. 377 c.p., intralcio alla giustizia;

-       art. 378 c.p., favoreggiamento personale;

-       art. 381 c.p., altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico;

Si segnala che la sospensione è prevista per l’art. 381 c.p e non anche per l’ipotesi più grave di cui all’art. 380 (Patrocinio o consulenza infedele).

-          art. 640 c.p., truffa;

-          art. 646 c.p., appropriazione indebita

§      se il professionista è stato condannato – anche con sentenza non definitiva – per i seguenti reati:

-       art. 244 c.p., atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra;

Si segnala che probabilmente il riferimento a tale fattispecie di reato è un refuso.

-          art. 648-bis, riciclaggio;

-          art. 648-ter, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.

§      se il professionista è stato condannato a pena detentiva non inferiore a 3 anni. In questo caso, mancando la specificazione contenuta nella lettera precedente, si presume che la condanna sia con sentenza irrevocabile.

 

A fronte dell’indicazione specifica dei fatti che danno luogo alla sospensione cautelare contenuta nelle lettere a)-d), la lettera e) del comma 1 contiene una norma di chiusura secondo la quale essa deve essere disposta laddove il fatto contestato «sia di gravità tale da rendere necessaria la sospensione per la tutela del decoro dell’avvocatura o dei diritti di terzi».

 

Per quanto riguarda il procedimento per l’adozione della misura cautelare, oltre al necessario contraddittorio (cui fa riferimento già il comma 1), il comma 2 prevede che:

§      l’interessato abbia almeno 10 giorni per presentare proprie memorie al consiglio dell’ordine. Solo nei casi di eccezionale urgenza la possibilità di presentare memorie viene concessa dopo l’adozione del provvedimento di sospensione; il consiglio dell'ordine prenderà in esame le difese al fine della conferma, modifica o revoca del provvedimento già assunto.

§      il consiglio dell’ordine decida in camera di consiglio;

§      tutti gli atti debbano essere successivamente trasmessi al consiglio istruttore di disciplina

 

La sospensione cautelare può essere irrogata per un periodo non superiore ad un anno ed è esecutiva dalla data della notifica all’interessato (comma 3); la sospensione perde efficacia:

-       qualora, entro 2 anni dall’irrogazione, gli organi disciplinari non deliberino il provvedimento sanzionatorio (comma 4);

Si segnale termine appare in contraddizione con il termine annuale di durata massima della misura cautelare, previsto dal comma 3.

-       qualora gli organi disciplinari decidano per il non luogo a procedere ovvero irroghino le sanzioni meno severe, come l’avvertimento o la censura (comma 5).

 

Il comma 6 prevede comunque che la misura cautelare possa essere revocata o modificata nella sua durata, d’ufficio o su istanza di parte, se «anche per circostanze sopravvenute, non appaia adeguata ai fatti commessi».

 

Il provvedimento di sospensione cautelare dall’esercizio della professione può infine essere impugnato dall’interessato davanti al CNF con un ricorso da proporre entro 20 giorni dalla notifica del provvedimento stesso. Si applicano le disposizioni sull’impugnazione del provvedimenti disciplinari (comma 7).

 


Articolo 61
(Esecuzione)

1. La decisione emessa dal consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante non impugnata, quella emessa ai sensi dell'articolo 60 e la sentenza del CNF sono immediatamente esecutive.

2. Le sospensioni e le radiazioni decorrono dalla scadenza del termine per l'impugnazione, per le decisioni del consiglio dell'ordine costituito in Collegio giudicante, o dal quindicesimo giorno successivo alla notifica all'incolpato della sentenza emessa dal CNF.

3. Per l'esecuzione della sanzione è competente il consiglio dell'ordine al cui albo, elenco speciale o registro è iscritto l'incolpato. A tal fine il CNF trasmette senza ritardo al consiglio dell'ordine competente, affinché provveda all'immediata notifica all'incolpato, le copie autentiche della sentenza nel numero necessario alla notifica stessa.

4. Il consiglio dell'ordine, una volta perfezionata la notifica e verificata la data della stessa, invia all'incolpato, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, comunicazione nella quale indica la data di decorrenza finale della esecuzione della sanzione.

5. Nel caso in cui sia inflitta la sospensione, la radiazione o la sospensione cautelare, di esse è data comunicazione senza indugio ai capi degli uffici giudiziari del distretto ove ha sede il consiglio dell'ordine competente per l'esecuzione, nonché a tutti i consigli dell'ordine. Copia della comunicazione è affissa presso gli uffici del consiglio dell'ordine competente per l'esecuzione.

6. Qualora sia stata irrogata la sanzione della sospensione a carico di un iscritto, al quale per il medesimo fatto è stata inflitta la sospensione cautelare, il consiglio dell'ordine determina d'ufficio senza ritardo la durata della sospensione, detraendo il periodo di sospensione cautelare già scontato.

7. Decorsi cinque anni dalla data di esecutività del provvedimento sanzionatorio della radiazione, può essere richiesta una nuova iscrizione all'albo, all'elenco speciale o al registro, fermi restando i requisiti di cui all'articolo 16.

 

 

L’articolo 61 disciplina l’esecutorietà delle decisioni emesse in sede disciplinare.

Tale disposizione stabilisce anzitutto che sono immediatamente esecutive (commi 1 e 2):

-       la decisione disciplinare del collegio giudicante, non impugnata nei termini prescritti. In questo caso la radiazione o la sospensione dall’albo decorrono dalla scadenza del termine per impugnare;

-       la misura cautelare della sospensione dall’esercizio della professione adottata dal consiglio dell’ordine a norma dell’articolo 60 (v. sopra);

-       la decisione del Consiglio nazionale forense (a prescindere dunque dall’eventuale ricorso alle sezioni unite della Cassazione). In questo caso la radiazione o sospensione dall’albo decorrono trascorsi 15 giorni dalla notifica all’incolpato della decisione del CNF.

 

I commi da 3 a 6 definiscono una serie di adempimenti di competenza del consiglio dell’ordine nel quale è iscritto il professionista incolpato. Questo dovrà provvedere:

§      all'immediata notifica all'incolpato delle decisioni;

§      ad inviare poi all'incolpato una comunicazione nella quale indica la data di decorrenza finale dell’esecuzione della sanzione;

§      a comunicare senza indugio ai capi degli uffici giudiziari del distretto ove ha sede il consiglio dell'ordine l’irrogazione delle sanzioni della sospensione o radiazione dall’albo del professionista e la misura cautelare della sospensione dall’esercizio della professione;

§      a comunicare a tutti gli altri consigli dell'ordine d’Italia l’irrogazione delle sanzioni della sospensione o radiazione dall’albo del professionista e la misura cautelare della sospensione dall’esercizio della professione;

§      ad affiggere presso i propri uffici copia della comunicazione relativa all’irrogazione delle sanzioni della sospensione o radiazione dall’albo e alla misura cautelare della sospensione dall’esercizio della professione;

§      a computare la durata della sospensione dall’iscrizione all’albo inflitta in sede disciplinare, sottraendo il periodo di mancato esercizio della professione dovuto a precedente sospensione cautelare.

 

Infine, il comma 7 interviene sostanzialmente sulla durata della sanzione della radiazione dall’albo disponendo che trascorsi 5 anni dall’applicazione della sanzione, il professionista possa, fermi i requisiti di cui all’art. 16 (v. sopra), chiedere una nuova iscrizione all’albo.

 

Attualmente, l’articolo 47 della legge professionale stabilisce l’avvocato radiato dall'albo possa esservi reiscritto purché siano trascorsi almeno 5 anni dal provvedimento di radiazione, e, se questa derivò da condanna, sia intervenuta la riabilitazione. Il termine è di 6 anni se la condanna fu pronunciata per delitto commesso con abuso di prestazione dell'opera di avvocato o di procuratore, ovvero per delitto contro la Pubblica Amministrazione, contro l'Amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica o contro il patrimonio. Sull'istanza di riammissione provvede il Consiglio dell'ordine che tiene l'albo per il quale è domandata la reiscrizione.


Articolo 62
(Poteri ispettivi del CNF)

1. Il CNF può richiedere ai Consigli istruttori di disciplina e ai consigli dell'ordine notizie relative all'attività disciplinare svolta; può inoltre nominare, scegliendoli tra gli avvocati iscritti nell'albo speciale per il patrocinio davanti alle magistrature superiori, ispettori per il controllo del regolare funzionamento dei Consigli istruttori di disciplina e dei consigli dell'ordine quanto all'esercizio delle loro funzioni in materia disciplinare. Gli ispettori possono esaminare tutti gli atti, compresi quelli riguardanti i procedimenti archiviati. Gli ispettori redigono ed inviano al CNF la relazione di quanto riscontrato, formulando osservazioni e proposte. Il CNF può disporre la decadenza dei componenti i Consigli istruttori di disciplina chiedendo la loro sostituzione agli ordini.

2. Analoghi poteri ispettivi possono essere esercitati per quanto riguarda i procedimenti in corso presso i consigli dell'ordine di appartenenza per la previsione transitoria di cui all'articolo 48.

 

 

L'articolo 62 prevede che il CNF possa nominare, scegliendoli tra gli avvocati iscritti nell’albo speciale per il patrocinio avanti le magistrature superiori, ispettori per il controllo del regolare funzionamento dei Consigli istruttori di disciplina.

Gli ispettori potranno esaminare tutti gli atti compresi quelli riguardanti i procedimenti archiviati.

All’esito dell’ispezione sarà trasmessa una relazione al CNF che conseguentemente potrà disporre la decadenza dei componenti i Consigli istruttori, chiedendone la sostituzione al consiglio dell’ordine (comma 1).

 

In base al comma 2 il CNF può esercitare questi poteri ispettivi anche per vigilare sui procedimenti già in corso presso il consiglio dell’ordine.

La disposizione richiama la previsione transitoria di cui all’art. 48 del progetto di legge (v. sopra). In realtà tale disposizione sospende l’efficacia delle norme della riforma relative all’esame per l’iscrizione all’albo e non contiene riferimenti a procedimenti disciplinari.


Titolo VI
Delega al Governo e disposizioni transitorie e finali

Articolo 63
(Delega al Governo per il testo unico)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentito il CNF, uno o più decreti legislativi contenenti un testo unico di riordino delle disposizioni vigenti in materia di professione forense, attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) accertare la vigenza attuale delle singole norme, indicare quelle abrogate, anche implicitamente, per incompatibilità con successive disposizioni, e quelle che, pur non inserite nel testo unico, restano in vigore; allegare al testo unico l'elenco delle disposizioni, benché non richiamate, che sono comunque abrogate;

b) procedere al coordinamento del testo delle disposizioni vigenti apportando, nei limiti di tale coordinamento, le modificazioni necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della disciplina, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo.

2. Al fine di consentire una contestuale compilazione delle disposizioni legislative e regolamentari riguardanti la professione di avvocato, il Governo è autorizzato, nella adozione del testo unico, ad inserire in esso, con adeguata evidenziazione, le norme sia legislative sia regolamentari vigenti.

3. Dalle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

L’articolo 63 delega il Governo all’emanazione di un testo unico delle disposizioni vigenti in tema di professione forense.

Il testo unico non dovrà avere portata innovativa bensì esclusivamente ricognitiva (compilativa) delle disposizioni vigenti e potrà comprendere tanto disposizioni legislative, quanto disposizioni regolamentari, purché la diversa natura delle fonti sia resa evidente (comma 2).

In particolare, il Governo ha tempo 24 mesi dall’entrata in vigore della riforma per emanare uno o più decreti legislativi contenenti il testo unico, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi (comma 1):

§      verificare la vigenza delle singole norme ed indicare quelle anche implicitamente abrogate;

§      indicare le disposizioni che – pur non inserite nel testo unico – sono ritenute vigenti;

§      allegare al testo unico l’elenco delle disposizioni abrogate;

§      apportare alle disposizioni vigenti le modificazioni necessarie a garantire alla disciplina della professione forense coerenza logica e sistematica ed a semplificare il linguaggio normativo. Tali modifiche dovranno comunque essere compatibili con il concetto di coordinamento della disciplina vigente.

 

Infine, il comma 3 richiede che l’emanazione del testo unico avvenga senza oneri a carico della finanza pubblica.

 

La disposizione non prevede il parere parlamentare sugli schemi di decreti legislativi.


Articolo 64
(Disposizioni transitorie)

1. Fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti previsti nella presente legge, da approvare entro il termine di cui al comma 3, si applicano se necessario e in quanto compatibili le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate.

2. Il CNF ed i consigli circondariali in carica alla data di entrata in vigore della presente legge sono prorogati fino al 31 dicembre del secondo anno successivo alla medesima data.

3. È data facoltà ai consigli locali di indire nuove elezioni alla scadenza naturale del mandato. In tal caso, gli organi eletti decadono alla data del 31 dicembre dell'anno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge.

4. Gli avvocati iscritti in albi alla data di entrata in vigore della presente legge, per cui sussistono incompatibilità o che non sono in possesso dei requisiti previsti in modo innovativo dalla presente legge, hanno l'obbligo, pena la cancellazione dall'albo, di adeguarsi alle nuove disposizioni entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

5. L'incompatibilità di cui all'articolo 27, comma 10, tra la carica di consigliere dell'ordine e quella di componente del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense deve essere rimossa comunque non oltre sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

6. Il codice deontologico è emanato entro il termine massimo di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il CNF vi provvede sentiti gli ordini forensi circondariali e la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense in relazione alle materie di interesse di questa. L'entrata in vigore del codice deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non specificamente abrogate. Le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato.

 

 

L’articolo 64 disciplina la fase transitoria in attesa della piena operatività della riforma.

 

A tal fine, il comma 1 afferma che fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti attuativi della riforma forense continuano ad applicarsi - «se necessario e in quanto compatibili» - le disposizioni vigenti non abrogate. Dal tenore di tale disposizione sembrerebbe che la sospensione dell’esecutività non riguardi tutta la riforma, ma soltanto le parti non autoapplicative, che richiedono cioè una disciplina di dettaglio.

Dal punto di vista della formulazione, si segnala l’opportunità di chiarire la portata dell’espressione “se necessario”.

 

Il medesimo comma 1 prevede che i suddetti regolamenti debbano essere approvati entro il termine di cui al comma 3.

Posto tuttavia che il comma 3 dell’articolo 64 si riferisce al termine di scadenza dei nuovi consigli dell’ordine, probabilmente in realtà la disposizione intendeva riferirsi al termine di cui all’articolo 1, comma 3; tale ultima disposizione  prevede in generale che all’attuazione della riforma si provveda con regolamenti del Ministro della giustizia, previo parere del CNF, entro un anno dall’entrata in vigore della legge.

 

Per quanto riguarda gli organi rappresentativi dell’ordine forense, il comma 2 proroga il CNF e i consigli circondariali in carica al momento dell’entrata in vigore della riforma fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore della legge.

Peraltro, il successivo comma 3 consente ai consigli dell’ordine di procedere anche a nuove elezioni degli organi rappresentativi che vengano a scadenza durante il suddetto periodo. In questo caso però i nuovi consigli rimarranno in carica solo fino al 31 dicembre dell’anno successivo all’entrata in vigore della riforma.

 

Posto che sia il comma 2 sia il comma 3 si riferiscono ai consigli degli ordini circondariali, sembrerebbe opportuno un coordinamento tra le due disposizioni. In particolare, si segnala che, nel caso in cui i consigli locali si avvalgono della facoltà di indire nuove elezioni, gli organi eletti ai sensi del comma 3 verrebbero a scadenza un anno prima rispetto agli organi prorogati ai sensi del comma 2.

 

Per quanto riguarda i requisiti per l’iscrizione all’albo, il comma 4 dispone che gli avvocati che sono iscritti al momento dell’entrata in vigore della riforma hanno tempo 3 anni – pena la cancellazione – per soddisfare gli eventuali nuovi requisiti richiesti o per sanare situazioni di incompatibilità.

Solo l’incompatibilità prevista dall’articolo 27, comma 10 (v. sopra) tra la carica di consigliere dell’ordine e componente del comitato dei delegati della Cassa di previdenza dovrà essere rimossa entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge (comma 5).

 

Infine, il progetto di legge prevede che il nuovo codice deontologico debba essere approvato dal CNF entro un anno dall’entrata in vigore della riforma. A tal fine, il CNF dovrà sentire gli ordini circondariali e, per le materie di sua competenza, la Cassa di previdenza forense. L’entrata in vigore del nuovo codice determinerà la cessazione dell’efficacia delle norme attualmente vigenti; laddove le nuove disposizioni siano più favorevoli per l’incolpato, il nuovo codice deontologico potrà essere applicato anche ai procedimenti disciplinari già in corso (comma 6).


Articolo 65
(Disposizione finale)

1. La disciplina in materia di prescrizione dei contributi previdenziali di cui all'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335, non si applica alle contribuzioni dovute alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

 

 

L’articolo 65 prevede che la disciplina in materia di prescrizione dei contributi previdenziali, di cui all'articolo 3 della legge 8 agosto 1995 n. 335, di “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”, non si applica alle contribuzioni dovute alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

 

L’articolo 3 della legge n.335 del 1995, ai commi 9 e 10 disciplina la prescrizione delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.

Il comma 9 prevede che le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate nei termini di:

§       dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie - compreso il contributo di solidarietà del 10%, ad esclusivo carico dei datori di lavoro, dovuto per gli accantonamenti o versamenti effettuati a favore di forme pensionistiche complementari da parte dei datori di lavoro[35] -, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. Si consideri però che a decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti (lettera a);

§       cinque anni per tutte le altre contribuzioni previdenziali e assistenziali obbligatorie (lettera b).

 

Il successivo comma 10 prevede che i termini di prescrizione sopra esposti si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data di entrata in vigore della legge n. 335. Fanno eccezione i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente.

Agli effetti del computo dei termini prescrizionali non si tiene conto della sospensione prevista dall’articolo 2, comma 19 del D.L: 463/1983[36], fatti salvi gli atti interruttivi compiuti e le procedure in corso.

Questa è l’unica disposizione del progetto di legge che interviene – seppur limitatamente – sulla materia della previdenza forense.

 

Organo di previdenza della classe forense, la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli avvocati - istituita dalla legge n. 6 del 1952[37] - ha sede in Roma ed è una fondazione con personalità giuridica di diritto privato.

In base allo Statuto, approvato con D.I. 23 dicembre 2003, la Cassa assolve alle seguenti finalità:

·  assicurare agli avvocati che hanno esercitato la professione con carattere di continuità ed ai loro superstiti un trattamento previdenziale in attuazione dell'art. 38 della Costituzione ed in conformità a quanto previsto dalla legge, dallo statuto e dai regolamenti;

·  erogare assistenza a favore degli iscritti e dei loro congiunti, nonché di altri aventi titolo;

·  gestire forme di previdenza integrativa nell’ambito della normativa generale vigente.

La Cassa, per il conseguimento delle sue finalità istituzionali e per migliorare la sua efficienza organizzativa e gestionale, può svolgere attività e promuovere iniziative, anche con la costituzione e la partecipazione a società, enti, fondazioni ed associazioni in Italia ed all'estero. Essa può, inoltre, attuare o partecipare a iniziative preordinate allo sviluppo culturale ed alla sicurezza sociale degli avvocati. La Cassa può attuare iniziative culturali che siano preordinate al perfezionamento dei Delegati nella materia previdenziale ed assistenziale, e nella tecnica di gestione del patrimonio dell'Ente.

Gli organi della Cassa sono: a) il Presidente; b) il Vice presidente; c) il Comitato dei delegati; d) il Consiglio di amministrazione; e) la Giunta esecutiva; f) il Collegio dei revisori dei conti; g) i Consigli dell'ordine.

Sono iscritti alla Cassa: a) a domanda o d'ufficio, gli avvocati che esercitano la professione con carattere di continuità, secondo i criteri stabiliti dal Comitato dei Delegati; b) a domanda, i praticanti avvocati abilitati all'esercizio della professione; c) gli avvocati pensionati che conservano l'iscrizione in un albo professionale. L'iscrizione alla Cassa cessa d'ufficio, per gli avvocati che sono cancellati da tutti gli albi professionali ovvero a domanda, per gli avvocati che non esercitano la professione con carattere di continuità, secondo i criteri determinati dal Comitato dei Delegati.

 


Articolo 66
(Clausola di invarianza finanziaria)

1. Dalle disposizioni recate dalla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

L’articolo 66 prevede che dall’attuazione della riforma della professione forense non debbano derivare oneri a carico del bilancio dello Stato.

 

In proposito si richiamano, ad esempio:

§       l’articolo 45, che prevede, al comma 13, che i costi per l’espletamento delle procedure di esame debbano essere posti a carico dei partecipanti;

§       l’articolo 49, che prevede, al comma 13, che i costi per il procedimento disciplinare siano sostenuti dai consigli dell'ordine circondariali del distretto in proporzione al numero degli iscritti all'albo ordinario.




[1]    "Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza".

[2]    "Interventi urgenti per l'economia".

[3]    "Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale".

[4]    R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, Ordinamento giudiziario.

[5]    D.L. 29 novembre 2008 n. 185 (recante Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale) convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

[6]    I rilievi mossi dalla Commissione riguardano le seguenti disposizioni: il regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito in legge 22 gennaio 1934, n. 36, come successivamente modificato, che costituisce il testo di base che disciplina la professione di avvocato in Italia; l’articolo 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794; l’articolo 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31; il decreto ministeriale 24 novembre 1990, n. 392, il decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, e il decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, che hanno disciplinato successivamente gli onorari di avvocato.

[7]    D.L. 29 novembre 2008 n. 185 (recante Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale) convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

[8]    Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale.

[9]    Si ricorda che già ai sensi dell’articolo 2 della legge professionale, attualmente «Non si può essere iscritti che in un solo albo di avvocati».

[10]   Peraltro, in base all’art. 35 del R.D. n. 37 del 1934 è il richiedente l’iscrizione che deve dichiarare sul proprio onore di non trovarsi in una situazione di incompatibilità.

[11]   Legge 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica, collegato alla legge finanziaria per il 1997.

[12]   Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Si tratta, in particolare, dell’art. 53, comma 1.

[13]   Legge 25 novembre 2003, n. 339, Norme in materia di incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato.

[14]   La relazione illustrativa dell’A.S. 711 evidenziava l’introduzione di una regola omogenea, che prescrive l’incompatibilità per ogni tipo di insegnamento diverso da quello di materie giuridiche, osservando che “attualmente è compatibile, ad esempio, l’insegnamento dell’educazione fisica, mentre è incompatibile l’insegnamento in scuole elementari”.

[15]   Legge 10 marzo 2000, n. 62, Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione.

[16]   Decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27.

[17]   D.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.

[18]   Legge 30 dicembre 2010, n. 240, Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario.

[19]   Con riguardo ai professori ordinari, l’art. 11 del DPR 382/1980 dispone che il regime di impegno a tempo pieno è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna, con l’assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l’esercizio del commercio e dell’industria. Sono fatte salve le perizie giudiziarie e la partecipazione ad organi di consulenza tecnico-scientifica dello Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti di ricerca, nonché le attività comunque svolte per conto dello Stato o di enti pubblici o di organismi a prevalente partecipazione statale purché prestate in quanto esperti e sempre che siano compatibili con lo svolgimento dei compiti istituzionali.

I nominativi dei professori ordinari che optano per il tempo pieno vengono comunicati, a cura del rettore, all'ordine professionale al cui albo i professori risultino iscritti al fine della loro inclusione in un elenco speciale.

      Il regime a tempo definito è compatibile con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza anche continuative esterne e con l’assunzione di incarichi retribuiti, ma non con l’esercizio del commercio e dell’industria.

[20]   Relativamente ai ricercatori, l’art. 1 del D.L. n. 57 del 1987 (L. 158/1987) dispone che i ricercatori non possono svolgere, fino al superamento del giudizio di conferma, attività libero-professionali connesse alla iscrizione ad albi professionali, esterne alle attività proprie o convenzionate della struttura di appartenenza. Con riguardo alle situazioni di incompatibilità connesse con il regime a tempo pieno, la sentenza della Corte di Cassazione n. 389 dell’11 gennaio 2011 (http://www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com/ContentGuidaDiritto/Doc.aspx?IdDocumento=12145135&IdFonteDocumentale=13&cmd=cassciv&sezione=cassciv) evidenzia che, benché nel testo dell’art. 1 del D.L. 57/1987 non vi sia un espresso riferimento per i ricercatori universitari confermati a tempo pieno all’incompatibilità con l’esercizio di attività libero professionali (e quindi con l’iscrizione negli albi che le legittimano), “essa emerge in modo inequivoco” dal disposto del comma 5-bis del medesimo articolo (che dispone che con l'esercizio dell'opzione di cui al comma 2 – tempo pieno o tempo definito – vengono sanate tutte le eventuali pregresse situazioni di incompatibilità con l'ufficio di ricercatore).

[21]   In base all’art. 11 del DPR 382 del 1980, il regime a tempo definito è compatibile, per i professori ordinari, con lo svolgimento di attività professionali e di attività di consulenza anche continuative esterne e con l’assunzione di incarichi retribuiti, ma non con l’esercizio del commercio e dell’industria.

[22]   "Soppressione dell'albo dei procuratori legali e norme in materia di esercizio della professione forense".

[23]   "Norme per l'iscrizione nell'albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori".

[24]   I Consigli dell’ordine di ogni distretto di corte d’appello, mediante un apposito ufficio centralizzato, per garantire l'effettività della difesa d'ufficio, predispongono gli elenchi dei difensori che a richiesta dell'autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria sono indicati ai fini della nomina. I consigli dell'ordine fissano i criteri per la nomina dei difensori sulla base delle competenze specifiche, della prossimità alla sede del procedimento e della reperibilità.

[25]   Recante l’attuazione della direttiva 84/253/CEE, relativa all'abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei documenti contabili.

[26]   Recante l’attuazione della direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE.

[27]   Fanno eccezione i procedimenti disciplinari a carico degli avvocati componenti dei Consigli degli ordini locali, per i quali il CNF giudica in primo grado.

[28]   Il numero dei laureati da ammettere alla scuola, è determinato con decreto del Ministro dell'università, di concerto con il Ministro della giustizia, in misura non inferiore al 10% del numero complessivo di tutti i laureati in giurisprudenza nel corso dell'anno accademico precedente, tenendo conto, altresì, del numero dei magistrati cessati dal servizio a qualunque titolo nell'anno precedente aumentato del 20% del numero di posti resisi vacanti nell'organico dei notai nel medesimo periodo, del numero di abilitati alla professione forense nel corso del medesimo periodo e degli altri sbocchi professionali da ripartire per ciascuna scuola e delle condizioni di ricettività delle scuole.

[29]   Cfr. Decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, della legge 18 luglio 2003, n. 180.

[30]   L’articolo 17-bis è stato aggiunto dalla legge 27 giugno 1988, n. 242, e da ultimo modificato dal decreto-legge n. 112 del 2003.

[31]   L’articolo 17-bis è stato aggiunto dalla legge 27 giugno 1988, n. 242, e da ultimo modificato dal decreto-legge n. 112 del 2003.

[32]   Decreto legge 21 maggio 2003, n. 112, Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 18 luglio 2003, n. 180.

[33]   D.M. 11 dicembre 2001, n. 475, Regolamento concernente la valutazione del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali ai fini della pratica forense e notarile, ai sensi dell'articolo 17, comma 114, della L. 15 maggio 1997, n. 127.

[34] "Norme sui procedimenti dinanzi ai Consigli degli ordini forensi ed al Consiglio nazionale forense".

[35]   Previsto dall'articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, “Disposizioni urgenti in materia previdenziale”, convertito dalla legge 1° giugno 1991, n. 166: Si ricorda che l’art. 16 del D.Lgs. 252/2005, recante riforma della previdenza complementare, ha definitivamente messo a regime il citato contributo di solidarietà, originariamente previsto in forma transitoria dal richiamato articolo 9-bis del D.L. 103 del 1991 e successivamente confermato dall’articolo 12 del D.Lgs. 124 del 1993.

[36]   D.L. 12 settembre 1983, n. 463, “Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini”, convertito in legge, con modificazioni, con l'articolo unico, L 11 novembre 1983, n. 638. Nella norma si stabilisce che i termini di prescrizione relativi ai contributi dovuti o la cui riscossione è affidata a qualsiasi titolo all’INPS ed all’INAIL sono sospesi per un triennio dalla data di entrata in vigore del decreto n. 463, con il corrispondente prolungamento del periodo durante il quale il datore di lavoro ha l'obbligo di conservare i libri paga e di matricola.

[37]   Legge 8 gennaio 1952, n. 6, Istituzione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e procuratori.