Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disposizioni in materia di scioglimento del matrimonio - AA.C. 749, 1556 e 2325 (Schede di lettura e riferimenti normativi)
Riferimenti:
AC N. 749/XVI   AC N. 1556/XVI
AC N. 2325/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 260
Data: 15/12/2009
Descrittori:
CESSAZIONE DEL MATRIMONIO   MATRIMONIO
Organi della Camera: II-Giustizia

 

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni in materia di
scioglimento del matrimonio

AA.C. 749, 1556 e 2325

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

 

n. 260

 

 

 

15 dicembre 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento giustizia

( 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

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File: GI0309.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo  3

Il contenuto delle proposte di legge  7

Testo a fronte

Raffronto fra la normativa vigente e le proposte di legge  13

Riferimenti normativi

§      Codice civile (art. 191)19

§      L. 1 dicembre 1970, n. 898. Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio  20

§      Legge 6 marzo 1987, n. 74. Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio.33

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

 

I provvedimenti in esame intervengono sulla disciplina del divorzio[1], regolata dalla legge 1° dicembre 1970, n. 898, con la finalità di anticipare la possibilità di proposizione della domanda di divorzio, collegata alla separazione giudiziale o consensuale dei coniugi.

 

Le proposte AC. 749 e AC 2325 intervengono anche sull’art. 191 c.c., in materia di scioglimento della comunione legale tra i coniugi.

Il codice civile prevede lo scioglimento del matrimonio (art. 149):

§         a seguito della morte di uno dei coniugi;

§         negli altri casi previsti dalla legge.

 

Attualmente, il solo caso previsto dall’ordinamento è il divorzio disciplinato dalla legge 1° dicembre 1970, n. 898 (“Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”).

Presupposto per la pronuncia da parte del giudice dello scioglimento del matrimonio civile (o della cessazione degli effetti del matrimonio concordatario), è l’accertamento del venir meno della possibilità di comunione materiale e spirituale dei coniugi.

L’articolo 3 della legge sul divorzio - in gran parte modificato dalla novella del 1987[2] – contiene inoltre un’indicazione tassativa di cause, in presenza delle quali può essere domandato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

 

La norma distingue le cause di divorzio in due gruppi:

§         il primo comprende specifiche ipotesi di carattere penale[3] relative a delitti commessi dall’altro coniuge;

§          il secondo include fatti oggettivamente preclusivi della comunione materiale e spirituale.

Questi ultimi a loro volta si distinguono nelle seguenti ipotesi:

§         l’altro coniuge ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio ovvero si è nuovamente sposato all’estero;

§         il matrimonio non è stato consumato[4];

§         è passata in giudicato la sentenza di rettificazione di sesso di cui all’art. 4 della legge164/1982[5];

§         è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale.

 

Statisticamente, le pronunce di divorzio per delitto, per annullamento del matrimonio o divorzio ottenuto all’estero e per cambiamento di sesso rivestono scarso rilievo; tra quelle sopra enumerate, infatti, la causa di divorzio di gran lunga più frequente nel nostro Paese è quella della intervenuta separazione personale (n. 5) che, come accennato, può essere giudiziale (art. 151 c.c.) o consensuale (art. 158 c.c.).

 

La separazione giudiziale si può chiedere quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere non più tollerabile la convivenza e pregiudicare gravemente l’educazione dei figli. In sede di pronuncia il giudice può dichiarare, se richiesto ed in presenza di determinate circostanze, a quale dei due coniugi vada addebitata la separazione in conseguenza della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio.

La separazione consensuale, invece, presuppone l’accordo dei coniugi sull’interruzione della convivenza ed ha effetto solo a seguito dell’intervenuta omologa da parte del giudice. L’omologazione può essere rifiutata in presenza di disaccordo sulle modalità di affidamento e mantenimento dei figli della coppia, ritenute dal giudice contrastanti con l’interesse dei minori.

Nell’anno 2007 (ultimo dato ISTAT disponibile), su un totale di 50.669 sentenze di divorzio ben 50.237 sono quelle pronunciate per separazione (43.687 consensuali e 6.538 giudiziali) e soltanto 432 quelle per altri motivi.

 

L’art. 3 della legge n. 898 del 1970 precisa che per potersi proporre domanda di divorzio la separazione deve essersi protratta ininterrottamente da almeno tre anni[6]a far tempo dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del Tribunale nel procedimento di separazione personale anche quando il giudizio da contenzioso si sia trasformato in consensuale.

 

Il termine triennale decorre, quindi, dal giorno dell’udienza presidenziale nella quale i coniugi sono comparsi personalmente davanti al giudice della separazione. Tale comparizione personale è infatti giudicata “idonea a segnare il giorno iniziale per il computo del prescritto periodo di ininterrotta separazione tenuto conto che tale comparizione personale comporta la formale constatazione della volontà dei coniugi di cessare la convivenza” (Cass., I sez, n. 2799/1990).

 

La separazione, inoltre, deve essersi protratta “ininterrottamenteper il triennio: l’unica circostanza che può interrompere la separazione è la riconciliazione fra i coniugi, che impedisce dunque il maturare del termine di tre anni per proporre la domanda di divorzio. L’eventuale interruzione deve essere però eccepita dalla parte convenuta.

Affinché si possa ritenere intervenuta la riconciliazione, non basta poi un temporaneo ripristino della coabitazione o dei rapporti (anche sessuali) fra i coniugi, ma occorre una totale ripresa della convivenza e della comunione spirituale e materiale fra i coniugi. (v. Cass., Sez. I, sent. n. 6860/1983).

 

La procedura di divorzio varia a seconda che lo stesso sia consensuale e contenzioso.

Infatti, in presenza delle condizioni previste dalla legge, è possibile avanzare al tribunale richiesta di divorzio con ricorso individuale o, se c’è accordo con l‘altro coniuge, congiunto.

Il ricorso individuale contiene la domanda di scioglimento del matrimonio con l'esposizione dei fatti sui quali tale domanda si fonda. Come nel giudizio di separazione, a norma dell’art. 4 legge 898/1970, sono configurabili due successive fasi del procedimento di divorzio:

-  quella preliminare davanti al presidente del tribunale, nell’ambito della quale i coniugi debbono comparire personalmente per il tentativo di conciliazione; ove esso fallisca, il presidente del tribunale, sentiti i coniugi, i loro difensori nonché i figli minori, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, assume con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo;

-  quella davanti al giudice istruttore, ove la trattazione della causa è parzialmente analoga a quella del rito ordinario di cognizione (rinvio all’applicazione degli artt. 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, c.p.c. e 184 c.p.c.) e che si conclude col rinvio al collegio per la decisione finale.

Nel caso in cui il processo debba continuare per la sola fissazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva per il solo capo di domanda relativo allo scioglimento del matrimonio. L’appello nei confronti di tale decisione deve essere immediato, cosicché è assicurata con celerità la pronuncia sugli effetti personali, mentre è differita nel tempo solo la pronuncia su quelli patrimoniali.

 

L’eventuale ricorso congiunto è deciso dal tribunale in camera di consiglio con un rito più snello di quello ordinario. Ai sensi dell’art. 4, comma 16, L. 898/1970, il ricorso congiunto, deve indicare compiutamente le condizioni inerenti alla prole ed ai rapporti economici. Il tribunale deve comunque sempre verificare la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli e, in caso di valutazione negativa, anziché pronunciare la sentenza, dichiara applicabile la procedura ordinaria nominando un giudice istruttore, cui sono rimessi gli atti.

 

Il tribunale, in contraddittorio delle parti e con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, accertata la sussistenza di uno dei casi previsti dall’art. 3 della legge 898/1970, pronuncia con sentenza lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ordina all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della sentenza. Quest’ultima è sempre appellabile da ciascuna parte, nonché dal P.M., limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci (art. 5, L. 898/1970).

 

 

Il contenuto delle proposte di legge

Domanda di divorzio

Le tre proposte di legge modificano la disciplina dello scioglimento del matrimonio, con l'obiettivo principale di anticipare il momento di possibile proposizione della domanda di divorzio.

A tal fine, viene novellato l’art. 3, comma 1, n. 2, della legge 898/1970.

Tale disposizione (su cui cfr. il quadro normativo), alla lett. b), nel prevedere quale causa di divorzio la pronuncia con sentenza passata in giudicato della separazione giudiziale fra i coniugi o l’omologazione della separazione consensuale, ai fini della proposizione della domanda di divorzio, fissa  in tre anni il periodo minimo di separazione ininterrotta, decorrente dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale.

 

Come chiarito dalla giurisprudenza, l’attuale termine triennale costituisce in realtà un termine minimo, poiché al fine di iniziare il giudizio del divorzio è comunque necessario il previo passaggio in giudicato della sentenza di separazione, anche se sul solo addebito (Cass. 2725/95; Cass. 3718/1998).

 

Le tre proposte di legge, mantenendo quale dies a quo il momento della comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale, incidono sulla durata del periodo di separazione ininterrotta.

 

L’AC 2325 riduce, in via generale, tale periodo ad un anno.

 

Le proposte di legge AA.C. 1556 e 749 differenziano invece detto periodo in ragione della presenza e dell’età dei figli, nonché del tipo di separazione, fissandolo in:

§         un anno, se non vi sono figli minori, permanendo - in caso contrario - l’attuale limite deitre anni (AC 749, art. 1). Nell’attribuire particolare rilievo all’accordo dei coniugi, la proposta di legge prevede l’applicazione del termine breve alle separazioni consensuali, nonché al caso in cui il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale o siano state precisate dai coniugi conclusioni conformi.

§         sei mesi, in assenza di figli o in presenza di figli maggiori di 14 anni ovvero un anno se vi sono figli infraquattordicenni (AC 1556, art. 1). Il termine semestrale si applica anche nel caso in cui non sia stata pronunciata sentenza nel giudizio contenzioso o se questo si sia trasformato in consensuale.

 

Con riferimento all’articolo 1 dell’AC 1556, occorre coordinare la previsione dell’applicazione del termine semestrale nel caso in cui non stata pronunciata sentenza nel giudizio contenzioso con il primo periodo della lettera b) del vigente art. 3 della legge sul divorzio, non novellato dalla proposta di legge, che prevede, quale condizione per la proposizione della domanda di divorzio, il passaggio in giudicato della pronuncia della separazione giudiziale o l’omologazione della separazione consensuale.

 

Disciplina transitoria ed entrata in vigore

La sola proposta di legge AC 1556 contiene, oltre alla clausola dell’entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in G.U. (art. 3), anche una disciplina transitoria (art. 2).

In particolare, in base all’articolo 2, comma 1, i termini più brevi per la proposizione della domanda di divorzio (sei mesi o un anno, in presenza di figli infraquattordicenni) sono applicabili anche:

§         alle separazioni contenziose giunte a sentenza, anche non definitiva, alla data di entrata in vigore del provvedimento;

§         alle separazioni consensuali in corso alla stessa data, a condizione che i coniugi, prima della medesima data dichiarino di volersene avvalere.

Ai sensi dell’art. 711 c.p.c. le separazioni consensuali acquistano efficacia con l’omologazione da parte del tribunale che su relazione del presidente, provvede con procedimento camerale.

In base al comma 2, l’applicabilità dei termini brevi, sia nelle citate separazioni consensuali ancora non “omologate” che in quelle in cui è stata già dichiarata l’omologazione (prima della data di vigenza della legge in esame), è condizionata alla necessità di un ricorso congiunto dei coniugi al tribunale (per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio) che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici.

 

In particolare con riferimento alle separazioni consensuali in corso alla data di entrata in vigore della legge, occorre un coordinamento tra i commi 1 e 2; il comma 1, infatti, ai fini dell’applicazione del termine breve, sembra richiedere esclusivamente la dichiarazione dei coniugi di volersi avvalere di tali termini; il comma 2, invece, condiziona tale possibilità alla proposizione di un ricorso congiunto.

Più in generale, con riguardo alla stessa possibilità di applicare i nuovi termini a separazioni consensuali non omologate o a separazioni giudiziali rispetto alle quali non sia stata pronunciata sentenza definitiva (vedi sopra), occorre effettuare un coordinamento tra le nuove disposizioni e il primo periodo della lettera b) del vigente art. 3 della legge sul divorzio, non novellato dalla proposta di legge, che prevede, quale condizione per la proposizione della domanda di divorzio, il passaggio in giudicato della pronuncia della separazione giudiziale o l’omologazione della separazione consensuale.

 

Scioglimento della comunione legale nella separazione personale

Le proposte di legge AA.C. 749 e 2325, con disposizione identica, novellano lart. 191 c.c., in materia di cause di scioglimento della comunione legale dei coniugi.

L’art. 159 c.c. prevede, quale regime patrimoniale legale la comunione dei beni acquistati in costanza di matrimonio. I beni oggetto della comunione legale sono individuati dall’art. 177 c.c. nei seguenti: a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali; b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione; c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati; d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi. L’amministrazione ordinaria della comunione  spetta disgiuntamente ad entrambi i coniugi; per gli atti di straordinaria amministrazione e per quelli concernenti la concessione o l’acquisto di diritti personali di godimento i coniugi devono agire congiuntamente (art. 180 c.c.).

L’art. 191 c.c. prevede lo scioglimento della comunione per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi. Nel caso di azienda gestite da entrambi i coniugi dopo il matrimonio, lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall'articolo 162 (atto pubblico).

 

In base all’articolo 191 c.c. vigente, lo scioglimento della comunione dei beni tra marito e moglie consegue al passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale.

Nelle relazioni alle proposte di legge si evidenzia come tale previsione sia sostanzialmente non in linea con la realtà quotidiana in cui gli effetti patrimoniali della comunione legale continuano a prodursi per i coniugi separati anche dopo l’interruzione della convivenza.

Infatti, la cessazione della convivenza, ancorché autorizzata con i provvedimenti provvisori adottati a norma dell'art. 708, terzo comma, c.p.c.[7] non osta a che i beni successivamente acquistati dai coniugi medesimi ricadano nella comunione legale, ai sensi dell'art. 177, primo comma, lett. a), c.c., dato che l'operatività di tale disposizione, in base alle regole evincibili dall'art. 191 cod. civ. in tema di scioglimento della comunione, viene meno "ex nunc" con l'instaurarsi del regime di separazione, a seguito del provvedimento giudiziale che la pronunci in via definitiva, ovvero che omologhi l'accordo al riguardo intervenuto (Cass. Sez. I, sentt. n. 12523 del 17-12-1993 e  n. 2652 del 07/03/1995)

 

L’articolo 2 di entrambe le proposte di legge anticipa lo scioglimento della comunione al momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza presidenziale, autorizza i coniugi a vivere separati.

Tale autorizzazione è solitamente disposta con l’ordinanza con cui, ai sensi dell’art. 708 c.p.c., il presidente del tribunale - ove la conciliazione dei coniugi fallisca - emette i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole.

L’autorizzazione ai coniugi a vivere separati è prevista espressamente dal solo art. 232 c.c., che, al secondo comma, stabilisce che la presunzione di concepimento del figlio durante il matrimonio non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o di divorzio. Si segnala, inoltre, che l’art. 146, secondo comma, del codice civile, di fatto anticipa tale possibilità prescindendo, prevedendo che “la proposizione della domanda di separazione, o di annullamento, o di scioglimento, o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare”.

 




[1]    Il termine divorzio, di uso corrente, in realtà è sconosciuto al legislatore, che invece utilizza le espressioni “scioglimento del matrimonio” (con riferimento ai matrimoni civili) e "cessazione degli effetti civili del matrimonio", (con riferimento ai matrimoni concordatari).

[2]    Legge 6 marzo 1987, n. 74 “Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio”.

[3]    Si tratta delle seguenti ipotesi:

·          art. 3, comma 1, n. 1: quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l'altro coniuge è stato condannato, con sentenza definitiva, anche per fatti commessi in precedenza:

a) all'ergastolo ovvero ad una pena superiore a quindici anni, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale;

b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui agli artt. 564 (incesto) e 609-bis (violenza sessuale) c.p. ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione;

c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio;

d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per lesione personale gravissima (art. 582 c.p. con l’aggravante di cui al secondo comma dell'art. 583), per i delitti di cui agli artt. 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 572 (maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) e 643 (circonvenzione di incapaci) in danno del coniuge o di un figlio (4).

Nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la sua inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare. Per tutte le ipotesi previste nel n. 1) del presente articolo la domanda non è proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa;

·          art. 3, comma 1, n. 2, lett. a), c) e d), nei casi in cui:

a) l'altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l'inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare;

c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del n. 1) del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi;

d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo.

[4]    Per quanto riguarda il matrimonio non consumato, tale causa di divorzio è stata introdotta nel nostro ordinamento per evitare evidenti discrasie con l’ordinamento canonico, che prevede in questa ipotesi lo scioglimento del matrimonio religioso per effetto di un atto amministrativo, la dispensa cosiddetta “super rato”, peraltro non più riconosciuta nel nostro ordinamento dopo la sentenza n. 18 del 1982 della Corte costituzionale. Con tale sentenza, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l. 27 maggio 1929 n. 810, limitatamente all’esecuzione data all’art. 34, 4º e 5º comma, del Concordato del 1929, e dell’art 17 della l. 27 maggio 1929 n. 847, è venuta meno la possibilità di rendere esecutivo nell’ordinamento italiano il provvedimento dell’autorità ecclesiastica di dispensa dal matrimonio rato e non consumato; di conseguenza, la pretesa di far valere agli effetti civili tale causa di scioglimento del matrimonio canonico non ha più tutela giudiziale, sicché la relativa domanda è assolutamente improponibile.

[5]    Legge 14 aprile 1982, n. 164 “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”.

[6]    Il termine originario di cinque anni è stato ridotto a tre a seguito delle citata legge n. 74/1987 (v. nota 1)

[7]    Tale disposizione prevede che se il coniuge convenuto non si presenta al tentativo di conciliazione o la conciliazione non riesce, il presidente, anche d'ufficio, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questo.