Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Misure contro la durata indeterminata dei processi - A.C. 3137 (Elementi per l'istruttoria legislativa)
Riferimenti:
AC N. 3137/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 277
Data: 27/01/2010
Descrittori:
PROCESSO PENALE   TERMINI NEL PROCESSO PENALE
Organi della Camera: II-Giustizia
Altri riferimenti:
AS N. 1880/XVI     

27 gennaio 2010

 

n. 277/0

 

Misure contro la durata
indeterminata dei processi

A.C. 3137

Elementi per l’istruttoria legislativa

 

 

Numero del progetto di legge

3137

Titolo

Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

Iniziativa

Sen. Gasparri e altri

Iter al Senato

Si

Numero di artt.

10

Date:

 

trasmissione alla Camera

20 gennaio 2010

assegnazione

22 gennaio 2010

Commissione competente

II Giustizia

Sede

Referente

Pareri previsti

I Affari Costituzionali, V Bilancio e VI Finanze (ex art. 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria)

 


Contenuto

La proposta di legge, trasmessa dal Senato, reca misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi. Essa è volta a dare attuazione all’art. 111 Cost. (che, al secondo comma, prevede che la legge assicuri la ragionevole durata del processo) e all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (che, al par. 1, enuncia il medesimo principio).

L’art. 1 novella la legge 24 marzo 2001 n. 89 (cd. legge Pinto), che disciplina le procedure di equo indennizzo nel caso di violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. Il comma 1 modifica l’art. 2, prevede che la domanda di equa riparazione sia subordinata a una specifica istanza di sollecitazione nell’ambito del giudizio in cui si assume essersi verificato il mancato rispetto del termine ragionevole, da presentare entro sei mesi dalla scadenza dei termini finalizzati a definire la “non irragionevole durata”. Il testo contiene una presunzione legale di non irragionevole durata dei processi nei quali ciascun grado di giudizio si sia protratto per un periodo non superiore a 2 anni (un anno per ogni grado del giudizio di rinvio). Il dies a quo di tale termine è individuato, nel processo penale, nella data di assunzione della qualità di imputato; negli altri procedimenti nella data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio o nella data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione; il termine finale coincide con la pubblicazione della sentenza che definisce il grado di giudizio. Dopo la presentazione dell'istanza di sollecitazione, si prevede l'applicazione di già vigenti disposizioni acceleratorie, sul cui rispetto i capi degli uffici giudiziari sono incaricati di vigilare. La sentenza che definisce il giudizio (escluse quelle penali) potrà essere succintamente motivata. Nella liquidazione dell’indennizzo, il giudice deve tener conto del valore della domanda proposta o accolta; tale indennizzo è ridotto ad un quarto quando il procedimento cui si riferisce la domanda di equa riparazione è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l’infondatezza. Il comma 2, riformulando l’art. 3 della legge Pinto, interviene sul procedimento per far valere il diritto all’equa riparazione: la domanda è proposta al presidente della corte d’appello competente (anche senza ministero di un difensore), che emette decreto motivato entro 4 mesi. Contro il decreto può essere proposta opposizione innanzi alla medesima corte d’appello, che procede con rito camerale e decide entro 4 mesi con un ulteriore decreto motivato (impugnabile per cassazione). Nel caso di reiezione dell’opposizione o mancata costituzione in giudizio dell’opponente, la corte d’appello lo condanna d’ufficio al pagamento di una somma, determinata in via equitativa. Il comma 3 reca una disciplina transitoria, stabilendo che, nei giudizi pendenti in cui sono già decorsi i termini di ragionevole durata, l’istanza di sollecitazione vada depositata entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento. il comma 4 individua nella fissazione dell’udienza camerale ex art. 3 vigente della legge Pinto il discrimine per l’applicazione della precedente o della nuova disciplina.

L’art. 2 assoggetta al pagamento di un contributo unificato di 70 euro i processi per equa riparazione previsti dalla legge Pinto (attualmente esenti).

L’art. 3 reca una norma di interpretazione autentica che chiarisce la portata di una disposizione transitoria in materia di procedimento per danno erariale introdotta dall’art. 17, c. 30-ter, del decreto-legge 78/2009; essa è volta ad escludere dall’applicazione della relativa norma transitoria esclusivamente i casi in cui sia stata pronunciata sentenza “di merito” anche non definitiva.

L’art. 4 prevede l’estinzione del processo nei giudizi di responsabilità contabile dinanzi alla Corte dei conti nel caso di decorso di “termini di fase” così individuati: in primo grado, tre anni dal deposito dell’atto di citazione (due anni nei casi di danno erariale di valore non superiore a 300 mila euro); in appello, due anni.

L’art. 5 introduce nel codice di procedura penale l’art. 531-bis, che applica il medesimo meccanismo di estinzione del processo anche ai processi penali: il giudice dichiara non doversi procedere quando siano decorsi termini specificamente indicati, con riferimento a ciascun grado del processo penale, senza che il medesimo grado non sia stato definito. I “termini di fase” si applicano ai processi relativi a qualsiasi reato (nel testo originario del provvedimento si prevedeva invece una lista di reati esclusi) e sono diversamente articolati in funzione della gravità del reato e, quindi della pena comminata, secondo il seguente schema:

 

 

Pena pecuniaria o pena detentiva inferiore nel massimo a 10 anni

pena detentiva pari o superiore nel massimo a 10 anni di reclusione

Reati previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p.(*)

Giudizio di I grado

Tre anni

Quattro anni

Cinque anni

Giudizio d’appello

Due anni

Due anni

Tre anni

Giudizio di Cassazione

Un anno e sei mesi

Un anno e sei mesi

Due anni

Gradi ulteriori

(nel caso di annullamento con rinvio)

Un anno

Un anno

Un anno e sei mesi

 

(*) Con facoltà per il giudice di prorogare tali termini fino ad un terzo nei casi di particolare complessità del processo o di numero elevato di imputati.

Il dies a quo del termine per ciascuna fase del processo è individuato secondo il seguente schema:

Fase

Dies a quo

Primo grado

Emissione del provvedimento con cui il P.M. ha esercitato l’azione penale formulando l’imputazione ai sensi dell’art. 405 c.p.p.

Appello

Pronuncia della sentenza di primo grado

Cassazione

Pronuncia della sentenza di appello

Gradi ulteriori

Sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato il provvedimento con rinvio.

 

Il nuovo art. 531-bis detta ulteriori disposizioni che prevedono: il limite temporale di tre mesi dal termine delle indagini preliminari entro il quale il P.M. deve assumere le proprie determinazioni in ordine all’azione penale; il limite di tre mesi all’aumento dei termini nel caso di modifica dell'imputazione ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 c.p.p.; i casi di sospensione del decorso dei termini; la ricorribilità per cassazione per violazione di legge nei confronti della sentenza di non luogo a procedere; la rinunciabilità della prescrizione processuale; l’applicabilità del principio del ne bis in idem alla sentenza irrevocabile di non luogo a procedere; disposizioni volte ad assicurare una rapida trattazione dell’eventuale azione trasferita in sede civile.

L’art. 6, novellando l’art. 23 c.p.p., prevede che, se in una fase antecedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice dichiara con sentenza l’esistenza di una causa di non punibilità in ordine al reato appartenente alla sua competenza per territorio con la stessa sentenza dichiara la propria incompetenza in ordine al reato connesso e dispone contestualmente la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente.

L’art. 7 prevede un meccanismo di monitoraggio per valutare l'impatto finanziario derivante dall'applicazione della nuova legge.

Attraverso l’art. 8, il nuovo meccanismo di estinzione del processo per decorso dei termini di fase trova applicazione anche per i procedimenti per responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato disciplinata dal d. lgs. n. 231 del 2001.

L’art. 9, recante le disposizioni transitorie, prevede l’inapplicabilità del nuovo art. 531-bis ai processi in corso (comma 2), salvo quanto previsto dal precedente comma 1. Tale comma 1 detta una disposizione applicabile soltanto ai processi in corso in primo grado relativi ai reati commessi fino al 2 maggio 2006, puniti con pena pecuniaria o con pena detentiva, inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione, diversi da quelli rientranti nelle esclusioni previste dalla legge sull’indulto. Tali processi si estinguono quando non è stato definito il giudizio di primo grado nei confronti dell’imputato e sono decorsi più di due anni (o due anni e tre mesi nel caso di nuove contestazioni) dal provvedimento con cui il P.M. ha esercitato l’azione penale.

Si segnala che il riferimento alla reclusione implicitamente esclude dall’ambito di applicazione della norma le contravvenzioni punite con l’arresto

Ai sensi del comma 3, infine, le disposizioni concernenti i termini di estinzione dei giudizi contabili, si applicano anche ai procedimenti pendenti in primo grado qualora dal deposito della citazione a giudizio siano trascorsi almeno cinque anni.

L’art. 10, infine, disciplina l’entrata in vigore del provvedimento.

Relazioni allegate

L’AS 1880 è corredato della relazione illustrativa.

Necessità dell’intervento con legge

Il provvedimento interviene essenzialmente con la tecnica della novellazione su fonti di rango primario, il che rende necessario l’intervento con legge.

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento è riconducibile alla materia “giurisdizione e norme processuali” di competenza esclusiva dello Stato(art. 117, 2° c., lett. l, Cost.).

Rapporto con altri princìpi costituzionali

Con riferimento alle disposizioni transitorie contenute nell’art. 9, si ricorda che, secondo consolidata interpretazione, l’art. 2, quarto comma, c.p., che sancisce il principio della retroattività delle disposizioni più favorevoli al reo, si applica alle norme penali sostanziali; le norme processuali sono invece regolate dalla regola tempus regit actum da cui deriva l’applicazione della legge vigente al momento del compimento dell’atto processuale.

Quindi, come chiarito anche dalla giurisprudenza (Cass., sez. I, n. 3173 del 2000), le norme processuali valgono soltanto per l’avvenire e, in assenza di diverse disposizioni transitorie, non hanno effetto retroattivo.

La Corte costituzionale ha fatto applicazione di tali principi nella sentenza n. 393 del 2006, nell’ambito del giudizio di legittimità costituzionale della disposizione transitoria contenuta nella legge n. 251 del 2005, che ha modificato la disciplina della prescrizione; in base alla norma transitoria, “se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le stesse si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché dei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione”. La Corte costituzionale ha ritenuto che l’istituto della prescrizione del reato sia una fattispecie di natura sostanziale (in quanto “il decorso del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilità in sé e per sé, nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potestà punitiva”), per la quale quindi trova applicazione il principio di retroattività delle norme penali più favorevoli, derogabile solo se ricorre una sufficiente ragione giustificativa ex art. 3 Cost. Nel caso di specie, con riferimento ai procedimenti di primo grado, ha ritenuto non assistita da ragionevolezza la limitazione ai procedimenti per i quali vi sia stata dichiarazione di apertura del dibattimento.

Il provvedimento in esame introduce un nuovo istituto di natura processuale, che prevede, come spiega la relazione illustrativa, “l’estinzione dell’azione penale e, quindi, del processo, per violazione dei termini di ragionevole durata”.

La disposizione contenuta nell’art. 9, comma 2, sembrerebbe prevedere una norma speciale applicabile ai processi pendenti di primo grado per determinati reati commessi fino al 2 maggio 2006.

Per tali processi, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere se sono decorsi più di due anni (o due anni e tre mesi nel caso di nuove contestazioni) dall’esercizio dell’azione penale, senza che sia stato definito il giudizio. Tale termine è diverso rispetto al termine previsto a regime dal nuovo art. 531-bis c.p.p. per i processi di primo grado relativi agli stessi reati (tre anni).

Si ricorda che la disposizione transitoria della legge n. 251 del 2005 è stata successivamente alla sentenza n. 393 del 2006 di nuovo portata all’attenzione della Corte, anche sotto altri profili.

Nella sent. n. 324 del 2008 la Corte, ribadendo la sua precedente giurisprudenza, ha chiarito che “l'amnistia (al pari dell'indulto) è una particolarissima causa d'estinzione dei reati (misura di clemenza generalizzata) che incide «soltanto sulla punibilità, principale ed "accessoria", sull'applicabilità delle misure di sicurezza, e sulle obbligazioni civili per l'ammenda relative ai fatti tipici, commessi in un circoscritto periodo di tempo, anteriore alla proposta di delegazione» mentre gli «effetti penali ("e non") determinati dalla legge incriminatrice permangono, invece, tutti, intatti, in relazione a tutti i fatti, precedenti e successivi, non rientranti nel periodo beneficiato»”.

Nel caso di specie la Corte ha aggiunto che “è del tutto evidente che la norma che abroga o riformula una norma incriminatrice o una ipotesi di estinzione del reato, quale la prescrizione, non presenta alcuna delle caratteristiche proprie dei provvedimenti di amnistia, prima fra tutte l'efficacia limitata nel tempo, essendo invece destinata a disciplinare in via stabile tutti i fatti successivi alla sua entrata in vigore, salvo gli effetti retroattivi più favorevoli al reo derivanti, peraltro, dall'operatività della regola generale”.

Il dato dell’efficacia limitata nel tempo dell’istituto dell’amnistia rispetto all’operatività a regime per i fatti successivi di norme che riformulano o abrogano una norma incriminatrice o un’ipotesi di estinzione del reato è stato sottolineato anche nella sentenza n. 447 del 1998 (in materia di riforma della disciplina dell’abuso d’ufficio) e da ultimo, nell’ordinanza n. 34 del 2009.

Soffermandosi più in generale sull’istituto dell’amnistia, nella sentenza n. 175 del 1971, la Corte ha affermato che “a differenza di quanto avviene nel caso di abrogazione di una norma penale, l'amnistia non elimina l'astratta previsione punitiva relativa a determinati comportamenti, ma si limita ad arrestare la procedibilità dei giudizi relativamente a dati reati, con riferimento al tempo in cui sono stati commessi” e ha ritenuto costituzionalmente meritevole di tutela la facoltà di rinuncia all’amnistia.

Con riferimento al rapporto tra l’amnistia e le altre cause di estinzione del reato, la Corte ha inoltre osservato che mentre, in generale, le altre cause “producono l'estinzione attraverso la mediazione d'un fatto, d'una fattispecie concreta, l'amnistia produce, direttamente, l'effetto estintivo senza mediazione fattuale alcuna. Il codice penale, per le altre cause d'estinzione, di cui agli artt. 150 e segg., indica specificamente i fatti, le fattispecie, poste in essere le quali, in concreto si produce l'effetto estintivo (i fatti ad es. della morte del reo, del decorso del tempo ecc.); per l'amnistia, invece, fa discendere (a parte l'amnistia c.d. "condizionata", alla quale si accennerà fra breve) l'effetto estintivo direttamente, senza mediazioni di sorta” (sent. 369 del 1988; cfr. anche sent. n. 196 del 2004). Nella sentenza n. 427 del 1995, la Corte ha aggiunto che “esiste nell'ordinamento vigente tutta una serie di atti legislativi che determinano lo stesso effetto estintivo del reato prodotto dal condono edilizio, e per i quali, a differenza di quanto accade nel caso della amnistia, non sono previste procedure legislative diverse da quelle ordinarie: si pensi alle ipotesi di oblazione introdotte dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, o ai casi in cui un fatto cessa (anche temporaneamente) di essere previsto dalla legge come reato, o, ancora, alla previsione di estinzione di reati collegata ad adempimenti richiesti agli autori degli stessi. Non per questo, in tali ipotesi si possono configurare provvedimenti di amnistia mascherati”.

Il comma 8 del nuovo art. 531-bis c.p.p. prevede implicitamente l’inappellabilità della sentenza di proscioglimento per violazione dei termini di fase. Tale previsione va valutata tenendo conto della rinunciabilità della prescrizione processuale, volta a tutelare l’eventuale interesse dell’imputato ad un’assoluzione nel merito o a un proscioglimento con formula diversa.

In proposito, si ricorda che la Corte costituzionale ha più volte escluso l'esistenza di una norma costituzionale che garantisca il principio del doppio grado di giudizio (sentt. nn. 316 del 2002, 280 del 1995, 41 del 1965, 22 e 117 del 1973, 186 del 1980, 78 del 1984 e 80 del 1988; ord. n. 395 del 1988).

Si ricorda anche che la Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità dell'art. 593 del codice di procedura penale, nella parte in cui escludeva che il pubblico ministero potesse proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, salvo nelle ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, c.p.p. (secondo la Corte, in particolare, risulterebbe violato il principio di parità tra accusa e difesa, in considerazione del riconoscimento all’imputato del potere di appellare le sentenze di condanna). Con la sentenza n. 85 del 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della medesima disposizione nella parte in cui invece escludeva che l'imputato potesse appellare contro le sentenze di proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa; ciò in considerazione dell’eterogeneità delle ipotesi riconducibili alla categoria delle sentenze di proscioglimento, alcune delle quali, “pur non applicando una pena, comportano – in diverse forme e gradazioni – un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell'imputato o, comunque, l'attribuzione del fatto all'imputato” (tra queste, la Corte cita la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione); secondo la Corte, quindi, “la norma censurata – accomunando nel medesimo regime situazioni tra loro fortemente eterogenee – nega all'imputato, salvo il novum probatorio, un secondo grado di giurisdizione di merito nei confronti delle sentenze di proscioglimento, anche quando le stesse comportino una sostanziale affermazione di responsabilità o attribuiscano, comunque, il fatto al prosciolto, così da rendere configurabile un suo interesse all'impugnazione”.

Compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo

L’art. 6, par. 1, CEDU, enuncia il principio della durata ragionevole del processo. La giurisprudenza CEDU, che registra moltissime condanne nei confronti dell'Italia, non individua limiti temporali rigidi alla durata del processo.

Piuttosto, nel valutare la durata del processo, la Corte prende in considerazione una serie di parametri: la complessità del giudizio; il comportamento delle parti; il comportamento del giudice ed eventualmente anche degli organi della cancelleria. Sulla base di tali parametri, la Corte esamina il lasso temporale complessivo intercorso tra la data di inizio del processo e la sua naturale conclusione.

Incidenza sull’ordinamento giuridico

Attribuzione di poteri normativi

Occorre valutare il contenuto innovativo del meccanismo di monitoraggio dell’impatto finanziario previsto all’art. 7 considerato che la recente legge di riforma della contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009 reca, all'art. 17, c. 13, un’analoga clausola di monitoraggio avente portata generale.

Coordinamento con la normativa vigente

Il coordinamento si realizza essenzialmente attraverso l’uso della tecnica della novellazione. I testi modificati sono: la legge Pinto (art. 1); il T.U. delle spese di giustizia (art. 2); il d.l. anticrisi (art. 3); il c.p.p. (artt. 5 e 6); il d.lgs. in materia di responsabilità degli enti dipendenti da reato (art. 8). Il provvedimento reca invece una disposizione autonoma per la disciplina della ragionevole durata del giudizio di responsabilità contabile (art. 4).

Impatto sui destinatari delle norme

La stima fornita dal Ministro della giustizia nella seduta dell’Assemblea del 19 novembre secondo cui “i procedimenti che si prescriveranno saranno contenuti in una percentuale collocata nell'intorno dell'1 per cento del totale dei procedimenti penali pendenti oggi in Italia, senza calcolare naturalmente l'incidenza delle assoluzioni”, così come i risultati dell’istruttoria svolta nell’ambito della VI Commissione del CSM, erano riferiti al testo originario del provvedimento, che, da un lato, conteneva alcune esclusioni oggettive e soggettive e dall’altro recava una norma transitoria di portata più ampia.

 


 

 

 

 

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