Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Altri Autori: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Misure di sostegno e di incentivo per lo sviluppo delle libere professioni - A.C. 3480 - Schede di lettura e riferimenti normativi
Riferimenti:
AC N. 3480/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 410
Data: 23/11/2010
Descrittori:
CONTRATTI DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI   DEBITI
LIBERI PROFESSIONISTI   PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
STUDI PROFESSIONALI     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Misure di sostegno e di incentivo per lo sviluppo delle libere professioni

A.C. 3480

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

 

n. 410

 

 

 

23 novembre 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§         La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§         Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: gi0485.doc

 


I N D I C E

Schede di lettura

Capo I (art. 1) – Finalità della legge e definizioni                                                  3

Capo II (artt. 2-4) – Crediti nei confronti di P.A.                                                    6

Capo III (artt. 5-7) – Ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo e procedura di esdebitazione9

Capo IV (artt. 8-15) – Patti di trasferimento di uno studio professionale           14

Capo V (artt. 16-19) – Incarichi disposti da pubbliche amministrazioni            19

Capo VI (artt. 20 e 21) – Sostegno economico in favore dei professionisti       24

Riferimenti normativi

Codice civile (artt. 1260-1267, 1419, 2112, 2119 e 2229)                                 29

R.D. 16 marzo 1942, n. 267. Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa. (artt. 160-166, 182-bis e 182-ter)     35

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito. (art. 48-bis)42

L. 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. (art. 17)                                                                       43

L. 7 agosto 1990, n. 241 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. (art. 6, 12)                                                        45

D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. (art. 1, 53 e 64)                                                  46

 

 


Schede di lettura

 


Capo I (art. 1) – Finalità della legge e definizioni

L’art. 1, comma 1, indica le finalità della proposta di legge e precisa che essa è destinata ad operare nelle more dell’approvazione di una riforma generale dell’ordinamento delle professioni intellettuali.

 

In materia di professioni intellettuali, nel giugno 2009 le Commissioni giustizia e attività produttive della Camera avevano avviato l’esame di una serie di proposte di legge, tutte d’iniziativa parlamentare (A.C. 3 e abb.), volte ad una complessiva riforma dell’ordinamento sia delle “professioni regolamentate” sia delle “professioni non regolamentate”. Le prime sono essenzialmente le professioni strutturate in ordini professionali e caratterizzate dalla presenza di preminenti interessi pubblici; le seconde, organizzate in strutture associative, sono invece le professioni alle quali non viene riconosciuto lo stesso rilievo delle professioni regolamentate, ma che sono comunque assoggettate, attraverso un apposito registro tenuto dal Ministro della Giustizia, alla vigilanza governativa. In una prima fase dell'iter, i due aspetti sono stati trattati congiuntamente; successivamente, le Commissioni giustizia e attività produttive hanno deciso di separare i procedimenti legislativi relativi alla riforma delle professioni regolamentate e di quelle non regolamentate (seduta del 23 giugno 2010).

Si segnala inoltre che il Senato ha appena approvato in prima lettura il testo unificato di alcune proposte di legge in materia di riforma della professione forense, che in parte incide su aspetti disciplinati dalla proposta di legge in commento.

 

Il comma 2 fornisce le definizioni di professionista e di pubblica amministrazione (art. 1).

Per professionista, si intende sia la persona fisica che esercita una professione cd. intellettuale per il cui esercizio sia obbligatoria l’iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2229 c.c.), sia la società o associazione tra queste costituite per l’esercizio professionale.

 

L’art. 2229 c.c. prescrive che “la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”; dalla formulazione della disposizione, da un lato, si desume che la connotazione di intellettuale rispetto ad una professione è implicita in quelle attività per il cui svolgimento è necessaria l’iscrizione in albi; dall’altro, non si escludono professioni intellettuali per le quali l’iscrizione all’albo non è condizione necessaria.

Il d.lgs n. 206 del 2007, di attuazione della direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (cd. direttiva qualifiche 2005/36/CE) fornisce all’art. 4 una precisa definizione di professione regolamentata.

Tale definizione comprende:

•           l'attività, o l'insieme delle attività, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità;

•           i rapporti di lavoro subordinato, se l'accesso ai medesimi è subordinato, da disposizioni legislative o regolamentari, al possesso di qualifiche professionali;

•           l'attività esercitata con l'impiego di un titolo professionale il cui uso è riservato a chi possiede una qualifica professionale;

•           le attività attinenti al settore sanitario nei casi in cui il possesso di una qualifica professionale è condizione determinante ai fini della retribuzione delle relative prestazioni o della ammissione al rimborso;

•le professioni esercitate dai membri di un'associazione o di un organismo di cui all'Allegato 1.

Da tale definizione di derivazione comunitaria si desume quindi che non tutte le professioni regolamentate presuppongono l’iscrizione obbligatoria ad un ordine. Ne consegue che, per le professioni regolamentate non organizzati in ordini, la forma di aggregazione rappresentativa non può che essere quella associativa.

Si segnala che in relazione a tale ultimo profilo è intervenuto il decreto legislativo n. 59 del 2010, di attuazione alla direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno (direttiva "servizi"), che mira a facilitare la libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e la libera circolazione dei servizi (compresi i servizi forniti da professionisti) tra Stati membri garantendo al contempo un'elevata qualità dei servizi stessi; l’articolo 8 di tale decreto per definire le “professioni regolamentate” rinvia al sopra richiamato articolo 4 del d.lgs. n. 206 del 2007, ma precisa che può trattarsi di un'attività professionale o un insieme di attività professionale, riservate o non riservate. Tale specificazione è stata inserita in accoglimento di una condizione posta nel parere reso dalle Commissioni giustizia e attività produttive lo scorso 11 marzo che evidenziava come la definizione contenuta nel richiamato articolo 4 non fosse conforme a quella recata dall'articolo 3, paragrafo 1, lettera a) della medesima «direttiva qualifiche»

Per quanto riguarda le società e le associazioni tra professionisti, la legge n. 267 del 1997 ha disposto l’abrogazione dell’articolo 2 della legge n. 1815 del 1939, che in termini generali stabiliva il divieto di costituire società tra professionisti; il comma 2 della norma citata demandava la concreta disciplina di tali società ad un regolamento di concerto tra il Ministro della Giustizia e il Ministro dell’industria, mai emanato. In attuazione della legge comunitaria 1999, è stato emanato il decreto legislativo n. 96 del 2001, che disciplina anche l'esercizio della professione di avvocato in forma collettiva.

Più recentemente, va segnalato l’intervento della legge Bersani n. 248 del 2006, che ha abrogato le disposizioni di legge e di regolamento che prevedono per le attività libero professionali e intellettuali il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti. Ciò, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.

 

Per pubblica amministrazione, salvo diversa specifica indicazione normativa, si intende una pubblica amministrazione di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs 165/2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

 

L’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 definisce amministrazioni pubbliche “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”.


Capo II (artt. 2-4) – Crediti nei confronti di P.A.

Il Capo II contiene disposizioni in favore dei professionisti titolari di crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni.

 

L’articolo 2 riguarda la certificazione del credito. In sostanza, il professionista che - a titolo di corrispettivo di attività professionale - vanti un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti di una P.A. può chiedere che entro 30 gg. quest’ultima attesti l’esistenza di tale credito, motivando l’eventuale rifiuto (commi 1 e 2).

 

L’espressione “certo, liquido ed esigibile”,riferita al credito richiama la formulazione dell’art. 474 c.p.c sul titolo esecutivo, che prevede che “l’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile”. La certezza del diritto deriva dalla sua esistenza non controversa, in quanto il titolo contiene un atto di accertamento che rende certo il credito; la liquidità indica che il credito è espresso in denaro o altre cose mobili determinate nel loro ammontare; esigibilità significa che il credito può, da subito, essere fatto valere in giudizio.

 

In base al comma 3, i crediti certificati possono essere oggetto di cessione a terzi; alla cessione si applica la disciplina generale contenuta negli articoli artt. 1260-1267 c.c.

 

L’art. 1260 c.c. precisa che il trasferimento può essere a titolo gratuito o oneroso e che, quanto ai crediti cedibili, il limite è rappresentato dal carattere strettamente personale del credito o dalla sussistenza di specifici divieti imposti dalla legge. In giurisprudenza si è precisato che possono essere oggetto di trasferimento anche crediti non esigibili, o giudizialmente contestati o non specificamente individuati, ma tuttavia determinabili con riferimento al rapporto da cui derivano. 

La cessione si realizza attraverso un contratto bilaterale cui è estraneo il debitore ceduto; in base all’articolo 1264 c.c., a quest’ultimo tuttavia la cessione è opponibile solo in caso di accettazione o di avvenuta notifica.

Per quanto riguarda i crediti vantati nei confronti della PA, in base all’art. 69 R.D. n. 2440 del 1923 la relativa cessione, nei casi in cui è ammessa dalla legge, deve essere notificata all'amministrazione centrale ovvero all'ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento. Essa deve comunque risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio: la mancata osservanza di siffatto onere formale implica che la cessione, pur efficace inter partes, è improduttiva di effetti nei confronti della pubblica amministrazione quand'anche fosse stata a quest'ultima notificata; l'amministrazione interessata può tuttavia accettare, ex art. 1264, simile cessione (Cass. 12901/2004; Cass. 15153/2000).

Come precisato anche dalla giurisprudenza, con riferimento alla disciplina della cessione dei crediti verso la P.A., il divieto di cessione senza l'”adesione" della P.A. si applica solamente ai rapporti di durata, come l'appalto e la somministrazione (o fornitura), rispetto ai quali soltanto il legislatore ha ravvisato, in deroga al principio generale della cedibilità dei crediti anche senza il consenso del debitore (art.1260 cod. civ.), l'esigenza di garantire con questo mezzo la regolare esecuzione, evitando che durante la medesima possano venir meno le risorse (art. 9 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E).

 

Con l’articolo 3 della proposta di legge viene introdotta una disciplina relativa alla possibile compensazione e cessione dei crediti certificati a pubbliche amministrazioni.

La disciplina si differenzia in relazione all’oggetto del debito verso la PA o alla sua natura:

§      se oggetto del debito nei confronti della PA sono somme di denaro il professionista può opporre a compensazione (anche parziale) altri crediti da questi vantati (ove certificati) nei confronti della stessa amministrazione;

§      quando le somme di denaro sono dovute ad altra PA (diversa da quella di cui il professionista è creditore), a condizione che l’obbligazione non abbia natura tributaria, contributiva o previdenziale, può cedere (in tutto o in parte) ad essa il proprio credito certificato. Tale possibilità di cessione del credito vantato nei confronti di un’altra PA sarà operativa decorsi sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame. Ai rapporti tra le amministrazioni a seguito della cessione si applica la disciplina civilistica di cui agli artt. 1260 ss. c.c.

§      se oggetto del debito del professionista sono, invece, obbligazioni di natura tributaria, contributiva o previdenziale – fino al 30 giugno 2012 - l’indicata cessione dei crediti certificati sarà possibile solo in presenza di una convenzione stipulata tra le amministrazioni (debitrice e creditrice) per la disciplina dei reciproci rapporti derivanti dalla cessione. Dopo tale data, l’Agenzia delle entrate e gli istituti previdenziali dovranno comunque accettare le cessioni dei crediti, anche in assenza di convenzioni.

 

L’art. 3 demanda inoltre ad apposito regolamento, da emanare entro 6 mesi, la definizione delle modalità di attuazione della disciplina in materia di compensazione e cessione dei crediti certificati a PA; nello stesso termine si prevede che, con un decreto del Ministro dell’economia, sia adottato uno schema di convenzione tra le PA e l’Agenzia delle entrate per le finalità sopraindicate; alla mancata adozione del decreto, consegue la libertà delle amministrazioni interessate nella disciplina della stipula delle convenzioni.

 

L’art. 4, comma 1, individua – quale possibile ulteriore utilizzo dei crediti certificati – quello di fideiussione o garanzia nei confronti della PA per l’esercizio dell’attività del professionista.

La disposizione fa un esplicito riferimento alle garanzie richieste sulla base della disciplina degli appalti pubblici.

 

Tra queste, ad esempio le garanzie che devono presentare i progettisti ai sensi dell’articolo 101, comma 2, del codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 163 del 2006) per i contratti relativi a servizi o forniture, di importo pari o superiore a un milione di euro.

 

Il comma 2, prevede, a tutela dei crediti dei professionisti, il divieto per l’amministrazione di procedere al blocco dei pagamenti in favore del professionista, ex art. 48-bis del TUIR, quando la differenza tra il credito certificato da questi opposto e il debito contestato dalla P.A. risulti inferiore a 10.000 euro.

 

L’art. 48-bis del D.P.R. 602/1973 (Testo unico imposta sui redditi) dispone, in materia di pagamenti delle pubbliche amministrazioni, che queste prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a 10.000, debbano verificare l’eventuale inadempienza del beneficiario all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo; in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’UE)

Ritardi di pagamento

Con riferimento agli articoli 2, 3 e 4 della proposta di legge in esame si segnala che, confermando l’accordo informale con il Consiglio, il 20 ottobre il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura la nuova direttiva relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Come regola generale, il termine per il pagamento delle fatture a fronte della fornitura di beni e servizi, sia nel settore pubblico sia in quello privato, sarà di 30 giorni, e comunque entro il limite massimo di 60 giorni. Tale limite è in particolare previsto per il settore della sanità, in ragione delle peculiarità delle modalità di rimborso da parte dei sistemi sanitari nei confronti delle singole aziende ospedaliere. Superato il termine fissato per il pagamento, gli interessi legali dovuti saranno maggiorati dell’8% in aggiunta ad un compenso per le spese di recupero pari a 40 euro.

Prima di entrare in vigore, la direttiva dovrà essere approvata definitivamente anche dal Consiglio. Gli Stati membri avranno due anni per conformarsi alle nuove regole.


Capo III (artt. 5-7) – Ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo e procedura di esdebitazione

 

L’art. 5 prevede che il professionista (nonché società tra professionisti e associazioni professionali) che versi in situazione di sovraindebitamento può ricorrere all’accordo di ristrutturazione dei debiti.

La disposizione non definisce la nozione di sovraindebitamento, ma precisa la sua applicabilità anche rispetto ad obbligazioni contratte dal professionista al di fuori della sua attività professionale, nonché ad obbligazioni contratte per conto di congiunti o affini entro il terzo grado.

Condizione di validità dell’accordo è che questo sia stipulato con creditori che rappresentino almeno il 60% del debito totale; la sua esecutività presuppone l’omologazione da parte del giudice.

Nei limiti della compatibilità, trova applicazione la disciplina prevista per l’imprenditore dall’art. 182-bis della legge fallimentare (RD 267/1942).

 

L’art. 182-bis (Accordi di ristrutturazione dei debiti) del R.D. 267/1942 disciplina una particolare modalità di applicazione del concordato preventivo introdotta con la riforma di cui alla legge 80/2005 (di conversione del D.L. 35/2005). La procedura in oggetto velocizza il risanamento del debito in quanto fondata su patti stragiudiziali tra debitore e parte dei creditori. Nella sostanza, l’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all'articolo 161 (ovvero quella da presentare con la domanda di concordato preventivo)[1], l'omologazione giudiziale di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista revisore contabile sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei. L'accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Da tale giorno, e per 60 gg., i creditori aventi titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore.

Solo nell’ipotesi in cui gli altri creditori estranei all’accordo presentino opposizione entro 30 gg. dalla citata pubblicazione nel registro delle imprese la procedura rientra nell’alveo giudiziale. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato. Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell'articolo 183, in quanto applicabile, entro 15 giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.

La mancata attuazione dell’accordo imputabile al professionista, omissioni nelle informazioni e comportamenti contrari alla buona fede costituiscono illecito disciplinare; i codici deontologici professionali devono conseguentemente essere adeguati entro due anni.

 

I successivi articoli 6 e 7 recano due deleghe al Governo, la prima volta ad estendere ai professionisti la disciplina del concordato preventivo, la seconda volta ad istituire una specifica procedura di esdebitazione per i professionisti.

 

L’articolo 6, al comma 1, reca una disposizione direttamente applicabile che - nei limiti della compatibilità - consente l’accesso delle associazioni e delle società di professionisti alla disciplina del concordato preventivo previsto dalla legge fallimentare (artt. 160 e ss.); la disposizione precisa anche la possibilità per queste ultime di proseguire la loro attività senza essere soggette alla vigilanza del commissario giudiziale.

 

Il concordato preventivo si realizza attraverso un accordo tra l’imprenditore e la maggioranza dei creditori finalizzato a risolvere la crisi aziendale e ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione, anche parziale, delle ragioni creditorie. La procedura e gli effetti dell’ammissione al concordato sono disciplinati dagli articoli 160 ss. della legge fallimentare.

Con riferimento al profilo della prosecuzione dell’attività del debitore, espressamente preso in considerazione dalla disposizione in commento, in base all’articolo 167 l.fall., durante la procedura di concordato, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale.

 

Il comma 2 sancisce, con norma generale, l’impossibilità per il tribunale di dichiarare il fallimento del professionista, anche a seguito dell’inammissibilità o reiezione della domanda di concordato.

 

Nella normativa vigente, il sopra richiamato decreto legislativo n. 96 del 2001, che disciplina l'esercizio della professione di avvocato in forma collettiva, prevede espressamente all’articolo 16 che la società tra avvocati non è soggetta a fallimento.

 

Il comma 3 contiene invece una delega al Governo (da esercitare entro 6 sei mesi) avente ad oggetto l’estensione del concordato preventivo a professionisti, associazioni e società professionali.

 

In considerazione della parziale coincidenza dell’oggetto delle due disposizioni, si segnala la necessità di coordinare il comma 1, di immediata applicabilità, e il comma 3, recante una norma di delega.

 

Per quanto riguarda i principi della delega si prevede:

-        l’accesso dei professionisti al concordato ove l’esposizione debitoria dipenda da obbligazioni assunte in relazione all’attività professionale,

-        l’impossibilità di avviare azioni esecutive individuali verso il professionista e la sospensione di quelle già in corso(in linea con quanto previsto dall’art. 168 della legge fallimentare come effetto della presentazione della domanda di ammissione al concordato);

-        l’esclusione, in ogni caso, della possibilità che il professionista sia soggetto a procedura fallimentare;

-        la possibilità, nelle more della procedura, di continuare nell’esercizio dell’attività professionale senza essere sottoposto a forme speciali di vigilanza;

-        la previsione di forme semplificate sia per la quantificazione del debito del professionista e del suo patrimonio che per acquisire l’assenso dei creditori alla proposta di concordato;

-        la previsione di forme di pubblicazione degli accordi rispettose della dignità e del decoro del professionista;

-        la possibilità di concludere transazioni fiscali ai sensi dell’art. 182-ter della legge fallimentare.

Tale norma prevede che, con il piano di rientro dal debito alla base del concordato, il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea; con riguardo all'IVA ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento.

 

-       la previsione di un autonomo illecito disciplinare connesso al comportamento scorretto del professionista in vista o durante la procedura ovvero nella fase esecutiva.

 

La seconda delega al Governo (art. 7), anch’essa da esercitare nel termine di sei mesi, riguarda l’istituzione di una procedura di esdebitazione ad hoc per i professionisti, da emanare nelle more dell’approvazione della disciplina generale per la composizione delle crisi da sovraindebitamento (contenuta nell’A.C. 2364, su cui infra).

 

L’istituto della esdebitazione – previsto dagli artt. 142 e ss. della Legge fall. - costituisce una novità introdotta dalla riforma delle procedure concorsuali prevista dal D.Lgs n. 5/2006.

Finalità dell’istituto è quella di permettere, ricorrendo determinati presupposti, la liberazione del fallito-persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non integralmente soddisfatti; l’obiettivo è quello di azzerare le posizioni debitorie e recuperare l’attività economica del fallito per permettergli l’inizio di una nuova attività.

Condizioni per l’ammissione alla esdebitazione sono:

-        aver cooperato lealmente con gli organi della procedura;

-        non aver, negli ultimi 10 anni, usufruito dell’istituto;

-        non aver avuto comportamenti penalmente rilevanti, come distrazione dell’attivo o esposizione di passività inesistenti, causazione o aggravamento del dissesto finanziario, ricorso abusivo al credito;

-        non essere stato condannato definitivamente per bancarotta fraudolenta o delitti contro la economia pubblica, l’industria e il commercio, salvo sia già intervenuta la riabilitazione.

Ad evitare distorsioni nelle finalità dell’istituto e possibili speculazioni dannose per il mercato, condizione imprescindibile per la concessione della esdebitazione è che siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori concorsuali.

 

Si ricorda inoltre che l’A.C. 2364, approvato dal Senato e il cui esame in sede referente presso la Commissione giustizia della Camera si è concluso il 30 luglio scorso, reca la disciplina generale della composizione delle crisi da sovraindebitamento.

Nel testo licenziato dalla Commissione, il “sovraindebitamento” è definito come “una situazione di perdurante squilibrio economico fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni”, situazione che può determinarsi a carico di famiglie o di imprenditori non soggetti alle procedure fallimentari. Si tratta, in sostanza, della mancanza, protratta nel tempo, di risorse economiche per far fronte agli impegni assunti, una situazione analoga a quella che può determinare il fallimento dell'imprenditore commerciale.

Il provvedimento delinea una sorta di procedura concorsuale, modellata sull’istituto del concordato fallimentare, applicabile a soggetti diversi dagli imprenditori commerciali, allo scopo, indicato nella relazione illustrativa, “di evitare inutili collassi economici con la frequente impossibilità di soddisfacimento dei creditori ma, soprattutto, con il ricorso al mercato dell’usura e, quindi, al crimine organizzato”.

Più in dettaglio, la proposta di legge contempla lo strumento dell’accordo con i creditori, su proposta del debitore, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei. Rispetto a questi ultimi, il piano può anche prevedere una moratoria dei pagamenti (con esclusione dei crediti impignorabili) sempre che il piano risulti idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine e l'esecuzione del piano venga affidata ad un liquidatore nominato dal giudice.

Viene definito il procedimento finalizzato all’omologazione da parte del giudice dell’accordo, che presuppone l’accettazione da parte dei creditori che rappresentino almeno il 70 per cento dei crediti e prevede il coinvolgimento degli “organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento”.

Questi ultimi, costituiti ad hoc da enti pubblici e iscritti in apposito registro, svolgono in generale attività di assistenza al debitore finalizzate al superamento della crisi di liquidità, di soluzione delle eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo e di vigilanza sull’esatto adempimento dello stesso.

Il provvedimento introduce infine sanzioni a carico del debitore e dei componenti degli organismi di composizione delle crisi, nonché alcune misure di carattere fiscale, tra cui in particolare la deducibilità, ai fini dei reddito d'impresa, delle perdite su crediti a seguito della stipulazione dell'accordo.

 

Come precisato nell’ambito dei principi e criteri direttivi, presupposti per accedere all’istituto dovranno essere:

§      l’impossibilità di accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 5;

§      l’impossibilità di proseguire l’esercizio dell’attività professionale;

§      la mancata irrogazione negli ultimi 10 anni di sanzioni disciplinari più gravi dell’avvertimento.

 

Per quanto riguarda i debiti oggetto di esdebitazione, si segnala che mentre la lettera a) richiede che il sovarindebitamento derivi da obbligazioni connesse con lo svolgimento dell’attività professionale, la successiva lettera b), pur facendo salvo quanto previsto dalla lettera a), stabilisce che l’esdebitazione può riguardare anche obbligazioni estranee all’esercizio dell’attività professionale. Occorre un chiarimento sul coordinamento tra le due disposizioni.

Gli ulteriori principi e criteri direttivi prevedono:

§      l’obbligo, anche disciplinare, del professionista di presentare una relazione giurata sul proprio stato patrimoniale e sui debiti contratti;

§      a fronte dell’accesso alla esdebitazione, da un lato, la cessione a titolo universale di tutto il patrimonio del professionista, compresi i diritti di credito; dall’altro, la cessione di un terzo degli onorari percepiti nel successivo triennio,

§      che, alla fine della procedura, si estinguono i crediti residui.


Capo IV (artt. 8-15) – Patti di trasferimento di uno studio professionale

Il Capo V detta una disciplina generale del contratto di cessione di uno studio professionale e del rapporto che da esso scaturisce. La piena legittimità degli accordi di trasferimento degli studi professionali, come ricordato dalla relazione del provvedimento, è stata da ultimo riconosciuta dalla sentenza della Cassazione, II sez. civile, 9 febbraio 2010 n. 2860.

 

Secondo la Suprema Corte “È lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e degli arredi, ma anche della clientela, essendo configurabile, con riferimento a quest'ultima, non una cessione in senso tecnico (attesi il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d'opera intellettuale e cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico dal cliente al cessionario) ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire - attraverso l'assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un'attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) - la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante”.

 

Si ricorda che il codice civile detta una disciplina generale della cessione di azienda agli articoli 2556 c.c.

La sopra richiamata sentenza della Corte di cassazione si è soffermata sulle differenze tra azienda e studio professionale, ma al contempo ha precisato che anche gli studi professionali possono essere organizzati sotto forma di azienda "professionale" (ad esempio, l'esercizio dell'attività di avvocato in forma societaria) tutte le volte in cui, al profilo personale dell'attività svolta, si affianchino un'organizzazione di mezzi e strutture, un numero di titolari e di dipendenti, un'ampiezza dei locali adibiti all'attività tali che il fattore organizzativo e l'entità dei mezzi impiegati sovrastino l'attività professionale del titolare o, quantomeno, si pongano, rispetto a essa, come entità giuridica dotata di una propria autonomia strutturale e funzionale che, seppure non separata dall'attività dei titolari medesimi, assuma una rilevanza economica tale da essere suscettibile di una propria valutazione e divenire, per se stessa, oggetto di possibile contrattazione in base al combinato disposto di cui agli articoli 2238, 2082, 2112 e 2555 cc (cfr. Cassazione 370/1974, 11896/2002, 10178/2007).

 

L’art. 8, comma 1, definisce il contratto di cessione di uno studio professionale come il contratto con il quale il professionista trasferisce ad altro professionista non solo gli elementi materiali dello studio ma anche i pregressi rapporti contrattuali con i clienti (ovvero il “portafoglio clienti” del professionista), i rapporti di lavoro e collaborazione in essere (col personale di studio) nonché i contratti strumentali allo svolgimento dell’attività professionale (utenze, abbonamenti a riviste, ecc.). In base al comma 3, cessionari possono essere anche associazioni o società tra professionisti; in tale ultima ipotesi il professionista cedente diventa socio.

Sul punto, sarebbe opportuno un chiarimento circa la possibilità di escludere contrattualmente l’assunzione della qualità di socio da parte del professionista cedente.

 

In mancanza di una specifica indicazione, deve ritenersi che il contratto può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito.

 

Sul punto, la relazione illustrativa si riferisce ai soli accordi “onerosi”; se tale fosse la volontà dei proponenti, andrebbe esplicitato nel comma 1.

 

Non vengono posti specifici requisiti di forma né ad substantiamad probationem, anche se deve ritenersi necessaria l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono lo studio.

 

In base all’art. 2556 c.c., i contratti che trasferiscono la proprietà o il godimento dell'azienda devono invece essere redatti per iscritto ai fini probatori laddove si riferiscano ad imprese soggette a registrazione.

 

Il comma 2 impone a carico del professionista l’obbligo di adoperarsi secondo buona fede per favorire la prosecuzione dei rapporti contrattuali con il professionista cessionario.

 

La sopra richiamata sentenza della Cassazione precisa che dalla cessione della clientela derivano a carico del cedente obblighi positivi di fare (mediante un'attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la stessa attività nello stesso luogo), volti a consentire al successore che ne abbia le qualità di mantenere la clientela del suo predecessore, previo conferimento di un nuovo incarico.

 

L’art. 9 precisa la prosecuzione nei confronti del cessionario dello studio dei rapporti di lavoro e di collaborazione in corso col professionista cedente.

A garanzia del lavoratore-collaboratore dello studio, il comma 2 stabilisce tuttavia che la cessione dello studio professionale costituisce giusta causa ai fini e per gli effetti del recesso ex art. 2119 c.c.

Tale prosecuzione è in linea con quanto previsto dall’articolo 2112 in materia di cessione di azienda la cui applicazione, nei limiti della compatibilità, viene espressamente richiamata.

Tale disposizione deve già ritenersi applicabile nel caso di cessione di studio professionale, in virtù del rinvio alle disposizioni in materia di lavoro nell’impresa contenuto nell’art. 2238 c.c. (cfr. Cass., Sez. 2^, 16 novembre 1968, n. 3757; Cass., Sez. lav., 15 luglio 1987, n. 6208 ; Cass., Sez. lav., 23 giugno 2006, n. 14642).

In base all’art. 2112 c.c., in particolare, il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.

La disposizione detta invece una disciplina differente rispetto a quella contenuta nella proposta di legge in esame in materia di recesso, prevedendo che il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma.

 

L’art. 10 disciplina le vicende dei rapporti contrattuali professionali ceduti, prevedendo che gli effetti del trasferimento nei confronti dei clienti “trasferiti” operino decorsi 10 giorni dall’avvenuta informazione della cessione dello studio.

A garanzia dei clienti e della natura fiduciaria della prestazione professionale, si prevede la possibilità per il cliente di recedere dal rapporto con il nuovo professionista entro due mesi dalla notizia del trasferimento; in ogni caso, rimane fermo l’obbligo di corrispondere l’onorario per l’attività già svolta.

Il comma 3 della disposizione stabilisce inoltre che, nel caso in cui a seguito del trasferimento vi sia una sensibile di riduzione della clientela (a seguito di recesso ex comma 2), il cessionario potrà chiedere una diminuzione del compenso pattuito per la vendita dello studio; in caso di disaccordo, fermo il possibile ricorso al giudice ordinario, la composizione della questione è demandata al competente ordine professionale.

 

L’articolo 11 pone limiti legali al patto di non concorrenza, ovvero all’accordo in base al quale, in funzione di tutela dell’attività del professionista cessionario, sono imposte limitazioni contrattuali all’attività del cedente.

In particolare, il “patto di non concorrenza”:

-        non potrà eccedere i 5 anni;

-        non può impedire l’esercizio della professione in altra circoscrizione territoriale o in un altro settore.

In ogni caso, la disposizione pone a carico del cedente, per tale periodo, un divieto generale di offrire i propri servizi professionali ai clienti dello studio ceduto. Dal tenore della disposizione, sembrerebbe che il riferimento temporale sia al periodo individuato dal patto di concorrenza.

 

In base alla disciplina della cessione d’azienda (art. 2557 c.c.), a carico di chi aliena l'azienda opera l’obbligo di astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta. Si prevede, inoltre, che il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante e pone un termine massimo di cinque anni dal trasferimento. Nel caso di violazione di tale termine, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento.

 

L’art. 12 disciplina gli accordi di gestione temporanea dello studio professionale

Con tali accordi, nelle ipotesi dettate dai Consigli nazionali dei rispettivi ordini professionali, i titolari degli studi possono stipulare contratti per periodi di tempo limitati con altri professionisti disposti a rilevare, per pari tempo, l’attività dello studio. I contratti possono essere a titolo oneroso o gratuito; si prevede anche, come corrispettivo della cessione, la possibilità della compartecipazione agli onorari.

Obblighi di buona fede sono dettati a carico del professionista cessionario in ordine al rispetto degli indirizzi di gestione (che spettano al cedente) e al dovere di informazione nei confronti del cedente, nonché al divieto di comportamenti accaparratori.

Il comma 4 dell’articolo 12 prevede che, nei limiti della compatibilità, si applichi a tale tipo di accordi la disciplina dell’affitto di azienda.

L'affitto di aziendaè un contratto con il quale un soggetto consente a un terzo il diritto di utilizzare la propria azienda dietro il corrispettivo di un canone.

L'istituto è previsto dall'art. 2562 c.c., che per la relativa disciplina rinvia all’ art. 2561 c.c. (in materia di usufrutto dell'azienda). Il codice prevede una serie di poteri-doveri in capo all’usufruttuario (e quindi all’affittuario) volti a garantire a quest’ultimo la libertà operativa per gestire l'impresa e, al contempo, a tutelare l'interesse del locatore affinché non sia menomata l'efficienza dell'azienda che dovrà ritornare a sua disposizione alla scadenza del contratto. Tra questi in particolare l’obbligo dell'affittuario di operare sotto la ditta che contraddistingue l'azienda e di gestirla senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione.

 

L’art. 13 detta una disciplina specifica sugli accordi relativi all’uso del nome del professionista.

Detti accordi possono essere a titolo oneroso o gratuito.

Parti negoziali sono, da un lato, il professionista; dall’altro associazioni o società professionali cui il professionista partecipa, o delle quali non faccia parte, purché ricorrano specifiche condizioni (vi sia un accordo di collaborazione stabile della società col professionista; queste siano iscritte ad un altro albo professionale territoriale; l’accordo sull’uso del nome non abbia durata superiore a 5 anni rinnovabili).

La morte del professionista non pregiudica il diritto dell’associazione-società professionale a continuare ad usarne il nome nella denominazione, purché ciò sia espressamente previsto nell’accordo.

 

L’art. 14 sanziona con la nullità i contratti di cessione di studio professionale stipulati da professionisti radiati dall’albo.

 

Gli articoli 41 e 42 del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore) prevedono la pronunzia della radiazione da parte dei Consigli dell’ordine nei confronti dell’avvocato o del procuratore che abbia, con la sua condotta, compromesso la propria reputazione e la dignità della classe forense e individuano delle specifiche ipotesi di radiazione di diritto dall’albo.

 

L’art. 15 disciplina la successione nello studio professionale.

Anzitutto, si prevede che in caso di morte del professionista, gli eredi in possesso dei requisiti professionali possano succedergli nei rapporti contrattuali con la clientela. A differenza di quanto previsto per il caso di cessione dello studio professionale, non è espressamente disciplinato il potere di recesso da parte dei clienti.

Sono poi dettate disposizioni specifiche relative:

§      alla morte del professionista facente di parte di una società o di un’associazione professionale, nel qual caso i rapporti con la clientela proseguono con queste ultime;

§      al possibile subentro dei collaboratori iscritti all’ordine professionale.

 

In entrambe le ipotesi gli eredi hanno diritto ai compensi maturati per le prestazioni svolte e a una somma forfetaria annuale per i successivi 3 anni.

Salvo il ricorso al giudice, è devoluta al Consiglio territoriale dell’ordine di appartenenza ogni controversia relativa ai termini dei subentri e al quantum delle spettanze agli eredi.


Capo V (artt. 16-19) – Incarichi disposti da pubbliche amministrazioni

Le disposizioni in oggetto disciplinano specifici incarichi di natura professionale che le pubbliche amministrazioni possono conferire a professionisti iscritti all’albo.

L’art. 16 contempla la nomina del professionista iscritto all’albo come responsabile del procedimento. Tale nomina spetta al dirigente o funzionario a capo della competente unità organizzativa e presuppone un’istanza di parte.

Per quanto riguarda l’ambito dei compiti affidati si tratta in ogni caso di tutte o di parte delle attività istruttorie che l’articolo 6 della legge n. 241 del 1990 assegna al responsabile del procedimento. L’adozione del provvedimento finale in ogni caso spetta al dirigente o funzionario competente.

In base al richiamato art. 6 della L. 241/1990, al responsabile del procedimento spettano i seguenti compiti:

a) valutazione, ai fini istruttori, delle condizioni di ammissibilità, dei requisiti di legittimazione e de i presupposti rilevanti per l'emanazione del provvedimento;

b) accertamento di ufficio dei fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adozione di ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria (in particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali);

c) proposta o, avendone la competenza, indizione delle conferenze di servizi di cui all'articolo 14;

d) cura delle comunicazioni, pubblicazioni e notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;

e) adozione, ove ne abbia la competenza, del provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.

 

Il professionista, fatti salvi i termini di conclusione del procedimento, è tenuto allo svolgimento dell’incarico nel più breve tempo possibile nell’interesse dell’istante e della pubblica amministrazione; il suo compenso è a carico dell’istante ma è liquidato dall’amministrazione in base alla tariffe professionali.

 

L’art. 16 detta inoltre, specifiche ipotesi di responsabilità del professionista.

§      in caso di condanna della P.A. per l’inosservanza dei termini di conclusione del procedimento, essa può agire in regresso nei confronti del professionista se il “danno da ritardo” è imputabile a sua colpa;

§      il professionista risponde solidalmente con la PA nel caso di colpa grave per ogni altro danno derivante dalla lesione di diritti o interessi di terzi.

 

Rispetto agli ordinari criteri di imputazione della responsabilità aquiliana (in base all’articolo 2043 c.c., dolo o colpa), la rilevanza della colpa del professionista è limitata alla “colpa grave”.

La responsabilità civile del pubblico dipendente trova il suo fondamento nell’art. 28 Cost., che prevede la responsabilità solidale dello Stato e del dipendente per gli atti compiuti in violazione di diritti e rinviando alle leggi penali, civili e amministrative.

 

L’ultimo comma dell’art. 16 demanda a regolamenti delle pubbliche amministrazioni la disciplina del conferimento a professionisti dell’incarico di responsabile del procedimento, nonché i casi in cui non può farsi luogo a tale conferimento (in ragione della natura dell’affare trattato, degli interessi coinvolti, della complessità delle valutazioni tecniche da compiere).

 

L’art. 17 stabilisce il rispetto dei minimi tariffari da parte delle amministrazioni aggiudicatrici di pubblici appalti, servizi e forniture che abbiano stipulato contratti per prestazioni professionali; la disposizione si applica agli appalti cui possono partecipare i professionisti.

Dal rinvio al secondo comma dell’art. 1419 c.c., deriva che la nullità delle clausole che non rispettino i minimi tariffari non determinano la nullità dell’intero contratto, operando il meccanismo di sostituzione della clausola nulla con i minimi tariffari medesimi.

 

L’art. 1419, secondo comma, c.c. stabilisce che la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.

Con riguardo alla controversa questione dei minimi tariffari si richiama l’intervento della cd. legge Bersani (legge 248 del 2006, di conversione del decreto-legge 223 del 2006 ), il cui articolo 2 ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime e l’impossibilità di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti[2].

In merito si segnala che nell’ambito della riforma della professione forense (AS 601 e abb.) il Senato ha approvato la disposizione relativa alle tariffe (art. 12) reintroducendo l’inderogabilità dei minimi tariffari e affermando la nullità di ogni clausola contraria.

 

Con l’art. 18 viene introdotto un comma aggiuntivo nell’art. 53 del TU pubblico impiego (D.Lgs 165/2001) che pone a carico delle PA un limite massimo di due autorizzazioni all’anno a propri dipendenti a tempo pieno per lo svolgimento di incarichi retribuiti per prestazioni professionali; detto limite, che non riguarda per espressa previsione gli incarichi di docenza o ricerca, trova applicazione anche nei confronti dei professori universitari a tempo pieno.

 

L’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001, contiene la disciplina di carattere generale in materia di incompatibilità e di cumulo di impieghi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Regimi speciali sono peraltro previsti per determinate categorie di dipendenti pubblici richiamate dalla disposizione (personale docente, direttivo e ispettivo della scuola, personale docente dei conservatori, personale degli enti lirici e personale del servizio sanitario nazionale). Il principio fondamentale che regola la materia è quello dell’esclusività del rapporto di impiego del pubblico dipendente, che trova una sua traduzione normativa nell’articolo 60 del T.U. in materia di impiegati civili dello Stato[3], richiamato espressamente dal comma 1 dell’articolo 53.

È opportuno ricordare che una deroga di carattere generale al principio è peraltro contenuta nell’art. 23-bis dello stesso D.Lgs. 165[4], che consente ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni, agli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili nonché agli avvocati e procuratori dello Stato di essere collocati, a domanda, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale.

L’articolo 53, commi 2-16, del D.Lgs. 165/2001 reca poi una articolata disciplina del cumulo di impieghi ed incarichi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, incentrata sul principio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico da parte dell’amministrazione di competenza, che deve decidere sulla base di criteri oggettivi e predeterminati che garantiscano in particolare l’assenza di casi di incompatibilità. Si prevedono inoltre (art. 53, co. 7-9) specifiche sanzioni per l’inosservanza della richiesta di autorizzazione all’incarico. Sono inoltre previsti (art. 53, co. 11-16) meccanismi volti a garantire la visibilità e la trasparenza degli incarichi conferiti ai dipendenti pubblici attraverso la costituzione presso il Dipartimento della funzione pubblica della c.d. anagrafe degli incarichi, già istituita dall'art. 24 della legge n. 412/1991[5].

In conclusione si segnala che il D.Lgs. n. 150/2009 (cd. riforma Brunetta) ha inteso rafforzare i controlli sul rispetto delle incompatibilità e del divieto di cumulo di incarichi da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, inserendo, dapprima, il comma 1-bis ai sensi del quale non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni. Ha, inoltre, modificato il comma 16-bis, introdotto dal D.L. n. 112/2008, nel senso che il Dipartimento della funzione pubblica possa disporre verifiche del rispetto delle disposizioni dell’art. 53 attraverso l’Ispettorato per la funzione pubblica d’intesa con i Servizi ispettivi di finanza pubblica del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

 

L’art. 19 disciplina il caso in cui, in occasione del conferimento di un incarico per prestazioni professionali da parte della PA e in relazione all’oggetto dell’incarico, sia oggettivamente incerta l’esistenza o l’estensione in un determinato settore della riserva di attività in favore di professionisti iscritti ad albi. La disposizione rimette la definizione della questione ad un parere del Ministro della giustizia, da rendere entro trenta giorni, dopo avere interpellato i consigli nazionali degli ordini interessati.

Qualora analoga questione debba essere risolta ai fini della definizione di una controversia, il giudice, sentiti gli ordini interessati, decide in via pregiudiziale con sentenza e impartisce separatamente i provvedimenti per la prosecuzione della causa; la decisione è impugnabile con ricorso immediato per cassazione. La disposizione rinvia all’applicazione dei commi 3 e 4 dell’articolo 64 del D.lgs. n. 165 del 2001, che delinea una disciplina analoga per la decisione in via pregiudiziale con sentenza sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi.

In virtù di tale rinvio, il ricorso in cassazione va proposto entro 60 giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza. Il deposito nella cancelleria del giudice di una copia del ricorso per cassazione, dopo la notificazione alle altre parti, determina la sospensione del processo. In caso di accoglimento del ricorso, la Cassazione rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti.

Procedure di contenzioso dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’UE)

Tariffe professionali degli avvocati

Il 19 dicembre 2008 la Commissione ha inoltrato un ricorso (causa C-365/08) contro l’Italia alla Corte di Giustizia al fine di constatare che la fissazione di tariffe massime obbligatorie per le attività giudiziali e stragiudizialidegli avvocati costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento di cui all'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ex articolo 43 del Trattato CE) e alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’articolo 56 del TFUE (ex articolo 49 del TCE)[6].

Nel ricorso la Commissione osserva che l’esistenza di tariffe massime obbligatorieda applicare indipendentemente dalla qualità dell'opera svolta, dal lavoro necessario a svolgerlo e dai costi sostenuti, rappresenta un ulteriore freno alla libera circolazione dei servizi legali nel mercato interno e può rendere il mercato italiano dei servizi legali non attraente per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri. Inoltre, l’obbligo di rispettare tariffe massime in un rapporto tra avvocato e cliente costituisce un limite alla libertà contrattuale di questi ultimi.

Il Governo italiano ha addotto il fatto che non vi è, nel nostro ordinamento, un principio che vieti di superare le tariffe massime applicabili alle attività degli avvocati. Inoltre, la prescrizione di limiti tariffari massimi mirerebbe a perseguire obiettivi di interesse generale quali l’accesso alla giustizia, la tutela dei destinatari dei servizi, nonché la buona amministrazione della giustizia.

Ad avviso della Commissione, invece, le disposizioni oggetto di rilievi non appaiono né idonee al raggiungimento degli obiettivi di interesse generale indicati dalle autorità italiane né proporzionate visto che esistono altre misure meno restrittive nei confronti degli avvocati stabiliti all'estero. Infine, a giudizio della Commissione le autorità italiane non avrebbero spiegato se e quali misure alternative, e di carattere meno restrittivo nei confronti degli avvocati stabiliti in altri Stati membri, siano state esaminate, né hanno illustrato le ragioni per cui gli interessi generali perseguiti non sarebbero già tutelati dalle disposizioni che regolano la professione forense negli altri Stati Membri dell’UE.

Dopo aver esaminato la causa sottoposta alla Corte, il 6 luglio 2010 l’avvocato generale ha presentato le sue conclusioni - in vista dell’eventuale pronuncia definitiva della Corte - nelle quali sottolinea, in particolare, che l’esame della normativa italiana relativa al compenso degli avvocati non evidenzierebbe l’esistenza di un divieto a carico degli stessi avvocati di pattuire con i clienti tariffe più elevate di quelle massime. Inoltre, la Commissione non avrebbe dimostrato che, nonostante la mancanza del suddetto divieto, i giudici nazionali interpretano la normativa in questione nel senso che le tariffe massime costituiscono i limiti della libertà contrattuale degli avvocati e dei loro clienti.

Sulla base delle suddette valutazioni l’avvocato generale conclude che il ricorso della Commissione contro l’Italia dovrebbe essere dichiarato infondato.


Capo VI (artt. 20 e 21) – Sostegno economico in favore dei professionisti

L’art. 20 estende anche ai professionisti e alle associazioni e società professionali la disciplina dei finanziamenti, sussidi e incentivi previsti dalla vigente normativa a favore delle piccole e medie imprese.

 

La relazione al provvedimento motiva, in particolare, tale intervento con l’argomento della concorrenza che nel settore dei servizi professionali, i liberi professionisti subiscono anche da “imprese, in materia di progettazione e ingegneria, di revisione contabile, di consulenza commerciale e tributaria”. Imprese la cui presenza sul mercato “è favorita e sostenuta da un sistema di finanziamento e di incentivi cui i professionisti non possono accedere, almeno a parità d condizioni”.

La definizione comunitaria di microimprese[7], piccole e medie imprese è contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE, che ha sostituito, a decorrere dal 1º gennaio 2005, la Raccomandazione 96/280/CE, estendendo il concetto d’impresa ad ogni entità che svolga attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, incluse dunque le entità che svolgono attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che svolgono con regolarità un’attività economica.

Sempre a livello comunitario, l’iniziativa intitolata “Small Business Act” (SBA)[8] per l’Europa mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese europee, affrontando tutti i temi della vita delle piccole e medie imprese (PMI), dall’accesso al credito alla semplificazione amministrativa, dagli interventi fiscali all’innovazione tecnologica, dall’efficienza energetica all’ambiente, dal sostegno agli investimenti alla formazione, fino alla facilitazione della partecipazione delle PMI agli appalti pubblici. Il Governo italiano ha dato attuazione a tale comunicazione con la direttiva del Presidente del Consiglio del 4 maggio 2010.

Si segnala inoltre che la Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2009 sullo "Small Business Act" per l'Europa chiede, fra l’altro, al punto 7 che “vengano riconosciute le caratteristiche specifiche dei liberi professionisti e la necessità di trattarli allo stesso modo delle altre PMI, fatta eccezione per i casi in cui ciò è in contrasto con la vigente normativa che disciplina tali professioni”.

A livello nazionale, la normativa di sostegno delle piccole e medie imprese si sviluppa su diverse direttrici, fra cui le misure volte a favorire l’accesso al credito, la promozione della presenza delle imprese nazionali all’estero, gli incentivi agli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione, gli sgravi fiscali volte a favorire gli investimenti e la capitalizzazione delle imprese (nella forma della detassazione degli investimenti e delle agevolazioni fiscali sulla capitalizzazione delle società).

In particolare, per quanto riguarda le recenti misure volte a favorire l’accesso al credito per le PMI si segnala il potenziamento finanziario dei Confidi (organismi finalizzati ad agevolare l'accesso al credito alle PMI)[9], attraverso il rifinanziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (costituito per fornire una garanzia ai crediti concessi alle PMI dalle banche e dagli intermediari finanziari)e la sua estensione alle misure che consentano alle imprese la rinegoziazione dei debiti in essere con il sistema bancario e l’assolvimento degli obblighi tributari e contributivi.

Nel campo della ricerca e dell’innovazione tra i provvedimenti a favore delle piccole e medie imprese si segnala l’istituzione di un Fondo nazionale per l’innovazione.

In merito all’internazionalizzazione delle PMI, è stato introdotto il sistema “export banca”, un nuovo sistema integrato di finanziamento e assicurazione volto a promuovere l’internazionalizzazione delle imprese attraverso l’attivazione delle risorse finanziarie gestite dalla Cassa depositi e prestiti (CDP) S.p.A.[10]

Inoltre, per favorire lo start-up di progetti di internazionalizzazione, è stato istituito un Fondo rotativo i cui interventi del Fondo sono stati destinati ad investimenti di carattere transitorio, e non di controllo, nel capitale di rischio di società costituite appositamente da parte di piccole e medie imprese e di loro raggruppamenti, finalizzati alla realizzazione di progetti di internazionalizzazione.

 

A tal fine si stabilisce che le pubbliche amministrazioni, in sede di programmazione delle azioni di sostegno alle attività economiche e in occasione della determinazione dei criteri ai fini dell’attribuzione di vantaggi economici (art. 12, L. 241/1990):

§      a parità di spesa, riservino specifiche linee di intervento e quote delle risorse disponibili a progetti presentati da professionisti di associazione e società professionali;

§      estendano ai professionisti criteri che permettano a questi ultimi di concorrere alle procedure di sostegno economico a parità di condizioni con altre categorie.

 

L’art. 12 della legge n. 241 del 1990 prevede che la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi (comma 1); l'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1 (comma 2).

 

A fini di chiarezza, è demandato ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la ricognizione dei benefici economici previsti dalla normativa vigente oggetto di possibile estensione ai professionisti. Analoga ricognizione, per gli atti di propria competenza, dovrà essere effettuata dalle Regioni.

 

L'articolo 21 prevede infine, con le stesse finalità, un ruolo di sostegno degli ordini professionali. I consigli territoriali degli ordini, infatti, potranno agevolare la concessione di crediti ai professionisti stipulando accordi con le banche a condizioni di favore ovvero favorire la cessione di crediti professionali alle banche stesse; l’inadempimento colpevole delle obbligazioni economiche contratte dai professionisti costituisce illecito disciplinare.

Lo stesso articolo 21 autorizza gli ordini a istituire società, anche a totale partecipazione pubblica, e ad assumere ogni altra iniziativa volta al sostegno economico dei professionisti iscritti, alla promozione dell'accesso dei più giovani alla professione ed a favorire ogni possibile sinergia e collaborazione tra professionisti.

 

 


Riferimenti normativi

 


Codice civile
(artt. 1260-1267, 1419, 2112, 2119 e 2229)

 

Libro IV
Delle obbligazioni

Titolo I
Delle obbligazioni in generale

(omissis)

Capo V
Della cessione dei crediti (1)

 

Art. 1260.

Cedibilità dei crediti.

Il creditore può trasferire (2) a titolo oneroso [c.c. 1266] o gratuito il suo credito [c.c. 1198, 1889, 2559], anche senza il consenso del debitore [c.c. 1264, 1375, 1379, 2015], purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge [c.c. 323, 378, 447, 1261, 1471].

 

Le parti possono escludere la cedibilità del credito [c.c. 1823]; ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione.

 

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(1) Vedi, la L. 21 febbraio 1991, n. 52, sulla disciplina della cessione dei crediti di impresa.

(2) Vedi l'art. 15, L. camb. (R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669) e gli artt. 17 e 27, L. ass. (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736).

 

 

 

Art. 1261.

Divieti di cessione.

I magistrati dell'ordine giudiziario [c.c. 1471], i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giudiziari, gli avvocati, i procuratori (1), i patrocinatori e i notai non possono, neppure per interposta persona, rendersi cessionari [c.c. 1260] di diritti sui quali è sorta contestazione davanti l'autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, sotto pena di nullità e dei danni.

 

La disposizione del comma precedente non si applica alle cessioni di azioni ereditarie tra coeredi, né a quelle fatte in pagamento di debiti o per difesa di beni posseduti dal cessionario [c.c. 378].

 

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(1) La L. 24 febbraio 1997, n. 27, ha soppresso l'albo dei procuratori legali ed ha disposto la sostituzione del termine "procuratore legale" con il termine "avvocato".

 

 

Art. 1262.

Documenti probatori del credito.

Il cedente deve consegnare al cessionario i documenti probatori del credito che sono in suo possesso [c.c. 1477].

 

Se è stata ceduta solo una parte del credito, il cedente è tenuto a dare al cessionario una copia autentica [c.c. 2703] dei documenti.

 

 

Art. 1263.

Accessori del credito.

Per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi [c.c. 2745], con le garanzie personali [c.c. 1936] e reali [c.c. 2784] e con gli altri accessori [c.c. 2843] (1).

 

Il cedente non può trasferire al cessionario, senza il consenso del costituente, il possesso della cosa ricevuta in pegno [c.c. 2792]; in caso di dissenso, il cedente rimane custode del pegno.

 

Salvo patto contrario, la cessione non comprende i frutti scaduti [c.c. 821, 1531].

 

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(1) Vedi l'art. 25, L. camb. (R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669).

 

 

 

Art. 1264.

Efficacia della cessione riguardo al debitore ceduto.

La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l'ha accettata o quando gli è stata notificata [c.c. 967, 1248, 1407, 2914, n. 2].

 

Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell'avvenuta cessione [c.c. 1189, 2559] (1).

 

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(1) In deroga a quanto previsto dal presente articolo vedi l'art. 3, comma 1, D.L. 9 ottobre 2008, n. 155, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 2008, n. 190.

 

 

 

Art. 1265.

Efficacia della cessione riguardo ai terzi. (1)

Se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore [c.c. 1380], o quella che è stata prima accettata dal debitore con atto di data certa [c.c. 2704], ancorché essa sia di data posteriore [c.c. 1155, 1248, 1605, 2559].

 

La stessa norma si osserva quando il credito ha formato oggetto di costituzione di usufrutto [c.c. 978, 1000] o di pegno [c.c. 2800] (2).

 

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(1) Per la cessione dei crediti d'impresa, vedi, anche, la L. 21 febbraio 1991, n. 52.

(2) In deroga a quanto previsto dal presente articolo vedi l'art. 3, comma 1, D.L. 9 ottobre 2008, n. 155, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 2008, n. 190.

 

 

 

Art. 1266.

Obbligo di garanzia del cedente.

Quando la cessione è a titolo oneroso [c.c. 1260], il cedente è tenuto a garantire l'esistenza del credito al tempo della cessione [c.c. 1410]. La garanzia può essere esclusa per patto, ma il cedente resta sempre obbligato per il fatto proprio [c.c. 1487].

 

Se la cessione è a titolo gratuito, la garanzia è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per l'evizione [c.c. 797].

 

 

 

Art. 1267.

Garanzia della solvenza del debitore. (1)

Il cedente non risponde della solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la garanzia [c.c. 760, 1408, 1829, 1858]. In questo caso egli risponde nei limiti di quanto ha ricevuto; deve inoltre corrispondere gli interessi, rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportate per escutere il debitore, e risarcire il danno (2). Ogni patto diretto ad aggravare la responsabilità del cedente è senza effetto [c.c. 1410].

 

Quando il cedente ha garantito la solvenza del debitore, la garanzia cessa, se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell'iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore stesso [c.c. 1957].

 

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(1) Per la cessione dei crediti d'impresa, vedi, anche, l'art. 4, L. 21 febbraio 1991, n. 52.

(2) Vedi l'art. 19, L. camb. (R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669) e l'art. 21, L. ass. (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736).

 

 

Art. 1419.

Nullità parziale.

La nullità parziale [c.c. 771] di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità [c.c. 1354, 1363, 1430].

 

La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative [c.c. 1339, 1500, 1501, 1679, 1815, 1932, 1972, 2066, 2077, 2115].

 

 

 

Art. 2112.

Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda.

In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

 

Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

 

Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.

 

Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma.

 

Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento (1) (2).

 

Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (3).

 

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(1) Comma così sostituito dall'art. 32, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Lo stesso articolo 32 ha, inoltre, disposto che restano fermi i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d'azienda di cui alla normativa di recepimento delle direttive europee in materia. Il testo del presente comma in vigore prima della suddetta modifica era il seguente: «Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità.».

(2) Articolo prima modificato dall'art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428 e poi così sostituito dall'art. 1, D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, a decorrere dal 1° luglio 2001, ai sensi dell'art. 3 dello stesso decreto. Il testo in vigore fino a tale data così disponeva: «Trasferimento dell'azienda.

In caso di trasferimento dell'azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

L'alienante e l'acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

L'acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa dell'acquirente.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto dell'azienda».

(3) Comma aggiunto dall'art. 32, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, come modificato dall'art. 9, D.Lgs, 6 ottobre 2004, n. 251. Il testo in vigore prima della modifica disposta dal citato D.Lgs. n. 251 del 2004 era il seguente: «Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 1676».

 

 

 

Art. 2119.

Recesso per giusta causa. (1)

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto [c.c. 1373] prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato (2), o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria, del rapporto [c.c. 2103]. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente.

 

Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell'imprenditore [c.c. 2221] o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda [c.c. 2111] (3).

 

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(1) Vedi, in materia di licenziamento di lavoratori la L. 9 gennaio 1963, n. 7, e la L. 15 luglio 1966, n. 604.

(2) Per quanto riguarda i dirigenti amministrativi e tecnici vedi l'art. 4, L. 18 aprile 1962, n. 230, che disciplina il contratto di lavoro a tempo determinato.

(3) Vedi l'art. 194, L. fall. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) nonché l'art. 3, D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026, recante il regolamento di esecuzione della L. 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri.

 

 

 

 

 

Libro V
Del lavoro

Titolo III
Del lavoro autonomo

(omissis)

Capo II
Delle professioni intellettuali

Art. 2229.

Esercizio delle professioni intellettuali.

La legge determina le professioni intellettuali [c.c. 2068, 2956, n. 2] per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi [c.c. 2061].

 

L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati [alle associazioni professionali] (1), sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente [c.c. 2642].

 

Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali.

 

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(1) L'inciso deve ritenersi abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369. Vedi, il D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme sui consigli degli ordini e collegi e sulle commissioni interne professionali. Per quanto riguarda le singole professioni, si rinvia alla normativa specifica che la disciplina.

 


R.D. 16 marzo 1942, n. 267.
Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.
(artt. 160-166, 182-bis e 182-ter)

 

 

(1) (2) (3)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 aprile 1942, n. 81.

(2) Vedi, anche, l'art. 39 del testo unico di cui al D.P.R. 30 dicembre 2003, n. 398, l'art. 1, L. 14 maggio 2005, n. 80, il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, l'art. 1 dei due D.M. 28 maggio 2010 e l'art. 1 dei due D.M. 2 luglio 2010.

(3) Il comma 2 dell'art. 147, D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, ha disposto che tutti i riferimenti all'amministrazione controllata contenuti nel presente decreto siano soppressi.

 

 

TITOLO III

Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione (316).

Capo I

Dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo

 

Art. 160.

Presupposti per l'ammissione alla procedura (317).

L'imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:

 

a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;

 

b) l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;

 

c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;

 

d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse (318).

 

La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purchè il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di relazione (319).

 

Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza (320).

 

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(316)  Rubrica così modificata dal comma 1 dell'art. 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35.

 

(317) Rubrica così modificata dal comma 1 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

(318)  Articolo così sostituito dal comma 1 dell'art. 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35. Vedi, anche, il comma 2-bis dello stesso art. 2.

(319) Comma aggiunto dal comma 2 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

(320)  Comma aggiunto dall'art. 36, D.L. 30 dicembre 2005, n. 273.

 

 

Art. 161.

Domanda di concordato.

La domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell'anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.

 

Il debitore deve presentare con il ricorso:

a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa;

b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c) l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

 

Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo (321).

 

Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell'articolo 152 (322).

 

La domanda di concordato è comunicata al pubblico Ministero (323).

 

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(321) Comma così sostituito dal comma 3 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

(322)  Articolo così sostituito dal comma 1 dell'art. 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35. Vedi, anche, il comma 2-bis dello stesso art. 2.

(323) Comma aggiunto dal comma 3 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

 

Art. 162.

Inammissibilità della proposta.

Il Tribunale può concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti.

 

Il Tribunale, se all'esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui agli articoli 160, commi primo e secondo, e 161, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi il Tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5 dichiara il fallimento del debitore.

 

Contro la sentenza che dichiara il fallimento è proponibile reclamo a norma dell'articolo 18. Con il reclamo possono farsi valere anche motivi attinenti all'ammissibilità della proposta di concordato (324).

 

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(324) Articolo così sostituito dal comma 4 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto. Precedentemente, la Corte costituzionale con sentenza 20-27 giugno 1972, n. 110 (Gazz. Uff. 28 giugno 1972, n. 165), aveva dichiarato l'illegittimità del comma primo dell'art. 162, nella parte in cui non prevedeva che il tribunale, prima di pronunciarsi sulla domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, dovesse ordinare la comparizione in camera di consiglio del debitore per l'esercizio del diritto di difesa.

 

 

Art. 163.

Ammissione alla procedura.

Il tribunale, ove non abbia provveduto a norma dell'articolo 162, commi primo e secondo, con decreto non soggetto a reclamo, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo; ove siano previste diverse classi di creditori, il tribunale provvede analogamente previa valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi (325) (326).

Con il provvedimento di cui al primo comma, il tribunale:

1) delega un giudice alla procedura di concordato;

2) ordina la convocazione dei creditori non oltre trenta giorni dalla data del provvedimento e stabilisce il termine per la comunicazione di questo ai creditori;

3) nomina il commissario giudiziale osservate le disposizioni degli articoli 28 e 29;

4) stabilisce il termine non superiore a quindici giorni entro il quale il ricorrente deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma pari al 50 per cento delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura, ovvero la diversa minor somma, non inferiore al 20 per cento di tali spese, che sia determinata dal giudice. Su proposta del commissario giudiziale, il giudice delegato può disporre che le somme riscosse vengano investite secondo quanto previsto dall'articolo 34, primo comma (327).

Qualora non sia eseguito il deposito prescritto, il commissario giudiziale provvede a norma dell'articolo 173, primo comma (328) (329).

 

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(325) Comma così modificato dal comma 5 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

(326) La Corte costituzionale, con ordinanza 8 - 12 marzo 2010, n. 98 (Gazz. Uff. 17 marzo 2010, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 163, primo comma, in relazione all'art. 162, secondo comma, ed all'art. 160, primo comma, lettera c), nel testo modificato dal decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

(327) Numero così modificato dal comma 5 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

(328) Comma così modificato dal comma 5 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

(329)  Articolo così sostituito dal comma 1 dell'art. 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, come modificato dalla relativa legge di conversione. Vedi, anche, il comma 2-bis dello stesso art. 2.

 

 

Art. 164.

Decreti del giudice delegato.

I decreti del giudice delegato sono soggetti a reclamo a norma dell'articolo 26 (330).

 

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(330)  Articolo così sostituito dall'art. 141, D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con la decorrenza indicata nell'art. 153 dello stesso decreto.

 

 

Art. 165.

Commissario giudiziale.

Il commissario giudiziale è, per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni, pubblico ufficiale.

 

Si applicano al commissario giudiziale gli articoli 36, 37, 38 e 39.

 

 

Art. 166.

Pubblicità del decreto.

Il decreto è pubblicato, a cura del cancelliere, a norma dell'articolo 17. Il tribunale può, inoltre, disporne la pubblicazione in uno o più giornali, da esso indicati (331).

 

Se il debitore possiede beni immobili o altri beni soggetti a pubblica registrazione, si applica la disposizione dell'articolo 88, secondo comma (332).

 

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(331) Comma così modificato dal comma 6 dell’art. 12, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

(332)  Articolo così sostituito dall'art. 142, D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con la decorrenza indicata nell'art. 153 dello stesso decreto.

 

 

Art. 182-bis.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (351).

L'imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all'articolo 161, l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

 

L'accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione.

 

Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore. Si applica l'articolo 168, secondo comma.

 

Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato.

 

Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell'articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.

 

Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell'articolo 9 la documentazione di cui all'articolo 161, primo e secondo comma, e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. L'istanza di sospensione di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione (352).

 

Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l'udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell'istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell'udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell'accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma. Il decreto del precedente periodo è reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile (353).

A seguito del deposito dell'accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma (354).

 

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(351) Articolo aggiunto dal comma 1 dell'art. 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e poi così sostituito dal comma 4 dell’art. 16, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto.

(352) Comma aggiunto dal comma 2 dell'art. 48, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(353) Comma aggiunto dal comma 2 dell'art. 48, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(354) Comma aggiunto dal comma 2 dell'art. 48, D.L. 31 maggio 2010, n. 78.

 

 

Art. 182-ter.

Transazione fiscale (355).

Con il piano di cui all'articolo 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonchè dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea; con riguardo all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. Se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole (356).

 

Ai fini della proposta di accordo sui crediti di natura fiscale, copia della domanda e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il tribunale, deve essere presentata al competente concessionario del servizio nazionale della riscossione ed all'ufficio competente sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale. Il concessionario, non oltre trenta giorni dalla data della presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l'entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. L'ufficio, nello stesso termine, deve procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni ed alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l'entità del debito derivante da atti di accertamento ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non ancora consegnati al concessionario. Dopo l'emissione del decreto di cui all'articolo 163, copia dell'avviso di irregolarità e delle certificazioni devono essere trasmessi al Commissario giudiziale per gli adempimenti previsti dall'articolo 171, primo comma, e dall'articolo 172. In particolare, per i tributi amministrati dall'agenzia delle dogane, l'ufficio competente a ricevere copia della domanda con la relativa documentazione prevista al primo periodo, nonché a rilasciare la certificazione di cui al terzo periodo, si identifica con l'ufficio che ha notificato al debitore gli atti di accertamento (357).

 

Relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, l'adesione o il diniego alla proposta di concordato è approvato con atto del direttore dell'ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, ed è espresso mediante voto favorevole o contrario in sede di adunanza dei creditori, ovvero nei modi previsti dall'articolo 178, primo comma.

 

Relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, quest'ultimo provvede ad esprimere il voto in sede di adunanza dei creditori, su indicazione del direttore dell'ufficio, previo conforme parere della competente direzione regionale.

 

La chiusura della procedura di concordato ai sensi dell'articolo 181, determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma.

 

Il debitore può effettuare la proposta di cui al primo comma anche nell'ambito delle trattative che precedono la stipula dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182-bis. La proposta di transazione fiscale, unitamente con la documentazione di cui all'articolo 161, è depositata presso gli uffici indicati nel secondo comma, che procedono alla trasmissione ed alla liquidazione ivi previste. Alla proposta di transazione deve altresì essere allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che la documentazione di cui al periodo che precede rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell'impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. Nei successivi trenta giorni l'assenso alla proposta di transazione è espresso relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del direttore dell'ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, e relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del concessionario su indicazione del direttore dell'ufficio, previo conforme parere della competente direzione generale. L'assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell'accordo di ristrutturazione (358) .

 

La transazione fiscale conclusa nell'ambito dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182-bis è revocata di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie (359).

 

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(355) Articolo aggiunto dall'art. 146, D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, con la decorrenza indicata nell'art. 153 dello stesso decreto.

(356) Comma prima sostituito dalla lettera a) del comma 5 dell'art. 32, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, come modificata dalla relativa legge di conversione, e poi così modificato dalla lettera a) del comma 2 dell'art. 29, D.L. 31 maggio 2010, n. 78. Vedi, anche, il D.M. 4 agosto 2009.

(357) Comma così modificato dalla lettera b) del comma 5 dell'art. 32, D.L. 29 novembre 2008, n. 185.

(358)  Comma prima sostituito dal comma 5 dell’art. 16, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti previsti dall’art. 22 dello stesso decreto, e poi così modificato dalla lettera b) del comma 2 dell'art. 29, D.L. 31 maggio 2010, n. 78.

(359) Comma aggiunto dalla lettera c) del comma 2 dell'art. 29, D.L. 31 maggio 2010, n. 78.

 


D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito.
(art. 48-bis)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 16 ottobre 1973, n. 268, S.O. n. 2.

(2)  Le parole «esattore» ed «esattoria», ove ricorrenti nel presente decreto, sono state sostituite dalla parola «concessionario» per il disposto dell'art. 35, D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.

 

 

Art. 48-bis.

Disposizioni sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni.

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a diecimila euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo. La presente disposizione non si applica alle aziende o società per le quali sia stato disposto il sequestro o la confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero della legge 31 maggio 1965, n. 575 (166).

2. Con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 (167) (168).

2-bis. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, l'importo di cui al comma 1 può essere aumentato, in misura comunque non superiore al doppio, ovvero diminuito (169).

 

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(166) Comma così modificato prima dall'art. 19, D.L. 1° ottobre 2007, n. 159, come modificato dalla relativa legge di conversione, e poi dal comma 17 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.

(167) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 18 gennaio 2008, n. 40.

(168) Articolo aggiunto dal comma 9 dell'art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(169) Comma aggiunto dall'art. 19, D.L. 1° ottobre 2007, n. 159.


L. 23 agosto 1988, n. 400.
Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
(art. 17)

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 12 settembre 1988, n. 214, S.O.

(2)  Vedi, anche, il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303.

 

 

Art. 17.

Regolamenti.

1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare:

a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari (34);

b) l'attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale;

c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;

d) l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge;

e) [l'organizzazione del lavoro ed i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali] (35).

 

2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari (36) (37).

 

3. Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

 

4. I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di «regolamento», sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

 

4-bis. L'organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai sensi del comma 2, su proposta del Ministro competente d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro del tesoro, nel rispetto dei princìpi posti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, con i contenuti e con l'osservanza dei criteri che seguono:

a) riordino degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri ed i Sottosegretari di Stato, stabilendo che tali uffici hanno esclusive competenze di supporto dell'organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l'amministrazione;

b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante diversificazione tra strutture con funzioni finali e con funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni omogenee e secondo criteri di flessibilità eliminando le duplicazioni funzionali;

c) previsione di strumenti di verifica periodica dell'organizzazione e dei risultati;

d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche;

e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell'ambito degli uffici dirigenziali generali (38).

 

4-ter. Con regolamenti da emanare ai sensi del comma 1 del presente articolo, si provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete (39).

 

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(34)  Lettera così modificata dall'art. 11, L. 5 febbraio 1999, n. 25.

(35)  Lettera abrogata dall'art. 74, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e dall'art. 72, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

(36) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 1 dell'art. 5, L. 18 giugno 2009, n. 69.

(37) La Corte costituzionale, con sentenza 7-22 luglio 2005, n. 303 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 23, 70, 76 e 77 della Costituzione.

(38)  Comma aggiunto dall'art. 13, L. 15 marzo 1997, n. 59.

(39) Comma aggiunto dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 5, L. 18 giugno 2009, n. 69.


L. 7 agosto 1990, n. 241
Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
(art. 6, 12)

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 agosto 1990, n. 192.

 

 

Art. 6.

Compiti del responsabile del procedimento (21).

1. Il responsabile del procedimento:

a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento;

b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;

c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all'articolo 14;

d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;

e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale (22).

 

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(21)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(22)  Lettera così modificata dall'art. 4, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

 

Art. 12.

Provvedimenti attributivi di vantaggi economici (38).

1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.

 

2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.

 

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(38)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.


D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
(art. 1, 53 e 64)

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.

 

TITOLO I

Princìpi generali

 

Art. 1.

Finalità ed àmbito di applicazione.
(Art. 1 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le disposizioni del presente decreto disciplinano l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto delle autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell'articolo 97, comma primo, della Costituzione, al fine di:

a) accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell'Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;

b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;

c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quello del lavoro privato.

2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (2).

3. Le disposizioni del presente decreto costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I princìpi desumibili dall'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le provincie autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.

 

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(2) Comma così modificato dall'art. 1, L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, l'art. 9, D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, l'art. 1, D.L. 12 luglio 2004, n. 168 e l’art. 67, comma 8, l’art. 71, comma 1, l’art. 72, commi 5 e 11, D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Vedi, anche, i commi da 10 a 13 dell'art. 17, D.L. 1° luglio 2009, n. 78. Sull'applicabilità delle disposizioni di cui al presente comma vedi il comma 2-bis dell'art. 18, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 aggiunto dal comma 1 dell'art. 19, D.L. 1° luglio 2009, n. 78.

 

 

Art. 53.

Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi.

(Art. 58 del D.Lgs n. 29 del 1993, come modificato prima dall'art. 2 del decreto-legge n. 358 del 1993, convertito dalla legge n. 448 del 1993, poi dall'art. 1 del decreto-legge n. 361 del 1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995, e, infine, dall'art. 26 del D.Lgs n. 80 del 1998, nonché dall'art. 16 del D.Lgs n. 387 del 1998)

 

1. Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall'articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina (165).

 

1-bis. Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni (166).

 

2. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati (167).

 

3. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti, da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti.

 

4. Nel caso in cui i regolamenti di cui al comma 3 non siano emanati, l'attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative.

 

5. In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgono attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.

 

6. I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui all'articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi derivanti:

 

a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;

c) dalla partecipazione a convegni e seminari;

d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo;

f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione (168).

 

7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

 

8. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

 

9. Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell'articolo 6, comma 1, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni ed integrazioni. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze.

 

10. L'autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa.

 

Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione è subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.

 

11. Entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli incarichi di cui al comma 6 sono tenuti a dare comunicazione all'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell'anno precedente.

 

12. Entro il 30 giugno di ciascun anno, le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi retribuiti ai propri dipendenti sono tenute a comunicare, in via telematica o su apposito supporto magnetico, al Dipartimento della funzione pubblica l'elenco degli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi nell'anno precedente, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo previsto o presunto. L'elenco è accompagnato da una relazione nella quale sono indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o dell'autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai princìpi di buon andamento dell'amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. Nello stesso termine e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell'anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi.

 

13. Entro lo stesso termine di cui al comma 12 le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all'anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11.

 

14. Al fine della verifica dell'applicazione delle norme di cui all'articolo 1, commi 123 e 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni, le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su supporto magnetico, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d'ufficio; sono altresì tenute a comunicare semestralmente l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza, con l'indicazione della ragione dell'incarico e dell'ammontare dei compensi corrisposti. Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l’elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza (169).

 

15. Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9.

 

16. Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti, adotta le relative misure di pubblicità e trasparenza e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi (170) (171).

 

16-bis. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica può disporre verifiche del rispetto delle disposizioni del presente articolo e dell'articolo 1, commi 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica. A tale fine quest'ultimo opera d'intesa con i Servizi ispettivi di finanza pubblica del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (172).

 

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(165)  Comma prima rettificato con Comunicato 16 ottobre 2001 (Gazz. Uff. 16 ottobre 2001, n. 241) e successivamente così modificato dall'art. 3, comma 8, lettera b), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(166) Comma aggiunto dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 52, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

(167)  Vedi, anche, il comma 67 dell'art. 52, L. 28 dicembre 2001, n. 448.

(168)  Lettera aggiunta dall'art. 7-novies, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(169) Comma così modificato prima dall'art. 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 e poi dal comma 4 dell'art. 61, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(170) Comma così modificato dall'art. 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(171) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi gli articoli 1 e 8, O.P.C.M. 10 giugno 2008, n. 3682.

(172) Comma aggiunto dall’art. 47, D.L. 25 giugno 2008, n. 112 e poi così sostituito dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 52, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

 

 

Art. 64.

Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi.

(Art. 68-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 30 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 19, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

 

1. Quando per la definizione di una controversia individuale di cui all'articolo 63, è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall'ARAN ai sensi dell'articolo 40 e seguenti, il giudice, con ordinanza non impugnabile, nella quale indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni e dispone la comunicazione, a cura della cancelleria, dell'ordinanza, del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all'ARAN (193).

 

2. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, l'ARAN convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilità di un accordo sull'interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa. All'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola si applicano le disposizioni dell'articolo 49. Il testo dell'accordo è trasmesso, a cura dell'ARAN, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, in mancanza di accordo, la procedura si intende conclusa (194) (195).

 

3. Se non interviene l'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per Cassazione, proposto nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. Il deposito nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa di una copia del ricorso per cassazione, dopo la notificazione alle altre parti, determina la sospensione del processo (196).

 

4. La Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell'articolo 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti.

 

5. L'ARAN e le organizzazioni sindacali firmatarie possono intervenire nel processo anche oltre il termine previsto dall'articolo 419 del codice di procedura civile e sono legittimate, a seguito dell'intervento alla proposizione dei mezzi di impugnazione delle sentenze che decidono una questione di cui al comma 1. Possono, anche se non intervenute, presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello per cassazione. Della presentazione di memorie è dato avviso alle parti, a cura della cancelleria.

 

6. In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi. Intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d'ufficio, l'udienza per la prosecuzione del processo.

 

7. Quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione di cui al comma 1 sulla quale è già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione e il giudice non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte, si applica il disposto del comma 3.

 

8. La Corte di cassazione, nelle controversie di cui è investita ai sensi del comma 3, può condannare la parte soccombente, a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile, anche in assenza di istanza di parte.

 

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(193)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 233 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, commi 1, 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva sentenza 23 maggio-5 giugno 2003, n. 199 (Gazz. Uff. 11 giugno 2003, n. 23, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, sollevate in riferimento agli articoli 101, 102, 111, 24 e 39 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2, 3, sollevate in riferimento agli articoli 3, 24, 76, 111 della Costituzione.

(194)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 233 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, commi 1, 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva sentenza 23 maggio-5 giugno 2003, n. 199 (Gazz. Uff. 11 giugno 2003, n. 23, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, sollevate in riferimento agli articoli 101, 102, 111, 24 e 39 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2, 3, sollevate in riferimento agli articoli 3, 24, 76, 111 della Costituzione.

(195)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-22 luglio 2003, n. 268 (Gazz. Uff. 30 luglio 2003, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 64, comma 2, e 49 sollevata in riferimento agli articoli 24 e 39 della Costituzione.

(196)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 233 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, commi 1, 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva sentenza 23 maggio-5 giugno 2003, n. 199 (Gazz. Uff. 11 giugno 2003, n. 23, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, sollevate in riferimento agli articoli 101, 102, 111, 24 e 39 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2, 3, sollevate in riferimento agli articoli 3, 24, 76, 111 della Costituzione.

 


 



[1]    Si tratta dei seguenti documenti: a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa; b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione; c) l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. Il piano e la documentazione devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista iscritto al registro dei revisori contabili che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo.

 

[2]    In particolare, sulla compatibilità delle tariffe forensi italiane con la regole comunitarie sulla concorrenza, v. Corte di giustizia, sentenza 19 febbraio 2002 (causa Arduino, C-35/1999) e Corte di Giustizia, sentenza 5 dicembre 2006; in particolare, in tale ultima decisione la Corte di giustizia intervenendo sulla normativa anteriore all'entrata in vigore della legge Bersani, ha confermato l'orientamento comunitario secondo cui il "divieto italiano assoluto di derogare ai minimi tariffari stabiliti per gli avvocati costituiva una restrizione della libera prestazione di servizi". Secondo la Corte: "Gli artt. 10 CE, 81 CE e 82 CE non ostano in linea di principio all’adozione, da parte di uno Stato membro, di un provvedimento normativo che approvi, anche sulla base di un progetto elaborato da un ordine professionale, una tariffa che fissi un limite minimo per gli onorari e a cui, in linea di principio, non sia possibile derogare né per le prestazioni riservate né per quelle che possono essere svolte anche da qualsiasi altro operatore economico non vincolato da tale tariffa. Tuttavia, una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa professionale costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE. Spetterà in concreto al giudice di merito verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente agli obiettivi della tutela dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia, che possono giustificarla, e se le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi".

[3]    D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato.

[4]    La disposizione è stata introdotta dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato.

[5]     L. 30 dicembre 1991 n. 412, Disposizioni in materia di finanza pubblica.

[6]    I rilievi mossi dalla Commissione riguardano le seguenti disposizioni: il regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito in legge 22 gennaio 1934, n. 36, come successivamente modificato, che costituisce il testo di base che disciplina la professione di avvocato in Italia; l’articolo 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794; l’articolo 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31; il decreto ministeriale 24 novembre 1990, n. 392, il decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, e il decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, che hanno disciplinato successivamente gli onorari di avvocato.

[7]    A questa definizione il legislatore nazionale si è adeguato con il decreto dell’allora Ministro delle attività produttive del 18 aprile 2005.

[8]    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 25 giugno 2008 “Una corsia preferenziale per la piccola impresa” Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un “Small Business Act” per l’Europa) [COM(2008) 394 def. - Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale].

[9]     I consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi (Confidi) si configurano come organismi finalizzati ad agevolare l'accesso al credito alle piccole e medie imprese, offrendo alle banche delle garanzie che in genere coprono il 50% dell'entità del prestito erogato.

[10]    La Cassa depositi e prestiti (CDP) è società per azioni partecipata dal Ministero dell’economia e delle finanze (al 70%) e da 65 fondazioni bancarie (rimanente 30%) con competenze relative al finanziamento di amministrazioni statali e territoriali, nonché di altri enti ed organismi a rilevanza pubblica, con provvista derivante dalla raccolta del risparmio postale.