Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Detenute madri e figli minori - A.C. 2011 - Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 2011/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 335
Data: 10/05/2010
Descrittori:
DETENUTI   DONNE
FIGLI   MINORI
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Detenute madri e figli minori

A.C. 2011

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

 

n. 335

 

 

 

10 maggio 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

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File: gi0387 .doc

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo  3

§      La legge n. 40 del 2001  3

§      Dati statistici e sperimentazioni in atto  7

Il contenuto della proposta di legge  9

Riferimenti normativi

§      Codice penale (artt. 270, 270-bis, 270-quater, 270-quinquies, 280, 280-bis, 285, 289-bis, 306, 416, 416-bis, 422, 575, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quiinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 630, 644, 648-bis  21

§      Codice di procedura penale (art. 275, 285)43

§      L. 26 luglio 1975, n. 354. Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.47

§      D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.52

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

La legge n. 40 del 2001

Il codice penale e la legge n. 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario prevedono una disciplina di favore per le madri con figli minori condannate o già in espiazione di pena detentiva.

Ulteriori interventi in tale direzione sono stati introdotti dalla legge 8 marzo 2001, n. 40,Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori.

La legge n. 40 del 2001, anche in attuazione del principio di cui all'art. 31 della Costituzione[1], ha inteso perseguire l’obiettivo di assicurare al bambino un sano sviluppo psicofisico permettendo alla madre di vivere i primi anni dell’infanzia del minore al di fuori delle mura carcerarie.

Partendo dall’esperienza acquisita (l’ordinamento penitenziario prevede, infatti, che le madri possano tenere presso di sé i figli fino al compimento dei tre anni di età), il legislatore ha voluto evitare situazioni nelle quali a detenute-madri si aggiungono detenuti-bambini: si è, infatti, appurato che l’ingresso in carcere del minore non solo non fa che differire il distacco dalla madre (rendendolo semmai ancor più traumatico), ma, nella maggior parte dei casi, è di danno al suo corretto sviluppo psicofisico.

Sulla base di tale presupposti, la legge 40 ha inteso ampliare la possibilità per le madri condannate o detenute di assicurare ai figli un’assistenza in un vero ambiente familiare, estendendo, in particolare, l'ambito di operatività degli istituti del differimento dell'esecuzione pena e della detenzione domiciliare.

Un primo intervento della legge ha riguardato l'articolo 146 del codice penale, sul rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena, che, nel testo novellato, prevede il rinvio dell’esecuzione della pena - oltre che per la donna incinta - per la madre fino al compimento di un anno d’età del bambino[2]. Contestualmente sono state aumentate le ipotesi di revoca del rinvio, che ora ha luogo non solo nel caso di morte del figlio o di affidamento a persona diversa dalla madre, ma anche ove la madre abbia abbandonato il figlio o sia stata dichiarata decaduta dalla patria potestà per aver violato o trascurato i doveri ad essa inerenti.

La legge 40/2001 ha novellato anche l'articolo 147 del codice penale, prevedendo il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena restrittiva della libertà personale per la madre con un figlio di età inferiore a tre anni[3] (art. 147, comma 1, n. 3). Il differimento non può, però, essere adottato o, se adottato, è revocato in presenza degli stessi motivi di cui all'articolo 146, ultimo comma, o “se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti” (art. 147 c.p., ultimo comma).

Sia il differimento obbligatorio che quello facoltativo dell’esecuzione della pena sono di competenza del tribunale di sorveglianza[4] (art. 684 c.p.p.).

 

Quanto all’ordinamento penitenziario, la legge 40/2001 ha introdotto due nuovi istituti nella legge 354/1975: la detenzione domiciliare speciale e l’assistenza all’esterno dei figli minori.

Si ricorda che l’art. 11, comma 9, della legge 354/75 prevede che alle detenute madri sia consentito di tenere presso di sé i figli fino all'età di tre anni e che, per la loro cura e assistenza, l'Amministrazione penitenziaria debba organizzare appositi asili nido[5].

L’art. 19, commi 5, 6 e 7, del relativo Regolamento di esecuzione (D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) stabilisce, in particolare, che le camere dove sono ospitate le madri con i figli debbono rimanere aperte, permettendo lo spostamento dei bambini all’interno del reparto e della sezione, pur con il limite di non turbare l’ordinato svolgimento della vita dei medesimi. Ai minori sono assicurate attività ricreative e formative e, con il consenso della madre, possono essere accompagnati all’esterno per lo svolgimento di tali attività, anche presso asili nidi sul territorio. Al compimento dei tre anni di età, se il minore non può essere affidato a parenti o altre persone, la direzione del carcere segnala il caso, in tempo utile, agli enti di assistenza all’infanzia sul territorio ed al centro di servizio sociale; quest’ultimo dovrà garantire, in ogni caso, il mantenimento dei rapporti tra madre e bambino.

L’ordinamento penitenziario prevede, inoltre, l’istituto della detenzione domiciliare (art. 47-ter) ovvero la possibilità di scontare la reclusione nella propria abitazione o altro luogo di privata dimora o luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza. Tra gli altri, possono beneficiare della detenzione domiciliare le donne in stato di gravidanza e le madri di minori di età inferiore a dieci anni, con loro conviventi[6]; presupposti dell’applicazione del beneficio disposto dal tribunale di sorveglianza sono l’arresto o una pena inflitta fino ad un massimo di quattro anni, anche se residuo di pena maggiore (comma 1). Quando poi potrebbe essere disposta dal tribunale di sorveglianza la sospensione della pena ex art. 146 o 147 c.p., lo stesso tribunale, anche se la pena inflitta è superiore a quattro anni, può disporre la detenzione domiciliare stabilendone un termine di durata, comunque prorogabile. L’applicazione dell’istituto viene disposta dal tribunale di sorveglianza; ad esecuzione della pena iniziata, viene disposta in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza.

La detenzione domiciliare speciale è volta a permettere l’assistenza familiare ai figli di età non superiore a dieci anni da parte delle madri condannate quando non sia possibile l’applicazione della detenzione domiciliare ordinaria (art. 47-quinquies, O.P.)

Le condizioni per accedere al beneficio sono le seguenti:

§         avvenuta espiazione di almeno 1/3 della pena (15 anni in caso di ergastolo);

§         insussistenza di un reale pericolo di commissione di nuovi reati;

§         possibilità di ripristinare la convivenza con i figli.

La misura – sempre di competenza del tribunale di sorveglianza - è applicabile al padre detenuto in caso di morte della madre o di impossibilità della stessa ad assistere il figlio e non vi sia altri che il padre cui affidare il minore.

Anche le modalità attuative della detenzione domiciliare speciale, nonché le prescrizioni inerenti l’intervento del servizio sociale sono stabilite dal tribunale di sorveglianza e sono modificabili dal magistrato di sorveglianza competente; al servizio sociale sono assegnati i controlli sulla condotta delle persone in detenzione domiciliare speciale nonché gli oneri di assistenza alle stesse nel reinserimento nella vita sociale; se i periodici rapporti consegnati dallo stesso servizio sociale al magistrato rilevano una condotta incompatibile con la prosecuzione della misura, la stessa deve essere revocata.

Quando, al compimento dei dieci anni di età del bambino, sussistano i requisiti per la concessione della semilibertà, il beneficio della detenzione domiciliare speciale può essere prorogato dallo stesso tribunale; in caso contrario, può disporsi l’assistenza all’esterno dei figli minori (v. infra).

L'allontanamento ingiustificato dal domicilio per un tempo inferiore a dodici ore può provocare la proposta di revoca della misura alternativa da parte del magistrato di sorveglianza; per un’assenza superiore sussistono, invece, le condizioni per la punibilità ai sensi del reato di evasione (art. 385, comma 1, c.p.); alla condanna per tale delitto consegue ex lege la revoca della misura alternativa (art. 4, che introduce l’art. 47-sexies, O.P.).

 

Laddove non sussistano i presupposti per la detenzione domiciliare speciale, l’art. 21-bis dell’ordinamento penitenziario prevede l’assistenza all’esterno dei figli minori,che permette comunque la cura e l’assistenza extracarceraria dei figli di età non superiore ai dieci anni. La collocazione sistematica nella legge 354/75 indica l’equiparazione della misura al lavoro esterno, di cui si applicano le disposizioni compatibili, a partire dai presupposti per la concessione. La misura è quindi disposta dalla direzione dell’istituto carcerario e diviene esecutiva dopo l’approvazione da parte del magistrato di sorveglianza.

 

La legge 40/2001 (articoli 6 e 7) ha previsto, oltre a quelli indicati, ulteriori limiti di applicabilità dei due istituti testé descritti: i benefici non possono essere goduti dalla madre decaduta dalla potestà genitoriale ai sensi dell’art. 330 c.c. (se già concessa, la misura è revocata); laddove invece la decadenza sia disposta a titolo di pena accessoria, quest’ultima rimane sospesa consentendo l’applicazione delle misure di favore.

 

Per quanto, invece, concerne le madri imputate, una disciplina di favore è prevista dal codice di procedura penale

Oltre che nei confronti degli ultrasettantenni, l’art. 275 c.p.p. stabilisce il divieto per l’autorità giudiziaria di disporre la custodia cautelare in carcere (salvo “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”), nei confronti (comma 4):

-    di donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero

-    padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.


 

Dati statistici e sperimentazioni in atto

Nella tabella che segue si dà conto della presenza di detenute madri e di bambini di età inferiore ai tre anni, nonché del numero di asili nido funzionanti ne periodo 2000-2009.

 

Asili nido e detenute madri con figli di età inferiore a 3 anni conviventi*

 

Data di
rilevazione

Asili nido funzionanti

Detenute madri con figli in istituto

Bambini minori di 3 anni in istituto

31/12/2000

15

70

78

31/12/2001

18

61

63

31/12/2002

15

56

60

31/12/2003

15

53

56

31/12/2004

15

56

60

31/12/2005

15

64

64

31/12/2006

16

43

45

31/12/2007

18

68

70

30/06/2009

16

72

75

* Fonte: Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

 

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha affrontato il problema dei bambini in carcere avviando la sperimentazione di un tipo di istituto a custodia attenuata per madri (I.C.A.M). il cui modello organizzativo è analogo a quello della custodia attenuata per tossicodipendenti (D.P.R 309/90 art. 95).

 

Tale modello adotta uno strumento operativo di tipo comunitario da realizzare in sedi esterne agli istituti penitenziari, dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini. Il primo I.C.A.M è stato inaugurato a Milano nel dicembre 2006 ed è frutto di un accordo tra Ministero della Giustizia, Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano. All’istituto, che dipende dalla Direzione della casa circondariale di S. Vittore, è stato destinato uno stabile di 420 metri quadri di proprietà della Provincia di Milano. La struttura ripropone la pianta di un’appartamento interamente disposto su un piano, sul quale si aprono portineria, sala colloqui, sala polivalente/biblioteca attrezzata con tv e computer, lavanderia, giocoteca, sei camere da letto, guardaroba, sala, cucina, giardino, infermeria. L’ambiente è accogliente e arredato in maniera confortevole. Lo spazio dedicato alle attività ludiche con i bambini è stato organizzato seguendo i suggerimenti del modello degli asili nido del Comune di Milano.

Tramite gli ICAM l'amministrazione intende consentire ai bambini figli di detenute di trascorrere i loro primissimi anni in un ambiente familiare che non ricordi il carcere, riducendo così il rischio d'insorgenza  di  problemi legati allo sviluppo della sfera emotiva e relazionale.

L'istituto prevede un percorso personalizzato per ogni detenuta offrendo opportunità scolastiche, di mediazione linguistica e culturale.

Nei primi due anni di attività l'istituto a custodia attenuata ha ospitato 87 bambini.

ll Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha costituito nel novembre 2008 un gruppo di lavoro  per definire un modello operativo nella costituzione degli ICAM ed assicurare uniformità e coordinamento alle strutture. Il gruppo segue la gestione delle esperienze in atto e il concreto avvio di quelle in progettazione, ponendo in essere tutte le azioni necessarie per la realizzazione ed il consolidamento delle progettualità rivolte alla donne detenute con bambini.


Il contenuto della proposta di legge

Come precisato nella relazione illustrativa, il provvedimento in esame trae origine dalla necessità di porre rimedio ad alcune criticità emerse durante l’applicazione della legge 40/2001, a fronte in particolare di reati con un basso di grado di pericolosità sociale, ma la cui reiterata commissione ha ostacolato la possibilità per le donne madri di bambini di età inferiore a tre anni di espiare la pena al di fuori del carcere.

 

In particolare, la proposta AC 2011 prevede le seguenti principali novità:

§      l’applicazione,come regola generale, della detenzione domiciliare per le madri condannate con bambini di età inferiore a 10 anni;

§      l’ulteriore limitazione delle ipotesi in cui è possibile sottoporre a custodia cautelare in carcere le madri con prole di età inferiore a 3 anni.

§      l’istituzione di case-famiglia protette, dove le detenute-madri, in specifiche, residuali ipotesi possono scontare sia la custodia cautelare che l’esecuzione della pena detentiva.

 

Gli articoli 1 e 2 della proposta di legge intervengono in materia di custodia cautelare.

Le disposizioni introdotte sono collegate all’istituzione di case-famiglia protette, per la coabitazione di madri detenute (in custodia cautelare o in espiazione di pena) e figli minori di 10 anni (artt. 6 e 7).

L’art. 1 riformula il quarto comma dell’art. 275 c.p.p. (Criteri di scelta delle misure):

 

Art. 275

(Criteri di scelta delle misure)

 

 

NORMATIVA VIGENTE

AC 2011 (art. 1)

(Omissis)

4. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l'età di settanta anni

4. Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, riferite a delitti aggravati ai sensi dell'articolo 61, numeri 1) o 4), del codice penale, o a delitti di cui all'articolo 416-bis del medesimo codice, o a delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal citato articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo 416-bis. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputato sia persona che ha superato l'età di settanta anni

(Omissis)

 

 

 Rispetto al testo attuale, il ricorso alla custodia cautelare per le madri di prole di età non superiore a tre anni con esse conviventi (ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole), attualmente previsto in presenza di esigenze cautelari eccezionalmente rilevanti, viene ulteriormente limitato al caso in cui tali esigenze siano riferite:

-            a delitti aggravati ex art. 61, primo comma, nn. 1 o 4, c.p. (commessi per motivi abbietti o futili o con sevizie o crudeltà verso le persone);

-            a delitti di associazione mafiosa e di favoreggiamento delle relative organizzazioni o commessi avvalendosi delle condizioni di intimidazione derivanti dall’appartenenza alla mafia.

 

Il nuovo articolo 285-bis, introdotto dall’articolo 2, prevede la custodia cautelare della madre (o del padre se la madre è deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole) presso le case-famiglia protette, anziché in carcere:

-            nel caso di imputata in stato di gravidanza o con figli di età inferiore a tre anni, fuori dalle ipotesi di cui all’articolo 275, comma 4, c.p.p., in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

 

Occorre chiarire se, come sembrerebbe sulla base del tenore della disposizione, la custodia cautelare presso le case famiglia viene disposta nel caso in cui sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ma le stesse non sono riferite ai delitti sopra indicati (in tale ultimo caso, infatti, sarebbe disposta la custodia cautelare in carcere).

 

-            nel caso di madre di figli di età compresa tra 3 e 10 anni, se non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

 

I successivi articoli 3, 4 e 5 della proposta di legge – nell’ottica di assicurare al minore la necessaria assistenza materna – intervengono con modifiche ed integrazioni sulla disciplina della legge n. 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario.

 

L’articolo 3 novella la disciplina dei permessi ai detenuti prevista dall’art. 30 della legge 354.

In particolare, i primi due commi dell’art. 30 OP prevedono che - in caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente ed eccezionalmente per eventi di particolare gravità - ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare l'infermo, con le cautele previste dal regolamento. Agli imputati il permesso è concesso: durante il procedimento di primo grado, dalle medesime autorità giudiziarie, competenti a disporre il trasferimento in luoghi esterni di cura degli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado; durante il procedimento di appello dal presidente del collegio; durante il processo di cassazione, dal presidente dell'ufficio giudiziario presso il quale si è svolto il procedimento di appello.

Un nuovo comma, aggiunto dopo il secondo, amplia la casistica dei permessi stabilendo, stavolta, non la possibilità ma l’obbligo per il giudice - in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio di età non superiore a 10 anni - di concedere il permesso, con provvedimento urgente, alla detenuta o all’imputata per visitare il bambino malato per il tempo stabilito dalla stessa autorità giudiziaria. Non obbligatoria ma discrezionale, invece, la eventuale proroga decisa dal giudice ove il minore sia ricoverato in ospedale, in ragione della durata del ricovero o del decorso della malattia.

 

L’articolo 4 mira ad evitare l’interruzione della vicinanza ed assistenza materna in presenza di necessità di ricovero ospedaliero del minore (si tratta, in tal caso, di bambino di età inferiore ai tre anni che la madre detenuta tiene presso di sé presso una casa famiglia).

Può infatti accadere che, in tale ipotesi, il bambino sia necessariamente separato dalla madre, rimanendo in ospedale privo del conforto parentale; proprio perché in tali delicate situazioni si riconosce importanza fondamentale all’assistenza materna, il nuovo art. 30-quinquesdell’ordinamento penitenziario prevede che la madre, in esecuzione di pena presso una casa-famiglia protetta, debba essere autorizzata dal magistrato di sorveglianza, con provvedimento urgente (24 ore dal ricovero), ad accompagnare il figlio e a soggiornare presso la struttura ospedaliera per tutto il tempo del ricovero.

 

Si segnala che le disposizioni relative al diritto alle visite al minore infermo (art. 3) e concernenti il ricovero ospedaliero (art. 4) sono riferite esclusivamente alla madre imputata o condannata. Occorre valutare l’opportunità di estendere tali diritti anche al padre, in caso di morte della madre o di impossibilità assoluta della stessa.

Si segnala che il diritto all’assistenza ospedaliera del bambino è limitato dal nuovo art. 30-quinquies alla sola madre condannata che stia scontando la pena presso le case-famiglia protette. Sono escluse dall’ambito di applicazione della disposizione sia le madri che si trovino nella casa-famiglia in custodia cautelare (ai sensi dell’art. 2 della p.d.l.) sia quelle in carcere (sia come imputate in custodia cautelare che in esecuzione di pena). Per tali ultime trova applicazione il diritto di visita al minore infermo introdotto dall’articolo 3, che tuttavia è limitato esclusivamente al caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio.

 

L’articolo 5, interviene in materia di detenzione domiciliare speciale, attraverso la novella all’art. 47-quinquies della legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario:

 

NORMATIVA VIGENTE

AC 2011 (art. 5)

 

 

Art 47-quinquies, OP

Art 47-quinquies, OP

 

 

1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo.

1. Le condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti, e purché non sussistano le ipotesi di cui all'articolo 11-bis, devono espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli

 

1-bis. Le madri di cui al comma 1, in caso di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, possono espiarla in case di accoglienza allo scopo predisposte dagli enti locali

 

La concessione della detenzione domiciliare viene (comma 1):

§         sganciata dai limiti attuali (espiazione di parte della pena e possibilità di ripristino della convivenza col minore);

§         sottratta alla discrezionalità del giudice (tribunale di sorveglianza).

 

Quali condizioni impeditive della concessione del beneficio:

§         viene confermata la causa di esclusione del concreto pericolo di recidiva;

§         è aggiunta l’ipotesi in cui il tribunale, per la particolare gravità dei reati oggetto della condanna, deve disporre la detenzione nelle nuove case-famiglia protette di cui al nuovo art. 11-bis OP, introdotto dall’articolo 7.

Si segnala tuttavia in proposito che la detenzione presso le case-famiglia prevista dall’articolo 11-bis O.P. (introdotto dall’articolo 7) è riservata alle madri con figli di età non superiore a 3 anni; dal combinato disposto dell’articolo 7 e dell’articolo 5, si desume quindi che, con riferimento ai gravi delitti previsti dalla prima delle disposizioni richiamate, alle madri con figli di età compresa tra i tre e i dieci anni non si applicano né il beneficio della detenzione domiciliare speciale né l’istituto della detenzione presso le case-famiglia protette.

 

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 47-quinquies prevede che, in mancanza di adeguata abitazione o altra privata dimora, le madri possano scontare la pena in detenzione domiciliare presso case di accoglienza, allo scopo predisposte dagli enti locali.

Occorre valutare l’opportunità di esplicitare le modalità di realizzazione di tali case di accoglienza ed eventualmente chiarire la loro natura e le loro caratteristiche.

 

L’articolo 6, comma 2, della proposta di legge introduce nella legge 354/1975 un nuovo articolo 61-bis, sulle case-famiglia protette; tali strutture devono essere predisposte fuori dagli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che, nella dotazione delle misure di sicurezza da adottare, tengano conto principalmente delle esigenze psico-fisiche dei minori.

Le disposizioni recate dall’articolo 6 si inquadrano nella finalità generale, perseguita dalla proposta di legge, di provvedere in modo prioritario alla tutela del minore e rappresentano l’elemento centrale del provvedimento: sia in caso di custodia cautelare (articolo 2) sia di espiazione della pena (articolo 7), come sottolineato dalla relazione che accompagna il provvedimento, sono da considerare “una forma detentiva privilegiata quando sia indirettamente coinvolto un bambino”.

 

Viene rimesso ad un atto del Ministro della giustizia (da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sentito il Ministro dell’interno e d’intesa con gli enti locali interessati) il compito di individuare le strutture idonee da adibire a case-famiglia e i criteri e le modalità di individuazione del relativo personale.

Per ragioni di coordinamento, lo stesso art. 6integra - con l’indicazione delle “case-famiglia protette”- le possibili tipologie di istituti per adulti di cui all’art. 59 dell’ordinamento penitenziario.

L’articolo 7 introduce l’art. 11-bis nell’ordinamento penitenziario che prevede che la madre di prole di età non superiore a 3 anni con lei convivente debba scontare la pena detentiva esclusivamente presso le case-famiglia protette:

§      quando la condanna sia stata pronunciata per una specifica serie di reati la cui particolare gravità impedisce l’applicazione della detenzione domiciliare;

 

Si tratta di reati di particolare allarme sociale: delitti contro lo Stato in materia di terrorismo ed eversione, reati associativi e mafiosi, i più gravi reati contro la persona, reati di natura sessuale e contro il patrimonio.

 

§      se non sussiste il pericolo di recidiva.

 

L’articolo 8 della proposta di legge reca modifiche al Testo Unico sull’immigrazione (D.L.gs 286/1998).

Secondo la relazione illustrativa, l’attuale disciplina delle espulsioni di cui gli artt. 15 e 16 TU non consente alcun margine per una valutazione dell’eventuale percorso di risocializzazione compiuto dal condannato. Tale situazione appare particolarmente penalizzante nel caso dei figli delle detenute che, nati in un carcere italiano o comunque ospitati per anni in istituto, si trovano improvvisamente catapultati in Paesi a loro del tutto estranei, anche dal punto di vista linguistico e culturale. L’articolo 8 mira, pertanto, a prevedere una valutazione caso per caso in ordine all’opportunità dell’espulsione, valutazione da svolgere nel corso o al termine dell’espiazione della pena.

In linea con tali considerazioni, il comma 1 dell’articolo 8, aggiunge un nuovo articolo 16-bis nel D.Lgs 286/1998 che introduce una specifica ipotesi di revoca del decreto di espulsione: il giudice competente, qualora debba essere espulsa a titolo di misura alternativa (durante la pena) o di misura di sicurezza (al termine della pena) una straniera madre di figli di età non superiore a 10 anni ovvero padre (se la madre è deceduta o impossibilitata a dare assistenza alla prole e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre) – su ricorso di parte o in sede di convalida - può disporre la revoca del decreto di espulsione (o inibirne l’adozione) ogni qualvolta accerti checiò:

a)        corrisponda all'interesse del minore;

b)        che il minore sia inserito nel tessuto sociale italiano;

c)        che l’espulsione pregiudicherebbe lo sviluppo psicofisico del bambino.

 

Espulsione durante l’esecuzione della pena

L’art. 16, comma 2, TU prevede l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o dimisura alternativa disposta, rispettivamente, dal giudice del merito e dal magistrato di sorveglianza nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, entrati illegalmente in Italia o che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni. Condizioni impeditive dell’espulsione, oltre a quelle di cui all’art. 19 TU,[7] le condanne per specifici delitti di particolare allarme sociale o di immigrazione previsti dal TU.

 

Espulsione al termine dell’esecuzione della pena

L’art. 15 TU prevede l’espulsione dello straniero a titolo di misura di sicurezza in presenza di due condizioni: l’accertata pericolosità sociale del condannato; la condanna pronunciata per uno dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza. In quanto misura di sicurezza non può essere applicata con la sentenza di patteggiamento.

 

Va esplicitato il riferimento alla possibile revoca dell’espulsione disposta “nel corso di una misura alternativa”, che sembrerebbe riguardare le misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47 ss. O.P.

In caso di richiesta di revoca, il provvedimento di espulsione rimane sospeso fino alla decisione del giudice adìto.

 

Occorre chiarire il riferimento all’autorità giudiziaria cui spetta la decisione sul provvedimento di espulsione sospeso.

 

Specifica causa impeditiva della revoca del decreto di espulsione è la condanna per alcuno dei gravi delitti di cui all’art. 11-bis OP.

 

Il comma 2 dell’art. 8 aggiunge tra le ipotesi di divieto di espulsione previste dall’art. 19 del TU immigrazione quella relativa all’espulsione delle straniere in esecuzione di pena o in misura alternativa madri di bambini di età non superiore a 3 anni. Queste ultime potranno di conseguenza essere espulse solo per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato.

 

In considerazione del disposto del comma 2, la disciplina sulla revoca dell’espulsione introdotta dal comma 1, dovrebbe essere limitata alle madri di bambini di età compresa tra i 3 ed i 10 anni.

 

Il successivo comma 3aggiunge all’elenco dei casi di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, contenuto nell’articolo 30 del TU immigrazione, una nuova lettera d-bis. È, in tal modo previsto il rilascio del permesso di soggiorno al figlio minore della madre straniera (ovvero del padre, nei casi sopradescritti), quando la madre sia sottoposta a misura cautelare o la stessa debba espiare una pena detentiva o una misura alternativa, per potere garantire l'unità familiare. Il permesso di soggiorno è rilasciato per una durata pari a quella della misura cautelare o detentiva o alternativa.

 

Infine, il comma 4 modifica le disposizioni in favore dei minori stranieri previste dall’art. 31, comma 3 TU.

L’articolo 31, comma 3, TU prevede che il Tribunale per i minorenni può autorizzare l'ingresso o la permanenza temporanea del familiare straniero di un minore che si trova nel territorio italiano, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del TU.

Il comma 4 in esame precisa che la disposizione riguarda anche il familiare straniero in espiazione di pena detentiva o in misura alternativa.

 

Per quanto riguarda la disciplina generale sull’espulsione delle donne madri, si ricorda che l’articolo 19, comma 2, del TU immigrazione, prevede il divieto di espulsione – salvo che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato – solo per le donne in stato di gravidanza o nei 6 mesi successivi alla nascita del figlio.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 376/2000, ha esteso il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, rilevando l’esistenza di un principio di «paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all'educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi.»

Con riferimento al rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari, lo straniero che richiede il ricongiungimento con i figli minori deve dimostrare la disponibilità di un alloggio dotato dei requisiti di idoneità igienico sanitaria e di un reddito minimo annuo (art. 29 TU immigrazione).

 

L’articolo 8 prevede dunque, per le straniere detenute madri una disciplina più favorevole rispetto a quella generale, con riferimento sia al divieto di espulsione che al rilascio del permesso di soggiorno per ricongiungimento dei figli minori.

 


Riferimenti normativi

 


Codice penale
(artt.
270, 270-bis, 270-quater, 270-quinquies, 280, 280-bis, 285, 289-bis, 306, 416, 416-bis, 422, 575, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quiinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 630, 644, 648-bis

 

Art. 270.

Associazioni sovversive (1).

Chiunque nel territorio dello Stato [c.p. 4] promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l'ordinamento politico e giuridico dello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni (2).

 

Chiunque partecipa alle associazioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni.

 

Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni di cui al primo comma, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento[Cost. 18; c.p. 302, 311, 312] (3).

 

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(1) Per i casi di non punibilità di coloro che hanno commesso, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, uno o più fra i reati previsti in questo articolo, vedi l'art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 304, sull'ordinamento costituzionale (terroristi pentiti), il cui comma terzo, lettera a), esclude la non punibilità per le ipotesi di importazione, esportazione, rapina e furto di armi, munizioni od esplosivi. La decadenza da questi benefici in caso di false o reticenti dichiarazioni è regolata dall'art. 10 della stessa legge il cui art. 12 limita l'applicazione del provvedimento solo ai reati che siano stati commessi o la cui permanenza sia iniziata entro il 31 gennaio 1982, purché i comportamenti cui è condizionata la loro applicazione vengano tenuti entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge (3 giugno 1982), termine differito di ulteriori centoventi giorni, con l'art. 1, del D.L. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito nella L. 29 novembre 1982, n. 882.

(2) L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

(3) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 24 febbraio 2006, n. 85.

Vedi l'art. 210, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza; la L. 3 dicembre 1947, n. 1546 e la L. 20 giugno 1952, n. 645, sulla repressione del fascismo, nonché gli artt. 18 e 20, L. 22 maggio 1975, n. 152, e l'art. 3, L. 8 agosto 1977, n. 533, in materia di ordine pubblico. Sul divieto di costituire associazioni a carattere militare vedi, anche, il D.Lgs. 14 febbraio 1948, n. 43 e la L. 25 gennaio 1982, n. 17, in materia di associazioni segrete e scioglimento della Loggia P2.

Il testo del presente articolo, in vigore prima della sostituzione disposta dalla citata legge n. 85 del 2006, era il seguente: «Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società.

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni.

Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.».

Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 28 giugno-18 luglio 1973, n. 142 (Gazz. Uff. 25 luglio 1973, n. 191), aveva dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità, in riferimento all'art. 3 Cost.

Art. 270-bis.

Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico.

Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.

 

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

 

Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale.

 

Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego (1).

 

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(1) Il presente articolo, aggiunto dall'art. 3, D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, in L. 6 febbraio 1980, n. 15, è stato così modificato dall'art. 1, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, come modificato dalla legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge. Il testo del presente articolo in vigore dopo le modifiche introdotte dall'art. 1 del citato D.L. n. 374 del 2001 (ma prima della sua conversione in legge) era il seguente:

«Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico.

Chiunque promuove, costituisce, organizza, finanzia anche indirettamente o dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal suddetto D.L. n. 374 del 2001 era il seguente:

«Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico.

Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da quattro a otto anni».

 

Art. 270-quater.

Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale.

Chiunque, al di fuori dei casi di cui all'articolo 270-bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da sette a quindici anni (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 15, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, con L. 31 luglio 2005, n. 155. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo del presente articolo, in vigore prima della conversione in legge del citato decreto, era il seguente: «Chiunque, al di fuori dei casi di cui all'articolo 270-bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza con finalitàdi terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da sette a quindici anni».

Precedentemente il presente articolo era stato aggiunto dall'art. 1, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374. Peraltro la L. 15 dicembre 2001, n. 438, nel convertire in legge il suddetto decreto aveva modificato il citato articolo 1 il quale, nella nuova formulazione, non prevedeva più l'introduzione del presente articolo le cui disposizioni sono confluite nell'art. 270-ter c.p.

 

Art. 270-quinquies.

Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale.

Chiunque, al di fuori dei casi di cui all'articolo 270-bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull'uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 15, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, con L. 31 luglio 2005, n. 155. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo del presente articolo, in vigore prima della conversione in legge del citato decreto, era il seguente: «Chiunque, al di fuori dei casi di cui all'articolo 270-bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull'uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata.».

 

Art. 280.

Attentato per finalità terroristiche o di eversione (1)

Chiunque per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico attenta alla vita od alla incolumità di una persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.

 

Se dall'attentato alla incolumità di una persona deriva una lesione gravissima, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore ad anni dodici.

 

Se i fatti previsti nei commi precedenti sono rivolti contro persone che esercitano funzioni giudiziarie o penitenziarie ovvero di sicurezza pubblica nell'esercizio o a causa delle loro funzioni, le pene sono aumentate di un terzo.

 

Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano, nel caso di attentato alla vita, l'ergastolo e, nel caso di attentato alla incolumità, la reclusione di anni trenta.

 

Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le aggravanti di cui al secondo e al quarto comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti (2) (3).

 

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(1) L'art. 5, secondo comma, L. 29 maggio 1982, n. 304, per la difesa dell'ordinamento costituzionale, (terroristi pentiti), così dispone: «Se il colpevole di uno dei delitti previsti dagli articoli 241, 276, 280, 283, 284, 285, 286, 289 e 295 del codice penale coopera efficacemente ad impedire l'evento cui gli atti da lui commessi sono diretti soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti qualora questi costituiscano per sé un reato diverso».

La decadenza da questi benefici in caso di false o reticenti dichiarazioni è regolato dall'art. 10 della stessa legge, il cui art. 12 limita la applicazione del provvedimento solo ai reati che siano stati commessi o la cui permanenza sia iniziata entro il 31 gennaio 1982, purché i comportamenti cui è condizionata la loro applicazione vengano tenuti entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge (3 giugno 1982), termine differito di ulteriori centoventi giorni, con l'art. 1 del D.L. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito nella L. 29 novembre 1982, n. 882.

(2) Comma così sostituito dall'art. 4, L. 14 febbraio 2003, n. 34. La Corte costituzionale, con sentenza 28 giugno-3 luglio 1985, n. 194 (Gazz. Uff. 17 luglio 1985, n. 167-bis), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità del presente comma, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti previste nel secondo e quarto comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste».

(3) Articolo aggiunto dall'art. 2, D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, sulla tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica. Il presente articolo, nel testo originario (Attentato contro il Capo del Governo), era stato abrogato dall'art. 3, D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288.

 

Art. 280-bis.

Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque per finalità di terrorismo compie qualsiasi atto diretto a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l'uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali, è punito con la reclusione da due a cinque anni.

 

Ai fini del presente articolo, per dispositivi esplosivi o comunque micidiali si intendono le armi e le materie ad esse assimilate indicate nell'articolo 585 e idonee a causare importanti danni materiali.

 

Se il fatto è diretto contro la sede della Presidenza della Repubblica, delle Assemblee legislative, della Corte costituzionale, di organi del Governo o comunque di organi previsti dalla Costituzione o da leggi costituzionali, la pena è aumentata fino alla metà.

 

Se dal fatto deriva pericolo per l'incolumità pubblica ovvero un grave danno per l'economia nazionale, si applica la reclusione da cinque a dieci anni.

 

Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo e al quarto comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 3, L. 14 febbraio 2003, n. 34. Nei procedimenti per i delitti previsti dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'art. 13, D.L.13 maggio 1991, n. 152, ai sensi di quanto disposto dall'art. 3, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, come modificato dall'art. 6 della citata legge n. 34 del 2003. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

Art. 285.

Devastazione, saccheggio e strage. (1)

Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato [c.p. 4] o in una parte di esso è punito con la morte [c.p. 7, n. 1, 29, 32, 302, 311, 312, 364; c.p.p. 275] (2).

 

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(1) Vedi l'art. 2, secondo comma, L. 18 febbraio 1987, n. 34, sulla dissociazione dal terrorismo. L'art. 5, secondo comma, L. 29 maggio 1982, n. 304, sull'ordinamento costituzionale (terroristi pentiti), così dispone: «Se il colpevole di uno dei delitti previsti dagli articoli 241, 276, 280, 283, 284, 285, 286, 289 e 295 del codice penale coopera efficacemente ad impedire l'evento cui gli atti da lui commessi sono diretti soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti qualora questi costituiscano per sé un reato diverso».

La decadenza da questi benefici in caso di false o reticenti dichiarazioni è regolato dall'art. 10 della stessa legge n. 304 del 1982, il cui art. 12 limita la applicazione del provvedimento solo ai reati che siano stati commessi o la cui permanenza sia iniziata entro il 31 gennaio 1982, purché i comportamenti cui è condizionata la loro applicazione vengano tenuti entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge (3 giugno 1982), termine differito di ulteriori centoventi giorni, con l'art. 1 del D.L. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito nella L. 29 novembre 1982, n. 882. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge. Vedi, anche, l'art. 39, L. 3 agosto 2007, n. 124, sulla disciplina del segreto di Stato.

(2) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall'art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, che ad essa ha sostituito la pena all'ergastolo. Vedi gli artt. 21 e 29, L. 18 aprile 1975, n. 110, sul controllo di armi, munizioni ed esplosivi, e gli artt. 18 e 20, L. 22 maggio 1975, n. 152, sulla tutela dell'ordine pubblico. L'art. 1, L. 28 settembre 1998, n. 336 (Gazz. Uff. 30 settembre 1998, n. 228) ha disposto che, nei procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore, aventi ad oggetto i reati di cui agli articoli 285 e 422 del codice penale, commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del codice di procedura penale, approvato con D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, il termine di durata massima delle indagini preliminari è di tre anni ove ricorra l'ipotesi di cui alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 407 del codice di procedura penale. Il termine di durata delle indagini preliminari per le suddette ipotesi di reato è stato poi aumentato: a quattro anni dall'art. 1, D.L. 27 settembre 1999, n. 330 (Gazz. Uff. 27 settembre 1999, n. 227) convertito in legge dall'art. 1, L. 23 novembre 1999, n. 438 (Gazz. Uff. 26 novembre 1999, n. 278); a cinque anni dall'art. 9, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4 e a sei anni dall'art. 13, D.L. 25 ottobre 2002, n. 236, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 27 dicembre 2002, n. 284.

 

Art. 289-bis.

Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione. (1)

Chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico sequestra una persona è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.

Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta.

Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell'ergastolo.

Il concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà è punito con la reclusione da due a otto anni; se il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da otto a diciotto anni (2).

Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell'ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell'ipotesi prevista dal terzo comma (3).

 

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(1) Per le attenuanti, vedi gli artt. 2 e 3, L. 29 maggio 1982, n. 304, sull'ordinamento costituzionale.

(2) Vedi l'art. 4, D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito con modificazioni in L. 6 febbraio 1980, n. 15, sulla tutela della sicurezza pubblica (corrispondendo alla espressione «eversione dell'ordine democratico» quella di «eversione dell'ordine costituzionale», ai sensi dell'art. 11 della L. 29 maggio 1982, n. 304).

(3) Articolo aggiunto dall'art. 2, D.L. 21 marzo 1978, n. 59, sulla prevenzione e repressione di reati gravi. L'art. 10 dello stesso provvedimento, così dispone: «Nei procedimenti per il delitto previsto dall'articolo 289-bis del codice penale si applicano le disposizioni processuali vigenti per il delitto previsto dall'articolo 630 del codice penale». L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

 

Art. 306.

Banda armata: formazione e partecipazione.

Quando, per commettere uno dei delitti indicati nell'articolo 302, si forma una banda armata, coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano, soggiacciono, per ciò solo [c.p. 115], alla pena della reclusione da cinque a quindici anni [c.p. 7, n. 1, 29, 32; c.p.p. 275].

Per il solo fatto di partecipare alla banda armata, la pena è della reclusione da tre a nove anni.

I capi o i sovventori della banda armata soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori [c.p. 653] (1).

 

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(1) L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

 

 

 

Art. 416.

Associazione per delinquere (1)

Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti [c.p. 576, n. 4], coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l'associazione [c.p. 28, 29, 32, 270, 305, 306] sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni (2).

Per il solo fatto di partecipare all'associazione [c.p. 115], la pena è della reclusione da uno a cinque anni [c.p. 29, 32] (3).

I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

Se gli associati scorrono in armi [c.p. 585] le campagne o le pubbliche vie [c.p. 70, n. 1], si applica la reclusione da cinque a quindici anni.

La pena è aumentata [c.p. 63, 64] se il numero degli associati è di dieci o più [c.p. 418] (4).

Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, nonchè all’articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma [c.p. 600-sexies] (5).

 

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(1) Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356, l'art. 10, L. 16 marzo 2006, n. 146 e l'art. 24-ter, D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, aggiunto dal comma 29 dell'art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.

(2) Vedi l'art. 71, sesto comma, nonché l'art. 71-bis, L. 22 dicembre 1975, n. 685, in materia di stupefacenti. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.).

(3) Vedi l'art. 71, sesto comma, nonché l'art. 71-bis, L. 22 dicembre 1975, n. 685, in materia di stupefacenti. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.).

(4) Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore.

(5) Comma aggiunto dall'art. 4, L. 11 agosto 2003, n. 228 e poi così modificato dal comma 5 dell’art. 1, L. 15 luglio 2009, n. 94. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo del presente comma, in vigore prima delle modifiche disposte dalla citata legge n. 94/2009, era il seguente: «Se l'associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma.».

 

Art. 416-bis.

Associazioni di tipo mafioso anche straniere. (1)

Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da sette a dodici anni (2).

 

Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da nove a quattordici anni (3).

 

L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali (4).

 

Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da nove a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dodici a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma (5).

 

L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito (6).

 

Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.

 

Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego. [Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all'ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare] (7).

 

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla 'ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso (8) (9).

 

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(1) Rubrica così sostituita dal numero 5) della lettera b-bis) del comma 1 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). L'art. 7, primo comma, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni in L. 12 luglio 1991, n. 203, in tema di lotta alla criminalità organizzata, così dispone: «1. Per i delitti punibili con la pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà». Vedi, anche, l'art. 39, L. 3 agosto 2007, n. 124, sulla disciplina del segreto di Stato.

Il testo della rubrica in vigore prima della suddetta sostituzione era il seguente: «Associazione di tipo mafioso».

(2) Comma così modificato dall'art. 1, L. 5 dicembre 2005, n. 251 e poi dal numero 1) della lettera b-bis) del comma 1 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125.

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal citato D.L. n. 92 del 2008 era il seguente: « Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dalla suddetta L. n. 251 del 2005 era il seguente:

«Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni.».

(3) Comma così modificato prima dall'art. 1, L. 5 dicembre 2005, n. 251 e poi dal numero 2) della lettera b-bis) del comma 1 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125.

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal citato D.L. n. 92 del 2008 era il seguente:

«Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da sette a dodici anni.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dalla suddetta L. n. 251 del 2005 era il seguente: «Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro a nove anni.».

(4) Comma così modificato dall'art. 11-bis, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

(5) Comma così modificato prima dall'art. 1, L. 5 dicembre 2005, n. 251 e poi dal numero 3) della lettera b-bis) del comma 1 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125.

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal citato D.L. n. 92 del 2008 era il seguente: «Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da sette a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dieci a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dalla suddetta L. n. 251 del 2005 era il seguente: «Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da quattro a dieci anni nei casi previsti dal primo comma e da cinque a quindici anni nei casi previsti dal secondo comma.».

(6) I condannati per delitto previsto in questo articolo sono esclusi dal beneficio della liberazione condizionale (art. 2, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203, in tema di lotta alla criminalità organizzata). Vedi, anche, l'art. 4-bis, L. 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure limitative della libertà.

(7) Parte soppressa dall'art. 36, comma 2, L. 19 marzo 1990, n. 55, per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di pericolosità sociale, che ha inoltre disposto che «restano tuttavia ferme le decadenze di diritto ivi previste conseguenti a sentenze divenute irrevocabili anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge».

(8) Comma così modificato prima dal numero 4) della lettera b-bis) del comma 1 dell’art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125 e poi dal comma 2 dell’art. 6, D.L. 4 febbraio 2010, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 marzo 2010, n. 50. Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal citato D.L. n. 4 del 2010 era il seguente: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.».

Il testo in vigore prima delle modifiche disposte dal suddetto D.L. n. 92 del 2008 era il seguente: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.».

(9) Articolo aggiunto dall'art. 1, L. 13 settembre 1982, n. 646, in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.). Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356. Vedi, inoltre, l'art. 10, L. 16 marzo 2006, n. 146, l'art. 24-ter, D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, aggiunto dal comma 29 dell'art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94 e l'art. 2, D.L. 12 febbraio 2010, n. 10. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

 

 

 

TITOLO VI

Dei delitti contro l'incolumità pubblica

Capo I

Dei delitti di comune pericolo mediante violenza

 

Art. 422.

Strage. (1)

 

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con la morte (2).

 

Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l'ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni [c.p. 28, 29, 32] (3).

 

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(1) A questo reato si applicano le disposizioni dell'art. 162-bis c.p., così come introdotto dall'art. 126, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale, secondo quanto dispone l'art. 127 dello stesso provvedimento. Vedi, anche, l'art. 39, L. 3 agosto 2007, n. 124, sulla disciplina del segreto di Stato.

(2) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall'art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, che ad essa ha sostituito la pena dell'ergastolo.

(3) L'art. 1, L. 28 settembre 1998, n. 336 (Gazz. Uff. 30 settembre 1998, n. 228) ha disposto che, nei procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore, aventi ad oggetto i reati di cui agli articoli 285 e 422 del codice penale, commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del codice di procedura penale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, il termine di durata massima delle indagini preliminari è di tre anni ove ricorra l'ipotesi di cui alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 407 del codice di procedura penale. Il termine di durata massima delle indagini preliminari per le suddette ipotesi di reato è stato poi aumentato: a quattro anni dall'art. 1, D.L. 27 settembre 1999, n. 330 (Gazz. Uff. 27 settembre 1999, n. 227), convertito in legge dall'art. 1, L. 23 novembre 1999, n. 438 (Gazz. Uff. 26 novembre 1999, n. 278); a cinque anni dall'art. 9, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4 e a sei anni dall'art. 13, D.L. 25 ottobre 2002, n. 236, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 27 dicembre 2002, n. 284. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

 

 

 

TITOLO XII

Dei delitti contro la persona (1)

Capo I

Dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale

 

Art. 575.

Omicidio.

Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno [c.p. 32, 276, 295, 301, 306] (2)(3).

 

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(1) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l'art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell'art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

(2) Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore.

(3) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l'art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell'art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

 

Capo III

Dei delitti contro la libertà individuale

Sezione I

Dei delitti contro la personalità individuale

 

Art. 600.

Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù.

Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni.

 

La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.

 

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi [c.p. 600-sexies, 602-bis] (1) (2).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 1, L. 11 agosto 2003, n. 228. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356. Vedi, in merito alla riduzione in schiavitù, il R.D. 26 aprile 1928, n. 1723, di approvazione della Convenzione stipulata in Ginevra fra l'Italia ed altri Stati, il 25 settembre 1926; l'art. 4, della Convenzione resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848; l'art. 1, della Convenzione resa esecutiva con L. 20 dicembre 1957, n. 1304; la L. 13 luglio 1966, n. 653; la L. 2 gennaio 1989, n. 8. Vedi, inoltre, l'art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla citata legge n. 228 del 2003 era il seguente: «600. Riduzione in schiavitù.

Chiunque riduce una persona in schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.».

(2) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 600-bis.

Prostituzione minorile.

Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937.

 

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164 (1).

 

Nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni (2).

 

Se l'autore del fatto di cui al secondo comma è persona minore di anni diciotto si applica la pena della reclusione o della multa, ridotta da un terzo a due terzi [c.p. 600-sexies] (3) (4) (5).

 

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(1) Gli attuali secondo, terzo e quarto comma così sostituiscono l'originario secondo comma ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

Il testo del secondo comma precedentemente in vigore era il seguente: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a euro 5.164. La pena è ridotta di un terzo se colui che commette il fatto è persona minore degli anni diciotto.».

(2) Gli attuali secondo, terzo e quarto comma così sostituiscono l'originario secondo comma ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

Il testo del secondo comma precedentemente in vigore era il seguente: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a euro 5.164. La pena è ridotta di un terzo se colui che commette il fatto è persona minore degli anni diciotto.».

(3) Gli attuali secondo, terzo e quarto comma così sostituiscono l'originario secondo comma ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

Il testo del secondo comma precedentemente in vigore era il seguente: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a euro 5.164. La pena è ridotta di un terzo se colui che commette il fatto è persona minore degli anni diciotto.».

(4) Articolo aggiunto dall'art. 2, L. 3 agosto 1998, n. 269. I delitti previsti in questo articolo, consumati o tentati, puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

(5) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 600-ter.

Pornografia minorile.

Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 25.822 a euro 258.228 (1).

 

Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma.

 

Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 (2).

 

Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164 (3).

 

Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità [c.p. 600-sexies] (4) (5) (6).

 

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(1) Comma così sostituito dall'art. 2, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 25.822 a euro 258.228.».

(2) Comma così modificato dall'art. 2, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 25.822 a euro 258.228.».

(3) Comma così sostituito dall'art. 2, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 1.549 a euro 5.164».

(4) Comma aggiunto dall'art. 2, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

(5) Articolo aggiunto dall'art. 3, L. 3 agosto 1998, n. 269. I delitti previsti in questo articolo, consumati o tentati, puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente comma, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

(6) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 600-quater.

Detenzione di materiale pornografico.

Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549.

 

La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità [c.p. 600-sexies] (1) (2).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 4, L. 3 agosto 1998, n. 269 e poi così sostituito dall'art. 3, L. 6 febbraio 2006, n. 38. Vedi, anche, l'art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti di cui al presente articolo, ai sensi e con i limiti previsti dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 600-ter, consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a euro 1.549.».

(2) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 600-quinquies.

Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile.

Chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937 [c.p. 600-sexies] (1) (2).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 5, L. 3 agosto 1998, n. 269. I delitti previsti in questo articolo, consumati o tentati, puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

(2) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 601.

Tratta di persone.

Chiunque commette tratta di persona che si trova nelle condizioni di cui all'articolo 600 ovvero, al fine di commettere i delitti di cui al primo comma del medesimo articolo, la induce mediante inganno o la costringe mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante promessa o dazione di somme di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno, è punito con la reclusione da otto a venti anni.

 

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i delitti di cui al presente articolo sono commessi in danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi [c.p. 600-sexies, 602-bis] (1) (2).

 

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(1) Articolo prima modificato dall'art. 9, L. 3 agosto 1998, n. 269 e poi così sostituito dall'art. 2, L. 11 agosto 2003, n. 228. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356. Vedi, in merito alla riduzione in schiavitù, il R.D. 26 aprile 1928, n. 1723, di approvazione della Convenzione stipulata in Ginevra fra l'Italia ed altri Stati, il 25 settembre 1926; l'art. 4, della Convenzione resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848; l'art. 1, della Convenzione resa esecutiva con L. 20 dicembre 1957, n. 1304; la L. 13 luglio 1966, n. 653; la L. 2 gennaio 1989, n. 8. Vedi, inoltre, l'art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla citata legge n. 228 del 2003 era il seguente: «601. Tratta e commercio di schiavi.

Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da cinque a venti anni.

Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di minori degli anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione è punito con la reclusione da sei a venti anni.».

Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 269 del 1998 era il seguente: «601. Tratta e commercio di schiavi.

Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di schiavi o di persone in condizione analoga alla schiavitù è punito con la reclusione da cinque a venti anni.».

(2) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 602.

Acquisto e alienazione di schiavi.

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo 601, acquista o aliena o cede una persona che si trova in una delle condizioni di cui all'articolo 600 è punito con la reclusione da otto a venti anni.

 

La pena è aumentata da un terzo alla metà se la persona offesa è minore degli anni diciotto ovvero se i fatti di cui al primo comma sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi [c.p. 600-sexies, 602-bis] (1) (2).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 3, L. 11 agosto 2003, n. 228. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356. Vedi, anche, l'art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «602. Alienazione e acquisto di schiavi.

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, aliena o cede una persona che si trova in stato di schiavitù o in una condizione analoga alla schiavitù o se ne impossessa o ne fa acquisto o la mantiene nello stato di schiavitù, o nella condizione predetta, è punito con la reclusione da tre a dodici anni. Vedi, in merito alla riduzione in schiavitù, il R.D. 26 aprile 1928, n. 1723, di approvazione della Convenzione stipulata in Ginevra fra l'Italia ed altri Stati, il 25 settembre 1926; l'art. 4, della Convenzione resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848; l'art. 1, della Convenzione resa esecutiva con L. 20 dicembre 1957, n. 1304; la L. 13 luglio 1966, n. 653; la L. 2 gennaio 1989, n. 8.

(2) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 609-bis.

Violenza sessuale.

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

 

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

 

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

 

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

 

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi [c.p. 602-bis, 734-bis; c.p.p. 392, 398] (1) (2).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 3, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42). L'art. 16 della stessa legge, come modificato dall'art. 15, L. 3 agosto 1998, n. 269, ha così disposto «1. L'imputato per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale è sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime». Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

(2) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 609-quater.

Atti sessuali con minorenne.

Soggiace alla pena stabilita dall'articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto:

 

1) non ha compiuto gli anni quattordici;

 

2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza (1).

 

Al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il tutore che, con l'abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni (2).

 

Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a tre anni.

 

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino a due terzi.

 

Si applica la pena di cui all'articolo 609-ter, secondo comma, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci [c.p. 602-bis, 734-bis; c.p.p. 392, 398] (3) (4).

 

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(1) Numero così sostituito dall'art. 6, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza.».

(2) Comma aggiunto dall'art. 6, L. 6 febbraio 2006, n. 38.

(3) Articolo aggiunto dall'art. 5, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42). L'art. 16 della stessa legge, come modificato dall'art. 15, L. 3 agosto 1998, n. 269, ha così disposto: «1. L'imputato per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale è sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime». Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

(4) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

 

Art. 609-quinquies.

Corruzione di minorenne.

Chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni [c.p. 602-bis, 734-bis; c.p.p. 392] (1) (2).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 6, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42) e così corretto con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 27 marzo 1996, n. 73. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

(2) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art.  609-octies.

Violenza sessuale di gruppo.

La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'articolo 609-bis.

 

Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

 

La pena è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 609-ter.

 

La pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell'articolo 112 [c.p. 602-bis, 734-bis; c.p.p. 392, 398] (1) (2).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 9, L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42). L'art. 16 della stessa legge, come modificato dall'art. 15, L. 3 agosto 1998, n. 269, come modificato dall'art. 15, L. 3 agosto 1998, n. 269, ha così disposto: «1. L'imputato per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale è sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime». Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza 13-26 luglio 2005, n. 325 (Gazz. Uff. 3 agosto 2005, n. 31 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

(2) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 630.

Sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (1)

Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni (2).

 

Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta (3).

 

Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell'ergastolo (4).

 

Al concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall'articolo 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni.

 

Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l'individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell'ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi.

 

Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell'ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell'ipotesi prevista dal terzo comma.

 

I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorché ricorrono le circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo (5) (6).

 

Art. 644.

Usura (1).

Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari [c.c. 1448, 1815], è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000 (2).

 

Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario [c.p. 649].

 

La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria (3).

 

Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.

 

Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà:

 

1) se il colpevole ha agito nell'esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare;

2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari;

3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;

4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale;

5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l'esecuzione.

 

Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni (4) (5).

 

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(1) Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

(2) Comma così modificato dall'art. 2, L. 5 dicembre 2005, n. 251.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 3.098 a euro 15.493.».

(3) Il limite, previsto dal presente comma, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso effettivo globale medio - comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall'Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d'Italia - quale risulta dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, aumentato della metà in base al disposto dell'art. 2, L. 7 marzo 1996, n. 108. Fino a tale data è punito a norma dell'art. 644, primo comma c.p., chiunque, fuori dei casi previsti dall'art. 643 c.p., si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, da soggetto in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e ai tassi praticati per operazioni similari dal sistema bancario e finanziario, risultano sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità.

Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dall'articolo 644, primo comma, del codice penale, procura a soggetto che si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto, risulta sproporzionato rispetto all'opera di mediazione, in virtù dell'art. 3, L. n. 108 del 1996 sopracitata.

(4) Articolo così sostituito dall'art. 1, L. 7 marzo 1996, n. 108. L'art. 10 della suddetta L. n. 108 del 1996, ha disposto che nel giudizio penale di cui al presente articolo possono costituirsi parte civile anche le associazioni e fondazioni riconosciute ai sensi dell'art. 15 dello stesso provvedimento.

Per quanto riguarda il trasferimento fraudolento di valori o di altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, o per quanto riguarda il possesso ingiustificato di valori oltre i limiti del proprio reddito, vedi l'art. 12-quinquies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306. Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Per la determinazione degli interessi usurari vedi, anche, il D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 2001, n. 24, che contiene l'interpretazione autentica della citata legge n. 108/1996. Vedi, inoltre, l'art. 9, L. 16 marzo 2006, n. 146. L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti previsti dal presente articolo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo dell'articolo precedente alla sostituzione disposta con legge n. 108 del 1996 - in cui il primo comma era stato modificato dall'art. 11-quinquies, comma primo, lett. a), D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356, in tema di criminalità mafiosa ed il terzo comma era stato aggiunto dall'art. 11-quinquies, comma primo, lett. b) dello stesso provvedimento - era il seguente: «Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, approfittando dello stato di bisogno di una persona, si fa da questa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra casa mobile, interessi o altri vantaggi usurari [c.c. 1448, 1815], è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni. Alla stessa pena soggiace chi, fuori dei casi di concorso nel delitto preveduto dalla disposizione precedente, procura ad una persona in stato di bisogno una somma di denaro o un'altra cosa mobile [c.p. 624], facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario [c.p. 649].

Le pene sono aumentate da un terzo alla metà se i fatti di cui ai commi precedenti sono commessi nell'esercizio di una attività professionale o di intermediazione finanziaria».

(5) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 

Art. 648-bis.

Riciclaggio (1).

Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493.

 

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.

 

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648 [c.p. 648-quater] (2) (3).

 

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(1) Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

(2) Articolo aggiunto dall'art. 3, D.L. 21 marzo 1978, n. 59, sulla prevenzione e repressione di gravi reati, e successivamente sostituito prima dall'art. 23, L. 19 marzo 1990, n. 55, sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e poi dall'art. 4, L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990. L'art. 26 della citata legge n. 55 del 1990 così dispone: «Art. 26. 1. Quando i fatti previsti dagli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale sono commessi nell'esercizio di attività bancaria, professionale o cambio-valuta ovvero di altra attività soggetta ad autorizzazione, licenza, iscrizione in appositi albi o registri o ad altro titolo abilitante, si applicano le misure disciplinari ovvero i provvedimenti di sospensione o di revoca del titolo abilitante previsti dai rispettivi ordinamenti.

1-bis. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche quando l'attività illecita integri i delitti previsti dall'articolo 270-bis del codice penale in relazione alle condotte di finanziamento del terrorismo, anche internazionale.».

Vedi, anche, l'art. 4, D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, sulla protezione dei collaboratori di giustizia e l'art. 3, D.L. 3 maggio 1991, n. 143, sul riciclaggio di denaro. Per quanto riguarda il trasferimento fraudolento di valori o di altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, o per quanto riguarda il possesso ingiustificato di valori oltre i limiti del proprio reddito, vedi l'art. 12-quinquies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, in tema di criminalità mafiosa. Vedi, anche, l'art. 25-bis dello stesso provvedimento. Vedi, inoltre, gli artt. 9 e 10, L. 16 marzo 2006, n. 146 e l'art. 25-octies, D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, aggiunto dall'art. 63, D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231.

Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). L'indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti di cui al presente articolo, ai sensi e con i limiti previsti dall'art. 1 della stessa legge.

Il testo dell'articolo precedente alla sostituzione del 1993, così disponeva: «Riciclaggio. - Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, con altro denaro, altri beni o altre utilità, ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.

Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648».

(3) Per l'aumento della pena per i delitti non colposi di cui al presente titolo commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, vedi l’art. 36, comma 1, L. 5 febbraio 1992, n. 104, come sostituito dal comma 1 dell’art. 3, L. 15 luglio 2009, n. 94.

 


Codice di procedura penale
(art. 275, 285)

 

Art. 275.

Criteri di scelta delle misure. (1)

1. Nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari [c.p.p. 274] da soddisfare nel caso concreto.

 

1-bis. Contestualmente ad una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'articolo 274, comma 1, lettere b) e c) (2).

 

2. Ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata (3).

 

2-bis. Non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena (4).

 

2-ter. Nei casi di condanna di appello le misure cautelari personali sono sempre disposte, contestualmente alla sentenza, quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1-bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall'articolo 274 e la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall'articolo 380, comma 1, e questo risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole (5).

 

3. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, e 600-quinquies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano anche in ordine ai delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, salvo che ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate (6).

 

4. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha superato l'età di settanta anni [o che si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere] (7).

 

4-bis. Non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere quando l'imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, ovvero da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere (8).

 

4-ter. Nell'ipotesi di cui al comma 4-bis, se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell'imputato o di quella degli altri detenuti, il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza. Se l'imputato è persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, gli arresti domicliari possono essere disposti presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o da altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS, ovvero presso una residenza collettiva o casa alloggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 5 giugno 1990, n. 135 (9).

 

4-quater. Il giudice può comunque disporre la custodia cautelare in carcere qualora il soggetto risulti imputato o sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380, relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione delle misure disposte ai sensi dei commi 4-bis e 4-ter. In tal caso il giudice dispone che l'imputato venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie (10).

 

4-quinquies. La custodia cautelare in carcere non può comunque essere disposta o mantenuta quando la malattia si trova in una fase così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative (11).

 

5. [Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputata è una persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero nell'ambito di una struttura autorizzata, e l'interruzione del programma può pregiudicare la disintossicazione dell'imputato. Con lo stesso provvedimento, o con altro successivo, il giudice stabilisce i controlli necessari per accertare che il tossicodipendente o l'alcooldipendente prosegua il programma di recupero. Le disposizioni del presente comma non si applicano nel caso in cui si procede per uno dei delitti previsti dal comma 3] (12).

 

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(1) Vedi gli artt. 89 e 97-103, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di approvazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

(2) Comma aggiunto dall'art. 16, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4 e poi così sostituito dall'art. 14, L. 26 marzo 2001, n. 128. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «1-bis. Nel disporre le misure diverse dalla custodia cautelare in carcere il giudice tiene conto dell'efficacia, in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, delle possibilità di controllo delle prescrizioni imposte all'imputato».

(3) Comma così modificato dall'art. 14, L. 26 marzo 2001, n. 128. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «2. Ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata».

(4) Comma aggiunto dall'art. 4, L. 8 agosto 1995, n. 332.

(5) Comma aggiunto dall'art. 14, L. 26 marzo 2001, n. 128.

(6) Comma sostituito, da ultimo, dall'art. 5, L. 8 agosto 1995, n. 332 e poi così modificato dalle lettere a) e a-bis) del comma 1 dell’art. 2, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009, n. 38. Vedi, anche, l'art. 7, quarto comma, D.L. 31 dicembre 1991, n. 419, sulla istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive. Il testo precedente alle modifiche disposte dalla citata legge di conversione era il seguente: «3. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies, 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, 609-quater e 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.». Il testo del presente comma in vigore prima delle modifiche disposte dal citato D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, era il seguente: «3. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.». Il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla suddetta legge n. 332 del 1995, come modificato dall'art. 5, D.L. 13 maggio 1991, n. 152 ed in cui le parole tra parentesi quadre erano state soppresse dall' art. 1, comma primo, D.L. 9 settembre 1991, n. 292, così disponeva: «3. La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 285, 286, 416-bis e 442 del codice penale, a quelli, consumati o tentati, di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma e 630 dello stesso codice, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni ovvero ai delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo di guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall' articolo 2, comma terzo, della L. 18 aprile 1975, n. 110, ovvero ai delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari [o che le stesse possono essere soddisfatte con altre misure]».

(7) Comma così sostituito, prima, dall'art. 1, comma 1-bis, D.L. 9 settembre 1991, n. 292, in materia di custodia cautelare e poi dall'art. 5, L. 8 agosto 1995, n. 332. Successivamente le parole tra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 1, L. 12 luglio 1999, n. 231 (Gazz. Uff. 19 luglio 1999, n. 167). Il testo del comma in vigore prima di quest'ultima modifica così disponeva: «4. Non può essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputata è una persona incinta o che allatta la propria prole o che ha oltrepassato l'età di settanta anni, ovvero una persona che si trova in condizioni di salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie in stato di detenzione».

(8) Comma aggiunto dall'art. 1, L. 12 luglio 1999, n. 231 (Gazz. Uff. 19 luglio 1999, n. 167).

(9) Comma aggiunto dall'art. 1, L. 12 luglio 1999, n. 231 (Gazz. Uff. 19 luglio 1999, n. 167).

(10) Comma aggiunto dall'art. 1, L. 12 luglio 1999, n. 231 (Gazz. Uff. 19 luglio 1999, n. 167).

(11) Comma aggiunto dall'art. 1, L. 12 luglio 1999, n. 231 (Gazz. Uff. 19 luglio 1999, n. 167).

(12) L'ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1-ter, D.L. 9 settembre 1991, n. 292, riguardante la custodia cautelare, le avocazioni dei procedimenti penali per reati di criminalità organizzata e i trasferimenti di ufficio di magistrati per la copertura di uffici giudiziari non richiesti. Successivamente, l'intero comma 5 è stato abrogato dall'art. 5, D.L. 14 maggio 1993, n. 139, concernente il trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV e di tossicodipendenti. Per i delitti previsti in questo articolo può essere adottata, dal Procuratore generale antimafia, la misura del soggiorno cautelare di cui all'art. 25-quater, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. Vedi il D.M. 25 febbraio 1990 (Gazz. Uff. 6 marzo 1990, n. 54) per l'individuazione delle comunità terapeutiche per l'affidamento di imputati tossicodipendenti.

 

 

Art. 285.

Custodia cautelare in carcere.

1. Con il provvedimento che dispone la custodia cautelare [c.p.p. 275], il giudice ordina agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria che l'imputato sia catturato e immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell'autorità giudiziaria.

 

2. Prima del trasferimento nell'istituto la persona sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazione della libertà, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione.

 

3. Per determinare la pena da eseguire, la custodia cautelare subita si computa a norma dell'articolo 657, anche quando si tratti di custodia cautelare subita all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione [c.p.p. 722] ovvero nel caso di rinnovamento del giudizio a norma dell'articolo 11 del codice penale (1).

 

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(1) Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475 e la L. 22 aprile 2005, n. 69 sul mandato d'arresto europeo.

 


 

L. 26 luglio 1975, n. 354.
Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212, S.O.

(2)  Vedi, anche, la L. 10 ottobre 1986, n. 663.

 

(omissis)

Art. 11.

Servizio sanitario.

Ogni istituto penitenziario è dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre, dell'opera di almeno uno specialista in psichiatria.

 

Ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. Per gli imputati, detti trasferimenti sono disposti, dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; prima della pronunzia della sentenza di primo grado, dal giudice istruttore, durante l'istruttoria formale; dal pubblico ministero, durante l'istruzione sommaria e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla presentazione dell'imputato in udienza; dal presidente, durante gli atti preliminari al giudizio e nel corso del giudizio; dal pretore, nei procedimenti di sua competenza; dal presidente della corte di appello, nel corso degli atti preliminari al giudizio dinanzi la corte di assise, fino alla convocazione della corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla convocazione (13).

 

L'autorità giudiziaria competente ai sensi del comma precedente può disporre, quando non vi sia pericolo di fuga, che i detenuti e gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura con proprio provvedimento, o con provvedimento del direttore dell'istituto nei casi di assoluta urgenza, non siano sottoposti a piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la tutela della loro incolumità personale (14).

 

Il detenuto o l'internato che, non essendo sottoposto a piantonamento, si allontana dal luogo di cura senza giustificato motivo è punibile a norma del primo comma dell'art. 358 del C.P. (15).

 

All'atto dell'ingresso nell'istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L'assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell'istituto, con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati.

 

Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche; deve, inoltre, controllare periodicamente l'idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti.

 

I detenuti e gli internati sospetti o riconosciuti affetti da malattie contagiose sono immediatamente isolati. Nel caso di sospetto di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del caso col rispetto delle norme concernenti l'assistenza psichiatrica e la sanità mentale.

 

In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l'assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere.

 

Alle madri è consentito di tenere presso di sé i figli fino all'età di tre anni. Per la cura e l'assistenza dei bambini sono organizzati appositi asili nido.

 

L'amministrazione penitenziaria, per l'organizzazione e per il funzionamento dei servizi sanitari, può avvalersi della collaborazione dei servizi pubblici sanitari locali, ospedalieri ed extra ospedalieri, d'intesa con la regione e secondo gli indirizzi del Ministero della sanità (16).

 

I detenuti e gli internati possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un sanitario di loro fiducia. Per gli imputati è necessaria l'autorizzazione del magistrato che procede, sino alla pronuncia della sentenza di primo grado.

 

Il medico provinciale visita almeno due volte l'anno gli istituti di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato igienico-sanitario, l'adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti.

 

Il medico provinciale riferisce sulle visite compiute e sui provvedimenti da adottare al Ministero della sanità e a quello di grazia e giustizia, informando altresì i competenti uffici regionali e il magistrato di sorveglianza.

 

 

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(13)  Comma così sostituito dall'art. 1, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).

(14)  Comma così inserito dall'art. 2, L. 17 aprile 1989, n. 134 (Gazz. Uff. 22 aprile 1989, n. 94).

(15)  Con D.M. 18 novembre 1998 (Gazz. Uff. 5 marzo 1999, n. 53), sono stati approvati gli schemi di convenzione per prestazioni assistenziali, da parte di aziende sanitarie, ai casi di AIDS nei confronti di detenuti.

(16)  Con D.M. 18 novembre 1998 (Gazz. Uff. 5 marzo 1999, n. 53), sono stati approvati gli schemi di convenzione per prestazioni assistenziali, da parte di aziende sanitarie, ai casi di AIDS nei confronti di detenuti.

(omissis)

Art. 30.

Permessi.

Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento l'infermo. Agli imputati il permesso è concesso, durante il procedimento di primo grado, dalle medesime autorità giudiziarie, competenti ai sensi del secondo comma dell'articolo 11 a disporre il trasferimento in luoghi esterni di cura degli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Durante il procedimento di appello provvede il presidente del collegio e, nel corso di quello di cassazione, il presidente dell'ufficio giudiziario presso il quale si è svolto il procedimento di appello (51).

 

Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità (52).

 

Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere del permesso senza giustificato motivo, se l'assenza si protrae per oltre tre ore e per non più di dodici, è punito in via disciplinare; se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, è punibile a norma del primo comma dell'articolo 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell'ultimo capoverso dello stesso articolo.

 

L'internato che rientra in istituto dopo tre ore dalla scadenza del permesso senza giustificato motivo è punito in via disciplinare.

 

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(51)  Comma così sostituito dall'art. 3, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15).

(52)  Comma così sostituito dall'art. 1, L. 20 luglio 1977, n. 450 (Gazz. Uff. 1° agosto 1977, n. 209).

(omissis)

Art. 30-quater.

Concessione dei permessi premio ai recidivi.

1. I permessi premio possono essere concessi ai detenuti, ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale, nei seguenti casi previsti dal comma 4 dell'articolo 30-ter:

 

a) alla lettera a) dopo l'espiazione di un terzo della pena;

 

b) alla lettera b) dopo l'espiazione della metà della pena;

 

c) alle lettere c) e d) dopo l'espiazione di due terzi della pena e, comunque, di non oltre quindici anni (65).

 

 

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(65)  Articolo aggiunto dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. La Corte costituzionale, con sentenza 21 giugno-4 luglio 2006, n. 257 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del presente articolo nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso sulla base della normativa previgente nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto.

 

Art. 47-quinquies.

Detenzione domiciliare speciale.

1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo.

 

2. Per la condannata nei cui confronti è disposta la detenzione domiciliare speciale, nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica della condannata che si trovi in detenzione domiciliare speciale.

 

3. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare speciale, fissa le modalità di attuazione, secondo quanto stabilito dall'articolo 284, comma 2, del codice di procedura penale, precisa il periodo di tempo che la persona può trascorrere all'esterno del proprio domicilio, detta le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la misura. Si applica l'articolo 284, comma 4, del codice di procedura penale.

 

4. All'atto della scarcerazione è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire nei rapporti con il servizio sociale.

 

5. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita; riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.

 

6. La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura.

 

7. La detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre (118).

 

8. Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può:

 

a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l'applicazione della semilibertà di cui all'articolo 50, commi 2, 3 e 5;

 

b) disporre l'ammissione all'assistenza all'esterno dei figli minori di cui all'articolo 21-bis, tenuto conto del comportamento dell'interessato nel corso della misura, desunto dalle relazioni redatte dal servizio sociale, ai sensi del comma 5, nonché della durata della misura e dell'entità della pena residua (119).

 

 

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(118) La Corte costituzionale, con sentenza 08 - 09 luglio 2009, n. 211 (Gazz. Uff. 15 luglio 2009, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 7, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, primo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione.

(119)  Articolo aggiunto dall'art. 3, L. 8 marzo 2001, n. 40.

(omissis)

TITOLO II

Disposizioni relative alla organizzazione penitenziaria

Capo I

Istituti penitenziari

 

Art. 59.

Istituti per adulti.

Gli istituti per adulti dipendenti dall'amministrazione penitenziaria si distinguono in: 1) istituti di custodia preventiva; 2) istituti per l'esecuzione delle pene; 3) istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza; 4) centri di osservazione.

 

Art. 61.

Istituti per l'esecuzione delle pene.

Gli istituti per l'esecuzione delle pene si distinguono in:

 

1) case di arresto, per l'esecuzione della pena dell'arresto.

 

Sezioni di case di arresto possono essere istituite presso le case di custodia mandamentali o circondariali;

 

2) case di reclusione, per l'esecuzione della pena della reclusione.

 

Sezioni di case di reclusione possono essere istituite presso le case di custodia circondariali.

 

Per esigenze particolari, e nei limiti e con le modalità previste dal regolamento, i condannati alla pena dell'arresto o della reclusione possono essere assegnati alle case di custodia preventiva; i condannati alla pena della reclusione possono essere altresì assegnati alle case di arresto.


D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

 

 

(1) (2)

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 agosto 1998, n. 191, S.O.

(2)  La Corte costituzionale, con ordinanza 24 marzo-6 aprile 2005, n. 140 (Gazz. Uff. 13 aprile 2005, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione.

(omissis)

Art. 16.

Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione.

(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 14)

 

1. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 10-bis, qualora non riccorano le cause ostacolative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico, che impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni (166).

 

2. L'espulsione di cui al comma 1 è eseguita dal questore anche se la sentenza non è irrevocabile, secondo le modalità di cui all'articolo 13, comma 4.

 

3. L'espulsione di cui al comma 1 non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguardi uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente testo unico, puniti con pena edittale superiore nel massimo a due anni.

 

4. Se lo straniero espulso a norma del comma 1 rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, la sanzione sostitutiva è revocata dal giudice competente.

 

5. Nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l'espulsione. Essa non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente testo unico (167) (168).

 

6. Competente a disporre l'espulsione di cui al comma 5 è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull'identità e sulla nazionalità dello straniero. Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide nel termine di venti giorni (169) (170).

 

7. L'esecuzione del decreto di espulsione di cui al comma 6 è sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione o della decisione del tribunale di sorveglianza e, comunque, lo stato di detenzione permane fino a quando non siano stati acquisiti i necessari documenti di viaggio. L'espulsione è eseguita dal questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (171) (172).

 

8. La pena è estinta alla scadenza del termine di dieci anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 5, sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena (173) (174).

 

9. L'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione non si applica ai casi di cui all'articolo 19 (175) (176) (177).

 

 

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(166) Comma così modificato dalla lettera b) del comma 16 e dalla lettera o) del comma 22 dell’art. 1, L. 15 luglio 2009, n. 94.

(167)  La Corte costituzionale, con ordinanza 8-15 luglio 2004, n. 226 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, 25, secondo comma, 27, 97, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(168)  La Corte costituzionale, con ordinanza 15-23 dicembre 2004, n. 422 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2004, n. 50, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 27, terzo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(169)  La Corte costituzionale, con ordinanza 8-15 luglio 2004, n. 226 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, 25, secondo comma, 27, 97, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(170)  La Corte costituzionale, con ordinanza 15-23 dicembre 2004, n. 422 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2004, n. 50, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 27, terzo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(171)  La Corte costituzionale, con ordinanza 8-15 luglio 2004, n. 226 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, 25, secondo comma, 27, 97, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(172)  La Corte costituzionale, con ordinanza 15-23 dicembre 2004, n. 422 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2004, n. 50, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 27, terzo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(173)  La Corte costituzionale, con ordinanza 8-15 luglio 2004, n. 226 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, 25, secondo comma, 27, 97, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(174)  La Corte costituzionale, con ordinanza 15-23 dicembre 2004, n. 422 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2004, n. 50, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 27, terzo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(175)  Articolo così sostituito dal comma 1 dell'art. 15, L. 30 luglio 2002, n. 189.

(176)  La Corte costituzionale, con ordinanza 8-15 luglio 2004, n. 226 (Gazz. Uff. 21 luglio 2004, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, 25, secondo comma, 27, 97, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

(177)  La Corte costituzionale, con ordinanza 15-23 dicembre 2004, n. 422 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2004, n. 50, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5 e seguenti, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 27, terzo comma, e 111, commi primo e secondo, della Costituzione.

 

Art. 19.

Divieti di espulsione e di respingimento.

(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 17)

 

1. In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.

 

2. Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti:

 

a) degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi;

b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9;

c) degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana (183) (184);

d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono (185) (186) (187) (188) (189) (190) (191) (192) .

 

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(183) Lettera così modificata dalla lettera p) del comma 22 dell’art. 1, L. 15 luglio 2009, n. 94.

(184)  La Corte costituzionale, con ordinanza 25 ottobre-8 novembre 2000, n. 481 (Gazz. Uff. 15 novembre 2000, n. 47, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera c), sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Con successiva ordinanza 5-14 aprile 2006, n. 158 (Gazz. Uff. 19 aprile 2006, n. 16, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera c), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione. La stessa Corte con ordinanza 24-31 ottobre 2007, n. 361 (Gazz. Uff. 7 novembre 2007, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, comma 1, lettera b-bis), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29, e 30 della Costituzione; ha inoltre dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera c), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29, e 30 della Costituzione. La stessa Corte, con ordinanza 14-24 aprile 2008, n. 118 (Gazz. Uff. 30 aprile 2008, n. 19, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettere c) e d), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione. La stessa Corte, con altra ordinanza 9-13 marzo 2009, n. 70 (Gazz. Uff. 15 aprile 2009, n. 15, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera c), e dell'art. 13, comma 3-bis, del medesimo decreto legislativo, sollevate in riferimento rispettivamente, agli artt. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione, e agli artt. 3, 10, 24 e 111 Cost.; ha infine dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 3 e 3-bis, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.

(185)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 luglio 2000, n. 376 (Gazz. Uff. 2 agosto 2000, n. 32 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità della presente lettera, che sostituisce la lettera d) del comma 2 dell'art. 17 della L. 6 marzo 1998, n. 40, nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.

(186)  La Corte costituzionale, con ordinanza 4-6 luglio 2001, n. 232 (Gazz. Uff. 11 luglio 2001, n. 27, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione.

(187)  La Corte costituzionale, con sentenza 5-17 luglio 2001, n. 252 (Gazz. Uff. 25 luglio 2001, n. 29, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 2 e 32 della Costituzione.

(188) La Corte costituzionale, con ordinanza 20 giugno-1° luglio 2005, n. 260 (Gazz. Uff. 6 luglio 2005, n. 27, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione.

(189) La Corte costituzionale, con ordinanza 5-14 aprile 2006, n. 161 (Gazz. Uff. 19 aprile 2006, n. 16, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, sollevata in riferimento all'art. 2 della Costituzione.

(190) La Corte costituzionale, con ordinanza 5-14 aprile 2006, n. 162 (Gazz. Uff. 19 aprile 2006, n. 16, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 29, comma 1, lettera b-bis), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione.

(191) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-11 maggio 2006, n. 192 (Gazz. Uff. 17 maggio 2006, n. 20, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera d), sollevata in riferimento agli artt. 2, 30 e 32 della Costituzione. La stessa Corte con ordinanza 6-22 dicembre 2006, n. 444 (Gazz. Uff. 27 dicembre 2006, n. 51, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera d), sollevata in riferimento agli artt. 2, 30, 31 e 32 della Costituzione. La stessa Corte con ordinanza 19-23 novembre 2007, n. 397 (Gazz. Uff. 28 novembre 2007, n. 46, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera d), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione. La stessa Corte, con ordinanza 14-24 aprile 2008, n. 118 (Gazz. Uff. 30 aprile 2008, n. 19, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettere c) e d), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione.

(192) La Corte costituzionale, con ordinanza 18-21 giugno 2007, n. 225 (Gazz. Uff. 27 giugno 2007, n. 25, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 19 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione; inoltre ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 29 e 30, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione.

 

(omissis)

Art. 30.

Permesso di soggiorno per motivi familiari.

(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 28)

 

1. Fatti salvi i casi di rilascio o di rinnovo della carta di soggiorno, il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato:

 

a) allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall'articolo 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore;

b) agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti;

c) al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare. Qualora detto cittadino sia un rifugiato si prescinde dal possesso di un valido permesso di soggiorno da parte del familiare;

d) al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia. In tal caso il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana.

 

1-bis. Il permesso di soggiorno nei casi di cui al comma 1, lettera b), è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l'effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole (235). La richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero di cui al comma 1, lettera a), è rigettata e il permesso di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l'adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all'interessato di soggiornare nel territorio dello Stato (236).

 

2. Il permesso di soggiorno per motivi familiari consente l'accesso ai servizi assistenziali, l'iscrizione a corsi di studio o di formazione professionale, l'iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo, fermi i requisiti minimi di età per lo svolgimento di attività di lavoro.

 

3. Il permesso di soggiorno per motivi familiari ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare straniero in possesso dei requisiti per il ricongiungimento ai sensi dell'articolo 29 ed è rinnovabile insieme con quest'ultimo.

 

4. [Allo straniero che effettua il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea è rilasciata una carta di soggiorno] (237).

 

5. In caso di morte del familiare in possesso dei requisiti per il ricongiungimento e in caso di separazione legale o di scioglimento del matrimonio o, per il figlio che non possa ottenere la carta di soggiorno, al compimento del diciottesimo anno di età, il permesso di soggiorno può essere convertito in permesso per lavoro subordinato, per lavoro autonomo o per studio, fermi i requisiti minimi di età per lo svolgimento di attività di lavoro (238).

 

6. Contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato può presentare ricorso al pretore del luogo in cui risiede, il quale provvede, sentito l'interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta. Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa. L'onere derivante dall'applicazione del presente comma è valutato in lire 150 milioni annui (239)a decorrere dall'anno 1998 (240).

 

 

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(235)  Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 29, L. 30 luglio 2002, n. 189.

(236) Periodo aggiunto dalla lettera g) del comma 1 dell'art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.

(237) Comma così modificato dall'art. 2, D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3 e poi abrogato dall'art. 25, D.Lgs.6 febbraio 2007, n. 30.

(238)  Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 24, L. 30 luglio 2002, n. 189.

(239) Corrispondenti a euro 77.468,53 annui.

(240) La Corte costituzionale, con ordinanza 18-21 giugno 2007, n. 225 (Gazz. Uff. 27 giugno 2007, n. 25, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 19 sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione; inoltre ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 29 e 30, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione.

 (omissis)

Art. 31.

Disposizioni a favore dei minori.

(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 29)

 

1. Il figlio minore della straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante è iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori fino al compimento del quattordicesimo anno di età e segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive, ovvero la più favorevole tra quelle dei genitori con cui convive. Fino al medesimo limite di età il minore che risulta affidato ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184, è iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dello straniero al quale è affidato e segue la condizione giuridica di quest'ultimo, se più favorevole. L'assenza occasionale e temporanea dal territorio dello Stato non esclude il requisito della convivenza e il rinnovo dell'iscrizione.

 

2. Al compimento del quattordicesimo anno di età al minore iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del genitore ovvero dello straniero affidatario è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore età, ovvero una carta di soggiorno.

 

3. Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L'autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza.

 

4. Qualora ai sensi del presente testo unico debba essere disposta l'espulsione di un minore straniero il provvedimento è adottato, su richiesta del questore, dal Tribunale per i minorenni.



[1]“(La Repubblica) protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tal scopo”.

[2]Nella precedente formulazione l’art. 146 c.p. limitava il rinvio obbligatorio al caso di donna incinta o che avesse partorito da meno di sei mesi.

[3]     L’art. 147 c.p., nella versione precedente alle modifiche, prevedeva la possibilità di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena restrittiva della libertà personale quando questa doveva “essere eseguita contro donna che ha partorito da più di sei mesi ma da meno di un anno, e non vi è modo di affidare il figlio ad altri che alla madre”.

[4]    Fa eccezione l’ipotesi di cui al n. 1 del comma 1 dell’art. 147 che in caso di presentazione di domanda di grazia, affida la competenza per il rinvio facoltativo al ministro della giustizia.

[5]    Sulla base delle statistiche fornite dal Ministero della giustizia, alla data del 30 giugno 2009, , all’interno degli istituti penitenziari italiani risultano funzionanti soltanto 16 asili nido, 72 detenute madri con figli in istituto e 75 bambini di età inferiore a tre anni.

[6]    Le altre ipotesi di detenzione domiciliare sono previste: in favore del padre convivente del minore di 10 anni, se la madre è deceduta o impossibilitata ad assistere il bambino; di persona in condizioni di salute di particolare gravità; degli ultrasessantenni, anche parzialmente inabili; dei minori di 21 anni per motivi di salute, studio, lavoro e famiglia. Indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1, in presenza di determinati presupposti (assenza dei requisiti per l’affidamento al servizio sociale ed idoneità della misura a prevenire la commissione di nuovi reati) chiunque – con esclusione dei condannati per i reati di particolare gravità di cui all’art. 4-bis O.P. – può beneficiare della detenzione domiciliare per l’espiazione della pena inferiore a due anni (anche se residuo di maggior pena) (comma 1-bis).

[7]    In nessun caso può disporsi l'espulsione verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.  Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti: a) degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi; b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9; c) degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana; d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.