Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Norme per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni dello Statuto della Corte penale internazionale - AA.C. 1439 e 1782 (Schede di lettura e riferimenti normativi)
Riferimenti:
AC N. 1439/XVI   AC N. 1782/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 171
Data: 20/05/2009
Descrittori:
GIUDICI DELLA GIURISDIZIONE PENALE     
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Adeguamento dell'ordinamento interno allo Statuto della Corte penale internazionale

AA.C. 1439e 1782

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

n. 171

 

 

 

20 maggio 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

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File: GI0197.doc

 


INDICE

 

Schede di lettura

La Corte penale internazionale: profili giuridico-internazionali3

§      Premessa  3

§      La progressiva affermazione della responsabilità penale personale nel diritto internazionale  4

§      La preparazione e lo svolgimento della Conferenza di Roma  6

§      Lo Statuto della Corte  8

§      Vicende successive all’entrata in vigore dello Statuto  11

§      Precedenti iniziative parlamentari per l’adeguamento dell’ordinamento interno allo Statuto  17

Contenuto delle proposte di legge  19

§      Disposizioni generali in tema di cooperazione con la Corte penale internazionale  19

§      Modalità di esecuzione della cooperazione  23

§      Consegna di persone alla Corte penale internazionale  31

§      Esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale  42

§      Conseguenze sull’ordinamento interno della giurisdizione penale internazionale  51

§      Disposizioni di natura penale  53

§      Invarianza degli oneri ed entrata in vigore  62

Riferimenti normativi

§      Costituzione della Repubblica italiana. (artt. 13 e 103)65

§      Codice Penale (artt. 314, 316, 317-322, 336, 337, 338, 339, 340, 342, 343, 371-bis, 374-bis e 378)66

§      Codice di Procedura Penale (artt. 12, 127, 303, 308, 316-325, 329, 676, 681, 697-746)77

§      Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del C.P.P. (artt. 145-bis e 146-bis)110

§      Codice Penale Militare di Pace (artt. 3 e 5)112

§      L. 4 agosto 1955, n. 848. Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.113

§      L. 6 dicembre 1971 n. 1034. Istituzione dei tribunali amministrativi regionali (art. 23-bis)140

§      L. 26 luglio 1975 n. 354. Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà (art. 41-bis)142

§      D.L. 28 dicembre 1993, n. 544. Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia,  (convertito in legge, con modificazioni, con L. 14 febbraio 1994, n. 120)145

§      L. 12 luglio 1999, n. 232. Ratifica ed esecuzione dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale, con atto finale ed allegati, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998.152

§      L. 7 giugno 1999, n. 207. Ratifica ed esecuzione dell'accordo fra il Governo della Repubblica italiana e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, fatto a L'Aja il 6 febbraio 1997 (2).224

§      L. 2 agosto 2002, n. 181. Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio del Ruanda e Stati vicini.230

Giurisprudenza

Corte Costituzionale

§      Sentenza n. 429/1992  247

Corte di Cassazione

§      Cassazione penale, sez. unite, Sentenza n. 41540 del 28 novembre 2006  255

Documentazione

Unione europea

§      Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 (art. 11)281

§      Pos.com. 20 giugno 2002, n. 2002/474/PESC. Posizione comune del Consiglio che modifica la posizione comune 2001/443/PESC sulla Corte penale internazionale.288

§      Dec. 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI. Decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri. (art. 2)290

§      Pos.com. 16 giugno 2003, n. 2003/444/PESC. Posizione comune del Consiglio sulla Corte penale internazionale.294

Organizzazione delle nazioni unite

§      Carta delle nazioni unite, San Francisco, 26 giugno 1945  301

Corte penale internazionale

§      Regole di procedura e prova. (Regola 204)323

 

 


Schede di lettura

 


La Corte penale internazionale:
profili giuridico-internazionali

Premessa

La Corte penale internazionale (CPI) è un’“istituzione permanente che può esercitare la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale”, come recita l’articolo 1 dello Statuto istitutivo della Corte (Statuto di Roma).

Lo Statuto è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite ed è entrato in vigore il 1° luglio 2002, in conformità a quanto disposto dall’articolo 126 dello Statuto stesso, che ha fissato la condizione del deposito di almeno 60 strumenti di ratifica, adesione o accettazione dello Statuto di Roma. L’Italia ha ratificato lo Statuto mediante la legge 12 luglio 1999, n. 232.

Gli Stati che attualmente hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale sono 108: tra questi non figurano gli Stati Uniti, Israele, il Sudan, la Cina, la Russia e tutti i Paesi arabi – anche se alcuni degli Stati menzionati hanno a suo tempo firmato lo Statuto, senza però dar seguito a quell’atto, e anzi sconfessando in un secondo momento la stessa firma.

Successivamente, con la legge 6 ottobre 2005, n. 213, il nostro Paese ha innalzato il contributo obbligatorio alla CPI, in relazione all’incremento delle spese amministrative e per le attività operative della Corte medesima, nella misura di 3.241.000 euro annui.

Come strutturata in base allo Statuto, la Corte – che non è organo dell’ONU[1] ma un’istanza giurisdizionale istituita per via pattizia - potrà:

·       giudicare singoli individui accusati di genocidio, di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra[2];

·       emettere sentenze di condanna alla reclusione fino a trenta anni o anche di ergastolo (in questo caso sulla base dell’estrema gravità del crimine e della situazione personale del condannato);

·       esercitare la sua giurisdizione in modo complementare rispetto a quella degli Stati.

La Conferenza diplomatica di Roma ha poi istituito, con propria risoluzione, una Commissione preparatoria per l’elaborazione dei progetti degli strumenti internazionali necessari al funzionamento della Corte (regole di procedura e prova; elementi dei reati; accordo relativo ai rapporti tra la Corte e le Nazioni Unite; accordo di sede con il Paese ospitante; accordo sui privilegi e le immunità della Corte; regole finanziarie e di bilancio della Corte; regole di procedura per l’Assemblea degli Stati Parti). Inoltre, è stato assegnato alla Commissione il compito di formulare proposte per definire gli elementi del crimine di aggressione e le condizioni per l’esercizio della giurisdizione della Corte in questi casi.

La Commissione preparatoria ha iniziato i propri lavori il 16 febbraio 1999, svolgendo dieci sessioni. I rapporti elaborati dalla Commissione sono stati sottoposti all’esame della prima Assemblea degli Stati Parti[3], svoltasi nella sede generale delle Nazioni Unite a New York dal 3 al 10 settembre 2002.

Tra gli strumenti che sono stati poi formalmente adottati dall’Assemblea figurano le Regole procedurali e quelle finanziarie, il documento relativo alle fattispecie di reato, l’Accordo sulle relazioni tra la Corte e le Nazioni Unite, i Principi di base che regolano un accordo di sede, e la Procedura per la nomina e l’elezione dei giudici e del Procuratore. Infine, alcune modifiche sono state apportate al testo dell’Accordo sui privilegi e le immunità, che è stato ufficialmente adottato il 9 settembre 2002[4].

 

La progressiva affermazione della responsabilità penale personale nel diritto internazionale

L'idea di istituire una corte penale internazionale per giudicare i crimini di guerra e contro l'umanità può essere fatta risalire alla fine della prima guerra mondiale. Il Trattato di Versailles (1920) dichiarò infatti responsabile il Reich germanico ed i suoi alleati per tutti i danni causati dal conflitto, e accusò l'imperatore Guglielmo II di offesa alla morale internazionale e all'autorità dei trattati.

Tuttavia, fu solo in seguito agli inauditi crimini ed alle atrocità perpetrati durante la Seconda Guerra Mondiale che si pervenne all'istituzione, nel 1945 e 1946, dei Tribunali internazionali di Norimberga e di Tokyo.

La celebrazione dei due processi consentì, tra l’altro, l’enucleazione delle fattispecie dei crimini contro la pace, di guerra, e contro l'umanità (art. 6 della Carta del Tribunale di Norimberga) e l’affermazione del principio secondo il quale tali reati sono perseguibili in base al diritto internazionale (nella sentenza di Norimberga si legge che la Carta istitutiva del Tribunale “è l’espressione del diritto internazionale esistente al tempo della sua creazione”) e che la sovranità dello Stato non può eliminare la responsabilità personale degli agenti (la citata sentenza afferma che “i crimini contro il diritto internazionale sono commessi da uomini, e non da entità astratte, e le norme di diritto internazionale possono venire applicate soltanto punendo gli individui che commettono tali crimini”).

I Tribunali di Norimberga e Tokyo, tuttavia, non rappresentavano istanze giurisdizionali dotate di competenza generale in materia, ma esclusivamente chiamati a giudicare delle violazioni del diritto internazionale compiute da determinate categorie di soggetti in un certo periodo.

Il 9 dicembre 1948, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la risoluzione n. 260, con la quale adottò la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. L’articolo VI della Convenzione dispone che le persone imputate di genocidio "saranno tradotte innanzi ai competenti Tribunali dello Stato nel territorio del quale è stato commesso il fatto o a un Tribunale penale internazionale che avrà competenza nei confronti di quelle Parti (della Convenzione in oggetto) che ne avranno riconosciuto la giurisdizione”.

Sempre con la citata Risoluzione n. 260/1948, l’Assemblea invitava la Commissione giuridica internazionale a “studiare l’opportunità e la possibilità di istituire un organo giudiziario internazionale per il processo di persone accusate di genocidio”. Negli Anni Cinquanta, tuttavia, il progetto di istituire un tribunale internazionale si scontrò con la divisione in blocchi della guerra fredda che impediva ogni possibile convergenza su una visione comune di giustizia penale internazionale.

L'idea della giustizia penale internazionale, infine, ha trovato concreta attuazione con l'istituzione, ad opera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, del Tribunale internazionale per i crimini commessi nei territori della ex Jugoslavia (risoluzione 808 del 22 febbraio 1993) e, successivamente, dell’omologo Tribunale per i crimini commessi in Ruanda (risoluzione 955 dell'8 novembre 1994).

Anche in questo caso si tratta di Tribunali costituiti ad hoc, per giudicare e reprimere gravissime violazioni del diritto umanitario internazionale, circoscritte nello spazio e nel tempo.

La creazione dei due citati tribunali internazionali[5], oltre alla polemiche circa il loro funzionamento e la loro utilità concreta, ha suscitato forti critiche sotto il profilo giuridico. Si è cioè contestato che il Consiglio di sicurezza, esercitando i poteri attribuitigli dall'articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite, che è inserito nel capitolo VII relativo alle minacce alla pace e alla sicurezza internazionali e alle misure che il Consiglio può adottare in tali casi, potesse istituire dei tribunali internazionali.

Al di là delle controversie giuridiche e di merito, l'istituzione dei tribunali ha tuttavia dato un ulteriore e forte impulso verso la creazione di una Corte penale internazionale permanente, dotata di competenza generale in materia di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità.

 

La preparazione e lo svolgimento della Conferenza di Roma

Il cammino di graduale preparazione della Conferenza di Roma è stato avviato con la risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU 49/53 del 9 dicembre 1994. Tale atto ha infatti istituito un Comitato ad hoc, aperto a tutti gli Stati membri, per riesaminare le maggiori questioni emerse dalla stesura del progetto di Statuto della Corte permanente, elaborato dalla Commissione giuridica internazionale, e per studiare i preparativi per la convocazione di una Conferenza internazionale plenipotenziaria in materia.

Con la risoluzione 50/46 dell'11 dicembre 1995, vista la relazione presentata dal Comitato citato, è stato istituito un Comitato Preparatorio ad hoc per continuare ad esaminare le questioni emerse nella stesura dello Statuto della Corte e redigere un testo unificato; mentre con la risoluzione 51/207 del 17 dicembre 1997, l'Assemblea Generale ha riconfermato il mandato al Comitato Preparatorio, stabilendo il calendario delle sue successive riunioni e decidendo che la Conferenza diplomatica avesse luogo nel 1998.

Nella riunione tenutasi a New York dall'11 al 21 febbraio 1997, il Comitato Preparatorio ha raccomandato all'Assemblea Generale dell'ONU di adottare una decisione favorevole affinché detta Conferenza si tenesse a Roma, come proposto dal Governo italiano. Infine, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 15 dicembre 1997, ha adottato la risoluzione 52/160, con la quale ha deciso di tenere la Conferenza diplomatica per l'istituzione della Corte penale internazionale nella sede della FAO, a Roma, dal 15 giugno al 17 luglio 1998.

L'Italia, come accennato, è tra i paesi che hanno sostenuto l'iniziativa di convocare una Conferenza per la costituzione della Corte penale permanente, offrendosi fin dal 1994 come sede dei lavori[6].

Il 17 luglio 1998, a Roma, presso la sede della FAO, è stato adottato dalla Conferenza Diplomatica delle Nazioni Unite lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale: l’Italia è stata la prima firmataria, e l’autorizzazione alla ratifica è giunta, come già accennato, con legge 12 Luglio 1999, n. 232.

L’approvazione dello Statuto da parte della Conferenza diplomatica, cui hanno preso parte delegazioni in rappresentanza di 160 paesi, è stato oggetto di lavori preparatori estremamente complessi e laboriosi, sia per la molteplicità e delicatezza dei vari interessi politici nazionali coinvolti, sia per gli orientamenti non favorevoli di alcuni paesi, che hanno giudicato non sempre positivamente la cessione di una quota della propria giurisdizione penale a favore della nuova istituzione internazionale. Basti rammentare, al riguardo, che l’adozione dello Statuto, pur avvenuta a grande maggioranza, ha registrato il voto negativo di Stati Uniti d’America, Cina, India e Israele.

Il 31 dicembre 2002 sia gli Stati Uniti d’America che Israele hanno firmato il Trattato. Il 6 maggio 2002, tuttavia, il governo degli Stati Uniti d’America ha comunicato al Segretario Generale delle Nazioni Unite che “gli Stati Uniti non intendono diventare parte del Trattato. Conseguentemente – prosegue la comunicazione statunitense - gli Stati Uniti non hanno obblighi legali derivanti dalla firma del 31 dicembre 2000. Gli Stati Uniti chiedono che la loro intenzione di non diventare parte del Trattato …sia riportata negli elenchi depositati relativi al Trattato”. Del pari, il 12 giugno 2002, il Ministero della giustizia israeliano ha reso nota la decisione di Israele di non ratificare il Trattato.

 

Lo Statuto della Corte

a)        I princìpi

Lo Statuto - ossia lo strumento normativo primario per disciplinare le finalità, la struttura ed il funzionamento della Corte penale internazionale - individua i principi posti a base dell’attività giurisdizionale in materia, ravvisati essenzialmente nell’indipendenza dei giudici, nella cooperazione della Corte con gli Stati, nei presupposti normativi della nuova funzione giudiziaria internazionale, nonché nell’automaticità dell’attivazione della giurisdizione stessa.

Lo Statuto si compone di 128 articoli, preceduti da un preambolo, ed è diviso nei seguenti 13 capitoli:

1) istituzione della Corte; 2) giurisdizione, ricevibilità, legge applicabile; 3) principi generali di diritto penale; 4) composizione ed amministrazione della Corte; 5) indagini e incriminazione; 6) processo; 7) pene; 8) appello e revisione; 9) cooperazione ed assistenza giudiziaria internazionali; 10) esecuzione; 11) Assemblea degli Stati parti, 12) finanziamento; 13) clausole finali.

La Corte penale internazionale, come accennato, nasce in quanto “istituzione permanente che può esercitare la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale” ai sensi dello Statuto. Essa avrà sede a L’Aja, in Olanda[7], e suoi organi saranno la Presidenza, le sezioni preliminari, dibattimentale e d’appello, l’ufficio del Prosecutor (ovvero il Procuratore) e la Cancelleria.

La Corte sarà composta da 18 giudici, scelti tra persone che, nei diversi Paesi, risultino in possesso dei relativi requisiti di nomina ai più alti uffici giudiziari. I giudici della Corte, eletti per nove anni dall’Assemblea degli Stati parti - con equa rappresentanza dei vari sistemi giuridici, distribuzione delle provenienze geografiche e proporzione tra i sessi - dovranno avere esperienza in diritto e procedura penale o in diritto internazionale umanitario e tutela dei diritti umani. Requisiti analoghi saranno richiesti, con specifica competenza nel campo dell’investigazione ed istruzione penale, per il Procuratore ed il Viceprocuratore.

Di particolare rilievo appare anzitutto l’acquisizione nello Statuto della Corte dei più significativi – e condivisi - principi in materia di diritto e procedura penale. Si tratta, in particolare, dei principi della responsabilità penale personale, del “nullum crimen, nulla poena sine lege”, della irretroattività della legge penale, del ne bis in idem, del giudice naturale, del contraddittorio e dell’equo processo.

 

b) I reati rientranti nella giurisdizione della Corte

La Corte potrà giudicare solo i crimini commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto. La Corteavrà, inizialmente, competenza sui cosiddetti core-crimes ossia sul genocidio, sui crimini contro l’umanità e di guerra.

La Corte potrà esercitare il proprio potere giurisdizionale anche sul crimine di aggressione, ma solo successivamente all’adozione della disposizione che, in accordo con le relative norme della Carta dell’ONU, definirà il crimine stesso, stabilendone le condizioni di perseguibilità. Tale definizione dovrebbe essere adottata con la Conferenza di revisione dello Statuto, la prima delle quali si prevede dopo almeno sette anni dalla data di vigenza dello stesso.

Il crimine di genocidio viene definito secondo quanto già previsto dalla convenzione ONU del 1948; nei crimini contro l’umanità rientrano diverse fattispecie criminose commesse contro le popolazioni civili, nonché numerosi reati a sfondo sessuale come lo stupro, la schiavitù sessuale, la costrizione alla prostituzione e alla sterilizzazione, la gravidanza forzata. Per la configurazione dei crimini di guerra rientranti nella giurisdizione della Corte è necessario l’inserimento di tali atti in un piano o disegno politico, mentre per l’individuazione dei relativi comportamenti illeciti si fa riferimento alle violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949 ed alle regole ed usi applicabili nei conflitti armati. Ricadono nell’ambito dei crimini di guerra anche gli atti commessi in conflitti armati interni (“conflitti armati non di carattere internazionale”), escluse le rivolte e i disordini isolati.

La Corte è poi competente per la perseguibilità di una serie di reati contro l’amministrazione della giustizia come la falsa testimonianza resa innanzi alla stessa Corte, la subornazione di testimoni, la presentazione volontaria di prove false, l’intimidazione o la ritorsione, la corruzione attiva o passiva nei confronti di un funzionario della Corte.

 

c) I limiti della giurisdizione della Corte

Uno dei principi fondamentali previsti dallo Statuto è la complementarità della giurisdizione della Corte penale internazionale rispetto a quelle degli Stati parte. In ragione di tale principio, gli Stati parte si impegnano ad inserire nei rispettivi ordinamenti nazionali le norme incriminatrici di cui all’art. 5 dello Statuto precisando la giurisdizione anche della Corte per la cognizione delle stesse.

La Corte, pertanto, potrà procedere per uno dei crimini indicati nello Statuto soltanto se per tale fatto gli Stati che avrebbero giurisdizione primaria non procedano, ovvero abbiano proceduto in maniera negligente.

L’articolo 20 sancisce il basilare principio del ne bis in idem in ordine ai reati perseguiti dalla Corte, prevedendo altresì l’eccezione di una giurisdizione concorrente in caso di inefficienza dei sistemi giudiziari nazionali.

Una delle questioni sulle quali nel corso della Conferenza di Roma si è maggiormente discusso è stata quella relativa all’estensione della giurisdizione della Corte stessa, ossia la precisazione di criteri di collegamento tra i fatti qualificati come reati dallo Statuto e la relativa attribuzione della cognizione sugli stessi. La Corte, infatti, al contrario del Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, nato in virtù di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, viene istituita in seguito a trattato internazionale che obbliga soltanto gli Stati che ne sono parte (ovvero che lo abbiano ratificato). Nello stesso tempo, lo Statuto affida un preciso ruolo al Consiglio di Sicurezza in materia di procedibilità per i reati di competenza della Corte che abbiano comportato, in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

La soluzione adottata in relazione ai meccanismi di attribuzione della competenza della Corte ha da più parti suscitato critiche e riserve.

E’ infatti previsto che la Corte avrà giurisdizione circa i reati di sua competenza  quando siano avvenuti nel territorio di uno Stato aderente allo Statuto o che, in base ad un apposito accordo, abbia accettato la giurisdizione della Corte, oppure quando l’autore del crimine sia cittadino di uno di tali Stati. La Corte dovrà quindi ottenere, verosimilmente nella grande maggioranza dei casi, il consenso dello Stato di nazionalità dell’imputato o dello Stato sul cui territorio è stato perpetrato il crimine prima di poter esercitare la propria giurisdizione. Come è stato osservato, tale criterio potrebbe essere ancor più penalizzante se si pensa che molto spesso i crimini vengono commessi nel contesto di conflitti interni dove la nazionalità dell’autore del crimine e quella della vittima coincidono.

Tali criteri non saranno invece vincolanti - e la giurisdizione della Corte non sarà quindi soggetta a limiti - nel caso in cui sia lo stesso Consiglio di sicurezza dell’ONU a sottoporre al Procuratore presso la Corte uno o più dei fatti criminosi previsti dall’art. 5 dello Statuto, che abbiano comportato una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali.

Un ulteriore limite alla giurisdizione della Corte è poi quello relativo al contenuto della disposizione transitoria introdotta dall’articolo 124dello Statuto (che recepisce la cosiddetta clausola opt-out), che consente ad uno Stato, al momento della ratifica del Trattato, di non accettare, per un periodo di sette anni successivo all’entrata in vigore dello Statuto, la giurisdizione della Corte sui crimini di guerra se commessi da un suo cittadino o sul suo territorio.

Altra norma che limita in qualche modo l’indipendenza della Corte penale internazionale è quella prevista dall’art. 16 dello Statuto, per effetto della quale al Consiglio di sicurezza dell’ONU è consentito, con risoluzione, di chiedere la sospensione delle indagini o del proseguimento dell’azione penale per un anno, con facoltà di rinnovare la richiesta.

 

d)    La cooperazione internazionale tra la Corte e gli Stati

Apposite procedure di cooperazione tra la Corte e gli Stati dovranno disciplinare lo svolgimento di atti di indagine sul territorio di uno Stato. La richiesta di assistenza giudiziaria costituirà modalità necessaria di acquisizione delle prove nel corso delle indagini e l’esclusione della celebrazione del processo in contumacia renderà necessaria la consegna dell’imputato da parte dello Stato ove verrà localizzato e arrestato.

Uno degli aspetti più discussi durante la Conferenza è stato quello della possibilità o meno dello svolgimento di indagini in loco da parte del Procuratore presso la Corte sul territorio di uno Stato: sul punto, lo Statuto si limita a prevedere l’ipotesi in cui lo Stato parte, per manifesta incapacità del proprio sistema giudiziario nazionale, non sia in grado di cooperare con la Corte ai sensi delle norme dello Statuto: in tal caso, la Camera preliminare potrà autorizzare il Procuratore a svolgere indagini direttamente in loco sul territorio dello Stato parte.

 

Vicende successive all’entrata in vigore dello Statuto

Come accennato, gli Stati Uniti d’America hanno comunicato al Segretario Generale delle Nazioni Unite il 6 maggio 2002 l’intenzione di non volere diventare Parte del Trattato. La posizione statunitense, determinata dal timore che l’attività della Corte possa essere strumentalizzata a fini politici e compromettere la posizione dei militari americani impegnati in missioni all’estero, ha avuto un primo effetto sulle decisioni relative alla prosecuzione della missione di pace ONU in Bosnia. Gli Stati Uniti hanno infatti prospettato la possibilità di porre il veto sulla prosecuzione qualora non fosse stato possibile raggiungere un accordo sull’estensione dell’ambito di operatività della Corte.

La vicenda si è conclusa il 12 luglio 2002, quando il Consiglio di sicurezza ha raggiunto un compromesso approvando all’unanimità la Risoluzione n. 1422, che, invocando l’art. 16 dello Statuto, esclude per un anno dalla giurisdizione della Corte i cittadini degli Stati che non sono Parte dello Statuto e che partecipano alle operazioni di peace-keeping dell’ONU. Il Consiglio di sicurezza si è nuovamente riunito per discutere della questione il 12 giugno 2003 e ha adottato la Risoluzione n. 1487, con la quale il termine previsto dalla precedente risoluzione è stato ulteriormente prorogato di 12 mesi a partire dal 1° luglio 2003.

L’Amministrazione statunitense avrebbero desiderato altre proroghe, ma l’emergere in Iraq della grave situazione del carcere di Abu Ghraib – gestito dalle autorità USA -, con documentate accuse di ripetuti maltrattamenti e sevizie sui prigionieri iracheni catturati dopo l’invasione del Paese mediorientale, non ha reso possibile nel 2004 continuare a posticipare l’avvio della piena applicazione dello Statuto di Roma.

Invocando l’art. 98 dello Statuto - che limita la possibilità della Corte di richiedere ad un Paese la consegna di una persona sospetta se lo Stato richiesto fosse costretto ad agire in contrasto ad obblighi derivanti da accordi internazionali - il Governo statunitense ha inoltre proposto la conclusione di intese bilaterali per impedire che militari americani possano essere estradati per essere giudicati dalla nuova Corte. L’iniziativa statunitense ha avuto una notevole rispondenza, e alla metà del 2005 risultavano stipulati almeno cento accordi di questo genere con altrettanti Paesi – senza dimenticare che non tutti gli accordi sono stati resi noti. Tra i firmatari figurano diversi Stati dell’Europa orientale, dell’Asia, dell’Africa, e dell’America centrale, nonché Paesi arabi come Egitto, Mauritania e Tunisia. Con una legge approvata dal Congresso nel 2003 (n.107/206 “American Service-members’ Protection Act) gli Stati Uniti hanno deciso di sospendere l’assistenza militare a quei Paesi che si sono rifiutati di stipulare un’intesa bilaterale per esentare i militari americani da eventuali processi dinanzi alla Corte penale internazionale.

Le proposte americane sono state rivolte anche ai partner europei e su questo tema il Parlamento europeo il 26 settembre 2002 ha adottato una risoluzione in merito, nella quale si è pronunciato contro la conclusione di accordi bilaterali con gli USA “che possano pregiudicare l’efficace attuazione dello Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale”, precisando che la firma di un tale accordo risulta incompatibile con l’appartenenza all’Unione europea.

La questione è stata successivamente dibattuta nel Consiglio dei Ministri degli esteri dei Paesi UE, riunitosi a Bruxelles il 30 settembre 2002, dove è stato raggiunto un accordo. La soluzione concordata dai Quindici ha evitato una rottura del fronte europeo nel contenzioso con gli USA. Sono stati quindi fissati alcuni principi-guida cui dovranno attenersi i Paesi nel concludere intese con gli Stati Uniti, al fine di tutelare la credibilità e l’integrità della Corte stessa. Si tratta di principi “irrinunciabili”, come il rispetto degli accordi esistenti, la garanzia di non impunità, nonché il fatto che qualsiasi soluzione debba riguardare cittadini di uno Stato che non è Parte dello Statuto e che si trovino sul territorio di un Paese europeo nello svolgimento di una missione o di un compito ufficiale per conto della propria Amministrazione.

Tali princìpi sono stati riaffermati dal Consiglio dell’Unione europea riunito a Lussemburgo il 16 giugno 2003. In tale occasione è stata adottata una nuova posizione comune sulla Corte penale internazionale, che mira a promuovere un appoggio universale a quest’ultima incoraggiando una partecipazione quanto più ampia possibile allo Statuto di Roma.

Il 25 giugno 2003, inoltre, i dieci Paesi che nel 2004 sarebbero entrati a far parte della UE, nonché la Bulgaria e la Romania, hanno sottoscritto una dichiarazione nella quale si impegnano ad uniformarsi alla posizione comune europea definita dal Consiglio affari generali. Nessun Paese membro ha concluso accordi bilaterali in materia di immunità con gli Stati Uniti. A sostegno della Corte e in contrapposizione agli accordi di esenzione proposti dagli Stati Uniti d’America si era espressa anche l’Assemblea parlamentare congiunta UE-ACP riunitasi a Brazzaville dal 31 marzo al 3 aprile 2003.

Il 25 settembre 2002 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato una risoluzione che esprime preoccupazione per il fatto che alcuni Stati abbiano deciso di attentare all’integrità dello Statuto della Corte penale internazionale sottoscrivendo accordi bilaterali diretti ad esentare il loro personale militare dalla giurisdizione della Corte. L’Assemblea ritiene che tali accordi (c.d. exemption agreements) siano inammissibili secondo il diritto internazionale, in particolare secondo la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che impone agli Stati membri di astenersi dal compiere atti incompatibili con l’oggetto e lo scopo di un trattato anche solo firmato. Dopo aver sollecitato l’adesione di tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa allo Statuto della Corte, l’Assemblea ha rivolto un appello diretto a Giappone, Israele e in particolare agli Stati Uniti (Paesi con status di osservatore), affinché procedessero alla ratifica dello Statuto. Nove mesi dopo, il 25 giugno 2003, è stata adottata una nuova risoluzione di condanna delle pressioni esercitate dagli USA per ottenere la firma di accordi di immunità nei confronti del personale impegnato in missioni militari all’estero.

L’11 marzo 2003 si è svolta all’Aja la cerimonia inaugurale della Corte, con l’insediamento ufficiale dei diciotto giudici, eletti dall’Assemblea delle Parti nella precedente sessione del 3-7 febbraio, tra cui l’italiano Mauro Politi. Presidente della Corte è stato nominato il giudice canadese Philippe Kirsch. L’avvocato argentino Luis Moreno Ocampo, nominato Procuratore Generale, ha prestato giuramento dinanzi alla Corte il 16 giugno 2003, all’inizio della seconda sessione plenaria conclusasi il 27 giugno.

I giudici si sono poi organizzati in Gruppi di lavoro per discutere varie questioni inerenti le loro funzioni, come le regole procedurali da seguire nelle diverse Camere della Corte e la predisposizione di un Codice deontologico (Code of Ethics). Particolare attenzione è stata dedicata anche al tema delle vittime dei reati e al loro ruolo nel procedimento.

Completate tutte le procedure relative alla nomina dei vari organismi in cui è strutturata, la Corte ha potuto quindi dirsi operativa, così come il suo staff permanente, inizialmente composto da 323 persone provenienti da 58 Paesi.

L’avvio dell’attività della Corte è stato lento, ma negli ultimi tempi il profilo dell’Istituzione è venuto più chiaramente in primo piano.

Nel periodo 2003-2005 tre Stati Parte (Uganda, Repubblica democratica del Congo e Repubblica Centrafricana) hanno deciso di rivolgersi al Procuratore generale della Corte in ordine a gravi crimini commessi sul proprio territorio. Il Consiglio di Sicurezza  dell’ONU, inoltre, ha deferito alla Corte la grave situazione del Darfur.

Nell’ottobre 2005 la Corte ha emesso cinque mandati di arresto contro altrettanti capi del Lord Resistance Army, da un ventennio impegnato nella guerriglia contro il governo ugandese nel nord del Paese, utilizzando metodi sanguinosi e ripugnanti: i mandati di arresto sono infatti stati basati su accuse di omicidio, mutilazioni, torture, stupri e rapimento di bambini per ridurli in schiavitù o indurli a combattere. I destinatari dei mandati di arresto sono anzitutto Joseph Kony, il fanatico leader del movimento di guerriglia, unitamente ad altri quattro dirigenti, tra i quali il vice di Kony, Vincent Otti. L’emissione dei mandati, tuttavia, non ha incontrato l’atteso unanime favore – ed è questo un profilo dell’attività della Corte che tornerà ancor più prepotentemente nelle vicende più recenti -, in quanto suscettibile di inasprire il conflitto proprio in un momento in cui sembrava imminente la resa di una parte dei guerriglieri, mentre esponenti religiosi nord-ugandesi, sia cristiani che musulmani, avevano in corso trattative per porre fine al sanguinoso contrasto politico.

Il 27 febbraio 2007 il procuratore della CPI, Luis Moreno Ocampo, ha chiesto alla Corte di emettere un mandato di comparizione per l’ex ministro dell’interno sudanese Haroun e per il comandante di una milizia conosciuto come Ali Kushayb, in relazione al conflitto nel Darfur, che da quattro anni provocava eccidi tra i civili e una catastrofe umanitaria di enormi proporzioni. i due esponenti sudanesi sono stati accusati di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. La reazione del governo di Khartoum ha evidenziato come la CPI non abbia giurisdizione su cittadini sudanesi, non avendo il Paese ratificato lo Statuto di Roma, e ha altresì minimizzato il bilancio delle vittime nel Darfur, che secondo Khartoum non avrebbe superato a quel momento la cifra di novemila persone – le principali fonti internazionali parlavano invece di circa duecentomila morti e di due milioni di profughi.

Il 24 maggio 2008 è stato imprigionato l’ex vicepresidente della Repubblica democratica del Congo Jean Pierre Bemba: questi tra il 2002 e il 2003 aveva fatto intervenire il proprio gruppo armato, Il Movimento di liberazione del Congo, nel conflitto allora in corso nella repubblica centrafricana. Nel corso dell’intervento appartenenti al MLC avevano commesso crimini contro l’umanità, consistenti soprattutto nell’organizzazione e nell’esecuzione di stupri di massa: dopo che la Repubblica centrafricana aveva riconosciuto l’impossibilità di perseguire gli autori degli stupri, era stata investita del caso la CPI, e di qui l’accusa contro Bemba e il suo arresto, avvenuto quando già si trovava in esilio dopo lo scontro politico e militare del 2007 con le fazioni congolesi legate al presidente Joseph Kabila.

Con l’arresto di Bemba il numero totale dei detenuti in base ad accuse formulate dal procuratore della CPI saliva a quattro, mentre dodici erano fino a quel momento i mandati di cattura emessi. Oltre a Bemba, tra gli arrestati figurava Thomas Lubanga Dyilo[8], presunto leader dell’Unione dei patrioti congolese, accusato di crimini di guerra in relazione all’arruolamento di bambini-soldato nel conflitto che aveva interessato nel 2002-2003 la Repubblica democratica del Congo. Completavano l’elenco degli arrestati altri due congolesi a capo di fazioni armate ribelli, incolpati di analoghi crimini perpetrati nel 2003 nella provincia nord-orientale dell’Ituri.

Senza alcun dubbio, tuttavia, l’iniziativa più clamorosa dall’inizio dell’attività della CPI è stata, alla metà di luglio del 2008, la richiesta di arresto del presidente sudanese Bashir con le accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Secondo il procuratore Ocampo, infatti, con il pretesto di combattere i movimenti di guerriglia nati nel Darfur dal malcontento per la posizione sempre più marginale del territorio e dei suoi abitanti, Bashir avrebbe pianificato e in buona parte realizzato un piano per l’annientamento quasi totale dei tre gruppi etnici darfuriani (Fur, Masalit e Zaghawa). In una prima fase le azioni degli emissari di Bashir, tanto regolari quanto miliziani, contro i civili del Darfur avrebbero condotto alla morte di decine di migliaia di persone, causando altresì la fuga di un gran numero di quelle risparmiate dalle scorrerie dei filogovernativi.

La prova più consistente per l’accusa di genocidio è stata tuttavia fornita da quanto verificatosi nella seconda fase del conflitto, quando gli sfollati sono stati sistematicamente attaccati persino nei campi profughi, ove del resto le condizioni miserrime di vita già si incaricavano di compiere una parte del massacro. La Procura della CPI ha messo al centro Bashir proprio in considerazione del carattere pervasivo e indiscusso del suo potere a tutti i livelli, che riconduce a lui ogni responsabilità, non ultima quella di aver garantito l’impunità dei suoi agenti per assicurarsi della loro efficacia e fedeltà.

La reazione di Khartoum è stata ancora una volta assai dura, misconoscendo qualsiasi atto della CPI: inoltre il Sudan ha espresso velate minacce sulla prosecuzione dei processi di pacificazione in corso nel Paese e sulle connesse presenze internazionali. A queste affermazioni ha replicato il Segretario generale dell’ONU Ban-Ki Moon,  chiedendo al Sudan di continuare a garantire la sicurezza del personale delle Nazioni Unite presente nel Paese. Il presidente Bashir ha inoltre compiuto con grande spiegamento di mezzi un viaggio proprio nel Darfur, come a smentire il quadro tracciato dai media internazionali e confermato dalle accuse della CPI. Bashir riceveva inoltre l’appoggio della Lega araba, insieme all’ipotesi – peraltro non accettata da Khartoum con entusiasmo - di istituire autonomamente, da parte del Sudan, speciali giurisdizioni per indagare su eventuali crimini nel Darfur, la cui attività potrebbe di per sé escludere la successiva competenza della CPI.

Il 4 marzo 2009 la CPI ha emesso un mandato di cattura per Bashir per i soli crimini di guerra e contro l’umanità, escludendo il genocidio. Conformemente allo Statuto di Roma, la Corte ha fatto appello alla Comunità internazionale – incluse le autorità sudanesi – per una pronta esecuzione del mandato.

La reazione di Bashir si è concretizzata in accuse, rivolte da suoi stretti collaboratori, di neocolonialismo da parte degli Stati occidentali, contrari a loro dire alla stabilità del Sudan: la Lega araba ha del pari espresso preoccupazione per la portata dell’iniziativa, preannunciando passi presso le Nazioni Unite per un posponimento di essa. Il 5 marzo dieci organizzazioni internazionali non governative presenti in Sudan, e accusate di cooperare con il progetto occidentale neocolonialista, sono state espulse, mentre Bashir ha rigettato le accuse di crimini contro l’umanità nel campo occidentale e sionista (con riferimento all’operazione israeliana nella striscia di Gaza dell’inizio del 2009), durante una manifestazione di solidarietà nei suoi confronti. Nei giorni successivi il presidente sudanese si è impegnato in una serie di visite ufficiali in paesi amici, per rinsaldare la propria immagine internazionale.

In questa circostanza, l’iniziativa della CPI è apparsa ad alcuni analisti fortemente condizionata dal potenziale di ricatto di cui si avvale il governo del Sudan, un paese nel quale agiscono numerose organizzazioni internazionali impegnate nel consolidamento dei processi di pace e, soprattutto, nella attività vitali di assistenza a milioni di profughi. Tale analisi è inoltre rafforzata dall’atteggiamento, ad esempio, della Lega araba che nel corso del suo XXI vertice svoltosi a Doha il 30 e 31 marzo scorsi ha reiterato in pieno l’appoggio a Bashir.

Precedenti iniziative parlamentari per l’adeguamento dell’ordinamento interno allo Statuto

Si segnala che la III Commissione della Camera, nella seduta del 29 aprile scorso, ha approvato una risoluzione, a firma Pianetta, che, nel più generale quadro dell’azione internazionale dell’Italia per la tutela e la promozione dei diritti umani, impegna il Governo a promuovere la presentazione di specifiche iniziative legislative riguardanti, tra l’altro, l'introduzione di una disciplina che perfezioni l'adeguamento del nostro ordinamento allo Statuto della Corte penale internazionale.

Un’altra risoluzione in materia (a prima firma Bernardini) era stata approvata dalla II Commissione lo scorso 4 febbraio; con tale atto di indirizzo si impegnava il Governo “a predisporre con la massima urgenza un disegno di legge di adeguamento interno delle norme dello Statuto di Roma, al fine di giungere al più presto all'adattamento dell'ordinamento giuridico italiano e sanare così un'inadempienza politicamente e giuridicamente molto rilevante che mette a rischio la credibilità del nostro paese e le aspirazioni dei candidati italiani a far parte della Corte”.

Con riferimento a tale atto di indirizzo, in una lettera trasmessa alla Camera il 22 aprile scorso da parte del Ministero della giustizia, il Governo condivide l’esigenza di un sollecito adeguamento dell’ordinamento italiano allo Statuto della Corte penale internazionale e informa che il disegno di legge, i cui tempi di predisposizione si sono rivelati più lunghi di quanto previsto  auspicato, è stato ultimato e trasmesso per la calendarizzazione al Consiglio dei ministri.


Contenuto delle proposte di legge

Disposizioni generali in tema di cooperazione con la Corte penale internazionale

Il Capo I di entrambe le proposte di legge contiene disposizioni generali. Di seguito si illustrano sinteticamente i punti di convergenza delle due proposte e si evidenziano le differenze, rinviando per l’esame puntuale al testo a fronte che segue.

 

§         Entrambe le proposte di legge affermano che la cooperazione con la Corte penale internazionale avviene sulla base delle disposizioni contenute nello Statuto della Corte stessa (reso esecutivo in Italia dalla legge n. 232 del 1999), anche se solo la pdl 1439 esplicita il limite del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento (art. 1, AC 1439 e AC 1782).

 

La sola p.d.l. AC 1782 fornisce inoltre una serie di definizioni utili alla comprensione del testo: da quella di “Statuto”, a quella di “Corte” e a quella di “regolamento di procedura e prova” (art. 2).

 

§         Entrambe le proposte attribuiscono al Ministro della giustizia il ruolo di autorità centrale per la cooperazione con la Corte penale internazionale (art. 2, AC 1439; art. 3, AC 1782). Spetta quindi al Ministro ricevere le relative richieste di cooperazione e dar seguito ad esse conformemente alle previsioni dello Statuto e previa intesa con i Ministri interessati (in particolare, con il Ministro della difesa per i reati commessi da militari italiani o in loro danno). Lo stesso Ministro stabilisce l’ordine di precedenza, nel caso di concorso di più domande di cooperazione provenienti dalla Corte penale internazionale e da uno o più Stati esteri.

 

Si segnala che, all’articolo 2, comma 2, della pdl 1439, probabilmente per un refuso, manca la congiunzione “e” tra le parole “provenienti dalla Corte penale internazionale” e le parole “da uno o più Stati membri”.

 

L’AC. 1782 precisa l’obbligo della forma scritta per le richieste di cooperazione della Corte e della relativa documentazione allegata, entrambe tradotte in lingua italiana; al contrario atti e documenti trasmessi alla corte in risposta ad una richiesta di cooperazione sono accompagnati da una traduzione in una delle lingue di lavoro della corte (art. 4).

 

 

§         Se il Ministro è l’autorità di riferimento dal punto di vista politico e amministrativo, la corte d’appello di Roma concentra su di sé le competenze giudiziarie; le richieste formulate dalla Corte penale internazionale sono, infatti, trasmesse dal Ministro al procuratore generale presso la corte d’appello di Roma. A tali autorità giudiziarie vanno sostituite le corrispondenti autorità giudiziarie militari (il PG presso la corte d’appello militare di Roma, la corte d’appello militare di Roma e il suo presidente) se la richiesta di collaborazione riguarda reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali ai sensi del codice penale militare di pace (cfr. art. 22, AC 1439 e art. 5, AC 1782).

 

Testo a fronte

AC 1439 (Melchiorre e al.)

AC 1782 (Di Pietro e al.)

 

 

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI IN MATERIA DI COOPERAZIONE

Art. 1.

Art. 1.

(Obbligo di cooperazione).

(Disposizioni di principio).

1. Lo Stato italiano coopera con la Corte penale internazionale conformemente alle disposizioni dello statuto della medesima Corte, reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 232, di seguito denominato «statuto», e della presente legge, nel rispetto dei princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano.

1. La presente legge reca norme per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni relative agli obblighi di cooperazione con la Corte penale internazionale, contenuti nello Statuto istitutivo della medesima Corte adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998, e reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 232.

 

 

 

Art. 2.

 

(Definizioni)

 

1. Ai fini della presente legge si intende:

a) per «Statuto», lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998;

b) per «cooperazione con la Corte penale internazionale», la cooperazione internazionale e l'assistenza giudiziaria, previste nel capitolo IX dello Statuto, nonché l'esecuzione dei provvedimenti emessi dalla Corte penale internazionale, prevista nel capitolo X dello Statuto;

c) per «Corte», ove non diversamente stabilito, la Corte penale internazionale istituita con lo Statuto;

d) per «regolamento di procedura e prova», il testo delle regole procedurali e di ammissibilità delle prove adottato dall'Assemblea degli Stati parte ai sensi dell'articolo 51 dello Statuto.

 

 

Art. 2.

Art. 3.

(Attribuzioni del Ministro della giustizia).

(Attribuzioni del Ministro della giustizia).

1. Il Ministro della giustizia cura i rapporti di cooperazione con la Corte penale internazionale previa intesa, ove occorra, con i Ministri interessati, nell'ambito delle rispettive attribuzioni. Riceve le richieste provenienti dalla Corte, vi dà seguito e presenta ad essa atti e richieste.

1. Il Ministro della giustizia cura i rapporti di cooperazione con la Corte previa intesa, se necessario, con i Ministri interessati, nell'ambito delle rispettive attribuzioni. Il Ministro della giustizia riceve le richieste provenienti dalla Corte, vi dà seguito e trasmette immediatamente ad essa atti e richieste, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 94 dello Statuto.

2. Nel caso di concorso di più domande di cooperazione provenienti dalla Corte penale internazionale da uno o più Stati esteri, il Ministro della giustizia ne stabilisce l'ordine di precedenza, in applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 90 e 93, paragrafo 3, dello statuto.

2. Nel caso di concorso di più domande di cooperazione provenienti dalla Corte e da uno o più Stati esteri, relative al medesimo fatto, anche se diversamente qualificato, ovvero a reati connessi ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale e concernenti la stessa persona, il Ministro della giustizia ne stabilisce l'ordine di precedenza, ai sensi delle disposizioni contenute agli articoli 90 e 93, paragrafo 3, dello Statuto.

3. Il Ministro della giustizia, nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che sia rispettato il carattere riservato delle medesime e che l'esecuzione avvenga nei tempi e con le modalità dovuti.

 

 

3. Quando sorgono difficoltà nell'esecuzione di una richiesta di cooperazione il Ministro della giustizia ne informa tempestivamente la Corte.

4. Il Ministro della giustizia acquisisce il consenso di uno Stato estero quando esso è necessario per provvedere all'esecuzione di una richiesta della Corte.

5. Il Ministro della giustizia trasmette, per l'esecuzione, le richieste formulate dalla Corte al procuratore generale presso la corte di appello di Roma.

 

 

Art. 3.

Art. 4.

(Norme applicabili).

(Norme applicabili).

1. In materia di consegna, di cooperazione e di esecuzione di pene si osservano, se non diversamente disposto dalla presente legge e dallo statuto, le norme contenute nel libro undicesimo, titoli II, III e IV, del codice di procedura penale.

1. La cooperazione con la Corte è assicurata nel rispetto delle disposizioni dello Statuto e della presente legge e, ove richiamate dallo Statuto, delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato italiano. In materia di consegna, di assistenza giudiziaria con la Corte e di esecuzione delle pene si osservano, in quanto compatibili, le norme contenute nel libro undicesimo, titoli II, III e IV, del codice di procedura penale.

2. Per il compimento degli atti di cooperazione richiesti si applicano le norme del codice di procedura penale, fatta salva l'osservanza delle forme espressamente richieste dalla Corte penale internazionale che non siano contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano.

2. Per l'esecuzione degli atti richiesti dalla Corte si applicano le norme del codice di procedura penale, fatta salva l'osservanza di modalità e di forme espressamente richieste dalla Corte che non siano contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato italiano.

 

3. Il Ministro della giustizia, sentito il Ministro della difesa quando la Corte procede per reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali o in danno di militari italiani in servizio o considerati tali, può concordare con la Corte le modalità di esercizio dei poteri e delle funzioni che la stessa intende esercitare o svolgere nel territorio dello Stato italiano nonché le modalità di esercizio dell'attività investigativa.

 

4. Le richieste della Corte sono redatte in forma scritta in conformità a quanto previsto dall'articolo 87, paragrafo 2, dello Statuto. Le richieste e la documentazione allegata sono accompagnate da una traduzione nella lingua italiana.

5. Gli atti e i documenti trasmessi alla Corte in esecuzione di una richiesta di cooperazione sono accompagnati da una traduzione in una delle lingue di lavoro della medesima Corte.

 

 

Art. 22

Art. 5

(Disposizione finale).

(Competenze dell’autorità giudiziaria militare).

1. Ai fini di cui alla presente legge si applicano le disposizioni vigenti in materia di riparto tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione penale militare.

 

2. Per i fatti rientranti nella giurisdizione penale militare, le funzioni degli uffici giudiziari previste dalla presente legge sono esercitate dai corrispondenti uffici giudiziari militari.

3. Limitatamente ai fatti di cui al comma 2, le funzioni previste dalla presente legge in capo al Ministro della giustizia sono esercitate d'intesa con il Ministro della difesa. Resta salva la competenza esclusiva del Ministero della difesa per quanto attiene all'ordinamento penitenziario militare.

1. Per i reati militari commessi da militari italiani in servizio o considerati tali le funzioni conferite dalla presente legge alla corte di appello di Roma, al presidente della corte di appello di Roma e al procuratore generale presso la corte di appello di Roma sono attribuite, rispettivamente, alla corte militare di appello, al presidente della corte militare di appello e al procuratore generale presso la corte militare di appello di Roma.

 

 

Modalità di esecuzione della cooperazione

La sola proposta di legge AC 1782 definisce (art. 19) il contenuto della richiesta di cooperazione che perviene dalla Corte penale internazionale. In particolare, tale richiesta dovrà contenere:

-               l’esposizione sommaria dei fatti sui quali si fonda la richiesta e la qualificazione giuridica del reato per il quale la Corte procede;

-               gli elementi utili all’identificazione della persona nei cui confronti si procede;

-               l’indicazione dell’oggetto e dei motivi della cooperazione.

Se tali elementi non sono presenti, la Corte di appello di Roma potrà chiedere alla Corte internazionale di integrare la propria richiesta.

 

Occorre valutare la necessità di tale disposizione, posto che lo Statuto già definisce il contenuto della richiesta rispettivamente di arresto e consegna (art. 91) e vertente su altre forme di cooperazione (art. 96).

 

Con norme in parte di contenuto identico entrambe le proposte di legge disciplinano le modalità di esecuzione della cooperazione con la Corte penale internazionale, prevedendo:

 

§      che la corte d’appello di Roma dia corso alla richiesta formulata dalla Corte internazionale con decreto, delegando un giudice all’attuazione; la possibile presenza e partecipazione dei giudici e del procuratore della corte penale internazionale sul luogo di esecuzione degli atti richiesti; l’eventuale accompagnamento coattivo di testimoni e periti non comparsi; l’assistenza del procuratore generale della corte d’appello al Procuratore della corte penale internazionale (art. 4, AC 1439 e art. 14, AC 1782);

 

§      che la trasmissione di atti e documenti riservati, provenienti da Stato estero, alla Corte penale internazione possa essere effettuata solo con il consenso dello Stato estero interessato; che quando si tratti di atti giudicati dal Ministro idonei a compromettere la sicurezza nazionale, la trasmissione sia sospesa; che l’autorità giudiziaria italiana possa cooperare con la Corte internazionale anche trasmettendo – attraverso il Ministro della giustizia – atti e documenti relativi a procedimenti penali, coperti dal segreto istruttorio (art. 5, AC 1439 e art. 15, AC 1782).

 

Si segnala che l’articolo 93, comma 4, dello Statuto prevede che lo Stato possa respingere una richiesta di assistenza nel solo caso in cui essa verta sulla produzione di documenti o sulla divulgazione di elementi probatori relativi alla sua sicurezza o difesa nazionale.

 

§      che laddove debba essere presente in Italia un testimone o un imputato, in esecuzione di una richiesta di assistenza della Corte penale internazionale, lo stesso non possa essere sottoposto a qualsivoglia restrizione della libertà personale per fatti antecedenti l’ingresso nel territorio italiano. Tale immunità temporanea cessa se la persona permane in Italia trascorsi 15 giorni dal momento in cui era richiesta la sua presenza, ovvero da quando egli, pur uscito dal paese, vi abbia fatto volontario ritorno (art. 6, AC 1439 e art. 20, AC 178);

 

§      che anche la persona nei cui confronti la Corte penale internazionale procede può accedere al patrocinio a spese dello Stato nelle procedure di esecuzione di richiesta della Corte (art. 7, AC 1439; art. 21, AC 1782);

 

§      che quando sia l’autorità giudiziaria italiana a dover formulare richieste alla Corte internazionale (ex art. 93, par. 10 dello statuto) lo faccia per il tramite del procuratore generale presso la corte d’appello di Roma, che si rivolgerà a sua volta al Ministro della giustizia. Se il Ministro non provvede alla rogatoria internazionale entro 30 giorni il PG presso la corte d’appello può trasmettere direttamente la richiesta alla Corte internazionale, informando il ministro (art. 8, AC 1439; art. 23, AC 1782);

 

§      che il procuratore generale presso la corte d’appello di Roma possa partecipare, se richiesto, alle consultazioni con la Corte penale internazionale previste dallo Statuto (art. 9, AC 1439; art. 24, AC 1782).

 

A questa disciplina comune, si aggiungono ulteriori disposizioni dettate dalla sola proposta di legge AC. 1782, che incidono su forme di cooperazione ulteriori rispetto all’arresto e alla consegna, previste dall’articolo 93 dello Statuto Si tratta:

§      della possibile applicazione di misure cautelari reali, a seguito di espressa richiesta della Corte internazionale, ovvero – in caso di urgenza – per iniziativa dell’autorità italiana cui dovrà seguire la richiesta della Corte (art. 16);

§      della previsione di un trasferimento alla Corte internazionale anche dei beni e documenti sequestrati in Italia a scopo di prova, salvo rinvio della consegna, in ogni caso previa consultazione della Corte, se tali oggetti sono necessari nel nostro Paese per un procedimento pendente (art. 17);

§      della possibile devoluzione dei beni sequestrati a scopo di confisca al Fondo di garanzia per le vittime, previsto dall’art. 79 dello Statuto della Corte penale internazionale (art. 18);

§      della possibilità di accordare nel nostro Paese – previa richiesta della Corte internazionale - protezione alle vittime, ai testimoni o ai loro congiunti. A tal fine il Ministro della giustizia dovrà attivare il Ministro dell’interno che applicherà ai soggetti individuati le norme italiane a protezione dei collaboratori di giustizia (cfr. decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8[9]) (art. 22).

 

Testo a fronte

AC 1439 (Melchiorre e al.)

AC 1782 (Di Pietro e al.)

 

 

Art. 4.

Art. 14.

(Modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria).

(Modalità di esecuzione dell'assistenza giudiziaria).

1. Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole per l'esecuzione al procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, salvo quanto previsto dal comma 7.

 

2. Qualora la richiesta abbia per oggetto un'attività di indagine o di acquisizione di prove, il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma chiede alla medesima corte di dare esecuzione alla richiesta.

1. Se la richiesta della Corte ha per oggetto un'attività di indagine o di acquisizione di prove, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma chiede alla stessa corte di dare esecuzione alla medesima.

3. La corte d'appello di Roma, ove ne ricorrano le condizioni, dà esecuzione alla richiesta con decreto con il quale delega un proprio componente ovvero il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono essere compiuti.

2. La corte di appello di Roma, ove ne ricorrano le condizioni, dà esecuzione alla richiesta con decreto con il quale delega un proprio componente ovvero il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono essere compiuti.

4. Se la Corte penale internazionale ne ha fatto domanda, l'autorità giudiziaria comunica la data e il luogo di esecuzione degli atti richiesti. I giudici e il Procuratore della Corte penale internazionale sono ammessi a presenziare all'esecuzione degli atti e possono proporre domande e suggerire modalità esecutive.

3. Se la Corte ne ha fatto domanda, l'autorità giudiziaria comunica la data e il luogo di esecuzione degli atti richiesti. I giudici e il procuratore generale presso la Corte sono ammessi a presenziare all'esecuzione degli atti e possono proporre domande e suggerire modalità esecutive.

5. Le citazioni e le altre notificazioni richieste dalla Corte penale internazionale sono trasmesse al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui devono essere eseguite, il quale provvede senza ritardo.

4. Le citazioni e le altre notificazioni richieste dalla Corte sono trasmesse dal procuratore generale presso la corte di appello di Roma al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui esse devono essere eseguite, il quale provvede senza ritardo.

6. Se la Corte penale internazionale ne fa richiesta, è disposto l'accompagnamento coattivo davanti ad essa del testimone, del perito o del consulente tecnico, i quali, sebbene citati, non sono comparsi. Le spese di accompagnamento sono poste a carico dello Stato.

5. Se la Corte ne fa richiesta, è disposto l'accompagnamento coattivo davanti ad essa del testimone, del perito o del consulente tecnico, quando, sebbene citati, non sono comparsi. Le spese di accompagnamento sono poste a carico dello Stato italiano.

7. Nei casi indicati dall'articolo 99, paragrafo 4, dello statuto, il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma assiste il Procuratore della Corte penale internazionale nello svolgimento dell'attività da eseguire nel territorio dello Stato.

6. Nei casi indicati dall'articolo 99, paragrafo 4, dello Statuto, il procuratore generale può assistere il procuratore generale presso la Corte nello svolgimento dell'attività da eseguire nel territorio dello Stato.

 

 

Art. 5.

Art. 15

(Trasmissione di atti e documenti).

(Trasmissione di atti e documenti).

1. Senza il consenso dello Stato da cui provengono non possono essere trasmessi alla Corte penale internazionale atti o documenti riservati che sono stati acquisiti all'estero. Resta salva l'applicazione dell'articolo 73 dello statuto.

1. Senza il consenso dello Stato da cui provengono non possono essere trasmessi alla Corte atti o documenti riservati che sono stati acquisiti all'estero. Resta salva l'applicazione dell'articolo 73 dello Statuto.

2. Qualora il Ministro della giustizia, previa intesa con i Ministeri interessati, abbia motivo di ritenere che la consegna di determinati atti o documenti possa compromettere la sicurezza nazionale, la trasmissione è sospesa. In tale caso si procede alle consultazioni stabilite dall'articolo 72 dello statuto.

2. Qualora il Ministro della giustizia, previa intesa con i Ministri interessati, abbia motivo di ritenere che la consegna di determinati atti o documenti possa compromettere la sicurezza nazionale la trasmissione è sospesa. In tale caso si procede alle consultazioni previste dall'articolo 72 dello Statuto.

3. Fermo restando quanto disposto dal comma 2, l'autorità giudiziaria, al fine di dare esecuzione alle richieste della Corte penale internazionale, trasmette al Ministro della giustizia, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto.

3. Fermo restando quanto disposto dal comma 2 del presente articolo, l'autorità giudiziaria, al fine di dare esecuzione alle richieste della Corte, trasmette al Ministro della giustizia, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto. L'autorità giudiziaria può sollecitare il Ministro ad esercitare i poteri di cui all'articolo 4, comma 3.

4. I documenti inviati a sostegno della richiesta di cooperazione non possono essere utilizzati nell'ambito di altri procedimenti senza il consenso della Corte penale internazionale.

4. I documenti inviati a sostegno della richiesta di assistenza non possono essere utilizzati nell'ambito di altri procedimenti senza il consenso della Corte.

 

 

 

Art. 16.

 

(Misure cautelari reali)

 

1. Su richiesta della Corte possono essere applicate le misure cautelari di cui al titolo II del libro quarto del codice di procedura penale.

2. Qualora vi sia pericolo nel ritardo, le misure cautelari di cui al comma 1 possono essere applicate anche prima che la richiesta della Corte sia pervenuta. Le misure cautelari reali sono revocate se la Corte non presenta la richiesta entro il termine fissato dalla corte di appello di Roma.

 

 

 

Art. 17.

 

(Consegna dei mezzi di prova).

 

1. Se la Corte ne fa richiesta, gli oggetti, i documenti o i beni sequestrati a scopo di prova, nonché gli atti e le decisioni dell'autorità giudiziaria italiana sono messi a sua disposizione.

2. Previa consultazione con la Corte, la consegna può essere rinviata quando gli oggetti, i documenti o i beni sequestrati sono necessari per un procedimento penale pendente in Italia.

 

 

 

Art. 18.

 

(Consegna a scopo di confisca, di devoluzione al Fondo di garanzia per le vittime o di restituzione).

 

1. Su richiesta della Corte, gli oggetti o i beni oggetto di sequestro possono esserle in ogni momento consegnati a scopo di confisca o di devoluzione al Fondo di garanzia per le vittime di cui all'articolo 79 dello Statuto o di restituzione.

2. Gli oggetti e i beni sono sottoposti a sequestro fino al momento in cui sono consegnati alla Corte o fino a quando quest'ultima comunica alla corte di appello di Roma di voler rinunciare alla consegna.

 

 

 

Art. 19.

 

(Contenuto della richiesta)

 

1. La richiesta di assistenza formulata dalla Corte contiene:

a) la relazione con la esposizione sommaria dei fatti essenziali sui quali si fonda la richiesta di cooperazione e la qualificazione giuridica del reato;

b) i dati per l'identificazione della persona nei cui confronti la Corte procede;

c) la relazione sommaria sull'oggetto e sui motivi della richiesta di cooperazione;

d) ove possibile, informazioni circostanziate sulle persone o sui luoghi che devono essere identificati o localizzati affinché possa essere fornita la cooperazione richiesta;

e) se del caso, informazioni circostanziate e motivate sulle procedure e sulle condizioni da rispettare.

2. Se una richiesta non soddisfa le esigenze di cui al comma 1 la corte di appello di Roma chiede alla Corte informazioni integrative o supplementari.

 

 

Art. 6.

Art. 20

(Immunità temporanea nel territorio dello Stato).

(Immunità temporanea nel territorio dello Stato italiano).

1. Nel caso in cui, in esecuzione della richiesta di cooperazione della Corte penale internazionale, è prevista per il compimento di un atto la presenza nel territorio dello Stato di un testimone o di un imputato che si trova all'estero, lo stesso non può essere sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettato ad altre misure restrittive della libertà personale per fatti anteriori all'ingresso nel territorio dello Stato.

1. Nel caso in cui, in esecuzione della richiesta di assistenza della Corte, sia prevista per il compimento di un atto la presenza nel territorio dello Stato italiano di un testimone o di un imputato, lo stesso non può essere sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettato ad altre misure restrittive della libertà personale per fatti anteriori all'ingresso nel territorio dello Stato.

2. L'immunità prevista dal comma 1 cessa qualora la persona in questione, avendone avuto la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato italiano decorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria italiana ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno.

2. L'immunità prevista dal comma 1 cessa qualora la persona, avendone avuto la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato italiano decorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria italiana ovvero, avendolo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno.

 

 

Art. 7.

Art. 21.

(Patrocinio a spese dello Stato).

(Patrocinio a spese dello Stato).

1. Le disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato si applicano anche alle procedure di esecuzione di richiesta della Corte penale internazionale da adempiere sul territorio dello Stato, in favore della persona nei cui confronti la Corte procede.

1. Le disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato si applicano anche alle procedure di esecuzione di richiesta della Corte da adempiere nel territorio dello Stato, in favore della persona nei cui confronti la Corte procede.

 

 

 

Art. 22.

 

(Collaborazione in materia di protezione di vittime, testimoni e loro congiunti).

 

1. Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste di collaborazione che la Corte formula ai sensi dell'articolo 68 dello Statuto per la protezione di vittime, testimoni e loro congiunti, trasmettendo le stesse al Ministro dell'interno.

2. Nei confronti delle persone indicate al comma 1 si applicano le misure di protezione e di assistenza previste dalla legge.

 

 

Art. 8.

Art. 23.

(Richieste alla Corte penale internazionale).

(Richieste alla Corte).

1. Quando l'autorità giudiziaria deve formulare alla Corte penale internazionale le richieste previste nell'articolo 93, paragrafo 10, dello statuto, le invia al procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, che le trasmette al Ministro della giustizia per l'inoltro alla Corte penale internazionale. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del capo II del titolo III del libro undicesimo del codice di procedura penale.

1. Quando l'autorità giudiziaria deve formulare alla Corte le richieste previste dall'articolo 93, paragrafo 10, dello Statuto, le invia al procuratore generale presso la corte di appello di Roma, che le trasmette al Ministro della giustizia per l'inoltro alla Corte. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del capo II del titolo III del libro undicesimo del codice di procedura penale.

2. Nel caso previsto dall'articolo 727, comma 4, del codice di procedura penale, il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma trasmette direttamente la richiesta alla Corte penale internazionale, informandone il Ministro della giustizia.

2. Nel caso previsto dall'articolo 727, comma 4, del codice di procedura penale, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma trasmette direttamente la richiesta alla Corte, informandone il Ministro della giustizia.

 

 

Art. 9.

Art. 24.

(Partecipazione del procuratore generale presso la corte d'appello di Roma e del procuratore generale militare presso la corte militare d'appello alle consultazioni con la Corte penale internazionale).

(Partecipazione del procuratore generale presso la corte di appello di Roma alle consultazioni con la Corte).

1. Il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma e il procuratore generale militare presso la corte militare d'appello assistono, se richiesti, alle consultazioni con la Corte penale internazionale previste dallo statuto

1. Il procuratore generale presso la corte di appello di Roma partecipa, se richiesto, alle consultazioni con la Corte previste dallo Statuto. A tali consultazioni partecipa, se richiesto, anche il procuratore generale militare presso la corte di appello di Roma nei casi di reati commessi da militari italiani, o considerati tali, ovvero commessi in danno degli stessi.

 

Consegna di persone alla Corte penale internazionale

Il Capo II di entrambe le proposte di legge è dedicato alla consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovino sul territorio italiano.

Di seguito si illustrano sinteticamente i punti di convergenza delle due proposte e si evidenziano le differenze, rinviando per l’analisi puntuale al testo a fronte che segue:

 

§         se la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto (ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva) a carico di una persona che si trovi sul territorio italiano, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma chiede alla stessa Corte d’appello l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere; la Corte d’appello provvede con ordinanza ricorribile in Cassazione. Eseguita la misura, entro 5 giorni, il presidente della Corte di appello identifica la persona e verifica il suo consenso alla consegna alla Corte penale internazionale (si applicano le disposizioni previste dal codice di procedura penale per l’estradizione) (cfr. art. 10, AC 1439 e art. 6, AC 1782). La misura della custodia cautelare è revocata se:

-         dall’inizio dell’esecuzione è trascorso un anno senza che la Corte di appello si sia pronunciata;

-         la Corte d’appello si è pronunciata negando la consegna;

-         sono trascorsi 45 giorni dal consenso dell’interessato alla consegna e il Ministro della giustizia non ha ancora emesso il decreto per realizzare la consegna;

-         sono trascorsi 15 giorni dalla data fissata per la consegna e questa non è avvenuta.

 

§         Entrambe le proposte di legge (cfr. art. 13, AC 1439; art. 12, AC 1782) prevedono che la misura della custodia cautelare in carcere possa essere disposta provvisoriamente, anche prima che pervenga dalla Corte internazionale la richiesta di consegna, purché la stessa Corte abbia fornito elementi idonei a identificare con certezza la persona e abbia annunciato l’intenzione di richiederne la consegna. La custodia cautelare disposta in Italia sarà revocata se entro 60 giorni la Corte internazionale non richiederà la consegna.

 

L’AC. 1782 prevede (art. 13) che in queste ipotesi possa procedere all’arresto anche la polizia giudiziaria. La persona arrestata dovrà essere messa a disposizione (entro 24 ore) della corte di appello del distretto in cui è avvenuto l’arresto, informando il Ministro della giustizia. L’arresto dovrà essere convalidato entro 48 ore con applicazione della misura cautelare coercitiva. Tutti i provvedimenti saranno poi trasmessi alla Corte di appello di Roma.

 

§         Per realizzare la consegna è necessario il consenso dell’interessato ovvero una pronuncia favorevole della Corte di appello, previa istanza del procuratore generale presso la medesima Corte. La Corte d’appello può negare la consegna nelle seguenti ipotesi: la Corte penale internazionale non ha emesso una sentenza irrevocabile di condanna né un provvedimento restrittivo della libertà personale; non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna; per lo stesso fatto e la stessa persona è stata pronunciata in Italia una sentenza irrevocabile, fatta salva l’applicazione dell’art. 89, par. 2, dello Statuto, relativo alla procedura applicabile se la persona ricorre dinanzi al giudice nazionale sulla base del principio del ne bis in idem (cfr. art. 12, AC 1439; art. 8, AC 1782).

L’AC 1439 prevede che la consegna possa essere negata anche se il fatto in relazione al quale la consegna è richiesta non è compreso nella giurisdizione della Corte penale internazionale, a patto che la consegna non debba far seguito ad una sentenza definitiva della Corte stessa. Nel caso in cui venga eccepito il difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale, la Corte d’appello di Roma dovrà sospendere il procedimento in attesa di una pronuncia della medesima Corte penale.

 

La relazione illustrativa dell’AC 1782 si sofferma sulla mancata considerazione come motivo di rifiuto della consegna il fatto che il reato per il quale essa è stata richiesta non è compreso nella giurisdizione della Corte penale internazionale. Essa spiega che si è “inteso superare una formulazione che avrebbe avuto il significato di ingiustificate diffidenza e resistenza verso gli obblighi di cooperazione con la Corte, laddove - come detto in premessa - dal sistema complessivo dello Statuto emerge che deve prevalere la decisione della Corte sulla propria giurisdizione e non quella negativa dell'autorità giudiziaria nazionale, cui è stata avanzata la richiesta di consegna”

 

§         Tanto nell’ipotesi di consenso dell’interessato, quanto in quella di favorevole pronuncia della Corte d’appello di Roma (avverso la cui decisione è esperibile il ricorso per cassazione anche per il merito), spetta al Ministro della giustizia – con proprio decreto - provvedere entro 45 giorni alla consegna, prendendo accordi con la Corte penale internazionale sul tempo, il luogo e le concrete modalità.

L’AC. 1782 aggiunge (art. 8) che il provvedimento di consegna perde efficacia se la Corte penale internazionale non prende in consegna la persona richiesta nel termine fissato, comunque non superiore a 40 giorni. Sulla base della relazione illustrativa tale termine sembrerebbe essere concordato fra il Ministro della giustizia e la Corte.

 

Con riferimento alla fissazione di un termine per la presa in consegna da parte della Corte della persona richiesta, occorre un chiarimento circa le modalità di fissazione di tale termine e il relativo dies a quo.

 

La stessa proposta di legge disciplina l’ipotesi in cui cause di forza maggiore, ovvero circostanze urgenti ed eccezionali determinino la sospensione della procedura di consegna. Il Ministro della giustizia dovrà tempestivamente comunicare l’accaduto alla Corte penale internazionale e quindi concordare una nuova data. Infine, l’AC 1782 dispone che laddove il decreto con il quale il Ministro della giustizia dispone la consegna sia impugnato davanti al giudice amministrativo, il ricorso dovrà essere deciso applicando la procedura accelerata di cui all’articolo 23-bis della legge sui TAR[10].

 

Il solo AC. 1782 disciplina inoltre il rinvio della consegna o consegna temporanea (art. 9) e il transito sul territorio italiano di persona che un altro Stato consegni alla Corte penale internazionale (art. 10). In sintesi:

§         la consegna può essere rinviata dal Ministro della giustizia se la persona richiesta dalla Corte penale internazionale deve essere sottoposta a procedimento penale in Italia o deve espiare una pena in Italia. Il Ministro della giustizia, sentita la Corte internazionale e l’autorità giudiziaria italiana procedente, potrà comunque disporre una consegna temporanea. Sul punto, si segnala che, in termini generali, l’art. 94 dello Statuto prevede il differimento dell’esecuzione delle richieste soltanto in presenza di accordo tra lo Stato e la Corte penale;

§         anche le richieste di transito (ad eccezione del transito per via aerea e senza scalo) dovranno essere trasmesse al Ministro della giustizia; laddove la persona non abbia acconsentito al transito, dovrà pronunciarsi anche la corte di appello di Roma. Se la persona in consegna è un cittadino italiano o residente in Italia e la consegna è finalizzata all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva, il Ministro della giustizia può negare il transito.

 

Con riferimento all’articolo 10, comma 6, che attribuisce al Ministro della giustizia il potere di rifiutare la richiesta di transito del cittadino italiano o della persona residente in Italia, occorre un chiarimento circa il coordinamento tra tale potere e la competenza della Corte d’appello a decidere sul medesimo. Peraltro, si ricorda che l’articolo 89 dello Statuto limita il diniego dell’autorizzazione al caso in cui il transito attraverso lo Stato cui è indirizzata la richiesta ritarderebbe la consegna.

 

L’art. 11 dell’AC 1782 afferma il principio di specialità della consegna: in sintesi, la consegna del soggetto alla Corte è autorizzata esclusivamente in relazione al fatto per cui si procede. Il Ministro della giustizia potrà chiedere dunque che quel medesimo soggetto non venga assoggettato a misure restrittive per fatti anteriori alla consegna e diversi da quello per il quale la consegna è stata concessa (o estesa).

 

Testo a fronte

AC 1439 (Melchiorre e al.)

AC 1782 (Di Pietro e al.)

 

 

Capo II
CONSEGNA

Capo II
CONSEGNA DI PERSONE ALLA CORTE

Art. 10.

Art. 6

(Applicazione della misura cautelare ai fini della consegna).

(Applicazione della misura cautelare ai fini della consegna).

1. Quando la richiesta della Corte penale internazionale ha per oggetto la consegna di una persona nei confronti della quale è stato emesso un mandato di arresto ai sensi dell'articolo 58 dello statuto ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva, il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma, ricevuti gli atti, chiede alla corte d'appello l'applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna.

1. Quando la richiesta della Corte ha per oggetto la consegna di una persona nei confronti della quale è stato emesso un mandato d'arresto ai sensi degli articoli 58 e 91 dello Statuto ovvero è stata emessa una sentenza di condanna a pena detentiva, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma, ricevuti gli atti, chiede alla corte di appello di Roma l'applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna.

2. La corte d'appello di Roma provvede con ordinanza, contro cui è ammesso ricorso per cassazione.

2. Ai fini di cui al comma 1, la corte di appello di Roma provvede con ordinanza, contro cui è ammesso ricorso per cassazione.

3. La Corte penale internazionale è informata di ogni richiesta formulata dalla persona nei cui confronti è stata eseguita la misura, ai sensi dell'articolo 59, paragrafo 4, dello statuto.

3. La Corte è informata di ogni richiesta formulata dalla persona nei cui confronti è stata eseguita la misura della custodia cautelare, ai sensi dell'articolo 59, paragrafo 5, dello Statuto.

4. Il presidente della corte d'appello di Roma, al più presto e comunque entro cinque giorni dall'esecuzione della misura, provvede all'identificazione della persona e ne raccoglie l'eventuale consenso alla consegna, facendone menzione nel verbale. Il verbale che documenta il consenso è trasmesso al procuratore generale presso la medesima corte per l'ulteriore inoltro al Ministro della giustizia. Si applica l'articolo 717, comma 2, del codice di procedura penale.

4. Il presidente della corte di appello di Roma, al più presto e comunque entro cinque giorni dall'esecuzione della misura della custodia cautelare, provvede all'identificazione della persona e ne raccoglie l'eventuale consenso alla consegna, facendone menzione nel verbale. Il verbale che documenta il consenso è trasmesso al procuratore generale presso la medesima corte di appello che provvede a inoltrarlo al Ministro della giustizia. Si applica l'articolo 717, comma 2, del codice di procedura penale.

 

 

Art. 11.

Art. 7

(Revoca della misura cautelare ai fini della consegna).

(Revoca della misura cautelare ai fini della consegna).

1. La misura cautelare è sempre revocata:

1. La misura cautelare è revocata:

a) se dall'inizio della sua esecuzione sono decorsi i termini di cui all'articolo 714, comma 4, del codice di procedura penale senza che la corte d'appello di Roma si sia pronunciata sulla richiesta di consegna;

a) se dall'inizio della sua esecuzione sono decorsi i termini di cui all'articolo 714, comma 4, del codice di procedura penale, senza che la corte di appello di Roma si sia pronunciata sulla richiesta di consegna;

b) se la corte d'appello di Roma abbia pronunciato sentenza contraria alla consegna;

b) se la corte di appello di Roma ha pronunciato sentenza contraria alla consegna;

c) se è decorso il termine indicato nell'articolo 12, comma 7, senza che il Ministro della giustizia abbia emesso il decreto con cui è disposta la consegna;

c) se è decorso il termine indicato dall'articolo 8, comma 5, senza che il Ministro della giustizia abbia emesso il decreto con cui è disposta la consegna;

d) se sono decorsi quindici giorni dalla data fissata per la presa in consegna da parte della Corte penale internazionale, senza che questa sia avvenuta. Il termine per la consegna può essere prorogato su richiesta della medesima Corte, nei limiti temporali indicati nella lettera a).

d) se sono decorsi quindici giorni dalla data fissata per la presa in consegna da parte della Corte e questa non sia avvenuta. Il termine per la consegna può essere prorogato su richiesta della Corte nei termini di cui alla lettera a).

 

 

Art. 12.

Art. 8

(Procedura per la consegna).

(Procedura per la consegna).

1. Il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma presenta senza ritardo le sue conclusioni in ordine alla consegna. La requisitoria è depositata nella cancelleria della stessa corte d'appello unitamente agli atti. Dell'avvenuto deposito è data comunicazione alle parti con l'avviso della data dell'udienza.

1. Il procuratore generale presso la corte di appello di Roma presenta senza ritardo le sue conclusioni in ordine alla consegna. La requisitoria è depositata nella cancelleria della medesima corte unitamente agli atti. Dell'avvenuto deposito è data comunicazione alle parti con l'avviso della data dell'udienza.

2. La corte d'appello di Roma decide con le forme dell'articolo 127 del codice di procedura penale, se del caso previa acquisizione delle informazioni e della documentazione di cui all'articolo 91, paragrafo 2, lettera c), dello statuto.

2. La corte di appello di Roma decide con le forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, se del caso previe assunzione delle informazioni e acquisizione della documentazione di cui all'articolo 91, paragrafo 2, lettera c), dello Statuto. All'udienza può partecipare un rappresentante della Corte.

3. La corte d'appello di Roma pronuncia sentenza con la quale dichiara che non sussistono le condizioni per la consegna solo se ricorre una delle seguenti ipotesi:

3. La corte di appello di Roma pronuncia sentenza con la quale dichiara che non sussistono le condizioni per la consegna quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

a) non è stato emesso dalla Corte penale internazionale un provvedimento restrittivo della libertà personale o una sentenza definitiva di condanna;

a) non è stato emesso dalla Corte un provvedimento restrittivo della libertà personale o non è stata emessa una sentenza definitiva di condanna;

b) non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna;

b) non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna;

c) il fatto in relazione al quale la consegna è richiesta non è compreso nella giurisdizione della Corte penale internazionale;

 

d) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato italiano sentenza irrevocabile, fatto salvo quanto stabilito nell'articolo 89, paragrafo 2, dello statuto.

c) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile, fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 89, paragrafo 2, dello Statuto.

4. Qualora sia eccepito il difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale, la corte d'appello di Roma, ove l'eccezione non sia manifestamente infondata, sospende il procedimento fino alla decisione della Corte penale internazionale e trasmette gli atti al Ministro della giustizia per l'ulteriore inoltro alla stessa. Il difetto di giurisdizione non può essere eccepito né ritenuto quando si tratta di sentenza definitiva di condanna.

 

5. Il ricorso per cassazione può essere proposto anche per il merito. Esso ha effetto sospensivo.

4. Avverso la decisione della corte d'appello di Roma può essere proposto ricorso per cassazione anche per il merito. Il ricorso sospende l'esecuzione della sentenza. Si applicano le disposizioni dell'articolo 714, comma 4, del codice di procedura penale.

6 La Corte penale internazionale può presenziare all'udienza con un proprio rappresentante.

 

7. Il Ministro della giustizia provvede con decreto sulla richiesta di consegna entro quarantacinque giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso della persona la cui consegna è richiesta, ovvero dalla notizia della scadenza del termine per l'impugnazione stabilito ai sensi del comma 5, o dal deposito della sentenza della Corte di cassazione e prende accordi con la Corte penale internazionale circa il tempo, il luogo e le modalità della consegna. Si applica l'articolo 709, comma 1, del codice di procedura penale.

5. Il Ministro della giustizia provvede con decreto sulla richiesta di consegna, entro quarantacinque giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso della persona la cui consegna è richiesta ovvero dalla notizia della scadenza del termine per l'impugnazione di cui al comma 4 ovvero dal deposito della sentenza della Corte di cassazione, e prende accordi con la Corte sul tempo, sul luogo e sulle modalità della consegna. Se la consegna riguarda militari italiani in servizio o considerati tali il Ministro della giustizia ne dà comunicazione al Ministro della difesa.

 

6. Il provvedimento di consegna perde efficacia se, nel termine fissato, comunque non superiore a quaranta giorni, la Corte non provvede a prendere in consegna la persona richiesta.

7. Quando ricorrono cause di forza maggiore che impediscono la consegna nei termini previsti dai commi precedenti, il Ministro della giustizia ne sospende l'esecuzione ed informa immediatamente la Corte.

8. Quando sussistono circostanze urgenti ed eccezionali per ritenere che la consegna può mettere in pericolo la vita della persona il Ministro della giustizia, in considerazione anche della gravità dei reati per i quali la Corte procede, può, con decreto motivato, sospendere l'esecuzione della consegna, dandone immediata notizia alla Corte.

9. Nei casi di cui ai commi 6, 7 e 8, venuta meno la ragione della sospensione, il Ministro della giustizia concorda con la Corte una nuova data di consegna. I termini previsti per la consegna decorrono dalla nuova data concordata.

10. In caso di impugnazione del decreto di consegna davanti agli organi della giurisdizione amministrativa si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

 

 

 

Art. 9.

 

(Rinvio della consegna o consegna temporanea).

 

1. Il Ministro della giustizia può disporre che la consegna della persona sia rinviata per consentire che la stessa possa essere sottoposta a procedimento penale nello Stato italiano ovvero che nei suoi confronti si possa dare esecuzione alla pena alla quale è stata condannata per un reato diverso da quello oggetto del mandato d'arresto o della sentenza di condanna emessi dalla Corte.

2. Nel caso di cui al comma 1, previa consultazione con la Corte, il Ministro della giustizia, sentiti l'autorità giudiziaria competente per il procedimento penale in corso o per l'esecuzione della sentenza di condanna e il Ministro della difesa per i reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali, può disporre il trasferimento temporaneo della persona richiesta in consegna, a condizione che la stessa sia riconsegnata allo Stato italiano alle condizioni concordate con la Corte.

3. Se il rinvio della consegna o la consegna temporanea riguardano militari italiani in servizio o considerati tali il Ministro della giustizia ne informa il Ministro della difesa.

 

 

 

Art. 10.

 

(Transito).

 

1. Le richieste di transito sul territorio italiano di una persona che deve essere consegnata alla Corte sono trasmesse al Ministro della giustizia nelle forme previste dall'articolo 4.

2. La richiesta contiene:

a) le informazioni relative all'identità e alla cittadinanza della persona in transito;

b) l'esposizione sommaria, con la relativa qualificazione giuridica, dei fatti posti a fondamento della consegna della persona in transito.

3. Alla richiesta di cui ai commi 1 e 2 sono allegati il mandato d'arresto e la richiesta di consegna.

4. Salvo che la persona in consegna alla Corte non abbia consentito al transito con dichiarazione resa davanti all'autorità giudiziaria dello Stato che ha concesso la consegna, l'autorizzazione al transito non può essere data senza la decisione favorevole della corte di appello di Roma. A tale fine il Ministro della giustizia trasmette la richiesta e i documenti allegati al procuratore generale presso la medesima corte. La corte di appello procede in camera di consiglio in assenza della persona interessata. Si osservano le disposizioni degli articoli 704, commi 1 e 2, e 706 del codice di procedura penale, in quanto applicabili.

5. L'autorizzazione al transito non è richiesta nei casi previsti dall'articolo 712, comma 4, del codice di procedura penale.

6. Il Ministro della giustizia può rifiutare la richiesta quando la persona in consegna alla Corte è cittadina italiana o residente in Italia e il transito è richiesto al fine dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale.

 

 

 

Art. 11.

 

(Principio di specialità. Estensione della consegna. Consegna successiva).

 

1. La consegna dell'imputato alla Corte e l'estensione della consegna già concessa sono subordinate alla condizione che, per un fatto anteriore alla consegna stessa e diverso da quello per il quale essa è stata concessa o estesa, la persona non sia sottoposta a procedimento né privata della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza da parte della Corte.

2. Il Ministro della giustizia può richiedere alla Corte che la persona consegnata o trasferita in uno Stato estero per l'esecuzione della pena non sia sottoposta a procedimento o a restrizione della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale la consegna stessa è stata concessa o estesa.

3. La persona condannata, nei cui confronti viene data esecuzione, nel territorio dello Stato italiano, a una pena detentiva per una sentenza pronunciata dalla Corte, non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettata ad altre misure restrittive della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna, salvo che vi sia il consenso della stessa Corte.

4. Qualora, a carico della persona nei cui confronti viene data esecuzione, nel territorio dello Stato italiano, a una pena detentiva per una sentenza pronunciata dalla Corte, debba essere eseguito un provvedimento restrittivo della libertà personale, il Ministro della giustizia, a richiesta dell'autorità giudiziaria, acquisisce il consenso della Corte.

5. La persona indicata al comma 1 non può essere estradata verso uno Stato estero senza il consenso della Corte. Qualora uno Stato estero abbia richiesto l'estradizione di tale persona il Ministro della giustizia acquisisce il consenso della Corte.

6. In caso di nuova richiesta di consegna, presentata dopo la consegna della persona e avente ad oggetto un fatto diverso da quello per il quale la consegna è già stata disposta, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'articolo 94 dello Statuto.

7. Non si fa luogo a giudizio davanti alla corte di appello di Roma se la persona consegnata ha espresso il proprio consenso all'estensione della consegna.

8. In caso di richiesta di estradizione, presentata dopo la consegna della persona alla Corte e il trasferimento della stessa allo Stato estero di esecuzione della pena, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 710 del codice di procedura penale. Il Ministro della giustizia, ricevuta la sentenza della corte di appello di Roma, ne trasmette copia alla Corte.

 

 

Art. 13.

Art. 12.

(Applicazione provvisoria della misura cautelare).

(Applicazione provvisoria della misura della custodia cautelare).

1. Se la Corte penale internazionale ne fa domanda ai sensi degli articoli 59, paragrafo 1, e 92 dello statuto, l'applicazione della misura della custodia cautelare può essere disposta provvisoriamente anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta se:

a) la Corte penale internazionale ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale e che intende presentare richiesta di consegna;

b) la Corte penale internazionale ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e gli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona.

1. Se la Corte ne fa domanda ai sensi degli articoli 58, paragrafo 5, 59, paragrafo 1, e 92 dello Statuto, l'applicazione della misura della custodia cautelare può essere disposta provvisoriamente anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta se:

a) la Corte ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale e che intende presentare richiesta di consegna;

b) la Corte ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato, l'indicazione delle fonti di prova e degli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona.

2. Ai fini dell'applicazione provvisoria della misura della custodia cautelare si osservano le disposizioni dell'articolo 10.

2. Ai fini dell'applicazione della misura della custodia cautelare, si applicano le disposizioni dell'articolo 6.

3. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte penale internazionale l'avvenuta esecuzione della misura cautelare. Essa è revocata se entro sessanta giorni dalla comunicazione non perviene la richiesta di consegna da parte della Corte penale internazionale con i documenti indicati dall'articolo 92 dello statuto.

3. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte l'avvenuta esecuzione della misura cautelare. Essa è revocata se entro sessanta giorni dalla comunicazione non perviene la richiesta di consegna da parte della Corte recante la documentazione indicata dall'articolo 92, paragrafo 2, dello Statuto.

 

 

 

Art. 13.

 

(Arresto da parte della polizia giudiziaria).

 

1. Nei casi di urgenza la polizia giudiziaria procede all'arresto della persona nei confronti della quale la Corte ha formulato domanda ai sensi degli articoli 58, paragrafo 5, 59, paragrafo 1, e 92 dello Statuto, se ricorrono le condizioni previste dall'articolo 12 della presente legge. La stessa polizia provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.

2. L'organo di polizia giudiziaria che ha proceduto all'arresto della persona ricercata la pone immediatamente, e comunque non oltre ventiquattro ore, a disposizione del presidente della corte di appello del distretto in cui è avvenuto l'arresto ovvero di un magistrato della corte stessa da questi delegato, mediante trasmissione del relativo verbale, informandone senza ritardo il Ministro della giustizia.

3. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte che ne ha fatto richiesta l'avvenuto arresto ai fini della trasmissione degli atti e della documentazione occorrente.

4. Quando non deve disporre la liberazione dell'arrestato il presidente della corte di appello ovvero un magistrato della corte stessa da questi delegato, entro quarantotto ore dal ricevimento del verbale, convalida l'arresto con ordinanza, disponendo l'applicazione di una misura cautelare coercitiva. I provvedimenti emessi e gli atti sono trasmessi senza ritardo alla corte di appello di Roma.

5. La misura cautelare coercitiva di cui al comma 4 del presente articolo cessa di avere effetto se la corte di appello di Roma, entro venti giorni dall'ordinanza di trasmissione, non provvede ai sensi dell'articolo 12.

6. Delle decisioni assunte la corte di appello di Roma informa senza ritardo il Ministro della giustizia.

Esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale

Entrambe le proposte di legge all’esame della Commissione affrontano in un apposito capo il tema dell’esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale (si tratta del Capo III, dell’AC 1439 e del Capo V dell’AC 1782).

Di seguito si illustrano sinteticamente i punti di convergenza delle due proposte e si evidenziano le differenze, rinviando al testo a fronte l’analisi puntuale delle disposizioni:

 

§         entrambe le proposte individuano nella Corte d’appello di Roma il giudice nazionale competente per dare esecuzione alle sentenze pronunciate dalla Corte penale internazionale (cfr. art. 14, AC 1439; art. 30, AC 1782);

§         in caso di condanna a pena detentiva le proposte dispongono che se la Corte internazionale individua l’Italia come Stato di espiazione, il Ministro della Giustizia debba trasmettere gli atti al procuratore generale presso la Corte di appello (cfr. art. 15, AC 1439; art. 31, AC 1782). La pdl 1782 precisa che il Ministro della giustizia richiede alla Corte d’appello il riconoscimento della sentenza della Corte penale internazionale e specifica una serie di ipotesi in presenza delle quali la sentenza della Corte non può essere riconosciuta nel nostro Paese; ciò accade quando la sentenza non è ancora irrevocabile o quando, per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, sia stata pronunciata nello Stato italiano sentenza irrevocabile (art. 31, co. 5),

 

La stessa proposta di legge specifica che la corte di appello di Roma, previo procedimento in camera di consiglio, delibera con sentenza in ordine al riconoscimento, determinando la pena che deve essere eseguita nello Stato italiano. Analogamente farà la corte d’appello laddove la Corte penale internazionale disponga la riduzione della pena da eseguire a seguito di revisione del processo (art. 36).

Spetterà sempre alla Corte d’appello di Roma applicare una misura coercitiva quando la persona condannata che sconta la pena in Italia debba essere trasferita alla Corte internazionale o ad un altro Stato (art. 38).

 

§         L’esecuzione della pena avverrà in base all’ordinamento penitenziario italiano (l. n. 354 del 1975) e in conformità allo statuto ed al regolamento della Corte penale internazionale; il Ministro della giustizia, previa consultazione della Corte internazionale, potrà disporre che il trattamento penitenziario del detenuto segue le disposizioni speciali dettate dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario e dovrà comunque adottare i provvedimenti necessari ad assicurare la libertà e la riservatezza delle comunicazioni tra il detenuto e la Corte internazionale (cfr. art. 16, AC 1439; art. 33, AC 1782);

§         Il Ministro della giustizia, in base ad entrambe le proposte di legge, dovrà trasmettere alla Corte penale internazionale ogni richiesta del detenuto di accesso a qualsivoglia beneficio penitenziario o misura alternativa alla detenzione; se la Corte internazionale riterrà di non consentire l’accesso ad una misura prevista dal nostro ordinamento, il Ministro dovrà chiedere alla Corte di disporre il trasferimento del condannato in altro Stato (cfr. art. 17, AC 1439; art. 32, AC 1782).

 

La proposta di legge AC 1782 precisa (art. 32) che in attesa della decisione della Corte penale internazionale il procedimento rimane sospeso per un termine di quarantacinque giorni e che comunque non si può dar corso all'esecuzione del provvedimento se la Corte non si è favorevolmente pronunciata.

 

§         Nell’ambito della cooperazione fra le autorità italiane e la Corte internazionale, entrambe le proposte di legge prevedono che il Ministro della giustizia debba tempestivamente comunicare alla Corte ogni notizia riguardante il detenuto, con particolare riferimento ad eventuali decessi, evasioni o liberazione per espiazione della pena (cfr. art. 18, AC 1439; art. 37, AC 1782).

 

La p.d.l. AC 1782 aggiunge (art. 37) che il Ministro dovrà comunicare senza ritardo alla Corte penale internazionale l’eventuale sopravvenuta impossibilità a dare esecuzione alla pena.

 

§         La detenzione potrà avere luogo in una sezione speciale di un istituto penitenziario ovvero in un carcere militare (cfr. art. 19, AC 1439; art. 32, AC 1782).

§         Le proposte di legge dispongono anche in ordine all’esecuzione delle pene pecuniarie, stabilendo che, su richiesta del procuratore generale, la corte d’appello di Roma provveda all’esecuzione della confisca dei profitti e dei beni disposta dalla Corte internazionale, eventualmente eseguendo il provvedimento su cose dal valore equivalente o su beni nella disponibilità del condannato, anche per interposta persona (cfr. art. 20, AC 1439; art. 39, AC 1782); i beni confiscati saranno messi a disposizione della Corte penale internazionale per il tramite del Ministero della giustizia.

 

L’AC 1782 dispone, inoltre, in ordine alla conversione della pena pecuniaria in euro; prevede che prima di procedere al sequestro e alla confisca il procuratore generale presso la Corte di appello possa effettuare indagini e specifica che la confisca può riguardare anche i c.d. valori ingiustificati (art. 39).

 

 

Si segnala, infine, che l’AC 1782 disciplina anche l’ipotesi di richiesta di grazia (art. 35), prevedendo anche in questo caso che il Ministro debba informare la Corte per l'acquisizione del consenso. Se la Corte non si esprimerà entro 45 giorni, la richiesta del condannato sarà inoltrata al Presidente della Repubblica.

 

In proposito, occorrerebbe chiarire gli effetti di un eventuale diniego del consenso da parte della Corte, anche sotto il profilo dell’eventuale potere del Ministro della giustizia di chiedere il trasferimento del condannato in altro Stato (previsto, dall’articolo 32, per il caso di diniego dell’accesso ai benefici penitenziari).

 

 

 

 

 

Testo a fronte

AC 1439 (Melchiorre e al.)

AC 1782 (Di Pietro e al.)

 

 

Capo III
ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

Capo V
ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI DELLA CORTE

Art. 14.

Art. 30.

(Giudice competente).

(Esecuzione delle sentenze).

1. La corte d'appello di Roma è il giudice competente ai sensi dell'articolo 665, comma 1, del codice di procedura penale.

1. La corte di appello di Roma è il giudice competente per l'esecuzione delle sentenze pronunciate dalla Corte.

 

 

Art. 15.

Art. 31.

(Esecuzione delle pene detentive nel territorio dello Stato italiano).

(Esecuzione della pena detentiva nel territorio dello Stato italiano).

1. Le sentenze irrevocabili di condanna ad una pena detentiva pronunciate dalla Corte penale internazionale sono eseguibili nel territorio dello Stato italiano in conformità a quanto stabilito nello statuto.

1. Le sentenze irrevocabili di condanna a una pena detentiva pronunciate dalla Corte sono eseguibili nel territorio dello Stato italiano in conformità a quanto stabilito nello Statuto.

2. Se la Corte penale internazionale indica lo Stato italiano come luogo di espiazione della pena, il Ministro della giustizia comunica alla medesima Corte senza ritardo se la designazione è stata accettata.

2. Se la Corte indica lo Stato italiano come luogo di espiazione della pena, il Ministro della giustizia comunica alla Corte, senza ritardo, se la designazione è stata accettata e richiede il riconoscimento della sentenza della stessa Corte.

 

3. Alla richiesta della Corte di cui al comma 2 sono allegati:

a) una copia certificata conforme della sentenza di condanna;

b) una dichiarazione che indica il periodo di pena già espiata, comprese tutte le rilevanti informazioni sulla detenzione cautelare già espiata;

c) ove pertinenti, ogni rapporto medico o psicologico sul condannato, ogni raccomandazione relativa al suo trattamento nello Stato italiano e ogni altra informazione rilevante ai fini dell'esecuzione della pena.

3. Il Ministro della giustizia trasmette per l'esecuzione al procuratore generale presso la corte d'appello di Roma la documentazione di cui alla regola 204 delle Regole di procedura e prova della Corte penale internazionale unitamente alla traduzione in lingua italiana.

4. Il Ministro della giustizia trasmette al procuratore generale presso la corte di appello di Roma la richiesta, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti allegati di cui al comma 3. Il procuratore generale promuove il riconoscimento mediante richiesta alla medesima corte di appello.

 

5. La sentenza della Corte non può essere riconosciuta quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

a) la sentenza non è divenuta irrevocabile ai sensi dello Statuto e delle altre disposizioni che regolano l'attività della Corte;

b) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato italiano sentenza irrevocabile.

6. La corte di appello di Roma delibera con sentenza in ordine al riconoscimento, osservate le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale.

7. Si applica l'articolo 734, comma 2, del codice di procedura penale.

8. La corte di appello di Roma, quando pronuncia il riconoscimento, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato italiano, convertendo, ove necessario, quella determinata dalla Corte nella pena corrispondente a quella prevista ai sensi della legislazione vigente in materia.

 

 

Art. 16.

Art. 33

(Regime penitenziario).

(Regime penitenziario)

1. L'esecuzione della pena inflitta dalla Corte penale internazionale è regolata dalle disposizioni della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e della presente legge, in conformità allo statuto e alle Regole di procedura e prova della stessa Corte.

1. L'esecuzione della pena inflitta dalla Corte è regolata dalle norme dell'ordinamento penitenziario, stabilite dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, e dalle disposizioni della presente legge, in conformità allo Statuto e al regolamento di procedura e prova.

2. Il Ministro della giustizia, previa consultazione con la Corte penale internazionale, può disporre l'applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, ai detenuti per i delitti previsti dalla presente legge.

2. Il Ministro della giustizia, previa consultazione con la Corte, può disporre l'applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, ai detenuti condannati dalla Corte.

3. L'esame dei detenuti nei cui confronti è stata disposta l'applicazione del regime di cui al comma 2 del presente articolo può avvenire nei luoghi e secondo le modalità previsti dagli articoli 145-bis e 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

3. L'esame dei detenuti nei cui confronti è stata disposta l'applicazione del regime di cui al comma 2 del presente articolo può avvenire nei luoghi e secondo le modalità previsti dagli articoli 145-bis e 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

 

 

Art. 17.

Art. 32

(Controllo sull'esecuzione della pena).

(Modalità di esecuzione della pena detentiva).

 

1. La pena è eseguita secondo le modalità stabilite dalla legge italiana.

1. Il Ministro della giustizia concorda con la Corte penale internazionale le modalità di esercizio del potere di controllo sull'esecuzione della pena attribuito dallo statuto alla stessa Corte.

2. Il Ministro della giustizia concorda con la Corte le modalità di esercizio del potere di controllo previsto dall'articolo 106, paragrafo 1, dello Statuto.

2. Con le modalità concordate ai sensi del comma 1 sono definite le forme e le modalità per assicurare la libertà e la riservatezza delle comunicazioni tra il condannato e la Corte penale internazionale.

3. Con la medesima procedura di cui al comma 2 del presente articolo il Ministro della giustizia adotta i provvedimenti necessari ad assicurare la libertà e la riservatezza delle comunicazioni tra il condannato e la Corte, ai sensi dell'articolo 106, paragrafo 3, dello Statuto.

3. Il Ministro della giustizia trasmette immediatamente alla Corte penale internazionale le domande di misure alternative alla detenzione, di sospensione o differimento dell'esecuzione della pena, di liberazione anticipata, di ammissione al lavoro esterno, di permessi, ovvero di ogni altro provvedimento incidente sulla libertà personale del condannato, unitamente a tutta la documentazione pertinente.

4. Il Ministro della giustizia trasmette immediatamente alla Corte le domande di misure alternative alla detenzione, di sospensione o di differimento dell'esecuzione della pena, di liberazione anticipata, di ammissione al lavoro esterno, di permessi ovvero di ogni altro provvedimento incidente sulla libertà personale del condannato, unitamente a tutta la documentazione pertinente.

 

5. Il procedimento rimane sospeso per un termine di quarantacinque giorni. In ogni caso l'esecuzione del provvedimento rimane sospesa fino a quando la Corte non ha espresso il suo consenso.

4. Se la Corte penale internazionale ritiene che il condannato non possa beneficiare del provvedimento richiesto, il Ministro della giustizia può chiedere alla stessa Corte il trasferimento del condannato in altro Stato.

6. Se la Corte ritiene che il condannato non possa beneficiare del provvedimento richiesto il Ministro della giustizia può chiedere alla medesima Corte il trasferimento del condannato in un altro Stato.

[v. art. 19]

7. La detenzione, sia per fini cautelari che in espiazione di pena, può avere luogo in una sezione speciale di un istituto penitenziario ovvero in un carcere militare, conformemente alla legislazione vigente in materia.

 

 

Art. 18.

Art. 34.

(Informazioni alla Corte penale internazionale).

(Informazioni alla Corte).

1. Quando il condannato è deceduto o evaso, il Ministro della giustizia ne informa immediatamente la Corte penale internazionale.

1. Il Ministro della giustizia informa tempestivamente la Corte nei seguenti casi:

a) quando il condannato è evaso;

b) quando il condannato è deceduto;

2. Il Ministro della giustizia informa altresì la Corte penale internazionale due mesi prima della data di scarcerazione del condannato per espiazione di pena.

c) due mesi prima della liberazione del condannato per espiazione della pena.

3. I procedimenti penali e ogni altra circostanza rilevante che concerne il condannato sono tempestivamente comunicati alla Corte penale internazionale.

 

 

 

Art. 19.

 

(Luogo di detenzione).

 

1. Per i delitti previsti dalla presente legge, la detenzione sia per fini cautelari che in espiazione della pena può avere luogo in una sezione speciale di un istituto penitenziario, ovvero in un carcere militare, conformemente alle disposizioni vigenti in materia.

[v. art. 32, comma 7]

 

 

 

Art. 35

 

(Grazia).

 

1. Il Ministro della giustizia, ricevuta la domanda o la proposta di grazia ai sensi dell'articolo 681, comma 2, del codice di procedura penale, ne informa la Corte per l'acquisizione del consenso di quest'ultima.

2. Decorso il termine di quarantacinque giorni senza che sia pervenuto il parere della Corte richiesto ai sensi del comma 1, il Ministro della giustizia inoltra la domanda o la proposta al Presidente della Repubblica.

 

 

 

Art. 36.

 

(Revisione della pena).

 

1. Quando la pena che deve essere eseguita nello Stato italiano è stata ridotta dalla Corte, il Ministro della giustizia ne informa il procuratore generale presso la corte di appello di Roma affinché determini la pena residua.

2. Ai fini di cui al comma 1, il procuratore generale presso al corte di appello di Roma provvede con decreto che deve essere notificato al condannato e al suo difensore.

 

 

 

Art. 37.

 

(Impossibilità di esecuzione della sentenza).

 

1. Se, in qualsiasi momento successivo alla decisione di dare esecuzione alla sentenza, risulta impossibile l'esecuzione della pena, il Ministro della giustizia ne informa senza ritardo la Corte.

 

 

 

Art. 38.

 

(Trasferimento della persona condannata).

 

1. Quando la persona condannata, sottoposta all'esecuzione della pena nel territorio dello Stato italiano, deve essere successivamente trasferita alla Corte o ad uno Stato estero designato per l'esecuzione della pena, il Ministro della giustizia ne informa il procuratore generale presso la corte di appello indicata nell'articolo 730, comma 1, del codice di procedura penale.

2. Il procuratore generale di cui al comma 1 richiede alla corte di appello l'applicazione di una misura coercitiva per il trasferimento del condannato alla Corte o ad uno Stato estero designato per l'esecuzione della pena. Contestualmente ha termine l'esecuzione della pena nel territorio dello Stato italiano.

3. La corte di appello di Roma provvede con proprio decreto alla consegna del condannato, senza ritardo, dopo aver ricevuto comunicazione dal Ministro della giustizia del tempo, del luogo e delle modalità della consegna.

 

 

Art. 20.

Art. 39

(Esecuzione di pene pecuniarie).

(Modalità dell'esecuzione delle pene pecuniarie, della confisca e della riparazione).

1. Le sentenze irrevocabili di condanna a una delle sanzioni previste nell'articolo 77, paragrafo 2, dello statuto sono eseguibili nel territorio dello Stato italiano in conformità di quanto in esse stabilito.

1. Le sentenze irrevocabili di condanna a una delle sanzioni previste dall'articolo 77, paragrafo 2, dello Statuto, sono eseguibili nel territorio dello Stato italiano in conformità a quanto in esse stabilito.

 

2. Le pene pecuniarie sono eseguite secondo la legge italiana. Per determinare la pena pecuniaria, l'ammontare stabilito nella sentenza della Corte è convertito nel valore equivalente espresso in euro al cambio del giorno in cui il riconoscimento è deliberato.

2. La corte d'appello di Roma, su richiesta del procuratore generale presso la medesima corte, provvede all'esecuzione della confisca dei profitti, beni o averi disposta dalla Corte penale internazionale.

3. La corte di appello di Roma, su richiesta del procuratore generale presso la stessa corte, provvede all'esecuzione della confisca dei profitti, dei beni o delle altre utilità disposta dalla Corte. Quando la corte di appello pronuncia il riconoscimento ai fini dell'esecuzione di una confisca, ovvero di un provvedimento di riparazione ai sensi dell'articolo 75 dello Statuto, l'esecuzione è ordinata con la stessa sentenza di riconoscimento.

 

4. Prima di presentare le richieste alla corte di appello di Roma, il procuratore generale presso la stessa corte può procedere a indagini al fine di disporre il sequestro delle cose e dei beni indicati al comma 5.

3. Quando non è possibile eseguire la misura di cui al comma 2, la corte d'appello di Roma dispone la confisca per equivalente di somme di denaro, beni o altre utilità, di cui il condannato abbia la disponibilità anche per interposta persona fisica o giuridica.

5. La confisca è eseguita sulle cose che servirono o furono destinate a commettere il delitto, sulle cose che ne sono il prodotto, il profitto, il prezzo, il compendio, ovvero, quando tale confisca non è possibile, sulle cose di cui il reo ha la disponibilità, per un valore equivalente, nonché, comunque, sulle somme di denaro, sui beni e sulle altre utilità di cui il reo non può giustificare la provenienza e dei quali, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica.

4. Sono fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede. Si applicano le disposizioni dell'articolo 676 del codice di procedura penale.

6. Sono fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede. Si applicano le disposizioni dell'articolo 676 del codice di procedura penale.

5. Le somme, i beni e le utilità confiscate sono messe a disposizione della Corte penale internazionale dal Ministro della giustizia. Esse pertanto affluiscono ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, alla voce «Ministero della giustizia», per essere riassegnate, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero della giustizia.

7. Le somme, i beni o le utilità confiscati sono messi a disposizione della Corte dal Ministro della giustizia. Essi affluiscono a un apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, alla voce «Ministero della giustizia», per essere riassegnate, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, a un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero della giustizia.

6. Gli ordini di riparazione sono eseguiti secondo le forme e i contenuti stabiliti dalla Corte penale internazionale.

 

 

 

Art. 21.

Art. 40

(Consultazioni con la Corte penale internazionale per l'esecuzione di pene pecuniarie e di misure patrimoniali).

(Consultazioni con la Corte per l'esecuzione di pene pecuniarie e di misure patrimoniali).

1. Se, a seguito di richiesta di sequestro o di confisca di beni da parte della Corte penale internazionale, insorgono difficoltà nell'esecuzione, il procuratore generale presso la corte d'appello di Roma ne informa preventivamente il Ministro della giustizia per l'avvio delle procedure di consultazione anche ai fini della conservazione dei mezzi di prova.

1. Se, a seguito di richiesta di sequestro o di confisca di somme, di beni o di altre utilità da parte della Corte, insorgono difficoltà nell'esecuzione, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma ne informa preventivamente il Ministro della giustizia per l'avvio delle procedure di consultazione anche ai fini della conservazione dei mezzi di prova.

 

Conseguenze sull’ordinamento interno della giurisdizione penale internazionale

La sola proposta di legge AC 1782 disciplina, al Capo IV, le conseguenze sull’ordinamento interno della giurisdizione penale internazionale. In particolare s prevede che:

·       all’affermazione della competenza della Corte penale internazionale faccia seguito una comunicazione del Ministro della giustizia al procuratore generale del tribunale presso il quale risulta iscritto un procedimento penale avente ad oggetto gli stessi fatti, affinché l’autorità giudiziaria italiana possa esporre al Ministro i fatti e eventualmente invitarlo a richiedere la possibilità di proseguire le indagini o a proporre appello ai sensi dell’art. 18 dello Statuto (art. 25);

·       a seguito di tali informazioni, il Ministro potrà proporre le eccezioni di inammissibilità o di incompetenza alla Corte penale internazionale (art. 26);

·       se, nonostante tali eccezioni, la Corte penale internazionale dovesse concludere affermando la propria competenza, il giudice italiano dovrà dichiarare con sentenza la propria impossibilità a procedere nelle seguenti ipotesi: a) identità dei fatti per i quali le due autorità – italiana e internazionale – procedono; b) fatto per il quale si procede in Italia diverso da quello oggetto di intervento della Corte internazionale, ricompreso tra i crimini di competenza della Corte e commesso nel contesto della situazione deferita alla Corte (art. 27);

·       se il procuratore generale presso la Corte penale internazionale decide di non esercitare l’azione penale ovvero se la Camera preliminare decide di non confermare l’atto di accusa o se la Corte internazionale dichiara la propria incompetenza o inammissibilità (art. 28), il procedimento penale in Italia si riapre. In tal caso, i termini per le indagini preliminari inizieranno a decorrere dal momento in cui il GIP con proprio decreto autorizzerà la riapertura delle indagini stesse; se era già stata formalizzata l’accusa, l’atto introduttivo dovrà essere rinnovato. Il Ministro – se richiesto dall’autorità giudiziaria – dovrà chiedere alla Corte penale internazionale copia degli atti compiuti;

·       in applicazione del principio del ne bis in idem (esplicitamente richiamato dall’articolo 20 dello Statuto), che se una persona è stata condannata dalla Corte penale internazionale, non può essere nuovamente sottoposta a procedimento penale in Italia per i medesimi fatti (art. 29).


 

Disposizioni di natura penale

Il Capo VI (artt. 41-51) della pdl 1782 (Di Pietro e altri) introduce nuove fattispecie di reato, funzionali agli obblighi di cooperazione con la Corte penale internazionale, al fine, indicato nella relazione illustrativa, di “garantire, attraverso la minaccia della più grave fra le sanzioni criminali (la pena detentiva), la lealtà di comportamento delle persone che vengono, di volta in volta, chiamate a collaborare con la Corte” e quindi al fine di adeguatamente tutelare la giurisdizione della Corte.

Tali disposizioni trovano il loro fondamento nell’articolo 70 dello Statuto, che, al comma 4, prevede l’estensione da parte degli Stati delle norme del loro diritto penale che sanzionano i reati contro l'integrità dei propri procedimenti investigativi e giudiziari ai reati contro l’amministrazione della giustizia indicati nel medesimo articolo commessi nel loro territorio o da propri cittadini.

 

In base all’articolo 70, paragrafo 1, la Corte esercita la propria giurisdizione sui seguenti reati commessi ai danni della amministrazione della giustizia se sono perpetrati intenzionalmente:

a) fornire falsa testimonianza malgrado l'obbligo assunto di dire la verità in applicazione dell'articolo 69, paragrafo 1;

b) presentare elementi di prova che le parti conoscono essere falsi o falsificati;

c) subornare testi, ostacolare o intralciare la libera presenza o testimonianza di un teste, attuare misure di ritorsione nei confronti di un teste per la sua testimonianza, o distruggere o falsificare elementi di prova o intralciare la raccolta di tali elementi;

d) ostacolare, intimidire o corrompere un funzionario della Corte allo scopo di obbligarlo o persuaderlo a non ottemperare, o ad ottemperare impropriamente ai suoi obblighi;

e) attuare misure di ritorsione nei confronti di un funzionario della Corte per il dovere espletato da questi o da un altro funzionario;

f) sollecitare o accettare retribuzioni illecite in qualità di funzionario o agente della Corte, in relazione alle proprie mansioni ufficiali.

In base al successivo paragrafo 3, in caso di condanna, la Corte può comminare una pena detentiva non superiore a cinque anni, o un'ammenda, in conformità con le Regole Procedurali e di ammissibilità delle Prove, oppure entrambe.

 

L’articolo 41, volto a punire il peculato, la concussione, la corruzione e l’istigazione alla corruzione di membri della Corte, prevede l’estensione delle seguenti fattispecie di reato (tutte ricomprese nell’ambito dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A.) ai giudici, al procuratore generale, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte e della procura della Corte medesima, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte che esercitano funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o degli agenti della Corte stessa, nonché ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base del citato Trattato istitutivo:

 

Riferimento normativo

Condotta

Pena

Art. 314 c.p.

(Peculato)

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria.

Reclusione da tre a dieci anni

 

 

 

Se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita

Reclusione da sei mesi a tre anni

Art. 316 c.p

(Peculato mediante profitto dell'errore altrui)

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità

Reclusione da sei mesi a tre anni

Art. 317 c.p. (Concussione)

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità.

Reclusione da quattro a dodici anni

In base all’art. 317-bis (Pene accessorie), la condanna per il reato di cui agli articoli 314 e 317 importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna importa l'interdizione temporanea

Art. 318 c.p. (Corruzione per un atto d'ufficio).

Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa.

Reclusione da sei mesi a tre anni

 

Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d'ufficio da lui già compiuto.

Reclusione fino a un anno

Art. 319 c.p.

(Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio)

Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa.

Reclusione da due a cinque anni.

 

La pena è aumentata se ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene (art. 319-bis)

Art. 319 ter c.p.

(Corruzione in atti giudiziari)

Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo

Reclusione da tre a otto anni

 

Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni

Reclusione da quattro a dodici anni

 

Se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo

Reclusione da sei a venti anni

Art. 320 c.p. (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio)

Le disposizioni dell'articolo 319 si applicano anche all'incaricato di un pubblico servizio; quelle di cui all'articolo 318 si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato.

Riduzione delle pene in misura non superiore a un terzo

Art. 321 c.p. (Pene per il corruttore)

Le pene stabilite nel primo comma dell'articolo 318, nell'articolo 319, nell'articolo 319-bis, nell'art. 319-ter, e nell'articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità

Art. 322, 3° e 4° comma (Istigazione alla corruzione)

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 318

Pena stabilita nel primo comma dell'articolo 318 (reclusione da sei mesi a tre anni), ridotta di un terzo

 

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 319

Pena stabilita nell'articolo 319 (reclusione da due a cinque anni), ridotta di un terzo

 

 

L’articolo 42, volto a punire l’oltraggio ad un magistrato della Corte, estende le seguenti fattispecie di reato (ricomprese nell’ambito dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione) all’ipotesi in cui il reato sia commesso nei confronti della Corte, dei giudici, del procuratore generale, dei procuratori aggiunti, dei funzionari e degli agenti della Corte e della procura della Corte medesima, delle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte che esercitano funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, nonché ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base del citato Trattato:

 

Riferimento normativo

Condotta

Pena

Art. 336

(Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale)

Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio

Reclusione da sei mesi a cinque anni

 

Se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa

Reclusione fino a tre anni,

Art. 337

(Resistenza a un pubblico ufficiale)

Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale, o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto d'ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza

Reclusione da sei mesi a cinque anni

Art. 338

(Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario)

Chiunque usa violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività.

 

Reclusione da uno a sette anni

 

Commissione del fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi

Reclusione da uno a sette anni

Art. 339

Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate  se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.

Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell'articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni e, nel caso preveduto dal capoverso dell'articolo 336, della reclusione da due a otto anni.

Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone

Art. 340 (Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità).

Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge  cagiona un'interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico  o di un servizio di pubblica necessità.

Reclusione fino a un anno.

 

Per i capi promotori od organizzatori

Reclusione da uno a cinque anni

Art. 342

(Oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario)

Chiunque offende l'onore o il prestigio di un corpo politico, amministrativo o giudiziario, o di una rappresentanza di esso, o di una pubblica autorità costituita in collegio, al cospetto del corpo, della rappresentanza o del collegio.

 

Multa da euro 1.000 a euro 5.000

 

Chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, o con scritto o disegno diretti al corpo, alla rappresentanza o al collegio, a causa delle sue funzioni.

Multa da euro 1.000 a euro 5.000

 

Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.

Multa da euro 2.000 a euro 6.000

 

Se il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l'offesa è recata in presenza di una o più persone

Le pene sono aumentate

Art. 343 (Oltraggio a un magistrato in udienza)

Chiunque offende l'onore o il prestigio di un magistrato in udienza

 

Reclusione fino a tre anni

 

Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.

Reclusione da due a cinque anni

 

Se il fatto è commesso con violenza o minaccia

Le pene sono aumentate

 

 

L’articolo 43, riprendendo l’articolo 70, par. 1, lett. e) dello Statuto introduce il seguente delitto di atti di ritorsione:

 

Fattispecie di reato

Condotta

Pena

Atti di ritorsione (art. 43)

Commissione di atti di ritorsione nei confronti di una persona che esercita le sue funzioni presso la Corte o per conto di questa e in conseguenza delle funzioni esercitate dalla Corte medesima o da altri.

Reclusione da due a cinque anni

 

Gli articoli 44-51, riproducono talune fattispecie di delitti contro l’attività giudiziaria (previsti dal Capo I del Titolo III del Libro II del codice penale), estendendone l’applicazione al caso in cui essi vengano commessi innanzi alla Corte o al procuratore generale presso la medesima.

 

Calunnia (art. 44)

Condotta di chi, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta alla Corte, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato

Reclusione da due a sei anni

La condotta e la pena coincidono con quelle previste per la fattispecie semplice di calunnia di cui all’art. 368, primo comma, c.p.

False informazioni al procuratore generale presso la Corte (art. 45)

Condotta di chi, nel corso di un procedimento penale per reati per cui procede la Corte, richiesto dal procuratore generale presso la Corte medesima di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa in relazione ai fatti sui quali viene sentito.

Reclusione fino a quattro anni.

La condotta e la pena coincidono con quelle previste per la fattispecie di false informazioni al P.M. di cui all’art. 371-bis, primo comma, c.p.

Il medesimo articolo 45, al comma 2, prevede l’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni dell'articolo 371-bis, 2° e 3° comma, c.p. (relative, rispettivamente, alla sospensione del procedimento penale fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte sia stata pronunciata la sentenza ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere, nonché alla disciplina del caso in cui le informazioni siano richieste dal difensore).

Falsa testimonianza (Art. 46)

Condotta di chi, in sede di deposizione come testimone davanti alla Corte, afferma il falso o nega il vero ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato

Reclusione da due a sei anni.

La condotta e la pena coincidono con quelle previste per la falsa testimonianza di cui all’art. 372 c.p

Frode processuale (art. 47)

Condotta di chi, nel corso di un procedimento penale per reati per cui procede la Corte, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto di ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nell'esecuzione di una perizia, muta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone

Reclusione da sei mesi a tre anni.

La condotta e la pena coincidono con quelle previste per la frode processuale di cui all’art. 374 c.p.

False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati alla Corte (art. 48)

Falsa dichiarazione o attestazione in certificati o in atti destinati a essere prodotti alla Corte condizioni, di qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all'imputato o al condannato.

Reclusione da uno a cinque anni

La condotta e la pena coincidono con quelle previste per la frode processuale di cui all’art. 374-bis, primo comma, c.p.

La disposizione, inoltre, prevede l’applicazione, in quanto compatibile, dell’aggravante di cui all'articolo 374-bis, 2° comma, c.p. (Pena della reclusione da due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria).

Intralcio alla giustizia (art. 49)

Offerta o promessa di denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti alla Corte, ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni al procuratore generale presso la Corte o al difensore nel corso dell'attività investigativa, ovvero alla persona chiamata a svolgere attività di perito, di consulente tecnico o di interprete, per indurlo a commettere i reati previsti dagli articoli 41 e 42, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata

 

La disposizione opera anche qualora l'offerta o la promessa sia accettata ma la falsità non sia commessa.

Pene previste dagli articoli 41 e 42, ridotte della metà.

 

Pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici

Si segnala che, presumibilmente, il richiamo ai reati di cui agli articoli 41 e 42 non è corretto, dovendosi piuttosto riferire ai reati di cui all’articolo 45 (False informazioni al procuratore generale presso la Corte) e all’articolo 46 (Falsa testimonianza).

In tal caso, la fattispecie di reato e la pena riprenderebbero in parte il reato di intralcio alla giustizia di cui all’articolo 377 c.p.

 

In considerazione, inoltre, del richiamo in tale fattispecie di reato all’attività del perito, del consulente tecnico e dell’interprete, occorre valutare se introdurre anche una specifica fattispecie di reato relativa alla falsa perizia o interpretazione, analoga a quella prevista dall’art. 373 c.p.

Favoreggiamento personale (art. 50)

Condotta di chi, dopo che è stato commesso un reato di competenza della Corte e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni degli organi della medesima Corte o a sottrarsi alle ricerche di questa.

Reclusione da due a quattro anni

La fattispecie riprende la condotta di favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p.; con riferimento alla pena, introduce il minimo edittale di due anni, mantenendo nel contempo il massimo di quattro anni.

L’articolo 50, al comma 2, richiama l’applicazione dell'articolo 378, quarto comma, c.p., relativo all’applicazione della fattispecie di favoreggiamento personale anche nel caso in cui la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto.

Patrocinio o consulenza infedele (art. 51)

Condotta del patrocinatore o del consulente tecnico che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata davanti alla Corte

Reclusione da uno a tre anni.

 

Fattispecie aggravata:

a) se il colpevole ha commesso il fatto colludendo con la parte avversaria;

b) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

La pena è aumentata

La fattispecie riprende la condotta di patrocinio o consulenza infedele di cui all’art. 380, primo comma, c.p. e la fattispecie aggravata di cui al secondo comma; con riferimento alla pena, prevede la sola reclusione e non anche la multa (non inferiore a 516 euro) contemplata dal codice penale.

 


Invarianza degli oneri ed entrata in vigore

 

Soltanto la proposta di legge n. 1782 (Di Pietro ed altri) reca un’esplicita clausola di invarianza degli oneri, prevedendo a tal fine, che all’attuazione della legge si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente (articolo 52).

Essa dispone anche in ordine alla data di entrata in vigore della legge, fissandola nel giorno successivo alla pubblicazione in G.U. ((articolo 53).

Su tali profili non interviene la proposta di legge n. 1439 (Melchiorre ed altri); con riferimento, in particolare, all’entrata in vigore potrà trovare applicazione l’ordinario periodo di vacatio di quindici giorni.

 

 


Riferimenti normativi

 


Costituzione della Repubblica italiana.
(artt. 13 e 103)

 

Art. 13.

La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'Autorità giudiziaria [Cost. 111] e nei soli casi e modi previsti dalla legge [Cost. 25].

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di Pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'Autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà [Cost. 27].

La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

 

 

Art. 103. 

Il Consiglio di Stato (130) e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi (131).

La Corte dei conti (132) ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge (133).

I Tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate (134).

 

 

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(130)  Vedi anche art. 100, comma primo.

(131)  Vedi art. 24, comma primo; 111, comma terzo; 113; 125, comma secondo.

(132)  Vedi anche art. 100, comma secondo.

(133)  Vedi anche art. 111, comma terzo.

(134)  Vedi l'art. 111, comma secondo e VI disp. trans. fin., comma secondo.

 

 


Codice Penale
(artt. 314, 316, 317-322, 336, 337, 338, 339, 340, 342, 343, 371-bis, 374-bis e 378)

 

Art. 314.

Peculato.

Il pubblico ufficiale [c.p. 357] o l'incaricato di un pubblico servizio [c.p. 358], che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro [c.p. 458] o di altra cosa mobile altrui [c.c. 812, 814], se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni (2).

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita (3).

 

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(1) Vedi l'art. 219, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

(2) Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475.

(3) Articolo così sostituito dall'art. 1, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione. Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

 

Art. 316.

Peculato mediante profitto dell'errore altrui.

Il pubblico ufficiale [c.p. 357] o l'incaricato di un pubblico servizio [c.p. 358], il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione. Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475. Vedi, inoltre, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

Art. 317.

Concussione.

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 4, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.). Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475. Vedi, inoltre, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

 

Art. 317-bis.

Pene accessorie.

La condanna per il reato di cui agli articoli 314 e 317 importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna importa l'interdizione temporanea (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 5, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione.

 

 

Art. 318.

Corruzione per un atto d'ufficio.

Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d'ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino a un anno (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 6, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.). Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475. Vedi, inoltre, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

 

Art. 319.

Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio.

Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 7, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.). Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475. Vedi, inoltre, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

 

Art. 319-bis.

Circostanze aggravanti.

La pena è aumentata se il fatto di cui all'art. 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 8, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.).

 

 

Art. 319-ter.

Corruzione in atti giudiziari.

Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

Se dal fatto deriva l'ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l'ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all'ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 9, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione. I delitti previsti in questo articolo, consumati o tentati, sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475. Vedi, inoltre, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

 

Art. 320.

Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio.

Le disposizioni dell'articolo 319 si applicano anche all'incaricato di un pubblico servizio; quelle di cui all'articolo 318 si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato.

In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore a un terzo (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 10, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.). Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 15, L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475. Vedi, inoltre, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

 

Art. 321.

Pene per il corruttore.

Le pene stabilite nel primo comma dell'articolo 318, nell'articolo 319, nell'articolo 319-bis, nell'art. 319-ter, e nell'articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità (1).

 

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(1) Articolo così sostituito dall'art. 11, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, poi così modificato L. 7 febbraio 1992, n. 181, in tema di delitti contro la pubblica amministrazione. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.).

 

 

Art. 322.

Istigazione alla corruzione.

Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato, per indurlo a compiere un atto del suo ufficio, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell'articolo 318, ridotta di un terzo.

Se l'offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell'articolo 319, ridotta di un terzo (1).

La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che riveste la qualità di pubblico impiegato che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 318.

La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall'articolo 319 (2).

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 3, L. 7 febbraio 1992, n. 181, in tema di delitti contro la pubblica amministrazione.

(2) Articolo così sostituito dall'art. 12, L. 26 aprile 1990, n. 86, in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La condanna per il delitto previsto in questo articolo, se commesso in danno o a vantaggio di una attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, importa l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32-quater c.p.). Il delitto previsto in questo articolo, consumato o tentato, è attribuito al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis del codice di procedura penale, a decorrere dalla sua entrata in vigore. Vedi, anche, l'art. 12-sexies, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge, con modificazioni, con L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

 

Art. 336.

Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (1)

Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale [c.p. 357] o ad un incaricato di un pubblico servizio [c.p. 358], per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [c.p. 29, 32; c.p.p. 7] (2).

La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa (3) (4).

 

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(1) Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228).

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 16-23 maggio 1973, n. 68 (Gazz. Uff. 30 maggio 1973, n. 140), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento all'art. 3 Cost.

(3) Vedi l'art. 7, n. 7, D.M. 7 dicembre 1927, sulla polizia ferroviaria. L'art. 4, D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, sulla riforma della legislazione penale, così dispone: «Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

Vedi, anche, l'art. 26, L. 22 maggio 1975, n. 152,sulla tutela dell'ordine pubblico.

(4) La Corte costituzionale, con sentenza 28 giugno-12 luglio 1995, n. 314 (Gazz. Uff. 9 agosto 1995, n. 33 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 97 Cost.

 

 

Art. 337.

Resistenza a un pubblico ufficiale. (1)

Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale, [c.p. 357] o ad un incaricato di un pubblico servizio [c.p. 358], mentre compie un atto d'ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [c.p. 29, 32; c.p.p. 7] (2).

 

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(1) Vedi gli artt. 11 e 43, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e l'art. 9, primo comma, L. 18 aprile 1975, n. 110, per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi.

(2) Vedi l'art. 7, n. 8, D.M. 7 dicembre 1927, sull'accertamento delle infrazioni alla polizia ferroviaria. L'art. 4, D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, sulla riforma della legislazione penale, così dispone: «Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l'incaricato impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

 

 

Art. 338.

Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario (1)

Chiunque usa violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni [c.p. 29, 32].

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici [c.p. 358] o di pubblica necessità [c.p. 359], qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi (2).

 

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(1) Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228).

(2) L'art. 4, D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, sulla riforma della legislazione penale, così dispone: «Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

 

 

Art. 339.

Circostanze aggravanti.

Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate [c.p. 64] se la violenza o la minaccia è commessa con armi [c.p. 585], o da persona travisata (1), o da più persone riunite [c.p. 112, n. 1], o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte (2).

Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell'articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni e, nel caso preveduto dal capoverso dell'articolo 336, della reclusione da due a otto anni [c.p. 29, 32] (3).

Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone (4).

 

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(1) In materia di sicurezza pubblica vedi l'art. 85, R.D. 18 giugno 1931, n. 773; la L. 2 ottobre 1967, n. 895, nonché la L. 23 dicembre 1974, n. 694, gli artt. 18 e 20, L. 22 maggio 1975, n. 152, e la L. 10 maggio 1976, n. 342. L'art. 4, D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, sulla riforma della legislazione penale, così dispone: «Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni».

(2) Vedi l'art. 5, L. 22 maggio 1975, n. 152, in materia di ordine pubblico.

(3) Il presente comma era stato modificato dall'art. 7, D.L. 8 febbraio 2007, n. 8. La modifica, consistente nell'aumento da tre a cinque anni della misura minima della pena, non è più prevista dalla nuova formulazione del citato art. 7 dopo la conversione in legge del suddetto decreto (L. 4 aprile 2007, n. 41).

(4) Comma aggiunto dall'art. 7, D.L. 8 febbraio 2007, n. 8.

 

 

Art. 340.

Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità.

Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge [c.p. 431] (1) cagiona un'interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico [c.p. 358] o di un servizio di pubblica necessità [c.p. 359] è punito con la reclusione fino a un anno.

I capi promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni [c.p. 29, 32] (2).

 

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(1) Vedi l'art. 1, D.Lgs. 22 gennaio 1948, n. 66, recante norme per la libera circolazione e la libera navigazione.

(2) Vedi l'art. 1, L. 12 giugno 1990, n. 146, per l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali. La Corte costituzionale, con sentenza 15 luglio-3 agosto 1976, n. 222 (Gazz. Uff. 4 agosto 1976, n. 205), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3, 39 e 40 Cost.

 

 

Art. 342.

Oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario. (1)

Chiunque offende l'onore o il prestigio di un corpo politico, amministrativo o giudiziario [c.p. 343], o di una rappresentanza di esso, o di una pubblica autorità costituita in collegio, al cospetto del corpo, della rappresentanza o del collegio, è punito con la con la multa da euro 1.000 a euro 5.000 (2).

La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica, o con scritto o disegno diretti al corpo, alla rappresentanza o al collegio, a causa delle sue funzioni.

La pena è della reclusione della multa da euro 2.000 a euro 6.000 se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato [c.p. 594] (3).

Si applica la disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo precedente (4).

 

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(1) Vedi l'art. 1, D.Lgs. 22 gennaio 1948, n. 66, sulla libertà di circolazione.

(2) Comma così modificato prima dall'art. 18, L. 25 giugno 1999, n. 205 e poi dall'art. 11, L. 24 febbraio 2006, n. 85.

Il testo in vigore prima di quest'ultima modifica prevedeva la pena della reclusione fino a tre anni.

Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla legge n. 205 del 1999 prevedeva la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.

(3) Comma così modificato dall'art. 11, L. 24 febbraio 2006, n. 85.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «La pena è della reclusione da uno a quattro anni se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.».

(4) Vedi, anche, l'art. 7, nn. 2 e 3, D.M. 7 dicembre 1927, sulla Polizia ferroviaria. La Corte costituzionale, con sentenza 28 giugno -12 luglio 1995, n. 313 (Gazz. Uff. 9 agosto 1995, n. 33 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, terzo comma, e 97, primo comma, Cost.

 

 

Art. 343.

Oltraggio a un magistrato in udienza.

Chiunque offende l'onore o il prestigio di un magistrato in udienza (1) è punito con la reclusione fino a tre anni [c.p. 29; c.p.p. 7, 275] (2).

La pena è della reclusione da due a cinque anni se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.

Le pene sono aumentate [c.p. 64] se il fatto è commesso con violenza o minaccia (3).

 

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(1) Vedi l'art. 4, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario.

(2) Comma così modificato dall'art. 18, L. 25 giugno 1999, n. 205. Il testo precedentemente in vigore prevedeva la pena della reclusione da uno a quattro anni.

(3) L'art. 4, D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, sulla riforma della legislazione penale, così dispone: «Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del codice penale quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni». La Corte costituzionale, con sentenza 28 giugno -12 luglio 1995, n. 313 (Gazz. Uff. 9 agosto 1995, n. 33 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 97, primo comma, Cost. La stessa Corte, con sentenza 30 settembre-7 ottobre 1999, n. 380 (Gazz. Uff. 13 ottobre 1999, n. 41 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.

 

 

Art. 371-bis.

Attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia.

1. Il procuratore nazionale antimafia esercita le sue funzioni in relazione ai procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51 comma 3-bis e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia. A tal fine dispone della direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l'impiego a fini investigativi (1).

2. Il procuratore nazionale antimafia esercita funzioni di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali al fine di rendere effettivo il coordinamento delle attività di indagine, di garantire la funzionalità dell'impiego della polizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni e di assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni.

3. Per lo svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla legge, il procuratore nazionale antimafia, in particolare:

a) d'intesa con i procuratori distrettuali interessati, assicura il collegamento investigativo anche per mezzo dei magistrati della Direzione nazionale antimafia;

b) cura, mediante applicazioni temporanee dei magistrati della Direzione nazionale e delle direzioni distrettuali antimafia, la necessaria flessibilità e mobilità che soddisfino specifiche e contingenti esigenze investigative o processuali;

c) ai fini del coordinamento investigativo e della repressione dei reati provvede all'acquisizione e all'elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata;

d-e) ........................ (2);

f) impartisce ai procuratori distrettuali specifiche direttive alle quali attenersi per prevenire o risolvere contrasti riguardanti le modalità secondo le quali realizzare il coordinamento nell'attività di indagine;

g) riunisce i procuratori distrettuali interessati al fine di risolvere i contrasti che, malgrado le direttive specifiche impartite, sono insorti e hanno impedito di promuovere o di rendere effettivo il coordinamento;

h) dispone con decreto motivato, reclamabile al procuratore generale presso la corte di cassazione, l'avocazione delle indagini preliminari relative a taluno dei delitti indicati nell'articolo 51 comma 3-bis quando non hanno dato esito le riunioni disposte al fine di promuovere o rendere effettivo il coordinamento e questo non è stato possibile a causa della:

1) perdurante e ingiustificata inerzia nella attività di indagine;

2) ingiustificata e reiterata violazione dei doveri previsti dall'articolo 371 ai fini del coordinamento delle indagini;

3) ........................ (3).

4. Il procuratore nazionale antimafia provvede alla avocazione dopo aver assunto sul luogo le necessarie informazioni personalmente o tramite un magistrato della Direzione nazionale antimafia all'uopo designato. Salvi casi particolari, il procuratore nazionale antimafia o il magistrato da lui designato non può delegare per il compimento degli atti di indagine altri uffici del pubblico ministero (4).

 

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(1) Comma così modificato dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 2, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125.

Il testo del presente comma prima delle modifiche disposte dalla suddetta legge di conversione n. 125 del 2008 era il seguente:

«Il procuratore nazionale antimafia esercita le sue funzioni in relazione ai procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51 comma 3-bis e in relazione ai procedimenti di prevenzione. A tal fine dispone della direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l'impiego a fini investigativi.».

Il testo del presente comma in vigore prima della modifica disposta dal citato D.L. n. 92 del 2008 era il seguente:

«Il procuratore nazionale antimafia esercita le sue funzioni in relazione ai procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51 comma 3-bis. A tal fine dispone della direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l'impiego a fini investigativi.».

(2) Lettere soppresse dall'allegato alla L. 20 gennaio 1992, n. 8 che ha convertito in legge il D.L. 20 novembre 1991, n. 367.

 (3) Numero soppresso dall'allegato alla L. 20 gennaio 1992, n. 8 che ha convertito in legge il D.L. 20 novembre 1991, n. 367.

 (4) Articolo aggiunto dall'art. 7, D.L. 20 novembre 1991, n. 367, per il coordinamento delle indagini nei procedimenti per reati di criminalità organizzata, convertito, con modificazioni, in L. 20 gennaio 1992, n. 8. Gli articoli 5 e 6 dello stesso provvedimento aggiungono rispettivamente, agli artt. 70-bis e 76-bis all'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) e introducono la Direzione distrettuale antimafia e il Procuratore nazionale antimafia. Questa disposizione entra in vigore dalla data di pubblicazione del decreto di entrata in funzione della Direzione Nazionale Antimafia (art. 16) e si applica solo ai procedimenti iniziati successivamente a questa data (art. 15). Con D.M. 5 gennaio 1993 (Gazz. Uff. 13 febbraio 1993) è stata fissata al 15 gennaio 1993 la data di entrata in funzione della Direzione Nazionale Antimafia. Vedi, anche , il comma 1 dell'art. 110-ter, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, aggiunto dall'art. 12, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125.

 

 

Art. 374-bis.

False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati a essere prodotti dall'autorità giudiziaria condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all'imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione.

Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 11, comma terzo, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

 

 

Art. 378.

Favoreggiamento personale (1)

Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte (2) o l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo [c.p. 110], aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con la reclusione fino a quattro anni [c.p. 29].

Quando il delitto commesso è quello previsto dall'art. 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni (3).

Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa, ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a euro 516 (4).

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile [c.p. 85, 88, 91, 93, 96, 97] o risulta che non ha commesso il delitto (5) (6).

 

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(1) Vedi l'art. 2, comma primo, L. 18 febbraio 1987, n. 34, sulla dissociazione dal terrorismo. Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione (art. 7, L. 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia, come modificato dall'art. 7, L. 11 agosto 2003, n. 228). Vedi, anche, l'art. 1, quarto comma, D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, in L. 15 marzo 1991, n. 82, in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e protezione di coloro che collaborano con la giustizia.

(2) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall'art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, che ad essa ha sostituito la pena dell'ergastolo.

(3) Comma aggiunto dall'art. 2, L. 13 settembre 1982, n. 646, sulle misure di prevenzione a carattere patrimoniale.

(4) La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell'art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema penale.

(5) Per i casi di non punibilità di coloro che hanno commesso, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, uno o più reati previsti in questo articolo, se forniscono completa informazione sul favoreggiamento commesso, vedi l'art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 304, sull'ordinamento costituzionale il cui comma terzo, lett. a), esclude la non punibilità per le ipotesi di importazione, esportazione, rapina e furto di armi, munizioni od esplosivi. La decadenza da questi benefici in caso di false o reticenti dichiarazioni è regolato dall'art. 10 della stessa legge, il cui art. 12 limita l'applicazione del provvedimento solo ai reati che siano stati commessi o la cui permanenza sia iniziata entro il 31 gennaio 1982, purché i comportamenti cui è condizionata la loro applicazione vengano tenuti entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge (3 giugno 1982), termine differito di ulteriori centoventi giorni, con l'art. 1, D.L. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito nella L. 29 novembre 1982, n. 882. Vedi, anche, l'art. 10, L. 16 marzo 2006, n. 146.

(6) La Corte costituzionale, con sentenza 11-18 gennaio 1996, n. 8 (Gazz. Uff. 24 gennaio 1996, n. 4 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) inammissibile la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.; b) non fondata la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 384, primo comma, 378 e 307, quarto comma, del codice penale, in riferimento all'art. 29 Cost.

 


Codice di Procedura Penale
(artt. 1
2, 127, 303, 308, 316-325, 329, 676, 681, 697-746)

 

Art. 12.

Casi di connessione.

1. Si ha connessione di procedimenti:

a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento;

b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (1);

c) se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri [o in occasione di questi ovvero per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità] (2).

 

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(1) Lettera così sostituita dall'art. 1, comma primo, D.L. 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, con la L. 20 gennaio 1992, n. 8, per il coordinamento delle indagini nei procedimenti per i reati di criminalità organizzata. Vedi, anche, gli artt. 6, 7 e 8, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Le parole tra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 1, L. 1 marzo 2001, n. 63. L'art. 25 della stessa legge ha stabilito che, ai fini della determinazione della competenza per materia e per territorio, le disposizioni modificatrici del presente articolo si applicano solo per i reati connessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge.

L'art. 26 della suddetta legge n. 63 del 2001 ha così disposto: «Art. 26. 1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5.

2. Se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a rinnovare l'esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197-bis del codice di procedura penale, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo le forme ivi previste.

3. Le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, sono valutate a norma dei commi 3, 4, 5 e 6 del previgente articolo 500 del codice di procedura penale.

4. Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1-bis dell'articolo 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall'articolo 19 della presente legge.

5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse.».

(2) Lettera così sostituita dall'art. 1, comma primo, D.L. 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, con la L. 20 gennaio 1992, n. 8, per il coordinamento delle indagini nei procedimenti per i reati di criminalità organizzata. Vedi, anche, gli artt. 6, 7 e 8, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Le parole tra parentesi quadre sono state soppresse dall'art. 1, L. 1 marzo 2001, n. 63. L'art. 25 della stessa legge ha stabilito che, ai fini della determinazione della competenza per materia e per territorio, le disposizioni modificatrici del presente articolo si applicano solo per i reati connessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge.

L'art. 26 della suddetta legge n. 63 del 2001 ha così disposto: «Art. 26. 1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5. 2.

Se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a rinnovare l'esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197-bis del codice di procedura penale, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo le forme ivi previste.

3. Le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, sono valutate a norma dei commi 3, 4, 5 e 6 del previgente articolo 500 del codice di procedura penale.

4. Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1-bis dell'articolo 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall'articolo 19 della presente legge.

5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse.».

 

 

Art. 127.

Procedimento in camera di consiglio.

1. Quando si deve procedere in camera di consiglio (1), il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell'udienza e ne fa dare avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori. L'avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Se l'imputato è privo di difensore, l'avviso è dato a quello di ufficio.

2. Fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere presentate memorie in cancelleria.

3. Il pubblico ministero, gli altri destinatari dell'avviso nonché i difensori sono sentiti se compaiono. Se l'interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell'udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo (2).

4. L'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice.

5. Le disposizioni dei commi 1, 3 e 4, sono previste a pena di nullità.

6. L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico.

7. Il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel comma 1, che possono proporre ricorso per cassazione.

8. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza, a meno che il giudice che l'ha emessa disponga diversamente con decreto motivato.

9. L'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia altrimenti stabilito. Si applicano le disposizioni dei commi 7 e 8.

10. Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva a norma dell'art. 140 comma 2 (3) (4).

 

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(1) Vedi gli artt. 32, 41, 48, 130, comma 2, 263, 269, 309, 310, 311, 324, comma 6, 391, 401, 406, comma 5, 409, comma 2, 428, 435, 469, 599, 611, 646, 666, 734, 743 c.p.p.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 17-31 gennaio 1991, n. 45 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1991, n. 6 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 309, comma ottavo, e 127, comma terzo, c.p.p., in riferimento all'art. 24, comma secondo, Cost.

(3) La Corte costituzionale, con sentenza 28 novembre-3 dicembre 1990, n. 529 (Gazz. Uff. 5 dicembre 1990, n. 48 - Prima serie speciale), ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 127, comma decimo, c.p.p., nella parte in cui, dopo la parola «redatto», prevede «soltanto» anziché «di regola».

(4) Vedi gli artt. 3 e 7, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia, convertito, con modificazioni, con la L. 14 febbraio 1994, n. 120.

 

 

Art. 303.

Termini di durata massima della custodia cautelare.

1. La custodia cautelare perde efficacia quando:

a) dall'inizio della sua esecuzione sono decorsi i seguenti termini senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o l'ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato ai sensi dell'articolo 438, ovvero senza che sia stata pronunciata la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti;

1) tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

2) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni, salvo quanto previsto dal numero 3);

3) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni (1);

b) dall'emissione del provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado:

1) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

2) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dal numero 1);

3) un anno e sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni;

3-bis) qualora si proceda per i delitti di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), i termini di cui ai numeri 1), 2) e 3) sono aumentati fino a sei mesi. Tale termine è imputato a quello della fase precedente ove non completamente utilizzato, ovvero ai termini di cui alla lettera d) per la parte eventualmente residua. In quest'ultimo caso i termini di cui alla lettera d) sono proporzionalmente ridotti (2);

b-bis) dall'emissione dell'ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna ai sensi dell'articolo 442:

1) tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

2) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto nel numero 1;

3) nove mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni (3);

c) dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza di condanna in grado di appello:

1) nove mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a tre anni;

2) un anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a dieci anni;

3) un anno e sei mesi, se vi è stata condanna alla pena dell'ergastolo o della reclusione superiore a dieci anni;

d) dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, salve le ipotesi di cui alla lettera b), numero 3-bis). Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4 [c.p.p. 47] (4) (5).

2. Nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, dalla data del procedimento che dispone il regresso o il rinvio ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia cautelare decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1 relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento (6).

3. Nel caso di evasione dell'imputato sottoposto a custodia cautelare, i termini previsti dal comma 1 decorrono di nuovo, relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento, dal momento in cui venga ripristinata la custodia cautelare.

4. La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo 305, non può superare i seguenti termini:

a) due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

b) quattro anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a);

c) sei anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni (7) (8).

 

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(1) Lettera così modificata dall'art. 1, D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito in legge, con modificazioni, con L. 5 giugno 2000, n. 144. Vedi, anche, quanto disposto dall'art. 4 dello stesso decreto.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «a) dall'inizio della sua esecuzione sono decorsi i seguenti termini senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio ovvero senza che sia stata pronunciata una delle sentenze previste dagli articoli 442, 448, comma 1, 561 e 563:

1) tre mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;

2) sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni, salvo quanto previsto dal numero 3);

3) un anno, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a venti anni ovvero per uno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), sempre che per lo stesso la legge preveda la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni;».

(2) Numero aggiunto dall'art. 2, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4. Le disposizioni del presente numero si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del suddetto D.L. n. 341 del 2000, ai sensi dell'art. 5 dello stesso decreto.

(3) Lettera aggiunta dall'art. 1, D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito in legge, con modificazioni, con L. 5 giugno 2000, n. 144. Vedi, anche, quanto disposto dall'art. 4 dello stesso decreto.

(4) Lettera così modificata dall'art. 2, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «d) dalla pronuncia della sentenza di condanna in grado di appello o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia sono decorsi gli stessi termini previsti dalla lettera c) senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna. Tuttavia, se vi è stata condanna in primo grado, ovvero se la impugnazione è stata proposta esclusivamente dal pubblico ministero, si applica soltanto la disposizione del comma 4».

(5) Per la sospensione dei termini di cui al presente comma, vedi, anche, l'art. 1, D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, convertito in legge, con modificazioni, con L. 23 dicembre 1996, n. 652.

(6) La Corte costituzionale, con sentenza 7-22 luglio 2005, n. 299 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui non consente di computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall'art. 304, comma 6, del codice di procedura penale, i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui il procedimento è regredito.

(7) La Corte costituzionale, con sentenza 7-18 luglio 1998, n. 292 (Gazz. Uff. 2 settembre 1998, n. 35 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità del presente comma, in riferimento all'art. 3 Cost.; la stessa Corte, con sentenza 5-13 giugno 2006, n. 223 (Gazz. Uff. 21 giugno 2006, n. 25 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost.

(8) Articolo così sostituito dall'art. 2, D.L. 9 settembre 1991, n. 292, convertito, con modificazioni, in L. 8 novembre 1991, n. 356, recante norme in materia di custodia cautelare, di avocazione dei procedimenti penali per reati di criminalità organizzata e dei trasferimenti d'ufficio dei magistrati per la copertura di uffici giudiziari non richiesti. L'art. 10 dello stesso provvedimento così dispone: «Le disposizioni dell'articolo 2, relative ai termini di durata della custodia cautelare, si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto».

 

 

Art. 308.

Termini di durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare.

1. Le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare [c.p.p. 281, 282, 283] perdono efficacia quando dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall'articolo 303.

2. Le misure interdittive [c.p.p. 287, 288, 289, 290] perdono efficacia quando sono decorsi due mesi dall'inizio della loro esecuzione. In ogni caso, qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione anche al di là di due mesi dall'inizio dell'esecuzione, osservati i limiti previsti dal comma 1 (1).

3. L'estinzione delle misure non pregiudica l'esercizio dei poteri che la legge attribuisce al giudice penale o ad altre autorità nell'applicazione di pene accessorie o di altre misure interdittive (2).

 

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(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 14-21 aprile 1994, n. 147 (Gazz. Uff. 27 aprile 1994, n. 18 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del secondo comma, secondo periodo, in relazione agli artt. 3, 25 e 76 Cost.

(2) Vedi gli artt. 28-37 c.p.

 

 

Art. 316.

Presupposti ed effetti del provvedimento.

1. Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento [c.p.p. 535, 592, 691] e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato [c.p. 189], il pubblico ministero, in ogni stato e grado del processo di merito, chiede il sequestro conservativo dei beni mobili o immobili dell'imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento [c.p.c. 513, 514, 515].

2. Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato [c.p. 185], la parte civile può chiedere il sequestro conservativo dei beni dell'imputato o del responsabile civile, secondo quanto previsto dal comma 1.

3. Il sequestro disposto a richiesta del pubblico ministero giova anche alla parte civile.

4. Per effetto del sequestro i crediti indicati nei commi 1 e 2 si considerano privilegiati (1), rispetto a ogni altro credito non privilegiato di data anteriore e ai crediti sorti posteriormente, salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi.

 

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(1) Vedi gli artt. 2745-2750 c.c.

 

 

Art. 317.

Forma del provvedimento. Competenza.

1. Il provvedimento che dispone il sequestro conservativo a richiesta del pubblico ministero o della parte civile è emesso con ordinanza del giudice che procede.

2. Se è stata pronunciata sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere, soggetta a impugnazione, il sequestro è ordinato, prima che gli atti siano trasmessi al giudice dell'impugnazione, dal giudice che ha pronunciato la sentenza e, successivamente, dal giudice che deve decidere sull'impugnazione. Dopo il provvedimento che dispone il giudizio [c.p.p. 429, 456] e prima che gli atti siano trasmessi al giudice competente, provvede il giudice per le indagini preliminari.

3. Il sequestro è eseguito dall'ufficiale giudiziario con le forme prescritte dal codice di procedura civile per l'esecuzione del sequestro conservativo sui beni mobili o immobili [c.p.c. 678, 679].

4. Gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non è più soggetta a impugnazione. La cancellazione della trascrizione del sequestro di immobili è eseguita a cura del pubblico ministero. Se il pubblico ministero non provvede, l'interessato può proporre incidente di esecuzione.

 

 

Art. 318.

Riesame dell'ordinanza di sequestro conservativo.

1. Contro l'ordinanza di sequestro conservativo chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'articolo 324.

2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento [c.p.p. 588, comma 1].

 

 

Art. 319.

Offerta di cauzione.

1. Se l'imputato o il responsabile civile offre cauzione idonea a garantire i crediti indicati nell'articolo 316, il giudice dispone con decreto che non si faccia luogo al sequestro conservativo e stabilisce le modalità con cui la cauzione deve essere prestata.

2. Se l'offerta è proposta con la richiesta di riesame [c.p.p. 318], il giudice revoca il sequestro conservativo quando ritiene la cauzione proporzionata al valore delle cose sequestrate.

3. Il sequestro è altresì revocato dal giudice se l'imputato o il responsabile civile offre, in qualunque stato e grado del processo di merito, cauzione idonea.

 

 

Art. 320.

Esecuzione sui beni sequestrati.

1. Il sequestro conservativo si converte in pignoramento [c.p.c. 686] quando diventa irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero quando diventa esecutiva la sentenza che condanna l'imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile. La conversione non estingue il privilegio previsto dall'articolo 316 comma 4.

2. Salva l'azione per ottenere con le forme ordinarie il pagamento delle somme che rimangono ancora dovute, l'esecuzione forzata sui beni sequestrati ha luogo nelle forme prescritte dal codice di procedura civile [c.p.c. 483]. Sul prezzo ricavato dalla vendita dei beni sequestrati e sulle somme depositate a titolo di cauzione e non devolute alla cassa delle ammende, sono pagate, nell'ordine, le somme dovute alla parte civile a titolo di risarcimento del danno e di spese processuali, le pene pecuniarie, le spese di procedimento e ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato.

 

 

Art. 321.

Oggetto del sequestro preventivo.

1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero [c.p.p. 262, comma 3] il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari.

2. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca [c.p. 240].

2-bis. Nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca (2).

3. Il sequestro è immediatamente revocato a richiesta del pubblico ministero o dell'interessato quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se vi è richiesta di revoca dell'interessato, il pubblico ministero, quando ritiene che essa vada anche in parte respinta, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria (3).

3-bis. Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell'intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l'emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria (4).

3-ter. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3-bis ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate (5) (6).

 

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(1) Vedi l'art. 1, secondo comma, D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, recante nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia, convertito, con modificazioni, in L. 15 marzo 1991, n. 82. Per le nuove misure di protezione di coloro che collaborano con la giustizia, vedi l'art. 13, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante modifiche al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.

(2) Comma aggiunto dall'art. 6, L. 27 marzo 2001, n. 97.

(3) Comma così modificato dall'art. 15, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate.

(4) Comma aggiunto dall'art. 15, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate. Vedi, anche, l'art. 3, D.Lgs. 20 febbraio 2006, n. 106.

(5) Comma aggiunto dall'art. 15, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate.

(6) La Corte Costituzionale con sentenza 9-17 febbraio 1994, n. 48 (Gazz. Uff. 23 febbraio 1994, n. 9, Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità costituzionale del presente articolo in riferimento afli artt. 24, 42, 97 e 111 Cost.

 

 

Art. 322-bis.

Appello.

1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 322, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, possono proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero.

1-bis. Sull'appello decide, in composizione collegiale, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento (1).

2. L'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 310 (2).

 

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(1) Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 23 ottobre 1996, n. 553, convertito in legge, con modificazioni, con L. 23 dicembre 1996, n. 652. Successivamente l'art. 180, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall'art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall'art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188, ha inserito le parole «, in composizione collegiale,».

(2) Articolo aggiunto dall'art. 17, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate.

 

 

Art. 323.

Perdita di efficacia del sequestro preventivo.

1. Con la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ancorché soggetta a impugnazione, il giudice ordina che le cose sequestrate siano restituite a chi ne abbia diritto, quando non deve disporre la confisca a norma dell'articolo 240 del codice penale. Il provvedimento è immediatamente esecutivo.

2. Quando esistono più esemplari identici della cosa sequestrata e questa presenta interesse a fini di prova [c.p.p. 262], il giudice, anche dopo la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere impugnata dal pubblico ministero, ordina che sia mantenuto il sequestro di un solo esemplare e dispone la restituzione degli altri esemplari.

3. Se è pronunciata sentenza di condanna, gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate.

4. La restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell'articolo 316.

 

 

Art. 324.

Procedimento di riesame.

1. La richiesta di riesame è presentata, nella cancelleria del tribunale indicato nel comma 5, entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento che ha disposto il sequestro o dalla diversa data in cui l'interessato ha avuto conoscenza dell'avvenuto sequestro.

2. La richiesta è presentata con le forme previste dall'articolo 582. Se la richiesta è proposta dall'imputato non detenuto né internato, questi, ove non abbia già dichiarato o eletto domicilio o non si sia proceduto a norma dell'articolo 161 comma 2, deve indicare il domicilio presso il quale intende ricevere l'avviso previsto dal comma 6; in mancanza, l'avviso è notificato mediante consegna al difensore. Se la richiesta è proposta da un'altra persona e questa abbia omesso di dichiarare il proprio domicilio, l'avviso è notificato mediante deposito in cancelleria (1).

3. La cancelleria dà immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale gli atti su cui si fonda il provvedimento oggetto del riesame.

4. Con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi. Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame, facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione.

5. Sulla richiesta di riesame decide, in composizione collegiale, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti (2).

6. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'articolo 127. Almeno tre giorni prima, l'avviso della data fissata per l'udienza è comunicato al pubblico ministero e notificato al difensore e a chi ha proposto la richiesta. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria (3).

7. Si applicano le disposizioni dell'articolo 309 commi 9 e 10. La revoca del provvedimento di sequestro può essere parziale e non può essere disposta nei casi indicati nell'articolo 240 comma 2 del codice penale.

8. Il giudice del riesame, nel caso di contestazione della proprietà, rinvia la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo il sequestro (4).

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 18, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate.

(2) Le parole «, in composizione collegiale,» sono state aggiunte dall'art. 181, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall'art. 247 dello stesso decreto, come modificato dall'art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188.

(3) La Corte costituzionale, con sentenza 23 ottobre-10 novembre 1992, n. 432 (Gazz. Uff. 18 novembre 1992, n. 48, Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 324, sesto comma, c.p.p., in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, e 112 Cost.

(4) Vedi l'art. 5, D.L. 26 aprile 1993, n. 122, in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa. La Corte Costituzionale con sentenza 9-17 febbraio 1994, n. 48 (Gazz. Uff. 23 febbraio 1994, n. 9, Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità costituzionale del presente articolo in riferimento agli artt. 24, 42, 97 e 111 Cost.

 

 

Art. 325.

Ricorso per cassazione.

1. Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324 (1), il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge.

2. Entro il termine previsto dell'articolo 324 comma 1, contro il decreto di sequestro emesso dal giudice (2) può essere proposto direttamente [c.p.p. 569] ricorso per cassazione. La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame.

3. Si applicano le disposizioni dell'articolo 311 commi 3 e 4.

4. Il ricorso non sospende l'esecuzione della ordinanza [c.p.p. 588].

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 19, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate.

(2) Comma così modificato dall'art. 19, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate.

 

 

Art. 329.

Obbligo del segreto. (1)

1. Gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

2. Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall'articolo 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero.

3. Anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto a norma del comma 1, il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato:

a) l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone;

b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni (2).

 

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(1) Vedi gli artt. 97-103, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza e l'art. 6, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia, convertito, con modificazioni, con la L. 14 febbraio 1994, n. 120.

(2) Deroga al divieto previsto in questa lettera è stabilita dall'art. 4, L. 30 giugno 1994, n. 430.

 

 

Art. 676.

Altre competenze.

1. Il giudice dell'esecuzione è competente a decidere in ordine all'estinzione del reato dopo la condanna, all'estinzione della pena quando la stessa non consegue alla liberazione condizionale o all'affidamento in prova al servizio sociale, in ordine alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate. In questi casi il giudice dell'esecuzione procede a norma dell'articolo 667 comma 4 (1).

2. Qualora sorga controversia sulla proprietà delle cose confiscate, si applica la disposizione dell'articolo 263 comma 3.

3. Quando accerta l'estinzione del reato o della pena, il giudice dell'esecuzione la dichiara anche di ufficio adottando i provvedimenti conseguenti.

 

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(1) Comma prima sostituito dall'art. 30, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, e poi così modificato dal comma 613 dell'art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244 e dal comma 9 dell'art. 2, D.L. 16 settembre 2008, n. 143, convertito in legge, con modificazioni, con L. 13 novembre 2008, n. 181.

Il testo in vigore prima di quest'ultima modifica era il seguente: «1. Il giudice dell'esecuzione è competente a decidere in ordine all'estinzione del reato dopo la condanna, all'estinzione della pena quando la stessa non consegue alla liberazione condizionale o all'affidamento in prova al servizio sociale, in ordine alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate o alla devoluzione allo Stato delle somme di denaro sequestrate ai sensi del comma 3-bis dell’articolo 262. In questi casi il giudice dell'esecuzione procede a norma dell'articolo 667 comma 4.». Il testo in vigore prima della modifica disposta dalla citata legge n. 244 del 2007 era il seguente: «1. Il giudice dell'esecuzione è competente a decidere in ordine all'estinzione del reato dopo la condanna, all'estinzione della pena quando la stessa non consegue alla liberazione condizionale o all'affidamento in prova al servizio sociale, in ordine alle pene accessorie, alla confisca o alla restituzione delle cose sequestrate. In questi casi il giudice dell'esecuzione procede a norma dell'articolo 667 comma 4.».

Vedi gli artt. 47 e 47-bis, L. 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

 

 

Art. 681.

Provvedimenti relativi alla grazia.

1. La domanda di grazia [c.p. 174], diretta al presidente della Repubblica, è sottoscritta dal condannato o da un suo prossimo congiunto [c.p. 307, comma 4] o dal convivente o dal tutore o dal curatore ovvero da un avvocato o procuratore legale (1) ed è presentata al ministro di grazia e giustizia.

2. Se il condannato è detenuto o internato, la domanda può essere presentata al magistrato di sorveglianza, il quale, acquisiti tutti gli elementi di giudizio utili e le osservazioni del procuratore generale presso la corte di appello del distretto ove ha sede il giudice indicato nell'articolo 665, la trasmette al ministro con il proprio parere motivato. Se il condannato non è detenuto o internato, la domanda può essere presentata al predetto procuratore generale, il quale, acquisite le opportune informazioni, la trasmette al ministro con le proprie osservazioni.

3. La proposta di grazia è sottoscritta dal presidente del consiglio di disciplina ed è presentata al magistrato di sorveglianza, che procede a norma del comma 2.

4. La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta. Emesso il decreto di grazia, il pubblico ministero presso il giudice indicato nell'articolo 665 ne cura la esecuzione ordinando, quando è il caso, la liberazione del condannato e adottando i provvedimenti conseguenti.

5. In caso di grazia sottoposta a condizioni, si provvede a norma dell'articolo 672 comma 5.

 

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(1) La L. 24 febbraio 1997, n. 27, ha soppresso l'albo dei procuratori legali ed ha disposto la sostituzione del termine "procuratore legale" con il termine "avvocato".

 

 

Art. 697.

Estradizione e poteri del ministro di grazia e giustizia.

1. La consegna a uno Stato estero di una persona per l'esecuzione di una sentenza straniera di condanna a pena detentiva o di altro provvedimento restrittivo della libertà personale può aver luogo soltanto mediante estradizione.

2. Nel concorso di più domande di estradizione, il ministro di grazia e giustizia ne stabilisce l'ordine di precedenza. A tal fine egli tiene conto di tutte le circostanze del caso e in particolare della data di ricezione delle domande, della gravità e del luogo di commissione del reato o dei reati, della nazionalità e della residenza della persona richiesta e della possibilità di una riestradizione dallo Stato richiedente a un altro Stato.

 

 

Art. 698.

Reati politici. Tutela dei diritti fondamentali della persona.

1. Non può essere concessa l'estradizione per un reato politico [Cost. 3, comma 3, 26, comma 2; c.p. 8, comma 3, 13] (1) né quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona.

2. Se per il fatto per il quale è domandata l'estradizione è prevista la pena di morte dalla legge dello Stato estero, l'estradizione può essere concessa solo se il medesimo Stato dà assicurazioni, ritenute sufficienti sia dall'autorità giudiziaria sia dal ministro di grazia e giustizia, che tale pena non sarà inflitta o, se già inflitta, non sarà eseguita [c.p.p. 700] (2).

 

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(1) Vedi, anche, l'articolo unico, L. cost. 21 giugno 1967, n. 1, sull'estradizione per i delitti di genocidio.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 25-27 giugno 1996, n. 223 (Gazz. Uff. 3 luglio 1996, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma.

 

 

Art. 699.

Principio di specialità.

1. La concessione dell'estradizione, l'estensione dell'estradizione già concessa e la riestradizione sono sempre subordinate alla condizione espressa che, per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l'estradizione è stata concessa o estesa ovvero da quello per il quale la riestradizione è stata concessa, l'estradato non venga sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza né assoggettato ad altra misura restrittiva della libertà personale né consegnato ad altro Stato.

2. La disposizione del comma 1 non si applica quando l'estradato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato al quale è stato consegnato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno.

3. Il ministro può inoltre subordinare la concessione dell'estradizione ad altre condizioni che ritiene opportune.

4. Il ministro verifica l'osservanza della condizione di specialità e delle altre condizioni eventualmente apposte.

 

 

Art. 700.

Documenti a sostegno della domanda.

1. L'estradizione è consentita soltanto sulla base di una domanda alla quale sia allegata copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla domanda stessa.

2. Alla domanda devono essere allegati:

a) una relazione sui fatti addebitati alla persona della quale è domandata l'estradizione, con l'indicazione del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loro qualificazione giuridica;

b) il testo delle disposizioni di legge applicabili, con l'indicazione se per il fatto per cui è domandata l'estradizione è prevista dalla legge dello Stato estero la pena di morte e, in tal caso, quali assicurazioni lo Stato richiedente fornisce che tale pena non sarà inflitta o, se già inflitta, che non sarà eseguita;

c) i dati segnaletici e ogni altra possibile informazione atta a determinare l'identità e la nazionalità della persona della quale è domandata l'estradizione.

 

 

Art. 701.

Garanzia giurisdizionale.

1. L'estradizione di un imputato o di un condannato all'estero non può essere concessa senza la decisione favorevole della corte di appello.

2. Tuttavia, non si fa luogo al giudizio della corte di appello quando l'imputato o il condannato all'estero acconsente all'estradizione richiesta. L'eventuale consenso deve essere espresso alla presenza del difensore e di esso è fatta menzione nel verbale.

3. La decisione favorevole della corte di appello e il consenso della persona non rendono obbligatoria l'estradizione.

4. La competenza a decidere appartiene, nell'ordine, alla corte di appello nel cui distretto l'imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui la domanda di estradizione perviene al ministro di grazia e giustizia ovvero alla corte di appello che ha ordinato l'arresto provvisorio previsto dall'articolo 715 o alla corte di appello il cui presidente ha provveduto alla convalida dell'arresto previsto dall'articolo 716. Se la competenza non può essere determinata nei modi così indicati, è competente la corte di appello di Roma (1).

 

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(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 29-30 luglio 2008, n. 310 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 31 e 32 Cost.

 

 

Art. 702.

Intervento dello Stato richiedente.

1. A condizione di reciprocità, lo Stato richiedente ha la facoltà di intervenire nel procedimento davanti alla corte di appello e alla corte di cassazione facendosi rappresentare da un avvocato abilitato al patrocinio davanti all'autorità giudiziaria italiana.

 

 

Art. 703.

Accertamenti del procuratore generale.

1. Quando riceve da uno Stato estero una domanda di estradizione, il ministro di grazia e giustizia la trasmette con i documenti che vi sono allegati al procuratore generale presso la corte di appello competente a norma dell'articolo 701 comma 4, salvo che ritenga che essa vada respinta.

2. Salvo che si sia già provveduto a norma dell'articolo 717, il procuratore generale, ricevuta la domanda, dispone la comparizione davanti a sé dell'interessato per provvedere alla sua identificazione e per raccogliere l'eventuale consenso all'estradizione. L'interessato è avvisato che è assistito da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia. Il difensore ha diritto di assistere all'atto del cui compimento gli è dato avviso almeno ventiquattro ore prima.

3. Il procuratore generale richiede alle autorità straniere, per mezzo del ministro di grazia e giustizia, la documentazione e le informazioni che ritiene necessarie.

4. Il procuratore generale, entro tre mesi dalla data in cui la domanda di estradizione gli è pervenuta, presenta alla corte di appello la requisitoria.

5. La requisitoria è depositata nella cancelleria della corte di appello, unitamente agli atti e alle cose sequestrate. La cancelleria cura la notificazione dell'avviso del deposito alla persona della quale è richiesta l'estradizione, al suo difensore e all'eventuale rappresentante dello Stato richiedente, i quali, entro dieci giorni, hanno facoltà di prendere visione e di estrarre copia della requisitoria e degli atti nonché di esaminare le cose sequestrate e di presentare memorie.

 

 

Art. 704.

Procedimento davanti alla corte di appello.

1. Scaduto il termine previsto dall'articolo 703 comma 5, il presidente della corte fissa l'udienza per la decisione, con decreto da comunicarsi al procuratore generale e da notificarsi alla persona della quale è richiesta l'estradizione, al suo difensore e all'eventuale rappresentante dello Stato richiedente, almeno dieci giorni prima, a pena di nullità. Provvede inoltre a designare un difensore di ufficio alla persona che ne sia priva. Fino a cinque giorni prima dell'udienza possono essere presentate memorie in cancelleria.

2. La corte decide con sentenza in camera di consiglio sull'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione, dopo aver assunto le informazioni e disposto gli accertamenti ritenuti necessari e dopo aver sentito il pubblico ministero, il difensore e, se compaiono, la persona della quale è richiesta l'estradizione e il rappresentante dello Stato richiedente.

3. Quando la decisione è favorevole all'estradizione, la corte, se vi è richiesta del ministro di grazia e giustizia, dispone la custodia cautelare in carcere [c.p.p. 285] della persona da estradare che si trovi in libertà e provvede al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato [c.p.p. 253], stabilendo quali documenti e cose sequestrate possono essere consegnati allo Stato richiedente.

4. Quando la decisione è contraria all'estradizione, la corte revoca le misure cautelari applicate e dispone in ordine alla restituzione delle cose sequestrate [c.p.p. 262] (1).

 

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(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 29-30 luglio 2008, n. 310 (Gazz. Uff. 6 agosto 2008, n. 33 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 31 e 32 Cost.

 

 

Art. 705.

Condizioni per la decisione.

1. Quando non esiste convenzione o questa non dispone diversamente, la corte di appello pronuncia sentenza favorevole all'estradizione se sussistono gravi indizi di colpevolezza ovvero se esiste una sentenza irrevocabile di condanna e se, per lo stesso fatto, nei confronti della persona della quale è domandata l'estradizione, non è in corso procedimento penale né è stata pronunciata sentenza irrevocabile nello Stato.

2. La corte di appello pronuncia comunque sentenza contraria all'estradizione:

a) se, per il reato per il quale l'estradizione è stata domandata, la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali;

b) se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata l'estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato;

c) se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta agli atti, alle pene o ai trattamenti indicati nell'articolo 698 comma 1.

 

 

Art. 706.

Ricorso per cassazione.

1. Contro la sentenza della corte di appello può essere proposto ricorso per cassazione, anche per il merito, dalla persona interessata, dal suo difensore, dal procuratore generale e dal rappresentante dello Stato richiedente.

2. Nel giudizio davanti alla corte di cassazione si applicano le disposizioni dell'articolo 704.

 

 

Art. 707.

Rinnovo della domanda di estradizione.

1. La sentenza contraria all'estradizione preclude la pronuncia di una successiva sentenza favorevole a seguito di un'ulteriore domanda presentata per i medesimi fatti dallo stesso Stato, salvo che la domanda sia fondata su elementi che non siano già stati valutati dall'autorità giudiziaria.

 

 

Art. 708.

Provvedimento di estradizione. Consegna.

1. Il ministro di grazia e giustizia decide in merito all'estradizione entro quarantacinque giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso all'estradizione ovvero dalla notizia della scadenza del termine per l'impugnazione o dal deposito della sentenza della corte di cassazione.

2. Scaduto tale termine senza che sia intervenuta la decisione del ministro, la persona della quale è stata chiesta l'estradizione, se detenuta, è posta in libertà.

3. La persona medesima è altresì posta in libertà in caso di diniego dell'estradizione.

4. Il ministro di grazia e giustizia comunica senza indugio allo Stato richiedente la decisione e, se questa è positiva, il luogo della consegna e la data a partire dalla quale sarà possibile procedervi, dando altresì precise indicazioni circa le limitazioni alla libertà personale subite dall'estradando ai fini dell'estradizione.

5. Il termine per la consegna è di quindici giorni dalla data stabilita a norma del comma 4 e, a domanda motivata dello Stato richiedente, può essere prorogato di altri venti gi

6. Il provvedimento di concessione dell'estradizione perde efficacia se, nel termine fissato, lo Stato richiedente non provvede a prendere in consegna l'estradando; in tal caso quest'ultimo viene posto in libertà.

 

 

Art. 709.

Sospensione della consegna. Consegna temporanea. Esecuzione all'estero.

1. L'esecuzione dell'estradizione è sospesa se l'estradando deve essere giudicato nel territorio dello Stato o vi deve scontare una pena per reati commessi prima o dopo quello per il quale l'estradizione è stata concessa. Tuttavia il ministro di grazia e giustizia, sentita l'autorità giudiziaria competente per il procedimento in corso nello Stato o per l'esecuzione della pena, può procedere alla consegna temporanea allo Stato richiedente della persona da estradare ivi imputata, concordandone termini e modalità (1).

2. Il ministro può inoltre, osservate le disposizioni del capo II del titolo IV, convenire che la pena da scontare abbia esecuzione nello Stato richiedente [c.p.p. 742].

 

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(1) Vedi l'art. 11, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia, convertito, con modificazioni, con la L. 14 febbraio 1994, n. 120.

 

 

Art. 710.

Estensione dell'estradizione concessa.

1. In caso di nuova domanda di estradizione, presentata dopo la consegna dell'estradato e avente a oggetto un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l'estradizione è già stata concessa, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del presente capo. Alla domanda devono essere allegate le dichiarazioni della persona interessata, rese davanti a un giudice dello Stato richiedente, in ordine alla richiesta estensione dell'estradizione.

2. La corte di appello procede in assenza della persona interessata.

3. Non si fa luogo al giudizio davanti alla corte di appello se l'estradato, con le dichiarazioni previste dal comma 1, ha consentito all'estensione richiesta.

 

 

Art. 711.

Riestradizione.

1. Le disposizioni dell'articolo 710 si applicano anche nel caso in cui lo Stato al quale la persona è stata consegnata domanda il consenso alla riestradizione della stessa persona verso un altro Stato.

 

 

Art. 712.

Transito.

1. Il transito attraverso il territorio dello Stato di una persona estradata da uno ad altro Stato è autorizzato, su domanda di quest'ultimo, dal ministro di grazia e giustizia, salvo che il transito non comprometta la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato.

2. Il transito non può essere autorizzato:

a) se l'estradizione è stata concessa per fatti non previsti come reati dalla legge italiana [c.p. 13];

b) se ricorre taluna delle ipotesi previste dall'articolo 698 comma 1 ovvero l'ipotesi prevista dal comma 2 dello stesso articolo se lo Stato richiedente non dia assicurazione che la pena di morte non sia inflitta o, se già inflitta, non sarà eseguita;

c) se si tratta di un cittadino italiano [Cost. 26; c.p. 13] e la sua estradizione allo Stato che ha richiesto il transito non potrebbe essere concessa.

3. Salvo che la persona estradata non abbia consentito al transito con dichiarazione resa davanti all'autorità giudiziaria dello Stato che ha concesso l'estradizione, l'autorizzazione non può essere data senza la decisione favorevole della corte di appello. A tal fine il ministro di grazia e giustizia trasmette la domanda e i documenti allegati al procuratore generale presso la corte di appello. La corte procede in camera di consiglio in assenza della persona interessata, applicando le disposizioni previste dall'articolo 704 commi 1 e 2. Si applicano altresì le disposizioni previste dall'articolo 706 comma 1. La competenza a decidere appartiene in ogni caso alla corte d'appello di Roma.

4. L'autorizzazione non è richiesta quando il transito avviene per via aerea e non è previsto lo scalo nel territorio dello Stato. Tuttavia, se lo scalo si verifica, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi precedenti e quelle della sezione II del presente capo.

 

 

Art. 713.

Misure di sicurezza applicate all'estradato.

1. Le misure di sicurezza applicate al prosciolto o al condannato nello Stato, che successivamente venga estradato, sono eseguite, quando lo stesso ritorna per qualsiasi causa nel territorio dello Stato, previo nuovo accertamento della pericolosità sociale [c.p. 203].

 

 

Art. 714.

Misure coercitive e sequestro.

1 In ogni tempo la persona della quale è domandata l'estradizione può essere sottoposta, a richiesta del ministro di grazia e giustizia, a misure coercitive (1). Parimenti, in ogni tempo, può essere disposto, a richiesta del ministro di grazia e giustizia, il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato per il quale è domandata l'estradizione.

2. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del titolo I del libro IV, riguardanti le misure coercitive, fatta eccezione di quelle degli articoli 273 e 280, e le disposizioni del capo III del titolo III del libro III. Nell'applicazione delle misure coercitive si tiene conto in particolare dell'esigenza di garantire che la persona della quale è domandata l'estradizione non si sottragga all'eventuale consegna.

3. Le misure coercitive e il sequestro non possono comunque essere disposti se vi sono ragioni per ritenere che non sussistono le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione.

4. Le misure coercitive sono revocate se dall'inizio della loro esecuzione è trascorso un anno senza che la corte di appello abbia pronunciato la sentenza favorevole all'estradizione ovvero, in caso di ricorso per cassazione contro tale sentenza, un anno e sei mesi senza che sia stato esaurito il procedimento davanti all'autorità giudiziaria. A richiesta del procuratore generale, detti termini possono essere prorogati, anche più volte, per un periodo complessivamente non superiore a tre mesi, quando è necessario procedere ad accertamenti di particolare complessità (2).

5. La competenza a provvedere a norma dei commi precedenti appartiene alla corte di appello o, nel corso del procedimento davanti alla corte di cassazione, alla corte medesima.

 

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(1) Vedi gli artt. 280-286 c.p.p.

(2) Comma così sostituito dall'art. 35, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, recante disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate.

 

 

Art. 715.

Applicazione provvisoria di misure cautelari.

1. Su domanda dello Stato estero e a richiesta motivata del ministro di grazia e giustizia, la corte di appello può disporre, in via provvisoria, una misura coercitiva prima che la domanda di estradizione sia pervenuta (1).

2. La misura può essere disposta se:

a) lo Stato estero ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale ovvero sentenza di condanna a pena detentiva e che intende presentare domanda di estradizione;

b) lo Stato estero ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e gli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona;

c) vi è pericolo di fuga.

3. La competenza a disporre la misura appartiene, nell'ordine, alla corte di appello nel cui distretto la persona ha la residenza, la dimora o il domicilio ovvero alla corte di appello del distretto in cui risulta che la persona si trova. Se la competenza non può essere determinata nei modi così indicati, è competente la corte di appello di Roma.

4. La corte di appello può altresì disporre il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.

5. Il ministro di grazia e giustizia dà immediata comunicazione allo Stato estero dell'applicazione in via provvisoria della misura coercitiva e dell'eventuale sequestro.

6. Le misure cautelari sono revocate se entro quaranta giorni dalla predetta comunicazione non sono pervenuti al ministero degli affari esteri o a quello di grazia e giustizia la domanda di estradizione e i documenti previsti dall'articolo 700.

 

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(1) Vedi gli artt. 280-286 c.p.p.

 

 

Art. 716.

Arresto da parte della polizia giudiziaria.

1. Nei casi di urgenza, la polizia giudiziaria può procedere all'arresto [Cost. 13] della persona nei confronti della quale sia stata presentata domanda di arresto provvisorio se ricorrono le condizioni previste dall'articolo 715 comma 2. Essa provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.

2. L'autorità che ha proceduto all'arresto ne informa immediatamente il ministro di grazia e giustizia e al più presto, e comunque non oltre quarantotto ore, pone l'arrestato a disposizione del presidente della corte di appello nel cui distretto l'arresto è avvenuto, mediante la trasmissione del relativo verbale.

3. Quando non deve disporre la liberazione dell'arrestato, il presidente della corte di appello, entro novantasei ore dall'arresto, lo convalida con ordinanza disponendo l'applicazione di una misura coercitiva. Dei provvedimenti dati informa immediatamente il ministro di grazia e giustizia.

4. La misura coercitiva è revocata se il ministro di grazia e giustizia non ne chiede il mantenimento entro dieci giorni dalla convalida.

5. Si applicano le disposizioni dell'articolo 715 commi 5 e 6.

 

 

Art. 717.

Audizione della persona sottoposta a una misura coercitiva.

1. Quando è stata applicata una misura coercitiva a norma degli articoli 714, 715 e 716, il presidente della corte di appello, al più presto e comunque entro cinque giorni dalla esecuzione della misura ovvero dalla convalida prevista dall'articolo 716, provvede, all'identificazione della persona e ne raccoglie l'eventuale consenso all'estradizione facendone menzione nel verbale.

2. Al fine di provvedere agli adempimenti previsti dal comma 1, il presidente della corte di appello invita l'interessato a nominare un difensore di fiducia designando, in difetto di tale nomina, un difensore di ufficio a norma dell'articolo 97 comma 3. Il difensore deve essere avvisato, almeno ventiquattro ore prima, della data fissata per i predetti adempimenti e ha diritto di assistervi (1).

 

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(1) Vedi l'art. 12, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia, convertito, con modificazioni, con la L. 14 febbraio 1994, n. 120.

 

 

Art. 718.

Revoca e sostituzione delle misure.

1. La revoca e la sostituzione delle misure previste dagli articoli precedenti sono disposte in camera di consiglio [c.p.p. 127] dalla corte di appello o, nel corso del procedimento davanti alla corte di cassazione, dalla corte medesima.

2. La revoca è sempre disposta se il ministro di grazia e giustizia ne fa richiesta.

 

 

Art. 719.

Impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari.

1. Copia dei provvedimenti emessi dal presidente della corte di appello o dalla corte di appello a norma degli articoli precedenti è comunicata e notificata, dopo la loro esecuzione, al procuratore generale presso la corte di appello, alla persona interessata e al suo difensore, i quali possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge (1).

 

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(1) Vedi l'art. 12, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia, convertito, con modificazioni, con la L. 14 febbraio 1994, n. 120.

 

 

Art. 720.

Domanda di estradizione.

1. Il ministro di grazia e giustizia è competente a domandare a uno Stato estero l'estradizione di un imputato o di un condannato nei cui confronti debba essere eseguito un provvedimento restrittivo della libertà personale. A tal fine il procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto si procede o è stata pronunciata la sentenza di condanna ne fa richiesta al ministro di grazia e giustizia, trasmettendogli gli atti e i documenti necessari.

2. L'estradizione può essere domandata di propria iniziativa dal ministro di grazia e giustizia.

3. Il ministro di grazia e giustizia può decidere di non presentare la domanda di estradizione o di differirne la presentazione dandone comunicazione all'autorità giudiziaria richiedente.

4. Il ministro di grazia e giustizia è competente a decidere in ordine all'accettazione delle condizioni eventualmente poste dallo Stato estero per concedere l'estradizione, purché non contrastanti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. L'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto delle condizioni accettate.

5. Il ministro di grazia e giustizia può disporre, al fine di estradizione, le ricerche all'estero dell'imputato o del condannato e domandarne l'arresto provvisorio.

 

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(1) Il trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale del Brasile, fatto a Roma il 17 ottobre 1989, è stato ratificato e reso esecutivo con L. 23 aprile 1991, n. 144. L'accordo tra gli Stati membri delle Comunità europee sulla semplificazione e la modernizzazione delle modalità di trasmissione delle domande di estradizione, fatto a Donostia-San Sebastian il 26 maggio 1989, è stato ratificato e reso esecutivo con L. 23 dicembre 1992, n. 522.

 

 

Art. 721.

Principio di specialità.

1. La persona estradata non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza né assoggettata ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l'estradizione è stata concessa, salvo che vi sia l'espresso consenso dello Stato estero o che l'estradato, avendone avuta la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero che, dopo averlo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno.

 

 

Art. 722.

Custodia cautelare all'estero.

 

1. - La custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata ai soli effetti della durata complessiva stabilita dall'articolo 303 comma 4, fermo quanto previsto dall'articolo 304 comma 4 (1).

 

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(1) Articolo sostituito dall'art. 10, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa. La Corte costituzionale, con sentenza 8-21 luglio 2004, n. 253 (Gazz. Uff. 28 luglio 2004, n. 29 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente articolo, nella parte in cui non prevede che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale.

 

 

Art. 723.

Poteri del ministro di grazia e giustizia.

1. Il ministro di grazia e giustizia dispone che si dia corso alla rogatoria di un'autorità straniera per comunicazioni, notificazioni e per attività di acquisizione probatoria, salvo che ritenga che gli atti richiesti compromettano la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato (1).

2. Il ministro non dà corso alla rogatoria quando risulta evidente che gli atti richiesti sono espressamente vietati dalla legge o sono contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. Il ministro non dà altresì corso alla rogatoria quando vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali possano influire negativamente sullo svolgimento o sull'esito del processo e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria.

3. Nei casi in cui la rogatoria ha ad oggetto la citazione di un testimone, di un perito o di un imputato davanti all'autorità giudiziaria straniera, il ministro di grazia e giustizia non dà corso alla rogatoria quando lo Stato richiedente non offre idonea garanzia in ordine all'immunità della persona citata.

4. Il ministro ha inoltre facoltà di non dare corso alla rogatoria quando lo Stato richiedente non dia idonee garanzie di reciprocità (2).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 30 settembre-8 ottobre 1996, n. 336 (Gazz. Uff. 16 ottobre 1996, n. 42 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 Cost.

(2) Vedi, anche, la L. 22 aprile 2005, n. 69 sul mandato d'arresto europeo.

 

 

Art. 724.

Procedimento in sede giurisdizionale.

1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 726 e 726-ter, non si può dare esecuzione alla rogatoria dell'autorità straniera senza previa decisione favorevole della corte di appello del luogo in cui deve procedersi agli atti richiesti (1).

1-bis. Quando la domanda di assistenza giudiziaria ha per oggetto atti che devono essere eseguiti in più distretti di corte d'appello, la stessa è trasmessa, direttamente dall'autorità straniera, o tramite il Ministero della giustizia o altra autorità giudiziaria italiana eventualmente adita, alla Corte di cassazione, che determina secondo le forme previste dagli articoli 32, comma 1, e 127, in quanto compatibili, la corte d'appello competente, tenuto conto anche del numero di atti da svolgere e della tipologia ed importanza degli stessi con riferimento alla dislocazione delle sedi giudiziarie interessate. L'avviso di cui all'articolo 127, comma 1, è comunicato soltanto al procuratore generale presso la Corte di cassazione. La Corte di cassazione trasmette gli atti alla corte d'appello designata, comunicando la decisione al Ministero della giustizia (2).

2. Il procuratore generale, ricevuti gli atti dal ministro di grazia e giustizia, presenta la propria requisitoria alla corte di appello e trasmette senza ritardo al procuratore nazionale antimafia copia delle rogatorie dell'autorità straniera che si riferiscono ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis (3).

3. Il presidente della corte fissa la data dell'udienza e ne dà comunicazione al procuratore generale.

4. La corte dà esecuzione alla rogatoria con ordinanza.

5. L'esecuzione della rogatoria è negata:

a) se gli atti richiesti sono vietati dalla legge e sono contrari a principi dell'ordinamento giuridico dello Stato;

b) se il fatto per cui procede l'autorità straniera non è previsto come reato dalla legge italiana e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria;

c) se vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali possano influire sullo svolgimento o sull'esito del processo e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria.

5-bis. L'esecuzione della rogatoria è sospesa se essa può pregiudicare indagini o procedimenti penali in corso nello Stato (4).

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 10, L. 5 ottobre 2001, n. 367. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 726, non si può dare esecuzione alla rogatoria dell'autorità straniera senza previa decisione favorevole della corte d'appello del luogo in cui deve procedersi agli atti richiesti».

(2) Comma aggiunto dall'art. 10, L. 5 ottobre 2001, n. 367.

(3) Comma così modificato dall'art. 10, L. 5 ottobre 2001, n. 367. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «2. Il procuratore generale, ricevuti gli atti dal ministro di grazia e giusitzia, presenta la propria requisitoria alla corte di appello».

(4) Comma aggiunto dall'art. 6, L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990.

 

 

Art. 725.

Esecuzione delle rogatorie.

1. Nell'ordinare l'esecuzione della rogatoria la corte delega uno dei suoi componenti ovvero il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono compiersi.

2. Per il compimento degli atti richiesti si applicano le norme di questo codice, salva l'osservanza delle forme espressamente richieste dall'autorità giudiziaria straniera che non siano contrarie ai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato (1).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 30 settembre-8 ottobre 1996, n. 336 (Gazz. Uff. 16 ottobre 1996, n. 42 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 Cost.

 

 

Art. 726.

Citazione di testimoni a richiesta dell'autorità straniera.

1. La citazione dei testimoni residenti o dimoranti nel territorio dello Stato, richiesta da una autorità giudiziaria straniera, è trasmessa al procuratore della Repubblica del luogo in cui deve essere eseguita, il quale provvede per la notificazione a norma dell'articolo 167.

 

 

Art. 726-bis.

Notifica diretta all'interessato.

1. Quando le convenzioni o gli accordi internazionali consentono la notificazione diretta all'interessato a mezzo posta e questa non viene utilizzata, anche la richiesta dell'autorità giudiziaria straniera di notificazione all'imputato residente o dimorante nel territorio dello Stato è trasmessa al procuratore della Repubblica del luogo in cui deve essere eseguita, che provvede per la notificazione a norma degli articoli 156, 157 e 158 (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 5 ottobre 2001, n. 367.

 

 

Art. 726-ter.

Rogatoria proveniente da autorità amministrativa straniera.

1. Quando un accordo internazionale prevede che la richiesta di assistenza giudiziaria in un procedimento concernente un reato sia presentata anche da un'autorità amministrativa straniera, alla rogatoria provvede, su richiesta del procuratore della Repubblica, il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui devono essere eseguiti gli atti richiesti. Si applicano gli articoli 724, comma 5 e 5-bis, e 725, comma 2 (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 5 ottobre 2001, n. 367.

 

 

Art. 727.

Trasmissione di rogatorie ad autorità straniere.

1. Le rogatorie dei giudici e dei magistrati del pubblico ministero dirette, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, alle autorità straniere per comunicazioni, notificazioni e per attività di acquisizione probatoria, sono trasmesse al ministro di grazia e giustizia il quale provvede all'inoltro per via diplomatica.

2. Il ministro dispone con decreto, entro trenta giorni dalla ricezione della rogatoria, che non si dia corso alla stessa, qualora ritenga che possano essere compromessi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato.

3. Il ministro comunica all'autorità giudiziaria richiedente la data di ricezione della richiesta e l'avvenuto inoltro della rogatoria ovvero il decreto previsto dal comma 2.

4. Quando la rogatoria non è stata inoltrata dal ministro entro trenta giorni dalla ricezione e non sia stato emesso il decreto previsto dal comma 2, l'autorità giudiziaria può provvedere all'inoltro diretto all'agente diplomatico o consolare italiano, informandone il ministro di grazia e giustizia.

5. Nei casi urgenti, l'autorità giudiziaria trasmette la rogatoria a norma del comma 4 dopo che copia di essa è stata ricevuta dal ministro di grazia e giustizia. Resta salva l'applicazione della disposizione del comma 2 sino al momento della trasmissione della rogatoria, da parte dell'agente diplomatico o consolare, all'autorità straniera.

5-bis. Quando, a norma di accordi internazionali, la domanda di assistenza giudiziaria può essere eseguita secondo modalità previste dall'ordinamento dello Stato, l'autorità giudiziaria, nel formulare la domanda di assistenza, ne specifica le modalità indicando gli elementi necessari per l'utilizzazione processuale degli atti richiesti (1).

5-ter. In ogni caso, copia delle rogatorie dei magistrati del pubblico ministero, formulate nell'ambito di procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, è trasmessa senza ritardo al procuratore nazionale antimafia (2).

 

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(1) Comma aggiunto dall'art. 12, L. 5 ottobre 2001, n. 367.

(2) Comma aggiunto dall'art. 12, L. 5 ottobre 2001, n. 367.

 

 

Art. 728.

Immunità temporanea della persona citata.

1. Nei casi in cui la rogatoria ha ad oggetto la citazione di un testimone, di un perito o di un imputato davanti all'autorità giudiziaria italiana, la persona citata, qualora compaia, non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettata ad altre misure restrittive della libertà personale per fatti anteriori alla notifica della citazione.

2. L'immunità prevista dal comma 1 cessa qualora il testimone, il perito o l'imputato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato trascorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno.

 

 

Art. 729.

Utilizzabilità degli atti assunti per rogatoria.

1. La violazione delle norme di cui all'articolo 696, comma 1, riguardanti l'acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria all'estero comporta l'inutilizzabilità dei documenti o dei mezzi di prova acquisiti o trasmessi. Qualora lo Stato estero abbia posto condizioni all'utilizzabilità degli atti richiesti, l'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni (1).

1-bis. Se lo stato estero dà esecuzione alla rogatoria con modalità diverse da quelle indicate dall'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 727, comma 5-bis, gli atti compiuti dall'autorità straniera sono inutilizzabili (2).

1-ter. Non possono in ogni caso essere utilizzate le dichiarazione, da chiunque rese, aventi ad oggetto il contenuto degli atti inutilizzabili ai sensi dei commi 1 e 1-bis (3).

2. Si applica la disposizione dell'articolo 191 comma 2.

 

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(1) Gli attuali commi 1, 1-bis e 1-ter hanno così sostituito l'originario comma 1, ai sensi di quanto disposto dall'art. 13, L. 5 ottobre 2001, n. 367. Il testo dell'originario comma 1 era il seguente: «Qualora lo Stato estero abbia posto condizioni alla utilizzabilità degli atti richiesti, l'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni».

(2) Gli attuali commi 1, 1-bis e 1-ter hanno così sostituito l'originario comma 1, ai sensi di quanto disposto dall'art. 13, L. 5 ottobre 2001, n. 367. Il testo dell'originario comma 1 era il seguente: «Qualora lo Stato estero abbia posto condizioni alla utilizzabilità degli atti richiesti, l'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni».

(3) Gli attuali commi 1, 1-bis e 1-ter hanno così sostituito l'originario comma 1, ai sensi di quanto disposto dall'art. 13, L. 5 ottobre 2001, n. 367. Il testo dell'originario comma 1 era il seguente: «Qualora lo Stato estero abbia posto condizioni alla utilizzabilità degli atti richiesti, l'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni».

 

 

Art. 730.

Riconoscimento delle sentenze penali straniere per gli effetti previsti dal codice penale.

1. Il Ministro di grazia e giustizia, quando riceve una sentenza penale di condanna o di proscioglimento pronunciata all'estero nei confronti di cittadini italiani o di stranieri o di apolidi residenti nello Stato ovvero di persone sottoposte a procedimento penale nello Stato, trasmette senza ritardo al procuratore generale presso la corte di appello, nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario locale del luogo di nascita della persona cui è riferito il provvedimento giudiziario straniero, o presso la Corte di appello di Roma, copia della sentenza, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati, e con le informazioni e la documentazione del caso. Trasmette inoltre l'eventuale richiesta indicata nell'articolo 12 comma 2 del codice penale (1).

2. Il procuratore generale, se deve essere dato riconoscimento alla sentenza straniera per gli effetti previsti dall'articolo 12 comma 1 numeri 1, 2 e 3 del codice penale, promuove il relativo procedimento con richiesta alla corte di appello. A tale scopo, anche per mezzo del ministero di grazia e giustizia, può chiedere alle autorità estere competenti le informazioni che ritiene opportune.

2-bis. Quando il procuratore generale è informato dall'autorità straniera, anche per il tramite del Ministero della giustizia, dell'esistenza di una sentenza penale di condanna pronunciata all'estero, ne richiede la trasmissione all'autorità straniera con rogatoria, ai fini del riconoscimento ai sensi del comma 2 (2).

3. La richiesta alla corte di appello contiene la specificazione degli effetti per i quali il riconoscimento è domandato.

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 53 del testo unico di cui al D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal quarantacinquesimo giorno dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale avvenuta il 13 febbraio 2003, ai sensi di quanto disposto dall'art. 55 dello stesso decreto.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «1. Il Ministro di grazia e giustizia, quando riceve una sentenza penale di condanna o di proscioglimento pronunciata all'estero nei confronti di cittadini italiani o di stranieri o di apolidi residenti nello Stato ovvero di persone sottoposte a procedimento penale nello Stato, trasmette senza ritardo al procuratore generale presso la corte di appello, nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario competente ai fini dell'iscrizione [c.p.p. 685, comma 1], una copia della sentenza, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati, e con le informazioni e la documentazione del caso. Trasmette inoltre l'eventuale richiesta indicata nell'articolo 12 comma 2 del codice penale».

(2) Comma aggiunto dall'art. 14, L. 5 ottobre 2001, n. 367.

 

 

Art. 731.

Riconoscimento delle sentenze penali straniere a norma di accordi internazionali.

1. Il Ministro di grazia e giustizia, se ritiene che a norma di un accordo internazionale deve avere esecuzione nello Stato una sentenza penale pronunciata all'estero o comunque che a essa devono venire attribuiti altri effetti nello Stato, ne richiede il riconoscimento. A tale scopo trasmette al procuratore generale presso la corte di appello nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario locale del luogo di nascita della persona cui è riferito il provvedimento giudiziario straniero, o presso la Corte di appello di Roma, una copia della sentenza, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati, e con la documentazione e le informazioni disponibili. Trasmette inoltre l'eventuale domanda di esecuzione nello Stato da parte dello Stato estero ovvero l'atto con cui questo Stato acconsente all'esecuzione (1).

1-bis. Le disposizioni del comma si applicano anche quando si tratta dell'esecuzione di una confisca ed il relativo provvedimento è stato adottato dall'autorità giudiziaria straniera con atto diverso dalla sentenza di condanna (2).

2. Il procuratore generale promuove il riconoscimento con richiesta alla corte di appello. Ove ne ricorrano i presupposti, richiede che il riconoscimento sia deliberato anche agli effetti previsti dall'articolo 12 comma 1 numeri 1, 2 e 3 del codice penale.

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 53 del testo unico di cui al D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal quarantacinquesimo giorno dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale avvenuta il 13 febbraio 2003, ai sensi di quanto disposto dall'art. 55 dello stesso decreto.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «1. Il Ministro di grazia e giustizia, se ritiene che a norma di un accordo internazionale deve avere esecuzione nello Stato una sentenza penale pronunciata all'estero o comunque che a essa devono venire attribuiti altri effetti nello Stato, ne richiede il riconoscimento. A tale scopo trasmette al procuratore generale presso la corte di appello nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario competente ai fini della iscrizione [c.p.p. 685, comma 1], una copia della sentenza, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati, e con la documentazione e le informazioni disponibili. Trasmette inoltre l'eventuale domanda di esecuzione nello Stato da parte dello Stato estero ovvero l'atto con cui questo Stato acconsente all'esecuzione».

(2) Comma aggiunto dall'art. 7, L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990.

 

 

Art. 732.

Riconoscimento delle sentenze penali straniere per gli effetti civili.

1. Chi ha interesse a far valere in giudizio le disposizioni penali di una sentenza straniera per conseguire le restituzioni o il risarcimento del danno o per altri effetti civili, può domandare il riconoscimento della sentenza alla corte di appello nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario locale del luogo di nascita della persona cui è riferito il provvedimento giudiziario straniero, o alla Corte di appello di Roma (1).

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 53 del testo unico di cui al D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, a decorrere dal quarantacinquesimo giorno dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale avvenuta il 13 febbraio 2003, ai sensi di quanto disposto dall'art. 55 dello stesso decreto. Vedi, anche, l'art. 10, terzo comma, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, di approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.

Il testo del comma precedentemente in vigore era il seguente: «1. Chi ha interesse a far valere in giudizio le disposizioni penali di una sentenza straniera per conseguire le restituzioni o il risarcimento del danno o per altri effetti civili, può domandare il riconoscimento della sentenza alla corte di appello nel distretto della quale ha sede l'ufficio del casellario competente ai fini dell'iscrizione [c.p.p. 685, comma 1]».

 

 

Art. 733.

Presupposti del riconoscimento.

1. La sentenza straniera non può essere riconosciuta se:

a) la sentenza non è divenuta irrevocabile per le leggi dello Stato in cui è stata pronunciata;

b) la sentenza contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato;

c) la sentenza non è stata pronunciata da un giudice indipendente e imparziale ovvero l'imputato non è stato citato a comparire in giudizio davanti all'autorità straniera ovvero non gli è stato riconosciuto il diritto a essere interrogato in una lingua a lui comprensibile e a essere assistito da un difensore;

d) vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali abbiano influito sullo svolgimento o sull'esito del processo;

e) il fatto per il quale è stata pronunciata la sentenza non è previsto come reato dalla legge italiana;

f) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile;

g) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è in corso nello Stato procedimento penale.

1-bis. Salvo quanto previsto dall'articolo 735-bis, la sentenza straniera non può essere riconosciuta ai fini dell'esecuzione di una confisca se questa ha per oggetto beni la cui confisca non sarebbe possibile secondo la legge italiana qualora per lo stesso fatto si procedesse nello Stato (1).

 

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(1) Comma aggiunto dall'art. 8, L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990.

 

 

Art. 734.

Deliberazione della corte di appello.

1. La corte di appello delibera in ordine al riconoscimento, osservate le forme previste dall'articolo 127, con sentenza, nella quale enuncia espressamente gli effetti che ne conseguono.

2. La sentenza è soggetta a ricorso per cassazione da parte del procuratore generale presso la corte di appello e dell'interessato (1).

 

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(1) Vedi l'art. 7, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia, convertito, con modificazioni, con la L. 14 febbraio 1994, n. 120.

 

 

Art. 735.

Determinazione della pena ed ordine di confisca.

1. La corte di appello, quando pronuncia il riconoscimento ai fini dell'esecuzione di una sentenza straniera, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato.

2. A tal fine essa converte la pena stabilita nella sentenza straniera in una delle pene previste per lo stesso fatto dalla legge italiana. Tale pena, per quanto possibile, deve corrispondere per natura a quella inflitta con la sentenza straniera. La quantità della pena è determinata, tenendo eventualmente conto dei criteri di ragguaglio previsti dalla legge italiana, sulla base di quella fissata nella sentenza straniera; tuttavia tale quantità non può eccedere il limite massimo previsto per lo stesso fatto dalla legge italiana. Quando la quantità della pena non è stabilita nella sentenza straniera, la corte la determina sulla base dei criteri indicati negli articoli 133, 133-bis e 133-ter del codice penale.

3. In nessun caso la pena così determinata può essere più grave di quella stabilita nella sentenza straniera.

4. Se nello Stato estero nel quale fu pronunciata la sentenza l'esecuzione della pena è stata condizionalmente sospesa, la corte dispone inoltre, con la sentenza di riconoscimento, la sospensione condizionale della pena a norma del codice penale; se in detto Stato il condannato è stato liberato sotto condizione, la corte sostituisce alla misura straniera la liberazione condizionale e il magistrato di sorveglianza, nel determinare le prescrizioni relative alla libertà vigilata, non può aggravare il trattamento sanzionatorio complessivo stabilito nei provvedimenti stranieri.

5. Per determinare la pena pecuniaria l'ammontare stabilito nella sentenza straniera è convertito nel pari valore in lire italiane (1) al cambio del giorno in cui il riconoscimento è deliberato.

6. Quando la corte pronuncia il riconoscimento ai fini dell'esecuzione di una confisca, questa è ordinata con la stessa sentenza di riconoscimento.

 

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(1) Ora da intendersi in euro.

 

 

Art. 735-bis.

Confisca consistente nella imposizione del pagamento di una somma di denaro.

1. Nel caso di esecuzione di un provvedimento straniero di confisca consistente nella imposizione nel pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore del prezzo, del prodotto o del profitto di un reato, si applicano le disposizioni sull'esecuzione delle pene pecuniarie, ad eccezione di quella concernente il rispetto del limite massimo di pena previsto dall'articolo 735 comma 2 (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 9, L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990.

 

 

Art. 736.

Misure coercitive.

1. Su richiesta del procuratore generale, la corte di appello competente per il riconoscimento di una sentenza straniera ai fini dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale, può disporre una misura coercitiva nei confronti del condannato che si trovi nel territorio dello Stato.

2. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del titolo I del libro IV riguardanti le misure coercitive, fatta eccezione di quelle dell'articolo 273.

3. Il presidente della corte di appello, al più presto e comunque entro cinque giorni dalla esecuzione della misura coercitiva, provvede alla identificazione della persona. Si applica la disposizione dell'articolo 717 comma 2.

4. La misura coercitiva, disposta a norma del presente articolo, è revocata se dall'inizio della sua esecuzione sono trascorsi sei mesi senza che la corte di appello abbia pronunciato sentenza di riconoscimento, ovvero, in caso di ricorso per cassazione contro tale sentenza, dieci mesi senza che sia intervenuta sentenza irrevocabile di riconoscimento.

5. La revoca e la sostituzione della misura coercitiva sono disposte in camera di consiglio dalla corte di appello.

6. Copia dei provvedimenti emessi dalla corte è comunicata e notificata, dopo la loro esecuzione, al procuratore generale, alla persona interessata e al suo difensore, i quali possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge.

 

 

Art. 737.

Sequestro.

1. Su richiesta del procuratore generale, la corte di appello competente per il riconoscimento di una sentenza straniera ai fini dell'esecuzione di una confisca [c.p. 240] può ordinare il sequestro delle cose assoggettabili a confisca.

2. Se la corte non accoglie la richiesta, contro la relativa ordinanza può essere proposto ricorso per cassazione da parte del procuratore generale. Contro l'ordinanza che dispone il sequestro può essere proposto ricorso per cassazione per violazione di legge da parte dell'interessato. Il ricorso non ha effetto sospensivo.

3. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni che regolano l'esecuzione del sequestro preventivo (1).

 

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(1) Comma così sostituito dall'art. 10, L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990. Il testo precedente così disponeva: «Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni che regolano il sequestro preventivo».

 

 

Art. 737-bis.

Indagini e sequestro a fini di confisca.

1. Nei casi previsti da accordi internazionali, il Ministro di grazia e giustizia dispone che si dia corso alla richiesta di un'autorità straniera di procedere ad indagini su beni che possono divenire oggetto di una successiva richiesta di esecuzione di una confisca, ovvero di procedere al loro sequestro.

2. A tal fine il Ministro di grazia e giustizia trasmette la richiesta, unitamente agli atti allegati, al procuratore generale presso la corte d'appello competente per il riconoscimento della sentenza straniera ai fini della successiva esecuzione della confisca. Il procuratore generale fa richiesta alla corte d'appello, che decide con ordinanza osservate le forme previste dall'articolo 724.

3. L'esecuzione della richiesta di indagini o sequestro è negata:

a) se gli atti richiesti sono contrari a principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, o sono vietati dalla legge, ovvero se si tratta di atti che non sarebbero consentiti qualora si procedesse nello Stato per gli stessi fatti;

b) se vi sono ragioni per ritenere che non sussitono le condizioni per la successiva esecuzione della confisca.

4. Per l'esecuzione di indagini si osservano le disposizioni dell'articolo 725.

5. Nei casi di richiesta di sequestro, si applicano le disposizioni dell'articolo 737, commi 2 e 3.

6. Il sequestro ordinato ai sensi di questo articolo perde efficacia e la corte d'appello ordina la restituzione delle cose sequestrate a chi ne abbia diritto, se, entro due anni dal momento in cui esso è stato eseguito, lo Stato estero non richiede l'esecuzione della confiosca. Il termine può essere prorogato anche più volte per un periodo massimo di due anni; sulla richiesta decide la corte d'appello che ha dichiarato il sequestro (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 11, L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990.

 

 

Art. 738.

Esecuzione conseguente al riconoscimento.

1. Nei casi di riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza straniera, le pene e la confisca [c.p. 240] conseguenti al riconoscimento sono eseguite secondo la legge italiana. La pena espiata nello Stato di condanna è computata ai fini dell'esecuzione.

2. All'esecuzione provvede di ufficio il procuratore generale presso la corte di appello che ha deliberato il riconoscimento. Tale corte è equiparata, a ogni effetto, al giudice che ha pronunciato sentenza di condanna in un procedimento penale ordinario.

 

 

Art. 739.

Divieto di estradizione e di nuovo procedimento.

1. Nei casi di riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza straniera, salvo che si tratti dell'esecuzione di una confisca [c.p. 240], il condannato non può essere estradato né sottoposto di nuovo a procedimento penale nello Stato per lo stesso fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze.

 

 

Art. 740.

Esecuzione della pena pecuniaria e devoluzione di cose confiscate.

1. La somma ricavata dall'esecuzione della pena pecuniaria è versata alla cassa delle ammende; è invece versata allo Stato di condanna, a sua richiesta, qualora quest'ultimo Stato nelle medesime circostanze provvederebbe al versamento a favore dello Stato italiano.

2. Le cose confiscate sono devolute allo Stato. Esse sono invece devolute, a sua richiesta, allo Stato nel quale è stata pronunciata la sentenza riconosciuta, qualora quest'ultimo Stato nelle medesime circostanze provvederebbe alla devoluzione allo Stato italiano.

 

 

Art. 741.

Procedimento relativo al riconoscimento delle disposizioni civili di sentenze penali straniere.

1. A domanda dell'interessato, nel medesimo procedimento e con la stessa sentenza prevista dall'articolo 734 possono essere dichiarate efficaci le disposizioni civili della sentenza penale straniera di condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno.

2. Negli altri casi, la domanda è proposta da chi ne ha interesse alla corte di appello nel distretto della quale le disposizioni civili della sentenza penale straniera dovrebbero essere fatte valere. Si osservano le disposizioni degli articoli 733 e 734.

 

Art. 742.

Poteri del ministro di grazia e giustizia e presupposti dell'esecuzione all'estero.

1. Nei casi previsti da accordi internazionali o dall'articolo 709 comma 2, il ministro di grazia e giustizia domanda l'esecuzione all'estero delle sentenze penali ovvero vi acconsente quando essa è richiesta dallo Stato estero.

2. L'esecuzione all'estero di una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà personale può essere domandata o concessa solo se il condannato, reso edotto delle conseguenze, ha liberamente dichiarato di acconsentirvi e l'esecuzione nello Stato estero è idonea a favorire il suo reinserimento sociale.

3. L'esecuzione all'estero di una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà personale è ammissibile, anche se non ricorrono le condizioni previste dal comma 2, quando il condannato si trova nel territorio dello Stato richiesto e l'estradizione è stata negata o non è comunque possibile.

 

 

Art. 743.

Deliberazione della corte di appello.

1. La domanda di esecuzione all'estero di una sentenza di condanna a pena restrittiva della libertà personale non è ammessa senza previa deliberazione favorevole della corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la condanna. A tale scopo il ministro di grazia e giustizia trasmette gli atti al procuratore generale affinché promuova il procedimento davanti alla corte di appello.

2. La corte delibera con sentenza, osservate le forme previste dall'articolo 127.

3. Qualora sia necessario il consenso del condannato, esso deve essere prestato davanti all'autorità giudiziaria italiana. Se il condannato si trova all'estero, il consenso può essere prestato davanti all'autorità consolare italiana ovvero davanti all'autorità giudiziaria dello Stato estero.

4. La sentenza è soggetta a ricorso per cassazione da parte del procuratore generale presso la corte di appello e dell'interessato.

 

 

Art. 744.

Limiti dell'esecuzione della condanna all'estero.

1. In nessun caso il ministro di grazia e giustizia può domandare l'esecuzione all'estero di una sentenza penale di condanna a pena restrittiva della libertà personale se si ha motivo di ritenere che il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.

 

 

Art. 745.

Richiesta di misure cautelari all'estero.

1. Se è domandata l'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale e il condannato si trova all'estero, il ministro di grazia e giustizia ne richiede la custodia cautelare [c.p.p. 285].

2. Nel domandare l'esecuzione di una confisca [c.p. 240], il ministro ha facoltà di richiedere il sequestro.

2-bis. Il Ministro ha altresì facoltà, nei casi previsti da accordi internazionali, di richiedere lo svolgimento di indagini per l'identificazione e la ricerca di beni che si trovano all'estero e che possono divenire oggetto di una domanda di esecuzione di confisca, nonché di richiedere il loro sequestro (1).

 

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(1) Comma aggiunto dall'art. 12, L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca di proventi di reato, fatta a Strasburgo l'8 novembre 1990.

 

 

Art. 746.

Effetti sull'esecuzione nello Stato.

1. L'esecuzione della pena nello Stato è sospesa dal momento in cui ha inizio l'esecuzione nello Stato richiesto e per tutta la durata della medesima.

2. La pena non può più essere eseguita nello Stato quando, secondo le leggi dello Stato richiesto, essa è stata interamente espiata.

 


 

Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del C.P.P.
(artt. 145-bis e 146-bis)

 

Art. 145-bis.

Aule di udienza protette.

1. Nei procedimenti per taluno dei reati indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, del codice, quando è necessario, per ragioni di sicurezza, utilizzare aule protette e queste non siano disponibili nella sede giudiziaria territorialmente competente, il Presidente della Corte d'appello, su proposta del Presidente del Tribunale, individua l'aula protetta per il dibattimento nell'ambito del distretto. Qualora l'aula protetta non sia disponibile nell'àmbito del distretto, il Ministero della giustizia fornisce al Presidente della Corte d'appello nel cui distretto si trova il giudice competente l'indicazione dell'aula disponibile, individuata nel distretto di corte d'appello più vicino.

2. Il provvedimento di cui ai commi che precedono è adottato prima della notificazione del decreto di citazione che dispone il giudizio a norma dell'articolo 133 (1).

 

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(1) Articolo aggiunto dall'art. 6, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4.

 

 

Art. 146-bis.

Partecipazione al dibattimento a distanza.

1. Quando si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, nonché nell'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4 del codice, nei confronti di persona che si trova, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere, la partecipazione al dibattimento avviene a distanza nei seguenti casi (1):

a) qualora sussistano gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico;

b) qualora il dibattimento sia di particolare complessità e la partecipazione a distanza risulti necessaria ad evitare ritardi nel suo svolgimento. L'esigenza di evitare ritardi nello svolgimento del dibattimento è valutata anche in relazione al fatto che nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie;

c) [qualora si tratti di detenuto nei cui confronti è stata disposta l'applicazione delle misure di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni e integrazioni] (2).

1-bis. Fuori dei casi previsti dal comma 1, la partecipazione al dibattimento avviene a distanza anche quando si procede nei confronti di detenuto al quale sono state applicate le misure di cui all'articolo 41-bis, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni (3).

2. La partecipazione al dibattimento a distanza è disposta, anche d'ufficio, dal presidente del tribunale o della corte di assise con decreto motivato emesso nella fase degli atti preliminari, ovvero dal giudice con ordinanza nel corso del dibattimento. Il decreto è comunicato alle parti e ai difensori almeno dieci giorni prima dell'udienza.

3. Quando è disposta la partecipazione a distanza, è attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. Se il provvedimento è adottato nei confronti di più imputati che si trovano, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi, ciascuno è posto altresì in grado, con il medesimo mezzo, di vedere ed udire gli altri.

4. E' sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l'imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei.

5. Il luogo dove l'imputato si collega in audiovisione è equiparato all'aula di udienza.

6. Un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza designato dal giudice o, in caso di urgenza, dal presidente è presente nel luogo ove si trova l'imputato e ne attesta l'identità dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all'esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti. Egli dà atto altresì della osservanza delle disposizioni di cui al comma 3 ed al secondo periodo del comma 4 nonché, se ha luogo l'esame, delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova. A tal fine interpella, ove occorra, l'imputato ed il suo difensore. Durante il tempo del dibattimento in cui non si procede ad esame dell'imputato il giudice o, in caso di urgenza, il presidente, può designare ad essere presente nel luogo ove si trova l'imputato, in vece dell'ausiliario, un ufficiale di polizia giudiziaria scelto tra coloro che non svolgono, né hanno svolto, attività di investigazione o di protezione con riferimento all'imputato o ai fatti a lui riferiti. Delle operazioni svolte l'ausiliario o l'ufficiale di polizia giudiziaria redigono verbale a norma dell'articolo 136 del codice.

7. Se nel dibattimento occorre procedere a confronto o ricognizione dell'imputato o ad altro atto che implica l'osservazione della sua persona, il giudice, ove lo ritenga indispensabile, sentite le parti, dispone la presenza dell'imputato nell'aula di udienza per il tempo necessario al compimento dell'atto (4).

 

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(1) Alinea così modificato dall'art. 8, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Quando si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, del codice, nei confronti di persona che si trova, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere, la partecipazione al dibattimento avviene a distanza nei seguenti casi».

(2) Lettera soppressa dall'art. 15, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4.

(3) Comma aggiunto dall'art. 15, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4.

(4) Articolo aggiunto dall'art. 2, L. 7 gennaio 1998, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1998, n. 30), sulla partecipazione al procedimento penale a distanza e l'esame in dibattimento dei collaboratori di giustizia. L'art. 6 della stessa legge, come modificato dall'art. 12, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4, aveva disposto che il termine di efficacia delle disposizioni contenute nel provvedimento fosse posto alla data del 31 dicembre 2002. Successivamente il suddetto art. 6 era stato abrogato dall'art. 8, D.L. 18 ottobre 2001,n. 374; tuttavia l'abrogazione non era più presente nel testo del citato decreto-legge n. 374 del 2001, dopo la conversione dello stesso ad opera della L. 15 dicembre 2001, n. 438. Da ultimo, il citato articolo 6 è stato abrogato dall'art. 3, L. 23 dicembre 2002, n. 279. La Corte costituzionale, con sentenza 14-22 luglio 1999, n. 342 (Gazz. Uff. 28 luglio 1999, n. 30 - Prima serie speciale) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità degli articoli 1 e seguenti della suddetta L. 7 gennaio 1998, n. 11, in riferimento agli artt. 3, 10, 13, 24 e 27 Cost.

 


Codice Penale Militare di Pace
(artt. 3 e 5)

 

Art. 3.

Militari in servizio alle armi.

Salvo che la legge disponga altrimenti, ai militari in servizio alle armi la legge penale militare si applica:

1) relativamente agli ufficiali, dal momento della notificazione del provvedimento di nomina fino al giorno della notificazione del provvedimento, che li colloca fuori del servizio alle armi;

2) relativamente agli altri militari, dal momento stabilito per la loro presentazione fino al momento in cui, inviati in congedo, si presentano all'autorità competente del comune di residenza da essi prescelto; o, se  sottufficiali di carriera, fino al momento della notificazione del provvedimento, che li colloca fuori del servizio alle armi.

L'assenza del militare dal servizio alle armi per  licenza, ancorché illimitata, per infermità, per detenzione preventiva, o per altro analogo motivo, non esclude  l'applicazione della legge penale militare.

Agli effetti delle disposizioni di questo titolo, per notificazione del  provvedimento  s'intende la comunicazione personale di  questo all'interessato, ovvero, quando la comunicazione personale non sia ancora avvenuta, la pubblicazione del provvedimento nel bollettino ufficiale, o nei corrispondenti mezzi di notificazione delle varie  forze  armate  dello Stato.

 

 

Art. 5.

Militari considerati in servizio alle armi.

Agli  effetti  della  legge  penale  militare, sono  considerati  in  servizio alle armi:

1) gli ufficiali collocati in aspettativa, o sospesi dall'impiego, o che comunque, a' termini delle leggi che ne regolano lo stato, sono nella posizione di servizio permanente, ancorché non prestino servizio effettivo alle armi;

2) i sottufficiali di carriera collocati in aspettativa;

3) i militari in stato di allontanamento illecito, diserzione o mancanza alla chiamata, o comunque arbitrariamente assenti dal servizio;

4) i militari in congedo, che scontano una pena militare detentiva, originaria o sostituita a pene comuni;

5) i militari in congedo, che si trovano in stato di detenzione preventiva in un carcere militare, per un reato soggetto alla giurisdizione militare;

6) ogni altro militare in congedo, considerato in servizio alle armi a norma di legge o dei regolamenti militari.

 




L. 4 agosto 1955, n. 848.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.

 

(1). (2) (3)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 24 settembre 1955, n. 221.

(2) Il testo della Convenzione è stato modificato conformemente alle disposizioni del Protocollo n. 3, ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653, del Protocollo n. 5, ratificato con L. 19 maggio 1967, n. 448, del Protocollo n. 8, ratificato con L. 27 ottobre 1988, n. 496, del Protocollo n. 9, ratificato con L. 14 luglio 1993, n. 257, del Protocollo n. 10, ratificato con L. 2 gennaio 1995, n. 17 e del Protocollo n. 11, ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(3) Vedi, anche, il Protocollo n. 2, ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653, il Protocollo n. 4 reso esecutivo con D.P.R. 14 aprile 1982, n. 217, il Protocollo n. 6, ratificato con L. 2 gennaio 1989, n. 8, il Protocollo n. 7, ratificato con L. 9 aprile 1990, n. 98, il Protocollo n. 13, ratificato con L. 15 ottobre 2008, n. 179 e il Protocollo n. 14 ratificato con L. 15 dicembre 2005, n. 280.

 

 

Art. 1. 

Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ed il Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.

 

 

Art. 2. 

Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione e Protocollo suddetti, a decorrere dalla data della loro entrata in vigore.

 

 

Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (4)

 

Traduzione non ufficiale

 

I Governi firmatari, Membri del Consiglio d'Europa;

 

Considerata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, proclamata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 (5);

 

Considerato che questa Dichiarazione tende a garantire il riconoscimento e l'applicazione universali ed effettivi dei diritti che vi sono enunciati;

 

Considerato che il fine del Consiglio d'Europa è quello di realizzare un'unione più stretta tra i suoi Membri, e che uno dei mezzi per conseguire tale fine è la salvaguardia e lo sviluppo dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali;

 

Riaffermato il loro profondo attaccamento a queste Libertà fondamentali che costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico veramente democratico e, dall'altra, su una concezione comune e un comune rispetto dei Diritti dell'Uomo a cui essi si appellano;

 

Risoluti, in quanto governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e di preminenza del diritto, a prendere le prime misure atte ad assicurare la garanzia collettiva di certi diritti enunciati nella Dichiarazione Universale.

 

hanno convenuto quanto segue:

 

 

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(4) Il testo della Convenzione è stato modificato conformemente alle disposizioni del Protocollo n. 3, ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653, del Protocollo n. 5, ratificato con L. 19 maggio 1967, n. 448, del Protocollo n. 8, ratificato con L. 27 ottobre 1988, n. 496, del Protocollo n. 9, ratificato con L. 14 luglio 1993, n. 257, del Protocollo n. 10, ratificato con L. 2 gennaio 1995, n. 17 e del Protocollo n. 11, ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

Vedi, anche, il Protocollo n. 2, ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653, il Protocollo n. 4 reso esecutivo con D.P.R. 14 aprile 1982, n. 217, il Protocollo n. 6, ratificato con L. 2 gennaio 1989, n. 8, il Protocollo n. 7, ratificato con L. 9 aprile 1990, n. 98.

(5)  Approvata e proclamata, da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, in data 10 dicembre 1948. Il testo ufficiale di tale Dichiarazione fu compilato nelle cinque lingue ufficiali dell'O.N.U., cioè francese, inglese, russa, spagnola e cinese.

Il testo che qui si riporta in lingua italiana è quello risultante dalla traduzione fatta fare dal segretario generale dell'O.N.U. in ottemperanza delle istruzioni a lui date dall'Assemblea che aveva disposto la diffusione della «Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo» nel maggior numero possibile di lingue.

Tale Dichiarazione non essendo stata approvata sotto forma di trattato internazionale, non costituisce strumento giuridico in senso stretto, ma, in considerazione dell'argomento trattato, contiene principi generali di diritto che per il loro carattere morale, sono riconosciuti e perciò vincolanti per tutte le nazioni civili. Si ritiene pertanto opportuno riportare tale Dichiarazione anche in considerazione del fatto che essa è posta a base della stipulazione di vari accordi internazionali, come risulta dalle premesse ad essi poste.

«DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO

Preambolo

 

Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà della giustizia e della pace nel mondo;

 

considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell'uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità, e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell'uomo;

 

considerato che è indispensabile che i diritti dell'uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione;

 

considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni;

 

considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'eguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;

 

considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l'osservanza universale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

 

considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni:

 

L'ASSEMBLEA GENERALE

 

 

proclama

 

 

La presente dichiarazione universale dei diritti dell'uomo come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società avendo costantemente presente questa Dichiarazione si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.

 

Art. 1. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

 

Art. 2. 1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di ordine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita e di altra condizione.

 

2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.

 

Art. 3. Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

 

Art. 4. Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.

 

Art. 5. Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.

 

Art. 6. Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.

 

Art. 7. Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.

 

Art. 8. Ogni individuo ha diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti della costituzione o dalla legge.

 

Art. 9. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.

 

Art. 10. Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.

 

Art. 11. 1). Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.

 

2). Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetrato, non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso.

 

Art. 12. Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.

 

Art. 13 1). Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

 

2). Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

 

Art. 14. 1). Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.

 

2). Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.

 

Art. 15. 1). Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.

 

2). Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

 

Art. 16. 1). Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento.

 

2). Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.

 

3). La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.

 

Art. 17. 1). Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri.

 

2). Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà.

 

Art. 18. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.

 

Art. 19. Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

 

Art. 20. 1). Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica.

 

2). Nessuno può essere costretto a far parte di un'associazione.

 

Art. 21. 1). Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti.

 

2). Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese.

 

3). La volontà popolare è il fondamento dell'autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione.

 

Art. 22. Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

 

Art. 23. 1). Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.

 

2). Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.

 

3). Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.

 

4). Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

 

Art. 24. Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.

 

Art. 25. 1). Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

 

2). La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.

 

Art. 26. 1). Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L'istruzione elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.

 

2). L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

 

3). I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.

 

Art. 27. 1). Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, a godere delle arti e a partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.

 

2). Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica letteraria e artistica di cui egli sia autore.

 

Art. 28. Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.

 

Art. 29. 1). Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.

 

2). Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.

 

3). Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e i principi delle Nazioni Unite.

 

Art. 30. Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuni dei diritti e delle libertà in essa enunciati».

Art. 1.

Obbligo di rispettare i diritti dell'uomo (6).

Le Alte Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti al Titolo I della presente Convenzione.

 

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(6)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

TITOLO I

Diritti e libertà

 

Art. 2.

Diritto alla vita (7).

1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena.

2. La morte non è considerata inflitta in violazione di questo articolo quando derivasse da un ricorso alla forza reso assolutamente necessario:

a) per assicurare la difesa di qualsiasi persona da una violenza illegittima;

b) per eseguire un arresto legale o per impedire l'evasione di una persona legalmente detenuta;

c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione.

 

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(7) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 3.

Divieto della tortura (8).

Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

 

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(8) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 4.

Divieto di schiavitù e del lavoro forzato (9).

1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù.

2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio.

3. Non è considerato «lavoro forzato o obbligatorio» ai sensi del presente articolo:

a) ogni lavoro normalmente richiesto ad una persona detenuta alle condizioni previste dall'articolo 5 della presente Convenzione o durante il periodo di libertà condizionale;

b) ogni servizio di carattere militare o, nel caso di obiettori di coscienza nei paesi nei quali l'obiezione di coscienza è riconosciuta legittima, un altro servizio sostitutivo di quello militare obbligatorio;

c) ogni servizio richiesto in occasione di calamità che pongono in pericolo la vita o il benessere della comunità;

d) ogni lavoro o servizio che faccia parte dei normali doveri civici.

 

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(9) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 5.

Diritto alla libertà e alla sicurezza (10).

1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà salvo che nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:

a) se è detenuto legittimamente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;

b) se è stato oggetto di un arresto o di una detenzione legittima per inosservanza di un provvedimento legittimamente adottato da un tribunale ovvero per garantire l'esecuzione di un obbligo imposto dalla legge;

c) se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all'autorità giudiziaria competente quando vi sono fondati motivi per sospettare che abbia commesso un reato o ci sono fondati motivi per ritenere necessario di impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso;

d) se si tratta della detenzione legittima di un minore, decisa per sorvegliare la sua educazione, o di sua legale detenzione al fine di tradurlo dinanzi all'autorità competente;

e) se si tratta della detenzione legittima di una persona per prevenire la diffusione di una malattia contagiosa, di un alienato di mente, di un alcoolizzato, di un tossicodipendente o di un vagabondo;

f) se si tratta dell'arresto o della detenzione legittima di una persona per impedirle di entrare clandestinamente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento dì espulsione o di estradizione.

2. Ogni persona che venga arrestata deve essere informata al più presto e in una lingua a lei comprensibile dei motivi dell'arresto e degli addebiti contestati.

3. Ogni persona arrestata o detenuta nelle condizioni previste dal paragrafo 1, lettera c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere posta in libertà durante il procedimento. La scarcerazione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione della persona all'udienza.

4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso davanti ad un tribunale affinché esso decida, entro breve tempo, sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.

5. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione eseguiti in violazione alle disposizioni di questo articolo ha diritto ad un indennizzo.

 

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(10) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 6.

Diritto ad un processo equo (11).

1. Ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale e costituito per legge, che decide sia in ordine alla controversia sui suoi diritti e obblighi di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale derivata contro di lei. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o una parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la tutela della vita privata delle parti in causa, nella misura ritenuta strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali circostanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi della giustizia.

2. Ogni persona accusata di un reato si presume innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3. Ogni accusato ha diritto soprattutto a:

a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico;

b) disporre del tempo e dei mezzi necessari per preparare la sua difesa;

c) difendersi personalmente o con l'assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per pagare un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico;

e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata nell'udienza.

 

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(11) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 7.

 Nessuna pena senza legge (12).

1. Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui fu commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non può del pari essere inflitta una pena maggiore di quella che sarebbe stata applicata al momento in cui il reato è stato commesso.

2. Il presente articolo non vieterà il giudizio e la condanna di una persona colpevole d'una azione o d'una omissione che, al momento in cui è stata commessa, era ritenuta crimine secondo i princìpi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.

 

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(12) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 8.

 Diritto al rispetto della vita privata e familiare (13).

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

 

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(13) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 9.

Libertà di pensiero, di coscienza e di religione (14).

1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto importa la libertà di cambiare di religione o credo e la libertà di manifestare la propria religione o credo individualmente o collettivamente, sia in pubblico che in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza di riti.

2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di altre limitazioni oltre quelle previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza pubblica, per la protezione dell'ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui.

 

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(14) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 10.

Libertà di espressione (15).

1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza riguardo alla nazionalità. Il presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione le imprese di radio-diffusione, di cinema o di televisione.

2. L'esercizio di queste libertà, comportando doveri e responsabilità, può essere subordinato a determinate formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge e costituenti misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l'integrità territoriale o l'ordine pubblico, la prevenzione dei disordini e dei reati, la protezione della salute e della morale, la protezione della reputazione o dei diritti altrui, o per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.

 

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(15) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 11.

Libertà di riunione e di associazione (16).

1. Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d'associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi.

2. L'esercizio di questi diritti non può costituire oggetto di altre restrizioni oltre quelle che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, la difesa dell'ordine e la prevenzione dei disordini e dei reati, per la protezione della salute o della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui. Il presente articolo non vieta che restrizioni legittime siano imposte all'esercizio di questi diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell'amministrazione dello Stato.

 

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(16) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 12.

Diritto al matrimonio (17).

Uomini e donne in età maritale hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l'esercizio di tale diritto.

 

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(17) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 13.

Diritto ad un ricorso effettivo (18).

Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto di presentare un ricorso avanti ad una magistratura nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali.

 

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(18) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 14.

Divieto di discriminazione (19).

Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere garantito senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una minoranza nazionale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

 

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(19) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 15.

Deroga in caso di stato di urgenza (20).

1. In caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte Contraente può prendere misure in deroga agli obblighi previsti nella presente Convenzione nella stretta misura in cui la situazione lo esiga e a condizione che tali misure non siano in contrasto con altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.

2. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all'articolo 2, salvo che per il caso di morte risultante da atti di guerra conformi alle Convenzioni internazionali, e agli articoli 3, 4 (paragrafo 1) e 7.

3. Ogni Alta Parte Contraente che eserciti tale diritto di deroga comunica al Segretario Generale del Consiglio d'Europa delle misure prese e dei motivi che le hanno determinate. Essa deve parimenti informare il Segretario Generale del Consiglio d'Europa della data in cui queste misure sono revocate e la data in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione.

 

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(20) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 16.

Restrizioni all'attività politica di stranieri (21).

Nessuna delle disposizioni degli articoli 10, 11 e 14 può essere interpretata nel senso che vieta alle Alte Parti Contraenti di porre limitazioni all'attività politica degli stranieri.

 

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(21) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 17.

Divieto dell’abuso del diritto (22).

Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto per uno Stato, gruppo o individuo di esercitare un'attività o compiere un atto mirante alla sospensione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni maggiori di quelle previste nella presente Convenzione.

 

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(22) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 18.

Limiti alla restrizione dei diritti (23).

Le limitazioni che, in base alla presente Convenzione, sono poste a detti diritti e libertà non possono essere applicate che per lo scopo per il quale sono state previste.

 

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(23) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

TITOLO II

Corte europea dei diritti dell'uomo (24)

 

Art. 19.

Istituzione della Corte.

Per assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle Alte Parti contraenti dalla presente Convenzione e dai suoi protocolli, è istituita una Corte europea dei Diritti dell'uomo, di seguito denominata «la Corte». Essa funziona in maniera permanente (25).

 

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(24)  Gli originari titoli II, III e IV (artt. 19-56) sono stati così sostituiti dall’attuale titolo II (artt. 19-51) ai sensi di quanto disposto dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(25)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 20.

Numero di giudici.

La Corte si compone di un numero di giudici eguale a quello delle Alte Parti contraenti (26).

 

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(26)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 21.

Condizioni per l'esercizio delle funzioni.

1. I giudici devono godere della più alta considerazione morale e possedere i requisiti richiesti per l'esercizio delle più alte funzioni giudiziarie o essere dei giurisconsulti di riconosciuta competenza.

2. I giudici siedono alla Corte a titolo individuale.

3. Per tutta la durata del loro mandato, i giudici non possono esercitare alcuna attività incompatibile con le esigenze di indipendenza, dì imparzialità o di disponibilità richieste da una attività esercitata a tempo pieno. Ogni problema che sorga nell'applicazione di questo paragrafo è deciso dalla Corte (27).

 

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(27)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 22.

Elezione dei giudici.

1. I giudici sono eletti dall'Assemblea parlamentare a titolo di ciascuna Alta Parte contraente a maggioranza dei voti espressi su una lista di tre candidati presentata dall'Alta Parte contraente.

2. La stessa procedura è seguita per completare la Corte nel caso in cui altre Parti contraenti aderiscano e per provvedere ai seggi divenuti vacanti (28).

 

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(28)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 23.

Durata del mandato.

1. I giudici sono eletti per un periodo di sei anni. Essi sono rieleggibili. Tuttavia, per quanto concerne i giudici designati con la prima elezione, i mandati di una metà di essi scadranno al termine dei tre anni.

2. I giudici il cui mandato scade al termine del periodo iniziale di tre anni sono estratti a sorte dal Segretario Generale del Consiglio d'Europa, immediatamente dopo la loro elezione.

3. Al fine di assicurare nella misura del possibile il rinnovo dei mandati di una metà dei giudici ogni tre anni, l'Assemblea parlamentare può, prima di procedere ad ogni ulteriore elezione, decidere che uno o più mandati dei giudici da eleggere abbiano una durata diversa da quella di sei anni, senza tuttavia che questa durata possa eccedere nove anni o essere inferiori a tre anni.

4. Nel caso in cui si debbano conferire più mandati e l'Assemblea parlamentare applichi il paragrafo precedente, la ripartizione dei mandati avviene mediante estrazione a sorte effettuata dal Segretario generale del Consiglio d'Europa immediatamente dopo l'elezione.

5. Il giudice eletto in sostituzione di un giudice che non abbia completato il periodo delle sue funzioni, rimane in carica fino alla scadenza del periodo di mandato del suo predecessore.

6. Il mandato dei giudici termina quando essi raggiungono l'età di 70 anni.

7. I giudici restano in funzione fino a che i loro posti non siano ricoperti. Tuttavia essi continuano a trattare le cause di cui sono stati già investiti (29).

 

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(29)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 24.

Revoca.

Un giudice può essere sollevato dalle sue funzioni solo se gli altri giudici decidono, a maggioranza dei due terzi, che ha cessato di rispondere ai requisiti richiesti (30).

 

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(30)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 25.

Ufficio di cancelleria e referendari.

La Corte dispone di un Ufficio di cancelleria i cui compiti e la cui organizzazione sono stabiliti dal regolamento della Corte. Essa è assistita da referendari (31).

 

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(31)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 26.

Assemblea plenaria della Corte.

La corte riunita in Assemblea plenaria:

a) elegge per un periodo di tre anni il suo presidente ed uno o due vice-presidenti; essi sono rieleggibili;

b) costituisce Camere per un determinato periodo;

c) elegge i presidenti delle Camere della Corte che sono rieleggibili;

d) adotta il regolamento della Corte;

e) elegge il cancelliere ed uno o più vicecancellieri (32).

 

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(32)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 27.

Comitati, Camere e Grande Camera.

1. Per la trattazione di ogni affare che le viene sottoposto, la Corte si costituisce in un comitato di tre giudici, in una Camera composta da sette giudici ed in una Grande Camera di diciassette giudici. Le Camere della Corte istituiscono i comitati per un determinato periodo.

2. Il giudice eletto a titolo di uno Stato Parte alla controversia è membro di diritto della Camera e della Grande Camera; in caso di assenza di questo giudice, o se egli non è in grado di svolgere la sua funzione, lo Stato Parte nomina una persona che siede in qualità di giudice.

3. Fanno altresì parte della Grande Camera il presidente della Corte, i vice-presidenti, i presidenti delle Camere e altri giudici designati in conformità con il regolamento della Corte. Se la controversia è deferita alla Grande Camera ai sensi dell'articolo 43, nessun giudice della Camera che ha pronunciato la sentenza può essere presente nella Grande Camera, ad eccezione del presidente della Camera e del giudice che siede a titolo dello Stato parte interessato (33).

 

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(33)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 28.

Dichiarazioni di irricevibilità da parte dei comitati.

Un comitato può, con voto unanime, dichiarare irricevibile o cancellare dal ruolo un ricorso individuale presentato ai sensi dell'articolo 34 quando tale decisione può essere adottata senza un esame complementare. La decisione è definitiva (34).

 

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(34)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 29.

Decisioni delle Camere sulla ricevibilità ed il merito.

1. Se nessuna decisione è stata adottata ai sensi dell'articolo 28, una delle Camere si pronuncia sulla irricevibilità e sul merito dei ricorsi individuali presentati ai sensi dell'articolo 34.

2. Una delle Camere si pronuncia sulla ricevibilità e sul merito dei ricorsi governativi presentati in virtù dell'articolo 33.

3. Salvo diversa decisione della Corte in casi eccezionali, la decisione sulla ricevibilità è adottata separatamente (35).

 

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(35)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 30.

Dichiarazione d'incompetenza a favore della Grande Camera.

Se la questione oggetto del ricorso all'esame di una Camera solleva gravi problemi di interpretazione della Convenzione o dei suoi protocolli, o se la sua soluzione rischia di condurre ad una contraddizione con una sentenza pronunciata anteriormente dalla Corte, la Camera, fino a quando non abbia pronunciato la sua sentenza, può spogliarsi della propria competenza a favore della Grande Camera a meno che una delle parti non vi si opponga (36).

 

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(36)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 31.

Competenze della Grande Camera.

La Grande Camera:

a) si pronuncia sui ricorsi presentati ai sensi dell'articolo 33 o dell'articolo 34 quando il caso le sia stato deferito dalla Camera ai sensi dell'articolo 30 o quando il caso le sia stato deferito ai sensi dell'articolo 43; e

b) esamina le richieste di pareri consultivi presentate ai sensi dell'articolo 47 (37).

 

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(37)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 32.

Competenza della Corte.

1. La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa nelle condizioni previste dagli articoli 33, 34 e 37.

2. In caso di contestazione sulla questione della propria competenza, è la Corte che decide (38).

 

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(38)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 33.

Ricorsi interstatali.

Ogni Alta Parte contraente può deferire alla Corte ogni inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli che essa ritenga possa essere imputata ad un'altra Parte contraente (39).

 

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(39)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 34.

Ricorsi individuali.

La Corte può essere investita di una domanda fatta pervenire da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che pretenda d'essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l'effettivo esercizio di tale diritto (40) (41).

 

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(40)  Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(41)  Vedi, anche, l’Accordo europeo concernente le persone che partecipano alle procedure davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo adottato a Strasburgo il 5 marzo 1996 e ratificato con L. 2 ottobre 1997, n. 348.

 

 

Art. 35.

Condizioni di ricevibilità.

1. La Corte non può essere adita se non dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, qual è inteso secondo i princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva.

2. La Corte non ritiene alcuna domanda singola avanzata sulla base dell'ari. 34, se:

a) è anonima; oppure

b) è essenzialmente la stessa di una precedentemente esaminata dalla Corte o già sottoposta ad un'altra istanza internazionale d'inchiesta o di regolamentazione e non contiene fatti nuovi.

3. La Corte dichiara irricevibile ogni singola domanda avanzata sulla base dell'art. 34 quand'essa giudichi tale domanda incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi protocolli, manifestamente infondata o abusiva.

4. La Corte respinge ogni domanda che consideri irricevibile in applicazione del presente articolo. Essa può procedere in tal modo in ogni fase della procedura (42).

 

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(42) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 36.

Intervento di terzi.

1. Per qualsiasi questione all'esame di una Camera e/o della Grande Camera, un'Alta Parte contraente un cui cittadino sia ricorrente ha diritto di presentare osservazioni per iscritto e di partecipare alle udienze.

2. Nell'interesse di una corretta amministrazione della giustizia, il presidente della Corte può invitare ogni Alta parte contraente, che non è parte in causa o ogni persona interessata diversa dal ricorrente, a presentare osservazioni per iscritto o a partecipare alle udienze (43).

 

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(43) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 37.

Cancellazione.

1. In ogni momento della procedura la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze consentono di concludere:

a) che il ricorrente non intende mantenerlo; oppure

b) che la controversia è stata risolta; oppure

c) che non è più giustificato, per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l'esistenza, proseguire l'esame del ricorso.

Tuttavia la Corte prosegue l'esame del ricorso qualora ciò sia richiesto dal rispetto dei Diritti dell'Uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi protocolli.

2. La Corte può decidere di riscrivere il ricorso a ruolo quando ritenga che ciò è giustificato dalle circostanze (44).

 

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(44) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 38.

Esame in contraddittorio del caso e procedura di composizione amichevole.

1. Quando dichiara che il ricorso è ricevibile, la Corte:

a) procede all'esame della questione in contraddittorio con rappresentanti delle Parti e, se del caso, ad un'inchiesta per la quale tutti gli Stati interessati forniranno tutte le facilitazioni necessarie ai fini della sua efficace conduzione;

b) si mette a disposizione degli interessati per pervenire ad una regolamentazione amichevole della controversia sulla base del rispetto dei Diritti dell'Uomo come riconosciuti dalla Convenzione e dai suoi protocolli.

2. La procedura descritta al paragrafo 1, lettera b) è riservata (45).

 

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(45) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 39.

Ottenimento di una composizione amichevole.

Se consegue una regolamentazione amichevole, la Corte cancella il ricorso dal ruolo mediante una decisione che si limita ad una breve esposizione dei fatti e della soluzione adottata (46).

 

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(46) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 40.

Udienza pubblica e accesso ai documenti.

1. L'udienza è pubblica a meno che la Corte non decida diversamente a causa di circostanze eccezionali.

2. I documenti depositati presso l'Ufficio di cancelleria sono accessibili al pubblico a meno che il presidente della Corte non decida diversamente (47).

 

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(47) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 41.

Equa soddisfazione.

Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa (48).

 

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(48) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 42.

Sentenze delle Camere.

Le sentenze delle Camere divengono definitive in conformità con le disposizioni dell'articolo 44, paragrafo 2 (49).

 

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(49) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 43.

Rinvio dinnanzi alla Grande Camera.

1. Entro un termine di tre mesi a decorrere dalla data della sentenza di una Camera, ogni Parte alla controversia può, in casi eccezionali, chiedere che il caso sia rinviato dinnanzi alla Grande Camera.

2. Un Collegio di cinque giudici della Grande Camera accoglie la domanda quando la questione oggetto del ricorso solleva gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi protocolli o di carattere generale.

3. Quando il Collegio ha accolto la domanda, la Grande Camera si pronuncia sul caso mediante una sentenza (50).

 

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(50) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 44.

Sentenze definitive.

1. La sentenza della Grande Camera è definitiva.

2. La sentenza di una Camera diviene definitiva:

a) quando le parti dichiarano che non richiederanno il rinvio del caso dinnanzi alla Grande Camera; oppure

b) tre mesi dopo la data della sentenza, se non è stato richiesto il rinvio del caso dinnanzi alla Grande Camera; oppure

c) se il Collegio della Grande Camera respinge una richiesta di rinvio formulata secondo l'art. 43.

3. La sentenza definitiva è pubblicata (51).

 

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(51) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 45.

Motivazione delle sentenze e delle decisioni.

1. Le sentenze e le decisioni che dichiarano i ricorsi ricevibili o non ricevibili devono essere motivate.

2. Se la sentenza non esprime in tutto o in parte l'opinione unanime dei giudici, ogni giudice avrà diritto di unirvi l'esposizione della sua opinione individuale (52).

 

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(52) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 46.

Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze.

1. Le Alte Parti contraenti s'impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono Parti.

2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l'esecuzione (53).

 

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(53) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 47.

Pareri consultivi.

1. La Corte può, su richiesta del Comitato dei Ministri, fornire pareri consultivi su questioni giuridiche relative all'interpretazione della Convenzione e dei suoi protocolli.

2. Tali pareri non devono vertere su questioni inerenti al contenuto o alla portata dei diritti e libertà definiti nel Titolo I della Convenzione e nei protocolli, né su altre questioni che la Corte o il Comitato dei Ministri si troverebbero a dover giudicare per via della presentazione di un ricorso previsto dalla Convenzione.

3. La decisione del Comitato dei Ministri di chiedere un parere alla Corte è adottata con un voto a maggioranza dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio al Comitato (54) (55).

 

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(54) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(55) Il testo degli articoli 47, 48 e 49 riproduce il contenuto del Protocollo n. 2 firmato a Strasburgo il 6 maggio 1963 e ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653.

 

 

Art. 48.

Competenza consultiva della Corte.

La Corte decide se la domanda di parere consultivo presentata dal Comitato dei Ministri è di sua competenza secondo l'articolo 47 (56) (57).

 

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(56) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(57) Il testo degli articoli 47, 48 e 49 riproduce il contenuto del Protocollo n. 2 firmato a Strasburgo il 6 maggio 1963 e ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653.

 

 

Art. 49.

Motivazione dei pareri consultivi.

1. Il parere della Corte è motivato.

2. Se il parere non esprime in tutto o in parte l'opinione unanime dei giudici, ogni giudice avrà diritto di unirvi l'esposizione della sua opinione individuale.

3. Il parere della Corte è trasmesso al Comitato dei Ministri (58) (59).

 

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(58) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(59) Il testo degli articoli 47, 48 e 49 riproduce il contenuto del Protocollo n. 2 firmato a Strasburgo il 6 maggio 1963 e ratificato con L. 13 luglio 1966, n. 653.

 

 

 

Art. 50.

Spese di funzionamento della Corte.

Le spese di funzionamento della Corte sono a carico del Consiglio d'Europa (60).

 

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(60) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 51.

Privilegi ed immunità dei giudici.

I giudici beneficiano durante l'esercizio delle loro funzioni dei privilegi e delle immunità previste all'articolo 40 dello Statuto del Consiglio d'Europa e negli accordi conclusi a titolo di detto articolo (61).

 

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(61) Articolo così sostituito dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

TITOLO III (62)

Disposizioni varie (63)

 

Art. 52.

Indagini del Segretario Generale (64).

Ogni Alta Parte Contraente, su domanda del Segretario Generale del Consiglio d'Europa, fornirà le spiegazioni richieste sul modo in cui il proprio diritto interno assicura la effettiva applicazione di tutte le disposizioni della presente Convenzione (65).

 

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(62) L’originario titolo V è divenuto titolo III ai sensi di quanto disposto dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(63) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(64) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(65)  Il presente articolo 52, già articolo 57, è stato così rinumerato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 53.

Salvaguardia dei diritti dell'uomo riconosciuti (66).

Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata come recante pregiudizio o limitazione ai Diritti dell'Uomo e alle Libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base a leggi di qualunque Stato Contraente o da altri accordi internazionali di cui tale Stato sia parte (67).

 

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(66) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(67)  Il presente articolo 53, già articolo 60, è stato così rinumerato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 54.

Poteri del Comitato dei Ministri (68).

Nessuna disposizione della presente Convenzione porta pregiudizio ai poteri conferiti al Comitato dei Ministri dallo Statuto del Consiglio d'Europa (69).

 

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(68) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(69)  Il presente articolo 54, già articolo 61, è stato così rinumerato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 55.

Rinuncia ad altri modi di regolamentazione delle controversie (70).

Le Alte Parti Contraenti rinunziano reciprocamente, salvo compromesso speciale, ad avvalersi di trattati, convenzioni o dichiarazioni fra di loro esistenti, in vista di sottomettere, per via di ricorso, una controversia nata dalla interpretazione o dall'applicazione della presente Convenzione ad una procedura di regolamento diversa da quelle previste da detta Convenzione (71).

 

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(70) Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(71)  Il presente articolo 55, già articolo 62, è stato così rinumerato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 56.

Applicazione territoriale (72).

1. Ogni Stato, al momento della ratifica o in ogni altro momento successivo può dichiarare, mediante notifica indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d'Europa, che la presente Convenzione si applicherà, salvo quanto previsto dal paragrafo 4 del presente articolo, in tutti i territori o in determinati territori di cui assicura le relazioni internazionali (73).

2. La Convenzione si applicherà al territorio o ai territori designati nella notifica a partire dal trentesimo giorno successivo alla data in cui il Segretario Generale del Consiglio d'Europa avrà ricevuto tale notifica.

3. In detti territori le disposizioni della presente Convenzione saranno applicate tenendo conto delle necessità locali.

4. Ogni Stato che ha fatto una dichiarazione conforme al primo paragrafo di questo articolo può, in ogni momento, dichiarare relativamente a uno o a più territori previsti in tale dichiarazione che accetta la competenza della Corte a conoscere dei ricorsi di persone fisiche, di organizzazioni non governative o di gruppi di privati come previsto dall'articolo 34 della Convenzione (74) (75).

 

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(72)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(73)  Paragrafo così modificato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(74)  Paragrafo così modificato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(75)  Il presente articolo 56, già articolo 63, è stato così rinumerato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 57.

Riserve (76).

1. Ogni Stato, al momento della firma della presente Convenzione o del deposito del suo strumento di ratifica, può formulare una riserva riguardo ad una particolare disposizione della Convenzione, nella misura in cui una legge in quel momento in vigore sul suo territorio non sia conforme a tale disposizione. Le riserve di carattere generale non sono autorizzate in base al presente articolo.

2. Ogni riserva emessa in conformità al presente articolo comporta un breve esposto della legge in questione (77).

 

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(76)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(77)  Il presente articolo 57, già articolo 64, è stato così rinumerato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 58.

Denuncia (78).

1. Un'Alta Parte Contraente non può denunciare la presente Convenzione che dopo un periodo di cinque anni a partire dalla data d'entrata in vigore della Convenzione nei suoi confronti e dando un preavviso di sei mesi mediante una notifica indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d'Europa, che ne informa le altre Alte Parti Contraenti.

2. Tale denuncia non può avere l'effetto di svincolare l'Alta Parte Contraente interessata dagli obblighi contenuti nella presente Convenzione in ciò che concerne qualunque fatto che, potendo costituire una violazione di questi obblighi, fosse stato compiuto da essa anteriormente alla data in cui la denuncia produce il suo effetto.

3. Con la medesima riserva cessa d'essere Parte della presente Convenzione ogni Parte Contraente che cessi d'essere Membro del Consiglio d'Europa.

4. la Convenzione può essere denunciata, in conformità alle disposizioni dei precedenti paragrafi, relativamente a ogni territorio nel quale sia stata dichiarata applicabile in base all'articolo 56 (79) (80).

 

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(78)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(79)  Paragrafo così modificato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(80) Il presente articolo 58, già articolo 65, è stato così rinumerato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 59.

Firma e ratifica (81).

1. La presente Convenzione è aperta alla firma dei Membri del Consiglio d'Europa. Essa sarà ratificata. Le ratifiche saranno depositate presso il Segretario Generale del Consiglio d'Europa.

2. La presente Convenzione entrerà in vigore dopo il deposito di dieci strumenti di ratifica.

3. Per ogni firmatario che la ratificherà successivamente, la Convenzione entrerà in vigore dal momento del deposito dello strumento di ratifica.

4. Il Segretario Generale del Consiglio d'Europa notificherà a tutti i Membri del Consiglio d'Europa l'entrata in vigore della Convenzione, i nomi delle Alte Parti Contraenti che l'avranno ratificata, come anche il deposito di ogni altro strumento di ratifica che si sia avuto successivamente (82).

 

 

Fatta a Roma il 4 novembre 1950, in francese ed in inglese, i due testi facenti ugualmente fede, in un solo esemplare che sarà depositato negli archivi del Consiglio d'Europa. Il Segretario Generale del Consiglio d'Europa ne comunicherà copia certificata conforme a ciascuno degli Stati membri del Consiglio d'Europa.

 

 

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(81)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(82)  Il presente articolo 59, già articolo 66, è stato così rinumerato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Protocollo addizionale alla Convezione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

 

 

Art. 1.

Protezione della proprietà (83).

Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai princìpi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di emanare leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.

 

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(83)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 2.

Diritto all'istruzione (84).

Il diritto all'istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.

 

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(84)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 3.

Diritto a libere elezioni (85).

Le Alte Parti Contraenti si impegnano ad organizzare, ad intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo.

 

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(85)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 4.

Applicazione territoriale (86).

Ogni Alta Parte Contraente, al momento della firma o della ratifica del presente Protocollo o in ogni altro momento successivo, può presentare al Segretario Generale del Consiglio d'Europa una dichiarazione che indichi i limiti entro cui si impegna ad applicare le disposizioni del presente Protocollo nei territori di cui assicura le relazioni internazionali che sono designati nella stessa dichiarazione.

Ogni Alta Parte Contraente che ha presentato una dichiarazione in virtù del paragrafo precedente può, di volta in volta, presentare una nuova dichiarazione che modifichi i termini di ogni dichiarazione precedente o che ponga fine all'applicazione delle disposizioni del presente Protocollo in un qualsiasi territorio.

Una dichiarazione fatta conformemente al presente articolo sarà considerata come fatta in conformità al paragrafo 1 dell'articolo 56 della Convenzione (87).

 

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(86)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

(87)  Paragrafo così modificato dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 5.

Relazioni con la Convenzione (88).

Le Alte Parti Contraenti considereranno gli articoli 1, 2, 3, e 4 di questo Protocollo come articoli addizionali alla Convenzione e tutte le disposizioni della Convenzione si applicheranno di conseguenza.

 

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(88)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 

 

Art. 6.

Firma e ratifica (89).

Il presente Protocollo è aperto alla firma dei Membri del Consiglio d'Europa, firmatari della Convenzione; esso sarà ratificato contemporaneamente alla Convenzione o dopo la ratifica di quest'ultima. Entrerà in vigore dopo il deposito di dieci strumenti di ratifica. Per ogni firmatario che lo ratificherà successivamente, il Protocollo entrerà in vigore dal momento del deposito dello strumento di ratifica.

Gli strumenti di ratifica saranno depositati presso il Segretariato Generale del Consiglio d'Europa che notificherà a tutti i Membri i nomi di quelli che lo avranno ratificato.

 

Fatto a Parigi il 20 marzo 1952 in francese e in inglese, i due testi facenti egualmente fede, in un unico esemplare che sarà depositato negli archivi del Consiglio d'Europa. Il Segretario Generale ne trasmetterà copia certificata conforme ad ognuno dei Governi firmatari.

 

 

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(89)  Rubrica aggiunta dal Protocollo n. 11, firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato con L. 28 agosto 1997, n. 296.

 


 

L. 6 dicembre 1971 n. 1034.
Istituzione dei tribunali amministrativi regionali
(art. 23-bis)

 

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Pubblicata nella Gazz. Uff. 13 dicembre 1971, n. 314.

(omissis)

Art. 23-bis. 

1. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa aventi ad oggetto:

a) i provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse;

b) i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti, nonché quelli relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle predette opere;

c) i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e forniture, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti;

d) i provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti;

e) i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni ai sensi dell'articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142;

f) i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri ai sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400;

g) i provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi concernenti la formazione e il funzionamento degli organi (37).

2. I termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso.

3. Salva l'applicazione dell'articolo 26, quarto comma, il tribunale amministrativo regionale chiamato a pronunciarsi sulla domanda cautelare, accertata la completezza del contraddittorio ovvero disposta l'integrazione dello stesso ai sensi dell'articolo 21, se ritiene ad un primo esame che il ricorso evidenzi l'illegittimità dell'atto impugnato e la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione nel merito alla prima udienza successiva al termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza. In caso di rigetto dell'istanza cautelare da parte del tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l'ordinanza di primo grado, la pronunzia di appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la fissazione dell'udienza di merito. In tale ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento dell'ordinanza da parte della segreteria del tribunale amministrativo regionale che ne dà avviso alle parti.

4. Nel giudizio di cui al comma 3 le parti possono depositare documenti entro il termine di quindici giorni dal deposito o dal ricevimento delle ordinanze di cui al medesimo comma e possono depositare memorie entro i successivi dieci giorni.

5. Con le ordinanze di cui al comma 3, in caso di estrema gravità ed urgenza, il tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le opportune misure cautelari, enunciando i profili che, ad un sommario esame, inducono a una ragionevole probabilità sul buon esito del ricorso.

6. Nei giudizi di cui al comma 1, il dispositivo della sentenza è pubblicato entro sette giorni dalla data dell'udienza, mediante deposito in segreteria.

7. Il termine per la proposizione dell'appello avverso la sentenza del tribunale amministrativo regionale pronunciata nei giudizi di cui al comma 1 è di trenta giorni dalla notificazione e di centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza. La parte può, al fine di ottenere la sospensione dell'esecuzione della sentenza, proporre appello nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del dispositivo, con riserva dei motivi, da proporre entro trenta giorni dalla notificazione ed entro centoventi giorni dalla comunicazione della pubblicazione della sentenza.

8. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche davanti al Consiglio di Stato, in caso di domanda di sospensione della sentenza appellata (38).

 

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(37) Vedi, anche, l'art. 13, comma 6-bis, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dal comma 1307 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(38)  Articolo aggiunto dall'art. 4, L. 21 luglio 2000, n. 205.

 

(omissis)

 


L. 26 luglio 1975 n. 354.
Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà
(art. 41-bis)

 

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Pubblicata nella Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212, S.O.

 

(omissis)

 

Art. 41-bis.

Situazioni di emergenza (68).

1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.

2. Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. La sospensione comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l'associazione di cui al periodo precedente (69) (70) (71).

2-bis. I provvedimenti emessi ai sensi del comma 2 sono adottati con decreto motivato del Ministro della giustizia, sentito l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice che procede ed acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'àmbito delle rispettive competenze. I provvedimenti medesimi hanno durata non inferiore ad un anno e non superiore a due e sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, purché non risulti che la capacità del detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno (72) (73) (74).

2-ter. Se anche prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l'adozione o la proroga del provvedimento di cui al comma 2, il Ministro della giustizia procede, anche d'ufficio, alla revoca con decreto motivato. Il provvedimento che non accoglie l'istanza presentata dal detenuto, dall'internato o dal difensore è reclamabile ai sensi dei commi 2-quinquies e 2-sexies. In caso di mancata adozione del provvedimento a seguito di istanza del detenuto, dell'internato o del difensore, la stessa si intende non accolta decorsi trenta giorni dalla sua presentazione (75).

2-quater. La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 può comportare:

a) l'adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate;

b) la determinazione dei colloqui in un numero non inferiore a uno e non superiore a due al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 11. I colloqui possono essere sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo secondo comma dell'articolo 11; può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'articolo 11, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a registrazione. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori;

c) la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno;

d) l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;

e) la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia;

f) la limitazione della permanenza all'aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a cinque persone, ad una durata non superiore a quattro ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell'articolo 10 (76).

2-quinquies. Il detenuto o l'internato nei confronti del quale è stata disposta o confermata l'applicazione del regime di cui al comma 2, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il provvedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto al quale il detenuto o l'internato è assegnato. Il reclamo non sospende l'esecuzione. Il successivo trasferimento del detenuto o dell'internato non modifica la competenza territoriale a decidere (77).

2-sexies. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 2-quinquies, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, sulla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2. Il procuratore generale presso la corte d'appello il detenuto, l'internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento e va trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Qualora il reclamo sia stato accolto con la revoca della misura, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, deve, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo. Con le medesime modalità il Ministro deve procedere, ove il reclamo sia stato accolto parzialmente, per la parte accolta (78).

 

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(68)  Articolo aggiunto dal primo comma dell'art. 10, L. 10 ottobre 1986, n. 663.

(69)  Comma aggiunto dall'art. 19, D.L. 8 giugno 1992, n. 306. L'efficacia delle disposizioni di cui al presente comma è stata prima prorogata al 31 dicembre 1999 dall'art. 1, L. 16 febbraio 1995, n. 36 (Gazz. Uff. 18 febbraio 1995, n. 41) e, poi, al 31 dicembre 2002, dall'art. 6, comma 1-bis, L.7 gennaio 1998, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1998, n. 30), integrato dall'art. 1, L. 26 novembre 1999, n. 446 (Gazz. Uff. 1° dicembre 1999, n. 282). Successivamente, il suddetto art. 6 era stato abrogato dall'art. 8, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 ma l'abrogazione non era più contenuta nella nuova formulazione del citato art. 8 disposta dalla legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438. Da ultimo il citato articolo 6 è stato abrogato dall'art. 3, L. 23 dicembre 2002, n. 279.

(70)  Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279.

(71)  La Corte costituzionale, con sentenza 14-18 ottobre 1996, n. 351 (Gazz. Uff. 23 ottobre 1996, n. 43, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, secondo comma, e dell'art. 14-ter, sollevata in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 3, primo comma, 27, terzo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione. Con successiva sentenza 26 novembre-5 dicembre 1997, n. 376 (Gazz. Uff. 10 dicembre 1997, n. 50, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis comma 2, e dell'art. 14-ter, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25, 27, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione. Successivamente la Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione, con ordinanza 20-26 maggio 1998, n. 192 (Gazz. Uff. 3 giugno 1998, n. 22, Serie speciale), ne ha dichiarato la manifesta infondatezza.

(72)  Comma aggiunto dall'art. 4, L. 7 gennaio 1998, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1998, n. 30). Il comma 1 dell'art. 6 della stessa legge, come modificato dall'art. 12, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, aveva, inoltre, così disposto: «Art. 6. [1. Il termine di efficacia delle disposizioni della presente legge è posto alla data del 31 dicembre 2002]». Successivamente, il suddetto art. 6 era stato abrogato dall'art. 8, D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 ma l'abrogazione non era più contenuta nella nuova formulazione del citato art. 8 disposta dalla legge di conversione 15 dicembre 2001, n. 438. Da ultimo il citato articolo 6 è stato abrogato dall'art. 3, L. 23 dicembre 2002, n. 279.

(73)  Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279.

(74)  La Corte costituzionale, con ordinanza 10-23 luglio 2002, n. 390 (Gazz. Uff. 31 luglio 2002, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis comma 2-bis sollevata in riferimento agli artt. 3, 32 e 101 della Costituzione. Successivamente la stessa Corte, con ordinanza 13-23 dicembre 2004, n. 417 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2004, n. 50, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-bis, come modificato dall'art. 2 della legge 23 dicembre 2002, n. 279, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, primo e secondo comma, 24, secondo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, e 113, primo e secondo

(75)  Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279.

(76)  Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279.

(77)  Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279.

(78)  Gli attuali commi da 2 a 2-sexies così sostituiscono gli originari commi 2 e 2-bis, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, L. 23 dicembre 2002, n. 279.

(omissis)


D.L. 28 dicembre 1993, n. 544.
Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia,  (convertito in legge, con modificazioni, con L. 14 febbraio 1994, n. 120)

 

 

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 dicembre 1993, n. 304.

(2)  Convertito in legge, con modificazioni, con L. 14 febbraio 1994, n. 120 (Gazz. Uff. 22 febbraio 1994, n. 43),

 

 IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

 

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

 

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di attuare la cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia;

 

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 dicembre 1993;

 

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro degli affari esteri;

 

Emana il seguente decreto-legge:

 

Art. 1.

Definizioni.

1. Ai fini del presente decreto:

a) per «risoluzione» si intende la risoluzione n. 827 [1993] adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 25 maggio 1993 ai sensi del cap. VII della Carta delle Nazioni Unite;

b) per «Tribunale internazionale» si intende il Tribunale internazionale istituito dalla risoluzione n. 827 [1993] per giudicare i responsabili di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale commesse nel territorio della ex Jugoslavia dal 1991;

c) per «statuto» si intende lo statuto del Tribunale internazionale adottato dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione n. 827 [1993].

 

Art. 2.

Obbligo di cooperazione.

1. Lo Stato italiano coopera con il Tribunale internazionale conformemente alle disposizioni della risoluzione, dello statuto e del presente decreto.

2. L'autorità competente a ricevere le richieste di cooperazione del Tribunale internazionale previste dagli articoli seguenti e a dare seguito ad esse è il Ministro di grazia e giustizia.

 

Art. 2-bis.

 Contributo.

1. Al Tribunale internazionale ed alla «Commissione degli esperti» istituita dal Consiglio di sicurezza dell'ONU con la risoluzione n. 780 [1992], adottata il 6 ottobre 1992, per affiancare il Tribunale internazionale nella raccolta delle prove e delle testimonianze, è concesso un contributo complessivo di lire 3 miliardi per l'anno 1994. Al relativo onere si fa fronte mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1994, all'uopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri (3).

 

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(3)  Aggiunto dalla legge di conversione 14 febbraio 1994, n. 120.

 

 Art. 3.

Trasferimento dei procedimenti penali.

1. Quando il Tribunale internazionale richiede, a norma dell'articolo 9, paragrafo 2, dello statuto, il trasferimento del procedimento penale pendente dinanzi ad una autorità giudiziaria, il giudice dichiara con sentenza che non può ulteriormente procedersi per l'esistenza della giurisdizione prioritaria del Tribunale internazionale, sempre che ricorrono le seguenti condizioni:

a) se il Tribunale internazionale procede per il medesimo fatto per il quale procede il giudice italiano;

b) se il fatto rientra nella giurisdizione territoriale e temporale del Tribunale internazionale ai sensi dell'articolo 8 dello statuto.

2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 127 del codice di procedura penale, con la partecipazione necessaria del difensore; il ricorso per cassazione ha effetto sospensivo (4).

3. Il giudice trasmette gli atti al Ministro di grazia e giustizia per l'inoltro al Tribunale internazionale.

4. Nel caso previsto dal comma 1 il corso della prescrizione rimane sospeso per non più di tre anni (5). La prescrizione riprende il suo corso se viene riaperto il procedimento a norma dell'articolo 4.

 

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(4)  Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 16, L. 2 agosto 2002, n. 181 entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Vedi anche il comma 2 dello stesso articolo 16.

(5)  Comma così modificato dalla legge di conversione 14 febbraio 1994, n. 120.

 

 Art. 4.

Riapertura del procedimento nazionale.

1. Il procedimento penale dinanzi all'autorità giudiziaria italiana è riaperto quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

a) se il procuratore del Tribunale internazionale decide, ai sensi dell'articolo 18 dello statuto, di non formulare l'atto di accusa;

b) se il giudice del Tribunale internazionale decide, ai sensi dell'articolo 19 dello statuto, di non confermare l'atto di accusa;

c) se il Tribunale internazionale dichiara la propria incompetenza.

2. Qualora ricorra una delle ipotesi indicate nel comma 1, il giudice per le indagini preliminari autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero; in tal caso i termini per le indagini iniziano a decorrere nuovamente. Se è stata già esercitata l'azione penale, il giudice per le indagini preliminari ovvero il presidente provvede alla rinnovazione dell'atto introduttivo della fase o del grado nei quali è stato deciso il trasferimento del processo penale a favore del Tribunale internazionale.

 

Art. 5.

Divieto di nuovo giudizio.

1. Una persona che è stata giudicata con sentenza definitiva del Tribunale internazionale non può essere di nuovo sottoposta a procedimento penale nel territorio nazionale per il medesimo fatto.

2. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni dell'articolo 649 del codice di procedura penale (6).

 

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(6)  Comma così sostituito dal comma 1 dell'art. 16, L. 2 agosto 2002, n. 181 entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

 

Art. 6.

Comunicazioni e trasmissione di atti.

1. L'autorità giudiziaria comunica senza ritardo al Tribunale internazionale le iscrizioni nel registro previsto dall'articolo 335 del codice di procedura penale relative alle notizie di reato in ordine alle quali ritiene sussistere la giurisdizione concorrente del Tribunale internazionale. La comunicazione contiene, altresì, una sommaria esposizione dei fatti.

 

2. Qualora il Tribunale internazionale ne fa domanda, al fine di valutare se richiedere il trasferimento del procedimento penale, l'autorità giudiziaria trasmette una sommaria esposizione dei fatti unitamente agli atti che non sono coperti dal segreto o a quelli dei quali il pubblico ministero consente la pubblicazione a norma dell'articolo 329, comma 2, del codice di procedura penale.

 

Art. 7.

Riconoscimento della sentenza del Tribunale internazionale.

1. Qualora, sulla base della dichiarazione di disponibilità espressa ai sensi dell'articolo 27 dello statuto, il Tribunale internazionale abbia indicato lo Stato come luogo di espiazione della pena, il Ministro di grazia e giustizia richiede il riconoscimento della sentenza del Tribunale internazionale. A tale scopo trasmette al procuratore generale presso la corte di appello di Roma la richiesta, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati. Il procuratore generale promuove il riconoscimento con richiesta alla corte di appello.

2. La sentenza del Tribunale internazionale non può essere riconosciuta se ricorre una delle seguenti ipotesi:

a) la sentenza non è divenuta irrevocabile a norma dello statuto e delle altre disposizioni che regolano l'attività del Tribunale internazionale;

a-bis) la sentenza contiene disposizioni contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato (7);

b) il fatto per il quale è stata pronunciata la sentenza non è previsto come reato dalla legge italiana;

c) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile.

3. La corte di appello delibera con sentenza in ordine al riconoscimento, osservate le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale. Si applica l'articolo 734, comma 2, del codice di procedura penale.

4. La corte di appello, quando pronuncia il riconoscimento, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato. A tal fine converte la pena detentiva stabilita dal Tribunale internazionale nella pena della reclusione. In ogni caso la durata della pena non può eccedere quella di anni trenta di reclusione.

 

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(7)  Lettera aggiunta dal comma 1 dell'art. 16, L. 2 agosto 2002, n. 181 entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

 

Art. 8.

Esecuzione della pena.

1. Nel caso previsto dall'articolo 7 la pena è eseguita secondo la legge italiana.

2. Il controllo da parte del Tribunale internazionale ai sensi dell'articolo 27 dello statuto è esercitato sulla base di accordi con il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero di grazia e giustizia.

 

Art. 9.

Provvedimenti relativi alla grazia.

1. Nel caso previsto dall'articolo 7 il Ministro di grazia e giustizia, se ritiene che il condannato sia meritevole della grazia, la propone al presidente del Tribunale internazionale per la decisione ai sensi dell'articolo 28 dello statuto, trasmettendo gli atti dell'istruttoria espletata (8).

 

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(8)  Così modificato dalla legge di conversione 14 febbraio 1994, n. 120.

 

Art. 10.

Cooperazione giudiziaria.

1. Il Ministro di grazia e giustizia dà corso alle richieste formulate dal Tribunale internazionale a norma dell'articolo 29 dello statuto, trasmettendole per l'esecuzione al procuratore generale presso la corte di appello di Roma, salvo quanto previsto dal comma 6.

2. Quando la richiesta ha per oggetto una attività di indagine o di acquisizione di prove, il procuratore generale chiede alla corte di appello di dare esecuzione alla richiesta.

3. La corte di appello dà esecuzione alla richiesta con decreto, delegando il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono essere compiuti.

4. Per il compimento degli atti richiesti si applicano le norme del codice di procedura penale, salva l'osservanza delle forme espressamente richieste dal Tribunale internazionale che non siano contrarie ai princìpi dell'ordinamento giuridico dello Stato.

5. Se il Tribunale internazionale ne ha fatto domanda, l'autorità giudiziaria delegata lo informa della data e del luogo di esecuzione degli atti richiesti. Il procuratore e i giudici del tribunale che lo richiedono sono ammessi a presenziare all'esecuzione degli atti e possono proporre domande e suggerire modalità esecutive.

6. Le citazioni e le altre notificazioni richieste dal tribunale internazionale sono trasmesse al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui esse devono essere eseguite, il quale provvede senza ritardo.

7. Se il Tribunale internazionale ne fa richiesta, è disposto l'accompagnamento coattivo davanti ad esso del testimone, del perito o del consulente tecnico i quali, sebbene citati, non siano comparsi. Le spese dell'accompagnamento sono a carico dello Stato.

 

Art. 11.

Consegna di imputato.

1. Quando la richiesta indicata nell'articolo 10, comma 1, ha per oggetto la consegna di un imputato al Tribunale internazionale, il procuratore generale, ricevuti gli atti, presenta senza ritardo la requisitoria alla corte di appello. La requisitoria è depositata nella cancelleria della corte di appello unitamente agli atti. Dell'avvenuto deposito è data comunicazione alle parti con l'avviso della data dell'udienza.

2. La corte di appello decide senza ritardo, con le forme dell'articolo 127 del codice di procedura penale, con la partecipazione necessaria del difensore, con sentenza. Tuttavia il ricorso per cassazione, che può essere proposto anche per il merito, ha effetto sospensivo (9).

3. La corte di appello pronuncia sentenza con la quale dichiara che non sussistono le condizioni per la consegna solo se ricorre una delle seguenti ipotesi:

a) non è stato emesso dal Tribunale internazionale un provvedimento restrittivo della libertà personale;

b) non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna;

c) il fatto in relazione al quale la consegna è richiesta non è compreso nella giurisdizione temporale e territoriale del Tribunale internazionale;

c-bis) il fatto per il quale la consegna è richiesta non è previsto come reato dalla legge italiana (10);

c-ter) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile (11).

3-bis. Si applica l'articolo 701, comma 2, del codice di procedura penale (12).

4. Il Ministro di grazia e giustizia provvede con decreto sulla richiesta della consegna senza ritardo dopo avere ricevuto comunicazione della scadenza del termine per l'impugnazione della sentenza della corte di appello o del deposito della sentenza della corte di cassazione ovvero il verbale indicato nell'articolo 12, comma 3, contenente il consenso della persona alla consegna e prende accordi con il Tribunale internazionale circa il tempo, il luogo e le modalità della consegna. Si applica l'articolo 709, comma 1, del codice di procedura penale (13).

 

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(9)  Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 16, L. 2 agosto 2002, n. 181 entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Vedi, anche, il comma 2 dello stesso articolo 16.

(10)  Lettera aggiunta dalla legge di conversione 14 febbraio 1994, n. 120.

(11)  Lettera aggiunta dalla legge di conversione 14 febbraio 1994, n. 120.

(12)  Comma aggiunto dal comma 1 dell'art. 16, L. 2 agosto 2002, n. 181 entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

(13)  Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 16, L. 2 agosto 2002, n. 181 entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

 

Art. 12.

Applicazione di misura cautelare ai fini della consegna.

1. Il procuratore generale, ricevuti gli atti a norma dell'articolo 10, comma 1, richiede alla corte di appello l'applicazione di una misura cautelare coercitiva; se il Tribunale internazionale ha richiesto la custodia in carcere della persona ai sensi dell'articolo 29, paragrafo 2, lettera d), dello statuto, ovvero altra misura specifica, il procuratore generale richiede alla corte di appello l'applicazione esclusivamente di tale misura.

2. La corte di appello dispone con ordinanza la misura richiesta; può disporre una misura meno grave solo se il procuratore generale non ha espressamente richiesto di provvedere esclusivamente in ordine alla misura indicata. Si applica l'articolo 719 del codice di procedura penale.

3. Il presidente della corte di appello, al più presto e comunque entro cinque giorni dalla esecuzione della misura, provvede all'identificazione della persona e ne raccoglie l'eventuale consenso alla consegna, facendone menzione nel verbale. Il verbale che documenta il consenso è trasmesso al procuratore generale per l'ulteriore inoltro al Ministro di grazia e giustizia. Si applica l'articolo 717, comma 2, del codice di procedura penale.

4. La misura della custodia in carcere può essere sostituita quando ricorrono gravi motivi di salute.

5. Le misure cautelari sono revocate:

a) se dall'inizio della loro esecuzione ovvero, nel caso di applicazione provvisoria della misura cautelare a norma dell'articolo 13, dal momento in cui è pervenuta la richiesta di consegna sono decorsi venticinque giorni senza che la corte di appello si sia pronunciata sulla richiesta di consegna;

b) se la corte di appello abbia pronunciato sentenza contraria alla consegna;

c) se sono decorsi quindici giorni dalla scadenza dei termini indicati nell'articolo 11, comma 4, senza che il Ministro abbia emesso il decreto con cui è disposta la consegna;

d) se sono decorsi trenta giorni dal giorno fissato per la presa in consegna da parte del Tribunale internazionale, senza che questa sia avvenuta.

 

Art. 13.

Applicazione provvisoria di misura cautelare.

1. Se il tribunale internazionale ne fa domanda, l'applicazione della misura cautelare coercitiva può essere disposta provvisoriamente anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta se:

a) il Tribunale internazionale ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale e che intende presentare richiesta di consegna;

b) il Tribunale internazionale ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e gli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona.

2. Ai fini dell'applicazione della misura si osservano le disposizioni dell'articolo 12.

3. Il Ministro di grazia e giustizia comunica immediatamente al Tribunale internazionale l'avvenuta esecuzione della misura cautelare. Essa è revocata se entro venti giorni dalla comunicazione non perviene la richiesta di consegna da parte del Tribunale internazionale.

 

Art. 13-bis. 

Arresto da parte della polizia giudiziaria.

1. Nei casi di urgenza, la polizia giudiziaria può procedere all'arresto della persona nei confronti della quale il Tribunale internazionale ha formulato una domanda di applicazione di una misura cautelare coercitiva, se ricorrono le condizioni previste dall'articolo 13, comma 1. Essa provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.

2. L'autorità che ha proceduto all'arresto ne informa immediatamente il Ministro di grazia e giustizia e al più presto, e comunque non oltre quarantotto ore, pone l'arrestato a disposizione del presidente della corte di appello del distretto in cui è avvenuto l'arresto, mediante la trasmissione del relativo verbale.

3. Quando non deve disporre la liberazione dell'arrestato, il presidente della corte di appello, entro quarantotto ore dal ricevimento del verbale, convalida l'arresto con ordinanza disponendo l'applicazione di una misura cautelare coercitiva. I provvedimenti emessi e gli atti sono trasmessi senza ritardo alla corte di appello di Roma.

4. La misura cautelare coercitiva cessa di avere effetto se la corte di appello di Roma entro venti giorni dalla sua applicazione non provvede a norma dell'articolo 13.

5. Delle decisioni assunte la corte di appello di Roma informa senza ritardo il Ministro di grazia e giustizia (14).

 

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(14)  Articolo aggiunto dall'art. 3, L. 7 giugno 1999, n. 207.

 

Art. 14.

Ruolo delle organizzazioni non governative.

1. Lo Stato italiano favorisce la collaborazione delle organizzazioni non governative nazionali ed internazionali con il Tribunale internazionale, in particolare con riferimento alla diffusione presso il pubblico degli scopi e delle attività del Tribunale medesimo e alla raccolta e trasmissione di informazioni ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 1, dello statuto.

2. Nella fase delle indagini preliminari nei procedimenti penali davanti all'autorità giudiziaria italiana relativi a fatti che sono ricompresi nella competenza del Tribunale internazionale, le organizzazioni indicate al comma 1 hanno facoltà di presentare memorie e indicare fonti ed elementi di prova.

 

Art. 15.

Entrata in vigore.

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

 


L. 12 luglio 1999, n. 232.
Ratifica ed esecuzione dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale, con atto finale ed allegati, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998.

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 19 luglio 1999, n. 167, S.O.

(2)  Titolo così rettificato con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 28 luglio 1999, n. 175.

 

Art. 1.  

1. Il Presidente della Repubblica, è autorizzato a ratificare lo statuto istitutivo della Corte penale internazionale, con atto finale ed allegati, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998.

 

Art. 2.  

1. Piena ed intera esecuzione è data allo statuto di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 126 dello statuto stesso.

 

Art. 3.  

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, nel limite massimo di lire 1.500 milioni annue a decorrere dal 2000, si provvede, per gli anni 2000 e 2001, mediante parziale utilizzo delle proiezioni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1999-2001, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno finanziario 1999, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

 

2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Art. 4.  

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

Statuto di Roma della Corte penale internazionale

 

Preambolo

Traduzione non ufficiale

 

Gli Stati Parti del presente Statuto;

 

Consapevoli che tutti i popoli sono uniti da stretti vincoli e che le loro culture formano un patrimonio da tutti condiviso, un delicato mosaico che rischia in ogni momento di essere distrutto;

 

Memori che nel corso di questo secolo, milioni di bambini, donne e uomini sono stati vittime di atrocità inimmaginabili che turbano profondamente la coscienza dell'umanità;

 

Riconoscendo che crimini di tale gravità minacciano la pace, la sicurezza ed il benessere del mondo;

 

Affermando che i delitti più gravi che riguardano l'insieme della comunità internazionale non possono rimanere impuniti e che la loro repressione deve essere efficacemente garantita mediante provvedimenti adottati in ambito nazionale ed attraverso il rafforzamento della cooperazione internazionale;

 

Determinati a porre termine all'impunità degli autori di tali crimini contribuendo in tal modo alla prevenzione di nuovi crimini;

 

Rammentando che è dovere di ciascun Stato esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali;

 

Ribadendo gli scopi ed i princìpi della Carta delle Nazioni Unite ed in modo particolare il dovere di tutti gli Stati di astenersi dal ricorrere all'uso della minaccia o della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica degli altri Stati o in contrasto, in qualsiasi altro modo, con gli scopi delle Nazioni Unite;

 

Evidenziando a tale riguardo che nessuna disposizione del presente Statuto può essere interpretata nel senso di autorizzare uno Stato Parte ad intervenire in un conflitto armato di competenza degli affari interni di un altro Stato;

 

Determinati ad istituire, a tali fini e nell'interesse delle generazioni presenti e future, una Corte penale internazionale permanente e indipendente, collegata con il sistema delle Nazioni Unite competente a giudicare sui crimini più gravi di allarme per l'intera comunità internazionale;

 

Evidenziando che la Corte penale internazionale istituita ai sensi del presente Statuto è complementare alle giurisdizioni penali nazionali;

 

Risoluti a garantire duraturo rispetto all'applicazione della giustizia internazionale;

 

Hanno convenuto quanto segue:

 

Capitolo I. Istituzione della Corte

 

Articolo 1

La Corte.

È istituita una Corte penale internazionale («la Corte») in quanto istituzione permanente che può esercitare il suo potere giurisdizionale sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale, ai sensi del presente Statuto. Essa è complementare alle giurisdizioni penali nazionali. La sua giurisdizione ed il suo funzionamento sono regolati dalle norme del presente Statuto.

 

Articolo 2

Rapporti della Corte con le Nazioni Unite.

La Corte instaura rapporti con le Nazioni Unite attraverso un accordo che dovrà essere approvato dall'Assemblea degli Stati Parti al presente Statuto e successivamente concluso dal Presidente della Corte a nome di quest'ultima.

 

Articolo 3

Sede della Corte.

1. La sede della Corte è all'Aia, nei Paesi-Bassi («Stato ospitante»).

2. La Corte e lo Stato ospitante stabiliscono un accordo di sede che sarà in seguito approvato dall'Assemblea degli Stati Parte, successivamente concluso dal Presidente della Corte a nome di quest'ultima.

3. Quando lo ritiene opportuno, la Corte può riunirsi in qualsiasi altro luogo, secondo le norme del presente Statuto.

 

Articolo 4

Status giuridico e poteri della Corte.

1. La Corte possiede personalità giuridica internazionale. Essa ha anche la capacità giuridica necessaria per l'esercizio delle sue funzioni ed il conseguimento dei suoi obiettivi.

2. La Corte può esercitare le proprie funzioni ed i propri poteri, quali preveduti nel presente Statuto, sul territorio di qualsiasi Stato Parte e, mediante una convenzione a tal fine, sul territorio di ogni altro Stato.

 

Capitolo II. Giurisdizione, procedibilità e normativa applicabile

 

Articolo 5

Crimini di competenza della Corte.

1. La competenza della Corte è limitata ai crimini più gravi, motivo di allarme per l'intera comunità internazionale. La Corte ha competenza, in forza del presente Statuto, per i crimini seguenti:

a) crimine di genocidio;

b) crimini contro l'umanità;

c) crimini di guerra;

d) crimine di aggressione.

2. La Corte eserciterà il proprio potere giurisdizionale sul crimine di aggressione successivamente all'adozione, in conformità agli articoli 121 e 123, della disposizione che definirà tale crimine e stabilirà le condizioni alle quali la Corte potrà esercitare il proprio potere giurisdizionale su tale crimine. Tale norma dovrà essere compatibile con le disposizioni in materia della Carta delle Nazioni Unite.

 

Articolo 6

Crimine di genocidio.

Ai fini del presente Statuto, per crimine di genocidio s'intende uno dei seguenti atti commessi nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, e precisamente:

a) uccidere membri del gruppo;

b) cagionare gravi lesioni all'integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo;

c) sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso;

d) imporre misure volte ad impedire le nascite in seno al gruppo;

e) trasferire con la forza bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso.

 

Articolo 7

Crimini contro l'umanità.

1. Ai fini del presente Statuto, per crimine contro l'umanità s'intende uno degli atti di seguito elencati, se commesso nell'ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco:

a) omicidio;

b) sterminio;

c) riduzione in schiavitù;

d) deportazione o trasferimento forzato della popolazione;

e) imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale;

f) tortura;

g) stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità;

h) persecuzione contro un gruppo o una collettività dotati di propria identità, inspirata da ragioni di ordine politico, razziale, nazionale, etnico, culturale, religioso o di genere sessuale ai sensi del paragrafo 3, o da altre ragioni universalmente riconosciute come non permissibili ai sensi del diritto internazionale, collegate ad atti preveduti dalle disposizioni del presente paragrafo o a crimini di competenza della Corte;

i) sparizione forzata delle persone;

j) apartheid;

k) altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all'integrità fisica o alla salute fisica o mentale.

2. Agli effetti del paragrafo 1:

a) si intende per «attacco diretto contro popolazioni civili» condotte che implicano la reiterata commissione di talune degli atti preveduti al paragrafo 1 contro popolazioni civili, in attuazione o in esecuzione del disegno politico di uno Stato o di una organizzazione, diretto a realizzare l'attacco;

b) per «sterminio» s'intende, in modo particolare, il sottoporre intenzionalmente le persone a condizioni di vita dirette a cagionare la distruzione di parte della popolazione, quali impedire l'accesso al vitto ed alle medicine;

c) per «riduzione in schiavitù» s'intende l'esercizio su una persona di uno o dell'insieme dei poteri inerenti al diritto di proprietà, anche nel corso del traffico di persone, in particolare di donne e bambini a fini di sfruttamento sessuale;

d) per «deportazione o trasferimento forzato della popolazione» s'intende la rimozione delle persone, per mezzo di espulsione o con altri mezzi coercitivi, dalla regione nella quale le stesse si trovano legittimamente, in assenza di ragione prevedute dal diritto internazionale che lo consentano;

e) per «tortura» s'intende l'infliggere intenzionalmente gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali, ad una persona di cui si abbia la custodia o il controllo; in tale termine non rientrano i dolori o le sofferenze derivanti esclusivamente da sanzioni legittime, che siano inscindibilmente connessi a tali sanzioni o dalle stesse incidentalmente occasionati;

f) per «gravidanza forzata» s'intende la detenzione illegale di una donna resa gravida con la forza, nell'intento di modificare la composizione etnica di una popolazione o di commettere altre gravi violazioni del diritto internazionale. La presente definizione non può essere in alcun modo interpretata in maniera tale da pregiudicare l'applicazione delle normative nazionali in materia di interruzione della gravidanza;

g) per «persecuzione» s'intende la intenzionale e grave privazione dei diritti fondamentali in violazione del diritto internazionale, per ragioni connesse all'identità del gruppo o della collettività;

h) per «apartheid» s'intendono gli atti inumani di carattere analogo a quelli indicati nelle disposizioni del paragrafo 1, commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominazione da parte di un gruppo razziale su altro o altri gruppi razziali, ed al fine di perpetuare tale regime;

i) per «sparizione forzata delle persone» s'intende l'arresto, la detenzione o il rapimento delle persone da parte o con l'autorizzazione, il supporto o l'acquiescenza di uno Stato o organizzazione politica, che in seguito rifiutino di riconoscere la privazione della libertà o di dare informazioni sulla sorte di tali persone o sul luogo ove le stesse si trovano, nell'intento di sottrarle alla protezione della legge per un prolungato periodo di tempo.

3. Agli effetti del presente Statuto con il termine «genere sessuale» si fa riferimento ai due sessi, maschile e femminile, nel contesto sociale. Tale termine non implica alcun altro significato di quello sopra menzionato.

 

Articolo 8

Crimini di guerra.

1. La Corte ha competenza a giudicare sui crimini di guerra, in particolare quando commessi come parte di un piano o di un disegno politico, o come parte di una serie di crimini analoghi commessi su larga scala.

2. Agli effetti dello Statuto, si intende per «crimini di guerra»:

a) gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire uno dei seguenti atti posti in essere contro persone o beni protetti dalle norme delle Convenzioni di Ginevra:

i) omicidio volontario;

ii) tortura o trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici;

iii) cagionare volontariamente grandi sofferenze o gravi lesioni all'integrità fisica o alla salute;

iv) distruzione ed appropriazione di beni, non giustificate da necessità militari e compiute su larga scala illegalmente ed arbitrariamente;

v) costringere un prigioniero di guerra o altra persona protetta a prestare servizio nelle forze armate di una potenza nemica;

vi) privare volontariamente un prigioniero di guerra o altra persona protetta del suo diritto ad un equo e regolare processo;

vii) deportazione, trasferimento o detenzione illegale;

viii) cattura di ostaggi;

b) altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all'interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali, vale a dire uno dei seguenti atti:

i) dirigere deliberatamente attacchi contro popolazione civili in quanto tali o contro civili che non prendano direttamente parte alle ostilità;

ii) dirigere deliberatamente attacchi contro proprietà civili, e cioè proprietà che non siano obiettivi militari;

iii) dirigere deliberatamente attacchi contro personale, installazioni, materiale, unità o veicoli utilizzati nell'ambito di una missione di soccorso umanitario o di mantenimento della pace in conformità della Carta delle Nazioni Unite, nella misura in cui gli stessi abbiano diritto alla protezione accordata ai civili ed alle proprietà civili prevedute dal diritto internazionale dei conflitti armati;

iv) lanciare deliberatamente attacchi nella consapevolezza che gli stessi avranno come conseguenza la perdita di vite umane tra la popolazione civile, e lesioni a civili o danni a proprietà civili ovvero danni diffusi, duraturi e gravi all'ambiente naturale che siano manifestamente eccessivi rispetto all'insieme dei concreti e diretti vantaggi militari previsti;

v) attaccare o bombardare con qualsiasi mezzo, città, villaggi, abitazioni o costruzioni che non siano difesi, e che non costituiscano obiettivi militari;

vi) uccidere o ferire combattenti che, avendo deposto le armi o non avendo ulteriori mezzi di difesa, si siano arresi senza condizioni;

vii) fare uso improprio della bandiera bianca, della bandiera o delle insegne militari e dell'uniforme del nemico o delle Nazioni Unite nonché degli emblemi distintivi della Convenzione di Ginevra, cagionando in tal modo la perdita di vite umane o gravi lesioni personali;

viii) il trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati o la deportazione o il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all'interno o all'esterno di tale territorio;

x) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari, a monumenti storici, a ospedali e luoghi dove sono riuniti i malati ed i feriti, purché tali edifici non siano utilizzati per fini militari;

x) assoggettare coloro che si trovano in potere del nemico a mutilazioni fisiche o ad esperimenti medici o scientifici di qualsiasi tipo, non giustificati da trattamenti medici delle persone coinvolte né compiuti nel loro interesse, che cagionano la morte di tali persone o ne danneggiano gravemente la salute;

xi) uccidere o ferire a tradimento individui appartenenti alla nazionale o all'esercito nemico;

xii) dichiarare che nessuno avrà salva la vita;

xiii) distruggere o confiscare beni del nemico, a meno che la confisca o la distruzione non siano imperativamente richieste dalle necessità della guerra;

xiv) dichiarare aboliti, sospesi od improcedibili in giudizio diritti ed azioni dei cittadini della nazione nemica;

xv) costringere i cittadini della nazione nemica, anche se al servizio del belligerante prima dell'inizio della guerra, a prendere parte ad operazioni di guerra dirette contro il proprio paese;

xvi) saccheggiare città o località, ancorché prese d'assalto;

xvii) utilizzare veleno o armi velenose;

xviii) utilizzare gas asfissianti, tossici o altri gas simili e tutti i liquidi, materiali e strumenti analoghi;

xix) utilizzare proiettili che si espandono o si appiattiscono facilmente all'interno del corpo umano, quali i proiettili con l'involucro duro che non ricopre interamente la parte centrale o quelli perforati ad intaglio;

xx) utilizzare armi, proiettili, materiali e metodi di combattimento con caratteristiche tali da cagionare lesioni superflue o sofferenze non necessarie, o che colpiscano per loro natura in modo indiscriminato in violazione del diritto internazionale dei conflitti armati, a condizione che tali mezzi siano oggetto di un divieto d'uso generalizzato e rientrino tra quelli elencati in un allegato al annesso al presente Statuto, a mezzo di un emendamento adottato in conformità delle disposizioni in materia contenute negli articoli 121 e 123;

xxi) violare la dignità della persona, in particolare utilizzando trattamenti umilianti e degradanti;

xxii) stuprare, ridurre in schiavitù sessuale, costringere alla prostituzione o alla gravidanza, imporre la sterilizzazione e commettere qualsiasi altra forma di violenza sessuale costituente violazione grave delle Convenzioni di Ginevra;

xxiii) utilizzare la presenza di un civile o di altra persona protetta per evitare che taluni siti, zone o forze militari divengano il bersaglio di operazioni militari;

xxiv) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici, materiali, personale ed unità e mezzi di trasporto sanitari che usino, in conformità con il diritto internazionale, gli emblemi distintivi preveduti dalle Convenzioni di Ginevra;

xxv) affamare intenzionalmente, come metodo di guerra, i civili privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, ed in particolare impedire volontariamente l'arrivo dei soccorsi preveduti dalle Convenzioni di Ginevra;

xxvi) reclutare o arruolare fanciulli di età inferiore ai quindici anni nelle forze armate nazionali o farli partecipare attivamente alle ostilità;

c) in ipotesi di conflitto armato non di carattere internazionale, gravi violazioni dell'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire uno degli atti di seguito enumerati, commessi contro coloro che non partecipano direttamente alle ostilità, ivi compresi i membri delle Forze Armate che hanno deposto le armi e coloro persone che non sono in grado di combattere per malattia, ferite, stato di detenzione o per qualsiasi altra causa:

i) atti di violenza contro la vita e l'integrità della persona, in particolare tutte le forme di omicidio, le mutilazioni, i trattamenti crudeli e la tortura;

ii) violare la dignità personale, in particolare trattamenti umilianti e degradanti;

iii) prendere ostaggi;

iv) emettere sentenze ed eseguirle senza un preventivo giudizio, svolto avanti un tribunale regolarmente costituito che offre tutte le garanzie giudiziarie generalmente riconosciute come indispensabili;

d) il capoverso c) del paragrafo 2 si applica ai conflitti armati non di carattere internazionale e non si applica quindi a situazioni interne di disordine e tensione quali sommosse o atti di violenza sporadici o isolati di natura analoga;

e) altre gravi violazioni gravi delle leggi e degli usi applicabili, all'interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati non di carattere internazionale, vale a dire uno dei seguenti atti:

i) dirigere deliberatamente attacchi contro popolazioni civili in quanto tali o contro civili che non prendano direttamente parte alle ostilità;

ii) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici, materiali, personale ed unità e mezzi di trasporto sanitari, che usino in conformità con il diritto internazionale gli emblemi distintivi preveduti dalle Convenzioni di Ginevra;

iii) dirigere deliberatamente attacchi contro personale, installazioni, materiale, unità o veicoli utilizzati nell'ambito di una missione di soccorso umanitario o di mantenimento della pace in conformità della Carta delle Nazioni Unite, nella misura in cui gli stessi abbiano diritto alla protezione accordata ai civili ed alle proprietà civili prevedute dal diritto internazionale dei conflitti armati;

iv) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari, monumenti storici, ospedali o luoghi dove sono riuniti i malati ed i feriti, purché tali edifici non siano utilizzati per fini militari;

v) saccheggiare città o località, ancorché prese d'assalto;

vi) stuprare, ridurre in schiavitù sessuale, costringere alla prostituzione o alla gravidanza, imporre la sterilizzazione e commettere qualsiasi altra forma di violenza sessuale costituente violazione grave delle Convenzioni di Ginevra;

vii) reclutare o arruolare fanciulli di età inferiore ai quindici anni nelle forze armate nazionali o farli partecipare attivamente alle ostilità;

viii) disporre un diverso dislocamento della popolazione civile per ragioni correlate al conflitto, se non lo richiedano la sicurezza dei civili coinvolti o inderogabili ragioni militari;

ix) uccidere o ferire a tradimento un combattente avversario;

x) dichiarare che nessuno avrà salva la vita;

xi) assoggettare coloro che si trovano in potere dell'avversario a mutilazioni fisiche o ad esperimenti medici o scientifici di qualsiasi tipo, non giustificati da trattamenti medici delle persone interessate né compiuti nel loro interesse, che cagionano la morte di tali persone o ne danneggiano gravemente la salute;

xii) distruggere o confiscare beni dell'avversario, a meno che la confisca o la distruzione non siano imperativamente richieste dalle necessità del conflitto;

f) il capoverso e) del paragrafo 2 si applica ai conflitti armati non di carattere internazionale e pertanto non si applica alle situazioni di tensione e di disordine interne, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici ed altri atti analoghi. Si applica ai conflitti armati che si verificano nel territorio di uno Stato ove si svolga un prolungato conflitto armato tra le forze armate governative e gruppi armati organizzati, o tra tali gruppi.

 

3. Nulla di quanto contenuto nelle disposizioni del paragrafo 2, capoversi c) e d) può avere incidenza sulle responsabilità dei governi di mantenere o ristabilire l'ordine pubblico all'interno dello Stato o di difendere l'unità e l'integrità territoriale dello Stato con ogni mezzo legittimo.

 

Articolo 9

Elementi costitutivi dei crimini.

1. Gli elementi costitutivi dei crimini sono di ausilio per la Corte nell'interpretazione e nell'applicazione degli articoli 6, 7 ed 8 del presente Statuto, che devono essere adottati dall'Assemblea degli Stati Parte a maggioranza di due terzi dei membri.

2. Modifiche agli elementi costitutivi dei crimini possono essere proposte da:

a) uno Stato Parte;

b) i giudici, con decisione a maggioranza assoluta;

c) il Procuratore.

Le modifiche sono approvate dall'Assemblea degli Stati Parte a maggioranza di due terzi dei membri.

3. Gli elementi costitutivi dei crimini e le modifiche allo stesso devono essere compatibili con il presente Statuto.

 

Articolo 10

Nessuna disposizione del presente capitolo può essere interpretata nel senso di limitare o pregiudicare in qualsiasi modo, per effetti diversi da quelli del presente Statuto, le norme del diritto internazionale esistenti o in formazione.

 

Articolo 11

Competenza ratione temporis.

1. La corte ha competenza solo sui crimini di sua competenza, commessi dopo l'entrata in vigore del presente Statuto.

2. Quando uno Stato diviene Parte al presente Statuto successivamente alla sua l'entrata in vigore, la Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale solo sui crimini commessi dopo l'entrata in vigore del presente Statuto nei confronti di tale Stato, a meno che lo Stato stesso abbia reso una dichiarazione ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 3.

 

Articolo 12

1. Lo Stato che diviene parte del presente Statuto accetta con tale atto la competenza della Corte sui crimini di cui all'articolo 5.

2. Nell'ipotesi preveduta dall'articolo 13, lettere a) o c) la Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale se uno dei seguenti Stati, o entrambi, sono Parti del presente Statuto o hanno accettato la competenza della Corte in conformità delle disposizioni del paragrafo 3:

a) lo Stato nel cui territorio hanno avuto luogo l'atto o l'omissione in oggetto o, se il crimine è stato commesso a bordo di una nave o di un aeromobile, lo Stato della bandiera o di immatricolazione di tale nave o aeromobile;

b) lo Stato del quale la persona accusata ha la nazionalità.

3. Se è necessaria, a norma delle disposizioni del paragrafo 2, l'accettazione di uno Stato non Parte del presente Statuto, tale Stato può, con dichiarazione depositata in Cancelleria, accettare la competenza della Corte sul crimine di cui trattasi. Lo Stato accettante Corte coopera con la Corte senza ritardo e senza eccezioni, in conformità al capitolo IX.

 

Articolo 13

Condizioni di procedibilità.

La Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale su uno dei crimini di cui all'articolo 5, secondo le disposizioni del presente Statuto, se:

a) uno Stato Parte, in conformità dell'articolo 14, segnala al Procuratore una situazione nella quale uno o più di tali crimini appaiono essere stati commessi;

b) il Consiglio di Sicurezza, nell'ambito delle azioni prevedute dal capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, segnala al Procuratore una situazione nella quale uno o più di tali crimini appaiono essere stati commessi; oppure

c) il Procuratore ha aperto un'indagine su uno o più di tali crimini, in forza dell'articolo 15.

 

Articolo 14

Segnalazione di una situazione ad opera di uno Stato Parte.

1. Uno Stato Parte può segnalare al Procuratore una situazione nella quale uno o più crimini di competenza della Corte appaiono essere stati commessi, richiedendo al Procuratore di effettuare indagini su questa situazione al fine di determinare se una o più persone particolari debbano essere accusate di tali crimini.

2. Lo Stato che sottopone il caso, indica per quanto possibile le circostanze rilevanti e presenta la documentazione di supporto di cui dispone.

 

Articolo 15

Il Procuratore.

1. Il Procuratore può iniziare le indagini di propria iniziativa sulla base di informazioni relative ai crimini di competenza della Corte.

2. Il Procuratore valuta la serietà delle informazioni ricevute. A tal fine può richiedere ulteriori informazioni agli Stati, agli organi delle Nazioni Unite, alle organizzazioni intergovernative e non governative o alle altre fonti affidabili che gli appaiono appropriate, e può ricevere deposizioni scritte o orali presso la sede della Corte.

3. Se il Procuratore conclude che vi sono elementi che giustificano l'inizio delle indagini, presenta alla Camera Preliminare una richiesta di autorizzazione alle indagini, unitamente ad ogni elemento di supporto raccolto. Le vittime possono essere rappresentate di fronte alla Camera Preliminare, in conformità al Regolamento di Procedura e di Prova.

4. Se la Camera Preliminare dopo aver esaminato la richiesta e gli elementi giustificativi che l'accompagnano, ritiene che l'inizio delle indagini è giustificato e che il caso appare ricadere nella competenza della Corte, essa dà la sua autorizzazione senza pregiudizio per le successive decisioni della Corte in materia di competenza e di procedibilità.

5. Una risposta negativa ella Camera Preliminare non vieta al Procuratore di presentare una successiva richiesta fondata su fatti o elementi di prova nuovi, riferiti alla stessa situazione.

6. Se dopo la valutazione preliminare di cui ai paragrafi 1 e 2, il Procuratore conclude che le informazioni fornite non giustificano l'inizio delle indagini, ne informa coloro che le hanno fornite. Ciò non preclude al Procuratore la possibilità la facoltà di prendere in esame, alla luce di fatti o elementi di prova nuovi, ulteriori informazioni a lui eventualmente sottoposte relative alla stessa situazione.

 

Articolo 16

Sospensione delle indagini o dell'esercizio dell'azione penale.

Nessuna indagine e nessun procedimento penale possono essere iniziati o proseguiti ai sensi del presente Statuto per il periodo di dodici mesi successivo alla data in cui il Consiglio di Sicurezza, con risoluzione adottata ai sensi del Capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite, ne abbia fatto richiesta alla Corte; tale richiesta può essere rinnovata dal Consiglio con le stesse modalità.

 

Articolo 17

Questioni relative alla procedibilità.

1. Con riferimento al decimo comma del preambolo ed all'articolo primo del presente Statuto, la Corte dichiara improcedibile il caso se:

a) sullo stesso sono in corso di svolgimento indagini o procedimenti penali condotti da uno Stato che ha su di esso giurisdizione, a meno che tale Stato non intenda iniziare le indagini ovvero non abbia la capacità di svolgerle correttamente o di intentare un procedimento;

b) lo stesso è stato oggetto di indagini condotte da uno Stato che ha su di esso giurisdizione e tale Stato ha deciso di non procedere nei confronti della persona interessata, a meno che la decisione non costituisca il risultato del rifiuto o dell'incapacità dello Stato di procedere correttamente;

c) la persona interessata è già stata giudicata per la condotta oggetto della denunzia e non può essere giudicata dalla Corte a norma dell'articolo 20, paragrafo 3;

d) il fatto non è di gravità sufficiente da giustificare ulteriori azioni da parte della Corte.

2. Al fine di decidere se ricorre in specifiche fattispecie il difetto di volontà dello Stato, la Corte valuta se, avuto riguardo alle garanzie giudiziarie riconosciute dal diritto internazionale sussistono una o più delle seguenti circostanze:

a) il procedimento è o è stato condotto, ovvero la decisione dello Stato è stata adottata, nell'intento di proteggere la persona interessata dalla responsabilità penale per i crimini di competenza della Corte indicati nell'articolo 5;

b) il procedimento ha subìto un ritardo ingiustificato che, date le circostanze, è incompatibile con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia;

c) il procedimento non è stato, o non è condotto in modo indipendente o imparziale, ed è stato, o è condotto in modo tale da essere - date le circostanze - incompatibile con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia.

3. Al fine di decidere se ricorre in specifiche fattispecie l'incapacità dello Stato, la Corte valuta se, a causa di un totale o sostanziale collasso ovvero della indisponibilità del proprio sistema giudiziario interno, lo Stato non abbia la capacità di ottenere la presenza dell'imputato o le prove e testimonianze necessarie, ovvero sia in qualunque altro modo incapace a svolgere il procedimento instaurato.

 

Articolo 18

Decisione preliminare in ordine alla procedibilità.

1. Quando alla Corte è stata segnalata una situazione ai sensi dell'articolo 13, capoverso a) ed il Procuratore ha determinato che vi sono elementi che giustificano l'inizio delle indagini ovvero quanto il procuratore inizia le indagini sulla base degli articoli 13 lettera c) e 15, lo stesso procuratore ne dà notifica a tutti gli Stati Parte ed a quegli Stati che, in considerazione delle informazioni disponibili, sarebbero ordinariamente forniti di giurisdizione sui crimini in oggetto. Il Procuratore può informare a tali Stati in via riservata, e, se lo ritiene necessario per la protezione delle persone, per prevenire la distruzione delle prove o per impedire che le persone si rendano latitanti, può limitare l'ampiezza delle informazioni fornite agli Stati.

2. Entro un mese dalla ricezione di tale notifica, lo Stato può informare la Corte del fatto che sta conducendo o che ha condotto indagini su propri cittadini o su altri soggetti rientranti nella propria giurisdizione in relazione ad atti criminali che possono essere costitutivi dei crimini indicati nell'articolo 5 e che sono in rapporto con le informazioni notificate agli Stati. Su richiesta di tale Stato, il Procuratore sospende le proprie indagini in favore di quelle condotte dallo Stato, a meno che la Camera Preliminare, su richiesta del Procuratore, non decida di autorizzare le indagini.

3. La sospensione delle indagini del Procuratore in favore di quelle condotte dallo Stato può essere riesaminata dal Procuratore stesso trascorsi sei mesi dalla data della sua adozione, o in qualunque momento, qualora si sia verificato un rilevante mutamento delle circostanze per motivi attinenti al rifiuto o all'incapacità dello Stato di condurre le indagini.

4. Lo Stato interessato o il Procuratore possono proporre impugnazione avanti la Camera d'appello contro la decisione adottata dalla Camera Preliminare, in conformità dell'articolo 82, paragrafo 2. L'appello può essere trattato con procedura d'urgenza.

5. Quando ha sospeso le indagini come previsto al paragrafo 2, il Procuratore può richiedere che lo Stato interessato lo informi periodicamente dei progressi delle proprie indagini e di ogni procedimento penale che ne sia derivato. Lo Stato Parte risponde a tali richieste senza indebito ritardo.

6. Durante l'attesa di una decisione della Camera Preliminare o in qualsiasi momento quando le indagini sono sospese ai sensi del presente articolo, il Procuratore può, eccezionalmente richiedere alla Camera Preliminare l'autorizzazione a compiere gli atti di indagine necessari allo scopo di preservare le prove, qualora si presenti una opportunità irripetibile di raccogliere importanti d'elementi di prova o sussista un rilevante rischio che tali elementi di prova possano successivamente non essere disponibili.

7. Lo Stato che ha proposto impugnazione ai sensi del presente articolo contro una decisione della Camera Preliminare, può eccepire l'improcedibilità del caso ai sensi dell'articolo 19, sulla base di ulteriori fatti significativi o di un rilevante mutamento delle circostanze.

 

 Articolo 19

Questioni pregiudiziali sulla competenza della Corte e la procedibilità del caso.

1. La Corte accerta la propria competenza su qualsiasi caso portato dinanzi ad essa.

La Corte può d'ufficio pronunziarsi sulla procedibilità del caso in conformità all'articolo 17.

2. Eccezioni in ordine alla procedibilità del caso, fondate sui motivi indicati nell'articolo 17, ovvero eccezioni in ordine alla competenza della Corte possono essere proposte da:

a) l'imputato o colui nei confronti del quale è stato emesso ai sensi dell'articolo 58 un mandato d'arresto o di comparizione;

b) lo Stato che ha giurisdizione riguardo al crimine in esame, per via del fatto che su tale caso sta conducendo o ha già condotto indagini o procedimenti penali; o

c) lo Stato del quale sia richiesta, ai sensi dell'articolo 12, l'accettazione della competenza.

3. Il Procuratore può richiedere alla Corte di pronunziarsi sulla questione di competenza o di procedibilità. Nei procedimenti relativi alla competenza o alla procedibilità, anche coloro che hanno segnalato la situazione ai sensi dell'articolo 13 e le vittime del crimine possono presentare osservazioni alla Corte.

4. L'improcedibilità di un caso o l'incompetenza della Corte possono essere eccepite per una sola volta dalle persone o dagli Stati indicati nelle disposizioni del paragrafo 2. L'eccezione deve essere proposta prima o nel momento iniziale del processo. In circostanze eccezionali, la Corte può autorizzare che l'eccezione sia proposta più di una volta o in momento successivo alla fase di apertura del processo. Le eccezioni di improcedibilità proposte nella fase di apertura del processo o successivamente con l'autorizzazione della Corte possono essere fondate esclusivamente sull'articolo 17, paragrafo 1, lettera c).

5. Gli Stati indicati alle disposizioni del paragrafo 2, capoversi b) e c) devono proporre l'eccezione il prima possibile.

6. Prima della conferma delle imputazioni, le eccezioni sulla procedibilità del caso e sulla competenza della Corte devono essere proposte alla Camera Preliminare. Dopo la convalida delle imputazioni, le stesse devono essere proposte alla Camera di primo grado. Le decisioni sulla competenza o la procedibilità possono essere impugnate avanti la Camera d'Appello in conformità all'articolo 82.

7. Se lo Stato di cui al paragrafo 2, capoversi b) o c) propone un'eccezione, il Procuratore sospende le indagine sino a che la Corte non abbia adottato una decisione in conformità dell'articolo 17.

8. Pendente la decisione della Corte, il Procuratore può richiedere alla stessa l'autorizzazione:

a) a compiere gli atti di indagine necessari indicati nell'articolo 18 paragrafo 6;

b) ad assumere dichiarazioni o deposizioni o testimonianze da testimoni, o a completare la raccolta e l'esame degli elementi di prova che abbiano avuto inizio prima della proposizione dell'eccezione; e

c) ad impedire, in cooperazione con gli Stati interessati, che coloro nei cui confronti il Procuratore ha già richiesto un mandato d'arresto ai sensi dell'articolo 58 si rendano latitanti.

9. La proposizione dell'eccezione non incide sulla validità degli atti compiuti in precedenza dal Procuratore, o degli ordini o dei mandati emessi in precedenza dalla Corte.

10. Se la Corte ha dichiarato l'improcedibilità del caso ai sensi dell'articolo 17, il Procuratore può avanzare richiesta per la revisione della decisione qualora accerti pienamente il verificarsi di fatti nuovi che abbiano fatto venire meno le ragioni sulle quali si fondava la precedente dichiarazione di improcedibilità del caso adottata ai sensi dell'articolo 17.

11. Se il Procuratore, con riferimento a quanto indicato nell'articolo 17, sospende le indagini può richiedere che lo Stato interessato lo informi sullo svolgimento della procedura. Tali notizie devono essere, a richiesta dello Stato in oggetto, tenute riservate. Se successivamente il Procuratore decide di procedere alle indagini deve darne formale notizia allo Stato la cui procedura era all'origine della sospensione.

 

 Articolo 20

Ne bis in idem.

1. Se non diversamente preveduto dal presente Statuto, nessuno può essere giudicato dalla Corte per atti costitutivi di crimini per i quali è stato precedentemente condannato o assolto dalla Corte stessa.

2. Nessuno può essere giudicato da una diversa giurisdizione per un crimine indicato nell'articolo 5 per il quale è già stato condannato o assolto dalla Corte.

3. Chiunque sia stato precedentemente giudicato da una diversa giurisdizione per condotte punibili anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 8, può essere giudicato dalla Corte solo se il procedimento di fronte all'altra giurisdizione:

a) mirava a sottrarre la persona interessata alla sua responsabilità penale per crimini di competenza della Corte; o

b) in ogni caso non era stato condotto in modo indipendente ed imparziale, nel rispetto delle garanzie previste dal diritto internazionale, ma invece era stato condotto in modo da essere incompatibile, date le circostanze, con il fine di assicurare la persona interessata alla giustizia.

 

 Articolo 21

Normativa applicabile.

1. La Corte applica:

a) in primo luogo, il presente Statuto ed il Regolamento di procedura e di prova;

b) in secondo luogo, ove occorra, i trattati applicabili ed i princìpi e le regole di diritto internazionale, ivi compresi i princìpi consolidati del diritto internazionale dei conflitti armati;

c) in mancanza, i princìpi generali di diritto ricavati dalla Corte in base alla normativa interna dei sistemi giuridici del mondo, compresa, ove occorra, la normativa interna degli Stati che avrebbero avuto giurisdizione sul crimine, purché tali princìpi non siano in contrasto con il presente Statuto, con il diritto internazionale e con le norme ed i criteri internazionalmente riconosciuti.

2. La Corte può applicare i princìpi di diritto e le norme giuridiche quali risultano dall'interpretazione fornitane nelle proprie precedenti decisioni.

3. L'applicazione e l'interpretazione del diritto ai sensi del presente articolo devono essere compatibili coni diritti dell'uomo internazionalmente riconosciuti e devono essere effettuate senza alcuna discriminazione fondata su ragioni quali il genere sessuale come definito nell'articolo 7, paragrafo 3, l'età, la razza, il colore, la lingua, la religione o il credo, le opinioni politiche o le altre opinioni, la nazionalità, l'origine etnica o sociale, le condizioni economiche, la nascita o le altre condizioni personali.

 

Capitolo III. Princìpi generali del diritto penale

 

Articolo 22

Nullum crimen sine lege.

1. Una persona è penalmente responsabile in forza del presente Statuto solo se la sua condotta, nel moneto in cui viene realizzata, costituisce un crimine di competenza della Corte.

2. La definizione dei crimini è interpretata tassativamente e non può essere estesa per analogia. Nel dubbio, deve essere interpretata a favore della persona che è oggetto di un'inchiesta, di azioni giudiziarie o di una condanna.

3. Il presente articolo non impedisce che un comportamento sia qualificato come crimine secondo il diritto internazionale, indipendentemente dal presente Statuto.

 

Articolo 23

Nulla poena sine lege.

Una persona che è stata condannata dalla Corte può essere punita solo in conformità alle disposizioni del presente Statuto.

 

 Articolo 24

Non retroattività ratione personae.

1. Nessuno è penalmente responsabile in forza del presente Statuto per un comportamento precedente all'entrata in vigore dello Statuto.

Se il diritto applicabile ad un caso è modificato prima della sentenza definitiva, alla persona che è oggetto d'inchiesta, di un procedimento giudiziario o di una condanna sarà applicato il diritto più favorevole.

 

 Articolo 25

Responsabilità penale individuale.

1. La Corte è competente per le persone fisiche in conformità al presente Statuto.

2. Chiunque commette un reato sottoposto alla giurisdizione della Corte è individualmente responsabile e può essere punito secondo il presente Statuto.

3. In conformità del presente Statuto, una persona è penalmente responsabile e può essere punita per un reato di competenza della Corte:

a) quando commette tale reato a titolo individuale o insieme ad un'altra persona o tramite un'altra persona, a prescindere se quest'ultima è o meno penalmente responsabile;

b) quando ordina, sollecita o incoraggia la perpetrazione di tale reato, nella misura in cui vi è perpetrazione o tentativo di perpetrazione di reato;

c) quando, in vista di agevolare la perpetrazione di tale reato, essa fornisce il suo aiuto, la sua partecipazione o ogni altra forma di assistenza alla perpetrazione o al tentativo di perpetrazione di tale reato, ivi compresi i mezzi per farlo;

d) contribuisce in ogni altra maniera alla perpetrazione o al tentativo di perpetrazione di tale reato da parte di un gruppo di persone che agiscono di comune accordo. Tale contributo deve essere intenzionale e, a seconda dei casi:

i) mirare a facilitare l'attività criminale o il progetto criminale del gruppo, nella misura in cui tale attività o progetto comportano l'esecuzione di un delitto sottoposto alla giurisdizione della Corte; oppure

ii) essere fornito in piena consapevolezza dell'intento del gruppo di commettere il reato;

e) trattandosi di un crimine di genocidio, incita direttamente e pubblicamente altrui a commetterlo;

f) tenta di commettere il reato mediante atti che per via del loro carattere sostanziale rappresentano un inizio di esecuzione, senza tuttavia portare a termine il reato per via di circostanze indipendenti dalla sua volontà. Tuttavia la persona che desiste dallo sforzo volto a commettere il reato o ne impedisce in qualche modo l'espletamento, non può essere punita in forza del presente Statuto per il suo tentativo, qualora abbia completamente e volontariamente desistito dal suo progetto criminale.

4. Nessuna disposizione del presente Statuto relativa alla responsabilità penale degli individui pregiudica la responsabilità degli Stati nel diritto internazionale.

 

Articolo 26

Esclusione di giurisdizione per persone di età inferiore a 18 anni.

La Corte non ha competenza nei confronti di una persona minore di 18 anni al momento della pretesa perpetrazione di un crimine.

 

Articolo 27

Irrilevanza della qualifica ufficiale.

1. Il presente Statuto si applica a tutti in modo uguale senza qualsivoglia distinzione basata sulla qualifica ufficiale. In modo particolare la qualifica ufficiale di capo di Stato o di governo, di membro di un governo o di un parlamento, di rappresentante eletto o di agente di uno Stato non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale per quanto concerne il presente Statuto e non costituisce in quanto tale motivo di riduzione della pena.

2. Le immunità o regole di procedura speciale eventualmente inerenti alla qualifica ufficiale di una persona in forza del diritto interno o del diritto internazionale non vietano alla Corte di esercitare la sua competenza nei confronti di questa persona.

Articolo 28

Responsabilità dei capi militari e di altri superiori gerarchici.

Oltre agli altri motivi di responsabilità penale secondo il presente Statuto per reati di competenza della Corte:

1. Un comandante militare o persona facente effettivamente funzione di comandante militare è penalmente responsabile dei crimini di competenza della Corte commessi da forze poste sotto il suo effettivo comando o controllo o sotto la sua effettiva autorità e controllo, a seconda dei casi, quando non abbia esercitato un opportuno controllo su queste forze nei seguenti casi:

a) questo capo militare o persona sapeva o, date le circostanze, avrebbe dovuto sapere che le forze commettevano o stavano per commettere tali crimini; e

b) questo capo militare o persona non ha preso tutte le misure necessarie e ragionevoli in suo potere per impedire o reprimere l'esecuzione o per sottoporre la questione alle autorità competenti a fini d'inchiesta e di azioni giudiziarie.

2. Per quanto concerne le relazioni fra superiore gerarchico e sottoposti, non descritte alla lettera a), il superiore gerarchico è penalmente responsabile per i reati di competenza della Corte commessi da sottoposti sotto la sua effettiva autorità o controllo, qualora egli non abbia esercitato un opportuno controllo su tali sottoposti nelle seguenti circostanze:

a) essendo a conoscenza, o trascurando deliberatamente di tenere conto di informazioni che indicavano chiaramente che tali subordinati commettevano o stavano per commettere tali crimini;

b) i crimini erano inerenti ad attività sotto la sua effettiva autorità e responsabilità;

c) non ha preso tutte le misure necessarie e ragionevoli in suo potere per impedirne o reprimerne l'esecuzione o per sottoporre la questione alle autorità competenti ai fini d'inchiesta e di esercizio dell'azione penale.

 

Articolo 29

Imprescrittibilità.

I crimini di competenza della Corte non sono soggetti ad alcun termine di prescrizione.

 

Articolo 30

Elementi psicologici.

1. Salvo diversa disposizione, una persona non è penalmente responsabile e può essere punita per un crimine di competenza della Corte solo se l'elemento materiale è accompagnato da intenzione e consapevolezza.

2. Ai sensi del presente articolo, vi è intenzione quando:

a) trattandosi di un comportamento, una persona intende adottare tale comportamento;

b) trattandosi di una conseguenza, una persona intende causare tale conseguenza o è consapevole che quest'ultima avverrà nel corso normale degli eventi.

3. Vi è consapevolezza ai sensi del presente articolo quando una persona è cosciente dell'esistenza di una determinata circostanza o che una conseguenza avverrà nel corso normale degli eventi. «Intenzionalmente» e «con cognizione di causa» vanno interpretati di conseguenza.

 

 Articolo 31

Motivi di esclusione dalle responsabilità penali.

1. Oltre agli altri motivi di esclusione della responsabilità penale previsti dal presente Statuto, una persona non è penalmente responsabile se al momento del suo comportamento:

a) essa soffriva di una malattia o deficienza mentale che le precludeva la facoltà di comprendere il carattere delittuoso o la natura del suo comportamento, o di controllarlo per renderlo conforme alle norme di legge;

b) era in uno stato d'intossicazione che le precludeva la facoltà di comprendere il carattere delittuoso o la natura del suo comportamento, o di controllarlo per renderlo conforme alle norme di legge; a meno che non si fosse volontariamente intossicata pur sapendo, come risulta dalle circostanze, che per via della sua intossicazione, essa avrebbe con ogni probabilità adottato un comportamento costituente un crimine di competenza della Corte e non abbia tenuto conto di tale probabilità;

c) essa ha agito in modo ragionevole per difendere sé stessa, per difendere un'altra persona o, in caso di crimini di guerra, per difendere beni essenziali alla propria sopravvivenza o a quella di terzi, o essenziali per l'adempimento di una missione militare contro un ricorso imminente ed illecito alla forza, proporzionalmente all'ampiezza del pericolo da essa incorsa o dall'altra persona o dai beni protetti. Il fatto che la persona abbia partecipato ad un'operazione difensiva svolta da forze armate non costituisce di per sé motivo di esonero dalla responsabilità penale a titolo del presente capoverso;

d) il comportamento qualificato come sottoposto alla giurisdizione della Corte è stato adottato sotto una coercizione risultante da una minaccia di morte imminente o da un grave pericolo continuo o imminente per l'integrità di tale persona o di un'altra persona e la persona ha agito spinta dal bisogno ed in modo ragionevole per allontanare tale minaccia, a patto che non abbia inteso causare un danno maggiore di quello che cercava di evitare. Tale minaccia può essere stata:

i) sia esercitata da altre persone, o

ii) costituita da altre circostanze indipendenti dalla sua volontà.

2. La Corte si pronuncia sul fatto di sapere se i motivi, di esclusione dalla responsabilità penale previsti nel presente Statuto sono applicabili al caso di cui è investita.

3. Durante il processo la Corte può tenere conto di un motivo di esonero diverso da quelli previsti al paragrafo 1, se tale motivo discende dal diritto applicabile enunciato all'articolo 21. Le procedure di esame di tale motivo di esclusione sono previste nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

 

Articolo 32

Errore di fatto o di diritto.

1. Un errore di fatto è motivo di esclusione dalla responsabilità penale solo se annulla l'elemento psicologico del reato.

2. Un errore di diritto concernente la questione di sapere se un determinato tipo di comportamento costituisce un reato passibile della giurisdizione della Corte non è motivo di esclusione dalla responsabilità penale. Tuttavia, un errore di diritto può essere motivo di esclusione dalla responsabilità penale quando annulla l'elemento psicologico del reato, o sulla base di quanto preveduto dall'articolo 33.

 

Articolo 33

Ordini del superiore gerarchico e ordine di legge.

1. Il fatto che un reato passibile di giurisdizione della Corte sia stato commesso da una persona in esecuzione di un ordine di un governo o di un superiore militare o civile non esonera tale persona dalla sua responsabilità penale, salvo se:

a) la persona aveva l'obbligo legale di ubbidire agli ordini del governo o del superiore in questione;

b) la persona non sapeva che l'ordine era illegale;

c) l'ordine non era manifestamente illegale.

2. Ai fini del presente articolo, gli ordini di commettere un genocidio o crimini contro l'umanità sono manifestamente illegali.

 

Capitolo IV. Composizione ed amministrazione della Corte

 

Articolo 34

Organi della Corte.

Gli organi della Corte sono i seguenti:

a) Presidenza;

b) Sezione degli appelli, Sezioni di primo grado e Sezione preliminare;

c) Ufficio del Procuratore;

d) Cancelleria.

 

Articolo 35

Esercizio delle funzioni da parte dei giudici.

1. Tutti i giudici sono eletti come membri a tempo pieno della Corte e sono disponibili per esercitare le loro funzioni a tempo pieno non appena ha inizio il loro mandato.

2. I giudici che compongono la Presidenza esercitano le loro funzioni a tempo pieno dal momento in cui sono eletti.

3. La Presidenza può, in funzione del carico di lavoro della Corte ed in consultazione con gli altri giudici decidere periodicamente in che misura questi ultimi sono tenuti ad esercitare le loro funzioni a tempo pieno. Le decisioni adottate a tale riguardo non pregiudicano le disposizioni dell'articolo 40.

4. Le intese finanziarie concernenti i giudici che non sono tenuti ad esercitare le loro funzioni a tempo pieno sono stabilite secondo l'articolo 49.

 

Articolo 36

Qualificazioni, candidatura ed elezione dei giudici.

1. Subordinatamente alle disposizioni del paragrafo 2, la Corte si compone di 18 giudici.

2. a) La Presidenza, agente in nome della Corte, può proporre di aumentare il numero dei giudici fissato al paragrafo 1, motivando debitamente la sua proposta. Questa è comunicata senza indugio a tutte le parti dall'ufficio di Cancelleria;

 

b) successivamente la proposta è esaminata in una riunione dell'Assemblea degli Stati parti, convocata conformemente all'articolo 112. Essa è considerata adottata se è approvata in questa riunione a maggioranza di due terzi dei membri dell'Assemblea degli Stati Parte. Essa entra in vigore alla data stabilita dall'Assemblea degli Stati parti;

c) i) quando una proposta di aumentare il numero dei giudici è stata adottata secondo il capoverso b), l'elezione dei giudici supplementari avviene alla successiva riunione dell'Assemblea degli Stati parti secondo i paragrafi 3 a 8 e all'articolo 37, paragrafo 2;

ii) quando una proposta di aumentare il numero dei giudici è stata adottata ed è divenuta effettiva secondo i capoversi b) e c) sotto-capoverso i), la Presidenza può proporre in qualsiasi momento in seguito, qualora il carico di lavoro della Corte lo giustifichi, di ridurre il numero dei giudici purché tale numero non scenda al di sotto di quello stabilito al paragrafo 1. La proposta è esaminata secondo la procedura stabilita ai capoversi a) e b). Se è adottata, il numero dei giudici diminuisce gradualmente mano a mano che il mandato dei giudici in esercizio giunge a scadenza, fino a quando non venga raggiunto il numero richiesto.

3. a) i giudici sono selezionati fra persone che godono di un'elevata considerazione morale, conosciute per la loro imparzialità ed integrità e che presentano tutti i requisiti richiesti nei loro rispettivi Stati per l'esercizio delle massime cariche giudiziarie;

b) ogni candidato ad un seggio alla Corte deve:

i) avere una competenza riconosciuta in diritto e procedura penale, nonché la necessaria esperienza di processo penale, sia in qualità di giudice, di procuratore, di avvocato o in ogni altra qualità analoga; oppure

ii) avere una competenza riconosciuta in settori pertinenti del diritto internazionale, come il diritto internazionale umanitario ed i diritti dell'uomo, nonché una vasta esperienza in una professione giuridica particolarmente significativa ai fini dell'attività giudiziaria della Corte;

c) ogni candidato ad un seggio alla Corte deve avere un'ottima conoscenza ed una pratica corrente di almeno una delle lingue di lavoro della Corte.

4. a) i candidati ad un seggio alla Corte possono essere presentati da ogni Stato Parte al presente Statuto:

i) secondo la procedura di presentazione di candidature alle massime cariche giudiziarie nello Stato in questione; oppure

ii) secondo la procedura di presentazione di candidature alla Corte Internazionale di Giustizia prevista nello Statuto di quest'ultima.

Le candidature sono accompagnate da una dichiarazione dettagliata che dimostra che il candidato presenta i requisiti previsti al paragrafo 3;

b) ciascuno Stato parte può presentare la candidatura di una persona per una determinata elezione. Tale persona non deve necessariamente averne la nazionalità, ma in ogni caso deve essere in possesso di quella di uno Stato Parte;

c) l'Assemblea degli Stati parti può decidere di costituire, come opportuno, una commissione consultiva per l'esame delle candidature. La composizione ed il mandato di tale Commissione sono definite dall'Assemblea degli Stati parti.

5. Ai fini dell'elezione, vengono predisposte due liste di candidati:

La lista A, contenente i nomi dei candidati in possesso dei requisiti di cui al paragrafo 3, capoverso b), sotto-capoverso i).

La lista B, contenente i nomi dei candidati in possesso dei requisiti di cui al paragrafo 3, capoverso b), sotto-capoverso ii).

Ogni candidato in possesso delle competenze richieste per figurare sulle due liste può scegliere quella su cui presentarsi. alla prima elezione, almeno nove giudici saranno eletti fra i candidati della lista A ed almeno cinque giudici fra quelli della lista B. Le elezioni successive saranno organizzate in modo da mantenere una proporzione analoga fra i giudici qualificati eletti fra i candidati delle due liste.

6. a) I giudici sono eletti a scrutinio segreto in una riunione dell'Assemblea degli Stati parti convocata a tal fine in forza dell'articolo 112. Subordinatamente al paragrafo 7 sono eletti i 18 candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voto e la maggioranza di due terzi degli Stati parti presenti e votanti;

b) se rimangono seggi da destinare alla fine del primo turno di scrutinio si procederà a scrutini ulteriori secondo la procedura stabilita al capoverso a) fino a quando i rimanenti seggi siano stati ricoperti.

7. La Corte non può annoverare più di un cittadino dello stesso Stato. A tale riguardo una persona che può essere considerata come cittadina di più di uno Stato sarà considerata cittadino dello Stato in cui esercita abitualmente i suoi diritti civili e politici.

8. a) Nella scelta dei giudici gli Stati parti tengono conto della necessità di assicurare nella composizione della Corte:

i) la rappresentanza dei principali ordinamenti giuridici del mondo;

ii) un'equa rappresentanza geografica;

iii) un'equa rappresentanza di uomini e donne;

b) gli Stati Parti tengono altresì conto del bisogno di assicurare la presenza di giudici specializzati in talune questioni, in modo particolare per le questioni relative alla violenza contro donne o bambini.

9. a) Subordinatamente al capoverso b), i giudici sono eletti per un mandato di nove anni e, fatto salvo il capoverso c) e l'articolo 37, paragrafo 2, essi non sono rieleggibili;

b) nella prima elezione, un terzo dei giudici eletti designati mediante sorteggio, sono nominati per un mandato di tre anni; un terzo dei giudici eletti designati mediante sorteggio sono nominati per un mandato di sei anni; gli altri giudici sono nominati per un mandato di nove anni;

c) un giudice nominato per un mandato di tre anni in applicazione del sotto-paragrafo b) è rieleggibile per un mandato completo.

10. Nonostante le disposizioni del paragrafo 9, un giudice applicato alla Camera di primo grado o alla Camera d'Appello secondo l'articolo 39, che ha iniziato dinanzi a questa Sezione la trattazione di una causa di primo grado o d'appello rimane in funzione fino a quando la causa non è risolta.

 

 Articolo 37

Seggi vacanti.

1. I seggi divenuti vacanti sono ricoperti mediante elezione in conformità all'articolo 36.

2. Un giudice eletto ad un seggio divenuto vacante completa il mandato del suo predecessore; se la durata del mandato da portare a termine è inferiore o pari a tre anni, egli è rieleggibile per un intero mandato secondo l'articolo 36.

 

 Articolo 38

Presidenza.

1. Il Presidente ed il Primo e Secondo vicepresidente sono eletti a maggioranza assoluta dei giudici. Essi sono eletti per tre anni o fino alla scadenza del loro mandato di giudice se quest'ultimo termina prima di tre anni. Sono rieleggibili una sola volta.

2. Il Primo Vicepresidente sostituisce il Presidente quando quest'ultimo è impedito o ricusato. Il secondo Vicepresidente sostituisce il Presidente quando quest'ultimo ed il Primo Vicepresidente sono entrambi impediti o ricusati.

3. Il Presidente, il primo Vicepresidente ed il Secondo Vicepresidente compongono la Presidenza la quale è incaricata:

a) di una corretta amministrazione della Corte, ad eccezione dell'ufficio del Procuratore;

e

b) delle altre funzioni conferitele secondo il presente Statuto.

4. Nell'esercizio delle competenze di cui al paragrafo 3, capoverso a), la Presidenza agisce di comune accordo con il Procuratore, al quale chiede il suo consenso per tutte le questioni d'interesse comune.

 

Articolo 39

Sezioni.

1. Il prima possibile dopo l'elezione dei giudici, la Corte si organizza in sezioni come previsto dall'articolo 34, paragrafo b). La Sezione degli appelli è composta dal Presidente e da altri quattro giudici; la Sezione di primo grado e la Sezione preliminare sono ciascuna composte da almeno sei giudici. L'applicazione dei giudici alle Sezioni è fondata sulla natura delle funzioni attribuite a ciascuna di esse e sulle competenze ed esperienza dei giudici eletti alla Corte, in modo tale che ciascuna sezione includa in misura adeguata membri con competenze specializzate in diritto e procedura penale, ed in diritto internazionale. La Sezione preliminare e la Sezione di primo grado sono compose in prevalenza da giudici aventi esperienza in materia di procedimenti penali.

2. a) Le funzioni giudiziarie della Corte sono esercitate in ciascuna sezione dalle Camere;

b) i) la Camera di appello è composta da tutti i giudici della Sezione degli appelli;

ii) le funzioni della Camera di primo grado sono esercitate da tre giudici della sezione di primo grado;

iii) le funzioni della Camera preliminare sono esercitate sia da tre giudici della Sezione prrliminare sia da un solo giudice di tale Sezione secondo le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove;

c) nessuna disposizione del presente paragrafo vieta la costituzione concomitante di più di una camera di primo grado o camera preliminare quando il carico di lavoro della Corte lo esiga.

3. a) I giudici applicati alla Sezione preliminare ed alla Sezione di primo grado vi siedono per tre anni; essi continuano a sedervi oltre questo termine fino ala soluzione di qualsiasi caso da essi trattato in tali sezioni;

b) i giudici applicati alla Sezione degli appelli vi siedono per tutta la durata del loro mandato.

4. I giudici applicati alla Sezione degli appelli siedono esclusivamente in questa Sezione. Tuttavia, nessuna disposizione del presente articolo vieta l'applicazione provvisoria di giudici della Sezione di primo grado alla Sezione preliminare o viceversa, se la Presidenza ritiene che ciò è necessario in considerazione del carico di lavoro della Corte, rimanendo inteso che un giudice che ha partecipato alla fase preliminare di una questione non è in alcun caso autorizzato a sedere nella Camera di primo grado investita della stessa questione.

 Articolo 40

Indipendenza dei giudici.

1. I giudici esercitano le loro funzioni in completa indipendenza.

2. I giudici non esercitano alcuna attività che potrebbe essere incompatibile con le loro funzioni giudiziarie o far dubitare della loro indipendenza.

3. I giudici tenuti ad esercitare le loro funzioni a tempo pieno preso la sede della Corte non devono esercitare alcuna altra attività di carattere professionale.

4. Ogni questione che potrebbe sorgere a proposito dei paragrafi 2 e 3 è decisa a maggioranza assoluta dei giudici. Quando una questione concerne un giudice, tale giudice non parteciperà all'adozione della decisione.

 

Articolo 41

Esonero e ricusazione dei giudici.

1. La Presidenza può esonerare un giudice, a sua richiesta, dalle funzioni che gli sono attribuite in forza del presente Statuto secondo il Regolamento di procedura e di prova.

2. a) Un giudice non può partecipare alla soluzione di qualsiasi causa in cui la sua imparzialità potrebbe ragionevolmente essere messa in dubbio per qualsivoglia ragione. Un giudice può essere ricusato per un determinato caso, secondo il presente paragrafo, in modo particolare se è già intervenuto in precedenza, a qualsiasi titolo, nella stessa questione dinanzi alla Corte o in una causa penale connessa, a livello nazionale, in cui la persona che è ora oggetto di inchiesta o di azione giudiziaria era implicata. Un giudice può altresì essere ricusato per altri motivi previsti dal Regolamento di procedura e di prova;

b) il procuratore o la persona oggetto di un'inchiesta o di azioni giudiziarie può chiedere la ricusazione di un giudice in forza del presente paragrafo;

c) ogni questione relativa alla ricusazione di un giudice è decisa a maggioranza assoluta dei giudici. Il giudice di cui si domanda la ricusazione, può presentare le sue osservazioni in merito, ma non partecipa alla decisione.

 

Articolo 42

Ufficio del Procuratore.

1. L'Ufficio del Procuratore opera indipendentemente in quanto organo distinto nell'ambito della Corte. Esso è incaricato di ricevere le comunicazioni ed ogni informazione debitamente valutata relativa ai reati di competenza della Corte, di esaminarle, di condurre le inchieste e di sostenere l'accusa dinanzi alla Corte. I membri di questo Ufficio non sollecitano né agiscono su istruzioni provenienti da fonti esterne.

2. L'Ufficio è diretto dal Procuratore. Quest'ultimo ha piena autorità per quanto concerne la gestione amministrativa dell'Ufficio ivi compreso il personale, le installazioni ed altre risorse. Il Procuratore è assistito da uno o più vice-procuratori, abilitati ad effettuare tutti gli atti richiesti dal Procuratore secondo il presente Statuto. Il procuratore ed i vice-procuratori sono di nazionalità diverse. Essi esercitano le loro funzioni a tempo pieno.

3. Il procuratore ed i vice-procuratori devono godere di un'elevata considerazione morale ed avere solide competenze ed una vasta esperienza pratica in materia di azioni giudiziarie o di processi in affari penali. Essi debbono avere un'ottima conoscenza e pratica corrente di almeno una delle lingue di lavoro della Corte.

4. Il Procuratore è eletto a scrutinio segreto dall'Assemblea degli Stati parti ed a maggioranza assoluta dei suoi membri. I Vice-Procuratori sono eletti allo stesso modo da una lista di candidati presentata dal Procuratore. Il Procuratore presenta tre candidati per ciascun incarico di Vice-procuratore da ricoprire. Salvo se viene deciso un mandato più breve, al momento della loro elezione il Procuratore ed i Vice-Procuratori esercitano le loro funzioni per nove anni e non sono rieleggibili.

5. Né il Procuratore né i Vice-Procuratori esercitano attività che rischiano di essere incompatibili con le loro funzioni in materia di azioni giudiziarie o di far dubitare della loro indipendenza. Essi non esercitano alcuna altra attività di carattere professionale.

6. La Presidenza può esonerare il Procuratore o un Vice-Procuratore, a sua richiesta, dalle sue funzioni in un determinato caso.

7. Né il Procuratore né i Vice-Procuratori possono partecipare alla soluzione di una questione in cui la loro imparzialità potrebbe ragionevolmente essere contestata per un motivo qualsiasi. Essi possono essere ricusati nell'ambito di una causa, secondo il presente paragrafo, se in precedenza erano già intervenuti a qualsiasi titolo in tale causa dinanzi alla Corte o in una causa penale connessa a livello nazionale, nella quale la persona oggetto d'inchiesta o di azioni giudiziarie era implicata.

8. Ogni questione relativa alla ricusazione del Procuratore o di un Vice-procuratore è decisa dalla Camera di appello:

a) la persona oggetto di un'inchiesta o di azioni giudiziarie può in qualsiasi momento chiedere la ricusazione del Procuratore o di un Vice-Procuratore per i motivi enunciati nel presente articolo;

b) il Procuratore o il Vice-procuratore interessato, a seconda dei casi può presentare le sue osservazioni in merito.

9. Il Procuratore nomina consiglieri che sono specialisti in diritto per talune questioni, in modo particolare violenze sessuali, violenze per motivazioni sessiste e violenze contro bambini.

 Articolo 43

Ufficio di Cancelleria.

1. L'Ufficio di Cancelleria è responsabile degli aspetti non giudiziari dell'amministrazione e dei servizi della Corte, fatte salve le funzioni e le competenze del Procuratore definite all'articolo 42.

2. L'Ufficio di Cancelleria è diretto dal Cancelliere che è il principale funzionario amministrativo della Corte. Il Cancelliere esercita le sue funzioni sotto l'autorità del Presidente della Corte.

3. Il Cancelliere ed il Vice-Cancelliere devono essere persone di comprovata moralità e di vasta competenza, con un'ottima conoscenza ed una pratica corrente di almeno una delle lingue di lavoro della Corte.

4. I giudici eleggono il Cancelliere a maggioranza assoluta e a scrutinio segreto, in considerazione di eventuali raccomandazioni dell'Assemblea degli Stati parti. Ove necessario, essi eleggono allo stesso modo un Vice-cancelliere su raccomandazione del Cancelliere.

5. Il Cancelliere è eletto per cinque anni, è rieleggibile una volta ed esercita le sue funzioni a tempo pieno. Il Vice-Cancelliere è eletto per cinque anni o per un mandato più breve, secondo quanto può essere deciso a maggioranza assoluta dei giudici; esso è chiamato ad esercitare le sue funzioni secondo le esigenze del servizio.

6. Il Cancelliere istituisce nell'ambito dell'Ufficio di cancelleria, una divisione di assistenza per le vittime ed i testimoni. Tale Divisione è incaricata, in consultazione con l'ufficio del procuratore, di consigliare e di aiutare in ogni altro modo appropriato i testimoni le vittime che compaiono dinanzi alla Corte e le altre persone che potrebbero essere messe in pericolo dalle deposizioni di tali testimoni, nonché di prevedere le misure e disposizioni da prendere per garantire la loro protezione e sicurezza. Il personale della Divisione include specialisti dell'aiuto alle vittime di traumi, in modo particolare traumi susseguenti a violenze sessuali.

 

Articolo 44

Il personale.

1. Il procuratore ed il Cancelliere nominato il personale qualificato necessario nei loro rispettivi servizi compresi, per quanto riguarda il Procuratore, gli inquirenti.

2. Nel reclutare il personale, il Procuratore ed il Cancelliere, provvedono ad assicurarsi i servizi di persone presentando al più alto grado competenza, integrità ed efficienza, tenuto conto, mutatis mutandis, dei criteri enunciati all'articolo 36, paragrafo 8.

3. Il Cancelliere, di comune accordo con la Presidenza ed il Procuratore, propone lo Statuto del personale con le norme per la nomina, la remunerazione e la cessazione dalle funzioni. Lo Statuto del personale è approvato dall'Assemblea degli Stati parti.

4. La Corte può, in circostanze eccezionali, impiegare del personale messo gratuitamente a disposizione da Stati parti, organizzazioni intergovernative o organizzazioni non governative, per aiutare qualsiasi organo della Corte nei suoi lavori. Il Procuratore può accettare questa offerta per quanto riguarda l'Ufficio del Procuratore. Tali persone messe gratuitamente a disposizione sono impiegate in conformità alle direttive che saranno stabilite dall'Assemblea degli Stati parti.

 

Articolo 45

Impegnosolenne.

Prima di entrare in funzione secondo il presente Statuto, i giudici, il procuratore i Vice-Procuratori, il Cancelliere ed il Vice-Cancelliere assumono, in sessione pubblica, l'impegno solenne di esercitare le loro competenze incompleta imparzialità e coscienza.

 

 Articolo 46

Perdita di funzioni.

1. Un giudice, il Procuratore, un Vice-Procuratore il Cancelliere o il Vice Cancelliere è sollevato dalle sue funzioni in base ad una decisione adottata secondo il paragrafo 2, nei casi in cui:

a) venga accertato che ha commesso un errore grave o un'inadempienza grave ai doveri che gli sono imposti dal presente Statuto come previsto nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, oppure

b) lo stesso si trova nell'incapacità di esercitare le sue funzioni come definite dal presente Statuto.

2. La decisione relativa alla perdita di funzioni di un giudice, del Procuratore, di un vice-procuratore in applicazione del paragrafo 1 è adottata dall'Assemblea degli Stati parti a scrutinio segreto:

a) nel caso di un giudice, a maggioranza di due terzi degli Stati parti su raccomandazione adottata a maggioranza di due terzi degli altri giudici;

b) nel caso del Procuratore, a maggioranza assoluta degli Stati parti;

c) nel caso di un Vice-procuratore, a maggioranza assoluta degli Stati parti su raccomandazione del procuratore;

3. La decisione relativa alla perdita di funzione del Cancelliere o del Vice-Cancelliere è adottata a maggioranza assoluta dei giudici.

4. Un giudice, un Procuratore, un Vice-procuratore, un Cancelliere o vice-Cancelliere il cui comportamento o attitudine ad esercitare le funzioni previste dal presente Statuto sono contestati in forza del presente articolo ha ogni facoltà di produrre e ricevere elementi di prova e di far valere i suoi argomenti secondo il Regolamento di procedura e di prova. Non è prevista in altro modo la sua partecipazione all'esame della questione.

 

Articolo 47

Misure disciplinari.

Un giudice, un Procuratore, un Vice-procuratore, un Cancelliere o un Vice-Cancelliere che abbia commesso una colpa di gravità minore di quella menzionata all'articolo 46, paragrafo 1, è oggetto di misure disciplinari secondo le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

 

Articolo 48

Privilegi ed immunità.

1. La Corte gode suo territorio di ciascuno Stato Parte dei privilegi e delle immunità necessari per l'adempimento del suo mandato.

2. I giudici, il Procuratore, i Vice-procuratori ed il Cancelliere beneficiano nell'esercizio delle loro funzioni e relativamente a tali funzioni dei privilegi ed immunità concessi ai capi delle missioni diplomatiche. Dopo la scadenza del loro mandato essi continuano a beneficiare dell'immunità da qualsiasi giurisdizione per parole, scritti ed atti inerenti all'esercizio delle loro funzioni ufficiali.

3. Il vice-Cancelliere, il personale dell'ufficio del Procuratore ed il personale dell'Ufficio di Cancelleria godono dei privilegi, immunità ed agevolazioni necessarie per l'esercizio delle loro funzioni in conformità all'accordo sui privilegi e le immunità della Corte.

4. Gli avvocati, esperti, testimoni o altre persone la cui presenza è richiesta presso la sede della Corte beneficiano del trattamento necessario per il buon funzionamento della Corte secondo l'accordo sui privilegi e le immunità della Corte.

5. I privilegi e le immunità possono essere aboliti:

a) nel caso di un giudice o di un Procuratore, mediante decisione presa a maggioranza assoluta dei giudici;

b) nel caso del Cancelliere, dalla Presidenza;

c) nel caso dei Vice-Procuratori e del personale dell'Ufficio del Procuratore, dal Procuratore;

d) nel caso del Vice-Cancelliere e del personale dell'Ufficio di Cancelleria, dal Cancelliere (3).

 

____________

(3)  Vedi, anche, l'Accordo sui privilegi e le immunità della Corte penale internazionale ratificato con L. 6 marzo 2006, n. 130.

 

 Articolo 49

Retribuzioni, indennità e rimborso spese.

I giudici, il Procuratore, i Vice-Procuratori, il Cancelliere ed il Vice-Cancelliere percepiscono le retribuzioni, indennità e rimborsi stabilite dall'Assemblea degli Stati Parti. Tali retribuzioni ed indennità non saranno ridotte nel corso del mandato.

 

 Articolo 50

Lingue ufficiali e lingue di lavoro.

1. Le lingue ufficiali della Corte sono l'inglese, l'arabo, il cinese, il spagnolo, il francese ed il russo. Le decisioni della Corte nonché altre decisioni che risolvono questioni fondamentali sottoposte alla Corte sono pubblicate nelle lingue ufficiali. La Presidenza determina, secondo i criteri stabiliti dal Regolamento di procedura e di prova, quali decisioni possono essere considerate ai fini del presente paragrafo come risolutive di questioni fondamentali.

2. Le lingue di lavoro della Corte sono l'inglese ed il francese. Il Regolamento di procedura e di prova definisce i casi in cui altre lingue ufficiali possono essere utilizzate come lingue di lavoro.

3. Su richiesta di ogni parte ad una procedura, o di ogni Stato autorizzato ad intervenire in una procedura la Corte autorizza l'impiego, per tale parte o Stato, di una lingua diversa dall'inglese o dal francese qualora lo ritenga giustificato.

 

Articolo 51

Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

1. Le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove entrano in vigore al momento della loro adozione da parte dell'Assemblea di Stati Parti a maggioranza di due terzi dei suoi membri.

2. Possono essere proposti emendamenti alle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove da parte di:

a) ogni Stato Parte;

b) i giudici agenti a maggioranza assoluta;

c) il Procuratore.

Tali emendamenti entrano in vigore al momento della loro adozione a maggioranza di due terzi dei membri dell'Assemblea degli Stati parti.

3. Dopo l'adozione delle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, nei casi di emergenza in cui una determinata situazione sottoposta alla Corte non è prevista da dette Regole i giudici possono a maggioranza di due terzi stabilire regole provvisorie che si applicheranno fino a quando l'Assemblea degli Stati parti nella sua riunione ordinaria o straordinaria successiva non le adotti, le modifichi o le respinga.

4. Le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, le relative modifiche e le regole provvisorie sono conformi alle norme del presente Statuto. Gli emendamenti alle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, nonché le regole provvisorie non si applicano retroattivamente a scapito della persona oggetto di un'inchiesta di azioni giudiziarie o di condanna.

5. In caso di conflitto fra lo Statuto ed il regolamento di procedura e di prova, prevale lo Statuto.

 

Articolo 52

Regolamento della Corte.

1. I giudici adottano a maggioranza assoluta, secondo il presente Statuto ed il Regolamento di procedura e di prova, il Regolamento della Corte necessario per garantire il funzionamento quotidiano della stessa. Questo regolamento deve essere compatibile con lo Statuto e con le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

2. Il Procuratore ed il Cancelliere sono consultati per l'elaborazione del Regolamento della Corte e di ogni emendamento relativo.

3. Il Regolamento della Corte ed ogni emendamento relativo acquisiscono effetto sin dal momento della loro adozione, a meno che i giudici non decidano diversamente. Immediatamente dopo essere stati adottati, essi saranno comunicati agli Stati Parti, per osservazioni. Essi rimangono in vigore se la maggioranza degli Stati Parti non formula obiezioni al riguardo entro sei mesi.

 

Capitolo V - Indagini ed esercizio dell'azione penale

 

Articolo 53

Apertura di un'indagine.

1. Il Procuratore, dopo aver valutato le informazioni sottoposte alla sua conoscenza, apre un'inchiesta a meno che non determini la mancanza di un ragionevole fondamento per un'azione giudiziaria in forza del presente Statuto. Per decidere di aprire un'inchiesta, il Procuratore esamina:

a) se le informazioni in suo possesso lasciano supporre che un reato di competenza della Corte è stato o sta per essere commesso;

b) se il caso è o sarebbe procedibile secondo l'articolo 17;

c) se, in considerazione della gravità del reato e degli interessi delle vittime, vi sono motivi gravi di ritenere che un'inchiesta non favorirebbe gli interessi della giustizia.

Se determina che non vi sono motivi gravi per un'azione giudiziaria e che la sua determinazione è unicamente fondata sul capoverso c), il Procuratore ne informa la Camera preliminare.

2. Se, successivamente all'inchiesta, il Procuratore conclude che non vi sono motivi sufficienti per intentare un'azione giudiziaria:

a) in quanto manca una base sufficiente di fatto o di diritto per chiedere un mandato d'arresto o una citazione di comparizione in applicazione dell'articolo 58;

b) in quanto il caso è improcedibile in forza dell'articolo 17; oppure

c) in quanto un'azione giudiziaria non sarebbe nell'interesse della giustizia in considerazione di tutte le circostanze, ivi compresa la gravità del reato, gli interessi delle vittime, l'età o la deficienza del presunto autore ed il suo ruolo nel reato allegato, egli informa della sua conclusione e delle ragioni che l'hanno motivata la Camera preliminare e lo Stato ce ha adito secondo l'articolo 14, oppure il Consiglio di sicurezza in un caso di cui all'articolo 13, paragrafo b).

3. a) Su richiesta dello Stato che l'ha adita secondo l'articolo 14 (o del consiglio di sicurezza se si tratta di un caso di cui all'articolo 13, paragrafo b) la Camera preliminare può prendere in esame la decisione di non intentare un'azione giudiziaria adottata dal Procuratore in attuazione dei paragrafi 1 e 2, e chiedere al procuratore di riconsiderarla;

b) inoltre la Camera preliminare può, di sua iniziativa, esaminare la decisione del Procuratore di non intentare un'azione giudiziaria qualora tale decisione sia esclusivamente fondata sulle considerazioni di cui al paragrafo 1, capoverso c) e al paragrafo 2, capoverso c). In tal caso, la decisione del Procuratore ha effetto solo se convalidata dalla Camera di primo grado.

4. Il Procuratore può in ogni momento riconsiderare la sua decisione di aprire o meno un'inchiesta o d'intentare o meno un'azione giudiziaria sulla base di nuovi fatti o informazioni.

 

Articolo 54

Doveri e poteri del Procuratore in materia d'inchieste.

1. Il Procuratore:

a) per determinare la verità, estende l'inchiesta a tutti i fatti ed elementi probatori eventualmente utili per determinare se vi è responsabilità penale secondo il presente Statuto, e, ciò facendo indaga sia a carico che a discarico;

b) adotta le misure atte a garantire l'efficacia delle inchieste e delle azioni giudiziarie vertenti su reati di competenza della Corte, tenendo conto degli interessi e della situazione personale delle vittime e dei testimoni, ivi compreso la loro età, sesso e stato di salute, nonché della natura del reato, in modo particolare se quest'ultimo comporta violenze sessuali, violenze con motivazione sessista quali definite all'articolo 7 par. 3 o violenze commesse contro bambini;

c) rispetta pienamente i diritti delle persone enunciate nel presente Statuto.

2. Il Procuratore può effettuare inchieste sul territorio di uno Stato:

a) in conformità alle disposizioni del capitolo IX; oppure

b) con l'autorizzazione della Camera preliminare in forza dell'articolo 57, paragrafo 3, capoverso d).

3. Il Procuratore può:

a) raccogliere ed esaminare elementi probatori;

b) convocare ed interrogare persone indagate, vittime e testimoni;

c) chiedere la cooperazione di qualsiasi Stato o organizzazione, o organo governativo in conformità alle loro competenze o al loro rispettivo mandato;

d) concludere ogni intesa o accordo che non sia contrario alle disposizioni del presente Statuto e che può essere necessario per facilitare la cooperazione di uno Stato, di un'organizzazione intergovernativa o di una persona;

e) impegnarsi a non divulgare, in nessuna fase della procedura, i documenti o informazioni che il Procuratore ha ottenuto in via confidenziale al solo scopo di ottenere nuovi elementi di prova, a meno che l'informatore non consenta alla loro divulgazione; e

f) prendere o chiedere che siano prese misure atte a garantire la confidenzialità delle informazioni raccolte, la protezione delle persone o la preservazione degli elementi probatori.

 

Articolo 55

Diritti delle persone durante l'indagine.

1. Nell'ambito di un'inchiesta aperta in applicazione del presente Statuto una persona:

a) non è obbligata a testimoniare contro di sé, né a dichiararsi colpevole;

b) non è sottoposta ad alcuna forma di coercizione, costrizione o minaccia né a tortura o altra forma di pena o di trattamento crudele, inumano o degradante;

c) beneficia a titolo gratuito, se non è interrogata in una lingua che comprende e parla senza difficoltà, dell'assistenza di un'interprete competente e di tutte le traduzioni rese necessarie da esigenze di equità; e

d) non può essere arrestata o detenuta arbitrariamente, non può essere privata di libertà se non per i motivi previsti e secondo le procedure stabilite nel presente Statuto.

2. Qualora vi sia motivo di ritenere che una persona abbia commesso un reato sottoposto alla giurisdizione della Corte e che questa persona deve essere interrogata sia dal Procuratore sia dalle autorità nazionali in forza di una domanda fatta in applicazione delle disposizioni del capitolo IX del presente Statuto, questa persona ha inoltre i seguenti diritti, di cui è informata prima di essere interrogata:

a) essere informata, prima di essere interrogata, che vi è motivo di ritenere che essa ha commesso un reato rientrante nella giurisdizione della Corte;

b) rimanere in silenzio, senza che di questo silenzio si tenga conto per determinare la sua colpevolezza o innocenza;

c) essere assistita da un difensore di sua scelta oppure, se ne è sprovvista, da un difensore assegnato d'ufficio ogni qualvolta gli interessi della giustizia lo esigano, senza dovere in questo caso pagare una retribuzione qualora non ne abbia i mezzi;

d) essere interrogata in presenza del suo avvocato, a meno che non abbia rinunciato al suo diritto ad essere assistita da un avvocato.

 

Articolo 56

Ruolo della Camera preliminare in relazione ad un'opportunità d'indagine irripetibile.

1.a) Se il Procuratore considera che un'inchiesta costituisce un'occasione unica, che non si presenterà più in seguito, di raccogliere una testimonianza o una deposizione, o di esaminare, raccogliere o verificare elementi probatori ai fini di un processo, egli ne avvisa la Camera preliminare;

b) la Camera preliminare può in tal caso, su richiesta del Procuratore, prendere tutte le misure necessarie per garantire l'efficacia e l'integrità della procedura ed in modo particolare proteggere i diritti della difesa;

c) salvo diversa ordinanza della Camera preliminare, il Procuratore fornirà le informazioni del caso alla persona che è stata arrestata o che è comparsa in base ad una citazione rilasciata nell'ambito dell'inchiesta di cui al capoverso a), affinché tale persona possa essere ascoltata sulla questione.

2. Le misure di cui al paragrafo 1, capoverso b) possono consistere nel:

a) effettuare raccomandazioni o promulgare ordinanze relative alla conduzione della procedura;

b) ordinare che sia stilato un processo-verbale della procedura;

c) nominare un esperto;

d) autorizzare l'avvocato di una persona arrestata o comparsa davanti ala Corte in base ad una citazione, a partecipare alla procedura oppure, se l'arresto o la comparizione non hanno ancora avuto luogo o l'avvocato non è ancora stato prescelto, designare un avvocato che rappresenterà gli interessi della difesa;

e) incaricare uno dei suoi membri o se del caso uno dei giudici disponibili della Corte di formulare raccomandazioni o promulgare ordinanze a sua discrezione relativamente alla raccolta e preservazione degli elementi probatori, o agli interrogatori;

f) prendere ogni altra misura necessaria per raccogliere o preservare gli elementi di prova.

3. a) Quando il Procuratore non ha chiesto le misure di cui al presente articolo ma la Camera preliminare è d'avviso che tali misure sono necessarie per preservare elementi di prova che ritiene essenziali per la difesa nel corso del processo, essa consulta il Procuratore per sapere se quest'ultimo aveva buone ragioni per non chiedere tali misure. Se, a seguito della consultazione la Camera conclude che il fatto di non aver richiesto tali misure non è giustificato essa può prendere misure di sua iniziativa;

b) il procuratore può impugnare la decisione della Camera preliminare di agire di propria iniziativa in forza del presente paragrafo. L'appello è trattato con procedura d'urgenza.

4. L'ammissibilità degli elementi di prova preservati o raccolti ai fini del processo, in attuazione del presente articolo, o la loro registrazione, è regolata dall'articolo 69, il loro valore essendo quello attribuito alle stesse dalla Camera di primo grado.

 

Articolo 57

Funzioni e poteri della Camera preliminare.

1. A meno che il presente Statuto non disponga diversamente, la Camera preliminare esercita le sue funzioni secondo le disposizioni del presente articolo.

2. a) Le decisioni rese dalla Camera preliminare in forza degli articoli 15, 18, 19, 54 par. 2, 61 par. 7 e 72, sono prese a maggioranza dei giudici che la compongono;

b) in tutti gli altri casi, un solo giudice della Camera preliminare può esercitare le funzioni previste dal presente Statuto, salvo diversa disposizione delle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove o salvo decisione opposta della Camera preliminare presa a maggioranza.

3. Oltre alle altre funzioni che le sono conferite in forza del presente Statuto, la Camera dei giudizi preliminari può:

a) su richiesta del Procuratore, promulgare ordinanze e decretare i mandati eventualmente necessari ai fini di un'inchiesta;

b) su richiesta di una persona arrestata o comparsa in base ad una citazione secondo l'articolo 58, pronunciare ogni ordinanza comprese le misure di cui all'articolo 56 o sollecitare ogni partecipazione a titolo del capitolo IX eventualmente necessaria per aiutare la parte a predisporre la sua difesa;

c) ove necessario, garantire la protezione e la riservatezza della vittima e dei testimoni, la preservazione delle prove, la protezione delle persone arrestate o comparse a seguito di una citazione, nonché la protezione delle informazioni relative alla sicurezza nazionale;

d) autorizzare il Procuratore a prendere alcune misure in materia d'inchiesta sul territorio di uno Stato Parte senza essersi assicurato la cooperazione di questo Stato in applicazione del capitolo IX, nel caso in cui, pur tenendo conto per quanto possibile delle opinioni di questo Stato, la Camera preliminare abbia determinato, nel caso di specie, che tale Stato è manifestamente incapace di dar seguito ad una richiesta di cooperazione, nessuna autorità, o componente competente del suo ordinamento giudiziario nazionale essendo disponibile per dar seguito alla richiesta di cooperazione secondo il capitolo IX;

e) quando un mandato d'arresto o citazione di comparizione è stato rilasciato in forza dell'articolo 58, sollecitare la cooperazione degli Stati in forza dell'articolo 93, paragrafo 1 capoverso j), tenendo debitamente conto della consistenza degli elementi probatori e dei diritti delle parti interessate, come previsto nel presente Statuto e nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, per prendere misure cautelari a fini di confisca, soprattutto nell'interesse superiore delle vittime.

 

Articolo 58

Rilascio da parte della Camera preliminare di un mandato d'arresto o di un ordine di comparizione.

1. In qualsiasi momento dopo l'apertura di un'inchiesta, la Camera preliminare, su richiesta del Procuratore, emette un mandato d'arresto contro una persona se, dopo aver esaminato la richiesta e gli elementi probatori o altre informazioni fornite dal procuratore, essa è convinta:

a) che vi sono fondati motivi di ritenere che tale persona ha commesso un reato di competenza della Corte; e

b) che l'arresto di tale persona sembra necessario per garantire:

i) la comparizione della persona al processo;

ii) che la persona non ostacoli o metta a repentaglio le indagini o il procedimento dinanzi alla Corte, oppure

iii) se del caso, impedire che la persona continui in quel crimine o in un crimine connesso che ricade sotto la giurisdizione della Corte o che avviene nelle stesse circostanze.

2. La richiesta del procuratore contiene i seguenti elementi:

a) il nome della persona in questione ed ogni altro elemento d'identificazione utile;

b) un riferimento preciso al reato di competenza della Corte che si presuppone la persona abbia commesso;

c) un breve esposto dei fatti che si presume costituiscano il reato in oggetto;

d) un prospetto degli elementi di prova e di ogni altra informazione che forniscono motivi ragionevoli di ritenere che la persona ha commesso tale reato; e

e) i motivi per i quali il Procuratore giudica necessario procedere all'arresto di tale persona.

3. Il mandato d'arresto contiene i seguenti elementi:

a) il nome della persona in oggetto ed ogni altro elemento utile d'identificazione;

b) un preciso riferimento al reato di competenza della Corte che giustifica l'arresto; e

c) un breve esposto dei fatti che si presume costituiscano il reato in oggetto.

4. Il mandato d'arresto rimane in vigore fino a quando la Corte non abbia deciso diversamente.

5. Sulla base del mandato d'arresto, la Corte può chiedere la detenzione provvisoria o l'arresto e la consegna della persona secondo il capitolo IX.

6. Il procuratore può chiedere alla Camera preliminare di modificare il mandato d'arresto riqualificando i reati che vi sono menzionati o aggiungendo nuovi reati. La Camera preliminare modifica il mandato d'arresto quando ha motivi ragionevoli di ritenere che la persona ha commesso i reati riqualificati o nuovi reati.

7. Il Procuratore può chiedere alla Camera preliminare di rilasciare una citazione di comparizione in luogo di un mandato d'arresto. Se la Camera preliminare è convinta che vi sono fondati motivi di ritenere che la persona ha commesso il reato di cui è imputata, e che una citazione di comparizione è sufficiente a garantire che si presenterà dinanzi alla Corte, essa rilascia la citazione con o senza condizioni restrittive di libertà (diverse dalla detenzione) se la legislazione nazionale lo prevede. La citazione contiene i seguenti elementi:

a) il nome della persona in oggetto ed ogni altro elemento utile d'identificazione;

b) la data di comparizione;

c) un preciso riferimento al reato di competenza della Corte che si presume la persona abbia commesso;

e

d) un breve esposto dei fatti che si presume costituiscano reato.

La citazione è notificata alla persona.

 

 Articolo 59

Procedura di arresto nello Stato di detenzione preventiva.

1. Lo Stato Parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, o di arresto e di consegna prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona di cui trattasi, secondo la sua legislazione e le disposizioni del capitolo IX del presente Statuto.

2. Ogni persona arrestata è senza indugio deferita giudiziaria competente dello Stato di detenzione, che accerta, secondo la legislazione di tale Stato:

a) che il mandato concerne effettivamente tale persona;

b) che questa persona è stata arrestata secondo una procedura regolare;

c) che i suoi diritti sono stati rispettati.

3. La persona arrestata ha diritto di chiedere all'autorità competente dello Stato di detenzione preventiva la libertà provvisoria, in attesa di essere consegnata.

4. Nel pronunciarsi su questa domanda, l'autorità competente dello Stato di detenzione preventiva esamina se, in considerazione della gravità dei reati allegati, sussistano circostanze urgenti ed eccezionali tali da giustificare la libertà provvisoria e se sussistono le garanzie che permettono allo Stato di detenzione di adempiere al suo obbligo di consegnare la persona alla Corte. L'autorità competente dello Stato di detenzione non è abilitata a verificare se il mandato d'arresto è stato regolarmente rilasciato secondo i capoversi a) e b) del paragrafo 1 dell'articolo 58.

5. La Camera preliminare è informata di qualsiasi richiesta di libertà provvisoria e formula raccomandazioni all'autorità competente dello Stato di detenzione. Prima di pronunciare la sua decisione, quest'ultima tiene pienamente conto di tali raccomandazioni, comprese, se del caso, quelle vertenti sulle misure atte ad impedire l'evasione della persona.

6. Se è concessa la libertà provvisoria, la Camera preliminare può chiedere rapporti periodici sul regime di libertà provvisoria.

7. Dopo l'ordine di consegna da parte dello Stato di detenzione, la persona è al più presto consegnata alla Corte.

 

 Articolo 60

Procedura iniziale dinanzi alla Corte.

1. Non appena la persona è consegnata alla Corte o compare dinanzi ad essa volontariamente, o in base ad una citazione, la Camera dei giudizi preliminari accerta che essa sia stata informata dei reati di cui è accusata e dei diritti che le sono riconosciuti dal presente Statuto, compreso il diritto di chiedere la libertà provvisoria in attesa di essere giudicata.

2. Una persona colpita da un mandato d'arresto può chiedere la libertà provvisoria in attesa di essere giudicata. Se la Camera preliminare accerta la sussistenza delle condizioni enunciate all'articolo 58, paragrafo 1, la persona è mantenuta in detenzione. Diversamente la Camera preliminare dispone la libertà provvisoria con o senza condizioni.

3. La Camera preliminare riesamina periodicamente la sua decisione relativa alla libertà provvisoria o al mantenimento in detenzione. Essa può farlo in qualsiasi momento su richiesta del procuratore o della persona. Essa può inoltre modificare la sua decisione relativa alla detenzione, alla libertà provvisoria o alle condizioni di quest'ultima, se giudica che l'andamento della situazione lo giustifica.

4. La Camera preliminare si accerta che la detenzione prima del processo non si prolunghi in modo eccessivo a causa di un ritardo ingiustificabile imputabile al Procuratore. Se tale ritardo avviene la Corte esamina la possibilità di concedere la libertà provvisoria con o senza condizioni.

5. Se del caso la Camera preliminare emette un mandato d'arresto per garantire la comparizione di una persona posta in libertà.

 

 Articolo 61

Convalida delle accuse prima del processo.

1. Fatto salvo il paragrafo 2, entro un termine ragionevole dopo la consegna della persona alla Corte o la sua comparizione volontaria, la Camera preliminare tiene un'udienza per convalidare le accuse sulle quali il Procuratore intende basarsi per chiedere il rinvio a giudizio. L'udienza si svolge in presenza del Procuratore e della persona oggetto d'inchiesta o azione giudiziaria, nonché dell'avvocato di quest'ultima.

2. La Camera preliminare, s richiesta del Procuratore o di sua iniziativa, può tenere un'udienza in assenza della persona accusata per convalidare le accuse sulle quali il Procuratore intende basarsi per chiedere il rinvio a giudizio, allorché la persona:

a) ha rinunciato al suo diritto di essere presente; oppure

b) si è data alla fuga o è introvabile, e tutto quanto era ragionevolmente possibile fare è stato fatto per garantire la sua comparizione ed informarla delle accuse a carico contro di essa e della prossima tenuta di un'udienza per convalidare tali accuse.

In questo caso la persona è rappresentata da un avvocato se la Camera di giudizio preliminare decide che ciò è nell'interesse della giustizia.

3. In un ragionevole periodo di tempo prima dell'udienza, la persona:

a) riceve una notifica scritta delle imputazioni sulle quali il Procuratore intende basarsi per chiedere il rinvio a giudizio; e

b) è informata degli elementi probatori sui quali il Procuratore intende basarsi in udienza.

La Camera preliminare può emettere ordinanze concernenti la comunicazione di informazioni ai fini dell'udienza.

4. Prima dell'udienza, il procuratore può proseguire l'inchiesta e può modificare o ritirare talune imputazioni. La persona in questione riceve notifica di qualsiasi emendamento o ritiro delle accuse entro un ragionevole periodo di tempo prima dell'udienza. In caso di ritiro delle accuse il Procuratore informa al Camera preliminare dei motivi di tale ritiro.

5. All'udienza, il Procuratore sostiene ciascuna delle accuse con elementi probatori sufficienti a comprovare l'esistenza di motivi validi per ritenere che la persona ha commesso il reato d cui è imputata. Il Procuratore può basarsi su elementi probatori quali documenti o brevi resoconti, e non è tenuto a far comparire i testimoni che devono fornire una deposizione al processo.

6. All'udienza la persona può:

a) contestare le accuse;

b) contestare gli elementi di prova prodotti dal procuratore; e

c) presentare elementi di prova.

7. Al termine dell'udienza, la Camera preliminare determina se esistono prove sufficienti che forniscono motivi validi per ritenere che la persona ha commesso ciascuno dei reati di cui è accusata. In base alla sua determinazione, la Camera preliminare:

a) convalida le accuse per le quali ha concluso che sussistono prove sufficienti, e rinvia la persona dinanzi ad una Camera di primo grado perché vi sia giudicata sulla base delle accuse convalidate;

b) rifiuta di convalidare le accuse per le quali ha concluso che non vi sono prove sufficienti;

c) rinvia l'udienza e chiede al Procuratore di considerare:

i) di fornire elementi di prova supplementari, o di procedere a nuove inchieste relativamente ad una particolare accusa; oppure

ii) di modificare un'accusa se gli elementi probatori prodotti sembrano indicare che è stato commesso un altro tipo di reato, passibile della giurisdizione della Corte.

8. Anche se la Camera preliminare rifiuta di convalidare un'imputazione, nulla vieta al Procuratore di richiederne nuovamente la convalida, se fornisce elementi probatori supplementari a sostegno della sua domanda.

9. Dopo la convalida delle accuse e prima che il processo abbia inizio, il Procuratore può modificare le accuse con l'autorizzazione della Camera preliminare e dopo che l'imputato ne sia stato informato. Se il procuratore intende aggiungere capi d'imputazione supplementari o sostituire le accuse con altre più gravi, un'udienza dovrà essere tenuta in conformità al presente articolo per convalidare le nuove accuse. Dopo l'inizio del processo, il Procuratore può ritirare le accuse con l'autorizzazione della Camera preliminare.

10. Ogni mandato già rilasciato cessa di avere effetto per qualsiasi accusa non convalidata dalla Camera preliminare, o ritirata dal Procuratore.

11. Dopo che le accuse sono state convalidate in conformità al presente articolo, la Presidenza istituisce una Camera di primo grado la quale, subordinatamente al paragrafo 8 dell'articolo 64, s'incarica della successiva fase procedurale e può esercitare ogni funzione di competenza della Camera preliminare, che risulti appropriata nella fattispecie.

 

Capitolo VI. Il processo

Articolo 62

Luogo del processo.

Se non diversamente stabilito, il luogo del processo è la sede della Corte.

 

 Articolo 63

Processo in presenza dell'imputato.

1. L'imputato è presente nel corso del processo.

2. Qualora l'imputato, presente dinanzi alla Corte, disturbi in modo persistente lo svolgimento del processo, la Camera di primo grado può ordinare che sia espulso dall'aula dell'udienza, e decidere che segua il processo e fornisca istruzioni al suo legale dall'esterno dell'aula, se del caso usando mezzi tecnologici di comunicazione. Tali provvedimenti verranno adottati solo in circostanze eccezionali, dopo che altre alternative ragionevoli si saranno dimostrate inadeguate, e solo per la durata strettamente necessaria.

 

 Articolo 64

Funzioni e poteri della Camera di primo grado.

1. Le funzioni ed i poteri della Camera di primo grado delineate nel presente articolo saranno esercitate in conformità con il presente Statuto e con le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

2. La Camera di primo grado garantirà che il processo sia equo e celere, e che si svolga nel pieno rispetto dei diritti dell'imputato ed avendo il debito riguardo per la protezione delle vittime e dei testimoni.

3. Nel momento in cui un caso verrà sottoposto a processo in conformità del presente Statuto, la Camera di primo grado incaricata del caso:

a) conferisce con le parti e adotta le procedure necessarie a facilitare lo svolgimento equo e celere dei procedimenti;

b) decide la lingua o le lingue da usare durante il processo;

c) ferme restando tutte le altre disposizioni del presente Statuto, provvede a divulgare i documenti e le informazioni precedentemente non divulgati, con sufficiente anticipo rispetto all'inizio del processo, al fine di consentire un'adeguata preparazione dello stesso.

4. La Camera di primo grado, qualora necessario per l suo efficace ed equo funzionamento, può rinviare le questioni preliminari alla Camera preliminare, o, in caso di necessità, ad un altro giudice disponibile di quest'ultima.

5. Previa notifica alle parti, la Camera preliminare, qualora opportuno, può ordinare di unire o separare i capi d'accusa a carico di più di un imputato.

6. Nell'espletare le sue funzioni precedentemente al processo o nel corso dello stesso, la Camera di primo grado, qualora necessario, può:

a) esercitare le funzioni della Camera preliminare di cui all'Articolo 61, paragrafo 11;

b) chiedere la comparizione e la testimonianza dei testi e la produzione di documenti e di altre prove avvalendosi, ove necessario, dell'assistenza degli Stati, come previsto nel presente Statuto;

c) provvedere a proteggere le informazioni riservate;

d) ordinare che vengano prodotti elementi di prova, oltre a quelli già raccolti precedentemente al processo o presentati dalle parti durante il processo;

e) provvedere a proteggere gli imputati, i testimoni e le vittime;

f) deliberare su qualunque altra questione pertinente.

7. Il processo è pubblico. Tuttavia, la Camera di primo grado può stabilire che, in determinate circostanze, alcune udienze si svolgano a porte chiuse, ai fini indicati all'Articolo 68, ovvero per proteggere informazioni riservate o delicate che vengono fornite nelle deposizioni.

8. a) All'inizio del processo, la Camera di primo grado fa dare lettura all'imputato delle accuse convalidate in precedenza dalla Camera preliminare. La Camera di primo grado verifica che l'imputato comprenda la natura delle imputazioni e gli concede la possibilità di ammettere la propria colpevolezza, in conformità con l'Articolo 65, o di dichiararsi innocente;

b) durante il processo, il giudice che presiede può impartire istruzioni su come condurre i lavori, anche al fine di garantirne l'equo ed imparziale svolgimento. Ferme restando eventuali direttive del presidente, le parti possono presentare elementi di prova, come previsto dalle disposizioni del presente Statuto.

9. La Camera di primo grado, su richiesta di una parte o d'ufficio, ha fra l'altro, facoltà di:

a) decidere sull'ammissibilità o la rilevanza delle prove;

b) adottare tutti i provvedimenti necessari per mantenere l'ordine durante l'udienza.

10. La Camera di primo grado si assicura che vengano redatti e conservati a cura del Cancelliere i verbali integrali del processo, riflettenti in modo accurato i lavori.

 

 Articolo 65

Procedure in caso di ammissione di colpevolezza.

1. Nel caso in cui l'imputato ammetta la sua colpevolezza, in conformità con l'Articolo 64, paragrafo 8 (a), la Camera di primo grado deciderà se:

a) l'imputato comprende la natura e le conseguenze dell'ammissione di colpevolezza;

b) l'ammissione sia resa volontariamente dall'imputato dopo essersi sufficientemente consultato con il proprio difensore;

c) l'ammissione di colpevolezza sia avvalorata dagli elementi del caso, contenuti:

i) nelle accuse formulate dal Procuratore ed ammessi dall'imputato;

ii) nel materiale prodotto dal Procuratore a supporto delle accuse, ed accettato dall'imputato;

iii) in qualunque altra prova, quale le deposizioni di testimoni prodotte dal Procuratore o dall'imputato.

2. Quando la Camera di primo grado avrà verificato le questioni di cui al paragrafo 1 e considera che l'ammissione di colpevolezza, insieme con qualsiasi altra prova aggiuntiva prodotta, costituisce gli elementi costitutivi del crimine a cui si riferisce l'ammissione di colpevolezza, può riconoscere l'imputato colpevole per tale crimine.

3. Nel caso in cui la Camera di primo grado non sia convinta che sussistono le condizioni di cui al paragrafo 1, essa considera che l'ammissione di colpa non è stata resa, nel qual caso ordina che il processo continui seguendo le procedure processuali ordinarie previste dal presente Statuto e può rinviare il caso ad un'altra camera di primo grado.

4. Nel caso in cui la Camera di primo grado ritenga che, nell'interesse della giustizia, ed in particolare nell'interesse delle vittime, sia necessaria un'esposizione più completa dei fatti, la Camera di primo grado può:

a) chiedere al Procuratore di produrre ulteriori elementi di prova, comprese le deposizioni di testimoni; oppure

b) ordinare che il processo continui seguendo le procedure ordinarie previste dal presente Statuto, nel qual caso riterrà la dichiarazione di colpevolezza non avvenuta e potrà rinviare il caso ad un'altra camera di primo grado.

5. Le consultazioni fra il Procuratore e la difesa su eventuali modifiche dei capi d'accusa, sull'ammissione di colpevolezza o la pena da pronunziare non saranno vincolanti per la Corte.

 

 Articolo 66

Presunzione d'innocenza.

1. Chiunque è presunto innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia dimostrata dinanzi alla Corte, in conformità con la legislazione applicabile.

2. Al Procuratore spetta l'onere di provare la colpevolezza dell'imputato.

3. Per condannare l'imputato, la Corte deve accertare la colpevolezza dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.

 

Articolo 67

Diritti dell'imputato.

1. Nell'accertamento delle accuse, l'imputato ha diritto ad una pubblica ed equa udienza condotta in modo imparziale, tenendo conto delle disposizioni del presente Statuto e ha diritto almeno alle seguenti garanzie minime, in piena uguaglianza:

a) essere informato prontamente e dettagliatamente dei motivi e del contenuto delle accuse, in una lingua che l'imputato comprende e parla correttamente;

b) avere il tempo e le facilitazioni adeguate per preparare la sua difesa e comunicare liberamente e riservatamente con il legale di sua scelta;

c) essere giudicato senza indebito ritardo;

d) fermo restando l'Articolo 63, paragrafo 2, essere presente al processo, condurre la difesa personalmente o attraverso il suo legale di fiducia, essere informato, nel caso in cui non disponga di un difensore, del suo diritto di averne uno e, ogni qualvolta l'interesse della giustizia lo richieda, vedersi assegnate d'ufficio un difensore dalla Corte senza oneri economici se non ha i mezzi per rimunerarlo;

e) esaminare, o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la presenza e l'esame dei testimoni a discarico alle stesse condizioni di quelli a carico. L'imputato ha inoltre diritto di far valere mezzi di difesa e di presentare altri elementi di prova ammissibili ai sensi del presente Statuto;

f) avere gratuitamente l'assistenza di un interprete qualificato e delle traduzioni necessarie per soddisfare i requisiti di equità, se non è in grado di comprendere perfettamente o di parlare la lingua utilizzata in una delle udienze della Corte o in un documento presentato alla Corte;

g) non essere costretto a testimoniare contro se stesso o a confessare la propria colpevolezza, e rimanere in silenzio, senza che il silenzio venga valutato nel determinare la colpevolezza o l'innocenza;

h) senza dover prestare giuramento, fare una dichiarazione scritta o orale in propria difesa;

i) non subire l'imposizione dell'inversione dell'onere della prova o dell'onere della confutazione della prova.

2. In aggiunta ad ogni altra comunicazione prevista dal presente Statuto, il Procuratore, non appena possibile, porta a conoscenza della difesa gli elementi di prova in suo possesso o a sua disposizione, che egli ritiene dimostrino o tendano a dimostrare l'innocenza dell'imputato, o ad attenuare la sua colpevolezza, o che siano tali da compromettere la credibilità degli elementi di prova a carico. In caso di dubbio sull'applicazione del presente paragrafo, decide la Corte.

 

 Articolo 68

Protezione delle vittime e dei testimoni e loro partecipazione al processo.

1. La Corte adotta provvedimenti atti a proteggere la sicurezza, il benessere fisico e psicologico, la dignità e la riservatezza delle vittime e dei testimoni. Nel fare ciò, la Corte terrà conto di tutti i fattori rilevanti, compresi l'età, il sesso come definito all'Articolo 2, paragrafo 3, la salute, e la natura del reato, in particolare, man non esclusivamente, quando il crimine comporta violenza sessuale o sessista ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 3, o violenza contro i bambini. Il Procuratore adotterà tali provvedimenti, in particolare durante l'indagine e nel corso dell'azione penale. Detti provvedimenti non pregiudicheranno, né saranno contrari ai diritti della difesa e alle esigenze di un processo equo e imparziale.

2. Come eccezione al princìpio della pubblicità dei dibattimenti di cui all'Articolo 67, le Camere della Corte, per proteggere le vittime ed i testimoni o un imputato, possono svolgere una parte qualsiasi dei procedimenti a porte chiuse, ovvero consentire che le deposizioni siano rese con mezzi elettronici o con altri mezzi speciali. In particolare, tali misure saranno applicate nel caso di vittime di violenza sessuale o di bambini che sono vittime o testimoni, tranne nei casi in cui la Corte decida diversamente, tenuto conto di tutte le circostanze, ed in particolare delle opinioni della vittima o del testimone.

3. Nel caso in cui siano coinvolti interessi personali delle vittime, la Corte consente che siano manifestate ed esaminate le loro opinioni e preoccupazioni, in una fase dei lavori che la Corte considererà appropriata ed in modo da non pregiudicare né contrastare i diritti dell'imputato ed un processo equo e imparziale. Tali opinioni e preoccupazioni possono essere presentate dal rappresentante legale delle vittime, quando la Corte lo ritenga opportuno, in base alle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

4. La Divisione per le vittime ed i Testimoni può consigliare il Procuratore e la Corte su opportuni provvedimenti protettivi, disposizioni in materia di sicurezza, consulenza ed assistenza, come previsto all'Articolo 43, paragrafo 6.

5. Nel caso in cui la divulgazione di elementi di prova e di informazioni ai sensi del presente Statuto, possa mettere gravemente in pericolo la sicurezza di un testimone o di componenti della sua famiglia, il Procuratore, in qualsiasi procedura intrapresa prima dell'inizio del processo, può astenersi dal divulgare tali elementi di prova e informazioni, presentandone una sintesi. Tali provvedimenti saranno attuati in modo da non pregiudicare né contrastare i diritti dell'imputato e le esigenze di un processo equo e imparziale.

6. Gli Stati possono chiedere l'adozione delle misure di protezione necessarie per i loro funzionari o agenti e per la protezione di informazioni riservate o delicate.

 

Articolo 69

Prove.

1. Prima di testimoniare, ogni teste, in conformità con le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, si impegna a dire tutta la verità.

2. La testimonianza di un teste in udienza sarà resa di persona, fatte salve le misure enunciate all'Articolo 68 o nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove. La Corte può altresì autorizzare un teste a fornire una deposizione orale o una registrazione con l'ausilio di tecnologia video o audio, ed a presentare documenti o trascrizioni scritte, fermo restando il presente Statuto ed n conformità con le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove. Tali provvedimenti non pregiudicheranno, né contrasteranno con i diritti della difesa.

3. Le parti potranno presentare elementi di prova rilevanti per il caso, in conformità con l'Articolo 64. La Corte ha facoltà di chiedere che vengano presentate tutti gli elementi di prova che riterrà necessari per stabilire la verità.

4. La Corte può pronunciarsi sulla rilevanza e l'ammissibilità di ogni elemento di prova, in conformità con il Regolamento di procedura e di prova, in considerazione, fra l'altro, del valore probante dell'elemento di prova e se essa possa compromettere lo svolgimento di un processo equo o l'equa valutazione della testimonianza di un teste.

5. La Corte rispetta le regole sulla riservatezza previste nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

6. La Corte non richiede la prova dei fatti notori, ma può farne oggetto di constatazione giudiziale.

7. Gli elementi di prova ottenuti in violazione del presente Statuto o dei diritti dell'uomo internazionalmente riconosciuti non sono ammissibili nel caso in cui:

a) la violazione metta seriamente n dubbio la credibilità degli elementi di prova; oppure

b) l'ammissione della prova comprometterebbe e pregiudicherebbe gravemente l'integrità del procedimento.

8. Nel decidere sulla rilevanza o l'ammissibilità degli elementi di prova raccolti da uno Stato, la Corte non si pronuncia sull'applicazione della legislazione nazionale di questo Stato.

 

Articolo 70

Reati contro l'amministrazione della giustizia.

1. La Corte eserciterà la propria giurisdizione sui seguenti reati commessi ai danni della amministrazione della giustizia se sono perpetrati intenzionalmente:

a) fornire falsa testimonianza malgrado l'obbligo assunto di dire la verità in applicazione dell'articolo 69, paragrafo 1;

b) presentare elementi di prova che le parti conoscono essere falsi o falsificati;

c) subornare testi, ostacolare o intralciare la libera presenza o testimonianza di un teste, attuare misure di ritorsione nei confronti di un teste per la sua testimonianza, o distruggere o falsificare elementi di prova o intralciare la raccolta di tali elementi;

d) ostacolare, intimidire o corrompere un funzionario della Corte allo scopo di obbligarlo o persuaderlo a non ottemperare, o ad ottemperare impropriamente ai suoi obblighi;

e) attuare misure di ritorsione nei confronti di un funzionario della Corte per il dovere espletato da questi o da un altro funzionario;

f) sollecitare o accettare retribuzioni illecite in qualità di funzionario o agente della Corte, in relazione alle proprie mansioni ufficiali.

2. I princìpi e le procedure che disciplinano l'esercizio della giurisdizione della Corte sulle violazioni di cui al presente Articolo saranno quelli previsti nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove. Per fornire cooperazione internazionale alla Corte in relazione ai procedimenti di cui al presente Articolo ci si atterrà alla legislazione interna dello Stato a cui ci si rivolge.

3. In caso di condanna, la Corte può comminare una pena detentiva non superiore a cinque anni, o un'ammenda, in conformità con le Regole Procedurali e di ammissibilità delle Prove, oppure entrambe.

4. a) Gli Stati Parte estendono le norme del loro diritto penale che sanzionano i reati contro l'integrità dei propri procedimenti investigativi e giudiziari ai reati contro l'amministrazione della giustizia indicati nel presente Articolo commessi nel proprio territorio o da loro cittadini;

b) su richiesta della Corte, ogni qualvolta lo riterrà opportuno lo Stato Parte sottoporrà il caso alle sue autorità competenti ai fini del procedimento. Dette autorità competenti tratteranno tali casi con diligenza e mobiliteranno risorse sufficienti perché si possano svolgere con efficienza.

 

Articolo 71

Sanzioni per comportamento scorretto dinanzi alla Corte.

1. La Corte può sanzionare le persone che, dinanzi alla stessa, assumono comportamenti scorretti anche disturbano i lavori o rifiutando deliberatamente di osservarne gli ordini, con provvedimenti amministrativi diversi dalla detenzione, quali ad esempio l'allontanamento temporaneo o definitivo dall'aula, un'ammenda o altri provvedimenti analoghi previsti nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

2. Il regime delle sanzioni indicate al paragrafo 1 è stabilito nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

 

Articolo 72

Protezione delle informazioni attinenti la sicurezza nazionale.

1. Il presente Articolo si applica in tutti i casi in cui, rivelando informazioni o documenti di uno Stato, a parere di tale Stato, si pregiudicherebbero i suoi interessi di sicurezza nazionale. Tali casi comprendono quelli che rientrano nell'ambito dell'Articolo 56, paragrafi 2 e 3, dell'Articolo 61 paragrafo 3, dell'Articolo 64 paragrafo 3, dell'Articolo 67 paragrafo 2, dell'Articolo 68 paragrafo 6, dell'Articolo 87 paragrafo 6, e dell'Articolo 93, nonché i casi che potrebbero presentarsi in qualunque altra fase del procedimento nel quale tale divulgazione di notizie può venire in rilievo.

2. Il presente Articolo si applicherà altresì nei casi in cui una persona, a cui è stato chiesto di fornire informazioni o elementi di prova, si è rifiutata di farlo, o ha rinviato la questione allo Stato, affermando che la divulgazione avrebbe pregiudicato gli interessi di sicurezza nazionale di uno Stato e lo Stato in questione confermi che, a suo parere, la divulgazione pregiudicherebbe i suoi interessi attinenti la sicurezza nazionale.

3. Nulla nel presente Articolo compromette i requisiti di riservatezza applicabili ai sensi dell'Articolo 54, paragrafo 3 e) ed f), ovvero l'applicazione dell'Articolo 73.

4. Qualora uno Stato venga a sapere che le informazioni o i documenti di Stato stanno per essere o potrebbero essere divulgati in qualunque fase dei procedimenti, e ritenga che la loro rivelazione comprometterebbe i suoi interessi di sicurezza nazionale, tale Stato avrà il diritto di intervenire perché la questione venga risolta in conformità con il presente Articolo.

5. Qualora, a parere di uno Stato, divulgare informazioni comprometterebbe i suoi interessi di sicurezza nazionale, lo Stato adotterà tutti i provvedimenti del caso, agendo di concerto con il Procuratore, la difesa, la Camera preliminare o la Camera di primo grado, a seconda dei casi, per cercare di risolvere la questione in maniera cooperativa. Tali provvedimenti possono comprendere:

a) la modifica o il chiarimento della richiesta;

b) una decisione della Corte in merito alla pertinenza delle informazioni o delle prove richieste, ovvero una decisione relativa alla possibilità di ottenere la prova, sebbene pertinente, da fonte diversa dallo stato a cui è stata richiesta;

c) ricevere le informazioni o le prove da una fonte diversa o in forma diversa;

d) un accordo sulle condizioni alle quali potrebbe essere fornita assistenza, compresi, fra l'altro, presentazione di sintesi o redazioni rettificate, limiti alla divulgazione, uso di procedimenti a porte chiuse o ex parte, o applicazione di altre misure di protezione autorizza dallo Statuto o dal Regolamento della Corte.

6. Quando saranno stati adottati tutti i ragionevoli provvedimenti per risolvere la questione in maniera cooperativa, e lo Stato ritenga che non vi siano modi o condizioni alle quali le informazioni o i documenti potrebbero essere presentati o divulgati senza compromettere i suoi interessi di sicurezza nazionale, esso ne informerà il Procuratore o la Corte indicando i motivi specifici della sua decisione, a meno che la descrizione stessa dei suoi motivi non pregiudichi necessariamente gli interessi di sicurezza nazionale dello Stato.

7. In seguito, se la Corte decide che gli elementi di prova sono rilevanti e necessari per stabilire la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato, la Corte può agire come segue:

a) se la divulgazione di informazioni o dei documenti è sollecitata nell'ambito di una richiesta di cooperazione secondo il capitolo IX, o nelle circostanze descritte al paragrafo 2, e lo Stato abbia invocato le motivazioni di rifiuto di cui all'Articolo 93, paragrafo 4:

i) la Corte, prima di giungere alle conclusioni di cui al paragrafo 7 a) ii), può chiedere ulteriori consultazioni, onde esaminare le considerazioni dello Stato, che possono comprendere, ove necessario, udienze a porte chiuse ed ex parte, se lo Stato lo richiede;

ii) qualora la Corte concluda che, adducendo le motivazioni di rifiuto di cui all'Articolo 93, paragrafo 4, nella fattispecie lo Stato a cui è stata rivolta la richiesta non stia agendo in ottemperanza degli obblighi che gli incombono in forza dello Statuto, la Corte può rinviare la questione, in conformità con l'Articolo 87, paragrafo 7, specificando i motivi in base ai quali è giunta a tale conclusione;

iii) la Corte può trarre nel giudicare l'imputato tutte le conclusioni che ritiene appropriate nella fattispecie, circa l'esistenza o l'inesistenza del fatto;

b) in tutte le altre circostanze:

i) ordinare la divulgazione; oppure

ii) diversamente, trarre ogni conclusione che ritenga appropriata nella fattispecie, nel giudicare l'imputato, circa l'esistenza o l'inesistenza di un fatto.

 

 Articolo 73

Informazioni o documenti provenienti da terzi.

Qualora la Corte chieda ad uno Stato Parte di produrre un documento o informazioni in sua custodia, in suo possesso o sotto il suo controllo, ad esso rivelati da uno Stato, un'organizzazione intergovernativa o un'organizzazione internazionale in maniera riservata, lo Stato Parte cercherà di ottenere dalla fonte il consenso a divulgare tale documento o informazione. Qualora la fonte sia uno Stato Parte, questo acconsentirà alla divulgazione del documento o dell'informazione, oppure si impegnerà a risolvere la questione della sua divulgazione con la Corte, ferme restando le disposizioni dell'Articolo 72. Nel caso in cui la fonte non sia uno Stato Parte e neghi il consenso alla divulgazione, lo Stato a cui è stata rivolta la richiesta informerà la Corte di non essere in grado di presentare il documento o l'informazione, a causa di un obbligo pregresso di riservatezza assunto con la fonte.

 

Articolo 74

Requisiti per la sentenza.

1. Tutti i giudici della Camera di primo grado saranno presenti in ogni fase del processo e nel corso delle delibere. La Presidenza, caso per caso, può designare, in base alla disponibilità, uno o più giudici supplenti che dovranno essere presenti in ogni fase del processo e sostituire un membro della Camera di primo grado nel caso in cui questi non possa più presenziare.

2. La decisione della Camera di primo grado sarà adottata in base alle sue valutazioni delle prove ed a tutto il procedimento. La decisione non andrà al di là dei fatti e delle circostanze descritte nei capi d'accusa e relativi emendamenti. La Corte può basare la sua decisione solo sulle prove ad essa presentate e discusse al processo.

3. I giudici si sforzano di esprimere una decisione all'unanimità, in mancanza della quale la decisione sarà presa dalla maggioranza dei giudici.

4. Le delibere della Camera di primo grado rimarranno riservate.

5. La decisione sarà messa per iscritto e conterrà un rendiconto completo e ragionato delle risultanze della Camera di primo grado sulle prove e le conclusioni. La Camera di primo grado emanerà una sola sentenza. Nel caso in cui non vi sia unanimità, la sentenza della Camera di primo grado conterrà i pareri della maggioranza e quelli della minoranza. La sentenza o una sintesi della stessa sarà letta in pubblica udienza.

 

Articolo 75

Riparazioni a favore delle vittime.

1. La Corte stabilisce i princìpi applicabili a forme di riparazione come la restituzione, l'indennizzo o la riabilitazione da concedere alle riparazioni alle vittime o ai loro aventi diritto. Su tale base la Corte, può, su richiesta o di sua spontanea volontà in circostanze eccezionali, determinare nella sua decisione l'entità e la portata di ogni danno, perdita o pregiudizio cagionato alle vittime o ai loro aventi diritto, indicando i princìpi che guidano la sua decisione.

2. La Corte può emanare contro una persona condannata un'ordinanza che indica la riparazione dovuta alle vittime o ai loro aventi diritto. Tale riparazione può avere forma, in modo particolare, di restituzione, d'indennizzo o di riabilitazione. Se del caso, la Corte può decidere che l'indennizzo concesso a titolo di riparazione sia versato tramite il Fondo di garanzia di cui all'Articolo 79.

3. Prima di emanare un ordine ai sensi del presente articolo, la Corte può sollecitare e terrà conto delle osservazioni della persona condannata, delle vittime, delle altre persone interessate o degli Stati interessati, e delle osservazioni formulate a nome di tali persone o dei loro aventi diritto.

4. Nell'esercizio dei poteri che gli sono conferiti dal presente Articolo, dopo che una persona è stata condannata per un reato che rientra nella giurisdizione della Corte, quest'ultima può stabilire se, per dare effetto ad un ordine che può emanare ai sensi del presente Articolo, sia necessario ricorrere ai provvedimenti di cui all'Articolo 93, paragrafo 1.

5. Gli Stati Parte fanno applicare le decisioni ai sensi del presente articolo come se le disposizioni dell'Articolo 109 fossero applicabili al presente Articolo.

6. Nulla del presente Articolo sarà interpretato come lesivo dei diritti che la legislazione nazionale o internazionale riconoscono alle vittime.

 

Articolo 76

Condanne.

1. In caso di verdetto di condanna, la Camera di primo grado stabilisce la pena da applicare in considerazione delle conclusioni e degli elementi di prova rilevanti presentati al processo.

2. Fatti salvi i casi in cui si applica l'Articolo 65, e prima della fine del processo, la Camera di primo grado può tenere d'ufficio, e su richiesta del Procuratore o dell'imputato, un'ulteriore udienza per prendere conoscenza di ogni nuova conclusione e di ogni nuovo elemento di prova rilevante ai fini della definizione della pena, in conformità con le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

3. Nei casi in cui si applica il paragrafo 2, la Camera di primo grado ascolta le osservazioni previste all'Articolo 75 nel corso dell'udienza supplementare di cui al paragrafo 2 e, ove necessario, nel caso di una nuova udienza.

4. La sentenza è pronunziata in udienza pubblica e, ove possibile, in presenza dell'imputato.

 

Capitolo VII. Pene

 

Articolo 77

Pene applicabili.

1. Fatto salvo l'articolo 110, la Corte può pronunciare contro una persona dichiarata colpevole dei reati di cui all'articolo 5 del presente Statuto, una delle seguenti pene:

a) reclusione per un periodo di tempo determinato non superiore nel massimo a 30 anni;

b) ergastolo, se giustificato dall'estrema gravità del crimine e dalla situazione personale del condannato.

2. Alla pena della reclusione la Corte può aggiungere:

a) un'ammenda fissata secondo i criteri previsti dalle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove;

b) la confisca di profitti, beni ed averi ricavati direttamente o indirettamente dal crimine fatti salvi i diritti di terzi in buona fede.

 

Articolo 78

Determinazione della pena.

1. Nel determinare la pena, la Corte tiene conto, secondo le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, di elementi quali la gravità del reato e la situazione personale del condannato.

2. Nel pronunziare una pena di reclusione, la Corte detrae il tempo trascorso, su suo ordine, in detenzione. La Corte può inoltre detrarre ogni altro periodo trascorso in detenzione per condotte collegate al crimine.

3. Se una persona è riconosciuta colpevole di più reati, la Corte quantifica sia la pena per ciascun reato che quella cumulativa, specificando la durata totale dell'imprigionamento. Tale durata non può essere inferiore a quella della pena più alta applicata per un singolo crimine e non può superare i 30 anni di reclusione o l'ergastolo previsto all'articolo 77, paragrafo 1, capoverso b).

 

Articolo 79

Fondo di garanzia per le vittime.

1. È istituito, con decisione dell'Assemblea degli Stati Parte, un Fondo a beneficio delle vittime dei reati di competenza della Corte e delle loro famiglie.

2. La Corte può ordinare che il ricavato delle ammende e dei beni confiscati sia versato al Fondo.

3. Il Fondo è gestito in conformità ai criteri stabiliti dall'Assemblea degli Stati Parte.

 

 Articolo 80

Autonomia dell'applicazione delle pene ad opera degli Stati e della legislazione nazionale.

Nessuna disposizione del presente capitolo vieta l'applicazione ad opera degli Stati di pene previste dal loro diritto interno, ne l'applicazione della normativa di Stati che non prevedono le pene stabilite nel presente capitolo.

 

Capitolo VIII. Appello e revisione

Articolo 81

Appello contro la sentenza di condanna o la determinazione della pena.

1. Può essere proposto appello, secondo le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, contro una decisione resa in forza dell'articolo 74, secondo le seguenti modalità:

a) il Procuratore può proporre appello per uno dei seguenti motivi:

i) vizio di procedura;

ii) errore di fatto;

iii) errore di diritto;

b) la persona dichiarata colpevole o il Procuratore a nome di questa persona, possono proporre appello per uno dei seguenti motivi:

i) vizio di procedura;

ii) errore di fatto;

iii) errore di diritto;

iv) qualunque altro motivo che pregiudica l'equità o la regolarità della procedura o della decisione.

2. a) Il Procuratore o il condannato possono, secondo le Regole Procedurali e di ammissibilità delle Prove, impugnare la pena pronunziata, per via di mancanza di proporzione fra la stessa ed il crimine;

b) se, in occasione dell'appello proposto contro la pena pronunciata, la Corte ritiene che esistono motivi tali da giustificare l'annullamento, in tutto o in parte, della decisione sulla colpevolezza, essa può invitare il procuratore o il condannato ad invocare i motivi enunciati all'articolo 82, paragrafo 1, capoversi a) o b) e pronunziarsi sulla decisione sulla colpevolezza secondo l'articolo 83;

c) la stessa procedura si applica se, in occasione di un appello concernente unicamente la decisione sulla colpevolezza, la Corte giudica che vi sono motivi che giustificano una riduzione della pena in forza del paragrafo 2, capoverso a).

3. a) A meno che la Camera di primo grado non decida diversamente, la persona riconosciuta colpevole rimane in stato di detenzione durante la procedura di appello;

b) se la durata della detenzione supera la durata della pena pronunciata, la persona riconosciuta colpevole è rimessa in libertà; tuttavia, se anche il Procuratore propone appello, la liberazione può essere subordinata alle condizioni enunciate al capoverso c) seguente;

c) in caso di assoluzione, l'accusato è immediatamente rimesso in libertà, fatte salve tuttavia le seguenti condizioni:

i) in circostanze eccezionali valutati tra l'altro il rischio di evasione, la gravità del reato e la probabilità di successo dell'appello, la Camera di primo grado su richiesta del Procuratore può ordinare che l'imputato rimanga in detenzione durante la procedura di appello;

ii) contro un'ordinanza della Camera di primo grado preveduta dal capoverso i) può essere proposto appello secondo le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

4. Subordinatamente alle disposizioni del paragrafo 3, capoversi a) e b) l'esecuzione della decisione sulla colpevolezza o della sentenza è sospesa durante il periodo utile per proporre appello e durante il corso del giudizio di appello.

 

Articolo 82

Appello contro altre decisioni.

1. Ciascuna Parte può proporre appello contro una delle seguenti decisioni, secondo le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle prove:

a) decisione sulla competenza o la procedibilità;

b) ordinanza che concede o nega la liberazione della persona oggetto d'inchiesta o di azioni giudiziarie;

c) decisione della Camera preliminare di agire di sua iniziativa in forza dell'articolo 56, paragrafo 3;

d) decisione che solleva una questione di natura tale da incidere in maniera significativa sullo svolgimento equo e rapido della procedura o sull'esito del processo e la cui soluzione immediata potrebbe secondo il parere della Camera preliminare o della Camera di primo grado far progredire notevolmente la procedura.

2. Una decisione della Camera preliminare, fondata sull'articolo 57, paragrafo 3, d) può essere impugnata dallo Stato interessato o dal Procuratore con l'autorizzazione della Camera preliminari. L'appello in questione sarà trattato mediante una procedura d'urgenza.

3. L'appello ha effetto sospensivo solo se la Camera lo ordina, sulla base di una domanda presentata secondo le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

4. Il rappresentante legale delle vittime, la persona condannata o il proprietario in buona fede di un bene pregiudicato da un'ordinanza emessa in forza dell'articolo 73, possono presentare appello contro tale ordinanza, come previsto nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

 

Articolo 83

Procedura d'appello.

1. Ai fini delle procedure previste all'articolo 81 e nel presente articolo, la Camera d'appello ha tutti i poteri della Camera di primo grado.

2. Se la Camera d'appello conclude che la procedura oggetto di appello è affetta da vizi tali da pregiudicare la regolarità della decisione o della condanna, o che la decisione o la condanna oggetto di appello sono gravemente viziate da un errore di fatto o di diritto essa può:

a) annullare o modificare la decisione o la condanna; oppure

b) ordinare un nuovo processo dinanzi una altra camera di primo grado.

A tal fine, la Camera d'appello può rinviare una questione di fatto dinanzi alla Camera di primo grado inizialmente adita affinché quest'ultima decida la questione e le faccia rapporto, oppure può essa stessa chiedere elementi di prova per essere in grado di decidere. Quando la sola persona condannata, o il Procuratore a suo nome, hanno presentato appello contro la decisione o la condanna, quest'ultima non può essere modificata a scapito della persona condannata.

3. Se, nell'ambito di un appello contro una condanna, la Camera d'appello constata che la pena è sproporzionata rispetto al crimine, essa può modificarla secondo il capitolo VII.

4. La sentenza della Camera d'appello è adottata a maggioranza dei giudici e pronunciata in udienza pubblica. La sentenza è motivata. Se non vi è unanimità, la sentenza deve contenere i pareri della maggioranza e della minoranza, ma un giudice può far valere un'opinione individuale o un'opinione dissidente su una questione di diritto.

5. La Camera di appello può pronunciare la sua sentenza in assenza della persona prosciolta o condannata.

 

Articolo 84

Revisione della condanna o della pena.

1. La persona dichiarata colpevole oppure, se è deceduta, il coniuge, i figli, i genitori o ogni persona vivente al momento del suo decesso, che essa ha espressamente designato per iscritto a tal fine, o il Procuratore a nome di questa persona, possono adire la Camera d'appello con una domanda di revisione della decisione definitiva sulla colpevolezza o la pena per i seguenti motivi:

a) è emerso un fatto nuovo che:

i) non era conosciuto al momento del processo, senza che ciò possa essere imputato, in tutto o in parte, al ricorrente; e

ii) se fosse stato constatato al momento del processo avrebbe probabilmente comportato un diverso verdetto;

b) risulta che un elemento probatorio decisivo stabilito durante il processo e sulla base del quale si è stabilita la colpevolezza era falso, contraffatto o falsificato;

c) uno o più giudici che hanno concorso alla decisione sulla colpevolezza o che hanno convalidato le imputazioni hanno commesso nel caso in oggetto un atto costituente errore grave o inadempimento ai loro doveri, di gravità sufficiente da far sì che siano esonerati dalle loro funzioni in attuazione dell'articolo 46.

2. La Camera d'appello respinge la domanda se la ritiene infondata. Se giudica che la domanda si basa su validi motivi essa può, a seconda di come convenga:

a) convocare nuovamente la Camera di primo grado che ha pronunciato la sentenza iniziale;

b) istituire una nuova Camera di primo grado;

c) rimanere investita del caso;

in vista di determinare, dopo aver inteso le parti secondo le modalità previste nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, se la sentenza debba essere riveduta.

 

Articolo 85

Risarcimento alle persone arrestate o condannate.

1. Chiunque sia stato vittima di un arresto o di una detenzione illegale ha diritto a riparazione.

2. Se una condanna definitiva è in seguito annullata in quanto un fatto nuovo, o recentemente rivelato, dimostra che è stato commesso un errore giudiziario, la persona che ha subìto una pena in ragione di detta condanna è indennizzata in conformità alle leggi, a meno che non sia provato che il non aver rivelato il fatto in tempo utile è imputabile alla stessa persona, in tutto o in parte.

3. In circostanze eccezionali, qualora la Corte scopra sulla base di elementi affidabili che è stato commesso un errore giudiziario grave e manifesto essa può, a sua discrezione concedere un risarcimento secondo i criteri enunciati nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove, ad una persona che era stata liberata a seguito di un proscioglimento definitivo o in quanto il procedimento giudiziario aveva cessato per via di questo fatto.

 

Capitolo IX. Cooperazione internazionale ed assistenza giudiziaria

 

Articolo 86

Obbligo generale di cooperare.

Secondo le disposizioni del presente Statuto, gli Stati parti cooperano pienamente con la Corte nelle inchieste ed azioni giudiziarie che la stessa svolge per reati di sua competenza.

 

Articolo 87

Richieste di cooperazione: disposizioni generali.

1. a) La Corte è abilitata a rivolgere richieste di cooperazione agli Stati parti. Tali richieste sono trasmesse per via diplomatica o mediante ogni altro canale appropriato che ciascuno Stato parte può scegliere al momento della ratifica, accettazione o approvazione del presente Statuto o dell'adesione allo stesso.

Ogni ulteriore modifica di tale scelta deve essere effettuata da ciascun Stato parte in conformità al Regolamento di procedura e di prova;

b) se del caso, e fatte salve le disposizioni del capoverso a), le richieste possono altresì essere trasmesse attraverso l'Organizzazione internazionale di polizia criminale (INTERPOL) o ogni organizzazione regionale competente.

2. Le richieste di cooperazione ed i documenti giustificativi afferenti sono sia redatti in una lingua ufficiale dello Stato richiesto, o accompagnati da una traduzione in detta lingua, sia redatte in una delle lingue di lavoro della Corte o accompagnate da una traduzione in questa lingua a seconda della scelta fatta dallo Stato richiesto al momento della ratifica accettazione o approvazione del presente Statuto o dell'adesione allo stesso.

Ogni ulteriore modifica di tale scelta sarà effettuata in conformità delle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

3. Lo Stato richiesto rispetta il carattere riservato delle richieste di cooperazione e dei documenti a sostegno della richiesta, salvo nella misura in cui la loro divulgazione è necessaria per dar seguito alla richiesta.

4. Per quanto concerne le richieste di assistenza presentate ai sensi del capitolo IX, soprattutto in materia di protezione delle informazioni, la Corte può prendere i provvedimenti necessari per garantire la sicurezza e di benessere fisico o psicologico delle vittime dei potenziali testimoni e dei loro familiari. La Corte può chiedere che ogni informazione fornita a titolo del presente capitolo sia comunicata ed elaborata in modo tale da preservare la sicurezza ed il benessere fisico o psicologico delle vittime, dei potenziali testimoni e dei loro familiari.

5. La Corte può invitare ogni Stato non parte del presente Statuto a prestare assistenza a titolo del presente capitolo sulla base di un'intesa ad hoc o di un accordo concluso con tale Stato o su ogni altra base appropriata.

Se, avendo concluso con la Corte un'intesa ad hoc o un accordo, lo Stato non parte al presente Statuto non fornisce la partecipazione che gli viene richiesta in forza di tale intesa o accordo, la Corte può informarne l'Assemblea degli Stati parti, o il Consiglio di Sicurezza se è stata adita da quest'ultimo.

6. La Corte può chiedere informazioni o documenti ad ogni organizzazione intergovernativa. Essa può inoltre sollecitare altre forme di cooperazione e di assistenza di cui abbia convenuto con tale organizzazione e che sono conformi alle competenze o al mandato di quest'ultima.

7. Se uno Stato Parte non aderisce ad una richiesta di cooperazione della Corte, diversamente da come previsto dal presente Statuto, impedendole in tal modo di esercitare le sue funzioni ed i suoi poteri in forza del presente Statuto, la Corte può prenderne atto ed investire del caso l'Assemblea degli Stati parti, o il Consiglio di sicurezza se è stata adita da quest'ultimo.

 

Articolo 88

Procedure disponibili secondo la legislazione nazionale.

Gli Stati parti si adoperano per predisporre nel loro ordinamento nazionale, procedure appropriate per realizzare tutte le forme di cooperazione indicate nel presente capitolo.

 

 Articolo 89

Consegna di determinate persone alla Corte.

1. La Corte può presentare a qualsiasi Stato nel cui territorio è suscettibile di trovarsi la persona ricercata, una richiesta di arresto e consegna, unitamente alla documentazione giustificativa indicata all'articolo 91, e potrà richiedere cooperazione di questo Stato per l'arresto e la consegna di tale persona. Gli Stati parti rispondono ad ogni richiesta di arresto e di consegna secondo le disposizioni del presente capitolo e le procedure previste dalla loro legislazione nazionale.

2. Se le persone di cui si sollecita la consegna ricorre dinanzi ad una giurisdizione nazionale mediante un'impugnazione fondata sul principio non bis in idem, come previsto all'articolo 20. Lo Stato richiesto consulta immediatamente la Corte per sapere se vi è stata nella fattispecie una decisione sull'ammissibilità. Se è stato deciso che il caso era ammissibile, lo Stato richiesto dà seguito alla domanda. Se la decisione sull'ammissibilità è pendente, lo Stato richiesto può rinviare l'esecuzione della domanda fino a quando la Corte non abbia deliberato.

3. a) gli Stati parti autorizzano il trasporto attraverso il loro territorio, conformemente alle procedure previste dalla loro legislazione nazionale, di ogni persona trasferita alla Corte da un altro Stato, salvo nel caso in cui il transito attraverso il loro territorio ritarderebbe la consegna;

b) una richiesta di transito è trasmessa dalla Corte secondo l'articolo 87. Essa contiene:

i) i dati segnaletici della persona trasportata;

ii) un breve esposto dei fatti e della loro qualificazione giuridica;

iii) il mandato d'arresto e l'ordinanza di consegna;

c) la persona trasportata è in stato di detenzione durante il transito;

d) non è necessaria alcuna autorizzazione se la persona è trasportata per via aerea e se nessun atterraggio è previsto sul territorio dello stato di transito;

e) se un atterraggio imprevisto ha luogo sul territorio dello stato di transito quest'ultimo può esigere dalla Corte la presentazione di una domanda di transito nelle forme stabilite al capoverso b). Lo stato di transito pone la persona trasportata in detenzione, in pendenza di tale domanda e dell'effettivo passaggio in transito. Tuttavia la detenzione ai sensi del presente capoverso non può prolungarsi oltre 96 ore dopo l'atterraggio imprevisto se la domanda non è stata ricevuta nel frattempo.

4. Se la persona reclamata è oggetto di un'azione giudiziaria o sconta una pena nello Stato richiesto per un reato diverso da quello per il quale si richiede la sua consegna alla Corte lo Stato richiesto che ha deciso di aderire alla domanda si consulta con la Corte.

 

Articolo 90

Richieste concorrenti.

1. Se uno Stato parte riceve dalla Corte, secondo l'articolo 89, una richiesta di consegna e peraltro riceve da un altro Stato una richiesta di estradizione della stessa persona per lo stesso comportamento che costituisce la base del reato per il quale la Corte domanda la consegna della persona, tale Stato ne informa la Corte e lo Stato richiedente.

2. Se lo Stato richiedente è uno Stato parte, lo Stato richiesto dà la precedenza alla domanda della Corte:

a) se la Corte ha deciso, in applicazione degli articoli 18 e 19, che il caso oggetto della richiesta di consegna è ammissibile, in considerazione dell'inchiesta svolta o di un'azione giudiziaria intentata dallo Stato richiedente, rispetto alla domanda di estradizione di quest'ultimo, oppure

b) se la Corte non ha preso la decisione di cui al capoverso a), a seguito della notifica dello Stato richiesto di cui al paragrafo 1.

3. Quando la Corte non ha preso la decisione di cui al paragrafo 2 capoverso a), lo Stato richiesto può, se lo desidera, incominciare ad istruire la richiesta di estradizione dello Stato richiesto in attesa che la Corte si pronunci come previsto al capoverso b). Esso non estrada la persona fino a quando la Corte non ha giudicato che il caso non è ammissibile. La Corte si pronuncia con giudizio direttissimo.

4. Se lo Stato richiedente è uno Stato non parte al presente Statuto lo Stato richiesto, se non è tenuto, per via di un obbligo internazionale ad estradare l'interessato verso lo Stato richiedente dà la precedenza alla richiesta di consegna della Corte se quest'ultima ha giudicato che il caso era ammissibile.

5. Quando un caso di competenza del paragrafo 4 non è stato giudicato ammissibile dalla Corte, lo Stato richiesto può, se lo desidera, incominciare ad istruire la richiesta di estradizione dello Stato richiedente.

6. Nei casi in cui si applica il paragrafo 4, ed a meno che lo Stato richiesto non sia tenuto, per via di un obbligo internazionale, ad estradare la persona verso lo Stato non parte richiedente, lo Stato richiesto decide se sia il caso di consegnare la persona alla Corte o di estradarla verso lo Stato richiedente. Nella sua decisione, lo Stato richiesto tiene conto di tutte le considerazioni rilevanti, in modo particolare:

a) dell'ordine cronologico delle richieste;

b) degli interessi dello Stato richiedente, in modo particolare, se del caso, del fatto che il reato è stato commesso sul suo territorio e della nazionalità delle vittime e della persona reclamata;

c) della possibilità che lo Stato richiedente proceda in un secondo tempo a consegnare la persona alla Corte.

7. Se uno Stato parte riceve dalla Corte una richiesta di consegna di una persona e riceve peraltro da un altro Stato una richiesta di estradizione della stessa persona per lo stesso comportamento diverso da quello che costituisce il reato per il quale la Corte domanda la consegna della persona:

a) lo Stato richiesto dà la precedenza alla domanda della Corte, se non è tenuto, per via di un obbligo internazionale, ad estradare l'interessato verso lo Stato richiedente;

b) se è tenuto, per via di un obbligo internazionale, ad estradare la persona verso lo Stato richiedente, lo Stato richiesto decide sia di consegnarla alla Corte sia di estradarla verso lo Stato richiedente. Nella sua decisione, esso tiene conto di tutte le considerazioni pertinenti, in modo particolare quelle enunciate al paragrafo 6, pur concedendo una particolare attenzione alla natura ed alla relativa gravità del comportamento in causa.

8. Se, a seguito di una notifica ricevuta in applicazione del presente articolo, la Corte ha giudicato un caso come inammissibile e l'estradizione verso lo Stato richiedente è ulteriormente rifiutata, lo Stato richiesto notifica la decisione della Corte.

 Articolo 91

Contenuto della richiesta di arresto e di consegna.

1. Una richiesta di arresto e di consegna deve essere effettuata per iscritto. In caso di emergenza essa può essere effettuata con ogni mezzo che lasci un'impronta scritta, a condizione di essere convalidata secondo le modalità previste all'articolo 87, paragrafo 1, capoverso a).

2. Se la domanda concerne l'arresto e la consegna di una persona oggetto di un mandato d'arresto rilasciato dalla Camera di giudizio preliminare in forza dell'articolo 58, essa deve contenere o essere accompagnata da un fascicolo contenente i seguenti documenti giustificativi:

a) dati segnaletici della persona ricercata, sufficienti ad identificarla e le informazioni relative al luogo dove probabilmente si trova;

b) una copia del mandato d'arresto;

c) i documenti, dichiarazioni ed informazioni che possono essere pretesi nello Stato richiesto per procedere alla consegna; tuttavia le esigenze dello Stato richiesto non devono essere più onerose in questo caso rispetto alle richieste d'estradizione presentate in applicazione di trattati o di intese concluse fra lo Stato richiesto ed altri Stati e dovrebbero anzi, se possibile, esserlo di meno, in considerazione del carattere particolare della Corte.

3. Se la richiesta concerne l'arresto e la consegna di una persona che è già stata riconosciuta colpevole, essa contiene o è accompagnata da un fascicolo contenente i seguenti documenti giustificativi:

a) una copia di qualsiasi mandato d'arresto relativo a tale persona;

b) una copia della sentenza;

c) informazioni attestanti che la persona ricercata è effettivamente quella indicata nella sentenza;

d) se la persona ricercata è stata condannata ad una pena, una copia della condanna assieme a, nel caso di una pena di detenzione, l'indicazione della parte di pena che è già stata scontata e della parte che resta da scontare.

4. Su richiesta della Corte, uno Stato parte intrattiene con quest'ultima, sia in generale, sia a proposito di una particolare questione, consultazioni sulle condizioni previste dalla sua legislazione interna che potrebbero applicarsi secondo il paragrafo 2, capoverso c). Nell'ambito di tali consultazioni lo Stato parte informa la Corte delle particolari esigenze della sua legislazione.

 

Articolo 92

Fermo.

1. In caso di emergenza, la Corte può chiedere il fermo della persona ricercata in attesa che siano presentate la richiesta di consegna ed i documenti giustificativi di cui all'articolo 91.

2. La richiesta di fermo può essere effettuata con ogni mezzo che lascia un'impronta scritta e deve contenere:

a) i dati segnaletici della persona ricercata, sufficienti ad identificarla e le informazioni relative al luogo dove probabilmente si trova;

b) un breve esposto dei reati per i quali la persona è ricercata e dei fatti che sarebbero costitutivi di tali reati, ivi compreso, se possibile, la data ed il luogo dove sarebbero avvenuti;

c) una dichiarazione attestante l'esistenza, a carico della persona ricercata, di un mandato d'arresto o di un verdetto di colpevolezza;

d) una dichiarazione indicante che farà seguito una richiesta di consegna della persona ricercata.

3. Una persona in stato di fermo può essere rimessa in libertà se lo Stato richiesto non ha ricevuto la richiesta di consegna ed i documenti giustificativi di cui all'articolo 91 nel termine stabilito dalle Regole Procedurali ed i Ammissibilità delle Prove. Tuttavia questa persona può consentire ad essere consegnata prima della scadenza di detto termine se la legislazione dello Stato richiesto lo consente. In questo caso, lo Stato richiesto procede al più presto a consegnarla alla Corte.

4. La rimessa in libertà della persona ricercata prevista al paragrafo 3 non pregiudica il suo successivo arresto e la sua consegna, se la richiesta di consegna accompagnata dai documenti giustificativi viene presentata in seguito.

 

Articolo 93

Altre forme di cooperazione.

1. Gli Stati Parti ricevono secondo le disposizioni del presente capitolo e le procure previste dalla loro legislazione nazionale, le richieste di assistenza della Corte connesse ad un'inchiesta o azione giudiziaria, e concernenti:

a) l'identificazione di una persona, il luogo dove si trova o la localizzazione dei beni;

b) la raccolta di elementi di prova comprese le deposizioni fatte sotto giuramento e la produzione di elementi probatori comprese le perizie ed i rapporti di cui la Corte necessita;

c) l'interrogatorio di persone che sono oggetto di un'inchiesta o di azioni giudiziarie;

d) il significato di documenti, compresi gli atti di procedura;

e) le misure atte a facilitare la comparizione volontaria dinanzi alla Corte di persone che depositano in quanto testimoni o esperti;

f) l trasferimento temporaneo di persone in forza del paragrafo 7;

g) l'esame di località o di siti, in modo particolare la riesumazione e l'esame di cadaveri sotterrati in fosse comuni;

h) l'esecuzione di perquisizioni e confische;

i) la trasmissione di fascicoli e documenti compresi i fascicoli ed i documenti ufficiali;

j) la protezione di vittime e di testimoni e la preservazione di elementi di prova;

k) l'identificazione, la localizzazione, il congelamento o la confisca del prodotto di reati, di beni, averi ed strumenti connessi ai reati, per eventualmente confiscarli, fatti salvi i diritti di terzi in buona fede;

l) ogni altra forma di assistenza non vietata dalla legislazione dello Stato richiesto volta ad agevolare l'inchiesta e l'azione giudiziaria relative ai reati di competenza della Corte.

2. La Corte è abilitata a garantire ad un teste o esperto che compare in sua presenza, che non sarà né perseguito, né detenuto, né da essa sottoposto a qualsiasi restrizione della sua libertà personale per un atto od omissione precedenti alla sua partenza dallo Stato richiesto.

3. Se l'esecuzione di una particolare misura di assistenza descritta in una richiesta presentata in forza del paragrafo 1 è vietata nello Stato richiesto in forza di un principio giuridico fondamentale di applicazione generale, lo Stato richiesto intraprende senza indugio consultazioni con la Corte per tentare di risolvere la questione. Durante tali consultazioni, si esamina se l'assistenza può essere fornita in altro modo o accompagnata da determinate condizioni. Se la questione non è risolta all'esito delle consultazioni la Corte modifica la domanda.

4. In conformità con l'articolo 72, uno Stato parte può respingere totalmente o parzialmente una richiesta di assistenza solo se tale richiesta verte sulla produzione di documenti o la divulgazione di elementi probatori relativi alla sua sicurezza o difesa nazionale.

5. Prima di respingere una richiesta di assistenza di cui al paragrafo 1 [T], lo Stato richiesto determina se l'assistenza può essere fornita a determinate condizioni o potrebbe essere fornita in seguito, o in forma diversa, rimanendo inteso che se la Corte o il Procuratore accettano queste condizioni, essi saranno tenuti ad osservarle.

6. Lo Stato richiesto che respinge una richiesta di assistenza fa conoscere senza indugio le sue ragioni alla Corte o al Procuratore.

7. a) La Corte può chiedere il trasferimento temporaneo di una persona detenuta a fini d'identificazione o per ottenere una testimonianza o altre forme di assistenza. Tale persona può essere trasferita se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

i) la persona acconsente, liberamente e con cognizione di causa, ad essere trasferita; e

ii) lo Stato richiesto acconsente al trasferimento subordinatamente alle condizioni eventualmente concordate tra detto Stato e la Corte;

b) la persona trasferita continua ad essere sotto controllo cautelare. Dopo che la finalità del trasferimento è stata conseguita, la Corte rinvia senza indugio questa persona nello Stato richiesto.

8. a) La Corte preserva il carattere confidenziale dei documenti e elle informazioni raccolte salvo nella misura necessaria all'inchiesta ed alle procedure descritte nella richiesta;

b) lo Stato richiesto può se del caso comunicare documenti o informazioni al Procuratore a titolo confidenziale. Il Procuratore può utilizzarli solo per raccogliere nuovi elementi probatori;

c) lo Stato richiesto può, sia d'ufficio sia su richiesta del Procuratore autorizzato, acconsentire in un secondo tempo alla divulgazione di tali documenti o informazioni. Questi possono in tal caso essere utilizzati come mezzo di prova secondo le disposizioni dei capitoli V e VI e delle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

9. a) i) Se uno Stato Parte riceve dalla Corte e da un altro Stato, a seguito di un obbligo internazionale, richieste concorrenti aventi un oggetto diverso dalla consegna o estradizione, esso farà il possibile, in consultazione con la Corte e questo altro Stato, per dar seguito alle due richieste, se del caso differendo l'una o l'altra o assoggettandola a condizioni;

ii) in mancanza di quanto sopra, la concorrenza delle richieste è risolta secondo i princìpi stabiliti all'articolo 90;

b) tuttavia, quando la richiesta della Corte concerne informazioni, beni o persone sotto il controllo di uno Stato terzo o di un'organizzazione internazionale in virtù di un accordo internazionale, lo Stato richiesto ne informa la Corte e quest'ultima indirizza la sua domanda allo Stato terzo o all'Organizzazione internazionale.

10. a) Se riceve una richiesta in tal senso, la Corte può cooperare con lo Stato parte che svolge un'inchiesta o un processo vertente su un comportamento che costituisce reato sottoposto alla giurisdizione della Corte, o un reato grave secondo il diritto interno di tale Stato e prestargli assistenza;

b) i) l'assistenza comprende, tra l'altro:

1) la trasmissione di deposizioni, documenti ed altri elementi di prova raccolti nel corso di un'inchiesta o processo svolti dalla Corte; e

2) l'interrogatorio di ogni persona detenuta per ordine della Corte;

ii) nel caso di cui al sotto-capoverso b), i) 1):

1) la trasmissione di documenti ed altri elementi di prova ottenuti con l'assistenza di un Stato esige il consenso di detto Stato;

2) la trasmissione di deposizioni, documenti ed altri elementi probatori forniti da un teste o da un esperto avviene secondo le disposizioni dell'articolo 68;

c) la Corte può, alle condizioni enunciate al presente paragrafo, dar seguito ad una richiesta di assistenza emanate da uno Stato che non è parte al presente Statuto.

 

Articolo 94

Differimento della messa in opera di una richiesta per via di inchieste o procedimenti giudiziari in corso.

1. Se l'esecuzione immediata di una richiesta può nuocere al corretto svolgimento dell'inchiesta o dei procedimenti giudiziari in corso, in caso diverso da quello cui si riferisca la domanda, lo Stato richiesto può ritardare l'esecuzione della richiesta per un periodo di tempo stabilito di comune accordo con la Corte. Tuttavia il rinvio non dovrà prolungarsi oltre quanto sia necessario per portare a termine l'inchiesta o i procedimenti giudiziari in oggetto nello Stato richiesto. Prima di decidere di ritardare l'esecuzione della richiesta, lo Stato richiesto considera se l'assistenza può essere fornita immediatamente a determinate condizioni.

2. Se viene presa la decisione di soprassedere all'esecuzione della richiesta in applicazione del paragrafo 1, il Procuratore può tuttavia chiedere l'adozione di provvedimenti per preservare gli elementi di prova, come previsto all'articolo 93, paragrafo 1, capoverso j).

 

 Articolo 95

Differimento dell'esecuzione di una richiesta per via di un'eccezione d'inammissibilità.

Fatto salvo l'articolo 53, paragrafo 2, se la Corte esamina un'eccezione d'inammissibilità in applicazione degli articoli 18 e 19, lo Stato richiesto può soprassedere all'esecuzione di una richiesta presentata in forza del presente capitolo fino a quando la Corte non abbia specificatamente ordinato che il Procuratore può continuare a raccogliere elementi di prova in applicazione degli articoli 18 e 19.

 

Articolo 96

Contenuto di una richiesta vertente su altre forme di cooperazione previste dall'articolo 93.

1. Una domanda vertente su altre forme di cooperazione di cui all'articolo 93 deve essere effettuata per iscritto. In caso di emergenza, essa può essere effettuata con ogni altro mezzo che lascia un'impronta scritta, a condizione di essere convalidata secondo modalità indicate all'articolo 87, paragrafo 1 a).

2. La richiesta contiene o è accompagnata, sede nel caso, da un fascicolo contenente i seguenti elementi:

a) un breve esposto dell'oggetto della richiesta e della natura dell'assistenza richiesta comprese le basi giuridiche ed i motivi della richiesta;

b) informazioni il più dettagliate possibile sulla persona o il luogo che devono essere individuati o localizzati in modo che l'assistenza possa essere fornita;

c) un breve esposto dei fatti essenziali che giustificano la domanda;

d) l'esposto dei motivi e la spiegazione dettagliata delle procedure o condizioni da rispettare;

e) ogni informazione che può essere pretesa dalla legislazione dello Stato richiesto per dar seguito alla richiesta;

f) ogni altra informazione utile affinché l'assistenza richiesta possa essere fornita.

3. Se la Corte lo domanda, uno Stato parte intrattiene con essa, sia in generale sia a proposito di una particolare questione, consultazioni sulle condizioni previste dalla sua legislazione che potrebbero applicarsi come previsto al paragrafo 2, capoverso e) nell'ambito di tali consultazioni lo Stato parte informa la Corte di particolari esigenze della sua legislazione.

4. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì, se del caso, ad una richiesta d'assistenza indirizzata alla Corte.

 

Articolo 97

Consultazioni.

Quando uno Stato parte, investito di una richiesta ai sensi del presente capitolo, constata che la stessa solleva difficoltà che potrebbero intralciarne o impedirne l'esecuzione, esso consulta senza indugio la Corte per risolvere il problema. Tali difficoltà potrebbero, in modo particolare, essere le seguenti:

a) le informazioni non sono sufficienti per dar seguito alla richiesta;

b) nel caso di una richiesta di consegna, la persona reclamata rimane introvabile malgrado ogni sforzo dispiegato, oppure l'inchiesta svolta ha permesso di determinare che la persona che si trova nello Stato di detenzione non è manifestamente quella indicata dal mandato;

c) il fatto che lo Stato richiesto sarebbe costretto, per dar seguito alla richiesta nella forma in cui si trova, di infrangere un obbligo convenzionale che già ha nei confronti di un altro Stato.

 

 Articolo 98

Cooperazione in relazione a rinuncia ad immunità e consenso alla consegna.

1. La Corte non può presentare una richiesta di assistenza che costringerebbe lo Stato richiesto ad agire in modo incompatibile con gli obblighi che le incombono in diritto internazionale in materia d'immunità degli Stati o d'immunità diplomatica di una persona o di beni di uno Stato terzo a meno di ottenere preliminarmente la cooperazione di tale Stato terzo in vista dell'abolizione dell'immunità.

2. La Corte non può presentare una richiesta di consegna che costringerebbe lo Stato richiesto ad agire in modo incompatibile con gli obblighi che gli incombono in forza di accordi internazionali secondo i quali il consenso dello Stato d'invio è necessario per poter consegnare alla Corte una persona dipendente da detto Stato, a meno che la Corte non sia in grado di ottenere preliminarmente la cooperazione dello Stato d'invio ed il suo consenso alla consegna.

 

Articolo 99

Seguito dato alle richieste presentate a titolo degli articoli 93 e 96.

1. Lo Stato richiesto dà seguito alle richieste di assistenza secondo la procedura prevista dalla sua legislazione e, a meno che tale legislazione non lo vieti, nel modo indicato nella richiesta. In particolare, esso applica la procedura indicata nella richiesta o autorizza le persone che vi sono designate ad essere presenti ed a partecipare alla messa in opera della richiesta.

2. Se la richiesta è urgente i documenti o elementi probatori prodotti in risposta alla richiesta sono a domanda della Corte inviati con urgenza.

3. Le risposte dello Stato richiesto sono comunicate nella loro lingua e forma originali.

4. Fatti salvi gli altri articoli del presente capitolo, qualora ciò sia necessario per eseguire efficacemente una richiesta alla quale può essere dato seguito senza dover ricorrere a misure di costrizione, in modo particolare quando si tratta di sentire una persona o di raccogliere la sua deposizione a titolo volontario, anche senza che le autorità dello Stato richiesto siano presenti, se ciò è determinante per una efficace esecuzione della richiesta, o d'ispezionare un sito pubblico o altro luogo pubblico senza modificarlo, il Procuratore può attuare l'oggetto della domanda direttamente sul territorio dello Stato secondo le seguenti modalità:

a) quando lo Stato richiesto è lo Stato sul cui territorio si presume che il reato sia stato commesso e vi è stata una decisione sull'ammissibilità in conformità agli articoli 18 o 19, il Procuratore può mettere direttamente in opera la richiesta dopo aver avuto con lo Stato richiesto le consultazioni più ampie possibili;

b) negli altri casi, il Procuratore può eseguire la richiesta, previa consultazione con lo Stato parte richiesto ed in considerazione di condizioni o ragionevoli preoccupazioni che tale Stato può aver fatto valere. Se lo Stato richiesto accetta che l'esecuzione di una richiesta ai sensi del presente sotto-paragrafo presenta difficoltà, esso consulta immediatamente la Corte per porvi rimedio.

5. Le disposizioni che autorizzano la persona sentita o interrogata dalla Corte ai sensi dell'articolo 72, ad invocare le limitazioni previste, al fine d'impedire la divulgazione d'informazioni confidenziali connesse alla difesa o alla sicurezza nazionale, si applicano altresì all'esecuzione delle richieste di assistenza ai sensi del presente articolo.

 

Articolo 100

Spese.

1. Le spese ordinarie afferenti alla messa in opera della richiesta sul territorio dello Stato richiesto sono a carico di detto Stato ad eccezione delle seguenti spese, che sono a carico della Corte:

a) spese connesse ai viaggi ed alla protezione dei testimoni e degli esperti o al trasferimento, in forza dell'articolo 93, di persone detenute;

b) spese di traduzione, d'interpretazione e di trascrizione;

c) spese di viaggio e di soggiorno dei giudici, del Procuratore, dei vice-procuratori, dell'Ufficio del Cancelliere, del vice-cancelliere e dei membri del personale di tutti gli organi della Corte;

d) costo di ogni perizia o rapporto chiesto dalla Corte;

e) spese connesse al trasporto di una persona consegnata da uno Stato di detenzione;

f) previa consultazione, tutte le spese straordinarie che la messa in opera di una richiesta può comportare.

2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano, se del caso, alle richieste indirizzate alla Corte dagli Stati parti. In questo caso, la Corte si assume a carico le spese ordinarie di messa in opera.

 

 Articolo 101

Regola della specialità.

1. Una persona consegnata alla Corte in applicazione del presente statuto non può essere perseguita, punita o detenuta in ragione di comportamenti precedenti alla sua consegna, a meno che questi ultimi non costituiscano la base dei reati per i quali la persona è stata consegnata.

2. La Corte può sollecitare allo Stato che le ha consegnato una persona, una deroga alle condizioni di cui al paragrafo 1. Essa fornisce se del caso, informazioni supplementari secondo l'articolo 91. Gli Stati parti sono abilitati a concedere una deroga alla Corte e non devono lesinare sforzi a tal fine.

 

Articolo 102

Uso dei termini.

Ai fini del presente Statuto:

a) «consegna» significa per uno Stato il fatto di consegnare una persona alla Corte in applicazione del presente Statuto;

b) «estradizione» significa per uno Stato consegnare una persona ad un altro Stato in applicazione di un trattato, di una convenzione o della sua legislazione nazionale.

 

Capitolo X. Esecuzione

 

Articolo 103

Ruolo degli Stati nell'esecuzione delle pene detentive.

1. a) Le pene detentive sono scontate in uno Stato designato dalla Corte, da una lista di Stati che hanno informato la Corte della loro disponibilità a ricevere persone condannate;

b) nel dichiarare la propria disponibilità a ricevere persone condannate, uno Stato può annettere alla sua accettazione condizioni che devono essere approvate dalla Corte ed essere conformi alle disposizioni del presente capitolo;

c) lo Stato designato in un determinato caso fa sapere rapidamente alla Corte se accetta o meno la designazione.

2. a) Lo Stato incarico dell'esecuzione avverte la Corte di ogni circostanza, ivi compresa la realizzazione di ogni condizione concordata in applicazione del paragrafo 1, suscettibile di modificare sensibilmente le condizioni o la durata della detenzione. La Corte deve essere avvisata con un anticipo di almeno 45 giorni di ogni circostanza di questo tipo, conosciuta o prevedibile. Durante questo periodo di tempo, lo Stato incaricato dell'esecuzione non prende alcuna misura che potrebbe essere contraria alle disposizioni dell'articolo 110;

b) se la Corte non può accettare le circostanze di cui al capoverso a), essa ne informa lo Stato incaricato dell'esecuzione e procede in conformità all'articolo 104, paragrafo 1.

3. Quando esercita il suo potere di designazione secondo il paragrafo 1, la Corte può tener conto:

a) del principio secondo il quale gli Stati parti devono condividere la responsabilità dell'esecuzione delle pene detentive secondo i princìpi di equa ripartizione enunciati nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove;

b) delle regole convenzionali del diritto internazionale generalmente accettate che disciplinano il trattamento dei detenuti;

c) delle opinioni della persona condannata;

d) della nazionalità della persona condannata; e

e) di ogni altro fattore relativo alle circostanze del reato, alla situazione della persona condannata o all'esecuzione effettiva della pena che possono guidare la scelta dello Stato incaricato.

4. Se nessun Stato è designato come previsto al paragrafo 1, la pena detentiva è scontata in un istituto penitenziario messo a disposizione dallo Stato ospitante, in condizioni definite nell'accordo di sede di cui all'articolo 3, paragrafo 2. In questo caso, le spese relative all'esecuzione della pena sono a carico della Corte.

 

Articolo 104

Modifica della designazione dello Stato incaricato dell'esecuzione.

1. La Corte può decidere in qualsiasi momento di trasferire il condannato nella prigione di un altro Stato.

2. La persona condannata può in qualsiasi momento chiedere alla Corte di essere trasferita fuori dallo Stato incaricato dell'esecuzione.

 

Articolo 105

Esecuzione della pena.

1. Fatte salve le condizioni che uno Stato avrà potuto stabilire secondo l'articolo 103 paragrafo 1, capoverso b), la detentiva è vincolante per tutti gli Stati Parte che non possono in alcun caso modificarla.

2. La Corte ha solo il diritto di pronunziarsi su una richiesta di revisione della sua decisione di colpevolezza o sulla pena. Lo Stato incaricato dell'esecuzione non impedisce al condannato di presentare tale domanda.

 

 Articolo 106

Controllo dell'esecuzione della pena e condizioni di detenzione.

1. L'esecuzione di una pena di reclusione è soggetta al controllo della Corte. Essa è conforme alle regole convenzionali internazionali ampiamente accettate che regolano il trattamento dei detenuti.

2. Le condizioni di detenzione sono disciplinate dalla legislazione dello Stato incaricato dell'esecuzione. Esse sono conformi alle regole convenzionali internazionali ampiamente accettate che disciplinano il trattamento dei detenuti. In nessun caso possono essere più o meno favorevoli di quelle che lo Stato incaricato dell'esecuzione applica ai condannati detenuti per crimini simili.

3. Le comunicazioni fra i condannati e la Corte sono riservate e senza impedimenti.

 

Articolo 107

Trasferimento del condannato che ha terminato di scontare la pena.

1. Dopo avere scontato la pena, una persona che non è cittadina dello Stato incaricato dell'esecuzione può essere trasferita secondo la legislazione dello Stato incaricato dell'esecuzione, in uno Stato che è tenuto ad accoglierla, o in altro Stato che accetta di accoglierla, tenendo conto di qualsiasi desiderio espresso dalla persona di essere trasferita in detto Stato, salvo se lo Stato incaricato dell'esecuzione autorizza tale persona a rimanere sul suo territorio.

2. Le spese afferenti al trasferimento del condannato in un altro Stato in applicazione del paragrafo 1 sono a carico della Corte se nessun Stato le prende a carico.

3. Subordinatamente alle disposizioni dell'articolo 108, lo Stato di detenzione può altresì, in applicazione della sua legislazione, estradarle o consegnare in altra maniera la persona allo Stato che ha chiesto la sua estradizione, o la sua consegna, a fini di giudizio o di esecuzione di una pena.

 

Articolo 108

Limiti in materia di procedimenti giudiziari o di condanne per altre infrazioni.

1. Il condannato detenuto dallo Stato incaricato dell'esecuzione non può essere né perseguito, né condannato o estradato verso uno Stato terzo per un comportamento anteriore al suo trasferimento nello Stato incaricato dell'esecuzione, salvo se la Corte ha approvato tale azione giudiziaria, condanna o estradizione a richiesta dello Stato incaricato dell'esecuzione.

2. La Corte delibera sulla questione dopo aver sentito il condannato.

3. Il paragrafo 1 cessa di applicarsi se il condannato risiede volontariamente per più di 30 giorni sul territorio dello Stato incaricato dell'esecuzione dopo aver scontato la totalità della pena pronunciata dalla Corte o ritorna sul territorio dello Stato dopo averlo lasciato.

 

Articolo 109

Pagamento di sanzioni pecuniarie ed esecuzione di misure di confisca.

1. Gli Stati parti fanno eseguire le sanzioni pecuniarie e le misure di confisca ordinate dalla Corte in forza del capitolo VII, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede e seconda la procedura prevista dalla loro legislazione interna.

2. Se uno Stato parte non è in grado di attuare l'ordinanza di confisca, dovrà prendere misure per ricuperare il valore del prodotto, dei beni o degli averi di cui la Corte ha ordinato la confisca, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede.

3. I beni o i proventi della vendita di beni immobiliari o, se del caso, di altri beni ottenuti da uno Stato parte in esecuzione di una sentenza della Corte, sono trasferiti alla Corte.

 

Articolo 110

Esame da parte della Corte della questione di una riduzione di pena.

1. Lo Stato incaricato dell'esecuzione non può liberare la persona detenuta prima della espiazione della pena pronunciata dalla Corte.

2. La Corte ha solo il diritto di decidere una riduzione di pena. Essa si pronuncia dopo aver sentito la persona.

3. Se la persona ha scontato i due terzi della pena, o venticinque anni di reclusione nel caso di una condanna all'ergastolo, la Corte riesamina la pena per decidere se sia il caso di ridurla. La Corte non procede a questo riesame prima di detto termine.

4. Al momento del riesame di ci al paragrafo 3, la Corte può ridurre la pena qualora essa constati che una o più delle seguenti condizioni sono realizzate:

a) la persona ha, sin dall'inizio ed in modo costante, manifestato la sua volontà di cooperare con la Corte nelle sue inchieste e durante il procedimento;

b) la persona ha facilitato spontaneamente l'esecuzione di decisioni ed ordinanze della Corte in altri casi, in modo particolare aiutandola a localizzare e fornendo assistenza per i beni oggetto di decisioni che ne ordinano la confisca, per il pagamento di una sanzione pecuniaria o di un risarcimento che possono essere utilizzati a vantaggio delle vittime; oppure

c) altri fattori previsti nelle Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove attestano un cambiamento di circostanze evidente, con conseguenze degne di nota e tali da giustificare la riduzione della pena.

5. Se, in occasione del suo riesame di cui al paragrafo 3 la Corte decide che non è il caso di ridurre la pena, essa in seguito rivedrà la questione della riduzione di pena negli intervalli previsti nel Regolamento di procedura e di prova, ed applicando i criteri che vi sono enunciati.

 

Articolo 111

Evasione.

Se una persona condannata evade dal luogo di detenzione e fugge dallo Stato incaricato dell'esecuzione della pena, tale Stato può, dopo aver consultato la Corte, chiedere allo Stato in cui la persona si trova, la consegna di tale persona in applicazione di accordi bilaterali o multilaterali in vigore, oppure chiedere alla Corte di sollecitare la consegna di detta persona secondo il capitolo IX. Quando la Corte sollecita la consegna di una persona, può ordinare che sia consegnata allo Stato nel quale scontava la pena o altro Stato da essa designato.

 

Capitolo XI. Assemblea degli Stati parte

 

Articolo 112

Assemblea degli Stati parti.

1. È istituita un'Assemblea di Stati parti del presente Statuto. Ciascuno Stato parte dispone di un rappresentante che può essere assistito da supplenti e consiglieri. Gli altri Stati che hanno firmato lo Statuto o l'Atto finale possono partecipare all'Assemblea a titolo di osservatori.

2. L'Assemblea:

a) esamina ed adotta, se del caso, le raccomandazioni della Commissione preparatoria;

b) impartisce alla Presidenza, al Procuratore ed al Cancelliere orientamenti generali per l'amministrazione della Corte;

c) esamina i rapporti e le attività dell'Ufficio di Presidenza istituito in forza del paragrafo 3 e prende provvedimenti appropriati;

d) esamina ed approva il bilancio preventivo della Corte;

e) decide in conformità con l'articolo 36 se sia opportuno modificare, se del caso, il numero dei giudici;

f) esamina in conformità con l'articolo 87, paragrafi 5 e 7 ogni questione relativa alla mancanza di cooperazione;

g) espleta ogni altra funzione compatibile con le disposizioni del presente Statuto e con le Regole Procedurali e di Ammissibilità delle Prove.

3. a) L'Assemblea avrà un Ufficio di Presidenza composto da un presidente, due vicepresidenti e 18 membri da essa eletti con mandati triennali;

b) l'Ufficio di Presidenza avrà carattere rappresentativo, in considerazione, fra l'altro, di un'equa distribuzione geografica e di un'adeguata rappresentanza dei principali ordinamenti giuridici del mondo;

c) l'Ufficio di Presidenza si riunisce ogni qualvolta sia necessario, ma almeno una volta l'anno. Esso assiste l'Assemblea nell'espletamento delle sue responsabilità.

4. L'assemblea può istituire tutti gli organi sussidiari che giudica necessari, ivi compreso un organo di sovraintendenza per l'ispezione, la valutazione e l'investigazione della Corte, al fine di migliorare la sua efficienza ed il suo rendimento.

5. Il presidente della Corte, il Procuratore ed il Segretario o loro rappresentanti possono partecipare, come opportuno, alle riunioni dell'Assemblea e dell'Ufficio di Presidenza.

6. L'assemblea si riunisce una volta l'anno e, se le circostanze lo esigono tiene sessioni straordinarie, presso la sede della Corte o presso la sede principale delle Nazioni Unite. Salvo se diversamente specificato nel presente Statuto, le sessioni straordinarie possono essere convocate dall'Ufficio di Presidenza d'Ufficio o a domanda di un terzo degli Stati Parti.

7. Ciascuno Stato Parte dispone di un voto. Ogni sforzo dovrà essere fatto per pervenire a decisioni mediante consenso nell'Assemblea e nell'Ufficio di Presidenza. Se non si raggiunge il consenso, e salvo se diversamente stabilito nello Statuto:

a) le decisioni su questioni di merito devono essere approvate da una maggioranza di due terzi dei presenti e votanti a condizione che una maggioranza assoluta di Stati parti costituisca il quorum per la votazione;

b) le decisioni su questioni di procedura devono essere adottate mediante una maggioranza semplice degli Stati parti presenti e votanti.

8. Uno Stato parte, che è in ritardo con il pagamento dei suoi contributi finanziari alle spese della Corte non dispone di voto in Assemblea e nell'Ufficio di Presidenza, se l'ammontare dei suoi versamenti non pagati è pari o superiore all'ammontare dei contributi dovuti dallo stesso per i due anni precedenti. Tuttavia, l'Assemblea può autorizzare tale Stato parte a votare in Assemblea e nell'Ufficio di Presidenza quando accerti che l'inadempienza di pagamento è dovuta a condizioni che non dipendono dal controllo dello Stato Parte.

9. L'Assemblea adotta le sue regole di procedura.

10. Le lingue ufficiali e di lavoro dell'Assemblea sono quelle dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

 

Capitolo XII. Finanziamento

 

Articolo 113

Disposizioni finanziarie.

Salvo diversa disposizione formale, tutte le questioni finanziarie relative alla Corte ed alle riunioni dell'Assemblea degli Stati parti, ivi compreso l'Ufficio di Presidenza e gli organi sussidiari della stessa sono disciplinate dal presente Statuto, dal Regolamento finanziario e dalle Regole di gestione finanziaria adottate dall'Assemblea degli Stati parti.

 

Articolo 114

Pagamento delle spese.

Le spese della Corte e dell'Assemblea degli Stati parti, nonché dell'Ufficio di Presidenza e degli organi sussidiari della stessa, sono pagate mediante le risorse finanziarie della Corte.

 

Articolo 115

Risorse finanziarie della Corte e dell'Assemblea degli Stati parti.

Le risorse finanziarie della Corte e dell'Assemblea degli Stati parti includendo l'Ufficio di Presidenza e gli organi sussidiari, provengono, secondo quanto previsto nel bilancio preventivo deciso dall'Assemblea degli Stati Parti, dalle seguenti fonti:

a) contributi degli Stati parti;

b) risorse finanziarie fornite dell'Organizzazione delle Nazioni Unite subordinatamente all'approvazione dell'Assemblea generale, in modo particolare per quanto concerne le spese effettuate per le rimessioni decise dal Consiglio di sicurezza.

 

 Articolo 116

Contributi volontari.

Fermo restando l'articolo 115, la Corte può ricevere ed utilizzare a titolo di risorse supplementari, i contributi volontari di Governi, Organizzazioni internazionali, privati, società ed altri enti, secondo i criteri stabiliti in materia dall'Assemblea degli Stati parti.

 

Articolo 117

Calcolo dei contributi.

I contributi degli Stati parti sono calcolati sulla base di un tariffario per le rispettive quote, stabilito di comune accordo, basato sul tariffario adottato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per il suo bilancio preventivo ordinario, ed adeguato in conformità ai princìpi di quest'ultimo tariffario si fonda.

 

Articolo 118

Revisione annuale dei conti.

I registri, i libri ed i conti della Corte, compresi i suoi stati patrimoniali annuali, sono oggetto ogni anno di un controllo da parte di un revisore dei conti indipendente.

 

Capitolo XIII. Clausole finali

 

Articolo 119

Soluzione delle controversie.

1. Ogni controversia relativa alle funzioni giudiziarie della Corte è risolta mediante un decisione della Corte.

2. Ogni altra controversia fra due o più Stati Parti relativa all'interpretazione o applicazione del presente Statuto che non è risolta per via negoziale entro tre mesi dopo il suo inizio, è rinviata all'Assemblea degli Stati parti. L'Assemblea può adoperarsi per risolvere essa stessa la controversia, oppure formulare raccomandazioni su altri mezzi processuali per risolverla, ivi compreso mediante il deferimento alla Corte internazionale di giustizia in conformità allo Statuto di quest'ultima.

 

Articolo 120

Riserve.

Nessuna riserva può essere apportata al presente Statuto.

 

Articolo 121

Emendamenti.

1. Alla scadenza di un periodo di sette anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente Statuto, ogni Stato parte potrà esprimere proposte di emendamento allo stesso. Il testo di ogni proposta di emendamento è sottoposta al Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che lo comunica senza indugio a tutti gli Stati parti.

2. Non prima di tre mesi dopo la data di tale comunicazione, la successiva Assemblea di Stati parti decide, a maggioranza dei presenti e votanti, se ricevere o meno la proposta. L'Assemblea può trattare tale proposta direttamente o convocare una Conferenza di revisione se la questione in oggetto lo giustifica.

3. L'adozione di un emendamento, in una riunione dell'Assemblea degli Stati parti o ad una Conferenza di revisione esige, qualora non sia possibile pervenire ad un consenso, una maggioranza di due terzi di Stati parti.

4. Subordinatamente alle disposizioni del paragrafo 5, un emendamento entra in vigore nei confronti di tutti gli Stati parti un anno dopo che sette ottavi di tali Stati hanno depositato i loro strumenti di ratifica o di accettazione presso il Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

5. Un emendamento all'articolo 5 dello Statuto entra in vigore nei confronti degli Stati parti che lo hanno accettato un anno dopo il deposito dei loro strumenti di ratifica o di accettazione. Nel caso di uno Stato parte che non ha accettato l'emendamento, la Corte non esercita la sua competenza per un reato oggetto di un emendamento, se tale reato è stato commesso da cittadini di tale Stato parte, o sul territorio dello stesso.

6. Se un emendamento è stato accettato da sette ottavi degli Stati parti in conformità al paragrafo 4, ogni Stato parte che non ha accettato l'emendamento può recedere dallo Statuto con effetto immediato, nonostante il paragrafo 1 dell'articolo 127, ma subordinatamente alle disposizioni del paragrafo 2 dell'articolo 127, dando notifica del suo recesso non più tardi di un anno dopo l'entrata in vigore di tale emendamento.

7. Il Segretario Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite comunica a tutti gli Stati parti gli emendamenti adottati n una riunione dell'Assemblea degli Stati parti o ad una Conferenza di revisione.

 

Articolo 122

Emendamenti alle disposizioni di carattere istituzionale.

1. Ogni Stato parte può proporre, in qualsiasi momento, nonostante la norma del paragrafo 1 dell'articolo 121, emendamenti alle disposizioni dello Statuto di carattere esclusivamente istituzionale, vale a dire gli articoli 35, 36 paragrafi 8 e 9, 37, 38, 39 paragrafi 1 (prime due frasi), 2 e 4, 42 paragrafi 4 a 9, 43 paragrafi 2 e 3, 44, 46, 47 e 49. Il testo di ogni proposta di emendamento sarà sottoposto al Segretario Generale delle Nazioni Unite o ad ogni altra persona designata dall'Assemblea degli Stati parti, che lo farà rapidamente circolare a tutti gli Stati parti e ad altri partecipanti all'Assemblea.

2. Gli emendamenti presentati in attuazione del presente articolo, per i quali non è possibile pervenire ad un consenso, sono adottati dall'Assemblea degli Stati parti o da una Conferenza di revisione a maggioranza di due terzi degli Stati parti. Tali emendamenti entrano in vigore nei confronti di tutti gli Stati parti, sei mesi dopo la loro adozione da parte dell'Assemblea o della Conferenza, a seconda dei casi.

 

Articolo 123

Revisione dello Statuto.

1. Sette anni dopo l'entrata in vigore del presente Statuto, il Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite convocherà una Conferenza di revisione per esaminare ogni emendamento al presente Statuto. L'esame potrà concernere in modo particolare, senza tuttavia che ciò sia limitativo, la lista dei reati di cui all'articolo 5. La Conferenza sarà aperta a coloro che partecipano all'Assemblea degli Stati parti, alle stesse condizioni.

2. In qualsiasi momento successivo, su richiesta di uno Stato parte ed ai fini enunciati al paragrafo 1, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, con l'approvazione della maggioranza degli Stati parti, convocherà una Conferenza di revisione.

3. L'adozione e l'entrata in vigore di ogni emendamento al presente Statuto, esaminato ad una Conferenza di revisione, sono regolate dalle disposizioni dell'articolo 121, paragrafi 3 a 7.

 

Articolo 124

Disposizione transitoria.

Nonostante le disposizioni dell'articolo 12, paragrafo 1, uno Stato che diviene parte al presente Statuto può, nei sette anni successivi all'entrata in vigore dello Statuto nei suoi confronti, dichiarare di non accettare la competenza della Corte per quanto riguarda la categoria di reati di cui all'articolo 8 quando sia allegato che un reato è stato commesso sul suo territorio o dai suoi cittadini. Tale dichiarazione può essere ritirata in qualsiasi momento. Le disposizioni del presente articolo saranno riesaminate nella Conferenza di revisione prevista all'articolo 123, paragrafo 1.

 

Articolo 125

Firma, ratifica, accettazione, approvazione o adesione.

1. Il presente Statuto sarà aperto alla firma degli Stati, in Roma, presso la sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione nell'Agricoltura, il 17 luglio 1998. Successivamente a tale data, rimarrà aperto alla firma in Roma presso il Ministero degli Affari esteri della Repubblica italiana fino al 17 ottobre 1996. Dopo tale data, lo Statuto rimarrà aperto alla firma in New York, presso la sede delle Nazioni Unite, fino al 31 dicembre 2000.

2. Il presente Statuto è sottoposto alla ratifica, accettazione o approvazione degli Stati firmatari. Gli strumenti di ratifica, accettazione o approvazione saranno depositati presso il Segretario Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

3. Il presente Statuto sarà aperto all'adesione di tutti gli Stati. Gli strumenti di adesione saranno depositati presso il Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

 

 Articolo 126

Entrata in vigore.

1. Il presente Statuto entra in vigore il primo giorno del mese dopo il sessantesimo giorno successivo alla data di deposito del sessantesimo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione presso il Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

2. Nei confronti di ciascun Stato che ratifica accetta o approva lo Statuto o vi aderisce dopo il deposito del sessantesimo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione lo Statuto entra in vigore il primo giorno del mese dopo il sessantesimo giorno successivo al deposito da parte di questo Stato del suo strumento di ratifica accettazione, approvazione o adesione.

 

Articolo 127

Recesso.

1. Ogni Stato Parte, può, mediante notifica scritta indirizzata la Segretario generale delle Nazioni Unite recedere dal presente Statuto. Il recesso ha effetto un anno dopo la data in cui la notifica è stata ricevuta, a meno che la notifica non specifichi una data posteriore.

2. Il recesso di uno Stato non lo esonera dagli obblighi posti a suo carico dal presente Statuto quando ne era parte, compresi tutti gli obblighi finanziari derivanti, né pregiudica ogni cooperazione concordata con la Corte in occasione di inchieste e procedure penali alle quali lo Stato che recede aveva il dovere di cooperare, ed iniziate prima della data in cui il recesso è divenuto effettivo; tale recesso non impedisce neppure di continuare ad esaminare qualsiasi questione di cui la Corte era già investita prima della data in cui il recesso è divenuto effettivo.

 

 Articolo 128

Testi autentici.

L'originale del presente Statuto i cui testi in arabo, cinese, francese, inglese, russo e spagnolo fanno ugualmente fede, sarà depositato presso il Segretario Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che ne farà avere una copia certificata conforme a tutti gli Stati.

In fede di che, i sottoscritti a tal fine debitamente autorizzati dai loro rispettivi governi hanno firmato il presente Statuto.

 

Fatto a Roma, il diciassette luglio millenovecentonovantotto.

 

 

Atto finale della conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite per l'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

1. Con risoluzione 51/207 del 17 dicembre 1996 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite decise che una conferenza diplomatica di plenipotenziari si sarebbe tenuta nel 1998 per formalizzare ed adottare la Convenzione sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

2. Con risoluzione 52/160 del 15 dicembre 1997, l'Assemblea Generale ha accettato con profonda gratitudine la generosa offerta del Governo italiano di accogliere la Conferenza ed ha deciso che la Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite per la l'istituzione di una Corte penale internazionale avrebbe luogo a Roma dal 15 giugno al 17 luglio 1998.

3. Già precedentemente, mediante la sua risoluzione n. 44 del 1939 del 4 dicembre 1989, l'Assemblea generale aveva chiesto alla Commissione di diritto internazionale di esaminare la questione dell'istituzione di una Corte di giustizia penale internazionale; con risoluzioni n. 45/41 del 28 novembre 1990 et n. 46/54 del 9 dicembre 1991 essa aveva invitato la Commissione ad esaminare in maniera approfondita e ad analizzare le questioni relative ad una giurisdizione penale internazionale, ivi compresa la possibilità d'istituire un tribunale penale internazionale; e con risoluzioni n. 47 del 1933 del 25 novembre 1992 e n. 48 del 1931 del 9 dicembre 1993 essa aveva chiesto alla Commissione di elaborare a titolo prioritario un progetto di statuto per tale giurisdizione.

4. La Commissione di diritto internazionale esaminò la questione dell'istituzione di una Corte penale internazionale dalla sua quarantaduesima sessione tenuta nel 1990 fino alla quarantaseiesima, nel 1994. In quest'ultima occasione, essa completò l'elaborazione di un progetto di statuto per una Corte penale internazionale che venne sottoposto all'Assemblea generale.

5. Con risoluzione n. 49 del 1953 del 9 dicembre 1994, l'Assemblea Generale decise di creare un comitato ad hoc incaricato di esaminare le principali questioni di merito e di natura amministrativa sollevate dal progetto di statuto elaborato dalla Commissione di diritto internazionale e, alla luce di tale esame, di considerare i provvedimenti da prendere per la convocazione di una conferenza internazionale di plenipotenziari.

6. Il Comitato ad hoc sulla creazione di una Corte penale internazionale si è riunito dal 3 al 13 aprile e dal 14 al 25 agosto 1995 per esaminare le questioni sollevate dal progetto di statuto elaborato dalla Commissione di diritto internazionale e, alla luce di tale esame, considerare i provvedimenti da prendere per la convocazione di una conferenza internazionale.

7. Con risoluzione n. 50 del 1946 dell'11 dicembre 1995, l'Assemblea Generale decise di creare un comitato preparatorio incaricato di esaminare in maniera più approfondita le principali questioni di merito e di natura amministrativa sollevate dal progetto di statuto elaborato dalla Commissione di diritto internazionale e, in considerazione delle varie opinioni espresse durante le riunioni del Comitato, di elaborare dei testi in vista della redazione di un testo di sintesi accettabile su larga scala per una convenzione istitutiva di una corte penale internazionale, che avrebbe costituito la prossima tappa sulla via dell'esame della questione da parte di una conferenza di plenipotenziari.

8. Il Comitato preparatorio per la creazione di una corte penale internazionale si é riunito dal 25 marzo al 12 aprile e dal 12 al 20 agosto 1996, per esaminare in maniera più approfondita le questioni derivanti dal progetto di statuto, ed iniziare l'elaborazione di un testo di sintesi accettabile su larga scala per una convenzione istitutiva di una corte penale internazionale.

9. Con risoluzione 51/207 del 17 dicembre 1996, l'Assemblea generale decise che il Comitato preparatorio si sarebbe riunito nel 1997 e nel 1998 per terminare la redazione del progetto di testo in visto di sottoporlo alla Conferenza.

10. Il Comitato preparatorio si é riunito dall'11 al 21 febbraio, dal 4 al 15 agosto e dall'1 al 12 dicembre 1997 per continuare ad elaborare un testo di sintesi accettabile su larga scala per una Convenzione istitutiva di una Corte penale internazionale.

11. Con risoluzione 52/160 del 15 dicembre 1997, l'Assemblea Generale ha pregato il Comitato preparatorio di proseguire i suoi lavori secondo la risoluzione 51/207 dell'Assemblea e alla fine delle sue sessioni, di comunicare alla Conferenza il testo di un progetto di convenzione istitutivo di una Corte penale internazionale redatto in conformità al suo mandato.

12. Il Comitato preparatorio si è riunito dal 16 marzo al 3 aprile 1998 e, durante questa sessione ha terminato l'elaborazione di un progetto di convenzione istitutiva di una Corte penale internazionale, che é stato trasmesso alla Conferenza.

13. La Conferenza si è riunita presso la sede della FAO a Roma dal 15 giugno al 17 luglio 1998.

14. Nella sua risoluzione 52/160 l'Assemblea generale aveva chiesto al Segretario generale d'invitare tutti gli Stati membri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite o membri d'istituzioni specializzate o dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica a partecipare alla Conferenza. Vi hanno partecipato i rappresentanti di 160 Stati la cui lista figura all'annesso II.

15. Nella stessa risoluzione, l'Assemblea generale aveva inoltre pregato il Segretario generale d'invitare alla Conferenza i rappresentanti delle organizzazioni e di altri enti a cui aveva indirizzato, nelle sue risoluzioni pertinenti, un invito permanente a partecipare in qualità di osservatori alle sue sessioni ed ai suoi lavori, rimanendo inteso che tali rappresentanti parteciperebbero alla Conferenza in tale qualità e lo aveva altresì pregato d'invitare in qualità di osservatori alla Conferenza, i rappresentanti delle organizzazioni intergovernative regionali interessate e di altri organi internazionali interessati, in modo particolare i Tribunali internazionali per l'ex-Iugoslavia e per il Ruanda. La lista delle organizzazioni di questo tipo che erano rappresentate alla Conferenza da un osservatore figura all'annesso III.

16. In attuazione della stessa risoluzione il Segretario generale ha invitato le organizzazioni non governative accreditate dal Comitato preparatorio, tenendo conto delle disposizioni della sezione VII della risoluzione 1996/31 del Consiglio economico e sociale del 25 luglio 1996 ed in modo particolare dell'interesse offerto dalle loro attività per i lavori della Conferenza, a partecipare a quest'ultima secondo modalità analoghe a quelle adottate per il Comitato preparatorio e in conformità alle risoluzioni ed al regolamento interno che la Conferenza avrebbe adottato. La lista delle organizzazioni non governative rappresentate alla Conferenza da un osservatore figura all'annesso IV.

17. La Conferenza ha eletto il Sig. Giovanni Conso (Italia) alla carica di presidente.

18. La Conferenza ha eletto alle cariche di vicepresidenti i rappresentanti dei seguenti Stati: Algeria, Austria, Bangladesh Burkina Faso, Cile, Cina, Colombia, Costa Rica, Egitto, ex Repubblica Iugoslava di Macedonia, Federazione di Russia, Francia, Gabon, Germania, Giappone, India, Iran (Repubblica islamica dell'), Kenya, Lettonia, Malawi, Nepal, Nigeria, Pakistan, Repubblica Unita di Tanzania, Regno Unito di Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord, Samoa, Slovacchia, Stati Uniti d'America, Svezia, Trinità e Tobago, e Uruguay.

19. I seguenti organi sono stati istituiti dalla Conferenza

 

Ufficio di Presidenza (Bureau)

 

Presidente:

 Il Presidente della Conferenza

 

Membri:

 Il Presidente ed i Vicepresidenti della Conferenza, il Presidente della Commissione plenaria ed il Presidente del Comitato di redazione

 

Commissione plenaria

 

Presidente:

 Sig. Philippe Kirsch (Canad a)

 

Vicepresidenti:

 Sig.ra Silvia Fernandez de Gurmendi (Argentin a)

 

 

 Sig. Constantin Virgil Ivan (Romani a)

 

 

 e Sig. Phakiso Mochochoko (Lesotho)

 

Relatore:

 Sig. Yasumasa Nagamine (Giappone)

 

Comitato di redazione

 

Presidente:

 Sig. Cherif Bassiouni (Egitto)

 

Membri:

 Africa del Sud, Camerun, Cina, Federazione di Russia, Filippine, Francia, Germania, Ghana, Giamaica, India, Libano, Marocco, Messico, Polonia, Regno Unito di Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord, Repubblica Araba Siriana, Repubblica di Corea, Repubblica Dominicana, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d'America, Sudan, Svizzera e Venezuela.

 

Il Relatore della Commissione plenaria ha partecipato di diritto ai lavori del Comitato di redazione conformemente all'articolo 49 del regolamento interno della Conferenza.

 

Commissione di verifica delle credenziali

 

Presidente:

 Sig.ra Hannelore Benjamin (Dominic a)

 

Membri:

 Argentina, Cina, Costa d'Avorio, Dominica, Federazione di Russia, Nepal, Norvegia, Stati Uniti d'America e Zambia

 

 

 

20. Il Segretario Generale era rappresentato dal Segretario generale aggiunto e consigliere giuridico Hans Corell. Il Signor Roy S. Lee, Direttore della Divisione di codificazione dell'Ufficio degli affari giuridici ha esercitato le funzioni di segretario della Conferenza. Il segretariato era inoltre composto dalle seguenti persone:

Sig. Manuel Rama-Montaldo, Segretario, Comitato di redazione; Sig.ra Mahnoush H. Arsanjani, Segretario della Commissione plenaria; Sig. Mpazi Sinjéla, Segretario della Commissione di verifica delle credenziali; Sig.ra Christiane Bourloyannis-Vrailas, Sig.ra Virginia Morris, Sig. Vladimiro Rudnitsky et Sig. Renan Villacis, Segretari aggiunti della Conferenza.

 

21. La Conferenza é stata investita di un progetto di Statuto istitutivo di una Corte penale internazionale sottoposto dal Comitato preparatorio conformemente al suo mandato (A/CONF. 183/2/Add. l).

22. La Conferenza ha incaricato la Commissione plenaria di esaminare il progetto di Convenzione istitutivo di una Corte penale internazionale adottato dal Comitato preparatorio. Essa ha incaricato il Comitato di reazione, senza riaprire un dibattito di merito su qualsiasi punto, di coordinare e di rifinire la redazione di tutti i testi che gli fossero rinviati, senza modificarli riguardo al merito, nonché di redigere progetti di testo e di fornire pareri su questioni redazionali se ciò fosse richiesto dalla Conferenza o dalla Commissione plenaria, e di resocontare i suoi lavori alla Conferenza o alla Commissione plenaria, come opportuno.

23. Sulla base di tali deliberazioni, come registrate nei resoconti della Conferenza (A/CONF. 183/SR.1 a SR.9) e della Commissione plenaria (A/CONF. 183/C. 1/SR.1 a SR 42) nonché dei rapporti della Commissione plenaria (A/CONF. 183/8) e del Comitato di redazione (A/CONF. 183/C. 1/L.64, L.65/Rev.1, L.66 e Add.1, L.67/Rev.l, L.68/Rev.2, L.82-L.88 e L.91), la Conferenza ha elaborato lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.

24. Lo Statuto, che é sottoposto a ratifica, accettazione o approvazione è stato adottato dalla Conferenza il 17 luglio 1998. È stato aperto alla firma il 17 luglio 1998 e conformemente alle sue disposizioni rimarrà aperto fino al 17 ottobre 1998 presso il Ministero degli Affari Esteri italiano ed in seguito, fino al 31 dicembre 2000, presso la sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite a New York. Anche lo Statuto é aperto per l'adesione conformemente alle sue disposizioni.

25. Dopo il 17 ottobre 1998, data di chiusura della firma al Ministero degli Affari Esteri italiano, lo Statuto sarà depositato presso il Segretario generale delle Nazioni Unite.

26. La Conferenza ha inoltre adottato le seguenti risoluzioni che sono allegate al presente Atto finale:

- omaggio alla Commissione di diritto internazionale;

- omaggio ai partecipanti al Comitato preparatorio per l'istituzione di una Corte penale internazionale ed al suo Presidente;

- omaggio al Presidente della Conferenza al Presidente della Commissione plenaria ed al presidente del Comitato di redazione;

- omaggio al popolo ed al Governo italiano;

- risoluzione su reati definiti da trattato;

- risoluzione istitutiva della Commissione preparatoria per la Corte penale internazionale.

 

In fede di che i rappresentanti hanno firmato il presente Atto finale.

Fatto a Roma, il 17 luglio millenovecentonovantotto, in un unico esemplare in lingua araba, cinese, francese, inglese, russa e spagnola, ciascun testo essendo ugualmente autentico.

La Conferenza ha deciso all'unanimità che l'originale del presente Atto finale sarà depositato presso gli archivi del Ministero degli Affari Esteri italiano.

 

Il Presidente della Conferenza:

  Giovanni Conso

 

Il Rappresentante del Segretario generale:

  Hans Corell

 

Il Segretario Esecutivo della Conferenza

  Roy S. Lee


 

Risoluzioni adottate dalla Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

A

 

La Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

Decide di esprimere la sua profonda gratitudine alla Commissione di diritto internazionale per il suo significativo contributo alla formazione del progetto di Statuto originale che ha costituito la base dei lavori del Comitato preparatorio.

 

B

 

La Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

Rende omaggio ai partecipanti al Comitato preparatorio per l'istituzione di una Corte penale internazionale ed al suo Presidente, Sig. Adriaan Bos, per l'eccellente e notevole lavoro da essi compiuto, e per la loro diligenza e dedizione.

 

C

 

La Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

Esprime il suo vivo ringraziamento e la profonda gratitudine al popolo ed al Governo italiano che hanno preso i provvedimenti necessari per lo svolgimento della Conferenza a Roma, per la loro generosa ospitalità e il loro contributo ad un buon esito dei lavori della Conferenza.

 

D

 

La Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

Esprime la sua soddisfazione ed il suo ringraziamento ai Sigg. Giovanni Conso, Presidente della Conferenza, Philippe Kirsch, Presidente della Commissione plenaria e Cherif Bassiouni, Presidente del Comitato di redazione, i quali grazie all'esperienza, abilità e saggezza di cui hanno dato prova nel guidare i lavori della Conferenza, hanno in gran parte contribuito al suo successo.

 

E

 

La Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

Avendo adottato lo Statuto della Corte penale internazionale;

 

Riconoscendo che gli atti di terrorismo, da chiunque commessi e ovunque perpetrati, a prescindere dal luogo in cui sono commessi e dalle loro forme, metodi o motivazioni, sono crimini gravi che investono la comunità internazionale;

 

Riconoscendo che il traffico internazionale di sostanze stupefacenti illecite é reato grave tale da indebolire l'ordine politico sociale ed economico degli Stati;

 

Profondamente allarmata dalla persistenza di tali flagelli che rappresentano una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionale;

 

Rammaricandosi per il fatto di non aver potuto concordare una definizione accettabile in linea di massima per i crimini di terrorismo ed i reati connessi alla droga, da includere nella giurisdizione della Corte;

 

Rilevando che lo Statuto della Corte penale internazionale prevede un sistema di riesame che consentirà di ampliare in futuro la competenza della Corte;

 

Raccomanda che una Conferenza di riesame organizzata secondo l'articolo 123 dello Statuto della Corte penale internazionale esamini il caso dei crimini di terrorismo e dei reati in materia di stupefacenti, al fine di elaborare una loro definizione accettabile ed includerli nella lista dei reati di competenza della Corte.

 

F

 

La Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale.

 

Avendo adottato lo Statuto della Corte penale internazionale;

 

Avendo deciso di prendere ogni possibile misura affinché la Corte penale internazionale divenga operativa senza indebiti ritardi, e di prendere i necessari provvedimenti per l'inizio delle sue funzioni;

 

Avendo deciso a tal fine di istituire una commissione preparatoria;

 

Decide quanto segue:

 

1. È istituita una Commissione preparatoria per la Corte penale internazionale. Il Segretario generale delle Nazioni Unite convocherà al più presto la Commissione ad una data da stabilirsi dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

 

2. La Commissione sarà composta dai rappresentanti degli Stati che hanno firmato l'Atto finale della Conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale e di altri Stati invitati a partecipare alla Conferenza.

 

3. La Commissione elegge il suo presidente ed altri alti funzionari, adotta il suo regolamento interno e stabilisce il suo programma di lavoro. Queste elezioni si svolgeranno nella prima riunione della Commissione.

 

4. Le lingue ufficiali e di lavoro della Commissione preparatoria saranno quelle dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

 

5. La Commissione elabora proposte relative ai provvedimenti da adottare all'atto pratico relativamente all'istituzione ed al funzionamento operativo della Corte, compresi i seguenti progetti di testi:

 

a) regole procedurali e di ammissibilità delle prove;

 

b) elementi costitutivi dei reati;

 

c) accordo per disciplinare le relazioni fra la Corte e le Nazioni Unite;

 

d) princìpi di base per disciplinare l'Accordo di sede che sarà negoziato fra la Corte ed il paese ospite;

 

e) regole e regolamenti finanziari;

 

f) accordo sui privilegi e le immunità della Corte;

 

g) bilancio preventivo del primo anno finanziario;

 

h) regolamento procedurale interno dell'Assemblea degli Stati parti.

 

6. I progetti di testo relativi alle Regole procedurali e di ammissibilità delle prove ed agli Elementi costitutivi dei reati dovranno essere resi definitivi prima del 30 giugno 2000.

 

7. La Commissione formulerà proposte per una disposizione relativa all'aggressione, comprendente la definizione e gli elementi del crimine di aggressione nonché le condizioni in cui la Corte penale internazionale eserciterà la sua competenza per questo crimine. La Commissione sottoporrà tali proposte all'Assemblea degli Stati parte in occasione di una Conferenza di riesame in vista di pervenire ad una disposizione accettabile sul crimine di aggressione, da includere nel presente Statuto. Le disposizioni relative al crimine di aggressione entrano in vigore per gli Stati parte, in conformità alle disposizioni pertinenti del presente Statuto.

 

8. La Commissione rimane in esercizio fino alla conclusione della prima riunione dell'Assemblea di Stati parte.

 

9. La Commissione elabora un rapporto su tutte le questioni di competenza del suo mandato, e lo sottopone alla prima riunione dell'Assemblea degli Stati parte.

 

10. La Commissione si riunirà presso la sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Il Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite è richiesto di fornire alla Commissione tutti i necessari servizi di segretariato, fatta salva l'approvazione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

 

11. Il Segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite sottoporrà la presente risoluzione all'attenzione dell'Assemblea generale ai fini di ogni eventuale provvedimento.

 

Lista dei Paesi partecipanti alla conferenza diplomatica di plenipotenziari delle Nazioni Unite sull'istituzione di una Corte penale internazionale

(omissis)

Lista delle organizzazioni ed altri enti rappresentati alla conferenza da un osservatore

(omissis)

Listadelle organizzazioni non governative presenti alla conferenza tramite osservatori

(omissis)


 

L. 7 giugno 1999, n. 207.
Ratifica ed esecuzione dell'accordo fra il Governo della Repubblica italiana e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, fatto a L'Aja il 6 febbraio 1997 (2).

 

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 30 giugno 1999, n. 151.

(2)  Il Ministero degli affari esteri ha reso noto che in data 27 agosto si è provveduto a notificare alla controparte l'espletamento delle procedure previste sul piano interno del presente accordo; di conseguenza il medesimo accordo, ai sensi del'art. 12 dello stesso, è entrato in vigore il 27 agosto 1999 (comunicato in Gazz. Uff. 26 novembre 1999, n. 278).

 

 

Art. 1.  

1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'accordo fra il Governo della Repubblica italiana e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, fatto a L'Aja il 6 febbraio 1997.

 

 

Art. 2.  

1. Piena ed intera esecuzione è data dall'accordo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 12 dell'accordo stesso.

 

 

Art. 3. 

 1. ... (3).

 

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(3)  Aggiunge l'art. 13-bis al D.L. 28 dicembre 1993, n. 544.

 

 

Art. 4.  

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia

 

Il Governo della Repubblica Italiana (d'ora in poi «lo Stato richiesto»).

 

Il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia (d'ora in poi «il Tribunale Internazionale»), in nome e per conto delle Nazioni Unite.

 

Ricordando l'articolo 27 dello Statuto del Tribunale Internazionale, annesso alla risoluzione del Consiglio di sicurezza 827 (1993) del 25 maggio 1993, in virtù del quale l'espiazione della pena per le persone condannate dal Tribunale Internazionale avrà luogo in uno Stato designato dal Tribunale Internazionale su una lista di Stati che abbiano espresso al Consiglio di sicurezza la loro disponibilità ad accettare persone condannate;

 

Notando la disponibilità dello Stato richiesto a dare esecuzione a condanne inflitte dal Tribunale Internazionale;

 

Ricordando le disposizioni delle Regole sullo standard minimo nel trattamento dei detenuti, approvate dal Consiglio economico e sociale (ECOSOC), risoluzioni 663 (XXIV) del 31 luglio 1957 e 2067 (LXII) del 13 maggio 1977, i princìpi sulla protezione di tutte le persone che si trovino in qualsivoglia forma di detenzione o imprigionamento, formulati dall'Assemblea Generale con la risoluzione 43/173 del 9 dicembre 1988, e i princìpi fondamentali sul trattamento dei detenuti, adottati dall'Assemblea Generale con la risoluzione 45/111 del 14 dicembre 1990;

 

Al fine di dare effetto ai giudizi e alle sentenze del Tribunale Internazionale;

 

Stipulano quanto segue:

 

 

Art. 1. 

Oggetto e ambito di applicazione dell'Accordo.

Il presente Accordo disciplina le questioni relative ad ogni richiesta fatta allo stato richiesto di dare esecuzione alle sentenze pronunciate dal Tribunale Internazionale.

 

 

Art. 2. 

Procedura.

1. Il Cancelliere del Tribunale Internazionale (d'ora in poi «il Cancelliere»), con l'approvazione del Presidente del Tribunale Internazionale (d'ora in poi «il Presidente») dovrà far pervenire al Governo della Repubblica Italiana una richiesta ai fini di esecuzione della sentenza.

 

2. Al momento della richiesta il Cancelliere deve trasmettere al Ministro di grazia e giustizia della Repubblica Italiana (dora in poi «il Ministro di grazia e giustizia») la seguente documentazione:

 

a) una copia certificata conforme della sentenza di condanna;

 

b) una dichiarazione che indichi il periodo di pena già espiata, ivi comprese tutte le rilevanti informazioni sulla detenzione cautelare;

 

c) laddove appropriato, ogni rapporto medico o psicologico sul condannato, ogni raccomandazione quanto al suo trattamento nello Stato richiesto e ogni altra informazioni rilevante ai fini dell'esecuzione della pena.

 

3. Il Ministro di grazia e giustizia sottoporrà la richiesta alle competenti autorità nazionali, in conformità alla legge italiana, e più specificamente ai sensi dell'articolo 7, comma 1, delle «Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia» (D.L. 28 dicembre 1993, n. 544, convertito in legge 14 febbraio 1994, n. 120, d'ora in poi «Disposizioni in materia di cooperazione»).

 

4. Le autorità nazionali competenti decideranno prontamente sulla richiesta del Cancelliere, in applicazione dell'articolo 7, commi 2, 3 e 4, delle «Disposizioni in materia di cooperazione».

 

 

Art. 3. 

Esecuzione.

1. Nell'esecuzione della pena inflitta dal Tribunale Internazionale, le competenti autorità nazionali dello Stato richiesto saranno vincolate alla durata stabilita nella sentenza.

 

2. Le condizioni di detenzione sono quelle stabilite dalla legge dello Stato richiesto, in applicazione dell'articolo 8, comma 1, delle «Disposizioni in materia di cooperazione», sotto il controllo del Tribunale Internazionale, come previsto dall'articolo 8, comma 2, delle «Disposizioni in materia di cooperazione» già menzionate e dagli articoli da 6, 7, 8 e 9 commi 2 e 3 del presente Accordo.

 

3. Se in base alla legge nazionale dello Stato richiesto, il condannato può essere ammesso a misure alternative alla detenzione o al lavoro esterno, ovvero può beneficiare della liberazione condizionale, il Ministro di grazia e giustizia ne informa il Presidente del Tribunale internazionale.

 

4. Se il Presidente del Tribunale Internazionale, in consultazione con i giudici, non ritiene opportuna l'applicazione al condannato di una delle misure indicate nel comma 3, il Cancelliere ne informa tempestivamente il Ministro di grazia e giustizia, che provvede a norma dell'articolo 10 del presente Accordo, disponendo il trasferimento del condannato al Tribunale Internazionale.

 

5. Le condizioni di detenzione devono essere compatibili con le Regole sullo standard minimo nel trattamento dei detenuti, nonché con i princìpi fondamentali sul trattamento dei detenuti e sulla protezione di tutte le persone che si trovano in qualsiasi forma di detenzione o imprigionamento.

 

 

Art. 4. 

Trasferimento del condannato.

Il Cancelliere prende tutti gli accordi necessari per il trasferimento del condannato dal Tribunale Internazionale alle competenti autorità nazionali dello Stato richiesto. Prima di essere trasferito, il condannato sarà informato dal Cancelliere del contenuto di questo Accordo.

 

 

Art. 5. 

Non-bis-in-idem.

Il condannato non potrà essere processato dai tribunali dello Stato richiesto per fatti costituenti gravi violazioni del diritto internazionale umanitario in base allo Statuto del Tribunale Internazionale, per i quali sia già stato processato dal Tribunale Internazionale stesso.

 

 

Art. 6.

 Ispezione.

1. Conformemente ad accordi con le competenti autorità del Ministero di grazia e giustizia, in applicazione dell'articolo 8 comma 2 delle «Disposizioni in materia di cooperazione», il Ministro di grazia e giustizia dello Stato richiesto permetterà ispezioni ai fini di verifica delle condizioni di detenzione e trattamento dei detenuti da parte del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) in ogni momento e su base periodica, la frequenza delle visite essendo determinata dal CICR. Sulla base dei risultati delle ispezioni il CICR sottoporrà un rapporto confidenziale al Ministro di grazia e giustizia e al Presidente del Tribunale Internazionale.

 

2. Il Ministro di grazia e giustizia e il Presidente del Tribunale Internazionale dovranno consultarsi sui risultati del rapporto previsto al comma 1. Il Presidente del Tribunale Internazionale potrà successivamente richiedere al Ministro di grazia e giustizia di informarlo di ogni modifica nelle condizioni di detenzione suggerita dal CICR.

 

 

Art. 7. 

Informazione.

1. Il Ministro di grazia e giustizia informa tempestivamente il Presidente del Tribunale Internazionale nei seguenti casi:

 

a) quando il condannato è evaso;

 

b) quando il condannato è deceduto;

 

c) due mesi prima della dimissione del condannato per espiazione della pena.

 

2. Il Presidente del Tribunale Internazionale e il Ministro di grazia e giustizia possono sempre consultarsi sulle questioni relative alle modalità di esecuzione della pena.

 

 

Art. 8. 

Grazia e commutazione della pena.

1. Se, in applicazione della legge nazionale dello Stato richiesto, il condannato sia ritenuto meritevole di grazia o possa beneficiare di una qualche forma di commutazione della pena, il Ministro di grazia e giustizia ne informa il Cancelliere.

 

2. Se il Presidente del Tribunale Internazionale, in consultazione con i giudici, considera che la concessione delle misure previste al comma 1 non è opportuna, il Cancelliere ne informa tempestivamente il Ministro di grazia e giustizia, che provvede a norma dell'articolo 10 del presente Accordo, disponendo il trasferimento del condannato al Tribunale Internazionale.

 

 

Art. 9. 

Cessazione dell'esecuzione.

1. L'esecuzione della sentenza cessa quando:

 

a) la pena sia stata purgata;

b) il condannato sia deceduto;

c) sia intervenuto provvedimento di grazia;

d) sia stata pronunciata una decisione del Tribunale Internazionale in base al comma 2 del presente articolo.

 

2. Il Tribunale Internazionale può in ogni momento decidere di richiedere la cessazione dell'esecuzione della sentenza nello Stato richiesto e il trasferimento del condannato in altro Stato o presso il Tribunale Internazionale stesso.

 

3. Le autorità competenti dello Stato richiesto interrompono l'esecuzione della sentenza non appena siano state informate dal Cancelliere di qualsivoglia decisione o misura in virtù della quale la sentenza cessa di essere eseguibile.

 

 

Art. 10. 

Impossibilità di esecuzione della sentenza.

Se, in qualsiasi momento successivo alla decisione di dare esecuzione alla sentenza, per qualunque ragione, giuridica o di fatto, l'esecuzione dovesse risultare impossibile, il Ministro di grazia e giustizia notifica prontamente al Cancelliere detta impossibilità. Il Cancelliere prende, quindi, i necessari accordi per il trasferimento del condannato. Le autorità competenti dello Stato richiesto dovranno, comunque, attendere sessanta giorni dalla notificazione, prima di adottare ogni altra misura.

 

 

 

Art. 11.

 Oneri finanziari.

Il Tribunale Internazionale provvederà alle spese per il trasferimento del condannato verso e dallo Stato richiesto, salvo diverso accordo tra le parti. Saranno a carico dello Stato richiesto tutte le altre spese derivanti dall'esecuzione della sentenza.

 

Art. 12.

 Entrata in vigore.

L'Accordo entrerà in vigore alla data in cui le Nazioni Unite riceveranno la notifica da parte del Governo della Repubblica Italiana dell'avvenuto espletamento delle procedure interne.

 

 

Art. 13. 

Durata dell'Accordo.

1. L'accordo rimarrà in vigore fino a quando le sentenze del Tribunale Internazionale non siano state eseguite dallo Stato richiesto ai termini e alle condizioni previsti nell'Accordo stesso.

 

2. Ciascuna delle parti, previa consultazione, può chiedere la cessazione dell'Accordo dando due mesi di preavviso. L'Accordo non può essere denunciato prima che l'esecuzione delle sentenze alle quali si applica sia stata completata e, laddove applicabile, prima del trasferimento del condannato in applicazione dell'articolo 10 dell'Accordo stesso.

 

Fatto a L'Aia, il 6 febbraio 1997, in duplice copia in inglese e in italiano, la versione inglese facendo fede, dai sottoscritti, debitamente autorizzati.


 

L. 2 agosto 2002, n. 181.
Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio del Ruanda e Stati vicini.

 

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 14 agosto 2002, n. 190.

 

 

 

Art. 1. 

Definizioni.

1. Ai fini della presente legge:

 

a) per «risoluzione» si intende la risoluzione n. 955/1994, integrata dalla risoluzione n. 1165/1998, adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l'8 novembre 1994 ai sensi del capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945, reso esecutivo con legge 17 agosto 1957, n. 848;

 

 

b) per «Tribunale internazionale» si intende il Tribunale internazionale istituito dalla risoluzione per giudicare i responsabili di crimini di genocidio e di altre gravi violazioni del diritto umanitario internazionale commesse nei territori del Ruanda e Stati vicini dal 1° gennaio 1994 al 31 dicembre 1994;

 

 

c) per «statuto» si intende lo statuto del Tribunale internazionale adottato dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione.

 

 

Art. 2. 

Obbligo di cooperazione.

1. Lo Stato italiano coopera con il Tribunale internazionale conformemente alle disposizioni della risoluzione, dello statuto e della presente legge.

 

2. L'autorità competente a ricevere le richieste di cooperazione del Tribunale internazionale previste dalla presente legge e a dare seguito ad esse è il Ministro della giustizia.

 

 

Art. 3. 

Trasferimento dei procedimenti penali.

1. Quando il Tribunale internazionale richiede, a norma dell'articolo 8, paragrafo 2, dello statuto, il trasferimento del procedimento penale pendente dinanzi ad un'autorità giudiziaria, il giudice dichiara con sentenza che non può ulteriormente procedersi per l'esistenza della giurisdizione prioritaria del Tribunale internazionale, sempre che ricorrano le seguenti condizioni:

 

a) se il Tribunale internazionale procede per il medesimo fatto per il quale procede il giudice italiano;

 

 

b) se il fatto rientra nella giurisdizione territoriale e temporale del Tribunale internazionale ai sensi dell'articolo 7 dello statuto.

 

2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 127 del codice di procedura penale, con la partecipazione necessaria del difensore; il ricorso per cassazione ha effetto sospensivo.

 

3. Il giudice trasmette gli atti al Ministro della giustizia per l'inoltro al Tribunale internazionale.

 

4. Nel caso previsto dal comma 1 il corso della prescrizione rimane sospeso per non più di tre anni. La prescrizione riprende il suo corso se viene riaperto il procedimento a norma dell'articolo 4.

 

 

Art. 4.

Riapertura del procedimento nazionale.

1. Il procedimento penale dinanzi all'autorità giudiziaria italiana è riaperto quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

 

a) se il procuratore del Tribunale internazionale decide, ai sensi dell'articolo 17 dello statuto, di non formulare l'atto di accusa;

 

 

b) se il giudice del Tribunale internazionale decide, ai sensi dell'articolo 18 dello statuto, di non confermare l'atto di accusa;

 

 

c) se il Tribunale internazionale dichiara la propria incompetenza.

 

2. Qualora ricorra una delle ipotesi indicate nel comma 1, il giudice per le indagini preliminari autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero; in tale caso i termini per le indagini iniziano a decorrere nuovamente. Se è stata già esercitata l'azione penale, il giudice per le indagini preliminari ovvero il presidente del tribunale provvede alla rinnovazione dell'atto introduttivo della fase o del grado nei quali è stato deciso il trasferimento del processo penale a favore del Tribunale internazionale.

 

 

Art. 5. 

Divieto di nuovo giudizio.

1. Una persona che è stata giudicata con sentenza definitiva del Tribunale internazionale non può essere di nuovo sottoposta a procedimento penale nel territorio nazionale per il medesimo fatto.

 

2. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni dell'articolo 649 del codice di procedura penale.

 

 

Art. 6. 

Comunicazioni e trasmissioni di atti.

1. L'autorità giudiziaria comunica senza ritardo al Tribunale internazionale le iscrizioni nel registro previsto dall'articolo 335 del codice di procedura penale relative alle notizie di reato in ordine alle quali ritiene sussistere la giurisdizione concorrente del Tribunale internazionale. La comunicazione contiene, altresì, una sommaria esposizione dei fatti.

 

2. Qualora il Tribunale internazionale ne faccia domanda, al fine di valutare se richiedere il trasferimento del procedimento penale, l'autorità giudiziaria trasmette una sommaria esposizione dei fatti unitamente agli atti che non sono coperti dal segreto o a quelli dei quali il pubblico ministero consente la pubblicazione con decreto motivato.

 

 

Art. 7. 

Riconoscimento della sentenza del Tribunale internazionale.

1. Qualora, sulla base della dichiarazione di disponibilità espressa ai sensi dell'articolo 26 dello statuto, il Tribunale internazionale abbia indicato lo Stato come luogo di espiazione della pena, il Ministro della giustizia richiede il riconoscimento della sentenza del Tribunale internazionale. A tale scopo trasmette al procuratore generale presso la corte di appello di Roma la richiesta, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti che vi siano allegati. Il procuratore generale promuove il riconoscimento con richiesta alla corte di appello.

 

2. La sentenza del Tribunale internazionale non può essere riconosciuta se ricorre una delle seguenti ipotesi:

 

a) la sentenza non è divenuta irrevocabile a norma dello statuto e delle altre disposizioni che regolano l'attività del Tribunale internazionale;

 

 

b) la sentenza contiene disposizioni contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato;

 

 

c) il fatto per il quale è stata pronunciata la sentenza non è previsto come reato dalla legge italiana;

 

 

d) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile.

 

3. La corte di appello di Roma delibera con sentenza in ordine al riconoscimento, osservate le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale. Si applica l'articolo 734, comma 2, del codice di procedura penale.

 

4. La corte di appello di Roma, quando pronuncia il riconoscimento, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato. A tale fine converte la pena detentiva stabilita dal Tribunale internazionale nella pena della reclusione. Nell'esecuzione della pena inflitta dal Tribunale internazionale, la Corte è vincolata dalla durata stabilita nella sentenza (2).

 

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(2)  Periodo così sostituito dall'art. 3, L. 6 febbraio 2006, n. 64.

 

 

Art. 8. 

Esecuzione della pena.

1. Nel caso previsto dall'articolo 7 la pena è eseguita secondo la legge italiana.

 

2. Il controllo da parte del Tribunale internazionale ai sensi dell'articolo 26 dello statuto è esercitato sulla base di accordi con il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia.

 

 

Art. 9. 

Provvedimenti relativi alla grazia.

1. Nel caso previsto dall'articolo 8 il Ministro della giustizia, se ritiene che il condannato sia meritevole della grazia, la propone al presidente del Tribunale internazionale per la decisione ai sensi dell'articolo 27 dello statuto, trasmettendo gli atti dell'istruttoria espletata.

 

 

Art. 10. 

Cooperazione giudiziaria.

1. Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste formulate dal Tribunale internazionale a norma dell'articolo 28 dello statuto, trasmettendole per l'esecuzione al procuratore generale presso la corte di appello di Roma, salvo quanto previsto dal comma 6.

 

2. Qualora la richiesta abbia per oggetto una attività di indagine o di acquisizione di prove, il procuratore generale chiede alla corte di appello di dare esecuzione alla richiesta.

 

3. La corte di appello dà esecuzione alla richiesta con decreto, delegando il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono essere compiuti.

 

4. Per il compimento degli atti richiesti si applicano le norme del codice di procedura penale, salva l'osservanza delle forme espressamente richieste dal Tribunale internazionale che non siano contrarie ai princìpi dell'ordinamento giuridico dello Stato.

 

5. Se il Tribunale internazionale ne ha fatto domanda, l'autorità giudiziaria delegata lo informa della data e del luogo di esecuzione degli atti richiesti. Il procuratore e i giudici del Tribunale che lo richiedono sono ammessi a presenziare all'esecuzione degli atti e possono proporre domande e suggerire modalità esecutive.

 

6. Le citazioni e le altre notificazioni richieste dal Tribunale internazionale sono trasmesse al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui esse devono essere eseguite, il quale provvede senza ritardo.

 

7. Se il Tribunale internazionale ne fa richiesta, è disposto l'accompagnamento coattivo davanti ad esso del testimone, del perito o del consulente tecnico i quali, sebbene citati, non siano comparsi. Le spese dell'accompagnamento sono a carico dello Stato.

 

 

Art. 11.

Consegna di imputato.

1. Quando la richiesta indicata nell'articolo 10, comma 1, ha per oggetto la consegna di un imputato al Tribunale internazionale, il procuratore generale, ricevuti gli atti, presenta senza ritardo la requisitoria alla corte di appello. La requisitoria è depositata nella cancelleria della corte di appello unitamente agli atti. Dell'avvenuto deposito è data comunicazione alle parti con l'avviso della data dell'udienza.

 

2. La corte di appello decide senza ritardo, con le forme dell'articolo 127 del codice di procedura penale, con la partecipazione necessaria del difensore, con sentenza. Tuttavia il ricorso per cassazione, che può essere proposto anche per il merito, ha effetto sospensivo.

 

3. La corte di appello pronuncia sentenza con la quale dichiara che non sussistono le condizioni per la consegna solo se ricorre una delle seguenti ipotesi:

 

a) non è stato emesso dal Tribunale internazionale un provvedimento restrittivo della libertà personale;

 

 

b) non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna;

 

 

c) il fatto in relazione al quale la consegna è richiesta non è compreso nella giurisdizione temporale e territoriale del Tribunale internazionale;

 

 

d) il fatto per il quale la consegna è richiesta non è previsto come reato dalla legge italiana;

 

 

e) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile.

 

4. Si applica l'articolo 701, comma 2, del codice di procedura penale.

 

5. Il Ministro della giustizia provvede con decreto sulla richiesta della consegna senza ritardo dopo avere ricevuto comunicazione della scadenza del termine per l'impugnazione della sentenza della corte di appello o del deposito della sentenza della Corte di cassazione ovvero il verbale indicato nell'articolo 12, comma 3, contenente il consenso della persona alla consegna e prende accordi con il Tribunale internazionale circa il tempo, il luogo e le modalità della consegna. Si applica l'articolo 709, comma 1, del codice di procedura penale.

 

 

Art. 12. 

Applicazione di misura cautelare ai fini della consegna.

1. Il procuratore generale, ricevuti gli atti a norma dell'articolo 10, comma 1, richiede alla corte di appello l'applicazione di una misura cautelare coercitiva; se il Tribunale internazionale ha richiesto la custodia in carcere della persona ai sensi dell'articolo 28, paragrafo 2, lettera d), dello statuto, ovvero altra misura specifica, il procuratore generale richiede alla corte di appello l'applicazione esclusivamente di tale misura.

 

2. La corte di appello dispone con ordinanza la misura richiesta; può disporre una misura meno grave solo se il procuratore generale non ha espressamente richiesto di provvedere esclusivamente in ordine alla misura indicata. Si applica l'articolo 719 del codice di procedura penale.

 

3. Il presidente della corte di appello, al più presto e comunque entro cinque giorni dalla esecuzione della misura, provvede all'identificazione della persona e ne raccoglie l'eventuale consenso alla consegna, facendone menzione nel verbale. Il verbale che documenta il consenso è trasmesso al procuratore generale per l'ulteriore inoltro al Ministro della giustizia. Si applica l'articolo 717, comma 2, del codice di procedura penale.

 

4. La misura della custodia in carcere può essere sostituita quando ricorrono gravi motivi di salute.

 

5. Le misure cautelari sono revocate:

 

a) se dall'inizio della loro esecuzione ovvero nel caso di applicazione provvisoria della misura cautelare a norma dell'articolo 13, dal momento in cui è pervenuta la richiesta di consegna sono decorsi venticinque giorni senza che la corte di appello si sia pronunciata sulla richiesta di consegna;

 

 

b) se la corte di appello abbia pronunciato sentenza contraria alla consegna;

 

 

c) se sono decorsi quindici giorni dalla scadenza dei termini indicati nell'articolo 11, comma 5, senza che il Ministro della giustizia abbia emesso il decreto con cui è disposta la consegna;

 

 

d) se sono decorsi trenta giorni dal giorno fissato per la presa in consegna da parte del Tribunale internazionale, senza che questa sia avvenuta.

 

 

Art. 13. 

Applicazione provvisoria di misura cautelare.

1. Se il Tribunale internazionale ne fa domanda, l'applicazione della misura cautelare coercitiva può essere disposta provvisoriamente anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta, se:

 

a) il Tribunale internazionale ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale e che intende presentare richiesta di consegna;

 

 

b) il Tribunale internazionale ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e gli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona.

 

2. Ai fini dell'applicazione della misura si osservano le disposizioni dell'articolo 12.

 

3. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente al Tribunale internazionale l'avvenuta esecuzione della misura cautelare. Essa è revocata se entro venti giorni dalla comunicazione non perviene la richiesta di consegna da parte del Tribunale internazionale.

 

 

Art. 14. 

Arresto da parte della polizia giudiziaria.

1. Nei casi di urgenza, la polizia giudiziaria può procedere all'arresto della persona nei confronti della quale il Tribunale internazionale ha formulato una domanda di applicazione di una misura cautelare coercitiva, se ricorrono le condizioni previste dall'articolo 13, comma 1. Essa provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.

 

2. L'autorità che ha proceduto all'arresto ne informa immediatamente il Ministro della giustizia e al più presto, e comunque non oltre quarantotto ore, pone l'arrestato a disposizione del presidente della corte di appello del distretto in cui è avvenuto l'arresto, mediante la trasmissione del relativo verbale.

 

3. Quando non deve disporre la liberazione dell'arrestato, il presidente della corte di appello di cui al comma 2, entro quarantotto ore dal ricevimento del verbale, lo convalida con ordinanza disponendo l'applicazione di una misura cautelare coercitiva. I provvedimenti emessi e gli atti sono trasmessi senza ritardo alla corte di appello di Roma.

 

4. La misura cautelare coercitiva cessa di avere effetto se la corte di appello di Roma entro venti giorni dalla sua applicazione non provvede a norma dell'articolo 13.

 

5. Delle decisioni assunte la corte di appello di Roma informa senza ritardo il Ministro della giustizia.

 

6. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente al Tribunale internazionale l'applicazione della misura coercitiva. Essa è revocata se entro venti giorni dalla comunicazione non perviene la richiesta di consegna da parte del Tribunale internazionale.

 

 

Art. 15. 

Ruolo delle organizzazioni non governative.

1. Lo Stato italiano favorisce la collaborazione delle organizzazioni non governative nazionali ed internazionali con il Tribunale internazionale, in particolare con riferimento alla diffusione presso il pubblico degli scopi e delle attività del Tribunale medesimo e alla raccolta e trasmissione di informazioni ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, dello statuto.

 

2. Nella fase delle indagini preliminari nei procedimenti penali davanti all'autorità giudiziaria italiana relativi a fatti che sono ricompresi nella competenza del Tribunale internazionale, le organizzazioni indicate al comma 1 hanno facoltà di presentare memorie e indicare fonti ed elementi di prova.

 

 

Art. 16. 

Modifiche al decreto-legge 28 dicembre 1993, n. 544, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 febbraio 1994, n. 120.

1. Al decreto-legge 28 dicembre 1993, n. 544, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 febbraio 1994, n. 120, sono apportate le seguenti modifiche:

 

a) all'articolo 3, al comma 2, la parola: «; tuttavia» è sostituita dalle seguenti: «, con la partecipazione necessaria del difensore;»;

 

b) ... (3);

 

c) ... (4);

 

 

d) all'articolo 11, al comma 2, dopo le parole: «procedura penale» sono inserite le seguenti: «, con la partecipazione necessaria del difensore»;

 

e) ... (5);

 

f) all'articolo 11, al comma 4, dopo le parole: «nell'articolo 12, comma 3,» sono inserite le seguenti: «contenente il consenso della persona alla consegna».

 

2. Le disposizioni del comma 1 che prevedono la partecipazione necessaria del difensore non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

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(3)  Sostituisce il comma 2 dell'art. 5, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544.

(4)  Aggiunge la lettera a-bis) al comma 2 dell'art. 7, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544.

(5)  Aggiunge il comma 3-bis all'art. 11, D.L. 28 dicembre 1993, n. 544.

 

 

Art. 17. 

Entrata in vigore.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


L. 22 aprile 2005, n. 69.
Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri
(art. 8)

 

(1)

 

(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 29 aprile 2005, n. 98.

 

(omissis)

 

Art. 8.

Consegna obbligatoria.

1. Si fa luogo alla consegna in base al mandato d'arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione, per i fatti seguenti, sempre che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale sia pari o superiore a tre anni:

a) partecipare ad una associazione di tre o più persone finalizzata alla commissione di più delitti;

b) compiere atti di minaccia contro la pubblica incolumità ovvero di violenza su persone o cose a danno di uno Stato, di una istituzione od organismo internazionale, al fine di sovvertire l'ordine costituzionale di uno Stato ovvero distruggere o indebolire le strutture politiche, economiche o sociali nazionali o sovranazionali;

c) costringere o indurre una o più persone, mediante violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio di uno Stato, o a trasferirsi all'interno dello stesso, al fine di sottoporla a schiavitù o al lavoro forzato o all'accattonaggio o allo sfruttamento di prestazioni sessuali;

d) indurre alla prostituzione ovvero compiere atti diretti al favoreggiamento o allo sfruttamento sessuale di un bambino; compiere atti diretti allo sfruttamento di una persona di età infantile al fine di produrre, con qualsiasi mezzo, materiale pornografico; fare commercio, distribuire, divulgare o pubblicizzare materiale pornografico in cui è riprodotto un minore;

e) vendere, offrire, cedere, distribuire, commerciare, acquistare, trasportare, esportare, importare o procurare ad altri sostanze che, secondo le legislazioni vigenti nei Paesi europei, sono considerate stupefacenti o psicotrope;

f) commerciare, acquistare, trasportare, esportare o importare armi, munizioni ed esplosivi in violazione della legislazione vigente;

g) ricevere, accettare la promessa, dare o promettere denaro o altra utilità in relazione al compimento o al mancato compimento di un atto inerente ad un pubblico ufficio;

h) compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi ovvero la diminuzione illegittima di risorse iscritte nel bilancio di uno Stato o nel bilancio generale delle Comunità europee o nei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse; compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa alla distrazione di tali fondi per fini diversi da quelli per cui essi sono stati inizialmente concessi; compiere le medesime azioni od omissioni a danno di un privato, di una persona giuridica o di un ente pubblico;

i) sostituire o trasferire denaro, beni o altre utilità provenienti da reato, ovvero compiere in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza illecita;

l) contraffare monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori di esso o alterarle in qualsiasi modo dando l'apparenza di un valore superiore;

m) commettere, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, un fatto diretto a introdursi o a mantenersi abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici, dati, informazioni o programmi in essi contenuti o a essi pertinenti;

n) mettere in pericolo l'ambiente mediante lo scarico non autorizzato di idrocarburi, oli usati o fanghi derivanti dalla depurazione delle acque, l'emissione di sostanze pericolose nell'atmosfera, sul suolo o in acqua, il trattamento, il trasporto, il deposito, l'eliminazione di rifiuti pericolosi, lo scarico di rifiuti nel suolo o nelle acque e la gestione abusiva di una discarica; possedere, catturare e commerciare specie animali e vegetali protette;

o) compiere, al fine di trarne profitto, atti diretti a procurare l'ingresso illegale nel territorio di uno Stato di una persona che non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente;

p) cagionare volontariamente la morte di un uomo o lesioni personali della medesima gravità di quelle previste dall' articolo 583 del codice penale;

q) procurare illecitamente e per scopo di lucro un organo o un tessuto umano ovvero farne comunque commercio;

r) privare una persona della libertà personale o tenerla in proprio potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi, una persona fisica o giuridica o una collettività di persone fisiche, a compiere un qualsiasi atto o ad astenersene, subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione;

s) incitare pubblicamente alla violenza, come manifestazione di odio razziale nei confronti di un gruppo di persone, o di un membro di un tale gruppo, a causa del colore della pelle, della razza, della religione professata, ovvero dell'origine nazionale o etnica; esaltare, per razzismo o xenofobia, i crimini contro l'umanità;

t) impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, facendo uso delle armi o a seguito dell'attività di un gruppo organizzato;

u) operare traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti di antiquariato e le opere d'arte;

v) indurre taluno in errore, con artifizi o raggiri, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno;

z) richiedere con minacce, uso della forza o qualsiasi altra forma di intimidazione, beni o promesse o la firma di qualsiasi documento che contenga o determini un obbligo, un'alienazione o una quietanza;

aa) imitare o duplicare abusivamente prodotti commerciali, al fine di trarne profitto;

bb) falsificare atti amministrativi e operare traffico di documenti falsi;

cc) falsificare mezzi di pagamento;

dd) operare traffico illecito di sostanze ormonali e di altri fattori della crescita;

ee) operare traffico illecito di materie nucleari e radioattive;

ff) acquistare, ricevere od occultare veicoli rubati, o comunque collaborare nel farli acquistare, ricevere od occultare, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto;

gg) costringere taluno a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità;

hh) cagionare un incendio dal quale deriva pericolo per l'incolumità pubblica;

ii) commettere reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale;

ll) impossessarsi di una nave o di un aereo;

mm) provocare illegalmente e intenzionalmente danni ingenti a strutture statali, altre strutture pubbliche, sistemi di trasporto pubblico o altre infrastrutture, che comportano o possono comportare una notevole perdita economica.

 

2. L'autorità giudiziaria italiana accerta quale sia la definizione dei reati per i quali è richiesta la consegna, secondo la legge dello Stato membro di emissione, e se la stessa corrisponda alle fattispecie di cui al comma 1.

 

3. Se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana, non si dà luogo alla consegna del cittadino italiano se risulta che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione in base alla quale è stato emesso il mandato d'arresto europeo.

(omissis)

 


Giurisprudenza

 


Corte Costituzionale

 


 

 

Sentenza n. 429/1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

Dott. Aldo CORASANITI

 

Giudici

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 263 del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 14 febbraio 1992 dal Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribuna le militare di Padova nel procedimento penale a carico di Strumendo Fernando, iscritta al n. 265 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.21, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 1992 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

 

Ritenuto in fatto

 

1. -- Nel corso di un procedimento penale a carico di un sottufficiale della Guardia di Finanza, imputato del reato di insubordinazione con ingiuria aggravata (in quanto, in congedo da pochi mesi, aveva offeso un superiore a causa del servi zio prestato), il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale militare di Padova, con ordinanza emessa il 14 febbraio 1992, ha sollevato, in relazione all'art. 103, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 del codice penale militare di pace.

 

A parere del giudice a quo la norma impugnata, nell'individuare la giurisdizione militare in relazione alle persone, mediante l'applicabilità ad esse della legge penale militare, violerebbe l'art.103, terzo comma, della Costituzione. Infatti sarebbero assoggettati alla giurisdizione del Giudice militare anche i militari in congedo, sia pure allorchè abbiano commesso reati militari, in contrasto con i tassativi limiti imposti dall'invocato parametro costituzionale.

 

Secondo il Tribunale, la nozione di appartenente alle Forze armate non dovrebbe essere quella -- comprensiva del personale in congedo -- di cui all'art. 292 bis c.p., ma andrebbe viceversa circo scritta esclusivamente ai soggetti in servizio attuale ed attivo.

 

2. -- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione, osservando che la qualità di militare comporta limitazioni dell'esercizio di diritti fondamentali ed osservanza di particolari doveri.

 

Inoltre vi sarebbero particolari reati -- quali, appunto, l'insubordinazione -- che prevedono l'assoggettamento alla normativa penale militare anche di persone diverse dai militari in servizio, entro i due anni dalla cessazione dello stesso (ex art. 238 c.p.m.p.).

 

Considerato in diritto

 

1. -- Il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale militare di Padova, con ordinanza del 14 febbraio 1992, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 del codice penale militare di pace per contrasto con l'art.103, terzo comma, della Costituzione.

 

2. -- La questione è fondata.

 

La norma impugnata (Appartiene ai tribunali militari la cognizione dei reati militari commessi dalle persone alle quali è applicabile la legge penale militare) fa coincidere giurisdizione e legge penale militare nella massima area di estensione soggettiva che è quella delle persone alle quali è applicabile la legge penale militare.

 

Il dettato del Costituente (In tempo di pace -- scil. i tribunali militari -- hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate) limita invece quest'area ai soli appartenenti alle Forze armate.

 

É dunque indispensabile intendere corretta mente la nozione di appartenenza alle Forze arma te accolta nella Carta costituzionale.

 

La ricostruzione della intenzione del Costituente, in regime di costituzione rigida, è essenziale per misurare la compatibilità tra disposizione di legge e precetto costituzionale.

 

L'ermeneutica costituzionale non può in alcun caso prescindere dall'ispirazione che presiedette al processo formativo della norma costituzionale assumendo in essa particolare rilievo la essenza storico-politica.

 

É noto come il Costituente fu inizialmente ispirato dal principio dell'unità della giurisdizione, che implicava l'esercizio della funzione in materia civile e penale per i soli giudici comuni con divieto di istituzione di giudici speciali, salvo l'ingresso di cittadini esperti accanto a magistrati ordinari in sezioni specializzate per determinate materie. Oltre a quelli comuni, erano previsti soltanto i giudici amministrativi e conta bili.

 

In quel quadro, che portò all'art. 95 del Progetto di Costituzione, i tribunali militari potevano essere istituiti solo in tempo di guerra.

 

Occorre ricordare che, nella Commissione dei 75, la tendenza a realizzare con rigore l'unità della giurisdizione aveva condotto ad elaborare tra gli schemi di progetto, uno in cui i giudici ordinari erano investiti di competenza in materia civile, penale, amministrativa, militare, del lavoro.

 

L'esito fu comunque quello di una articolazione combinatoria del principio di unità della giurisdizione con la conservazione delle giurisdizioni contabile e amministrativa. Ma, quanto ai giudici speciali militari, fu fino all'ultimo sostenuto ch'essi si giustificassero solo in tempo di guerra.

 

In Assemblea, invece, prevalse l'avviso di conservare tribunali militari in tempo di pace con il duplice limite, oggettivo, ch'essi conoscessero soltanto di reati militari, e soggettivo -- quando a commetterli fossero appartenenti alle Forze armate -- nel senso che si trattasse di militari con le stellette, vale a dire in effettivo servi zio attuale alle armi.

 

3. -- Nasce da allora questione sul significato della nozione di appartenenza alle Forze armate nel testo della Costituzione e in quello del legislatore.

 

Nel codice penale militare di pace l'appartenenza alle Forze armate ha inizio con l'arruolamento e termina per gli ufficiali dal giorno successivo alla notificazione del provvedimento, che stabilisce la cessazione definitiva degli obblighi di servizio militare e, per gli altri militari, dal momento della consegna ad essi del foglio di congedo assoluto. La nozione di appartenenza è qui funzionale all'assoggettamento alla legge penale militare (art. 8 c.p.m.p.).

 

Un ulteriore ampliamento di siffatta appartenenza, fino a ricomprendere gli iscritti di leva non ancora arruolati, ai sensi dell'art. 134, secondo comma, del d.P.R. 14 febbraio 1964, n.237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell'Esercito, nella Marina e nell'Aeronautica), per attribuire all'autorità giudiziaria militare la cognizione dei reati previsti dagli articoli da 157 a 163 del c.p.m.p. quando commessi appunto da iscritti di le va, è stato dichiarato da questa Corte costituzionalmente illegittimo perchè oltrepassa sicuramente il limite soggettivo che l'art. 103, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione, pone alla giurisdizione nei tribunali militari in tempo di pace (sentenza n. 112 del 1986).

 

Per identica ratio decidendi questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza), che sottoponeva alla giurisdizione militare gli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile (sentenza n.113 del 1986).

 

Nel codice penale militare di pace il criterio dell'appartenenza alle Forze armate vale a misurare insieme sia l'applicabilità della legge penale militare sia la giurisdizione dei tribunali militari.

 

Si tratta cioé di un'operazione logica di identificazione della giurisdizione con la applicabilità della legge penale militare, storicamente comprensibile nella cultura militarista e nel regime politico precedente la Costituzione repubblicana. La portata innovativa del precetto di cui all'art.103, terzo comma, della Costituzione si comprende appieno invece scoprendone il postulato metodico- concettuale consistente nel distinguere e separare giurisdizione e legge penale militare. La giurisdizione ha, in tempo di pace, un ambito di applicabilità minore di quello dell'assoggettamento alla legge penale militare. Il limite soggettivo, infatti, perchè si risponda dinanzi al giudice speciale militare è che si tratti di reati commessi durante il servizio alle armi, mentre per i reati previsti dalla legge penale militare, quando li si commetta da appartenenti alle Forze armate ma non in servi zio alle armi, si risponde dinanzi alla giurisdizione ordinaria.

 

La nozione di appartenenza alle Forze armate adottata dal Costituente è dunque più ristretta di quella del legislatore, la prima essendo destinata a dare una misura limitata alla giurisdizione speciale militare, l'altra invece ispirata a far coincidere giurisdizione e assoggettamento alla legge penale militare.

 

La diversità di piani di iurisdictio e lex presente in Costituzione, assente nel codice penale militare di pace, vale inoltre a sottolineare il principio che la giurisdizione normalmente da adire è quella dei giudici ordinari anche nella materia militare.

 

Questa Corte ha sempre inteso la giurisdizione militare come una giurisdizione eccezionale circoscritta entro limiti rigorosi (v. le sentenze n. 29 del 1958, n. 48 del 1959, n. 81 del 1980, n. 112 e n. 113 del 1986), vale a dire come una deroga alla giurisdizione ordinaria la cui eccezionalità è sottolineata, per giunta, dall'uso dell'avverbio "soltanto" nell'art. 103, terzo comma, della Costituzione, a conferma che la giurisdizione ordinaria è da considerare, per il tempo di pace, come la giurisdizione normale (sentenza n.206 del 1987; cfr.anche sentenza n. 207 del 1987).

 

Ora, questa relazione logica, di principio e di effetti, tra la regola -- cioé la giurisdizione ordinaria -- e l'eccezione -- cioé quella dei tribunali militari -- non si verificherebbe, se la cognizione dei reati militari commessi da coloro che sono assoggettati alla legge penale militare spettasse esclusivamente ai giudici militari. Essa spetta invece di regola ai giudici ordinari, salvo che non si tratti di reati commessi sotto le armi.

 

4. -- Alla luce della esposta ratio decidendi, essere cioé in tempo di pace per i reati militari normale la giurisdizione ordinaria, eccezionale quella speciale militare, può ora essere individuata, all'interno delle classificazioni adottate dal codice penale militare di pace, quella appartenenza alle Forze armate che radica la giurisdizione dei tribunali militari in conformità e non contro il precetto dell'art.103, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione.

 

In altri termini, sulle figure e le qualificazioni della legge militare va imposta la volontà del Costituente.

 

Se il Costituente ha inteso conservare la giurisdizione militare in tempo di pace soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate, nell'accezione ristretta di cittadini che, al momento della commissione del reato, stanno prestando il servizio militare e non in quella dilatata da riferire allo status militis di chi è titolare di obblighi militari, le persone alle quali è applicabile la legge penale militare, assoggettabili alla giurisdizione militare, cui si riferisce l'art. 263 del codice penale militare di pace, non possono essere altre o di più di quelle elencate nell'art. 3 (militari in servizio alle armi) e nell'art. 5 (militari considerati in servizio alle armi) c.p.m.p.

 

Nella categoria dei militari in servizio alle armi rientrano gli ufficiali dal momento della notificazione del provvedimento di nomina fino al giorno della notificazione del provvedimento, che li colloca fuori del servizio alle armi, gli altri militari, dal momento stabilito per la loro presentazione fino al momento in cui, inviati in congedo, si presentano all'Autorità competente del comune di residenza da essi prescelto o, se sottufficiali di carriera, fino al momento della notificazione del provvedimento che li colloca fuori del servizio alle armi.

 

Per tutti costoro il rapporto di servizio alle armi è attuale, non potenziale nè pregresso, ha carattere di continuità o di professionalità.

 

Le figure, invece, di militari considerati in servizio alle armi, partitamente indicate nell'art. 5 c.p.m.p., si caratterizzano per l'assenza dal servizio effettivo ed insieme, però, per la permanenza di un legame organico con la forza in servizio.

 

Tali sono gli ufficiali in posizione di servizio permanente, che siano collocati in aspettativa o sospesi dall'impiego; i sottufficiali di carriera in aspettativa; i militari in stato di allontanamento illecito, diserzione o mancanza alla chiamata, o assenza arbitraria dal servizio; i militari in congedo che scontano una pena detentiva militare; i militari in congedo in detenzione preventiva in carcere militare per un reato soggetto alla giurisdizione militare. Infine la previsione di cui al punto 6) relativa ad ogni altro militare in congedo, considerato in servizio, a norma di legge o di regolamento, è destinata a perdere in concreto ogni pratica rilevanza, per quanto subito si dirà.

 

5. -- Per tali figure di militari, che il legislatore qualifica in servizio alle armi o considerati in servizio alle armi, si verifica, allo stato della legislazione, coincidenza con la nozione costituzionale di appartenenti alle Forze armate. Solo per esse vale il principio, enunciato dall'art. 263 c.p.m.p., che l'assoggettamento alla legge penale militare comporta la cognizione dei giudici militari.

 

Per tutti gli altri militari in congedo illimitato, che la legge, ma non la Costituzione, considera appartenenti alle Forze armate, la cognizione dei reati militari spetta ai giudici comuni e non a quelli militari.

 

Si ristabilisce così la dovuta obbedienza della legge alla Costituzione.

 

Il legislatore può continuare ad usare di una più lata nozione di appartenenza sia ai fini dell'applicabilità delle fattispecie di reati militari sia per costruire circostanze aggravanti di reati comuni.

 

É quanto si riscontra, in questa seconda ipotesi, nell'art. 292 bis, secondo comma, c.p., aggiunto dall'art. 9 della legge 23 marzo 1956, n. 167 (Si considera militare in congedo chi, non essendo in servizio alle armi, non ha cessato di appartenere alle Forze armate dello Stato, ai sensi degli articoli 8 e 9 del codice penale militare di pace).

 

Ma questa più estesa appartenenza non è coperta, per divieto dell'art.103, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione, dalla cognizione dei tribunali militari.

 

Sicchè sia la fattispecie, di cui all'art. 238 c.p.m.p., che ha dato luogo al giudizio di merito dal quale trae origine il presente incidente di costituzionalità, sia tutte le altre elencate dall'art. 7 c.p.m.p., di reati militari commessi da militari in congedo illimitato, e a fortiori quelle riferite a persone estranee alle Forze armate (artt. 13 e 14 c.p.m.p.) cadono nella competenza della giurisdizione ordinaria.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 263 del codice penale militare di pace, nella parte in cui assoggetta alla giurisdizione militare le persone alle quali è applicabile la legge penale militare, anzichè i soli militari in servizio alle armi o considerati tali dalla legge al momento del commesso reato.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/10/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/11/92.

 

 


Corte di Cassazione

 


 

Cassazione penale, sez. unite, Sentenza n. 41540 del 28 novembre 2006

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

Documentazione

 


Unione europea

 


Trattato sull’Unione europea,
firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992
(art. 11)

 

SUA MAESTÀ IL RE DEI BELGI, SUA MAESTÀ LA REGINA DI DANIMARCA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ELLENICA, SUA MAESTÀ IL RE DI SPAGNA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE, IL PRESIDENTE DELL'IRLANDA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, SUA ALTEZZA REALE IL GRANDUCA DEL LUSSEMBURGO, SUA MAESTÀ LA REGINA DEI PAESI BASSI, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PORTOGHESE, SUA MAESTÀ LA REGINA DEL REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA DEL NORD,

 

DECISI a segnare una nuova tappa nel processo di integrazione europea intrapreso con l'istituzione delle Comunità europee,

 

RAMMENTANDO l'importanza storica della fine della divisione del continente europeo e la necessità di creare solide basi per l'edificazione dell'Europa futura,

 

CONFERMANDO il proprio attaccamento ai principi della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nonché dello stato di diritto,

 

CONFERMANDO il proprio attaccamento ai diritti sociali fondamentali quali definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989,

 

DESIDERANDO intensificare la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni,

 

DESIDERANDO rafforzare ulteriormente il funzionamento democratico ed efficiente delle istituzioni in modo da consentire loro di adempiere in modo più efficace, in un contesto istituzionale unico, i compiti loro affidati,

 

DECISI a conseguire il rafforzamento e la convergenza delle proprie economie e ad istituire un'Unione economica e monetaria che comporti, in conformità dalle disposizioni del presente trattato, una moneta unica e stabile,

 

DETERMINATI a promuovere il progresso economico e sociale dei loro popoli, tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile nel contesto della realizzazione del mercato interno e del rafforzamento della coesione e della protezione dell'ambiente, nonché ad attuare politiche volte a garantire che i progressi compiuti sulla via dell'integrazione economica si accompagnino a paralleli progressi in altri settori,

 

DECISI ad istituire una cittadinanza comune ai cittadini dei loro paesi,

 

DECISI ad attuare una politica estera e di sicurezza comune che preveda la definizione progressiva di una politica di difesa comune, che potrebbe condurre ad una difesa comune a norma delle disposizioni dell'articolo 17, rafforzando così l'identità dell'Europa e la sua indipendenza al fine di promuovere la pace, la sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo,

 

DECISI ad agevolare la libera circolazione delle persone, garantendo nel contempo la sicurezza dei loro popoli, con l'istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in conformità alle disposizioni del presente trattato,

 

DECISI a portare avanti il processo di creazione di un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà,

 

IN PREVISIONE degli ulteriori passi da compiere ai fini dello sviluppo dell'integrazione europea,

 

HANNO DECISO di istituire un'Unione europea e a tal fine hanno designato come plenipotenziari:

 

(Elenco dei plenipotenziari non riprodotto)

 

I QUALI, dopo aver scambiato i loro pieni poteri, riconosciuti in buona e debita forma, hanno convenuto le disposizioni che seguono:

(omissis)

TITOLO V

 

DISPOSIZIONI SULLA POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE

 

Articolo 11

 

1. L'Unione stabilisce ed attua una politica estera e di sicurezza comune estesa a tutti i settori della politica estera e di sicurezza i cui obiettivi sono i seguenti:

 

- difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali, dell'indipendenza e dell'integrità dell'Unione conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite,

 

-  rafforzamento della sicurezza dell'Unione in tutte le sue forme,

 

-  mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite, nonché ai principi dell'atto finale di Helsinki e agli obiettivi della Carta di Parigi, compresi quelli relativi alle frontiere esterne,

 

-  promozione della cooperazione internazionale,

 

-  sviluppo e consolidamento della democrazia e dello stato di diritto, nonché rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

 

 

2. Gli Stati membri sostengono attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza dell'Unione in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca.

 

Gli Stati membri operano congiuntamente per rafforzare e sviluppare la loro reciproca solidarietà politica. Essi si astengono da qualsiasi azione contraria agli interessi dell'Unione o tale da nuocere alla sua efficacia come elemento di coesione nelle relazioni internazionali.

 

Il Consiglio provvede affinché detti principi siano rispettati.

(omissis)

Fatto a Maastricht, addì sette febbraio millenovecentonovantadue

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 Pos.com. 11 giugno 2001, n. 2001/443/PESC.
Posizione comune del Consiglio sulla Corte penale internazionale.

 

(1) (2)

 

(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 12 giugno 2001, n. L 155.

(2)  La presente posizione comune è stata abrogata e sostituita dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

 

[Il Consiglio dell'Unione europea,

visto il trattato sull'Unione europea, in particolare l'articolo 15,

considerando quanto segue:

 

(1) Il consolidamento dello stato di diritto ed il rispetto dei diritti umani, nonché il mantenimento della pace ed il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e come stabilito all'articolo 11 del trattato UE, sono di fondamentale importanza per l'Unione e costituiscono una sua priorità.

 

(2) Lo Statuto della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza di plenipotenziari di Roma, è stato sottoscritto da 139 Stati e 32 Stati lo hanno ratificato o vi hanno aderito. Esso entrerà in vigore dopo il deposito del sessantesimo strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione.

 

(3) I principi dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale e quelli che regolano il suo funzionamento sono perfettamente in linea con i principi e gli obiettivi dell'Unione.

 

(4) I crimini gravi che rientrano nel potere giurisdizionale della Corte riguardano tutti gli Stati membri, che sono determinati a collaborare per prevenire tali crimini e porre termine all'impunità degli autori degli stessi.

 

(5) L'Unione è persuasa che l'osservanza delle norme del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani è necessaria al mantenimento della pace ed al consolidamento dello stato di diritto.

 

(6) Pertanto, è auspicabile la rapida entrata in vigore dello Statuto e l'Unione si impegna a adoperarsi affinché sia raggiunto il numero richiesto di strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, nonché a contribuire alla piena attuazione dello Statuto di Roma.

 

(7) Il 19 novembre 1998, il 6 maggio 1999 e il 18 gennaio 2001 il Parlamento europeo ha adottato risoluzioni sulla ratifica del trattato di Roma per l'istituzione della Corte penale internazionale permanente e l'8 maggio 2001 la Commissione ha trasmesso al Parlamento europeo e al Consiglio la sua comunicazione sul ruolo dell'Unione europea nella promozione dei diritti dell'uomo e della democratizzazione nei paesi terzi.

 

(8) L'atto finale della conferenza di Roma ha istituito una Commissione preparatoria che ha il compito di elaborare proposte da sottoporre all'adozione dell'Assemblea degli Stati parti, compresi gli strumenti necessari al funzionamento operativo della Corte.

 

(9) L'accordo raggiunto sullo Statuto di Roma rappresenta un delicato equilibrio tra ordinamenti giuridici ed interessi diversi, e la positiva finalizzazione dei primi progetti di strumenti sugli elementi costitutivi dei crimini e sulle regole di procedura e prova, conclusi il 30 giugno 2000 dalla Commissione preparatoria, è stata realizzata nel pieno rispetto dell'integrità dello Statuto, al quale tutti gli Stati membri sono impegnati.

 

(10) L'Unione riconosce che i principi e le norme del diritto penale internazionale sanciti nello Statuto di Roma dovrebbero essere tenuti in considerazione in altri strumenti giuridici internazionali.

 

(11) L'Unione ritiene che l'adesione universale allo Statuto di Roma sia auspicabile per la piena efficacia della Corte penale internazionale e, a tal fine, considera che vadano incoraggiate iniziative che incrementino l'accettazione dello Statuto, a patto che siano coerenti con la lettera e lo spirito dello stesso.

 

(12) L'istituzione effettiva della Corte e l'attuazione dello Statuto richiedono misure pratiche che l'Unione europea ed i suoi Stati membri dovrebbero sostenere appieno,

 

ha adottato la presente posizione comune:] (3)

 

 

(3)  Abrogata e sostituita dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 1

[1. L'istituzione della Corte penale internazionale per la prevenzione e la repressione dei crimini gravi che rientrano nel suo potere giurisdizionale è un mezzo essenziale per promuovere il rispetto del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, contributo così alla libertà, alla sicurezza, alla giustizia e allo stato di diritto, nonché al mantenimento della pace e al rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente alle finalità ed ai principi della Carta delle Nazioni Unite.

 

2. La presente posizione comune mira a sostenere la rapida istituzione e l'effettivo funzionamento della Corte e a promuovere un appoggio universale a quest'ultima incoraggiando una partecipazione quanto più ampia possibile allo statuto (4).] (5).

 

 

(4)  Paragrafo così sostituito dall'articolo 1 della posizione comune 2002/474/PESC.

(5)  Abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 2

[1. Per contribuire all'obiettivo di una partecipazione quanto più ampia possibile allo statuto, l'Unione europea e i suoi Stati membri si adoperano per favorire questo processo sollevando, ogniqualvolta ciò sia appropriato, in occasione di negoziati o di dialoghi politici con Stati terzi, gruppi di Stati o pertinenti organizzazioni regionali, la questione di una ratifica, accettazione, approvazione o adesione allo statuto di Roma quanto più ampia possibile e dell'attuazione dello statuto.

 

2. L'Unione e gli Stati membri contribuiscono alla ratifica a livello mondiale e all'attuazione dello statuto anche con altri mezzi, come l'adozione di iniziative che promuovano la diffusione dei valori, dei principi e delle disposizioni dello statuto e degli strumenti connessi. Per conseguire gli obiettivi della presente posizione comune, l'Unione coopera opportunamente con altri Stati interessati, istituzioni internazionali, organizzazioni non governative e altri rappresentanti della società civile.

 

3. Gli Stati membri mettono a disposizione di tutti gli Stati interessati le loro esperienze sulle questioni relative all'attuazione dello statuto e, ove appropriato, forniscono altre forme di sostegno a tale scopo. Mettono a disposizione, se richiesti, assistenza tecnica e, se del caso, finanziaria per l'attività legislativa necessaria alla ratifica e all'attuazione dello statuto nei paesi terzi. Gli Stati che prendono in considerazione la possibilità di ratificare lo statuto o di cooperare con la Corte sono invitati a comunicare all'Unione le difficoltà incontrate.

 

4. Nell'attuare il presente articolo l'Unione e gli Stati membri coordinano l'appoggio politico e tecnico alla Corte rispetto a vari Stati o gruppi di Stati. A tal fine saranno elaborate e applicate, ove del caso, strategie specifiche per paese o per regione.] (6).

 

 

(6)  Articolo inizialmente così sostituito dall'articolo 1 della posizione comune 2002/474/PESC e successivamente abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 3

[1. L'Unione e gli Stati membri sostengono, anche concretamente, l'istituzione in tempi rapidi della Corte e il suo buon funzionamento. In particolare sostengono la rapida creazione e il funzionamento di un appropriato meccanismo di programmazione, comprendente un gruppo preparatorio di esperti, per preparare l'effettiva istituzione della Corte.

 

2. Gli Stati membri cooperano per assicurare lo scorrevole funzionamento dell'assemblea, sotto tutti gli aspetti, ivi compresa l'adozione di documenti raccomandati dalla Commissione preparatoria. In particolare gli Stati membri compiono qualsiasi sforzo possibile per far sì che siano nominati candidati altamente qualificati, incoraggiando tra l'altro il ricorso a procedure di nomina trasparenti per giudici e procuratori in conformità dello statuto. Essi si adoperano altresì affinché la composizione della Corte nel suo insieme sia conforme ai criteri stabiliti nello statuto.

 

3. L'Unione e gli Stati membri prendono in considerazione la possibilità di contribuire, in modo equo ed appropriato, ai costi delle misure necessarie prima che divenga effettivo il bilancio della Corte per il primo periodo e che essa sia pienamente operativa. Dopo che l'assemblea degli Stati parte ha adottato il bilancio della corte, l'Unione europea incoraggia questi ultimi a trasferire rapidamente i loro contributi fissati conformemente alle decisioni prese dall'assemblea.

 

4. L'Unione e gli Stati membri si adoperano per sostenere adeguatamente la messa a punto di programmi di formazione e assistenza destinati a giudici, procuratori, funzionari e di consulenza nell'ambito delle attività attinenti alla Corte.] (7).

 

 

(7)  Articolo inizialmente così sostituito dall'articolo 1 della posizione comune 2002/474/PESC e successivamente abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 4

[Il Consiglio coordina, ove appropriato, le misure intraprese dall'Unione europea e dagli Stati membri per l'attuazione degli articoli 2 e 3.] (8).

 

 

(8)  Abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 5

[Il Consiglio rileva che la Commissione intende dirigere la sua azione verso il conseguimento degli obiettivi e delle priorità della presente posizione comune, se necessario attraverso pertinenti misure comunitarie.] (9).

 

 

(9)  Abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 6

[Durante la negoziazione degli strumenti della risoluzione F dell'atto finale della Conferenza diplomatica di plenipotenziari di Roma e nello svolgimento dei lavori previsti, gli Stati membri contribuiscono alla finalizzazione in tempi rapidi di tali strumenti e sostengono soluzioni in linea con la lettera e lo spirito dello Statuto di Roma, tenendo in considerazione la necessità di assicurare la più ampia partecipazione allo stesso.] (10).

 

 

(10)  Abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 7

[Il Consiglio riesamina la presente posizione comune ogni sei mesi.] (11).

 

 

(11)  Abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 8

[La presente posizione comune ha effetto a decorrere dalla data della sua adozione.] (12).

 

 

(12)  Abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

Articolo 9

[La presente posizione comune è pubblicata nella Gazzetta ufficiale.] (13).

 

Fatto a Lussemburgo, addì 11 giugno 2001.

 

Per il Consiglio

 

Il Presidente

 

A. Lindh

 

 

(13)  Abrogato e sostituito dall'articolo 10 della posizione comune 2003/444/PESC a cui si rimanda per ulteriori precisazioni.

 


Pos.com. 20 giugno 2002, n. 2002/474/PESC.
Posizione comune del Consiglio che modifica la posizione comune 2001/443/PESC sulla Corte penale internazionale.

 

(1)

___________

(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 22 giugno 2002, n. L 164.

 

Il Consiglio dell'Unione europea,

visto il trattato sull'Unione europea, in particolare l'articolo 15,

considerando quanto segue:

 

(1) L'articolo 7 della posizione comune 2001/443/PESC, dell'11 giugno 2001, sulla Corte penale internazionale («la Corte») stabilisce che il Consiglio «riesamina la posizione comune ogni sei mesi».

 

(2) Il 16 aprile 2002 il Consiglio ha preso atto di una risoluzione riguardante la Corte, approvata dal Parlamento europeo il 28 febbraio 2002, che, tra l'altro, invitava ad adottare un piano d'azione a sostegno della posizione comune 2001/443/PESC.

 

(3) Il 15 maggio 2002 è stato messo a punto tale piano d'azione che potrebbe, se necessario, essere adottato.

 

(4) Lo statuto della Corte penale internazionale, in appresso «lo statuto», adottato dalla conferenza di plenipotenziari di Roma, è stato sottoscritto da 139 Stati e 69 Stati lo hanno ratificato o vi hanno aderito, esso entrerà in vigore il 1° luglio 2002.

 

(5) Tutti gli Stati membri dell'Unione europea hanno ratificato lo statuto.

 

(6) In prospettiva della prossima entrata in vigore dello statuto, occorre avviare una serie di iniziative prima che la Corte entri effettivamente in funzione. Durante questo periodo l'Unione europea dovrebbe fare il possibile per promuovere l'istituzione in tempi rapidi della Corte, conformemente alle pertinenti decisioni della Commissione preparatoria e dell'Assemblea degli Stati parti («l'assemblea»).

 

(7) La posizione comune 2001/443/PESC dovrebbe essere pertanto modificata,

 

ha adottato la presente posizione comune:

Articolo 1

La posizione comune 2001/443/PESC è modificata come segue:

 

1) All'articolo 1, il paragrafo 2 è sostituito dal seguente:

 

..................... (2).

 

2) L'articolo 2 è sostituito dal seguente:

 

..................... (3).

 

3) L'articolo 3 è sostituito dal seguente:

 

..................... (4).

 

 

(2)  Il testo omesso è riportato in modifica alla posizione comune 2001/443/PESC.

(3)  Il testo omesso è riportato in modifica alla posizione comune 2001/443/PESC.

(4)  Il testo omesso è riportato in modifica alla posizione comune 2001/443/PESC.

Articolo 2

La presente posizione comune ha efficacia dalla data della sua adozione.

Articolo 3

La presente posizione comune è pubblicata nella Gazzetta ufficiale.

 

Fatto a Madrid, addì 20 giugno 2002.

 

Per il Consiglio

 

Il Presidente

 

R. De Rato Y Figaredo

 


Dec. 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI.
Decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.
(art. 2)

 

(1)

____________

(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 18 luglio 2002, n. L 190. Entrata in vigore: 7 agosto 2002.

 

Il Consiglio dell'Unione europea,

 

visto il trattato sull'Unione europea, in particolare l'articolo 31, lettere a) e b), e l'articolo 34, paragrafo 2, lettera b),

 

vista la proposta della Commissione (2),

 

visto il parere del Parlamento europeo (3),

 

considerando quanto segue:

 

(1) In base alle conclusioni del Consiglio di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, ed in particolare il punto 35, è opportuno abolire tra gli Stati membri la procedura formale di estradizione per quanto riguarda le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate definitivamente ed accelerare le procedure di estradizione per quanto riguarda le persone sospettate di aver commesso un reato.

 

(2) Il programma di misure per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, previsto al punto 37 delle conclusioni di Tampere e adottato dal Consiglio il 30 novembre 2000 (4), affronta la questione dell'esecuzione reciproca del mandato d'arresto.

 

(3) Tutti o alcuni degli Stati membri aderiscono ad una serie di convenzioni nel settore dell'estradizione. Tra queste si possono annoverare la convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 e la convenzione europea per la repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977. I paesi nordici possiedono leggi sull'estradizione redatte in modo identico.

 

(4) Inoltre, gli Stati membri hanno concluso tra loro le seguenti tre convenzioni concernenti in tutto o in parte l'estradizione, che fanno parte dell'acquis dell'Unione: la convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo alla soppressione graduale dei controlli alle frontiere comuni nelle relazioni tra gli Stati membri parte della convenzione (5), del 19 giugno 1990, la convenzione del 10 marzo 1995 relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea (6) e la convenzione del 27 settembre 1996 relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea (7).

 

(5) L'obiettivo dell'Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comporta la soppressione dell'estradizione tra Stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie. Inoltre l'introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell'esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all'azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. Le classiche relazioni di cooperazione finora esistenti tra Stati membri dovrebbero essere sostituite da un sistema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale, sia intervenute in una fase anteriore alla sentenza, sia definitive, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

 

(6) Il mandato d'arresto europeo previsto nella presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria.

 

(7) Poiché l'obiettivo di sostituire il sistema multilaterale di estradizione creato sulla base della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 non può essere sufficientemente realizzato unilateralmente dagli Stati membri e può dunque, a causa della dimensione e dell'effetto, essere realizzato meglio a livello dell'Unione, il Consiglio può adottare misure, nel rispetto del principio di sussidiarietà menzionato all'articolo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 5 del trattato che istituisce le Comunità europee. La presente decisione quadro si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

 

(8) Le decisioni relative all'esecuzione di un mandato d'arresto europeo devono essere sottoposte a un controllo sufficiente, il che implica che l'autorità giudiziaria dello Stato membro in cui la persona ricercata è stata arrestata dovrà prendere la decisione relativa alla sua consegna.

 

(9) Il ruolo delle autorità centrali nell'esecuzione del mandato d'arresto europeo dev'essere limitato all'assistenza pratica e amministrativa.

 

(10) Il meccanismo del mandato d'arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri. L'attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all'articolo 6, paragrafo 1, del trattato sull'Unione europea, constatata dal Consiglio in applicazione dell'articolo 7, paragrafo 1, dello stesso trattato, e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo.

 

(11) Il mandato d'arresto europeo dovrebbe sostituire tra gli Stati membri tutti i precedenti strumenti in materia di estradizione, comprese le disposizioni del titolo III della convenzione d'applicazione dell'accordo di Schengen che riguardano tale materia.

 

(12) La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea e contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (8), segnatamente il capo VI. Nessun elemento della presente decisione quadro può essere interpretato nel senso che non sia consentito rifiutare di procedere alla consegna di una persona che forma oggetto di un mandato d'arresto europeo qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato d'arresto europeo sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi. La presente decisione quadro non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, al rispetto del diritto alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione.

 

(13) Nessuna persona dovrebbe essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista un serio rischio che essa venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumane o degradanti.

 

(14) Poiché tutti gli Stati membri hanno ratificato la convenzione del Consiglio d'Europa del 28 gennaio 1981 relativa alla protezione delle persone nei confronti del trattamento automatizzato dei dati di carattere personale, è opportuno che i dati personali trattati nel contesto dell'attuazione della presente decisione quadro siano protetti in conformità con i principi di detta convenzione,

 

ha adottato la presente decisione quadro:

 

 

(2)  Pubblicata nella G.U.C.E. 27 novembre 2001, n. C 332 E.

(3)  Parere reso il 9 gennaio 2002.

(4)  Pubblicate nella G.U.C.E. 15 gennaio 2001, n. GU C E 12.

(5)  Pubblicata nella G.U.C.E. 22 settembre 2000, n. L 239.

(6)  Pubblicata nella G.U.C.E. 30 marzo 1995, n. C 78.

(7)  Pubblicata nella G.U.C.E. 13 ottobre 1996, n. C 313.

(8)  Pubblicato nella G.U.C.E. 18 dicembre 2000, n. C 364.

 

(omissis)

Articolo 2

Campo d'applicazione del mandato d'arresto europeo.

1. Il mandato d'arresto europeo può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privative della libertà della durata massima non inferiore a dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi.

 

2. Danno luogo a consegna in base al mandato d'arresto europeo, alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro e indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato, i reati seguenti, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, se in detto Stato membro il massimo della pena o della misura di sicurezza privative della libertà per tali reati è pari o superiore a tre anni:

- partecipazione a un'organizzazione criminale,

- terrorismo,

- tratta di esseri umani,

- sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile,

- traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope,

- traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi,

- corruzione,

- frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee,

- riciclaggio di proventi di reato,

- falsificazione di monete, compresa la contraffazione dell'euro,

- criminalità informatica,

- criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette,

- favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali,

- omicidio volontario, lesioni personali gravi,

- traffico illecito di organi e tessuti umani,

- rapimento, sequestro e presa di ostaggi,

- razzismo e xenofobia,

- furti organizzati o con l'uso di armi,

- traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d'antiquariato e le opere d'arte,

- truffa,

- racket e estorsioni,

- contraffazione e pirateria in materia di prodotti,

- falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi,

- falsificazione di mezzi di pagamento,

- traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita,

- traffico illecito di materie nucleari e radioattive,

- traffico di veicoli rubati,

- stupro,

- incendio volontario,

- reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale,

- dirottamento di aereo/nave,

- sabotaggio.

 

3. Il Consiglio può decidere in qualsiasi momento, deliberando all'unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo alle condizioni di cui all'articolo 39, paragrafo 1, del trattato sull'Unione europea (TUE), di inserire altre categorie di reati nell'elenco di cui al paragrafo 2 del presente articolo. Il Consiglio esamina, alla luce della relazione sottopostagli dalla Commissione ai sensi dell'articolo 34, paragrafo 3, se sia opportuno estendere o modificare tale elenco.

 

4. Per quanto riguarda i reati non contemplati dal paragrafo 2, la consegna può essere subordinata alla condizione che i fatti per i quali è stato emesso il mandato d'arresto europeo costituiscano un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso.

(omissis)

 


Pos.com. 16 giugno 2003, n. 2003/444/PESC.
Posizione comune del Consiglio sulla Corte penale internazionale.

 

(1)

______________

(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 18 giugno 2003, n. L 150.

 

Il Consiglio dell'Unione europea,

visto il trattato sull'Unione europea, in particolare l'articolo 15,

considerando quanto segue:

 

(1) Il consolidamento dello stato di diritto ed il rispetto dei diritti umani, nonché il mantenimento della pace ed il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e come stabilito all'articolo 11 del trattato sull'Unione europea, sono di fondamentale importanza per l'Unione e costituiscono una sua priorità.

 

(2) Lo statuto di Roma della Corte penale internazionale è entrato in vigore il 1° luglio 2002 e la Corte è adesso pienamente in attività.

 

(3) Tutti gli Stati membri dell'Unione europea hanno ratificato lo statuto di Roma.

 

(4) I principi dello statuto di Roma della Corte penale internazionale e quelli che regolano il suo funzionamento sono perfettamente in linea con i principi e gli obiettivi dell'Unione.

 

(5) I crimini gravi che rientrano nella giurisdizione della Corte riguardano tutti gli Stati membri, che sono determinati a collaborare per prevenire tali crimini e porre termine all'impunità degli autori degli stessi.

 

(6) I principi e le norme del diritto penale internazionale sanciti nello statuto di Roma dovrebbero essere tenuti in considerazione in altri strumenti giuridici internazionali.

 

(7) L'Unione ritiene che l'adesione universale allo statuto di Roma sia essenziale per la piena efficacia della Corte penale internazionale e, a tal fine, considera che vadano incoraggiate iniziative che incrementino l'accettazione dello statuto, a patto che siano coerenti con la lettera e lo spirito dello stesso.

 

(8) L'attuazione dello statuto di Roma richiede misure pratiche che l'Unione europea ed i suoi Stati membri dovrebbero sostenere appieno.

 

(9) Il piano di azione che, tra l'altro, è stato richiesto da una risoluzione sulla Corte approvata dal Parlamento europeo il 28 febbraio 2002, dando seguito alla posizione comune 2001/443/PESC dell'11 giugno 2001, è stato adottato il 15 maggio 2002 e può essere adattato secondo la necessità.

 

(10) È di primaria importanza che sia mantenuta l'integrità dello statuto di Roma.

 

(11) Con le conclusioni del 30 settembre 2002 sulla Corte penale internazionale il Consiglio «Affari generali e Relazioni esterne» ha elaborato una serie di principi, allegati a dette conclusioni, con funzione di orientamento per gli Stati membri nell'esame della necessità e del campo di applicazione di eventuali accordi o di intese in risposta alle proposte sulle condizioni di consegna di persone alla Corte penale internazionale.

 

(12) Alla luce di quanto precede, la posizione comune 2001/443/PESC, dovrebbe essere aggiornata e rimaneggiata.

 

(13) La presente posizione comune dovrebbe essere riesaminata.

 

(14) L'Unione europea, ai fini dell'ottimizzazione dell'impatto della presente posizione comune, ritiene importante che i paesi aderenti dell'Europa centrale e orientale, da Cipro e da Malta, e che i paesi associati Romania, Bulgaria e Turchia e i paesi EFTA vi si conformino,

 

ha adottato la presente posizione comune:

Articolo 1

1. La Corte penale internazionale, per la prevenzione e la repressione dei crimini gravi che rientrano nella sua giurisdizione, è un mezzo essenziale per promuovere il rispetto del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, contribuendo così alla libertà, alla sicurezza, alla giustizia e allo stato di diritto, nonché al mantenimento della pace e al rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente alle finalità ed ai principi della Carta delle Nazioni Unite.

 

2. La presente posizione comune mira a sostenere l'effettivo funzionamento della Corte e a promuovere un appoggio universale a quest'ultima incoraggiando una partecipazione quanto più ampia possibile allo statuto di Roma.

Articolo 2

1. Per contribuire all'obiettivo di una partecipazione quanto più ampia possibile allo statuto di Roma, l'Unione europea e i suoi Stati membri compiono ogni sforzo per favorire questo processo sollevando, ogniqualvolta ciò sia appropriato, in occasione di negoziati o di dialoghi politici con Stati terzi, gruppi di Stati o pertinenti organizzazioni regionali, la questione di una ratifica, accettazione, approvazione o adesione allo statuto quanto più ampia possibile e dell'attuazione dello statuto.

 

2. L'Unione e gli Stati membri contribuiscono alla partecipazione a livello mondiale e all'attuazione dello statuto anche con altri mezzi, come l'adozione di iniziative che promuovano la diffusione dei valori, dei principi e delle disposizioni dello statuto e degli strumenti connessi. Per conseguire gli obiettivi della presente posizione comune, l'Unione coopera opportunamente con altri Stati interessati, istituzioni internazionali, organizzazioni non governative e altri rappresentanti della società civile.

 

3. Gli Stati membri mettono a disposizione di tutti gli Stati interessati le loro esperienze sulle questioni relative all'attuazione dello statuto e, ove appropriato, forniscono altre forme di sostegno a tale scopo. Mettono a disposizione, se richiesti, assistenza tecnica e, se del caso, finanziaria per l'attività legislativa necessaria alla partecipazione e all'attuazione dello statuto nei paesi terzi. Gli Stati che prendono in considerazione la possibilità di divenire parte dello statuto o di cooperare con la Corte sono invitati a comunicare all'Unione le difficoltà incontrate.

 

4. Nell'attuare il presente articolo l'Unione e gli Stati membri coordinano l'appoggio politico e tecnico alla Corte rispetto a vari Stati o gruppi di Stati. A tal fine saranno elaborate e applicate, ove del caso, strategie specifiche per paese o per regione.

Articolo 3

Per sostenere l'indipendenza della Corte l'Unione e gli Stati membri svolgono, in particolare, le seguenti attività:

- incoraggiare gli Stati parte a trasferire rapidamente e per intero i loro contributi fissati conformemente alle decisioni prese dalla loro assemblea,

- compiere qualsiasi sforzo possibile affinché l'accordo sui privilegi e le immunità della Corte sia firmato e ratificato al più presto, e promuoverne la firma e la ratifica da parte di altri Stati,

- adoprarsi per sostenere adeguatamente la messa a punto di programmi di formazione e assistenza destinati a giudici, procuratori, funzionari e consulenti nell'ambito delle attività attinenti alla Corte.

Articolo 4

Il Consiglio coordina, ove appropriato, le misure intraprese dall'Unione europea e dagli Stati membri per l'attuazione degli articoli 2 e 3.

Articolo 5

1. L'Unione e gli Stati membri seguono attentamente gli sviluppi relativi alla cooperazione effettiva con la Corte nel rispetto dello statuto di Roma.

 

2. In tale contesto, essi continuano, ove opportuno, ad attirare l'attenzione dei paesi terzi sulle conclusioni del Consiglio del 30 settembre 2002 sulla Corte penale internazionale e sui principi dell'UE ad esse allegati in relazione a proposte di accordi o convenzioni nelle condizioni per la consegna di persone alla Corte.

Articolo 6

Il Consiglio rileva che la Commissione intende dirigere la sua azione verso il conseguimento degli obiettivi e delle priorità della presente posizione comune, se necessario attraverso pertinenti misure comunitarie.

Articolo 7

1. Gli Stati membri cooperano per assicurare il buon funzionamento dell'assemblea degli Stati parte in tutti i sensi.

 

2. Durante i negoziati in seno al Gruppo di lavoro speciale istituito dall'assemblea degli Stati parte per occuparsi del crimine di aggressione, gli Stati membri contribuiscono alla finalizzazione dei lavori in atto e sostengono soluzioni in linea con la lettera e lo spirito dello statuto di Roma e della Corte delle Nazioni Unite.

Articolo 8

Il Consiglio riesamina la presente posizione comune secondo necessità.

Articolo 9

1. Il Consiglio rileva che Cipro, la Repubblica ceca, l'Estonia, la Lettonia, la Lituania, Malta, la Polonia, la Repubblica slovacca, la Slovenia e l'Ungheria intendono applicare la presente posizione comune a decorrere dalla data della sua adozione.

 

2. La presidenza chiede ai paesi aderenti dell'Europa centrale e orientale, a Cipro e Malta, ai paesi associati Romania, Bulgaria e Turchia e ai paesi EFTA di conformarsi alla presente posizione comune.

Articolo 10

La posizione comune 2001/443/PESC, è abrogata e sostituita dalla presente posizione comune. I richiami alla posizione comune abrogata 2001/443/PESC sono intesi come richiami alla presente posizione comune.

Articolo 11

La presente posizione comune ha effetto a decorrere dalla data della sua adozione.

Articolo 12

La presente posizione comune è pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

Fatto a Lussemburgo, addì 16 giugno 2003.

 

Per il Consiglio

 

Il Presidente

 

G. Papandreou

 


 

Organizzazione delle nazioni unite

 


 

Carta delle nazioni unite,
San Francisco, 26 giugno 1945

 

PREAMBOLO

NOI, POPOLI DELLE NAZIONI UNITE, DECISI

a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità,

a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole,

a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti,

a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà,

E PER TALI FINI

a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l'uno con l'altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale,

ad assicurare, mediante l'accettazione di principi e l'istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell'interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli,

ABBIAMO DECISO DI UNIRE I NOSTRI SFORZI PER IL RAGGIUNGIMENTO DI TALI FINI.

In conseguenza, i nostri rispettivi Governi, per mezzo dei loro rappresentanti riuniti nella città di San Francisco e muniti di pieni poteri riconosciuti in buona e debita forma, hanno concordato il presente Statuto delle Nazioni Unite ed istituiscono con ciò un'organizzazione internazionale che sarà denominata le Nazioni Unite.

 

CAPITOLO I

FINI E PRINCIPI

Articolo 1

I fini delle Nazioni Unite sono:

Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo scopo: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace:

Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-determinazione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale;

Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione;

Costituire un centro per il coordinamento dell'attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni.

Articolo 2

L'Organizzazione ed i suoi Membri, nel perseguire i fini enunciati nell'art. 1, devono agire in conformità ai seguenti princìpi:

L'Organizzazione è fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri.

I Membri, al scopo di assicurare a ciascuno di essi i diritti e i benefici risultanti dalla loro qualità di Membro, devono adempiere in buona fede gli obblighi da loro assunti in conformità al presente Statuto.

I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo.

I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.

I Membri devono dare alle Nazioni Unite ogni assistenza in qualsiasi azione che queste intraprendono in conformità alle disposizioni del presente Statuto, e devono astenersi dal dare assistenza a qualsiasi Stato contro cui le Nazioni Unite intraprendono un'azione preventiva o coercitiva.

L'Organizzazione deve fare in modo che Stati che non sono Membri delle Nazioni Unite agiscano in conformità a questi princìpi, per quanto possa essere necessario per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato, né obbliga i Membri a sottoporre tali questioni ad una procedura di regolamento in applicazione del presente Statuto; questo principio non pregiudica però l'applicazione di misure coercitive a norma del capitolo VII.

CAPITOLO II

MEMBRI DELL'ORGANIZZAZIONE

Articolo 3

Membri originari delle Nazioni Unite sono gli Stati che, avendo partecipato alla Conferenza delle Nazioni Unite per l'Organizzazione Internazionale a San Francisco, od avendo precedentemente firmato la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1° gennaio 1942, firmino il presente Statuto e lo ratifichino in conformità all'articolo 110.

Articolo 4

1. Possono diventare Membri delle Nazioni Unite tutti gli altri Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto e che, a giudizio dell'Organizzazione, siano capaci di adempiere tali obblighi e disposti a farlo.

2. L'ammissione quale Membro delle Nazioni Unite di uno Stato che adempia a tali condizioni è effettuata con decisione dell'Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza.

Articolo 5

Un Membro delle Nazioni Unite contro il quale sia stata intrapresa, da parte del Consiglio di Sicurezza, un'azione preventiva o coercitiva può essere sospeso dall'esercizio dei diritti e dei privilegi di un Membro da parte dell'Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza.

L'esercizio di questi diritti e privilegi può essere ripristinato dal Consiglio di Sicurezza.

Articolo 6

Un Membro delle Nazioni Unite che abbia persistentemente violato i princìpi enunciati nel presente Statuto può essere espulso dall'Organizzazione da parte dell'Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza.

CAPITOLO III

ORGANI

Articolo 7

Sono istituiti quali organi principali delle Nazioni Unite:

un'Assemblea Generale,

un Consiglio di Sicurezza,

un Consiglio Economico e Sociale,

un Consiglio di Amministrazione Fiduciaria,

una Corte Internazionale di Giustizia,

ed un Segretariato.

Ulteriori organi sussidiari di cui si possa riscontrare la necessità potranno essere istituiti in accordo alla presente Carta.

Articolo 8

Le Nazioni Unite non porranno alcuna restrizione all'ammissibilità di uomini e donne nei loro organi principali e sussidiari, in qualsiasi qualità ed in condizione di uguaglianza.

CAPITOLO IV

ASSEMBLEA GENERALE

Composizione

Articolo 9

L'Assemblea Generale si compone di tutti i Membri delle Nazioni Unite.

Ogni Membro ha non più di cinque rappresentanti nell'Assemblea Generale.

FUNZIONI E POTERI

Articolo 10

L'Assemblea Generale può discutere qualsiasi questione od argomento che rientri nei fini del presente Statuto, o che abbia riferimento ai poteri ed alle funzioni degli organi previsti dal presente Statuto o, salvo quanto disposto dall'articolo 12, può fare raccomandazioni ai Membri delle Nazioni Unite od al Consiglio di Sicurezza, o agli uni ed all'altro, su qualsiasi di tali questioni od argomenti.

Articolo 11

L'Assemblea Generale può esaminare i princìpi generali di cooperazione per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, compresi i princìpi regolanti il disarmo e la disciplina degli armamenti, e può fare, riguardo a tali principi, raccomandazioni sia ai Membri, sia al Consiglio di Sicurezza, sia agli uni ed all'altro.

L'Assemblea Generale può discutere ogni questione relativa al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che le sia sottoposta da qualsiasi Membro delle Nazioni Unite in conformità all'articolo 35, paragrafo 2, e, salvo quanto disposto nell'articolo 12 può fare raccomandazioni riguardo a qualsiasi questione del genere allo Stato o agli Stati interessati, od agli uni ed all'altro.

Qualsiasi questione del genere per cui si renda necessaria un'azione deve essere deferita al Consiglio di Sicurezza da parte dell'Assemblea Generale, prima o dopo la discussione.

L'Assemblea Generale può richiamare l'attenzione del Consiglio di Sicurezza sulle situazioni che siano suscettibili di mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale.

I poteri dell'Assemblea Generale stabiliti in quest'articolo non limitano la portata generale dell'articolo 10.

Articolo 12

Durante l'esercizio da parte del Consiglio di Sicurezza delle funzioni assegnatagli dal presente Statuto, nei riguardi di una controversia o situazione qualsiasi, l'Assemblea Generale non deve fare alcuna raccomandazione riguardo a tale controversia o situazione, a meno che non ne sia richiesta dal Consiglio di Sicurezza.

Il Segretario Generale, con il consenso del Consiglio di Sicurezza, informa l'Assemblea Generale, ad ogni sessione, di tutte le questioni relative al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale di cui stia trattando il Consiglio di Sicurezza ed informa del pari l'Assemblea Generale, o i Membri delle Nazioni Unite se l'Assemblea Generale non é in sessione, non appena il Consiglio di Sicurezza cessi dal trattare tali questioni.

Articolo 13

l'Assemblea Generale intraprende studi e fa raccomandazioni allo scopo di:

a. promuovere la cooperazione internazionale nel campo politico ed incoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione.

b. sviluppare la cooperazione internazionale nei campi economico, sociale, culturale, educativo e della sanità pubblica, e promuovere il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua, o di religione.

Gli ulteriori compiti, funzioni e poteri dell'Assemblea Generale rispetto alle materie indicate nel precedente paragrafo 1 b sono stabiliti nei capitoli IX e X.

Articolo 14

Subordinatamente alle disposizioni dell'articolo 12, l'Assemblea Generale può raccomandare misure per il regolamento pacifico di qualsiasi situazione che, indipendentemente dalla sua origine, essa ritenga suscettibile di pregiudicare il benessere generale o le relazioni amichevoli tra nazioni, ivi comprese le situazioni risultanti da una violazione delle disposizioni del presente Statuto che enunciano i fini ed i princìpi delle Nazioni Unite.

Articolo 15

L'Assemblea Generale riceve ed esamina le relazioni annuali e speciali del Consiglio di Sicurezza; queste relazioni comprendono un resoconto delle misure decise od intraprese dal Consiglio di Sicurezza per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

L'Assemblea Generale riceve ed esamina le relazioni degli altri organi delle Nazioni Unite.

Articolo 16

L'Assemblea Generale adempie quelle funzioni, concernenti il regime internazionale di amministrazione fiduciaria che ad essa sono attribuite dai capitoli XII XIII, compresa l'approvazione delle convenzioni di amministrazione fiduciaria per le zone non designate come strategiche.

Articolo 17

L'Assemblea Generale esamina ed approva il bilancio dell'Organizzazione.

Le spese dell'Organizzazione sono sostenute dai Membri secondo la ripartizione fissata dall'Assemblea Generale.

L'Assemblea Generale esamina ed approva tutti gli accordi finanziari e di bilancio con gli istituti specializzati previsti all'articolo 57, ed esamina i bilanci amministrativi di tali istituti specializzati al scopo di fare ad essi delle raccomandazioni.

VOTAZIONE

Articolo 18

Ogni Membro dell'Assemblea Generale dispone di un voto.

Le decisioni dell'Assemblea Generale su questioni importanti sono prese a maggioranza di due terzi dei Membri presenti e votanti.

Tali questioni comprendono: le raccomandazioni riguardo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, l'elezione dei Membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, l'elezione dei Membri del Consiglio Economico e Sociale, l'elezione di Membri del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria a norma del paragrafo 1c dell'articolo 86, l'ammissione di nuovi Membri delle Nazioni Unite, la sospensione dei diritti e dei privilegi di Membro, l'espulsione di Membri, le questioni relative al funzionamento del regime di amministrazione fiduciaria e le questioni di bilancio.

Le decisioni su altre questioni, compresa la determinazione di categorie addizionali di questioni da decidersi a maggioranza di due terzi, sono prese a maggioranza dei Membri presenti e votanti.

Articolo 19

Un Membro delle Nazioni Unite che sia in arretrato nel pagamento dei suoi contributi finanziari all'Organizzazione non ha voto nell'Assemblea Generale se l'ammontare dei suoi arretrati eguagli o superi l'ammontare dei contributi da lui dovuti per i due anni interi precedenti.

L'Assemblea Generale può, nondimeno, permettere a tale Membro di votare se riconosca che la mancanza del pagamento è dovuta a circostanze indipendenti dalla sua volontà.

PROCEDURA

Articolo 20

L'Assemblea Generale si riunisce in sessioni ordinarie annuali ed in sessioni speciali ove le circostanze lo richiedano.

Le sessioni speciali sono convocate dal Segretario Generale su richiesta del Consiglio di Sicurezza o della maggioranza dei Membri delle Nazioni Unite.

Articolo 21

L'Assemblea Generale stabilisce il proprio regolamento.

Essa elegge il suo Presidente per ogni sessione.

Articolo 22

L'Assemblea Generale può istituire gli organi sussidiari che ritenga necessari per l'adempimento delle sue funzioni.

CAPITOLO V

CONSIGLIO DI SICUREZZA

COMPOSIZIONE

Articolo 23

Il Consiglio di Sicurezza si compone di quindici Membri delle Nazioni Unite.

La Repubblica di Cina, la Francia, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, il Regno Unito di Gran Bretagna e l'Irlanda Settentrionale e gli Stati Uniti d'America sono Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

L'Assemblea Generale elegge dieci altri Membri delle Nazioni Unite quali Membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, avendo speciale riguardo, in primo luogo, al contributo dei Membri delle Nazioni Unite al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ed agli altri fini dell'Organizzazione, ed inoltre ad un'equa distribuzione geografica.

I Membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza sono eletti per un periodo di due anni.

Tuttavia nella prima elezione successiva all'aumento da 11 a 15 del numero dei Membri del Consiglio di Sicurezza, due dei quattro Membri aggiuntivi saranno scelti per il periodo di un anno.

I Membri uscenti non sono immediatamente rieleggibili.

Ogni Membro del Consiglio di Sicurezza ha un rappresentante nel Consiglio.

FUNZIONI E POTERI

Articolo 24

Al scopo di assicurare un'azione pronta ed efficace da parte delle Nazioni Unite, i Membri conferiscono al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e riconoscono che il Consiglio di Sicurezza, nell'adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce in loro nome.

Nell'adempimento di questi compiti il Consiglio di Sicurezza agisce in conformità ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite.

I poteri specifici attribuiti al Consiglio di Sicurezza per l'adempimento di tali compiti sono indicati nei capitoli VI, VII, VIII e XII.

Il Consiglio di Sicurezza sottopone relazioni annuali e, quando sia necessario, relazioni speciali all'esame dell'Assemblea Generale.

Articolo 25

I Membri delle Nazioni Unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni del presente Statuto.

Articolo 26

Al scopo di promuovere lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti, il Consiglio di Sicurezza ha il compito di formulare, con l'ausilio del Comitato di Stato Maggiore previsto dall'articolo 47, piani da sottoporre ai Membri delle Nazioni Unite per l'istituzione di un sistema di disciplina degli armamenti.

VOTAZIONE

Articolo 27

Ogni Membro del Consiglio di Sicurezza dispone di un voto.

Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su questioni di procedura sono prese con un voto favorevole di nove Membri.

Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su ogni altra questione sono prese con un voto favorevole di nove Membri, nel quale siano compresi i voti dei Membri permanenti: tuttavia nelle decisioni previste dal Capitolo VI e dal paragrafo 3 dell'articolo 52, un Membro che sia parte di una controversia deve astenersi dal voto.

PROCEDURA

Articolo 28

Il Consiglio di Sicurezza e organizzato in modo da poter funzionare in permanenza.

Ogni Membro del Consiglio di Sicurezza deve, a tal scopo, avere in qualsiasi momento un rappresentante nella sede dell'Organizzazione.

Il Consiglio di Sicurezza tiene riunioni periodiche alle quali ognuno dei suoi Membri può, ove lo desideri, essere rappresentato da un Membro del Governo o da un altro rappresentante appositamente designato.

Il Consiglio di Sicurezza può tenere riunioni in quelle località diverse dalla sede dell'Organizzazione che, a suo giudizio, possano meglio facilitare i suoi lavori.

Articolo 29

Il Consiglio di Sicurezza può istituire gli organi sussidiari che ritenga necessari per l'adempimento delle sue funzioni.

Articolo 30

Il Consiglio di Sicurezza stabilisce il proprio regolamento, nel quale fissa le norme concernenti il sistema di scelta del suo Presidente.

Articolo 31

Ogni Membro delle Nazioni Unite che non sia Membro del Consiglio di Sicurezza può partecipare, senza diritto di voto, alla discussione di qualsiasi questione sottoposta al Consiglio di Sicurezza, ogniqualvolta quest'ultimo ritenga che gli interessi di tale Membro siano particolarmente coinvolti.

Articolo 32

Ogni Membro delle Nazioni Unite che non sia Membro del Consiglio di Sicurezza od ogni Stato che non sia Membro delle Nazioni Unite, qualora sia parte in una controversia in esame avanti al Consiglio di Sicurezza, sarà invitato a partecipare, senza diritto di voto, alla discussione relativa alla controversia.

Il Consiglio di Sicurezza stabilisce le condizioni che ritiene opportune per la partecipazione di uno Stato che non sia Membro delle Nazioni Unite.

CAPITOLO VI

SOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE

Articolo 33

Le parti di una controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, devono, anzitutto, perseguirne una soluzione mediante negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni od accordi regionali, od altri mezzi pacifici di loro scelta.

Il Consiglio di Sicurezza ove lo ritenga necessario, invita le parti a regolare la loro controversia medianti tali

Articolo 34

Il Consiglio di Sicurezza può fare indagini su qualsiasi controversia o su qualsiasi situazione che possa portare ad un attrito internazionale o dar luogo ad una controversia, allo scopo di determinare se la continuazione della controversia o della situazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Articolo 35

Ogni Membro delle Nazioni Unite può sottoporre qualsiasi controversia o situazione della natura indicata nell'articolo 34 all'attenzione del Consiglio di Sicurezza o dell'Assemblea Generale.

2 Uno stato che non sia Membro delle Nazioni Unite può sottoporre all'attenzione del Consiglio di Sicurezza o dell'Assemblea Generale qualsiasi controversia di cui esso sia parte, se accetti preventivamente, ai fini di tale controversia, gli obblighi di regolamento pacifico previsti dal presente Statuto.

I procedimenti dell'Assemblea Generale rispetto alle questioni sottoposte alla sua attenzione in virtù di questo articolo, sono soggetti alle disposizioni degli articoli 11 e 12.

Articolo 36

Il Consiglio di Sicurezza può, in qualsiasi fase di una controversia della natura indicata nell'articolo 33, o di una situazione di natura analoga raccomandare procedimenti o metodi di sistemazione adeguati.

Il Consiglio di Sicurezza deve prendere in considerazione le procedura per la soluzione della controversia che siano già state adottate dalle parti.

Nel fare raccomandazioni a norma di questo articolo il Consiglio di Sicurezza deve inoltre tenere presente che le controversie giuridiche, dovrebbero, di regola generale, essere deferite dalle parti alla Corte Internazionale di Giustizia in conformità alle disposizioni dello Statuto della Corte.

Articolo 37

Se le parti di una controversia della natura indicata nell'articolo 33 non riescono a regolarla con i mezzi indicati in tale articolo, esse devono deferirla al Consiglio di Sicurezza.

Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che la continuazione della controversia sia in fatto suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, esso decide se agire a norma dell'articolo 36, o raccomandare quella soluzione che ritenga adeguata.

Articolo 38

Senza pregiudizio delle disposizioni degli articoli 33 e 37, il Consiglio di Sicurezza può, se tutte le parti di una controversia lo richiedono, fare ad esse raccomandazioni per una soluzione pacifica della controversia.

CAPITOLO VII

AZIONE RISPETTO ALLE MINACCE ALLA PACE, ALLE VIOLAZIONI DELLA PACE ED AGLI ATTI DI AGGRESSIONE

Articolo 39

Il Consiglio di Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

Articolo 40

Al scopo di prevenire un aggravarsi della situazione, il Consiglio di Sicurezza prima di fare le raccomandazioni o di decidere sulle misure previste all'articolo 41, può invitare le parti interessate ad ottemperare a quelle misure provvisorie che esso consideri necessarie o desiderabili.

Tali misure provvisorie non devono pregiudicare i diritti, le pretese o la posizione delle parti interessate.

11 Consiglio di Sicurezza prende in debito conto il mancato ottemperamento a tali misure provvisorie.

Articolo 41

Il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l'impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure.

Queste possono comprendere un'interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche.

Articolo 42

Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell'articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite.

Articolo 43

Al scopo di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, tutti i Membri delle Nazioni Unite si impegnano a mettere a disposizione del Consiglio di Sicurezza, a sua richiesta ed in conformità ad un accordo o ad accordi speciali, le forze armate, l'assistenza e le facilitazioni, compreso il diritto di passaggio, necessario per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

L'accordo o gli accordi suindicati determineranno il numero ed i tipi di forze armate, il loro grado di preparazione e la loro dislocazione generale, e la natura delle facilitazioni e dell'assistenza da fornirsi.

L'accordo o gli accordi saranno negoziati al più presto possibile su iniziativa del Consiglio di Sicurezza.

Essi saranno conclusi tra il Consiglio di Sicurezza ed i singoli Membri, oppure tra il Consiglio di Sicurezza e i gruppi di Membri, e saranno soggetti a ratifica da parte degli Stati firmatari in conformità alle rispettive norme costituzionali.

Articolo 44

Quando il Consiglio di Sicurezza abbia deciso di impiegare la forza, esso, prima di richiedere ad un Membro non rappresentato nel Consiglio di fornire forze armate in esecuzione degli obblighi assunti a norma dell'articolo 43, inviterà tale Membro, ove questi lo desideri, a partecipare alle decisioni del Consiglio di Sicurezza concernenti l'impiego di contingenti di forze armate del Membro stesso.

Articolo 45

Al scopo di dare alle Nazioni Unite la possibilità di prendere misure militari urgenti, i Membri terranno ad immediata disposizione contingenti di forze aeree nazionali per l'esecuzione combinata di un'azione coercitiva internazionale.

La forza ed il grado di preparazione di questi contingenti, ed i piani per la loro azione combinata, sono determinati, entro i limiti stabiliti nell'accordo o negli accordi speciali previsti dall'articolo 43, dal Consiglio di Sicurezza coadiuvato dal Comitato di Stato Maggiore.

Articolo 46

I piani per l'impiego delle forze armate sono stabiliti dal Consiglio di Sicurezza coadiuvato dal Comitato di Stato Maggiore.

Articolo 47

E' costituito un Comitato di Stato Maggiore per consigliare e coadiuvare il Consiglio di Sicurezza in tutte le questioni riguardanti le esigenze militari del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, l'impiego ed il comando delle forze poste a sua disposizione, la disciplina degli armamenti e l'eventuale disarmo.

Il Comitato di Stato Maggiore è composto dai capi di Stato Maggiore dei Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, o di loro rappresentanti.

Ogni Membro delle Nazioni Unite non rappresentato in modo permanente nel Comitato sarà invitato dal Comitato stesso ad associarsi ad esso quando l'efficiente adempimento dei compiti del Comitato richieda la partecipazione di tale Membro alla sua attività.

11 Comitato di Stato Maggiore ha, alle dipendenze del Consiglio di Sicurezza, la responsabilità della direzione strategica di tutte le forze armate messe a disposizione del Consiglio di Sicurezza.

Le questioni concernenti il comando di tali forze saranno trattate in seguito.

Con l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza e dopo consultazioni con le organizzazioni regionali competenti, il Comitato di Stato Maggiore può costituire dei sottocomitati regionali.

Articolo 48

L'azione necessaria per eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale è intrapresa da tutti i Membri delle Nazioni Unite o da alcuni di essi secondo quanto stabilisca il Consiglio di Sicurezza.

Tali decisioni sono eseguite dai Membri delle Nazioni Unite direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri.

Articolo 49

I Membri delle Nazioni Unite si associano per prestarsi mutua assistenza nell'eseguire le misure deliberate dal Consiglio di Sicurezza.

Articolo 50

Se il Consiglio di Sicurezza intraprende misure preventive contro uno Stato, ogni altro Stato, sia o non sia Membro delle Nazioni Unite, che si trovi di fronte a particolari difficoltà economiche derivanti dall'esecuzione di tali misure, ha diritto di consultare il Consiglio di Sicurezza riguardo ad una soluzione di tali difficoltà.

Articolo 51

Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

Le misure prese da Membri nell'esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell'azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

CAPITOLO VIII

ACCORDI REGIONALI

Articolo 52

Nessuna disposizione del presente Statuto preclude l'esistenza di accordi od organizzazioni regionali per la trattazione di quelle questioni concernenti il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che si prestino ad un'azione regionale, purché tali accordi od organizzazioni e le loro attività siano conformi ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite.

1 Membri delle Nazioni Unite che partecipino a tali accordi od organizzazioni devono fare ogni sforzo per giungere ad una soluzione pacifica delle controversie di carattere locale medianti tali accordi od organizzazioni regionali prima di deferirle al Consiglio di Sicurezza.

Il Consiglio di Sicurezza incoraggia lo sviluppo della soluzione pacifica delle controversie di carattere locale, mediante gli accordi o le organizzazioni regionali, sia su iniziativa degli Stati interessati, sia per deferimento da parte del Consiglio di Sicurezza.

Questo articolo non pregiudica in alcun modo l'applicazione degli articoli 34 e 35.

Articolo 53

Il Consiglio di Sicurezza utilizza, se del caso, gli accordi o le organizzazioni regionali per azioni coercitive sotto la sua direzione.

Tuttavia, nessuna azione coercitiva potrà venire intrapresa in base ad accordi regionali o da parte di organizzazioni regionali senza l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, eccezion fatta per le misure contro uno Stato nemico, ai sensi della definizione data dal paragrafo 2 di questo articolo, quali sono previste dall'articolo 107 o da accordi regionali diretti contro un rinnovarsi della politica aggressiva da parte di un tale Stato, fino al momento in cui l'organizzazione potrà, su richiesta del Governo interessato, essere investita del compito di prevenire ulteriori aggressioni da parte del detto Stato.

L'espressione "Stato nemico" quale è usata nel paragrafo 1 di questo articolo si riferisce ad ogni Stato che durante la seconda guerra mondiale sia stato nemico di uno dei firmatari del presente Statuto.

Articolo 54

Il Consiglio di Sicurezza deve essere tenuto, in ogni momento, pienamente informato dell'azione intrapresa o progettata in base ad accordi regionali o da parte di organizzazioni regionali per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

CAPITOLO IX

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ECONOMICA E SOCIALE

Articolo 55

Al scopo di creare le condizioni di stabilita e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli fra le nazioni, basate sul rispetto del principio dell'uguaglianza dei diritti o dell'autodecisione dei popoli, le Nazioni Unite promuoveranno:

a.un più elevato tenore di vita, il pieno impiego della mano d'opera, e condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale;

b.la soluzione dei problemi internazionali economici, sociali, sanitari e simili, e la collaborazione internazionale culturale ed educativa;

c.il rispetto e l'osservanza universale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione.

Articolo 56

I Membri si impegnano ad agire, collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l'organizzazione per raggiungere i fini indicati all'articolo 55.

Articolo 57

I vari istituti specializzati costituiti con accordi intergovernativi, ed aventi, in conformità ai loro Statuti, vasti compiti internazionali nei campi economico, sociale, culturale, educativo, sanitario e simili sono collegati con le Nazioni Unite in conformità alle disposizioni dell'articolo 63.

Gli istituti così collegate con le Nazioni Unite sono qui di seguito indicati con l'espressione "Istituti specializzati".

Articolo 58

L'Organizzazione fa raccomandazioni per il coordinamento dei programmi e delle attività degli istituti specializzati.

Articolo 59

L'Organizzazione promuove, se del caso, trattative tra gli Stati interessati per la creazione di nuovi istituti specializzati per il conseguimento dei fini indicati nell'articolo 55.

Articolo 60

Il compito di adempiere le funzioni dell'Organizzazione indicate in questo capitolo spetta all'Assemblea Generale e, sotto la sua direzione, al Consiglio Economico e Sociale, che a tale scopo dispone dei poteri ad esso attribuiti dal capitolo X.

CAPITOLO X

CONSIGLIO ECONOMICO E SOCIA

Composizione

Articolo 61

Il Consiglio Economico e Sociale si compone di cinquantaquattro Membri delle Nazioni Unite eletti dall'Assemblea Generale.

Salve le disposizioni del paragrafo 3, diciotto Membri del Consiglio Economico e Sociale sono eletti ogni anno per un periodo di tre anni.

I Membri uscenti sono immediatamente rieleggibili.

Alla prima elezione successiva all'aumento da ventisette a cinquantaquattro Membri del Consiglio Economico e Sociale, oltre ai Membri eletti al posto dei nove Membri il cui mandato scade al termine dell'anno in corso, saranno eletti altri ventisette Membri.

Di questi ventisette Membri aggiuntivi, il mandato di nove scadrà al termine di un anno, e quello di altri nove al termine di due anni, in conformità alle disposizioni che saranno prese dall'Assemblea Generale.

Ogni Membro del Consiglio Economico e Sociale ha un rappresentante nel Consiglio .

Funzioni e Poteri

Articolo 62

Il Consiglio Economico e Sociale può compiere o promuovere studi o relazioni su questioni internazionali economiche e sociali, culturali, educative, sanitarie e simili, e può fare raccomandazioni riguardo a tali questioni all'Assemblea Generale, ai Membri delle Nazioni Unite, ed agli istituti specializzati interessati.

Esso può fare raccomandazioni al scopo di promuovere il rispetto e l'osservanza dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti.

Esso può preparare progetti di convenzione da sottoporre all'Assemblea Generale riguardo a questioni che rientrino nella sua competenza.

Esso può convocare, in conformità alle norme stabilite dalle Nazioni Unite, conferenze internazionali su questioni che rientrino nella sua competenza.

Articolo 63

Il Consiglio Economico e Sociale può concludere accordi con qualsiasi istituto di quelli indicati all'articolo 57 per definire le condizioni in base alle quali l'istituto considerato sarà collegato con le Nazioni Unite.

Tali accordi sono soggetti all'approvazione dell'Assemblea Generale.

Esso può coordinare le attività degli istituti specializzati mediante consultazioni con tali istituti e raccomandazioni ad essi come mediante raccomandazioni all'Assemblea Generale ed ai Membri delle Nazioni Unite.

Articolo 64

Il Consiglio Economico e Sociale può prendere opportune disposizioni per ricevere rapporti regolari dagli istituti specializzati.

Esso può concludere accordi con i Membri delle Nazioni Unite e con gli istituti specializzati al scopo di ottenere rapporti sulle misure prese per attuare le sue raccomandazioni e le raccomandazioni fatte dall'Assemblea Generale su questioni che rientrino nella sua competenza.

Esso può comunicare all'Assemblea Generale le sue osservazioni su tali relazioni.

Articolo 65

Il Consiglio Economico e Sociale può fornire informazioni al Consiglio di Sicurezza e coadiuvarlo ove esso lo richieda.

Articolo 66

Il Consiglio Economico e Sociale assolve le funzioni che rientrano nella sua competenza relativamente all'esecuzione delle raccomandazioni dell'Assemblea Generale.

Esso può, con l'approvazione dell'Assemblea Generale, eseguire servizi che siano richiesti da Membri delle Nazioni Unite o da istituti specializzati.

Esso adempie alle ulteriori funzioni che siano indicate in altre parti del presente Statuto o che possono essere ad esso attribuite dall'Assemblea Generale.

VOTAZIONE

Articolo 67

Ogni Membro del Consiglio Economico e Sociale dispone di un voto.

Le decisioni del Consiglio Economico e Sociale sono prese a maggioranza dei Membri presenti e votanti.

Procedura

Articolo 68

Il Consiglio Economico e Sociale istituisce commissioni per le questioni economiche e sociali e per promuovere i diritti dell'uomo, nonché quelle altre commissioni che possono essere richieste per l'adempimento delle sue funzioni.

Articolo 69

Il Consiglio Economico e Sociale inviterà ogni Membro delle Nazioni Unite a partecipare, senza diritto di voto, alle sue deliberazioni su qualsiasi questione di particolare interesse per tale Membro.

Articolo 70

Il Consiglio Economico e Sociale può prendere disposizioni perché rappresentanti degli istituti specializzati partecipino, senza diritto di voto, alle sue deliberazioni ed a quelle delle commissioni da esso istituite, e perché i suoi rappresentanti partecipino alle deliberazioni degli istituti specializzati.

Articolo 71

Il Consiglio Economico e Sociale può prendere opportuni accordi per consultare le organizzazioni non governative interessate alle questioni che rientrino nella sua competenza.

Tali accordi possono essere presi con organizzazioni internazionali e, se del caso, con organizzazioni nazionali, previa consultazione con il Membro delle Nazioni Unite interessato.

Articolo 72

Il Consiglio Economico e Sociale stabilisce il proprio regolamento, che comprende le norme relative alla designazione del suo Presidente.

Il Consiglio Economico e Sociale n si riunisce secondo le esigenze, in conformità al proprio regolamento; quest'ultimo dovrà contenere disposizioni per la convocazione di riunioni a richiesta della maggioranza dei suoi Membri.

CAPITOLO XI

DICHIARAZIONE CONCERNENTE I TERRITORI NON AUTONOMI

Articolo 73

I Membri delle Nazioni Unite, i quali abbiano od assumano la responsabilità dell'amministrazione di territori la cui popolazione non abbia ancora raggiunto una piena autonomia riconoscono il principio che gli interessi degli abitanti di tali territori sono preminenti, ed accettano come sacra missione l'obbligo di promuovere al massimo, nell'ambito del sistema di pace e di sicurezza internazionale istituito dal presente Statuto, il benessere degli abitanti di tali territori, e, a tal scopo, l'obbligo:

a.di assicurare, con il dovuto rispetto per la cultura delle popolazioni interessate, il loro progresso politico, economico, sociale ed educativo, il loro giusto trattamento e la loro protezione contro gli abusi;

b.di sviluppare l'autogoverno delle popolazioni, di prendere in debita considerazione le aspirazioni politiche e di assisterle nel progressivo sviluppo delle loro libere istituzioni politiche, in armonia con le circostanze particolari di ogni territorio e delle sue popolazioni, e del loro diverso grado di sviluppo;

c.di rinsaldare la pace e la sicurezza internazionale;

d.di promuovere misure costruttive di sviluppo, di incoraggiare ricerche, e di collaborare tra loro, e, quando e dove ne sia il caso, con gli istituti internazionali specializzati, per il pratico raggiungimento dei fini sociali, economici e scientifici enunciati in questo articolo;

e. di trasmettere regolarmente al Segretario Generale, a scopo d'informazione e con le limitazioni che possono essere richieste dalla sicurezza e da considerazioni costituzionali, dati statistici ed altre notizie di natura tecnica, riguardanti le condizioni economiche, sociali ed educative nei territori di cui sono rispettivamente responsabili, eccezion fatta per quei territori cui si applicano i capitoli XII e XIII.

Articolo 74

I Membri delle Nazioni Unite riconoscono altresì che la loro politica nei riguardi dei territori cui si riferisce questo capitolo, non meno che nei riguardi dei loro territori metropolitani, deve basarsi sul principio generale del buon vicinato in materia sociale economica e commerciale, tenuto il debito conto degli interessi e del benessere del resto del mondo.

CAPITOLO XII

REGIME INTERNAZIONALE DI AMMINISTRAZIONE FIDUCIARIA

Articolo 75

Le Nazioni Unite stabiliscono sotto la loro autorità un regime internazionale di amministrazione fiduciaria per l'amministrazione ed il controllo di quei territori che potranno essere sottoposti a tale regime con successive convenzioni particolari.

Questi territori sono qui di seguito indicati con l'espressione "territori in amministrazione fiduciaria".

Articolo 76

Gli obiettivi fondamentali del regime di amministrazione fiduciaria, in conformità ai fini delle Nazioni Unite enunciati nell'articolo 1 del presente Statuto, sono i seguenti:

a. rinsaldare la pace e la sicurezza internazionale;

b. promuovere il progresso politico, economico, sociale ed educativo degli abitanti dei territori in amministrazione fiduciaria, ed il loro progressivo avviamento all'autonomia o all'indipendenza, tenendo conto delle particolari condizioni di ciascun territorio e delle sue popolazioni, delle aspirazioni liberamente manifestate dalle popolazioni interessate, e delle disposizioni che potranno essere previste da ciascuna convenzione di amministrazione fiduciaria;

c. incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, sesso, lingua, o religione, ed incoraggiare il riconoscimento della interdipendenza dei popoli del mondo;

d. di assicurare parità di trattamento in materia sociale, economica e commerciale a tutti i Membri delle Nazioni Unite ed ai loro cittadini e così pure uguaglianza di trattamento a questi ultimi nell'amministrazione della giustizia senza pregiudizio per il conseguimento dei sopraindicati obiettivi, e subordinatamente alle disposizioni dell'articolo 80.

Articolo 77

Il regime di amministrazione fiduciaria sarà applicato ai territori delle seguenti categorie che vi siano sottoposti medianti convenzioni di amministrazione fiduciaria:

a. territori attualmente sottoposti a mandato;

b. territori che vengono tolti a Stati nemici in conseguenza della seconda guerra mondiale;

c. territori sottoposti volontariamente a tale regime dagli Stati responsabili della loro amministrazione.

Sarà oggetto di successivo accordo stabilire quali territori delle precedenti categorie saranno sottoposti al regime di amministrazione fiduciaria ed a quali condizioni.

Articolo 78

Il regime di amministrazione fiduciaria non si applicherà ai territori che siano divenuti Membri delle Nazioni Unite, dovendo le relazioni tra questi essere fondate sul rispetto del principio della sovrana uguaglianza.

Articolo 79

Le condizioni dell'amministrazione fiduciaria per ogni territorio da sottoporre al regime di amministrazione fiduciaria, come pure i relativi mutamenti od emendamenti, saranno convenuti tra gli Stati direttamente interessati, inclusa la potenza mandataria nel caso di territori sotto mandato di un Membro delle Nazioni Unite, e saranno approvati secondo le disposizioni degli articoli 83 e 85.

Articolo 80

Salvo quanto possa essere convenuto in singole convenzioni di amministrazione fiduciaria, stipulate a norme degli articoli 77, 79 e 81, per sottoporre ciascun territorio al regime di amministrazione fiduciaria, e fino a quando tali convenzioni non siano state concluse, nessuna disposizione di questo capitolo deve essere interpretata in maniera da modificare in alcun modo i diritti di uno Stato o di una popolazione, o le disposizioni di atti internazionali vigenti, di cui siano parte Membri delle Nazioni Unite.

Il paragrafo 1 di questo articolo non deve essere interpretato in modo da dar motivo a ritardo o rinvio della negoziazione e stipulazione di convenzione per sottoporre al regime di amministrazione fiduciaria dei territori sotto mandato, od altri, secondo quanto è previsto dall'articolo 77.

Articolo 81

La convenzione di amministrazione fiduciaria dovrà in ogni caso comprendere le condizioni in base alle quali il territorio in questione sarà amministrato e designare l'autorità che eserciterà l'amministrazione del medesimo.

Tale autorità, qui di seguito indicata con l'espressione "autorità amministratrice", potrà essere costituita da uno Stato o da più Stati o dall'Organizzazione stessa.

Articolo 82

In ogni convenzione di amministrazione fiduciaria potranno essere designate una o più zone strategiche che potranno comprendere tutto il territorio sottoposto all'amministrazione fiduciaria, od una sua parte, senza alcun pregiudizio dell'accordo o degli accordi speciali stipulati a norma dell'articolo 43.

Articolo 83

Tutte le funzioni delle Nazioni Unite relative alle zone strategiche, compresa l'approvazione delle disposizioni delle convenzioni di amministrazione fiduciaria e dei loro mutamenti od emendamenti, sono esercitate dal Consiglio di Sicurezza.

Gli obiettivi fondamentali indicati nell'articolo 76 valgono per la popolazione di ogni zona strategica.

Il Consiglio di Sicurezza si avvale, nel rispetto delle disposizioni delle convenzioni di amministrazione fiduciaria e senza pregiudizio delle considerazioni di sicurezza, dell'ausilio del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria per esercitare, nelle zone strategiche, quelle funzioni che, in base al regime di amministrazione fiduciaria spettano alle Nazioni Unite in materia politica, economica, sociale ed educativa.

Articolo 84

L'autorità amministratrice ha il dovere di fare in modo che il territorio amministrato prenda la sua parte al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

A questo scopo l'autorità amministratrice può servirsi di forze armate volontarie, di facilitazioni e di assistenza da parte del territorio in amministrazione fiduciaria per l'adempimento degli obblighi da essa assunti a tale riguardo verso il Consiglio di Sicurezza, come pure per la difesa locale e per il mantenimento dell'ordine nel territorio in amministrazione.

Articolo 85

Le funzioni delle Nazioni Unite in rapporto alle convenzioni di amministrazione fiduciaria per tutte le zone non definite come strategiche, compresa l'approvazione delle disposizioni delle convenzioni di amministrazione fiduciaria e dei loro mutamenti od emendamenti, sono esercitate dall'Assemblea generale.

Il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria operante sotto la direzione dell'Assemblea Generale coadiuva quest'ultima nell'adempimento di tali funzioni.

CAPITOLO XIII

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE FIDUCIARIA

Composizione

Articolo 86

Il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria si compone dei seguenti Membri delle Nazioni Unite:

a. Membri che amministrano territori in amministrazione fiduciaria;

b. quelli, tra i Membri menzionati nominativamente nell'art. 23, che non amministrano territori in amministrazione fiduciaria;

c. tanti altri Membri eletti per la durata di tre anni dall'Assemblea Generale quanti siano necessari per ottenere che il numero totale dei Membri del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria si divida in parti uguali tra i Membri delle Nazioni Unite che amministrano territori in amministrazione fiduciaria e quelli che non ne amministrano.

Ogni Membro del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria designa una persona particolarmente qualificata a rappresentarlo nel Consiglio stesso.

FUNZIONI E POTERI

Articolo 87

L'Assemblea Generale e, sotto la sua direzione, il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria, nell'esercizio delle loro funzioni, possono:

a. esaminare le relazioni sottoposte dall'autorità amministratrice;

b. ricevere petizioni, ed esaminarle consultandosi al riguardo con l'autorità amministratrice;

c. disporre visite periodiche ai rispettivi territori in amministrazione fiduciaria in epoche concordate con l'autorità amministratrice;

d. esercitare queste ed altre attività in conformità alle disposizioni delle convenzioni di amministrazione fiduciaria.

Articolo 88

Il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria formula un questionario sul progresso politico, economico, sociale ed educativo degli abitanti di ogni territorio in amministrazione fiduciaria e l'autorità amministratrice di ogni territorio che rientri nella competenza dell'Assemblea Generale presenta a quest'ultima una relazione annuale redatta in base a tale questionario.

VOTAZIONE

Articolo 89

Ogni Membro del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria dispone di un voto.

Le decisioni del Consiglio di Amministrazione Fiduciaria sono prese a maggioranza dei Membri presenti e votanti.

PROCEDURA

Articolo 90

Il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria stabilisce il proprio regolamento che comprende le norme relative alla designazione del suo Presidente.

Il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria si riunisce secondo le esigenze, in conformità al proprio regolamento; quest'ultimo dovrà contenere disposizioni per la convocazione di riunioni a richiesta della maggioranza dei suoi Membri.

Articolo 91

Il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria si avvale, se del caso, dell'assistenza del Consiglio Economico e Sociale e degli istituti specializzati per le questioni che attengano alle loro rispettive competenze.

CAPITOLO XIV

CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

Articolo 92

La Corte Internazionale di Giustizia costituisce il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite.

Essa funziona in conformità allo Statuto annesso che e basato sullo Statuto della Corte Permanente di Giustizia Internazionale e forma parte integrante del presente Statuto.

Articolo 93

Tutti i Membri delle Nazioni Unite sono ipso facto aderenti allo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia.

Uno Stato non Membro delle Nazioni Unite può aderire allo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia alle condizioni da determinarsi caso per caso dall'Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza.

Articolo 94

Ciascun Membro delle Nazioni Unite si impegna a conformarsi alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia in ogni controversia di cui esso sia parte.

Se una delle parti di una controversia non adempie agli obblighi che le incombono per effetto di una sentenza resa dalla corte, l'altra parte può ricorrere al Consiglio di Sicurezza, il quale ha facoltà, ove lo ritenga necessario di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere perché la sentenza abbia esecuzione.

Articolo 95

Nessuna disposizione del presente Statuto impedisce ai Membri delle Nazioni Unite di deferire la soluzione delle loro controversie ad altri tribunali in virtù di accordi già esistenti o che possano essere conclusi in avvenire.

Articolo 96

L'Assemblea Generale od il Consiglio di Sicurezza possono chiedere alla Corte Internazionale di Giustizia un parere consultivo su qualunque questione giuridica.

Gli altri organi delle Nazioni Unite e gli istituti specializzati, che siano a ciò autorizzati in qualunque momento dall'Assemblea Generale, hanno anch'essi la facoltà di chiedere alla Corte pareri su questioni giuridiche che sorgano nell'ambito delle loro attività.

CAPITOLO XV

SEGRETARIATO

Articolo 97

Il Segretariato comprende un Segretario Generale ed il personale che l'Organizzazione possa richiedere.

Il Segretario Generale è nominato dall'Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza.

Egli è il più alto funzionario amministrativo dell'Organizzazione.

Articolo 98

Il Segretario Generale agisce in tale qualità in tutte le riunioni dell'Assemblea Generale, del Consiglio di Sicurezza, del Consiglio Economico e Sociale, del Consiglio di Amministrazione fiduciaria, ed esplica altresì quelle altre funzioni che gli siano affidate da tali organi.

Il Segretario Generale presenta all'Assemblea Generale una relazione annuale sul lavoro svolto dall'Organizzazione.

Articolo 99

Il Segretario Generale può richiamare l'attenzione del Consiglio di Sicurezza su qualunque questione che, a suo avviso possa minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Articolo 100

Nell'adempimento dei loro doveri il Segretario Generale ed il personale non solleciteranno né riceveranno istruzioni da alcun Governo o da alcun'altra autorità estranea all'Organizzazione.

Essi dovranno astenersi da qualunque azione che possa compromettere la loro posizione di funzionari internazionali responsabili solo di fronte all'Organizzazione.

Ciascun Membro delle Nazioni Unite si impegna a rispettare il carattere esclusivamente internazionale delle funzioni del Segretario Generale e del personale, ed a non cercare di influenzarli nell'adempimento delle loro mansioni.

Articolo 101

Il personale é nominato dal Segretario Generale secondo le norme stabilite dall'Assemblea Generale.

Appositi funzionari sono assegnati in via permanente al Consiglio Economico e Sociale, al Consiglio di Amministrazione Fiduciaria, e, secondo le necessità, ad altri organi delle Nazioni Unite.

questi funzionari fanno parte del Segretariato.

La considerazione preminente nel reclutamento del personale e nella determinazione delle condizioni di impiego deve essere la necessità di assicurare il massimo grado di efficienza, competenza ed integrità.

Sara data la debita considerazione all'importanza di reclutare il personale sulla base del criterio geografico più esteso possibile.

CAPITOLO XVI

DISPOSIZIONI VARIE

Articolo 102

Ogni trattato ed ogni accordo internazionale stipulato da un Membro delle Nazioni Unite dopo l'entrata in vigore del presente Statuto deve essere registrato al più presto possibile presso il Segretariato e pubblicato a cura di quest'ultimo.

Nessuno dei contraenti di un trattato o accordo internazionale che non sia stato registrato in conformità alle disposizioni del paragrafo 1 di questo articolo, potrà invocare il detto trattato o accordo davanti ad un organo delle Nazioni Unite.

Articolo 103

In caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da esso assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto.

Articolo 104

L'Organizzazione gode, nel territorio di ciascuno dei suoi Membri, della capacità giuridica necessaria per l'esercizio delle sue funzioni e per il conseguimento dei suoi fini.

Articolo 105

L'Organizzazione gode, nel territorio di ciascuno dei suoi Membri, dei privilegi e delle immunità necessari per il conseguimento dei suoi fini.

I rappresentanti dei Membri delle Nazioni Unite ed i funzionari dell'Organizzazione godranno parimenti dei privilegi e delle immunità necessari per l'esercizio indipendente delle loro funzioni inerenti all'Organizzazione.

L'Assemblea Generale può fare raccomandazioni allo scopo di determinare i dettagli dell'applicazione dei paragrafi 1 e 2 di questo articolo, o proporre ai Membri delle Nazioni Unite delle convenzioni a tal scopo

CAPITOLO XVII

DISPOSIZIONI TRANSITORIE DI SICUREZZA

Articolo 106

In attesa che entrino in vigore accordi speciali, previsti dall'articolo 43, tali, secondo il parere del Consiglio di Sicurezza, da rendere ad esso possibile di iniziare l'esercizio delle proprie funzioni a norma dell'articolo 42, gli Stati partecipanti alla Dichiarazione delle Quattro Potenze, firmata a Mosca, il 30 Ottobre 1943, e la Francia, giusta le disposizioni del paragrafo 5 di quella Dichiarazione, si consulteranno tra loro e, quando lo richiedano le circostanze, con altri Membri delle Nazioni Unite in vista di quell'azione comune necessaria al scopo di mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

Articolo 107

Nessuna disposizione del presente Statuto può infirmare o precludere, nei confronti di uno Stato che nella seconda guerra mondiale sia stato nemico di uno dei firmatari del presente Statuto, un'azione che venga intrapresa od autorizzata, come conseguenza di quella guerra, da parte dei Governi che hanno la responsabilità di una tale azione.

CAPITOLO XVIII

EMENDAMENTI

Articolo 108

Gli emendamenti al presente Statuto entreranno in vigore per tutti i Membri delle Nazioni Unite quando saranno stati adottati alla maggioranza dei due terzi dei Membri dell'Assemblea Generale e ratificati, in conformità alle rispettive norme costituzionali, da due terzi dei Membri delle Nazioni Unite, ivi compresi tutti i Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

Articolo 109

Una Conferenza Generale dei Membri delle Nazioni Unite per la revisione del presente Statuto potrà essere tenuta alla data e nel luogo da stabilirsi con un voto a maggioranza dei due terzi dei Membri dell'Assemblea Generale e con un voto di nove Membri qualsiasi del Consiglio di Sicurezza.

Ogni Membro delle Nazioni Unite disporrà di un voto alla Conferenza.

Qualunque modificazione del presente Statuto proposta dalla Conferenza alla maggioranza dei due terzi entrerà in vigore quando sarà stata ratificata, in conformità alle rispettive norme costituzionali, dai due terzi dei Membri delle Nazioni Unite, ivi compresi tutti i Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

Se tale Conferenza non sarà tenuta prima della decima sessione annuale dell'Assemblea Generale susseguente all'entrata in vigore del presente Statuto, la proposta di convocare tale Conferenza dovrà essere iscritta all'ordine del giorno di quella sessione dell'Assemblea Generale, e la Conferenza sarà tenuta se così sarà stato deciso con un voto a maggioranza dei due terzi dei Membri dell'Assemblea Generale e con un voto di sette Membri qualsiasi del Consiglio di Sicurezza.

CAPITOLO XIX

RATIFICA E FIRMA

Articolo 110

Il presente Statuto sarà ratificato dagli Stati firmatari in conformità alle rispettive norme costituzionali.

Le ratifiche saranno depositate presso il Governo degli Stati Uniti d'America che notificherà ogni deposito a tutti gli Stati firmatari ed al Segretario Generale dell'Organizzazione non appena questi sia stato nominato.

Il presente Statuto entrerà in vigore dopo il deposito delle ratifiche da parte della Repubblica di Cina, della Francia, dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda Settentrionale, degli Stati Uniti d'America e della maggioranza degli altri Stati firmatari.

Un processo verbale del deposito delle ratifiche sarà quindi redatto a cura del Governo degli Stati Uniti d'America che ne comunicherà copia a tutti gli Stati firmatari.

Gli Stati firmatari del presente Statuto che lo ratificheranno dopo la sua entrata in vigore diventeranno Membri originari delle Nazioni Unite dalla data del deposito delle loro rispettive ratifiche.

Articolo 111

Il presente Statuto, di cui i testi cinese, inglese, francese, russo e spagnolo fanno ugualmente fede, sarà depositato negli archivi del Governo degli Stati Uniti d'America.

Copie debitamente autenticate saranno trasmesse da quel Governo ai Governi degli altri Stati firmatari.

IN FEDE DI CHE i rappresentanti dei Governi delle Nazioni Unite hanno firmato il presente Statuto.

FATTO a San Francisco il ventisei giugno millenovecentoquarantacinque

 


Corte penale internazionale

 


Regole di procedura e prova.
(Regola 204)

 

 

Rule 204

Information relating to designation

 

When the Presidency notifies the designated State of its decision, it shall also transmit the following information and documents:

 

(a) The name, nationality, date and place of birth of the sentenced person;

 

(b) A copy of the final judgement of conviction and of the sentence imposed;

 

(c) The length and commencement date of the sentence and the time remaining to be served;

 

(d) After having heard the views of the sentenced person, any necessary information concerning the state of his or her health, including any medical treatment that he or she is receiving.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]     Per i rapporti con le Nazioni Unite e, in particolare, con il Consiglio di sicurezza, v. oltre.

[2]    La competenza per i crimini di aggressione è subordinata alla previa definizione della fattispecie de qua da parte di una Conferenza per la revisione dello Statuto. In base all’articolo 124 del Trattato, una prima Conferenza sarà convocata sette anni dopo l’entrata in vigore dello Statuto per esaminare ogni emendamento allo stesso. In qualsiasi momento successivo e per i medesimi fini, su richiesta di uno Stato parte e con l’approvazione della maggioranza delle Parti, sarà convocata una Conferenza di revisione.

[3]    V. articolo 112 dello Statuto.

[4] L’Accordo, del quale sono Parti 59 Paesi, è in vigore dal 22 luglio 2004; l’Italia lo ha ratificato con legge 6 marzo 2006, n. 130.

[5]    Si rammenta che il 16 gennaio 2002 il governo della Sierra Leone e l’ONU hanno raggiunto un accordo per l’istituzione di un Tribunale ad hoc per giudicare le gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e delle leggi nazionali durante la guerra civile.

[6]     Con la legge 8 maggio 1998, n. 136, si è provveduto al finanziamento della Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite.

[7]    Nella riunione del 29 giugno 2002 il Governo olandese ha approvato formalmente la designazione della Caserma Alexander come sede permanente della Corte penale internazionale.

[8]    Proprio contro Lubanga Dyilo avrebbe dovuto aprirsi il 23 giugno 2008 il primo processo della CPI, ma proprio pochi giorni prima ne era stata ordinata la derubricazione per gravi vizi procedurali – mancata fornitura alla Corte di materiali a discolpa da parte della Procura, che avrebbe inficiato l’equità del dibattimento. Solo l’appello interposto dalla Procura impediva in luglio la scarcerazione dell’imputato, che era stata nel frattempo disposta dalla Corte.

      Il processo contro Lubanga è successivamente iniziato nel gennaio 2009.

[9]    Il provvedimento reca Nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia, ed è stato convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82.

[10]   Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, Istituzione dei tribunali amministrativi regionali.