Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Riforma delle professioni - AA.C. 3, 503, 1553, 1590, 1934, 2077 e 2239 - Riferimenti normativi e documentazione
Riferimenti:
AC N. 3/XVI   AC N. 503/XVI
AC N. 1553/XVI   AC N. 1590/XVI
AC N. 1934/XVI   AC N. 2077/XVI
AC N. 2239/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 178    Progressivo: 1
Data: 09/06/2009
Descrittori:
COLLEGI E ORDINI PROFESSIONALI   LIBERI PROFESSIONISTI
RESPONSABILITA ' PROFESSIONALE     
Organi della Camera: II-Giustizia
X-Attività produttive, commercio e turismo

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Riforma delle professioni

AA.C. 3, 503, 1553, 1590, 1934, 2077

e 2239

Riferimenti normativi e documentazione

 

 

 

 

 

 

n. 178/1

 

 

 

9 giugno 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimenti giustizia e attività produttive

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it

 

 

 

 

 

Per l’esame congiunto, presso le Commissioni II (Giustizia) e X (Attività produttive), dell’A.C. 3 e abb. “Riforma delle professioni”, sono stati predisposti i seguenti dossier:

- n. 178/0 (Elementi per l’istruttoria legislativa)

- n. 178 (Schede di lettura)

- n. 178/1 (Riferimenti normativi e documentazione)

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: GI0159a.doc

 


INDICE

Normativa di riferimento

Normativa nazionale

§      Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 4, 24, 33, 35, 38, 41, 111, 117, 118)5

§      Codice Civile (artt. 1349,2061, 2082-2093, 2193, 2214, 2222-2238, 2254, 2255, 2257, 2258, 2291, 2343 e 2343-bis,2377, 2378, 2379-bis, 2379-ter, 2423, 2423-bis, 2423-ter, 2424, 2424-bis, 2425, 2425-bis, 2426, 2427, 2428, 2429, 2430, 2431, 2434-bis, 2435-bis, 2436, 2446, 2464, 2470)9

§      Codice di Procedura Civile (art. 249)42

§      Codice di Procedura Penale (artt. 199 e 200)43

§      R.D. 11 febbraio 1929, n. 274. Regolamento per la professione di geometra  44

§      R.D. 11 febbraio 1929, n. 275. Regolamento per la professione di perito industriale  52

§      R.D. 25 novembre 1929, n. 2365. Regolamento per l'esercizio professionale dei periti agrari59

§      L. 23 novembre 1939, n. 1815. Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza  66

§      D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 . Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse.69

§      L. 29 ottobre 1954, n. 1049. Istituzione dei Collegi delle infermiere professionali, delle assistenti sanitarie visitatrici e delle vigilatrici d'infanzia  77

§      L. 21 marzo 1958, n. 259. Partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria  78

§      L. 4 agosto 1965, n. 1103. Regolamentazione giuridica dell'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica  85

§      D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Approvazione del testo unico delle imposte sui redditI (artt. 53 e 54)90

§      L. 30 dicembre 1986, n. 936. Norme sul Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (art. 17)95

§      L. 23 agosto 1988, n. 400. Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 17)96

§      L. 7 agosto 1990, n. 241. Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi98

§      L. 14 gennaio 1994, n. 20. Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti122

§      D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509. Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 , in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza  134

§      L. 8 agosto 1995, n. 335. Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare (art. 2, co. 26)138

§      D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103. Attuazione della delega conferita dall'art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di tutela previdenziale obbligatoria dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione  139

§      L. 15 maggio 1997, n. 127. Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo (art. 17, co. 95)144

§      L. 15 marzo 1997, n. 59. Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa (art. 20)145

§      L. 7 agosto 1997, n. 266. Interventi urgenti per l'economia (art. 24)149

§      D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281. Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali (art. 4)150

§      D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti localI (artt. 77-87)151

§      D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 96. Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale (artt. 16-33)158

§      D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche  163

§      D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328. Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove per l'esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti234

§      D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della L. 29 luglio 2003, n. 229  (art. 137)264

§      D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252. Disciplina delle forme pensionistiche complementari268

§      D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 30. Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della L. 5 giugno 2003, n. 131  297

§      L. 1° febbraio 2006, n. 43. Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali300

§      D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 4 agosto 2006, n. 248) Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale (art. 2)305

§      D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206. Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonchè della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania (art. 26)307

Normativa comunitaria

§      Trattato 7 febbraio 1992. Trattato sull'Unione europea (n.d.r. Versione in vigore dal 1° febbraio 2003) (art. 49)317

§      Dir. 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE. Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.319

§      Com. 12 dicembre 2007. Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 15)418

Documentazione

§      Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Relazione conclusiva dell'indagine conoscitiva sugli ordini professionali423

 


Normativa di riferimento

 


Normativa nazionale

 


 

Costituzione della Repubblica Italiana
(artt. 4, 24, 33, 35, 38, 41, 111, 117, 118)

 

Art. 4. 

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

 

 

Art. 24. 

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (25).

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

 

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(25)  Vedi art. 113.

 

 

Art. 33. 

L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

La Repubblica detta le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

È prescritto un esame di Stato per la ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.

Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

 

 

TITOLO III

Rapporti economici

 

Art. 35. 

La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.

Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.

Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.

 

 

Art. 38. 

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi, adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.

L'assistenza privata è libera.

 

 

Art. 41. 

L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (36).

 

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(36)  Vedi art. 43.

 

 

Sezione II - Norme sulla giurisdizione.

 

Art. 111. 

La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge (147).

Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata (148).

Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo (149).

Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore (150).

La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita (151).

Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (152).

Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale (153), pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge (154). Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei Tribunali militari in tempo di guerra (155).

Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione (156).

 

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(147)  Comma aggiunto dall'art 1, L.Cost. 23 novembre 1999, n. 2 (Gazz. Uff. 23 dicembre 1999, n. 300).

(148)  Comma aggiunto dall'art 1, L.Cost. 23 novembre 1999, n. 2 (Gazz. Uff. 23 dicembre 1999, n. 300).

(149)  Comma aggiunto dall'art 1, L.Cost. 23 novembre 1999, n. 2 (Gazz. Uff. 23 dicembre 1999, n. 300).

(150)  Comma aggiunto dall'art 1, L.Cost. 23 novembre 1999, n. 2 (Gazz. Uff. 23 dicembre 1999, n. 300).

(151)  Comma aggiunto dall'art 1, L.Cost. 23 novembre 1999, n. 2 (Gazz. Uff. 23 dicembre 1999, n. 300).

(152)  Vedi gli artt. 13, comma secondo; 14, comma secondo; 15, comma secondo; 21, comma terzo.

(153)  Vedi l'art. 13.

(154)  Vedi l'art. 137, comma terzo.

(155)  Vedi l'art. 103, comma terzo e VI disp. trans. fin., comma secondo.

(156)  Vedi l'art. 131, commi primo e secondo. Vedi anche il D.L. 7 gennaio 2000, n. 2.

 

 

Art. 117. 

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali .

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull'istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali .

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato .

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato .

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni .

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato (165).

 

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(165)  Articolo così sostituito dall'art. 3, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione del presente articolo vedi la L. 5 giugno 2003, n. 131 e il D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 208.

 

 

Art. 118. 

Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà (166) .

 

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(166)  Articolo così sostituito dall'art. 4, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione del presente articolo vedi l'art. 7, L. 5 giugno 2003, n. 131.

 


Codice Civile
(artt. 1349,2061, 2082-2093, 2193, 2214, 2222-2238, 2254, 2255, 2257, 2258, 2291, 2343 e 2343-bis,2377, 2378, 2379-bis, 2379-ter, 2423, 2423-bis, 2423-ter, 2424, 2424-bis, 2425, 2425-bis, 2426, 2427, 2428, 2429, 2430, 2431, 2434-bis, 2435-bis, 2436, 2446, 2464, 2470)

 

 

Art. 1349.

Determinazione dell'oggetto.

Se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo [c.c. 1346] e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice [c.c. 1286, 1287, 1473, 2603].

La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede [c.c. 733]. Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo [c.c. 1418].

Nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle condizioni generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia riferimento.

 

 

Art. 2061.

Ordinamento delle categorie professionali.

L'ordinamento delle categorie professionali è stabilito dalle leggi [c.c. 2229], dai regolamenti, dai provvedimenti dell'autorità governativa e dagli statuti delle associazioni professionali (1).

 

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(1) Le associazioni professionali sono state soppresse con il D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

TITOLO II

Del lavoro nell'impresa

 

Capo I

Dell'impresa in generale

 

Sezione I

Dell'imprenditore

 

Art. 2082.

Imprenditore.

È imprenditore [c.c. 1824, 2710] chi esercita professionalmente [c.c. 2070] una attività economica [c.c. 2062, 2069] organizzata [c.c. 1655, 2195, 2238, 2247] al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi [c.c. 1330, 1368, 1722, n. 4, 1824, 2085, 2135, 2195, 2555, 2597] (1).

 

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(1) Per quanto riguarda le imprese editrici vedi l'art. 1, primo comma, L. 5 agosto 1981, n. 416 e la L. 25 febbraio 1987, n. 67.

 

 

Art. 2083.

Piccoli imprenditori.

Sono piccoli imprenditori (1) i coltivatori diretti del fondo [c.c. 1647, 2139, 2221], gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia [Cost. 45; c.c. 1330, 1368, 2202, 2214] (2).

 

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(1) Vedi l'art. 10, L. fall. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267).

(2) Vedi la L. 8 agosto 1985, n. 443, sull'artigianato, la L. 5 ottobre 1991, n. 317, recante provvidenze per l'innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese e l'art. 21, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.. I piccoli imprenditori di cui al presente articolo sono iscritti in una sezione speciale del registro delle imprese ai sensi dell'art. 2, D.P.R. 14 dicembre 1999, n. 558.

 

 

Art. 2084.

Condizioni per l'esercizio dell'impresa.

La legge determina le categorie d'imprese il cui esercizio è subordinato a concessione o autorizzazione amministrativa.

Le altre condizioni per l'esercizio delle diverse categorie d'imprese sono stabilite dalla legge [e dalle norme corporative] (1).

 

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(1) Le norme corporative sono state abrogate, quali fonti di diritto, per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

Art. 2085.

Indirizzo della produzione.

Il controllo sull'indirizzo della produzione e degli scambi in relazione all'interesse unitario dell'economia nazionale è esercitato dallo Stato, nei modi previsti dalla legge [e dalle norme corporative] [c.c. 2082, 2088] (1).

La legge stabilisce altresì i casi e i modi nei quali si esercita la vigilanza dello Stato sulla gestione delle imprese [Cost. 41, 43].

 

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(1) Le norme corporative sono state abrogate quali fonti di diritto, per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

Art. 2086.

Direzione e gerarchia nell'impresa.

L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori [c.c. 2094, 2104, 2145] (1).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 22 febbraio - 9 marzo 1989, n. 103 (Gazz. Uff. 15 marzo 1989, n. 11 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 41 Cost.

 

 

Art. 2087.

Tutela delle condizioni di lavoro.

L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro [Cost. 37] (1).

 

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(1) Per l'igiene del lavoro, vedi il D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303. Per la prevenzione degli infortuni, vedi il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547. Per la tutela della libertà e dignità dei lavoratori e della libertà sindacale vedi la L. 20 maggio 1970, n. 300, c.d. statuto dei lavoratori. La Corte costituzionale, con sentenza 22 febbraio - 9 marzo 1989, n. 103 (Gazz. Uff. 15 marzo 1989, n. 11 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 41 Cost.

 

 

Art. 2088.

Responsabilità dell'imprenditore.

 [L'imprenditore deve uniformarsi nell'esercizio dell'impresa ai princìpi dell'ordinamento corporativo e agli obblighi che ne derivano [c.c. 2085], e risponde verso lo Stato dell'indirizzo della produzione e degli scambi, in conformità della legge e delle norme corporative] [Cost. 41; c.c. 2138] (1).

 

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(1) Il presente articolo deve ritenersi abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

Art. 2089.

Inosservanza degli obblighi dell'imprenditore.

[Se l'imprenditore non osserva gli obblighi imposti dall'ordinamento corporativo nell'interesse della produzione, in modo da determinare grave danno all'economia nazionale, gli organi corporativi, dopo aver compiuto le opportune indagini e richiesto all'imprenditore i chiarimenti necessari, possono disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso la corte d'appello di cui fa parte la magistratura del lavoro competente per territorio, perché promuova eventualmente i provvedimenti indicati nell'articolo 2091] [c.c. 838, 2092, 2907] (1).

 

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(1) Il presente articolo deve ritenersi abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

Art. 2090.

Procedimento.

[Il presidente della magistratura del lavoro, ricevuta l'istanza del pubblico ministero, fissa il giorno per la comparizione dell'imprenditore e assegna un termine entro il quale egli deve presentare le sue deduzioni.

La magistratura del lavoro decide in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l'imprenditore. Può anche, prima di decidere, sentire l'associazione professionale alla quale appartiene l'imprenditore, assumere le informazioni e compiere le indagini che ritiene necessarie.

Contro la sentenza della magistratura del lavoro l'imprenditore e il pubblico ministero possono proporre ricorso per cassazione a norma dell'articolo 426 del codice di procedura civile] (1).

 

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(1) Il presente articolo deve ritenersi abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

Art. 2091.

Sanzioni.

[La magistratura del lavoro, se accerta che l'inosservanza perdura, fissa un termine entro il quale l'imprenditore deve uniformarsi agli obblighi suddetti.

Qualora l'imprenditore non vi ottemperi nel termine fissato, la magistratura del lavoro può ordinare la sospensione dell'esercizio dell'impresa o, se la sospensione è tale da recare pregiudizio all'economia nazionale, può nominare un amministratore che assuma la gestione dell'impresa, scegliendolo fra le persone designate dall'imprenditore, se riconosciute idonee, e determinandone i poteri e la durata.

Se si tratta di società, la magistratura del lavoro, anziché nominare un amministratore, può assegnare un termine entro il quale la società deve provvedere a sostituire gli amministratori in carica con altre persone riconosciute idonee] (1).

 

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(1) Il presente articolo deve ritenersi abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

Art. 2092.

Sanzioni previste da leggi speciali.

[Le disposizioni dei tre articoli precedenti non si applicano nei casi in cui per le trasgressioni commesse dall'imprenditore le leggi speciali prevedono particolari sanzioni a di lui carico] [c.c. 2089] (1).

 

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(1) Il presente articolo deve ritenersi abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

Art. 2093.

Imprese esercitate da enti pubblici.

[Le disposizioni di questo libro si applicano agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali.

Agli enti pubblici non inquadrati si applicano le disposizioni di questo libro, limitatamente alle imprese da essi esercitate] [c.c. 1229] (1).

Sono salve le diverse disposizioni della legge [c.c. 2221].

 

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(1) I primi due commi del presente articolo devono ritenersi abrogati per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

 

 

Art. 2193.

Efficacia dell'iscrizione.

I fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione [c.c. 34], se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l'iscrizione [c.c. 2267], a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza [c.c. 19, 2206, 2207, 2290, 2298, 2300, 2384, 2436].

L'ignoranza dei fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione non può essere opposta dai terzi dal momento in cui l'iscrizione è avvenuta.

Sono salve le disposizioni particolari della legge [c.c. 2297].

 

§ 2 - Delle scritture contabili (1)

 

Art. 2214.

Libri obbligatori e altre scritture contabili.

L'imprenditore che esercita un'attività commerciale [c.c. 2195, 2205] deve tenere il libro giornale [c.c. 2215, 2216] e il libro degli inventari [c.c. 2217; disp. att. c.c. 200] (2).

Deve altresì tenere le altre scritture [c.c. 1760, n. 3, 2312] che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa (3) e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite [c.c. 2220, 2560, 2709, 2711].

Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori [c.c. 2083, 2221].

 

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(1) Vedi l'art. 13, R.D. 30 dicembre 1923, n. 3278, recante approvazione della legge delle tasse sui contratti di Borsa, e l'art. 25, L. 7 gennaio 1929, n. 4, sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie.

(2) Per quanto riguarda la tassa di concessione governativa dovuta per la vidimazione dei libri commerciali, vedi il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641.

(3) Vedi l'art. 55, n. 3, L. 20 marzo 1913, n. 272, sull'ordinamento delle borse di commercio, l'art. 90, secondo comma, R.D. 4 agosto 1913, n. 1068, di approvazione del regolamento per l'esecuzione della suddetta legge; la L. 10 giugno 1978, n. 295 in materia di assicurazione contro i danni e la L. 22 ottobre 1986, n. 742, in materia di assicurazioni private sulla vita.

 

 

TITOLO III

Del lavoro autonomo

 

Capo I

Disposizioni generali

 

 

Art. 2222.

Contratto d'opera.

Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo [c.c. 2225] un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV [c.c. 1655] (1).

 

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(1) Vedi l'art. 21, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

 

Art. 2223.

Prestazione della materia.

Le disposizioni di questo capo si osservano anche se la materia è fornita dal prestatore d'opera, purché le parti non abbiano avuto prevalentemente in considerazione la materia, nel qual caso si applicano le norme sulla vendita [c.c. 1470, 1658].

 

 

Art. 2224.

Esecuzione dell'opera.

Se il prestatore d'opera non procede all'esecuzione dell'opera secondo le condizioni stabilite [c.c. 1662] dal contratto e a regola d'arte, il committente può fissare un congruo termine, entro il quale il prestatore d'opera deve conformarsi a tali condizioni [c.c. 1454].

Trascorso inutilmente il termine fissato, il committente può recedere dal contratto [c.c. 1373, 2227], salvo il diritto al risarcimento dei danni [c.c. 1218].

 

 

Art. 2225.

Corrispettivo.

Il corrispettivo [c.c. 2222], se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è stabilito dal giudice [c.c. 1657] in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo [c.c. 1709, 1755, 2233].

 

 

Art. 2226.

Difformità e vizi dell'opera.

L'accettazione espressa o tacita dell'opera libera il prestatore d'opera dalla responsabilità per difformità o per vizi della medesima [c.c. 1578], se all'atto dell'accettazione questi erano noti al committente o facilmente riconoscibili, purché in questo caso non siano stati dolosamente occultati [c.c. 1512, 1665, 1745].

Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi occulti [c.c. 1490, 1667] al prestatore d'opera entro otto giorni dalla scoperta [c.c. 1495, 2964]. L'azione si prescrive entro un anno dalla consegna.

I diritti del committente nel caso di difformità o di vizi dell'opera sono regolati dall'articolo 1668 [c.c. 2946].

 

 

Art. 2227.

Recesso unilaterale dal contratto.

Il committente può recedere dal contratto [c.c. 1373, 2224], ancorché sia iniziata l'esecuzione dell'opera, tenendo indenne il prestatore d'opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno [c.c. 1372, 1671, 2237].

 

 

Art. 2228.

Impossibilità sopravvenuta dell'esecuzione dell'opera.

Se l'esecuzione dell'opera diventa impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti [c.c. 1464], il prestatore d'opera ha diritto ad un compenso per il lavoro prestato in relazione all'utilità della parte dell'opera compiuta [c.c. 1672, 2231, 2237].

 

 

Capo II

Delle professioni intellettuali

 

Art. 2229.

Esercizio delle professioni intellettuali.

La legge determina le professioni intellettuali [c.c. 2068, 2956, n. 2] per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi [c.c. 2061].

L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati [alle associazioni professionali] (1), sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente [c.c. 2642].

Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali.

 

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(1) L'inciso deve ritenersi abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369. Vedi, il D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme sui consigli degli ordini e collegi e sulle commissioni interne professionali. Per quanto riguarda le singole professioni, si rinvia alla normativa specifica che la disciplina.

 

 

Art. 2230.

Prestazione d'opera intellettuale.

Il contratto che ha per oggetto una prestazione d'opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente.

Sono salve le disposizioni delle leggi speciali (1).

 

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(1) Vedi il R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825, sul contratto d'impiego privato. Si tenga presente che le norme contenute nel testo ora citato sono state in gran parte trasfuse negli artt. 2094-2134 c.c., subendo modificazioni.

 

 

Art. 2231.

Mancanza d'iscrizione.

Quando l'esercizio di un'attività professionale è condizionato all'iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione [c.c. 2034].

La cancellazione dall'albo o elenco risolve il contratto in corso [c.c. 2399], salvo il diritto del prestatore d'opera al rimborso delle spese incontrate e a un compenso adeguato all'utilità del lavoro compiuto [c.c. 1672, 2228, 2237].

 

 

Art. 2232.

Esecuzione dell'opera.

Il prestatore d'opera deve eseguire personalmente l'incarico assunto [c.c. 1176]. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità [c.c. 1228], di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l'oggetto della prestazione [c.c. 1717].

 

 

Art. 2233.

Compenso.

Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, [sentito il parere dell'associazione professionale a cui il professionista appartiene] [c.c. 1657, 1709, 1755, 2225] (1).

In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.

Sono nulli [c.c. 1418], se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali (2).

 

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(1) L'inciso deve ritenersi abrogato per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369. Le relative funzioni sono ora devolute ai consigli degli ordini in virtù dell'art. 1, D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme sui consigli degli ordini e collegi e sulle commissioni interne professionali. La Corte costituzionale, con sentenza 5-13 febbraio 1974, n. 32 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1974, n. 48), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente comma in riferimento all'articolo 24, comma secondo, Cost., all'articolo 3, comma primo, Cost. e all'articolo 101, comma secondo, Cost.

(2) Comma così sostituito dall'art. 2, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni.».

 

 

Art. 2234.

Spese e acconti.

Il cliente, salvo diversa pattuizione, deve anticipare al prestatore d'opera le spese occorrenti al compimento dell'opera e corrispondere, secondo gli usi, gli acconti sul compenso.

 

 

Art. 2235.

Divieto di ritenzione.

Il prestatore d'opera non può ritenere le cose e i documenti ricevuti, se non per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali [c.c. 2961] (1).

 

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(1) Vedi l'art. 66, R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, sull'ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore e le relative norme di attuazione approvate con il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37.

 

 

Art. 2236.

Responsabilità del prestatore d'opera.

Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave [c.c. 1176, 2104].

 

 

Art. 2237.

Recesso.

Il cliente può recedere dal contratto [c.c. 1373], rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta [c.c. 1671, 2227, 2231].

Il prestatore d'opera può recedere dal contratto per giusta causa. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente [c.c. 1672, 2228].

Il recesso del prestatore d'opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente (1).

 

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(1) La Corte costituzionale, con sentenza 5-13 febbraio 1974, n. 25 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1974, n. 48), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo in riferimento all'art. 3 Cost.

 

 

Art. 2238.

Rinvio.

Se l'esercizio della professione costituisce elemento di un'attività organizzata in forma di impresa [c.c. 2082], si applicano anche le disposizioni del titolo II (1).

In ogni caso, se l'esercente una professione intellettuale impiega sostituti o ausiliari, si applicano le disposizioni delle sezioni II, III e IV del capo I del titolo II.

 

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(1) Vedi la L. 23 novembre 1939, n. 1815, sulla disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza.

 

 

Art. 2254.

Garanzia e rischi dei conferimenti.

Per le cose conferite in proprietà la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita [c.c. 1465, 1483, 1490, 2286].

Il rischio delle cose conferite in godimento resta a carico del socio che le ha conferite [c.c. 2281]. La garanzia per il godimento è regolata dalle norme sulla locazione [c.c. 1578, 1585, 1586, 1588].

 

 

Art. 2255.

Conferimento di crediti.

Il socio che ha conferito un credito [c.c. 2328, n. 6, 2518, n. 6] risponde della insolvenza del debitore, nei limiti indicati dall'articolo 1267 per il caso di assunzione convenzionale della garanzia.

 

 

Art. 2257.

Amministrazione disgiuntiva.

Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società [c.c. 1106] spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri [c.c. 1105, 1716, 2203, 2276].

Se l'amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio amministratore ha diritto di opporsi all'operazione [c.c. 2317] che un altro voglia compiere, prima che sia compiuta.

La maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull'opposizione [c.c. 2261, 2266] (1).

 

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(1) Per quanto riguarda le imprese editrici vedi l'art. 7, L. 5 agosto 1981, n. 416 e la L. 14 agosto 1991, n. 278.

 

 

Art. 2258.

Amministrazione congiuntiva.

Se l'amministrazione spetta congiuntamente a più soci, è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali [c.c. 2261, 2317].

Se è convenuto che per l'amministrazione o per determinati atti sia necessario il consenso della maggioranza, questa si determina a norma dell'ultimo comma dell'articolo precedente.

Nei casi preveduti da questo articolo, i singoli amministratori non possono compiere da soli alcun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società [c.p.c. 700].

 

 

Capo III

Della società in nome collettivo (1)

 

Art. 2291.

Nozione.

Nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente [c.c. 1292] e illimitatamente per le obbligazioni sociali [c.c. 2301, 2304, 2315, 2317, 2320, 2498, 2615, 2643, n. 10] (2).

Il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi [c.c. 2267, 2297, 2513].

 

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(1) Vedi la L. 23 dicembre 1982, n. 947, sulla regolarizzazione delle società di fatto.

(2) Vedi l'art. 147, L. fall. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267).

 

Art. 2343.

Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti.

Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti. La relazione deve essere allegata all'atto costitutivo.

L'esperto risponde dei danni causati alla società, ai soci e ai terzi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 64 del codice di procedura civile.

Gli amministratori devono, nel termine di centottanta giorni dalla iscrizione della società, controllare le valutazioni contenute nella relazione indicata nel primo comma e, se sussistano fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima. Fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società.

Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte. Tuttavia il socio conferente può versare la differenza in danaro o recedere dalla società; il socio recedente ha diritto alla restituzione del conferimento, qualora sia possibile in tutto o in parte in natura. L'atto costitutivo può prevedere, salvo in ogni caso quanto disposto dal quinto comma dell'articolo 2346, che per effetto dell'annullamento delle azioni disposto nel presente comma si determini una loro diversa ripartizione tra i soci (1).

 

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(1) Il Capo V del titolo V del libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Vedi, anche, l'art. 29, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in vigore dal 1° gennaio 2004. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2343-bis.

Acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori.

L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria.

L'alienante deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società contenente la descrizione dei beni o dei crediti, il valore a ciascuno di essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l'attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo, che deve comunque essere indicato.

La relazione deve essere depositata nella sede della società durante i quindici giorni che precedono l'assemblea. I soci possono prenderne visione. Entro trenta giorni dall'autorizzazione il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione dell'esperto designato dal tribunale, deve essere depositato a cura degli amministratori presso l'ufficio del registro delle imprese.

Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli acquisti che siano effettuati a condizioni normali nell'àmbito delle operazioni correnti della società né a quelli che avvengono nei mercati regolamentati o sotto il controllo dell'autorità giudiziaria o amministrativa.

In caso di violazione delle disposizioni del presente articolo gli amministratori e l'alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci ed ai terzi (1).

 

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(1) Il Capo V del titolo V del libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Vedi, anche, l'art. 29, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in vigore dal 1° gennaio 2004. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2377.

Annullabilità delle deliberazioni.

Le deliberazioni dell'assemblea, prese in conformità della legge e dell'atto sostitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti.

Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate [c.c. 2351, 2606] dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale.

L'impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o escludere questo requisito. Per l'impugnazione delle deliberazioni delle assemblee speciali queste percentuali sono riferite al capitale rappresentato dalle azioni della categoria.

I soci che non rappresentano la parte di capitale indicata nel comma precedente e quelli che, in quanto privi di voto, non sono legittimati a proporre l'impugnativa hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto.

La deliberazione non può essere annullata:

1) per la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell'assemblea a norma degli articoli 2368 e 2369;

2) per l'invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che il voto invalido o l'errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta;

3) per l'incompletezza o l'inesattezza del verbale, salvo che impediscano l'accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione.

L'impugnazione o la domanda di risarcimento del danno sono proposte nel termine di novanta giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro novanta giorni dall'iscrizione [c.c. 23, 25, 1109, 1445, 2391] o, se è soggetta solo a deposito presso l'ufficio del registro delle imprese, entro novanta giorni dalla data di questo.

L'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione [c.c. 23, 2964].

 

L'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. In tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell'eventuale danno.

Restano salvi i diritti acquisiti dai terzi sulla base della deliberazione sostituita (1).

 

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(1) Il Capo V del titolo V del libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il citato articolo 1 (e conseguentemente il presente articolo) è stato rettificato con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 4 luglio 2003, n. 153 e modificato dall'art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Occorre tener presenti le disposizioni transitorie contenute nei commi 1 e 2 dell'art. 6 dello stesso decreto legislativo n. 37 del 2004 che qui si riportano: «1. Le disposizioni attuative e regolamentari del decreto legislativo n. 385 del 1993 e del decreto legislativo n. 58 del 1998 in materia di sistemi di amministrazione e controllo dualistico e monistico nonché quelle in materia di categorie di azioni diverse dalle ordinarie e di strumenti finanziari sono emanate rispettivamente entro sei e nove mesi dalla pubblicazione del presente decreto.

2. Per le materie di cui al comma 1, le norme del decreto legislativo n. 385 del 1993 e del decreto legislativo n. 58 del 1998, modificate o sostituite dal presente decreto e le correlate norme del codice civile modificate o sostituite dal decreto legislativo n. 6 del 2003, continuano a trovare applicazione fino all'emanazione delle relative disposizioni attuative e comunque non oltre i termini di cui al comma 1.».

Il testo del presente articolo in vigore prima delle modifiche disposte dal suddetto decreto legislativo n. 37 del 2004 era il seguente:

«2377. Annullabilità delle deliberazioni.

Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale.

L'impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o escludere questo requisito. Per l'impugnazione delle deliberazioni delle assemblee speciali queste percentuali sono riferite al capitale rappresentato dalle azioni della categoria.

I soci che non rappresentano la parte di capitale indicata nel comma precedente e quelli che, in quanto privi di voto, non sono legittimati a proporre l'impugnativa hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della deliberazione alla legge o allo statuto.

La deliberazione non può essere annullata:

1) per la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell'assemblea a norma degli articoli 2368 e 2369;

2) per l'invalidità di singoli voti o per il loro errato conteggio, salvo che il voto invalido o l'errore di conteggio siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta;

3) per l'incompletezza o l'inesattezza del verbale, salvo che impediscano l'accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione.

L'impugnazione o la domanda di risarcimento del danno sono proposte nel termine di novanta giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro novanta giorni dall'iscrizione o, se è soggetta solo a deposito presso l'ufficio del registro delle imprese, entro novanta giorni dalla data di questo.

L'annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.

L'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto. In tal caso il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società, e sul risarcimento dell'eventuale danno.

Restano salvi i diritti acquisiti dai terzi sulla base della deliberazione sostituita.».

Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo n. 6 del 2003 è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2378.

Procedimento d'impugnazione.

L'impugnazione è proposta con atto di citazione davanti al tribunale del luogo dove la società ha sede.

Il socio o i soci opponenti devono dimostrarsi possessori al tempo dell'impugnazione del numero delle azioni previsto dal terzo comma dell'articolo 2377. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 111 del codice di procedura civile, qualora nel corso del processo venga meno a seguito di trasferimenti per atto tra vivi il richiesto numero delle azioni, il giudice, previa se del caso revoca del provvedimento di sospensione dell'esecuzione della deliberazione, non può pronunciare l'annullamento e provvede sul risarcimento dell'eventuale danno, ove richiesto.

Con ricorso depositato contestualmente al deposito, anche in copia, della citazione, l'impugnante può chiedere la sospensione dell'esecuzione della deliberazione. In caso di eccezionale e motivata urgenza, il presidente del tribunale, omessa la convocazione della società convenuta, provvede sull'istanza con decreto motivato, che deve altresì contenere la designazione del giudice per la trattazione della causa di merito e la fissazione, davanti al giudice designato, entro quindici giorni, dell'udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti emanati con il decreto, nonché la fissazione del termine per la notificazione alla controparte del ricorso e del decreto.

Il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell'esecuzione della deliberazione; può disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l'eventuale risarcimento dei danni [c.c. 1179; c.p.c. 119]. All'udienza, il giudice, ove lo ritenga utile, esperisce il tentativo di conciliazione eventualmente suggerendo le modificazioni da apportare alla deliberazione impugnata e, ove la soluzione appaia realizzabile, rinvia adeguatamente l'udienza.

Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione, anche se separatamente proposte ed ivi comprese le domande proposte ai sensi del quarto comma dell'articolo 2377, devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza. Salvo quanto disposto dal quarto comma del presente articolo, la trattazione della causa di merito ha inizio trascorso il termine stabilito nel sesto comma dell'articolo 2377.

I dispositivi del provvedimento di sospensione e della sentenza che decide sull'impugnazione devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese (1).

 

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(1) Il Capo V del titolo V del libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il citato articolo 1 (e conseguentemente il presente articolo) è stato successivamente modificato dall'art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Occorre tener presenti le disposizioni transitorie contenute nei commi 1 e 2 dell'art. 6 dello stesso decreto legislativo n. 37 del 2004 che qui si riportano: «1. Le disposizioni attuative e regolamentari del decreto legislativo n. 385 del 1993 e del decreto legislativo n. 58 del 1998 in materia di sistemi di amministrazione e controllo dualistico e monistico nonché quelle in materia di categorie di azioni diverse dalle ordinarie e di strumenti finanziari sono emanate rispettivamente entro sei e nove mesi dalla pubblicazione del presente decreto.

2. Per le materie di cui al comma 1, le norme del decreto legislativo n. 385 del 1993 e del decreto legislativo n. 58 del 1998, modificate o sostituite dal presente decreto e le correlate norme del codice civile modificate o sostituite dal decreto legislativo n. 6 del 2003, continuano a trovare applicazione fino all'emanazione delle relative disposizioni attuative e comunque non oltre i termini di cui al comma 1.».

 

Il testo del presente articolo in vigore prima delle modifiche disposte dal suddetto decreto legislativo n. 37 del 2004 era il seguente:

«2378. Procedimento d'impugnazione.

L'impugnazione è proposta con atto di citazione davanti al tribunale del luogo dove la società ha sede.

Il socio o i soci opponenti devono dimostrarsi possessori al tempo dell'impugnazione del numero delle azioni previsto dal secondo comma dell'articolo 2377. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 111 del codice di procedura civile, qualora nel corso del processo venga meno a seguito di trasferimenti per atto tra vivi il richiesto numero delle azioni, il giudice, previa se del caso revoca del provvedimento di sospensione dell'esecuzione della deliberazione, non può pronunciare l'annullamento e provvede sul risarcimento dell'eventuale danno, ove richiesto.

Con ricorso depositato contestualmente al deposito, anche in copia, della citazione, l'impugnante può chiedere la sospensione dell'esecuzione della deliberazione. In caso di eccezionale e motivata urgenza, il presidente del tribunale, omessa la convocazione della società convenuta, provvede sull'istanza con decreto motivato, che deve altresì contenere la designazione del giudice per la trattazione della causa di merito e la fissazione, davanti al giudice designato, entro quindici giorni, dell'udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti emanati con il decreto, nonché la fissazione del termine per la notificazione alla controparte del ricorso e del decreto.

Il giudice designato per la trattazione della causa di merito, sentiti gli amministratori e sindaci, provvede valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell'esecuzione della deliberazione; può disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l'eventuale risarcimento dei danni. All'udienza, il giudice, ove lo ritenga utile, esperisce il tentativo di conciliazione eventualmente suggerendo le modificazioni da apportare alla deliberazione impugnata e, ove la soluzione appaia realizzabile, rinvia adeguatamente l'udienza.

Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione, anche se separatamente proposte ed ivi comprese le domande proposte ai sensi del terzo comma dell'articolo 2377, devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza. Salvo quanto disposto dal quarto comma del presente articolo, la trattazione della causa di merito ha inizio trascorso il termine stabilito nel quinto comma dell'articolo 2377.».

Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo n. 6 del 2003 è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2379-bis.

Sanatoria della nullità.

L'impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell'assemblea.

L'invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell'assemblea successiva. La deliberazione ha effetto dalla data in cui è stata presa, salvi i diritti dei terzi che in buona fede ignoravano la deliberazione (1).

 

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(1) Il Capo V del titolo V del libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.

 

 

Art. 2379-ter.

Invalidità delle deliberazioni di aumento o di riduzione del capitale e della emissione di obbligazioni.

Nei casi previsti dall'articolo 2379 l'impugnativa dell'aumento di capitale, della riduzione del capitale ai sensi dell'articolo 2445 o della emissione di obbligazioni non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o, nel caso di mancata convocazione, novanta giorni dall'approvazione del bilancio dell'esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita.

Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l'invalidità della deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata dopo che a norma dell'articolo 2444 sia stata iscritta nel registro delle imprese l'attestazione che l'aumento è stato anche parzialmente eseguito; l'invalidità della deliberazione di riduzione del capitale ai sensi dell'articolo 2445 o della deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere pronunciata dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita.

Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci e ai terzi (1).

 

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(1) Il Capo V del titolo V del libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.

 

 

Sezione IX

Del bilancio

 

Art. 2423.

Redazione del bilancio.

Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa [disp. att. c.c. 200].

Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio.

Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo.

Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato.

Il bilancio deve essere redatto in unità di euro, senza cifre decimali, ad eccezione della nota integrativa che può essere redatta in migliaia di euro (1) (2).

 

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(1) In deroga a quanto previsto dal presente comma vedi l'art. 89 del Codice delle assicurazioni private di cui al D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, in vigore dal 1° gennaio 2006 ai sensi dell'articolo 355 dello stesso Codice.

(2) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2423-bis.

Princìpi di redazione del bilancio.

Nella redazione del bilancio devono essere osservati i seguenti princìpi:

1) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell'attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato;

2) si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio;

3) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento;

4) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell'esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;

5) gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente;

6) i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro.

Deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2423-ter.

Struttura dello stato patrimoniale e del conto economico.

Salve le disposizioni di leggi speciali per le società che esercitano particolari attività, nello stato patrimoniale e nel conto economico devono essere iscritte separatamente, e nell'ordine indicato, le voci previste negli articoli 2424 e 2425.

Le voci precedute da numeri arabi possono essere ulteriormente suddivise, senza eliminazione della voce complessiva e dell'importo corrispondente; esse possono essere raggruppate soltanto quando il raggruppamento, a causa del loro importo, è irrilevante ai fini indicati nel secondo comma dell'articolo 2423 o quando esso favorisce la chiarezza del bilancio. In questo secondo caso la nota integrativa deve contenere distintamente le voci oggetto di raggruppamento.

Devono essere aggiunte altre voci qualora il loro contenuto non sia compreso in alcuna di quelle previste dagli articoli 2424 e 2425.

Le voci precedute da numeri arabi devono essere adattate quando lo esige la natura dell'attività esercitata.

Per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato l'importo della voce corrispondente dell'esercizio precedente. Se le voci non sono comparabili, quelle relative all'esercizio precedente devono essere adattate; la non comparabilità e l'adattamento o l'impossibilità di questo devono essere segnalati e commentati nella nota integrativa.

Sono vietati i compensi di partite (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2424.

Contenuto dello stato patrimoniale.

Lo stato patrimoniale deve essere redatto in conformità al seguente schema.

Attivo:

A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già richiamata.

B) Immobilizzazioni, con separata indicazione di quelle concesse in locazione finanziaria:

I - Immobilizzazioni immateriali:

1) costi di impianto e di ampliamento;

2) costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità;

3) diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno;

4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili;

5) avviamento;

6) immobilizzazioni in corso e acconti;

7) altre.

Totale.

 

II - Immobilizzazioni materiali:

1) terreni e fabbricati;

2) impianti e macchinario;

3) attrezzature industriali e commerciali;

4) altri beni;

5) immobilizzazioni in corso e acconti.

Totale.

 

III - Immobilizzazioni finanziarie, con separata indicazione, per ciascuna voce dei crediti, degli importi esigibili entro l'esercizio successivo:

1) partecipazioni in:

a) imprese controllate;

b) imprese collegate;

c) imprese controllanti;

d) altre imprese;

2) crediti:

a) verso imprese controllate;

b) verso imprese collegate;

c) verso controllanti;

d) verso altri;

3) altri titoli;

4) azioni proprie, con indicazione anche del valore nominale complessivo.

Totale.

 

Totale immobilizzazioni (B);

 

C) Attivo circolante:

 

I - Rimanenze:

1) materie prime, sussidiarie e di consumo;

2) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati;

3) lavori in corso su ordinazione;

4) prodotti finiti e merci;

5) acconti.

Totale.

 

II - Crediti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l'esercizio successivo:

1) verso clienti;

2) verso imprese controllate;

3) verso imprese collegate;

4) verso controllanti;

4-bis) crediti tributari;

4-ter) imposte anticipate;

5) verso altri.

Totale.

 

III - Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni:

1) partecipazioni in imprese controllate;

2) partecipazioni in imprese collegate;

3) partecipazioni in imprese controllanti;

4) altre partecipazioni;

5) azioni proprie, con indicazioni anche del valore nominale complessivo;

6) altri titoli.

Totale.

 

IV - Disponibilità liquide:

1) depositi bancari e postali;

2) assegni;

3) danaro e valori in cassa.

Totale.

 

Totale attivo circolante (C).

 

D) Ratei e risconti, con separata indicazione del disaggio su prestiti.

 

Passivo:

A) Patrimonio netto:

I - Capitale.

II - Riserva da soprapprezzo delle azioni.

III - Riserve di rivalutazione.

IV - Riserva legale.

V - Riserve statutarie.

VI - Riserva per azioni proprie in portafoglio.

VII - Altre riserve, distintamente indicate.

VIII - Utili (perdite) portati a nuovo.

IX - Utile (perdita) dell'esercizio.

Totale.

 

B) Fondi per rischi e oneri:

1) per trattamento di quiescenza e obblighi simili;

2) per imposte, anche differite;

3) altri.

Totale.

 

C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato.

 

D) Debiti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l'esercizio successivo:

1) obbligazioni;

2) obbligazioni convertibili;

3) debiti verso soci per finanziamenti;

4) debiti verso banche;

5) debiti verso altri finanziatori;

6) acconti;

7) debiti verso fornitori;

8) debiti rappresentati da titoli di credito;

9) debiti verso imprese controllate;

10) debiti verso imprese collegate;

11) debiti verso controllanti;

12) debiti tributari;

13) debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale;

14) altri debiti.

Totale.

 

E) Ratei e risconti, con separata indicazione dell'aggio su prestiti.

 

Se un elemento dell'attivo o del passivo ricade sotto più voci dello schema, nella nota integrativa deve annotarsi, qualora ciò sia necessario ai fini della comprensione del bilancio, la sua appartenenza anche a voci diverse da quella nella quale è iscritto.

In calce allo stato patrimoniale devono risultare le garanzie prestate direttamente o indirettamente, distinguendosi fra fideiussioni, avalli, altre garanzie personali e garanzie reali, ed indicando separatamente, per ciascun tipo, le garanzie prestate a favore di imprese controllate e collegate, nonché di controllanti e di imprese sottoposte al controllo di queste ultime; devono inoltre risultare gli altri conti d'ordine.

È fatto salvo quanto disposto dall'articolo 2447-septies con riferimento ai beni e rapporti giuridici compresi nei patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447-bis (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il citato articolo 1 è stato rettificato con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 4 luglio 2003, n. 153. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2424-bis.

Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale.

Gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizzazioni.

Le partecipazioni in altre imprese in misura non inferiore a quelle stabilite dal terzo comma dell'articolo 2359 si presumono immobilizzazioni.

Gli accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell'esercizio sono indeterminati o l'ammontare o la data di sopravvenienza.

Nella voce: «trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato» deve essere indicato l'importo calcolato a norma dell'articolo 2120.

Le attività oggetto di contratti di compravendita con obbligo di retrocessione a termine devono essere iscritte nello stato patrimoniale del venditore.

Nella voce ratei e risconti attivi devono essere iscritti i proventi di competenza dell'esercizio esigibili in esercizi successivi, e i costi sostenuti entro la chiusura dell'esercizio ma di competenza di esercizi successivi. Nella voce ratei e risconti passivi devono essere iscritti i costi di competenza dell'esercizio esigibili in esercizi successivi e i proventi percepiti entro la chiusura dell'esercizio ma di competenza di esercizi successivi. Possono essere iscritte in tali voci soltanto quote di costi e proventi, comuni a due o più esercizi, l'entità dei quali vari in ragione del tempo (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2425.

Contenuto del conto economico.

Il conto economico deve essere redatto in conformità al seguente schema:

A) Valore della produzione:

1) ricavi delle vendite e delle prestazioni;

2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;

3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione;

4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;

5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio.

Totale.

 

B) Costi della produzione:

6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci;

7) per servizi;

8) per godimento di beni di terzi;

9) per il personale:

a) salari e stipendi;

b) oneri sociali;

c) trattamento di fine rapporto;

d) trattamento di quiescenza e simili;

e) altri costi;

 

10) ammortamenti e svalutazioni:

a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali;

b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali;

c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni;

d) svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante e delle disponibilità liquide;

11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci;

12) accantonamenti per rischi;

13) altri accantonamenti;

14) oneri diversi di gestione.

Totale.

Differenza tra valore e costi della produzione (A - B).

 

C) Proventi e oneri finanziari:

15) proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e collegate;

16) altri proventi finanziari:

a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e collegate e di quelli da controllanti;

b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni;

c) da titoli iscritti nell'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;

d) proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da imprese controllate e collegate e di quelli da controllanti;

 

17) interessi e altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese controllate e collegate e verso controllanti;

 

17-bis) utili e perdite su cambi. Totale (15 + 16 - 17+ - 17 bis).

 

D) Rettifiche di valore di attività finanziarie:

18) rivalutazioni:

a) di partecipazioni;

b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;

c) di titoli iscritti all'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;

 

19) svalutazioni:

a) di partecipazioni;

b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni;

c) di titoli iscritti nell'attivo circolante che non costituiscono partecipazioni. Totale delle rettifiche (18 - 19).

 

E) Proventi e oneri straordinari:

20) proventi, con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al n. 5);

21) oneri, con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni, i cui effetti contabili non sono iscrivibili al n. 14), e delle imposte relative a esercizi precedenti. Totale delle partite straordinarie (20-21).

Risultato prima delle imposte (A - B + - C + - D + - E);

 

22) imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e anticipate;

23) utile (perdite) dell'esercizio (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2425-bis.

Iscrizione dei ricavi, proventi, costi ed oneri.

I ricavi e i proventi, i costi e gli oneri devono essere indicati al netto dei resi, degli sconti, abbuoni e premi, nonché delle imposte direttamente connesse con la vendita dei prodotti e la prestazione dei servizi.

I ricavi e i proventi, i costi e gli oneri relativi ad operazioni in valuta devono essere determinati al cambio corrente alla data nella quale la relativa operazione è compiuta.

I proventi e gli oneri relativi ad operazioni di compravendita con obbligo di retrocessione a termine, ivi compresa la differenza tra prezzo a termine e prezzo a pronti, devono essere iscritti per le quote di competenza dell'esercizio (1).

Le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione (2).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

(2) Comma aggiunto dall'art. 16, D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310.

 

 

Art. 2426.

Criteri di valutazioni.

Nelle valutazioni devono essere osservati i seguenti criteri:

1) le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione. Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori. Il costo di produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili al prodotto. Può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi;

2) il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. Eventuali modifiche dei criteri di ammortamento e dei coefficienti applicati devono essere motivate nella nota integrativa;

3) l'immobilizzazione che, alla data della chiusura dell'esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minore valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata.

Per le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate che risultino iscritte per un valore superiore a quello derivante dall'applicazione del criterio di valutazione previsto dal successivo numero 4) o, se non vi sia obbligo di redigere il bilancio consolidato, al valore corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa partecipata, la differenza dovrà essere motivata nella nota integrativa;

4) le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate possono essere valutate, con riferimento ad una o più tra dette imprese, anziché secondo il criterio indicato al numero 1), per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai princìpi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie per il rispetto dei princìpi indicati negli articoli 2423 e 2423-bis.

Quando la partecipazione è iscritta per la prima volta in base al metodo del patrimonio netto, il costo di acquisto superiore al valore corrispondente del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa controllata o collegata può essere iscritto nell'attivo, purché ne siano indicate le ragioni nella nota integrativa. La differenza, per la parte attribuibile a beni ammortizzabili o all'avviamento, deve essere ammortizzata.

Negli esercizi successivi le plusvalenze, derivanti dall'applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell'esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile;

5) i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell'attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni. Fino a che l'ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l'ammontare dei costi non ammortizzati (1);

6) l'avviamento può essere iscritto nell'attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni.

È tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l'avviamento in un periodo limitato di durata superiore, purché esso non superi la durata per l'utilizzazione di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella nota integrativa (2);

7) il disaggio su prestiti deve essere iscritto nell'attivo e ammortizzato in ogni esercizio per il periodo di durata del prestito;

8) i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione;

8-bis) le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell'esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi devono essere imputati al conto economico e l'eventuale utile netto deve essere accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo. Le immobilizzazioni materiali, immateriali e quelle finanziarie, costituite da partecipazioni, rilevate al costo in valuta devono essere iscritte al tasso di cambio al momento del loro acquisto o a quello inferiore alla data di chiusura dell'esercizio se la riduzione debba giudicarsi durevole (3);

9) le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall'andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione;

10) il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: «primo entrato, primo uscito» o: «ultimo entrato, primo uscito»; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell'esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa;

11) i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza;

12) le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo, possono essere iscritte nell'attivo ad un valore costante qualora siano costantemente rinnovate, e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all'attivo di bilancio, sempreché non si abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione (4).

 

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(1) Le disposizioni del presente numero non si applicano al collegio sindacale delle società con azioni quotate ai sensi di quanto disposto dall'art. 154, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 come sostituito dall'art. 9.84, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, aggiunto dall'art. 3, D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.

(2) Le disposizioni del presente numero non si applicano al collegio sindacale delle società con azioni quotate ai sensi di quanto disposto dall'art. 154, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 come sostituito dall'art. 9.84, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, aggiunto dall'art. 3, D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.

(3) Numero così modificato dall'art. 17, D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «8-bis) le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell'esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi devono essere imputati al conto economico e l'eventuale utile netto deve essere accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo. Le immobilizzazioni in valuta devono essere iscritte al tasso di cambio al momento del loro acquisto o a quello inferiore alla data di chiusura dell'esercizio se la riduzione debba giudicarsi durevole.».

(4) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2427.

Contenuto della nota integrativa.

La nota integrativa deve indicare, oltre a quanto stabilito da altre disposizioni:

1) i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori non espressi all'origine in moneta avente corso legale nello Stato;

2) i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ciascuna voce: il costo; le precedenti rivalutazioni, ammortamenti e svalutazioni; le acquisizioni, gli spostamenti da una ad altra voce, le alienazioni avvenuti nell'esercizio; le rivalutazioni, gli ammortamenti e le svalutazioni effettuati nell'esercizio; il totale delle rivalutazioni riguardanti le immobilizzazioni esistenti alla chiusura dell'esercizio;

3) la composizione delle voci: «costi di impianto e di ampliamento» e: «costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità» nonché le ragioni della iscrizione ed i rispettivi criteri di ammortamento;

3-bis) la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e immateriali, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto rilevante, al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell'esercizio (1);

4) le variazioni intervenute nella consistenza delle altre voci dell'attivo e del passivo; in particolare, per le voci del patrimonio netto, per i fondi e per il trattamento di fine rapporto, la formazione e le utilizzazioni;

5) l'elenco delle partecipazioni, possedute direttamente o per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, in imprese controllate e collegate, indicando per ciascuna la denominazione, la sede, il capitale, l'importo del patrimonio netto, l'utile o la perdita dell'ultimo esercizio, la quota posseduta e il valore attribuito in bilancio o il corrispondente credito;

6) distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e dei debiti di durata residua superiore a cinque anni, e dei debiti assistiti da garanzie reali su beni sociali, con specifica indicazione della natura delle garanzie e con specifica ripartizione secondo le aree geografiche;

6-bis) eventuali effetti significativi delle variazioni nei cambi valutari verificatesi successivamente alla chiusura dell'esercizio;

6-ter) distintamente per ciascuna voce, l'ammontare dei crediti e dei debiti relativi ad operazioni che prevedono l'obbligo per l'acquirente di retrocessione a termine;

7) la composizione delle voci «ratei e risconti attivi» e «ratei e risconti passivi» e della voce «altri fondi» dello stato patrimoniale, quando il loro ammontare sia apprezzabile, nonché la composizione della voce «altre riserve»;

7-bis) le voci di patrimonio netto devono essere analiticamente indicate, con specificazione in appositi prospetti della loro origine, possibilità di utilizzazione e distribuibilità, nonché della loro avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi;

8) l'ammontare degli oneri finanziari imputati nell'esercizio ai valori iscritti nell'attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce;

9) gli impegni non risultanti dallo stato patrimoniale; le notizie sulla composizione e natura di tali impegni e dei conti d'ordine, la cui conoscenza sia utile per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria della società, specificando quelli relativi a imprese controllate, collegate, controllanti e a imprese sottoposte al controllo di queste ultime;

10) se significativa, la ripartizione dei ricavi delle vendite e delle prestazioni secondo categorie di attività e secondo aree geografiche;

11) l'ammontare dei proventi da partecipazioni, indicati nell'articolo 2425, numero 15), diversi dai dividendi;

12) la suddivisione degli interessi ed altri oneri finanziari, indicati nell'articolo 2425, n. 17), relativi a prestiti obbligazionari, a debiti verso banche, e altri;

13) la composizione delle voci: «proventi straordinari» e: «oneri straordinari» del conto economico, quando il loro ammontare sia apprezzabile;

14) un apposito prospetto contenente:

a) la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazione di imposte differite e anticipate, specificando l'aliquota applicata e le variazioni rispetto all'esercizio precedente, gli importi accreditati o addebitati a conto economico oppure a patrimonio netto, le voci escluse dal computo e le relative motivazioni;

b) l'ammontare delle imposte anticipate contabilizzato in bilancio attinenti a perdite dell'esercizio o di esercizi precedenti e le motivazioni dell'iscrizione, l'ammontare non ancora contabilizzato e le motivazioni della mancata iscrizione;

15) il numero medio dei dipendenti, ripartito per categoria;

16) l'ammontare dei compensi spettanti agli amministratori ed ai sindaci, cumulativamente per ciascuna categoria;

17) il numero e il valore nominale di ciascuna categoria di azioni della società e il numero e il valore nominale delle nuove azioni della società sottoscritte durante l'esercizio;

18) le azioni di godimento, le obbligazioni convertibili in azioni e i titoli o valori simili emessi dalla società, specificando il loro numero e i diritti che essi attribuiscono;

19) il numero e le caratteristiche degli altri strumenti finanziari emessi dalla società, con l'indicazione dei diritti patrimoniali e partecipativi che conferiscono e delle principali caratteristiche delle operazioni relative;

19-bis) i finanziamenti effettuati dai soci alla società, ripartiti per scadenze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori;

20) i dati richiesti dal terzo comma dell'articolo 2447-septies con riferimento ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del primo comma dell'articolo 2447-bis;

21) i dati richiesti dall'articolo 2447-decies, ottavo comma;

22) le operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte prevalente dei rischi e dei benefìci inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla base di un apposito prospetto dal quale risulti il valore attuale delle rate di canone non scadute quale determinato utilizzando tassi di interesse pari all'onere finanziario effettivo inerenti i singoli contratti, l'onere finanziario effettivo attribuibile ad essi e riferibile all'esercizio, l'ammontare complessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell'esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, con separata indicazione di ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati inerenti all'esercizio (2);

22-bis) le operazioni realizzate con parti correlate, precisando l'importo, la natura del rapporto e ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativa a tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse a normali condizioni di mercato. Le informazioni relative alle singole operazioni possono essere aggregate secondo la loro natura, salvo quando la loro separata evidenziazione sia necessaria per comprendere gli effetti delle operazioni medesime sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul risultato economico della società (3);

22-ter) la natura e l'obiettivo economico di accordi non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione del loro effetto patrimoniale, finanziario ed economico, a condizione che i rischi e i benefici da essi derivanti siano significativi e l'indicazione degli stessi sia necessaria per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della società (4).

Ai fini dell'applicazione del primo comma, numeri 22-bis) e 22-ter), e degli articoli 2427-bis e 2428, terzo comma, numero 6-bis), per le definizioni di «strumento finanziario», «strumento finanziario derivato», «fair value», «parte correlata» e «modello e tecnica di valutazione generalmente accettato» si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea (5).

 

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(1) Numero così modificato dall'art. 18, D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «3-bis) la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni immateriali di durata indeterminata, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto determinabile, al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell'esercizio e sugli indicatori di redditività di cui sia stata data comunicazione.».

(2) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

(3) Numero aggiunto dal comma 1 dell'art. 1, D.Lgs. 3 novembre 2008, n. 173, con i limiti di applicabilità previsti dall'art. 6 dello stesso decreto.

(4) Numero aggiunto dal comma 1 dell'art. 1, D.Lgs. 3 novembre 2008, n. 173, con i limiti di applicabilità previsti dall'art. 6 dello stesso decreto.

(5) Comma aggiunto dal comma 2 dell'art. 1, D.Lgs. 3 novembre 2008, n. 173, con i limiti di applicabilità previsti dall'art. 6 dello stesso decreto.

 

 

Art. 2428.

Relazione sulla gestione.

Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori contenente un'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell'andamento e del risultato della gestione, nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti, nonchè una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta (1).

L'analisi di cui al primo comma è coerente con l'entità e la complessità degli affari della società e contiene, nella misura necessaria alla comprensione della situazione della società e dell'andamento e del risultato della sua gestione, gli indicatori di risultato finanziari e, se del caso, quelli non finanziari pertinenti all'attività specifica della società, comprese le informazioni attinenti all'ambiente e al personale. L'analisi contiene, ove opportuno, riferimenti agli importi riportati nel bilancio e chiarimenti aggiuntivi su di essi (2).

Dalla relazione devono in ogni caso risultare:

1) le attività di ricerca e di sviluppo;

2) i rapporti con imprese controllate, collegate, controllanti e imprese sottoposte al controllo di queste ultime;

3) il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società controllanti possedute dalla società, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l'indicazione della parte di capitale corrispondente;

4) il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società controllanti acquistate o alienate dalla società, nel corso dell'esercizio, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l'indicazione della corrispondente parte di capitale, dei corrispettivi e dei motivi degli acquisti e delle alienazioni;

5) i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell'esercizio;

6) l'evoluzione prevedibile della gestione;

6-bis) in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio:

a) gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste;

b) l'esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari (3).

[Entro tre mesi dalla fine del primo semestre dell'esercizio gli amministratori delle società con azioni quotate in mercati regolamentati devono trasmettere al collegio sindacale una relazione sull'andamento della gestione, redatta secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per le società e la borsa con regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La relazione deve essere pubblicata nei modi e nei termini stabiliti dalla Commissione stessa con il regolamento anzidetto] (4).

Dalla relazione deve inoltre risultare l'elenco delle sedi secondarie della società (5).

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 1, D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 32. L'art. 5 dello stesso decreto ha così disposto: «Art. 5. Disposizioni finali. - 1. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva a quella della sua entrata in vigore.».

Il testo del presente comma, in vigore prima della suddetta modifica, era il seguente: «Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori sulla situazione della società e sull'andamento della gestione, nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti.».

(2) Comma aggiunto dall'art. 1, D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 32. L'art. 5 dello stesso decreto ha così disposto: «Art. 5. Disposizioni finali. - 1. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva a quella della sua entrata in vigore.».

(3) Numero aggiunto dall'art. 3, D.Lgs. 30 dicembre 2003, n. 394, in vigore dal 1° gennaio 2005 ai sensi di quanto disposto dall'articolo 8 dello stesso decreto.

(4) Comma abrogato dall'art. 2, D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 195.

(5) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il citato articolo 1 è stato rettificato con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 4 luglio 2003, n. 153. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

Art. 2429.

Relazione dei sindaci e deposito del bilancio.

Il bilancio deve essere comunicato dagli amministratori al collegio sindacale, con la relazione, almeno trenta giorni prima di quello fissato per l'assemblea che deve discuterlo.

Il collegio sindacale deve riferire all'assemblea sui risultati dell'esercizio sociale e sull'attività svolta nell'adempimento dei propri doveri, e fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riferimento all'esercizio della deroga di cui all'articolo 2423, quarto comma. Il collegio sindacale, se esercita il controllo contabile, redige anche la relazione prevista dall'articolo 2409-ter (1) (2).

Il bilancio, con le copie integrali dell'ultimo bilancio delle società controllate e un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio delle società collegate, deve restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato del controllo contabile, durante i quindici giorni che precedono l'assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne visione.

Il deposito delle copie dell'ultimo bilancio delle società controllate prescritto dal comma precedente può essere sostituito, per quelle incluse nel consolidamento, dal deposito di un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio delle medesime (3).

 

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(1) Periodo così sostituito dall'art. 2, D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 32. L'art. 5 dello stesso decreto ha così disposto: «Art. 5. Disposizioni finali. - 1. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai bilanci relativi agli esercizi aventi inizio dalla data successiva a quella della sua entrata in vigore.».

Il testo del presente periodo, in vigore prima della suddetta sostituzione, era il seguente: «Analoga relazione è predisposta dal soggetto incaricato del controllo contabile».

(2) Le disposizioni del presente comma non si applicano al collegio sindacale delle società con azioni quotate ai sensi di quanto disposto dall'art. 154, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 come sostituito dall'art. 9.84, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, aggiunto dall'art. 3, D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37.

(3) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.

Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2430

Riserva legale.

Dagli utili netti annuali deve essere dedotta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire una riserva, fino a che questa non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale.

La riserva deve essere reintegrata a norma del comma precedente se viene diminuita per qualsiasi ragione.

Sono salve le disposizioni delle leggi speciali (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2431.

Soprapprezzo delle azioni.

Le somme percepite dalla società per l'emissione di azioni ad un prezzo superiore al loro valore nominale, ivi comprese quelle derivate dalla conversione di obbligazioni, non possono essere distribuite fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il limite stabilito dall'articolo 2430 (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2434-bis.

Invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio.

Le azioni previste dagli articoli 2377 e 2379 non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo.

La legittimazione ad impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio su cui il revisore non ha formulato rilievi spetta a tanti soci che rappresentino almeno il cinque per cento del capitale sociale.

Il bilancio dell'esercizio nel corso del quale viene dichiarata l'invalidità di cui al comma precedente tiene conto delle ragioni di questa (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.

 

 

Art. 2435-bis.

Bilancio in forma abbreviata.

Le società, che non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati, possono redigere il bilancio in forma abbreviata quando, nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:

1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro(1);

2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro(2);

3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità.

Nel bilancio in forma abbreviata lo stato patrimoniale comprende solo le voci contrassegnate nell'articolo 2424 con lettere maiuscole e con numeri romani; le voci A e D dell'attivo possono essere comprese nella voce CII; dalle voci BI e BII dell'attivo devono essere detratti in forma esplicita gli ammortamenti e le svalutazioni; la voce E del passivo può essere compresa nella voce D; nelle voci CII dell'attivo e D del passivo devono essere separatamente indicati i crediti e i debiti esigibili oltre l'esercizio successivo.

Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata le seguenti voci previste dall'articolo 2425 possono essere tra loro raggruppate:

voci A2 e A3

voci B9(c), B9(d), B9(e)

voci B10(a), B10(b),B10(c)

voci C16(b) e C16(c)

voci D18(a), D18(b), D18(c)

voci D19(a), D19(b), D19(c)

Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata nella voce E20 non è richiesta la separata indicazione delle plusvalenze e nella voce E21 non è richiesta la separata indicazione delle minusvalenze e delle imposte relative a esercizi precedenti.

Nella nota integrativa sono omesse le indicazioni richieste dal numero 10 dell'articolo 2426 e dai numeri 2), 3), 7), 9), 10), 12), 13), 14), 15), 16) e 17) dell'articolo 2427 e dal numero 1) del comma 1 dell'articolo 2427-bis; le indicazioni richieste dal numero 6) dell'articolo 2427 sono riferite all'importo globale dei debiti iscritti in bilancio (3).

Le società possono limitare l'informativa richiesta ai sensi dell'articolo 2427, primo comma, numero 22-bis, alle operazioni realizzate direttamente o indirettamente con i loro maggiori azionisti ed a quelle con i membri degli organi di amministrazione e controllo, nonché limitare alla natura e all'obiettivo economico le informazioni richieste ai sensi dell'articolo 2427, primo comma, numero 22-ter (4).

Qualora le società indicate nel primo comma forniscano nella nota integrativa le informazioni richieste dai numeri 3) e 4) dell'articolo 2428, esse sono esonerate dalla redazione della relazione sulla gestione.

Le società che a norma del presente articolo redigono il bilancio in forma abbreviata devono redigerlo in forma ordinaria quando per il secondo esercizio consecutivo abbiano superato due dei limiti indicati nel primo comma (5).

 

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(1) Numero così sostituito dal comma 4 dell’art. 1, D.Lgs. 3 novembre 2008, n. 173, con i limiti di applicabilità previsti dall’art. 6 dello stesso decreto.

Il testo precedentemente in vigore - in cui l’originario importo di 3.125.000 euro era stato modificato dall'art. 1, D.Lgs. 7 novembre 2006, n. 285 - era il seguente: «1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 3.650.000 euro».

(2) Numero così sostituito dal comma 4 dell’art. 1, D.Lgs. 3 novembre 2008, n. 173, con i limiti di applicabilità previsti dall’art. 6 dello stesso decreto. Il testo precedentemente in vigore - in cui l’originario importo di 6.250.000 euro era stato modificato dall'art. 1, D.Lgs. 7 novembre 2006, n. 285 - era il seguente: «2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 7.300.000 euro».

(3) Comma così modificato dall'art. 2, D.Lgs. 30 dicembre 2003, n. 394, a decorrere dal 1° gennaio 2005 ai sensi di quanto disposto dall'articolo 8 dello stesso decreto. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Nella nota integrativa sono omesse le indicazioni richieste dal numero 10 dell'articolo 2426 e dai numeri 2), 3), 7), 9), 10), 12), 13), 14), 15), 16) e 17) dell'articolo 2427; le indicazioni richieste dal numero 6) dell'articolo 2427 sono riferite all'importo globale dei debiti iscritti in bilancio.».

(4) Comma aggiunto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 3 novembre 2008, n. 173, con i limiti di applicabilità previsti dall’art. 6 dello stesso decreto.

(5) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il citato articolo 1 è stato rettificato con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 4 luglio 2003, n. 153. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

Sezione X

Delle modificazioni dello statuto

 

Art. 2436.

Deposito, iscrizione e pubblicazione delle modificazioni.

Il notaio che ha verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto [c.c. 2332, 2348, 2349, 2460], entro trenta giorni, verificato l'adempimento delle condizioni stabilite dalla legge, ne richiede l'iscrizione nel registro delle imprese contestualmente al deposito e allega le eventuali autorizzazioni richieste [c.c. 2330, 2438; disp. att. c.c. 211].

L'ufficio del registro delle imprese, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la delibera nel registro.

Se il notaio ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge, ne dà comunicazione tempestivamente, e comunque non oltre il termine previsto dal primo comma del presente articolo, agli amministratori. Gli amministratori, nei trenta giorni successivi, possono convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti oppure ricorrere al tribunale per il provvedimento di cui ai successivi commi; in mancanza la deliberazione è definitivamente inefficace.

Il tribunale, verificato l'adempimento delle condizioni richieste dalla legge e sentito il pubblico ministero, ordina l'iscrizione nel registro delle imprese con decreto soggetto a reclamo.

La deliberazione non produce effetti se non dopo l'iscrizione.

Dopo ogni modifica dello statuto deve esserne depositato nel registro delle imprese il testo integrale nella sua redazione aggiornata [c.c. 2193] (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Vedi, anche, l'art. 29, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in vigore dal 1° gennaio 2003. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Art. 2446.

Riduzione del capitale per perdite.

Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite [c.c. 2413], gli amministratori [c.c. 2381] o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti [c.c. 2364, 2364-bis]. All'assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione. La relazione e le osservazioni devono restare depositate in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea, perché i soci possano prenderne visione. Nell'assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione.

Se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l'assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori [c.c. 2188, 2194].

Nel caso in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l'assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione. Si applica in tal caso l'articolo 2436 (1).

 

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(1) Il Capo V del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2325 a 2461, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo V, comprendente gli articoli da 2325 a 2451, dall'art. 1, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Vedi, anche, l'art. 33, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in vigore dal 1° gennaio 2004. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo V.

 

 

Sezione II

Dei conferimenti e delle quote

 

Art. 2464.

Conferimenti.

Il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all'ammontare globale del capitale sociale.

Possono essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica.

Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.

Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l'intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. Il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fideiussione con il versamento del corrispondente importo in danaro.

Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.

Il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l'intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d'opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l'atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società.

Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati nei novanta giorni (1) (2).

 

 

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(1) Il Capo VII del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2472 a 2497-bis, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo VII, comprendente gli articoli da 2462 a 2483, dall'art. 3, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il citato articolo 3 è stato corretto con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 4 luglio 2003, n. 153. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo è riportato nella nota al capo VI.

(2) Le norme di cui al presente articolo erano contenute nella formulazione dell'art. 2476 in vigore prima della modifica disposta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.

 

 

Art. 2470.

Efficacia e pubblicità.

Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento del deposito di cui al comma (1).

L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito è effettuato a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni (2).

Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.

Quando l'intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.

Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese.

L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.

Le dichiarazioni degli amministratori previste dai commi quarto e quinto devono essere depositate entro trenta giorni dall'avvenuta variazione della compagine sociale (3)(4) (5).

 

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(1) Comma così modificato dalla lettera a) del comma 12-quater dell’art. 16, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, con la decorrenza indicata nel comma 12-undecies dello stesso articolo 16.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci secondo quanto previsto nel successivo comma.».

(2) Comma così modificato dalla lettera b) del comma 12-quater dell’art. 16, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, con la decorrenza indicata nel comma 12-undecies dello stesso articolo 16.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.».

(3) Comma così sostituito dalla lettera c) del comma 12-quater dell’art. 16, D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, con la decorrenza indicata nel comma 12-undecies dello stesso articolo 16.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti quarto e quinto comma devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di tale iscrizione.».

(4) Il Capo VII del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2472 a 2497-bis, è stato così sostituito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo VII, comprendente gli articoli da 2462 a 2483, dall'art. 3, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il citato articolo 3 (e conseguentemente il presente articolo) è stato successivamente modificato dall'art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Occorre tener presenti le disposizioni transitorie contenute nei commi 1 e 2 dell'art. 6 dello stesso decreto legislativo n. 37 del 2004 che qui si riportano: «1. Le disposizioni attuative e regolamentari del decreto legislativo n. 385 del 1993 e del decreto legislativo n. 58 del 1998 in materia di sistemi di amministrazione e controllo dualistico e monistico nonché quelle in materia di categorie di azioni diverse dalle ordinarie e di strumenti finanziari sono emanate rispettivamente entro sei e nove mesi dalla pubblicazione del presente decreto.

2. Per le materie di cui al comma 1, le norme del decreto legislativo n. 385 del 1993 e del decreto legislativo n. 58 del 1998, modificate o sostituite dal presente decreto e le correlate norme del codice civile modificate o sostituite dal decreto legislativo n. 6 del 2003, continuano a trovare applicazione fino all'emanazione delle relative disposizioni attuative e comunque non oltre i termini di cui al comma 1.».

Il testo del presente articolo in vigore prima delle modifiche disposte dal suddetto decreto legislativo n. 37 del 2004 era il seguente:

«2470. Efficacia e pubblicità.

Il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci secondo quanto previsto nel successivo comma.

L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.

Se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.

Quando l'intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.

Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese.

L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.

Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti quarto e quinto comma devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di tale iscrizione.».

Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto legislativo n. 6 del 2003 è riportato nella nota al capo VI.

(5) Le norme di cui al presente articolo erano contenute nella formulazione degli artt. 2475-bis e 2479-bis in vigore prima della modifica disposta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Vedi, anche, il comma 1-bis dell'art. 36, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge, con modificazioni, con L. 6 agosto 2008, n. 133.

 


Codice di Procedura Civile
(art. 249)

 

 

Art. 249.

Facoltà d'astensione.

 

Si applicano all'audizione dei testimoni le disposizioni degli articoli 351 e 352 del Codice di procedura penale (1) relative alla facoltà d'astensione dei testimoni (2).

 

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(1) Vedi, ora, l'art. 199 c.p.p. per la facoltà di astensione e gli artt. 200 e 204 c.p.p. per l'obbligo di astenersi a causa di segreto professionale o di Stato.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 15-29 ottobre 1987, n. 352 (Gazz. Uff. 11 novembre 1987, n. 47 - Prima serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 249 c.p.c., nella parte in cui non fa rientrare i prossimi congiunti tra coloro che possono astenersi dal testimoniare nel processo civile, in riferimento all'art. 3 Cost. La stessa Corte, con sentenza 25 marzo-8 aprile 1997, n. 87 (Gazz. Uff. 16 aprile 1997, n. 16 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità del presente articolo, in relazione all'art. 200 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, Cost.; con sentenza 17-27 giugno 1997, n. 205 (Gazz. Uff. 2 luglio 1997, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato: a) inammissibile la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3 e 29 Cost; b) la manifesta infondatezza della questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost.

 

 


Codice di Procedura Penale
(artt. 199 e 200)

 

Art. 199.

Facoltà di astensione dei prossimi congiunti.

1. I prossimi congiunti dell'imputato non sono obbligati a deporre. Devono tuttavia deporre quando hanno presentato denuncia, querela o istanza ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato.

2. Il giudice, a pena di nullità [c.p.p. 181], avvisa le persone predette della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono avvalersene.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche a chi è legato all'imputato da vincolo di adozione. Si applicano inoltre, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale:

a) a chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso;

b) al coniuge separato dell'imputato;

c) alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l'imputato.

 

Art. 200.

Segreto professionale.

1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria [c.p.p. 331, 334]:

a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano;

b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai (1);

c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;

d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale (2).

2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.

3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell'albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell'esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l'identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni (3).

 

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(1) Lettera così sostituita dall'art. 4, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2). Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «b) gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici e i notai».

(2) Per i dottori commercialisti, vedi l'art. 5, D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067; per i consulenti del lavoro vedi l'art. 6, L. 11 gennaio 1979, n. 12.

(3) La Corte costituzionale, con sentenza 25 marzo-8 aprile 1997, n. 87 (Gazz. Uff. 16 aprile 1997, n. 16 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità dell'art. 249 del codice di procedura civile, in relazione all'art. 200 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, Cost.


R.D. 11 febbraio 1929, n. 274.
Regolamento per la professione di geometra

 

(1). (2) (3)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 15 marzo 1929, n. 63.

(2)  Modifiche ed integrazioni alla disciplina dell'ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi, nonché alla disciplina dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove, della professione di cui al presente provvedimento, sono state apportate dal D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328.

(3)  Con riferimento al presente provvedimento è stata emanata la seguente circolare: - Ministero di grazia e giustizia: Circ. 18 novembre 1997.

 

Art. 1. 

Il titolo di geometra spetta a coloro che abbiano conseguito il diploma di agrimensura dei Regi istituti tecnici o il diploma di abilitazione per la professione di geometra, secondo le norme del R.D. 6 maggio 1923, n. 1054.

 

Art. 2.

Presso ogni locale associazione sindacale (4) dei geometri legalmente riconosciuta è costituito l'albo dei geometri, in cui sono iscritti coloro che, trovandosi nelle condizioni stabilite dal presente regolamento, abbiano la residenza entro la circoscrizione dell'associazione medesima.

 

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(4)  Ora, collegio professionale ai sensi del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme dei Consigli degli ordini e collegi e sui Consigli nazionali professionali.

 

Art. 3. 

La tenuta dell'albo e la disciplina degli iscritti sono affidate, a termini dell'art. 12 del R.D. 1° luglio 1926, n. 1130, alle associazioni sindacali legalmente riconosciute, le quali vi attendono a mezzo di un Comitato (5) composto di cinque membri, se il numero degli iscritti nell'albo non supera 200, e di 7 membri negli altri casi. Fanno parte del Comitato anche due membri supplenti, che costituiscono gli effettivi, in caso di assenza o di impedimento.

 

I componenti del Comitato devono essere iscritti nell'albo professionale. Essi sono nominati con decreto del Ministro per la giustizia e gli affari di culto fra coloro che l'associazione sindacale designerà in numero doppio; durano in carica due anni e, scaduto il biennio, possono essere riconfermati.

 

Il Comitato elegge nel suo seno il presidente e il segretario; decide a maggioranza, e, in caso di parità di voti, prevale quello del presidente (6).

 

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(5)  Ora, collegio professionale ai sensi del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme dei Consigli degli ordini e collegi e sui Consigli nazionali professionali.

(6)  Successivamente la materia è stata regolata dal D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme sui Consigli degli ordini e collegi e sui Consigli nazionali professionali.

 

Art. 4.

 Per essere iscritto nell'albo dei geometri è necessario:

a) essere cittadino italiano o cittadino di uno Stato avente trattamento di reciprocità con l'Italia;

 

b) godere dei diritti civili e non aver riportato condanna alla reclusione o alla detenzione per tempo superiore ai cinque anni, salvo che sia intervenuta la riabilitazione a termini del Codice di procedura penale;

 

c) aver conseguito uno dei diplomi indicati nell'art. 1.

 

In nessun caso possono essere iscritti nell'albo, e, qualora vi si trovino iscritti, debbono essere cancellati coloro che abbiano svolto una pubblica attività in contraddizione con gli interessi della nazione.

 

Art. 5.

 La domanda per l'iscrizione è diretta al Comitato presso l'associazione sindacale nella cui circoscrizione l'aspirante risiede; è redatta in carta da bollo ed accompagnata dai documenti seguenti:

 

1° atto di nascita;

 

2° certificato di residenza;

 

3° certificato generale del casellario giudiziale di data non anteriore di tre mesi alla presentazione della domanda;

 

4° certificato di cittadinanza italiana o certificato di cittadinanza dello Stato avente trattamento di reciprocità con l'Italia;

 

5° uno dei diplomi indicati nell'art. 1.

 

Art. 6. 

Nessuno può essere iscritto contemporaneamente in più di un albo; ma è consentito il trasferimento da un albo all'altro contemporaneamente alla cancellazione della iscrizione precedente.

 

Art. 7. 

Gli impiegati dello Stato e delle altre pubbliche Amministrazioni, ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietato l'esercizio della libera professione, non possono essere iscritti nell'albo; ma, in quanto sia consentito, a norma degli ordinamenti medesimi, il conferimento di speciali incarichi, questi potranno loro essere affidati, pure non essendo essi iscritti nell'albo.

 

I suddetti impiegati, ai quali sia invece consentito l'esercizio della professione, possono essere iscritti nell'albo; ma sono soggetti alla disciplina del Comitato (7) soltanto per ciò che riguarda il libero esercizio. In nessun caso la iscrizione nell'albo può costituire titolo per quanto concerne la loro carriera.

 

Gli impiegati suddetti non possono, però, anche se inscritti nell'albo, esercitare la libera professione ove sussista alcuna incompatibilità preveduta da leggi, regolamenti generali o speciali, ovvero da capitolati.

 

Per l'esercizio della libera professione è in ogni caso necessaria espressa autorizzazione dei capi gerarchi nei modi stabiliti dagli ordinamenti dell'amministrazione da cui l'impiegato dipende.

 

È riservata alle singole Amministrazioni dello Stato la facoltà di liquidare ai propri impiegati i corrispettivi per le prestazioni compiute per enti pubblici o aventi finalità di pubblico interesse.

 

Tali corrispettivi saranno fissati sulla base delle tariffe per i liberi professionisti con una riduzione non inferiore ad un terzo, né superiore alla metà, salvo disposizioni speciali in contrario.

 

La riduzione non avrà luogo nel caso che la prestazione sia compiuta insieme con liberi professionisti, quali componenti di una Commissione.

 

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(7)  Ora, collegio professionale ai sensi del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme dei Consigli degli ordini e collegi e sui Consigli nazionali professionali.

 

 

Art. 8.

 L'albo, stampato a cura del Comitato (8), deve essere comunicato alle Cancellerie della Corte d'appello e dei Tribunali della circoscrizione a cui l'albo stesso si riferisce, al Pubblico Ministero presso le autorità giudiziarie suddette, ai Consigli provinciali dell'economia nella circoscrizione medesima e alla segreteria della Commissione centrale (9), di cui all'art. 15.

 

Agli uffici, a cui deve trasmettersi l'albo, a termini del precedente comma, sono comunicati altresì i provvedimenti individuali di iscrizione e cancellazione dall'albo, nonché di sospensione dall'esercizio della professione.

 

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(8)  Ora, collegio professionale ai sensi del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme dei Consigli degli ordini e collegi e sui Consigli nazionali professionali.

(9)  La Commissione centrale è ora denominata Consiglio nazionale in forza dell'art. 2, D.Lgs.P. 21 giugno 1946, n. 6.

 

Art. 9.

 Il Comitato (10) rilascia ad ogni iscritto apposita attestazione.

 

L'iscrizione in un albo ha effetto per tutto il territorio del Regno.

 

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(10)  Ora, collegio.

 

Art. 10. 

La cancellazione dall'albo, oltre che per motivi disciplinari, giusta l'articolo seguente, è pronunciata dal Comitato (11), su domanda o in seguito a dimissioni dell'interessato, ovvero d'ufficio o su richiesta del Procuratore del Re, nei casi:

 

a) di perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili;

b) di trasferimento dell'iscritto in un altro albo.

 

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(11)  Ora, collegio.

 

Art. 11. 

Le pene disciplinari che il Comitato (12) può applicare, per gli abusi e le mancanze che gli iscritti abbiano commesso nell'esercizio della professione, sono:

 

a) l'avvertimento;

b) la censura;

c) la sospensione dall'esercizio professionale per un tempo non maggiore di sei mesi;

d) la cancellazione dall'albo.

 

L'avvertimento è dato con lettera raccomandata a firma del presidente del Comitato.

La censura, la sospensione e la cancellazione sono notificate al colpevole per mezzo di ufficiale giudiziario.

 

... (13).

 

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(12)  Ora, collegio.

(13)  Comma omesso perché riguardante la comunicazione dei provvedimenti disciplinari all'associazione sindacale ora abolita.

 

 

Art. 12.

L'istruttoria, che precede il giudizio disciplinare, può essere promossa dal Comitato (14) su domanda di parte, o su richiesta del Pubblico Ministero, ovvero d'ufficio, in seguito a deliberazione del Comitato, ad iniziativa di uno o più membri.

 

Il presidente del Comitato, verificati sommariamente i fatti, raccoglie le opportune informazioni e, dopo di avere inteso l'incolpato, riferisce al Comitato, il quale decide se vi sia luogo a procedimento disciplinare.

 

In caso affermativo, il presidente nomina il relatore, fissa la data della seduta per la discussione e ne informa almeno 10 giorni prima l'incolpato, affinché possa presentare le sue giustificazioni sia personalmente, sia per mezzo di documenti.

 

Nel giorno fissato il Comitato, sentiti il rapporto del relatore e la difesa dell'incolpato, adotta le proprie decisioni.

 

Ove l'incolpato non si presenti o non faccia pervenire documenti a sua discolpa, né giustifichi un legittimo impedimento, si procede in sua assenza.

 

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(14)  Ora, collegio.

 

Art. 13. 

Nel caso di condanna alla reclusione o alla detenzione, il Comitato (15), secondo le circostanze, può eseguire la cancellazione dall'albo o pronunciare la sospensione. Quest'ultima ha sempre luogo ove sia stato rilasciato mandato di cattura e fino alla sua revoca.

 

Qualora si tratti di condanna, che impedirebbe la iscrizione, è sempre ordinata la cancellazione dall'albo.

 

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(15)  Ora, collegio.

 

Art. 14.

 Colui che è stato cancellato dall'albo può a sua richiesta essere riammesso, quando siano cessate le ragioni che hanno motivato la sua cancellazione.

 

Se la cancellazione è avvenuta a seguito di condanna penale, la domanda di nuova iscrizione non può essere fatta che quando siasi ottenuta la riabilitazione, giusta le norme del Codice di procedura penale.

 

Se la cancellazione è avvenuta in seguito a giudizio disciplinare per causa diversa da quella indicata nel comma precedente, la iscrizione può essere chiesta quando siano decorsi due anni dalla cancellazione dall'albo.

 

Se la domanda non è accolta, l'interessato può ricorrere in conformità dell'articolo seguente.

 

Art. 15. 

Le decisioni del Comitato (16), in ordine alla iscrizione e alla cancellazione dall'albo, nonché ai giudizi disciplinari, sono notificate agli interessati, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, salva la disposizione dell'art. II, comma 30, per quanto concerne la notificazione di decisioni, che pronunzino i provvedimenti disciplinari ivi indicati.

 

Contro le decisioni anzidette, entro 30 giorni dalla notificazione, è dato ricorso, tanto all'interessato quanto al Procuratore del Re, alla Commissione centrale per gli ingegneri e gli architetti (17), di cui all'art. 14 del regolamento approvato con R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, e all'art. 4 del R.D. 27 ottobre 1927, n. 2145. Però, quando la Commissione decide su questi ricorsi, i quattro membri ingegneri e i due membri architetti, nominati su designazione del Sindacato nazionale degli ingegneri e, rispettivamente del Sindacato nazionale degli architetti, sono sostituiti da sei membri nominati fra coloro che saranno designati in numero doppio dal direttorio del Sindacato nazionale dei geometri. I detti membri devono essere iscritti nell'albo dei geometri; durano in carica tre anni, ma alla scadenza possono essere riconfermati.

 

Nello stesso termine di trenta giorni il ricorso preveduto nel comma precedente è concesso al direttorio del Sindacato nazionale, il quale può delegare uno dei propri membri a presentare e sostenere il ricorso medesimo (18).

 

Contro le decisioni della Commissione centrale (19) è ammesso ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione per incompetenza o eccesso di potere.

 

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(16)  Ora, collegio.

(17)  Ora, al Consiglio nazionale dei geometri.

(18)  Il comma non è più applicabile per la soppressione del sindacato.

(19)  Ora, Consiglio nazionale; vedi nota 3/a all'art. 8.

 

Art. 16.

 L'oggetto ed i limiti dell'esercizio professionale di geometra sono regolati come segue:

 

a) operazioni topografiche di rilevamento e misurazione, di triangolazioni secondarie a lati rettilinei e di poligonazione, di determinazione e verifica di confini; operazioni catastali ed estimi relativi;

b) operazioni di tracciamento di strade poderali e consorziali ed inoltre, quando abbiano tenue importanza, di strade ordinarie e di canali di irrigazione e di scolo;

c) misura e divisione di fondi rustici;

d) misura e divisione di aree urbane e di modeste costruzioni civili;

e) stima di aree e di fondi rustici, anche ai fini di mutui fondiari e di espropriazione, stima dei danni prodotti ai fondi rustici dalla grandine o dagli incendi, e valutazione di danni colonici a culture erbacee, legnose, da frutto, da foglia e da bosco. È fatta eccezione per i casi di notevole importanza economica e per quelli che, per la complessità di elementi di valutazione, richiedano le speciali cognizioni scientifiche e tecniche proprie dei dottori in scienze agrarie;

f) stima, anche ai fini di mutui fondiari e di espropriazione, di aree urbane e di modeste costruzioni civili; stima dei danni prodotti dagli incendi;

g) stima di scorte morte, operazioni di consegna e riconsegna dei beni rurali e relativi bilanci e liquidazioni; stima per costituzione ed eliminazione di servitù rurali; stima delle acque irrigue nei rapporti dei fondi agrari serviti. È fatta eccezione per i casi di notevole importanza economica e per quelli che, per la complessità di elementi di valutazione, richiedano le speciali cognizioni scientifiche e tecniche proprie dei dottori in scienze agrarie;

h) funzioni puramente contabili ed amministrative nelle piccole e medie aziende agrarie;

i) curatele di piccole e medie aziende agrarie, in quanto non importino durata superiore ad un anno ed una vera e propria direzione tecnica; assistenza nei contratti agrari;

l) progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso d'industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone; nonché di piccole opere inerenti alle aziende agrarie, come strade vicinali senza rilevanti opere d'arte, lavori d'irrigazione e di bonifica, provvista d'acqua per le stesse aziende e riparto della spesa per opere consorziali relative, esclusa, comunque, la redazione di progetti generali di bonifica idraulica ed agraria e relativa direzione;

m) progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili;

n) misura, contabilità e liquidazione delle costruzioni civili indicate nella lettera m);

o) misura, contabilità e liquidazione di lavori di costruzioni rurali sopra specificate;

p) funzioni peritali ed arbitramentali in ordine alle attribuzioni innanzi menzionate;

q) mansioni di perito comunale per le funzioni tecniche ordinarie nei Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti, esclusi i progetti di opere pubbliche d'importanza o che implichino la risoluzione di rilevanti problemi tecnici.

 

Art. 17.

 Le disposizioni del precedente articolo valgono ai fini della delimitazione della professione di geometra, e non pregiudicano quanto può formare oggetto dell'attività di altre professioni, salvo ciò che è disposto dagli artt. 18 a 24.

 

Art. 18. 

Le funzioni di cui alle lettere a), b), d), f), l), m), n), o), q), dell'art. 16 sono comuni agli ingegneri civili.

 

Gli ingegneri civili avranno inoltre facoltà di compiere:

 

1° la stima dei fondi rustici e di aree, ai fini di espropriazione, nel solo caso però che questa sia connessa o dipendente da studi o lavori ai quali attende l'ingegnere;

 

2° la stima per costituzione ed eliminazione di servitù rurali solo in quanto la costruzione o la eliminazione stessa sia connessa o dipendente dagli studi e lavori predetti;

 

3° la stima dei danni di qualsiasi genere subiti dai fabbricati, anche se rurali.

 

La funzione peritale od arbitramentale, di cui alla lettera p) dell'indicato art. 16, è comune agli ingegneri civili, in quanto rifletta gli oggetti di cui alle lettere a), b), d), f), l), m), n), o).

 

Art. 19.

  La divisione di fondi rustici e le attribuzioni indicate nelle lettere b), e), g), h), i), l), o), dell'art. 16 sono comuni ai dottori in scienze agrarie.

 

La funzione peritale ed arbitramentale, di cui alla lettera p) del medesimo articolo, è comune ai dottori in scienze agrarie in quanto riflette gli oggetti indicati nel comma precedente.

 

Art. 20.

  La stima e la divisione di fondi rustici; la valutazione dei danni colonici, di cui alla lettera e) dell'art. 16; la stima delle scorte morte e le operazioni di consegna e di riconsegna di beni rurali e relativi bilanci di cui alla lettera g) dello stesso art. 16, sono comuni ai periti agrari con le medesime limitazioni stabilite nel detto art. 16.

 

Sono altresì comuni le attribuzioni di cui alla lettera h) e le curatele di cui alla lettera i) del predetto art. 16.

 

Le funzioni peritali ed arbitramentali, di cui alla lettera p) dell'art. 16, sono comuni ai periti agrari, in quanto riflettono gli oggetti indicati nei commi precedenti.

 

Art. 21. 

Ferme rimanendo le disposizioni contenute nella L. 24 giugno 1923, n. 1395, e nel regolamento approvato con R.D. 23 ottobre 1925, numero 2537, relative alla tutela del titolo e dell'esercizio professionale degl'ingegneri e degli architetti, nonché le disposizioni del R.D.L. 7 giugno 1928, n. 1431, per l'accettazione degli agglomeranti idraulici e per l'esecuzione delle opere in conglomerato cementizio, ai geometri diplomati anteriormente alla entrata in vigore del presente regolamento, che abbiano lodevolmente compiuto per almeno tre anni prestazioni eccedenti i limiti di cui all'art. 16, sarà consentito di proseguire in tali prestazioni.

 

Art. 22. 

Gli ingegneri civili, i quali, anteriormente all'entrata in vigore del presente regolamento, abbiano esercitate anche le mansioni proprie del geometra, potranno continuare ad adempiere le mansioni medesime, con facoltà di iscriversi nell'albo dei geometri.

 

Art. 23. 

I dottori in scienze agrarie, che, a termini dei RR.DD. 29 agosto 1890, n. 7140, e 21 maggio 1914, n. 528, abbiano esercitato le mansioni proprie del geometra anteriormente all'entrata in vigore del presente regolamento potranno continuare ad esercitare le mansioni medesime, con facoltà di iscriversi nell'albo dei geometri.

 

Art. 24.

 L'oggetto della professione di geometra comprende anche le funzioni relative agli istituti tavolari e catastali esistenti nei territori annessi al Regno con le LL. 26 settembre 1920, n. 1322, e 19 dicembre 1920, n. 1778.

 

Tali funzioni, oltre che dagli iscritti nell'elenco speciale annesso agli albi degli ingegneri e degli architetti, giusta l'art. 74 del regolamento approvato con R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, potranno essere esercitate anche dai geometri, che siano iscritti in uno degli albi dei territori indicati nel precedente comma dopo almeno un anno dalla iscrizione.

 

Gli iscritti, che siano nati nel territorio suddetto, o che abbiano ivi la loro residenza da almeno un anno, alla data della entrata in vigore del presente regolamento, potranno esercitare le funzioni sopra indicate senza che occorra il requisito del decorso di un anno dalla iscrizione.

 

Art. 25. 

Le perizie e gli incarichi da affidarsi ai geometri, giusta le disposizioni degli articoli precedenti, possono essere conferiti dall'autorità giudiziaria e dalle pubbliche amministrazioni soltanto agli inscritti nell'albo, salvo il disposto dell'art. 7.

 

Peraltro le perizie e gli incarichi anzidetti possono essere affidati a persone non iscritte nell'albo quando si tratti di casi di importanza limitata, ovvero non vi siano nella località professionisti inscritti nell'albo, ai quali affidare la perizia e l'incarico.

 

Art. 26.

 Spetta all'Associazione sindacale (20):

a) di curare che siano repressi l'uso abusivo del titolo di geometra e l'esercizio abusivo della professione, presentando, ove occorra, denuncia al procuratore del Re;

b) di compilare ogni triennio la tariffa professionale. Questa deve essere approvata dal Ministro per la giustizia e gli affari di culto, di concerto col Ministro per i lavori pubblici;

c) di determinare ed esigere il contributo annuale da corrispondersi da ogni iscritto per quanto si attiene alle spese occorrenti per la tenuta dell'albo e la disciplina degli iscritti. Essa cura altresì la ripartizione e l'esazione del contributo, che la Commissione centrale, costituita nel modo indicato dall'art. 15, stabilirà per le spese del suo funzionamento, giusta l'art. 18 del regolamento, approvato con R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537 (21).

 

... (22).

 

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(20)  Ora, collegio; vedi nota 2 all'art. 2.

(21)  Vedi, però l'art. 7, D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme sui Consigli degli ordini e collegi e sui Consigli nazionali professionali.

(22)  Si omettono il secondo ed il terzo comma perché riguardanti attribuzioni della disciolta associazione sindacale, e quindi non più in vigore.

 

Art. 27. 

I Comitati (23) sono sottoposti alla vigilanza del Ministro per la giustizia e gli affari di culto, il quale la esercita direttamente, ovvero per il tramite dei procuratori generali presso le Corti di appello e dei procuratori del Re. Egli sorveglia alla esatta osservanza delle norme legislative e regolamentari riguardanti la formazione, la tenuta dell'albo e, in generale, l'esercizio della professione.

 

... (24).

 

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(23)  Ora, collegio; vedi nota 2 all'art. 2.

(24)  Sono stati omessi il secondo e terzo comma perché riguardanti lo scioglimento del Consiglio dell'ordine, materia ora regolata dagli artt. 8 e 9, D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, recante norme sui Consigli degli ordini e collegi e sui Consigli nazionali professionali.

 

28-29.  ... (25).

 

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(25)  Omessi, perché recanti norme di carattere transitorio, ormai prive di interesse.

 


 

R.D. 11 febbraio 1929, n. 275.
Regolamento per la professione di perito industriale

 

(1). (2) (3).

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 marzo 1929, n. 65.

(2)  Le norme relative alla tenuta degli albi, al potere disciplinare ed ai consigli professionali contenute nel presente regolamento devono ritenersi vigenti solo in quanto compatibili con il D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382. Conseguentemente, il presente provvedimento va strettamente coordinato con il citato D.Lgs.Lgt.

(3)  Modifiche ed integrazioni alla disciplina dell'ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi, nonché alla disciplina dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove, della professione di cui al presente provvedimento, sono state apportate dal D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328.

 

Art. 1.

 Il titolo di perito industriale spetta a coloro, che abbiano conseguito il diploma di perito industriale in un regio istituto industriale del regno (ex-regio istituto di terzo grado), oppure nelle sezioni d'istituto industriale presso le regie scuole industriali o nelle ex-sezioni industriali di regi istituti tecnici ovvero in altri istituti, i cui diplomi, in quest'ultimo caso, dal Ministero competente siano riconosciuti equipollenti a quelli rilasciati dai regi istituti o dalle regie scuole predette.

 

Art. 2.

 Presso ogni locale associazione sindacale dei periti industriali legalmente riconosciuta è costituito l'albo dei periti industriali, in cui sono iscritti coloro che, trovandosi nelle condizioni stabilite dal presente regolamento, abbiano la residenza entro la circoscrizione dell'associazione medesima.

 

Per ogni iscritto sarà indicato, nell'albo, per quali rami di attività professionale l'iscrizione ha luogo (4).

 

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(4)  Le norme relative alla tenuta degli albi, al potere disciplinare ed ai consigli professionali contenute nel presente regolamento devono ritenersi vigenti solo in quanto compatibili con il D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382. Conseguentemente, il presente provvedimento va strettamente coordinato con il citato D.Lgs.Lgt.

 

Art.  3. 

La tenuta dell'albo e la disciplina degli iscritti sono affidate, a termini dell'art. 12 del regio decreto 1° luglio 1926, n. 1130 (5), alle associazioni sindacali legalmente riconosciute, le quali vi attendono a mezzo di un comitato, composto di cinque membri, se il numero degli iscritti nell'albo non supera 200, e di sette membri negli altri casi. Fanno parte del comitato anche due membri supplenti, che sostituiscono gli effettivi, in caso di assenza o di impedimento.

 

I componenti del comitato devono essere iscritti nell'albo professionale. Essi sono nominati con decreto del Ministro per la giustizia e gli affari di culto fra coloro che la competente associazione sindacale designerà in numero doppio; durano in carica due anni e, scaduto il biennio, possono essere riconfermati.

 

Il comitato elegge nel suo seno il presidente e il segretario; decide a maggioranza, e, in caso di parità di voti, prevale quello del presidente.

 

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(5)  Recante norme di attuazione della L. 3 aprile 1926, n. 563, sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro.

 

Art.  4. 

Per essere iscritto nell'albo dei periti industriali è necessario:

 

a) essere cittadino italiano o cittadino di uno Stato avente trattamento di reciprocità con l'Italia;

 

b) godere dei diritti civili e non aver riportato condanna alla reclusione o alla detenzione per tempo superiore ai cinque anni, salvo che sia intervenuta la riabilitazione a termini del codice di procedura penale;

 

c) aver conseguito uno dei diplomi indicati nell'art. 1.

 

In nessun caso possono essere iscritti nell'albo, e, qualora vi si trovino iscritti, debbono essere cancellati, coloro che abbiano svolto una pubblica attività in contraddizione con gli interessi della nazione.

 

 

Art. 5. 

La domanda per l'iscrizione è diretta al comitato presso l'associazione sindacale nella cui circoscrizione l'aspirante risiede; è redatta in carta da bollo ed accompagnata dai documenti seguenti:

 

1° atto di nascita;

2° certificato di residenza;

3° certificato generale del casellario giudiziale di data non anteriore di tre mesi alla presentazione della domanda;

4° certificato di cittadinanza italiana o certificato di cittadinanza dello Stato avente trattamento di reciprocità con l'Italia;

5° diploma rilasciato da uno degli istituti di istruzione indicati nell'art. 1°.

 

 

Art. 6.

Nessuno può essere iscritto contemporaneamente in più di un albo; ma è consentito il trasferimento da un albo all'altro, contemporaneamente alla cancellazione dell'iscrizione precedente.

 

 

Art. 7. 

Gli impiegati dello Stato e delle altre amministrazioni, ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietato l'esercizio della libera professione, non possono essere iscritti nell'albo; ma, in quanto sia consentito, a norma degli ordinamenti medesimi, il conferimento di speciali incarichi, questi potranno loro essere affidati, pure non essendo essi iscritti nell'albo.

 

I suddetti impiegati, ai quali sia invece consentito l'esercizio della professione, possono essere iscritti nell'albo; ma sono soggetti alla disciplina del comitato soltanto per ciò che riguarda il libero esercizio. In nessun caso l'iscrizione nell'albo può costituire titolo per quanto concerne la loro carriera.

 

 

Art. 8. 

L'albo, stampato a cura del comitato, deve essere comunicato alle cancellerie della corte di appello e dei tribunali della circoscrizione a cui l'albo stesso si riferisce, al pubblico Ministero presso le autorità giudiziarie suddette, ai consigli provinciali dell'economia (6) nella circoscrizione medesima e alla segreteria della commissione centrale, di cui all'art. 15.

 

Agli uffici, a cui deve trasmettersi l'albo, a termini del precedente comma, sono comunicati altresì i provvedimenti individuali di iscrizione e cancellazione dall'albo, nonché di sospensione dall'esercizio della professione.

 

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(6)  Ora Camere di commercio, industria ed agricoltura: vedi art. 2, D.Lgs.Lgt. 21 settembre 1944, n. 315.

 

Art.  9.

Il comitato rilascia ad ogni iscritto apposita attestazione.

 

L'iscrizione in un albo ha effetto per tutto il territorio del regno.

 

Art. 10.

 La cancellazione dall'albo, oltre che per motivi disciplinari, giusta l'articolo seguente, è pronunciata dal comitato, su domanda o in richiesta del procuratore del re, nei casi:

 

a) di perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili;

 

b) di trasferimento dell'iscritto in un altro albo.

 

Art. 11.

 Le pene disciplinari, che il comitato può applicare, per gli abusi e le mancanze che gli iscritti abbiano commesso nell'esercizio della professione, sono:

 

a) l'avvertimento;

b) la censura;

c) la sospensione dall'esercizio professionale per un tempo non maggiore di sei mesi;

d) la cancellazione dall'albo.

 

L'avvertimento è dato con lettera raccomandata a firma del presidente del comitato.

 

La censura, la sospensione e la cancellazione sono notificate al colpevole per mezzo di ufficiale giudiziario.

 

Il comitato deve comunicare all'associazione sindacale i provvedimenti disciplinari presi contro i professionisti, che facciano parte anche della detta associazione, e questa deve comunicare al comitato i provvedimenti adottati contro coloro che siano anche iscritti nell'albo.

 

 

Art. 12.

 L'istruttoria, che precede il giudizio disciplinare, può essere promossa dal comitato su domanda di parte, o su richiesta del pubblico ministero, ovvero d'ufficio, in seguito a deliberazione del comitato, ad iniziativa di uno o più membri.

 

Il Presidente del comitato, verificati sommariamente i fatti, raccoglie le opportune informazioni e, dopo di avere inteso l'incolpato, riferisce al comitato, il quale decide se vi sia luogo a procedimento disciplinare.

 

In caso affermativo, il presidente nomina il relatore, fissa la data della seduta per la discussione e ne informa almeno dieci giorni prima l'incolpato, affinché possa presentare le sue giustificazioni sia personalmente, sia per mezzo di documenti.

 

Nel giorno fissato il comitato, sentiti il rapporto del relatore e la difesa dell'incolpato, adotta le proprie decisioni.

 

Ove l'incolpato non si presenti o non faccia pervenire documenti a sua discolpa, né giustifichi un legittimo impedimento, si procede in sua assenza.

 

Art. 13. 

Nel caso di condanna alla reclusione o alla detenzione, il comitato, secondo le circostanze può eseguire la cancellazione dall'albo o pronunciare la sospensione. Quest'ultima ha sempre luogo ove sia stato rilasciato mandato di cattura e fino alla sua revoca.

 

Qualora si tratti di condanna, che impedirebbe l'iscrizione, è sempre ordinata la cancellazione dall'albo.

 

Art. 14. 

Colui che è stato cancellato dall'albo può a sua richiesta essere riammesso, quando siano cessate le ragioni che hanno motivato la sua cancellazione.

 

Se la cancellazione è avvenuta a seguito di condanna penale, la domanda di nuova iscrizione non può essere fatta che quando siasi ottenuta la riabilitazione, giusta le norme del codice di procedura penale.

 

Se la cancellazione è avvenuta in seguito a giudizio disciplinare per causa diversa da quella indicata nel comma precedente, l'iscrizione può essere chiesta quando siano decorsi due anni dalla cancellazione dall'albo.

 

Se la domanda non è accolta, l'interessato può ricorrere in conformità dell'articolo seguente.

 

Art. 15.

 Le decisioni del comitato, in ordine alla iscrizione e alla cancellazione dall'albo, nonché ai giudizi disciplinari, sono notificate agli interessati, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, salva la disposizione dell'articolo 11, comma terzo, per quanto concerne la notificazione di decisioni, che pronunciano i provvedimenti disciplinari ivi indicati.

 

Contro le decisioni anzidette, entro 30 giorni dalla notificazione, è dato ricorso, tanto all'interessato quanto al procuratore del re alla commissione centrale per gli ingegneri e gli architetti, di cui all'art. 14 del regolamento approvato con regio decreto 23 ottobre 1925, n. 2537 (7), e all'articolo 4 del regio decreto 27 ottobre 1927, numero 2145 (8). Però, quando la commissione decide su questi ricorsi, i quattro membri ingegneri e i due membri architetti, nominati su designazione del sindacato nazionale degli ingegneri e, rispettivamente, del sindacato nazionale degli architetti, sono sostituiti da sei membri nominati fra coloro che saranno designati in numero doppio dal direttorio del sindacato nazionale dei periti. I detti membri devono essere iscritti nell'albo dei periti industriali; durano in carica tre anni, ma alla scadenza possono essere riconfermati.

 

Nello stesso termine di trenta giorni il ricorso preveduto nel comma precedente è concesso al direttore del sindacato nazionale, il quale può delegare uno dei propri membri a presentare e sostenere il ricorso medesimo.

 

Contro le decisioni della commissione centrale è ammesso ricorso alle sezioni unite della corte di cassazione per incompetenza o eccesso di potere (9).

 

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(7)  Regolamento per le professioni di ingegnere ed architetto.

(8)  Recante norme per il coordinamento della legge e del regolamento sulle professioni di ingegnere e di architetto con la legge sui rapporti collettivi del lavoro, per ciò che riflette la tenuta dell'albo e la disciplina degli iscritti.

(9)  Vedi nota 2 all'epigrafe.

 

Art.  16. 

Spettano ai periti industriali, per ciascuno nei limiti delle rispettive specialità di meccanico, elettricista, edile, tessile, chimico, minerario, navale ed altre analoghe, le funzioni esecutive per i lavori alle medesime inerenti.

 

Possono inoltre essere adempiute:

 

a) dai periti industriali di qualsiasi specialità, per ciascuno entro i limiti delle medesime, mansioni direttive nel funzionamento industriale delle aziende pertinenti alle specialità stesse;

 

b) dai periti edili anche la progettazione e direzione di modeste costruzioni civili, senza pregiudizio di quanto è disposto da speciali norme legislative, nonché la misura, contabilità e liquidazione dei lavori di costruzione;

 

c) dai periti navali anche la progettazione e direzione di quelle costruzioni navali alle quali sono abilitati dal titolo in base a cui conseguirono la iscrizione nell'albo dei periti;

 

d) dai periti meccanici, elettricisti ed affini la progettazione, la direzione e l'estimo delle costruzioni di quelle semplici macchine ed installazioni meccaniche o elettriche, le quali non richiedano la conoscenza del calcolo infinitesimale.

 

Art. 17.

 Le disposizioni del precedente articolo valgono ai fini della delimitazione della professione di perito industriale e non pregiudicano quanto può formare oggetto dell'attività di altre professioni.

 

Art. 18.

 Le perizie e gli incarichi su quanto forma oggetto della professione di perito industriale possono essere affidati dall'autorità giudiziaria e dalle pubbliche amministrazioni soltanto agli inscritti nell'albo dei periti industriali, salvo il disposto dell'art. 7.

 

Peraltro le perizie e gli incarichi anzidetti possono essere affidati a persone non iscritte nell'albo quando si tratti di casi di importanza limitata, ovvero non vi siano nella località professionisti inscritti nell'albo, ai quali affidare la perizia o l'incarico.

 

Art. 19. 

Spetta all'associazione sindacale:

a) di curare che siano repressi l'uso abusivo del titolo di perito industriale e l'esercizio abusivo della professione, presentando, ove occorra, denuncia al procuratore del re;

b) di compilare ogni triennio la tariffa professionale. Questa deve essere approvata dal Ministro per la giustizia e gli affari di culto, di concerto con il Ministro per la pubblica istruzione;

c) di determinare ed esigere il contributo annuale da corrispondersi da ogni iscritto per quanto si attiene alle spese occorrenti per la tenuta dell'albo e la disciplina degli iscritti. Essa cura altresì la ripartizione e l'esazione del contributo, che la commissione centrale, costituita nel modo indicato nell'art. 15, stabilirà per le spese del suo funzionamento, giusta l'art. 18 del regolamento approvato con regio decreto 23 ottobre 1925, numero 2357 (10).

L'associazione sindacale comunica l'elenco dei soci morosi al comitato, il quale apre contro di essi procedimento disciplinare.

La stessa associazione tiene distinta la contabilità relativa ai contributi, di cui al presente articolo, da quella dei contributi sindacali.

 

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(10)  Regolamento per le professioni di ingegnere ed architetto.

 

Art. 20.

 I comitati sono sottoposti alla vigilanza del Ministro per la giustizia e gli affari di culto, il quale la esercita direttamente, ovvero per il tramite dei procuratori generali presso le corti di appello e dei procuratori del re. Egli sorveglia alla esatta osservanza delle norme legislative e regolamentari riguardanti la formazione, la tenuta dell'albo e, in generale, l'esercizio della professione.

 

Il Ministro per la giustizia e gli affari di culto può inoltre, con suo decreto, sciogliere il comitato, ove questo, richiamato all'osservanza degli obblighi ad esso imposti, persista nel violarli o nel non adempierli, ovvero per altri gravi motivi. In tal caso le attribuzioni del comitato sono esercitate dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato fino a quando non si sia provveduto alla nomina di un nuovo comitato.

 

Egualmente, nel caso di scioglimento del consiglio direttivo dell'associazione sindacale, il Ministro per la giustizia e gli affari di culto ha facoltà di disporre, con suo decreto, che il comifato cessi di funzionare e che le sue attribuzioni siano esercitate dal presidente del tribunale.

 

Art. 21. 

Coloro, i quali dimostrino con titoli di avere esercitato anteriormente all'entrata in vigore del presente regolamento lodevolmente per dieci anni la professione di perito industriale e di avere cultura sufficiente per l'esercizio della professione stessa, possono ottenere la iscrizione.

 

A tale effetto gli interessati devono presentare istanza, con i relativi documenti, al Ministero della pubblica istruzione, entro il termine perentorio di un anno dalla entrata in vigore del presente regolamento. Alla istanza deve unirsi la quietanza dell'ufficio del registro, che attesti il versamento all'erario dello Stato della somma di lire 300.

 

Sui titoli presentati giudica inapellabilmente una commissione, nominata dal Ministro per la pubblica istruzione e composta di cinque membri tre scelti tra i docenti negli istituti superiori o secondari e due fra i liberi professionisti.

 

La commissione, qualora decida favorevolmente, indica il ramo dell'attività professionale per cui può essere concessa l'iscrizione e trasmette la domanda al comitato. Questo, ove concorrano le altre condizioni stabilite dal presente regolamento, procede alla iscrizione del richiedente nell'albo; in caso contrario il comitato respinge la domanda, salvo all'interessato il ricorso alla commissione centrale, in conformità dell'art. 15.

 

Il Ministro per la pubblica istruzione, di concerto con quello per la giustizia e gli affari di culto, ha facoltà di emanare le disposizioni che potranno occorrere per il funzionamento della commissione di cui al presente articolo.

 

Art. 22.

 Il presidente del tribunale del capoluogo di provincia, o un giudice da lui delegato, provvede alla prima formazione dell'albo dei periti industriali, in base alle domande che gli interessati abbiano presentato nella cancelleria del tribunale entro il termine di sei mesi dalla entrata in vigore del presente regolamento.

 

Formato l'albo, il Ministro per la giustizia e gli affari di culto, d'intesa col Ministro per le corporazioni, stabilirà, con suo decreto, la data da cui incominceranno a funzionare i comitati menzionati nell'art. 3.

 

Fino alla emanazione del decreto, di cui al comma precedente, la custodia dell'albo rimarrà affidata al presidente del tribunale. Egli, o un giudice da lui delegato, decide sulle nuove domande che siano presentate, e provvede altresì, di ufficio o su richiesta del pubblico ministero, in ordine alla cancellazione dall'albo nel caso di perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili da qualunque titolo derivata, ovvero di condanna che costituisca impedimento alla iscrizione.

 

Contro le decisioni adottate dal presidente del tribunale a norma del presente articolo, è dato ricorso alla commissione centrale, in conformità dell'art. 15.

 

Art. 23. 

Gli albi dei periti industriali dei territori annessi al regno in virtù delle leggi 26 settembre 1920, n. 1322, e 19 dicembre 1920, n. 1778, e del regio decreto-legge 22 febbraio 1924, n. 211, comprenderanno un elenco, speciale e transitorio, nel quale saranno inscritti i tecnici, che, nella legislazione della cessata monarchia austro-ungarica, erano denominati «maurermeister».

 

Ai detti tecnici spettano il titolo di perito edile e la facoltà di progettare e di dirigere costruzioni, secondo le norme della legislazione della cessata monarchia austro-ungarica, che regolavano le attribuzioni dei tecnici stessi nel momento in cui, nei territori precedentemente indicati, entrarono in vigore le leggi 26 settembre 1920, n. 1322, e 19 dicembre 1920, n. 1778, e il regio decreto-legge 22 febbraio 1924, n. 211; senza pregiudizio di quanto è disposto da speciali norme legislative.

 

Per ottenere la iscrizione nell'elenco gli interessati devono, nel termine perentorio di sei mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, presentare domanda, con i relativi documenti, al presidente del tribunale. Questi decide sulla domanda, accordando o negando la iscrizione nell'albo, e contro la sua decisione è ammesso ricorso alla commissione centrale, in conformità dell'art. 15.

 


 

R.D. 25 novembre 1929, n. 2365.
Regolamento per l'esercizio professionale dei periti agrari

 

(1). (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 20 aprile 1968, n. 101.

(2)  Vedi, ora, L. 28 marzo 1968, n.434. Norme relative alla tenuta degli albi, alla disciplina degli iscritti, ai consigli degli ordini professionali, sono dettate, per tutte le professioni, dal D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382. Le norme contenute nel presente regolamento sono quindi vigenti in quanto compatibili con il detto D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382.

 

 

Art. 1. 

Il titolo di perito agrario spetta a coloro i quali abbiano conseguito il diploma di perito agrario da una scuola agraria media, Regia o pareggiata (3).

 

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(3)  Vedi ora L. 15 giugno 1931, n. 889.

 

Art. 2. 

Presso ogni locale associazione sindacale dei periti agrari legalmente riconosciuta è costituito l'albo dei periti agrari, in cui sono iscritti coloro che, trovandosi nelle condizioni stabilite nel presente regolamento, abbiano la residenza entro la circoscrizione dell'associazione medesima.

 

Art. 3.

 La tenuta dell'albo e la disciplina degli iscritti sono affidate, a termini dell'art. 12 del R. decreto 1° luglio 1926, n. 1130, alle associazioni sindacali legalmente riconosciute, le quali esercitano tali attribuzioni a mezzo di un Comitato composto di cinque membri, se il numero degli iscritti nell'albo non supera 200, e di sette membri negli altri casi. Fanno parte del Comitato anche due membri supplenti, che sostituiscono gli effettivi, in caso di assenza o di impedimento.

 

I componenti del Comitato devono essere iscritti nell'albo professionale. Essi sono nominati con decreto del Ministro per la giustizia e gli affari di culto, fra coloro che la competente associazione sindacale designerà in numero doppio; durano in carica due anni e, scaduto il biennio, possono essere riconfermati.

 

Il Comitato elegge nel suo seno il presidente e il segretario; decide a maggioranza, e, in caso di parità di voti, prevale quello del presidente (4).

 

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(4)  Vedi, ora, L. 28 marzo 1968, n.434. Norme relative alla tenuta degli albi, alla disciplina degli iscritti, ai consigli degli ordini professionali, sono dettate, per tutte le professioni, dal D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382. Le norme contenute nel presente regolamento sono quindi vigenti in quanto compatibili con il detto D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382.

 

Art. 4. 

Per essere iscritto nell'albo è necessario:

 

a) essere cittadino italiano o cittadino di uno Stato avente trattamento di reciprocità con l'Italia;

b) godere dei diritti civili e non aver riportato condanna alla reclusione o alla detenzione per tempo superiore a cinque anni, salvo che sia intervenuta la riabilitazione a termini del codice di procedura penale;

c) aver conseguito il diploma indicato nell'articolo 1.

In nessun caso possono essere iscritti nell'albo, e, qualora vi si trovino iscritti, debbono essere cancellati, coloro che abbiano svolto una pubblica attività in contraddizione con gli interessi della Nazione.

 

 

Art. 5.

 La domanda per l'iscrizione è diretta al Comitato presso l'associazione sindacale nella cui circoscrizione l'aspirante risiede; è redatta in carta da bollo ed è accompagnata dai documenti seguenti:

 

1° atto di nascita;

2° certificato di residenza;

3° certificato generale del casellario giudiziale di data non anteriore di tre mesi alla presentazione della domanda;

4° certificato di cittadinanza italiana o certificato di cittadinanza dello Stato avente trattamento di reciprocità con l'Italia;

5° diploma rilasciato da una delle scuole indicate nell'art. 1.

 

Art. 6. 

Nessuno può essere iscritto contemporaneamente in più di un albo; ma è consentito il trasferimento da un albo all'altro, contemporaneamente alla cancellazione della iscrizione precedente.

 

Art. 7. 

Gli impiegati dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietato l'esercizio della libera professione, non possono essere iscritti nell'albo, ma, in quanto sia consentito, a norma degli ordinamenti medesimi, il conferimento di speciali incarichi, questi potranno loro essere dati, pure non essendo essi iscritti nell'albo.

 

Gli impiegati medesimi, ai quali sia invece consentito l'esercizio della professione, possono essere iscritti nell'albo, ma sono soggetti alla disciplina del Comitato soltanto per ciò che riguarda il libero esercizio. In nessun caso la iscrizione nell'albo può costituire titolo per quanto concerne la loro carriera.

 

Art. 8. 

L'albo, stampato a cura del Comitato, deve essere comunicato alla cancelleria della Corte di appello e dei Tribunali della circoscrizione a cui l'albo stesso si riferisce, al Pubblico Ministero presso le autorità giudiziarie suddette, ai Consigli provinciali dell'economia nella circoscrizione medesima e alla segreteria della Commissione centrale, di cui all'art. 15.

 

Agli uffici, a cui deve trasmettersi l'albo, a termini del precedente comma, sono comunicati altresì i provvedimenti individuali di iscrizione e cancellazione dall'albo, nonché di sospensione dall'esercizio della professione.

 

Art. 9. 

Il Comitato rilascia ad ogni iscritto apposita attestazione.

 

L'iscrizione in un albo ha effetto in tutto il territorio del Regno.

 

Art. 10.

 La cancellazione dall'albo, oltre che per motivi disciplinari, giusta l'articolo seguente, è pronunciata dal Comitato su domanda o in seguito a dimissioni dell'interessato, ovvero d'ufficio o su richiesta del procuratore del Re, nei casi:

 

a) di perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili;

 

 

b) di trasferimento dell'iscritto in un altro albo.

 

Art. 11. 

Le pene disciplinari che il Comitato può applicare, per gli abusi e le mancanze che gli iscritti abbiano commesso nell'esercizio della professione, sono:

 

a) l'avvertimento;

b) la censura;

c) la sospensione dall'esercizio professionale per un tempo non maggiore di sei mesi;

d) la cancellazione dall'albo.

L'avvertimento è dato con lettera raccomandata a firma del presidente del Comitato.

 

La censura, la sospensione e la cancellazione sono notificate al colpevole per mezzo di ufficiale giudiziario.

 

Il Comitato deve comunicare all'associazione sindacale i provvedimenti disciplinari presi contro i professionisti, che facciano anche parte della detta associazione, e questa deve comunicare al Comitato i provvedimenti adottati contro coloro che siano anche iscritti nell'albo.

 

Art. 12.

 L'istruttoria, che precede il giudizio disciplinare, può essere promossa dal Comitato su domanda di parte, o su richiesta del Pubblico Ministero, ovvero d'ufficio, in seguito a deliberazione del Comitato, ad iniziativa di uno o più membri.

 

Il presidente del Comitato, verificati sommamamente i fatti, raccoglie le opportune informazioni e, dopo di avere inteso l'incolpato, riferisce al Comitato, il quale decide se vi sia luogo a procedimento disciplinare.

 

In caso affermativo, il presidente nomina il relatore, fissa la data della seduta per la discussione e ne informa almeno dieci giorni prima l'incolpato, affinché possa presentare le sue giustificazioni sia personalmente, sia per mezzo di documenti.

 

Nel giorno fissato il Comitato, sentiti il rapporto del relatore e la difesa dell'incolpato, adotta le proprie decisioni.

 

Ove l'incolpato non si presenti, o non faccia pervenire documenti a sua discolpa, né giustifichi un legittimo impedimento, si procede in sua assenza.

 

Art. 13. 

Nel caso di condanna alla reclusione o alla detenzione, il Comitato, a seconda delle circostanze, può eseguire la cancellazione dall'albo o pronunciare la sospensione. Quest'ultima ha sempre luogo ove sia stato rilasciato mandato di cattura e fino alla sua revoca.

 

Qualora si tratti di condanna, che impedirebbe la iscrizione, è sempre ordinata la cancellazione dall'albo.

 

Art. 14.

 Colui che è stato cancellato dall'albo può a sua richiesta essere riammesso, quando siano cessate le ragioni che hanno motivata la sua cancellazione.

 

Se la cancellazione è avvenuta a seguito di condanna penale, la domanda di nuova iscrizione non può essere fatta che quando siasi ottenuta la riabilitazione, giusta le norme del Codice di procedura penale.

 

Se la cancellazione è avvenuta in seguito a giudizio disciplinare per causa diversa da quella indicata nel comma precedente, la iscrizione può essere chiesta quando siano decorsi due anni dalla cancellazione dall'albo.

 

Se la domanda non è accolta, l'interessato può ricorrere in conformità dell'articolo seguente.

 

Art. 15. 

Le decisioni del Comitato, in ordine alla iscrizione e alla cancellazione dall'albo, nonché ai giudizi disciplinari, sono notificate agli interessati, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, salva la disposizione dell'art. 11, comma 3°, per quanto concerne la notificazione di decisioni, che pronunziano i provvedimenti disciplinari ivi indicati.

 

Contro le decisioni anzidette, entro trenta giorni dalla notificazione, è dato ricorso, tanto all'interessato quanto al procuratore del Re, alla Commissione centrale per i dottori in scienze agrarie, di cui all'art. 15 del regolamento concernente l'esercizio professionale dei dottori in scienze agrarie (5). Però, quando la Commissione decide su questi ricorsi, i quattro membri nominati su designazione dell'Associazione nazionale dei dottori in scienze agrarie sono sostituiti da quattro membri nominati tra coloro che saranno designati in numero doppio dal Direttore dell'Associazione nazionale dei periti agrari. I detti membri devono essere iscritti nell'albo dei periti agrari; durano in carica tre anni, ma alla scadenza possono essere riconfermati.

 

Nello stesso termine di trenta giorni il ricorso preveduto nel comma precedente è concesso al Direttorio dell'Associazione nazionale dei periti agrari, il quale può delegare uno dei propri membri a presentare e sostenere il ricorso medesimo (6).

 

La presentazione del ricorso, quando non sia fatta dal procuratore del Re, deve essere accompagnata dal versamento presso la segreteria della Commissione centrale della somma di L. 800 (7).

 

Contro le decisioni della Commissione centrale è ammesso ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione per incompetenza o eccesso di potere.

 

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(5)  Vedi ora D.M. 16 maggio 1949, che regola il ricorso dei periti agrari al Consiglio nazionale dei periti agrari.

(6)  Vedi ora D.M. 16 maggio 1949, che regola il ricorso dei periti agrari al Consiglio nazionale dei periti agrari.

(7)  La tassa è stata portata a L. 800 dall'art. 1 lettera a) D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 261.

 

 

Art. 16. 

Sono di spettanza della professione di perito agrario:

 

a) la direzione e l'amministrazione di medie aziende agrarie;

b) la stima e la divisione di fondi rustici;

c) l'assistenza e la vigilanza di lavori di trasformazione fondiaria;

d) la valutazione dei danni alle culture; la stima di scorte; le operazioni di consegna e riconsegna dei beni rurali e relativi bilanci e liquidazioni. È fatta eccezione per i casi di notevole importanza economica e per quelli che, per la complessività di elementi di valutazione, richiedano le speciali cognizioni scientifiche e tecniche proprie dei dottori in scienze agrarie;

e) funzioni contabili e amministrative nelle aziende agrarie;

f) curatele di aziende agrarie;

g) funzioni peritali ed arbitramentali in ordine alle attribuzioni innanzi menzionate.

 

Art. 17. 

Le disposizioni dell'articolo precedente valgono ai fini della delimitazione della professione di perito agrario e non pregiudicano quanto può formare oggetto dell'attività di altre professioni.

 

Restano ferme, in ogni caso, le disposizioni degli artt. 18 a 23 del regolamento approvato con R. decreto 11 febbraio 3929, n. 274 (8), per quanto concerne i rapporti fra le professioni dei geometri, degli ingegneri civili, dei dottori in scienze agrarie e dei periti agrari.

 

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(8)  Regolamento per la professione di geometra.

 

Art. 18. 

Le perizie e gli incarichi, da affidarsi ai periti agrari, possono essere conferiti dall'autorità giudiziaria e dalle pubbliche amministrazioni soltanto agli inscritti nell'albo, salvo il disposto dell'art. 7; e coloro che sono in possesso di un diploma di specializzazione, come in giardinaggio, caseificio oleificio, zootecnica ed altre analoghe, sono preferiti agli altri nelle mansioni, a cui si riferisce il diploma medesimo.

 

Peraltro le perizie e gli incarichi anzidetti possono essere affidati a persone non iscritte nell'albo quando si tratti di casi di importanza limitata, ovvero non vi siano nella località professionisti iscritti nell'albo, ai quali affidare la perizia o l'incarico.

 

Nulla è innovato a quanto dispone l'art. 45 del R. decreto 30 dicembre 1923, n. 3214 (9), per quanto concerne la validità del titolo di perito agrario agli effetti dell'assunzione negli impieghi specificati nello stesso articolo.

 

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(9)  Vedi ora art. 65, L. 15 giugno 1931, n. 889, recante norme per il riordinamento dell'istruzione media tecnica.

 

Art.  19. 

Spetta all'Associazione sindacale:

 

a) di curare che siano repressi l'uso abusivo del titolo di perito agrario e l'esercizio abusivo della professione, presentando, ove occorra, denuncia al procuratore del Re;

 

 

b) di compilare ogni triennio la tariffa professionale. Questa dev essere approvata dal Ministro per la giustizia e gli affari di culto, di concerto con quello per l'agricoltura e le foreste;

 

 

c) di determinare ed esigere il contributo annuale da corrispondersi da ogni iscritto per quanto si attiene alle spese occorrenti per la tenuta dell'albo e la disciplina degli iscritti.

 

L'Associazione sindacale comunica l'elenco dei soci morosi al Comitato, il quale apre contro di essi procedimento disciplinare.

 

La stessa Associazione tiene distinta la contabilità relativa ai contributi, di cui al presente articolo, da quella dei contributi sindacali.

 

Art. 20.

 I Comitati sono sottoposti alla vigilanza del Ministro per la giustizia e gli affari di culto, il quale la esercita direttamente ovvero per il tramite dei procuratori generali presso le Corti di appello e dei procuratori del Re. Egli sorveglia alla esatta osservanza delle norme legislative e regolamentari riguardanti la formazione, la tenuta dell'albo e, in generale, l'esercizio della professione.

 

Il Ministro per la giustizia e gli affari di culto può inoltre, con suo decreto, sciogliere il Comitato ove questo, chiamato all'osservanza degli obblighi ad esso imposti, persista nel violarli o nel non adempierli, ovvero per altri gravi motivi. In tal caso le attribuzioni del Comitato sono esercitate dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato, fino a quando non siasi provveduto alla nomina di un nuovo Comitato.

 

Egualmente, nel caso di scioglimento del Consiglio direttivo dell'Associazione sindacale, il Ministro per la giustizia e gli affari di culto ha facoltà di disporre, con suo decreto, che il Comitato cessi di funzionare e che le sue attribuzioni siano esercitate dal presidente del tribunale.

 

Art. 21. 

Sono considerati equivalenti, agli effetti dell'uso del titolo di perito agrario e dell'inscrizione nell'albo, i diplomi rilasciati dai corsi superiori delle cessate Regie scuole pratiche e speciali di agricoltura.

 

 

Art. 22. 

Coloro, i quali dimostrino con titoli di avere, anteriormente all'entrata in vigore del presente regolamento, esercitato lodevolmente per dieci anni la professione di perito agrario e di avere cultura sufficiente per l'esercizio della professione stessa, possono ottenere la iscrizione nell'albo.

 

A tale effetto gli interessati devono presentare istanza, con i relativi documenti, al Ministero dell'educazione nazionale entro il termine perentorio di un anno dalla entrata in vigore del presente regolamento. Alla istanza deve unirsi la quietanza dell'ufficio del registro che attesti il versamento all'erario dello Stato della somma di L. 300.

 

Sui titoli presentati giudica inappellabilmente una Commissione, nominata dal Ministro per la educazione nazionale e composta di cinque membri, tre scelti tra i docenti negli istituti superiori o secondari e due fra i liberi professionisti.

 

La Commissione, qualora accolga la domanda, la trasmette al Comitato. Questo, ove concorrano le altre condizioni stabilite dal presente regolamento, procede alla iscrizione del richiedente nell'albo; in caso contrario, respinge la domanda, salvo all'interessato il ricorso alla Commissione centrale, in conformità dell'art. 5.

 

Il Ministro per l'educazione nazionale, di concerto con quello per la giustizia e gli affari di culto, ha facoltà di emanare le disposizioni che potranno occorrere per il funzionamento della Commissione, di cui al presente articolo (10).

 

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(10)  Norme riguardanti iscrizioni consentite in via transitoria per determinati casi furono emanate con R.D. 12 dicembre 1935, n. 2428.

 

Art. 23. 

Il presidente del tribunale del capoluogo di provincia, o un giudice da lui delegato, provvede alla prima formazione dell'albo dei periti agrari, in base alle domande che gli interessati abbiano presentate nella cancelleria del tribunale entro il termine di sei mesi dalla entrata in vigore del presente regolamento.

 

Formato l'albo, il Ministro per la giustizia e gli affari di culto d'intesa col Ministro per le corporazioni, stabilirà, con suo decreto, la data da cui incominceranno a funzionare i Comitati menzionati nell'art. 3.

 

Fino alla emanazione del decreto, di cui al comma precedente, la custodia dell'albo rimarrà affidata al presidente del tribunale. Egli, o un giudice da lui delegato, decide sulle nuove domande che siano presentate, e provvede altresì, di ufficio o su richiesta del Pubblico Ministero, in ordine alla cancellazione dall'albo nel caso di perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili da qualunque titolo derivata, ovvero di condanna che costituisca impedimento alla iscrizione.

 

Contro le decisioni adottate dal presidente del tribunale a norma del presente articolo, è dato ricorso alla Commissione centrale, in conformità dell'art. 15.


 

L. 23 novembre 1939, n. 1815.
Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza

 

(1). (2).

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 16 dicembre 1939, n. 291.

(2)  Con riferimento al presente provvedimento è stata emanata la seguente circolare: I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 21 novembre 1996, n. 231.

 

 

Art. 1.

Le persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all'esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l'esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate, debbono usare, nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione di «studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario», seguito dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati.

 

L'esercizio associato delle professioni o delle altre attività, ai sensi del comma precedente, deve essere notificato all'organizzazione sindacale da cui sono rappresentati i singoli associati.

 

Art. 2. 

[È vietato costituire, esercire o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria] (3).

 

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(3)  Abrogato dall'art. 24, L. 7 agosto 1997, n. 266.

 

Art.  3. 

Sono esclusi dal divieto di cui all'articolo precedente gli enti e gli istituti pubblici, nonché fermo restando l'obbligo della notificazione preveduta dall'art. 1, comma secondo, gli uffici che le società, ditte od aziende private costituiscono per la propria organizzazione interna nelle materie indicate nei precedenti articoli.

 

Art. 4. 

[La tenuta o la regolarizzazione dei documenti delle aziende riguardanti materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale non può essere assunta da parte di coloro che non sono legati alle aziende stesse da rapporto d'impiego se non in seguito all'autorizzazione del competente Circolo, dell'Ispettorato corporativo, per coloro che intendano esercitare la predetta attività nella circoscrizione di un solo circolo, e del Ministero delle corporazioni (4) negli altri casi.

 

Avverso il provvedimento dell'Ispettorato corporativo (5) gli interessati possono ricorrere, entro trenta giorni dalla comunicazione, al Ministero delle corporazioni (6), che decide in via definitiva] (7).

 

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(4)  Ora, Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

(5)  Ora, Ispettorato del lavoro.

(6)  Ora, Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

(7)  Articolo abrogato dall'art. 41, L. 11 gennaio 1979, n. 12.

 

Art.  5.

 [La disposizione dell'articolo precedente non si applica a coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati, dei procuratori, degli esercenti in economia e commercio e dei ragionieri.

 

Tuttavia gli iscritti negli albi medesimi, che intendono dedicarsi all'attività prevista dall'articolo precedente, debbono farne denuncia al competente Circolo dell'Ispettorato corporativo (8), e qualora la loro attività si eserciti in più Circoli, al Ministero delle corporazioni] (9) (10).

 

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(8)  Ora, Ispettorato del lavoro.

(9)  Ora, Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

(10)  Articolo abrogato dall'art. 41, L. 11 gennaio 1979, n. 12.

 

Art.  6.

 Coloro che alla data di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale del Regno esercitano una professione o attività associata in modo diverso da quello stabilito dall'art. 1 devono conformarsi, entro il termine di sei mesi a decorrere da tale data, alle disposizioni dello stesso articolo. Trascorso inutilmente questo termine, essi devono cessare dall'esercitare la professione o l'attività associata in contrasto con il citato art. 1.

 

Coloro che, alla data indicata nel comma precedente, attendono alla tenuta o alla regolarizzazione dei documenti delle aziende senza essere legati alle aziende stesse da rapporti di impiego, possono chiedere l'autorizzazione prescritta dall'art. 4, ovvero provvedere alla denuncia di cui all'art. 5, entro il termine di tre mesi a decorrere dalla data anzidetta. Essi devono cessare la loro attività alla scadenza del termine di tre mesi, qualora nel termine stesso non abbiano presentato la domanda di autorizzazione, o la denuncia, ovvero entro tre mesi dal giorno in cui è divenuto definitivo il provvedimento di rigetto della domanda di autorizzazione.

 

Art. 7. 

Salvo che il fatto non costituisca reato più grave:

a) i contravventori alle disposizioni dell'articolo 1 e dell'art. 6, comma 1, sono puniti con la sanzione amministrativa fino a lire 400.000 (11);

b) i contravventori alle disposizioni dell'articolo 2, dell'art. 4 e dell'art. 5, comma 2, sono puniti con l'arresto sino a sei mesi o con l'ammenda da lire 40.000 a lire 200.000 (12).

I professionisti indicati nell'art. 5, che omettano di provvedere alle denunce di cui agli artt. 5 e 6, sono puniti con l'ammenda fino a L. 80.000 (13).

 

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(11)  La sanzione originaria dell'ammenda è stata sostituita, da ultimo, con la sanzione amministrativa dall'art. 32, L. 24 novembre 1981, n. 689. L'importo della sanzione è stato così elevato dall'art. 3, L. 12 luglio 1961, n. 603, nonché dall'art. 114, primo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 113, primo comma, della stessa legge. Per effetto dell'art. 10 della medesima L. 24 novembre 1981, n. 689, come modificato dall’art. 96, D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, l'entità della sanzione non può essere inferiore a lire 12.000. La sanzione è da ritenere attuale solo per la violazione delle disposizioni dell'art. 1, in quanto le disposizioni dell'art. 6 hanno carattere transitorio.

(12)  Importi così elevati dall'art. 3, L. 12 luglio 1961, n. 603.

Gli artt. 4 e 5, come già indicato, sono stati abrogati, pertanto la sanzione pecuniaria indicata nella presente lettera

b) non ha subìto ulteriori aumenti.

(13)  Importi così elevati dall'art. 3, L. 12 luglio 1961, n. 603.

L'art. 5, come già indicato, è stato abrogato; l'art. 6, invece, reca disposizioni a carattere transitorio. La sanzione qui indicata, pertanto, è da ritenersi superata.

 

Art. 8. 

Con decreti Reali da emanarsi su proposta del Ministro per la grazia e giustizia, di concerto con il Ministro per le corporazioni, a termini dell'art. 3, n. 1, della L. 31 gennaio 1926, n. 100, saranno date le norme che potranno occorrere per l'integrazione e l'attuazione della presente legge (14).

 

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(14)  Vedi il D.P.R. 26 agosto 1959, n. 921.


 

D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 .
Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse.

 

(1).

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 (1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 23 ottobre 1946, n. 241, e ratificato con L. 17 aprile 1956, n. 561.

 

Capo I

Degli Ordini e dei Collegi provinciali

Art. 1.

In ogni provincia sono costituiti gli Ordini dei medici-chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti ed i Collegi delle ostetriche. Se il numero dei sanitari residente nella provincia sia esiguo ovvero se sussistano altre ragioni di carattere storico, topografico, sociale o demografico, l'Alto Commissario per l'igiene e la sanità pubblica (2), sentite le rispettive Federazioni nazionali e gli Ordini o Collegi interessati, può disporre che un Ordine o un Collegio abbia per circoscrizione due o più province finitime, designandone la sede.

 

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(2)  Ora, il Ministro della sanità.

 

Art. 2. 

Ciascuno degli Ordini e dei Collegi elegge in assemblea, fra gli iscritti all'albo, a maggioranza relativa di voti ed a scrutinio segreto, il Consiglio direttivo, che è composto di cinque membri, se gli iscritti all'albo non superano i cento; di sette se superano i cento, ma non i cinquecento; di nove, se superano i cinquecento, ma non i mille e cinquecento; di quindici se superano i mille e cinquecento.

 

L'assemblea è valida in prima convocazione quando abbiano votato di persona almeno un tcrzo degli iscritti, in seconda convocazione qualunque sia il numero dei votanti purché non inferiore al decimo degli iscritti e, comunque, al doppio dei componenti il Consiglio.

 

Le votazioni dovranno aver luogo in tre giorni consecutivi, dei quali uno festivo.

 

Il presidente, udito il parere degli scrutatori, decide sopra i reclami o le irregolarità intorno alle operazioni elettorali, curando che sia fatta esatta menzione nel verbale delle proteste ricevute, dei voti contestati e delle decisioni da lui adottate.

 

I componenti del Consiglio durano in carica tre anni e l'assemblea per la loro elezione deve essere convocata entro il mese di novembre dell'anno in cui il Consiglio scade. La convocazione si effettua mediante avviso spedito almeno dieci giorni prima a tutti gli iscritti, esclusi i sospesi dall'esercizio della professione, per posta prioritaria, per telefax o a mezzo di posta elettronica certificata. Della convocazione deve essere dato altresì avviso mediante annuncio, entro il predetto termine, sul sito internet dell'Ordine nazionale. È posto a carico dell'Ordine l'onere di dare prova solo dell'effettivo invio delle comunicazioni (3).

 

Ogni Consiglio elegge nel proprio seno un presidente, un vicepresidente un tesoriere ed un segretario.

 

Il presidente ha la rappresentanza dell'Ordine e Collegio, di cui convoca e presiede il Consiglio direttivo e le assemblee degli iscritti; il vice-presidente lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento e disimpegna le funzioni a lui eventualmente delegate dal presidente (4).

 

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(3)  Comma così sostituito dall'art. 2, comma 4-sexies, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(4)  Vedi gli artt. 38-52 del regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221.

 

Art. 3. 

Al Consiglio direttivo di ciascun Ordine e Collegio spettano le seguenti attribuzioni:

a) compilare e tenere l'albo dell'Ordine e del Collegio e pubblicarlo al principio di ogni anno;

b) vigilare alla conservazione del decoro e della indipendenza dell'Ordine e del Collegio;

c) designare i rappresentanti dell'Ordine o Collegio presso commissioni, enti ed organizzazioni di carattere provinciale o comunale;

d) promuovere e favorire tutte le iniziative intese a facilitare il progresso culturale degli iscritti;

e) dare il proprio concorso alle autorità locali nello studio e nell'attuazione dei provvedimenti che comunque possono interessare l'Ordine od il Collegio;

f) esercitare il potere disciplinare nei confronti dei sanitari liberi professionisti inscritti nell'albo, salvo in ogni caso, le altre disposizioni di ordine disciplinare e punitivo contenute nelle leggi e nei regolamenti in vigore (5);

g) interporsi, se richiesto, nelle controversie fra sanitario e sanitario, o fra sanitario e persona o enti a favore dei quali il sanitario abbia prestato o presti la propria opera professionale, per ragioni di spese, di onorari e per altre questioni inerenti all'esercizio professionale, procurando la conciliazione della vertenza e, in caso di non riuscito accordo, dando il suo parere sulle controversie stesse.

 

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(5)  Vedi gli artt. 38-52 del regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221.

 

Art.  4. 

Il Consiglio provvede all'amministrazione dei beni spettanti all'Ordine o Collegio e propone all'approvazione dell'assemblea il bilancio preventivo ed il conto consuntivo.

 

Il Consiglio, entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese dell'Ordine o Collegio, stabilisce una tassa annuale, una tassa per l'iscrizione nell'albo, nonché una tassa per il rilascio dei certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari.

 

Art. 5. 

Contro i provvedimenti del Consiglio direttivo per le materie indicate nel secondo comma dell'art. 4 è ammesso ricorso all'assemblea degli iscritti, convocati in adunanza generale, che decide in via definitiva. Contro i provvedimenti per le materie indicate nelle lettere a) ed f) dell'art. 3 è ammesso ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

 

Art. 6. 

I Consigli direttivi possono essere sciolti quando non siano in grado di funzionare regolarmente (6).

Lo scioglimento viene disposto con decreto dell'Alto Commissario per l'igiene e la sanità pubblica (7), sentite le rispettive Federazioni nazionali. Con lo stesso decreto è nominata una Commissione straordinaria di tre membri iscritti nell'albo della provincia. Alla Commissione competono tutte le attribuzioni del Consiglio disciolto.

Entro tre mesi dallo scioglimento dovrà procedersi alle nuove elezioni.

 

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(6)  Per altri motivi di scioglimento vedi l'art. 36, del regolamento, approvato con D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221.

(7)  Ora, del Ministro della Sanità.

 

Capo II

Degli albi professionali

 

Art. 7. 

Ciascun Ordine e Collegio ha un albo permanente, in cui sono iscritti i professionisti della rispettiva categoria, residenti nella circoscrizione.

 

All'albo dei medici-chirurghi è aggiunto l'elenco dei dentisti abilitati a continuare in via transitoria l'esercizio della professione a norma delle disposizioni transitorie vigenti (8).

 

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(8)  Vedi R.D.L. 13 gennaio 1930, n. 20.

 

 Art. 8.

 Per l'esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie è necessaria l'iscrizione al rispettivo albo (9).

 

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(9)  Vedi, anche, art. 100, co. II, T.U. 1934 delle leggi sanitarie.

 

 Art. 9. 

Per l'iscrizione all'albo è necessario:

a) essere cittadino italiano;

b) avere il pieno godimento dei diritti civili;

c) essere di buona condotta;

d) aver conseguito il titolo accademico dato o confermato in una università o altro istituto di istruzione superiore a ciò autorizzato ed essere abilitati all'esercizio professionale oppure, per la categoria delle ostetriche, avere ottenuto il diploma rilasciato dalle apposite scuole (10);

e) avere la residenza o esercitare la professione nella circoscrizione dell'ordine o collegio (11). Possono essere anche iscritti all'albo gli stranieri, che abbiano conseguito il titolo di abilitazione in Italia o all'estero, quando siano cittadini di uno Stato con il quale il Governo italiano abbia stipulato, sulla base della reciprocità, un accordo speciale che consenta ad essi l'esercizio della professione in Italia, purché dimostrino di essere di buona condotta e di avere il godimento dei diritti civili (12).

 

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(10)  Cfr. il T.U. delle leggi sull'istruzione superiore, approvato con R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, e per gli esami di abilitazione, i provvedimenti riportati sub E della voce Istruzione pubblica: istruzione superiore. Per le ostetriche, vedi i diversi provvedimenti sulle scuole di ostetricia.

In materia, hanno inoltre avuto notevole importanza alcune leggi di carattere transitorio, come la L. 25 giugno 1940, n. 1066, recante disposizioni a favore dei cittadini italiani, rimpatriati dall'estero, e la L. 18 dicembre 1951, n. 1515, recante norme per il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti in Austria o in Germania da coloro che riacquistano la cittadinanza italiana ai sensi del D.Lgt. 2 febbraio 1948, n. 23, e per l'abilitazione degli stessi all'esercizio della professione.

(11)  Lettera così sostituita dall'art. 9, L. 8 novembre 1991, n. 362.

(12)  Cfr., al riguardo, la dichiarazione italo-svizzera per regolare, nei rispettivi territori, l'ammisione agli esami per l'esercizio delle professioni di medico, farmacista o veterinario, approvata con R.D. 28 settembre 1934, n. 1753; l'accordo 19 giugno 1939 fra l'Italia e il Belgio, concernente l'esercizio della medicina e della chirurgia nei due paesi, approvato con L. 30 novembre 1939, n. 2016; l'accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale di Germania, del 20 aprile 1954, per regolare l'esercizio professionale nel territorio di un Paese di medici dell'altro Paese, resa esecutiva con D.P.R. 25 novembre 1954, n.1372.

Hanno poi indiretta rilevanza nella materia numerose convenzioni di stabilimento, accordi culturali e sull'equivalenza di titoli di studio: possono qui ricordarsi per la loro importanza, la convenzione di Ginevra 28 luglio 1952, relativa allo statuto dei rifugiati, approvata con L. 24 luglio 1954, n. 722 (artt. 7 e 19), e la convenzione europea di stabilimento firmata a Parigi il 13 dicembre 1955, ratificata con L. 23 febbraio 1961, n. 277 (art. 15).

 

 Art. 10.

 I sanitari che siano impiegati in una pubblica amministrazione ed ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia vietato lo esercizio della libera professione, possono essere iscritti all'albo.

Essi sono soggetti alla disciplina dell'Ordine o Collegio, limitatamente all'esercizio della libera professione.

 

Art. 11.

 La cancellazione dall'albo è pronunziata dal Consiglio direttivo, d'ufficio o su richiesta del Prefetto o del Procuratore della Repubblica, nei casi:

a) di perdita, da qualunque titolo derivata, della cittadinanza italiana o del godimento dei diritti civili;

b) di trasferimento all'estero della residenza dell'iscritto;

c) di trasferimento della residenza dell'iscritto ad altra circoscrizione;

d) di rinunzia all'iscrizione;

e) di cessazione dell'accordo previsto dal 2° comma dell'art. 9;

f) di morosità nel pagamento dei contributi previsti dal presente decreto.

La cancellazione, tranne nei casi di cui alle lettere d) ed e), non può essere pronunziata se non dopo sentito l'interessato.

Nel caso di cui alla lettera b) il sanitario che eserciti all'estero la libera professione ovvero presti la sua opera alle dipendenze di ospedali, di enti o di privati, può mantenere, a sua richiesta, l'iscrizione all'Albo dell'Ordine o del Collegio professionale dal quale è stato cancellato (13).

 

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(13)  Comma aggiunto dall'art. 1, L. 10 luglio 1960, n. 736, e così sostituito dall'art. 1, L. 14 dicembre 1964, n. 1398.

Vedi inoltre la disposizione transitoria di cui all'art. 3 di quest'ultima, che qui si riporta:

«Art. 3. - Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i sanitari di cui ai precedenti articoli possono chiedere la reiscrizione all'Albo dell'Ordine o del Collegio professionale dal quale sono stati cancellati, ovvero la iscrizione nell'Albo dell'Ordine o del Collegio professionale di Roma, previo pagamento della tassa di concessione governativa prevista dalla lettera a) del n. 204 della tabella allegata A al vigente testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1° marzo 1961, n. 121». Successivamente, però, l'articolo unico, L. 22 novembre 1967, n. 1197 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1967, n. 316) ha così disposto:

«

Articolo unico. - Il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge 14 dicembre 1964, n. 1398, entro il quale i sanitari di cui alla legge anzidetta possono chiedere la reiscrizione nell'albo dell'Ordine o del Collegio professionale dal quale sono stati cancellati, ovvero la iscrizione nell'albo dell'Ordine o del Collegio professionale di Roma, previo pagamento della tassa di concessione governativa, prevista dalla lettera a) del n. 204 della tabella allegato A al vigente testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1° marzo 1961, n. 121, è prorogato al 31 dicembre 1968».

 

Capo III

Delle Federazioni nazionali

12.  Gli Ordini ed i Collegi provinciali sono riuniti rispettivamente in Federazioni nazionali con sede in Roma.

 

Le Federazioni sono dirette da un Comitato centrale composto di tredici membri per le Federazioni dei medici-chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti; di sette membri per le Federazioni delle ostetriche.

 

Ogni Comitato centrale elegge nel proprio seno un presidente, un vicepresidente, un tesoriere ed un segretario (14).

 

Il Presidente ha la rappresentanza della Federazione di cui convoca e presiede il Comitato centrale ed il Consiglio nazionale; il vice presidente lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento e disimpegna le funzioni a lui eventualmente delegate dal presidente (15).

 

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(14)  Commi così sostituiti dall'art. 2, L. 21 ottobre 1957, n. 1027.

(15)  Commi così sostituiti dall'art. 2, L. 21 ottobre 1957, n. 1027.

 

Art.  13.

I Comitati centrali sono eletti dai presidenti dei rispettivi Ordini e Collegi, nell'anno successivo alla elezione dei presidenti e Consigli degli ordini professionali, tra gli iscritti agli albi a maggioranza relativa di voti ed a scrutinio segreto.

 

Ciascun presidente dispone di un voto per ogni duecento iscritti e frazione di duecento iscritti al rispettivo albo provinciale (16).

 

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(16)  Così sostituito dall'art. 3, L. 21 ottobre 1957, n. 1027.

 

Art.  14.

 Il Consiglio nazionale è composto dei presidenti dei rispettivi Ordini e Collegi.

Spetta al Consiglio nazionale l'approvazione del bilancio preventivo e del conto consuntivo della rispettiva Federazione su proposta del Comitato centrale.

Il Consiglio nazionale, su proposta del Comitato centrale, stabilisce il contributo annuo che ciascun Ordine o Collegio deve versare in rapporto al numero dei propri iscritti per le spese di funzionamento della Federazione.

All'amministrazione dei beni spettanti alla Federazione provvede il Comitato centrale.

 

Art. 15. 

Al Comitato centrale di ciascuna Federazione spettano le seguenti attribuzioni:

 

a) vigilare, sul piano nazionale, alla conservazione del decoro e dell'indipendenza delle rispettive professioni;

b) coordinare e promuovere l'attività dei rispettivi Ordini o Collegi;

c) promuovere e favorire, sul piano nazionale, tutte le iniziative di cui alla lettera d) dell'articolo 3 del presente decreto;

d) designare i rappresentanti della Federazione presso commissioni, enti od organizzazioni di carattere interprovinciale o nazionale;

e) dare il proprio concorso alle autorità centrali nello studio e nell'attuazione dei provvedimenti che comunque possano interessare gli Ordini ed i Collegi;

f) dare direttive di massima per la soluzione delle controversie di cui alla lettera g) dell'articolo 3;

g) esercitare il potere disciplinare nei confronti dei componenti dei Consigli direttivi degli Ordini e Collegi.

Contro i provvedimenti indicati nella precedente lettera g) è ammesso ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.

 

Art. 16. 

I Comitati centrali possono essere sciolti quando non siano in grado di funzionare regolarmente.

 

Lo scioglimento viene disposto con decreto dell'Alto Commissario per l'igiene e la sanità pubblica (17), sentito il Consiglio superiore di sanità. Con lo stesso decreto è nominata una Commissione straordinaria di cinque membri iscritti agli alti professionali della categoria; alla Commissione competono tutte le attribuzioni del Comitato disciolto.

 

Entro tre mesi dallo scioglimento dovrà procedersi alle nuove elezioni.

 

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(17)  Ora, del Ministro della Sanità.

 

Capo IV

Della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie

 

Art. 17. 

Presso l'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica (18) è costituita, per i professionisti di cui al presente decreto, una Commissione centrale, nominata con decreto del Capo dello Stato, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro per la grazia e giustizia, presieduta da un consigliere di Stato e costituita da un membro del Consiglio superiore di sanità e da un funzionario dell'Amministrazione civile dell'interno di grado non inferiore al 6° (19).

 

Fanno parte altresì della Commissione:

 

a) per l'esame degli affari concernenti la professione dei medici chirurghi, un ispettore generale medico ed otto medici chirurghi, di cui cinque effettivi e tre supplenti;

b) per l'esame degli affari concernenti la professione dei veterinari, un ispettore generale veterinario e otto veterinari di cui cinque effettivi e tre supplenti;

c) per l'esame degli affari concernenti la professione dei farmacisti, un ispettore generale per il servizio farmaceutico e otto farmacisti, di cui cinque effettivi e tre supplenti;

d) per l'esame degli affari concernenti la professione delle ostetriche, un ispettore generale medico e otto ostetriche, di cui cinque effettive e tre supplenti;

e) per l'esame degli affari concernenti la professione di odontoiatra, un ispettore generale medico e otto odontoiatri di cui cinque effettivi e tre supplenti (20).

I sanitari liberi professionisti indicati nel comma precedente sono designati dai Comitati centrali delle rispettive Federazioni nazionali.

Almeno tre dei componenti sopra indicati non debbono avere la qualifica di presidente o di membro dei Comitati centrali delle Federazioni nazionali.

I membri della Commissione centrale rimangono in carica quattro anni e possono essere riconfermati.

Alla segreteria della Commissione centrale è addetto personale in servizio presso l'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica (21).

Per la validità di ogni seduta occorre la presenza di non meno di cinque membri della Commissione, compreso il presidente; almeno tre dei membri devono appartenere alla stessa categoria alla quale appartiene il sanitario di cui è in esame la pratica.

In caso di impedimento o di incompatibilità dei membri effettivi, rappresentanti le categorie sanitarie, intervengono alle sedute i membri supplenti della stessa categoria.

Per le questioni d'indole generale e per l'esame degli affari concernenti tutte le professioni sanitarie, il presidente ha la facoltà di convocare la Commissione centrale in seduta plenaria, e cioè con l'intervento, oltre che dei componenti di cui al primo comma, dei quattro ispettori generali e dei componenti rappresentanti tutte le categorie sanitarie (22).

 

Per la validità delle sedute plenarie occorre la presenza di non meno di 18 membri della Commissione, compreso il presidente, ed ogni professione deve essere rappresentata da almeno tre dei membri appartenenti alla rispettiva categoria (23) (24).

 

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(18)  Ora, del Ministro della Sanità.

(19)  Ora, un funzionario del Ministero della sanità, di qualifica non inferiore a quella di direttore di divisione o equiparata.

(20)  Lettera aggiunta dall'art. 6, L. 24 luglio 1985, n. 409.

(21)  Ora, del Ministro della sanità.

(22)  Così sostituito l'originario art. 17, dall'articolo unico, L. 5 gennaio 1955, n. 15.

(23)  Comma aggiunto dall'art. 4, L. 21 ottobre 1957, n. 1027.

(24)  Vedi, anche, il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 608, e le relative tabelle annesse.

 

Art. 18.

 La Commissione centrale:

 

a) decide sui ricorsi ad essa proposti a norma del presente decreto;

b) esercita il potere disciplinare nei confronti dei propri membri professionisti e dei membri dei Comitati centrali delle Federazioni nazionali.

 

Art. 19. 

Avverso le decisioni della Commissione centrale è ammesso ricorso alle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione, a norma dell'art. 362 del Codice di procedura civile.

 

Capo V

Disposizioni transitorie e finali

 

Art. 20.

 I presidenti degli Ordini e dei Collegi ed i presidenti delle Federazioni nazionali sono membri di diritto rispettivamente dei Consigli provinciali e del Consiglio superiore di sanità.

 

Art. 21. 

Gli iscritti agli albi sono tenuti anche all'iscrizione ed al pagamento dei relativi contributi all'Ente nazionale di previdenza ed assistenza istituito o da istituirsi per ciascuna categoria (25). L'ammontare dei contributi verrà determinato dai competenti organi degli enti, d'accordo con il Consiglio nazionale delle rispettive Federazioni nazionali.

 

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(25)  Vedi i provvedimenti riportati alla sottovoce F.

 

Art. 22. 

Entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente decreto i prefetti, sentito l'ufficio sanitario provinciale, nomineranno per ciascuno degli Ordini e Collegi dei sanitari della provincia una Commissione straordinaria composta di tre membri, iscritti ai rispettivi albi, con l'incarico di amministrare gli Ordini o Collegi fino a quando non saranno eletti i Consigli direttivi. Tale elezione dovrà essere compiuta non oltre il termine di due mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di esecuzione del presente decreto.

Nelle province nelle quali, per iniziativa delle autorità locali o degli iscritti agli albi professionali, risultino già costituiti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, i Consigli degli Ordini o Collegi, questi continueranno ad esercitare le proprie funzioni, fino alla elezione del nuovo Consiglio direttivo che dovrà essere compiuta non oltre il termine di due mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di esecuzione del presente decreto (26).

 

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(26)  Altre disposizioni transitorie, anche esse superate, sono state successivamente emanate sulla durata in carica dei Consigli direttivi, con. L. 10 aprile 1954, n. 106 e con l'art. 6, L. 21 ottobre 1957, n. 1027.

 

Art.  23. 

Restano fermi i provvedimenti relativi alla iscrizione ed alla cancellazione dagli albi professionali nonché i provvedimenti disciplinari a carico degli iscritti, adottati dagli organi indicati nell'art. 22.

 

Art. 24.

 Entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'Alto Commissario per l'igiene e la Sanità pubblica nominerà per ciascuna delle categorie professionali dei sanitari, una Commissione straordinaria composta di cinque membri iscritti nei rispettivi albi professionali con l'incarico di amministrare le Federazioni nazionali fino a quando non saranno eletti i Comitati centrali. Tale elezione dovra essere compiuta non oltre il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di esecuzione del presente decreto.

 

Ove, per iniziativa degli iscritti agli albi professionali, risulti già costituita alla data di entrata in vigore del presente decreto, una Federazione nazionale, il Comitato centrale di essa continuerà ad esercitare le proprie funzioni fino alla elezione del nuovo Comitato centrale che dovrà essere compiuta non oltre il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di esecuzione del presente decreto (27).

 

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(27)  Ulteriore disposizione transitoria sulla durata in carica dei Comitati centrali, nell'art. 7, L. 21 ottobre 1957, n. 1027.

 

Art.  25.

L'attuale Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie è sciolta. Essa sarà ricostituita secondo le norme del presente decreto.

 

Art. 26.

Fino a quando non verrà provveduto alla ricostituzione del Consiglio superiore di sanità, in luogo del membro del Consiglio stesso, il segretario generale presso l'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica fa parte della Commissione centrale di cui all'art. 17.

 

 

Art. 27. 

Con separato provvedimento saranno emanate norme relative alla disciplina professionale dell'attività infermieristica (28).

 

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(28)  Vedi la L. 29 ottobre 1954, n. 1049.

 

Art.  28. 

Con il regolamento di esecuzione del presente decreto, il Governo provvederà a dettare le norme relative alla elezione dei componenti dei Consigli direttivi degli Ordini e Collegi provinciali e dei Comitati centrali delle Federazioni nazionali alla tenuta degli albi, alle iscrizioni ed alle cancellazioni degli albi stessi, alla riscossione ed erogazione dei contributi, alla gestione amministrativa e contabile degli Ordini, Collegi e Federazioni, alle sanzioni ed ai procedimenti disciplinari, ai ricorsi ed alla procedura davanti alla Commissione centrale, nonché a quanto altro possa occorrere per l'applicazione del presente decreto (29).

 

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(29)  Regolamento approvato con D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221.


 

L. 29 ottobre 1954, n. 1049.
Istituzione dei Collegi delle infermiere professionali, delle assistenti sanitarie visitatrici e delle vigilatrici d'infanzia

 

(1).

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 15 novembre 1954, n. 262.

 

Art. 1. 

In ogni Provincia sono costituiti i Collegi delle infermiere professionali, delle assistenti sanitarie visitatrici e delle vigilatrici d'infanzia, diplomate in base alle disposizioni degli articoli 135 e 136 del testo unico delle leggi sanitarie , o in applicazione degli artt. 42 e 43 del regio decreto-legge 21 novembre 1929, numero 2330 , o a norma della legge 3 giugno 1937, n. 1084 (2), o a norma degli artt. 7, 8, 9, 10, 11 della legge 9 luglio 1940, n. 1098 (3).

 

Se il numero delle aventi diritto ad iscriversi nei Collegi, residenti nella Provincia sia esiguo, l'Alto Commissario per l'igiene e la sanità pubblica, sentito il Collegio interessato, può disporre che un Collegio abbia per circoscrizione due o più Province finitime, designandone la sede.

 

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(2)  Recante disposizioni provvisorie per l'ammissione alle scuole convitto professionali per infermiere ed alle scuole specializzate per assistenti sanitarie visitatrici, limitatamente ad un periodo di cinque anni dalla pubblicazione.

(3)  Recte, L. 19 luglio 1940, n. 1098.

 

 Art. 2. 

Sono estese ai Collegi, costituitisi in base al precedente articolo, le norme contenute nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, riguardante la ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse .

 

Art. 3. 

Entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, i prefetti, sentito l'Ufficio sanitario provinciale, nomineranno una Commissione straordinaria composta di tre membri, scelti fra gli aventi diritto alla iscrizione all'albo, con l'incarico di amministrare il Collegio fino a quando saranno eletti i Consigli direttivi. A tale elezione si dovrà addivenire entro sei mesi dalla nomina della Commissione.


 

L. 21 marzo 1958, n. 259.
Partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria

 

(1). (2) (3).

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 8 aprile 1958, n. 84.

(2)  In deroga a quanto disposto dalla presente legge, relativamente all'E.N.E.A., vedi l'art. 11, D.Lgs. 30 gennaio 1999, n. 36.

(3) Vedi, anche, l'art. 10-bis, Del.C.C. 16 giugno 2000, n. 14/DEL/2000.

 

 

Art. 1. 

In attuazione dell'art. 100, comma secondo, della Costituzione, al fine di sottoporre all'esame del Parlamento le gestioni finanziarie degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, la partecipazione della Corte dei conti al controllo sugli enti stessi è regolata dalle disposizioni della presente legge.

 

Art. 2. 

Devono essere considerate contribuzioni ordinarie:

a) i contributi che, con qualsiasi denominazione, una Pubblica Amministrazione o un'azienda autonoma statale abbia assunto a proprio carico, con carattere di periodicità, per la gestione finanziaria di un ente, o che da oltre un biennio siano iscritti nel suo bilancio;

b) le imposte, tasse e contributi che con carattere di continuità gli enti siano autorizzati ad imporre o che siano comunque ad essi devoluti.

 

Art. 3.

 Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto col Ministro per il tesoro e col Ministro competente, gli enti per i quali sussistono le condizioni di cui all'art. 2 sono dichiarati sottoposti al controllo previsto dalla presente legge. Il decreto è comunicato per estratto ai singoli enti interessati (4).

 

Dal controllo sono esclusi gli enti d'interesse esclusivamente locale e quelli per i quali la contribuzione dello Stato sia di particolare tenuità, in relazione alla natura dell'ente ed alla sua consistenza patrimoniale e finanziaria, nonché gli enti ai quali la contribuzione dello Stato sia stata concessa in applicazione di provvedimenti legislativi di carattere generale.

 

Qualora un ente sottoposto al controllo contribuisca nelle forme dell'art. 2 ad altro ente, è tenuto a darne notizia alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Ministro competente, per l'eventuale applicazione della presente legge all'ente che fruisce della contribuzione, tenuto conto dell'ammontare di questa e della particolare natura ed attività dell'ente.

 

Quando siano venute meno le condizioni di cui all'art. 2, è dichiarata cessata, con le modalità stabilite dal primo comma del presente articolo, la sottoposizione degli enti alla disciplina della presente legge.

 

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(4)  Vedi elenco allegato.

 

 Art. 4. 

Gli enti sottoposti alla disciplina della presente legge debbono far pervenire alla Corte dei conti i conti consuntivi ed i bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre quindici giorni dalla loro approvazione e, in ogni caso, non oltre sei mesi e quindici giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario al quale si riferiscono.

 

Egualmente sono trasmesse alla Corte dei conti le relazioni degli organi di revisione che vengano presentate in corso di esercizio.

 

 

Art. 5. 

I rappresentanti delle amministrazioni dello Stato o delle aziende statali o degli enti pubblici che facciano parte, in quanto tali, dei collegi sindacali o di revisione degli enti destinatari delle contribuzioni di cui all'art. 2 della presente legge, sono tenuti a fornire alla Corte dei conti, su richiesta della medesima, ogni informazione e notizia che essi abbiano facoltà di ottenere, a norma delle leggi o degli statuti, per effetto della loro appartenenza a detti organi sindacali di revisione.

 

Art. 6. 

Qualora la Corte dei conti ritenga insufficienti, ai fini del controllo, gli elementi ad essa pervenuti in base alle disposizioni degli artt. 4 e 5, può chiedere agli enti controllati ed ai Ministeri competenti informazioni, notizie, atti e documenti concernenti le gestioni finanziarie.

 

Art. 7. 

Non oltre i sei mesi successivi alla presentazione dei documenti di cui al primo comma dell'art. 4, la Corte dei conti comunica alla Presidenza del Senato della Repubblica e alla Presidenza della Camera dei deputati i documenti stessi e riferisce il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria.

 

Art. 8.

La Corte dei conti, oltre a riferire annualmente al Parlamento, formula, in qualsiasi altro momento, se accerti irregolarità nella gestione di un ente e, comunque, quando lo ritenga opportuno, i suoi rilievi al Ministro per il tesoro ed al Ministro competente (5).

 

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(5)  Il presente articolo, già abrogato dall'art. 3, comma 1, D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, è da ritenersi tuttora vigente in seguito all'annullamento del suddetto art. 3, comma 1, disposto dalla Corte costituzionale con sentenza 9-17 maggio 2001, n. 139 (Gazz. Uff. 23 maggio 2001, n. 20 - Serie speciale).

 

Art.  9. 

Ai fini dell'adempimento, da parte della Corte dei conti, dei compiti di cui alla presente legge, è istituita una speciale Sezione in seno alla Corte stessa.

 

Art. 10. 

Al rendiconto generale dello Stato deve essere allegato un elenco completo degli enti sottoposti alla disciplina della presente legge.

 

Art. 11. 

I regi decreti 8 aprile 1939, n. 720 e 30 marzo 1942, n. 442 (6), non si applicano agli enti soggetti alla disciplina della presente legge.

 

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(6)  Recante modifiche al R.D. 8 aprile 1939, n. 720.

 

Art.  12. 

Il controllo previsto dall'art. 100 della Costituzione sulla gestione finanziaria degli enti pubblici ai quali l'Amministrazione dello Stato o un'azienda autonoma statale contribuisca con apporto al patrimonio in capitale o servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria, è esercitato, anziché nei modi previsti dagli artt. 5 e 6, da un magistrato della Corte dei conti, nominato dal Presidente della Corte stessa, che assiste alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione (7).

 

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(7)  Vedi elenco allegato.

 

Art. 13. 

Le disposizioni della presente legge non si applicano alle Regioni, alle Province, ai Comuni, alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza regolate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e successive modificazioni, ed agli Istituti di credito sottoposti a vigilanza dell'Ispettorato del credito.

 

Art. 14. 

Nulla è innovato a quanto dispone l'art. 21 della legge 10 agosto 1950, n. 646, sull'istituzione della Cassa per le opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (8).

 

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(8)  Cassa per il Mezzogiorno.

 

 Art. 15. 

Per gli enti sottoposti alla disciplina della presente legge, gli organi competenti provvederanno, entro sei mesi dalla comunicazione del decreto previsto dal primo comma del precedente art. 3, a modificare le norme concernenti la composizione dei collegi sindacali o degli organi di revisione escludendone i rappresentanti della Corte dei conti la cui partecipazione sia prevista in esecuzione delle norme di cui ai regi decreti 8 aprile 1939, n. 720 e 30 marzo 1942, n. 442.

 

Elenco degli enti assoggettati al controllo della Corte dei conti ai sensi dell'art. 2 della L. 21 marzo 1958, n. 259 (9)

 

Alla data del 31 marzo 1964 sono stati dichiarati sottoposti al controllo di cui al precedente art. 2, con vari decreti del Capo dello Stato, i seguenti enti:

 

1) Accademia nazionale dei Lincei.

2) Aero Club d'Italia.

3) Associazione italiana della Croce Rossa.

4) Associazione nazionale combattenti e reduci.

5) Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra.

6) Associazione nazionale fra mutilati ed invalidi del lavoro.

7) Associazione nazionale mutilati ed invalidi di guerra.

8) Associazione nazionale per il controllo della combustione.

9) Associazione nazionale vittime civili di guerra.

10) Automobil Club d'Italia.

11) Azienda portuale dei magazzini generali di Trieste.

12) Cassa di colleganza fra gli ingegneri dell'Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione.

13) Cassa integrativa di previdenza per il personale telefonico statale.

14) Cassa marittima adriatica per gli infortuni sul lavoro e le malattie.

15) Cassa marittima meridionale per gli infortuni sul lavoro e le malattie.

16) Cassa marittima tirrena per gli infortuni sul lavoro e le malattie.

17) Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei geometri.

18) Cassa nazionale di previdenza e di assistenza a favore degli avvocati e dei procuratori.

19) Cassa nazionale di previdenza a favore degli ingegneri e architetti.

20) Cassa sottufficiali dell'Aeronautica.

21) Cassa sottufficiali della Marina militare.

22) Cassa ufficiali dell'Aeronautica.

23) Cassa ufficiali della Marina militare.

24) Cassa ufficiali dell'Esercito.

25) Centro italiano per i viaggi di istruzione degli studenti delle scuole secondarie ed universitarie.

26) Centro nazionale per il catalogo unico delle Biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche.

27) Centro sperimentale di cinematografia.

28) Comitato nazionale italiano per il collegamento fra il Governo italiano e l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (F.A.O.).

29) Comitato nazionale per la celebrazione del primo centenario dell'unità d'Italia.

30) Comitato olimpico nazionale italiano (C.O.N.I.).

31) Commissariato anticoccidico di Catania.

32) Consiglio nazionale delle ricerche.

33) Consorzio autonomo del Porto di Genova.

34) Consorzio nazionale produttori canapa.

35) Ente autonomo degli spettacoli lirici all'Arena di Verona.

36) Ente autonomo del Flumendosa.

37) Ente autonomo del Porto di Napoli.

38) Ente autonomo del Teatro alla Scala di Milano.

39) Ente autonomo del Teatro comunale dell'Opera di Genova.

40) Ente autonomo del Teatro comunale di Bologna.

41) Ente autonomo del Teatro comunale di Firenze.

42) Ente autonomo del Teatro comunale «G. Verdi» di Trieste.

43) Ente autonomo dell'Opera di Roma.

44) Ente autonomo del Teatro «La Fenice» di Venezia.

45) Ente autonomo del Teatro Massimo di Palermo.

46) Ente autonomo del Teatro Regio di Torino.

47) Ente autonomo del Teatro S. Carlo di Napoli.

48) Ente autonomo «La Biennale di Venezia Esposizione Internazionale d'Arte».

49) Ente autotrasporti merci (E.A.M.).

50) Ente «Fondo per gli Assegni Vitalizi e straordinari al personale del Lotto».

51) Ente nazionale assistenza e previdenza per i pittori e gli scultori.

52) Ente nazionale Assistenza Magistrale (E.N.A.M.)

53) Ente nazionale di assistenza per gli Agenti e Rappresentanti di commercio (E.N.A.S.A.R.C.O.).

54) Ente nazionale di previdenza e assistenza dei veterinari.

55) Ente nazionale di previdenza e assistenza delle ostetriche.

56) Ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti statali (E.N.P.A.S.).

57) Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo (E.N.P.A.L.S.).

58) Ente nazionale di previdenza per i dipendenti da enti di diritto pubblico (E.N.P.D. E.D.P.).

59) Ente nazionale italiano per il turismo (E.N.I.T.).

60) Ente nazionale per la cellulosa e la carta.

61) Ente nazionale per la prevenzione degli infortuni (E.N.P.I.).

62) Ente nazionale per la protezione degli animali.

63) Ente nazionale per l'artigianato e le piccole industrie.

64) Ente nazionale per l'assistenza agli orfani dei lavoratori italiani (E.N.A.O.L.I.).

65) Ente nazionale per l'educazione marinara.

66) Ente nazionale risi.

67) Ente nazionale serico.

68) Ente nazionale sordomuti.

69) Ente per le ville Venete.

70) Ente porto industriale di Trieste.

71) Ente portuale Savona-Piemonte.

72) Ente zolfi italiani (E.Z.I.).

73) Federazione italiana della caccia.

74) Federazione nazionale delle casse mutue di malattia per gli artigiani.

75) Federazione nazionale delle casse mutue di malattia per i coltivatori diretti.

76) Fondazione assistenza e rifornimento per la pesca.

77) Fondo assistenza, previdenza e premi per il personale di P.S.

78) Fondo previdenza sottufficiali dell'esercito.

79) Gestione I.N.A.-Casa.

80) Istituti fisioterapici ospedalieri.

81) Istituto centrale di statistica.

82) Istituto cotoniero italiano.

83) Istituto elettrotecnico nazionale «Galileo Ferrarris».

84) Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (I.S.M.E.O.) (10).

85) Istituto italiano per l'Africa (11).

86) Istituto nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.).

87) Istituto nazionale di assistenza ai dipendenti degli enti locali (I.N.A.D.E.L.).

88) Istituto nazionale di economia agraria.

89) Istituto nazionale di geofisica.

90) Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «G. Amendola».

91) Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali.

92) Istituto nazionale «G. Kirner».

93) Istituto nazionale per il commercio estero.

94) Istituto nazionale per l'addestramento e il perfezionamento dei lavoratori dell'industria (I.N.A.P.L.I.)

95) Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.).

96) Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie (I.N.A.M.).

97) Istituto nazionale per le conserve alimentari.

98) Istituto nazionale per lo studio della congiuntura.

99) Istituto per gli studi di politica internazionale.

100) Istituto per l'Oriente.

101) Istituto postelegrafonici.

102) Istituto scientifico sperimentale per i tabacchi.

103) Istituzione dei concerti del Conservatorio di musica «Pierluigi da Palestrina» Cagliari.

104) Istituzione dei concerti dell'Accademia di S. Cecilia.

105) Lega italiana per la lotta contro i tumori.

106) Opera nazionale assistenza all'infanzia delle regioni di confine (O.N.A.I.R.C.).

107) Opera nazionale ciechi civili.

108) Opera nazionale orfani di guerra (O.N.O.G.).

109) Opera nazionale per gli invalidi di guerra (O.N.I.G.).

110) Opera nazionale per la protezione e l'assistenza della maternità e infanzia (O.N.M.I.).

111) Pio Istituto di S. Spirito ed Ospedali riuniti.

112) Provveditorato al Porto di Venezia.

113) Registro aeronautico italiano.

114) Registro navale italiano.

115) Servizio per i contributi agricoli unificati (12).

116) Società italiana per l'organizzazione internazionale (S.I.O.I.).

117) Società per azioni di navigazione «Adriatica».

118) Società per azioni di navigazione «Italia».

119) Società per azioni di navigazione «Lloyd Triestino».

120) Società per azioni di navigazione «Tirrenia».

121) Società per azioni «Linee marittime dell'Adriatico».

122) Società per azioni «Navigazione Alto Adriatico».

123) Società per azioni «Navigazione Toscana».

124) Società per azioni «Navisarma».

125) Società per azioni «Partenopea» di navigazione.

126) Società per azioni Rai-radiotelevisione italiana.

127) Società per azioni «SI.RE.NA.» sicula regionale di navigazione.

128) Unione italiana ciechi.

129) Unione nazionale incremento razze equine (U.N.I.R.E.).

130) Unione nazionale ufficiali in congedo d'Italia (U.N.U.C.I.).

 

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(9)  L'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro è stato sottoposto al controllo della Corte dei conti ai sensi di quanto disposto dal D.P.C.M. 8 settembre 2003 (Gazz. Uff. 22 ottobre 2003, n. 246).

(10)  L'art. 3, L. 25 novembre 1995, n. 505 ha soppresso l'Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente e l'Istituto italo-africano disponendo che le relative funzioni ed attribuzioni confluiscano nel nuovo Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente (Is.I.A.O.).

(11)  L'art. 3, L. 25 novembre 1995, n. 505 ha soppresso l'Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente e l'Istituto italo-africano disponendo che le relative funzioni ed attribuzioni confluiscano nel nuovo Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente (Is.I.A.O.).

(12)  Con decorrenza 1° luglio 1995 il servizio per i contributi agricoli unificati (SCAU) è soppresso e le funzioni ed il personale sono trasferiti all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e all'Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro (INAIL), secondo le rispettive competenze, per effetto dell'art. 19, L. 23 dicembre 1994, n. 724.

 

 Elenco degli enti assoggettati al controllo della Corte dei conti ai sensi dell'art. 12 della L. 21 marzo 1958, n. 259 (13)

Alla data del 31 marzo 1964 sono stati dichiarati sottoposti al controllo di cui al presente articolo, con vari decreti del Capo dello Stato, i seguenti enti:

 

1) Comitato nazionale per l'energia nucleare (C.N.E.N.).

2) Commissariato per la gioventù italiana.

3) Ente acquedotti siciliani (E.A.S.).

4) Ente autonomo di gestione per il cinema.

5) Ente autonomo di gestione per le aziende minerarie.

6) Ente autonomo di gestione per le aziende termali.

7) Ente autonomo di gestione per le partecipazioni del Fondo di finanziamento dell'industria meccanica.

8) Ente autonomo esposizione universale di Roma (E.U.R.).

9) Ente autonomo fiera di Bolzano.

10) Ente autonomo per la Mostra d'oltremare e del lavoro italiano nel mondo.

11) Ente autonomo per l'acquedotto Pugliese.

12) Ente italiano della moda con sede in Torino.

13) Ente nazionale assistenza lavoratori (E.N.A.L.).

14) Ente nazionale idrocarburi (E.N.I.).

15) Ente nazionale per la distribuzione dei soccorsi in Italia.

16) Ente nazionale per l'energia elettrica (E.N.E.L.).

17) Ente nazionale per le Tre Venezie.

18) Ente per la colonizzazione del Delta Padano.

19) Ente per la colonizzazione della Maremma Tosco-laziale.

20) Ente per la riforma agraria in Sicilia (E.R.A.S.).

21) Ente per la trasformazione fondiaria ed agraria in Sardegna (E.T.F.A.S.).

22) Ente per la valorizzazione del Territorio del Fucino.

23) Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e per la trasformazione fondiaria ed agraria in Puglia e Lucania.

24) Ente siciliano di elettricità (E.S.E.).

25) Ente teatrale italiano (E.T.I.).

26) Fondazione figli degli italiani all'estero.

27) Fondazione per la sperimentazione e la ricerca agraria.

28) Istituto della enciclopedia «G. Treccani».

29) Istituto nazionale delle assicurazioni (I.N.A.).

30) Istituto nazionale gestione imposte di consumo (I.N.G.I.C.).

31) Istituto Nazionale Luce.

32) Istituto nazionale per le case degli impiegati dello Stato (I.N.C.I.S.).

33) Istituto nazionale per studi ed esperienze di architettura navale.

34) Istituto per la ricostruzione industriale (I.R.I.).

35) Istituto poligrafico dello Stato.

36) Opera nazionale combattenti (O.N.C.).

37) Opera nazionale per i pensionati d'Italia (O.N.P.I.).

38) Opera per la valorizzazione della Sila.

39) Segretariato nazionale per la montagna.

40) Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente autonomo del Flumendosa.

41) Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria ed agraria in Puglia e Lucania.

42) Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Opera Nazionale Combattenti.

43) Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Opera per la valorizzazione della Sila.

44) Ufficio italiano dei cambi.

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(13)  Con D.P.C.M. 18 aprile 2005 (Gazz. Uff. 6 giugno 2005, n. 129) l'Agenzia del demanio è stata sottoposta al controllo della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 12 della presente legge.


L. 4 agosto 1965, n. 1103.
Regolamentazione giuridica dell'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica

 

 

(1) (1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 1° ottobre 1965, n. 247.

(2)  Vedi anche l'art. 1, L. 31 gennaio 1983, n. 25.

 

 

Art. 1. 

È soggetto a vigilanza del Ministero della sanità l'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica.

La vigilanza si estende:

a) alla formazione tecnico-professionale;

b) all'accertamento del titolo di abilitazione;

c) all'esercizio dell'arte predetta.

 

Art. 2. 

Chiunque intenda esercitare, sia presso ospedali o enti pubblici, sia presso ambulatori privati di radiologia, l'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica deve avere raggiunto la maggiore età ed essere munito del diploma di abilitazione, rilasciato dalle scuole appositamente istituite per l'insegnamento delle attività medesime, ai sensi della presente legge.

 

Art. 3. 

L'istituzione delle scuole di tecnico di radiologia medica è autorizzata con decreto del Ministro per la sanità, di concerto con il Ministro per la pubblica istruzione.

Nelle stesse forme viene approvato il regolamento per le scuole stesse.

 

Art. 4. 

Le scuole per l'abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica possono essere istituite presso istituti universitari ed ospedali dipendenti da enti pubblici, che siano in possesso dei requisiti e dei mezzi occorrenti per il funzionamento della scuola.

A partire dai corsi che avranno inizio nel 1983 gli aspiranti all'ammissione alle scuole di tecnico di radiologia medica dovranno essere in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado (3).

Ai corsi che inizieranno nel biennio 1983-84 saranno inoltre ammessi gli aspiranti che, avendo ottenuto la promozione al terzo anno di scuola secondaria di secondo grado, abbiano svolto almeno due anni di attività lavorativa in gabinetti radiologici (4).

Agli allievi che frequentano l'ultimo anno delle anzidette scuole sono estese le norme dell'articolo 13 della L. 21 dicembre 1978, n. 845, in materia di servizio militare di leva (5).

 

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(3)  Gli attuali commi secondo, terzo e quarto così sostituiscono gli originari commi secondo e terzo per effetto dell'art. 2, L. 31 gennaio 1983, n. 25.

(4)  Gli attuali commi secondo, terzo e quarto così sostituiscono gli originari commi secondo e terzo per effetto dell'art. 2, L. 31 gennaio 1983, n. 25.

(5)  Gli attuali commi secondo, terzo e quarto così sostituiscono gli originari commi secondo e terzo per effetto dell'art. 2, L. 31 gennaio 1983, n. 25.

 

Art. 5. 

Gli istituti ed ospedali che, ai sensi dell'articolo precedente, intendono istituire scuole per l'abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica devono rivolgere al Ministero della sanità, tramite il medico provinciale, domanda corredata dalla deliberazione sulla istituzione ed il funzionamento della scuola, secondo le modalità che verranno determinate nel regolamento di esecuzione della presente legge.

 

Art. 6. 

Il corso di studi per conseguire l'abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica è di tre anni.

Ogni anno scolastico ha la durata di nove mesi. Con decreto del Ministro per la sanità, di concerto con il Ministro per la pubblica istruzione, sono stabilite le materie obbligatorie di insegnamento ed i programmi particolareggiati di ciascuna materia (6).

 

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(6)  Vedi il D.M. 19 aprile 1968.

 

Art. 7. 

Il tirocinio degli allievi presso gli istituti ed ospedali di cui all'art. 4, che abbiano istituito i corsi, non dà luogo ad alcun rapporto di lavoro con gli stessi; detti enti sono esonerati dall'obbligo di corrispondere qualsiasi emolumento a titolo di stipendio o salario e qualsiasi contributo assicurativo e previdenziale.

Gli enti stessi provvedono all'assicurazione degli allievi contro gli infortuni, le malattie e lesioni causate da raggi X e sostanze radioattive a norma del successivo art. 15, li ricoverano gratuitamente in caso di malattia acuta contratta durante il corso.

Gli allievi che siano già in rapporto di servizio con l'ente presso il quale si svolge il corso continuano a percepire gli assegni in godimento all'atto dell'ammissione alla scuola, purché completino il normale orario di servizio quando non sono impegnati nei doveri scolastici.

 

Art. 8. 

Al termine del corso di studi gli allievi sosterranno una prova di esame orale e pratica. Tale prova si svolgerà in due sessioni secondo le modalità stabilite nel regolamento di esecuzione della presente legge.

La Commissione esaminatrice è nominata dal medico provinciale, che la presiede, ed è composta:

a) dal direttore della scuola;

b) da un primario ospedaliero di ruolo della specialità, designato dall'Ordine dei medici della Provincia;

c) da un docente di materie obbligatorie del corso di studi;

d) da un rappresentante del Ministero della pubblica istruzione;

e) un tecnico sanitario di radiologia medica designato dal collegio professionale provinciale o interprovinciale (7).

Un funzionario della carriera direttiva amministrativa del Ministero della sanità esercita le funzioni di segretario.

Le spese per il funzionamento della Commissione di esame sono liquidate dall'Ente che istituisce la scuola.

 

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(7)  Lettera aggiunta dall'art. 3, L. 31 gennaio 1983, n. 25.

 

Art. 9. 

La direzione della scuola è affidata al direttore dell'istituto radiologico universitario o al primario radiologico dell'ospedale presso cui ha sede la scuola.

La nomina del direttore della scuola e dei docenti delle materie obbligatorie di insegnamento del corso di studi previsto dal decreto ministeriale gli cui all'art. 6, viene effettuata dal medico provinciale, su proposta del Consiglio di amministrazione dell'Ente da cui la scuola dipende.

 

Art. 10. 

Ai candidati di cui all'art. 8, che superino gli esami, viene rilasciato il diploma di abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica.

 

Art. 11. 

I tecnici sanitari di radiologia medica, ovunque operanti, collaborano direttamente con il medico radiodiagnosta, radioterapista e nucleare per lo svolgimento di tutte le attività collegate con la utilizzazione delle radiazioni ionizzanti, sia artificiali che naturali, delle energie termiche e ultrasoniche, nonché della risonanza nucleare magnetica, aventi finalità diagnostiche, terapeutiche, scientifiche e didattiche.

In particolare:

a) i tecnici sanitari di radiologia medica nella struttura pubblici e privata attuano le modalità tecnico-operative ritenute idonee alla rilevazione dell'informazione diagnostica ed all'espletamento degli atti terapcutici, secondo le finalità diagnostiche o terapeutiche e le indicazioni fornite dal medico radio-diagnosta, radioterapista o nucleare che ha la facoltà dell'intervento diretto ed in armonia con le disposizioni del dirigente la struttura;

b) il tecnico sanitario di radiologia medica è tenuto a svolgere la propria opera nella struttura pubblica e privata, nei settori o servizi ove l'attività radiologica è complementare all'esercizio clinico dei medici non radiologi, secondo le indicazioni del medico radiologo;

c) i tecnici sanitari di radiologia medica assumono la responsabilità specifica tecnico-professionale degli atti a loro attribuiti (8).

 

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(8)  Così sostituito dall'art. 4, L. 31 gennaio 1983, n. 25.

 

Art. 12. 

L'effettivo esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica è subordinato all'iscrizione all'albo provinciale di cui al successivo art. 14.

 

Art. 13. 

Gli istituti di cura pubblici e privati, i gabinetti radiologici pubblici e privati e gli altri istituti riconosciuti a norma di legge che hanno alle dipendenze personale per l'impiego delle apperecchiature, sono obbligati ad assumere personale provvisto del diploma di abilitazione di tecnico di radiologia medica.

 

Art. 14. 

In ogni Provincia è costituito il Collegio degli esercenti l'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica, che conseguono il di ploma di abilitazione a norma della presente legge.

I Collegi provinciali degli esercenti l'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica sono riuniti in una Federazione nazionale con sede in Roma.

Sono estese ai Collegi provinciali dei tecnici di radiologia medica ed alla Federazione nazionale, in quanto compatibili, le norme contenute nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, e successive modificazioni ed integrazioni .

Qualora il numero degli aventi diritto ad iscriversi nel collegio, esistenti nella provincia, sia esiguo, ovvero sussistano altre valide ragioni, il Ministro della sanità, su proposta della Federazione nazionale, può disporre che un collegio abbia per circoscrizione due o più province finitime designandone la sede (9).

 

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(9)  Comma così sostituito dall'art. 5, L. 31 gennaio 1983, n. 25.

 

Art. 15. 

Le disposizioni di cui alla legge 20 febbraio 1958, n. 93, e successive integrazioni, sono estese a tutti i tecnici sanitari di radiologia medica svolgenti attività lavorativa, nonché agli allievi dei corsi.

La retribuzione convenzionale annua da assumere come base per la liquidazione delle rendite è fissata, annualmente, non oltre i tre mesi della scadenza dell'anno stesso, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, su proposta del consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in relazione alla media delle retribuzioni iniziali, comprensive dell'indennità integrativa speciale dei tecnici sanitari di radiologia medica dipendenti dalle strutture pubbliche, sentita la Federazione nazionale dei collegi tecnici di radiologia medica (10).

 

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(10)  Articolo così sostituito dall'art. 6, L. 31 gennaio 1983, n. 25. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 17 aprile 2000, il D.M. 11 settembre 2000, il D.M. 20 novembre 2001, il D.M. 18 dicembre 2002, il D.M. 6 ottobre 2003, il D.M. 20 settembre 2005, il D.M. 23 luglio 2008 e il D.M. 14 novembre 2008.

 

Art. 16. 

Chiunque eserciti la professione di tecnico sanitario di radiologia medica in violazione delle norme contenute nella presente legge è soggetto alle pene di cui all'articolo 348 del codice penale.

Il magistrato può ordinare la chiusura temporanea del servizio radiologico nel quale l'attività sia stata abusivamente esercitata e il sequestro conservativo del materiale (11).

 

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(11)  Così sostituito dall'art. 7, L. 31 gennaio 1983, n. 25.

 

Art. 17. 

Alle pene di cui al precedente articolo soggiace anche chi, essendo regolarmente autorizzato all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria contemplata dalla presente legge, presti comunque il suo nome, ovvero la sua attività allo scopo di permettere o di agevolare il reato di cui all'articolo stesso.

 

Art. 18. 

Il diploma di abilitazione all'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica è soggetto alla tassa di concessione governativa, stabilita dalla tabella A, n. 224, annessa al testo unico delle disposizioni in materia di tasse sulle concessioni governative, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1° marzo 1961, n. 121 .

 

Disposizioni transitorie e finali

 

Art. 19. 

Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo emanerà il regolamento per la sua esecuzione (12).

 

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(12)  Vedi il D.P.R. 6 marzo 1968, n. 680.

 

Art. 20. 

Coloro che, alla data di pubblicazione della presente legge, abbiano esercitato abitualmente e direttamente, da almeno cinque anni, l'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica in sedi diverse dalle Amministrazioni ospedaliere o da enti pubblici, saranno ammessi, entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, a sostenere la stessa prova di esame, orale e pratica, prevista dal precedente art. 8 per il conseguimento del diploma di abilitazione.

 

Art. 21. 

Il diploma di abilitazione di cui al precedente articolo sarà per contro rilasciato dalla medesima Commissione a tutti coloro che, alla data di pubblicazione della presente legge, abbiano esercitato abitualmente e direttamente, da almeno tre anni, l'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica presso Amministrazioni ospedaliere o enti pubblici oppure che risultino in possesso di un titolo di specializzazione rilasciato da specifiche scuole riconosciute dallo Stato.

 

Art. 22.

Il diploma di abilitazione conseguito ai sensi dei precedenti artt. 20 e 21, abilita alla continuazione dell'esercizio dell'arte ausiliaria sanitaria di tecnico di radiologia medica e deve essere considerato, a tutti gli effetti, equipollente al diploma di abilitazione di cui al precedente articolo 10.

 

Art. 23. 

Le scuole pubbliche o private di tecnico di radiologia riconosciute dello Stato, continueranno a svolgere i loro corsi secondo i singoli regolamenti.

I diplomati di detti istituti che abbiano fatto un regolare corso di studi triennali possono conseguire l'abilitazione all'esercizio specifico dell'arte sanitaria ausiliaria di tecnico di radiologia medica con un esame di idoneita presso una Commissione costituita secondo le norme di cui all'art. 8.

 

Art. 24. 

Sono abrogate tutte le disposizioni in contrasto con la presente legge.


D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
Approvazione del testo unico delle imposte sui redditI
(artt. 53 e 54)

 

 

(1) (2) (3)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 31 dicembre 1986, n. 302, S.O.

(2)  Il presente testo unico è stato da ultimo così modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 di riforma dell'imposizione sul reddito delle società (Ires). Il citato decreto legislativo, nel riordinare la materia, ha rinumerato gran parte degli articoli del presente testo unico. Gli articoli stessi sono quindi riportati con la nuova numerazione e con l'indicazione della precedente, ove possibile, tra parentesi quadre, mentre gli articoli o i commi non riproposti sono stati eliminati. Successivamente l'art. 1, comma 349, L. 30 dicembre 2004, n. 311 ha rinumerato, come articoli 13 e 12, gli articoli 12 e 13 del presente decreto. I riferimenti agli articoli 12 e 13 nella preesistente numerazione sono stati, conseguentemente, modificati ai sensi di quanto disposto dal comma 351 del citato articolo 1.

(3)  Vedi, anche, il comma 352 dell'art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311 e il comma 124 dell'art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Visto l'articolo 17, terzo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825;

Vista la legge 24 dicembre 1985, n. 777;

Udito il parere della commissione parlamentare istituita a norma dell'art. 17, L. n. 825 del 1971;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 20 dicembre 1986;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i Ministri delle finanze, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e dell'interno;

 

Emana il seguente decreto:

(omissis)

 

Capo V - Redditi di lavoro autonomo

 

Art. 53. [49] 

Redditi di lavoro autonomo.

1. Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l'esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell'articolo 5.

2. Sono inoltre redditi di lavoro autonomo:

a) [i redditi derivanti dagli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, dalla partecipazione a collegi e commissioni e da altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Si considerano tali i rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività, non rientranti nell'oggetto dell'arte o professione esercitata dal contribuente ai sensi del comma 1, che pur avendo contenuto intrinsecamente artistico o professionale sono svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita] (320);

b) i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali;

c) le partecipazioni agli utili di cui alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 44 (321) quando l'apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro;

d) le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata;

e) le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia;

f) i redditi derivanti dall'attività di levata dei protesti esercitata dai segretari comunali ai sensi della legge 12 giugno 1973, n. 349 (322).

3. Per i redditi derivanti dalle prestazioni sportive oggetto di contratto di lavoro autonomo, di cui alla legge 23 marzo 1981, n. 91, si applicano le disposizioni relative ai redditi indicati alla lettera a) del comma 2 (323).

 

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(320)  Lettera abrogata dall'art. 34, L. 21 novembre 2000, n. 342, con la decorrenza indicata nel comma 4 dello stesso articolo. Vedi anche l'art. 5, D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38.

(321)  Rinvio così modificato ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, comma 3, D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344.

(322)  Lettera aggiunta dall'art. 4, D.L. 14 marzo 1988, n. 70.

(323)  Il presente testo unico è stato da ultimo modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 di riforma dell'imposizione sul reddito delle società (Ires) che, nel riordinare la materia, ha rinumerato gran parte degli articoli del presente testo unico. Gli articoli stessi sono quindi riportati con la nuova numerazione e con l'indicazione della precedente, ove possibile, tra parentesi quadre, mentre gli articoli o i commi non riproposti sono stati eliminati.

 

Art. 54. [50] 

Determinazione del reddito di lavoro autonomo.

1. Il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde.

1-bis. Concorrono a formare il reddito le plusvalenze dei beni strumentali, esclusi gli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione di cui al comma 5, se:

a) sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso;

b) sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni;

c) i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell'esercente l'arte o la professione o a finalità estranee all'arte o professione (324).

1-bis.1. Le minusvalenze dei beni strumentali di cui al comma 1-bis sono deducibili se sono realizzate ai sensi delle lettere a) e b) del medesimo comma 1-bis (325);

1-ter. Si considerano plusvalenza o minusvalenza la differenza, positiva o negativa, tra il corrispettivo o l'indennità percepiti e il costo non ammortizzato ovvero, in assenza di corrispettivo, la differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato (326).

1-quater. Concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all'attività artistica o professionale (327).

2. Per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, esclusi gli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione di cui al comma 5, sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. È tuttavia consentita la deduzione integrale, nel periodo d'imposta in cui sono state sostenute, delle spese di acquisizione di beni strumentali il cui costo unitario non sia superiore a euro 516,4. La deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito nel predetto decreto e comunque con un minimo di otto anni e un massimo di quindici se lo stesso ha per oggetto beni immobili. Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili dei beni immobili strumentali, si applica l'articolo 36, commi 7 e 7-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Per i beni di cui all'articolo 164, comma 1, lettera b), la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del primo periodo. I canoni di locazione finanziaria dei beni strumentali sono deducibili nel periodo d'imposta in cui maturano. Le spese relative all'ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione di immobili utilizzati nell'esercizio di arti e professioni, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili, nel periodo d'imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta all'inizio del periodo d'imposta dal registro di cui all'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni; l'eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodi d'imposta successivi (328).

3. Le spese relative all'acquisto di beni mobili diversi da quelli indicati nel comma 4, adibiti promiscuamente all'esercizio dell'arte o professione e all'uso personale o familiare del contribuente sono ammortizzabili, o deducibili se il costo unitario non è superiore a 1 milione di lire, nella misura del 50 per cento; nella stessa misura sono deducibili i canoni di locazione anche finanziaria e di noleggio e le spese relativi all'impiego di tali beni. Per gli immobili utilizzati promiscuamente, a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all'esercizio dell'arte o professione, è deducibile una somma pari al 50 per cento della rendita ovvero, in caso di immobili acquisiti mediante locazione, anche finanziaria, un importo pari al 50 per cento del relativo canone. Nella stessa misura sono deducibili le spese per i servizi relativi a tali immobili nonché quelle relative all'ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione degli immobili utilizzati, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono (329).

3-bis. Le quote d'ammortamento, i canoni di locazione anche finanziaria o di noleggio e le spese di impiego e manutenzione relativi ad apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico di cui alla lettera gg) del comma 1 dell'articolo 1 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sono deducibili nella misura dell'80 per cento (330).

4. [Non sono deducibili le quote di ammortamento, i canoni di locazione anche finanziaria o di noleggio e le spese di impiego, custodia e manutenzione relativi agli aeromobili da turismo, alle navi o imbarcazioni da diporto, ai motocicli con motore di cilindrata superiore a 350 centimetri cubici e alle autovetture ed autoveicoli indicati nell'articolo 54, comma 1, lettere a), c) e m), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con motore di cilindrata superiore a 2.000 centimetri cubici o con motore diesel di cilindrata superiore a 2.500 centimetri cubici. Per i ciclomotori, nonché per i motocicli, le autovetture o autoveicoli di cilindrata non superiore a quella indicata nel periodo precedente, la deduzione è ammessa nella misura del 50 per cento e limitatamente a un solo automezzo o, nel caso di esercizio dell'arte o professione in forma associata o da parte di società semplici, a un solo automezzo per ciascun associato o socio] (331).

5. Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Le predette spese sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura. Le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell'1 per cento dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Sono comprese nelle spese di rappresentanza anche quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di oggetti di arte, di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali per l'esercizio dell'arte o professione, nonché quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito; le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno sono deducibili nella misura del 50 per cento del loro ammontare (332).

6. Tra le spese per prestazioni di lavoro deducibili si comprendono, salvo il disposto di cui al comma 6-bis), anche le quote delle indennità di cui alle lettere a) e c) del comma 1 dell'articolo 17 (333) maturate nel periodo di imposta. Le spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale dai lavoratori dipendenti degli esercenti arti e professioni sono deducibili nelle misure previste dal comma 1-ter dell'articolo 95 (334) (335).

6-bis. Non sono ammesse deduzioni per i compensi al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età o permanentemente inabili al lavoro, nonché agli ascendenti dell'artista o professionista ovvero dei soci o associati per il lavoro prestato o l'opera svolta nei confronti dell'artista o professionista ovvero della società o associazione. I compensi non ammessi in deduzione non concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti (336).

7. ... (337).

8. [Il reddito derivante dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui alla lettera a) del comma 2 dell'articolo 53 (338) è costituito dall'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, con esclusione delle somme documentate e rimborsate per spese di viaggio, alloggio e vitto relative alle prestazioni effettuate fuori del territorio comunale, ridotto del 5 per cento a titolo di deduzione forfettaria delle altre spese; la riduzione è pari al 7 per cento (339), se alla formazione del reddito complessivo concorrono soltanto redditi di collaborazione coordinata e continuativa di importo complessivo non superiore a lire quaranta milioni e il reddito, non superiore alla deduzione prevista dall'articolo 10, comma 3-bis, dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze; la riduzione non si applica alla parte dei compensi che supera l'ammontare di cento milioni di lire e alle indennità percepite per la cessazione del rapporto] (340). I redditi indicati alla lettera b) del comma 2 dell'articolo 53 (341) sono costituiti dall'ammontare dei proventi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, ridotto del 25 per cento a titolo di deduzione forfettaria delle spese, ovvero del 40 per cento se i relativi compensi sono percepiti da soggetti di età inferiore a 35 anni; le partecipazioni agli utili e le indennità di cui alle lettere c), d), ed e) costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta. I redditi indicati alla lettera f) dello stesso comma sono costituiti dall'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, ridotto del 15 per cento a titolo di deduzione forfettaria delle spese (342).

8-bis. In deroga al principio della determinazione analitica del reddito, la base imponibile per i rapporti di cooperazione dei volontari e dei cooperanti è determinata sulla base dei compensi convenzionali fissati annualmente con decreto del Ministero degli affari esteri di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, indipendentemente dalla durata temporale e dalla natura del contratto purché stipulato da organizzazione non governativa riconosciuta idonea ai sensi dell'articolo 28 della legge 26 febbraio 1987, n. 49 (343) (344).

 

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(324) Comma aggiunto da comma 29 dell'art. 36, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 e poi così modificato dal comma 334 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(325) Comma aggiunto dal comma 334 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(326) Comma aggiunto da comma 29 dell'art. 36, D.L. 4 luglio 2006, n. 223.

(327) Comma aggiunto da comma 29 dell'art. 36, D.L. 4 luglio 2006, n. 223.

(328)  Comma prima modificato dall'art. 26, D.L. 2 marzo 1989, n. 69, dall'art. 1, D.L. 27 aprile 1990, n. 90, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione, dall'art. 14, L. 24 dicembre 1993, n. 537, dall'art. 31, D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 e poi così sostituito dal comma 334 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296. Vedi, anche, il comma 335 dell'art. 1 della citata legge n. 296 del 2006.

(329)  Comma così modificato dall'art. 26, D.L. 2 marzo 1989, n. 69, dall'art. 1, D.L. 27 aprile 1990, n. 90, dall'art. 31, D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 e dal comma 334 dell'art. 1, L 27 dicembre 2006, n. 296. Vedi, anche, il comma 335 dell'art. 1 della citata legge n. 296 del 2006.

(330)  Comma aggiunto dall'art. 10, D.L. 13 maggio 1991, n. 151 e poi così sostituito dal comma 402 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, con la decorrenza indicata nel comma 403 dello stesso articolo 1.

(331)  Comma prima sostituito dall'art. 26, D.L. 2 marzo 1989, n. 69, poi modificato dall'art. 8, D.L. 20 giugno 1996, n. 323 e dall'art. 3, comma 21, L. 23 dicembre 1996, n. 662 ed infine abrogato dall'art. 17, L. 27 dicembre 1997, n. 449.

(332)  Comma così modificato prima dall'art. 26, D.L. 2 marzo 1989, n. 69, che ha anche aggiunto gli ultimi due periodi, poi dall'art. 31, D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione, e dal comma 29 dell'art. 36, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 ed infine dal comma 28-quater dell'art. 83, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, aggiunto dalla relativa legge di conversione, con la decorrenza indicata nel comma 28-quinquies dello stesso articolo 83.

(333)  Rinvio così modificato ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, comma 3, D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344.

(334)  Rinvio così modificato ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, comma 3, D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344.

(335)  Periodo aggiunto dall'art. 33, D.L. 23 febbraio 1995, n. 41. Il presente comma 6 è stato, poi, così modificato dall'art. 3, comma 21, L. 23 dicembre 1996, n. 662.

(336)  Comma aggiunto dall'art. 3, comma 21, L. 23 dicembre 1996, n. 662. Vedi, anche, l'art. 3, comma 22, della stessa legge.

(337)  Comma così sostituito dall'art. 6, D.L. 2 marzo 1989, n. 69, e poi abrogato dall'art. 4, L. 30 dicembre 1991, n. 413.

(338)  Rinvio così modificato ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, comma 3, D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344.

(339)  L'originaria misura del 6 per cento, introdotta dal comma 3 dell'art. 51, L. 23 dicembre 1999, n. 488, con effetto dal 1° gennaio 1999 è aumentata al 7 per cento dal comma 4 dello stesso art. 51, a decorrere dal 1° gennaio 2001.

(340)  Periodo soppresso dall'art. 34, L. 21 novembre 2000, n. 342, con la decorrenza indicata nel comma 4 dello stesso articolo.

(341)  Rinvio così modificato ai sensi di quanto disposto dall'art. 2, comma 3, D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344.

(342)  Periodo aggiunto dall'art. 4, D.L. 14 marzo 1988, n. 70. L'intero comma 8, inoltre, è stato così modificato prima, dall'art. 14, L. 24 dicembre 1993, n. 537, poi dall'art. 8, D.L. 20 giugno 1996, n. 323, dall'art. 1, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, come corretto con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 11 gennaio 1997, n. 8, dall'art. 51, commi 3 e 4, L. 23 dicembre 1999, n. 488 e dall'art. 34, L. 21 novembre 2000, n. 342, con la decorrenza indicata nel comma 4 dello stesso articolo, ed infine dal comma 318 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(343)  Comma aggiunto dal comma 5 dell'art. 9, L. 28 dicembre 2001, n. 448.

(344)  Il presente testo unico è stato da ultimo modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 di riforma dell'imposizione sul reddito delle società (Ires) che, nel riordinare la materia, ha rinumerato gran parte degli articoli del presente testo unico. Gli articoli stessi sono quindi riportati con la nuova numerazione e con l'indicazione della precedente, ove possibile, tra parentesi quadre, mentre gli articoli o i commi non riproposti sono stati eliminati.

 

(omissis)

 


L. 30 dicembre 1986, n. 936.
Norme sul Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro
(art. 17)

 

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 5 gennaio 1987, n. 3.

 

(omissis)

Art. 17.

Archivio dei contratti e banca di dati.

1. È istituito presso il CNEL l'archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro presso il quale vengono depositati in copia autentica gli accordi di rinnovo e i nuovi contratti entro 30 giorni dalla loro stipula e dalla loro stesura.

2. Il deposito avviene a cura dei soggetti stipulanti.

3. L'organizzazione dell'archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro deve consentire la loro conservazione nel tempo e la pubblica consultazione. I contenuti dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro vengono memorizzati secondo criteri e procedure stabiliti d'intesa con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e con il centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione, previa consultazione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.

4. È istituita presso il CNEL una banca di dati sul mercato del lavoro, sui costi e sulle condizioni di lavoro, alla cui formazione e aggiornamento concorrono gli enti pubblici che compiono rilevazioni sulle suddette materie.

5. Il CNEL elabora, sulla base dei dati e della documentazione raccolta ai sensi dei precedenti commi, i rapporti di cui all'articolo 10, lettera c).

6. I rapporti sono messi a disposizione delle Camere, del Governo, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro e degli enti ed istituzioni interessati, quale base comune di riferimento ai fini di studio, decisionali ed operativi.

(omissis)

 

 


L. 23 agosto 1988, n. 400.
Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri
(art. 17)

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 12 settembre 1988, n. 214, S.O.

(2)  Vedi, anche, il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303.

 

(omissis)

 

Art. 17.

Regolamenti.

1. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare:

a) l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari (34);

b) l'attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale;

c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;

d) l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge;

e) [l'organizzazione del lavoro ed i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali] (35).

2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari (36).

3. Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

4. I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di «regolamento», sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

4-bis. L'organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai sensi del comma 2, su proposta del Ministro competente d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro del tesoro, nel rispetto dei princìpi posti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, con i contenuti e con l'osservanza dei criteri che seguono:

a) riordino degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri ed i Sottosegretari di Stato, stabilendo che tali uffici hanno esclusive competenze di supporto dell'organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l'amministrazione;

b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante diversificazione tra strutture con funzioni finali e con funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni omogenee e secondo criteri di flessibilità eliminando le duplicazioni funzionali;

c) previsione di strumenti di verifica periodica dell'organizzazione e dei risultati;

d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche;

e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell'ambito degli uffici dirigenziali generali (37).

 

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(34)  Lettera così modificata dall'art. 11, L. 5 febbraio 1999, n. 25.

(35)  Lettera abrogata dall'art. 74, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e dall'art. 72, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

(36) La Corte costituzionale, con sentenza 7-22 luglio 2005, n. 303 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 23, 70, 76 e 77 della Costituzione.

(37)  Comma aggiunto dall'art. 13, L. 15 marzo 1997, n. 59.

 

(omissis)

 


L. 7 agosto 1990, n. 241.
Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi

 

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 agosto 1990, n. 192.

 

 

Capo I - Princìpi

 

Art. 1.

Principi generali dell'attività amministrativa (3).

1. L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell'ordinamento comunitario (4).

1-bis. La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente (5).

1-ter. I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1 (6).

2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria.

 

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(3)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(4)  Comma così modificato dall'art. 1, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(5)  Comma aggiunto dall'art. 1, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(6)  Comma aggiunto dall'art. 1, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 2.

Conclusione del procedimento.

1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso.

2. Con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabiliti i termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi, ove non siano direttamente previsti per legge. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. I termini sono modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrono dall'inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte (7) (8).

3. Qualora non si provveda ai sensi del comma 2, il termine è di novanta giorni.

4. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l'adozione di un provvedimento l'acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini di cui ai commi 2 e 3 sono sospesi fino all'acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni. I termini di cui ai commi 2 e 3 possono essere altresì sospesi, per una sola volta, per l'acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 2.

5. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti (9).

 

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(7)  I termini ed i responsabili dei procedimenti amministrativi, in attuazione di quanto disposto dal presente comma, sono stati determinati con:

- D.M. 23 maggio 1991, per il Ministero del lavoro e della previdenza sociale;

- D.M. 23 marzo 1992, n. 304, per l'Amministrazione del tesoro;

- D.M. 25 maggio 1992, n. 376, per l'Amministrazione dell'agricoltura e delle foreste;

- Det. 13 novembre 1992, per la Cassa depositi e prestiti;

- D.M. 2 febbraio 1993, n. 284, per l'Amministrazione centrale e periferica dell'interno;

- D.M. 26 marzo 1993, n. 329, per l'Amministrazione dell'industria, del commercio e dell'artigianato;

- D.M. 1° settembre 1993, n. 475, per il Servizio centrale degli affari generali e del personale del Ministero del bilancio e della programmazione economica;

- D.M. 16 settembre 1993, n. 603, per l'Amministrazione della difesa;

- D.M. 14 dicembre 1993, n. 602, per il Ministero del bilancio e della programmazione economica e per i comitati interministeriali operanti presso il ministero stesso;

- D.M. 14 febbraio 1994, n. 543, per la Direzione generale dell'aviazione civile;

- D.P.C.M. 19 marzo 1994, n. 282, per il Consiglio di Stato, i tribunali amministrativi regionali e il tribunale di giustizia amministrativa con sede in Trento e sezione autonoma di Bolzano;

- D.M. 30 marzo 1994, n. 765, per l'Amministrazione dei trasporti e della navigazione;

- D.M. 11 aprile 1994, n. 454, per il Ministero del commercio con l'estero;

- D.M. 18 aprile 1994, n. 594, per la direzione generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione;

- D.M. 13 giugno 1994, n. 495, per il Ministero per i beni culturali e ambientali;

- D.M. 14 giugno 1994, n. 774, per il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica;

- D.M. 16 giugno 1994, n. 527, per l'Amministrazione dell'ambiente;

- D.M. 19 ottobre 1994, n. 678, per l'Amministrazione delle finanze ivi compresi il Corpo della guardia di finanza e l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

- D.M. 12 gennaio 1995, n. 227, per l'Amministrazione del lavoro e della previdenza sociale;

- D.M. 3 marzo 1995, n. 171, per l'Amministrazione degli affari esteri;

- D.M. 6 aprile 1995, n. 190, per l'Amministrazione della pubblica istruzione;

- D.M. 9 maggio 1995, n. 331, per l'Amministrazione dell'Istituto superiore di sanità;

- Del.C.C. 6 luglio 1995, per la Corte dei conti;

- D.P.C.M. 9 agosto 1995, n. 531, per il dipartimento della protezione civile;

- D.M. 7 settembre 1995, n. 528, per i progetti presentati per il finanziamento al Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga;

- D.M. 20 novembre 1995, n. 540, per l'Amministrazione di grazia e giustizia;

- D.M. 8 agosto 1996, n. 690 (Gazz. Uff. 25 gennaio 1997, n. 20, S.O.), per gli enti, i distaccamenti, i reparti dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica, nonché per quelli a carattere interforze;

- D.M. 8 ottobre 1997, n. 524, per l'Amministrazione dei lavori pubblici;

- D.P.C.M. 30 giugno 1998, n. 310, per il Dipartimento della funzione pubblica;

- D.M. 18 novembre 1998, n. 514, per il Ministero della sanità;

- D.M. 27 dicembre 1999, per l'Ente nazionale italiano per il turismo;

- Del.Consob 2 agosto 2000 (Gazz. Uff. 20 settembre 2000, n. 220), modificata dalla Del.Consob 11 marzo 2004, n. 14468 (Gazz. Uff. 19 marzo 2004, n. 66) e dalla Del.Consob 5 agosto 2005, n. 15131 (Gazz. Uff. 18 agosto 2005, n. 191), per la Consob;

- D.P.C.M. 28 novembre 2000, n. 454, per il Servizio nazionale dighe;

- D.P.C.M. 5 marzo 2001, n. 197, per il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

- Provv. 28 febbraio 2002, per gli uffici centrali e periferici dell'Agenzia del territorio;

- Del. 13 febbraio 2003, n. 048/03, per l'Istituto nazionale per il commercio estero;

- Del. 12 maggio 2003, n. 115, per l'A.G.E.A. - Agenzia per le erogazioni in agricoltura;

- D.P.R. 23 dicembre 2005, n. 303, per il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

- Provv. 7 aprile 2006 (Gazz. Uff. 7 aprile 2006, n. 82) e Provv. 17 agosto 2006 (Gazz. Uff. 11 settembre 2006, n. 211), abrogati dall'art. 3, Provv.Banca Italia 21 dicembre 2007, per l'Ufficio Italiano dei Cambi;

- Provv.ISVAP 9 maggio 2006, n. 2, per l'ISVAP;

- Provv.Banca Italia 14 giugno 2006, n. 682855, Provv.Banca Italia 27 giugno 2006, Provv.Banca Italia 3 agosto 2006 (Gazz. Uff. 12 agosto 2006, n. 187, S.O.), modificato dall'art. 4 e dall'allegato 2, Provv.Banca Italia 21 dicembre 2007, e Provv. 25 giugno 2008, per la Banca d'Italia;

- Del. 12 giugno 2006 (Gazz. Uff. 24 aprile 2007, n. 95), per l'Istituto nazionale di ricerca metrologica (INRIM);

- Del. Garante protez. dati pers. 14 dicembre 2007, n. 66, per il Garante per la protezione dei dati personali;

- Comunicato 11 luglio 2008 (Gazz. Uff. 11 luglio 2008, n. 161), per l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo;

- Provv. 16 dicembre 2008 (pubblicato nel sito internet dell'Agenzia delle dogane il 18 dicembre 2008), per l'Agenzia delle dogane.

(8)  Vedi, anche, i commi 6-quater e 6-quinquies dell'art. 3, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(9)  Il presente articolo, già modificato dagli artt. 2 e 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15, è stato così sostituito dall'art. 3, comma 6-bis, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 3.

Motivazione del provvedimento (10).

1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.

2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.

3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.

4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere (11).

 

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(10)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(11)  La Corte costituzionale, con ordinanza 23 ottobre-3 novembre 2000, n. 466 (Gazz. Uff. 8 novembre 2000, n. 46, serie speciale), e con ordinanza 9-14 novembre 2005, n. 419 (Gazz. Uff. 23 novembre 2005, n. 47, 1ª Serie speciale), e con ordinanza 9-14 novembre 2005, n. 420 (Gazz. Uff. 23 novembre 2005, n. 47, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, sollevata in relazione agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Cost.

La stessa Corte con successiva ordinanza 4-6 luglio 2001, n. 233 (Gazz. Uff. 11 luglio 2001, n. 27, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Cost.

 

Art. 3-bis.

Uso della telematica.

1. Per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l'uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati (12).

 

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(12)  Articolo aggiunto dall'art. 3, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

 

Capo II - Responsabile del procedimento

 

Art. 4.

Unità organizzativa responsabile del procedimento (13).

1. Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale.

2. Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti (14).

 

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(13)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(14)  I termini ed i responsabili dei procedimenti amministrativi, in attuazione di quanto disposto dal presente articolo, sono stati determinati con:

- D.M. 23 maggio 1991, per il Ministero del lavoro e della previdenza sociale;

- D.M. 23 marzo 1992, n. 304, per l'Amministrazione del tesoro;

- D.M. 25 maggio 1992, n. 376, per l'Amministrazione dell'agricoltura e delle foreste;

- Det. 13 novembre 1992, per la Cassa depositi e prestiti;

- D.M. 2 febbraio 1993, n. 284, per l'Amministrazione centrale e periferica dell'interno;

- D.M. 26 marzo 1993, n. 329, per l'Amministrazione dell'industria, del commercio e dell'artigianato;

- D.M. 1° settembre 1993, n. 475, per il Servizio centrale degli affari generali e del personale del Ministero del bilancio e della programmazione economica;

- D.M. 16 settembre 1993, n. 603, per l'Amministrazione della difesa;

- D.M. 14 dicembre 1993, n. 602, per il Ministero del bilancio e della programmazione economica e per i comitati interministeriali operanti presso il ministero stesso;

- D.M. 14 febbraio 1994, n. 543, per la Direzione generale dell'aviazione civile;

- D.P.C.M. 19 marzo 1994, n. 282, per il Consiglio di Stato, i tribunali amministrativi regionali e il tribunale di giustizia amministrativa con sede in Trento e sezione autonoma di Bolzano;

- D.M. 30 marzo 1994, n. 765, per l'Amministrazione dei trasporti e della navigazione;

- D.M. 11 aprile 1994, n. 454, per il Ministero del commercio con l'estero;

- D.M. 18 aprile 1994, n. 594, per la direzione generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione;

- D.M. 13 giugno 1994, n. 495, per il Ministero per i beni culturali e ambientali;

- D.M. 14 giugno 1994, n. 774, per il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica;

- D.M. 16 giugno 1994, n. 527, per l'Amministrazione dell'ambiente;

- D.M. 19 ottobre 1994, n. 678, per l'Amministrazione delle finanze ivi compresi il Corpo della guardia di finanza e l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

- D.M. 12 gennaio 1995, n. 227, per l'Amministrazione del lavoro e della previdenza sociale;

- D.M. 3 marzo 1995, n. 171, per l'Amministrazione degli affari esteri;

- D.M. 6 aprile 1995, n. 190, per l'Amministrazione della pubblica istruzione;

- D.M. 9 maggio 1995, n. 331, per l'Amministrazione dell'Istituto superiore di sanità;

- Del.C.C. 6 luglio 1995, per la Corte dei conti;

- D.P.C.M. 9 agosto 1995, n. 531, per il dipartimento della protezione civile;

- D.M. 7 settembre 1995, n. 528, per i progetti presentati per il finanziamento al Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga;

- D.M. 20 novembre 1995, n. 540, per l'Amministrazione di grazia e giustizia;

- D.M. 8 agosto 1996, n. 690 (Gazz. Uff. 25 gennaio 1997, n. 20, S.O.), per gli enti, i distaccamenti, i reparti dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica, nonché per quelli a carattere interforze;

- D.M. 8 ottobre 1997, n. 524, per l'Amministrazione dei lavori pubblici;

- D.P.C.M. 30 giugno 1998, n. 310, per il Dipartimento della funzione pubblica;

- D.M. 18 novembre 1998, n. 514, per il Ministero della sanità;

- D.M. 27 dicembre 1999, per l'Ente nazionale italiano per il turismo;

- Del.Consob 2 agosto 2000 (Gazz. Uff. 20 settembre 2000, n. 220), modificata dalla Del.Consob 11 marzo 2004, n. 14468 (Gazz. Uff. 19 marzo 2004, n. 66) e dalla Del.Consob 5 agosto 2005, n. 15131 (Gazz. Uff. 18 agosto 2005, n. 191), per la Consob;

- D.P.C.M. 28 novembre 2000, n. 454, per il Servizio nazionale dighe;

- D.P.C.M. 5 marzo 2001, n. 197, per il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

- Provv. 28 febbraio 2002, per gli uffici centrali e periferici dell'Agenzia del territorio;

- Del. 13 febbraio 2003, n. 048/03, per l'Istituto nazionale per il commercio estero;

- Del. 12 maggio 2003, n. 115, per l'A.G.E.A. - Agenzia per le erogazioni in agricoltura;

- D.P.R. 23 dicembre 2005, n. 303, per il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

- Provv. 7 aprile 2006 (Gazz. Uff. 7 aprile 2006, n. 82) e Provv. 17 agosto 2006 (Gazz. Uff. 11 settembre 2006, n. 211), abrogati dall'art. 3, Provv.Banca Italia 21 dicembre 2007, per l'Ufficio Italiano dei Cambi;

- Provv.ISVAP 9 maggio 2006, n. 2, per l'ISVAP;

- Provv.Banca Italia 14 giugno 2006, n. 682855, Provv.Banca Italia 27 giugno 2006, Provv.Banca Italia 3 agosto 2006 (Gazz. Uff. 12 agosto 2006, n. 187, S.O.), modificato dall'art. 4 e dall'allegato 2, Provv.Banca Italia 21 dicembre 2007, e il Provv. 25 giugno 2008 per la Banca d'Italia;

- Del. 12 giugno 2006 (Gazz. Uff. 24 aprile 2007, n. 95), per l'Istituto nazionale di ricerca metrologica (INRIM);

- Del. Garante protez. dati pers. 14 dicembre 2007, n. 66, per il Garante per la protezione dei dati personali;

- Comunicato 11 luglio 2008 (Gazz. Uff. 11 luglio 2008, n. 161), per l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo;

- Provv. 16 dicembre 2008 (pubblicato nel sito internet dell'Agenzia delle dogane il 18 dicembre 2008), per l'Agenzia delle dogane.

 

Art. 5.

Responsabile del procedimento (15).

1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale.

2. Fino a quando non sia effettuata l'assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell'articolo 4.

3. L'unità organizzativa competente e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all'articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse.

 

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(15)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 6.

Compiti del responsabile del procedimento (16).

1. Il responsabile del procedimento:

a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento;

b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;

c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all'articolo 14;

d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;

e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale (17).

 

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(16)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(17)  Lettera così modificata dall'art. 4, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

 

Capo III - Partecipazione al procedimento amministrativo

 

Art. 7.

Comunicazione di avvio del procedimento (18).

1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento (19).

2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari.

 

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(18)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(19)  Ai sensi dell'art. 15, comma 5, L. 1° agosto 2002, n. 166, per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla rete stradale di importo non superiore a 200.000 euro, quanto disposto dal presente articolo si intende adempiuto mediante pubblicazione per estratto dell'avvio del procedimento su un quotidiano a diffusione locale.

 

Art. 8.

Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento (20).

1. L'amministrazione provvede a dare notizia dell'avvio del procedimento mediante comunicazione personale.

2. Nella comunicazione debbono essere indicati:

a) l'amministrazione competente;

b) l'oggetto del procedimento promosso;

c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento;

c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione (21);

c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza (22);

d) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti.

3. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima.

4. L'omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista.

 

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(20)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(21)  Lettera aggiunta dall'art. 5, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(22)  Lettera aggiunta dall'art. 5, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 9.

Intervento nel procedimento (23).

1. Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento.

 

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(23)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 10.

Diritti dei partecipanti al procedimento (24).

1. I soggetti di cui all'articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell'articolo 9 hanno diritto:

a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall'articolo 24;

b) di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento.

 

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(24)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 10-bis.

Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza.

1. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali (25).

 

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(25)  Articolo aggiunto dall'art. 6, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 11.

Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento (26).

1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo (27).

1-bis. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati (28).

2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.

3. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.

4. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.

4-bis. A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma l, la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento (29).

5. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi di cui al presente articolo sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

 

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(26)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(27)  Comma così modificato dall'art. 7, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(28)  Comma aggiunto dall'art. 39-quinquies, D.L. 12 maggio 1995, n. 163.

(29)  Comma aggiunto dall'art. 7, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 12.

Provvedimenti attributivi di vantaggi economici (30).

1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.

2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.

 

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(30)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 13.

Àmbito di applicazione delle norme sulla partecipazione (31).

1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.

2. Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano, nonché ai procedimenti previsti dal decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, e dal decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive modificazioni (32).

 

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(31)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(32)  Comma così modificato dall'art. 22, L. 13 febbraio 2001, n. 45.

 

 

Capo IV - Semplificazione dell'azione amministrativa

 

Art. 14.

Conferenza di servizi (33).

1. Qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l'amministrazione procedente indìce di regola una conferenza di servizi.

2. La conferenza di servizi è sempre indetta quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell'amministrazione competente, della relativa richiesta. La conferenza può essere altresì indetta quando nello stesso termine è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate.

3. La conferenza di servizi può essere convocata anche per l'esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. In tal caso, la conferenza è indetta dall'amministrazione o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l'interesse pubblico prevalente. L'indizione della conferenza può essere richiesta da qualsiasi altra amministrazione coinvolta.

4. Quando l'attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell'interessato, dall'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale (34).

5. In caso di affidamento di concessione di lavori pubblici la conferenza di servizi è convocata dal concedente ovvero, con il consenso di quest'ultimo, dal concessionario entro quindici giorni fatto salvo quanto previsto dalle leggi regionali in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA). Quando la conferenza è convocata ad istanza del concessionario spetta in ogni caso al concedente il diritto di voto.

5-bis. Previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, la conferenza di servizi è convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime amministrazioni (35).

 

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(33)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(34)  Vedi, anche, l'art. 2, O.P.C.M. 12 marzo 2003, n. 3268.

(35) Articolo prima modificato dall'art. 2, L. 24 dicembre 1993, n. 537, dall'art. 3-bis, D.L. 12 maggio 1995, n. 163, dall'art. 17, L. 15 maggio 1997, n. 127, nel testo integrato dall'art. 2, L. 16 giugno 1998, n. 191, poi sostituito dall'art. 9, L. 24 novembre 2000, n. 340 ed infine così modificato dall'art. 8, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 14-bis.

Conferenza di servizi preliminare (36).

1. La conferenza di servizi può essere convocata per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell'interessato, documentata, in assenza di un progetto preliminare, da uno studio di fattibilità, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivi, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso. In tale caso la conferenza si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente (37).

2. Nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, la conferenza di servizi si esprime sul progetto preliminare al fine di indicare quali siano le condizioni per ottenere, sul progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nulla osta e gli assensi, comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente. In tale sede, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, si pronunciano, per quanto riguarda l'interesse da ciascuna tutelato, sulle soluzioni progettuali prescelte. Qualora non emergano, sulla base della documentazione disponibile, elementi comunque preclusivi della realizzazione del progetto, le suddette amministrazioni indicano, entro quarantacinque giorni, le condizioni e gli elementi necessari per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, gli atti di consenso (38).

3. Nel caso in cui sia richiesta VIA, la conferenza di servizi si esprime entro trenta giorni dalla conclusione della fase preliminare di definizione dei contenuti dello studio d'impatto ambientale, secondo quanto previsto in materia di VIA. Ove tale conclusione non intervenga entro novanta giorni dalla richiesta di cui al comma 1, la conferenza di servizi si esprime comunque entro i successivi trenta giorni. Nell'àmbito di tale conferenza, l'autorità competente alla VIA si esprime sulle condizioni per la elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale. In tale fase, che costituisce parte integrante della procedura di VIA, la suddetta autorità esamina le principali alternative, compresa l'alternativa zero, e, sulla base della documentazione disponibile, verifica l'esistenza di eventuali elementi di incompatibilità, anche con riferimento alla localizzazione prevista dal progetto e, qualora tali elementi non sussistano, indica nell'àmbito della conferenza di servizi le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso.

3-bis. Il dissenso espresso in sede di conferenza preliminare da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, con riferimento alle opere interregionali, è sottoposto alla disciplina di cui all'articolo 14-quater, comma 3 (39).

4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, la conferenza di servizi si esprime allo stato degli atti a sua disposizione e le indicazioni fornite in tale sede possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento, anche a seguito delle osservazioni dei privati sul progetto definitivo.

5. Nel caso di cui al comma 2, il responsabile unico del procedimento trasmette alle amministrazioni interessate il progetto definitivo, redatto sulla base delle condizioni indicate dalle stesse amministrazioni in sede di conferenza di servizi sul progetto preliminare, e convoca la conferenza tra il trentesimo e il sessantesimo giorno successivi alla trasmissione. In caso di affidamento mediante appalto concorso o concessione di lavori pubblici, l'amministrazione aggiudicatrice convoca la conferenza di servizi sulla base del solo progetto preliminare, secondo quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni (40).

 

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(36)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(37)  Comma così modificato dall'art. 9, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(38)  Comma così modificato dall'art. 9, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(39)  Comma aggiunto dall'art. 9, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(40)  Articolo aggiunto dall'art. 17, L. 15 maggio 1997, n. 127 e poi così sostituito dall'art. 10, L. 24 novembre 2000, n. 340.

 

Art. 14-ter.

Lavori della conferenza di servizi (41).

01. La prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro quindici giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell'istruttoria, entro trenta giorni dalla data di indizione (42).

1. La conferenza di servizi assume le determinazioni relative all'organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti.

2. La convocazione della prima riunione della conferenza di servizi deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica o informatica, almeno cinque giorni prima della relativa data. Entro i successivi cinque giorni, le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora impossibilitate a partecipare, l'effettuazione della riunione in una diversa data; in tale caso, l'amministrazione procedente concorda una nuova data, comunque entro i dieci giorni successivi alla prima (43).

3. Nella prima riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell'istanza o del progetto definitivo ai sensi dell'articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l'adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l'amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 6-bis e 9 del presente articolo (44).

4. Nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni di cui al precedente periodo è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori (45).

5. Nei procedimenti relativamente ai quali sia già intervenuta la decisione concernente la VIA le disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 14-quater, nonché quelle di cui agli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute , del patrimonio storico-artistico e della pubblica incolumità (46).

6. Ogni amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso un unico rappresentante legittimato, dall'organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell'amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa.

6-bis. All'esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede (47).

7. Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata (48).

8. In sede di conferenza di servizi possono essere richiesti, per una sola volta, ai proponenti dell'istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione. Se questi ultimi non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all'esame del provvedimento.

9. Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza (49).

10. Il provvedimento finale concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all'estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati (50).

 

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(41)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(42)  Comma così premesso dall'art. 10, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(43)  Comma così modificato dall'art. 10, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(44)  Comma così modificato dall'art. 10, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(45)  Comma così modificato dall'art. 10, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(46)  Comma così modificato dall'art. 10, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(47)  Comma aggiunto dall'art. 10, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(48)  Comma così modificato dall'art. 10, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(49)  Comma così sostituito dall'art. 10, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(50)  Articolo aggiunto dall'art. 17, L. 15 maggio 1997, n. 127 e poi così sostituito dall'art. 11, L. 24 novembre 2000, n. 340.

 

Art. 14-quater.

Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi (51).

1. Il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso.

2. [Se una o più amministrazioni hanno espresso nell'àmbito della conferenza il proprio dissenso sulla proposta dell'amministrazione procedente, quest'ultima, entro i termini perentori indicati dall'articolo 14-ter, comma 3, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi. La determinazione è immediatamente esecutiva] (52).

3. Se il motivato dissenso è espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall'amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) al Consiglio dei Ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; b) alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata "Conferenza Stato-regioni", in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; c) alla Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei Ministri, della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell'istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni (53).

3-bis. Se il motivato dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, la determinazione sostitutiva è rimessa dall'amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) alla Conferenza Stato-regioni, se il dissenso verte tra un'amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali; b) alla Conferenza unificata, in caso di dissenso tra una regione o provincia autonoma e un ente locale. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell'istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni (54).

3-ter. Se entro i termini di cui ai commi 3 e 3-bis la Conferenza Stato-regioni o la Conferenza unificata non provvede, la decisione, su iniziativa del Ministro per gli affari regionali, è rimessa al Consiglio dei Ministri, che assume la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni, ovvero, quando verta in materia non attribuita alla competenza statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, e dell'articolo 118 della Costituzione, alla competente Giunta regionale ovvero alle competenti Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano, che assumono la determinazione sostitutiva nei successivi trenta giorni; qualora la Giunta regionale non provveda entro il termine predetto, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri, che delibera con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate (55).

3-quater. In caso di dissenso tra amministrazioni regionali, i commi 3 e 3-bis non si applicano nelle ipotesi in cui le regioni interessate abbiano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai sensi dell'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, anche attraverso l'individuazione di organi comuni competenti in via generale ad assumere la determinazione sostitutiva in caso di dissenso (56).

3-quinquies. Restano ferme le attribuzioni e le prerogative riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano dagli statuti speciali di autonomia e dalle relative norme di attuazione (57).

4. [Quando il dissenso è espresso da una regione, le determinazioni di competenza del Consiglio dei ministri previste al comma 3 sono adottate con l'intervento del presidente della giunta regionale interessata, al quale è inviata a tal fine la comunicazione di invito a partecipare alla riunione, per essere ascoltato, senza diritto di voto] (58).

5. Nell'ipotesi in cui l'opera sia sottoposta a VIA e in caso di provvedimento negativo trova applicazione l'articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto 1988, n. 400, introdotta dall'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (59).

 

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(51)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(52)  Comma abrogato dall'art. 11, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(53)  Gli attuali commi da 3 a 3-quinquies così sostituiscono l'originario comma 3 ai sensi di quanto disposto dall'art. 11, L. 11 febbraio 2005, n. 15. Vedi, anche, le linee guida di cui al Provv. 2 gennaio 2003.

(54)  Gli attuali commi da 3 a 3-quinquies così sostituiscono l'originario comma 3 ai sensi di quanto disposto dall'art. 11, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(55)  Gli attuali commi da 3 a 3-quinquies così sostituiscono l'originario comma 3 ai sensi di quanto disposto dall'art. 11, L. 11 febbraio 2005, n. 15. Vedi, anche, le linee guida di cui al Provv. 2 gennaio 2003.

(56)  Gli attuali commi da 3 a 3-quinquies così sostituiscono l'originario comma 3 ai sensi di quanto disposto dall'art. 11, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(57)  Gli attuali commi da 3 a 3-quinquies così sostituiscono l'originario comma 3 ai sensi di quanto disposto dall'art. 11, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(58)  Comma abrogato dall'art. 11, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(59)  Articolo aggiunto dall'art. 17, L. 15 maggio 1997, n. 127 e poi così sostituito dall'art. 12, L. 24 novembre 2000, n. 340.

 

Art. 14-quinquies.

Conferenza di servizi in materia di finanza di progetto.

1. Nelle ipotesi di conferenza di servizi finalizzata all'approvazione del progetto definitivo in relazione alla quale trovino applicazione le procedure di cui agli articoli 37-bis e seguenti della legge 11 febbraio 1994, n. 109, sono convocati alla conferenza, senza diritto di voto, anche i soggetti aggiudicatari di concessione individuati all'esito della procedura di cui all'articolo 37-quater della legge n. 109 del 1994, ovvero le società di progetto di cui all'articolo 37-quinquies della medesima legge (60).

 

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(60)  Articolo aggiunto dall'art. 12, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 15.

Accordi fra pubbliche amministrazioni (61).

1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.

2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'articolo 11, commi 2, 3 e 5.

 

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(61)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 16.

Attività consultiva (62).

1. Gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono tenuti a rendere i pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso (63).

2. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere (64).

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini (65).

4. Nel caso in cui l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie il termine di cui al comma 1 può essere interrotto per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate (66).

5. Qualora il parere sia favorevole, senza osservazioni, il dispositivo è comunicato telegraficamente o con mezzi telematici.

6. Gli organi consultivi dello Stato predispongono procedure di particolare urgenza per l'adozione dei pareri loro richiesti (67).

 

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(62)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(63)  Comma così sostituito dall'art. 17, comma 24, L. 15 maggio 1997, n. 127.

(64)  Comma così sostituito dall'art. 17, comma 24, L. 15 maggio 1997, n. 127.

(65)  Comma così sostituito dall'art. 17, comma 24, L. 15 maggio 1997, n. 127.

(66)  Comma così sostituito dall'art. 17, comma 24, L. 15 maggio 1997, n. 127. Vedi, anche, l'art. 2, O.P.C.M. 12 marzo 2003, n. 3268.

(67)  Il comma 5 dell'art. 2, O.P.C.M. 8 luglio 2004, n. 3361 (Gazz. Uff. 17 luglio 2004, n. 166) ha disposto, in deroga a quanto previsto dal presente articolo, che i pareri, i visti e i nulla-osta che si dovessero rendere necessari anche successivamente alla conferenza dei servizi, si intendono inderogabilmente acquisiti con esito positivo trascorsi 10 giorni dalla richiesta effettuata dal legale rappresentante dell'Ente attuatore.

 

Art. 17.

Valutazioni tecniche (68).

1. Ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l'adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti appositi e tali organi ed enti non provvedano o non rappresentino esigenze istruttorie di competenza dell'amministrazione procedente nei termini prefissati dalla disposizione stessa o, in mancanza, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini.

3. Nel caso in cui l'ente od organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie all'amministrazione procedente, si applica quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 16.

 

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(68)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 18.

Autocertificazione (69).

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le amministrazioni interessate adottano le misure organizzative idonee a garantire l'applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti da parte di cittadini a pubbliche amministrazioni di cui alla legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e integrazioni. [Delle misure adottate le amministrazioni danno comunicazione alla Commissione di cui all'articolo 27] (70).

2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti (71).

3. Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare.

 

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(69)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(70) Periodo soppresso dall'art. 1, D.P.R. 2 agosto 2007, n. 157.

(71)  Comma così sostituto dall'art. 3, comma 6-octies, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 19.

Dichiarazione di inizio attività.

1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell'ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è sostituito da una dichiarazione dell'interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. L'amministrazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

2. L'attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente. Contestualmente all'inizio dell'attività, l'interessato ne dà comunicazione all'amministrazione competente.

3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l'adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all'acquisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l'amministrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall'acquisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all'interessato.

4. Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attività e per l'adozione da parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti.

5. Ogni controversia relativa all'applicazione dei commi 1, 2 e 3 è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (72).

 

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(72)  Articolo prima sostituito dall'art. 2, L. 24 dicembre 1993, n. 537, poi modificato dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15 ed infine così sostituito dall'art. 3, D.L. 14 marzo 2005, n. 35. Vedi, anche, il D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 407, e il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 411.

 

Art. 20.

Silenzio assenso.

1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.

3. Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti (73).

5. Si applicano gli articoli 2, comma 4, e 10-bis (74) (75).

 

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(73)  Vedi, anche, l'art. 8-bis, D.L. 30 novembre 2005, n. 245, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(74)  Il presente articolo, già modificato dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15, è stato così sostituito dall'art. 3, comma 6-ter, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. Vedi, anche, i commi 6-sexies e 6-septies dello stesso art. 3.

(75)  Vedi, anche, il D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 407, e il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 411.

 

Art. 21.

Disposizioni sanzionatorie (76).

1. Con la denuncia o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall'articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

2. Le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza dell'atto di assenso dell'amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente.

2-bis. Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all'attività ai sensi degli articoli 19 e 20 (77).

 

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(76)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(77)  Comma aggiunto dall'art. 3, comma 6-novies, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

 

Capo IV-bis - Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso (78)

 

Art. 21-bis.

Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati.

1. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati non avente carattere sanzionatorio può contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci (79).

 

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(78)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(79)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 21-ter.

Esecutorietà.

1. Nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge.

2. Ai fini dell'esecuzione delle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro si applicano le disposizioni per l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato (80).

 

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(80)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 21-quater.

Efficacia ed esecutività del provvedimento.

1. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.

2. L'efficacia ovvero l'esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze (81).

 

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(81)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 21-quinquies.

Revoca del provvedimento.

1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell'indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (82).

1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico (83).

1-ter. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico (84).

 

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(82)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(83) Il presente comma, che era stato aggiunto dal comma 4 dell'art. 12, D.L. 31 gennaio 2007, n. 7 poi soppresso dalla relativa legge di conversione, è stato così reintrodotto dal comma 8-duodevicies dell'art. 13 dello stesso decreto-legge, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(84) Comma aggiunto dal comma 1-bis dell'art. 12, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 21-sexies.

Recesso dai contratti.

1. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto (85).

 

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(85)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 21-septies.

Nullità del provvedimento.

1. È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.

2. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (86).

 

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(86)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 21-octies.

Annullabilità del provvedimento.

1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.

2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (87).

 

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(87)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 21-nonies.

Annullamento d'ufficio.

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole (88).

 

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(88)  Il Capo IV-bis, comprendente gli artt. da 21-bis a 21-nonies, è stato aggiunto dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

 

Capo V - Accesso ai documenti amministrativi

 

Art. 22.

Definizioni e princìpi in materia di accesso.

1. Ai fini del presente capo si intende:

a) per «diritto di accesso», il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;

b) per «interessati», tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso;

c) per «controinteressati», tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;

d) per «documento amministrativo», ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;

e) per «pubblica amministrazione», tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.

2. L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.

3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6.

4. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono.

5. L'acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell'articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale.

6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l'obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere (89).

 

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(89)  Articolo così sostituito dall'art. 15, L. 11 febbraio 2005, n. 15, con la decorrenza indicata dal comma 3 dell'art. 23 della stessa legge. Vedi, anche, il D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.

 

Art. 23.

Àmbito di applicazione del diritto di accesso (90).

1. Il diritto di accesso di cui all'articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall'articolo 24 (91).

 

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(90)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(91)  Articolo così sostituito dall'art. 4, L. 3 agosto 1999, n. 265.

 

Art. 24.

Esclusione dal diritto di accesso.

1. Il diritto di accesso è escluso:

a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo;

b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;

c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;

d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del comma 1 (92).

3. Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni.

4. L'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.

5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell'àmbito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso.

6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi:

a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione;

b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria;

c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini;

d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono;

e) quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato.

7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale (93).

 

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(92)  Le categorie di documenti sottratti al diritto di accesso, ai sensi del presente comma, sono state stabilite con:

- D.M. 10 maggio 1994, n. 415, per il Ministero dell'interno e gli organi periferici dipendenti;

- D.M. 7 settembre 1994, n. 604, per il Ministero degli affari esteri e gli uffici all'estero;

- D.M. 26 ottobre 1994, n. 682, per il Ministero dei beni culturali ed ambientali;

- D.M. 4 novembre 1994, n. 757, per il Ministero del lavoro e della previdenza sociale;

- D.P.C.M. 20 dicembre 1994, n. 763, per il Consiglio di Stato, il consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana, i tribunali amministrativi regionali e il tribunale regionale di giustizia amministrativa per il Trentino Alto Adige;

- D.M. 14 giugno 1995, n. 519, per il Ministero della difesa;

- D.M. 13 ottobre 1995, n. 561, per il Ministero del tesoro e gli organi periferici in qualsiasi forma da esso dipendenti;

- D.M. 10 gennaio 1996, n. 60, per il Ministero della pubblica istruzione e gli organi periferici dipendenti comprese le istituzioni scolastiche e gli enti vigilati;

- D.M. 25 gennaio 1996, n. 115, per il Ministero di grazia e giustizia e gli organi periferici;

- D.P.C.M. 26 gennaio 1996, n. 200, per l'Avvocatura dello Stato;

- D.M. 10 aprile 1996, n. 296, per il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni;

- D.M. 16 maggio 1996, n. 422, per il Ministero del commercio con l'estero;

- D.M. 29 ottobre 1996, n. 603, per il Ministero delle finanze e gli organi periferici dipendenti compresi l'amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato ed il Corpo della Guardia di Finanza;

- D.P.C.M. 30 luglio 1997, per l'Istituto nazionale di statistica;

- D.M. 31 luglio 1997, n. 353, per il Ministero della sanità;

- D.M. 5 settembre 1997, n. 392, per il Ministero delle politiche agricole e forestali;

- Provv. 17 novembre 1997 (Gazz. Uff. 7 febbraio 1998, n. 31), per l'Ufficio Italiano dei Cambi;

- Del.Covip 3 febbraio 1999 (Gazz. Uff. 20 febbraio 1999, n. 42), per la Commissione di vigilanza sui fondi di pensione.

- D.P.C.M. 10 marzo 1999, n. 294, per la segreteria generale del Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza (CESIS), il servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) e il servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDE);

- Del. 26 marzo 1999 (Gazz. Uff. 28 aprile 1999, n. 98), per l'Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali;

- D.M. 24 agosto 1999, per la società per azioni Poste italiane;

- D.P.C.M. 29 settembre 1999, n. 425, per il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali;

- D.M. 27 dicembre 1999, per l'Ente nazionale italiano per il turismo;

- Delib. 31 agosto 2000 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2000, n. 239), modificata dall'art. 1, Del. 10 novembre 2005 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2005, n. 302), per l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. La citata Delib. 31 agosto 2000 è stata sostituita dalla Del. 10 settembre 2008 (Gazz. Uff. 29 settembre 2008, n. 228) con la quale è stato approvato il nuovo regolamento, per l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

- D.M. 5 ottobre 2000, n. 349, per l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro;

- Del.Aut.gar.com. 24 maggio 2001, n. 217/01/CONS (Gazz. Uff. 20 giugno 2001, n. 141), modificata dalla Del.Aut.gar.com. 24 settembre 2003, n. 335/03/CONS (Gazz. Uff. 15 ottobre 2003, n. 240), dalla Del.Aut.gar.com. 22 febbraio 2006, n. 89/06/CONS (Gazz. Uff. 17 marzo 2006, n. 64) e dalla Del.Aut.gar.com. 28 giugno 2006, n. 422/06/CONS (Gazz. Uff. 31 luglio 2006, n. 176), per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

- D.M. 14 marzo 2001, n. 292, per il Ministero dei lavori pubblici;

- Delib. 5 dicembre 2002, per l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni;

- Delib. 30 gennaio 2003, n. 2/2003, per l'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione (AIPA);

- Del. 28 luglio 2003, n. 127, per l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura;

- Provv. 3 marzo 2004, per l'ANAS S.p.A.;

- Comunicato 7 dicembre 2004 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2004, n. 287), per la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali;

- Provv. 11 marzo 2005, per SACE S.p.A. - Servizi assicurativi del commercio estero;

- Reg. 29 ottobre 2005 (Gazz. Uff. 29 ottobre 2005, n. 253) e Del. 19 giugno 2007, n. 5 (pubblicata, per sunto, nella Gazz. Uff. 5 novembre 2007, n. 257), per l'Autorità di bacino dei fiumi Liri - Garigliano e Volturno;

- Del.Garante protez. dati pers. 26 luglio 2006, per l'Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali;

- Del. 12 giugno 2006 (Gazz. Uff. 24 aprile 2007, n. 95), per l'Istituto nazionale di ricerca metrologica (INRIM);

- Comunicato 24 aprile 2008 (Gazz. Uff. 24 aprile 2008, n. 97), per l'Automobile Club d'Italia.

(93)  Articolo prima modificato dall'art. 22, L. 13 febbraio 2001, n. 45 e, a decorrere dal 1° gennaio 2004 dal comma 1 dell'art. 176, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e poi così sostituito dall'art. 16, L. 11 febbraio 2005, n. 15, con la decorrenza indicata dal comma 3 dell'art. 23 della stessa legge.

 

Art. 25.

Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi (94).

1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura.

2. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.

3. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'articolo 24 e debbono essere motivati.

4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per àmbito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'àmbito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27. Il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione (95).

5. Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all'amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (96).

5-bis. Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente (97).

6. Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti (98).

 

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(94)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(95)  Comma così sostituito prima dall'art. 15, L. 24 novembre 2000, n. 340 e poi dall'art. 17, L. 11 febbraio 2005, n. 15, con la decorrenza indicata nel comma 3 dell'art. 23 della stessa legge.

(96)  Comma così modificato prima dall'art. 17, L. 11 febbraio 2005, n. 15 e poi dall'art. 3, comma 6-decies, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(97)  Comma aggiunto dall'art. 17, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(98)  Comma così sostituito dall'art. 17, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 26.

Obbligo di pubblicazione (99).

1. Fermo restando quanto previsto per le pubblicazioni nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dalla legge 11 dicembre 1984, n. 839, e dalle relative norme di attuazione, sono pubblicati, secondo le modalità previste dai singoli ordinamenti, le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti di una pubblica amministrazione ovvero nel quale si determina l'interpretazione di norme giuridiche o si dettano disposizioni per l'applicazione di esse.

2. Sono altresì pubblicate, nelle forme predette, le relazioni annuali della Commissione di cui all'articolo 27 e, in generale, è data la massima pubblicità a tutte le disposizioni attuative della presente legge e a tutte le iniziative dirette a precisare ed a rendere effettivo il diritto di accesso.

3. Con la pubblicazione di cui al comma 1, ove essa sia integrale, la libertà di accesso ai documenti indicati nel predetto comma 1 s'intende realizzata.

 

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(99)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 27.

Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

2. La Commissione è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è composta da dodici membri, dei quali due senatori e due deputati, designati dai Presidenti delle rispettive Camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, su designazione dei rispettivi organi di autogoverno, due fra i professori di ruolo in materie giuridiche e uno fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici. È membro di diritto della Commissione il capo della struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri che costituisce il supporto organizzativo per il funzionamento della Commissione. La Commissione può avvalersi di un numero di esperti non superiore a cinque unità, nominati ai sensi dell'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

3. La Commissione è rinnovata ogni tre anni. Per i membri parlamentari si procede a nuova nomina in caso di scadenza o scioglimento anticipato delle Camere nel corso del triennio.

4. [Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, a decorrere dall'anno 2004, sono determinati i compensi dei componenti e degli esperti di cui al comma 2, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri] (100).

5. La Commissione adotta le determinazioni previste dall'articolo 25, comma 4; vigila affinché sia attuato il principio di piena conoscibilità dell'attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso di cui all'articolo 22.

6. Tutte le amministrazioni sono tenute a comunicare alla Commissione, nel termine assegnato dalla medesima, le informazioni ed i documenti da essa richiesti, ad eccezione di quelli coperti da segreto di Stato.

7. [In caso di prolungato inadempimento all'obbligo di cui al comma 1 dell'articolo 18, le misure ivi previste sono adottate dalla Commissione di cui al presente articolo] (101) (102).

 

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(100) Comma abrogato dall'art. 2, D.P.R. 2 agosto 2007, n. 157.

(101) Comma abrogato dall'art. 1, D.P.R. 2 agosto 2007, n. 157.

(102) Articolo così sostituito dall'art. 18, L. 11 febbraio 2005, n. 15. Vedi, anche, il comma 1346 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

 

Art. 28.

Modifica dell'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, in materia di segreto di ufficio (103).

1. ... (104).

 

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(103)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

(104)  Sostituisce l'art. 15, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.

 

 

Capo VI - Disposizioni finali

 

Art. 29.

Àmbito di applicazione della legge.

1. Le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'àmbito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche.

2. Le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla presente legge (105).

 

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(105)  Articolo così sostituito dall'art. 19, L. 11 febbraio 2005, n. 15. Vedi, anche, l'art. 22 della stessa legge.

 

Art. 30.

Atti di notorietà (106).

1. In tutti i casi in cui le leggi e i regolamenti prevedono atti di notorietà o attestazioni asseverate da testimoni altrimenti denominate, il numero dei testimoni è ridotto a due.

2. È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni e alle imprese esercenti servizi di pubblica necessità e di pubblica utilità di esigere atti di notorietà in luogo della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà prevista dall'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, quando si tratti di provare qualità personali, stati o fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato.

 

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(106)  Rubrica aggiunta dall'art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

Art. 31. 

[1. Le norme sul diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui al capo V hanno effetto dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui all'articolo 24] (107).

 

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(107)  Articolo abrogato dall'art. 20, L. 11 febbraio 2005, n. 15.

 

 


L. 14 gennaio 1994, n. 20.
Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti

 

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 14 gennaio 1994, n. 10.

 

 

Art. 1.

Azione di responsabilità.

1. La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. Il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi (3) (4).

1-bis. Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità (5).

1-ter. Nel caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l'esecuzione (6).

1-quater. Se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso (7).

1-quinquies. Nel caso di cui al comma 1-quater i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidalmente. La disposizione di cui al presente comma si applica anche per i fatti accertati con sentenza passata in giudicato pronunciata in giudizio pendente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 28 giugno 1995, n. 248. In tali casi l'individuazione dei soggetti ai quali non si estende la responsabilità solidale è effettuata in sede di ricorso per revocazione (8) (9).

2. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta (10) (11).

2-bis. Per i fatti che rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 1, comma 7, del decreto-legge 27 agosto 1993, n. 324, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 1993, n. 423, la prescrizione si compie entro cinque anni ai sensi del comma 2 e comunque non prima del 31 dicembre 1996 (12).

2-ter. Per i fatti verificatisi anteriormente alla data del 15 novembre 1993 e per i quali stia decorrendo un termine di prescrizione decennale, la prescrizione si compie entro il 31 dicembre 1998, ovvero nel più breve termine dato dal compiersi del decennio (13).

3. Qualora la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, rispondono del danno erariale i soggetti che hanno omesso o ritardato la denuncia. In tali casi, l'azione è proponibile entro cinque anni dalla data in cui la prescrizione è maturata.

4. La Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, per i fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge (14) (15).

 

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(3)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3.

(4)  La Corte costituzionale con sentenza 11-20 novembre 1998, n. 371 (Gazz. Uff. 25 novembre 1998, n. 47, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera a), del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543 sostitutivo dell'art. 1, comma 1, L. 14 gennaio 1994, n. 20, sollevata in riferimento agli artt. 3, 11, 24, 81, 97 e 103, secondo comma, della Costituzione.

(5)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3.

(6)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3.

(7)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3.

(8)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3.

(9)  La Corte costituzionale, con sentenza 16-30 dicembre 1998, n. 453 (Gazz. Uff. 13 gennaio 1999, n. 2, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1-quinquies, sollevata in riferimento agli artt. 3, 23 e 24, primo comma, 28 nonché 97, primo e secondo comma, della Costituzione.

(10)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3. Il presente comma era stato modificato dal comma 1343 dall'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, abrogato dall'art. 1, D.L. 27 dicembre 2006, n. 299.

(11) La Corte costituzionale, con ordinanza 21 giugno-6 luglio 2006, n. 272 (Gazz. Uff. 12 luglio 2006, n. 28, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

(12)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3.

(13)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3.

(14)  L'art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ha così sostituito il comma 1 ed ha aggiunto i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies. Lo stesso art. 3 ha poi così sostituito il comma 2 ed ha aggiunto i commi 2-bis e 2-ter. Infine ha così sostituito il comma 4. Vedi, anche, il comma 2 del citato art. 3.

(15)  La Corte costituzionale con ordinanza 29-31 maggio 1995, n. 212 (Gazz. Uff. 7 giugno 1995, n. 24, Serie speciale), ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.

 

Art. 2.

Giudizi di conto.

1. Decorsi cinque anni dal deposito del conto effettuato a norma dell'articolo 27 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 , senza che sia stata depositata presso la segreteria della sezione la relazione prevista dall'articolo 29 dello stesso decreto o siano state elevate contestazioni a carico del tesoriere o del contabile da parte dell'amministrazione, degli organi di controllo o del procuratore regionale, il giudizio sul conto si estingue, ferma restando l'eventuale responsabilità amministrativa e contabile a carico dell'agente contabile; il conto stesso e la relativa documentazione vengono restituiti alla competente amministrazione.

 

Art. 3.

Norme in materia di controllo della Corte dei conti.

1. Il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti si esercita esclusivamente sui seguenti atti non aventi forza di legge:

a) provvedimenti emanati a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri;

b) atti del Presidente del Consiglio dei Ministri e atti dei Ministri aventi ad oggetto la definizione delle piante organiche, il conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali e le direttive generali per l'indirizzo e per lo svolgimento dell'azione amministrativa;

c) atti normativi a rilevanza esterna, atti di programmazione comportanti spese ed atti generali attuativi di norme comunitarie;

d) provvedimenti dei comitati interministeriali di riparto o assegnazione di fondi ed altre deliberazioni emanate nelle materie di cui alle lettere b) e c);

e) [autorizzazioni alla sottoscrizione dei contratti collettivi, secondo quanto previsto dall'articolo 51 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 ] (16);

f) provvedimenti di disposizione del demanio e del patrimonio immobiliare;

g) decreti che approvano contratti delle amministrazioni dello Stato, escluse le aziende autonome: attivi, di qualunque importo, ad eccezione di quelli per i quali ricorra l'ipotesi prevista dall'ultimo comma dell'articolo 19 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440; di appalto d'opera, se di importo superiore al valore in ECU stabilito dalla normativa comunitaria per l'applicazione delle procedure di aggiudicazione dei contratti stessi; altri contratti passivi, se di importo superiore ad un decimo del valore suindicato (17);

h) decreti di variazione del bilancio dello Stato, di accertamento dei residui e di assenso preventivo del Ministero del tesoro all'impegno di spese correnti a carico di esercizi successivi;

i) atti per il cui corso sia stato impartito l'ordine scritto del Ministro;

l) atti che il Presidente del Consiglio dei Ministri richieda di sottoporre temporaneamente a controllo preventivo o che la Corte dei conti deliberi di assoggettare, per un periodo determinato, a controllo preventivo in relazione a situazioni di diffusa e ripetuta irregolarità rilevate in sede di controllo successivo (18).

2. I provvedimenti sottoposti al controllo preventivo acquistano efficacia se il competente ufficio di controllo non ne rimetta l'esame alla sezione del controllo nel termine di trenta giorni dal ricevimento. Il termine è interrotto se l'ufficio richiede chiarimenti o elementi integrativi di giudizio. Decorsi trenta giorni dal ricevimento delle controdeduzioni dell'amministrazione, il provvedimento acquista efficacia se l'ufficio non ne rimetta l'esame alla sezione del controllo. La sezione del controllo si pronuncia sulla conformità a legge entro trenta giorni dalla data di deferimento dei provvedimenti o dalla data di arrivo degli elementi richiesti con ordinanza istruttoria. Decorso questo termine i provvedimenti divengono esecutivi. [Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742] (19) (20).

3. Le sezioni riunite della Corte dei conti possono, con deliberazione motivata, stabilire che singoli atti di notevole rilievo finanziario, individuati per categorie ed amministrazioni statali, siano sottoposti all'esame della Corte per un periodo determinato. La Corte può chiedere il riesame degli atti entro quindici giorni dalla loro ricezione, ferma rimanendone l'esecutività. Le amministrazioni trasmettono gli atti adottati a seguito del riesame alla Corte dei conti, che ove rilevi illegittimità, ne dà avviso al Ministro (21).

4. La Corte dei conti svolge, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. Accerta, anche in base all'esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa. La Corte definisce annualmente i programmi e i criteri di riferimento del controllo sulla base delle priorità previamente deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari a norma dei rispettivi regolamenti, anche tenendo conto, ai fini di referto per il coordinamento del sistema di finanza pubblica, delle relazioni redatte dagli organi, collegiali o monocratici, che esercitano funzioni di controllo o vigilanza su amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti o società a prevalente capitale pubblico (22) (23).

5. Nei confronti delle amministrazioni regionali, il controllo della gestione concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di princìpio e di programma (24).

6. La Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure conseguenzialmente adottate (25) (26).

7. Restano ferme, relativamente agli enti locali, le disposizioni di cui al decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché, relativamente agli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, le disposizioni della legge 21 marzo 1958, n. 259 . Le relazioni della Corte contengono anche valutazioni sul funzionamento dei controlli interni (27).

8. Nell'esercizio delle attribuzioni di cui al presente articolo, la Corte dei conti può richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti. Si applica il comma 4 dell'articolo 2 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 . Può richiedere alle amministrazioni pubbliche non territoriali il riesame di atti ritenuti non conformi a legge. Le amministrazioni trasmettono gli atti adottati a seguito del riesame alla Corte dei conti, che, ove rilevi illegittimità, ne dà avviso all'organo generale di direzione. È fatta salva, in quanto compatibile con le disposizioni della presente legge, la disciplina in materia di controlli successivi previsti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 , e successive modificazioni, e dal decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39 , nonché dall'articolo 166 della legge 11 luglio 1980, n. 312 (28) (29).

9. Per l'esercizio delle attribuzioni di controllo, si applicano, in quanto compatibili con le disposizioni della presente legge, le norme procedurali di cui al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 , e successive modificazioni (30).

10. La sezione del controllo è composta dal presidente della Corte dei conti che la presiede, dai presidenti di sezione preposti al coordinamento e da tutti i magistrati assegnati a funzioni di controllo. La sezione è ripartita annualmente in quattro collegi dei quali fanno parte, in ogni caso, il presidente della Corte dei conti e i presidenti di sezione preposti al coordinamento. I collegi hanno distinta competenza per tipologia di controllo o per materia e deliberano con un numero minimo di undici votanti. L'adunanza plenaria è presieduta dal presidente della Corte dei conti ed è composta dai presidenti di sezione preposti al coordinamento e da trentacinque magistrati assegnati a funzioni di controllo, individuati annualmente dal Consiglio di presidenza in ragione di almeno tre per ciascun collegio della sezione e uno per ciascuna delle sezioni di controllo sulle amministrazioni delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano. L'adunanza plenaria delibera con un numero minimo di ventuno votanti (31).

10-bis. La sezione del controllo in adunanza plenaria stabilisce annualmente i programmi di attività e le competenze dei collegi, nonché i criteri per la loro composizione da parte del presidente della Corte dei conti (32).

11. Ferme restando le ipotesi di deferimento previste dall'articolo 24 del citato testo unico delle leggi sulla Corte dei conti come sostituito dall'articolo 1 della legge 21 marzo 1953, n. 161 , la sezione del controllo si pronuncia in ogni caso in cui insorge il dissenso tra i competenti magistrati circa la legittimità di atti. Del collegio viene chiamato a far parte in qualità di relatore il magistrato che deferisce la questione alla sezione.

12. I magistrati addetti al controllo successivo di cui al comma 4 operano secondo i previsti programmi annuali, ma da questi possono temporaneamente discostarsi, per motivate ragioni, in relazione a situazioni e provvedimenti che richiedono tempestivi accertamenti e verifiche, dandone notizia alla sezione del controllo.

13. Le disposizioni del comma 1 non si applicano agli atti ed ai provvedimenti emanati nelle materie monetaria, creditizia, mobiliare e valutaria.

 

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(16)  Lettera abrogata dall'art. 43, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e dall'art. 72, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

(17)  Lettera così modificata dall'art. 49, comma 1, L. 23 dicembre 2000, n. 388.

(18)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(19)  Comma così sostituito dall'art. 2, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione. Vedi, anche, l'art. 3, D.L. 16 settembre 1999, n. 324. L'ultimo periodo è stato soppresso dall'art. 27, L. 24 novembre 2000, n. 340.

(20)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(21)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(22)  Comma così modificato prima dall'art. 2, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, poi dal comma 473 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296 ed infine dal comma 65 dell'art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244. Vedi, anche, la deliberazione Corte dei conti 13 giugno 1997, sull'organizzazione di collegi regionali di controllo.

(23)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(24)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(25)  Comma così modificato dal comma 172 dell'art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266. Vedi, anche, il comma 7 dell'art. 7, L. 5 giugno 2003, n. 131, come modificato dal comma 60 dell'art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(26)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(27)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(28) Vedi, anche, il comma 6 dell'art. 11, L. 4 marzo 2009, n. 15.

(29)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(30)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

(31)  L'art. 5, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, ha così sostituito il comma 10 ed ha aggiunto il comma 10-bis.

(32)  L'art. 5, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, ha così sostituito il comma 10 ed ha aggiunto il comma 10-bis.

 

Art. 4.

Autonomia finanziaria.

1. La Corte dei conti delibera con regolamento le norme concernenti l'organizzazione, il funzionamento, la struttura dei bilanci e la gestione delle spese (33).

2. A decorrere dall'anno 1995, la Corte dei conti provvede all'autonoma gestione delle spese nei limiti di un fondo iscritto in un unico capitolo dello stato di previsione della spesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il bilancio preventivo e il rendiconto della gestione finanziaria sono trasmessi ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

 

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(33)  Per il regolamento concernente la disciplina dell'autonomia finanziaria della Corte dei conti vedi la Del.C.C. 13 gennaio 1998. Per il regolamento concernente l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti vedi la Del.C.C. 16 giugno 2000, n. 14/DEL/2000.

 

Art. 5.

Segreterie delle sezioni riunite e della procura generale.

1. Alla segreteria delle sezioni riunite e della procura generale è preposto rispettivamente un dirigente generale di livello C.

 

Art. 6.

Applicazione alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome.

1. Le disposizioni della presente legge costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. I princìpi da esse desumibili costituiscono altresì, per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (34).

 

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(34)  La Corte costituzionale, con sentenza 12-27 gennaio 1995, n. 29 (Gazz. Uff. 1 febbraio 1995, n. 5, Serie speciale):

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quinto comma, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato, inoltre, non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- art. 3, commi sesto, ottavo e nono, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 97 e 125, primo comma, della Costituzione;

- art. 3, ottavo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale (L.cost. 26 febbraio 1948, n. 4);

- art. 3, primo, secondo e terzo comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, per violazione degli artt. 3, 100 e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 2, lettere a) ed f), 3, lettera f), 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,11, 43, 44, 45 e 46 dello Statuto speciale della Valle d'Aosta;

- art. 3, quarto e quinto comma, sollevate dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 29, 44, 45 e 46 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, quarto e ottavo comma, sollevata, in riferimento all'art. 58 della L.cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione Friuli-Venezia Giulia;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma, sollevate, in riferimento agli artt. 100, secondo comma, 117, 118, primo comma, 119 e 125 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna;

- art. 3, quarto comma, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 1), del proprio Statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 128 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto comma, ultima proposizione, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 4 del proprio Statuto speciale, dalla Regione Valle d'Aosta e, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, sesto comma, prima proposizione, sollevata, in riferimento all'art. 125, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto;

- art. 3, quarto e settimo comma, sollevata dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 43 del proprio Statuto speciale;

- art. 3, commi quarto, quinto, sesto e ottavo, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in riferimento all'art. 13, primo comma, del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616;

- art. 6, prima proposizione, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna e Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché, limitatamente al Veneto, anche agli artt. 97 e 125 della Costituzione;

- art. 6, seconda proposizione, sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, con riferimento, l'una, agli artt. 2 e 4 e, l'altra, all'art. 58 dei rispettivi Statuti speciali;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e ottavo comma sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 130 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna. La Corte costituzionale, con successiva sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 470 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, sollevata per contrasto con l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della Costituzione stessa.

 

Art. 7.

Consiglio di presidenza.

1. I componenti del consiglio di presidenza della Corte dei conti nominati dai Presidenti delle Camere decadono dal loro mandato alla scadenza prevista dalla legge e non possono essere né prorogati, né confermati.

 

Art. 8.

Sanatoria ed entrata in vigore.

1. Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati, nonché le attività poste in essere e le pronunce giurisdizionali rese, e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge 8 marzo 1993, n. 54, 15 maggio 1993, n. 143, 17 luglio 1993, n. 232, 14 settembre 1993, n. 359, e 15 novembre 1993, n. 453 (35).

2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

 

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(35)  I decreti-legge 8 marzo 1993, n. 54, 15 maggio 1993, n. 143, 17 luglio 1993, n. 232, e 14 settembre 1993, n. 359, non sono stati convertiti in legge. Il D.L. 15 novembre 1993, n. 453.

 

 


D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509.
Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 , in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 23 agosto 1994, n. 196.

(2)  Vedi, anche, l'art. 59, comma 20, L. 27 dicembre 1997, n. 449 e l'art. 1, D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Visto l'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 30 marzo 1994;

Acquisito il parere delle commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 29 giugno 1994;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri del tesoro e per la funzione pubblica;

 

Emana il seguente decreto legislativo:

 

Art. 1.

Enti privatizzati.

1. Gli enti di cui all'elenco A allegato al presente decreto legislativo sono trasformati, a decorrere dal 1° gennaio 1995, in associazioni o in fondazioni con deliberazione dei competenti organi di ciascuno di essi, adottata a maggioranza qualificata dei due terzi dei propri componenti, a condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario.

2. Gli enti trasformati continuano a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumono la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del codice civile e secondo le disposizioni di cui al presente decreto, rimanendo titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni. Gli atti di trasformazione e tutte le operazioni connesse sono esenti da imposte e tasse.

3. Gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione. Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali (4).

4. Contestualmente alla deliberazione di cui al comma 1, gli enti adottano lo statuto ed il regolamento, che debbono essere approvati ai sensi dell'art. 3, comma 2, ed ispirarsi ai seguenti criteri:

a) trasparenza nei rapporti con gli iscritti e composizione degli organi collegiali, fermi restando i vigenti criteri di composizione degli organi stessi, così come previsti dagli attuali ordinamenti (5);

b) determinazione dei requisiti per l'esercizio dell'attività istituzionale, con particolare riferimento all'onorabilità e professionalità dei componenti degli organi collegiali e, comunque, dei responsabili dell'associazione o fondazione. Tale professionalità è considerata esistente qualora essa costituisca un dato caratterizzante l'attività professionale della categoria interessata;

c) previsione di una riserva legale, al fine di assicurare la continuità nell'erogazione delle prestazioni, in misura non inferiore a cinque annualità dell'importo delle pensioni in essere. Ferme restando le riserve tecniche esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, all'eventuale adeguamento di esse si provvede, nella fase di prima applicazione, mediante accantonamenti pari ad una annualità per ogni biennio (6).

 

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(4)  La Corte costituzionale, con sentenza 18-18 luglio 1997, n. 248 (Gazz. Uff. 23 luglio 1997, n. 30, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, sollevata in riferimento agli artt. 3, 18 e 38 della Costituzione. Successivamente la stessa Corte, con ordinanza 26 maggio-3 giugno 1999, n. 214 (Gazz. Uff. 9 giugno 1999, n. 23, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 18 e 38 della Costituzione.

(5)  La Corte costituzionale, con sentenza 27 gennaio-5 febbraio 1999, n. 15 (Gazz. Uff. 10 febbraio 1999, n. 6, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 4, lettera a), sollevata in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

(6) Vedi, anche, il comma 10-ter dell'art. 1, D.L. 23 ottobre 2008, n. 162, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 2.

Gestione.

1. Le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta.

2. La gestione economico-finanziaria deve assicurare l'equilibrio di bilancio mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale.

3. I rendiconti annuali delle associazioni o fondazioni di cui all'art. 1 sono sottoposti a revisione contabile indipendente e a certificazione da parte dei soggetti in possesso dei requisiti per l'iscrizione al registro di cui all'art. 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88 .

4. In caso di disavanzo economico-finanziario, rilevato dai rendiconti annuali e confermato anche dal bilancio tecnico di cui al comma 2, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri di cui all'art. 3, comma 1, si provvede alla nomina di un commissario straordinario, il quale adotta i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione. Sino al ristabilimento dell'equilibrio finanziario sono sospesi tutti i poteri degli organi di amministrazione delle associazioni e delle fondazioni.

5. In caso di persistenza dello stato di disavanzo economico e finanziario dopo tre anni dalla nomina del commissario, ed accertata l'impossibilità da parte dello stesso di poter provvedere al riequilibrio finanziario dell'associazione o della fondazione, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri di cui all'art. 3, comma 1, è nominato un commissario liquidatore al quale sono attribuiti i poteri previsti dalle vigenti norme in materia di liquidazione coatta, in quanto applicabili.

6. Nel caso in cui gli organi di amministrazione e di rappresentanza si rendessero responsabili di gravi violazioni di legge afferenti la corretta gestione dell'associazione o della fondazione, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri di cui all'art. 3, comma 1, nomina un commissario straordinario con il compito di salvaguardare la corretta gestione dell'ente e, entro sei mesi dalla sua nomina, avvia e conclude la procedura per rieleggere gli amministratori dell'ente stesso, così come previsto dallo statuto.

 

Art. 3.

Vigilanza.

1. La vigilanza sulle associazioni o fondazioni di cui all'art. 1 è esercitata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero del tesoro, nonché dagli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati ai sensi dell'art. 1, comma 1. Nei collegi dei sindaci deve essere assicurata la presenza di rappresentanti delle predette Amministrazioni.

2. Nell'esercizio della vigilanza il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministeri di cui al comma 1, approva i seguenti atti:

a) lo statuto e i regolamenti, nonché le relative integrazioni o modificazioni;

b) le delibere in materia di contributi e prestazioni, sempre che la relativa potestà sia prevista dai singoli ordinamenti vigenti. Per le forme di previdenza sostitutive dell'assicurazione generale obbligatoria le delibere sono adottate sulla base delle determinazioni definite dalla contrattazione collettiva nazionale.

3. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di intesa con i Ministeri di cui al comma 1, può formulare motivati rilievi su: i bilanci preventivi e i conti consuntivi; le note di variazione al bilancio di previsione; i criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti così come sono indicati in ogni bilancio preventivo; le delibere contenenti criteri direttivi generali. Nel formulare tali rilievi il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, d'intesa con i Ministeri di cui al comma 1, rinvia gli atti al nuovo esame da parte degli organi di amministrazione per riceverne una motivata decisione definitiva. I suddetti rilievi devono essere formulati per i bilanci consuntivi entro sessanta giorni dalla data di ricezione e entro trenta giorni dalla data di ricezione, per tutti gli altri atti di cui al presente comma. Trascorsi detti termini ogni atto relativo diventa esecutivo.

4. All'atto della trasformazione in associazione o fondazione dell'ente privatizzato, continuerà ad operare la disciplina della contribuzione previdenziale prevista in materia dai singoli ordinamenti.

5. La Corte dei conti esercita il controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie, per assicurare la legalità e l'efficacia, e riferisce annualmente al Parlamento.

 

Art. 4.

Albo.

1. È istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale l'albo delle associazioni e delle fondazioni che gestiscono attività di previdenza ed assistenza. Nell'albo sono iscritte di diritto le associazioni e le fondazioni di cui all'art. 1, comma 1.

2. Entro un anno dall'avvenuta trasformazione prevista dall'art. 1, i lavoratori già iscritti agli istituti, tra quelli di cui all'allegato A, gestori di forme assicurative in regime sostitutivo dell'assicurazione generale obbligatoria, possono optare per l'iscrizione a detta assicurazione, con facoltà di trasferimento della posizione assicurativa maturata presso gli istituti di provenienza (7).

 

 

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(7)  Con D.M. 2 maggio 1996, n. 337, è stato approvato il regolamento per l'istituzione dell'albo delle associazioni e delle fondazioni che gestiscono attività di previdenza ed assistenza.

 

Art. 5.

Personale.

1. Entro tre mesi dalla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, ovvero dalla sua sottoscrizione, il personale degli enti di cui all'elenco A può optare per la permanenza nel pubblico impiego. Ad esso si applicano le norme della legge 24 dicembre 1993, n. 537 , e del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 , e successive modificazioni (8).

2. Fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, al personale delle associazioni e fondazioni si applica il trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. Il dipendente addetto all'ufficio legale dell'ente all'atto di trasformazione in persona giuridica privata, conserva l'iscrizione nell'apposito elenco speciale degli avvocati e procuratori se e fino a quando duri il rapporto di lavoro e la collocazione presso l'ufficio legale predetto (9).

3. Continuano ad essere attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a questioni attinenti al periodo di lavoro svoltosi anteriormente alla data di trasformazione dell'ente.

 

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(8)  Comma così sostituito dall'art. 9, D.L. 1° ottobre 1996, n. 510.

(9)  Periodo aggiunto dall'art. 9, D.L. 1° ottobre 1996, n. 510.

 

 

Elenco A

 

ENTI GESTORI DI FORME DI PREVIDENZA E ASSISTENZA OBBLIGATORIE DA TRASFORMARE IN PERSONE GIURIDICHE PRIVATE.

 

Cassa nazionale di previdenza e assistenza avvocati e procuratori legali.

Cassa di previdenza tra dottori commercialisti.

Cassa nazionale previdenza e assistenza geometri.

Cassa nazionale previdenza e assistenza ingegneri e architetti liberi professionisti.

Cassa nazionale del notariato.

Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali.

Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio (ENASARCO).

Ente nazionale di previdenza e assistenza consulenti del lavoro (ENPACL).

Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (ENPAM).

Ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti (ENPAF).

Ente nazionale di previdenza e assistenza veterinari (ENPAV).

Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati dell'agricoltura (ENPAIA).

Fondo di previdenza per gli impiegati delle imprese di spedizione e agenzie marittime.

Istituto nazionale di previdenza dirigenti aziende industriali (INPDAI).

Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI).

Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (ONAOSI).

 


L. 8 agosto 1995, n. 335.
Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare
(art. 2, co. 26)

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 16 agosto 1995, n. 190, S.O.

(2)  L'art. 1, L. 8 agosto 1996, n. 417 (Gazz. Uff. 12 agosto 1996, n. 188) ha differito i termini per l'esercizio delle deleghe normative previste dalla presente legge al 30 aprile 1997. Vedi, anche, l'art. 59, L. 27 dicembre 1997, n. 449, nonché l'art. 45, L. 17 maggio 1999, n. 144.

(omissis)

Art. 2. 

Armonizzazione.

(omissis)

Comma 26. A decorrere dal 1° gennaio 1996, sono tenuti all'iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l'INPS, e finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 , e successive modificazioni ed integrazioni, nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell'articolo 49 del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui all'articolo 36 della legge 11 giugno 1971, n. 426 . Sono esclusi dall'obbligo i soggetti assegnatari di borse di studio, limitatamente alla relativa attività (57).

(omissis)

 

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(57)  Vedi l'art. 1, commi 212 e 213, L. 23 dicembre 1996, n. 662. Per la misura del contributo alla gestione separata, vedi l'art. 59, comma 16, L. 27 dicembre 1997, n. 449 e l'art. 45, D.L. 30 settembre 2003, n. 269. Vedi, inoltre, l'art. 58, L. 17 maggio 1999, n. 144. Per l'incremento dell'aliquota di finanziamento e dell'aliquota di computo della pensione, per gli iscritti alla gestione previdenziale di cui al presente comma, vedi il comma 6 dell'art. 44, L. 27 dicembre 2002, n. 289. Vedi, anche, il comma 6 dell'art. 1, L. 23 agosto 2004, n. 243, i commi 770, 772 e 788 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296 e i commi 10 e 79 dell'art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 247.

 


D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103.
Attuazione della delega conferita dall'art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di tutela previdenziale obbligatoria dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 2 marzo 1996, n. 52, S.O.

(2)  Vedi, anche, l'art. 1, D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 e il comma 10-ter dell'art. 1, D.L. 23 ottobre 2008, n. 162, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Visto l'art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 dicembre 1995;

Acquisito il parere delle commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 9 febbraio 1996;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro del tesoro e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale;

 

Emana il seguente decreto legislativo:

 

Art. 1.

Estensione della tutela pensionistica ai liberi professionisti.

1. Il presente decreto legislativo, in attuazione della delega conferita ai sensi dell'art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335, assicura, a decorrere dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale obbligatoria ai soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è condizionato all'iscrizione in appositi albi o elenchi.

2. Le norme di cui al presente decreto si applicano anche ai soggetti, appartenenti alle categorie professionali di cui al comma 1, che esercitano attività libero-professionale, ancorché contemporaneamente svolgano attività di lavoro dipendente.

 

Art. 2.

Prestazioni. Sistema di calcolo.

1. Ai soggetti di cui all'art. 1 è attribuito il diritto ai trattamenti pensionistici per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, ai sensi ed in conformità alle norme del presente decreto.

2. Ai fini della determinazione delle prestazioni di cui al comma 1 si applica, indipendentemente dalla forma gestoria prescelta ai sensi dell'art. 3, comma 1, dagli organi statutari competenti, il sistema di calcolo contributivo, previsto dall'art. 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335, con aliquota di finanziamento non inferiore a quella di computo, e secondo le modalità attuative previste dal regolamento di cui all'art. 6, comma 4.

3. Prestazioni pensionistiche di natura complementare possono essere istituite in favore dei soggetti di cui all'art. 1 ai sensi ed in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 , e successive modificazioni e integrazioni.

 

Art. 3.

Forme gestorie.

1. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, gli enti esponenziali a livello nazionale degli enti abilitati alla tenuta di albi od elenchi provvedono a deliberare con la maggioranza dei componenti dell'organo statutario competente, ove previsto, alternativamente:

a) la partecipazione all'ente pluricategoriale di cui all'art. 4, avente configurazione di diritto privato secondo il modello delineato dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 , in cui convergano anche altre categorie alle quali appartengono i soggetti di cui all'art. 1;

b) la costituzione di un ente di categoria, avente la medesima configurazione di diritto privato di cui alla lettera a), alla condizione che lo stesso sia destinato ad operare per un numero di soggetti non inferiore a 8.000 iscritti; la relativa delibera deve essere assunta con la maggioranza dei due terzi dei componenti dell'organo statutario competente;

c) l'inclusione della categoria professionale per la quale essi sono istituiti, in una delle forme di previdenza obbligatorie già esistenti per altra categoria professionale similare, per analogia delle prestazioni e del settore professionale, compresa fra quelle di cui all'elenco allegato al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 , a condizione che abbia conseguito la natura di persona giuridica privata;

d) l'inclusione della categoria nella forma di previdenza obbligatoria di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335.

2. Nel caso di mancata adozione delle delibere di cui al comma 1, i soggetti appartenenti alle categorie professionali interessate sono inseriti nella gestione di cui al comma 1, lettera d).

 

Art. 4.

Ente pluricategoriale.

1. Con la delibera adottata ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera a), l'ente esponenziale designa un proprio componente effettivo e un componente supplente destinati a far parte del comitato fondatore di cui al comma 2.

2. Il comitato fondatore è insediato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale entro dieci giorni dalla comunicazione delle designazioni ed è composto dai delegati designati ai sensi del comma 1 e dai delegati designati ai sensi dell'art. 5, comma 3, lettera a), e dell'art. 7, comma 2, ultimo periodo. Il comitato fondatore, verificato che l'ente è destinato ad operare per un numero di soggetti non inferiore a 5.000 iscritti, predispone, entro trenta giorni, un piano finanziario ed attuariale che dimostri la consistenza della forma prescelta secondo i parametri della composizione anagrafica e della capacità reddituale media degli iscritti alla categoria.

3. Le delibere adottate ai sensi degli articoli 3, comma 1, lettera a), 5, comma 3, lettera a), e 7, comma 2, corredate dal piano finanziario di cui al comma 2, sono trasmesse contestualmente, per l'approvazione, entro i successivi dieci giorni al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che provvede, d'intesa con il Ministero del tesoro, entro trenta giorni dal ricevimento, dandone notizia entro dieci giorni successivi al comitato fondatore. A seguito dell'approvazione della delibera di costituzione e del relativo piano finanziario ed attuariale, il comitato fondatore elabora lo statuto e il regolamento dell'ente in base ai princìpi e criteri di cui all'art. 6.

4. Nel caso in cui non ricorra il requisito numerico di cui al comma 2 ovvero non intervenga l'approvazione di cui al comma 3, trova applicazione quanto previsto dall'art. 3, comma 2, in ordine all'inserimento delle categorie professionali interessate nella gestione ivi citata.

 

Art. 5.

Ente gestore di categoria.

1. La delibera di costituzione assunta ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b), è accompagnata da un piano finanziario e attuariale avente i contenuti di cui all'art. 4, comma 2. La delibera di costituzione e il piano sono trasmessi entro dieci giorni, per l'approvazione, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che provvede, d'intesa con il Ministero del tesoro, entro trenta giorni dal ricevimento degli atti.

2. A seguito dell'approvazione ai sensi del comma 1 della delibera di costituzione e del relativo piano finanziario ed attuariale, l'ente esponenziale elabora lo statuto e il regolamento dell'ente gestore in base ai princìpi e criteri di cui all'art. 6.

3. In caso di mancata approvazione da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, gli organi statutari deliberano, entro i trenta giorni successivi alla comunicazione del diniego, alternativamente:

a) per la partecipazione all'ente gestore pluricategoriale, di cui all'art. 4. In tale ipotesi la delibera deve contenere la designazione di un componente effettivo e di un componente supplente destinato a far parte del comitato fondatore di cui all'art. 4, comma 2. La delibera deve essere trasmessa immediatamente agli altri enti esponenziali di cui all'art. 3, che abbiano optato per la partecipazione all'ente di cui all'art. 3, comma 1, lettera a), nonché al Ministero del lavoro e della previdenza sociale;

b) per l'inclusione nella forma previdenziale obbligatoria di cui all'art. 3, comma 1, lettera d).

4. In caso di mancata adozione della delibera di cui al comma 3, i soggetti appartenenti alle categorie professionali interessate sono inseriti nella gestione di cui al decreto attuativo dell'art. 2, comma 26 e seguenti, della legge 8 agosto 1995, n. 335 .

 

Art. 6.

Atto istitutivo, statuto e regolamento degli enti.

1. Gli enti di cui agli articoli 4 e 5 assumono natura di fondazione. Lo statuto deve contenere, oltre agli elementi di cui all'art. 16 del codice civile:

a) la determinazione delle modalità di iscrizione obbligatoria dei soggetti di cui all'art. 1;

b) i criteri di composizione dell'organo di amministrazione dell'ente; nel caso dell'ente di cui all'art. 4 deve essere prevista la nomina di un componente per ogni categoria professionale interessata incrementato, per le categorie i cui iscritti all'ente gestore superino il numero di 10.000, di un ulteriore componente per ogni 5.000 iscritti e comunque fino ad un massimo di quattro componenti, nonché le modalità di designazione di detti componenti da parte di ciascuno degli enti esponenziali;

c) la costituzione di un organo di indirizzo generale, composto da un numero di membri elettivi corrispondente al rapporto di uno ogni mille iscritti all'ente gestore, con arrotondamenti all'unità intera per ogni frazione inferiore a mille. Nel caso dell'ente di cui all'art. 4 il predetto rapporto è riferito ad ogni singola categoria professionale interessata.

2. Nel caso dell'ente pluricategoriale di cui all'art. 4, lo statuto deve inoltre contenere:

a) l'adozione di un sistema di evidenza contabile dei flussi delle contribuzioni e delle prestazioni relativi a ciascuna categoria, al fine di prevedere eventuali manovre di riequilibrio interessanti singole categorie;

b) la costituzione di comitati dei delegati, composti ciascuno di tre membri, per ciascuna delle categorie professionali interessate, con funzioni di impulso nei confronti dell'organo di amministrazione e di indirizzo per gli effetti di conservazione dell'equilibrio di cui alla lettera a).

3. I componenti degli organi di cui al comma 1, lettere b) e c), e comma 2, lettera b), devono essere iscritti all'ente gestore, con esclusione degli iscritti di cui all'art. 1, comma 2, nel caso di ente pluricategoriale.

4. Allo statuto deve essere allegato un regolamento che definisca:

a) le modalità di identificazione dei soggetti tenuti alla obbligatoria iscrizione;

b) la misura dei contributi in proporzione al reddito professionale fiscalmente dichiarato o accertato, secondo un'aliquota non inferiore, in fase di prima applicazione, a quella vigente all'atto di entrata in vigore del presente decreto per la gestione di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 , con la fissazione, in caso di ente di cui all'art. 4, di un'aliquota di solidarietà; l'aliquota contributiva ai fini previdenziali, ferma la totale deducibilità fiscale del contributo, può essere modulata anche in misura differenziata, con facoltà di opzione degli iscritti (4);

c) la fissazione di una misura minima del contributo annuale.

5. L'atto istitutivo degli enti di cui agli articoli 4 e 5 è adottato con atto pubblico ai sensi dell'art. 14 del codice civile ad iniziativa, rispettivamente, del comitato fondatore e dell'ente esponenziale. A seguito dell'approvazione dello statuto e del regolamento l'ente consegue la personalità giuridica per effetto di apposito decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro.

6. Con decreti del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, possono essere previsti, anche sulla base delle indicazioni del Nucleo di cui all'art. 1, comma 44, della legge 8 agosto 1995, n. 335 , ulteriori elementi dello statuto e del regolamento di cui al presente articolo. Con le stesse modalità sono emanate specifiche disposizioni in materia di iscrizione ai nuovi enti per i soggetti in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia, anche in analogia a quanto previsto ai sensi del decreto ministeriale, di cui all'art. 2, comma 32, della legge 8 agosto 1995, n. 335 .

7. Agli enti di cui agli articoli 4 e 5 e alle relative forme di previdenza obbligatorie si applicano, per quanto non diversamente disposto dal presente decreto, le disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 , e successive modificazioni e integrazioni, con particolare riferimento al divieto di finanziamenti pubblici diretti e indiretti ai sensi dell'art. 1, comma 3, alle disposizioni in materia di gestione e di vigilanza.

 

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(4)  Lettera così modificata dal comma 37 dell'art. 1, L. 23 agosto 2004, n. 243.

 

Art. 7.

Modalità per l'inclusione in altra forma obbligatoria.

1. La delibera adottata ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera c), deve essere accompagnata dalla delibera di assenso all'inclusione effettuata, con maggioranza di due terzi dei componenti, dall'organo competente per le modifiche statutarie dell'ente previdenziale destinato ad includere la nuova categoria professionale. La delibera di assenso, corredata da un piano finanziario ed attuariale avente i contenuti di cui all'art. 4, comma 2, deve prevedere:

a) il riassetto organizzativo dell'ente, anche al fine di consentire un'adeguata rappresentanza nei propri organi statutari della categoria professionale inclusa;

b) la previsione di una specifica gestione separata per la categoria professionale inclusa.

2. La delibera adottata ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera c), e la relativa delibera di assenso di cui al comma 1 sono trasmesse entro dieci giorni, per l'approvazione, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che provvede, d'intesa con il Ministero del tesoro, entro trenta giorni dal ricevimento. Nell'ipotesi di mancata approvazione, trovano applicazione le disposizioni di cui all'art. 5, comma 3.

3. In caso di mancata adozione della delibera ai sensi del comma 2, i soggetti appartenenti alle categorie professionali interessate sono inseriti nella gestione di cui al decreto attuativo dell'art. 2, comma 26 e seguenti, della legge 8 agosto 1995, n. 335 .

 

Art. 8.

Obblighi di comunicazione: contribuzione a carico degli iscritti.

1. Gli enti cui è affidata la tenuta degli albi e degli elenchi degli esercenti l'attività libero-professionale di cui all'art. 1 sono tenuti a trasmettere alle corrispondenti forme gestorie di cui all'art. 3 l'elenco dei nominativi degli iscritti, corredato dei dati anagrafici ed identificativi della condizione professionale.

2. Gli iscritti agli albi o elenchi di cui al comma 1, che si trovano nella condizione di cui all'art. 1, sono tenuti a presentare domanda di iscrizione alla gestione o ente previdenziale secondo le modalità rispettivamente previste per esse e ad effettuare i relativi adempimenti contributivi, ivi compreso il contributo integrativo a carico dell'utenza, nelle misure e alle scadenze stabilite.

3. Il contributo integrativo a carico di coloro che si avvalgono delle attività professionali degli iscritti è fissato nella misura del 2 per cento del fatturato lordo ed è riscosso direttamente dall'iscritto medesimo all'atto del pagamento previa evidenziazione del relativo importo sulla fattura.

 

Art. 9.

Norme transitorie e finali.

1. In attesa dell'espletamento delle procedure per la nomina degli organi statutari previsti dagli articoli 4 e 5 e fino al loro insediamento, le funzioni di gestione dell'ente sono affidate, rispettivamente, al comitato fondatore e all'ente esponenziale che provvedono immediatamente all'attivazione delle procedure di cui ai medesimi articoli.

2. Il contributo per l'anno 1996 è versato agli enti di cui agli articoli 4 e 5 con le modalità di prima applicazione che verranno diramate, rispettivamente, dal comitato fondatore e dall'ente esponenziale; la rata di acconto è comunque definita nella misura del 6 per cento del reddito presumibile assunto a base dell'acconto di imposta al novembre 1996, ed è versata entro il 30 novembre 1996 su apposito conto dell'ente; il versamento a saldo per il 1996 è dovuto al 31 maggio 1997.

3. Nei casi di inclusione ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 3, commi 1, lettera d), e 2, all'art. 4, comma 4, e all'art. 5, comma 3, lettera b), il relativo obbligo contributivo decorre dalla data del 1° gennaio 1996. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, ai sensi dell'art. 2, comma 32, della legge 8 agosto 1995, n. 335 , sono definite le conseguenti modalità di integrazione dell'assetto organizzativo e funzionale della gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della citata legge n. 335 del 1995 .

 


L. 15 maggio 1997, n. 127.
Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo
(art. 17, co. 95)

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 17 maggio 1997, n. 113, S.O.

(omissis)

Art. 17.

Ulteriori disposizioni in materia di semplificazione dell'attività amministrativa e di snellimento dei procedimenti di decisione e di controllo.

(omissis)

Comma 95. L'ordinamento degli studi dei corsi universitari, con esclusione del dottorato di ricerca, è disciplinato dagli atenei, con le modalità di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341 , in conformità a criteri generali definiti, nel rispetto della normativa comunitaria vigente in materia, sentiti il Consiglio universitario nazionale e le Commissioni parlamentari competenti, con uno o più decreti del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con altri Ministri interessati, limitatamente ai criteri relativi agli ordinamenti per i quali il medesimo concerto è previsto alla data di entrata in vigore della presente legge, ovvero da disposizioni dei commi da 96 a 119 del presente articolo. I decreti di cui al presente comma determinano altresì (194):

a) con riferimento ai corsi di cui al presente comma, accorpati per aree omogenee, la durata, anche eventualmente comprensiva del percorso formativo già svolto, l'eventuale serialità dei predetti corsi e dei relativi titoli, gli obiettivi formativi qualificanti, tenendo conto degli sbocchi occupazionali e della spendibilità a livello internazionale, nonché la previsione di nuove tipologie di corsi e di titoli universitari, in aggiunta o in sostituzione a quelli determinati dagli articoli 1, 2, 3, comma 1 e 4, comma 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341, anche modificando gli ordinamenti e la durata di quelli di cui al decreto legislativo 8 maggio 1998, n. 178, in corrispondenza di attività didattiche di base, specialistiche, di perfezionamento scientifico, di alta formazione permanente e ricorrente (195);

b) modalità e strumenti per l'orientamento e per favorire la mobilità degli studenti, nonché la più ampia informazione sugli ordinamenti degli studi, anche attraverso l'utilizzo di strumenti informatici e telematici;

c) modalità di attivazione da parte di università italiane, in collaborazione con atenei stranieri, dei corsi universitari di cui al presente comma, nonché di dottorati di ricerca, anche in deroga alle disposizioni di cui al Capo II del Titolo III del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 .

(omissis)

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(194)  Alinea così modificato dall'art. 6, L. 19 ottobre 1999, n. 370. Con D.M. 22 ottobre 2004, n. 270, è stato emanato il regolamento contenente le norme relative all'autonomia didattica degli atenei.

(195)  Lettera prima sostituita dall'art. 1, comma 15, L. 14 gennaio 1999, n. 4 e poi così modificata dall'art. 6, L. 19 ottobre 1999, n. 370.


L. 15 marzo 1997, n. 59.
Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa
(art. 20)

 

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 17 marzo 1997, n. 63, S.O.

(omissis)

 

Capo III

 

Art. 20. 

1. Il Governo, sulla base di un programma di priorità di interventi, definito, con deliberazione del Consiglio dei Ministri, in relazione alle proposte formulate dai Ministri competenti, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro la data del 30 aprile, presenta al Parlamento, entro il 31 maggio di ogni anno, un disegno di legge per la semplificazione e il riassetto normativo, volto a definire, per l'anno successivo, gli indirizzi, i criteri, le modalità e le materie di intervento, anche ai fini della ridefinizione dell'area di incidenza delle pubbliche funzioni con particolare riguardo all'assetto delle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali. In allegato al disegno di legge è presentata una relazione sullo stato di attuazione della semplificazione e del riassetto.

2. Il disegno di legge di cui al comma 1 prevede l'emanazione di decreti legislativi, relativamente alle norme legislative sostanziali e procedimentali, nonché di regolamenti ai sensi dell'articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, per le norme regolamentari di competenza dello Stato.

3. Salvi i princìpi e i criteri direttivi specifici per le singole materie, stabiliti con la legge annuale di semplificazione e riassetto normativo, l'esercizio delle deleghe legislative di cui ai commi 1 e 2 si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) definizione del riassetto normativo e codificazione della normativa primaria regolante la materia, previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, reso nel termine di novanta giorni dal ricevimento della richiesta, con determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente;

a-bis) coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo (64);

b) indicazione esplicita delle norme abrogate, fatta salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile;

c) indicazione dei princìpi generali, in particolare per quanto attiene alla informazione, alla partecipazione, al contraddittorio, alla trasparenza e pubblicità che regolano i procedimenti amministrativi ai quali si attengono i regolamenti previsti dal comma 2 del presente articolo, nell'àmbito dei princìpi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni;

d) eliminazione degli interventi amministrativi autorizzatori e delle misure di condizionamento della libertà contrattuale, ove non vi contrastino gli interessi pubblici alla difesa nazionale, all'ordine e alla sicurezza pubblica, all'amministrazione della giustizia, alla regolazione dei mercati e alla tutela della concorrenza, alla salvaguardia del patrimonio culturale e dell'ambiente, all'ordinato assetto del territorio, alla tutela dell'igiene e della salute pubblica;

e) sostituzione degli atti di autorizzazione, licenza, concessione, nulla osta, permesso e di consenso comunque denominati che non implichino esercizio di discrezionalità amministrativa e il cui rilascio dipenda dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge, con una denuncia di inizio di attività da presentare da parte dell'interessato all'amministrazione competente corredata dalle attestazioni e dalle certificazioni eventualmente richieste;

f) determinazione dei casi in cui le domande di rilascio di un atto di consenso, comunque denominato, che non implichi esercizio di discrezionalità amministrativa, corredate dalla documentazione e dalle certificazioni relative alle caratteristiche tecniche o produttive dell'attività da svolgere, eventualmente richieste, si considerano accolte qualora non venga comunicato apposito provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti in relazione alla complessità del procedimento, con esclusione, in ogni caso, dell'equivalenza tra silenzio e diniego o rifiuto;

g) revisione e riduzione delle funzioni amministrative non direttamente rivolte:

1) alla regolazione ai fini dell'incentivazione della concorrenza;

2) alla eliminazione delle rendite e dei diritti di esclusività, anche alla luce della normativa comunitaria;

3) alla eliminazione dei limiti all'accesso e all'esercizio delle attività economiche e lavorative;

4) alla protezione di interessi primari, costituzionalmente rilevanti, per la realizzazione della solidarietà sociale;

5) alla tutela dell'identità e della qualità della produzione tipica e tradizionale e della professionalità;

h) promozione degli interventi di autoregolazione per standard qualitativi e delle certificazioni di conformità da parte delle categorie produttive, sotto la vigilanza pubblica o di organismi indipendenti, anche privati, che accertino e garantiscano la qualità delle fasi delle attività economiche e professionali, nonché dei processi produttivi e dei prodotti o dei servizi;

i) per le ipotesi per le quali sono soppressi i poteri amministrativi autorizzatori o ridotte le funzioni pubbliche condizionanti l'esercizio delle attività private, previsione dell'autoconformazione degli interessati a modelli di regolazione, nonché di adeguati strumenti di verifica e controllo successivi. I modelli di regolazione vengono definiti dalle amministrazioni competenti in relazione all'incentivazione della concorrenzialità, alla riduzione dei costi privati per il rispetto dei parametri di pubblico interesse, alla flessibilità dell'adeguamento dei parametri stessi alle esigenze manifestatesi nel settore regolato;

l) attribuzione delle funzioni amministrative ai comuni, salvo il conferimento di funzioni a province, città metropolitane, regioni e Stato al fine di assicurarne l'esercizio unitario in base ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza; determinazione dei princìpi fondamentali di attribuzione delle funzioni secondo gli stessi criteri da parte delle regioni nelle materie di competenza legislativa concorrente;

m) definizione dei criteri di adeguamento dell'organizzazione amministrativa alle modalità di esercizio delle funzioni di cui al presente comma;

n) indicazione esplicita dell'autorità competente a ricevere il rapporto relativo alle sanzioni amministrative, ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

3-bis. Il Governo, nelle materie di competenza esclusiva dello Stato, completa il processo di codificazione di ciascuna materia emanando, anche contestualmente al decreto legislativo di riassetto, una raccolta organica delle norme regolamentari regolanti la medesima materia, se del caso adeguandole alla nuova disciplina di livello primario e semplificandole secondo i criteri di cui ai successivi commi (65).

4. I decreti legislativi e i regolamenti di cui al comma 2, emanati sulla base della legge di semplificazione e riassetto normativo annuale, per quanto concerne le funzioni amministrative mantenute, si attengono ai seguenti princìpi:

a) semplificazione dei procedimenti amministrativi, e di quelli che agli stessi risultano strettamente connessi o strumentali, in modo da ridurre il numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni intervenienti, anche riordinando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, sopprimendo gli organi che risultino superflui e costituendo centri interservizi dove ricollocare il personale degli organi soppressi e raggruppare competenze diverse ma confluenti in un'unica procedura, nel rispetto dei princìpi generali indicati ai sensi del comma 3, lettera c), e delle competenze riservate alle regioni;

b) riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti e uniformazione dei tempi di conclusione previsti per procedimenti tra loro analoghi;

c) regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o presso diversi uffici della medesima amministrazione;

d) riduzione del numero di procedimenti amministrativi e accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività;

e) semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, anche mediante l'adozione di disposizioni che prevedano termini perentori, prorogabili per una sola volta, per le fasi di integrazione dell'efficacia e di controllo degli atti, decorsi i quali i provvedimenti si intendono adottati;

f) aggiornamento delle procedure, prevedendo la più estesa e ottimale utilizzazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, anche nei rapporti con i destinatari dell'azione amministrativa (66);

f-bis) generale possibilità di utilizzare, da parte delle amministrazioni e dei soggetti a queste equiparati, strumenti di diritto privato, salvo che nelle materie o nelle fattispecie nelle quali l'interesse pubblico non può essere perseguito senza l'esercizio di poteri autoritativi (67);

f-ter) conformazione ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nella ripartizione delle attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali, nella istituzione di sedi stabili di concertazione e nei rapporti tra i soggetti istituzionali ed i soggetti interessati, secondo i criteri dell'autonomia, della leale collaborazione, della responsabilità e della tutela dell'affidamento (68);

f-quater) riconduzione delle intese, degli accordi e degli atti equiparabili comunque denominati, nonché delle conferenze di servizi, previste dalle normative vigenti, aventi il carattere della ripetitività, ad uno o più schemi base o modelli di riferimento nei quali, ai sensi degli articoli da 14 a 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, siano stabilite le responsabilità, le modalità di attuazione e le conseguenze degli eventuali inadempimenti (69);

f-quinquies) avvalimento di uffici e strutture tecniche e amministrative pubbliche da parte di altre pubbliche amministrazioni, sulla base di accordi conclusi ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni (70).

5. I decreti legislativi di cui al comma 2 sono emanati su proposta del Ministro competente, di concerto con il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per la funzione pubblica, con i Ministri interessati e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e, successivamente, dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti che sono resi entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della richiesta.

6. I regolamenti di cui al comma 2 sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro competente, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, quando siano coinvolti interessi delle regioni e delle autonomie locali, del parere del Consiglio di Stato nonché delle competenti Commissioni parlamentari. I pareri della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato sono resi entro novanta giorni dalla richiesta; quello delle Commissioni parlamentari è reso, successivamente ai precedenti, entro sessanta giorni dalla richiesta. Per la predisposizione degli schemi di regolamento la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ove necessario, promuove, anche su richiesta del Ministro competente, riunioni tra le amministrazioni interessate. Decorsi sessanta giorni dalla richiesta di parere alle Commissioni parlamentari, i regolamenti possono essere comunque emanati.

7. I regolamenti di cui al comma 2, ove non diversamente previsto dai decreti legislativi, entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Con effetto dalla stessa data sono abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei procedimenti.

8. I regolamenti di cui al comma 2 si conformano, oltre ai princìpi di cui al comma 4, ai seguenti criteri e princìpi:

a) trasferimento ad organi monocratici o ai dirigenti amministrativi di funzioni anche decisionali, che non richiedono, in ragione della loro specificità, l'esercizio in forma collegiale, e sostituzione degli organi collegiali con conferenze di servizi o con interventi, nei relativi procedimenti, dei soggetti portatori di interessi diffusi;

b) individuazione delle responsabilità e delle procedure di verifica e controllo;

c) soppressione dei procedimenti che risultino non più rispondenti alle finalità e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legislazione di settore o che risultino in contrasto con i princìpi generali dell'ordinamento giuridico nazionale o comunitario;

d) soppressione dei procedimenti che comportino, per l'amministrazione e per i cittadini, costi più elevati dei benefìci conseguibili, anche attraverso la sostituzione dell'attività amministrativa diretta con forme di autoregolamentazione da parte degli interessati, prevedendone comunque forme di controllo;

e) adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell'attività e degli atti amministrativi ai princìpi della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime concessorio quello autorizzatorio;

f) soppressione dei procedimenti che derogano alla normativa procedimentale di carattere generale, qualora non sussistano più le ragioni che giustifichino una difforme disciplina settoriale;

g) regolazione, ove possibile, di tutti gli aspetti organizzativi e di tutte le fasi del procedimento.

8-bis. Il Governo verifica la coerenza degli obiettivi di semplificazione e di qualità della regolazione con la definizione della posizione italiana da sostenere in sede di Unione europea nella fase di predisposizione della normativa comunitaria, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303. Assicura la partecipazione italiana ai programmi di semplificazione e di miglioramento della qualità della regolazione interna e a livello europeo (71).

9. I Ministeri sono titolari del potere di iniziativa della semplificazione e del riassetto normativo nelle materie di loro competenza, fatti salvi i poteri di indirizzo e coordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che garantisce anche l'uniformità e l'omogeneità degli interventi di riassetto e semplificazione. La Presidenza del Consiglio dei Ministri garantisce, in caso di inerzia delle amministrazioni competenti, l'attivazione di specifiche iniziative di semplificazione e di riassetto normativo.

10. Gli organi responsabili di direzione politica e di amministrazione attiva individuano forme stabili di consultazione e di partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza delle categorie economiche e produttive e di rilevanza sociale, interessate ai processi di regolazione e di semplificazione.

11. I servizi di controllo interno compiono accertamenti sugli effetti prodotti dalle norme contenute nei regolamenti di semplificazione e di accelerazione dei procedimenti amministrativi e possono formulare osservazioni e proporre suggerimenti per la modifica delle norme stesse e per il miglioramento dell'azione amministrativa (72).

 

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(64)  Lettera aggiunta dall'art. 1, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(65)  Comma aggiunto dall'art. 1, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(66)  Le attuali lettere da f) a f-quinquies) così sostituiscono l'originaria lettera f) ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(67)  Le attuali lettere da f) a f-quinquies) così sostituiscono l'originaria lettera f) ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(68)  Le attuali lettere da f) a f-quinquies) così sostituiscono l'originaria lettera f) ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(69)  Le attuali lettere da f) a f-quinquies) così sostituiscono l'originaria lettera f) ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(70)  Le attuali lettere da f) a f-quinquies) così sostituiscono l'originaria lettera f) ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(71)  Comma aggiunto dall'art. 1, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(72)  Articolo prima modificato dall'art. 7, L. 15 maggio 1997, n. 127, dall'art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 191, dagli artt. 2 e 9, L. 8 marzo 1999, n. 50, dall'art. 1, L. 24 novembre 2000, n. 340 e poi così sostituito dall'art. 1, L. 29 luglio 2003, n. 229. Vedi, anche, il comma 2 dell'art. 1, gli articoli 2 e 20 della citata legge n. 229 del 2003 e l'art. 43, comma 5, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.


L. 7 agosto 1997, n. 266.
Interventi urgenti per l'economia
(art. 24)

 

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 11 agosto 1997, n. 186.

 

(omissis)

 

Art. 24.

Norme in materia di attività di assistenza e consulenza.

1. L'articolo 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815 , è abrogato.

2. Ai sensi dell'art. 17, comma 3, della L. 23 agosto 1988, n. 400 , il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato e, per quanto di competenza, con il Ministro della sanità, fissa con proprio decreto, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i requisiti per l'esercizio delle attività di cui all'art. 1 della L. 23 novembre 1939, n. 1815 .

(omissis)

 


D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali
(art. 4)

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 agosto 1997, n. 202.

 

(omissis)

 

Art. 4.

Accordi tra Governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano.

1. Governo, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione e nel perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell'azione amministrativa, possono concludere in sede di Conferenza Stato-regioni accordi, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune (11).

2. Gli accordi si perfezionano con l'espressione dell'assenso del Governo e dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

 

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(11)  In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi l'Acc. 24 maggio 2001, l'Acc. 27 settembre 2001 e l'Acc. 3 febbraio 2005.

(omissis)

 


D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti localI
(artt. 77-87)

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 28 settembre 2000, n. 227, S.O.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Visto l'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visto l'articolo 31 della legge 3 agosto 1999, n. 265, recante delega al Governo per l'adozione di un testo unico in materia di ordinamento degli enti locali;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 20 aprile 2000;

Acquisiti i pareri delle competenti commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso nell'adunanza generale dell'8 giugno 2000;

Acquisito il parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali e della Conferenza Unificata, istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 4 agosto 2000;

Sulla proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per gli affari regionali e della giustizia;

 

Emana il seguente decreto legislativo:

(omissis)

 

Capo IV - Status degli amministratori locali

 

Art. 77. 

Definizione di amministratore locale.

1. La Repubblica tutela il diritto di ogni cittadino chiamato a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali ad espletare il mandato, disponendo del tempo, dei servizi e delle risorse necessari ed usufruendo di indennità e di rimborsi spese nei modi e nei limiti previsti dalla legge.

2. Il presente capo disciplina il regime delle aspettative, dei permessi e delle indennità degli amministratori degli enti locali. Per amministratori si intendono, ai soli fini del presente capo, i sindaci, anche metropolitani, i presidenti delle province, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, i presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali, i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento (106).

 

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(106)  Il presente articolo corrisponde ai commi 1 e 2 dell'art. 18, L. 3 agosto 1999, n. 265, ora abrogati.

 

Art. 78. 

Doveri e condizione giuridica.

1. Il comportamento degli amministratori, nell'esercizio delle proprie funzioni, deve essere improntato all'imparzialità e al principio di buona amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni, competenze e responsabilità degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, e quelle proprie dei dirigenti delle rispettive amministrazioni.

2. Gli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado.

3. I componenti la Giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall'esercitare attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato.

4. Nel caso di piani urbanistici, ove la correlazione immediata e diretta di cui al comma 2 sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, le parti di strumento urbanistico che costituivano oggetto della correlazione sono annullate e sostituite mediante nuova variante urbanistica parziale. Nelle more dell'accertamento di tale stato di correlazione immediata e diretta tra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini è sospesa la validità delle relative disposizioni del piano urbanistico.

5. Al sindaco ed al presidente della provincia, nonché agli assessori ed ai consiglieri comunali e provinciali è vietato ricoprire incarichi e assumere consulenze presso enti ed istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo ed alla vigilanza dei relativi comuni e province.

6. Gli amministratori lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l'esercizio del mandato. La richiesta dei predetti lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità. Nell'assegnazione della sede per l'espletamento del servizio militare di leva o di sue forme sostitutive è riconosciuta agli amministratori locali la priorità per la sede di espletamento del mandato amministrativo o per le sedi a questa più vicine. Il servizio sostitutivo di leva non può essere espletato nell'ente nel quale il soggetto è amministratore o in un ente dipendente o controllato dalla medesima amministrazione (107).

 

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(107)  Il presente articolo corrisponde all'art. 19, L. 3 agosto 1999, n. 265, e all'art. 26, L. 25 marzo 1993, n. 81, ora abrogati.

 

Art. 79. 

Permessi e licenze.

1. I lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli. Nel caso in cui i consigli si svolgano in orario serale, i predetti lavoratori hanno diritto di non riprendere il lavoro prima delle ore 8 del giorno successivo; nel caso in cui i lavori dei consigli si protraggano oltre la mezzanotte, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata successiva.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano altresì nei confronti dei militari di leva o richiamati e di coloro che svolgono il servizio sostitutivo previsto dalla legge. Ai sindaci, ai presidenti di provincia, ai presidenti delle comunità montane che svolgono servizio militare di leva o che sono richiamati o che svolgono il servizio sostitutivo, spetta, a richiesta, una licenza illimitata in attesa di congedo per la durata del mandato.

3. I lavoratori dipendenti facenti parte delle giunte comunali, provinciali, metropolitane, delle comunità montane, nonché degli organi esecutivi dei consigli circoscrizionali, dei municipi, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, ovvero facenti parte delle commissioni consiliari o circoscrizionali formalmente istituite nonché delle commissioni comunali previste per legge, ovvero membri delle conferenze dei capogruppo e degli organismi di pari opportunità, previsti dagli statuti e dai regolamenti consiliari, hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata. Il diritto di assentarsi di cui al presente comma comprende il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì nei confronti dei militari di leva o di coloro che sono richiamati o che svolgono il servizio sostitutivo.

4. I componenti degli organi esecutivi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle unioni di comuni, delle comunità montane e dei consorzi fra enti locali, e i presidenti dei consigli comunali, provinciali e circoscrizionali, nonché i presidenti dei gruppi consiliari delle province e dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, hanno diritto, oltre ai permessi di cui ai precedenti commi, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese, elevate a 48 ore per i sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti.

5. I lavoratori dipendenti di cui al presente articolo hanno diritto ad ulteriori permessi non retribuiti sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili qualora risultino necessari per l'espletamento del mandato.

6. L'attività ed i tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono ed ottengono permessi, retribuiti e non retribuiti, devono essere prontamente e puntualmente documentati mediante attestazione dell'ente (108).

 

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(108)  Il presente articolo corrisponde ai commi da 1 a 4 e 6 dell'art. 24, L. 3 agosto 1999, n. 265, ora abrogato.

 

Art. 80. 

Oneri per permessi retribuiti.

1. Le assenze dal servizio di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 dell'articolo 79 sono retribuite al lavoratore dal datore di lavoro. Gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell'ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche di cui all'articolo 79. L'ente, su richiesta documentata del datore di lavoro, è tenuto a rimborsare quanto dallo stesso corrisposto, per retribuzioni ed assicurazioni, per le ore o giornate di effettiva assenza del lavoratore. Il rimborso viene effettuato dall'ente entro trenta giorni dalla richiesta. Le somme rimborsate sono esenti da imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'articolo 8, comma 35, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (109) (110).

 

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(109)  Comma così modificato dall'art. 2-bis, D.L. 27 dicembre 2000, n. 392, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(110)  Il presente articolo corrisponde al comma 5 dell'art. 24, L. 3 agosto 1999, n. 265, ora abrogato.

 

Art. 81. 

Aspettative.

1. I sindaci, i presidenti delle province, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei comuni di cui all’articolo 22, comma 1, i presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché i membri delle giunte di comuni e province, che siano lavoratori dipendenti possono essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Il periodo di aspettativa è considerato come servizio effettivamente prestato, nonché come legittimo impedimento per il compimento del periodo di prova. I consiglieri di cui all’articolo 77, comma 2, se a domanda collocati in aspettativa non retribuita per il periodo di espletamento del mandato, assumono a proprio carico l’intero pagamento degli oneri previdenziali, assistenziali e di ogni altra natura previsti dall’articolo 86 (111) (112).

 

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(111) Comma così modificato dal comma 24 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(112)  Il presente articolo corrisponde all'art. 22, L. 3 agosto 1999, n. 265, ora abrogato.

 

Art. 82. 

Indennità.

1. Il decreto di cui al comma 8 del presente articolo determina una indennità di funzione, nei limiti fissati dal presente articolo, per il sindaco, il presidente della provincia, il sindaco metropolitano, il presidente della comunità montana, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, nonché i componenti degli organi esecutivi dei comuni e ove previste delle loro articolazioni, delle province, delle città metropolitane, delle comunità montane, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali. Tale indennità è dimezzata per i lavoratori dipendenti che non abbiano richiesto l'aspettativa (113).

2. I consiglieri comunali, provinciali, circoscrizionali, limitatamente ai comuni capoluogo di provincia, e delle comunità montane hanno diritto a percepire, nei limiti fissati dal presente capo, un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni. In nessun caso l’ammontare percepito nell’ambito di un mese da un consigliere può superare l’importo pari ad un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente in base al decreto di cui al comma 8. Nessuna indennità è dovuta ai consiglieri circoscrizionali (114).

3. Ai soli fini dell'applicazione delle norme relative al divieto di cumulo tra pensione e redditi, le indennità di cui ai commi 1 e 2 non sono assimilabili ai redditi da lavoro di qualsiasi natura.

4. [Gli statuti e i regolamenti degli enti possono prevedere che all'interessato competa, a richiesta, la trasformazione del gettone di presenza in una indennità di funzione, sempre che tale regime di indennità comporti per l'ente pari o minori oneri finanziari. Il regime di indennità di funzione per i consiglieri prevede l'applicazione di detrazioni dalle indennità in caso di non giustificata assenza dalle sedute degli organi collegiali] (115).

5. Le indennità di funzione previste dal presente capo non sono tra loro cumulabili. L'interessato opta per la percezione di una delle due indennità ovvero per la percezione del 50 per cento di ciascuna.

6. [Le indennità di funzione sono cumulabili con i gettoni di presenza quando siano dovuti per mandati elettivi presso enti diversi, ricoperti dalla stessa persona] (116).

7. Agli amministratori ai quali viene corrisposta l'indennità di funzione prevista dal presente capo non è dovuto alcun gettone per la partecipazione a sedute degli organi collegiali del medesimo ente, né di commissioni che di quell'organo costituiscono articolazioni interne ed esterne.

8. La misura delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza di cui al presente articolo è determinata, senza maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali nel rispetto dei seguenti criteri:

a) equiparazione del trattamento per categorie di amministratori;

b) articolazione delle indennità in rapporto con la dimensione demografica degli enti, tenuto conto delle fluttuazioni stagionali della popolazione, della percentuale delle entrate proprie dell'ente rispetto al totale delle entrate, nonché dell'ammontare del bilancio di parte corrente;

c) articolazione dell’indennità di funzione dei presidenti dei consigli, dei vice sindaci e dei vice presidenti delle province, degli assessori, in rapporto alla misura della stessa stabilita per il sindaco e per il presidente della provincia. Al presidente e agli assessori delle unioni di comuni, dei consorzi fra enti locali e delle comunità montane sono attribuite le indennità di funzione nella misura massima del 50 per cento dell’indennità prevista per un comune avente popolazione pari alla popolazione dell’unione di comuni, del consorzio fra enti locali o alla popolazione montana della comunità montana (117);

d) definizione di speciali indennità di funzione per gli amministratori delle città metropolitane in relazione alle particolari funzioni ad esse assegnate;

e) determinazione dell'indennità spettante al presidente della provincia e al sindaco dei comuni con popolazione superiore a dieci mila abitanti, comunque, non inferiore al trattamento economico fondamentale del segretario generale dei rispettivi enti; per i comuni con popolazione inferiore a dieci mila abitanti, nella determinazione dell'indennità si tiene conto del trattamento economico fondamentale del segretario comunale;

f) previsione dell'integrazione dell'indennità dei sindaci e dei presidenti di provincia, a fine mandato, con una somma pari a una indennità mensile, spettante per ciascun anno di mandato.

9. Su richiesta della Conferenza Stato-città ed autonomie locali si può procedere alla revisione del decreto ministeriale di cui al comma 8 con la medesima procedura ivi indicata.

10. Il decreto ministeriale di cui al comma 8 è rinnovato ogni tre anni ai fini dell'adeguamento della misura delle indennità e dei gettoni di presenza sulla base della media degli indici annuali dell'ISTAT di variazione del costo della vita applicando, alle misure stabilite per l'anno precedente, la variazione verificatasi nel biennio nell'indice dei prezzi al consumo rilevata dall'ISTAT e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativa al mese di luglio di inizio ed al mese di giugno di termine del biennio (118).

11. La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità (119) (120).

 

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(113) Comma così modificato dal comma 731 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(114) Comma prima modificato dal comma 731 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296 e poi così sostituito dal comma 25 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(115) Comma abrogato dal comma 25 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(116) Comma abrogato dal comma 25 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(117) Lettera così sostituita dal comma 25 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(118) Vedi, anche, il comma 10 dell'art. 61, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(119) Comma così modificato prima dal comma 25 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244 e poi così sostituito dall'art. 76, comma 3, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

(120)  Il presente articolo corrisponde all'art. 23, L. 3 agosto 1999, n. 265, ora abrogato. Vedi, anche, il comma 18 dell'art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244 e il comma 10 dell'art. 61, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 83. 

Divieto di cumulo.

1. I parlamentari nazionali ed europei, nonché i consiglieri regionali non possono percepire i gettoni di presenza previsti dal presente capo.

2. Salve le disposizioni previste per le forme associative degli enti locali, gli amministratori locali di cui all’articolo 77, comma 2, non percepiscono alcun compenso, tranne quello dovuto per spese di indennità di missione, per la partecipazione ad organi o commissioni comunque denominate, se tale partecipazione è connessa all’esercizio delle proprie funzioni pubbliche.

3. In caso di cariche incompatibili, le indennità di funzione non sono cumulabili; ai soggetti che si trovano in tale condizione, fino al momento dell’esercizio dell’opzione o comunque sino alla rimozione della condizione di incompatibilità, l’indennità per la carica sopraggiunta non viene corrisposta (121).

 

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(121) Articolo così sostituito dal comma 26 dell’art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

 

Art. 84. 

Rimborso delle spese di viaggio.

1. Agli amministratori che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, previa autorizzazione del capo dell’amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, ovvero del presidente del consiglio, nel caso di consiglieri, sono dovuti esclusivamente il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, nonché un rimborso forfetario onnicomprensivo per le altre spese, nella misura fissata con decreto del Ministro dell’interno e del Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

2. La liquidazione del rimborso delle spese è effettuata dal dirigente competente, su richiesta dell’interessato, corredata della documentazione delle spese di viaggio e soggiorno effettivamente sostenute e di una dichiarazione sulla durata e sulle finalità della missione.

3. Agli amministratori che risiedono fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente spetta il rimborso per le sole spese di viaggio effettivamente sostenute per la partecipazione ad ognuna delle sedute dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi, nonché per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate (122).

 

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(122)  Articolo così sostituito dal comma 27 dell'art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244. Il presente articolo corrispondeva all'art. 25, L. 3 agosto 1999, n. 265, ora abrogato.

 

Art. 85. 

Partecipazione alle associazioni rappresentative degli enti locali.

1. Le norme stabilite dal presente capo, relative alla posizione, al trattamento e ai permessi dei lavoratori pubblici e privati chiamati a funzioni elettive, si applicano anche per la partecipazione dei rappresentanti degli enti locali alle associazioni internazionali, nazionali e regionali tra enti locali.

2. Le spese che gli enti locali ritengono di sostenere, per la partecipazione dei componenti dei propri organi alle riunioni e alle attività degli organi nazionali e regionali delle associazioni, fanno carico ai bilanci degli enti stessi.

 

Art. 86. 

Oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi e disposizioni fiscali e assicurative.

1. L'amministrazione locale prevede a proprio carico, dandone comunicazione tempestiva ai datori di lavoro, il versamento degli oneri assistenziali, previdenziali e assicurativi ai rispettivi istituti per i sindaci, per i presidenti di provincia, per i presidenti di comunità montane, di unioni di comuni e di consorzi fra enti locali, per gli assessori provinciali e per gli assessori dei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, per i presidenti dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti, per i presidenti dei consigli provinciali che siano collocati in aspettativa non retribuita ai sensi del presente testo unico. La medesima disposizione si applica per i presidenti dei consigli circoscrizionali nei casi in cui il comune abbia attuato nei loro confronti un effettivo decentramento di funzioni e per i presidenti delle aziende anche consortili fino all'approvazione della riforma in materia di servizi pubblici locali che si trovino nelle condizioni previste dall'articolo 81.

2. Agli amministratori locali che non siano lavoratori dipendenti e che rivestano le cariche di cui al comma 1 l'amministrazione locale provvede, allo stesso titolo previsto dal comma 1, al pagamento di una cifra forfettaria annuale, versata per quote mensili. Con decreto dei Ministri dell'interno, del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabiliti i criteri per la determinazione delle quote forfettarie in coerenza con quanto previsto per i lavoratori dipendenti, da conferire alla forma pensionistica presso la quale il soggetto era iscritto o continua ad essere iscritto alla data dell'incarico (123).

3. L'amministrazione locale provvede, altresì, a rimborsare al datore di lavoro la quota annuale di accantonamento per l'indennità di fine rapporto entro i limiti di un dodicesimo dell'indennità di carica annua da parte dell'ente e per l'eventuale residuo da parte dell'amministratore.

4. Alle indennità di funzione e ai gettoni di presenza si applicano le disposizioni di cui all'articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.

5. I comuni, le province, le comunità montane, le unioni di comuni e i consorzi fra enti locali possono assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all'espletamento del loro mandato.

6. Al fine di conferire certezza alla posizione previdenziale e assistenziale dei soggetti destinatari dei benefìci di cui al comma 1 è consentita l'eventuale ripetizione degli oneri assicurativi, assistenziali e previdenziali, entro cinque anni dalla data del loro versamento, se precedente alla data di entrata in vigore della legge 3 agosto 1999, n. 265, ed entro tre anni se successiva (124).

 

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(123)  In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 25 maggio 2001.

(124)  Il presente articolo corrisponde ai commi da 1 a 6 dell'art. 26, L. 3 agosto 1999, n. 265, ora abrogati.

 

Art. 87. 

Consigli di amministrazione delle aziende speciali.

1. Fino all'approvazione della riforma in materia di servizi pubblici locali, ai componenti dei consigli di amministrazione delle aziende speciali anche consortili si applicano le disposizioni contenute nell'articolo 78, comma 2, nell'articolo 79, commi 3 e 4, nell'articolo 81, nell'articolo 85 e nell'articolo 86 (125).

 

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(125)  Il presente articolo corrisponde all'art. 27, L. 3 agosto 1999, n. 265, ora abrogato.

 

(omissis)

 

 


D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 96.
Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale
(artt. 16-33)

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 4 aprile 2001, n. 79, S.O.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Visto l'articolo 19 della legge 21 dicembre 1999, n. 526, recante delega al Governo per l'attuazione della direttiva n. 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa a misure dirette a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale;

Vista la deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 17 novembre 2000;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Sentito il Consiglio nazionale forense;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 2 febbraio 2001;

Sulla proposta del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e dell'industria, del commercio e dell'artigianato e del commercio con l'estero;

 

Emana il seguente decreto legislativo:

(omissis)

TITOLO II

Esercizio della professione di avvocato in forma societaria.

 

Capo I

Della società tra avvocati

 

Art. 16. 

Disposizioni generali.

1. L'attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti, denominata nel seguito società tra avvocati.

2. La società tra avvocati è regolata dalle norme del presente titolo e, ove non diversamente disposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo di cui al capo III del titolo V del libro V del codice civile. Ai fini dell'iscrizione nel registro delle imprese, è istituita una sezione speciale relativa alle società tra professionisti; l'iscrizione ha funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia ed è eseguita secondo le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581.

3. La società tra avvocati non è soggetta a fallimento.

4. La società tra avvocati è iscritta in una sezione speciale dell'albo degli avvocati e alla stessa si applicano, in quanto compatibili, le norme, legislative, professionali e deontologiche che disciplinano la professione di avvocato.

5. È fatto salvo quanto disposto dalla legge 23 novembre 1939, n. 1815, e successive modificazioni, per la costituzione di associazioni tra professionisti.

 

Art. 17. 

Costituzione e oggetto.

1. Ai fini della iscrizione all'albo, la società tra avvocati è costituita con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizioni autenticate dei contraenti.

2. La società tra avvocati ha per oggetto esclusivo l'esercizio in comune della professione dei propri soci. La società può rendersi acquirente di beni e diritti che siano strumentali all'esercizio della professione e compiere qualsiasi attività diretta a tale scopo.

 

Art. 18. 

Ragione sociale.

1. La società tra avvocati agisce sotto la ragione sociale costituita dal nome e dal titolo professionale di tutti i soci ovvero di uno o più soci, seguito dalla locuzione «ed altri», e deve contenere la indicazione di società tra professionisti, in forma abbreviata s.t.p.

2. Non è consentita la indicazione del nome di un socio avvocato dopo la cessazione della sua appartenenza alla società, salvo diverso accordo tra la società e il socio cessato o i suoi eredi. In tal caso la utilizzazione del nome è consentita con la indicazione «ex socio» o «socio fondatore» accanto al nominativo utilizzato, purché non sia mutata l'intera compagine dei soci professionisti presenti al momento della cessazione della qualità di socio.

 

Art. 19. 

Modificazioni.

1. L'atto costitutivo può essere modificato con deliberazione adottata da tutti i soci o con deliberazione della maggioranza di essi qualora l'atto costitutivo lo preveda e ne stabilisca le modalità.

 

Art. 20. 

Invalidità della società.

1. La nullità della società per vizi di costituzione può essere pronunciata solo nei casi previsti dalle disposizioni che disciplinano la nullità dei contratti.

2. La dichiarazione di nullità o la pronuncia di annullamento non pregiudicano l'efficacia degli atti compiuti in nome della società.

3. La sentenza che dichiara la nullità o che pronuncia l'annullamento nomina uno o più liquidatori, in persona dei soci o di terzi, purché professionisti esercenti con il titolo di avvocato.

4. La invalidità non può essere pronunciata quando la causa di essa è stata eliminata per effetto di una modificazione dell'atto costitutivo iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese.

5. La responsabilità dei soci non è esclusa dalla dichiarazione di nullità o dall'annullamento dell'atto costitutivo.

 

Art. 21. 

Requisiti soggettivi dei soci e situazioni di incompatibilità.

1. I soci della società tra avvocati devono essere in possesso del titolo di avvocato.

2. La partecipazione ad una società tra avvocati è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra avvocati.

3. La incompatibilità di cui al comma 2 si applica fino alla data in cui la dichiarazione di recesso produce i suoi effetti ovvero per tutta la durata della iscrizione della società nell'albo.

4. È escluso il socio che è stato cancellato o radiato dall'albo. La sospensione di un socio dall'albo è causa legittima di esclusione dalla società.

 

Art. 22. 

Subentro di nuovi soci.

1. Le quote di partecipazione alla società tra avvocati possono essere cedute per atto tra vivi solo con il consenso di tutti i soci, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo.

2. In caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi e questi abbiano i requisiti professionali richiesti e vi acconsentano.

 

Art. 23. 

Amministrazione.

1. L'amministrazione della società tra avvocati spetta ai soci e non può essere affidata a terzi.

2. Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri.

 

Art. 24.

Incarico professionale e obblighi di informazione.

1. L'incarico professionale conferito alla società tra avvocati può essere eseguito solo da uno o più soci in possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività professionale richiesta.

2. La società deve informare il cliente, prima della conclusione del contratto, che l'incarico professionale potrà essere eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività professionale richiesta; il cliente ha diritto di chiedere che l'esecuzione dell'incarico sia affidata ad uno o più soci da lui scelti sulla base di un elenco scritto con la indicazione dei titoli e delle qualifiche professionali di ciascuno di essi.

3. In difetto di scelta, la società comunica al cliente il nome del socio o dei soci incaricati, prima dell'inizio dell'esecuzione del mandato.

4. La prova dell'adempimento degli obblighi di informazione prescritti dai commi 2 e 3 e il nome del socio o dei soci indicati dal cliente devono risultare da atto scritto.

 

Art. 25. 

Compensi.

1. I compensi derivanti dall'attività professionale dei soci costituiscono crediti della società.

2. Se la prestazione è svolta da più soci, si applica il compenso spettante ad un solo professionista, salvo espressa deroga pattuita con clausola approvata per iscritto dal cliente.

 

Art. 26. 

Responsabilità professionale.

1. Il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico. La società risponde con il suo patrimonio.

2. In difetto della comunicazione prevista dall'articolo 24, comma 3, per le obbligazioni derivanti dall'attività professionale svolta da uno o più soci, oltre alla società, sono responsabili illimitatamente e solidalmente tutti i soci.

3. Per le obbligazioni sociali non derivanti dall'attività professionale rispondono inoltre personalmente e solidalmente tutti i soci; il patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi.

4. La sentenza pronunciata nei confronti della società fa stato ed è efficace anche nei confronti del socio o dei soci incaricati ovvero nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, i quali possono intervenire nel giudizio e possono impugnare la sentenza.

 

Capo II

Dell'iscrizione nell'albo e della responsabilità disciplinare

 

Art. 27. 

Iscrizione.

1. La società tra avvocati è iscritta in una sezione speciale dell'albo del Consiglio dell'ordine nella cui circoscrizione è posta la sede legale.

2. Le sedi secondarie con rappresentanza stabile sono iscritte presso il Consiglio dell'ordine nella cui circoscrizione le sedi sono istituite: se la istituzione non è contenuta nell'atto costitutivo, devono inoltre essere denunciate al Consiglio dell'ordine presso il quale la società è iscritta per l'annotazione.

3. La società deve mantenere nella propria sede e nelle eventuali sedi secondarie un ufficio nel quale almeno uno dei soci svolga in tale qualità l'attività professionale.

 

Art. 28. 

Procedimento di iscrizione.

1. La domanda di iscrizione nella sezione speciale dell'albo è rivolta al Consiglio dell'ordine ed è corredata dai seguenti documenti:

a) atto costitutivo in copia autentica;

b) certificato di iscrizione nell'albo dei soci non iscritti presso il Consiglio dell'ordine cui è rivolta la domanda o dichiarazione sostitutiva.

2. Il Consiglio dell'ordine, verificata l'osservanza delle disposizioni di legge, nel termine di trenta giorni dalla domanda dispone l'iscrizione della società in una sezione speciale dell'albo, con la indicazione della ragione sociale, dell'oggetto, della sede legale e delle sedi secondarie eventualmente istituite, del nominativo dei soci che hanno la rappresentanza, dei soci iscritti nell'albo, nonché dei soci iscritti in altro albo.

3. Per la iscrizione delle sedi secondarie con rappresentanza stabile, la domanda è corredata da un estratto dell'atto costitutivo ovvero dalla delibera di istituzione della sede in copia autentica, con la indicazione del Consiglio dell'ordine presso il quale la società è iscritta e la data di iscrizione, nonché dal certificato di iscrizione all'albo dei soci che operano nell'àmbito della sede secondaria, se iscritti presso altro Consiglio dell'ordine.

4. L'avvenuta iscrizione deve essere annotata nella sezione speciale del registro delle imprese, su richiesta dei socio che ha la rappresentanza della società.

 

Art. 29.

Annotazioni.

1. Le deliberazioni che importano modificazioni dell'atto costitutivo, le variazioni della composizione sociale ed ogni fatto incidente sull'esercizio dei diritti di voto, sono comunicati al Consiglio dell'ordine entro il termine di trenta giorni dal momento in cui si verificano.

2. Il Consiglio dell'ordine, verificata l'osservanza delle disposizioni di legge, nel termine di trenta giorni dispone l'annotazione della variazione nella sezione speciale dell'albo.

 

Art. 30. 

Responsabilità disciplinare.

1. La società tra avvocati risponde delle violazioni delle norme professionali e deontologiche applicabili all'esercizio in forma individuale della professione di avvocato.

2. Se la violazione commessa dal socio è ricollegabile a direttive impartite dalla società, la responsabilità disciplinare del socio concorre con quella della società.

3. Nel caso previsto dal comma 2, il Consiglio dell'ordine presso il quale è iscritta la società è competente anche per il procedimento disciplinare nei confronti del socio, benché iscritto presso altro Consiglio dell'ordine, salvo che l'illecito disciplinare contestato al professionista riguardi un'attività non svolta nell'interesse della società.

4. La previsione di cui al comma 3 si applica anche nel caso in cui l'illecito disciplinare contestato riguardi un'attività professionale svolta dal socio nell'àmbito di una sede secondaria.

 

Art. 31. 

Situazioni di incompatibilità o di conflitto.

1. Chiunque vi abbia interesse può segnalare al Consiglio dell'ordine la sussistenza di situazioni di incompatibilità o di conflitto con il corretto esercizio della professione riferibili a tutti i soci.

2. Il Consiglio dell'ordine, sentito il rappresentante della società, delibera sulla fondatezza della segnalazione e, se la ritiene fondata, chiede alla società di far cessare la situazione di incompatibilità o di conflitto, fissando un termine congruo, e comunque non inferiore a trenta giorni, decorso il quale può adottare i provvedimenti disciplinari previsti dall'ordinamento professionale.

3. l provvedimenti previsti dal presente articolo possono essere adottati anche su richiesta del Pubblico ministero.

Art. 32. 

Cancellazione dall'albo per difetto sopravvenuto di un requisito.

1. Il Consiglio dell'ordine presso il quale è iscritta la società provvede alla cancellazione della stessa dall'albo, qualora sia venuto meno uno dei requisiti previsti dal presente titolo e la situazione di irregolarità non sia stata sanata nel termine perentorio di tre mesi dal momento in cui si è verificata.

Art. 33. 

Elezioni dei consigli locali e nazionali.

1. La società tra avvocati non ha diritto di elettorato né attivo, né passivo.

2. Non può essere eletto contemporaneamente nel Consiglio locale e nel Consiglio nazionale più di un socio della stessa società.

(omissis)


D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 ed 87 della Costituzione.

Vista la legge 23 ottobre 1992, n. 421, ed in particolare l'articolo 2;

Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59;

Visto il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni;

Visto l'articolo 1, comma 8, della legge 24 novembre 2000, n. 340:

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 7 febbraio 2001;

Acquisito il parere dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso in data 8 febbraio 2001;

Acquisito il parere delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, rispettivamente in data 27 e 28 febbraio 2001;

Viste le deliberazioni del Consiglio dei Ministri, adottate nelle sedute del 21 e 30 marzo 2001;

Su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministero per la funzione pubblica;

 

Emana il seguente decreto legislativo:

 

TITOLO I

Princìpi generali

 

Art. 1.

Finalità ed àmbito di applicazione.
(Art. 1 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le disposizioni del presente decreto disciplinano l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto delle autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell'articolo 97, comma primo, della Costituzione, al fine di:

a) accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell'Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;

b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;

c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quello del lavoro privato.

2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (3).

3. Le disposizioni del presente decreto costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I princìpi desumibili dall'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le provincie autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.

 

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(3)  Comma così modificato dall'art. 1, L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, l'art. 9, D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, l'art. 1, D.L. 12 luglio 2004, n. 168 e l’art. 67, comma 8, l’art. 71, comma 1, l’art. 72, commi 5 e 11, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

Art. 2. 

Fonti.
(Art. 2, commi da 1 a 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall'art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo princìpi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:

a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all'atto della definizione dei programmi operativi e dell'assegnazione delle risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;

b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell'articolo 5, comma 2;

c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;

d) garanzia dell'imparzialità e della trasparenza dell'azione amministrativa, anche attraverso l'istituzione di apposite strutture per l'informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;

e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell'Unione europea.

1-bis. I criteri di organizzazione di cui al presente articolo sono attuati nel rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali (4).

 

2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle legge sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge (5).

3. I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai princìpi di cui all'articolo 45, comma 2. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva (6).

 

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(4)  Comma aggiunto dal comma 2 dell'art. 176, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a decorrere dal 1° gennaio 2004.

(5) Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 1, L. 4 marzo 2009, n. 15. Vedi, anche, il comma 2 dello stesso articolo.

(6)  Vedi, anche, la Dir.P.C.M. 1° marzo 2002 e il D.P.R. 14 maggio 2007, n. 99.

 

Art. 3. 

Personale in regime di diritto pubblico.
(Art. 2, comma 4 e 5 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti dall'art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente modificati dall'art. 2, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287.

1-bis. In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, il rapporto di impiego del personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 novembre 2000, n. 362, e il personale volontario di leva, è disciplinato in regime di diritto pubblico secondo autonome disposizioni ordinamentali (7).

1-ter. In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è disciplinato dal rispettivo ordinamento (8).

2. Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai princìpi della autonomia universitaria di cui all'articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n. 168, e successive modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei princìpi di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (9).

 

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(7)  Comma aggiunto dall'art. 1, L. 30 settembre 2004, n. 252.

(8)  Comma aggiunto dall'art. 2, L. 27 luglio 2005, n. 154.

(9)  Vedi, anche, l'art. 2-septies, D.L. 26 aprile 2005, n. 63, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, l’art. 40, comma 2, l’art. 66, comma 11 e l’art. 69, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

 

Art. 4. 

Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità.
(Art. 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 2 del D.Lgs. n. 470 del 1993 poi dall'art. 3 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:

a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;

b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;

c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;

d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;

e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;

f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;

g) gli altri atti indicati dal presente decreto.

2. Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

3. Le attribuzioni dei dirigenti indicate dal comma 2 possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.

4. Le amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, adeguano i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall'altro. A tali amministrazioni è fatto divieto di istituire uffici di diretta collaborazione, posti alle dirette dipendenze dell’organo di vertice dell’ente (10) (11).

 

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(10) Periodo aggiunto dal comma 632 dell'art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(11) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 2 dell'art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 90.

 

Art. 5. 

Potere di Organizzazione.
(Art. 4 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 3 del D.Lgs. n. 546 del 1993, successivamente modificato dall'art. 9 del D.Lgs. n. 396 del 1997, e nuovamente sostituito dall'art. 4 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l'attuazione dei princìpi di cui all'articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa.

2. Nell'àmbito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

3. Gli organismi di controllo interno verificano periodicamente la rispondenza delle determinazioni organizzative ai princìpi indicati all'articolo 2, comma 1, anche al fine di proporre l'adozione di eventuali interventi correttivi e di fornire elementi per l'adozione delle misure previste nei confronti dei responsabili della gestione.

 

Art. 6. 

Organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche.
(Art. 6 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 4 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 5 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 2 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Nelle amministrazioni pubbliche l'organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità indicate all'articolo 1, comma 1, previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa consultazione delle organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'articolo 9. Nell'individuazione delle dotazioni organiche, le amministrazioni non possono determinare, in presenza di vacanze di organico, situazioni di soprannumerarietà di personale, anche temporanea, nell'ambito dei contingenti relativi alle singole posizioni economiche delle aree funzionali e di livello dirigenziale. Ai fini della mobilità collettiva le amministrazioni effettuano annualmente rilevazioni delle eccedenze di personale su base territoriale per categoria o area, qualifica e profilo professionale. Le amministrazioni pubbliche curano l'ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale (12).

2. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, si applica l'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. La distribuzione del personale dei diversi livelli o qualifiche previsti dalla dotazione organica può essere modificata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ove comporti riduzioni di spesa o comunque non incrementi la spesa complessiva riferita al personale effettivamente in servizio al 31 dicembre dell'anno precedente.

3. Per la ridefinizione degli uffici e delle dotazioni organiche si procede periodicamente e comunque a scadenza triennale, nonché ove risulti necessario a seguito di riordino, fusione, trasformazione o trasferimento di funzioni. Ogni amministrazione procede adottando gli atti previsti dal proprio ordinamento.

4. Le variazioni delle dotazioni organiche già determinate sono approvate dall'organo di vertice delle amministrazioni in coerenza con la programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, e con gli strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale. Per le amministrazioni dello Stato, la programmazione triennale del fabbisogno di personale è deliberata dal Consiglio dei ministri e le variazioni delle dotazioni organiche sono determinate ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

5. Per la Presidenza del Consiglio dei ministri, per il Ministero degli affari esteri, nonché per le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, sono fatte salve le particolari disposizioni dettate dalle normative di settore. L'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, relativamente al personale appartenente alle Forze di polizia ad ordinamento civile, si interpreta nel senso che al predetto personale non si applica l'articolo 16 dello stesso decreto. Restano salve le disposizioni vigenti per la determinazione delle dotazioni organiche del personale degli istituti e scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative. Le attribuzioni del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, relative a tutto il personale tecnico e amministrativo universitario, ivi compresi i dirigenti, sono devolute all'università di appartenenza. Parimenti sono attribuite agli osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano tutte le attribuzioni del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica in materia di personale, ad eccezione di quelle relative al reclutamento del personale di ricerca.

6. Le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo non possono assumere nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette.

 

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(12)  Comma così modificato dall'art. 11, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4.

 

Art. 7. 

Gestione delle risorse umane.
(Art. 7 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 5 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi modificato dall'art. 3 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro.

2. Le amministrazioni pubbliche garantiscono la libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca.

3. Le amministrazioni pubbliche individuano criteri certi di priorità nell'impiego flessibile del personale, purché compatibile con l'organizzazione degli uffici e del lavoro, a favore dei dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266.

4. Le amministrazioni pubbliche curano la formazione e l'aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l'adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione.

5. Le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese.

6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d'opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso (13).

6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (14).

6-ter. I regolamenti di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6 (15).

6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (16) (17).

 

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(13)  L'originario comma 6 era stato sostituito con i commi 6, 6-bis e 6-ter dall'art. 13, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione. Successivamente l'art. 32, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione, ha nuovamente disposto la sostituzione del citato comma 6 con gli attuali commi 6, 6-bis e 6-ter. Infine, il citato comma 6 è stato ulteriormente modificato dal comma 76 dell'art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244 e così sostituito dall’art. 46, comma 1, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come modificato dalla relativa legge di conversione. Sui termini di applicabilità delle disposizioni di cui al presente comma vedi il comma 1 dell'art. 35, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(14)  L'originario comma 6 era stato sostituito, con i commi 6, 6-bis e 6-ter dall'art. 13, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione. Successivamente l'art. 32, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione, ha, nuovamente disposto la sostituzione del citato comma 6 con gli attuali commi 6, 6-bis e 6-ter. Con Comunicato 28 novembre 2006 (Gazz. Uff. 28 novembre 2006, n. 277) e con Comunicato 11 novembre 2008 (Gazz. Uff. 11 novembre 2008, n. 264) il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione ha reso noto di aver pubblicato sul proprio sito internet l'avviso concernente l'aggiornamento e la disciplina della procedura comparativa prevista dal presente comma.

(15)  L'originario comma 6 era stato sostituito, con i commi 6, 6-bis e 6-ter dall'art. 13, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione. Successivamente l'art. 32, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione, ha, nuovamente disposto la sostituzione del citato comma 6 con gli attuali commi 6, 6-bis e 6-ter.

(16) Comma aggiunto dal comma 77 dell'art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(17) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi l'art. 1, O.P.C.M. 10 giugno 2008, n. 3682.

 

Art. 7-bis. 

Formazione del personale.

1. Le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, con esclusione delle università e degli enti di ricerca, nell'àmbito delle attività di gestione delle risorse umane e finanziarie, predispongono annualmente un piano di formazione del personale, compreso quello in posizione di comando o fuori ruolo, tenendo conto dei fabbisogni rilevati, delle competenze necessarie in relazione agli obiettivi, nonché della programmazione delle assunzioni e delle innovazioni normative e tecnologiche. Il piano di formazione indica gli obiettivi e le risorse finanziarie necessarie, nei limiti di quelle, a tale scopo, disponibili, prevedendo l'impiego delle risorse interne, di quelle statali e comunitarie, nonché le metodologie formative da adottare in riferimento ai diversi destinatari.

2. Le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nonché gli enti pubblici non economici, predispongono entro il 30 gennaio di ogni anno il piano di formazione del personale e lo trasmettono, a fini informativi, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze. Decorso tale termine e, comunque, non oltre il 30 settembre, ulteriori interventi in materia di formazione del personale, dettati da esigenze sopravvenute o straordinarie, devono essere specificamente comunicati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze indicando gli obiettivi e le risorse utilizzabili, interne, statali o comunitarie. Ai predetti interventi formativi si dà corso qualora, entro un mese dalla comunicazione, non intervenga il diniego della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Il Dipartimento della funzione pubblica assicura il raccordo con il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie relativamente agli interventi di formazione connessi all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (18).

 

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(18)  Articolo aggiunto dall'art. 4, L. 16 gennaio 2003, n. 3. Vedi, anche, la Dir.Min. 6 agosto 2004 e l'art. 13, D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

 

Art. 8. 

Costo del lavoro, risorse finanziarie e controlli.
(Art. 9 del D.Lgs. n. 29 del 1993)

1. Le amministrazioni pubbliche adottano tutte le misure affinché la spesa per il proprio personale sia evidente, certa e prevedibile nella evoluzione. Le risorse finanziarie destinate a tale spesa sono determinate in base alle compatibilità economico-finanziarie definite nei documenti di programmazione e di bilancio.

2. L'incremento del costo del lavoro negli enti pubblici economici e nelle aziende pubbliche che producono servizi di pubblica utilità, nonché negli enti di cui all'articolo 70, comma 4, è soggetto a limiti compatibili con gli obiettivi e i vincoli di finanza pubblica.

 

Art. 9. 

Partecipazione sindacale.
(Art. 10 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 6 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. I contratti collettivi nazionali disciplinano i rapporti sindacali e gli istituti della partecipazione anche con riferimento agli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro.

 

TITOLO II

Organizzazione

 

Capo I - Relazioni con il pubblico

 

Art. 10. 

Trasparenza delle amministrazioni pubbliche.
(Art. 11 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 43, comma 9 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. L'organismo di cui all'articolo 2, comma 1, lettera mm), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, ai fini della trasparenza e rapidità del procedimento, definisce, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera c), i modelli e i sistemi informativi utili alla interconnessione tra le amministrazioni pubbliche.

2. La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica ed i comitati metropolitani di cui all'articolo 18 del decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 gennaio 1991, n. 21, promuovono, utilizzando il personale degli uffici di cui all'articolo 11, la costituzione di servizi di accesso polifunzionale alle amministrazioni pubbliche nell'àmbito dei progetti finalizzati di cui all'articolo 26 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni ed integrazioni.

 

Art. 11. 

Ufficio relazioni con il pubblico.
(Art. 12, commi da 1 a 5-ter del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti dall'art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente modificati dall'art. 3 del decreto legge n. 163 del 1995, convertito con modificazioni della legge n. 273 del 1995)

1. Le amministrazioni pubbliche, al fine di garantire la piena attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni, individuano, nell'àmbito della propria struttura uffici per le relazioni con il pubblico.

2. Gli uffici per le relazioni con il pubblico provvedono, anche mediante l'utilizzo di tecnologie informatiche:

a) al servizio all'utenza per i diritti di partecipazione di cui al capo III della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni;

b) all'informazione all'utenza relativa agli atti e allo stato dei procedimenti;

c) alla ricerca ed analisi finalizzate alla formulazione di proposte alla propria amministrazione sugli aspetti organizzativi e logistici del rapporto con l'utenza.

3. Agli uffici per le relazioni con il pubblico viene assegnato, nell'àmbito delle attuali dotazioni organiche delle singole amministrazioni, personale con idonea qualificazione e con elevata capacità di avere contatti con il pubblico, eventualmente assicurato da apposita formazione.

4. Al fine di assicurare la conoscenza di normative, servizi e strutture, le amministrazioni pubbliche programmano ed attuano iniziative di comunicazione di pubblica utilità; in particolare, le amministrazioni dello Stato, per l'attuazione delle iniziative individuate nell'àmbito delle proprie competenze, si avvalgono del Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri quale struttura centrale di servizio, secondo un piano annuale di coordinamento del fabbisogno di prodotti e servizi, da sottoporre all'approvazione del Presidente del Consiglio dei ministri.

5. Per le comunicazioni previste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni, non si applicano le norme vigenti che dispongono la tassa a carico del destinatario.

6. Il responsabile dell'ufficio per le relazioni con il pubblico e il personale da lui indicato possono promuovere iniziative volte, anche con il supporto delle procedure informatiche, al miglioramento dei servizi per il pubblico, alla semplificazione e all'accelerazione delle procedure e all'incremento delle modalità di accesso informale alle informazioni in possesso dell'amministrazione e ai documenti amministrativi.

7. L'organo di vertice della gestione dell'amministrazione o dell'ente verifica l'efficacia dell'applicazione delle iniziative di cui al comma 6, ai fini dell'inserimento della verifica positiva nel fascicolo personale del dipendente. Tale riconoscimento costituisce titolo autonomamente valutabile in concorsi pubblici e nella progressione di carriera del dipendente. Gli organi di vertice trasmettono le iniziative riconosciute ai sensi del presente comma al Dipartimento della funzione pubblica, ai fini di un'adeguata pubblicizzazione delle stesse. Il Dipartimento annualmente individua le forme di pubblicazione.

 

Art. 12. 

Uffici per la gestione del contenzioso del lavoro.
(Art. 12-bis del D.Lgs. n. 29 del 1999, aggiunto dall'art. 7 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche provvedono, nell'àmbito dei rispettivi ordinamenti, ad organizzare la gestione del contenzioso del lavoro, anche creando appositi uffici, in modo da assicurare l'efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giudiziali inerenti alle controversie. Più amministrazioni omogenee o affini possono istituire, mediante convenzione che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento, un unico ufficio per la gestione di tutto o parte del contenzioso comune.

 

Capo II - Dirigenza

 

Sezione I - Qualifiche, uffici dirigenziali ed attribuzioni

 

Art. 13. 

Amministrazioni destinatarie.
(Art. 13 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 3 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall'art. 8 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le disposizioni del presente capo si applicano alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo.

 

Art. 14. 

Indirizzo politico-amministrativo.
(Art. 14 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 9 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Il Ministro esercita le funzioni di cui all'articolo 4, comma 1. A tal fine periodicamente, e comunque ogni anno entro dieci giorni (19) dalla pubblicazione della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all'articolo 16:

a) definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali per l'attività amministrativa e per la gestione;

b) effettua, ai fini dell'adempimento dei compiti definiti ai sensi della lettera a), l'assegnazione ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni delle risorse di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), del presente decreto, ivi comprese quelle di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, e successive modificazioni e integrazioni, ad esclusione delle risorse necessarie per il funzionamento degli uffici di cui al comma 2; provvede alle variazioni delle assegnazioni con le modalità previste dal medesimo decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, tenendo altresì conto dei procedimenti e subprocedimenti attribuiti ed adotta gli altri provvedimenti ivi previsti.

2. Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 1 il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l'amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. A tali uffici sono assegnati, nei limiti stabiliti dallo stesso regolamento: dipendenti pubblici anche in posizione di aspettativa, fuori ruolo o comando; collaboratori assunti con contratti a tempo determinato disciplinati dalle norme di diritto privato; esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. All'atto del giuramento del Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine, conferiti nell'ambito degli uffici di cui al presente comma, decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro. Per i dipendenti pubblici si applica la disposizione di cui all'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127. Con lo stesso regolamento si provvede al riordino delle segretarie particolari dei Sottosegretari di Stato. Con decreto adottato dall'autorità di governo competente, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, è determinato, in attuazione dell'articolo 12, comma 1, lettera n) della legge 15 marzo 1997, n. 59, senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro, fino ad una specifica disciplina contrattuale, il trattamento economico accessorio, da corrispondere mensilmente, a fronte delle responsabilità, degli obblighi di reperibilità e di disponibilità ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consiste in un unico emolumento, è sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale. Con effetto dall'entrata in vigore del regolamento di cui al presente comma sono abrogate le norme del regio decreto legge 10 luglio 1924, n. 1100, e successive modificazioni ed integrazioni, ed ogni altra norma riguardante la costituzione e la disciplina dei gabinetti dei Ministri e delle segretarie particolari dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato (20).

3. Il Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinano pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro può nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento. Resta salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 3, lett. p) della legge 23 agosto 1988, n. 400. Resta altresì salvo quanto previsto dall'articolo 6 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni ed integrazioni, e dall'articolo 10 del relativo regolamento emanato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635. Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità (21).

 

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(19)  Il termine era stato prorogato dal comma 8 dell'art. 1, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione.

(20)  Comma così modificato dal comma 24-bis dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, aggiunto dalla relativa legge di conversione. Per la decorrenza del termine di cui al presente comma vedi il comma 24-ter dello stesso articolo 1. Il regolamento di organizzazione degli uffici di cui al presente comma è stato adottato:

- con D.P.R. 22 settembre 2000, n. 451, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica;

- con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 216, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della sanità;

- con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 230, per gli uffici di diretta collaborazione dei Ministri;

- con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 243, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dei lavori pubblici;

- con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 245, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'ambiente;

- con D.P.R. 24 aprile 2001, n. 225, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dei trasporti e della navigazione;

- con D.P.R. 24 aprile 2001, n. 320, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

- con D.P.R. 3 maggio 2001, n. 291, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del commercio con l'estero;

- con D.P.R. 14 maggio 2001, n. 258, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle comunicazioni;

- con D.P.R. 14 maggio 2001, n. 303, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle politiche agricole e forestali;

- con D.P.R. 17 maggio 2001, n. 297, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro del lavoro;

- con D.P.R. 24 maggio 2001, n. 233, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro degli affari esteri;

- con D.P.R. 6 luglio 2001, n. 307, corretto con Comunicato 4 agosto 2001 (Gazz. Uff. 4 agosto 2001, n. 180), per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro per i beni e le attività culturali;

- con D.P.R. 25 luglio 2001, n. 315, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della giustizia;

- con D.P.R. 7 settembre 2001, n. 398, per gli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell'interno;

- con D.P.R. 21 marzo 2002, n. 98, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'interno;

- con D.P.R. 26 marzo 2002, n. 128 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 154) e con D.P.R. 14 gennaio 2009, n. 16, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

- con D.P.R. 12 giugno 2003, n. 208, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della salute;

- con D.P.R. 3 luglio 2003, n. 227, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'economia e delle finanze;

- con D.P.R. 14 ottobre 2003, n. 316, per gli uffici di diretta collaborazione del vice Ministro delle attività produttive;

- con D.P.R. 24 febbraio 2006, n. 162, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro della difesa;

- con D.P.R. 13 febbraio 2007, n. 57, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'università e della ricerca;

- con D.P.R. 28 novembre 2008, n. 198, per gli uffici di diretta collaborazione del Ministro dello sviluppo economico.

(21) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 2 dell'art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 90.

 

Art. 15. 

Dirigenti.
(Art. 15 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 4 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e successivamente modificato dall'art. 10 del D.Lgs. n. 80 del 1998; Art. 27 del D.Lgs. n. 29 del 1993, commi 1 e 3, come sostituiti dall'art. 7 del D.Lgs. n. 470 del 1993)

1. Nelle amministrazioni pubbliche di cui al presente capo, la dirigenza è articolata nelle due fasce dei ruoli di cui all'articolo 23. Restano salve le particolari disposizioni concernenti le carriere diplomatica e prefettizia e le carriere delle Forze di polizia e delle Forze armate. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è fatto salvo quanto previsto dall'articolo 6 (22) (23).

2. Nelle istituzioni e negli enti di ricerca e sperimentazione, nonché negli altri istituti pubblici di cui al sesto comma dell'articolo 33 della Costituzione, le attribuzioni della dirigenza amministrativa non si estendono alla gestione della ricerca e dell'insegnamento.

3. Per ciascuna struttura organizzativa non affidata alla direzione del dirigente generale, il dirigente preposto all'ufficio di più elevato livello è sovraordinato al dirigente preposto ad ufficio di livello inferiore.

4. Per le regioni, il dirigente cui sono conferite funzioni di coordinamento è sovraordinato, limitatamente alla durata dell'incarico, al restante personale dirigenziale.

5. Per il Consiglio di Stato e per i tribunali amministrativi regionali, per la Corte dei conti e per l'Avvocatura generale dello Stato, le attribuzioni che il presente decreto demanda agli organi di Governo sono di competenza rispettivamente, del Presidente del Consiglio di Stato, del Presidente della Corte dei conti e dell'Avvocato generale dello Stato; le attribuzioni che il presente decreto demanda ai dirigenti preposti ad uffici dirigenziali di livello generale sono di competenza dei segretari generali dei predetti istituti.

 

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(22)  Comma così modificato dall'art. 3, comma 8, lettera a), L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il D.P.R. 23 aprile 2004, n. 108.

(23)  La Corte costituzionale, con ordinanza 16-30 gennaio 2002, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 15, comma 1, e 23 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998, n. 80, e 29 ottobre 1998, n. 387, ora sostituiti dagli artt. 15, comma 1, e 23 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sollevata in riferimento agli artt. 97, 98 e 3 della Costituzione.

 

Art. 16. 

Funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali.
(Art. 16 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 9 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 11 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 4 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. I dirigenti di uffici dirigenziali generali, comunque denominati, nell'àmbito di quanto stabilito dall'articolo 4 esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:

a) formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro nelle materie di sua competenza;

b) curano l'attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal Ministro e attribuiscono ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità di specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e materiali;

c) adottano gli atti relativi all'organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale;

d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti;

e) dirigono, coordinano e controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in caso di inerzia, e propongono l'adozione, nei confronti dei dirigenti, delle misure previste dall'articolo 21;

f) promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto disposto dall'articolo 12, comma 1, della legge 3 aprile 1979, n. 103;

g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell'amministrazione e rispondono ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di competenza;

h) svolgono le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro;

i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti;

l) curano i rapporti con gli uffici dell'Unione europea e degli organismi internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive dell'organo di direzione politica, sempreché tali rapporti non siano espressamente affidati ad apposito ufficio o organo.

2. I dirigenti di uffici dirigenziali generali riferiscono al Ministro sull'attività da essi svolta correntemente e in tutti i casi in cui il Ministro lo richieda o lo ritenga opportuno.

3. L'esercizio dei compiti e dei poteri di cui al comma 1 può essere conferito anche a dirigenti preposti a strutture organizzative comuni a più amministrazioni pubbliche, ovvero alla attuazione di particolari programmi, progetti e gestioni.

4. Gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui al presente articolo non sono suscettibili di ricorso gerarchico.

5. Gli ordinamenti delle amministrazioni pubbliche al cui vertice è preposto un segretario generale, capo dipartimento o altro dirigente comunque denominato, con funzione di coordinamento di uffici dirigenziali di livello generale, ne definiscono i compiti ed i poteri (24).

 

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(24) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 2 dell'art. 1, D.L. 23 maggio 2008, n. 90.

 

Art. 17. 

Funzioni dei dirigenti.
(Art. 17 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 10 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 12 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. I dirigenti, nell'àmbito di quanto stabilito dall'articolo 4, esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:

a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;

b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate;

c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali;

d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia;

e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici.

1-bis. I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'àmbito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni caso l'articolo 2103 del codice civile (25).

 

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(25)  Comma aggiunto dall'art. 2, L. 15 luglio 2002, n. 145.

 

Art. 17-bis. 

Vicedirigenza.

1. La contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l'istituzione di un'apposita separata area della vicedirigenza nella quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento. In sede di prima applicazione la disposizione di cui al presente comma si estende al personale non laureato che, in possesso degli altri requisiti richiesti, sia risultato vincitore di procedure concorsuali per l'accesso alla ex carriera direttiva anche speciale. I dirigenti possono delegare ai vice dirigenti parte delle competenze di cui all'articolo 17 (26).

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica, ove compatibile, al personale dipendente dalle altre amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, appartenente a posizioni equivalenti alle posizioni C2 e C3 del comparto Ministeri; l'equivalenza delle posizioni è definita con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Restano salve le competenze delle regioni e degli enti locali secondo quanto stabilito dall'articolo 27 (27).

 

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(26)  Comma così modificato dall'art. 14-octies, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(27)  Articolo aggiunto dall'art. 7, comma 3, L. 15 luglio 2002, n. 145. Per l'interpretazione autentica del presente articolo vedi l'art. 8, L. 4 marzo 2009, n. 15.

 

Art. 18.

 Criteri di rilevazione e analisi dei costi e dei rendimenti.
(Art. 18 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 5 del D.Lgs. n. 470 del 1993)

1. Sulla base delle indicazioni di cui all'articolo 59 del presente decreto, i dirigenti preposti ad uffici dirigenziali di livello generale adottano misure organizzative idonee a consentire la rilevazione e l'analisi dei costi e dei rendimenti dell'attività amministrativa, della gestione e delle decisioni organizzative.

2. Il Dipartimento della funzione pubblica può chiedere all'Istituto nazionale di statistica-ISTAT l'elaborazione di norme tecniche e criteri per le rilevazioni ed analisi di cui al comma 1 e, all'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione-AIPA (28), l'elaborazione di procedure informatiche standardizzate allo scopo di evidenziare gli scostamenti dei costi e dei rendimenti rispetto a valori medi e standards.

 

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(28)  La denominazione «Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione» è da intendersi sostituita da quella di «Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione» ai sensi di quanto disposto dall'art. 176, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

 

Art. 19. 

Incarichi di funzioni dirigenziali.
(Art. 19 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 11 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 13 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 5 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, valutate anche in considerazione dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro. Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2103 del codice civile (29).

2. Tutti gli incarichi di funzione dirigenziale nelle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, sono conferiti secondo le disposizioni del presente articolo. Con il provvedimento di conferimento dell'incarico, ovvero con separato provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro competente per gli incarichi di cui al comma 3, sono individuati l'oggetto dell'incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall'organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell'incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni. Gli incarichi sono rinnovabili. Al provvedimento di conferimento dell'incarico accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico, nel rispetto dei princìpi definiti dall'articolo 24. È sempre ammessa la risoluzione consensuale del rapporto (30).

3. Gli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente sono conferiti con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia dei ruoli di cui all'articolo 23 o, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali richieste dal comma 6 (31).

4. Gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale sono conferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia dei ruoli di cui all'articolo 23 o, in misura non superiore al 70 per cento della relativa dotazione, agli altri dirigenti appartenenti ai medesimi ruoli ovvero, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali richieste dal comma 6 (32).

4-bis. I criteri di conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale, conferiti ai sensi del comma 4 del presente articolo, tengono conto delle condizioni di pari opportunità di cui all'articolo 7 (33).

5. Gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale sono conferiti, dal dirigente dell'ufficio di livello dirigenziale generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c).

5-bis. Gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all'articolo 23 e del 5 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, anche a dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui al medesimo articolo 23, purché dipendenti delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, ovvero di organi costituzionali, previo collocamento fuori ruolo, comando o analogo provvedimento secondo i rispettivi ordinamenti (34).

5-ter. I criteri di conferimento degli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale, conferiti ai sensi del comma 5 del presente articolo, tengono conto delle condizioni di pari opportunità di cui all'articolo 7 (35).

6. Gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all'articolo 23 e dell'8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato ai soggetti indicati dal presente comma. La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenzialem il termine di cinque anni. Tali incarichi sono conferiti a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Il trattamento economico può essere integrato da una indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di durata dell'incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio (36).

7. [Gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali di cui ai commi precedenti sono revocati nelle ipotesi di responsabilità dirigenziale per inosservanza delle direttive generali e per i risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione, disciplinate dall'articolo 21, ovvero nel caso di risoluzione consensuale del contratto individuale di cui all'articolo 24, comma 2] (37).

8. Gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 3, al comma 5-bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli di cui all'articolo 23, e al comma 6, cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo (38).

9. Degli incarichi di cui ai commi 3 e 4 è data comunicazione al Senato della Repubblica ed alla Camera dei deputati, allegando una scheda relativa ai titoli ed alle esperienze professionali dei soggetti prescelti.

10. I dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall'ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione degli enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni ministeriali (39).

11. Per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il ministero degli affari esteri nonché per le amministrazioni che esercitano competenze in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, la ripartizione delle attribuzioni tra livelli dirigenziali differenti è demandata ai rispettivi ordinamenti.

12. Per il personale di cui all'articolo 3, comma 1, il conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali continuerà ad essere regolato secondo i rispettivi ordinamenti di settore. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 10 agosto 2000, n. 246 (40) (41).

12-bis. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi (42).

 

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(29)  Comma così sostituito dall'art. 3, comma 1, lettera a), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(30)  Comma prima sostituito dall'art. 3, comma 1, lettera b), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi così modificato dall'art. 14-sexies, comma 1, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. Vedi, anche, il comma 2 del citato articolo 14-sexies.

(31)  Comma così modificato dall'art. 3, comma 1, lettera c), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(32)  Comma prima sostituito dall'art. 3, comma 1, lettera d), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi così modificato dall'art. 3, comma 147, L. 24 dicembre 2003, n. 350. Vedi, anche, le ulteriori disposizioni del citato comma 147.

(33)  Comma aggiunto dall'art. 3, comma 1, lettera e), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(34)  Comma aggiunto dall'art. 3, comma 1, lettera f), L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il comma 10-bis dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181 e il comma 16-quaterdecies dell'art. 41, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, entrambi aggiunti dalle relative leggi di conversioni.

(35)  Comma aggiunto dall'art. 3, comma 1, lettera f), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(36)  In deroga al presente comma vedi l'art. 5-bis, D.L. 7 settembre 2001, n. 343, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. Successivamente il presente comma è stato così sostituito prima dall'art. 3, comma 1, lettera g), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi dall'art. 14-sexies, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. L'art. 4, D.L. 29 novembre 2004, n. 280, non convertito in legge, aveva fornito l'interpretazione autentica delle disposizioni di cui al presente comma. Da ultimo, il presente comma era stato modificato dall'art. 15, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione. Vedi, anche, il comma 10-bis dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181 e il comma 16-quaterdecies dell'art. 41, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, entrambi aggiunti dalle relative leggi di conversione, e il comma 359 dell'art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(37)  Comma abrogato dall'art. 3, comma 1, lettera h), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(38)  Comma prima sostituito dall'art. 3, comma 1, lettera i), L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi così modificato dal comma 159 dell'art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come modificato dalla relativa legge di conversione. Vedi, anche, i commi 160 e 161 dello stesso art. 2.

(39)  Comma così sostituito dall'art. 3, comma 1, lettera l), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(40)  Comma così modificato dall'art. 3, comma 1, lettera m), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(41)  La Corte costituzionale, con ordinanza 16-30 gennaio 2002, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, 21 e 24, comma 2, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998, n. 80 e 29 ottobre 1998, n. 387 ora sostituiti dagli artt. 19, 21 e 24, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 sollevata in riferimento agli artt. 97, 98 e 3 della Costituzione.

(42)  Comma aggiunto dall'art. 3, comma 1, lettera n), L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il comma 7 dello stesso articolo.

 

Art. 20. 

Verifica dei risultati.
(Art. 20 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 6 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e successivamente modificato prima dall'art. 43, comma 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998 poi dall'art. 6 del D.Lgs. n. 387 del 1998 e, infine, dagli artt. 5, comma 5 e 10, comma 2 del D.Lgs. n. 286 del 1999)

1. Per la Presidenza del Consiglio dei ministri e per le amministrazioni che esercitano competenze in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, le operazioni di verifica sono effettuate dal Ministro per i dirigenti e dal Consiglio dei ministri per i dirigenti preposti ad ufficio di livello dirigenziale generale. I termini e le modalità di attuazione del procedimento di verifica dei risultati da parte del Ministro competente e del Consiglio dei ministri sono stabiliti rispettivamente con regolamento ministeriale e con decreto del Presidente della Repubblica adottato ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, ovvero fino alla data di entrata in vigore di tale decreto, provvedimenti dei singoli ministeri interessati.

 

Art. 21. 

Responsabilità dirigenziale.
(Art. 21, commi 1, 2 e 5 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall'art. 12 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 14 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificati dall'art. 7 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Il mancato raggiungimento degli obiettivi, ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, valutati con i sistemi e le garanzie di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, comportano, ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può, inoltre, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'articolo 23, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo (43).

2. [Nel caso di grave inosservanza delle direttive impartite dall'organo competente o di ripetuta valutazione negativa, ai sensi del comma 1, il dirigente, previa contestazione e contraddittorio, può essere escluso dal conferimento di ulteriori incarichi di livello dirigenziale corrispondente a quello revocato, per un periodo non inferiore a due anni. Nei casi di maggiore gravità, l'amministrazione può recedere dal rapporto di lavoro, secondo le disposizioni del codice civile e dei contratti collettivi] (44).

3. Restano ferme le disposizioni vigenti per il personale delle qualifiche dirigenziali delle Forze di polizia, delle carriere diplomatica e prefettizia e delle Forze armate nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (45) (46).

 

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(43)  Comma così sostituito dall'art. 3, comma 2, lettera a), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(44)  Comma abrogato dall'art. 3, comma 2, lettera b), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(45)  Comma così modificato dall'art. 73, D.Lgs. 13 ottobre 2005, n. 217, con la decorrenza ed i limiti indicati nell'art. 175 dello stesso decreto.

(46)  La Corte costituzionale, con ordinanza 16-30 gennaio 2002, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, 21 e 24, comma 2, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998, n. 80 e 29 ottobre 1998, n. 387 ora sostituiti dagli artt. 19, 21 e 24, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 sollevata in riferimento agli artt. 97, 98 e 3 della Costituzione.

 

Art. 22. 

Comitato dei garanti.
(Art. 21, comma 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 14 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. I provvedimenti di cui all'articolo 21, comma 1, sono adottati previo conforme parere di un comitato di garanti, i cui componenti sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il comitato è presieduto da un magistrato della Corte dei conti, con esperienza nel controllo di gestione, designato dal Presidente della Corte dei conti; di esso fanno parte un dirigente della prima fascia dei ruoli di cui all'articolo 23, eletto dai dirigenti dei medesimi ruoli con le modalità stabilite da apposito regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e collocato fuori ruolo per la durata del mandato, e un esperto scelto dal Presidente del Consiglio dei ministri, tra soggetti con specifica qualificazione ed esperienza nei settori dell'organizzazione amministrativa del lavoro pubblico. Il parere viene reso entro trenta giorni dalla richiesta; decorso inutilmente tale termine si prescinde dal parere. Il comitato dura in carica tre anni. L'incarico non è rinnovabile (47).

 

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(47)  Comma così modificato dall'art. 3, comma 3, L. 15 luglio 2002, n. 145. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.R. 2 marzo 2004, n. 114. Vedi, anche, l'art. 5-bis, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. Per la costituzione del comitato di cui al presente articolo vedi il D.P.C.M. 10 giugno 2005.

 

Art. 23. 

Ruolo dei dirigenti.
(Art. 23 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 15 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 8 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. In ogni amministrazione dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è istituito il ruolo dei dirigenti, che si articola nella prima e nella seconda fascia, nel cui àmbito sono definite apposite sezioni in modo da garantire la eventuale specificità tecnica. I dirigenti della seconda fascia sono reclutati attraverso i meccanismi di accesso di cui all'articolo 28. I dirigenti della seconda fascia transitano nella prima qualora abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti, in base ai particolari ordinamenti di cui all'articolo 19, comma 11, per un periodo pari almeno a tre anni senza essere incorsi nelle misure previste dall'articolo 21 per le ipotesi di responsabilità dirigenziale (48).

2. È assicurata la mobilità dei dirigenti, nei limiti dei posti disponibili, in base all'articolo 30 del presente decreto. I contratti o accordi collettivi nazionali disciplinano, secondo il criterio della continuità dei rapporti e privilegiando la libera scelta del dirigente, gli effetti connessi ai trasferimenti e alla mobilità in generale in ordine al mantenimento del rapporto assicurativo con l'ente di previdenza, al trattamento di fine rapporto e allo stato giuridico legato all'anzianità di servizio e al fondo di previdenza complementare. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica cura una banca dati informatica contenente i dati relativi ai ruoli delle amministrazioni dello Stato (49) (50) (51).

 

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(48)  Comma così modificato dall'art. 14-sexies, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione. Precedentemente il presente comma era stato modificato dall'art. 4, D.L. 29 novembre 2004, n. 280, non convertito in legge.

(49)  Comma così modificato dall'art. 3-bis, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(50)  Articolo così sostituito dall'art. 3, comma 4, L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il D.P.R. 23 aprile 2004, n. 108.

(51)  La Corte costituzionale, con ordinanza 16-30 gennaio 2002, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 15, comma 1, e 23 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998, n. 80, e 29 ottobre 1998, n. 387, ora sostituiti dagli artt. 15, comma 1, e 23 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sollevata in riferimento agli artt. 97, 98 e 3 della Costituzione.

 

Art. 23-bis. 

Disposizioni in materia di mobilità tra pubblico e privato.

1. In deroga all'articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, i dirigenti delle pubbliche amministrazioni, nonché gli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato possono, a domanda, essere collocati in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti. Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta. È sempre ammessa la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell'interessato, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29, presso una qualsiasi delle forme assicurative nelle quali abbia maturato gli anni di contribuzione. Quando l'incarico è espletato presso organismi operanti in sede internazionale, la ricongiunzione dei periodi contributivi è a carico dell'interessato, salvo che l'ordinamento dell'amministrazione di destinazione non disponga altrimenti (52).

2. I dirigenti di cui all'articolo 19, comma 10, sono collocati a domanda in aspettativa senza assegni per lo svolgimento dei medesimi incarichi di cui al comma 1 del presente articolo, salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza.

3. Per i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, e per gli avvocati e procuratori dello Stato, gli organi competenti deliberano il collocamento in aspettativa, fatta salva per i medesimi la facoltà di valutare ragioni ostative all'accoglimento della domanda.

4. Nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, il periodo di collocamento in aspettativa di cui al comma 1 non può superare i cinque anni e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza.

5. L'aspettativa per lo svolgimento di attività o incarichi presso soggetti privati o pubblici da parte del personale di cui al comma 1 non può comunque essere disposta se:

a) il personale, nei due anni precedenti, è stato addetto a funzioni di vigilanza, di controllo ovvero, nel medesimo periodo di tempo, ha stipulato contratti o formulato pareri o avvisi su contratti o concesso autorizzazioni a favore di soggetti presso i quali intende svolgere l'attività. Ove l'attività che si intende svolgere sia presso una impresa, il divieto si estende anche al caso in cui le predette attività istituzionali abbiano interessato imprese che, anche indirettamente, la controllano o ne sono controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile;

b) il personale intende svolgere attività in organismi e imprese private che, per la loro natura o la loro attività, in relazione alle funzioni precedentemente esercitate, possa cagionare nocumento all'immagine dell'amministrazione o comprometterne il normale funzionamento o l'imparzialità.

6. Il dirigente non può, nei successivi due anni, ricoprire incarichi che comportino l'esercizio delle funzioni individuate alla lettera a) del comma 5.

7. Sulla base di appositi protocolli di intesa tra le parti, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, possono disporre, per singoli progetti di interesse specifico dell'amministrazione e con il consenso dell'interessato, l'assegnazione temporanea di personale presso altre pubbliche amministrazioni o imprese private. I protocolli disciplinano le funzioni, le modalità di inserimento, l'onere per la corresponsione del trattamento economico da porre a carico delle imprese destinatarie. Nel caso di assegnazione temporanea presso imprese private i predetti protocolli possono prevedere l'eventuale attribuzione di un compenso aggiuntivo, con oneri a carico delle imprese medesime (53).

8. Il servizio prestato dai dipendenti durante il periodo di assegnazione temporanea di cui al comma 7 costituisce titolo valutabile ai fini della progressione di carriera.

9. Le disposizioni del presente articolo non trovano comunque applicazione nei confronti del personale militare e delle Forze di polizia, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

10. Con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati i soggetti privati e gli organismi internazionali di cui al comma 1 e sono definite le modalità e le procedure attuative del presente articolo (54).

 

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(52) Per l'interpretazione autentica del presente comma vedi il comma 578 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(53)  Comma così sostituito dall'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7.

(54)  Articolo aggiunto dall'art. 7, comma 1, L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, il comma 4-bis dell'art. 101, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 aggiunto dal comma 2 dell'art. 7 della citata legge n. 145 del 2002.

 

Art. 24. 

Trattamento economico.
(Art. 24 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 13 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 16 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato prima dall'art. 9 del D.Lgs. n. 387 del 1998 e poi dall'art. 26, comma 6 della legge n. 448 del 1998)

1. La retribuzione del personale con qualifica di dirigente è determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, prevedendo che il trattamento economico accessorio sia correlato alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità. La graduazione delle funzioni e responsabilità ai fini del trattamento accessorio è definita, ai sensi dell'articolo 4, con decreto ministeriale per le amministrazioni dello Stato e con provvedimenti dei rispettivi organi di governo per le altre amministrazioni o enti, ferma restando comunque l'osservanza dei criteri e dei limiti delle compatibilità finanziarie fissate dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

2. Per gli incarichi di uffici dirigenziali di livello generale ai sensi dell'articolo 19, commi 3 e 4, con contratto individuale è stabilito il trattamento economico fondamentale, assumendo come parametri di base i valori economici massimi contemplati dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, e sono determinati gli istituti del trattamento economico accessorio, collegato al livello di responsabilità attribuito con l'incarico di funzione ed ai risultati conseguiti nell'attività amministrativa e di gestione, ed i relativi importi. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze sono stabiliti i criteri per l'individuazione dei trattamenti accessori massimi, secondo principi di contenimento della spesa e di uniformità e perequazione (55) (56) (57).

3. Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza (58).

4. Per il restante personale con qualifica dirigenziale indicato dall'articolo 3, comma 1, la retribuzione è determinata ai sensi dell'articolo 2, commi 5 e 7, della legge 6 marzo 1992, n. 216, nonché dalle successive modifiche ed integrazioni della relativa disciplina.

5. Il bilancio triennale e le relative leggi finanziarie, nell'àmbito delle risorse da destinare ai miglioramenti economici delle categorie di personale di cui all'articolo 3, indicano le somme da destinare, in caso di perequazione, al riequilibro del trattamento economico del restante personale dirigente civile e militare non contrattualizzato con il trattamento previsto dai contratti collettivi nazionali per i dirigenti del comparto ministeri, tenendo conto dei rispettivi trattamenti economici complessivi e degli incrementi comunque determinatesi a partire dal febbraio 1993, e secondo i criteri indicati nell'articolo 1, comma 2, della legge 2 ottobre 1997, n. 334.

6. I fondi per la perequazione di cui all'articolo 2 della legge 2 ottobre 1997, n. 334, destinati al personale di cui all'articolo 3, comma 2, sono assegnati alle università e da queste utilizzati per l'incentivazione dell'impegno didattico dei professori e ricercatori universitari, con particolare riferimento al sostegno dell'innovazione didattica, delle attività di orientamento e tutorato, della diversificazione dell'offerta formativa. Le università possono destinare allo stesso scopo propri fondi, utilizzando anche le somme attualmente stanziate per il pagamento delle supplenze e degli affidamenti. Le università possono erogare, a valere sul proprio bilancio, appositi compensi incentivanti ai professori e ricercatori universitari che svolgono attività di ricerca nell'àmbito dei progetti e dei programmi dell'Unione europea e internazionali. L'incentivazione, a valere sui fondi di cui all'articolo 2 della predetta legge n. 334 del 1997, è erogata come assegno aggiuntivo pensionabile.

7. I compensi spettanti in base a norme speciali ai dirigenti dei ruoli di cui all'articolo 23 o equiparati sono assorbiti nel trattamento economico attribuito ai sensi dei commi precedenti (59).

8. Ai fini della determinazione del trattamento economico accessorio le risorse che si rendono disponibili ai sensi del comma 7 confluiscono in appositi fondi istituiti presso ciascuna amministrazione, unitamente agli altri compensi previsti dal presente articolo.

9. [Una quota pari al 10 per cento delle risorse di ciascun fondo confluisce in un apposito fondo costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Le predette quote sono ridistribuite tra i fondi di cui al comma 8, secondo criteri diretti ad armonizzare la quantità di risorse disponibili] (60) (61).

 

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(55) Periodo aggiunto dall'art. 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223. Vedi, anche, la Dir.Min. 26 luglio 2006, n. 4/06.

(56) Vedi, anche, il comma 577 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(57)  La Corte costituzionale, con ordinanza 16-30 gennaio 2002, n. 11 (Gazz. Uff. 6 febbraio 2002, n. 6, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, 21 e 24, comma 2, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 nel testo risultante dalle modificazioni apportate con i decreti legislativi 31 marzo 1998, n. 80 e 29 ottobre 1998, n. 387 ora sostituiti dagli artt. 19, 21 e 24, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 sollevata in riferimento agli artt. 97, 98 e 3 della Costituzione.

(58)  Vedi, anche, il comma 1 dell'art. 16, L. 28 dicembre 2001, n. 448 e il comma 22-bis dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181, modificato dal comma 156 dell'art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(59)  Comma così modificato dall'art. 1-ter, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(60)  Comma abrogato dall'art. 1-ter, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(61) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi gli articoli 1 e 8, O.P.C.M. 10 giugno 2008, n. 3682.

 

Art. 25. 

Dirigenti delle istituzioni scolastiche.
(Art. 25-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 1 del D.Lgs. n. 59 del 1998; Art. 25-ter del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 1 del D.Lgs. n. 59 del 1998)

1. Nell'àmbito dell'amministrazione scolastica periferica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonoma a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono inquadrati in ruoli di dimensione regionale e rispondono, agli effetti dell'articolo 21, in ordine ai risultati, che sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all'amministrazione stessa.

2. Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico, organizza l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali.

3. Nell'esercizio delle competenze di cui al comma 2, il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l'esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l'esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l'attuazione del diritto all'apprendimento da parte degli alunni.

4. Nell'àmbito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche, spetta al dirigente l'adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale.

5. Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia operativa, nell'àmbito delle direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell'istituzione scolastica, coordinando il relativo personale.

6. Il dirigente presenta periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell'attività formativa, organizzativa e amministrativa al fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per l'esercizio delle competenze degli organi della istituzione scolastica.

7. I capi di istituto con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ivi compresi i rettori e i vicerettori dei convitti nazionali, le direttrici e vice direttrici degli educandati, assumono la qualifica di dirigente, previa frequenza di appositi corsi di formazione, all'atto della preposizione alle istituzioni scolastiche dotate di autonomia e della personalità giuridica a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, salvaguardando, per quanto possibile, la titolarità della sede di servizio.

8. Il Ministro della pubblica istruzione, con proprio decreto, definisce gli obiettivi, i contenuti e la durata della formazione; determina le modalità di partecipazione ai diversi moduli formativi e delle connesse verifiche; definisce i criteri di valutazione e di certificazione della qualità di ciascun corso; individua gli organi dell'amministrazione scolastica responsabili dell'articolazione e del coordinamento dei corsi sul territori, definendone i criteri; stabilisce le modalità di svolgimento dei corsi con il loro affidamento ad università, agenzie specializzate ed enti pubblici e privati anche tra loro associati o consorziati.

9. La direzione dei conservatori di musica, delle accademie di belle arti, degli istituti superiori per le industrie artistiche e delle accademie nazionali di arte drammatica e di danza, è equiparata alla dirigenza dei capi d'istituto. Con decreto del Ministro della pubblica istruzione sono disciplinate le modalità di designazione e di conferimento e la durata dell'incarico, facendo salve le posizioni degli attuali direttori di ruolo.

10. Contestualmente all'attribuzione della qualifica dirigenziale, ai vicerettori dei convitti nazionali e delle vicedirettrici degli educandati sono soppressi i corrispondenti posti. Alla conclusione delle operazioni sono soppressi i relativi ruoli.

11. I capi d'istituto che rivestano l'incarico di Ministro o Sottosegretario di Stato, ovvero siano in aspettativa per mandato parlamentare o amministrativo o siano in esonero sindacale, distaccati, comandati, utilizzati o collocati fuori ruolo possono assolvere all'obbligo di formazione mediante la frequenza di appositi moduli nell'àmbito della formazione prevista dal presente articolo, ovvero della formazione di cui all'articolo 29. In tale ultimo caso l'inquadramento decorre ai fini giuridici dalla prima applicazione degli inquadramenti di cui al comma 7 ed ai fini economici dalla data di assegnazione ad una istituzione scolastica autonoma.

 

Art. 26. 

Norme per la dirigenza del Servizio sanitario nazionale.
(Art. 26, commi 1, 2-quinquies e 3 del D.Lgs. n. 29 del 1993, modificati prima dall'art. 14 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 45, comma 15 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Alla qualifica di dirigente dei ruoli professionale, tecnico ed amministrativo del Servizio sanitario nazionale si accede mediante concorso pubblico per titoli ed esami, al quale sono ammessi candidati in possesso del relativo diploma di laurea, con cinque anni di servizio effettivo corrispondente alla medesima professionalità prestato in enti del Servizio sanitario nazionale nella posizione funzionale di settimo e ottavo livello, ovvero in qualifiche funzionali di settimo, ottavo e nono livello di altre pubbliche amministrazioni. Relativamente al personale del ruolo tecnico e professionale, l'ammissione è altresì consentita ai candidati in possesso di esperienze lavorative con rapporto di lavoro libero-professionale o di attività coordinata e continuata presso enti o pubbliche amministrazioni, ovvero di attività documentate presso studi professionali privati, società o istituti di ricerca, aventi contenuto analogo a quello previsto per corrispondenti profili del ruolo medesimo.

2. Nell'attribuzione degli incarichi dirigenziali determinati in relazione alla struttura organizzativa derivante dalle leggi regionali di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, si deve tenere conto della posizione funzionale posseduta dal relativo personale all'atto dell'inquadramento nella qualifica di dirigente. È assicurata la corrispondenza di funzioni, a parità di struttura organizzativa, dei dirigenti di più elevato livello dei ruoli di cui al comma 1 con i dirigenti di secondo livello del ruolo sanitario.

3. Fino alla ridefinizione delle piante organiche non può essere disposto alcun incremento dalle dotazioni organiche per ciascuna delle attuali posizioni funzionali dirigenziali del ruolo sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo.

 

Art. 27. 

Criteri di adeguamento per le pubbliche amministrazioni non statali.
(Art. 27-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 17 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le regioni a statuto ordinario, nell'esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai princìpi dell'articolo 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità. Gli enti pubblici non economici nazionali si adeguano, anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, adottando appositi regolamenti di organizzazione.

2. Le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 trasmettono, entro due mesi dalla adozione, le deliberazioni, le disposizioni ed i provvedimenti adottati in attuazione del medesimo comma alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che ne cura la raccolta e la pubblicazione.

 

Sezione II - Accesso alla dirigenza e riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione

 

Art. 28. 

Accesso alla qualifica di dirigente.
(Art. 28 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 8 del D.Lgs. n. 470 del 1993, poi dall'art. 15 del D.Lgs. n. 546 del 1993, successivamente modificato dall'art. 5-bis del decreto legge n. 163 del 1995, convertito con modificazioni della legge n. 273 del 1995, e poi nuovamente sostituito dall'art. 10 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. L'accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione.

2. Al concorso per esami possono essere ammessi i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio o, se in possesso del diploma di specializzazione conseguito presso le scuole di specializzazione individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, almeno tre anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea. Per i dipendenti delle amministrazioni statali reclutati a seguito di corso-concorso, il periodo di servizio è ridotto a quattro anni. Sono, altresì, ammessi soggetti in possesso della qualifica di dirigente in enti e strutture pubbliche non ricomprese nel campo di applicazione dell'articolo 1, comma 2, muniti del diploma di laurea, che hanno svolto per almeno due anni le funzioni dirigenziali. Sono, inoltre, ammessi coloro che hanno ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati in amministrazioni pubbliche per un periodo non inferiore a cinque anni, purché muniti di diploma di laurea. Sono altresì ammessi i cittadini italiani, forniti di idoneo titolo di studio universitario, che hanno maturato, con servizio continuativo per almeno quattro anni presso enti od organismi internazionali, esperienze lavorative in posizioni funzionali apicali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea (62).

3. Al corso-concorso selettivo di formazione possono essere ammessi, con le modalità stabilite nel regolamento di cui al comma 5, soggetti muniti di laurea nonché di uno dei seguenti titoli: laurea specialistica, diploma di specializzazione, dottorato di ricerca, o altro titolo post-universitario rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri, ovvero da primarie istituzioni formative pubbliche o private, secondo modalità di riconoscimento disciplinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la Scuola superiore della pubblica amministrazione. Al corso-concorso possono essere ammessi dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea. Possono essere ammessi, altresì, dipendenti di strutture private, collocati in posizioni professionali equivalenti a quelle indicate nel comma 2 per i dipendenti pubblici, secondo modalità individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Tali dipendenti devono essere muniti del diploma di laurea e avere maturato almeno cinque anni di esperienza lavorativa in tali posizioni professionali all'interno delle strutture stesse (63).

4. Il corso di cui al comma 3 ha la durata di dodici mesi ed è seguito, previo superamento di esame, da un semestre di applicazione presso amministrazioni pubbliche o private. Al termine, i candidati sono sottoposti ad un esame-concorso finale. Ai partecipanti al corso e al periodo di applicazione è corrisposta una borsa di studio a carico della Scuola superiore della pubblica amministrazione (64).

5. Con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la funzione pubblica sentita, per la parte relativa al corso-concorso, la Scuola superiore della pubblica amministrazione, sono definiti:

a) le percentuali, sul complesso dei posti di dirigente disponibili, riservate al concorso per esami e, in misura non inferiore al 30 per cento, al corso-concorso;

b) la percentuale di posti che possono essere riservati al personale di ciascuna amministrazione che indice i concorsi pubblici per esami;

c) i criteri per la composizione e la nomina delle commissioni esaminatrici;

d) le modalità di svolgimento delle selezioni, prevedendo anche la valutazione delle esperienze di servizio professionali maturate nonché, nella fase di prima applicazione del concorso di cui al comma 2, una riserva di posti non superiore al 30 per cento per il personale appartenente da almeno quindici anni alla qualifica apicale, comunque denominata, della carriera direttiva;

e) l'ammontare delle borse di studio per i partecipanti al corso-concorso (65).

6. I vincitori dei concorsi di cui al comma 2, anteriormente al conferimento del primo incarico dirigenziale, frequentano un ciclo di attività formative organizzato dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione e disciplinato ai sensi del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287. Tale ciclo può comprendere anche l'applicazione presso amministrazioni italiane e straniere, enti o organismi internazionali, istituti o aziende pubbliche o private. Il medesimo ciclo formativo, di durata non superiore a dodici mesi, può svolgersi anche in collaborazione con istituti universitari italiani o stranieri, ovvero primarie istituzioni formative pubbliche o private.

7. In coerenza con la programmazione del fabbisogno di personale delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, le amministrazioni di cui al comma 1 comunicano, entro il 30 giugno di ciascun anno, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, il numero dei posti che si renderanno vacanti nei propri ruoli dei dirigenti. Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 luglio di ciascun anno, comunica alla Scuola superiore della pubblica amministrazione i posti da coprire mediante corso-concorso di cui al comma 3. Il corso-concorso è bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione entro il 31 dicembre di ciascun anno (66).

7-bis. Le amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici non economici comunicano, altresì, entro il 30 giugno di ciascun anno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica i dati complessivi e riepilogativi relativi ai ruoli, alla dotazione organica, agli incarichi dirigenziali conferiti, anche ai sensi dell'articolo 19, commi 5-bis e 6, nonché alle posizioni di comando, fuori ruolo, aspettativa e mobilità, con indicazione della decorrenza e del termine di scadenza. Le informazioni sono comunicate e tempestivamente aggiornate per via telematica a cura delle amministrazioni interessate, con inserimento nella banca dati prevista dall'articolo 23, comma 2, secondo le modalità individuate con circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica (67).

8. Restano ferme le vigenti disposizioni in materia di accesso alle qualifiche dirigenziali delle carriere diplomatica e prefettizia, delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

9. Per le finalità di cui al presente articolo, è attribuito alla Scuola superiore della pubblica amministrazione un ulteriore contributo di 1.500 migliaia di euro a decorrere dall'anno 2002.

10. All'onere derivante dall'attuazione del comma 9, pari a 1.500 migliaia di euro a decorrere dall'anno 2002, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell'àmbito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero (68).

 

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(62)  Comma così modificato dall'art. 14, L. 29 luglio 2003, n. 229. Il presente comma era stato modificato anche dall'art. 25, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione.

(63)  In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.C.M. 29 settembre 2004, n. 295.

(64)  Comma così modificato dall'art. 34, comma 25, L. 27 dicembre 2002, n. 289.

(65)  In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.P.R. 24 settembre 2004, n. 272. Vedi, anche, il D.P.C.M. 18 maggio 2005.

(66)  Comma così sostituito dall'art. 34, comma 25, L. 27 dicembre 2002, n. 289.

(67)  Comma aggiunto dall'art. 3-bis, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(68)  Articolo così sostituito dall'art. 3, comma 5, L. 15 luglio 2002, n. 145. Il regolamento recante le modalità per l'ammissione al corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale di cui al presente articolo è stato adottato con D.P.C.M. 11 febbraio 2004, n. 118.

 

Art. 29. 

Reclutamento dei dirigenti scolastici.
(Art. 28-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 1 del D.Lgs. n. 59 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 11, comma 15 della legge n. 124 del 1999)

1. Il reclutamento dei dirigenti scolastici si realizza mediante un corso concorso selettivo di formazione, indetto con decreto del Ministro della pubblica istruzione, svolto in sede regionale con cadenza periodica, comprensivo di moduli di formazione comune e di moduli di formazione specifica per la scuola elementare e media, per la scuola secondaria superiore e per gli istituti educativi. Al corso concorso è ammesso il personale docente ed educativo delle istituzioni statali che abbia maturato, dopo la nomina in ruolo, un servizio effettivamente prestato di almeno sette anni con possesso di laurea, nei rispettivi settori formativi, fatto salvo quanto previsto al comma 4.

2. Il numero di posti messi a concorso in sede regionale rispettivamente per la scuola elementare e media, per la scuola secondaria superiore e per le istituzioni educative è calcolato sommando i posti già vacanti e disponibili per la nomina in ruolo alla data della sua indizione, residuati dopo gli inquadramenti di cui all'articolo 25, ovvero dopo la nomina di tutti i vincitori del precedente concorso, e i posti che si libereranno nel corso del triennio successivo per collocamento a riposo per limiti di età, maggiorati della percentuale media triennale di cessazione dal servizio per altri motivi e di un'ulteriore percentuale del 25 per cento, tenendo conto dei posti da riservare alla mobilità.

3. Il corso concorso, si articola in una selezione per titoli, in un concorso di ammissione, in un periodo di formazione e in un esame finale. Al concorso di ammissione accedono coloro che superano la selezione per titoli disciplinata dal bando di concorso. Sono ammessi al periodo di formazione i candidati utilmente inseriti nella graduatoria del concorso di ammissione entro il limite del numero dei posti messi a concorso a norma del comma 2 rispettivamente per la scuola elementare e media, per la scuola secondaria superiore e per le istituzioni educative, maggiorati del dieci per cento. Nel primo corso concorso, bandito per il numero di posti determinato ai sensi del comma 2 dopo l'avvio delle procedure di inquadramento di cui all'articolo 25, il 50 per cento dei posti così determinati è riservato a coloro che abbiano effettivamente ricoperto per almeno un triennio le funzioni di preside incaricato previo superamento di un esame di ammissione a loro riservato. Ai fini dell'accesso al corso di formazione il predetto personale viene graduato tenendo conto dell'esito del predetto esame di ammissione, dei titoli culturali e professionali posseduti e dell'anzianità di servizio maturata quale preside incaricato (69).

4. Il periodo di formazione, di durata non inferiore a quello previsto dal decreto di cui all'articolo 25, comma 2, comprende periodi di tirocinio ed esperienze presso enti e istituzioni; il numero dei moduli di formazione comune e specifica, i contenuti, la durata e le modalità di svolgimento sono disciplinati con decreto del Ministro della pubblica istruzione, d'intesa con il Ministro per la funzione pubblica, che individua anche i soggetti abilitati a realizzare la formazione. Con lo stesso decreto sono disciplinati i requisiti e i limiti di partecipazione al corso concorso per posti non coerenti con la tipologia del servizio prestato.

5. In esito all'esame finale sono dichiarati vincitori coloro che l'hanno superato, in numero non superiore ai posti messi a concorso, rispettivamente per la scuola elementare e media, per la scuola secondaria e per le istituzioni educative. Nel primo corso concorso bandito dopo l'avvio delle procedure d'inquadramento di cui all'articolo 25, il 50 per cento dei posti messi a concorso è riservato al personale in possesso dei requisiti di servizio come preside incaricato indicati al comma 3. I vincitori sono assunti in ruolo nel limite dei posti annualmente vacanti e disponibili, nell'ordine delle graduatorie definitive. In caso di rifiuto della nomina sono depennati dalla graduatoria. L'assegnazione della sede è disposta sulla base dei princìpi del presente decreto, tenuto conto delle specifiche esperienze professionali. I vincitori in attesa di nomina continuano a svolgere l'attività docente. Essi possono essere temporaneamente utilizzati, per la sostituzione dei dirigenti assenti per almeno tre mesi. Dall'anno scolastico successivo alla data di approvazione della prima graduatoria non sono più conferiti incarichi di presidenza.

6. Alla frequenza dei moduli di formazione specifica sono ammessi, nel limite del contingente stabilito in sede di contrattazione collettiva, anche i dirigenti che facciano domanda di mobilità professionale tra i diversi settori. L'accoglimento della domanda è subordinato all'esito positivo dell'esame finale relativo ai moduli frequentati.

7. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, di concerto col Ministro per la funzione pubblica sono definiti i criteri per la composizione delle commissioni esaminatrici (70) (71).

 

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(69)  Vedi, anche, i commi da 8 a 11 dell'art. 22, L. 28 dicembre 2001, n. 448.

(70)  In attuazione di quanto disposto nel presente comma, vedi il D.P.C.M. 30 maggio 2001, n. 341. Vedi, anche, il D.Dirett. 20 gennaio 2003 e l'art. 8-bis, D.L. 28 maggio 2004, n. 136, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(71) Per l'abrogazione parziale delle disposizioni di cui al presente articolo vedi l'art. 12, D.P.R. 10 luglio 2008, n. 140.

 

Capo III - Uffici, piante organiche, mobilità e accessi

 

Art. 30.

Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse.
(Art. 33 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 13 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall'art. 18 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 20, comma 2 della legge n. 488 del 1999)

1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell'amministrazione di appartenenza (72).

2. I contratti collettivi nazionali possono definire le procedure e i criteri generali per l'attuazione di quanto previsto dal comma 1. In ogni caso sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l'applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale (73).

2-bis. Le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza (74).

2-ter. L'immissione in ruolo di cui al comma 2-bis, limitatamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli affari esteri, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti, avviene previa valutazione comparativa dei titoli di servizio e di studio, posseduti dai dipendenti comandati o fuori ruolo al momento della presentazione della domanda di trasferimento, nei limiti dei posti effettivamente disponibili (75).

2-quater. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, per fronteggiare le situazioni di emergenza in atto, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti può procedere alla riserva di posti da destinare al personale assunto con ordinanza per le esigenze della Protezione civile e del servizio civile, nell'ambito delle procedure concorsuali di cui all'articolo 3, comma 59, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e all'articolo 1, comma 95, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (76).

2-quinquies. Salvo diversa previsione, a seguito dell'iscrizione nel ruolo dell'amministrazione di destinazione, al dipendente trasferito per mobilità si applica esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto della stessa amministrazione (77).

 

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(72)  Comma così modificato dall'art. 16, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(73)  Periodo aggiunto dall'art. 16, L. 28 novembre 2005, n. 246.

(74) Comma aggiunto dal comma 1-quater dell'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(75) Comma aggiunto dal comma 1-quater dell'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(76  Comma aggiunto dal comma 1-quater dell'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(77  Comma aggiunto dall'art. 16, L. 28 novembre 2005, n. 246.

 

Art. 31.  

Passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività.
(Art. 34 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 19 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l'articolo 2112 del codice civile e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all'articolo 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428.

 

Art. 32. 

Scambio di funzionari appartenenti a Paesi diversi e temporaneo servizio all'estero.
(Art. 33-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 11 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Anche al fine di favorire lo scambio internazionale di esperienze amministrative, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, a seguito di appositi accordi di reciprocità stipulati tra le amministrazioni interessate, d'intesa con il Ministero degli affari esteri ed il Dipartimento della funzione pubblica, possono essere destinati a prestare temporaneamente servizio presso amministrazioni pubbliche degli Stati membri dell'Unione europea, degli Stati candidati all'adesione e di altri Stati con cui l'Italia intrattiene rapporti di collaborazione, nonché presso gli organismi dell'Unione europea e le organizzazioni ed enti internazionali cui l'Italia aderisce.

2. Il trattamento economico potrà essere a carico delle amministrazioni di provenienza, di quelle di destinazione o essere suddiviso tra esse, ovvero essere rimborsato in tutto o in parte allo Stato italiano dall'Unione europea o da una organizzazione o ente internazionale.

3. Il personale che presta temporaneo servizio all'estero resta a tutti gli effetti dipendente dell'amministrazione di appartenenza. L'esperienza maturata all'estero è valutata ai fini dello sviluppo professionale degli interessati.

 

Art. 33. 

Eccedenze di personale e mobilità collettiva.
(Art. 35 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 14 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e dall'art. 16 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 20 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Le pubbliche amministrazioni che rilevino eccedenze di personale sono tenute ad informare preventivamente le organizzazioni sindacali di cui al comma 3 e ad osservare le procedure previste dal presente articolo. Si applicano, salvo quanto previsto dal presente articolo, le disposizioni di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223, ed in particolare l'articolo 4, comma 11 e l'articolo 5, commi 1 e 2, e successive modificazioni ed integrazioni.

2. Il presente articolo trova applicazione quando l'eccedenza rilevata riguardi almeno dieci dipendenti. Il numero di dieci unità si intende raggiunto anche in caso di dichiarazione di eccedenza distinte nell'arco di un anno. In caso di eccedenze per un numero inferiore a 10 unità agli interessati si applicano le disposizioni previste dai commi 7 e 8.

3. La comunicazione preventiva di cui all'articolo 4, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, viene fatta alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area. La comunicazione deve contenere l'indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; dei motivi tecnici e organizzativi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a riassorbire le eccedenze all'interno della medesima amministrazione; del numero, della collocazione, delle qualifiche del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato, delle eventuali proposte per risolvere la situazione di eccedenza e dei relativi tempi di attuazione, delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell'attuazione delle proposte medesime.

4. Entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, a richiesta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 3, si procede all'esame delle cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale e delle possibilità di diversa utilizzazione del personale eccedente, o di una sua parte. L'esame è diretto a verificare le possibilità di pervenire ad un accordo sulla ricollocazione totale o parziale del personale eccedente o nell'àmbito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni comprese nell'àmbito della Provincia o in quello diverso determinato ai sensi del comma 6. Le organizzazioni sindacali che partecipano all'esame hanno diritto di ricevere, in relazione a quanto comunicato dall'amministrazione, le informazioni necessarie ad un utile confronto.

5. La procedura si conclude decorsi quarantacinque giorni dalla data del ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, o con l'accordo o con apposito verbale nel quale sono riportate le diverse posizioni delle parti. In caso di disaccordo, le organizzazioni sindacali possono richiedere che il confronto prosegua, per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici nazionali, presso il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, con l'assistenza dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni - ARAN, e per le altre amministrazioni, ai sensi degli articoli 3 e 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni. La procedura si conclude in ogni caso entro sessanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1.

6. I contratti collettivi nazionali possono stabilire criteri generali e procedure per consentire, tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni nell'àmbito della provincia o in quello diverso che, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali. Si applicano le disposizioni dell'articolo 30.

7. Conclusa la procedura di cui ai commi 3, 4 e 5, l'amministrazione colloca in disponibilità il personale che non sia possibile impiegare diversamente nell'àmbito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione che, secondo gli accordi intervenuti ai sensi dei commi precedenti, ne avrebbe consentito la ricollocazione.

8. Dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. I periodi di godimento dell'indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa. È riconosciuto altresì il diritto all'assegno per il nucleo familiare di cui all'articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153, e successive modificazioni ed integrazioni.

 

Art. 34. 

Gestione del personale in disponibilità.
(Art. 35-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 21 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Il personale in disponibilità è iscritto in appositi elenchi secondo l'ordine cronologico di sospensione del relativo rapporto di lavoro (78).

2. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo e per gli enti pubblici non economici nazionali, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri forma e gestisce l'elenco, avvalendosi anche, ai fini della riqualificazione professionale del personale e della sua ricollocazione in altre amministrazioni, della collaborazione delle strutture regionali e provinciali di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e realizzando opportune forme di coordinamento con l'elenco di cui al comma 3.

3. Per le altre amministrazioni, l'elenco è tenuto dalle strutture regionali e provinciali di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni, alle quali sono affidati i compiti di riqualificazione professionale e ricollocazione presso altre amministrazioni del personale. Le leggi regionali previste dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, nel provvedere all'organizzazione del sistema regionale per l'impiego, si adeguano ai princìpi di cui al comma 2.

4. Il personale in disponibilità iscritto negli appositi elenchi ha diritto all'indennità di cui all'articolo 33, comma 8, per la durata massima ivi prevista. La spesa relativa grava sul bilancio dell'amministrazione di appartenenza sino al trasferimento ad altra amministrazione, ovvero al raggiungimento del periodo massimo di fruizione dell'indennità di cui al medesimo comma 8. Il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto a tale data, fermo restando quanto previsto nell'articolo 33. Gli oneri sociali relativi alla retribuzione goduta al momento del collocamento in disponibilità sono corrisposti dall'amministrazione di appartenenza all'ente previdenziale di riferimento per tutto il periodo della disponibilità.

5. I contratti collettivi nazionali possono riservare appositi fondi per la riqualificazione professionale del personale trasferito ai sensi dell'articolo 33 o collocato in disponibilità e per favorire forme di incentivazione alla ricollocazione del personale, in particolare mediante mobilità volontaria.

6. Nell'àmbito della programmazione triennale del personale di cui all'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, le nuove assunzioni sono subordinate alla verificata impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell'apposito elenco.

7. Per gli enti pubblici territoriali le economie derivanti dalla minore spesa per effetto del collocamento in disponibilità restano a disposizione del loro bilancio e possono essere utilizzate per la formazione e la riqualificazione del personale nell'esercizio successivo.

8. Sono fatte salve le procedure di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, relative al collocamento in disponibilità presso gli enti che hanno dichiarato il dissesto.

 

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(78)  Comma così sostituito dal comma 1-quinquies dell'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 34-bis. 

Disposizioni in materia di mobilità del personale.

1. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, con esclusione delle amministrazioni previste dall'articolo 3, comma 1, ivi compreso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, prima di avviare le procedure di assunzione di personale, sono tenute a comunicare ai soggetti di cui all'articolo 34, commi 2 e 3, l'area, il livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il concorso nonché, se necessario, le funzioni e le eventuali specifiche idoneità richieste.

2. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e le strutture regionali e provinciali di cui all'articolo 34, comma 3, provvedono, entro quindici giorni dalla comunicazione, ad assegnare secondo l'anzianità di iscrizione nel relativo elenco il personale collocato in disponibilità ai sensi degli articoli 33 e 34. Le predette strutture regionali e provinciali, accertata l'assenza negli appositi elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso, comunicano tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica le informazioni inviate dalle stesse amministrazioni. Entro quindici giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, provvede ad assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso il personale inserito nell'elenco previsto dall'articolo 34, comma 2. A seguito dell'assegnazione, l'amministrazione destinataria iscrive il dipendente in disponibilità nel proprio ruolo e il rapporto di lavoro prosegue con l'amministrazione che ha comunicato l'intenzione di bandire il concorso (79).

3. Le amministrazioni possono provvedere a organizzare percorsi di qualificazione del personale assegnato ai sensi del comma 2.

4. Le amministrazioni, decorsi due mesi dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1 da parte del Dipartimento della funzione pubblica direttamente per le amministrazioni dello Stato e per gli enti pubblici non economici nazionali, comprese le università, e per conoscenza per le altre amministrazioni, possono procedere all'avvio della procedura concorsuale per le posizioni per le quali non sia intervenuta l'assegnazione di personale ai sensi del comma 2 (80).

5. Le assunzioni effettuate in violazione del presente articolo sono nulle di diritto. Restano ferme le disposizioni previste dall'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni (81).

5-bis. Ove se ne ravvisi l'esigenza per una più tempestiva ricollocazione del personale in disponibilità iscritto nell'elenco di cui all'articolo 34, comma 2, il Dipartimento della funzione pubblica effettua ricognizioni presso le amministrazioni pubbliche per verificare l'interesse all'acquisizione in mobilità dei medesimi dipendenti. Si applica l'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 1995, n. 273 (82) (83).

 

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(79)  Comma così sostituito dal comma 1-sexies dell'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(80)  Comma così modificato dal comma 1-septies dell'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(81)  Articolo aggiunto dall'art. 7, L. 16 gennaio 2003, n. 3.

(82)  Comma aggiunto dal comma 1-octies dell'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(83)  In deroga alle disposizioni contenute nel presente articolo vedi il comma 247 dell'art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266.

 

Art. 35. 

Reclutamento del personale.
(Art. 36, commi da 1 a 6 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall'art. 17 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 22 del D.Lgs. n. 80 del 1998, successivamente modificati dall'art. 2, comma 2-ter del decreto-legge 17 giugno 1999, n. 180 convertito con modificazioni dalla legge n. 269 del 1999; Art. 36-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 23 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 274, comma 1 lettera aa) del D.Lgs. n. 267 del 2000)

1. L'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro:

a) tramite procedure selettive, conformi ai princìpi del comma 3, volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno;

b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.

2. Le assunzioni obbligatorie da parte delle amministrazioni pubbliche, aziende ed enti pubblici dei soggetti di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, avvengono per chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della vigente normativa, previa verifica della compatibilità della invalidità con le mansioni da svolgere. Per il coniuge superstite e per i figli del personale delle Forze armate, delle Forze dell'ordine, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del personale della Polizia municipale deceduto nell'espletamento del servizio, nonché delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, e successive modificazioni ed integrazioni, tali assunzioni avvengono per chiamata diretta nominativa.

3. Le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano ai seguenti princìpi:

a) adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l'imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione;

b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;

c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori (84);

d) decentramento delle procedure di reclutamento;

e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali.

4. Le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale deliberata ai sensi dell'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, ivi compresa l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, con organico superiore alle 200 unità, l'avvio delle procedure concorsuali è subordinato all'emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (85) (86).

4-bis. L'avvio delle procedure concorsuali mediante l'emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di cui al comma 4 si applica anche alle procedure di reclutamento a tempo determinato per contingenti superiori alle cinque unità, inclusi i contratti di formazione e lavoro, e tiene conto degli aspetti finanziari, nonché dei criteri previsti dall'articolo 36 (87).

5. I concorsi pubblici per le assunzioni nelle amministrazioni dello Stato e nelle aziende autonome si espletano di norma a livello regionale. Eventuali deroghe, per ragioni tecnico-amministrative o di economicità, sono autorizzate dal Presidente del Consiglio dei ministri. Per gli uffici aventi sede regionale, compartimentale o provinciale possono essere banditi concorsi unici circoscrizionali per l'accesso alle varie professionalità (88).

5-bis. I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi (89).

5-ter. Le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione. Sono fatti salvi i periodi di vigenza inferiori previsti da leggi regionali (90).

6. Ai fini delle assunzioni di personale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia, di giustizia ordinaria, amministrativa, contabile e di difesa in giudizio dello Stato, si applica il disposto di cui all'articolo 26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, e successive modificazioni ed integrazioni.

7. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le dotazioni organiche, le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le procedure concorsuali, nel rispetto dei princìpi fissati dai commi precedenti (91).

 

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(84) Vedi, anche, la Dir.Min. 23 maggio 2007.

(85)  Periodo così sostituito dal comma 104 dell'art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

(86)  Le determinazioni relative all'avvio delle procedure di reclutamento di cui al presente comma sono state adottate:

- per il Ministero degli affari esteri, con D.P.R. 17 aprile 2002 (Gazz. Uff. 20 giugno 2002, n. 143), con D.P.R. 12 maggio 2003 (Gazz. Uff. 8 luglio 2003, n. 156), con D.P.R. 1° giugno 2004 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 163) e con D.P.C.M. 26 luglio 2005.

- per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con D.P.R. 21 ottobre 2002 (Gazz. Uff. 20 gennaio 2003, n. 15) e con D.P.R. 3 luglio 2004 (Gazz. Uff. 2 settembre 2004, n. 206);

- per il Ministero della giustizia, con D.P.R. 12 maggio 2003 (Gazz. Uff. 8 luglio 2003, n. 156);

- per il Ministero dell'interno - Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso e della difesa civile, con D.P.R. 1° giugno 2004 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 163);

- per i Ministeri, gli enti pubblici non economici, le agenzie e gli enti di ricerca con D.P.C.M. 4 agosto 2005;

- per i Ministeri, gli enti pubblici non economici e le agenzie con D.P.C.M. 16 gennaio 2007;

- per i Ministeri e gli enti pubblici non economici con D.P.C.M. 11 marzo 2008.

- Vedi, anche, la Dir.Min. 3 novembre 2005, n. 3/05.

(87)  Comma aggiunto dall'art. 4, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4.

(88)  Vedi, anche, la Dir.Min. 26 febbraio 2002.

(89)  Comma aggiunto dal comma 230 dell'art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266.

(90) Comma aggiunto dal comma 87 dell'art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244. In deroga al presente comma vedi l'art. 24-quater, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

(91) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi il comma 2 dell'art. 1, O.P.C.M. 19 giugno 2008, n. 3685.

 

Art. 36. 

Utilizzo di contratti di lavoro flessibile.

1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35.

2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall'articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall'articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali.

3. Al fine di evitare abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni, nell'ambito delle rispettive procedure, rispettano principi di imparzialità e trasparenza e non possono ricorrere all'utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell'arco dell'ultimo quinquennio.

4. Le amministrazioni pubbliche trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato le convenzioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili.

5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286. (92).

 

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(92) Articolo prima modificato dall'art. 4, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, come modificato dalla relativa legge di conversione, poi così sostituito dal comma 79 dell'art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244 ed infine così sostituito dall’art. 49, D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Vedi, anche, i commi 345 e 346 dell'art. 1 della stessa legge n. 244 del 2007 e il comma 2 dell'art. 1, O.P.C.M. 19 giugno 2008, n. 3685.

 

Art. 37. 

Accertamento delle conoscenze informatiche e di lingue straniere nei concorsi pubblici.
(Art. 36-ter del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 13 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. A decorrere dal 1° gennaio 2000 i bandi di concorso per l'accesso alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, prevedono l'accertamento della conoscenza dell'uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e di almeno una lingua straniera.

2. Per i dirigenti il regolamento di cui all'articolo 28 definisce il livello di conoscenza richiesto e le modalità per il relativo accertamento.

3. Per gli altri dipendenti delle amministrazioni dello Stato, con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sono stabiliti i livelli di conoscenza, anche in relazione alla professionalità cui si riferisce il bando, e le modalità per l'accertamento della conoscenza medesima. Il regolamento stabilisce altresì i casi nei quali il comma 1 non si applica.

 

Art. 38. 

Accesso dei cittadini degli Stati membri della Unione europea.
(Art. 37 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 24 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. I cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale.

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all'accesso dei cittadini di cui al comma 1.

3. Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all'equiparazione dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei Ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l'equivalenza tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell'ammissione al concorso e della nomina.

 

Art. 39. 

Assunzioni obbligatorie delle categorie protette e tirocinio per portatori di handicap.
(Art. 42 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e modificato prima dall'art. 43, comma 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e poi dall'art. 22, comma 1 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche promuovono o propongono programmi di assunzione per portatori di handicap ai sensi dell'articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68, sulla base delle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, cui confluisce il Dipartimento degli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 45, comma 3 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 con le decorrenze previste dall'articolo 10, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303 (93).

 

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(93) In attuazione di quanto disposto dal presente articolo vedi il Provv. 16 novembre 2006, n. 992/CU.

 

TITOLO III

Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale

 

Art. 40. 

Contratti collettivi nazionali e integrativi.
(Art. 45 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 15 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall'art. 1 del D.Lgs. n. 396 del 1997 e successivamente modificato dall'art. 43, comma 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali.

2. Mediante appositi accordi tra l'ARAN e le confederazioni rappresentative ai sensi dell'articolo 43, comma 4, sono stabiliti i comparti della contrattazione collettiva nazionale riguardanti settori omogenei o affini. I dirigenti costituiscono un'area contrattuale autonoma relativamente a uno o più comparti. I professionisti degli enti pubblici, già appartenenti alla X qualifica funzionale, costituiscono, senza alcun onere aggiuntivo di spesa a carico delle amministrazioni interessate, unitamente alla dirigenza, in separata sezione, un'area contrattuale autonoma, nel rispetto della distinzione di ruolo e funzioni (94). Resta fermo per l'area contrattuale della dirigenza del ruolo sanitario quanto previsto dall'articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni. Agli accordi che definiscono i comparti o le aree contrattuali si applicano le procedure di cui all'articolo 41, comma 6. Per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi e per gli archeologi e gli storici dell'arte aventi il requisito di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 7 luglio 1988, n. 254, nonché per gli archivisti di Stato, i bibliotecari e gli esperti di cui all'articolo 2, comma 1, della medesima legge, che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti tecnico scientifici e di ricerca, sono stabilite discipline distinte nell'àmbito dei contratti collettivi di comparto (95).

3. La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra diversi livelli. Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere àmbito territoriale e riguardare più amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.

4. Le pubbliche amministrazioni adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti (96).

 

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(94)  Periodo aggiunto dall'art. 7, comma 4, L. 15 luglio 2002, n. 145 e poi così modificato dal comma 125 dell'art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

(95)  Comma così modificato dall'art. 14, L. 29 luglio 2003, n. 229.

(96) Il presente articolo era stato modificato, con l'aggiunta del comma 2-bis, dall'art. 10, D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, soppresso dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 40-bis. 

Compatibilità della spesa in materia di contrattazione integrativa.

1. Per le amministrazioni pubbliche indicate all'articolo 1, comma 2, i comitati di settore ed il Governo procedono a verifiche congiunte in merito alle implicazioni finanziarie complessive della contrattazione integrativa di comparto definendo metodologie e criteri di riscontro anche a campione sui contratti integrativi delle singole amministrazioni. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni.

2. Gli organi di controllo interno indicati all'articolo 48, comma 6, inviano annualmente specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa al Ministero dell'economia e delle finanze, che predispone, allo scopo, uno specifico modello di rilevazione, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica (97).

3. In relazione a quanto previsto dai commi 1 e 2, qualora dai contratti integrativi derivino costi non compatibili con i rispettivi vincoli di bilancio delle amministrazioni, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 40, comma 3 (98).

4. Tra gli enti pubblici non economici di cui all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, si intendono ricompresi anche quelli di cui all'articolo 70, comma 4, del presente decreto legislativo (99).

 

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(97) Vedi, anche, l’art. 67, comma 9, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

(98)  Comma così sostituito dall'art. 14, L. 16 gennaio 2003, n. 3.

(99)  Articolo aggiunto dal comma 2 dell'art. 17, L. 28 dicembre 2001, n. 448.

 

Art. 41.

Poteri di indirizzo nei confronti dell'ARAN.
(Art. 46 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 3 del D.Lgs. n. 396 del 1997 e successivamente modificato prima dall'art. 44, comma 3 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e poi dall'art. 55 del D.Lgs. n. 300 del 1999; Art. 44, comma 8 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Le pubbliche amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei confronti dell'ARAN e le altre competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva nazionale attraverso le loro istanze associative o rappresentative, le quali danno vita a tal fine a comitati di settore. Ciascun comitato di settore regola autonomamente le proprie modalità di funzionamento e di deliberazione. In ogni caso, le deliberazioni assunte in materia di indirizzo all'ARAN o di parere sull'ipotesi di accordo nell'àmbito della procedura di contrattazione collettiva di cui all'articolo 47, si considerano definitive e non richiedono ratifica da parte delle istanze associative o rappresentative delle pubbliche amministrazioni del comparto.

2. Per le amministrazioni, le agenzie e le aziende autonome dello Stato, opera come comitato di settore il Presidente del Consiglio dei ministri tramite il Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica nonché, per il sistema scolastico, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione e, per il comparto delle Agenzie fiscali, sentiti i direttori delle medesime (100).

3. Per le altre pubbliche amministrazioni, un comitato di settore per ciascun comparto di contrattazione collettiva viene costituito:

a) nell'àmbito della Conferenza dei Presidenti delle regioni, per le amministrazioni regionali e per le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI e dell'Unione delle province d'Italia - UPI e dell'Unioncamere, per gli enti locali rispettivamente rappresentati;

b) nell'àmbito della Conferenza dei rettori, per le università;

c) nell'àmbito delle istanze rappresentative promosse, ai fini del presente articolo, dai presidenti degli enti, d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri tramite il Ministro per la funzione pubblica, rispettivamente per gli enti pubblici non economici e per gli enti di ricerca.

4. Un rappresentante del Governo, designato dal Ministro della sanità, partecipa al comitato dl settore per il comparto di contrattazione collettiva delle amministrazioni del Servizio sanitario nazionale.

5. L'ARAN regola i rapporti con i comitati di settore sulla base di appositi protocolli.

6. Per la stipulazione degli accordi che definiscono o modificano i comparti o le aree di cui all'articolo 40, comma 2, o che regolano istituti comuni a più comparti o a tutte le pubbliche amministrazioni, le funzioni di indirizzo e le altre competenze inerenti alla contrattazione collettiva sono esercitate in forma collegiale, tramite un apposito organismo di coordinamento dei comitati di settore costituito presso l'ARAN, al quale partecipa il Governo, tramite il Ministro per la funzione pubblica, che lo presiede.

7. L'ARAN assume, nell'àmbito degli indirizzi deliberati dai comitati di settore, iniziative per il coordinamento delle parti datoriali, anche da essa non rappresentate, al fine di favorire, ove possibile, anche con la contestualità delle procedure del rinnovo dei contratti, soluzioni omogenee in settori operativi simili o contigui nel campo dell'erogazione dei servizi.

 

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(100)  Comma così modificato dall'art. 3, D.Lgs. 3 luglio 2003, n. 173.

 

Art. 42. 

Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro.
(Art. 47 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 6 del D.Lgs. n. 396 del 1997)

1. Nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Fino a quando non vengano emanate norme di carattere generale sulla rappresentatività sindacale che sostituiscano o modifichino tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni, in attuazione dei criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b) della legge 23 ottobre 1992, n. 421, osservano le disposizioni seguenti in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell'attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell'esercizio della contrattazione collettiva.

2. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, le organizzazioni sindacali che, in base ai criteri dell'articolo 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo 19 e seguenti della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Ad esse spettano, in proporzione alla rappresentatività, le garanzie previste dagli articoli 23, 24 e 30 della medesima legge n. 300 del 1970, e le migliori condizioni derivanti dai contratti collettivi.

3. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, ad iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2, viene altresì costituito, con le modalità di cui ai commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle quali è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori.

4. Con appositi accordi o contratti collettivi nazionali, tra l'ARAN e le confederazioni o organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'articolo 43, sono definite la composizione dell'organismo di rappresentanza unitaria del personale e le specifiche modalità delle elezioni, prevedendo in ogni caso il voto segreto, il metodo proporzionale e il periodico rinnovo, con esclusione della prorogabilità. Deve essere garantita la facoltà di presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in base ai criteri dell'articolo 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, anche ad altre organizzazioni sindacali, purché siano costituite in associazione con un proprio statuto e purché abbiano aderito agli accordi o contratti collettivi che disciplinano l'elezione e il funzionamento dell'organismo. Per la presentazione delle liste, può essere richiesto a tutte le organizzazioni sindacali promotrici un numero di firme di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3 per cento del totale dei dipendenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative fino a duemila dipendenti, e del 2 per cento in quelle di dimensioni superiori.

5. I medesimi accordi o contratti collettivi possono prevedere che, alle condizioni di cui al comma 8, siano costituite rappresentanze unitarie del personale comuni a più amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati nel medesimo territorio. Essi possono altresì prevedere che siano costituiti organismi di coordinamento tra le rappresentanze unitarie del personale nelle amministrazioni e enti con pluralità di sedi o strutture di cui al comma 8.

6. I componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e del presente decreto. Gli accordi o contratti collettivi che regolano l'elezione e il funzionamento dell'organismo, stabiliscono i criteri e le modalità con cui sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o vi aderiscano.

7. I medesimi accordi possono disciplinare le modalità con le quali la rappresentanza unitaria del personale esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali aziendali dall'articolo 9 o da altre disposizioni della legge e della contrattazione collettiva. Essi possono altresì prevedere che, ai fini dell'esercizio della contrattazione collettiva integrativa, la rappresentanza unitaria del personale sia integrata da rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto.

8. Salvo che i contratti collettivi non prevedano, in relazione alle caratteristiche del comparto, diversi criteri dimensionali, gli organismi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo possono essere costituiti, alle condizioni previste dai commi precedenti, in ciascuna amministrazione o ente che occupi oltre quindici dipendenti. Nel caso di amministrazioni o enti con pluralità di sedi o strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o strutture periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali.

9. Fermo restando quanto previsto dal comma 2, per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, la rappresentanza dei dirigenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative è disciplinata, in coerenza con la natura delle loro funzioni, agli accordi o contratti collettivi riguardanti la relativa area contrattuale.

10. Alle figure professionali per le quali nel contratto collettivo del comparto sia prevista una disciplina distinta ai sensi dell'articolo 40, comma 2, deve essere garantita una adeguata presenza negli organismi di rappresentanza unitaria del personale, anche mediante l'istituzione. tenuto conto della loro incidenza quantitativa e del numero dei componenti dell'organismo, di specifici collegi elettorali.

11. Per quanto riguarda i diritti e le prerogative sindacali delle organizzazioni sindacali delle minoranze linguistiche, nell'àmbito della provincia di Bolzano e della regione Valle d'Aosta, si applica quanto previsto dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58, e dal decreto legislativo 28 dicembre 1989 n. 430.

 

Art. 43. 

Rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva.
(Art. 47-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 7 del D.Lgs. n. 396 del 1997, modificato dall'art. 44, comma 4 del D.Lgs. n. 80 del 1998; Art. 44 comma 7 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall'art. 22, comma 4 del D.Lgs n. 387 del 1998)

1. L'ARAN ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell'area una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale. Il dato associativo è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell'àmbito considerato. Il dato elettorale è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell'àmbito considerato.

2. Alla contrattazione collettiva nazionale per il relativo comparto o area partecipano altresì le confederazioni alle quali le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva ai sensi del comma 1 siano affiliate.

3. L'ARAN sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l'ammissione alle trattative ai sensi del comma 1, che le organizzazioni sindacali che aderiscono all'ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell'area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo àmbito.

4. L'ARAN ammette alla contrattazione collettiva per la stipulazione degli accordi o contratti collettivi che definiscono o modificano i comparti o le aree o che regolano istituti comuni a tutte le pubbliche amministrazioni o riguardanti più comparti, le confederazioni sindacali alle quali, in almeno due comparti o due aree contrattuali, siano affiliate organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi del comma 1.

5. I soggetti e le procedure della contrattazione collettiva integrativa sono disciplinati, in conformità all'articolo 40, comma 3, dai contratti collettivi nazionali, fermo restando quanto previsto dall'articolo 42, comma 7, per gli organismi di rappresentanza unitaria del personale.

6. Agli effetti dell'accordo tra l'ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative, previsto dall'articolo 50, comma 1, e dei contratti collettivi che regolano la materia, le confederazioni e le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale ai sensi dei commi precedenti, hanno titolo ai permessi, aspettative e distacchi sindacali, in quota proporzionale alla loro rappresentatività ai sensi del comma 1, tenendo conto anche della diffusione territoriale e della consistenza delle strutture organizzative nel comparto o nell'area.

7. La raccolta dei dati sui voti e sulle deleghe è assicurata dall'ARAN. I dati relativi alle deleghe rilasciate a ciascuna amministrazione nell'anno considerato sono rilevati e trasmessi all'ARAN non oltre il 31 marzo dell'anno successivo dalle pubbliche amministrazioni, controfirmati da un rappresentante dell'organizzazione sindacale interessata, con modalità che garantiscano la riservatezza delle informazioni. Le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di indicare il funzionario responsabile della rilevazione e della trasmissione dei dati. Per il controllo sulle procedure elettorali e per la raccolta dei dati relativi alle deleghe l'ARAN si avvale, sulla base di apposite convenzioni, della collaborazione del Dipartimento della funzione pubblica, del Ministero del lavoro, delle istanze rappresentative o associative delle pubbliche amministrazioni.

8. Per garantire modalità di rilevazione certe ed obiettive, per la certificazione dei dati e per la risoluzione delle eventuali controversie è istituito presso l'ARAN un comitato paritetico, che può essere articolato per comparti, al quale partecipano le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale.

9. Il comitato procede alla verifica dei dati relativi ai voti ed alle deleghe. Può deliberare che non siano prese in considerazione, ai fini della misurazione del dato associativo, le deleghe a favore di organizzazioni sindacali che richiedano ai lavoratori un contributo economico inferiore di più della metà rispetto a quello mediamente richiesto dalle organizzazioni sindacali del comparto o dell'area.

10. Il comitato delibera sulle contestazioni relative alla rilevazione dei voti e delle deleghe. Qualora vi sia dissenso, e in ogni caso quando la contestazione sia avanzata da un soggetto sindacale non rappresentato nel comitato, la deliberazione è adottata su conforme parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro - CNEL, che lo emana entro quindici giorni dalla richiesta. La richiesta di parere è trasmessa dal comitato al Ministro per la funzione pubblica, che provvede a presentarla al CNEL entro cinque giorni dalla ricezione.

11. Ai fini delle deliberazioni, l'ARAN e le organizzazioni sindacali rappresentate nel comitato votano separatamente e il voto delle seconde è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti presenti.

12. A tutte le organizzazioni sindacali vengono garantite adeguate forme di informazione e di accesso ai dati, nel rispetto della legislazione sulla riservatezza delle informazioni di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive disposizioni correttive ed integrative.

13. Ai sindacati delle minoranze linguistiche della Provincia di Bolzano e delle regioni Valle D'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, riconosciuti rappresentativi agli effetti di speciali disposizioni di legge regionale e provinciale o di attuazione degli Statuti, spettano, eventualmente anche con forme di rappresentanza in comune, i medesimi diritti, poteri e prerogative, previsti per le organizzazioni sindacali considerate rappresentative in base al presente decreto. Per le organizzazioni sindacali che organizzano anche lavoratori delle minoranze linguistiche della provincia di Bolzano e della regione della Val d'Aosta, i criteri per la determinazione della rappresentatività si riferiscono esclusivamente ai rispettivi ambiti territoriali e ai dipendenti ivi impiegati.

 

Art. 44. 

Nuove forme di partecipazione alla organizzazione del lavoro.
(Art. 48 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 16 del D.Lgs n. 470 del 1993)

1. In attuazione dell'articolo 2, comma 1 lettera a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, la contrattazione collettiva nazionale definisce nuove forme di partecipazione delle rappresentanze del personale ai fini dell'organizzazione del lavoro nelle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2. Sono abrogate le norme che prevedono ogni forma di rappresentanza, anche elettiva, del personale nei consigli di amministrazione delle predette amministrazioni pubbliche, nonché nelle commissioni di concorso. La contrattazione collettiva nazionale indicherà forme e procedure di partecipazione che sostituiranno commissioni del personale e organismi di gestione, comunque denominati.

 

Art. 45. 

Trattamento economico.
(Art. 49 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 23 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi.

2. Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi.

3. I contratti collettivi definiscono, secondo criteri obiettivi di misurazione, trattamenti economici accessori collegati:

a) alla produttività individuale;

b) alla produttività collettiva tenendo conto dell'apporto di ciascun dipendente;

c) all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate obiettivamente ovvero pericolose o dannose per la salute. Compete ai dirigenti la valutazione dell'apporto partecipativo di ciascun dipendente, nell'àmbito di criteri obiettivi definiti dalla contrattazione collettiva.

4. I dirigenti sono responsabili dell'attribuzione dei trattamenti economici accessori.

5. Le funzioni ed i relativi trattamenti economici accessori del personale non diplomatico del Ministero degli affari esteri, per i servizi che si prestano all'estero presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e le istituzioni culturali e scolastiche, sono disciplinati, limitatamente al periodo di servizio ivi prestato, dalle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché dalle altre pertinenti normative di settore del Ministero degli affari esteri.

 

Art. 46. 

Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni.
(Art. 50, commi da 1 a 12 e 16 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall'art. 17 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall'art. 2 del D.Lgs. n. 396 del 1997)

1. Le pubbliche amministrazioni sono legalmente rappresentate dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni - ARAN, agli effetti della contrattazione collettiva nazionale. L'ARAN esercita a livello nazionale, in base agli indirizzi ricevuti ai sensi degli articoli 41 e 47, ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell'uniforme applicazione dei contratti collettivi. Sottopone alla valutazione della commissione di garanzia dell'attuazione della legge 12 giugno 1990, n. 146, e successive modificazioni e integrazioni, gli accordi nazionali sulle prestazioni indispensabili ai sensi dell'articolo 2 della legge citata.

2. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi dell'assistenza dell'ARAN ai fini della contrattazione integrativa. Sulla base di apposite intese, l'assistenza può essere assicurata anche collettivamente ad amministrazioni dello stesso tipo o ubicate nello stesso àmbito territoriale. Su richiesta dei comitati di settore, in relazione all'articolazione della contrattazione collettiva integrativa nel comparto ed alle specifiche esigenze delle pubbliche amministrazioni interessate, possono essere costituite, anche per periodi determinati, delegazioni dell'ARAN su base regionale o pluriregionale.

3. L'ARAN cura le attività di studio, monitoraggio e documentazione necessario all'esercizio della contrattazione collettiva. Predispone a cadenza trimestrale, ed invia al Governo, ai comitati di settore e alle commissioni parlamentari competenti, un rapporto sull'evoluzione delle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti. A tal fine l'ARAN si avvale della collaborazione dell'ISTAT per l'acquisizione di informazioni statistiche e per la formulazione di modelli statistici di rilevazione, ed ha accesso ai dati raccolti dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in sede di predisposizione del bilancio dello Stato, del conto annuale del personale e del monitoraggio dei flussi di cassa e relativi agli aspetti riguardanti il costo del lavoro pubblico.

4. Per il monitoraggio sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa, viene istituito presso l'ARAN un apposito osservatorio a composizione paritetica. I suoi componenti sono designati dall'ARAN, dai comitati di settore e dalle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi nazionali.

5. Le pubbliche amministrazioni sono tenute a trasmettere all'ARAN, entro cinque giorni dalla sottoscrizione, il testo contrattuale e la indicazione delle modalità di copertura dei relativi oneri con riferimento agli strumenti annuali e pluriennali di bilancio.

6. Il comitato direttivo dell'ARAN è costituito da cinque componenti ed è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, designa tre dei componenti, tra i quali, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-città, il presidente. Degli altri componenti, uno è designato dalla Conferenza dei Presidenti delle regioni e l'altro dall'ANCI e dall'UPI.

7. I componenti sono scelti tra esperti di riconosciuta competenza in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale, anche estranei alla pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 31 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, e del decreto legislativo 29 luglio 1999, n. 303. Il comitato dura in carica quattro anni e i suoi componenti possono essere riconfermati. Il comitato delibera a maggioranza dei componenti. Non possono far parte del comitato persone che rivestano incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali ovvero che ricoprano rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni.

8. Per la sua attività, l'ARAN si avvale:

a) delle risorse derivanti da contributi posti a carico delle singole amministrazioni dei vari comparti, corrisposti in misura fissa per dipendente in servizio. La misura annua del contributo individuale è concordata tra l'ARAN e l'organismo di coordinamento di cui all'articolo 41, comma 6, ed è riferita a ciascun biennio contrattuale (101);

b) di quote per l'assistenza alla contrattazione integrativa e per le altre prestazioni eventualmente richieste, poste a carico dei soggetti che se ne avvalgano.

9. La riscossione dei contributi di cui al comma 8 è effettuata:

a) per le amministrazioni dello Stato direttamente attraverso la previsione di spesa complessiva da iscrivere nell'apposito capitolo dello stato di previsione di spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri;

b) per le amministrazioni diverse dallo Stato, mediante un sistema di trasferimenti da definirsi tramite decreti del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e, a seconda del comparto, dei Ministri competenti, nonché, per gli aspetti di interesse regionale e locale, previa intesa espressa dalla Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-città.

10. L'ARAN ha personalità giuridica di diritto pubblico. Ha autonomia organizzativa e contabile nei limiti del proprio bilancio. Affluiscono direttamente al bilancio dell'ARAN i contributi di cui al comma 8. L'ARAN definisce con propri regolamenti le norme concernenti l'organizzazione interna, il funzionamento e la gestione finanziaria. I regolamenti sono soggetti al controllo del Dipartimento della funzione pubblica da esercitarsi entro quindici giorni dal ricevimento degli stessi. La gestione finanziaria è soggetta al controllo consuntivo della Corte dei conti.

11. Il ruolo del personale dipendente dell'ARAN è costituito da cinquanta unità, ripartite tra il personale dei livelli e delle qualifiche dirigenziali in base ai regolamenti di cui al comma 10. Alla copertura dei relativi posti si provvede nell'àmbito delle disponibilità di bilancio tramite concorsi pubblici, ovvero mediante assunzioni con contratto di lavoro a tempo determinato, regolati dalle norme di diritto privato.

12. L'ARAN può altresì avvalersi di un contingente di venticinque unità di personale anche di qualifica dirigenziale proveniente dalle pubbliche amministrazioni rappresentate, in posizione di comando o collocati fuori ruolo. I dipendenti comandati o collocati fuori ruolo conservano lo stato giuridico ed il trattamento economico delle amministrazioni di provenienza. Ad essi sono attribuite dall'ARAN, secondo le disposizioni contrattuali vigenti, le voci retributive accessorie, ivi compresa la produttività per il personale non dirigente e per i dirigenti la retribuzione di posizione e di risultato. Il collocamento in posizione di comando o di fuori ruolo è disposto secondo le disposizioni vigenti nonché ai sensi dell'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127. L'ARAN può utilizzare, sulla base di apposite intese, anche personale direttamente messo a disposizione dalle amministrazioni e dagli enti rappresentati, con oneri a carico di questi. Nei limiti di bilancio, l'ARAN può avvalersi di esperti e collaboratori esterni con modalità di rapporto stabilite con i regolamenti adottati ai sensi del comma 10.

13. Le regioni a statuto speciale e le province autonome possono avvalersi, per la contrattazione collettiva di loro competenza, di agenzie tecniche istituite con legge regionale o provinciale ovvero dell'assistenza dell'ARAN ai sensi del comma 2.

 

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(101)  All'individuazione dei contributi annuali che le regioni sono tenute a versare all'ARAN si è provveduto, per l'anno 2002, con D.M. 13 dicembre 2001 (Gazz. Uff. 15 febbraio 2002, n. 39); per l'anno 2003, con D.M. 12 novembre 2002 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2002, n. 289); per l'anno 2004, con D.M. 21 novembre 2003 (Gazz. Uff. 5 dicembre 2003, n. 283); per l'anno 2005, con D.M. 6 dicembre 2004 (Gazz. Uff. 14 dicembre 2004, n. 292); per l'anno 2006, con D.M. 3 febbraio 2006 (Gazz. Uff. 7 marzo 2006, n. 55); per l'anno 2007, con D.M. 11 ottobre 2006 (Gazz. Uff. 31 ottobre 2006, n. 254); per l'anno 2008, con D.M. 17 ottobre 2007 (Gazz. Uff. 29 dicembre 2007, n. 301); per l'anno 2009, con D.M. 11 novembre 2008 (Gazz. Uff. 19 novembre 2008, n. 271).

 

Art. 47. 

Procedimento di contrattazione collettiva.
(Art. 51 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 18 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall'art. 4 del D.Lgs. n. 396 del 1997 e successivamente modificato dall'art. 14, comma 1 del D.Lgs. n. 387 del 1998; Art. 44, comma 6 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale sono deliberati dai comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale e negli altri casi in cui è richiesta una attività negoziale dell'ARAN. Gli atti di indirizzo delle amministrazioni diverse dallo Stato sono sottoposti al Governo che, non oltre dieci giorni, può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene agli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale.

2. L'ARAN informa costantemente i comitati di settore e il Governo sullo svolgimento delle trattative.

3. Raggiunta l'ipotesi di accordo, l'ARAN acquisisce il parere favorevole del comitato di settore sul testo contrattuale e sugli, oneri finanziari diretti e indiretti che ne conseguono a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate. Il comitato di settore esprime, con gli effetti di cui all'articolo 41, comma 1, il proprio parere entro cinque giorni dalla comunicazione dell'ARAN. Per le amministrazioni di cui all'articolo 41, comma 2, il parere è espresso dal Presidente del Consiglio dei ministri, tramite il Ministro per la funzione pubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Per le amministrazioni di cui all'articolo 41, comma 3, l'esame delle ipotesi di accordo è effettuato dal competente comitato di settore e dal Presidente del Consiglio dei ministri, che si esprime attraverso il Ministro per la funzione pubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. In caso di divergenza nella valutazione degli oneri e ove il comitato di settore disponga comunque per l'ulteriore corso dell'accordo, resta in ogni caso escluso qualsiasi concorso dello Stato alla copertura delle spese derivanti dalle disposizioni sulle quali il Governo ha formulato osservazioni (102).

4. Acquisito il parere favorevole sull'ipotesi di accordo, il giorno successivo l'ARAN trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all'articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. La Corte dei conti certifica l'attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio, e può acquisire a tal fine elementi istruttori e valutazioni da tre esperti designati dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. La designazione degli esperti, per la certificazione dei contratti collettivi delle amministrazioni delle regioni e degli enti locali, avviene previa intesa con la Conferenza Stato-regioni e con la Conferenza Stato-città. Gli esperti sono nominati prima che l'ipotesi di accordo sia trasmessa alla Corte dei conti.

5. La Corte dei conti delibera entro quindici giorni dalla trasmissione della quantificazione dei costi contrattuali, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente. L'esito della certificazione viene comunicato dalla Corte all'ARAN, al comitato di settore e al Governo. Se la certificazione è positiva, il Presidente dell'ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo.

6. In caso di certificazione non positiva della Corte dei Conti le parti contraenti non possono procedere alla sottoscrizione definitiva dell'ipotesi di accordo. Il Presidente dell'Aran, sentito il Comitato di settore ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, provvede alla riapertura delle trattative ed alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo adeguando i costi contrattuali ai fini delle certificazioni. In seguito alla sottoscrizione della nuova ipotesi si riapre la procedura di certificazione prevista dai commi precedenti. Nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata a singole clausole contrattuali l'ipotesi può essere sottoscritta definitivamente ferma restando l'inefficacia delle clausole contrattuali non positivamente certificate (103).

7. L'ipotesi di accordo è trasmessa dall'Aran, corredata dalla prescritta relazione tecnica, al comitato di settore ed al Presidente del Consiglio dei Ministri entro 7 giorni dalla data di sottoscrizione. Il parere del Comitato di settore e del Consiglio dei Ministri si intende reso favorevolmente trascorsi quindici giorni dalla data di trasmissione della relazione tecnica da parte dell'Aran. La procedura di certificazione dei contratti collettivi deve concludersi entro quaranta giorni dalla sottoscrizione dell'ipotesi di accordo decorsi i quali i contratti sono efficaci, fermo restando che, ai fini dell'esame dell'ipotesi di accordo da parte del Consiglio dei Ministri, il predetto termine può essere sospeso una sola volta e per non più di quindici giorni, per motivate esigenze istruttorie dei comitati di settore o del Presidente del Consiglio dei Ministri. L'ARAN provvede a fornire i chiarimenti richiesti entro i successivi sette giorni. La deliberazione del Consiglio dei Ministri deve essere comunque adottata entro otto giorni dalla ricezione dei chiarimenti richiesti, o dalla scadenza del termine assegnato all'Aran, fatta salva l'autonomia negoziale delle parti in ordine ad un'eventuale modifica delle clausole contrattuali. In ogni caso i contratti per i quali non si sia conclusa la procedura di certificazione divengono efficaci trascorso il cinquantacinquesimo giorno dalla sottoscrizione dell'ipotesi di accordo. Resta escluso comunque dall'applicazione del presente articolo ogni onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato anche nell'ipotesi in cui i comitati di settore delle amministrazioni di cui all'articolo 41, comma 3, non si esprimano entro il termine di cui al comma 3 del presente articolo (104).

7-bis. Tutti i termini indicati dal presente articolo si intendono riferiti a giornate lavorative (105).

8. I contratti e accordi collettivi nazionali di cui all'articolo 40, commi 2 e 3, sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

 

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(102) Comma così modificato dal comma 1 dell'art. 17, L. 28 dicembre 2001, n. 448.

(103) Comma così sostituito dall’art. 67, comma 7, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

(104) Comma così sostituito prima dal comma 548 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296 e successivamente dall’art. 67, comma 7, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

(105) Comma aggiunto dall’art. 67, comma 7, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

 

Art. 48. 

Disponibilità destinate alla contrattazione collettiva nelle amministrazioni pubbliche e verifica.
(Art. 52 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 19 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall'art. 5 del D.Lgs. n. 396 del 1997 e successivamente modificato dall'art. 14, commi da 2 a 4 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, quantifica, in coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all'articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468 e successive modificazioni e integrazioni, l'onere derivante dalla contrattazione collettiva nazionale a carico del bilancio dello Stato con apposita norma da inserire nella legge finanziaria ai sensi dell'articolo 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Allo stesso modo sono determinati gli eventuali oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato per la contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato di cui all'articolo 40, comma 3 (106).

2. Per le altre pubbliche amministrazioni gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci in coerenza con i medesimi parametri di cui al comma 1 (107).

3. I contratti collettivi sono corredati da prospetti contenenti la quantificazione degli oneri nonché l'indicazione della copertura complessiva per l'intero periodo di validità contrattuale, prevedendo con apposite clausole la possibilità di prorogare l'efficacia temporale del contratto ovvero di sospenderne l'esecuzione parziale o totale in caso di accertata esorbitanza dai limiti di spesa.

4. La spesa posta a carico del bilancio dello Stato è iscritta in apposito fondo dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica in ragione dell'ammontare complessivo. In esito alla sottoscrizione dei singoli contratti di comparto, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato a ripartire, con propri decreti, le somme destinate a ciascun comparto mediante assegnazione diretta a favore dei competenti capitoli di bilancio, anche di nuova istituzione per il personale dell'amministrazione statale, ovvero mediante trasferimento ai bilanci delle amministrazioni autonome e degli enti in favore dei quali sia previsto l'apporto finanziario dello Stato a copertura dei relativi oneri. Per le amministrazioni diverse dalle amministrazioni dello Stato e per gli altri enti cui si applica il presente decreto, l'autorizzazione di spesa relativa al rinnovo dei contratti collettivi è disposta nelle stesse forme con cui vengono approvati i bilanci, con distinta indicazione dei mezzi di copertura.

5. Le somme provenienti dai trasferimenti di cui al comma 4 devono trovare specifica allocazione nelle entrate dei bilanci delle amministrazioni ed enti beneficiari, per essere assegnate ai pertinenti capitoli di spesa dei medesimi bilanci. I relativi stanziamenti sia in entrata che in uscita non possono essere incrementati se non con apposita autorizzazione legislativa.

6. Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio ai sensi dell'articolo 40, comma 3, è effettuato dal collegio dei revisori dei conti ovvero, laddove tale organo non sia previsto, dai nuclei di valutazione o dai servizi di controllo interno ai sensi del D.Lgs 30 luglio 1999, n. 286.

7. Ferme restando le disposizioni di cui al titolo V del presente decreto, la Corte dei conti, anche nelle sue articolazioni regionali di controllo, verifica periodicamente gli andamenti della spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, utilizzando, per ciascun comparto, insiemi significativi di amministrazioni. A tal fine, la Corte dei conti può avvalersi, oltre che dei servizi di controllo interno o nuclei di valutazione, di esperti designati a sua richiesta da amministrazioni ed enti pubblici.

 

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(106)  Vedi, anche, il comma 88 dell'art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

(107)  In deroga alle disposizioni contenute nel presente comma vedi il comma 178 dell'art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266 e il comma 140 dell'art. 3, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

 

Art. 49. 

Interpretazione autentica dei contratti collettivi.
(Art. 53 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 24 del D.Lgs n. 546 del 1993 e successivamente modificato dall'art. 43, comma 1 del D.Lgs n. 80 del 1998)

1. Quando insorgano controversie sull'interpretazione dei contratti collettivi, le parti che li hanno sottoscritti si incontrano per definire consensualmente il significato della clausola controversa. L'eventuale accordo, stipulato con le procedure di cui all'articolo 47, sostituisce la clausola in questione sin dall'inizio della vigenza del contratto (108).

 

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(108)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-22 luglio 2003, n. 268 (Gazz. Uff. 30 luglio 2003, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 64, comma 2, e 49 sollevata in riferimento agli articoli 24 e 39 della Costituzione.

 

Art. 50. 

Aspettative e permessi sindacali.
(Art. 54, commi da 1 a 3 e 5 del D.Lgs n. 29 del 1993, come modificati prima dall'art. 20 del D.Lgs n. 470 del 1993 poi dall'art. 2 del decreto legge n. 254 del 1996, convertito con modificazioni dalla legge n. 365 del 1996, e, infine, dall'art. 44, comma 5 del D.Lgs n. 80 del 1998)

1. Al fine del contenimento, della trasparenza e della razionalizzazione delle aspettative e dei permessi sindacali nel settore pubblico, la contrattazione collettiva ne determina i limiti massimi in un apposito accordo, tra l'ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'articolo 43.

2. La gestione dell'accordo di cui al comma 1, ivi comprese le modalità di utilizzo e distribuzione delle aspettative e dei permessi sindacali tra le confederazioni e le organizzazioni sindacali aventi titolo sulla base della loro rappresentatività e con riferimento a ciascun comparto e area separata di contrattazione, è demandata alla contrattazione collettiva, garantendo a decorrere dal 1° agosto 1996 in ogni caso l'applicazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Per la provincia autonoma di Bolzano si terrà conto di quanto previsto dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58.

3. Le amministrazioni pubbliche sono tenute a fornire alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica - il numero complessivo ed i nominativi dei beneficiari dei permessi sindacali.

4. Oltre ai dati relativi ai permessi sindacali, le pubbliche amministrazioni sono tenute a fornire alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica gli elenchi nominativi, suddivisi per qualifica, del personale dipendente collocato in aspettativa, in quanto chiamato a ricoprire una funzione pubblica elettiva, ovvero per motivi sindacali. I dati riepilogativi dei predetti elenchi sono pubblicati in allegato alla relazione annuale da presentare al Parlamento ai sensi dell'articolo 16 della legge 29 marzo 1983, n. 93.

 

TITOLO IV

Rapporto di lavoro

 

Art. 51. 

Disciplina del rapporto di lavoro.
(Art. 55 del D.Lgs n. 29 del 1993)

1. Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche è disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 2, commi 2 e 3, e 3, comma 1.

2. La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti.

 

Art. 52. 

Disciplina delle mansioni.
(Art. 56 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 25 del D.Lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 15 del D.Lgs n. 387 del 1998)

1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'àmbito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive. L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione.

2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:

a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;

b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.

3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.

4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.

5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazioni della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore.

 

Art. 53. 

Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi.
(Art. 58 del D.Lgs n. 29 del 1993, come modificato prima dall'art. 2 del decreto-legge n. 358 del 1993, convertito dalla legge n. 448 del 1993, poi dall'art. 1 del decreto-legge n. 361 del 1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995, e, infine, dall'art. 26 del D.Lgs n. 80 del 1998, nonché dall'art. 16 del D.Lgs n. 387 del 1998)

1. Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall'articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina (109).

2. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati (110).

3. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti, da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati gli incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato, sentiti, per le diverse magistrature, i rispettivi istituti.

4. Nel caso in cui i regolamenti di cui al comma 3 non siano emanati, l'attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative.

5. In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgono attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.

6. I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui all'articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Sono esclusi i compensi derivanti:

a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

b) dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;

c) dalla partecipazione a convegni e seminari;

d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo;

f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione (111).

7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

8. Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

9. Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell'articolo 6, comma 1, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni ed integrazioni. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze.

10. L'autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa.

Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione è subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata.

11. Entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli incarichi di cui al comma 6 sono tenuti a dare comunicazione all'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell'anno precedente.

12. Entro il 30 giugno di ciascun anno, le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi retribuiti ai propri dipendenti sono tenute a comunicare, in via telematica o su apposito supporto magnetico, al Dipartimento della funzione pubblica l'elenco degli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi nell'anno precedente, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo previsto o presunto. L'elenco è accompagnato da una relazione nella quale sono indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le ragioni del conferimento o dell'autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai princìpi di buon andamento dell'amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. Nello stesso termine e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell'anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi.

13. Entro lo stesso termine di cui al comma 12 le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all'anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11.

14. Al fine della verifica dell'applicazione delle norme di cui all'articolo 1, commi 123 e 127, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni, le amministrazioni pubbliche sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su supporto magnetico, entro il 30 giugno di ciascun anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti anche per incarichi relativi a compiti e doveri d'ufficio; sono altresì tenute a comunicare semestralmente l'elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza, con l'indicazione della ragione dell'incarico e dell'ammontare dei compensi corrisposti. Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico. Entro il 31 dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di effettuare la comunicazione, avente ad oggetto l’elenco dei collaboratori esterni e dei soggetti cui sono stati affidati incarichi di consulenza (112).

15. Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9.

16. Il Dipartimento della funzione pubblica, entro il 31 dicembre di ciascun anno, riferisce al Parlamento sui dati raccolti, adotta le relative misure di pubblicità e trasparenza e formula proposte per il contenimento della spesa per gli incarichi e per la razionalizzazione dei criteri di attribuzione degli incarichi stessi (113) (114).

16-bis. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, può disporre verifiche del rispetto della disciplina delle incompatibilità di cui al presente articolo e di cui all'articolo 1, comma 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica. A tale scopo quest'ultimo stipula apposite convenzioni coi servizi ispettivi delle diverse amministrazioni, avvalendosi, altresì, della Guardia di Finanza e collabora con il Ministero dell'economia e delle finanze al fine dell'accertamento della violazione di cui al comma 9 (115).

 

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(109)  Comma prima rettificato con Comunicato 16 ottobre 2001 (Gazz. Uff. 16 ottobre 2001, n. 241) e successivamente così modificato dall'art. 3, comma 8, lettera b), L. 15 luglio 2002, n. 145.

(110)  Vedi, anche, il comma 67 dell'art. 52, L. 28 dicembre 2001, n. 448.

(111)  Lettera aggiunta dall'art. 7-novies, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(112) Comma così modificato prima dall'art. 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223 e poi dal comma 4 dell'art. 61, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(113) Comma così modificato dall'art. 34, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, come modificato dalla relativa legge di conversione.

(114) In deroga a quanto disposto dal presente articolo vedi gli articoli 1 e 8, O.P.C.M. 10 giugno 2008, n. 3682.

(115) Comma aggiunto dall’art. 47, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.

 

Art. 54. 

Codice di comportamento.
(Art. 58-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 26 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente sostituito dall'art. 27 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Il Dipartimento della funzione pubblica, sentite le confederazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'articolo 43, definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche in relazione alle necessarie misure organizzative da adottare al fine di assicurare la qualità dei servizi che le stesse amministrazioni rendono ai cittadini.

2. Il codice è pubblicato nella Gazzetta ufficiale e consegnato al dipendente all'atto dell'assunzione.

3. Le pubbliche amministrazioni formulano all'ARAN indirizzi, ai sensi dell'articolo 41, comma 1 e dell'articolo 70, comma 4, affinché il codice venga recepito nei contratti, in allegato, e perché i suoi princìpi vengano coordinati con le previsioni contrattuali in materia di responsabilità disciplinare.

4. Per ciascuna magistratura e per l'Avvocatura dello Stato, gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico che viene sottoposto all'adesione degli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia il codice è adottato dall'organo di autogoverno.

5. L'organo di vertice di ciascuna pubblica amministrazione verifica, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'articolo 43 e le associazioni di utenti e consumatori, l'applicabilità del codice di cui al comma 1, anche per apportare eventuali integrazioni e specificazioni al fine della pubblicazione e dell'adozione di uno specifico codice di comportamento per ogni singola amministrazione.

6. Sull'applicazione dei codici di cui al presente articolo vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura.

7. Le pubbliche amministrazioni organizzano attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione dei codici di cui al presente articolo.

 

Art. 55. 

Sanzioni disciplinari e responsabilità.
(Art. 59 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 27 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e successivamente modificato dall'art. 2 del decreto legge n. 361 del 1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995, nonché dall'art. 27, comma 2 e dall'art. 45, comma 16 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Per i dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

2. Ai dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, si applicano l'articolo 2106 del codice civile e l'articolo 7, commi primo, quinto e ottavo, della legge 20 maggio 1970, n. 300.

3. Salvo quanto previsto dagli articoli 21 e 53, comma 1, e ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento di cui all'articolo 54, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi.

4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta l'addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e applica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo della struttura in cui il dipendente lavora provvede direttamente.

5. Ogni provvedimento disciplinare, ad eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa tempestiva contestazione scritta dell'addebito al dipendente, che viene sentito a sua difesa con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Trascorsi inutilmente quindici giorni dalla convocazione per la difesa del dipendente, la sanzione viene applicata nei successivi quindici giorni.

6. Con il consenso del dipendente la sanzione applicabile può essere ridotta, ma in tal caso non è più suscettibile di impugnazione.

7. Ove i contratti collettivi non prevedano procedure di conciliazione, entro venti giorni dall'applicazione della sanzione, il dipendente, anche per mezzo di un procuratore o dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato, può impugnarla dinanzi al collegio arbitrale di disciplina dell'amministrazione in cui lavora. Il collegio emette la sua decisione entro novanta giorni dall'impugnazione e l'amministrazione vi si conforma. Durante tale periodo la sanzione resta sospesa (116).

8. Il collegio arbitrale si compone di due rappresentanti dell'amministrazione e di due rappresentanti dei dipendenti ed è presieduto da un esterno all'amministrazione, di provata esperienza e indipendenza. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, stabilisce, sentite le organizzazioni sindacali, le modalità per la periodica designazione di dieci rappresentanti dell'amministrazione e dieci rappresentanti dei dipendenti, che, di comune accordo, indicano cinque presidenti. In mancanza di accordo, l'amministrazione richiede la nomina dei presidenti al presidente del tribunale del luogo in cui siede il collegio. Il collegio opera con criteri oggettivi di rotazione dei membri e di assegnazione dei procedimenti disciplinari che ne garantiscono l'imparzialità.

9. Più amministrazioni omogenee o affini possono istituire un unico collegio arbitrale mediante convenzione che ne regoli le modalità di costituzione e di funzionamento nel rispetto dei princìpi di cui ai precedenti commi.

10. Fino al riordinamento degli organi collegiali della scuola nei confronti del personale ispettivo tecnico, direttivo, docente ed educativo delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative statali si applicano le norme di cui agli articoli da 502 a 507 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.

 

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(116) Vedi, anche, gli articoli 1 e 3, D.P.R. 14 maggio 2007, n. 85.

 

Art. 56. 

Impugnazione delle sanzioni disciplinari.
(Art. 59-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Se i contratti collettivi nazionali non hanno istituito apposite procedure di conciliazione e arbitrato, le sanzioni disciplinari possono essere impugnate dal lavoratore davanti al collegio di conciliazione di cui all'articolo 66, con le modalità e con gli effetti di cui all'articolo 7, commi sesto e settimo, della legge 20 maggio 1970, n. 300.

 

Art. 57. 

Pari opportunità.
(Art. 61 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 29 del D.Lgs. n. 546 del 1993, successivamente modificato prima dall'art. 43, comma 8 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e poi dall'art. 17 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Le pubbliche amministrazioni, al fine di garantire pari opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro:

a) riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso, fermo restando il principio di cui all'articolo 35, comma 3, lettera e);

b) adottano propri atti regolamentari per assicurare pari opportunità fra uomini e donne sul lavoro, conformemente alle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica;

c) garantiscono la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale in rapporto proporzionale alla loro presenza nelle amministrazioni interessate ai corsi medesimi, adottando modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare;

d) possono finanziare programmi di azioni positive e l'attività dei Comitati pari opportunità nell'àmbito delle proprie disponibilità di bilancio.

2. Le pubbliche amministrazioni, secondo le modalità di cui all'articolo 9, adottano tutte le misure per attuare le direttive della Unione europea in materia di pari opportunità, sulla base di quanto disposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica.

 

TITOLO V

Controllo della spesa

 

Art. 58. 

Finalità.
(Art. 63 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 30 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Al fine di realizzare il più efficace controllo dei bilanci, anche articolati per funzioni e per programmi, e la rilevazione dei costi, con particolare riferimento al costo del lavoro, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, provvede alla acquisizione delle informazioni sui flussi finanziari relativi a tutte le amministrazioni pubbliche.

2. Per le finalità di cui al comma 1, tutte le amministrazioni pubbliche impiegano strumenti di rilevazione e sistemi informatici e statistici definiti o valutati dall'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione (117) di cui al decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, e successive modificazioni ed integrazioni, sulla base delle indicazioni definite dal Ministero del tesoro, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica.

3. Per l'immediata attivazione del sistema di controllo della spesa del personale di cui al comma 1, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, avvia un processo di integrazione dei sistemi informativi delle amministrazioni pubbliche che rilevano i trattamenti economici e le spese del personale, facilitando la razionalizzazione delle modalità di pagamento delle retribuzioni. Le informazioni acquisite dal sistema informativo del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato sono disponibili per tutte le amministrazioni e gli enti interessati.

 

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(117)  La denominazione «Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione» è da intendersi sostituita da quella di «Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione» ai sensi di quanto disposto dall'art. 176, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

 

Art. 59. 

Rilevazione dei costi.
(Art. 64 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 31 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Le amministrazioni pubbliche individuano i singoli programmi di attività e trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica tutti gli elementi necessari alla rilevazione ed al controllo dei costi.

2. Ferme restando le attuali procedure di evidenziazione della spesa ed i relativi sistemi di controllo, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica al fine di rappresentare i profili economici della spesa, previe intese con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, definisce procedure interne e tecniche di rilevazione e provvede, in coerenza con le funzioni di spesa riconducibili alle unità amministrative cui compete la gestione dei programmi, ad un'articolazione dei bilanci pubblici a carattere sperimentale.

3. Per la omogeneizzazione delle procedure presso i soggetti pubblici diversi dalle amministrazioni sottoposte alla vigilanza ministeriale, la Presidenza del Consiglio dei ministri adotta apposito atto di indirizzo e coordinamento.

 

Art. 60. 

Controllo del costo del lavoro.
(Art. 65 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 32 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, definisce un modello di rilevazione della consistenza del personale, in servizio e in quiescenza, e delle relative spese, ivi compresi gli oneri previdenziali e le entrate derivanti dalle contribuzioni, anche per la loro evidenziazione a preventivo e a consuntivo, mediante allegati ai bilanci. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica elabora, altresì, un conto annuale che evidenzi anche il rapporto tra contribuzioni e prestazioni previdenziali relative al personale delle amministrazioni statali.

2. Le amministrazioni pubbliche presentano, entro il mese di maggio di ogni anno, alla Corte dei conti, per il tramite del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato ed inviandone copia alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, il conto annuale delle spese sostenute per il personale, rilevate secondo il modello di cui al comma 1. Il conto è accompagnato da una relazione, con cui le amministrazioni pubbliche espongono i risultati della gestione del personale, con riferimento agli obiettivi che, per ciascuna amministrazione, sono stabiliti dalle leggi, dai regolamenti e dagli atti di programmazione. La mancata presentazione del conto e della relativa relazione determina, per l'anno successivo a quello cui il conto si riferisce, l'applicazione delle misure di cui all'articolo 30, comma 11, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Le comunicazioni previste dal presente comma sono trasmesse, a cura del Ministero dell'economia e delle finanze, anche all'Unione delle province d'Italia (UPI), all'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e all'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (UNCEM), per via telematica (118).

3. Gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4, sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero del tesoro, d'intesa con il predetto Dipartimento della funzione pubblica.

4. La Corte dei conti riferisce annualmente al Parlamento sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale del settore pubblico, avvalendosi di tutti i dati e delle informazioni disponibili presso le amministrazioni pubbliche. Con apposite relazioni in corso d'anno, anche a richiesta del Parlamento, la Corte riferisce altresì in ordine a specifiche materie, settori ed interventi.

5. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, anche su espressa richiesta del Ministro per la funzione pubblica, dispone visite ispettive, a cura dei servizi ispettivi di finanza del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, coordinate anche con altri analoghi servizi, per la valutazione e la verifica delle spese, con particolare riferimento agli oneri dei contratti collettivi nazionali e decentrati, denunciando alla Corte dei conti le irregolarità riscontrate. Tali verifiche vengono eseguite presso le amministrazioni pubbliche, nonché presso gli enti e le aziende di cui al comma 3. Ai fini dello svolgimento integrato delle verifiche ispettive, i servizi ispettivi di finanza del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato esercitano presso le predette amministrazioni, enti e aziende sia le funzioni di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 febbraio 1998, n. 38 e all'articolo 2, comma 1, lettera b) del decreto del Presidente della Repubblica 28 aprile 1998, n. 154, sia i compiti di cui all'articolo 27, comma quarto, della legge 29 marzo 1983, n. 93.

6. Allo svolgimento delle verifiche ispettive integrate di cui al comma 5 può partecipare l'ispettorato per la funzione pubblica, che opera alle dirette dipendenze del Ministro per la funzione pubblica. L'ispettorato stesso si avvale di un numero complessivo di dieci funzionari scelti tra ispettori di finanza, in posizione di comando o fuori ruolo, del Ministero dell'economia e delle finanze, funzionari particolarmente esperti in materia, in posizione di comando o fuori ruolo, del Ministero dell'interno, e nell'àmbito di personale di altre amministrazioni pubbliche, in posizione di comando o fuori ruolo, per il quale si applicano l'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e l'articolo 56, settimo comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e successive modificazioni. L'ispettorato svolge compiti ispettivi vigilando sulla razionale organizzazione delle pubbliche amministrazioni, l'ottimale utilizzazione delle risorse umane, la conformità dell'azione amministrativa ai princìpi di imparzialità e buon andamento, l'efficacia dell'attività amministrativa, con particolare riferimento alle riforme volte alla semplificazione delle procedure, e l'osservanza delle disposizioni vigenti sul controllo dei costi, dei rendimenti e dei risultati e sulla verifica dei carichi di lavoro. Per l'esercizio delle funzioni ispettive connesse, in particolare, al corretto conferimento degli incarichi e ai rapporti di collaborazione, svolte anche d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, l'ispettorato si avvale dei dati comunicati dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell'articolo 53. L'ispettorato, inoltre, al fine di corrispondere a segnalazioni da parte di cittadini o pubblici dipendenti circa presunte irregolarità, ritardi o inadempienze delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, può richiedere chiarimenti e riscontri in relazione ai quali l'amministrazione interessata ha l'obbligo di rispondere, anche per via telematica, entro quindici giorni. A conclusione degli accertamenti, gli esiti delle verifiche svolte dall'ispettorato costituiscono obbligo di valutazione, ai fini dell'individuazione delle responsabilità e delle eventuali sanzioni disciplinari di cui all'articolo 55, per l'amministrazione medesima. Gli ispettori, nell'esercizio delle loro funzioni, hanno piena autonomia funzionale ed hanno l'obbligo, ove ne ricorrano le condizioni, di denunciare alla procura generale della Corte dei conti le irregolarità riscontrate (119).

 

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(118) Periodo aggiunto dall'art. 34-quater, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(119)  Comma così modificato prima dall'art. 14-septies, D.L. 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione e poi dal comma 1 dell'art. 10-bis, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, aggiunto dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 61.  

Interventi correttivi del costo del personale.
(Art. 66 del D.Lgs. n. 29 del 1993)

1. Fermo restando il disposto dell'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni, e salvi i casi di cui ai commi successivi, qualora si verifichino o siano prevedibili, per qualunque causa, scostamenti rispetto agli stanziamenti previsti per le spese destinate al personale, il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, informato dall'amministrazione competente, ne riferisce al Parlamento, proponendo l'adozione di misure correttive idonee a ripristinare l'equilibrio del bilancio. La relazione è trasmessa altresì al nucleo di valutazione della spesa relativa al pubblico impiego istituito presso il CNEL.

1-bis. Le pubbliche amministrazioni comunicano alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze l'esistenza di controversie relative ai rapporti di lavoro dalla cui soccombenza potrebbero derivare oneri aggiuntivi significativamente rilevanti per il numero dei soggetti direttamente o indirettamente interessati o comunque per gli effetti sulla finanza pubblica. La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, può intervenire nel processo ai sensi dell'articolo 105 del codice di procedura civile (120).

2. Le pubbliche amministrazioni che vengono, in qualunque modo, a conoscenza di decisioni giurisdizionali che comportino oneri a carico del bilancio, ne danno immediata comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Ove tali decisioni producano nuovi o maggiori oneri rispetto alle spese autorizzate, il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica presenta, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione delle sentenze della Corte costituzionale o dalla conoscenza delle decisioni esecutive di altre autorità giurisdizionali, una relazione al Parlamento, impegnando Governo e Parlamento a definire con procedura d'urgenza una nuova disciplina legislativa idonea a ripristinare i limiti della spesa globale.

3. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica provvede, con la stessa procedura di cui al comma 2, a seguito di richieste pervenute alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica per la estensione generalizzata di decisioni giurisdizionali divenute esecutive, atte a produrre gli effetti indicati nel medesimo comma 2 sulla entità della spesa autorizzata.

 

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(120)  Comma aggiunto dal comma 133 dell'art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

 

Art. 62. 

Commissario del Governo.
(Art. 67 del D.Lgs. n. 29 del 1993)

1. Il Commissario del Governo, fino all'entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 11, comma 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.300, rappresenta lo Stato nel territorio regionale. Egli è responsabile, nei confronti del Governo, del flusso di informazioni degli enti pubblici operanti nel territorio, in particolare di quelli attivati attraverso gli allegati ai bilanci e il conto annuale di cui all'articolo 60, comma 1. Ogni comunicazione del Governo alla regione avviene tramite il Commissario del Governo.

 

TITOLO VI

Giurisdizione

 

Art. 63.

Controversie relative ai rapporti di lavoro.
(Art. 68 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 33 del D.Lgs. n. 546 del 1993, e poi dall'art. 29 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 18 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo (121).

2. Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all'assunzione, ovvero accerta che l'assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro.

3. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e le controversie, promosse da organizzazioni sindacali, dall'ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva di cui all'articolo 40 e seguenti del presente decreto (122).

4. Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi (123).

5. Nelle controversie di cui ai commi 1 e 3 e nel caso di cui all'articolo 64, comma 3, il ricorso per cassazione può essere proposto anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all'articolo 40.

 

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(121) La Corte costituzionale, con ordinanza 19-23 marzo 2007, n. 108 (Gazz. Uff. 28 marzo 2007, n. 13, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 63, comma 1, sollevata in riferimento agli artt. 76, 77, 103 e 113 della Costituzione.

(122)  La Corte costituzionale, con ordinanza 9 - 24 aprile 2003, n. 143 (Gazz. Uff. 30 aprile 2003, n. 17, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 63, comma 3, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione.

(123)  La Corte costituzionale, con ordinanza 13-27 luglio 2004, n. 279 (Gazz. Uff. 4 agosto 2004, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 68 come sostituito dall'art. 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, e poi trasfuso nell'art. 63, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Art. 63-bis. 

Intervento dell'ARAN nelle controversie relative ai rapporti di lavoro.

1. L'ARAN può intervenire nei giudizi innanzi al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, aventi ad oggetto le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui agli articoli 1, comma 2, e 70, comma 4, al fine di garantire la corretta interpretazione e l'uniforme applicazione dei contratti collettivi. Per le controversie relative al personale di cui all'articolo 3, derivanti dalle specifiche discipline ordinamentali e retributive, l'intervento in giudizio può essere assicurato attraverso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze (124).

 

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(124)  Articolo aggiunto dal comma 134 dell'art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311.

 

Art. 64. 

Accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi.
(Art. 68-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 30 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 19, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Quando per la definizione di una controversia individuale di cui all'articolo 63, è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall'ARAN ai sensi dell'articolo 40 e seguenti, il giudice, con ordinanza non impugnabile, nella quale indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni e dispone la comunicazione, a cura della cancelleria, dell'ordinanza, del ricorso introduttivo e della memoria difensiva all'ARAN (125).

2. Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, l'ARAN convoca le organizzazioni sindacali firmatarie per verificare la possibilità di un accordo sull'interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, ovvero sulla modifica della clausola controversa. All'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola si applicano le disposizioni dell'articolo 49. Il testo dell'accordo è trasmesso, a cura dell'ARAN, alla cancelleria del giudice procedente, la quale provvede a darne avviso alle parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, in mancanza di accordo, la procedura si intende conclusa (126) (127).

3. Se non interviene l'accordo sull'interpretazione autentica o sulla modifica della clausola controversa, il giudice decide con sentenza sulla sola questione di cui al comma 1, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per Cassazione, proposto nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. Il deposito nella cancelleria del giudice davanti a cui pende la causa di una copia del ricorso per cassazione, dopo la notificazione alle altre parti, determina la sospensione del processo (128).

4. La Corte di cassazione, quando accoglie il ricorso a norma dell'articolo 383 del codice di procedura civile, rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. La riassunzione della causa può essere fatta da ciascuna delle parti entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di cassazione. In caso di estinzione del processo, per qualsiasi causa, la sentenza della Corte di cassazione conserva i suoi effetti.

5. L'ARAN e le organizzazioni sindacali firmatarie possono intervenire nel processo anche oltre il termine previsto dall'articolo 419 del codice di procedura civile e sono legittimate, a seguito dell'intervento alla proposizione dei mezzi di impugnazione delle sentenze che decidono una questione di cui al comma 1. Possono, anche se non intervenute, presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello per cassazione. Della presentazione di memorie è dato avviso alle parti, a cura della cancelleria.

6. In pendenza del giudizio davanti alla Corte di cassazione, possono essere sospesi i processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi. Intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d'ufficio, l'udienza per la prosecuzione del processo.

7. Quando per la definizione di altri processi è necessario risolvere una questione di cui al comma 1 sulla quale è già intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione e il giudice non ritiene di uniformarsi alla pronuncia della Corte, si applica il disposto del comma 3.

8. La Corte di cassazione, nelle controversie di cui è investita ai sensi del comma 3, può condannare la parte soccombente, a norma dell'articolo 96 del codice di procedura civile, anche in assenza di istanza di parte.

 

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(125)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 233 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, commi 1, 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva sentenza 23 maggio-5 giugno 2003, n. 199 (Gazz. Uff. 11 giugno 2003, n. 23, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, sollevate in riferimento agli articoli 101, 102, 111, 24 e 39 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2, 3, sollevate in riferimento agli articoli 3, 24, 76, 111 della Costituzione.

(126)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 233 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, commi 1, 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva sentenza 23 maggio-5 giugno 2003, n. 199 (Gazz. Uff. 11 giugno 2003, n. 23, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, sollevate in riferimento agli articoli 101, 102, 111, 24 e 39 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2, 3, sollevate in riferimento agli articoli 3, 24, 76, 111 della Costituzione.

(127)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-22 luglio 2003, n. 268 (Gazz. Uff. 30 luglio 2003, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 64, comma 2, e 49 sollevata in riferimento agli articoli 24 e 39 della Costituzione.

(128)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 maggio 2002, n. 233 (Gazz. Uff. 12 giugno 2002, n. 23, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, commi 1, 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 39, 76, 101, 102 e 111 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva sentenza 23 maggio-5 giugno 2003, n. 199 (Gazz. Uff. 11 giugno 2003, n. 23, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, sollevate in riferimento agli articoli 101, 102, 111, 24 e 39 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1, 2, 3, sollevate in riferimento agli articoli 3, 24, 76, 111 della Costituzione.

 

Art. 65. 

Tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali.
(Art. 69 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 34 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e poi dall'art. 31 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato prima dall'art. 19, commi da 3 a 6 del D.Lgs. n. 387 del 1998 e poi dall'art. 45, comma 22 della legge n. 448 del 1998)

1. Per le controversie individuali di cui all'articolo 63, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile si svolge con le procedure previste dai contratti collettivi, ovvero davanti al collegio di conciliazione di cui all'articolo 66, secondo le disposizioni dettate dal presente decreto.

2. La domanda giudiziale diventa procedibile trascorsi novanta giorni dalla promozione del tentativo di conciliazione.

3. Il giudice che rileva che non è stato promosso il tentativo di conciliazione secondo le disposizioni di cui all'articolo 66, commi 2 e 3, o che la domanda giudiziale è stata proposta prima della scadenza del termine di novanta giorni dalla promozione del tentativo, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione. Si applica l'articolo 412-bis, commi secondo e quinto, del codice di procedura civile. Espletato il tentativo di conciliazione o decorso il termine di novanta giorni, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni. La parte contro la quale è stata proposta la domanda in violazione dell'articolo 410 del codice di procedura civile, con l'atto di riassunzione o con memoria depositata in cancelleria almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata, può modificare o integrare le proprie difese e proporre nuove eccezioni processuali e di merito, che non siano rilevabili d'ufficio. Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d'ufficio l'estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all'articolo 308 del codice di procedura civile.

4. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, provvede, mediante mobilità volontaria interministeriale, a dotare le Commissioni di conciliazione territoriali degli organici indispensabili per la tempestiva realizzazione del tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie individuali di lavoro nel settore pubblico e privato.

 

Art. 66. 

Collegio di conciliazione.
(Art. 69-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 32 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 19, comma 7 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Ferma restando la facoltà del lavoratore di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'articolo 65 si svolge, con le procedure di cui ai commi seguenti, dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del lavoro nella cui circoscrizione si trova l'ufficio cui il lavoratore è addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto. Le medesime procedure si applicano, in quanto compatibili, se il tentativo di conciliazione è promosso dalla pubblica amministrazione. Il collegio di conciliazione è composto dal direttore della Direzione o da un suo delegato, che lo presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante dell'amministrazione.

2. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, è consegnata alla Direzione presso la quale è istituito il collegio di conciliazione competente o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta deve essere consegnata o spedita a cura dello stesso lavoratore all'amministrazione di appartenenza.

3. La richiesta deve precisare:

a) l'amministrazione di appartenenza e la sede alla quale il lavoratore è addetto;

b) il luogo dove gli devono essere fatte le comunicazioni inerenti alla procedura;

c) l'esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa;

d) la nomina del proprio rappresentante nel collegio di conciliazione o la delega per la nomina medesima ad un'organizzazione sindacale.

4. Entro trenta giorni dal ricevimento della copia della richiesta, l'amministrazione, qualora non accolga la pretesa del lavoratore, deposita presso la Direzione osservazioni scritte. Nello stesso atto nomina il proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione. Entro i dieci giorni successivi al deposito, il Presidente fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione. Dinanzi al collegio di conciliazione, il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. Per l'amministrazione deve comparire un soggetto munito del potere di conciliare.

5. Se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo. Alla conciliazione non si applicano le disposizioni dell'articolo 2113, commi, primo, secondo e terzo del codice civile.

6. Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, il collegio di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.

7. Nel successivo giudizio sono acquisiti, anche di ufficio, i verbali concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Il giudice valuta il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai fini del regolamento delle spese.

8. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al comma 1, ovvero in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile, non può dar luogo a responsabilità amministrativa.

 

TITOLO VII

Disposizioni diverse e norme transitorie finali

 

Capo I - Disposizioni diverse

 

Art. 67. 

Integrazione funzionale del Dipartimento della funzione pubblica con la Ragioneria generale dello Stato.
(Art. 70 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 35 del D.Lgs. n. 546 del 1993)

1. Il più efficace perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 48, commi da 1 a 3, ed agli articoli da 58 a 60 è realizzato attraverso l'integrazione funzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da conseguirsi mediante apposite conferenze di servizi presiedute dal Ministro per la funzione pubblica o da un suo delegato.

2. L'applicazione dei contratti collettivi di lavoro, nazionali e decentrati, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, è oggetto di verifica del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, con riguardo, rispettivamente, al rispetto dei costi prestabiliti ed agli effetti degli istituti contrattuali sull'efficiente organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sulla efficacia della loro azione.

3. Gli schemi di provvedimenti legislativi e i progetti di legge, comunque sottoposti alla valutazione del Governo, contenenti disposizioni relative alle amministrazioni pubbliche richiedono il necessario concerto del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e del Dipartimento della funzione pubblica. I provvedimenti delle singole amministrazioni dello Stato incidenti nella medesima materia sono adottati d'intesa con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica in apposite conferenze di servizi da indire ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni.

 

Art. 68. 

Aspettativa per mandato parlamentare.
(Art. 71, commi da 1 a 3 e 5 del D.Lgs. n. 29 del 1993)

1. I dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo e nei Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Essi possono optare per la conservazione, in luogo dell'indennità parlamentare e dell'analoga indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima.

2. Il periodo di aspettativa è utile ai fini dell'anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza.

3. Il collocamento in aspettativa ha luogo all'atto della proclamazione degli eletti; di questa le Camere ed i Consigli regionali danno comunicazione alle amministrazioni di appartenenza degli eletti per i conseguenti provvedimenti.

4. Le regioni adeguano i propri ordinamenti ai princìpi di cui ai commi 1, 2 e 3.

 

Capo II - Norme transitorie e finali

 

Art. 69. 

Norme transitorie.
(Art. 25, comma 4 del D.Lgs. n. 29 del 1993; art. 50, comma 14 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall'art. 17 del D.Lgs. n. 470 del 1993 e poi dall'art. 2 del D.Lgs. n. 396 del 1997; art. 72, commi 1 e 4 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituiti dall'art. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 73, comma 2 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 37 del D.Lgs. n. 546 del 1993; art. 28, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998; art. 45, commi 5, 9, 17 e 25 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall'art. 22, comma 6 del D.Lgs. n. 387 del 1998; art. 24, comma 3 del D.Lgs. n. 387 del 1998)

1. Salvo che per le materie di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, gli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica in base alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e le norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate, costituiscono, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro, la disciplina di cui all'articolo 2, comma 2. Tali disposizioni sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun àmbito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001 (129).

2. In attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, la disciplina vigente in materia di trattamento di fine rapporto.

3. Il personale delle qualifiche ad esaurimento di cui agli articoli 60 e 61 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748, e successive modificazioni ed integrazioni, e quello di cui all'articolo 15 della legge 9 marzo 1989, n. 88, i cui ruoli sono contestualmente soppressi dalla data del 21 febbraio 1993, conserva le qualifiche ad personam. A tale personale sono attribuite funzioni vicarie del dirigente e funzioni di direzione di uffici di particolare rilevanza non riservati al dirigente, nonché compiti di studio, ricerca, ispezione e vigilanza ad esse delegati dal dirigente. Il trattamento economico è definito tramite il relativo contratto collettivo (130).

4. La disposizione di cui all'articolo 56, comma 1, si applica, per ciascun àmbito di riferimento, a far data dalla entrata in vigore dei contratti collettivi del quadriennio contrattuale 1998-2001.

5. Le disposizioni di cui all'articolo 22, commi 17 e 18, della legge 29 dicembre 1994, n. 724, continuano ad applicarsi alle amministrazioni che non hanno ancora provveduto alla determinazione delle dotazioni organiche previa rilevazione dei carichi di lavoro.

6. Con riferimento ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 2, comma 3, del presente decreto, non si applica l'articolo 199 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.

7. Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all'articolo 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000 (131) (132) (133).

8. Fino all'entrata in vigore della nuova disciplina derivante dal contratto collettivo per il comparto scuola, relativo al quadriennio 1998-2001, continuano ad applicarsi al personale della scuola le procedure di cui all'articolo 484 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.

9. Per i primi due bandi successivi alla data del 22 novembre 1998, relativi alla copertura di posti riservati ai concorsi di cui all'articolo 28, comma 2, lettera b, del presente decreto, con il regolamento governativo di cui al comma 3, del medesimo articolo è determinata la quota di posti per i quali sono ammessi soggetti anche se non in possesso del previsto titolo di specializzazione.

10. Sino all'applicazione dell'articolo 46, comma 12, l'ARAN utilizza personale in posizione di comando e fuori ruolo nei limiti massimi delle tabelle previste dal decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 1994, n. 144, come modificato dall'articolo 8, comma 4, della legge 15 maggio 1997, n. 127.

11. In attesa di una organica normativa nella materia, restano ferme le norme che disciplinano, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, l'esercizio delle professioni per le quali sono richieste l'abilitazione o l'iscrizione ad ordini o albi professionali. Il personale di cui all'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni, può iscriversi, se in possesso dei prescritti requisiti, al relativo ordine professionale.

 

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(129)  Articolo aggiunto dall'art. 4, L. 16 gennaio 2003, n. 3. Vedi, anche, la Dir.Min. 6 agosto 2004 e l'art. 13, D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

(130)  Vedi, anche, l'art. 5, L. 15 luglio 2002, n. 145.

(131)  La Corte costituzionale, con ordinanza 5-6 luglio 2004, n. 214 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 27, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 76, 3 e 24 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 76, 77 e 3 della Costituzione, dalla Corte di appello di Catanzaro, e del combinato disposto degli artt. 69, comma 7, e 72, comma 1, lettera bb), del medesimo decreto legislativo, sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 111 della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 23-26 maggio 2005, n. 213 (Gazz. Uff. 1° giugno 2005, n. 22, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevate in riferimento agli articoli 3, 24, 113, 76 e 77 della Costituzione.

(132) La stessa Corte, con successiva ordinanza 28 settembre-7 ottobre 2005, n. 382 (Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 41, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24, 113 e 76 della Costituzione; ha infine dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione.

(133) La Corte costituzionale, con ordinanza 3-11 maggio 2006, n. 197 (Gazz. Uff. 17 maggio 2006, n. 20, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 36 della Costituzione.

 

Art. 70. 

Norme finali.
(Art. 73, commi 1, 3, 4, 5 e 6-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificati dall'art. 21 del D.Lgs. n. 470 del 1993, successivamente sostituiti dall'art. 37 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e modificati dall'art. 9, comma 2 del D.Lgs. n. 396 del 1997, dall'art. 45, comma 4 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e dall'art. 20 del D.Lgs. n. 387 del 1998; art. 45, commi 1, 2, 7, 10, 11, 21, 22 e 23 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall'art. 22, comma 6 del D.Lgs. n. 387 del 1998, dall'art. 89 della legge n. 342 del 2000 e dall'art. 51, comma 13, della legge n. 388 del 2000)

1. Restano salve per la regione Valle d'Aosta le competenze in materia, le norme di attuazione e la disciplina sul bilinguismo. Restano comunque salve, per la provincia autonoma di Bolzano, le competenze in materia, le norme di attuazione, la disciplina vigente sul bilinguismo e la riserva proporzionale di posti nel pubblico impiego.

2. Restano ferme le disposizioni di cui al titolo IV, capo II del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, riguardanti i segretari comunali e provinciali, e alla legge 7 marzo 1986, n. 65 - esclusi gli articoli 10 e 13 - sull'ordinamento della Polizia municipale. Per il personale disciplinato dalla stessa legge 7 marzo 1986, n. 65 il trattamento economico e normativo è definito nei contratti collettivi previsti dal presente decreto, nonché, per i segretari comunali e provinciali, dall'art. 11, comma 8 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465.

3. Il rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali è disciplinato dai contratti collettivi previsti dal presente decreto nonché dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

4. Le aziende e gli enti di cui alle L. 26 dicembre 1936, n. 2174, e successive modificazioni ed integrazioni, L. 13 luglio 1984, n. 312, L. 30 maggio 1988, n. 186, L. 11 luglio 1988, n. 266, L. 31 gennaio 1992, n. 138, L. 30 dicembre 1986, n. 936, decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250, decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, adeguano i propri ordinamenti ai princìpi di cui al titolo I. I rapporti di lavoro dei dipendenti dei predetti enti ed aziende nonché della Cassa depositi e prestiti sono regolati da contratti collettivi ed individuali in base alle disposizioni di cui agli articoli 2, comma 2, all'articolo 8, comma 2, ed all'articolo 60, comma 3. Le predette aziende o enti e la Cassa depositi e prestiti sono rappresentati dall'ARAN ai fini della stipulazione dei contratti collettivi che li riguardano. Il potere di indirizzo e le altre competenze inerenti alla contrattazione collettiva sono esercitati dalle aziende ed enti predetti e della Cassa depositi e prestiti di intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri, che la esprime tramite il Ministro per la funzione pubblica, ai sensi dell'articolo 41, comma 2. La certificazione dei costi contrattuali al fine della verifica della compatibilità con gli strumenti di programmazione e bilancio avviene con le procedure dell'articolo 47 (134) (135).

5. Le disposizioni di cui all'articolo 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, vanno interpretate nel senso che le medesime, salvo quelle di cui al comma 7, non si riferiscono al personale di cui al decreto legislativo 26 agosto 1998, n. 319.

6. A decorrere dal 23 aprile 1998, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all'articolo 4, comma 2, del presente decreto, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti.

7. A decorrere dal 23 aprile 1998, le disposizioni vigenti a tale data, contenute in leggi, regolamenti, contratti collettivi o provvedimenti amministrativi riferite ai dirigenti generali si intendono riferite ai dirigenti di uffici dirigenziali generali.

8. Le disposizioni del presente decreto si applicano al personale della scuola. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35. Sono fatte salve le procedure di reclutamento del personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni ed integrazioni.

9. Per il personale della carriera prefettizia di cui all'articolo 3, comma 1 del presente decreto, gli istituti della partecipazione sindacale di cui all'articolo 9 del medesimo decreto sono disciplinati attraverso apposito regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni (136).

10. I limiti di cui all'articolo 19, comma 6, del presente decreto non si applicano per la nomina dei direttori degli Enti parco nazionale.

11. Le disposizioni in materia di mobilità di cui agli articoli 30 e seguenti del presente decreto non si applicano al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

12. In tutti i casi, anche se previsti da normative speciali, nei quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia finanziaria sono tenute ad autorizzare la utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l'amministrazione che utilizza il personale rimborsa all'amministrazione di appartenenza l'onere relativo al trattamento fondamentale. La disposizione di cui al presente comma si applica al personale comandato, fuori ruolo o in analoga posizione presso l'ARAN a decorrere dalla completa attuazione del sistema di finanziamento previsto dall'articolo 46, commi 8 e 9, del presente decreto, accertata dall'organismo di coordinamento di cui all'articolo 41, comma 6 del medesimo decreto. Il trattamento economico complessivo del personale inserito nel ruolo provvisorio ad esaurimento del Ministero delle finanze istituito dall'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1998, n. 283, in posizione di comando, di fuori ruolo o in altra analoga posizione, presso enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche dotate di autonomia finanziaria, rimane a carico dell'amministrazione di appartenenza.

13. In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli articoli 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i princìpi ivi previsti, nell'àmbito dei rispettivi ordinamenti.

 

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(134)  Comma così modificato prima dal comma 5 dell'art. 47, L. 28 dicembre 2001, n. 448 e poi dal comma 1-bis dell'art. 5, D.L. 31 gennaio 2005, n. 7, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(135) Vedi, anche, l’art. 1, comma 189, L. 23 dicembre 2005. n. 266, sostituito dall’art. 67, comma 5, D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Vedi, altresì, l’art. 72, comma 1 e l’art. 74 del suddetto decreto.

(136)  Con D.P.R. 20 settembre 2002, n. 247 è stato emanato il regolamento di cui al presente comma.

 

Art. 71. 

Disposizioni inapplicabili a seguito della sottoscrizione di contratti collettivi.

1. Ai sensi dell'art. 69, comma 1, secondo periodo, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, cessano di produrre effetti per ciascun àmbito di riferimento le norme di cui agli allegati A) e B) al presente decreto, con le decorrenze ivi previste, in quanto contenenti le disposizioni espressamente disapplicate dagli stessi contratti collettivi. Rimangono salvi gli effetti di quanto previsto dallo stesso comma 1 dell'articolo 69, con riferimento all'inapplicabilità delle norme incompatibili con quanto disposto dalla contrattazione collettiva nazionale.

2. Per il personale delle Regioni ed autonomie locali, cessano di produrre effetti, a seguito della stipulazione dei contratti collettivi della tornata 1998-2001, le norme contenute nell'allegato C), con le decorrenze ivi previste.

3. Alla fine della tornata contrattuale 1998-2001 per tutti i comparti ed aree di contrattazione verranno aggiornati gli allegati del presente decreto, ai sensi dell'articolo 69, comma 1, ultimo periodo. La contrattazione relativa alla tornata contrattuale 1998-2001, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, provvederà alla disapplicazione espressa delle disposizioni generali o speciali del pubblico impiego, legislative o recepite in decreto del Presidente della Repubblica, che risulteranno incompatibili con la stipula dei contratti collettivi nazionali o dei contratti quadro.

 

Art. 72. 

Abrogazioni di norme.
(Art. 74 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 38 del D.Lgs. n. 546 del 1993 e modificato prima dall'art. 43, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e poi dall'art. 21 del D.Lgs. n. 387 del 1998; art. 43, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificati dall'art. 22, commi da 1 a 3 del D.Lgs. n. 387 del 1998; art. 28, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998)

1. Sono abrogate o rimangono abrogate le seguenti norme:

a) articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) capo I, titolo I, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748, e successive modificazioni ed integrazioni, ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli da 4 a 12, nonché 15, 19, 21, 24 e 25, che, nei limiti di rispettiva applicazione, continuano ad applicarsi al personale dirigenziale delle carriere previste dall'articolo 15, comma 1, secondo periodo del presente decreto, nonché le altre disposizioni del medesimo decreto del Presidente delle Repubblica n. 748 del 1972 incompatibili con quelle del presente decreto;

c) articolo 5, commi secondo e terzo della legge 11 agosto 1973, n. 533;

d) articoli 4, commi decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo e 6 della legge 11 luglio 1980, n. 312;

e) articolo 2 del decreto legge 6 giugno 1981, n. 283, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 1981, n. 432;

f) articoli da 2 a 15, da 17 a 21, 22, a far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997; 23, 26, comma quarto, 27, comma primo, n. 5, 28 e 30, comma terzo della legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) legge 10 luglio 1984, n. 301, ad esclusione delle disposizioni che riguardano l'accesso alla qualifica di primo dirigente del Corpo forestale dello Stato;

h) articolo 2 della legge 8 marzo 1985, n. 72;

i) articoli 27 e 28 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, come integrato dall'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

j) decreto del Presidente della Repubblica 5 dicembre 1987, n. 551;

k) articoli 4, commi 3 e 4, e articolo 5 della legge 7 luglio 1988, n. 254;

l) articolo 17, comma 1, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400;

m) articolo 9 della legge 9 maggio 1989, n. 168;

n) articoli 4, comma 9, limitatamente alla disciplina sui contratti di lavoro riguardanti i dipendenti delle amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale; e 10, comma 2 della legge 30 dicembre 1991, n. 412;

o) articolo 2, comma 8, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, limitatamente al personale disciplinato dalla legge 4 giugno 1985, n. 281;

p) articolo 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, limitatamente al personale disciplinato dalla legge 4 giugno 1985, n. 281 e dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287;

q) articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 533;

r) articolo 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 534;

s) articolo 6-bis del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67;

t) decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29;

u) articolo 3, commi 5, 6, 23, 27, 31 ultimo periodo e da 47 a 52 della legge 24 dicembre 1993, n. 537;

v) articolo 3, comma 1, lettera e), della legge 14 gennaio 1994, n. 20;

w) decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 settembre 1994, n. 716;

x) articolo 2, lettere b), d) ed e) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 ottobre 1994, n. 692, a decorrere dalla data di attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 19 del presente decreto;

y) articolo 22, comma 15, della legge 23 dicembre 1994, n. 724;

z) decreto ministeriale 27 febbraio 1995, n. 112 del Ministro per la funzione pubblica;

 

aa) decreto legislativo 4 novembre 1997, n. 396;

bb) decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 ad eccezione degli articoli da 33 a 42 e 45, comma 18;

cc) decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387 ad eccezione degli articoli 19, commi da 8 a 18 e 23 (137).

 

2. Agli adempimenti e alle procedure già previsti dall'articolo 31 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, continuano ad essere tenute le amministrazioni che non vi hanno ancora provveduto alla data di entrata in vigore del presente decreto.

3. A far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, per ciascun àmbito di riferimento, sono abrogate tutte le disposizioni in materia di sanzioni disciplinari per i pubblici impiegati incompatibili con le disposizioni del presente decreto.

4. A far data dalla stipulazione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997, per ciascun àmbito di riferimento, ai dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, non si applicano gli articoli da 100 a 123 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e le disposizioni ad essi collegate.

5. A far data dalla entrata in vigore dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001, per ciascun àmbito di riferimento, cessano di produrre effetti i commi 7, 8 e 9 dell'articolo 55 del presente decreto.

6. Contestualmente alla definizione della normativa contenente la disciplina di cui all'articolo 50, sono abrogate le disposizioni che regolano la gestione e la fruizione delle aspettative e dei permessi sindacali nelle amministrazioni pubbliche.

 

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(137)  La Corte costituzionale, con ordinanza 5-6 luglio 2004, n. 214 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 27, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 76, 3 e 24 della Costituzione;

ha inoltre dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevata in riferimento agli artt. 76, 77 e 3 della Costituzione, dalla Corte di appello di Catanzaro, e del combinato disposto degli artt. 69, comma 7, e 72, comma 1, lettera bb), del medesimo decreto legislativo, sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 111 della Costituzione.

 

Art. 73.

Norma di rinvio.

1. Quando leggi, regolamenti, decreti, contratti collettivi od altre norme o provvedimenti, fanno riferimento a norme del D.Lgs. n. 29 del 1993 ovvero del D.Lgs. n. 396 del 1997, del D.Lgs. n. 80 del 1998 e del D.Lgs. n. 387 del 1998, e fuori dai casi di abrogazione per incompatibilità, il riferimento si intende effettuato alle corrispondenti disposizioni del presente decreto, come riportate da ciascun articolo.

 

Allegato A

(Art. 71, comma 1)

Norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 29 del 1993 e dei relativi decreti correttivi emanati ai sensi dell'art. 2, comma 5 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che cessano di produrre effetti a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997 per il personale non dirigenziale ai sensi dell'art. 69, comma 1, secondo periodo del presente decreto.

 

I. Ministeri

1. Dal 17 maggio 1995 (art. 43 CCNL 1994-1997):

a) articoli da 12 a 17, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 8; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 99, 134, 146, commi 1, lettera d) e parte successiva, e 2, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 15, legge 11 luglio 1980, n. 312;

d) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

e) art. 8, legge 8 agosto 1985, n. 455;

f) art. 4, comma 4, decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito con legge 17 febbraio 1985, n. 17;

g) art. 4, da 11 a 14, 18, 20 e 21, comma 1, lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

h) art. 10, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 giugno 1986;

i) art. 19, comma 8, legge 1° dicembre 1986, n. 870;

j) art. 23, comma 8, legge 30 dicembre 1986, n. 936;

k) articoli 13, 15, 16, 18, 19, 32 e 50, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266;

l) art. 4, decreto-legge 28 agosto 1987, n. 356, convertito con legge 27 ottobre 1987, n. 436;

m) articoli da 5 a 7, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

n) art. 9, comma 4, decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito con legge 20 maggio 1988, n. 160;

o) articoli 4, 15 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

p) legge 22 giugno 1988, n. 221;

q) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

r) art. 3, comma 1, lettera i) punto 2, legge 10 ottobre 1989, n. 349;

s) articoli 2 e 3, legge 29 dicembre 1989, n. 412;

t) articoli 7, 8, commi da 12 a 14; 10, 14, decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44;

u) art. 14, legge 7 agosto 1990, n. 245;

v) art. 10, commi 1 e 2, decreto-legge 29 marzo 1991, n. 108, convertito con legge 1° giugno 1991, n. 169;

w) art. 1, legge 25 febbraio 1992, n. 209;

x) art. 3, comma 3, decreto-legge 4 dicembre 1992, n. 469, convertito con legge 2 febbraio 1993, n. 23;

y) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

2. Dal 13 gennaio 1996 (art. 10, CCNL integrativo del 12 gennaio 1996):

a) articoli 9, commi 7 e 8; da 10 a 12, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266.

 

3. Dal 23 ottobre 1997 (art. 8, CCNL integrativo del 22 ottobre 1997):

a) articoli 10, 67, 69, 70 e 124, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) art. 50, legge 18 marzo 1968, n. 249;

c) articoli 29 e 31, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266;

d) articoli da 14 a 16, decreto del Presidente della Repubblica 18 maggio 1987, n. 269;

e) articoli 15 e 21, decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1990, n. 335;

f) art. 1, legge 15 gennaio 1991, n. 14.

 

4. Dal 27 febbraio 1998 (art 7 CCNL integrativo del 26 febbraio 1998, relativo al personale dell'amministrazione civile dell'interno):

a) articoli 9, 10 e 11, fatto salvo il disposto della legge 27 ottobre 1977, n. 801; 13, 17, 18, limitatamente al personale della carriera di ragioneria; da 20 a 27 e 43, decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 340.

 

 

II. Enti pubblici non economici

1. Dal 7 luglio 1995 (art. 50, CCNL 1994 -1997):

a) articoli 8, comma 1; 9, comma 1 e 2, salvo quanto previsto dall'art. 3, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411, e comma 3, per la parte relativa alle assenze per gravidanza e puerperio e per infermità; 11, 12, 23, 27 e 28, legge 20 marzo 1975, n. 70;

b) articoli 7 e 18, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411;

c) articoli 6, 17 e 21, decreto del Presidente della Repubblica 16 ottobre 1979, n. 509;

d) articoli 2 e 5, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 346;

e) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

f) articoli 4, 7, 8, da 11 a 14, 18, 20 e 21 lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

g) articoli 5, commi da 1 a 7, 7, da 10 a 16 e 24, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 267;

h) art. 7, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

i) articoli 2, 4, 15 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

j) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

k) articoli 5 e 13, decreto del Presidente della Repubblica 13 gennaio 1990, n. 43;

l) art. 3, commi da 37 a 42, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

2. Dal 12 ottobre 1996 (art. 96 CCNL 1994-97 per il personale con qualifica dirigenziale - sezione II):

a) articoli 9 e 10, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 8, comma 1; 9, comma 1; commi 1, 2 e 3, per la parte relativa alle assenze per gravidanza e puerperio e per infermità; 11, 12, 23, 27 e 28, legge 20 marzo 1975, n. 70;

c) articoli 17 e 18, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411;

d) articoli 6, 17, 21, decreto del Presidente della Repubblica 16 ottobre 1979, n. 509;

e) articoli 2 e 7, con le decorrenze di cui all'art. 66 ultimo periodo del contratto collettivo nazionale del lavoro per il personale con qualifica dirigenziale, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 346;

f) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) articoli da 11 a 14 e da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

h) articoli 4, 5, commi da 1 a 7; 7, 9, con le decorrenze di cui all'art. 66, ultimo periodo del Contratto collettivo nazionale del lavoro, per il personale con qualifica dirigenziale; da 10 a 16 e 24, decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 267;

i) articoli 7 e 10, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

j) articoli 2, 4 e 15, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

k) articoli 1, da 3 a 5, 12 e 13, decreto del Presidente della Repubblica 13 gennaio 1990, n. 43;

l) art. 17, decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487;

m) art. 3, commi da 37 a 42, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

 

III. Regioni ed autonomie locali

1. Dal 7 luglio 1995 (art. 47 CCNL 1994-1997):

a) articoli da 12 a 17, 37, 68, commi da 1 a 7; 70 e 71, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 9, decreto del Presidente della Repubblica 7 novembre 1980, n. 810;

d) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

e) articoli 7, 8, da 17 a 19, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347;

f) articoli 4, 11 e da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

g) articoli 2, 4, lettera a) comma 1 e lettera b) commi 6 e 7; 11, commi da 1 a 11, 14, 15, da 25 a 29, 34, comma 1, lettere a) e b); 56 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

h) articoli 4 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

i) art. 7, comma 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554, disapplicato fino al 13 maggio 1996;

j) articoli 1, comma 1, 2 comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

k) articoli 1 e 5, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

l) articoli 3, 4 e 5, con effetto dal 1° gennaio 1996; 6, con effetto dal 1° gennaio 1996; 16, da 30 a 32, da 43 a 47, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333;

m) art. 51, commi 9 e 10, legge 8 giugno 1990, n. 142;

n) art. 3, comma 23 e da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

2. Dal 14 maggio 1996 (art. 10 del CCNL integrativo del 13 maggio 1996):

a) art. 124, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) art. 25, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347;

c) art. 18, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333.

 

 

IV. Sanità

1. Dal 2 settembre 1995 (art. 56 CCNL 1994-1997):

a) articoli da 12 a 17; da 37 a 41, 67, 68, commi da 1 a 7; da 69 a 71, da 78 a 123, 129 e 130, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 7, comma 3, legge 30 dicembre 1971, n. 1204, limitatamente ai primi 30 giorni di permessi retribuiti fruibili nel primo triennio di vita del bambino;

d) articoli 9, comma 4; 14, 27, comma 1, limitatamente alla parola «doveri»; 27, comma 4, 32, 33, 37, 38, da 39 a 42, 47, 51, 52 da 54 a 58, 60, 61 e 63, ultimo comma, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

e) articoli 18, commi 3 e 4, 19 e 20, decreto ministeriale 30 gennaio 1982 del Ministro della sanità;

f) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 348;

h) articoli 4, 11, da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) articoli da 2 a 4, 11, 16, 26, 28, 29, 31, 38, 40, 55, 57 e 112, decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270;

j) art. 46, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

k) decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

l) art. 7, comma 6, ultimi due periodi, legge 29 dicembre 1988, n. 554;

m) art. 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

n) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

o) articoli 1, da 3 a 7; 23, commi 1, 4 e 5; 34, da 41 a 43, 46, comma 1, relativamente all'indennità di bilinguismo e comma 2, ultimo periodo; 49, comma 1, primo periodo e comma 2, per la parte riferita al medesimo periodo del comma 1 nonché commi da 3 a 7; da 50 a 52 e da 57 a 67, con effetto dal 1° gennaio 1996, fatto salvo quanto disposto dall'art. 47, comma 8 del contratto collettivo nazionale del lavoro per il quale la disapplicazione dell'art. 57, lettera b) dello stesso decreto del Presidente della Repubblica decorre dal 1° gennaio 1997; 68, commi da 4 a 7, decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384;

p) art. 3, commi 23 e da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

2. Dal 2 settembre 1995 (art. 14, comma 2, e art. 18, comma 1 CCNL del 22 maggio 1997):

a) art. 87, del decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270.

 

 

V. Istituzioni ed enti di ricerca

1. Dall'8 ottobre 1996 (art. 55 CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, da 12 a 17, 36, 37, 39, 40, 41, 68 commi da 1 a 7, e 8 ad esclusione della parte relativa all'equo indennizzo; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 99, 124, 126, 127, 129, 130, 131, 134, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) art. 14, 18, da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) articoli 8, comma 1, 9, commi 1 e 3, per la parte relativa alle assenze per gravidanza, puerperio e infermità; 11, 12, 23, 36, 39, legge 20 marzo 1975, n. 70;

d) articoli 7, 18, 52, 53 e 65, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411;

e) articoli 11, commi 3 e 4; 21, decreto del Presidente della Repubblica 16 ottobre 1979, n. 509;

f) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) articoli 4, 7, 8, 11, 18, 20 commi 1, 2, 4; 21 lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

h) articoli da 3 a 6, da 9 a 11, 29 e 36, decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1987, n. 568;

i) articoli 2 e 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

j) art. 7, commi da 2 a 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554;

k) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

l) art. 1, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

m) articoli 11, 15, 16, 17, comma 15; 21, con esclusione del comma 5; 23, fatti salvi gli effetti delle assunzioni già avvenute alla data di stipulazione del Contratto collettivo nazionale del lavoro; 34 37, 38, comma 3, 39, decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1991, n. 171;

n) art. 3, commi da 37 a 41, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

 

VI. Scuola

1. Dal 5 agosto 1995 (art. 82 CCNL 1994-97):

a) art. 39, regio decreto 30 aprile 1924, n. 965;

b) art. 350, regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297;

c) art. 2, comma 1, decreto legislativo n. 576 del 1948;

d) articoli 12, da 13 a 17, solo con riferimento al personale ATA, da 14 a 17, 37, 39, 40, comma 1; 68, comma 7; 70, 71, solo con riferimento al personale ATA; da 78 a 87, da 91 a 99, da 100 a 123 e 134, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

e) articoli da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

f) art. 28, legge 15 novembre 1973, n. 734;

g) articoli 60, commi da 1 a 10; 88, commi 1 e 3, decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417;

h) art. 50, legge 11 luglio 1980, n. 312;

i) art. 19, legge 20 maggio 1982, n. 270;

j) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

k) art. 7, comma 15, legge 22 dicembre 1984, n. 887;

l) decreto del Presidente della Repubblica 7 marzo 1985, n. 588;

m) articoli 4, da 18 a 20, 21, lett. b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

n) articoli 2, comma 7; 5, con esclusione del comma 2; 7, 9, 11, 12, commi 1, 5, 6 e 8; da 13 a 21, 23 e 30, decreto del Presidente della Repubblica 10 aprile 1987, n. 209;

o) art. 67, decreto del Presidente della Repubblica n. 494 del 1987;

p) articoli 4, 11 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

q) articoli 2, 3, commi da 1 a 5, 8 e 9; 4, commi 1, 2 e 12; da 6 a 13, 14, commi da 1 a 6, 7, primo periodo, da 8 a 11, 14, 18, 19 e 21; 15, 16, 18, 20, da 23 a 26, 28 e 29, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 399;

r) articoli 1, commi 1 e 3; da 2 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

s) articoli 3, commi 37, 38, 39, 40, 41; 4, comma 20, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

2. Dal 2 maggio 1996 (art. 9 dell'accordo successivo, con riguardo al personale in servizio presso le istituzioni educative):

a) articoli da 92 a 102, regio decreto 1° settembre 1925, n. 2009;

b) art. 14, comma 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 399.

 

 

VII. Università

1. Dal 22 maggio 1996 (art. 56 del CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, da 12 a 17, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 8; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 99, 124, 126, 127, da 129 a 131 e 134, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 14, 18, da 30 a 34 e 61 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 50, legge 18 marzo 1968, n. 249;

d) art. 5, legge 25 ottobre 1977, n. 808;

e) articoli 15 e 170, legge 11 luglio 1980, n. 312;

f) art. 26, decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382;

g) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

h) articoli 4, 7, 8, da 11 a 14, da 18 a 20 e 21 lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) articoli 2, 23, commi da 1 a 3; 24, comma 3, legge 29 gennaio 1986, n. 23;

j) articoli da 2 a 7; 8, con la decorrenza prevista nello stesso art. 56 del Contratto collettivo nazionale del lavoro, 9, 12, 13, 20, comma 5; 23 comma 2; da 24 a 28, decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1987, n. 567;

k) articoli 2, 4, 15 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) art. 7, commi da 2 a 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554;

m) articoli 1, comma 1; 2, commi 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

n) art. 1, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

o) articoli 5, 7, 10, 13, commi 1 e 2; 14, 16, 18, commi 2 e 3, 27, commi 3 e 4, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 319;

p) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

VIII. Aziende autonome

1. Dal 6 aprile 1996 (art. 73 CCNL 1994-1997):

a) articoli 10, da 12 a 17, 36, 37, 39, 40, 41, comma 1, 68, commi da 1 a 8; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 99 e 134, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, da 30 a 34 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 50, legge 18 marzo 1968, n. 249;

d) art. 15, legge 11 luglio 1980, n. 312;

e) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

f) articoli 4, 11, 18, 20 e 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

g) art. 10, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 giugno 1986;

h) art. 53, decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 1987, n. 494;

i) articoli da 2 a 5, 11, da 14 a 16, 27, 37 e 105 lett. d), decreto del Presidente della Repubblica 18 maggio 1987, n. 269;

j) art. 6, legge 10 agosto 1988, n. 357;

k) articoli 4 e 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) art. 32, commi da 1 a 5, legge 5 dicembre 1988, n. 521;

m) articoli 1, comma 1; 2, comma 1; da 3 a 6, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 marzo 1989, n. 117;

n) articoli 5, 15 e 21, decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1990, n. 335;

o) articoli 3, commi 23, 37, 38, 39, 40, 4; 4, comma 20, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

IX. Enea

1. Dal 4 agosto 1997 (art. 79 CCNL 1994-1997):

a) art. 3, commi da 39 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537;

b) articoli 1, 1-bis, 1-ter, da 2 a 19, 19-bis, 19-ter, 20, 20-bis 22, da 24 a 27, da 29 a 33, da 35 a 39, 41, 42, comma 1, da 44 a 55, 57, 59, 60, da 63 a 79 del C.C.L. ENEA 31 dicembre 1988 - 30 dicembre 1991;

c) Parte generale, allegati, appendici e codici di autoregolamentazione del diritto di sciopero afferenti al previgente C.C.L. ENEA 31 dicembre 1988-30 dicembre 1991.

 

Allegato B

(Art 71, comma 1)

Norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 29 del 1993 e dei relativi decreti correttivi emanati ai sensi dell'art. 2, comma 5 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che cessano di produrre effetti a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi per il quadriennio 1994-1997 per il personale dirigenziale ai sensi dell'art. 69, comma 1, secondo periodo del presente decreto.

 

I. Ministeri

1. Dal 10 gennaio 1997 (art. 45 CCNL 1994-1997):

a) articoli 10, 12, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 8; 70, 71 da 78 a 87, da 91 a 99 e 200, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 20, da 47 a 50, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;

d) decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1977, n. 422;

e) articoli da 133 a 135, legge 11 luglio 1980, n. 312;

f) decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681, convertito con legge 20 novembre 1982, n. 869;

g) legge 17 aprile 1984, n. 79;

h) art. 8, legge 8 agosto 1985, n. 455;

i) art. 4, comma 4, decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito con legge 17 febbraio 1985, n. 17;

j) articoli da 12 a 14, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

k) art. 19, comma 8, legge 1° dicembre 1986, n. 870;

l) art. 23, comma 8, legge 30 dicembre 1986, n. 936;

m) art. 4, decreto-legge 28 agosto 1987, n. 356, convertito con legge 27 ottobre 1987, n. 436;

n) art. 9, comma 4, decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito con legge 20 maggio 1988, n. 160;

o) legge 22 giugno 1988, n. 221;

p) art. 3, comma 1, lettera i) parte 2, legge 10 ottobre 1989, n. 349;

q) articoli 2 e 3, legge 29 dicembre 1989, n. 412;

r) art. 14, legge 7 agosto 1990, n. 245;

s) art. 10, commi 1 e 2, decreto-legge 29 marzo 1991, n. 108, convertito con legge 1° giugno 1991, n. 169;

t) art. 1, legge 25 febbraio 1992, n. 209;

u) art. 3, comma 3, decreto-legge 4 dicembre 1992, n. 469, convertito con legge 2 febbraio 1993, n. 23;

v) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

2. Dal 30 settembre 1997 (art. 15 CCNL integrativo 30 settembre 1997):

a) art. 18, comma 2-bis, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.

 

 

II. Enti pubblici non economici

1. Dal 12 ottobre 1996 (art. 50 CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, 37, 66, 68, commi da 1 a 7; 70 e 71, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) art. 20, decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;

c) articoli 9, comma 2; 23, legge 20 marzo 1975, n. 70;

d) art. 4, legge 17 aprile 1984, n. 79;

e) articoli 2, 3, commi 1 e 2, decreto-legge 11 gennaio 1985, n. 2, convertito, con modificazioni, con legge 8 marzo 1985, n. 72;

f) articoli 5, 6, 12, commi 1 e 2, 14, 15 e 16, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 5 dicembre 1987, n. 551;

g) art. 13, comma 4, legge 9 marzo 1989, n. 88;

h) art. 5, comma 3, decreto-legge 24 novembre 1990, n. 344, convertito con legge 23 gennaio 1991, n. 21;

i) art. 3, commi da 37 a 42, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

 

III. Regioni ed autonomie locali

1. Dall'11 aprile 1996 (art. 48 CCNL 1994-1997):

a) articoli 12, 37, 68, commi da 1 a 7; 70 e 71, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 9, decreto del Presidente della Repubblica 7 novembre 1980 n. 810;

d) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

e) art. 7, da 17 a 19, 25, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347;

f) articoli 11, da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

g) art. 2, 15, da 25 a 29, 34, comma 1, lettera d); da 40 a 42, 56, 61 e 69, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

h) articoli 4, 16, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

i) art. 51, commi 9 e 10, legge 8 giugno 1990, n. 142, salvo che per i limitati casi di cui all'art. 46;

j) articoli 3, 4, 16, da 30 a 32, da 37 a 40, 43, 44, 46, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333;

k) articoli 3, commi dal 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

 

IV. Sanità

1. Per il personale con qualifica dirigenziale medica e veterinaria, dal 6 dicembre 1996 (articoli 14, comma 6, 72, comma 7 e 75 CCNL 1994-1997):

a) articoli 12, da 37 a 41, 67, 68, commi da 1 a 7; da 69 a 71, da 78 a 123, con l'avvertenza che i procedimenti disciplinari in corso alla data di stipulazione del Contratto collettivo nazionale del lavoro vengono portati a termine secondo le norme e le procedure vigenti alla data del loro inizio, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 7, comma 3, legge 30 dicembre 1971, n. 1204, limitatamente ai primi 30 giorni di assenza retribuita in ciascun anno di vita del bambino fino al compimento del terzo anno;

d) articoli 14, 16, 27, comma 4; 32, 33, 35, 37, 38, 47, 51, 52, 54, 55, 56, comma a punti 1) e 2); 57, 60, 61, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

e) articoli 18 e 20, decreto 30 gennaio 1982, del Ministro della sanità;

f) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 348;

h) articoli da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) art. 69, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

j) articoli 28, 29, 38, 53, 54, da 73 a 78, 80, da 82 a 90, 92, comma 8; 112, decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270;

k) art. 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) articoli 38 e 43, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333;

m) articoli 7; da 73 a 76; 79; 86; 102; 104; 108; 109, 110, commi 1, 5 e 6; da 111 a 114, 116, 118, 119, 123, fatto salvo quanto previsto dall'art. 65, comma 9, del Contratto collettivo nazionale del lavoro 1994-1997 per il quale la disapplicazione della lettera b) del sesto comma decorre dal 1° gennaio 1997; da 124 a 132; 134, commi da 4 a 6, decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384;

n) art. 18, commi 1 lettera f) e 2-bis, eccetto l'ultimo periodo del secondo capoverso, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502;

o) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

2. Dal 6 agosto 1997 (art. 1 comma 14 del CCNL del 5 agosto 1997):

a) art. 9, comma 4, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

b) art. 9, comma 17, legge 20 maggio 1985, n. 207, limitatamente alla durata dell'incarico;

c) art. 3, comma 23, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

3. Per il personale con qualifica dirigenziale sanitaria professionale, tecnica, amministrativa, dal 6 dicembre 1996 (articoli 14, comma 6 e 72 CCNL 1994-1997):

a) articoli 12, da 37 a 41, 67, 68, commi da 1 a 7, da 69 a 71, da 78 a 123, con l'avvertenza che i procedimenti disciplinari in corso alla data di stipulazione del Contratto collettivo nazionale del lavoro vengono portati a termine secondo le norme e le procedure vigenti alla data del loro inizio, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 7, comma 3, legge 30 dicembre 1971, n. 1204, limitatamente ai primi trenta giorni di assenza retribuita in ciascun anno di vita del bambino fino al compimento del terzo anno;

d) articoli 14, 16, 27, comma 4; 32, 33, 37, 38, 47, 51, 52, 54, 55, 56, comma 1, punto 1) e 2); 57, 60 e 61, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

e) articoli 18 e 20, decreto 30 gennaio 1982, del Ministro della sanità;

f) art. 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 348;

h) articoli da 18 a 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) art. 69, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

j) articoli da 2 a 4, 16, 18, 26, 28, 29, 38 e 112, decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270;

k) art. 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) articoli 38 e 43, decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333:

m) articoli da 3 a 7, 9, 10 nei limiti definiti dall'art. 72 del Contratto collettivo nazionale del lavoro; 16, 34, 41, da 44 a 47, 53, da 57 a 67, nei limiti definiti dall'art. 72 del contratto collettivo nazionale del lavoro: 68, commi 4, 5 e 9; 76, decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384;

n) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537;

o) art. 18, commi 1 p.to f) e 2-bis, eccetto l'ultimo periodo del secondo capoverso, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.

 

4. Dal 6 agosto 1997 (articolo 1 comma 14 del CCNL del 5 agosto 1997):

a) art. 9, comma 4, decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761;

b) art. 7, comma 6, legge 29 dicembre 1988, n. 554;

c) art. 9, comma 17, legge 20 maggio 1985, n. 207, limitatamente alla durata dell'incarico;

d) articoli 1 e 5, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 marzo 1989, n. 127;

e) art. 3, comma 23, legge 24 dicembre 1993. n. 537.

 

 

V. Istituzioni ed enti di ricerca

1. Dal 6 Marzo 1998 (art. 80 CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, 12, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 7 e comma 8, con esclusione del riferimento all'equo indennizzo; 70, 71, da 78 a 122, 124, 126, 127, da 129 a 131, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 14 e 18, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) articoli 8, comma 1, relativamente all'obbligo di residenza; 9, commi 1 e 3; 11, 12, 23 e 39, legge 20 marzo 1975, n. 70:

d) articoli 52, 53 e 65, decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411;

e) articoli 11, commi 3 e 4, 17, decreto del Presidente della Repubblica 16 ottobre 1979, n. 509;

f) articoli 22 e 25, legge 29 marzo 1983, n. 93;

g) articoli 7, 8, 18, 20, commi 1, 2 e 4; 21, lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

h) articoli 1, da 3 a 6, 9, 10, 36, decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1987, n. 568;

i) articoli 2 e 4, decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988, n. 395;

l) articoli 1, 11, 17, commi 1 e da 5 a 13, con la decorrenza prevista dall'art. 80 del contratto collettivo nazionale del lavoro; 18, commi 1, 2 e 5, con la decorrenza prevista dall'art. 80 del contratto collettivo nazionale del lavoro e 6; 19, commi 1 e 2; 34, 38, comma 3; 39, decreto del Presidente della Repubblica 12 febbraio 1991, n. 171;

m) art. 3, commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

 

VI. Università

1. Dal 6 febbraio 1997 (art. 50 CCNL 1994-1997):

a) articoli 9, 10, 12, 36, 37, da 39 a 41, 66, 68, commi da 1 a 7; 70, 71, da 78 a 87, da 91 a 122, 124, 126, 127; 129 e 131, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, 30, da 31 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) art. 20, decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;

d) articoli 15, da 133 a 135, legge 11 luglio 1980, n. 312;

e) art. 4, legge 17 aprile 1984, n. 79;

f) art. 4, legge 10 luglio 1984, n. 301;

g) art. 2, 3 comma 2, decreto-legge 11 gennaio 1985, n. 2, convertito con legge 8 marzo 1985, n. 72;

h) art. 21, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

i) art. 1, decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 37;

j) art. 3, commi da 37 a 42, legge 24 dicembre 1993, n. 537;

k) art. 13, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 aprile 1994, n. 439.

 

 

VII. Aziende autonome

1. Dall'11 novembre 1997 (art. 53 CCNL 1994-1997):

a) articoli 10, 12, 36, 37, da 39 a 41, 68, commi da 1 a 8, da 69 a 71, da 78 a 87, da 91 a 99 e 200, con le decorrenze previste dall'art. 53 lett. h, del contratto collettivo nazionale del lavoro, decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3;

b) articoli 18, da 30 a 34, decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686;

c) legge 3 luglio 1970, n. 483, per la parte relativa al personale con qualifica dirigenziale;

d) articoli 20, da 47 a 50, decreto del Presidente della Repubblica, 30 giugno 1972, n. 748;

e) decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1977, n. 422;

f) articoli da 133 a 135, legge 11 luglio 1980, n. 312;

g) decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681, convertito con legge 20 novembre 1982, n. 869;

h) articolo 11, comma 3, legge 13 maggio 1983, n. 197;

i) legge 17 aprile 1984, n. 79;

j) articoli da 12 a 14, decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 1986, n. 13;

k) decreto-legge 10 maggio 1986, n. 154, convertito con legge 11 luglio 1986, n. 341;

l) art. 13 decreto-legge 4 agosto 1987, n. 325, convertito con legge 3 ottobre 1987, n. 402;

m) art. 6, decreto-legge 7 settembre 1987, n. 370, convertito con legge 4 novembre 1987, n. 460;

n) art. 9, comma 4, decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito con legge 20 maggio 1988, n. 160;

o) art. 6, legge 10 agosto 1988, n. 357;

p) art. 3 commi da 37 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537.

 

 

VIII. Enea

1. Dal 4 agosto 1997 (art. 90 CCNL 4 agosto 1997):

a) art. 3, commi da 39 a 41, legge 24 dicembre 1993, n. 537;

b) articoli 1, 1-bis, 1-ter, da 2 a 16, 16-bis, 17, 18, 19, 19-bis, 19-ter, 20, 20-bis, 22, da 24 a 27, da 29 a 39, 41, 42, da 44 a 55, 57, 59, 60, 63, 64, 67, 69, 70, 75, da 77 a 79 del previgente CCL ENEA 31 dicembre 1988 - 30 dicembre 1991;

c) Parte generale, gli allegati, e le appendici ed i Codici di autoregolamentazione del diritto di sciopero afferenti al previgente CCL ENEA 31 dicembre 1988-30 dicembre 1991.

 

Allegato C

(Art. 71, comma 2)

Norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 29 del 1993 e dei relativi decreti correttivi emanati ai sensi dell'art. 2, comma 5 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, che cessano di produrre effetti a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali per il quadriennio 1998-2001 per il personale delle Regioni ed autonomie locali (ai sensi dell'art. 69, comma 1, terzo periodo del presente decreto).

 

I. Personale non dirigenziale

1. Dal 1° aprile 1999 (art. 28 CCNL 1998-2001):

a) articoli 10, 27, e allegato A, decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347;

b) allegato A, decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1984, n. 665;

c) articoli 10, 21, escluso comma 4, da 57 a 59, 62, comma 1; 69, comma 1; 71 e 73, del decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1987, n. 268;

d) articoli 22, comma 1, 33, escluso comma 5; da 34 a 36, del decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1990, n. 333 e tabelle 1, 2 e 3 allegate;

e) articoli 16, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 253, dalla data di effettiva attuazione del comma 3, art. 21 del Contratto collettivo nazionale del lavoro.

 


D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328.
Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove per l'esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 17 agosto 2001, n. 190, S.O.

(2)  Vedi, anche, il D.L. 10 giugno 2002, n. 107 e l'art. 3, D.L. 9 maggio 2003, n. 105, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visto l'articolo 87, quinto comma, della Costituzione;

Visto l'articolo 1, comma 18, della legge 14 gennaio 1999, n. 4, modificato dall'articolo 6, comma 4, della legge 19 ottobre 1999, n. 370;

Visto l'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Sentiti gli ordini e collegi professionali interessati;

Visto il parere del Consiglio universitario nazionale, espresso nell'adunanza del 22 marzo 2001;

Visto il parere del Consiglio nazionale studenti universitari, espresso nell'adunanza del 6 marzo 2001;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 4 aprile 2001;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 21 maggio 2001;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 24 maggio 2001;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri ad interim Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro della giustizia;

 

Emana il seguente regolamento:

 

TITOLO PRIMO

Norme generali

 

Art. 1. 

Àmbito di applicazione.

1. Il presente regolamento modifica e integra la disciplina dell'ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi, nonché dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove, delle professioni di: dottore agronomo e dottore forestale, agrotecnico, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, geometra, ingegnere, perito agrario, perito industriale, psicologo.

2. Le norme contenute nel presente regolamento non modificano l'àmbito stabilito dalla normativa vigente in ordine alle attività attribuite o riservate, in via esclusiva o meno, a ciascuna professione.

 

Art. 2.

Istituzione di sezioni negli albi professionali.

1. Le sezioni negli albi professionali individuano ambiti professionali diversi in relazione al diverso grado di capacità e competenza acquisita mediante il percorso formativo.

2. Ove previsto dalle disposizioni di cui al titolo II, negli albi professionali vengono istituite, in corrispondenza al diverso livello del titolo di accesso, le seguenti due sezioni:

a) sezione A, cui si accede, previo esame di Stato, con il titolo di laurea specialistica;

b) sezione B, cui si accede, previo esame di Stato, con il titolo di laurea.

3. L'iscritto alla sezione B, in possesso del necessario titolo di studio può essere iscritto nella sezione A del medesimo albo professionale, previo superamento del relativo esame di Stato.

 

Art. 3. 

Istituzione di settori negli albi professionali.

1. I settori istituiti nelle sezioni degli albi professionali corrispondono a circoscritte e individuate attività professionali.

2. Ove previsto dalle disposizioni di cui al titolo II, nelle sezioni degli albi professionali vengono istituiti distinti settori in relazione allo specifico percorso formativo.

3. Il professionista iscritto in un settore non può, esercitare le competenze di natura riservata attribuite agli iscritti ad uno o più altri settori della stessa sezione, ferma restando la possibilità di iscrizione a più settori della stessa sezione, previo superamento del relativo esame di Stato.

4. Gli iscritti in un settore che, in possesso del necessario titolo di studio, richiedano di essere iscritti in un diverso settore della stessa sezione, devono conseguire la relativa abilitazione a seguito del superamento di apposito esame di Stato limitato alle prove e alle materie caratterizzanti il settore cui intendono accedere.

5. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti ad un settore della sezione A, oltre a quelle ad essi specificamente attribuite, anche quelle attribuite agli iscritti del corrispondente settore della sezione B.

 

Art. 4. 

Norme organizzative generali.

1. Salve le disposizioni speciali previste nel presente regolamento, il numero dei componenti degli organi collegiali, a livello locale o nazionale, degli ordini o collegi relativi alle professioni di cui all'articolo 1, comma 1, qualora vengano istituite le due sezioni di cui all'articolo 2, è ripartito in proporzione al numero degli iscritti a ciascuna sezione. Tale numero viene determinato assicurando comunque la presenza di ciascuna delle componenti e una percentuale non inferiore al cinquanta per cento alla componente corrispondente alla sezione A. L'elettorato passivo per l'elezione del Presidente spetta agli iscritti alla sezione A.

2. Nell'ipotesi di procedimento disciplinare i relativi provvedimenti vengono adottati esclusivamente dai componenti appartenenti alla sezione cui appartiene il professionista assoggettato al procedimento.

3. Con successivo regolamento ai sensi dell'articolo 1, comma 18, legge 14 gennaio 1999, n. 4, e successive modificazioni, verranno definite le procedure elettorali e il funzionamento degli Organi in sede disciplinare, nel rispetto dei princìpi definiti nei commi 1 e 2 (4).

 

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(4)  Vedi, anche, l'art. 1, D.L. 24 giugno 2004, n. 158, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, e i regolamenti emanati con D.P.R. 8 luglio 2005, n. 169 e con D.P.R. 25 ottobre 2005, n. 221.

 

Art. 5. 

Esami di Stato.

1. Coloro che hanno titolo per accedere all'esame di Stato per la sezione A possono accedere anche all'esame di Stato per la sezione B, fermo, ove previsto, il requisito del tirocinio.

2. Salvo disposizioni speciali, gli esami consistono in due prove scritte di carattere generale, una prova pratica e una prova orale. Sono esentati da una delle prove scritte coloro i quali provengono dalla sezione B o da settori diversi della stessa sezione e coloro che conseguono un titolo di studio all'esito di un corso realizzato sulla base di specifiche convenzioni tra le università e gli ordini o collegi professionali.

3. Il contenuto delle prove degli esami di Stato non modifica l'àmbito delle attività professionali definite dagli ordinamenti di ciascuna professione.

4. Nulla è innovato circa le norme vigenti relative alla composizione delle commissioni esaminatrici e alle modalità di espletamento delle prove d'esame.

 

Art. 6. 

Tirocinio.

1. Il periodo di tirocinio, ove prescritto, può essere svolto in tutto o in parte durante il corso degli studi secondo modalità stabilite in convenzioni stipulate fra gli ordini o collegi e le università, ed eventualmente, con riferimento alle professioni di cui al capo XI, con gli istituti di istruzione secondaria o con gli enti che svolgono attività di formazione professionale o tecnica superiore.

2. Coloro che hanno effettuato il periodo di tirocinio per l'accesso alla sezione B possono esserne esentati per l'accesso alla sezione A, sulla base dei criteri fissati con decreto del Ministro competente sentiti gli ordini e collegi.

 

Art. 7. 

Valore delle classi di laurea.

1. I titoli universitari conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale ai fini dell'ammissione agli esami di Stato, indipendentemente dallo specifico contenuto di crediti formativi.

2. I decreti ministeriali che introducono modifiche delle classi di laurea e di laurea specialistica definiscono anche, in conformità alla normativa vigente, la relativa corrispondenza con i titoli previsti dal presente regolamento, quali requisiti di ammissione agli esami di Stato.

 

Art. 8. 

Salvaguardia del valore dei titoli di studio e abilitativi conseguiti in conformità al precedente ordinamento.

1. Fatto salvo quanto previsto dalle norme finali e transitorie contenute nel titolo II, coloro i quali hanno conseguito o conseguiranno il diploma di laurea regolato dall'ordinamento previgente ai decreti emanati in applicazione dell'articolo 17, comma 95, legge 15 maggio 1997, n. 127, sono ammessi a partecipare agli esami di Stato sia per la sezione A che per la sezione B degli albi relativi alle professioni di cui al titolo II, ferma restando la necessità del tirocinio ove previsto dalla normativa previgente.

2. Coloro i quali, ai sensi della normativa vigente in ciascuna professione, hanno titolo ad iscriversi all'albo professionale indipendentemente dal requisito dell'esame di Stato, conservano tale titolo per l'iscrizione alla sezione A dello stesso albo.

3. I diplomati nei corsi di diploma universitario triennale sono ammessi a sostenere gli esami di Stato secondo la tabella A allegata al presente regolamento.

 

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo I - Attività professionali

 

Art. 9. 

Attività professionali.

1. L'elencazione delle attività professionali compiuta nel Titolo II, per ciascuna professione, non pregiudica quanto forma oggetto dell'attività di altre professioni ai sensi della normativa vigente.

 

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo II - Professione di dottore agronomo e dottore forestale

 

Art. 10. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo professionale dell'ordine dei dottori agronomi e dottori forestali sono istituite la sezione A e la sezione B.

2. Agli iscritti nella sezione A spetta il titolo di dottore agronomo e dottore forestale.

3. La sezione B è ripartita nei seguenti settori:

a) agronomo e forestale;

b) zoonomo;

c) biotecnologico agrario.

4. Agli iscritti nella sezione B spettano i seguenti titoli professionali:

a) agronomo e forestale iunior;

b) zoonomo;

c) biotecnologo agrario.

5. L'iscrizione all'albo professionale dell'ordine dei dottori agronomi e dottori forestali è accompagnata, rispettivamente, dalle dizioni «sezione A - dottori agronomi e dottori forestali» e «sezione B - agronomi e forestali iuniores», «sezione B - zoonomi», «sezione B - biotecnologi agrari».

 

Art. 11. 

Attività professionali.

1. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti alla sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, oltre alle attività indicate nei commi 2, 3 e 4, le altre attività previste dall'articolo 2 della legge 10 febbraio 1992, n. 152.

2. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti alla sezione B, settore agronomo e forestale, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni, già stabilite dalla vigente normativa, le seguenti attività:

a) la progettazione di elementi dei sistemi agricoli, agroalimentari, zootecnici, forestali ed ambientali;

b) la consulenza nei settori delle produzioni vegetali, animali e silvicolturali, delle trasformazioni alimentari, della commercializzazione dei relativi prodotti, della ristorazione collettiva, dell'agriturismo e del turismo rurale, della difesa dell'ambiente rurale e naturale, della pianificazione del territorio rurale, del verde pubblico e privato, del paesaggio;

c) la collaborazione alla progettazione dei sistemi complessi, agricoli, agroalimentari, zootecnici, forestali ed ambientali;

d) le attività estimative relative alle materie di competenza;

e) le attività catastali, topografiche e cartografiche;

f) le attività di assistenza tecnica, contabile e fiscale alla produzione di beni e mezzi tecnici agricoli, agroalimentari, forestali e della difesa ambientale;

g) il patrocinio nelle commissioni tributarie per le materie di competenza;

h) la certificazione di qualità e le analisi delle produzioni vegetali, animali e forestali sia primarie che trasformate, nonché quella ambientale;

i) le attività di difesa e di recupero dell'ambiente, degli ecosistemi agrari e forestali, la lotta alla desertificazione, nonché la conservazione e valorizzazione della biodiversità vegetale, animale e dei microrganismi.

3. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti alla sezione B, settore zoonomo, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le seguenti attività:

a) la pianificazione aziendale e industriale nel settore delle produzioni animali;

b) la consulenza nei settori delle produzioni animali, delle trasformazioni e della commercializzazione dei prodotti di origine animale;

c) la direzione di aziende zootecniche, faunistiche e venatorie e dell'acquacoltura;

d) le attività di assistenza tecnica, contabile e fiscale, alla produzione di beni e mezzi tecnici del settore delle produzioni animali;

e) la certificazione del benessere animale;

f) la riproduzione animale, comprendente le attività di inseminazione strumentale e di impianto embrionale in tutte le specie zootecniche e di sincronizzazione dei calori;

g) l'esecuzione delle terapie negli animali zootecnici, sotto il controllo e la guida del medico veterinario;

h) le attività di difesa dell'ambiente e di conservazione della biodiversità animale e dei microrganismi.

4. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti alla sezione B, settore biotecnologico agrario, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le seguenti attività:

a) la consulenza nei settori delle produzioni vegetali ed animali, con particolare riferimento all'impiego corretto di biotecnologie;

b) la consulenza per la certificazione della qualità genetica dei prodotti alimentari sia per gli animali che per l'uomo, in particolare per la tracciabilità di organismi geneticamente modificati (OGM) nelle filiere agroalimentari;

c) la consulenza nei settori delle tecnologie e trasformazioni alimentari e dei prodotti agricoli non alimentari con particolare riferimento al corretto impiego di biotecnologie;

d) la certificazione con l'impiego di biotecnologie innovative della qualità e del controllo nella sanità e provenienza dei prodotti agricoli, compresi quelli per l'alimentazione umana e animale;

e) le consulenze relative all'uso di biotecnologie per la certificazione varietale degli organismi vegetali;

f) la consulenza per l'uso di biotecnologie innovative per la diagnostica di patologie virali, batteriche e fungine nei vegetali;

g) la consulenza per il monitoraggio ambientale in campo agroalimentare, mediante l'uso di tecniche biotecnologiche innovative;

h) le attività di assistenza tecnica, contabile e fiscale alla produzione di mezzi tecnici dei settori delle biotecnologie innovative negli ambiti agroalimentari;

i) il patrocinio nelle commissioni tributarie per le materie di competenza.

 

Art. 12. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione A e relativa prova.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso di laurea specialistica in una delle seguenti classi:

a) classe 3/S - Architettura del paesaggio;

b) classe 4/S - Architettura e ingegneria edile;

c) classe 7/S - Biotecnologie agrarie;

d) classe 38/S - Ingegneria per l'ambiente e il territorio;

e) classe 54/S - Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale;

f) classe 74/S - Scienze e gestione delle risorse rurali e forestali;

g) classe 77/S - Scienze e tecnologie agrarie;

h) classe 78/S - Scienze e tecnologie agroalimentari;

i) classe 79/S - Scienze e tecnologie agrozootecniche;

l) classe 82/S - Scienze e tecnologie per l'ambiente e il territorio;

m) classe 88/S - Scienze per la cooperazione allo sviluppo.

3. L'esame di Stato è articolato in due prove scritte, una prova pratica e una orale. Le prove di esame di Stato per l'accesso alla sezione A vertono sugli stessi argomenti previsti per l'accesso alla sezione B, prevedendo una maggiore complessità correlata alla più elevata competenza professionale.

 

Art. 13. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione B e relativa prova.

1. L'iscrizione nella sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

 

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea in una delle seguenti classi:

a) per l'iscrizione al settore agronomo e forestale:

1) classe 7 - Urbanistica e scienze della pianificazione territoriale e ambientale;

2) classe 20 - Scienze e tecnologie agrarie, agroalimentari e forestali;

 

b) per l'iscrizione al settore zoonomo:

1) classe 40 - Scienze e tecnologie zootecniche e delle produzioni animali;

 

c) per l'iscrizione al settore biotecnologico agrario:

1) classe 1 - Biotecnologie.

 

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prima prova scritta concernente le tecnologie nei settori delle produzioni vegetali, produzioni animali, gestione silvocolturale, trasformazioni agroalimentari e biotecnologie agrarie;

b) una seconda prova scritta nelle materie caratterizzanti il corso di laurea e il relativo percorso formativo;

c) una prova pratica articolata:

1) per il settore agronomo e forestale - indirizzo agronomico, in un elaborato di pianificazione territoriale ambientale ovvero in un progetto di un'opera semplice di edilizia rurale corredati da analisi economico estimative ed eseguiti con «Computer Aided Design» (CAD); analisi e certificazione di qualità dei prodotti agroalimentari;

2) per il settore agronomo e forestale - indirizzo forestale, in un progetto di massima dell'impianto o recupero di bosco con le opere edilizie necessarie, corredato da disegni ed elaborati economico estimativi; analisi e certificazione di qualità dei prodotti agroalimentari;

3) per il settore zoonomo, in un piano di assistenza tecnica per un'azienda zootecnica corredato da analisi economica e da piani di alimentazione eseguiti con l'ausilio dello strumento informatico;

4) per il settore biotecnologico agrario in un'analisi di acidi nucleici o di proteine di organismi vegetali o animali o di prodotti derivati e nella interpretazione dei risultati anche con l'impiego dello strumento informatico;

d) una prova orale concernente in generale la conoscenza della legge e della deontologia professionale. Inoltre:

1) per il settore agronomo e forestale - indirizzo agronomico, essa verte sulla conoscenza dell'agronomia generale, delle coltivazioni erbacee ed arboree, della loro difesa dagli agenti infettivi e dai parassiti microbici, vegetali e animali, delle produzioni animali, dell'economia aziendale, dell'estimo rurale e del catasto, delle principali tecnologie delle trasformazioni alimentari, delle scienze del territorio, dell'idraulica agraria, della meccanizzazione agraria, dell'edilizia rurale, del diritto agrario e della principale legislazione nazionale ed europea relativa al settore agro-alimentare;

2) per il settore agronomo e forestale - indirizzo forestale, essa verte sulla silvicoltura generale e speciale, sulla difesa degli ecosistemi forestali dai parassiti microbici, animali e vegetali, sulle tecniche dell'agricoltura montana, sull'agrosilvopastoralismo, sulla zootecnia degli animali selvatici, sull'acquacoltura montana, sull'economia e sull'estimo forestale e dendrometria, sulla tecnologia del legno e delle industrie silvane, sulle sistemazioni idraulico forestali, sulla pianificazione del territorio forestale, sulle costruzioni forestali, sulla meccanizzazione forestale e sui cantieri, sulle fonti del diritto forestale e sulle principali leggi che regolano il settore in Italia e nella Unione europea;

3) per il settore zoonomo essa verte sulla conoscenza dell'agronomia generale e delle coltivazioni foraggere, del miglioramento genetico degli animali zootecnici, dell'alimentazione e nutrizione animale, delle tecnologie di allevamento di tutte le specie zootecniche, della tecnica mangimistica, dell'ispezione degli alimenti di origine animale, dell'igiene degli allevamenti e delle principali patologie animali, della riproduzione animale, delle tecnologie di trasformazione dei prodotti di origine animale, della certificazione e tracciabilità delle filiere dei prodotti di origine animale, della meccanizzazione zootecnica, dell'economia zootecnica e della principale legislazione zootecnica in Italia e nella Unione europea;

4) per il settore biotecnologico agrario essa verte sulla conoscenza della biochimica agraria e della fisiologia delle piante coltivate, delle principali caratteristiche delle molecole informazionali, della agronomia generale, delle coltivazioni erbacee e arboree, della zootecnica generale, della difesa delle piante da patogeni vegetali e animali, delle principali trasformazioni agroalimentari, dell'economia aziendale e della legislazione nazionale ed europea relativa al settore biotecnologico agrario.

 

Art. 14. 

Norme finali e transitorie.

1. Gli attuali appartenenti all'ordine dei dottori agronomi e dottori forestali sono iscritti nella sezione A dell'albo dei dottori agronomi e dottori forestali.

2. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A.

3. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A.

 

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo III - Professione di architetto, pianificatore paesaggista e conservatore

 

Art. 15. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo professionale dell'ordine degli architetti, che assume la denominazione: «Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori», sono istituite la sezione A e la sezione B.

2. La sezione A è ripartita nei seguenti settori:

a) architettura;

b) pianificazione territoriale;

c) paesaggistica;

d) conservazione dei beni architettonici ed ambientali.

3. Agli iscritti nella sezione A spettano i seguenti titoli professionali:

a) agli iscritti nel settore «architettura» spetta il titolo di architetto;

b) agli iscritti nel settore «pianificazione territoriale» spetta il titolo di pianificatore territoriale;

c) agli iscritti nel settore «paesaggistica» spetta il titolo di paesaggista;

d) agli iscritti nel settore «conservazione dei beni architettonici ed ambientali» spetta il titolo di conservatore dei beni architettonici ed ambientali.

4. La sezione B è ripartita nei seguenti settori:

a) architettura;

b) pianificazione.

5. Agli iscritti nella sezione B spettano i seguenti titoli professionali:

a) agli iscritti nel settore «architettura» spetta il titolo di architetto iunior;

b) agli iscritti nel settore «pianificazione» spetta il titolo di pianificatore iunior.

6. L'iscrizione all'albo professionale è accompagnata dalle dizioni: «sezione A - settore architettura», «sezione A - settore pianificazione territoriale», «sezione A - settore paesaggistica», «sezione A - settore conservazione dei beni architettonici ed ambientali», «sezione B - settore architettura», «sezione B - settore pianificazione».

 

Art. 16. 

Attività professionali.

1. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A - settore «architettura», ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le attività già stabilite dalle disposizioni vigenti nazionali ed europee per la professione di architetto, ed in particolare quelle che implicano l'uso di metodologie avanzate, innovative o sperimentali.

2. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A - settore «pianificazione territoriale»:

a) la pianificazione del territorio, del paesaggio, dell'ambiente e della città;

b) lo svolgimento e il coordinamento di analisi complesse e specialistiche delle strutture urbane, territoriali, paesaggistiche e ambientali, il coordinamento e la gestione di attività di valutazione ambientale e di fattibilità dei piani e dei progetti urbani e territoriali;

c) strategie, politiche e progetti di trasformazione urbana e territoriale.

3. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A - settore «paesaggistica»:

a) la progettazione e la direzione relative a giardini e parchi;

b) la redazione di piani paesistici;

c) il restauro di parchi e giardini storici, contemplati dalla legge 20 giugno 1909, n. 364, ad esclusione delle loro componenti edilizie.

4. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A - settore «conservazione dei beni architettonici ed ambientali»:

a) la diagnosi dei processi di degrado e dissesto dei beni architettonici e ambientali e la individuazione degli interventi e delle tecniche miranti alla loro conservazione.

5. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa:

a) per il settore «architettura»:

1) le attività basate sull'applicazione delle scienze, volte al concorso e alla collaborazione alle attività di progettazione, direzione dei lavori, stima e collaudo di opere edilizie, comprese le opere pubbliche;

2) la progettazione, la direzione dei lavori, la vigilanza, la misura, la contabilità e la liquidazione relative a costruzioni civili semplici, con l'uso di metodologie standardizzate;

3) i rilievi diretti e strumentali sull'edilizia attuale e storica.

b) per il settore «pianificazione»:

1) le attività basate sull'applicazione delle scienze volte al concorso e alla collaborazione alle attività di pianificazione;

2) la costruzione e gestione di sistemi informativi per l'analisi e la gestione della città e del territorio;

3) l'analisi, il monitoraggio e la valutazione territoriale ed ambientale;

4) procedure di gestione e di valutazione di atti di pianificazione territoriale e relativi programmi complessi.

 

Art. 17. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione A e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea specialistica in una delle seguenti classi:

a) per l'iscrizione nel settore «architettura»:

1) classe 4/S - Architettura e ingegneria edile - corso di laurea corrispondente alla direttiva 85/384/CEE;

b) per l'iscrizione nel settore «pianificazione territoriale»:

1) classe 54/S - Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale;

2) classe 4/S - Architettura e ingegneria edile;

c) per l'iscrizione nel settore «paesaggistica»:

1) classe 3/S - Architettura del paesaggio;

2) classe 4/S - Architettura e ingegneria edile;

3) classe 82/S - Scienze e tecnologie per l'ambiente e il territorio;

d) per l'iscrizione nel settore «conservazione dei beni architettonici ed ambientali»:

1) classe 10/S - Conservazione dei beni architettonici e ambientali;

2) classe 4/S - Architettura e ingegneria edile.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) per l'iscrizione nel settore «architettura»:

1) una prova pratica avente ad oggetto la progettazione di un'opera di edilizia civile o di un intervento a scala urbana;

2) una prova scritta relativa alla giustificazione del dimensionamento strutturale o insediativo della prova pratica;

3) una seconda prova scritta vertente sulle problematiche culturali e conoscitive dell'architettura;

4) una prova orale consistente nel commento dell'elaborato progettuale e nell'approfondimento delle materie oggetto delle prove scritte, nonché sugli aspetti di legislazione e deontologia professionale;

b) per l'iscrizione nel settore «pianificazione territoriale»:

1) una prova pratica avente ad oggetto l'analisi tecnica dei fenomeni della città e del territorio o la valutazione di piani e programmi di trasformazione urbana, territoriale ed ambientale;

2) una prova scritta in materia di legislazione urbanistica;

3) una discussione sulle materie oggetto della prova scritta e pratica, nonché sugli aspetti di legislazione e deontologia professionale;

c) per l'iscrizione nel settore «paesaggistica»:

1) una prova pratica avente ad oggetto le tematiche paesaggistiche ed ambientali;

2) una prova scritta su temi di cultura ambientale e paesaggistica;

3) una discussione sulle materie oggetto della prova scritta e pratica, nonché sugli aspetti di legislazione e deontologia professionale;

d) per l'iscrizione nel settore «conservazione dei beni architettonici e ambientali»:

1) due prove scritte su temi di cultura e tecnica della conservazione;

2) una discussione sulle materie oggetto delle prove scritte, nonché sugli aspetti di legislazione e deontologia professionale.

4. Gli iscritti nella sezione B ammessi a sostenere l'esame di Stato per l'ammissione alla sezione A sono esentati dalla prova scritta che abbia ad oggetto materie per le quali già sia stata verificata l'idoneità del candidato nell'accesso al settore di provenienza.

5. Nel caso vengano attivate, con apposite convenzioni fra ordini ed università, attività strutturate di tirocinio professionale, adeguatamente regolamentate ed aventi una durata massima di un anno, la partecipazione documentata a tali attività esonera dalla prova pratica.

 

Art. 18. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione B e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

 

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea in una delle seguenti classi:

a) per il settore «architettura»:

1) classe n. 4 - Scienze dell'architettura e dell'ingegneria edile;

2) classe n. 8 - Ingegneria civile e ambientale;

b) per il settore «pianificazione»:

1) classe n. 7 - Urbanistica e scienze della pianificazione territoriale e ambientale;

2) classe n. 27 - Scienze e tecnologie per l'ambiente e la natura.

 

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) per il settore «architettura»:

1) una prova pratica consistente nello sviluppo grafico di un progetto esistente o nel rilievo a vista, e nella stesura grafica di un particolare architettonico;

2) una prova scritta avente ad oggetto la valutazione economico-quantitativa della prova pratica;

3) una seconda prova scritta consistente in un tema o prova grafica nelle materie caratterizzanti il percorso formativo;

4) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte, e in legislazione e deontologia professionale;

b) per il settore «pianificazione»:

1) una prova pratica avente ad oggetto l'analisi tecnica dei fenomeni della città e del territorio o la valutazione di piani e programmi di trasformazione urbana, territoriale ed ambientale;

2) una prova scritta vertente sull'analisi e valutazione della compatibilità urbanistica di un'opera pubblica;

3) una seconda prova scritta consistente in un tema o prova grafica nelle materie caratterizzanti il percorso formativo;

4) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte e in legislazione e deontologia professionale.

 

4. Nel caso vengano attivate, con apposite convenzioni fra ordini ed università, attività strutturate di tirocinio professionale, adeguatamente regolamentate ed aventi una durata massima di un anno, la partecipazione documentata a tali attività esonera dalla prova pratica.

 

Art. 19. 

Norme finali e transitorie.

1. Gli attuali appartenenti all'ordine degli architetti sono iscritti nella sezione A, settore «architettura».

2. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi alla sezione A, settore «architettura».

3. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi alla sezione A, settore «architettura».

4. I possessori dei diplomi di laurea regolati dall'ordinamento previgente ai decreti emanati in applicazione dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, sono ammessi a sostenere l'esame di Stato per l'iscrizione nei settori previsti dall'articolo 14, comma 2, secondo le seguenti corrispondenze:

a) per l'iscrizione nel settore «pianificazione territoriale», la laurea in scienze ambientali e la laurea in pianificazione territoriale ed urbanistica;

b) per l'iscrizione nel settore conservazione dei beni architettonici e ambientali, la laurea in storia e conservazione dei beni architettonici e ambientali.

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo IV - Professione di assistente sociale

 

Art. 20. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo professionale dell'ordine degli assistenti sociali sono istituite la sezione A e la sezione B.

2. Agli iscritti nella sezione A spetta il titolo professionale di assistente sociale specialista.

3. Agli iscritti nella sezione B spetta il titolo professionale di assistente sociale.

4. L'iscrizione all'albo professionale degli assistenti sociali è accompagnata, rispettivamente, dalle dizioni: «sezione degli assistenti sociali specialisti» e «sezione degli assistenti sociali».

 

Art. 21. 

Attività professionali.

1. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, oltre alle attività indicate nel comma 2, le seguenti attività professionali:

a) elaborazione e direzione di programmi nel campo delle politiche e dei servizi sociali;

b) pianificazione, organizzazione e gestione manageriale nel campo delle politiche e dei servizi sociali;

c) direzione di servizi che gestiscono interventi complessi nel campo delle politiche e dei servizi sociali;

d) analisi e valutazione della qualità degli interventi nei servizi e nelle politiche del servizio sociale;

e) supervisione dell'attività di tirocinio degli studenti dei corsi di laurea specialistica della classe 57/S - Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali;

f) ricerca sociale e di servizio sociale;

g) attività didattico-formativa connessa alla programmazione e gestione delle politiche del servizio sociale.

2. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le seguenti attività:

a) attività, con autonomia tecnico-professionale e di giudizio, in tutte le fasi dell'intervento sociale per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio, anche promuovendo e gestendo la collaborazione con organizzazioni di volontariato e del terzo settore;

b) compiti di gestione, di collaborazione all'organizzazione e alla programmazione; coordinamento e direzione di interventi specifici nel campo delle politiche e dei servizi sociali;

c) attività di informazione e comunicazione nei servizi sociali e sui diritti degli utenti;

d) attività didattico formativa connessa al servizio sociale e supervisione del tirocinio di studenti dei corsi di laurea della classe 6 - Scienze del servizio sociale;

e) attività di raccolta ed elaborazione di dati sociali e psicosociali ai fini di ricerca.

 

Art. 22. 

Esame di Stato per l'iscrizione nella sezione A e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea specialistica nella classe 57/S - Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali.

2. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prima prova scritta, sui seguenti argomenti: teoria e metodi di pianificazione, organizzazione e gestione dei servizi sociali; metodologie di ricerca nei servizi e nelle politiche sociali; metodologie di analisi valutativa e di supervisione di servizi e di politiche dell'assistenza sociale;

b) una seconda prova scritta applicativa, sui seguenti argomenti: analisi valutativa di un caso di programmazione e gestione di servizi sociali; discussione e formulazione di piani o programmi per il raggiungimento di obiettivi strategici definiti dalla commissione esaminatrice;

c) una prova orale sui seguenti argomenti: discussione dell'elaborato scritto; argomenti teorico-pratici relativi all'attività svolta durante il tirocinio; legislazione e deontologia professionale.

3. Agli esami di Stato di cui al comma 1 sono ammessi anche gli assistenti sociali non in possesso di laurea specialistica, iscritti all'albo, ai sensi della normativa previgente, da almeno 5 anni alla data di entrata in vigore del presente regolamento e che hanno svolto per almeno 5 anni le funzioni di cui all'articolo 20, comma 2.

 

Art. 23. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione B e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea nella classe 6 - Scienze del servizio sociale.

2. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prima prova scritta nelle seguenti materie o argomenti: aspetti teorici e applicativi delle discipline dell'area di servizio sociale; princìpi, fondamenti, metodi, tecniche professionali del servizio sociale, del rilevamento e trattamento di situazioni di disagio sociale;

b) una seconda prova scritta nelle seguenti materie o argomenti: princìpi di politica sociale; princìpi e metodi di organizzazione e offerta di servizi sociali;

c) una prova orale, sulle seguenti materie o argomenti: legislazione e deontologia professionale; discussione dell'elaborato scritto; esame critico dell'attività svolta durante il tirocinio professionale;

d) una prova pratica nelle seguenti materie o argomenti: analisi, discussione e formulazione di proposte di soluzione di un caso prospettato dalla commissione nelle materie di cui alla lettera a).

 

Art. 24. 

Norme finali e transitorie.

1. Gli attuali appartenenti all'ordine degli assistenti sociali sono iscritti nella sezione B dell'albo degli assistenti sociali.

2. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione B.

3. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione B.

4. Coloro i quali sono in possesso della laurea sperimentale in servizi sociali conseguita ai sensi della normativa previgente l'entrata in vigore del presente regolamento e coloro i quali alla data di entrata in vigore del presente regolamento hanno svolto per almeno cinque anni funzioni dirigenziali ricomprese tra quelle di cui all'articolo 20, comma 1, possono iscriversi nella sezione A.

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo V - Professione di attuario

 

Art. 25. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo degli attuari sono istituite la sezione A e la sezione B.

2. Agli iscritti nella sezione A spetta il titolo professionale di attuario.

3. Agli iscritti nella sezione B spetta il titolo professionale di attuario iunior.

4. L'iscrizione all'albo degli attuari è accompagnata rispettivamente dalle dizioni «sezione degli attuari» «sezione degli attuari iuniores».

 

Art. 26. 

Attività professionali.

1. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, oltre alle attività indicate nel comma 2, le seguenti attività professionali individuate dall'articolo 3 della legge 9 febbraio 1942, n. 194:

a) la formulazione e l'elaborazione di piani tecnici per la costituzione, la trasformazione, il riassetto, la liquidazione di imprese ed enti di assicurazione sulla vita e danni, di capitalizzazione e di previdenza;

b) i metodi di organizzazione di uffici statistico-attuariali degli enti e delle imprese di cui alla lettera a);

c) il calcolo ed il processo valutativo delle basi tecniche, delle riserve tecniche, delle strutture tariffarie e contributive per l'operatività tecnico-gestionale di imprese ed enti di cui alla lettera a);

d) l'analisi dei rischi puri di impresa e dei rischi finanziari connessi con l'esercizio di attività assicurative e previdenziali, con configurazione dei relativi piani strategici di controllo e di copertura;

e) l'analisi e la revisione attuariale di bilanci e portafogli assicurativi, di bilanci tecnici di fondi pensioni, relativi reporting e certificazioni;

f) la progettazione tecnico-attuariale di tariffe assicurative vita e danni e di fondi pensione; la progettazione di prodotti finanziari, lo sviluppo di software applicativo;

g) le altre prestazioni che implicano calcoli, revisioni, rilevazioni ed elaborazioni tecniche d'indole matematico-attuariale, inerenti la previdenza, le assicurazioni, ovvero operazioni di carattere finanziario.

2. Sono inoltre di competenza degli iscritti alla sezione A le attività professionali previste dalle disposizioni di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, ed ai D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 174, D.Lgs. n. 175/1995, e D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173, nei limiti stabiliti dalle norme stesse.

3. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le seguenti attività professionali, individuate dall'articolo 3 della legge 9 febbraio 1942, n. 194:

a) la gestione delle procedure di controllo e di validazione dei dati di portafogli di rischi, propri dei sistemi assicurativi privati e sociali, delle strutture e dei mercati finanziari;

b) la gestione operativa dell'offerta di servizi finanziari, assicurativi e previdenziali da parte di imprese assicuratrici, istituti di credito, società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio ed altre istituzioni operanti nel campo della finanza e della previdenza;

c) le quantificazioni standard preordinate alla selezione delle varie forme assicurative, di fondi di pensione, di prodotti finanziari, e al calcolo delle riserve matematiche e dei piani di tariffe e di contribuzioni concernenti le assicurazioni sulla vita e la previdenza sociale;

d) l'elaborazione dei piani di ammortamento per prestiti a lunga scadenza e simili in quanto comportino rilevazioni e accertamenti di specifica indole matematico-finanziaria-attuariale;

e) i calcoli e i progetti occorrenti per la valutazione di nude proprietà e di usufrutti.

 

Art. 27. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione A e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea specialistica in una delle seguenti classi:

a) classe 19/S - Finanza;

b) classe 90/S - Statistica demografica e sociale;

c) classe 91/S - Statistica economica, finanziaria e attuariale;

d) classe 92/S - Statistica per la ricerca sperimentale.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prima prova scritta, di carattere generale, concernente gli strumenti probabilistici, statistici e della finanza matematica, di impiego in àmbito assicurativo, finanziario e previdenziale;

b) una seconda prova scritta su temi tecnico-attuariali e matematico-finanziari delle assicurazioni vita, danni e della previdenza;

c) una prova pratica, consistente nella elaborazione di un progetto tecnico-attuariale, o di analisi valutativa di un caso aziendale, nell'àmbito delle tematiche tecnico-attuariali delle imprese d'assicurazioni e degli enti di previdenza;

d) una prova orale su argomenti della tecnica attuariale e della finanza matematica nel campo delle assicurazioni e della previdenza, rivolta in particolare a verificare la cultura professionale del candidato, la sua capacità operativa di sintesi e di comunicazione, nonché la conoscenza delle regole applicative, delle linee guida e dei codici deontologici di settore, della legislazione professionale.

3. Gli iscritti nella sezione B ammessi a sostenere l'esame di Stato per l'iscrizione nella sezione A sono esentati dalla prima prova scritta.

 

Art. 28. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione B e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea nella classe n. 37 - Scienze statistiche.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prima prova scritta, di carattere generale, concernente le metodologie quantitative di base impiegate nell'àmbito delle tematiche assicurativo-previdenziali e finanziarie;

b) una seconda prova scritta concernente l'analisi e la selezione di prodotti di natura assicurativa, previdenziale e finanziaria;

c) una prova pratica, sull'approccio tecnico-statistico o di trattamento informatico di basi di dati, relativamente a problemi assicurativi, finanziari e previdenziali;

d) una prova orale basata sulla discussione di argomenti attinenti l'offerta e la gestione tecnica dei servizi finanziari, assicurativi e previdenziali, rivolta in particolare a verificare le conoscenze teorico-pratiche e la capacità di comunicazione del candidato, nonché la conoscenza della legislazione e deontologia professionale.

 

Art. 29. 

Norme finali e transitorie.

1. Gli attuali appartenenti all'ordine degli attuari vengono iscritti nella sezione A dell'albo degli attuari.

2. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo degli attuari.

3. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo degli attuari.

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo VI - Professione di biologo

 

Art. 30. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo professionale dell'ordine dei biologi sono istituite la sezione A e la sezione B.

2. Agli iscritti nella sezione A spetta il titolo professionale di biologo.

3. Agli iscritti nella sezione B spetta il titolo professionale di biologo iunior.

4. L'iscrizione all'albo professionale dei biologi è accompagnata, rispettivamente, dalle dizioni: «sezione dei biologi», «sezione dei biologi iuniores».

 

Art. 31. 

Attività professionali.

1. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, oltre alle attività indicate nel comma 2, in particolare le attività che implicano l'uso di metodologie avanzate, innovative o sperimentali, quali:

a) controllo e studi di attività, sterilità, innocuità di insetticidi, anticrittogamici, antibiotici, vitamine, ormoni, enzimi, sieri, vaccini, medicamenti in genere, radioisotopi;

b) analisi biologiche (urine, essudati, escrementi, sangue), sierologiche, immunologiche, istologiche, di gravidanza, metaboliche e genetiche;

c) analisi e controlli dal punto di vista biologico delle acque potabili e minerali e valutazione dei parametri ambientali (acqua, aria, suolo) in funzione della valutazione dell'integrità degli ecosistemi naturali;

d) identificazione di agenti patogeni (infettanti ed infestanti) dell'uomo, degli animali e delle piante; identificazione degli organismi dannosi alle derrate alimentari, alla carta, al legno, al patrimonio artistico; indicazione dei relativi mezzi di lotta;

e) identificazioni e controlli di merci di origine biologica;

f) progettazione, direzione lavori e collaudo di impianti relativamente agli aspetti biologici;

g) classificazione e biologia degli animali e delle piante;

h) problemi di genetica dell'uomo, degli animali e delle piante e valutazione dei loro bisogni nutritivi ed energetici;

i) valutazione di impatto ambientale, relativamente agli aspetti biologici.

2. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le attività che implicano l'uso di metodologie standardizzate, quali l'esecuzione con autonomia tecnico professionale di:

a) procedure analitico-strumentali connesse alle indagini biologiche;

b) procedure tecnico-analitiche in àmbito biotecnologico, biomolecolare, biomedico anche finalizzate ad attività di ricerca;

c) procedure tecnico-analitiche e di controllo in àmbito ambientale e di igiene delle acque, dell'aria, del suolo e degli alimenti;

d) procedure tecnico-analitiche in àmbito chimico-fisico, biochimico, microbiologico, tossicologico, farmacologico e di genetica;

e) procedure di controllo di qualità.

3. Sono fatti salvi gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente per lo svolgimento delle attività professionali di cui ai commi 1 e 2 da parte dei biologi dipendenti dalle aziende del Servizio sanitario nazionale.

 

Art. 32. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione A e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea specialistica in una delle seguenti classi:

a) classe 6/S - Biologia;

b) classe 7/S - Biotecnologie agrarie;

c) classe 8/S - Biotecnologie industriali;

d) classe 9/S - Biotecnologie mediche, veterinarie, e farmaceutiche;

e) classe 82/S - Scienze e tecnologie per l'ambiente e il territorio;

f) classe 69/S - Scienze della nutrizione umana.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prima prova scritta in àmbito biofisico, biochimico, biomolecolare, biotecnologico, biomatematico e biostatistico, biomorfologico, clinico biologico, ambientale, microbiologico;

b) una seconda prova scritta nelle materie relative a igiene, management e legislazione professionale, certificazione e gestione della qualità;

c) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte ed in legislazione e deontologia professionale;

d) una prova pratica consistente in valutazioni epidemiologiche e statistiche, utilizzo di strumenti per la gestione e valutazione della qualità, valutazione dei risultati sperimentali ed esempi di finalizzazione di esiti.

4. Gli iscritti nella sezione B ammessi a sostenere l'esame di Stato per l'ammissione alla sezione A sono esentati dalla seconda prova scritta e dalla prova pratica.

 

Art. 33. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione B e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea in una delle seguenti classi:

a) classe 12 - Scienze biologiche;

b) classe 1 - Biotecnologie;

c) classe 27 - Scienze e tecnologie per l'ambiente e la natura.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prima prova scritta in àmbito biofisico, biochimico, biomolecolare, biomatematico e statistico;

b) una seconda prova scritta in àmbito biomorfologico, ambientale, microbiologico, merceologico;

c) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte ed in legislazione e deontologia professionale;

d) una prova pratica consistente nella soluzione di problemi o casi coerenti con i diversi ambiti disciplinari e nella esecuzione diretta o con mezzi informatici di esperimenti relativi agli ambiti disciplinari di competenza.

 

Art. 34. 

Norme finali e transitorie.

1. Gli attuali appartenenti all'ordine dei biologi sono iscritti nella sezione A dell'albo dei biologi.

2. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo dei biologi.

3. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo dei biologi.

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo VII - Professione di chimico

 

Art. 35. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo professionale dell'ordine dei chimici sono istituite la sezione A e la sezione B.

2. Agli iscritti nella sezione A spetta il titolo professionale di chimico.

3. Agli iscritti nella sezione B spetta il titolo professionale di chimico iunior.

 

4. L'iscrizione all'albo professionale dei chimici è accompagnata, rispettivamente, dalle dizioni: «sezione dei chimici», «sezione dei chimici iuniores».

 

Art. 36. 

Attività professionali.

1. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, oltre alle attività indicate nel comma 2, in particolare le attività che implicano l'uso di metodologie innovative o sperimentali, quali:

a) analisi chimiche con qualunque metodo e a qualunque scopo destinate, su sostanze o materiali di qualsiasi provenienza anche con metodi innovativi e loro validazione. Relative certificazioni, pareri, giudizi o classificazioni;

b) direzione di laboratori chimici la cui attività consista anche nelle analisi chimiche di cui alla lettera a);

c) studio e messa a punto di processi chimici;

d) progettazione e realizzazione di laboratori chimici e di impianti chimici industriali, compresi gli impianti pilota, per la lavorazione di prodotti alimentari, di depurazione, di smaltimento rifiuti, antinquinamento; compilazione dei progetti, preventivi, direzione dei lavori, avviamento, consegne, collaudo;

e) verifiche di pericolosità o non pericolosità di sostanze chimiche infiammabili, nocive, corrosive, irritanti, tossiche contenute o presenti in recipienti, reattori, contenitori adibiti a trasporto, magazzini di deposito, reparti di produzione e in qualsiasi ambiente di vita e di lavoro.

2. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le attività che implicano l'uso di metodologie standardizzate, quali:

a) analisi chimiche di ogni specie (ossia le analisi rivolte alla determinazione della composizione qualitativa o quantitativa della materia, quale che sia il metodo di indagine usato), eseguite secondo procedure standardizzate da indicare nel certificato (metodi ufficiali o standard riconosciuti e pubblicati);

b) direzione di laboratori chimici la cui attività consiste nelle analisi chimiche di cui alla lettera a);

c) consulenze e pareri in materia di chimica pura ed applicata; interventi sulla produzione di attività industriali chimiche e merceologiche;

d) inventari e consegne di impianti industriali per gli aspetti chimici, impianti pilota, laboratori chimici, prodotti lavorati, prodotti semilavorati e merci in genere;

e) consulenze per l'implementazione o il miglioramento di sistemi di qualità aziendali per gli aspetti chimici nonché il conseguimento di certificazioni o dichiarazioni di conformità; giudizi sulla qualità di merci o prodotti e interventi allo scopo di migliorare la qualità o eliminarne i difetti;

f) assunzione della responsabilità tecnica di impianti di produzione, di depurazione, di smaltimento rifiuti, utilizzo di gas tossici, ecc; trattamenti di demetallizzazione dei vini con ferrocianuro di potassio secondo quanto previsto dal decreto 5 settembre 1967, del Ministro per l'agricoltura e foreste, di concerto con Ministro della sanità, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 236 del 1967;

g) consulenze e pareri in materia di prevenzione incendi; conseguimento delle certificazioni ed autorizzazioni di cui alla legge 7 dicembre 1984, n. 818, e decreto ministeriale 25 marzo 1985, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 95 del 22 aprile 1985;

h) verifica di impianti ai sensi della legge 5 marzo 1990, n. 46;

i) consulenze in materia di sicurezza e igiene sul lavoro, relativamente agli aspetti chimici; assunzione di responsabilità quale responsabile della sicurezza ai sensi del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626;

l) misure ed analisi di rumore ed inquinamento elettromagnetico;

accertamenti e verifiche su navi relativamente agli aspetti chimici; rilascio di certificato di non pericolosità per le navi;

n) indagini e analisi chimiche relative alla conservazione dei beni culturali e ambientali.

 

Art. 37. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione A e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea specialistica in una delle seguenti classi:

a) classe 62/S - Scienze chimiche;

b) classe 81/S - Scienze e tecnologie della chimica industriale;

c) classe 14/S - Farmacia e farmacia industriale.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta vertente su argomenti di chimica applicata;

b) una seconda prova scritta vertente su argomenti di chimica industriale o farmaceutica a scelta del candidato;

c) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte ed in legislazione e deontologia professionale;

d) una prova pratica consistente in analisi chimiche.

 

Art. 38.

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione B e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea in una delle seguenti classi:

a) classe 21 - Scienze e tecnologie chimiche;

b) classe 24 - Scienze e tecnologie farmaceutiche.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta vertente su argomenti di chimica applicata;

b) una seconda prova scritta vertente su argomenti di chimica industriale o farmaceutica a scelta del candidato;

c) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte ed in legislazione e deontologia professionale;

d) una prova pratica consistente in analisi chimiche.

 

Art. 39. 

Norme finali e transitorie.

1. Gli attuali appartenenti all'ordine dei chimici sono iscritti nella sezione A dell'albo dei chimici.

2. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo dei chimici.

3. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo dei chimici.

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo VIII - Professione di geologo

 

Art. 40. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo professionale dell'ordine dei geologi sono istituite la sezione A e la sezione B.

2. Agli iscritti nella sezione A spetta il titolo professionale di geologo.

3. Agli iscritti nella sezione B spetta il titolo professionale di geologo iunior.

4. L'iscrizione all'albo dei geologi è accompagnata dalle dizioni: «sezione dei geologi», «sezione dei geologi iuniores».

 

Art. 41. 

Attività professionali.

1. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, oltre alle attività indicate nel comma 2, in particolare le attività implicanti assunzioni di responsabilità di programmazione e di progettazione degli interventi geologici e di coordinamento tecnico-gestionale, nonché le competenze in materia di analisi, gestione, sintesi ed elaborazione dei dati relativi alle seguenti attività, anche mediante l'uso di metodologie innovative o sperimentali:

a) il rilevamento e la elaborazione di cartogafie geologiche, tematiche, specialistiche e derivate, il telerilevamento, con particolare riferimento alle problematiche geologiche e ambientali, anche rappresentate a mezzo «Geographic Information System» (GIS);

b) l'individuazione e la valutazione delle pericolosità geologiche e ambientali; l'analisi, prevenzione e mitigazione dei rischi geologici e ambientali con relativa redazione degli strumenti cartografici specifici, la programmazione e progettazione degli interventi geologici strutturali e non strutturali, compreso l'eventuale relativo coordinamento di strutture tecnico gestionali;

c) le indagini geognostiche e l'esplorazione del sottosuolo anche con metodi geofisici; le indagini e consulenze geologiche ai fini della relazione geologica per le opere di ingegneria civile mediante la costruzione del modello geologico-tecnico; la programmazione e progettazione degli interventi geologici e la direzione dei lavori relativi, finalizzati alla redazione della relazione geologica;

d) il reperimento, la valutazione e gestione delle georisorse, comprese quelle idriche, e dei geomateriali d'interesse industriale e commerciale compresa la relativa programmazione, progettazione e direzione dei lavori; l'analisi, la gestione e il recupero dei siti estrattivi dimessi;

e) le indagini e la relazione geotecnica;

f) la valutazione e prevenzione del degrado dei beni culturali ed ambientali per gli aspetti geologici, e le attività geologiche relative alla loro conservazione;

g) la geologia applicata alla pianificazione per la valutazione e per la riduzione dei rischi geoambientali compreso quello sismico, con le relative procedure di qualificazione e valutazione; l'analisi e la modellazione dei sistemi relativi ai processi geoambientali e la costruzione degli strumenti geologici per la pianificazione territoriale e urbanistica ambientale delle georisorse e le relative misure di salvaguardia, nonché per la tutela, la gestione e il recupero delle risorse ambientali; la gesione dei predetti strumenti di pianificazione, programmazione e progettazione degli interventi geologici e il coordinamento di strutture tecnico-gestionali;

h) gli studi d'impatto ambientali per la Valutazione d'Impatto Ambientale (VIA) e per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) limitatamente agli aspetti geologici;

i) rilievi geodetici, topografici, oceanografici ed atmosferici, ivi compresi i rilievi ed i parametri meteoclimatici caratterizzanti e la dinamica dei litorali; il Telerilevamento e i Sistemi Informativi Territoriali (SIT);

l) le analisi, la caratterizzazione fisicomeccanica e la certificazione dei materiali geologici;

m) le indagini geopedologiche e le relative elaborazioni finalizzate a valutazioni di uso del territorio;

n) le analisi geologiche, idrogeologiche, geochimiche delle componenti ambientali relative alla esposizione e vulnerabilità a fattori inquinanti e ai rischi conseguenti; l'individuazione e la definizione degli interventi di mitigazione dei rischi;

o) il coordinamento della sicurezza nei cantieri temporanei e mobili limitatamente agli aspetti geologici;

p) la funzione di Direttore responsabile in tutte le attività estrattive a cielo aperto, in sotterraneo, in mare;

q) le indagini e ricerche paleontologiche, petrografiche, mineralogiche, sedimentologiche, geopedologiche, geotecniche e geochimiche;

r) la funzione di Direttore e Garante di laboratori geotecnici;

s) le attività di ricerca.

2. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le attività di acquisizione e rappresentazione dei dati di campagna e di laboratorio, con metodi diretti e indiretti, quali:

a) il rilevamento e la redazione di cartografie geologiche e tematiche di base anche rappresentate a mezzo «Geographic Information System» (GIS);

b) il rilevamento degli elementi che concorrono alla individuazione della pericolosità geologica e ambientale ai fini della mitigazione dei rischi, compreso l'eventuale relativo coordinamento di strutture tecnico gestionali;

c) le indagini geognostiche e l'esplorazione del sottosuolo anche con metodi geofisici finalizzate alla redazione della relazione tecnico geologica;

d) il reperimento e la valutazione delle georisorse comprese quelle idriche;

e) la valutazione e prevenzione del degrado dei beni culturali ed ambientali limitatamente agli aspetti geologici;

f) i rilevamenti geologico-tecnici finalizzati alla predisposizione degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale;

g) gli studi d'impatto ambientale per la Valutazione d'Impatto Ambientale (VIA) limitatamente agli aspetti geologici;

h) i rilievi geodetici, topografici, oceanografici ed atmosferici, ivi compresi i rilievi ed i parametri meteoclimatici caratterizzanti e la dinamica dei litorali;

i) le analisi dei materiali geologici;

l) le esecuzioni di indagini geopedologiche e la relativa rappresentazione cartografica;

m) la funzione di Direttore responsabile nelle attività estrattive con ridotto numero di addetti;

n) le indagini e ricerche paleontologiche, petrografiche, mineralogiche, sedimentologiche, geopedologiche, geotecniche.

 

Art. 42. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione A e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea specialistica in una delle seguenti classi:

a) classe 82/S - Scienze e tecnologie per l'ambiente e territorio;

b) classe 85/S - Scienze geofisiche;

c) classe 86/S - Scienze geologiche.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta concernente gli aspetti teorici delle seguenti materie: geografia fisica, geomorfologia, geologia applicata, georisorse minerarie e applicazioni mineralogiche-petrografiche per l'ambiente e i beni culturali, geofisica applicata, geotecnica, tecnica e pianificazione urbanistica, idraulica agraria e sistemazioni idraulico forestali, ingegneria e sicurezza degli scavi, diritto amministrativo;

b) una seconda prova scritta concernente gli aspetti applicativi delle materie di cui alla lettera a);

c) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte ed in legislazione e deontologia professionale;

d) una prova pratica, avente ad oggetto le materie di cui alla lettera a), nonché la geologia stratigrafica e sedimentologia, e la geologia strutturale, con particolare riguardo alla lettura, interpretazione ed elaborazione di carte e sezioni geologiche.

 

Art. 43. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione B e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea nella classe 16 - Scienze della terra.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta concernente gli aspetti tecnici delle seguenti materie: geografia fisica, geomorfologia, geologia applicata, georisorse minerarie e applicazioni mineralogiche-petrografiche per l'ambiente e i beni culturali, geofisica applicata, oceanografia e fisica dell'atmosfera, topografia e cartografia, chimica dell'ambiente e dei beni culturali, pedologia;

b) una seconda prova scritta concernente gli aspetti applicativi delle materie di cui alla lettera a);

c) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte ed in legislazione e deontologia professionale;

d) una prova pratica avente ad oggetto le materie di cui alla lettera a).

4. Gli iscritti nella sezione B ammessi a sostenere l'esame di Stato per l'ammissione alla sezione A sono esentati dalla prova pratica, nonché dalla seconda prova scritta.

 

Art. 44. 

Norme finali e transitorie.

1. Gli attuali appartenenti all'ordine dei geologi sono iscritti nella sezione A dell'albo geologi.

2. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo dei geologi.

3. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo dei geologi.

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo IX - Professione di ingegnere

 

Art. 45. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo professionale dell'ordine degli ingegneri sono istituite la sezione A e la sezione B. Ciascuna sezione è ripartita nei seguenti settori:

a) civile e ambientale;

b) industriale;

c) dell'informazione.

2. Agli iscritti nella sezione A spettano i seguenti titoli professionali:

a) agli iscritti al settore civile e ambientale, spetta il titolo di ingegnere civile e ambientale;

b) agli iscritti al settore industriale, spetta il titolo di ingegnere industriale;

c) agli iscritti al settore dell'informazione, spetta il titolo di ingegnere dell'informazione.

3. Agli iscritti nella sezione B spettano i seguenti titoli professionali:

a) agli iscritti al settore civile e ambientale, spetta il titolo di ingegnere civile e ambientale iunior;

b) agli iscritti al settore industriale, spetta il titolo di ingegnere industriale iunior;

c) agli iscritti al settore dell'informazione, spetta il titolo di ingegnere dell'informazione iunior.

4. L'iscrizione all'albo professionale degli ingegneri è accompagnata dalle dizioni: «sezione degli ingegneri - settore civile e ambientale»; «sezione degli ingegneri - settore industriale»; «sezione degli ingegneri - settore dell'informazione»; «sezione degli ingegneri iuniores - settore civile e ambientale»; «sezione degli ingegneri iuniores - settore industriale»; «sezione degli ingegneri iuniores - settore dell'informazione».

 

Art. 46. 

Attività professionali.

1. Le attività professionali che formano oggetto della professione di ingegnere sono così ripartite tra i settori di cui all'articolo 45, comma 1:

a) per il settore «ingegneria civile e ambientale»: la pianificazione, la progettazione, lo sviluppo, la direzione lavori, la stima, il collaudo, la gestione, la valutazione di impatto ambientale di opere edili e strutture, infrastrutture, territoriali e di trasporto, di opere per la difesa del suolo e per il disinquinamento e la depurazione, di opere geotecniche, di sistemi e impianti civili e per l'ambiente e il territorio;

b) per il settore «ingegneria industriale»: la pianificazione, la progettazione, lo sviluppo, la direzione lavori, la stima, il collaudo, la gestione, la valutazione di impatto ambientale di macchine, impianti industriali, di impianti per la produzione, trasformazione e la distribuzione dell'energia, di sistemi e processi industriali e tecnologici, di apparati e di strumentazioni per la diagnostica e per la terapia medico-chirurgica;

c) per il settore «ingegneria dell'informazione»: la pianificazione, la progettazione, lo sviluppo, la direzione lavori, la stima, il collaudo e la gestione di impianti e sistemi elettronici, di automazione e di generazione, trasmissione ed elaborazione delle informazioni.

2. Ferme restando le riserve e le attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa e oltre alle attività indicate nel comma 3, formano in particolare oggetto dell'attività professionale degli iscritti alla sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, le attività, ripartite tra i tre settori come previsto dal comma 1, che implicano l'uso di metodologie avanzate, innovative o sperimentali nella progettazione, direzione lavori, stima e collaudo di strutture, sistemi e processi complessi o innovativi.

3. Restando immutate le riserve e le attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti alla sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2:

a) per il settore «ingegneria civile e ambientale»:

1) le attività basate sull'applicazione delle scienze, volte al concorso e alla collaborazione alle attività di progettazione, direzione dei lavori, stima e collaudo di opere edilizie comprese le opere pubbliche;

2) la progettazione, la direzione dei lavori, la vigilanza, la contabilità e la liquidazione relative a costruzioni civili semplici, con l'uso di metodologie standardizzate;

3) i rilievi diretti e strumentali sull'edilizia attuale e storica e i rilievi geometrici di qualunque natura;

b) per il settore «ingegneria industriale»:

1) le attività basate sull'applicazione delle scienze, volte al concorso e alla collaborazione alle attività di progettazione, direzione lavori, stima e collaudo di macchine e impianti, comprese le opere pubbliche;

2) i rilievi diretti e strumentali di parametri tecnici afferenti macchine e impianti;

3) le attività che implicano l'uso di metodologie standardizzate, quali la progettazione, direzione lavori e collaudo di singoli organi o di singoli componenti di macchine, di impianti e di sistemi, nonché di sistemi e processi di tipologia semplice o ripetitiva;

c) per il settore «ingegneria dell'informazione»:

1) le attività basate sull'applicazione delle scienze, volte al concorso e alla collaborazione alle attività di progettazione, direzione lavori, stima e collaudo di impianti e di sistemi elettronici, di automazioni e di generazione, trasmissione ed elaborazione delle informazioni;

2) i rilievi diretti e strumentali di parametri tecnici afferenti impianti e sistemi elettronici;

3) le attività che implicano l'uso di metodologie standardizzate, quali la progettazione, direzione lavori e collaudo di singoli organi o componenti di impianti e di sistemi elettronici, di automazione e di generazione, trasmissione ed elaborazione delle informazioni, nonché di sistemi e processi di tipologia semplice o ripetitiva.

 

Art. 47. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione A e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea specialistica in una delle seguenti classi:

a) per il settore civile e ambientale:

1) classe 4/S - Architettura e ingegneria edile (5);

2) classe 28/S - Ingegneria civile;

3) classe 38/S - Ingegneria per l'ambiente e per il territorio;

b) per il settore industriale:

1) classe 25/S - Ingegneria aerospaziale e astronautica;

2) classe 26/S - Ingegneria biomedica;

3) classe 27/S - Ingegneria chimica;

4) classe 29/S - Ingegneria dell'automazione;

5) classe 31/S - Ingegneria elettrica;

6) classe 33/S - Ingegneria energetica e nucleare;

7) classe 34/S - Ingegneria gestionale;

8) classe 36/S - Ingegneria meccanica;

9) classe 37/S - Ingegneria navale;

10) classe 61/S - Scienza e ingegneria dei materiali;

c) per il settore dell'informazione:

1) classe 23/S - Informatica;

2) classe 26/S - Ingegneria biomedica;

3) classe 29/S - Ingegneria dell'automazione;

4) classe 30/S - Ingegneria delle telecomunicazioni;

5) classe 32/S - Ingegneria elettronica;

6) classe 34/S - Ingegneria gestionale;

7) classe 35/S - Ingegneria informatica.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta relativa alle materie caratterizzanti il settore per il quale è richiesta l'iscrizione;

b) una seconda prova scritta nelle materie caratterizzanti la classe di laurea corrispondente al percorso formativo specifico;

c) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte ed in legislazione e deontologia professionale;

d) una prova pratica di progettazione nelle materie caratterizzanti la classe di laurea corrispondente al percorso formativo specifico.

4. Gli iscritti nella sezione B ammessi a sostenere l'esame di Stato per l'ammissione alla sezione A sono esentati dalla seconda prova scritta, purché il settore di provenienza coincida con quello per il quale è richiesta l'iscrizione.

5. Per gli iscritti ad un settore che richiedono l'iscrizione ad altro settore della stessa sezione l'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta nelle materie caratterizzanti il settore per il quale è richiesta l'iscrizione;

b) una prova pratica di progettazione nelle materie caratterizzanti il settore per il quale è richiesta l'iscrizione.

 

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(5)  Punto così rettificato con Comunicato 4 gennaio 2002 (Gazz. Uff. 4 gennaio 2002, n. 3).

 

Art. 48. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione B e relative prove.

1. L'iscrizione nella sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea in una delle seguenti classi:

a) per il settore civile e ambientale:

1) classe 4 - Scienze dell'architettura e dell'ingegneria edile;

2) classe 8 - Ingegneria civile e ambientale;

b) per il settore industriale:

1) classe 10 - Ingegneria industriale;

c) per il settore dell'informazione:

1) classe 9 - Ingegneria dell'informazione;

2) classe 26 - Scienze e tecnologie informatiche.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta relativa alle materie caratterizzanti il settore per il quale è richiesta l'iscrizione;

b) una seconda prova scritta nelle materie relative ad uno degli ambiti disciplinari, a scelta del candidato, caratterizzanti la classe di laurea corrispondente al percorso formativo specifico;

c) una prova orale nelle materie oggetto delle prove scritte ed in legislazione e deontologia professionale;

d) una prova pratica di progettazione nelle materie relative ad uno degli ambiti disciplinari, a scelta del candidato, caratterizzanti la classe di laurea corrispondente al percorso formativo specifico.

4. Per gli iscritti ad un settore che richiedono l'iscrizione ad un altro settore della stessa sezione l'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta relativa alle materie caratterizzanti il settore per il quale è richiesta l'iscrizione;

b) una prova pratica di progettazione in materie caratterizzanti il settore per il quale è richiesta l'iscrizione.

 

Art. 49. 

Norme finali e transitorie.

1. Gli attuali appartenenti all'ordine degli ingegneri vengono iscritti nella sezione A dell'albo degli ingegneri, nonché nel settore, o nei settori, per il quale ciascuno di essi dichiara di optare.

2. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo degli ingegneri, nonché nel settore, o nei settori, per il quale ciascuno di essi dichiara di optare.

3. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo degli ingegneri, nonché nel settore, o nei settori, per il quale ciascuno di essi dichiara di optare.

 

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo X - Professione di psicologo

 

Art. 50. 

Sezioni e titoli professionali.

1. Nell'albo professionale dell'ordine degli psicologi sono istituite la sezione A e la sezione B.

2. Agli iscritti nella sezione A spetta il titolo professionale di psicologo.

3. Agli iscritti nella sezione B spetta il titolo professionale di psicologo iunior (6).

4. L'iscrizione all'albo professionale degli psicologi è accompagnata rispettivamente dalle dizioni: «sezione degli psicologi», «sezione degli psicologi iuniores». Nella sezione degli psicologi iuniores viene annotata la specifica attività professionale dell'iscritto in coerenza con il percorso formativo, con riferimento alle specifiche figure professionali, individuate con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, come previsto all'articolo 52, comma 1.

5. Qualora gli iscritti nella sezione A abbiano conseguito la specializzazione in psicoterapia, l'esercizio dell'attività di psicoterapeuta è annotata nell'Albo, come previsto dalla legge 18 febbraio 1989, n. 56.

 

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(6)  Per i titoli professionali spettanti agli iscritti di cui al presente comma vedi l'art. 3, D.L. 9 maggio 2003, n. 105, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 51. 

Attività professionali.

1. Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione A, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, oltre alle attività indicate nel comma 2, le attività che implicano l'uso di metodologie innovative o sperimentali, quali:

a) l'uso di strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione, riabilitazione e di sostegno in àmbito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità;

b) le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale àmbito;

c) il coordinamento e la supervisione dell'attività degli psicologi iuniores.

2. [Formano oggetto dell'attività professionale degli iscritti nella sezione B, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni già stabilite dalla vigente normativa, le attività di natura tecnico-operativa in campo psicologico nei riguardi di persone, gruppi, organismi sociali e comunità, da svolgere alle dipendenze di soggetti pubblici e privati e di organizzazioni del terzo settore o come libero professionista. In particolare lo psicologo iunior:

a) partecipa alla programmazione e alla verifica di interventi psicologici e psicosociali;

b) realizza interventi psico-educativi volti a promuovere il pieno sviluppo di potenzialita di crescita personale, di inserimento e di partecipazione sociale;

c) utilizza il colloquio, le interviste, l'osservazione, i test psicologici e altri strumenti di analisi, ai fini della valutazione del comportamento, della personalità, dei processi cognitivi e di interazione sociale, delle opinioni e degli atteggiamenti, dell'idoneità psicologica a specifici compiti e condizioni;

d) utilizza con persone disabili strumenti psicologici per sviluppare o recuperare competenze funzionali di tipo cognitivo, pratico, emotivo e relazionale, per arrestare la regressione funzionale in caso di malattie croniche, per reperire formule facilitanti alternative;

e) utilizza strumenti psicologici per l'orientamento scolastico-professionale, la gestione e lo sviluppo delle risorse umane;

f) utilizza strumenti psicologici ed ergonomici per rendere più efficace e sicuro l'operare con strumenti, il comportamento lavorativo e nel traffico, per realizzare interventi preventivi e formativi sulle tematiche della sicurezza con individui, gruppi e comunità, per modificare e migliorare il comportamento in situazione di persone o gruppi a rischio;

g) cura la raccolta, il caricamento e l'elaborazione statistica di dati psicologici ai fini di ricerca] (7).

 

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(7)  Comma abrogato dall'art. 3, D.L. 9 maggio 2003, n. 105, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 52. 

Esami di Stato per l'iscrizione nella sezione A.

1. L'iscrizione nella sezione A è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea specialistica nella classe 58/S - Psicologia, oltre a un tirocinio della durata di un anno.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prima prova scritta sui seguenti argomenti: aspetti teorici e applicativi avanzati della psicologia; pregettazione di interventi complessi su casi individuali, in àmbito sociale o di grandi organizzazioni, con riferimento alle problematiche della valutazione e dello sviluppo delle potenzialità personali;

b) una seconda prova scritta sui seguenti argomenti: progettazione di interventi complessi con riferimento alle problematiche della valutazione dello sviluppo delle potenzialità dei gruppi, della prevenzione del disagio psicologico, dell'assistenza e del sostegno psicologico, della riabilitazione e della promozione della salute psicologica;

c) una prova scritta applicativa, concernente la discussione di un caso relativo ad un progetto di intervento su individui ovvero in strutture complesse;

d) una prova orale sugli argomenti della prova scritta e su questioni teorico-pratiche relative all'attività svolta durante il tirocinio professionale, nonché su aspetti di legislazione e deontologia professionale.

 

Art. 53. 

Esami di Stato per l'iscrizione alla sezione B.

1. L'iscrizione alla sezione B è subordinata al superamento di apposito esame di Stato.

2. Per l'ammissione all'esame di Stato è richiesto il possesso della laurea nella classe 34 - Scienze e tecniche psicologiche, oltre a un tirocinio della durata di sei mesi.

3. L'esame di Stato è articolato nelle seguenti prove:

a) una prova scritta vertente sulla conoscenza di base delle discipline psicologiche e dei metodi di indagine e di intervento;

b) una seconda prova scritta vertente su discipline e metodi caratterizzanti il settore (8);

c) una prova pratica in tema di definizione e articolazione dello specifico intervento professionale all'interno di un progetto proposto dalla commissione;

d) una prova orale consistente nella discussione delle prove scritte e della prova pratica, e nella esposizione dell'attività svolta durante il praticantato, nonché su aspetti di legislazione e deontologia professionale.

4. L'iscrizione nella sezione B avviene con l'annotazione della specifica attività professionale, in coerenza con il percorso formativo, con riferimento alle specifiche figure professionali individuate con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, su proposta dell'ordine, sentita la conferenza dei presidi delle facoltà di psicologia, ferma restando comunque la facoltà di esercitare una qualsiasi delle attività di cui all'articolo 51, comma 2.

 

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(8)  Vedi, anche, l'art. 3, D.L. 9 maggio 2003, n. 105, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

 

Art. 54. 

Norme finali e transitorie.

1. Al fine di assicurare l'elezione di rappresentanti iscritti a entrambe le sezioni dell'Albo, fino alle elezioni dei rappresentanti delle due sezioni, e comunque non oltre il mese di febbraio 2003, sono prorogati i consigli provinciali, regionali e nazionale nella composizione vigente alla data di entrata in vigore del presente regolamento.

2. Gli attuali appartenenti all'ordine degli psicologi sono iscritti nella sezione A dell'albo degli psicologi.

3. Coloro i quali sono in possesso dell'abilitazione professionale alla data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo degli psicologi.

4. Coloro i quali conseguono l'abilitazione professionale all'esito di esami di Stato indetti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento possono iscriversi nella sezione A dell'albo degli psicologi.

 

TITOLO SECONDO

Disciplina dei singoli ordinamenti

 

Capo XI

 

Art. 55. 

Professioni di agrotecnico geometra, perito agrario, perito industriale.

1. Agli esami di Stato per le professioni di agrotecnico, geometra, perito agrario e perito industriale, oltre che con i titoli e tirocini previsti dalla normativa vigente e dalla attuazione della legge 10 febbraio 2000, n. 30, si accede con la laurea comprensiva di un tirocinio di sei mesi. Restano ferme le attività professionali riservate o consentite e le prove attualmente previste per l'esame di Stato.

2. Le classi di laurea che danno titolo all'accesso sono le seguenti:

a) per la professione di agrotecnico: classi 1, 7, 8, 17, 20, 27, 40;

b) per la professione di geometra: classi 4, 7, 8;

c) per la professione di perito agrario: classi 1, 7, 8, 17, 20, 27, 40;

d) per la professione di perito industriale, relativamente all'accesso alle sezioni attualmente presenti nell'albo: le classi 4, 7, 8 (sezione edilizia); la classe 9 (sezione elettronica e telecomunicazioni); la classe 10 (sezioni: elettronica ed automazione; costruzioni aeronautiche; cronometria; industria cartaria; industrie cerealicole; industria navalmeccanica; industria ottica; materie plastiche; meccanica; metallurgia; tessile con specializzazione produzione dei tessili; tessile con specializzazione confezione industriale; termotecnica); la classe 16 (sezione: industrie minerarie); la classe 20 (sezione tecnologie alimentari); la classe 21 (sezioni: chimica conciaria; chimico; chimica nucleare; industria tintoria); la classe 23 (sezioni: arti fotografiche; arti grafiche); la classe 25 (sezioni: energia nucleare; fisica industriale); la classe 26 (sezione informatica) e la classe 42 (sezione disegno di tessuti).

3. Possono, altresì, partecipare agli esami di Stato per le predette professioni coloro i quali, in possesso dello specifico diploma richiesto dalla normativa per l'iscrizione nei rispettivi albi, abbiano frequentato con esito positivo, corsi di istruzione e formazione tecnica superiore, a norma del decreto 31 ottobre 2000, n. 436 del Ministro della pubblica istruzione, recante norme di attuazione dell'articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, della durata di quattro semestri, comprensivi di tirocini non inferiori a sei mesi coerenti con le attività libero professionali previste dall'albo cui si chiede di accedere.

4. Agli iscritti con il titolo di laurea di cui al comma 2 spetta il titolo professionale rispettivamente di agrotecnico laureato, geometra laureato, perito agrario laureato, perito industriale laureato.


Tabella A

TABELLA A (prevista dall'art. 8, comma 3)

ALBO PROFESSIONALE

DIPLOMI UNIVERSITARI

Dottore agronomo e dottore forestale

Biotecnologie agro-industriali

Sezione B

Economia e amministrazione delle imprese agricole

 

Economia del sistema agroalimentare e dell'ambiente

 

Gestione tecnica e amministrativa in agricoltura

 

Produzioni animali

 

Produzioni vegetali

 

Tecniche forestali e tecnologie del legno

 

Viticoltura ed enologia

Agrotecnico

Biotecnologie agro-industriali

 

Economia e amministrazione delle imprese agricole

 

Economia del sistema agroalimentare e dell'ambiente

 

Gestione tecnica e amministrativa in agricoltura

 

Produzioni animali

 

Produzioni vegetali

 

Tecniche forestali e tecnologie del legno

 

Viticoltura ed enologia

Architetto

 

Sezione B

 

Settore architetto tecnico

Edilizia

 

Materiali per la manutenzione del costruito antico e

 

moderno

Settore pianificatore tecnico

Operatore tecnico ambientale

 

Sistemi informativi territoriali

 

Tecnico di misure ambientali

 

Valutazione e controllo ambientale

 

 

Assistente sociale

Servizio sociale

Attuario

Moneta e finanza

Sezione B

Scienze assicurative

 

Tecniche finanziarie e assicurative

Biologo

Analisi chimico-biologiche

Sezione B

Biologia

 

Biotecnologie industriali

 

Tecnici in biotecnologie

 

Tecnico dello sviluppo ecocompatibile

 

Tecnico sanitario di laboratorio biomedico

Chimico

Analisi chimico-biologiche

Sezione B

Chimica

 

Tecnologie farmaceutiche

 

Controllo di qualità nel settore industriale farmaceutico

Geologo

Geologia

Sezione B

Geologia per la protezione dell'ambiente

 

Prospettore geologico

Geometra

Edilizia

 

Ingegneria delle infrastrutture

 

Sistemi informativi territoriali

Ingegnere

Economia e ingegneria della qualità

Sezione B

 

Settore civile e ambientale

Edilizia

 

Ingegneria civile

 

Ingegneria dell'ambiente e delle risorse

 

Ingegneria delle infrastrutture

 

Ingegneria

 

Ingegneria per l'ambiente e il territorio edile

Settore industriale

Ingegneria aerospaziale

 

Ingegneria biomedica

 

Ingegneria chimica

 

Ingegneria dei materiali

 

Ingegneria dell'automazione

 

Ingegneria delle materie plastiche

 

Ingegneria elettrica

 

Ingegneria elettrica con teledidattica

 

Ingegneria energetica

 

Ingegneria industriale

 

Ingegneria logistica e della produzione

 

Ingegneria logistica e della produzione-orientamento tessile

 

Ingegneria meccanica

 

Produzione industriale

 

Scienza e ingegneria dei materiali

 

Tecnologie industriali e dei materiali

Settore dell'informazione

Ingegneria delle telecomunicazioni

 

Ingegneria dell'automazione

 

Ingegneria elettronica

 

Ingegneria informatica

 

Ingegneria logistica e della produzione

 

Economia e ingegneria della qualità

 

Ingegneria biomedica

Perito agrario

Biotecnologie agro-industriali

 

Economia e amministrazione delle imprese agricole

 

Economia del sistema agroalimentare e dell'ambiente

 

Gestione tecnica e amministrativa in agricoltura

 

Produzioni animali

 

Produzioni vegetali

 

Tecniche forestali e tecnologie del legno

 

Viticoltura ed enologia

Perito industriale

Edilizia

 

Ingegneria logistica e della produzione

 

Ingegneria meccanica

 

Ingegneria delle telecomunicazioni

 

Ingegneria energetica

 

Metodologie fisiche

 

Analisi chimico-biologiche

 

Chimica

 

Informatica

 

Ingegneria aerospaziale

 

Ingegneria chimica

 

Ingegneria dell'automazione

 

Ingegneria delle materie plastiche

 

Ingegneria elettrica

 

Ingegneria elettronica

 

Ingegneria informatica

 

Scienze e tecniche cartarie

 

Tecnologie alimentari

 


D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della L. 29 luglio 2003, n. 229
(art. 137)

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 8 ottobre 2005, n. 235, S.O.

(2) L’art. 20, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221 ha disposto che, nel presente Codice, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del D.L. 18 maggio 2006, n. 181, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2006, n. 233, ogni riferimento al Ministero o Ministro delle attivita' produttive deve intendersi al Ministero o al Ministro dello sviluppo economico.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Visto l'articolo 153 del Trattato della Comunità europea;

Visto l'articolo 117 della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, con riferimento ai princìpi di unità, continuità e completezza dell'ordinamento giuridico, nel rispetto dei valori di sussidiarietà orizzontale e verticale;

Visto l'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Vista la legge 29 luglio 2003, n. 229, recante interventi urgenti in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione - legge di semplificazione per il 2001, ed in particolare l'articolo 7 che delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori ai sensi e secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dall'articolo 1 della citata legge n. 229 del 2003, e nel rispetto dei princìpi e dei criteri direttivi ivi richiamati;

Visto l'articolo 2 della legge 27 luglio 2004, n. 186, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, nonché l'articolo 7 della legge 27 dicembre 2004, n. 306;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 224, recante attuazione della direttiva 85/374/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi dell'articolo 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183, come modificato dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 25, di attuazione della direttiva 1999/34/CE (3);

Vista la legge 10 aprile 1991, n. 126, recante norme per l'informazione del consumatore, e successive modificazioni, nonché il relativo regolamento di attuazione di cui al D.M. 8 febbraio 1997, n. 101 del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato;

Visto il decreto legislativo 15 gennaio 1992, n. 50, recante attuazione della direttiva 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali;

Visto il decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, recante attuazione della direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole;

Visto il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 333, e dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342;

Visto il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 111, recante attuazione della direttiva 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso;

Vista la legge 6 febbraio 1996, n. 52, recante attuazione della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori ed in particolare l'articolo 25, e successive modificazioni;

Visto il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, recante riforma della disciplina relativa al settore del commercio, ed in particolare gli articoli 18 e 19;

Vista la legge 30 luglio 1998, n. 281, recante disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti e successive modificazioni;

Visto il decreto legislativo 9 novembre 1998, n. 427, recante attuazione della direttiva 94/47/CE concernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili;

Visto il decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185, recante attuazione della direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza;

Visto il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 63, recante attuazione della direttiva 98/7/CE, che modifica la direttiva 87/102/CEE, in materia di credito al consumo;

Visto il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 67, recante attuazione della direttiva 97/55/CE, che modifica la direttiva 84/450/CEE, in materia di pubblicità ingannevole e comparativa;

Visto il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 84, recante attuazione della direttiva 98/6/CE relativa alla protezione dei consumatori, in materia di indicazione dei prezzi offerti ai medesimi;

Visto il decreto legislativo 28 luglio 2000, n. 253, recante attuazione della direttiva 97/5/CE sui bonifici transfrontalieri (4);

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 6 aprile 2001, n. 218, regolamento recante disciplina delle vendite sottocosto, a norma dell'articolo 15, comma 8, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114;

Visto il decreto legislativo 23 aprile 2001, n. 224, come modificato dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 25, recante attuazione della direttiva 98/27/CE relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori, nonché il D.M. 19 gennaio 1999, n. 20 del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, recante norme per l'iscrizione nell'elenco delle Associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale;

Visto il decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 24, recante attuazione della direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie di consumo;

Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante codice in materia di protezione dei dati personali e successive modificazioni;

Visto il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 172, recante attuazione della direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti;

Vista la legge 6 aprile 2005, n. 49, recante modifiche all'articolo 7 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, in materia di messaggi pubblicitari ingannevoli diffusi attraverso mezzi di comunicazione;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 ottobre 2004;

Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, reso nella seduta del 16 dicembre 2004;

Udito il parere del Consiglio di Stato espresso nella sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza generale del 20 dicembre 2004;

Acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari del Senato della Repubblica, espresso il 9 marzo 2005, e della Camera dei deputati, espresso il 10 marzo 2005;

Vista la segnalazione del Garante della concorrenza e del mercato in data 10 maggio 2005;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 luglio 2005;

Sulla proposta del Ministro delle attività produttive e del Ministro per le politiche comunitarie, di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, della giustizia, dell'economia e delle finanze e della salute;

 

Emana il seguente decreto legislativo:

 

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(3) Capoverso così modificato dall’art. 1, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

(4)  Capoverso così rettificato con Comunicato 3 gennaio 2006 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2006, n. 2).

 

(omissis)

Art. 137.

Elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale.

1. Presso il Ministero dello sviluppo economico (94) è istituito l'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale.

2. L'iscrizione nell'elenco è subordinata al possesso, da comprovare con la presentazione di documentazione conforme alle prescrizioni e alle procedure stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico (95), dei seguenti requisiti:

a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno tre anni e possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo la tutela dei consumatori e degli utenti, senza fine di lucro;

b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari;

c) numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione nazionale e presenza sul territorio di almeno cinque regioni o province autonome, con un numero di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli abitanti di ciascuna di esse, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell'associazione con le modalità di cui agli articoli 46 e seguenti del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

d) elaborazione di un bilancio annuale delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote versate dagli associati e tenuta dei libri contabili, conformemente alle norme vigenti in materia di contabilità delle associazioni non riconosciute;

e) svolgimento di un'attività continuativa nei tre anni precedenti;

f) non avere i suoi rappresentanti legali subito alcuna condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima, e non rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di imprenditori o di amministratori di imprese di produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per gli stessi settori in cui opera l'associazione.

3. Alle associazioni dei consumatori e degli utenti è preclusa ogni attività di promozione o pubblicità commerciale avente per oggetto beni o servizi prodotti da terzi ed ogni connessione di interessi con imprese di produzione o di distribuzione.

4. Il Ministero dello sviluppo economico (96) provvede annualmente all'aggiornamento dell'elenco.

5. All'elenco di cui al presente articolo possono iscriversi anche le associazioni dei consumatori e degli utenti operanti esclusivamente nei territori ove risiedono minoranze linguistiche costituzionalmente riconosciute, in possesso dei requisiti di cui al comma 2, lettere a), b), d), e) e f), nonché con un numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille degli abitanti della regione o provincia autonoma di riferimento, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell'associazione con le modalità di cui agli articoli 46 e seguenti del citato testo unico, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000.

6. Il Ministero dello sviluppo economico (97) comunica alla Commissione europea l'elenco di cui al comma 1, comprensivo anche degli enti di cui all'articolo 139, comma 2, nonché i relativi aggiornamenti al fine dell'iscrizione nell'elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori istituito presso la stessa Commissione europea (98).

 

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(94) Denominazione così modificata ai sensi di quanto disposto dall’art. 20, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

(95) Denominazione così modificata ai sensi di quanto disposto dall’art. 20, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

(96) Denominazione così modificata ai sensi di quanto disposto dall’art. 20, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

(97) Denominazione così modificata ai sensi di quanto disposto dall’art. 20, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

(98)  L'elenco delle associazioni di cui al presente articolo è stato aggiornato, da ultimo, con D.Dirett. 2 dicembre 2005 (Gazz. Uff. 14 dicembre 2005, n. 290), modificato dal D.Dirett. 30 maggio 2006 (pubblicato, per estratto, nella Gazz. Uff. 30 giugno 2006, n. 150), con D.Dirett. 27 novembre 2006 (Gazz. Uff. 11 dicembre 2006, n. 287), con D.Dirett. 14 febbraio 2008 (Gazz. Uff. 27 febbraio 2008, n. 49), con D.Dirett. 31 luglio 2008 (Gazz. Uff. 5 agosto 2008, n. 182) e con D.Dirett. 5 novembre 2008 (Gazz. Uff. 26 novembre 2008, n. 277).

 

(omissis)

 


D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252.
Disciplina delle forme pensionistiche complementari

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 13 dicembre 2005, n. 289, S.O.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Visto l'articolo 1, commi 1, lettera c), 2, lettere e), h), i), l) e v), 44, 45 e 46, della legge 23 agosto 2004, n. 243, recante norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria;

Visto il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, recante disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell'articolo 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 1° luglio 2005;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 5 ottobre 2005;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 24 novembre 2005;

Sulla proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;

 

Emana il seguente decreto legislativo:

 

Art. 1.

Àmbito di applicazione e definizioni.

1. Il presente decreto legislativo disciplina le forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio, ivi compresi quelli gestiti dagli enti di diritto privato di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e al D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale.

2. L'adesione alle forme pensionistiche complementari disciplinate dal presente decreto è libera e volontaria.

3. Ai fini del presente decreto s'intendono per:

a) «forme pensionistiche complementari collettive»: le forme di cui agli articoli 3, comma 1, lettere da a) a h), e 12, che hanno ottenuto l'autorizzazione all'esercizio dell'attività da parte della COVIP, e di cui all'articolo 20, iscritte all'apposito albo, alle quali è possibile aderire collettivamente o individualmente e con l'apporto di quote del trattamento di fine rapporto;

b) «forme pensionistiche complementari individuali»: le forme di cui all'articolo 13, che hanno ottenuto l'approvazione del regolamento da parte della COVIP alle quali è possibile destinare quote del trattamento di fine rapporto;

c) «COVIP»: la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, istituita ai sensi dell'articolo 18, di seguito denominata: «COVIP» (2);

d) «TFR»: il trattamento di fine rapporto;

e) «TUIR»: il testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

4. Le forme pensionistiche complementari sono attuate mediante la costituzione, ai sensi dell'articolo 4, di appositi fondi o di patrimoni separati, la cui denominazione deve contenere l'indicazione di «fondo pensione», la quale non può essere utilizzata da altri soggetti.

 

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(2) Lettera così modificata dal comma 751 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296. Precedentemente la presente lettera era stata modificata dall'art. 2, D.L. 13 novembre 2006, n. 279, non convertito in legge.

 

Art. 2.

Destinatari.

1. Alle forme pensionistiche complementari possono aderire in modo individuale o collettivo:

a) i lavoratori dipendenti, sia privati sia pubblici, anche secondo il criterio di appartenenza alla medesima impresa, ente, gruppo di imprese, categoria, comparto o raggruppamento, anche territorialmente delimitato, o diversa organizzazione di lavoro e produttiva, ivi compresi i lavoratori assunti in base alle tipologie contrattuali previste dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;

b) i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, anche organizzati per aree professionali e per territorio;

c) i soci lavoratori di cooperative, anche unitamente ai lavoratori dipendenti dalle cooperative interessate;

d) i soggetti destinatari del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565, anche se non iscritti al fondo ivi previsto.

2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere istituite:

a) per i soggetti di cui al comma 1, lettere a), c) e d), esclusivamente forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita;

b) per i soggetti di cui al comma 1, lettera b), anche forme pensionistiche complementari in regime di prestazioni definite, volte ad assicurare una prestazione determinata con riferimento al livello del reddito ovvero a quello del trattamento pensionistico obbligatorio.

 

Art. 3.

Istituzione delle forme pensionistiche complementari.

1. Le forme pensionistiche complementari possono essere istituite da:

a) contratti e accordi collettivi, anche aziendali, limitatamente, per questi ultimi, anche ai soli soggetti o lavoratori firmatari degli stessi, ovvero, in mancanza, accordi fra lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro; accordi, anche interaziendali per gli appartenenti alla categoria dei quadri, promossi dalle organizzazioni sindacali nazionali rappresentative della categoria, membri del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro;

b) accordi fra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi da loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno regionale;

c) regolamenti di enti o aziende, i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, anche aziendali;

d) le regioni, le quali disciplinano il funzionamento di tali forme pensionistiche complementari con legge regionale nel rispetto della normativa nazionale in materia;

e) accordi fra soci lavoratori di cooperative, promossi da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo legalmente riconosciute;

f) accordi tra soggetti destinatari del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565, promossi anche da loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno regionale;

g) gli enti di diritto privato di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, e al D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, con l'obbligo della gestione separata, sia direttamente sia secondo le disposizioni di cui alle lettere a) e b);

h) i soggetti di cui all'articolo 6, comma 1, limitatamente ai fondi pensione aperti di cui all'articolo 12;

i) i soggetti di cui all'articolo 13, limitatamente alle forme pensionistiche complementari individuali.

2. Per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all'articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni.

3. Le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari stabiliscono le modalità di partecipazione, garantendo la libertà di adesione individuale.

 

Art. 4.

Costituzione dei fondi pensione ed autorizzazione all'esercizio.

1. I fondi pensione sono costituiti:

a) come soggetti giuridici di natura associativa, ai sensi dell' art. 36 del codice civile, distinti dai soggetti promotori dell'iniziativa;

b) come soggetti dotati di personalità giuridica; in tale caso, in deroga alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, il riconoscimento della personalità giuridica consegue al provvedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività adottato dalla COVIP; per tali fondi pensione, la COVIP cura la tenuta del registro delle persone giuridiche e provvede ai relativi adempimenti (3).

2. I fondi pensione istituiti ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettere g), h) e i), possono essere costituiti altresì nell'àmbito della singola società o del singolo ente attraverso la formazione, con apposita deliberazione, di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo, nell'àmbito della medesima società od ente, con gli effetti di cui all' art. 2117 del codice civile.

3. L'esercizio dell'attività dei fondi pensione di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a h), è subordinato alla preventiva autorizzazione da parte della COVIP, la quale trasmette al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro dell'economia e delle finanze l'esito del procedimento amministrativo relativo a ciascuna istanza di autorizzazione; i termini per il rilascio del provvedimento che concede o nega l'autorizzazione sono fissati in sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte della COVIP dell'istanza e della prescritta documentazione ovvero in trenta giorni dalla data di ricevimento dell'ulteriore documentazione eventualmente richiesta entro trenta giorni dalla data di ricevimento dell'istanza; la COVIP può determinare con proprio regolamento le modalità di presentazione dell'istanza, i documenti da allegare alla stessa ed eventuali diversi termini per il rilascio dell'autorizzazione comunque non superiori ad ulteriori trenta giorni. Con uno o più decreti da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali determina:

a) i requisiti formali di costituzione, nonché gli elementi essenziali sia dello statuto sia dell'atto di destinazione del patrimonio, con particolare riferimento ai profili della trasparenza nei rapporti con gli iscritti ed ai poteri degli organi collegiali;

b) i requisiti per l'esercizio dell'attività, con particolare riferimento all'onorabilità e professionalità dei componenti degli organi collegiali e, comunque, del responsabile della forma pensionistica complementare, facendo riferimento ai criteri definiti ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, da graduare sia in funzione delle modalità di gestione del fondo stesso sia in funzione delle eventuali delimitazioni operative contenute negli statuti (4);

c) i contenuti e le modalità del protocollo di autonomia gestionale.

4. [Chiunque eserciti l'attività di cui al presente decreto senza le prescritte autorizzazioni o approvazioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 5.200 euro a 25.000 euro. È sempre ordinata la confisca delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato] (5).

5. I fondi pensione costituiti nell'àmbito di categorie, comparti o raggruppamenti, sia per lavoratori subordinati sia per lavoratori autonomi, devono assumere forma di soggetto riconosciuto ai sensi del comma 1, lettera b), ed i relativi statuti devono prevedere modalità di raccolta delle adesioni compatibili con le disposizioni per la sollecitazione al pubblico risparmio.

6. La COVIP disciplina le ipotesi di decadenza dall'autorizzazione quando il fondo pensione non abbia iniziato la propria attività ovvero quando non sia stata conseguita la base associativa minima prevista dal fondo stesso, previa convocazione delle fonti istitutive.

 

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(3) In attuazione di quanto disposto dalla presente lettera vedi la Del.Covip 28 novembre 2007.

(4) In attuazione di quanto disposto dalla presente lettera vedi il D.M. 15 maggio 2007, n. 79.

(5) Comma abrogato dall’art. 7, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 5.

Partecipazione negli organi di amministrazione e di controllo e responsabilità.

1. La composizione degli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche complementari, escluse quelle di cui agli articoli 12 e 13, deve rispettare il criterio della partecipazione paritetica di rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Per quelle caratterizzate da contribuzione unilaterale a carico dei lavoratori, la composizione degli organi collegiali risponde al criterio rappresentativo di partecipazione delle categorie e raggruppamenti interessati. I componenti dei primi organi collegiali sono nominati in sede di atto costitutivo. Per la successiva individuazione dei rappresentanti dei lavoratori è previsto il metodo elettivo secondo modalità e criteri definiti dalle fonti costitutive (6).

2. Il consiglio di amministrazione di ciascuna forma pensionistica complementare nomina il responsabile della forma stessa in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità e per il quale non sussistano le cause di incompatibilità e di decadenza così come previsto dal decreto di cui all'articolo 4, comma 3, lettera b). Il responsabile della forma pensionistica svolge la propria attività in modo autonomo e indipendente, riportando direttamente all'organo amministrativo della forma pensionistica complementare relativamente ai risultati dell'attività svolta. Per le forme pensionistiche di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a), b), e) ed f), l'incarico di responsabile della forma pensionistica può essere conferito anche al direttore generale, comunque denominato, ovvero ad uno degli amministratori della forma pensionistica. Per le forme pensionistiche di cui agli articoli 12 e 13, l'incarico di responsabile della forma pensionistica non può essere conferito ad uno degli amministratori o a un dipendente della forma stessa ed è incompatibile con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato, di prestazione d'opera continuativa, presso i soggetti istitutori delle predette forme, ovvero presso le società da queste controllate o che le controllano.

3. Il responsabile della forma pensionistica verifica che la gestione della stessa sia svolta nell'esclusivo interesse degli aderenti, nonché nel rispetto della normativa vigente e delle previsioni stabilite nei regolamenti e nei contratti; sulla base delle direttive emanate da COVIP provvede all'invio di dati e notizie sull'attività complessiva del fondo richieste dalla stessa COVIP. Le medesime informazioni vengono inviate contemporaneamente anche all'organismo di sorveglianza di cui ai commi 4 e 5. In particolare vigila sul rispetto dei limiti di investimento, complessivamente e per ciascuna linea in cui si articola il fondo, sulle operazioni in conflitto di interesse e sulle buone pratiche ai fini di garantire la maggiore tutela degli iscritti.

4. Ferma restando la possibilità per le forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 12 di dotarsi di organismi di sorveglianza anche ai sensi di cui al comma 1, le medesime forme prevedono comunque l'istituzione di un organismo di sorveglianza, composto da almeno due membri, in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità, per i quali non sussistano le cause di incompatibilità e di decadenza previste dal decreto di cui all'articolo 4, comma 3. In sede di prima applicazione, i predetti membri sono designati dai soggetti istitutori dei fondi stessi, per un incarico non superiore al biennio. La partecipazione all'organismo di sorveglianza è incompatibile con la carica di amministratore o di componente di altri organi sociali, nonché con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato, di prestazione d'opera continuativa, presso i soggetti istitutori dei fondi pensione aperti, ovvero presso le società da questi controllate o che li controllano. I componenti dell'organismo di sorveglianza non possono essere proprietari, usufruttuari o titolari di altri diritti, anche indirettamente o per conto terzi, relativamente a partecipazioni azionarie di soggetti istitutori di fondi pensione aperti, ovvero di società da questi controllate o che li controllano. La sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla presente disposizione deve essere attestata dal candidato mediante apposita dichiarazione sottoscritta. L'accertamento del mancato possesso anche di uno solo dei requisiti indicati determina la decadenza dall'ufficio dichiarata ai sensi del comma 9.

5. Successivamente alla fase di prima applicazione, i membri dell'organismo di sorveglianza sono designati dai soggetti istitutori dei fondi stessi, individuati tra gli amministratori indipendenti iscritti all'albo istituito dalla Consob. Nel caso di adesione collettiva che comporti l'iscrizione di almeno 500 lavoratori appartenenti ad una singola azienda o a un medesimo gruppo, l'organismo di sorveglianza è integrato da un rappresentante, designato dalla medesima azienda o gruppo e da un rappresentante dei lavoratori.

6. L'organismo di sorveglianza rappresenta gli interessi degli aderenti e verifica che l'amministrazione e la gestione complessiva del fondo avvenga nell'esclusivo interesse degli stessi, anche sulla base delle informazioni ricevute dal responsabile della forma pensionistica. L'organismo riferisce agli organi di amministrazione del fondo e alla COVIP delle eventuali irregolarità riscontrate.

7. Nei confronti dei componenti degli organi di cui al comma 1 e del responsabile della forma pensionistica si applicano l' art. 2392, l' art. 2393 , l' art. 2394, l' art. 2394-bis, l' art. 2395 e l' art. 2396 del codice civile.

8. Nei confronti dei componenti degli organi di controllo di cui ai commi 1 e 4, si applica l' art. 2407 del codice civile.

9. [Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, su proposta della COVIP, possono essere sospesi dall'incarico e, nei casi di maggiore gravità, dichiarati decaduti dall'incarico i componenti degli organi collegiali e il responsabile della forma pensionistica che:

a) non ottemperano alle richieste o non si uniformano alle prescrizioni della COVIP di cui all'articolo 19;

b) forniscono alla COVIP informazioni false;

c) violano le disposizioni dell'articolo 6, commi 11 e 13;

d) non effettuano le comunicazioni relative alla sopravvenuta variazione della condizione di onorabilità nel termine di quindici giorni dal momento in cui sono venuti a conoscenza degli eventi e delle situazioni relative] (7).

10. [I componenti degli organi di amministrazione e di controllo di cui al comma 1 e i responsabili della forma pensionistica che:

a) forniscono alla COVIP segnalazioni, dati o documenti falsi, sono puniti con l'arresto da sei mesi a tre anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato;

b) nel termine prescritto non ottemperano, anche in parte, alle richieste della COVIP, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.600 euro a 15.500 euro;

c) non effettuano le comunicazioni relative alla sopravvenuta variazione delle condizioni di onorabilità di cui all'articolo 4, comma 3, lettera b), nel termine di quindici giorni dal momento in cui sono venuti a conoscenza degli eventi e delle situazioni relative, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.600 euro a 15.500 euro] (8).

11. [Le sanzioni amministrative previste nel presente articolo sono applicate con la procedura di cui al titolo VIII, capo VI, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, fatta salva l'attribuzione delle relative competenze alla COVIP e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Non si applica l'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni] (9).

12. [Ai commissari nominati ai sensi dell'articolo 15 si applicano le disposizioni contenute nel presente articolo] (10).

 

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(6) Con D.P.C.M. 29 ottobre 2008 (Gazz. Uff. 5 dicembre 2008, n. 285) sono stati individuati i soggetti competenti a designare, per la parte datoriale, i componenti dei primi organi collegiali dei fondi pensione per i pubblici dipendenti.

(7) Comma abrogato dall’art. 7, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(8) Comma abrogato dall’art. 7, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(9) Comma abrogato dall’art. 7, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(10) Comma abrogato dall’art. 7, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 6.

Regime delle prestazioni e modelli gestionali.

1. I fondi pensione di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a h), gestiscono le risorse mediante:

a) convenzioni con soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività di cui all'articolo 1, comma 5, lettera d), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ovvero con soggetti che svolgono la medesima attività, con sede statutaria in uno dei Paesi aderenti all'Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento;

b) convenzioni con imprese assicurative di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, mediante ricorso alle gestioni di cui al ramo VI dei rami vita, ovvero con imprese svolgenti la medesima attività, con sede in uno dei Paesi aderenti all'Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento;

c) convenzioni con società di gestione del risparmio, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni, ovvero con imprese svolgenti la medesima attività, con sede in uno dei Paesi aderenti all'Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento;

d) sottoscrizione o acquisizione di azioni o quote di società immobiliari nelle quali il fondo pensione può detenere partecipazioni anche superiori ai limiti di cui al comma 13, lettera a), nonché di quote di fondi comuni di investimento immobiliare chiusi nei limiti di cui alla lettera e);

e) sottoscrizione e acquisizione di quote di fondi comuni di investimento mobiliare chiusi secondo le disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 11, ma comunque non superiori al 20 per cento del proprio patrimonio e al 25 per cento del capitale del fondo chiuso.

2. Gli enti gestori di forme pensionistiche obbligatorie, sentita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, possono stipulare con i fondi pensione convenzioni per l'utilizzazione del servizio di raccolta dei contributi da versare ai fondi pensione e di erogazione delle prestazioni e delle attività connesse e strumentali anche attraverso la costituzione di società di capitali di cui debbono conservare in ogni caso la maggioranza del capitale sociale; detto servizio deve essere organizzato secondo criteri di separatezza contabile dalle attività istituzionali del medesimo ente.

3. Alle prestazioni di cui all'articolo 11 erogate sotto forma di rendita i fondi pensione provvedono mediante convenzioni con una o più imprese assicurative di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, ovvero direttamente, ove sussistano mezzi patrimoniali adeguati, in conformità con le disposizioni di cui all'articolo 7-bis. I fondi pensione sono autorizzati dalla COVIP all'erogazione diretta delle rendite, avuto riguardo all'adeguatezza dei mezzi patrimoniali costituiti e alla dimensione del fondo per numero di iscritti (11).

4. [I fondi pensione possono essere autorizzati dalla COVIP ad erogare direttamente le rendite, affidandone la gestione finanziaria ai soggetti di cui al comma 1 nell'àmbito di apposite convenzioni in base a criteri generali, determinati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la COVIP. L'autorizzazione è subordinata alla sussistenza di requisiti e condizioni fissati dal citato decreto, con riferimento alla dimensione minima dei fondi per numero di iscritti, alla costituzione e alla composizione delle riserve tecniche, alle basi demografiche e finanziarie da utilizzare per la conversione dei montanti contributivi in rendita, e alle convenzioni di assicurazione contro il rischio di sopravvivenza in relazione alla speranza di vita oltre la media. I fondi autorizzati all'erogazione delle rendite presentano alla COVIP, con cadenza almeno triennale, un bilancio tecnico contenente proiezioni riferite ad un arco temporale non inferiore a quindici anni] (12).

5. Per le forme pensionistiche in regime di prestazione definita e per le eventuali prestazioni per invalidità e premorienza, sono in ogni caso stipulate apposite convenzioni con imprese assicurative. Nell'esecuzione di tali convenzioni non si applica l'articolo 7.

5-bis. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la COVIP, sono individuati:

a) le attività nelle quali i fondi pensione possono investire le proprie disponibilità, avendo presente il perseguimento dell'interesse degli iscritti, eventualmente fissando limiti massimi di investimento qualora siano giustificati da un punto di vista prudenziale;

b) i criteri di investimento nelle varie categorie di valori mobiliari;

c) le regole da osservare in materia di conflitti di interesse tenendo conto delle specificità dei fondi pensione e dei principi di cui alla direttiva 2004/39/CE, alla normativa comunitaria di esecuzione e a quella nazionale di recepimento (13).

5-ter. I fondi pensione definiscono gli obiettivi e i criteri della propria politica di investimento, anche in riferimento ai singoli comparti eventualmente previsti, e provvedono periodicamente, almeno con cadenza triennale, alla verifica della rispondenza degli stessi agli interessi degli iscritti (14).

5-quater. Secondo modalità definite dalla COVIP, i fondi pensione danno informativa agli iscritti delle scelte di investimento e predispongono apposito documento sugli obiettivi e sui criteri della propria politica di investimento, illustrando anche i metodi di misurazione e le tecniche di gestione del rischio di investimento utilizzate e la ripartizione strategica delle attività in relazione alla natura e alla durata delle prestazioni pensionistiche dovute. Il documento è riesaminato almeno ogni tre anni ed è messo a disposizione degli aderenti e dei beneficiari del fondo pensione o dei loro rappresentanti che lo richiedano (15).

6. Per la stipula delle convenzioni di cui ai commi 1, 3 e 5, e all'articolo 7, i competenti organismi di amministrazione dei fondi, individuati ai sensi dell'articolo 5, comma 1, richiedono offerte contrattuali, per ogni tipologia di servizio offerto, attraverso la forma della pubblicità notizia su almeno due quotidiani fra quelli a maggiore diffusione nazionale o internazionale, a soggetti abilitati che non appartengono ad identici gruppi societari e comunque non sono legati, direttamente o indirettamente, da rapporti di controllo. Le offerte contrattuali rivolte ai fondi sono formulate per singolo prodotto in maniera da consentire il raffronto dell'insieme delle condizioni contrattuali con riferimento alle diverse tipologie di servizio offerte.

7. Con deliberazione delle rispettive autorità di vigilanza sui soggetti gestori, che conservano tutti i poteri di controllo su di essi, sono determinati i requisiti patrimoniali minimi, differenziati per tipologia di prestazione offerta, richiesti ai soggetti di cui al comma 1 ai fini della stipula delle convenzioni previste nel presente articolo.

8. Il processo di selezione dei gestori deve essere condotto secondo le istruzioni adottate dalla COVIP e comunque in modo da garantire la trasparenza del procedimento e la coerenza tra obiettivi e modalità gestionali, decisi preventivamente dagli amministratori, e i criteri di scelta dei gestori. Le convenzioni possono essere stipulate, nell'àmbito dei rispettivi regimi, anche congiuntamente fra loro e devono in ogni caso:

a) contenere le linee di indirizzo dell'attività dei soggetti convenzionati nell'àmbito dei criteri di individuazione e di ripartizione del rischio di cui al comma 11 e le modalità con le quali possono essere modificate le linee di indirizzo medesime; nel definire le linee di indirizzo della gestione, i fondi pensione possono prevedere linee di investimento che consentano di garantire rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del TFR;

b) prevedere i termini e le modalità attraverso cui i fondi pensione esercitano la facoltà di recesso, contemplando anche la possibilità per il fondo pensione di rientrare in possesso del proprio patrimonio attraverso la restituzione delle attività finanziarie nelle quali risultano investite le risorse del fondo all'atto della comunicazione al gestore della volontà di recesso dalla convenzione;

c) prevedere l'attribuzione in ogni caso al fondo pensione della titolarità dei diritti di voto inerenti ai valori mobiliari nei quali risultano investite le disponibilità del fondo medesimo.

9. I fondi pensione sono titolari dei valori e delle disponibilità conferiti in gestione, restando peraltro in facoltà degli stessi di concludere, in tema di titolarità, diversi accordi con i gestori a ciò abilitati nel caso di gestione accompagnata dalla garanzia di restituzione del capitale. I valori e le disponibilità affidati ai gestori di cui al comma 1 secondo le modalità ed i criteri stabiliti nelle convenzioni costituiscono in ogni caso patrimonio separato ed autonomo, devono essere contabilizzati a valori correnti e non possono essere distratti dal fine al quale sono stati destinati, nè formare oggetto di esecuzione sia da parte dei creditori dei soggetti gestori, sia da parte di rappresentanti dei creditori stessi, nè possono essere coinvolti nelle procedure concorsuali che riguardano il gestore. Il fondo pensione è legittimato a proporre la domanda di rivendicazione di cui all'articolo 103 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Possono essere rivendicati tutti i valori conferiti in gestione, anche se non individualmente determinati o individuati ed anche se depositati presso terzi, diversi dal soggetto gestore. Per l'accertamento dei valori oggetto della domanda è ammessa ogni prova documentale, ivi compresi i rendiconti redatti dal gestore o dai terzi depositari.

10. Con delibera della COVIP, assunta previo parere dell'autorità di vigilanza sui soggetti convenzionati, sono fissati criteri e modalità omogenee per la comunicazione ai fondi dei risultati conseguiti nell'esecuzione delle convenzioni in modo da assicurare la piena comparabilità delle diverse convenzioni.

11. [I criteri di individuazione e di ripartizione del rischio, nella scelta degli investimenti, devono essere indicati nello statuto di cui all'articolo 4, comma 3, lettera a). Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la COVIP, sono individuati:

a) le attività nelle quali i fondi pensione possono investire le proprie disponibilità, con i rispettivi limiti massimi di investimento, avendo particolare attenzione per il finanziamento delle piccole e medie imprese e allo sviluppo locale;

b) i criteri di investimento nelle varie categorie di valori mobiliari;

c) le regole da osservare in materia di conflitti di interesse compresi quelli eventuali attinenti alla partecipazione dei soggetti sottoscrittori delle fonti istitutive dei fondi pensione ai soggetti gestori di cui al presente articolo] (16).

12. I fondi pensione, costituiti nell'àmbito delle autorità di vigilanza sui soggetti gestori a favore dei dipendenti delle stesse, possono gestire direttamente le proprie risorse.

13. I fondi non possono comunque assumere o concedere prestiti, prestare garanzie in favore di terzi, nè investire le disponibilità di competenza (17):

a) in azioni o quote con diritto di voto, emesse da una stessa società, per un valore nominale superiore al cinque per cento del valore nominale complessivo di tutte le azioni o quote con diritto di voto emesse dalla società medesima se quotata, ovvero al dieci per cento se non quotata, nè comunque, azioni o quote con diritto di voto per un ammontare tale da determinare in via diretta un'influenza dominante sulla società emittente;

b) in azioni o quote emesse da soggetti tenuti alla contribuzione o da questi controllati direttamente o indirettamente, per interposta persona o tramite società fiduciaria, o agli stessi legati da rapporti di controllo ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in misura complessiva superiore al venti per cento delle risorse del fondo e, se trattasi di fondo pensione di categoria, in misura complessiva superiore al trenta per cento;

c) fermi restando i limiti generali indicati alla lettera b), i fondi pensione aventi come destinatari i lavoratori di una determinata impresa non possono investire le proprie disponibilità in strumenti finanziari emessi dalla predetta impresa, o, allorché l'impresa appartenga a un gruppo, dalle imprese appartenenti al gruppo medesimo, in misura complessivamente superiore, rispettivamente, al cinque e al dieci per cento del patrimonio complessivo del fondo. Per la nozione di gruppo si fa riferimento all'articolo 23 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385;

c-bis) il patrimonio del fondo pensione deve essere investito in misura predominante su mercati regolamentati. Gli investimenti in attività che non sono ammesse allo scambio in un mercato regolamentato devono in ogni caso essere mantenute a livelli prudenziali (18).

14. Le forme pensionistiche complementari sono tenute ad esporre nel rendiconto annuale e, sinteticamente, nelle comunicazioni periodiche agli iscritti, se ed in quale misura nella gestione delle risorse e nelle linee seguite nell'esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valori in portafoglio si siano presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali.

 

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(11) Comma così modificato dall’art. 2, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(12) Comma abrogato dall’art. 7, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(13) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 1, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(14) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 1, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(15) Comma aggiunto dal comma 1 dell’art. 1, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(16) Comma abrogato dall’art. 7, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(17) Alinea così modificato dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(18) Lettera aggiunta dal comma 2 dell’art. 1, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 7.

Banca depositaria.

1. Le risorse dei fondi, affidate in gestione, sono depositate presso una banca distinta dal gestore che presenti i requisiti di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

2. La banca depositaria esegue le istruzioni impartite dal soggetto gestore del patrimonio del fondo, se non siano contrarie alla legge, allo statuto del fondo stesso e ai criteri stabiliti nel decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 6, comma 5-bis (19).

3. Si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al citato articolo 38 del decreto legislativo n. 58 del 1998. Gli amministratori e i sindaci della banca depositaria riferiscono senza ritardo alla COVIP sulle irregolarità riscontrate nella gestione dei fondi pensione.

3-bis. Fermo restando quanto previsto dai commi 1, 2, e 3, quale banca depositaria può anche essere nominata una banca stabilita in un altro Stato membro, debitamente autorizzata a norma della direttiva 93/22/CEE o della direttiva 2000/12/CE, ovvero operante come depositaria ai fini della direttiva 85/611/CEE (20).

3-ter. La Banca d'Italia può vietare la libera disponibilità degli attivi, depositati presso una banca avente sede legale in Italia, di un fondo pensione avente sede in uno Stato membro. La Banca d'Italia provvede su richiesta della COVIP, anche previa conforme iniziativa dell'Autorità competente dello Stato membro di origine del fondo pensione quando trattasi di forme pensionistiche comunitarie di cui all'articolo 15-ter (21).

 

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(19) Comma così modificato dal comma 3 dell’art. 1, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(20) Comma aggiunto dall’art. 3, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(21) Comma aggiunto dall’art. 3, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 7-bis.

Mezzi patrimoniali.

1. I fondi pensione che coprono rischi biometrici, che garantiscono un rendimento degli investimenti o un determinato livello di prestazioni devono dotarsi, nel rispetto dei criteri di cui al successivo comma 2, di mezzi patrimoniali adeguati in relazione al complesso degli impegni finanziari esistenti, salvo che detti impegni finanziari siano assunti da soggetti gestori già sottoposti a vigilanza prudenziale a ciò abilitati, i quali operano in conformità alle norme che li disciplinano.

2. Con regolamento del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la COVIP, la Banca d'Italia e l'ISVAP, sono definiti i principi per la determinazione dei mezzi patrimoniali adeguati in conformità con quanto previsto dalle disposizioni comunitarie e dall'articolo 29-bis, comma 3, lettera a), numero 3), della legge 18 aprile 2005, n. 62. Nel regolamento sono, inoltre, definite le condizioni alle quali una forma pensionistica può, per un periodo limitato, detenere attività insufficienti.

3. La COVIP può, nei confronti delle forme di cui al comma 1, limitare o vietare la disponibilità dell'attivo qualora non siano stati costituiti i mezzi patrimoniali adeguati in conformità al regolamento di cui al comma 2. Restano ferme le competenze delle autorità di vigilanza sui soggetti gestori (22).

 

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(22) Articolo aggiunto dall’art. 4, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 8.

Finanziamento.

1. Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari può essere attuato mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del TFR maturando. Nel caso di lavoratori autonomi e di liberi professionisti il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è attuato mediante contribuzioni a carico dei soggetti stessi. Nel caso di soggetti diversi dai titolari di reddito di lavoro o d'impresa e di soggetti fiscalmente a carico di altri, il finanziamento alle citate forme è attuato dagli stessi o dai soggetti nei confronti dei quali sono a carico.

2. Ferma restando la facoltà per tutti i lavoratori di determinare liberamente l'entità della contribuzione a proprio carico, relativamente ai lavoratori dipendenti che aderiscono ai fondi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a g) e di cui all'articolo 12, con adesione su base collettiva, le modalità e la misura minima della contribuzione a carico del datore di lavoro e del lavoratore stesso possono essere fissati dai contratti e dagli accordi collettivi, anche aziendali; gli accordi fra soli lavoratori determinano il livello minimo della contribuzione a carico degli stessi. Il contributo da destinare alle forme pensionistiche complementari è stabilito in cifra fissa oppure: per i lavoratori dipendenti, in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR o con riferimento ad elementi particolari della retribuzione stessa; per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, in percentuale del reddito d'impresa o di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF, relativo al periodo d'imposta precedente; per i soci lavoratori di società cooperative, secondo la tipologia del rapporto di lavoro, in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR ovvero degli imponibili considerati ai fini dei contributi previdenziali obbligatori ovvero in percentuale del reddito di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF relativo al periodo d'imposta precedente.

3. Nel caso di forme pensionistiche complementari di cui siano destinatari i dipendenti della pubblica amministrazione, i contributi alle forme pensionistiche debbono essere definiti in sede di determinazione del trattamento economico, secondo procedure coerenti alla natura del rapporto.

4. I contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro o committente, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, sono deducibili, ai sensi dell'articolo 10 del TUIR, dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57; i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono altresì delle medesime agevolazioni contributive di cui all'articolo 16; ai fini del computo del predetto limite di euro 5.164,57 si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1, del citato TUIR. Per la parte dei contributi versati che non hanno fruito della deduzione, compresi quelli eccedenti il suddetto ammontare, il contribuente comunica alla forma pensionistica complementare, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento, ovvero, se antecedente, alla data in cui sorge il diritto alla prestazione, l'importo non dedotto o che non sarà dedotto nella dichiarazione dei redditi.

5. Per i contributi versati nell'interesse delle persone indicate nell'articolo 12 del TUIR, che si trovino nelle condizioni ivi previste, spetta al soggetto nei confronti del quale dette persone sono a carico la deduzione per l'ammontare non dedotto dalle persone stesse, fermo restando l'importo complessivamente stabilito nel comma 4.

6. Ai lavoratori di prima occupazione successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto e, limitatamente ai primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, è consentito, nei venti anni successivi al quinto anno di partecipazione a tali forme, dedurre dal reddito complessivo contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro pari alla differenza positiva tra l'importo di 25.822,85 euro e i contributi effettivamente versati nei primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche e comunque per un importo non superiore a 2.582,29 euro annui.

7. Il conferimento del TFR maturando alle forme pensionistiche complementari comporta l'adesione alle forme stesse e avviene, con cadenza almeno annuale, secondo:

a) modalità esplicite: entro sei mesi dalla data di prima assunzione il lavoratore, può conferire l'intero importo del TFR maturando ad una forma di previdenza complementare dallo stesso prescelta; qualora, in alternativa, il lavoratore decida, nel predetto periodo di tempo, di mantenere il TFR maturando presso il proprio datore di lavoro, tale scelta può essere successivamente revocata e il lavoratore può conferire il TFR maturando ad una forma pensionistica complementare dallo stesso prescelta;

b) modalità tacite: nel caso in cui il lavoratore nel periodo di tempo indicato alla lettera a) non esprima alcuna volontà, a decorrere dal mese successivo alla scadenza dei sei mesi ivi previsti:

1) il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando dei dipendenti alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, salvo sia intervenuto un diverso accordo aziendale che preveda la destinazione del TFR a una forma collettiva tra quelle previste all'articolo 1, comma 2, lettera e), n. 2), della legge 23 agosto 2004, n. 243; tale accordo deve essere notificato dal datore di lavoro al lavoratore, in modo diretto e personale;

2) in caso di presenza di più forme pensionistiche di cui al n. 1), il TFR maturando è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, a quella alla quale abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell'azienda;

3) qualora non siano applicabili le disposizioni di cui ai numeri 1) e 2), il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica complementare istituita presso l'INPS;

c) con riferimento ai lavoratori di prima iscrizione alla previdenza obbligatoria in data antecedente al 29 aprile 1993:

1) fermo restando quanto previsto all'articolo 20, qualora risultino iscritti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, a forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita, è consentito scegliere, entro sei mesi dalla predetta data o dalla data di nuova assunzione, se successiva, se mantenere il residuo TFR maturando presso il proprio datore di lavoro, ovvero conferirlo, anche nel caso in cui non esprimano alcuna volontà, alla forma complementare collettiva alla quale gli stessi abbiano già aderito;

2) qualora non risultino iscritti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, a forme pensionistiche complementari, è consentito scegliere, entro sei mesi dalla predetta data, se mantenere il TFR maturando presso il proprio datore di lavoro, ovvero conferirlo, nella misura già fissata dagli accordi o contratti collettivi, ovvero, qualora detti accordi non prevedano il versamento del TFR, nella misura non inferiore al 50 per cento, con possibilità di incrementi successivi, ad una forma pensionistica complementare; nel caso in cui non esprimano alcuna volontà, si applica quanto previsto alla lettera b).

8. Prima dell'avvio del periodo di sei mesi previsto dal comma 7, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore adeguate informazioni sulle diverse scelte disponibili. Trenta giorni prima della scadenza dei sei mesi utili ai fini del conferimento del TFR maturando, il lavoratore che non abbia ancora manifestato alcuna volontà deve ricevere dal datore di lavoro le necessarie informazioni relative alla forma pensionistica complementare verso la quale il TFR maturando è destinato alla scadenza del semestre.

9. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari prevedono, in caso di conferimento tacito del TFR, l'investimento di tali somme nella linea a contenuto più prudenziale tali da garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili, nei limiti previsti dalla normativa statale e comunitaria, al tasso di rivalutazione del TFR.

10. L'adesione a una forma pensionistica realizzata tramite il solo conferimento esplicito o tacito del TFR non comporta l'obbligo della contribuzione a carico del lavoratore e del datore di lavoro. Il lavoratore può decidere, tuttavia, di destinare una parte della retribuzione alla forma pensionistica prescelta in modo autonomo ed anche in assenza di accordi collettivi; in tale caso comunica al datore di lavoro l'entità del contributo e il fondo di destinazione. Il datore può a sua volta decidere, pur in assenza di accordi collettivi, anche aziendali, di contribuire alla forma pensionistica alla quale il lavoratore ha già aderito, ovvero a quella prescelta in base al citato accordo. Nel caso in cui il lavoratore intenda contribuire alla forma pensionistica complementare e qualora abbia diritto ad un contributo del datore di lavoro in base ad accordi collettivi, anche aziendali, detto contributo affluisce alla forma pensionistica prescelta dal lavoratore stesso, nei limiti e secondo le modalità stabilite dai predetti contratti o accordi.

11. La contribuzione alle forme pensionistiche complementari può proseguire volontariamente oltre il raggiungimento dell'età pensionabile prevista dal regime obbligatorio di appartenenza, a condizione che l'aderente, alla data del pensionamento, possa far valere almeno un anno di contribuzione a favore delle forme di previdenza complementare. È fatta salva la facoltà del soggetto che decida di proseguire volontariamente la contribuzione, di determinare autonomamente il momento di fruizione delle prestazioni pensionistiche.

12. Per i soggetti destinatari del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565, anche se non iscritti al fondo ivi previsto, sono consentite contribuzioni saltuarie e non fisse. I medesimi soggetti possono altresì delegare il centro servizi o l'azienda emittente la carta di credito o di debito al versamento con cadenza trimestrale alla forma pensionistica complementare dell'importo corrispondente agli abbuoni accantonati a seguito di acquisti effettuati tramite moneta elettronica o altro mezzo di pagamento presso i centri vendita convenzionati. Per la regolarizzazione di dette operazioni deve ravvisarsi la coincidenza tra il soggetto che conferisce la delega al centro convenzionato con il titolare della posizione aperta presso la forma pensionistica complementare medesima (23).

13. Gli statuti e i regolamenti disciplinano, secondo i criteri stabiliti dalla COVIP, le modalità in base alle quali l'aderente può suddividere i flussi contributivi anche su diverse linee di investimento all'interno della forma pensionistica medesima, nonché le modalità attraverso le quali può trasferire l'intera posizione individuale a una o più linee.

 

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(23) Comma così modificato dal comma 82 dell’art. 1, L. 24 dicembre 2007, n. 247. Vedi, anche, i commi 92 e 94 dello stesso articolo 1.

 

Art. 9.

Istituzione e disciplina della forma pensionistica complementare residuale presso l'INPS.

1. Presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) è costituita la forma pensionistica complementare a contribuzione definita prevista dall'articolo 1, comma 2, lettera e), n. 7), della legge 23 agosto 2004, n. 243, alla quale affluiscono le quote di TFR maturando nell'ipotesi prevista dall'articolo 8, comma 7, lettera b), n. 3). Tale forma pensionistica è integralmente disciplinata dalle norme del presente decreto (24).

2. La forma pensionistica di cui al presente articolo è amministrata da un comitato dove è assicurata la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, secondo un criterio di pariteticità. I membri del comitato sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e restano in carica per quattro anni. I membri del comitato devono possedere i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti con decreto di cui all'articolo 4, comma 3.

3. La posizione individuale costituita presso la forma pensionistica di cui al presente articolo può essere trasferita, su richiesta del lavoratore, anche prima del termine di cui all'articolo 14, comma 6, ad altra forma pensionistica dallo stesso prescelta.

 

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(24) Con D.M. 30 ottobre 2007 (pubblicato, per comunicato, nella Gazz. Uff. 19 novembre 2007, n. 269) è stato contribuito il Comitato amministratore della forma di previdenza prevista dal presente comma.

 

Art. 10.

 Misure compensative per le imprese.

1. Dal reddito d'impresa è deducibile un importo pari al 4 per cento dell'ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari e al Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile; per le imprese con meno di 50 addetti tale importo è elevato al 6 per cento (25).

2. Il datore di lavoro è esonerato dal versamento del contributo al Fondo di garanzia previsto dall'articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, e successive modificazioni, nella stessa percentuale di TFR maturando conferito alle forme pensionistiche complementari e al Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile (26).

3. Un'ulteriore compensazione dei costi per le imprese, conseguenti al conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari e al Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile, è assicurata anche mediante una riduzione del costo del lavoro, attraverso una riduzione degli oneri impropri, correlata al flusso di TFR maturando conferito, nei limiti e secondo quanto stabilito dall'articolo 8 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e successive modificazioni (27).

4. [Un'ulteriore compensazione dei costi per le imprese, conseguenti al conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari, è assicurata anche mediante una riduzione del costo del lavoro, attraverso una riduzione degli oneri impropri, correlata al flusso di TFR maturando conferito, nei limiti e secondo quanto stabilito dall'articolo 8, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203] (28).

5. Le misure di cui al comma 1 si applicano previa verifica della loro compatibilità con la normativa comunitaria in materia (29).

 

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(25) Comma così sostituito dal comma 764 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(26) Comma così sostituito dal comma 764 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(27) Comma così sostituito dal comma 764 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(28) Comma abrogato dal comma 764 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(29) Comma così modificato dal comma 764 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

 

Art. 11.

Prestazioni.

1. Le forme pensionistiche complementari definiscono i requisiti e le modalità di accesso alle prestazioni nel rispetto di quanto disposto dal presente articolo.

2. Il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.

3. Le prestazioni pensionistiche in regime di contribuzione definita e di prestazione definita possono essere erogate in capitale, secondo il valore attuale, fino ad un massimo del 50 per cento del montante finale accumulato, e in rendita. Nel computo dell'importo complessivo erogabile in capitale sono detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia provveduto al reintegro. Nel caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70 per cento del montante finale sia inferiore al 50 per cento dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, commi 6 e 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la stessa può essere erogata in capitale.

4. Le forme pensionistiche complementari prevedono che, in caso di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi, le prestazioni pensionistiche siano, su richiesta dell'aderente, consentite con un anticipo massimo di cinque anni rispetto ai requisiti per l'accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza.

5. A migliore tutela dell'aderente, gli schemi per l'erogazione delle rendite possono prevedere, in caso di morte del titolare della prestazione pensionistica, la restituzione ai beneficiari dallo stesso indicati del montante residuo o, in alternativa, l'erogazione ai medesimi di una rendita calcolata in base al montante residuale. In tale caso è autorizzata la stipula di contratti assicurativi collaterali contro i rischi di morte o di sopravvivenza oltre la vita media.

6. Le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta. Le prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies) del comma 1 dell'articolo 44 del TUIR, e successive modificazioni, se determinabili. Sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche comunque erogate è operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. Nel caso di prestazioni erogate in forma di capitale la ritenuta di cui al periodo precedente è applicata dalla forma pensionistica a cui risulta iscritto il lavoratore; nel caso di prestazioni erogate in forma di rendita tale ritenuta è applicata dai soggetti eroganti. La forma pensionistica complementare comunica ai soggetti che erogano le rendite i dati in suo possesso necessari per il calcolo della parte delle prestazioni corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta se determinabili.

7. Gli aderenti alle forme pensionistiche complementari possono richiedere un'anticipazione della posizione individuale maturata:

a) in qualsiasi momento, per un importo non superiore al 75 per cento, per spese sanitarie a seguito di gravissime situazioni relative a sè, al coniuge e ai figli per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche. Sull'importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, è applicata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali;

b) decorsi otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 75 per cento, per l'acquisto della prima casa di abitazione per sè o per i figli, documentato con atto notarile, o per la realizzazione degli interventi di cui alle lettere a), b), c), e d) del comma 1 dell'articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, relativamente alla prima casa di abitazione, documentati come previsto dalla normativa stabilita ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Sull'importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, si applica una ritenuta a titolo di imposta del 23 per cento;

c) decorsi otto anni di iscrizione, per un importo non superiore al 30 per cento, per ulteriori esigenze degli aderenti. Sull'importo erogato, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta, si applica una ritenuta a titolo di imposta del 23 per cento;

d) le ritenute di cui alle lettere a), b) e c) sono applicate dalla forma pensionistica che eroga le anticipazioni.

8. Le somme percepite a titolo di anticipazione non possono mai eccedere, complessivamente, il 75 per cento del totale dei versamenti, comprese le quote del TFR, maggiorati delle plusvalenze tempo per tempo realizzate, effettuati alle forme pensionistiche complementari a decorrere dal primo momento di iscrizione alle predette forme. Le anticipazioni possono essere reintegrate, a scelta dell'aderente, in qualsiasi momento anche mediante contribuzioni annuali eccedenti il limite di 5.164,57 euro. Sulle somme eccedenti il predetto limite, corrispondenti alle anticipazioni reintegrate, è riconosciuto al contribuente un credito d'imposta pari all'imposta pagata al momento della fruizione dell'anticipazione, proporzionalmente riferibile all'importo reintegrato.

9. Ai fini della determinazione dell'anzianità necessaria per la richiesta delle anticipazioni e delle prestazioni pensionistiche sono considerati utili tutti i periodi di partecipazione alle forme pensionistiche complementari maturati dall'aderente per i quali lo stesso non abbia esercitato il riscatto totale della posizione individuale.

10. Ferma restando l'intangibilità delle posizioni individuali costituite presso le forme pensionistiche complementari nella fase di accumulo, le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita, e le anticipazioni di cui al comma 7, lettera a), sono sottoposti agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria previsti dall'articolo 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1935, n. 1155, e dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, e successive modificazioni. I crediti relativi alle somme oggetto di riscatto totale e parziale e le somme oggetto di anticipazione di cui al comma 7, lettere b) e c), non sono assoggettate ad alcun vincolo di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità.

 

12.

Fondi pensione aperti.

1. I soggetti di cui all'articolo 1, comma 1, lettere e) e o), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, all'articolo 1, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e all'articolo 1, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, possono istituire e gestire direttamente forme pensionistiche complementari mediante la costituzione di appositi fondi nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 4, comma 2. Detti fondi sono aperti alle adesioni dei destinatari del presente decreto legislativo, i quali vi possono destinare anche la contribuzione a carico del datore di lavoro a cui abbiano diritto, nonché le quote del TFR (30).

2. Ai sensi dell'articolo 3, l'adesione ai fondi pensione aperti può avvenire, oltre che su base individuale, anche su base collettiva.

3. Ferma restando l'applicazione delle norme del presente decreto legislativo in tema di finanziamento, prestazioni e trattamento tributario, l'autorizzazione alla costituzione e all'esercizio è rilasciata, ai sensi dell'articolo 4, comma 3, dalla COVIP, sentite le rispettive autorità di vigilanza sui soggetti promotori.

4. I regolamenti dei fondi pensione aperti, redatti in base alle direttive impartite dalla COVIP e dalla stessa preventivamente approvati, stabiliscono le modalità di partecipazione secondo le norme di cui al presente decreto.

 

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(30) Comma così modificato dal comma 6 dell’art. 1, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 13.

Forme pensionistiche individuali.

1. Ferma restando l'applicazione delle norme del presente decreto legislativo in tema di finanziamento, prestazioni e trattamento tributario, le forme pensionistiche individuali sono attuate mediante:

a) adesione ai fondi pensione di cui all'articolo 12;

b) contratti di assicurazione sulla vita, stipulati con imprese di assicurazioni autorizzate dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP) ad operare nel territorio dello Stato o quivi operanti in regime di stabilimento o di prestazioni di servizi (31).

2. L'adesione avviene, su base individuale, anche da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 2.

3. I contratti di assicurazione di cui al comma 1, lettera b), sono corredati da un regolamento, redatto in base alle direttive impartite dalla COVIP e dalla stessa preventivamente approvato nei termini temporali di cui all'articolo 4, comma 3, recante disposizioni circa le modalità di partecipazione, il trasferimento delle posizioni individuali verso altre forme pensionistiche, la comparabilità dei costi e dei risultati di gestione e la trasparenza dei costi e delle condizioni contrattuali nonché le modalità di comunicazione, agli iscritti e alla COVIP, delle attività della forma pensionistica e della posizione individuale. Il suddetto regolamento è parte integrante dei contratti medesimi. Le condizioni generali dei contratti devono essere comunicate dalle imprese assicuratrici alla COVIP, prima della loro applicazione. Le risorse delle forme pensionistiche individuali costituiscono patrimonio autonomo e separato con gli effetti di cui all'articolo 4, comma 2. La gestione delle risorse delle forme pensionistiche di cui al comma 1, lettera b), avviene secondo le regole d'investimento di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 6, comma 5-bis, lettera c) (32).

4. L'ammontare dei contributi, definito anche in misura fissa all'atto dell'adesione, può essere successivamente variato. I lavoratori possono destinare a tali forme anche le quote dell'accantonamento annuale al TFR e le contribuzioni del datore di lavoro alle quali abbiano diritto.

5. Per i soggetti non titolari di reddito di lavoro o d'impresa si considera età pensionabile quella vigente nel regime obbligatorio di base.

 

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(31) Con Provv. ISVAP 10 novembre 2006, n. 2472 (Gazz. Uff. 22 novembre 2006, n. 272) sono state dettate disposizioni in materia di costituzione del patrimonio autonomo e separato per le forme pensionistiche individuali, attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita, di cui alla presente lettera.

(32) Comma così modificato dal comma 4 dell’art. 1, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 14.

Permanenza nella forma pensionistica complementare e cessazione dei requisiti di partecipazione e portabilità.

1. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari stabiliscono le modalità di esercizio relative alla partecipazione alle forme medesime, alla portabilità delle posizioni individuali e della contribuzione, nonché al riscatto parziale o totale delle posizioni individuali, secondo quanto disposto dal presente articolo.

2. Ove vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare gli statuti e i regolamenti stabiliscono:

a) il trasferimento ad altra forma pensionistica complementare alla quale il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività;

b) il riscatto parziale, nella misura del 50 per cento della posizione individuale maturata, nei casi di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo non inferiore a 12 mesi e non superiore a 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;

c) il riscatto totale della posizione individuale maturata per i casi di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo e a seguito di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi. Tale facoltà non può essere esercitata nel quinquennio precedente la maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche complementari; in questi casi si applicano le previsioni di cui al comma 4 dell'articolo 11.

3. In caso di morte dell'aderente ad una forma pensionistica complementare prima della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica l'intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi beneficiari dallo stesso designati, siano essi persone fisiche o giuridiche. In mancanza di tali soggetti, la posizione, limitatamente alle forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 13, viene devoluta a finalità sociali secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Nelle forme pensionistiche complementari di cui agli articoli 3, comma 1, lettere da a) a g), e 12, la suddetta posizione resta acquisita al fondo pensione.

4. Sulle somme percepite a titolo di riscatto della posizione individuale relative alle fattispecie previste ai commi 2 e 3, è operata una ritenuta a titolo di imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali, sul medesimo imponibile di cui all'articolo 11, comma 6.

5. Sulle somme percepite a titolo di riscatto per cause diverse da quelle di cui ai commi 2 e 3, si applica una ritenuta a titolo di imposta del 23 per cento sul medesimo imponibile di cui all'articolo 11, comma 6.

6. Decorsi due anni dalla data di partecipazione ad una forma pensionistica complementare l'aderente ha facoltà di trasferire l'intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche prevedono esplicitamente la predetta facoltà e non possono contenere clausole che risultino, anche di fatto, limitative del suddetto diritto alla portabilità dell'intera posizione individuale. Sono comunque inefficaci clausole che, all'atto dell'adesione o del trasferimento, consentano l'applicazione di voci di costo, comunque denominate, significativamente più elevate di quelle applicate nel corso del rapporto e che possono quindi costituire ostacolo alla portabilità. In caso di esercizio della predetta facoltà di trasferimento della posizione individuale, il lavoratore ha diritto al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del TFR maturando e dell'eventuale contributo a carico del datore di lavoro nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali.

7. Le operazioni di trasferimento delle posizioni pensionistiche sono esenti da ogni onere fiscale, a condizione che avvengano a favore di forme pensionistiche disciplinate dal presente decreto legislativo. Sono altresì esenti da ogni onere fiscale i trasferimenti delle risorse o delle riserve matematiche da un fondo pensione o da una forma pensionistica individuale ad altro fondo pensione o ad altra forma pensionistica individuale.

8. Gli adempimenti a carico delle forme pensionistiche complementari conseguenti all'esercizio delle facoltà di cui al presente articolo devono essere effettuati entro il termine massimo di sei mesi dalla data di esercizio stesso.

 

Art. 15.

Vicende del fondo pensione.

1. Nel caso di scioglimento del fondo pensione per vicende concernenti i soggetti tenuti alla contribuzione, si provvede alla intestazione diretta della copertura assicurativa in essere per coloro che fruiscono di prestazioni in forma pensionistica. Per gli altri destinatari si applicano le disposizioni di cui all'articolo 14.

2. Nel caso di cessazione dell'attività o di sottoposizione a procedura concorsuale del datore di lavoro che abbia costituito un fondo pensione ai sensi dell'articolo 4, comma 2, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali nomina, su proposta della COVIP, un commissario straordinario che procede allo scioglimento del fondo.

3. Le determinazioni di cui ai commi 1 e 2 devono essere comunicate entro sessanta giorni alla COVIP, che ne dà comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

4. Nel caso di vicende del fondo pensione capaci di incidere sull'equilibrio del fondo medesimo, individuate dalla COVIP, gli organi del fondo e comunque i suoi responsabili devono comunicare preventivamente alla COVIP stessa i provvedimenti ritenuti necessari alla salvaguardia dell'equilibrio del fondo pensione.

5. Ai fondi pensione si applica esclusivamente la disciplina dell'amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento, ai sensi degli articoli 70, e seguenti, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni ed integrazioni, attribuendosi le relative competenze esclusivamente al Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed alla COVIP.

 

Art. 15-bis.

Operatività all'estero delle forme pensionistiche complementari italiane.

1. I fondi pensione di cui all'articolo 4, comma 1, i fondi pensione aperti, nonchè quelli già istituiti alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, aventi soggettività giuridica ed operanti secondo il principio della capitalizzazione, che risultino iscritti all'Albo tenuto a cura della COVIP e siano stati dalla COVIP previamente autorizzati allo svolgimento dell'attività transfrontaliera, possono operare con riferimento ai datori di lavoro o ai lavoratori residenti in uno Stato membro dell'Unione europea.

2. La COVIP individua le procedure e le condizioni per il rilascio della predetta autorizzazione, anche avvalendosi di procedimenti semplificati di silenzio-assenso.

3. Un fondo pensione che intenda operare con riferimento a datori di lavoro o di lavoratori residenti nel territorio di un altro Stato membro è tenuto a comunicare per iscritto la propria intenzione alla COVIP, indicando lo Stato membro in cui intende operare, il nome del soggetto interessato e le caratteristiche principali dello schema pensionistico che sarà ivi gestito.

4. Salvo che nell'ipotesi di cui al comma 5, la COVIP provvede a trasmettere per iscritto le informazioni di cui al precedente comma all'Autorità competente dello Stato membro ospitante entro tre mesi dal loro ricevimento, dandone comunicazione al fondo pensione.

5. Qualora la COVIP abbia ragione di dubitare che la struttura amministrativa, la situazione finanziaria ovvero l'onorabilità e professionalità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo e del responsabile del fondo pensione siano compatibili con il tipo di operazioni proposte nello Stato membro ospitante, la stessa può non consentire al fondo pensione, anche mediante revoca dell'autorizzazione, di avviare l'attività transfrontaliera comunicata, dandone se del caso informazione anche all'Autorità dello Stato membro ospitante.

6. Il fondo pensione è tenuto a rispettare la disciplina vigente nello Stato membro ospitante in materia di informativa da rendere agli iscritti, nonchè le disposizioni dello Stato ospitante in materia di diritto della sicurezza sociale e di diritto del lavoro che trovino applicazione nei confronti dei fondi pensione che esercitano attività transfrontaliera.

7. Il fondo pensione è, inoltre, tenuto a rispettare, limitatamente alle attività svolte in quel particolare Stato membro ospitante, gli eventuali limiti agli investimenti previsti, in conformità all'articolo 18, comma 7, della direttiva 2003/41/CE, dalla normativa dello Stato membro ospitante che trovino applicazione nei confronti dei fondi che esercitano attività transfrontaliera.

8. La COVIP comunica al fondo pensione le disposizioni di cui ai commi 6 e 7 che siano state alla stessa trasmesse dall'Autorità competente dello Stato membro ospitante. A decorrere dalla ricezione di questa comunicazione, ovvero, in assenza di comunicazione, decorsi due mesi dalla data in cui l'Autorità dello Stato membro ospitante ha ricevuto da parte della COVIP la comunicazione di cui al comma 4, il fondo pensione può iniziare la sua attività nello Stato membro ospitante a favore del soggetto interessato.

9. Le Autorità di vigilanza dello Stato membro ospitante sono competenti a vigilare sul rispetto delle disposizioni di cui al comma 6, mentre la COVIP è competente a vigilare sul rispetto delle disposizioni indicate al comma 7.

10. A seguito della comunicazione, da parte dell'Autorità competente dello Stato membro ospitante, che un fondo pensione ha violato le disposizioni di cui al comma 6, la COVIP adotta, in coordinamento con l'Autorità dello Stato membro ospitante, le misure necessarie affinchè il fondo pensione ponga fine alla violazione constatata. Se, malgrado le misure adottate dalla COVIP il fondo pensione continua a violare le disposizioni dello Stato ospitante in materia di diritto della sicurezza sociale e di diritto del lavoro applicabili ai fondi pensione transfrontalieri, l'Autorità dello Stato membro ospitante può, dopo averne informata la COVIP, adottare le misure che ritiene necessarie al fine di prevenire nuove irregolarità, ivi compreso, nella misura strettamente necessaria, impedire al fondo pensione di fornire i suoi servizi al datore di lavoro nello Stato membro ospitante.

11. In caso di attività transfrontaliera, i fondi pensione devono dotarsi di mezzi patrimoniali adeguati, per le ipotesi di cui all'articolo 7-bis, comma 1. La COVIP vigila sul rispetto di questa previsione e, in caso di violazione, può anche intervenire ai sensi dell'articolo 7-bis, comma 3. Restano ferme le competenze delle autorità di vigilanza sui soggetti gestori.

12. La COVIP può prescrivere, anche in considerazione degli eventuali diversi limiti agli investimenti che il fondo pensione debba rispettare nello Stato membro ospitante, la separazione delle attività e delle passività corrispondenti alle attività svolte nello Stato membro dalle altre svolte sul territorio della Repubblica (33).

 

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(33) Articolo aggiunto dall’art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 15-ter.

Operatività in Italia delle forme pensionistiche complementari comunitarie.

1. I fondi pensione istituiti negli Stati membri dell'Unione europea, che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2003/41/CE e che risultano autorizzati dall'Autorità competente dello Stato membro di origine allo svolgimento dell'attività transfrontaliera possono raccogliere adesioni su base collettiva sul territorio della Repubblica.

2. L'operatività dei fondi di cui al comma 1 nel territorio della Repubblica è subordinata alla previa comunicazione da parte dei fondi stessi all'Autorità competente dello Stato membro di origine delle informazioni concernenti la denominazione dell'impresa e le caratteristiche principali dello schema pensionistico offerto nonchè all'avvenuta trasmissione, da parte dell'Autorità dello Stato membro di origine, della predetta informativa alla COVIP.

3. I fondi di cui al comma 1 non possono iniziare ad operare nel territorio della Repubblica prima che la COVIP abbia fornito all'Autorità dello Stato membro di origine informativa in merito alle disposizioni che devono essere rispettate con riguardo al diritto della sicurezza sociale e del lavoro, ai limiti agli investimenti e alle regole in tema di informativa agli iscritti. L'avvio dell'attività transfrontaliera è in ogni caso ammessa decorsi due mesi dall'avvenuta ricezione da parte della COVIP dell'informativa di cui al precedente comma 2.

4. Ai fondi pensione di cui al comma 1, limitatamente alle adesioni effettuate nel territorio della Repubblica ed alle risorse accumulate e gestite in relazione a tali adesioni, si applicano le norme contenute nel presente decreto in materia di destinatari, adesioni in forma collettiva, finanziamento, prestazioni, permanenza nella forma pensionistica complementare, cessazione dei requisiti di partecipazione, portabilità. Con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze sono individuate le eventuali ulteriori disposizioni di diritto della sicurezza sociale e di diritto del lavoro, incluse quelle che disciplinano l'organizzazione e la rappresentatività, le uguali trovano applicazione nei riguardi dei fondi di cui al comma 1.

5. Ai fondi di cui al comma 1, si applicano le disposizioni in materia di trasparenza emanate, in base al presente decreto, dalla COVIP per i fondi di cui all'articolo 4.

6. Nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 6, comma 5-bis, sono altresì definiti, i limiti agli investimenti che i fondi di cui al comma 1 devono eventualmente rispettare per la parte di attivi corrispondenti alle attività svolte sul territorio della Repubblica.

7. La COVIP può chiedere all'Autorità dello Stato membro di origine di prescrivere al fondo pensione la separazione delle attività e delle passività corrispondenti alle attività svolte sul territorio della Repubblica rispetto alle altre svolte fuori dal predetto territorio.

8. La COVIP è competente a vigilare sul rispetto delle disposizioni di cui ai commi 4 e 5, ferma restando la competenza dell'Autorità dello Stato membro di origine a vigilare sul rispetto delle disposizioni di cui al comma 6.

9. In caso di accertata violazione da parte del fondo pensione delle disposizioni di cui ai commi precedenti, la COVIP ne informa l'Autorità dello Stato membro di origine affinchè la stessa adotti, in coordinamento con la COVIP, le misure necessarie affinchè il fondo ponga fine alla violazione constatata. Se, nonostante l'adozione delle predette misure, il fondo pensione continua a violare le disposizioni in materia di diritto della sicurezza sociale e di diritto del lavoro applicabili ai fondi pensione transfrontalieri, la COVIP può, previa informativa all'Autorità dello Stato membro di origine, impedire la raccolta di nuove adesioni e nei casi più gravi, impedire al fondo di continuare ad operare (34).

 

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(34) Articolo aggiunto dall’art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 15-quater.

Cooperazione e scambio di informazioni tra le Autorità competenti.

1. La COVIP collabora, anche mediante la sottoscrizione di protocolli, con le Autorità competenti degli altri Stati membri ai fini della complessiva vigilanza sui fondi pensione che effettuano attività transfrontaliera e comunica, a questo fine, tutte le informazioni richieste.

2. La COVIP è l'unica Autorità italiana competente ad effettuare e a ricevere, sia nella qualità di Autorità dello Stato membro di origine sia in quella di Autorità dello Stato membro ospitante, gli scambi di comunicazioni con le altre Autorità degli Stati membri, con riguardo ai fondi pensione che svolgono attività transfrontaliera, nonchè a comunicare le disposizioni di diritto nazionale che devono trovare applicazione ai sensi dell'articolo 15-ter, commi 4, 5 e 6 (35).

 

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(35) Articolo aggiunto dall’art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 15-quinquies.

Forme pensionistiche complementari con meno di cento aderenti.

1. La COVIP può individuare, con proprio regolamento, le disposizioni del presente decreto e della normativa secondaria che non trovano applicazione nei riguardi dei fondi pensione con meno di cento aderenti.

2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, l'attività transfrontaliera può essere esercitata dai fondi pensione con meno di cento aderenti solo se trovano applicazione tutte le disposizioni del presente decreto (36).

 

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(36) Articolo aggiunto dall’art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 16.

Contributo di solidarietà.

1. Fermo restando l'assoggettamento a contribuzione ordinaria nel regime obbligatorio di appartenenza di tutte le quote ed elementi retributivi di cui all'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, anche se destinate a previdenza complementare, a carico del lavoratore, sulle contribuzioni o somme a carico del datore di lavoro, diverse da quella costituita dalla quota di accantonamento al TFR, destinate a realizzare le finalità di previdenza pensionistica complementare di cui all'articolo 1, è applicato il contributo di solidarietà previsto nella misura del 10 per cento dall'articolo 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1991, n. 166.

2. A valere sul gettito del contributo di solidarietà di cui al comma 1:

a) è finanziato, attraverso l'applicazione di una aliquota pari all'1 per cento, l'apposito fondo di garanzia istituito, mediante evidenza contabile nell'àmbito della gestione delle prestazioni temporanee dell'INPS, contro il rischio derivante dall'omesso o insufficiente versamento da parte dei datori di lavoro sottoposti a procedura di fallimento, di concordato preventivo, di liquidazione coatta amministrativa ovvero di amministrazione controllata, come previsto ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80;

b) è destinato al finanziamento della COVIP l'importo di ulteriori 3 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2005, a incremento dell'importo previsto dall'articolo 13, comma 2, della legge 8 agosto 1995, n. 335, come integrato dall'articolo 59, comma 39, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; a tale fine è autorizzata, a decorrere dall'anno 2005, la spesa di 3 milioni di euro annui a favore dell'INPS.

 

Art. 17.

Regime tributario delle forme pensionistiche complementari.

1. I fondi pensione sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell'11 per cento, che si applica sul risultato netto maturato in ciascun periodo d'imposta.

2. Per i fondi pensione in regime di contribuzione definita, per i fondi pensione il cui patrimonio, alla data del 28 aprile 1993, sia direttamente investito in immobili relativamente alla restante parte del patrimonio e per le forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 20, comma 1, in regime di contribuzione definita o di prestazione definita, gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della capitalizzazione, il risultato si determina sottraendo dal valore del patrimonio netto al termine di ciascun anno solare, al lordo dell'imposta sostitutiva, aumentato delle erogazioni effettuate per il pagamento dei riscatti, delle prestazioni previdenziali e delle somme trasferite ad altre forme pensionistiche, e diminuito dei contributi versati, delle somme ricevute da altre forme pensionistiche, nonché dei redditi soggetti a ritenuta, dei redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta e il valore del patrimonio stesso all'inizio dell'anno. I proventi derivanti da quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio soggetti ad imposta sostitutiva concorrono a formare il risultato della gestione se percepiti o se iscritti nel rendiconto del fondo e su di essi compete un credito d'imposta del 15 per cento. Il credito d'imposta concorre a formare il risultato della gestione ed è detratto dall'imposta sostitutiva dovuta. Il valore del patrimonio netto del fondo all'inizio e alla fine di ciascun anno è desunto da un apposito prospetto di composizione del patrimonio. Nel caso di fondi avviati o cessati in corso d'anno, in luogo del patrimonio all'inizio dell'anno sì assume il patrimonio alla data di avvio del fondo, ovvero in luogo del patrimonio alla fine dell'anno si assume il patrimonio alla data di cessazione del fondo. Il risultato negativo maturato nel periodo d'imposta, risultante dalla relativa dichiarazione, è computato in diminuzione del risultato della gestione dei periodi d'imposta successivi, per l'intero importo che trova in essi capienza o utilizzato in tutto o in parte, dal fondo in diminuzione del risultato di gestione di altre linee di investimento da esso gestite, a partire dal medesimo periodo d'imposta in cui è maturato il risultato negativo, riconoscendo il relativo importo a favore della linea di investimento che ha maturato il risultato negativo. Nel caso in cui all'atto dello scioglimento del fondo pensione il risultato della gestione sia negativo, il fondo stesso rilascia agli iscritti che trasferiscono la loro posizione individuale ad altra forma di previdenza, complementare o individuale, un'apposita certificazione dalla quale risulti l'importo che la forma di previdenza destinataria della posizione individuale può portare in diminuzione del risultato netto maturato nei periodi d'imposta successivi e che consente di computare la quota di partecipazione alla forma pensionistica complementare tenendo conto anche del credito d'imposta corrispondente all'11 per cento di tale importo.

3. Le ritenute operate sui redditi di capitale percepiti dai fondi di cui al comma 2 sono a titolo d'imposta. Non si applicano le ritenute previste dal comma 2 dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sugli interessi e altri proventi dei conti correnti bancari e postali, nonché la ritenuta prevista, nella misura del 12,50 per cento, dal comma 3-bis dell'articolo 26 del predetto D.P.R. n. 600 del 1973 e dal comma 1 dell'articolo 10-ter della legge 23 marzo 1983, n. 77.

4. I redditi di capitale che non concorrono a formare il risultato della gestione e sui quali non è stata applicata la ritenuta a titolo d'imposta o l'imposta sostitutiva sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta o dell'imposta sostitutiva.

5. Per i fondi pensione in regime di prestazioni definite, per le forme pensionistiche individuali di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b), e per le forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 20, comma 1, gestite mediante convenzioni con imprese di assicurazione, il risultato netto si determina sottraendo dal valore attuale della rendita in via di costituzione, calcolato al termine di ciascun anno solare, ovvero determinato alla data di accesso alla prestazione, diminuito dei contributi versati nell'anno, il valore attuale della rendita stessa all'inizio dell'anno. Il risultato negativo è computato in riduzione del risultato dei periodi d'imposta successivi, per l'intero importo che trova in essi capienza.

6. I fondi pensione il cui patrimonio, alla data del 28 aprile 1993, sia direttamente investito in beni immobili, sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dello 0,50 per cento del patrimonio riferibile agli immobili, determinato, in base ad apposita contabilità separata, secondo i criteri di valutazione previsti dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, per i fondi comuni di investimento immobiliare chiusi, calcolato come media annua dei valori risultanti dai prospetti periodici previsti dal citato decreto. Sul patrimonio riferibile al valore degli immobili per i quali il fondo pensione abbia optato per la libera determinazione dei canoni di locazione ai sensi della legge 9 dicembre 1998, n. 431, l'imposta sostitutiva di cui al periodo precedente è aumentata all'l,50 per cento.

7. Le forme pensionistiche complementari di cui all'articolo 20, comma 1, in regime di prestazioni definite gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione, se costituite in conti individuali dei singoli dipendenti, sono soggette a imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, nella misura dell'11 per cento, applicata sulla differenza, determinata alla data di accesso alla prestazione, tra il valore attuale della rendita e i contributi versati.

8. L'imposta sostitutiva di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 è versata dai fondi pensione, dai soggetti istitutori di fondi pensione aperti, dalle imprese di assicurazione e dalle società e dagli enti nell'àmbito del cui patrimonio il fondo è costituito entro il 16 febbraio di ciascun anno. Si applicano le disposizioni del capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

9. La dichiarazione relativa all'imposta sostitutiva è presentata dai fondi pensione con le modalità e negli ordinari termini previsti per la dichiarazione dei redditi. Nel caso di fondi costituiti nell'àmbito del patrimonio di società ed enti la dichiarazione è presentata contestualmente alla dichiarazione dei redditi propri della società o dell'ente. Nel caso di fondi pensione aperti e di forme pensionistiche individuali di cui all'articolo 13, comma 1, lettera b), la dichiarazione è presentata rispettivamente dai soggetti istitutori di fondi pensione aperti e dalle imprese di assicurazione.

 

Art. 18.

Vigilanza sulle forme pensionistiche complementari.

1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali vigila sulla COVIP ed esercita l'attività di alta vigilanza sul settore della previdenza complementare, mediante l'adozione, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, di direttive generali alla COVIP, volte a determinare le linee di indirizzo in materia di previdenza complementare.

2. La COVIP è istituita con lo scopo di perseguire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione delle forme pensionistiche complementari, avendo riguardo alla tutela degli iscritti e dei beneficiari e al buon funzionamento del sistema di previdenza complementare. La COVIP ha personalità giuridica di diritto pubblico.

3. La COVIP è composta da un presidente e da quattro membri, scelti tra persone dotate di riconosciuta competenza e specifica professionalità nelle materie di pertinenza della stessa e di indiscussa moralità e indipendenza, nominati ai sensi della legge 24 gennaio 1978, n. 14, con la procedura di cui all'articolo 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400; la deliberazione del Consiglio dei Ministri è adottata su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il presidente e i commissari durano in carica quattro anni e possono essere confermati una sola volta. Ad essi si applicano le disposizioni di incompatibilità, a pena di decadenza, di cui all'articolo 1, quinto comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216. Al presidente e ai commissari competono le indennità di carica fissate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. È previsto un apposito ruolo del personale dipendente della COVIP. La COVIP può avvalersi di esperti nelle materie di competenza; essi sono collocati fuori ruolo, ove ne sia fatta richiesta.

4. Le deliberazioni della COVIP sono adottate collegialmente, salvo casi di urgenza previsti dalla legge o dal regolamento di cui al presente comma. Il presidente sovrintende all'attività istruttoria e cura l'esecuzione delle deliberazioni. Il presidente della COVIP tiene informato il Ministro del lavoro e delle politiche sociali sugli atti e sugli eventi di maggior rilievo e gli trasmette le notizie ed i dati di volta in volta richiesti. La COVIP delibera con apposito regolamento, nei limiti delle risorse disponibili e sulla base dei princìpi di trasparenza e celerità dell'attività, del contraddittorio e dei criteri di organizzazione e di gestione delle risorse umane di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in ordine al proprio funzionamento e alla propria organizzazione, prevedendo per il coordinamento degli uffici la qualifica di direttore generale, determinandone le funzioni, al numero dei posti della pianta organica, al trattamento giuridico ed economico del personale, all'ordinamento delle carriere, nonché circa la disciplina delle spese e la composizione dei bilanci preventivo e consuntivo che devono osservare i princìpi del regolamento di cui all'articolo 1, settimo comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216. Tali delibere sono sottoposte alla verifica di legittimità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e sono esecutive decorsi venti giorni dalla data di ricevimento, ove nel termine suddetto non vengano formulati rilievi sulle singole disposizioni. Il trattamento economico complessivo del personale delle carriere direttiva e operativa della COVIP è definito, nei limiti dell'ottanta per cento del trattamento economico complessivo previsto per il livello massimo della corrispondente carriera o fascia retributiva per il personale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Al personale in posizione di comando o distacco è corrisposta una indennità pari alla eventuale differenza tra il trattamento erogato dall'amministrazione o dall'ente di provenienza e quello spettante al corrispondente personale di ruolo. La Corte dei conti esercita il controllo generale sulla COVIP per assicurare la legalità e l'efficacia del suo funzionamento e riferisce annualmente al Parlamento.

5. I regolamenti, le istruzioni di vigilanza e i provvedimenti di carattere generale, adottati dalla COVIP per assolvere i compiti di cui all'articolo 19, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale e nel bollettino della COVIP.

 

Art. 19.

Compiti della COVIP.

1. Le forme pensionistiche complementari di cui al presente decreto, ivi comprese quelle di cui all'articolo 20, commi 1, 3 e 8, nonché i fondi che assicurano ai dipendenti pubblici prestazioni complementari al trattamento di base e al TFR, comunque risultino gli stessi configurati nei bilanci di società o enti ovvero determinate le modalità di erogazione, ad eccezione delle forme istituite all'interno di enti pubblici, anche economici, che esercitano i controlli in materia di tutela del risparmio, in materia valutaria o in materia assicurativa, sono iscritte in un apposito albo, tenuto a cura della COVIP.

2. In conformità agli indirizzi generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e ferma restando la vigilanza di stabilità esercitata dalle rispettive autorità di controllo sui soggetti abilitati di cui all'articolo 6, comma 1, la COVIP esercita, anche mediante l'emanazione di istruzioni di carattere generale e particolare, la vigilanza su tutte le forme pensionistiche complementari. In tale àmbito:

a) definisce le condizioni che, al fine di garantire il rispetto dei princìpi di trasparenza, comparabilità e portabilità, le forme pensionistiche complementari devono soddisfare per poter essere ricondotte nell'àmbito di applicazione del presente decreto ed essere iscritte all'albo di cui al comma 1;

b) approva gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari, verificando la ricorrenza dei requisiti di cui al comma 3 dell'articolo 4 e delle altre condizioni richieste dal presente decreto e valutandone anche la compatibilità rispetto ai provvedimenti di carattere generale da essa emanati; nel disciplinare, con propri regolamenti, le procedure per l'autorizzazione dei fondi pensione all'esercizio dell'attività e per l'approvazione degli statuti e dei regolamenti dei fondi, nonché delle relative modifiche, la COVIP individua procedimenti di autorizzazione semplificati, prevedendo anche l'utilizzo del silenzio-assenso e l'esclusione di forme di approvazione preventiva. Tali procedimenti semplificati devono in particolar modo essere utilizzati nelle ipotesi di modifiche statutarie e regolamentari conseguenti a sopravvenute disposizioni normative. Ai fini di sana e prudente gestione, la COVIP può richiedere di apportare modifiche agli statuti e ai regolamenti delle forme pensionistiche complementari, fissando un termine per l'adozione delle relative delibere;

c) verifica il rispetto dei criteri di individuazione e ripartizione del rischio come individuati ai sensi dei commi 11 e 13 dell'articolo 6;

d) definisce, sentite le autorità di vigilanza sui soggetti abilitati a gestire le risorse delle forme pensionistiche complementari, i criteri di redazione delle convenzioni per la gestione delle risorse, cui devono attenersi le medesime forme pensionistiche e i gestori nella stipula dei relativi contratti;

e) verifica le linee di indirizzo della gestione e vigila sulla corrispondenza delle convenzioni per la gestione delle risorse ai criteri di cui all'articolo 6, nonché alla lettera d);

f) indica criteri omogenei per la determinazione del valore del patrimonio delle forme pensionistiche complementari, della loro redditività, nonché per la determinazione della consistenza patrimoniale delle posizioni individuali accese presso le forme stesse; detta disposizioni volte all'applicazione di regole comuni a tutte le forme pensionistiche circa la definizione del termine massimo entro il quale le contribuzioni versate devono essere rese disponibili per la valorizzazione; detta disposizioni per la tenuta delle scritture contabili, prevedendo: il modello di libro giornale, nel quale annotare cronologicamente le operazioni di incasso dei contributi e di pagamento delle prestazioni, nonché ogni altra operazione, gli eventuali altri libri contabili, il prospetto della composizione e del valore del patrimonio della forma pensionistica complementare attraverso la contabilizzazione secondo i criteri definiti in base al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, evidenziando le posizioni individuali degli iscritti e il rendiconto annuale della forma pensionistica complementare; il rendiconto e il prospetto sono considerati quali comunicazioni sociali agli effetti di cui all' art. 2621 del codice civile;

g) detta disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali di tutte le forme pensionistiche complementari, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari e garantire il diritto alla portabilità della posizione individuale tra le varie forme pensionistiche complementari, avendo anche riguardo all'esigenza di garantire la comparabilità dei costi; disciplina, tenendo presenti le disposizioni in materia di sollecitazione del pubblico risparmio, le modalità di offerta al pubblico di tutte le predette forme pensionistiche, dettando disposizioni volte all'applicazione di regole comuni per tutte le forme pensionistiche complementari, sia per la fase inerente alla raccolta delle adesioni sia per quella concernente l'informativa periodica agli aderenti circa l'andamento amministrativo e finanziario delle forme pensionistiche complementari, anche al fine di eliminare distorsioni che possano arrecare pregiudizio agli aderenti; a tale fine elabora schemi per gli statuti, i regolamenti, le schede informative, i prospetti e le note informative da indirizzare ai potenziali aderenti a tutte le forme pensionistiche complementari, nonché per le comunicazioni periodiche da inoltrare agli aderenti alle stesse; vigila sull'attuazione delle predette disposizioni nonché, in generale, sull'attuazione dei princìpi di trasparenza nei rapporti con gli aderenti, nonché sulle modalità di pubblicità, con facoltà di sospendere o vietare la raccolta delle adesioni in caso di violazione delle disposizioni stesse (37);

h) detta disposizioni volte a disciplinare le modalità con le quali le forme pensionistiche complementari sono tenute ad esporre nel rendiconto annuale e, sinteticamente, nelle comunicazioni periodiche agli iscritti, se ed in quale misura nella gestione delle risorse e nelle linee seguite nell'esercizio dei diritti derivanti dalla titolarità dei valori in portafoglio, siano stati presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali;

i) esercita il controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale, contabile delle forme pensionistiche complementari, anche mediante ispezioni presso le stesse, richiedendo l'esibizione dei documenti e degli atti che ritenga necessari;

l) riferisce periodicamente al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, formulando anche proposte di modifiche legislative in materia di previdenza complementare (38);

m) pubblica e diffonde informazioni utili alla conoscenza dei problemi previdenziali;

n) programma ed organizza ricerche e rilevazioni nel settore della previdenza complementare anche in rapporto alla previdenza di base; a tale fine, le forme pensionistiche complementari sono tenute a fornire i dati e le informazioni richiesti, per la cui acquisizione la COVIP può avvalersi anche dell'Ispettorato del lavoro.

3. Per l'esercizio della vigilanza, la COVIP può disporre che le siano fatti pervenire, con le modalità e nei termini da essa stessa stabiliti:

a) le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato e documento richiesti;

b) i verbali delle riunioni e degli accertamenti degli organi interni di controllo delle forme pensionistiche complementari.

4. La COVIP può altresì:

a) convocare presso di sè gli organi di amministrazione e di controllo delle forme pensionistiche complementari;

b) richiedere la convocazione degli organi di amministrazione delle forme pensionistiche complementari, fissandone l'ordine del giorno;

b-bis) inibire con provvedimento motivato, in tutto o in parte, per un periodo massimo di 60 giorni, l'attività della forma pensionistica complementare ove vi sia il fondato sospetto di grave violazione delle norme del presente decreto e vi sia urgenza di provvedere (39).

5. Nell'esercizio della vigilanza la COVIP ha diritto di ottenere le notizie e le informazioni richieste alle pubbliche amministrazioni. I dati, le notizie, le informazioni acquisiti dalla COVIP nell'esercizio delle proprie attribuzioni sono tutelati dal segreto d'ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'economia e delle finanze, e fatto salvo quanto previsto dal codice di procedura penale sugli atti coperti dal segreto. I dipendenti e gli esperti addetti alla COVIP nell'esercizio della vigilanza sono incaricati di un pubblico servizio. Essi sono vincolati al segreto d'ufficio e hanno l'obbligo di riferire alla COVIP tutte le irregolarità constatate, anche quando configurino fattispecie di reato (40).

6. Accordi di collaborazione possono intervenire tra la COVIP, le autorità preposte alla vigilanza sui gestori soggetti di cui all'articolo 6 e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato al fine di favorire lo scambio di informazioni e di accrescere l'efficacia dell'azione di controllo.

7. Entro il 31 maggio di ciascun anno la COVIP trasmette al Ministro del lavoro e delle politiche sociali una relazione sull'attività svolta, sulle questioni in corso di maggior rilievo e sugli indirizzi e le linee programmatiche che intende seguire. Entro il 30 giugno successivo il Ministro del lavoro e delle politiche sociali trasmette detta relazione al Parlamento con le proprie eventuali osservazioni.

 

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(37) Con Del.Covip 31 ottobre 2006 (Gazz. Uff. 21 novembre 2006, n. 271, S.O.) sono stati adottati gli schemi di statuto, di regolamento e di nota informativa previsti dalla presente lettera. Per le istruzioni sugli annunci pubblicitari relativi alle forme pensionistiche complementari vedi la Del.Covip 21 marzo 2007. Per le istruzioni relative alla redazione del «Progetto esemplificativo: stima della pensione complementare» vedi la Del. 31 gennaio 2008. Per il regolamento sulle modalità di adesione alle forme pensionistiche complementari vedi la Del. 29 maggio 2008.

(38)  Lettera così corretta con Comunicato 30 gennaio 2006 (Gazz. Uff. 30 gennaio 2006, n. 24).

(39) Lettera aggiunta dall’art. 6, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

(40) Comma così modificato dall’art. 5, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 19-bis.

Abusiva attività di forma pensionistica.

1. Chiunque eserciti l'attività di cui al presente decreto senza le prescritte autorizzazioni o approvazioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 5.200 euro a 25.000 euro. È sempre ordinata la confisca delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato (41).

 

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(41) Articolo aggiunto dall’art. 6, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 19-ter.

False informazioni.

1. I componenti degli organi di amministrazione e di controllo, i responsabili delle forme pensionistiche complementari e i liquidatori che forniscono alla COVIP segnalazioni, dati o documenti falsi, sono puniti con l'arresto da sei mesi a tre anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato (42).

 

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(42) Articolo aggiunto dall’art. 6, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28.

 

Art. 19-quater.

Sanzioni amministrative.

1. Chiunque adotti, in qualsiasi documento o comunicazione al pubblico, la denominazione "fondo pensione" senza essere iscritto, ai sensi dell'articolo 19, comma 1, del presente decreto, all'Albo tenuto a cura della COVIP è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 25.000, con provvedimento motivato del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, sentita la COVIP.

2. I componenti degli organi di amministrazione e di controllo, i responsabili delle forme pensionistiche complementari, i liquidatori e i commissari nominati ai sensi dell'articolo 15 che:

a) nel termine prescritto non ottemperano, anche in parte, alle richieste della COVIP, ovvero ritardano l'esercizio delle sue funzioni, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 25.000;

b) non osservano le disposizioni previste negli articoli 5, 6, 7, 11, 14, 15, 15-bis e 20 ovvero le disposizioni generali o particolari emanate dalla COVIP in base ai medesimi articoli nonchè in base all'articolo 19 del presente decreto, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 25.000;

c) non osservano le disposizioni sui requisiti di onorabilità e professionalità e sulle cause di incompatibilità e decadenza previste dal decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all'articolo 4, comma 3, ovvero le disposizioni sui limiti agli investimenti e ai conflitti di interessi previste dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 6, comma 5-bis, ovvero le disposizioni previste nel decreto adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di cui all'articolo 20, comma 2, del presente decreto, sono puniti con una sanzione amministrativa da euro 500 a euro 25.000;

d) non effettuano le comunicazioni relative alla sopravvenuta variazione delle condizioni di onorabilità di cui all'articolo 4, comma 3, lettera b), nel termine di quindici giorni dal momento in cui sono venuti a conoscenza degli eventi e delle situazioni relative, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.600 euro a 15.500 euro.

3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, nei casi di maggiore gravità, possono altresì essere dichiarati decaduti dall'incarico i componenti degli organi collegiali e il responsabile della forma pensionistica.

4. Le sanzioni amministrative previste nei commi 2 e 3 sono applicate, nel rispetto dei principi di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, con la procedura di cui al titolo VIII, capo VI, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, fatta salva l'attribuzione delle relative competenze alla COVIP. Le sanzioni amministrative sono determinate nella loro entità, tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonchè del vantaggio che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o ente nel cui interesse egli agisce. Gli enti rispondono in solido del pagamento della sanzione, salvo il diritto di regresso per l'intero nei confronti del responsabile della violazione. Non si applica l'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni (43).

 

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(43) Articolo aggiunto dall’art. 6, D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 28. Per il regolamento in materia di procedure sanzionatorie vedi la Del.Covip 30 maggio 2007.

 

Art. 20.

Forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421.

1. Fino alla emanazione del decreto di cui al comma 2, alle forme pensionistiche complementari che risultano istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, non si applicano gli articoli 4, comma 5, e 6, commi 1, 3 e 5. Salvo quanto previsto al comma 3, dette forme, se già configurate ai sensi dell' art. 2117 del codice civile ed indipendentemente dalla natura giuridica del datore di lavoro, devono essere dotate di strutture gestionali amministrative e contabili separate.

2. Le forme di cui al comma 1 devono adeguarsi alle disposizioni del presente decreto legislativo secondo i criteri, le modalità e i tempi stabiliti, anche in relazione alle specifiche caratteristiche di talune delle suddette forme, con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali sentita la COVIP, da adottarsi entro un anno dalla data di pubblicazione del presente decreto legislativo nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Le operazioni necessarie per l'adeguamento alle disposizioni di cui al presente comma sono esenti da ogni onere fiscale. Le forme da cui ai commi 1 sono iscritte in una sezione speciale dell'albo di cui all'articolo 19, comma 1 (44).

3. Qualora le forme pensionistiche di cui al comma 1 intendano comunque adeguarsi alle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 1, lettera d), le operazioni di conferimento non concorrono in alcun caso a formare il reddito imponibile del soggetto conferente e i relativi atti sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali nella misura fissa di euro 51,64 per ciascuna imposta; a dette operazioni si applicano, agli effetti dell'imposta sull'incremento di valore degli immobili, le disposizioni di cui all'articolo 3, secondo comma, secondo periodo, e 6, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, e successive modificazioni.

4. L'attività di vigilanza sulle forme pensionistiche di cui al comma 1 è svolta dalla COVIP secondo piani di attività differenziati temporalmente anche con riferimento alle modalità di controllo e alle diverse categorie delle predette forme pensionistiche. La COVIP riferisce al riguardo al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze.

5. Per i destinatari iscritti alle forme pensionistiche di cui al comma 1, successivamente alla data del 28 aprile 1993, si applicano le disposizioni stabilite dal presente decreto legislativo e, per quelli di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), non possono essere previste prestazioni definite volte ad assicurare una prestazione determinata con riferimento al livello del reddito, ovvero a quello del trattamento pensionistico obbligatorio.

6. L'accesso alle prestazioni per anzianità e vecchiaia assicurate dalle forme pensionistiche di cui al comma 1, che garantiscono prestazioni definite ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, è subordinato alla liquidazione del predetto trattamento.

7. Le forme pensionistiche di cui al comma 1, gestite in via prevalente secondo il sistema tecnico-finanziario della ripartizione e con squilibri finanziari, che siano già state destinatarie del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con il quale è stata accertata una situazione di squilibrio finanziario derivante dall'applicazione del previgente decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, possono deliberare di continuare, sotto la propria responsabilità, a derogare agli articoli 8 e 11. Ai relativi contributi versati continua ad applicarsi, anche per gli iscritti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, il trattamento tributario previsto dalle norme previgenti.

8. Le forme pensionistiche di cui al comma 7 debbono presentare annualmente alla COVIP e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il bilancio tecnico, nonché documentazione idonea a dimostrare il permanere della situazione finanziaria di cui al precedente comma 7; con cadenza quinquennale un piano che, con riguardo a tutti gli iscritti attivi e con riferimento alle contribuzioni e alle prestazioni, nonché al patrimonio investito, determini le condizioni necessarie ad assicurare l'equilibrio finanziario della gestione ed il progressivo allineamento alle norme generali del presente decreto. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previo parere della COVIP, accerta la sussistenza delle predette condizioni.

9. Le deliberazioni assembleari delle forme di cui al comma 1 continuano a essere validamente adottate secondo le procedure previste dai rispettivi statuti, anche con il metodo referendario, non intendendosi applicabili ad esse le modalità di presenza previste dall' art. 20 e dall' art. 21 del codice civile.

 

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(44) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 10 maggio 2007, n. 62.

 

Art. 21.

Abrogazioni e modifiche.

1. La lettera d) del comma 1 dell'articolo 52 del TUIR è sostituita dalla seguente:

«d) per le prestazioni pensionistiche di cui alla lettera h-bis) del comma 1 dell'articolo 50, comunque erogate, si applicano le disposizioni dell'articolo 11 e quelle di cui all'articolo 23, comma 6, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252».

2. La lettera e-bis) del comma 1 dell'articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è sostituita dalla seguente:

«e-bis) i contributi versati alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, alle condizioni e nei limiti previsti dall'articolo 8 del medesimo decreto. Alle medesime condizioni ed entro gli stessi limiti sono deducibili i contributi versati alle forme pensionistiche complementari istituite negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che sono inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 settembre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 19 settembre 1996, e successive modificazioni, emanato in attuazione dell'articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239» (45).

3. Sono abrogate le seguenti disposizioni del TUIR e successive modificazioni:

a) l'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 10;

b) la lettera a-bis) del comma 1 dell'articolo 17;

c) l'articolo 20;

d) la lettera d-ter) del comma 1 dell'articolo 52.

4. Il comma 3 dell'articolo 105 del TUIR è sostituito dal seguente: «3. L'ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari è deducibile nella misura prevista dall'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252».

5. All'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«1-quater. Sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche complementari di cui all'articolo 50, comma 1, lettera h-bis) del TUIR è operata una ritenuta con l'aliquota stabilita dagli articoli 11 e 14 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252».

6. Sono abrogati altresì l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, e la lettera d-bis) del comma 2 dell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

7. Sono abrogati i commi 5 e 6 dell'articolo 5 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80.

8. Fatto salvo quanto previsto all'articolo 23, comma 5, è abrogato il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.

 

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(45) Comma così sostituito dal comma 314 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

 

Art. 22.

Disposizioni finanziarie.

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui al presente decreto legislativo, volti al rafforzamento della vigilanza sulle forme pensionistiche complementari e alla realizzazione di campagne informative intese a promuovere adesioni consapevoli alle medesime forme pensionistiche complementari è autorizzata, per l'anno 2005, la spesa di 17 milioni di euro.

2. All'onere derivante dall'attuazione del presente decreto legislativo, per gli anni a decorrere al 2005, si provvede mediante utilizzazione dello stanziamento previsto all'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

 

Art. 23.

Entrata in vigore e norme transitorie.

1. Il presente decreto legislativo entra in vigore il 1° gennaio 2007, salvo per quanto attiene alle disposizioni di cui agli articoli 16, comma 2, lettera b), 18, 19 e 22, comma 1, che entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione del presente decreto legislativo nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. I contratti di assicurazione di carattere previdenziale stipulati fino alla data del 31 dicembre 2006 continuano ad essere disciplinati dalle disposizioni vigenti alla data di pubblicazione del presente decreto legislativo (46).

2. Le norme di cui all'articolo 8, comma 7, relative alle modalità tacite di conferimento del TFR alle forme pensionistiche complementari, non si applicano ai lavoratori le cui aziende non sono in possesso dei requisiti di accesso al Fondo di garanzia di cui all'articolo 10, comma 3, limitatamente al periodo in cui sussista tale situazione e comunque non oltre un anno dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo; i lavoratori delle medesime aziende possono tuttavia conferire il TFR secondo le modalità esplicite di cui all'articolo 8, comma 7, e in questo caso l'azienda beneficia delle agevolazioni previste al predetto articolo 10, con esclusione dell'accesso al predetto Fondo di garanzia (47).

3. Entro sei mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dal presente decreto legislativo, la COVIP emana le direttive, a tutte le forme pensionistiche, sulla base dei contenuti del presente decreto legislativo. Per ricevere nuove adesioni, anche con riferimento al finanziamento tramite conferimento del TFR (48):

a) tutte le forme pensionistiche devono adeguarsi, sulla base delle citate direttive, alle norme del presente decreto legislativo;

b) le imprese di assicurazione, per le forme pensionistiche individuali attuate prima della predetta data mediante contratti di assicurazione sulla vita, provvedono:

1) alla costituzione, entro il 31 marzo 2007, del patrimonio autonomo e separato di cui all'articolo 13, comma 3, con l'individuazione degli attivi posti a copertura dei relativi impegni secondo criteri di proporzionalità dei valori e delle tipologie degli attivi stessi (49);

2) alla predisposizione del regolamento di cui all'articolo 13, comma 3 (50).

3-bis. Per le forme pensionistiche complementari di cui agli articoli 12 e 13, le disposizioni previste agli articoli 4 e 5 in materia di responsabile della forma pensionistica e dell'organismo di sorveglianza si applicano a decorrere dal 1° luglio 2007 (51).

4. A decorrere dal 1° gennaio 2007, le forme pensionistiche complementari che hanno provveduto agli adeguamenti di cui alle lettere a) e b), n. 2), del comma 3, dandone comunicazione alla COVIP secondo le istruzioni impartite dalla stessa, possono ricevere nuove adesioni anche con riferimento al finanziamento tramite conferimento del TFR. Relativamente a tali adesioni, le forme pensionistiche complementari che entro il 30 giugno 2007 abbiano ricevuto da parte della COVIP, anche tramite procedura di silenzio-assenso ai sensi dell'articolo 19, comma 2, lettera b), l'autorizzazione o l'approvazione in ordine ai predetti adeguamenti ed abbiano altresì provveduto, per quanto di competenza, agli ulteriori adeguamenti di cui al comma 3, lettera b), n. 1), ricevono, a decorrere dal 1° luglio 2007, il versamento del TFR e dei contributi eventualmente previsti, anche con riferimento al periodo compreso tra il 1° gennaio 2007 e il 30 giugno 2007. Con riguardo ai lavoratori di cui all'articolo 8, comma 7, lettera c), n. 1), il predetto differimento si applica relativamente al versamento del residuo TFR. Qualora la forma pensionistica complementare non abbia ricevuto entro il 30 giugno 2007 la predetta autorizzazione o approvazione, all'aderente è consentito trasferire l'intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica complementare, anche in mancanza del periodo minimo di partecipazione di due anni di cui all'articolo 14, comma 6 (52).

4-bis. Le forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, possono ricevere nuove adesioni anche con riferimento al finanziamento tramite conferimento del TFR a far data dal 1° gennaio 2007. Tali forme, ai fini del conferimento del TFR, devono adeguarsi, in conformità delle disposizioni emanate in attuazione dell'articolo 20, comma 2, del presente decreto legislativo, entro il 31 maggio 2007 (53).

5. Per i soggetti che risultino iscritti a forme pensionistiche complementari alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni si rendono applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2007. Per i medesimi soggetti, relativamente ai montanti delle prestazioni accumulate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti ad eccezione dell'articolo 20, comma 1, secondo periodo, del TUIR. Per le prestazioni erogate anteriormente alla suddetta data per le quali gli uffici finanziari non hanno provveduto a tale data, all'iscrizione a ruolo per le maggiori imposte dovute ai sensi dell'articolo 20, comma 1, secondo periodo, del predetto testo unico, non si dà luogo all'attività di riliquidazione prevista dal medesimo secondo periodo del comma 1 dell'articolo 20 del medesimo testo unico (54).

6. Fino all'emanazione del decreto legislativo di attuazione dell'articolo 1, comma 2, lettera p), della legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente ed integralmente la previgente normativa.

7. Per i lavoratori assunti antecedentemente al 29 aprile 1993 e che entro tale data risultino iscritti a forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421:

a) alle contribuzioni versate dalla data di entrata in vigore del presente decreto si applicano le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 8;

b) ai montanti delle prestazioni entro il 31 dicembre 2006 si applica il regime tributario vigente alla predetta data;

c) ai montanti delle prestazioni a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ferma restando la possibilità di richiedere la liquidazione della intera prestazione pensionistica complementare in capitale secondo il valore attuale con applicazione del regime tributario vigente alla data del 31 dicembre 2006 sul montante accumulato a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è concessa la facoltà al singolo iscritto di optare per l'applicazione del regime di cui all'articolo 11 (55).

7-bis. Nel caso di conferimento alla forma pensionistica complementare di quote di TFR maturate entro il 31 dicembre 2006 resta ferma, in occasione dell’erogazione delle prestazioni, l’applicazione delle disposizioni del comma 5. A tal fine le somme versate concorrono a incrementare convenzionalmente la posizione individuale in corrispondenza dei periodi di formazione del TFR conferito. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabiliti i criteri e le modalità per lo scambio delle informazioni tra le forme pensionistiche e i datori di lavoro presso i quali sono maturate le quote di TFR. Le disposizioni del presente comma si applicano per i conferimenti effettuati a partire dal 1° gennaio 2007 (56).

8. Ai lavoratori assunti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo si applicano, per quanto riguarda le modalità di conferimento del TFR, le disposizioni di cui all'articolo 8, comma 7, e il termine di sei mesi ivi previsto decorre dal 1° gennaio 2007 (57).

 

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(46) Comma così modificato dal comma 749 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(47)  Comma così corretto con Comunicato 30 gennaio 2006 (Gazz. Uff. 30 gennaio 2006, n. 24).

(49) Numero così modificato dal comma 749 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(48) Alinea così modificato dal comma 749 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296. Il presente alinea era stato inoltre modificato dall'art. 1, D.L. 13 novembre 2006, n. 279, non convertito in legge.

(50) Comma aggiunto dall'art. 1, D.L. 13 novembre 2006, n. 279 e poi così sostituito dal comma 749 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296. Il citato D.L. n. 279 del 2006 non è stato convertito in legge.

(51)  Le direttive previste dal presente comma sono state emanate con Del.Covip 28 giugno 2006.

(52) Comma così sostituito dal comma 749 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi la Del.Covip 30 novembre 2006. Il presente comma era stato sostituito dall'art. 1, D.L. 13 novembre 2006, n. 279, non convertito in legge.

(53) Comma aggiunto dal comma 753 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(54) Comma così modificato dal comma 749 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(55)  Comma prima corretto con Comunicato 30 gennaio 2006 (Gazz. Uff. 30 gennaio 2006, n. 24) e poi così modificato dal comma 749 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

(56) Comma aggiunto dal comma 515 dell'art. 2, L. 24 dicembre 2007, n. 244.

(57)  Comma prima corretto con Comunicato 30 gennaio 2006 (Gazz. Uff. 30 gennaio 2006, n. 24) e poi così modificato dal comma 749 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.

 


D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 30.
Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della L. 5 giugno 2003, n. 131

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 8 febbraio 2006, n. 32.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76, 87 e 117 della Costituzione,

Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

Viste le leggi vigenti in materia di professioni;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 7 maggio 2004;

Acquisito il parere preliminare della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

Acquisito il parere preliminare delle competenti Commissioni parlamentari;

Vista l'ulteriore deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 24 giugno 2005;

Acquisito il parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato;

Acquisito il parere definitivo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

Acquisito il parere definitivo della Commissione parlamentare per le questioni regionali;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 2 dicembre 2005;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri della giustizia, per le politiche comunitarie, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, delle attività produttive, della salute e per i beni e le attività culturali;

 

Emana il seguente decreto legislativo:

 

Capo I - Disposizioni generali

 

Art. 1.

Ambito di applicazione.

1. Il presente decreto legislativo individua i princìpi fondamentali in materia di professioni, di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, che si desumono dalle leggi vigenti ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni.

2. Le regioni esercitano la potestà legislativa in materia di professioni nel rispetto dei princìpi fondamentali di cui al Capo II.

3. La potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale.

4. Nell'àmbito di applicazione del presente decreto non rientrano: la formazione professionale universitaria; la disciplina dell'esame di Stato previsto per l'esercizio delle professioni intellettuali, nonché i titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l'esercizio professionale; l'ordinamento e l'organizzazione degli Ordini e dei collegi professionali; gli albi, i registri, gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell'affidamento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei titoli professionali e il riconoscimento e l'equipollenza, ai fini dell'accesso alle professioni, di quelli conseguiti all'estero.

 

Capo II - Principi fondamentali

 

Art. 2.

Libertà professionale.

1. L'esercizio della professione, quale espressione del principio della libertà di iniziativa economica, è tutelato in tutte le sue forme e applicazioni, purché non contrarie a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume. Le regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino l'esercizio della professione.

 

2. Nell'esercizio dell'attività professionale è vietata qualsiasi discriminazione, che sia motivata da ragioni sessuali, razziali, religiose, politiche o da ogni altra condizione personale o sociale, secondo quanto stabilito dalla disciplina statale e comunitaria in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

3. L'esercizio dell'attività professionale in forma di lavoro dipendente si svolge secondo specifiche disposizioni normative che assicurino l'autonomia del professionista.

4. Le associazioni rappresentative di professionisti che non esercitano attività regolamentate o tipiche di professioni disciplinate ai sensi dell'articolo 2229 del codice civile, se in possesso dei requisiti e nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge per il conseguimento della personalità giuridica, possono essere riconosciute dalla regione nel cui àmbito territoriale si esauriscono le relative finalità statutarie.

 

Art. 3.

Tutela della concorrenza e del mercato.

1. L'esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale.

2. L'attività professionale esercitata in forma di lavoro autonomo è equiparata all'attività d'impresa ai fini della concorrenza di cui agli articoli 81, 82 e 86 (ex articoli 85, 86 e 90) del Trattato CE, salvo quanto previsto dalla normativa in materia di professioni intellettuali.

3. Gli interventi pubblici a sostegno dello sviluppo delle attività professionali sono ammessi, secondo le rispettive competenze di Stato e Regioni, nel rispetto della normativa comunitaria.

 

Art. 4.

Accesso alle professioni.

1. L'accesso all'esercizio delle professioni è libero, nel rispetto delle specifiche disposizioni di legge.

2. La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato.

3. I titoli professionali rilasciati dalla regione nel rispetto dei livelli minimi uniformi di preparazione stabiliti dalle leggi statali consentono l'esercizio dell'attività professionale anche fuori dei limiti territoriali regionali.

 

Art. 5.

Regolazione delle attività professionali.

1. L'esercizio delle attività professionali si svolge nel rispetto dei princìpi di buona fede, dell'affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, della tutela degli interessi pubblici, dell'ampliamento e della specializzazione dell'offerta dei servizi, dell'autonomia e responsabilità del professionista.

 

Capo III - Disposizioni finali

 

Art. 6.

Regioni a statuto speciale.

1. Per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano resta fermo quanto previsto dall'articolo l1 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

 

Art. 7.

Norma di rinvio.

1. I princìpi fondamentali di cui al presente decreto legislativo si applicano a tutte le professioni. Restano fermi quelli riguardanti specificamente le singole professioni.

 


L. 1° febbraio 2006, n. 43.
Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali

 

 

(1)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 17 febbraio 2006, n. 40.

 

 

Art. 1.

Definizione.

1. Sono professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, quelle previste ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, e del D.M. 29 marzo 2001 del Ministro della sanità, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2001, i cui operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione.

2. Resta ferma la competenza delle regioni nell'individuazione e formazione dei profili di operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie come definite dal comma 1.

3. Le norme della presente legge si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in quanto compatibili con i rispettivi statuti speciali e le relative norme di attuazione.

 

Art. 2.

Requisiti.

1. L'esercizio delle professioni sanitarie di cui all'articolo 1, comma 1, è subordinato al conseguimento del titolo universitario rilasciato a seguito di esame finale con valore abilitante all'esercizio della professione. Tale titolo universitario è definito ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), è valido sull'intero territorio nazionale nel rispetto della normativa europea in materia di libera circolazione delle professioni ed è rilasciato a seguito di un percorso formativo da svolgersi in tutto o in parte presso le aziende e le strutture del Servizio sanitario nazionale, inclusi gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), individuate dalle regioni, sulla base di appositi protocolli d'intesa tra le stesse e le università, stipulati ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni. Fermo restando il titolo universitario abilitante, il personale del servizio sanitario militare, nonché quello addetto al comparto sanitario del Corpo della guardia di finanza, può svolgere il percorso formativo presso le strutture del servizio stesso, individuate con decreto del Ministro della salute, che garantisce la completezza del percorso formativo. Per il personale addetto al settore sanitario della Polizia di Stato, alle medesime condizioni, il percorso formativo può essere svolto presso le stesse strutture della Polizia di Stato, individuate con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro della salute, che garantisce la completezza del percorso formativo.

2. Gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea di cui al comma 1 sono definiti con uno o più decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni. L'esame di laurea ha valore di esame di Stato abilitante all'esercizio della professione. Dall'applicazione delle disposizioni di cui al presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le università possono procedere alle eventuali modificazioni dell'organizzazione didattica dei corsi di laurea già esistenti, ovvero all'istituzione di nuovi corsi di laurea, nei limiti delle risorse a tal fine disponibili nei rispettivi bilanci.

3. L'iscrizione all'albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti ed è subordinata al conseguimento del titolo universitario abilitante di cui al comma 1, salvaguardando comunque il valore abilitante dei titoli già riconosciuti come tali alla data di entrata in vigore della presente legge.

4. L'aggiornamento professionale è effettuato secondo modalità identiche a quelle previste per la professione medica.

5. All'articolo 3-bis, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ovvero espletamento del mandato parlamentare di senatore o deputato della Repubblica nonché di consigliere regionale».

6. All'articolo 16-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

«2-bis. I laureati in medicina e chirurgia e gli altri operatori delle professioni sanitarie, obbligati ai programmi di formazione continua di cui ai commi 1 e 2, sono esonerati da tale attività formativa limitatamente al periodo di espletamento del mandato parlamentare di senatore o deputato della Repubblica nonché di consigliere regionale».

 

Art. 3.

Istituzione degli ordini delle professioni sanitarie.

1. In ossequio all'articolo 32 della Costituzione e in conseguenza del riordino normativo delle professioni sanitarie avviato, in attuazione dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, e dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, nonché delle riforme degli ordinamenti didattici adottate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al fine di adeguare il livello culturale, deontologico e professionale degli esercenti le professioni in ambito sanitario a quello garantito negli Stati membri dell'Unione europea, la presente legge regolamenta le professioni sanitarie di cui all'articolo 1, nel rispetto dei diversi iter formativi, anche mediante l'istituzione dei rispettivi ordini ed albi, ai quali devono accedere gli operatori delle professioni sanitarie esistenti, nonché di quelle di nuova configurazione.

 

Art. 4.

Delega al Governo per l'istituzione degli ordini ed albi professionali.

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi al fine di istituire, per le professioni sanitarie di cui all'articolo 1, comma 1, i relativi ordini professionali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nel rispetto delle competenze delle regioni e sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi (2):

a) trasformare i collegi professionali esistenti in ordini professionali, salvo quanto previsto alla lettera b) e ferma restando, ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, e del citato D.M. 29 marzo 2001 del Ministro della sanità, l'assegnazione della professione dell'assistente sanitario all'ordine della prevenzione, prevedendo l'istituzione di un ordine specifico, con albi separati per ognuna delle professioni previste dalla legge n. 251 del 2000, per ciascuna delle seguenti aree di professioni sanitarie: area delle professioni infermieristiche; area della professione ostetrica; area delle professioni della riabilitazione; area delle professioni tecnico-sanitarie; area delle professioni tecniche della prevenzione;

b) aggiornare la definizione delle figure professionali da includere nelle fattispecie di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 10 agosto 2000, n. 251, come attualmente disciplinata dal decreto ministeriale 29 marzo 2001;

c) individuare, in base alla normativa vigente, i titoli che consentano l'iscrizione agli albi di cui al presente comma;

d) definire, per ciascuna delle professioni di cui al presente comma, le attività il cui esercizio sia riservato agli iscritti agli ordini e quelle il cui esercizio sia riservato agli iscritti ai singoli albi;

e) definire le condizioni e le modalità in base alle quali si possa costituire un unico ordine per due o più delle aree di professioni sanitarie individuate ai sensi della lettera a);

f) definire le condizioni e le modalità in base alle quali si possa costituire un ordine specifico per una delle professioni sanitarie di cui al presente comma, nell'ipotesi che il numero degli iscritti al relativo albo superi le ventimila unità, facendo salvo, ai fini dell'esercizio delle attività professionali, il rispetto dei diritti acquisiti dagli iscritti agli altri albi dell'ordine originario e prevedendo che gli oneri della costituzione siano a totale carico degli iscritti al nuovo ordine;

g) prevedere, in relazione al numero degli operatori, l'articolazione degli ordini a livello provinciale o regionale o nazionale;

h) disciplinare i princìpi cui si devono attenere gli statuti e i regolamenti degli ordini neocostituiti;

i) prevedere che le spese di costituzione e di funzionamento degli ordini ed albi professionali di cui al presente articolo siano poste a totale carico degli iscritti, mediante la fissazione di adeguate tariffe;

l) prevedere che, per gli appartenenti agli ordini delle nuove categorie professionali, restino confermati gli obblighi di iscrizione alle gestioni previdenziali previsti dalle disposizioni vigenti.

2. Gli schemi dei decreti legislativi predisposti ai sensi del comma 1, previa acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro quaranta giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine previsto per i pareri dei competenti organi parlamentari scada nei trenta giorni che precedono o seguono la scadenza del termine di cui al comma 1, quest'ultimo s'intende automaticamente prorogato di novanta giorni.

 

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(2) Alinea così modificato dall'art. 1, L. 17 ottobre 2007, n. 189 (Gazz. Uff. 8 novembre 2007, n. 260) entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione ai sensi di quanto disposto dall'art. 2 della stessa legge.

 

Art. 5.

Individuazione di nuove professioni in ambito sanitario.

1. L'individuazione di nuove professioni sanitarie da ricomprendere in una delle aree di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 10 agosto 2000, n. 251, il cui esercizio deve essere riconosciuto su tutto il territorio nazionale, avviene in sede di recepimento di direttive comunitarie ovvero per iniziativa dello Stato o delle regioni, in considerazione dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti nel Piano sanitario nazionale o nei Piani sanitari regionali, che non trovano rispondenza in professioni già riconosciute.

2. L'individuazione è effettuata, nel rispetto dei princìpi fondamentali stabiliti dalla presente legge, mediante uno o più accordi, sanciti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e recepiti con decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

3. L'individuazione è subordinata ad un parere tecnico-scientifico, espresso da apposite commissioni, operanti nell'ambito del Consiglio superiore di sanità, di volta in volta nominate dal Ministero della salute, alle quali partecipano esperti designati dal Ministero della salute e dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e i rappresentanti degli ordini delle professioni di cui all'articolo 1, comma 1, senza oneri a carico della finanza pubblica. A tal fine, la partecipazione alle suddette commissioni non comporta la corresponsione di alcuna indennità o compenso né rimborso spese.

4. Gli accordi di cui al comma 2 individuano il titolo professionale e l'ambito di attività di ciascuna professione.

5. La definizione delle funzioni caratterizzanti le nuove professioni avviene evitando parcellizzazioni e sovrapposizioni con le professioni già riconosciute o con le specializzazioni delle stesse.

 

Art. 6.

Istituzione della funzione di coordinamento.

1. In conformità all'ordinamento degli studi dei corsi universitari, disciplinato ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, il personale laureato appartenente alle professioni sanitarie di cui all'articolo 1, comma 1, della presente legge, è articolato come segue:

a) professionisti in possesso del diploma di laurea o del titolo universitario conseguito anteriormente all'attivazione dei corsi di laurea o di diploma ad esso equipollente ai sensi dell'articolo 4 della legge 26 febbraio 1999, n. 42;

b) professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento rilasciato dall'università ai sensi dell'articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, e dell'articolo 3, comma 9, del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270;

c) professionisti specialisti in possesso del master di primo livello per le funzioni specialistiche rilasciato dall'università ai sensi dell'articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, e dell'articolo 3, comma 9, del regolamento di cui al D.M. 22 ottobre 2004, n. 270 del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

d) professionisti dirigenti in possesso della laurea specialistica di cui al D.M. 2 aprile 2001 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 128 del 5 giugno 2001, e che abbiano esercitato l'attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni, oppure ai quali siano stati conferiti incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, e successive modificazioni.

2. Per i profili delle professioni sanitarie di cui al comma 1 può essere istituita la funzione di coordinamento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tal fine, l'eventuale conferimento di incarichi di coordinamento ovvero di incarichi direttivi comporta per le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche interessate, ai sensi dell'articolo 7 della legge 10 agosto 2000, n. 251, l'obbligo contestuale di sopprimere nelle piante organiche di riferimento un numero di posizioni effettivamente occupate ed equivalenti sul piano finanziario.

3. I criteri e le modalità per l'attivazione della funzione di coordinamento in tutte le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private sono definiti, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con apposito accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Ministro della salute e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

4. L'esercizio della funzione di coordinamento è espletato da coloro che siano in possesso dei seguenti requisiti:

a) master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento nell'area di appartenenza, rilasciato ai sensi dell'articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, e dell'articolo 3, comma 9, del regolamento di cui al D.M. 22 ottobre 2004, n. 270 del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

b) esperienza almeno triennale nel profilo di appartenenza.

5. Il certificato di abilitazione alle funzioni direttive nell'assistenza infermieristica, incluso quello rilasciato in base alla pregressa normativa, è valido per l'esercizio della funzione di coordinatore.

6. Il coordinamento viene affidato nel rispetto dei profili professionali, in correlazione agli ambiti ed alle specifiche aree assistenziali, dipartimentali e territoriali.

7. Le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, nelle aree caratterizzate da una determinata specificità assistenziale, ove istituiscano funzioni di coordinamento ai sensi del comma 2, affidano il coordinamento allo specifico profilo professionale.

 

Art. 7.

Disposizioni finali.

1. Alle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione già riconosciute alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nelle rispettive fonti di riconoscimento, salvo quanto previsto dalla presente legge.

2. Con il medesimo procedimento di cui all'articolo 6, comma 3, della presente legge, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, previa acquisizione del parere degli ordini professionali delle professioni interessate, si può procedere ad integrazioni delle professioni riconosciute ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.

3. La presente legge non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 


D.L. 4 luglio 2006, n. 223
(convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 4 agosto 2006, n. 248)
Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale
(art. 2)

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 4 luglio 2006, n. 153.

(2) Convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 4 agosto 2006, n. 248 (Gazz. Uff. 11 agosto 2006, n. 186, S.O.), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di rafforzare la libera scelta dei consumatori e di rendere più concorrenziali gli assetti di mercato, favorendo anche il rilancio dell'economia e dell'occupazione;

Ritenuta altresì la straordinaria necessità ed urgenza di adottare interventi intesi a razionalizzare e contenere i livelli di spesa pubblica, nonchè in tema di entrate e di contrasto all'evasione ed elusione fiscale;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 30 giugno 2006;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro dello sviluppo economico;

 

Emana il seguente decreto-legge:

(omissis)

 

Art. 2.

Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali.

1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:

a) l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti (4);

b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonchè il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall'ordine (5);

c) il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità (6).

2. Sono fatte salve le disposizioni riguardanti l'esercizio delle professioni reso nell'ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, nonchè le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale (7).

2-bis. All'articolo 2233 del codice civile, il terzo comma è sostituito dal seguente:

«Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali» (8).

3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l'adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle.

 

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(4)  Lettera così modificata dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248. Vedi, anche, la Det. 29 marzo 2007, n. 4/2007.

(5)  Lettera così sostituita dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248.

(6)  Lettera così sostituita dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248.

(7) Comma così modificato prima dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248 e poi dal comma 1 dell'art. 256, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, come modificato dalla lettera zz) del comma 1 dell'art. 2, D.Lgs. 11 settembre 2008, n. 152 (Gazz. Uff. 2 ottobre 2008, n. 231, S.O.)

(8) Comma aggiunto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248.

 

(omissis)

 


D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206.
Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonchè della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania
(art. 26)

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 9 novembre 2007, n. 261, S.O.

 

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

 

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Vista la legge 25 gennaio 2006, n. 29, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed in particolare l'articolo 1, commi 1, 3 e 4 e l'allegato B;

Vista la direttiva n. 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali;

Vista la direttiva 2006/100/CE del Consiglio, del 20 novembre 2006, che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a motivo dell'adesione della Bulgaria e della Romania;

Visto il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115, di attuazione della direttiva 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni;

Visto il decreto legislativo 2 maggio 1994, n. 319, recante attuazione della direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE;

Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante approvazione del Codice in materia di protezione dei dati personali;

Visto il decreto legislativo 20 settembre 2002, n. 229, recante attuazione della direttiva 99/42/CE che istituisce un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali disciplinate dalle direttive di liberalizzazione e dalle direttive recanti misure transitorie e che completa il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche;

Visto il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, recante attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE;

Vista la legge 13 giugno 1985, n. 296, relativa al diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi da parte delle ostetriche con cittadinanza di uno degli Stati membri della Comunità economica europea;

Visto il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 129, relativo all'attuazione delle direttive 85/384/CEE, n. 85/614/CEE e n. 86/17/CEE in materia di riconoscimento dei diplomi, delle certificazioni e altri titoli nel settore dell'architettura;

Vista la legge 24 luglio 1985, n. 409, relativa alla istituzione della professione sanitaria di odontoiatra e disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee;

Vista la legge 18 dicembre 1980, n. 905, relativa al diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi da parte degli infermieri professionali cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea;

Vista la legge 8 novembre 1984, n. 750, relativa al diritto di stabilimento e libera prestazione di servizi da parte dei veterinari cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea;

Visto il decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 258, relativo alla attuazione delle direttive 85/432/CEE, n. 85/433/CEE e n. 85/584/CEE, in materia di formazione e diritto di stabilimento dei farmacisti a norma dell'articolo 6 della legge 30 luglio 1990, n. 212;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 27 luglio 2007;

Acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 23 ottobre 2007;

Sulla proposta dei Ministri per le politiche europee, della pubblica istruzione, dell'università e della ricerca, della salute e della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri, dell'economia e delle finanze, del lavoro e della previdenza sociale, dello sviluppo economico, per i beni e le attività culturali, dei trasporti e per gli affari regionali e le autonomie locali;

 

Emana

il seguente decreto legislativo:

 

(omissis)

Art. 26.

Piattaforma comune.

1. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, al fine di elaborare proposte in materia di piattaforme comuni di cui all'articolo 4, comma 1, lettera n), da sottoporre alla Commissione europea, convoca apposite conferenze di servizi cui partecipano le autorità competenti di cui all'articolo 5. Sulla ipotesi di piattaforma elaborata dall'autorità competente di cui all'articolo 5 o, in mancanza, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, vengono sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi o gli albi, ove esistenti, e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale, se si tratta di professioni non regolamentate in Italia, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale e, se si tratta di attività nell'area dei servizi non intellettuali e non regolamentate, le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale.

2. All'elaborazione di piattaforme comuni, proposte da altri Stati membri, partecipano le autorità competenti di cui all'articolo 5, sentiti, se si tratta di professioni regolamentate, gli ordini, i collegi o gli albi, ove esistenti, e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale, se si tratta di professioni non regolamentate in Italia, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale e, se si tratta di attività nell'area dei servizi non intellettuali e non regolamentate, le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale. Analogamente si procede in ogni altro caso in cui a livello europeo deve essere espressa la posizione italiana in materia di piattaforma comune.

3. Al fine della valutazione in ordine alla rappresentatività a livello nazionale delle professioni non regolamentate si tiene conto:

a) della avvenuta costituzione per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o per scrittura privata registrata presso l'ufficio del registro, da almeno quattro anni;

b) della adozione di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica, senza scopo di lucro, la precisa identificazione delle attività professionali cui l'associazione si riferisce e dei titoli professionali o di studi necessari per farne parte, la rappresentatività elettiva delle cariche interne e l'assenza di situazioni di conflitto di interesse o di incompatibilità, la trasparenza degli assetti organizzativi e l'attività dei relativi organi, la esistenza di una struttura organizzativa, e tecnico-scientifica adeguata all'effettivo raggiungimento delle finalità dell'associazione;

c) della tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari;

d) di un sistema di deontologia professionale con possibilità di sanzioni;

e) della previsione dell'obbligo della formazione permanente;

f) della diffusione su tutto il territorio nazionale;

g) della mancata pronunzia nei confronti dei suoi rappresentanti legali di condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima.

4. Qualora le qualifiche professionali del richiedente rispondano ai criteri stabiliti nel provvedimento comunitario di adozione della piattaforma comune, il riconoscimento professionale non può prevedere l'applicazione dei provvedimenti di compensazione di cui all'articolo 22. Le associazioni in possesso dei requisiti di cui al periodo precedente sono individuate, previo parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per le politiche europee e del Ministro competente per materia.

5. Se successivamente all'adozione da parte dell'Unione europea le autorità competenti di cui all'articolo 5 ritengono che i criteri stabiliti nel provvedimento comunitario di adozione della piattaforma comune non offrano più garanzie adeguate quanto alle qualifiche professionali, ne informa il coordinatore di cui all'articolo 6 che cura la trasmissione dell'informazione alla Commissione europea per le iniziative del caso (5).

 

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(5) Vedi, anche, il D.M. 28 aprile 2008.

 

(omissis)


 

D.M. 28 aprile 2008.
Requisiti per la individuazione e l'annotazione degli enti di cui all'articolo 26 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, nell'elenco delle associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi, nonché dei servizi non intellettuali e delle professioni non regolamentate. Procedimento per la valutazione delle istanze e per la annotazione nell'elenco. Procedimento per la revisione e gestione dell'elenco. (2)

 

(1).

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 26 maggio 2008, n. 122.

(2) Emanato dal Ministero della giustizia.

 

 

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

 

di concerto con

 

IL MINISTRO PER LE POLITICHE EUROPEE

 

Visto il considerando 16 della direttiva 2005/36/CE del Parlamento e del Consiglio del 7 settembre 2005;

 

Visto l'art. 15, comma 2, della direttiva 2005/36/CE;

 

Visto l'art. 3, comma 2, della direttiva 2005/36/CE;

 

Visto l'art. 26, commi 1 e 2, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, di attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che coordina le direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania all'Unione europea, secondo cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, al fine di elaborare proposte in materia di piattaforme comuni di cui all'art. 4, comma 1, lettera n), da sottoporre alla Commissione europea, convoca apposite conferenze di servizi cui partecipano le autorità competenti di cui all'art. 5, e prevede che, sulla ipotesi di piattaforma elaborata, vengono sentiti: a) se si tratta di professioni regolamentate: gli ordini, i collegi o gli albi, ove esistenti, e, in mancanza, le associazioni rappresentative sul territorio nazionale; b) se si tratta di professioni non regolamentate in Italia: le associazioni rappresentative sul territorio nazionale; c) se si tratta di attività nell'area dei servizi non intellettuali e di professioni non regolamentate: le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale. Le medesime disposizioni si osservano per quanto attiene alla partecipazione al procedimento di elaborazione di piattaforme comuni, proposte da altri Stati membri, da parte degli ordini, collegi, albi, e delle associazioni rappresentative sul territorio nazionale, nonché in ogni altro caso in cui a livello europeo deve essere espressa la posizione dello Stato in materia di piattaforma comune;

 

Visto l'art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206;

 

Ritenuta la necessità di chiarire le modalità per la individuazione dei criteri per la valutazione della rappresentatività a livello nazionale delle associazioni delle professioni regolamentate, ove non siano esistenti ordini, albi o collegi, delle professioni non regolamentate o delle attività nell'area dei servizi non intellettuali;

 

Ritenuta la necessità di individuare le modalità per l'adozione e la revoca del decreto di individuazione delle associazioni rappresentative a livello nazionale, e la loro annotazione all'interno di un elenco al fine di un'ordinata gestione delle attività conseguenti;

 

Decreta:

 

Art. 1.

 

1.  Gli enti di cui all'art. 26 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, sono inseriti, a domanda, nell'elenco tenuto dal Ministero della giustizia quando sono rappresentativi a livello nazionale in base al possesso dei seguenti requisiti:

 

 

a)  che l'attività sia svolta in relazione alle professioni regolamentate definite ai sensi dell'art. 4, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, e per le quali non siano istituiti ordini, albi o collegi o che l'attività sia svolta nell'area dei servizi non intellettuali o in relazione a professioni non regolamentate, che pertanto non rientrano tra quelle di cui all'art. 4, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206;

b)  l'ente sia stato costituito per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero mediante scrittura privata registrata;

c)  il relativo statuto assicuri:

1)  la finalità dell'ente sia la tutela della specifica attività svolta dai professionisti o esercenti arti e mestieri;

2)  garanzie di democraticità sia per il funzionamento degli organismi deliberativi, sia per il conferimento delle cariche sociali, anche attraverso la previsione della durata degli incarichi e di un limite alla reiterazione, sia per la prevenzione di situazioni di conflitto di interessi o di incompatibilità;

3)  la necessaria trasparenza degli assetti organizzativi;

4)  una struttura adeguata all'effettivo raggiungimento delle finalità dell'associazione;

5)  la partecipazione all'associazione soltanto di chi abbia conseguito titoli professionali nello svolgimento della rispettiva attività o abbia conseguito una scolarizzazione adeguata rispetto alle attività professionali oggetto della associazione;

6)  l'assenza di scopo di lucro;

7)  l'obbligo degli appartenenti di procedere all'aggiornamento professionale costante e la predisposizione di strumenti idonei ad accertare l'effettivo assolvimento di tale obbligo;

d)  l'elenco degli iscritti sia tenuto e annualmente aggiornato, lo statuto, le principali delibere relative alle elezioni ed alla individuazione dei titolari delle cariche sociali, il codice deontologico nonché il bilancio siano adeguatamente pubblicizzati e sia previsto l'obbligo di versamento diretto all'associazione delle quote associative da parte degli iscritti;

e)  l'ente abbia adottato un codice deontologico che preveda sanzioni graduate in relazione alle violazioni poste in essere; l'organo preposto alla adozione dei provvedimenti disciplinari sia dotato della necessaria autonomia; sia assicurato il diritto di difesa nel procedimento disciplinare;

f)  l'associazione, tenuto conto delle particolarità della professione o della attività svolta nell'area dei servizi non intellettuali e salvo il caso di professioni, arti o mestieri, con radicamento esclusivamente locale, sia diffusa su tutto il territorio dello Stato con proprie articolazioni;

g)  i legali rappresentanti, amministratori o promotori non abbiano subito sentenze di condanna passate in giudicato in relazione all'attività dell'ente.

 

2.  Per l'annotazione nell'elenco di cui al comma 1, i requisiti di cui alle lettere da a) a f) devono essere posseduti da almeno quattro anni. Fino al 31 dicembre 2009, i requisiti relativi alla previsione della durata degli incarichi e di un limite alla reiterazione, all'obbligo di aggiornamento costante degli associati, alla pubblicità e alla previsione dell'organismo autonomo per la decisione dei procedimenti disciplinari previsti al comma 1 e individuati, rispettivamente, alla lettera c) numeri 2 e 7, alla lettera d) nonché alla lettera e), devono essere posseduti all'atto della presentazione della domanda di cui all'art. 2.

 

 

Art. 2.

 

1.  La domanda di inserimento nell'elenco, sottoscritta dal legale rappresentante, corredata da copia autentica dell'atto costitutivo dell'ente, nonché della completa indicazione di coloro che ne sono soci, amministratori o promotori, e della documentazione comprovante il possesso dei restanti requisiti, è indirizzata al Ministero della giustizia, Dipartimento per gli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia civile.

 

 

2.  Entro centoventi giorni decorrenti dalla ricezione della domanda di annotazione, il Dipartimento per gli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia civile verifica la sussistenza dei requisiti e richiede al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro il prescritto parere. Almeno venti giorni prima della scadenza di tale termine può chiedere, per una volta, chiarimenti o elementi integrativi all'ente che ha presentato la domanda, assegnando un termine di venti giorni per il deposito della relativa documentazione. Durante questo periodo la procedura per l'annotazione nell'elenco resta sospesa. Decorsi inutilmente venti giorni dalla ricezione della richiesta, l'istanza è archiviata e per una nuova valutazione è necessaria la presentazione di una ulteriore documentata istanza.

 

 

Art. 3.

 

1.  Sessanta giorni prima del compimento di ogni triennio per ciascuna annotazione la Direzione generale per la giustizia civile del Ministero della giustizia verifica la permanenza delle condizioni e dei requisiti prescritti.

 

 

2.  Ai fini della verifica di cui al comma 1, trenta giorni prima dell'inizio della procedura il legale rappresentante dell'ente deve depositare la documentazione comprovante l'attualità delle condizioni e dei requisiti prescritti. Decorso inutilmente il termine di trenta giorni l'annotazione è sospesa. Decorso inutilmente l'ulteriore termine di novanta giorni dalla comunicazione della sospensione, l'annotazione è revocata.

 

 

Art. 4.

 

1.  Se, anche fuori dalla procedura di verifica, si accerta che sono venute meno, in tutto o in parte, le condizioni e i requisiti previsti dall'art. 1 per l'annotazione, il Ministro della giustizia può disporre con la stessa procedura di cui all'art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, la revoca o la sospensione dell'annotazione. Nel secondo caso richiede la rimozione delle cause ostative assegnando un termine non inferiore a quindici giorni e non superiore a sessanta giorni per le osservazioni o la regolarizzazione. Decorso detto termine, valutate le osservazioni pervenute, il Ministro della giustizia, con decreto ai sensi dell'art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, procede alla conferma dell'annotazione o alla revoca della stessa con conseguente cancellazione dell'associazione dall'elenco. Restano comunque fermi i provvedimenti adottati d'urgenza al verificarsi delle situazioni di cui all'art. 1, comma 1, lettera g) nei confronti dei soggetti ivi indicati.

 

 

2.  I provvedimenti di diniego, sospensione, revoca e cancellazione dell'annotazione sono adottati dal Ministro con il decreto di cui all'art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, da notificarsi all'ente interessato.

 

 

Art. 5.

 

1.  L'attuazione del presente decreto non comporta oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.

 

 

Il presente decreto verrà inviato al controllo secondo le vigenti disposizioni e sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

 

 

 

 


Normativa comunitaria

 


Trattato 7 febbraio 1992.
Trattato sull'Unione europea (n.d.r. Versione in vigore dal 1° febbraio 2003)
(art. 49)

 

 

(1) (2) (3)

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(1) Versione consolidata pubblicata nella G.U.C.E. 24 dicembre 2002, n. C 325. Il presente testo, in vigore dal 1° febbraio 2003, è così integrato con le modifiche apportate dal trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001.

(2)  I testi dei protocolli, acclusi al presente trattato, sono consultabili in allegato al Trattato 25 marzo 1957 (versione in vigore dal 1° febbraio 2003).

(3)  Per le modifiche al presente Trattato, vedi il Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007 la cui vigenza è indicata nel suo articolo 6.

 

 

SUA MAESTÀ IL RE DEI BELGI, SUA MAESTÀ LA REGINA DI DANIMARCA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ELLENICA, SUA MAESTÀ IL RE DI SPAGNA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE, IL PRESIDENTE DELL'IRLANDA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, SUA ALTEZZA REALE IL GRANDUCA DEL LUSSEMBURGO, SUA MAESTÀ LA REGINA DEI PAESI BASSI, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PORTOGHESE, SUA MAESTÀ LA REGINA DEL REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA DEL NORD,

 

DECISI a segnare una nuova tappa nel processo di integrazione europea intrapreso con l'istituzione delle Comunità europee,

RAMMENTANDO l'importanza storica della fine della divisione del continente europeo e la necessità di creare solide basi per l'edificazione dell'Europa futura,

CONFERMANDO il proprio attaccamento ai principi della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nonché dello stato di diritto,

CONFERMANDO il proprio attaccamento ai diritti sociali fondamentali quali definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989,

DESIDERANDO intensificare la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni,

DESIDERANDO rafforzare ulteriormente il funzionamento democratico ed efficiente delle istituzioni in modo da consentire loro di adempiere in modo più efficace, in un contesto istituzionale unico, i compiti loro affidati,

DECISI a conseguire il rafforzamento e la convergenza delle proprie economie e ad istituire un'Unione economica e monetaria che comporti, in conformità delle disposizioni del presente trattato, una moneta unica e stabile,

DETERMINATI a promuovere il progresso economico e sociale dei loro popoli, tenendo conto del principio dello sviluppo sostenibile nel contesto della realizzazione del mercato interno e del rafforzamento della coesione e della protezione dell'ambiente, nonché ad attuare politiche volte a garantire che i progressi compiuti sulla via dell'integrazione economica si accompagnino a paralleli progressi in altri settori,

DECISI ad istituire una cittadinanza comune ai cittadini dei loro paesi,

DECISI ad attuare una politica estera e di sicurezza comune che preveda la definizione progressiva di una politica di difesa comune, che potrebbe condurre ad una difesa comune a norma delle disposizioni dell'articolo 17, rafforzando così l'identità dell'Europa e la sua indipendenza al fine di promuovere la pace, la sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo,

DECISI ad agevolare la libera circolazione delle persone, garantendo nel contempo la sicurezza dei loro popoli, con l'istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in conformità alle disposizioni del presente trattato,

DECISI a portare avanti il processo di creazione di un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà,

IN PREVISIONE degli ulteriori passi da compiere ai fini dello sviluppo dell'integrazione europea,

HANNO DECISO di istituire un'Unione europea e a tal fine hanno designato come plenipotenziari:

(omissis)

Articolo 49 (ex articolo O)

Ogni Stato europeo che rispetti i principi sanciti nell'articolo 6, paragrafo 1 può domandare di diventare membro dell'Unione. Esso trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all'unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza assoluta dei membri che lo compongono.

 

Le condizioni per l'ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l'Unione, da essa determinati, formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.

 

(omissis)

 


Dir. 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE.
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.


 

(1) (2) (3)

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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 30 settembre 2005, n. L 255. Entrata in vigore il 20 ottobre 2005.

(2)  Termine di recepimento: 20 ottobre 2007. Direttiva recepita con L. 6 febbraio 2007, n. 13 (legge comunitaria 2006) e con D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206.

(3)  Testo rilevante ai fini del SEE.

 

 

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,

 

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 40, l'articolo 47, paragrafo 1 e paragrafo 2, prima e terza frase, e l'articolo 55,

 

vista la proposta della Commissione (4),

 

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (5),

 

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (6),

 

considerando quanto segue:

 

(1) Ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del trattato, l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità. Per i cittadini degli Stati membri, essa comporta, tra l'altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale. Inoltre, l'articolo 47, paragrafo 1 del trattato prevede l'approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli.

 

(2) In seguito al Consiglio europeo di Lisbona (23 e 24 marzo 2000), la Commissione ha adottato la comunicazione «Una strategia per il mercato interno dei servizi» col fine in particolare di rendere la libera prestazione di servizi all'interno della Comunità altrettanto facile che all'interno di un Stato membro. In seguito alla comunicazione della Commissione «Nuovi mercati europei del lavoro, aperti e accessibili a tutti», il Consiglio europeo di Stoccolma (23 e 24 marzo 2001) ha dato mandato alla Commissione di presentare al Consiglio europeo di primavera del 2002 proposte specifiche per un regime più uniforme, trasparente e flessibile di riconoscimento delle qualifiche.

 

(3) La garanzia, conferita dalla presente direttiva a coloro che hanno acquisito una qualifica professionale in uno Stato membro, di accedere alla stessa professione e di esercitarla in un altro Stato membro con gli stessi diritti dei cittadini di quest'ultimo non esonera il professionista migrante dal rispetto di eventuali condizioni di esercizio non discriminatorie che potrebbero essere imposte dallo Stato membro in questione, purché obiettivamente giustificate e proporzionate.

 

(4) Per agevolare la libera prestazione di servizi, dovrebbero essere introdotte norme specifiche al fine di estendere la possibilità di esercitare attività professionali con il titolo professionale originario. Ai servizi della società dell'informazione prestati a distanza, si dovrebbero applicare anche le disposizioni della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno.

 

(5) Data la diversità dei regimi in merito alla prestazione transfrontaliera dei servizi su base temporanea e occasionale e allo stabilimento, è opportuno precisare criteri di distinzione tra questi due concetti nel caso di uno spostamento del prestatore di servizi sul territorio dello Stato membro ospitante.

 

(6) L'agevolazione della prestazione di servizi deve essere garantita nel contesto della stretta osservanza della salute e della sicurezza pubblica nonché della tutela dei consumatori. Dovrebbero essere pertanto previste disposizioni specifiche per le professioni regolamentate aventi implicazioni in materia di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, che prestano servizi transfrontalieri su base temporanea o occasionale.

 

(7) Gli Stati membri ospitanti possono, se necessario e conformemente al diritto comunitario, prevedere requisiti in materia di dichiarazione. Tali requisiti non dovrebbero comportare un onere sproporzionato per i prestatori di servizi né ostacolare o rendere meno attraente l'esercizio della libertà di prestazione di servizi. La necessità di siffatti requisiti dovrebbe essere verificata periodicamente alla luce dei progressi compiuti nella realizzazione di un quadro comunitario per la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri.

 

(8) Il prestatore di servizi dovrebbe essere soggetto all'applicazione delle norme disciplinari dello Stato membro ospitante aventi un legame diretto e specifico con le qualifiche professionali quali la definizione delle professioni, la gamma delle attività coperte da una professione o riservate alla stessa, l'uso di titoli e i gravi errori professionali direttamente e specificamente connessi con la tutela e sicurezza dei consumatori.

 

(9) Per la libertà di stabilimento, mantenendo principi e garanzie su cui si fondano i vari regimi di riconoscimento in vigore, è opportuno migliorarne le norme di tali regimi alla luce dell'esperienza. Inoltre le pertinenti direttive sono state modificate più volte e le loro disposizioni dovrebbero essere riorganizzate e razionalizzate, uniformando i principi applicabili. È pertanto opportuno sostituire le direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE del Consiglio, nonché la direttiva 1999/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali e le direttive del Consiglio 77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE e 93/16/CEE concernenti le professioni d'infermiere, responsabile dell'assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico, raggruppandole in un testo unico.

 

(10) La presente direttiva non esclude la possibilità per gli Stati membri di riconoscere, secondo la propria regolamentazione, qualifiche professionali acquisite da un cittadino di un paese terzo al di fuori del territorio dell'Unione europea. In ogni caso il riconoscimento dovrebbe avvenire nel rispetto delle condizioni minime di formazione per talune professioni.

 

(11) Per le professioni coperte dal regime generale di riconoscimento dei titoli di formazione, di seguito denominato «il regime generale», gli Stati membri dovrebbero continuare a fissare il livello minimo di qualificazione necessaria in modo da garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio. Tuttavia, ai sensi degli articoli 10, 39 e 43 del trattato, non dovrebbero imporre a un cittadino di uno Stato membro di acquisire qualifiche che essi in genere si limitano a definire soltanto in termini di diplomi rilasciati in seno al loro sistema nazionale d'insegnamento, mentre l'interessato ha già acquisito tali qualifiche, o parte di esse, in un altro Stato membro. È perciò opportuno prevedere che ogni Stato membro ospitante che regolamenti una professione sia obbligato a tenere conto delle qualifiche acquisite in un altro Stato membro e verificare se esse corrispondano a quelle che esso richiede. Tuttavia, tale regime generale di riconoscimento non impedisce che uno Stato membro imponga, a chiunque eserciti una professione nel suo territorio, requisiti specifici motivati dall'applicazione delle norme professionali giustificate dall'interesse pubblico generale. Tali requisiti riguardano, ad esempio, le norme in materia di organizzazione della professione, le norme professionali, comprese quelle deontologiche, le norme di controllo e di responsabilità. Infine, la presente direttiva non ha l'obiettivo di interferire nell'interesse legittimo degli Stati membri a impedire che taluni dei loro cittadini possano sottrarsi abusivamente all'applicazione del diritto nazionale in materia di professioni.

 

(12) La presente direttiva riguarda il riconoscimento, da parte degli Stati membri, delle qualifiche professionali acquisite in altri Stati membri. Non riguarda, tuttavia, il riconoscimento, da parte degli Stati membri, di decisioni di riconoscimento adottate da altri Stati membri a norma della presente direttiva. Pertanto, i titolari di qualifiche professionali che siano state riconosciute a norma della presente direttiva non possono utilizzare tale riconoscimento per ottenere, nel loro Stato membro di origine, diritti diversi da quelli conferiti grazie alla qualifica professionale ottenuta in tale Stato membro, a meno che non dimostrino di aver ottenuto qualifiche professionali addizionali nello Stato membro ospitante.

 

(13) Allo scopo di definire il meccanismo del riconoscimento in base al regime generale, è necessario raggruppare i vari regimi nazionali di istruzione e formazione in diversi livelli. Questi livelli, che sono stabiliti soltanto ai fini del funzionamento del regime generale, non hanno effetti sulle strutture nazionali di istruzione e di formazione, né sulle competenze degli Stati membri in questo ambito.

 

(14) Il meccanismo di riconoscimento stabilito dalle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE rimane immutato. Di conseguenza, il titolare di un diploma che certifichi il compimento di un corso di formazione a livello post secondario di una durata di almeno un anno dovrebbe avere accesso a una professione regolamentata in uno Stato membro in cui l'accesso è subordinato al possesso di un diploma che certifichi il compimento di un corso di studi universitario o equivalente della durata di quattro anni, a prescindere dal livello del diploma richiesto nello Stato membro ospitante. Al contrario, laddove l'accesso a una professione regolamentata è subordinato al compimento di un corso di studi universitario o equivalente di durata superiore a quattro anni, tale accesso dovrebbe essere consentito soltanto ai possessori di un diploma che certifichi il compimento di un corso di studi universitario o equivalente della durata di almeno tre anni.

 

(15) In mancanza di un'armonizzazione delle condizioni minime di formazione per accedere alle professioni disciplinate dal regime generale, lo Stato membro ospite dovrebbe avere la possibilità di imporre misure compensatrici proporzionate e, in particolare, tener conto dell'esperienza professionale del richiedente. L'esperienza mostra che chiedere una prova attitudinale o un tirocinio d'adattamento, a scelta del migrante, offre sufficienti garanzie sul livello di qualifica di quest'ultimo, per cui una deroga a tale scelta dovrebbe essere giustificata, caso per caso, da motivi improrogabili d'interesse generale.

 

(16) Per favorire la libera circolazione dei professionisti, garantendo al tempo stesso adeguati livelli di qualifica, varie associazioni e organismi professionali o Stati membri dovrebbero poter proporre, a livello europeo, piattaforme comuni. A certe condizioni, e nel rispetto della competenza degli Stati membri a decidere le qualifiche richieste per l'esercizio delle professioni sul loro territorio nonché il contenuto e l'organizzazione dei rispettivi sistemi di istruzione e di formazione professionale, come pure nel rispetto del diritto comunitario e in particolare di quello sulla concorrenza, la presente direttiva dovrebbe tener conto di tali iniziative, privilegiando, in questo contesto, un più automatico riconoscimento nel quadro del regime generale. Le associazioni professionali in grado di proporre piattaforme comuni dovrebbero essere rappresentative a livello nazionale e europeo. Una piattaforma comune è una serie di criteri che permettono di colmare la più ampia gamma di differenze sostanziali che sono state individuate tra i requisiti di formazione in almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri che regolamentano la professione in questione. Tali criteri potrebbero ad esempio includere requisiti quali una formazione complementare, un tirocinio di adattamento, una prova attitudinale o un livello minimo prescritto di pratica professionale, o una combinazione degli stessi.

 

(17) Per contemplare tutte le situazioni per le quali non esistono ancora norme relative al riconoscimento delle qualifiche professionali, il regime generale andrebbe esteso ai casi non inclusi in un regime specifico, sia nel caso in cui la professione interessata non sia disciplinata da uno di tali regimi sia nel caso in cui, pur essendo la professione disciplinata da un regime specifico, il richiedente per una ragione particolare ed eccezionale non soddisfi le condizioni per beneficiarne.

 

(18) È opportuno semplificare le norme per accedere a una serie di attività industriali, commerciali e artigianali negli Stati membri in cui tali professioni sono regolamentate, se tali attività sono state esercitate in un altro Stato membro per un periodo ragionevole e abbastanza ravvicinato nel tempo, mantenendo, per tali attività, un regime di riconoscimento automatico fondato sull'esperienza professionale.

 

(19) La libera circolazione e il riconoscimento reciproco dei titoli di formazione di medico, infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica, farmacista e architetto dovrebbero fondarsi sul principio fondamentale del riconoscimento automatico dei titoli di formazione in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione. Negli Stati membri poi l'accesso alle professioni di medico, infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica e farmacista dovrebbe essere subordinato al possesso di un determinato titolo, il che garantisce che l'interessato ha seguito una formazione che soddisfa i requisiti minimi stabiliti. Tale regime dovrebbe essere completato da una serie di diritti acquisiti di cui i professionisti qualificati beneficiano a certe condizioni.

 

(20) Nell'intento di tener conto delle caratteristiche del regime di qualifiche dei medici e dei dentisti e del corrispondente acquis comunitario in materia di reciproco riconoscimento, si dovrebbe continuare ad applicare a tutte le specializzazioni riconosciute alla data di adozione della presente direttiva il principio del riconoscimento automatico delle specializzazioni mediche e dentistiche comuni ad almeno due Stati membri. Tuttavia, per semplificare il regime, dopo la data di entrata in vigore della presente direttiva il riconoscimento automatico dovrebbe applicarsi soltanto a quelle nuove specializzazioni mediche comuni ad almeno i due quinti degli Stati membri. Inoltre, la presente direttiva non impedisce che gli Stati membri concordino tra loro, per specializzazioni mediche e dentistiche che sono loro comuni ma non automaticamente riconosciute ai sensi della presente direttiva, un riconoscimento automatico secondo norme proprie.

 

(21) Il riconoscimento automatico dei titoli di formazione di medico con formazione di base non dovrebbe pregiudicare la competenza degli Stati membri di richiedere o no che questi titoli siano accompagnati da attività professionali.

 

(22) Tutti gli Stati membri dovrebbero riconoscere la professione di dentista come professione specifica distinta da quella di medico, specializzato o no in odontostomatologia. Gli Stati membri dovrebbero far sì che la formazione di dentista conferisca le competenze necessarie per tutte le attività di prevenzione, di diagnosi e di trattamento relative ad anomalie e malattie dei denti, della bocca, delle mascelle e dei tessuti attigui. L'attività professionale di dentista dovrebbe essere esercitata dai possessori di un titolo di formazione di dentista ai sensi della presente direttiva.

 

(23) Non è parso auspicabile imporre un percorso di formazione delle ostetriche unificato per tutti gli Stati membri. Occorre, al contrario, lasciare loro la massima libertà possibile nell'organizzazione della formazione.

 

(24) Per semplificare la presente direttiva, è opportuno riferirsi alla nozione di «farmacista» per delimitare l'ambito di applicazione delle norme sul riconoscimento automatico dei titoli di formazione, fatte salve le particolarità delle norme nazionali che disciplinano tali attività.

 

(25) Chi possiede un titolo di formazione di farmacista è uno specialista nel ramo dei medicinali e, di norma, dovrebbe poter accedere in tutti gli Stati membri a un campo minimo d'attività in questo settore. Nel definire tale campo, la presente direttiva non dovrebbe limitare le attività accessibili ai farmacisti negli Stati membri, soprattutto nel settore delle analisi di biologia medica, né creare un monopolio a profitto di questi professionisti, in quanto questo continua a competere esclusivamente agli Stati membri. Le disposizioni della presente direttiva non impediscono agli Stati membri di imporre ulteriori requisiti di formazione per accedere ad attività non incluse nel campo minimo di attività coordinato. Lo Stato membro ospitante che impone tali requisiti dovrebbe poter dunque imporre tali requisiti ai cittadini titolari di titoli di formazione oggetto di riconoscimento automatico ai sensi della presente direttiva.

 

(26) La presente direttiva non coordina tutte le condizioni per accedere alle attività nel campo della farmacia e all'esercizio di tale attività. In particolare, la ripartizione geografica delle farmacie e il monopolio della dispensa dei medicinali dovrebbe continuare ad essere di competenza degli Stati membri. La presente direttiva non modifica le norme legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che vietano alle società l'esercizio di talune attività di farmacista o sottopongono tale esercizio a talune condizioni.

 

(27) La creazione architettonica, la qualità delle costruzioni, il loro inserimento armonioso nell'ambiente circostante, il rispetto dei paesaggi naturali e urbani e del patrimonio collettivo e privato sono di pubblico interesse. Il reciproco riconoscimento dei titoli di formazione dovrebbe perciò basarsi su criteri qualitativi e quantitativi tali da garantire che i possessori dei titoli di formazione riconosciuti sono in grado di comprendere e di tradurre le esigenze degli individui, dei gruppi sociali e delle autorità in materia di assetto dello spazio, di progettazione, organizzazione e realizzazione delle costruzioni, di conservazione e di valorizzazione del patrimonio architettonico e di tutela degli equilibri naturali.

 

(28) Le norme nazionali nel settore dell'architettura per l'accesso e l'esercizio delle attività professionali d'architetto hanno ambiti di applicazione molto diversi. Nella maggior parte degli Stati membri, le attività nel campo dell'architettura sono esercitate, di diritto o di fatto, da persone aventi il titolo di architetto, solo o insieme a un'altra denominazione, senza con ciò beneficiare di un monopolio nell'esercizio di tali attività, salvo norme legislative contrarie. Le attività, o alcune di esse, possono anche essere esercitate da altri professionisti, come gli ingegneri in possesso di una formazione particolare in campo edile o dell'arte di costruire. Per semplificare la presente direttiva, è opportuno riferirsi alla nozione di «architetto» per delimitare l'ambito di applicazione delle norme sul riconoscimento automatico dei titoli di formazione nel settore dell'architettura, fatte salve le particolarità delle norme nazionali che disciplinano tali attività.

 

(29) Nel caso in cui un'organizzazione o associazione professionale nazionale e a livello europeo di una professione regolamentata presenta una richiesta motivata concernente disposizioni specifiche per il riconoscimento delle qualifiche sulla base del coordinamento di condizioni di formazione minime, la Commissione valuta l'opportunità di adottare una proposta di modifica della presente direttiva.

 

(30) Per assicurare l'efficacia del sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali, occorrerebbe definire formalità e procedure uniformi per la sua attuazione, nonché alcune modalità d'esercizio della professione.

 

(31) Poiché la collaborazione tra gli Stati membri e tra questi e la Commissione può agevolare l'entrata in vigore della presente direttiva e il rispetto degli obblighi che ne derivano, occorrerebbe dunque organizzarne le modalità.

 

(32) L'introduzione, a livello europeo, di tessere professionali da parte di associazioni o organizzazioni professionali potrebbe agevolare la mobilità dei professionisti, in particolare accelerando lo scambio di informazioni tra lo Stato membro ospitante e lo Stato membro di origine. Tale tessera professionale dovrebbe rendere possibile controllare la carriera dei professionisti che si stabiliscono in vari Stati membri. Tali tessere potrebbero contenere informazioni, nel pieno rispetto delle disposizioni sulla protezione dei dati, sulle qualifiche professionali dei professionisti (università o istituto frequentato, qualifiche ottenute, esperienza professionale), il suo domicilio legale, le sanzioni ricevute in relazione alla sua professione e i particolari della pertinente autorità competente.

 

(33) La realizzazione di una rete di punti di contatto incaricati d'informare e di assistere i cittadini degli Stati membri consentirà di assicurare la trasparenza del sistema di riconoscimento. Tali punti di contatto comunicheranno ai cittadini che lo richiedono e alla Commissione tutte le informazioni e gli indirizzi utili per la procedura di riconoscimento. La designazione di un unico punto di contatto da parte di ciascuno Stato membro nell'ambito di tale rete non pregiudica l'organizzazione di competenze a livello nazionale. In particolare, non osta alla designazione a livello nazionale di vari uffici; il punto di contatto designato nell'ambito della suddetta rete è incaricato del coordinamento con gli altri uffici e di informare i cittadini, se necessario, dei particolari riguardanti l'ufficio competente pertinente.

 

(34) La gestione dei vari regimi di riconoscimento insediati dalle direttive settoriali e dal regime generale si è rivelata assai difficoltosa. È pertanto necessario semplificare la gestione e l'aggiornamento della presente direttiva, per tener conto dei progressi scientifici e tecnologici, soprattutto se si coordinano le condizioni minime di formazione a fini di riconoscimento automatico dei titoli di formazione. A tale scopo andrebbe perciò istituito un comitato unico di riconoscimento delle qualifiche professionali, garantendo un adeguato coinvolgimento dei rappresentanti delle organizzazioni professionali, anche a livello europeo.

 

(35) Le misure necessarie per l'attuazione della presente direttiva sono adottate secondo la decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.

 

(36) L'elaborazione da parte degli Stati membri di una relazione periodica, corredata di dati statistici, sull'attuazione della presente direttiva permetterà di stabilire l'impatto del sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali.

 

(37) Dovrebbe essere introdotta una procedura specifica per approvare provvedimenti temporanei ove l'applicazione di una disposizione della presente direttiva presentasse in uno Stato membro gravi difficoltà.

 

(38) Le disposizioni della presente direttiva non limitano la competenza degli Stati membri riguardo all'organizzazione del loro regime nazionale di previdenza sociale e la fissazione delle attività che vanno esercitate nel quadro di tale regime.

 

(39) Data la rapidità dell'evoluzione tecnica e del progresso scientifico, l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita è particolarmente importante per numerose professioni. In questo contesto, spetta agli Stati membri stabilire le modalità con cui, grazie alla formazione continua, i professionisti si adegueranno ai progressi tecnici e scientifici.

 

(40) Poiché gli scopi della presente direttiva, vale a dire la razionalizzazione, la semplificazione e il miglioramento delle norme sul riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali, non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

 

(41) La presente direttiva non pregiudica l'applicazione dell'articolo 39, paragrafo 4 e dell'articolo 45 del trattato concernenti in particolare i notai.

 

(42) In materia di diritto di stabilimento e prestazione di servizi, la presente direttiva si applica senza pregiudicare altre disposizioni giuridiche specifiche relative al riconoscimento delle qualifiche professionali, quali quelle esistenti in materia di trasporti, intermediari di assicurazione e revisori dei conti legalmente riconosciuti. La presente direttiva non pregiudica l'applicazione della direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l'esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati, o della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica. Il riconoscimento delle qualifiche professionali degli avvocati ai fini dello stabilimento immediato in base al titolo professionale dello Stato membro ospitante dovrebbe rientrare nella presente direttiva.

 

(43) Nella misura in cui si tratta di professioni regolamentate, la presente direttiva riguarda anche le professioni liberali che sono, secondo la presente direttiva, quelle praticate sulla base di pertinenti qualifiche professionali in modo personale, responsabile e professionalmente indipendente da parte di coloro che forniscono servizi intellettuali e di concetto nell'interesse dei clienti e del pubblico. L'esercizio della professione negli Stati membri può essere oggetto, a norma del trattato, di specifici limiti legali sulla base della legislazione nazionale e sulle disposizioni di legge stabilite autonomamente, nell'ambito di tale contesto, dai rispettivi organismi professionali rappresentativi, salvaguardando e sviluppando la loro professionalità e la qualità del servizio e la riservatezza dei rapporti con i clienti.

 

(44) La presente direttiva non pregiudica le misure necessarie a garantire un elevato grado di tutela della salute e dei consumatori,

 

hanno adottato la presente direttiva:

 

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(4)  Pubblicata nella G.U.C.E. 30 luglio 2002, n. C 181 E.

(5)  Pubblicata nella G.U.U.E. 14 marzo 2003, n. C 61.

(6)  Parere del Parlamento europeo dell'11 febbraio 2004 (G.U.U.E. C 97 E del 22.4.2004), posizione comune del Consiglio del 21 dicembre 2004 (G.U.U.E. C 58 E dell'8.3.2005) e posizione del Parlamento europeo dell'11 maggio 2005. Decisione del Consiglio del 6 giugno 2005.

 

TITOLO I

Disposizioni generali

 

Articolo 1

Oggetto.

La presente direttiva fissa le regole con cui uno Stato membro (in seguito denominato «Stato membro ospitante»), che sul proprio territorio subordina l'accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l'accesso alla professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri (in seguito denominati «Stati membri d'origine») e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione.

 

 

Articolo 2

Ambito di applicazione.

1. La presente direttiva si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali.

 

2. Ogni Stato membro può consentire, secondo norme sue proprie, ai cittadini degli Stati membri titolari di qualifiche professionali non acquisite in uno Stato membro, l'esercizio di una professione regolamentata sul proprio territorio ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera a). Per le professioni che rientrano nel titolo III, capo III, questo primo riconoscimento deve avvenire nel rispetto delle condizioni minime di formazione elencate in tale capo.

 

3. Qualora, per una determinata professione regolamentata, altre disposizioni specifiche direttamente relative al riconoscimento delle qualifiche professionali siano stabilite in uno strumento separato di diritto comunitario, le corrispondenti disposizioni della presente direttiva non si applicano.

 

Articolo 3

1. Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

 

a) «professione regolamentata»: attività, o insieme di attività professionali, l'accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali; in particolare costituisce una modalità di esercizio l'impiego di un titolo professionale riservato da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative a chi possiede una specifica qualifica professionale. Quando non si applica la prima frase, è assimilata ad una professione regolamentata una professione di cui al paragrafo 2;

 

b) «qualifiche professionali»: le qualifiche attestate da un titolo di formazione, un attestato di competenza - di cui all'articolo 11, lettera a), punto i) - e/o un'esperienza professionale;

 

c) «titolo di formazione»: diplomi, certificati e altri titoli rilasciati da un'autorità di uno Stato membro designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di tale Stato membro e che sanciscono una formazione professionale acquisita in maniera preponderante nella Comunità. Quando non si applica la prima frase, è assimilato ad un titolo di formazione un titolo di cui al paragrafo 3;

 

d) «autorità competente»: qualsiasi autorità o organismo abilitato da uno Stato membro in particolare a rilasciare o a ricevere titoli di formazione e altri documenti o informazioni, nonché a ricevere le domande e ad adottare le decisioni di cui alla presente direttiva;

 

e) «formazione regolamentata»: qualsiasi formazione specificamente orientata all'esercizio di una professione determinata e consistente in un ciclo di studi completato, eventualmente, da una formazione professionale, un tirocinio professionale o una pratica professionale.

 

La struttura e il livello della formazione professionale, del tirocinio professionale o della pratica professionale sono stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro in questione e sono soggetti a controllo o autorizzazione dell'autorità designata a tal fine;

 

f) «esperienza professionale»: l'esercizio effettivo e legittimo della professione in questione in uno Stato membro;

 

g) «tirocinio di adattamento»: l'esercizio di una professione regolamentata nello Stato membro ospitante sotto la responsabilità di un professionista qualificato, accompagnato eventualmente da una formazione complementare. Il tirocinio è oggetto di una valutazione. Le modalità del tirocinio di adattamento e della sua valutazione nonché lo status di tirocinante migrante sono determinati dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante.

 

Lo status di cui il tirocinante gode nello Stato membro ospitante, soprattutto in materia di diritto di soggiorno nonché di obblighi, diritti e benefici sociali, indennità e retribuzione, è stabilito dalle autorità competenti di detto Stato membro conformemente al diritto comunitario applicabile;

 

h) «prova attitudinale»: un controllo riguardante esclusivamente le conoscenze professionali del richiedente effettuato dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante allo scopo di valutare l'idoneità del richiedente ad esercitare in tale Stato una professione regolamentata. Per consentire che sia effettuato tale controllo, le autorità competenti preparano un elenco delle materie che, in base ad un confronto tra la formazione richiesta nel loro Stato e quella avuta dal richiedente, non sono contemplate dal o dai titoli di formazione del richiedente.

 

La prova attitudinale deve tener conto del fatto che il richiedente è un professionista qualificato nello Stato membro d'origine o di provenienza. Essa verte su materie da scegliere tra quelle che figurano nell'elenco e la cui conoscenza è una condizione essenziale per poter esercitare la professione nello Stato membro ospitante. Tale prova può altresì comprendere la conoscenza della deontologia applicabile alle attività interessate nello Stato membro ospitante.

 

Le modalità della prova attitudinale e lo status, nello Stato membro ospitante, del richiedente che desidera prepararsi per sostenere la prova attitudinale in tale Stato sono stabiliti dalle autorità competenti di detto Stato membro;

 

i) «dirigente d'azienda»: qualsiasi persona che abbia svolto in un'impresa del settore professionale corrispondente:

 

i) la funzione di direttore d'azienda o di filiale, o

 

ii) la funzione di institore o vice direttore d'azienda, se tale funzione implica una responsabilità corrispondente a quella dell'imprenditore o del direttore d'azienda rappresentato, o

 

iii) la funzione di dirigente con mansioni commerciali e/o tecniche e responsabile di uno o più reparti dell'azienda.

 

2. È assimilata a una professione regolamentata una professione esercitata dai membri di un'associazione o di un organismo di cui all'allegato I.

 

Le associazioni o le organizzazioni di cui al primo comma hanno in particolare lo scopo di promuovere e di mantenere un livello elevato nel settore professionale in questione e a tal fine sono oggetto di un riconoscimento specifico da parte di uno Stato membro e rilasciano ai loro membri un titolo di formazione, esigono da parte loro il rispetto delle regole di condotta professionale da esse prescritte e conferiscono ai medesimi il diritto di usare un titolo o un'abbreviazione o di beneficiare di uno status corrispondente a tale titolo di formazione.

 

Quando uno Stato membro riconosce un'associazione o un organismo di cui al primo comma, ne informa la Commissione, che pubblica un'adeguata comunicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

3. È assimilato a un titolo di formazione ogni titolo di formazione rilasciato in un paese terzo se il suo possessore ha, nella professione in questione, un'esperienza professionale di tre anni sul territorio dello Stato membro che ha riconosciuto tale titolo ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2 certificata dal medesimo.

 

 

Articolo 4

Effetti del riconoscimento.

1. Il riconoscimento delle qualifiche professionali da parte dello Stato membro ospitante permette al beneficiario di accedere in tale Stato membro alla stessa professione per la quale è qualificato nello Stato membro d'origine e di esercitarla alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato membro ospitante.

 

2. Ai fini della presente direttiva, la professione che l'interessato intende esercitare nello Stato membro ospitante sarà quella per la quale è qualificato nel proprio Stato membro d'origine, se le attività coperte sono comparabili.

 

 

TITOLO II

Libera prestazione di servizi

 

Articolo 5

Principio di libera prestazione di servizi.

1. Fatte salve le disposizioni specifiche del diritto comunitario e gli articoli 6 e 7 della presente direttiva, gli Stati membri non possono limitare, per ragioni attinenti alle qualifiche professionali, la libera prestazione di servizi in un altro Stato membro:

 

a) se il prestatore è legalmente stabilito in uno Stato membro per esercitarvi la stessa professione (in seguito denominato «Stato membro di stabilimento»), e

 

b) in caso di spostamento del prestatore, se questi ha esercitato tale professione nello Stato membro di stabilimento per almeno due anni nel corso dei dieci anni che precedono la prestazione di servizi, se in tale Stato membro la professione non è regolamentata. La condizione che esige due anni di pratica non si applica se la professione o la formazione che porta alla professione è regolamentata.

 

2. Le disposizioni del presente titolo si applicano esclusivamente nel caso in cui il prestatore si sposta sul territorio dello Stato membro ospitante per esercitare, in modo temporaneo e occasionale, la professione di cui al paragrafo 1.

 

Il carattere temporaneo e occasionale della prestazione è valutato caso per caso, in particolare in funzione della durata della prestazione stessa, della sua frequenza, della sua periodicità e della sua continuità.

 

3. In caso di spostamento, il prestatore è soggetto a norme professionali, di carattere professionale, legale o amministrativo, direttamente connesse alle qualifiche professionali, quali la definizione della professione, l'uso dei titoli e gravi errori professionali connessi direttamente e specificamente alla tutela e sicurezza dei consumatori, nonché le disposizioni disciplinari applicabili nello Stato membro ospitante ai professionisti che, ivi, esercitano la stessa professione.

 

 

Articolo 6

Esenzioni.

Ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, lo Stato membro ospitante dispensa i prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro dai requisiti imposti ai professionisti stabiliti sul suo territorio e riguardanti:

 

a) l'autorizzazione, l'iscrizione o l'adesione a un'organizzazione o a un organismo professionale. Per facilitare l'applicazione di disposizioni disciplinari in vigore nel loro territorio, a norma dell'articolo 5, paragrafo 3, gli Stati membri possono prevedere un'iscrizione temporanea e automatica o un'adesione pro forma a tale organizzazione o organismo professionale, purché tale iscrizione o adesione non ritardi né complichi in alcun modo la prestazione di servizi e non comporti oneri supplementari per il prestatore di servizi. Una copia della dichiarazione e, se del caso, della proroga di cui all'articolo 7, paragrafo 1, corredata, per le professioni aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza e di sanità pubblica ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4 o riconosciute automaticamente in virtù del titolo VII, capo III, di una copia dei documenti di cui all'articolo 7, paragrafo 2, è inviata dall'autorità competente alla pertinente organizzazione o organismo professionale e questa costituisce un'iscrizione temporanea e automatica o un'adesione pro forma a tal fine,

 

b) l'iscrizione a un ente di previdenza sociale di diritto pubblico, per regolare con un ente assicuratore i conti relativi alle attività esercitate a profitto degli assicurati sociali.

 

Tuttavia il prestatore di servizi informa in anticipo o, in caso di urgenza, successivamente, l'ente di cui alla lettera b), della sua prestazione di servizi.

 

 

Articolo 7

Dichiarazione preventiva in caso di spostamento del prestatore.

1. Gli Stati membri possono esigere che, se il prestatore si sposta per la prima volta da uno Stato membro all'altro per fornire servizi, questi informi in anticipo l'autorità competente dello Stato membro ospitante con una dichiarazione scritta contenente informazioni sulla copertura assicurativa o analoghi mezzi di protezione personale o collettiva per la responsabilità professionale. Tale dichiarazione è rinnovata annualmente se il prestatore intende fornire servizi temporanei o occasionali in tale Stato membro durante l'anno in questione. Il prestatore può fornire la dichiarazione con qualsiasi mezzo.

 

2. Inoltre, per la prima prestazione di servizi o in caso di mutamento oggettivo della situazione comprovata dai documenti, gli Stati membri possono richiedere che la dichiarazione sia corredata dei seguenti documenti:

 

a) una prova della nazionalità del prestatore,

 

b) un attestato che certifichi che il titolare è legalmente stabilito in uno Stato membro per esercitare le attività in questione e che non gli è vietato esercitarle, anche su base temporanea, al momento del rilascio dell'attestato, c) una prova dei titoli di qualifiche professionali,

 

d) nei casi di cui all'articolo 5, paragrafo 1, lettera b), una prova con qualsiasi mezzo che il prestatore ha esercitato l'attività in questione per almeno due anni nei precedenti dieci anni,

 

e) per le professioni nel settore della sicurezza, qualora lo Stato membro lo richieda per i propri cittadini, la prova di assenza di condanne penali.

 

3. La prestazione è effettuata con il titolo professionale dello Stato membro di stabilimento allorché un siffatto titolo regolamentato esista in detto Stato membro per l'attività professionale di cui trattasi. Questo titolo è indicato nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro di stabilimento onde evitare confusioni con il titolo professionale dello Stato membro ospitante. Nei casi in cui il suddetto titolo professionale non esista nello Stato membro di stabilimento il prestatore indica il suo titolo di formazione nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali di detto Stato membro. In via eccezionale la prestazione è effettuata con il titolo professionale dello Stato membro ospitante per i casi di cui al titolo III, capo III.

 

4. All'atto della prima prestazione di servizi, nel caso delle professioni regolamentate aventi ripercussioni in materia di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, che non beneficiano del riconoscimento ai sensi del titolo III, capo III, l'autorità competente dello Stato membro ospitante può procedere ad una verifica delle qualifiche professionali del prestatore prima della prima prestazione di servizi. Questa verifica preliminare è possibile unicamente se è finalizzata a evitare danni gravi per la salute o la sicurezza del destinatario del servizio per la mancanza di qualifica professionale del prestatore e non va oltre quanto è necessario a tal fine.

 

Entro un mese al massimo dalla ricezione della dichiarazione e dei documenti che la corredano, l'autorità competente si impegna ad informare il prestatore della sua decisione di non verificare le sue qualifiche o del risultato del controllo. Qualora una difficoltà causi un ritardo, l'autorità competente comunica entro il primo mese al prestatore il motivo del ritardo e il calendario da adottare ai fini di una decisione, che deve essere presa in maniera definitiva entro il secondo mese dal ricevimento della documentazione completa.

 

In caso di differenze sostanziali tra le qualifiche professionali del prestatore e la formazione richiesta nello Stato membro ospitante, nella misura in cui tale differenza sia tale da nuocere alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica, lo Stato membro ospitante è tenuto ad offrire al prestatore la possibilità di dimostrare di avere acquisito le conoscenze o le competenze mancanti, in particolare mediante una prova attitudinale.

 

Comunque la prestazione di servizi deve poter essere effettuata entro il mese successivo alla decisione adottata in applicazione del comma precedente.

 

In mancanza di reazioni da parte dell'autorità competente entro il termine fissato nei commi precedenti, la prestazione di servizi può essere effettuata.

 

Nei casi in cui le qualifiche sono state verificate ai sensi del presente paragrafo, la prestazione di servizi è effettuata con il titolo professionale dello Stato membro ospitante.

 

Articolo 8

Cooperazione amministrativa.

1. Le autorità competenti dello Stato membro ospitante possono chiedere alle autorità competenti dello Stato membro di stabilimento, per ciascuna prestazione, di fornire qualsivoglia informazione pertinente circa la legalità dello stabilimento e la buona condotta del prestatore nonché l'assenza di sanzioni disciplinari o penali di carattere professionale. Le autorità competenti dello Stato membro di stabilimento comunicano dette informazioni ai sensi dell'articolo 56.

 

2. Le autorità competenti provvedono affinché lo scambio di tutte le informazioni necessarie per un reclamo del destinatario di un servizio contro un prestatore avvenga correttamente. I destinatari sono informati dell'esito del reclamo.

 

 

Articolo 9

Informazione ai destinatari del servizio.

Nei casi in cui la prestazione è effettuata con il titolo professionale dello Stato membro di stabilimento o con il titolo di formazione del prestatore, oltre alle altre informazioni previste dal diritto comunitario, le autorità competenti dello Stato membro ospitante possono richiedere al prestatore di fornire al destinatario del servizio alcune o tutte le seguenti informazioni:

 

a) se il prestatore è iscritto in un registro commerciale o in un analogo registro pubblico, il registro in cui è iscritto, il suo numero d'iscrizione o un mezzo d'identificazione equivalente, che appaia in tale registro;

 

b) se l'attività è sottoposta a un regime di autorizzazione nello Stato membro di stabilimento, gli estremi della competente autorità di vigilanza;

 

c) l'ordine professionale, o analogo organismo, presso cui il prestatore è iscritto;

 

d) il titolo professionale o, ove il titolo non esista, il titolo di formazione del prestatore, e lo Stato membro in cui è stato conseguito;

 

e) se il prestatore esercita un'attività soggetta all'IVA, il numero d'identificazione IVA di cui all'articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari. Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme;

 

f) le prove di qualsiasi copertura assicurativa o analoghi mezzi di tutela personale o collettiva per la responsabilità professionale.

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo I

Regime generale di riconoscimento di titoli di formazione

 

Articolo 10

Ambito di applicazione.

Il presente capo si applica a tutte le professioni non coperte dai capi II e III del presente titolo e nei seguenti casi in cui i richiedenti, per una ragione specifica ed eccezionale, non soddisfano le condizioni previste in detti capi:

 

a) per le attività elencate all'allegato IV, qualora il migrante non soddisfi i requisiti di cui agli articoli 17, 18 e 19;

 

b) per i medici chirurgo con formazione di base, i medici chirurghi specialisti, gli infermieri responsabili dell'assistenza generale, i dentisti, i dentisti specialisti, i veterinari, le ostetriche, i farmacisti e gli architetti, qualora il migrante non soddisfi i requisiti di pratica professionale effettiva e lecita previsti agli articoli 23, 27, 33, 37, 39, 43 e 49;

 

c) per gli architetti, qualora il migrante sia in possesso di un titolo di formazione non elencato all'allegato V, punto 5.7;

 

d) fatti salvi gli articoli 21, paragrafo 1, 23 e 27 per i medici, gli infermieri, i dentisti, i veterinari, le ostetriche, i farmacisti e gli architetti in possesso di titoli di formazione specialistica, che devono aver seguito la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punti 5.1.1, 5.2.2, 5.3.2, 5.4.2, 5.5.2, 5.6.2 e 5.7.1, e solamente ai fini del riconoscimento della pertinente specializzazione (7);

 

e) per gli infermieri responsabili dell'assistenza generale e per gli infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che hanno seguito la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2, qualora il migrante chieda il riconoscimento in un altro Stato membro in cui le pertinenti attività professionali sono esercitate da infermieri specializzati sprovvisti della formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale (8);

 

f) per gli infermieri specializzati … in cui le pertinenti attività professionali sono esercitate da infermieri responsabili dell'assistenza generale, da infermieri specializzati sprovvisti della formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale o da infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che hanno seguito la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2 (9);

 

g) per i migranti in possesso dei requisiti previsti all'articolo 3, paragrafo 3.

 

 

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(7) Lettera così rettificata dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 aprile 2008, n. L 93.

(8) Lettera così rettificata dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 aprile 2008, n. L 93.

(9) Lettera così rettificata dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 aprile 2008, n. L 93.

 

 

Articolo 11

Livelli di qualifica.

Ai fini dell'applicazione dell'articolo 13, le qualifiche professionali sono raggruppate nei livelli sottoindicati:

 

a) un attestato di competenza rilasciato da un'autorità competente dello Stato membro d'origine designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato membro, sulla base:

 

i) o di una formazione non facente parte di un certificato o diploma ai sensi delle lettere b), c), d) o e), o di un esame specifico non preceduto da una formazione o dell'esercizio a tempo pieno della professione per tre anni consecutivi in uno Stato membro o a tempo parziale per un periodo equivalente nei precedenti dieci anni,

 

ii) o di una formazione generale a livello d'insegnamento elementare o secondario attestante che il titolare possiede conoscenze generali;

 

b) un certificato che attesta il compimento di un ciclo di studi secondari,

 

i) o generale completato da un ciclo di studi o di formazione professionale diversi da quelli di cui alla lettera c) e/o dal tirocinio o dalla pratica professionale richiesti in aggiunta a tale ciclo di studi,

 

ii) o tecnico o professionale, completato eventualmente da un ciclo di studi o di formazione professionale di cui al punto i), e/o dal tirocinio o dalla pratica professionale richiesti in aggiunta a tale ciclo di studi;

 

c) un diploma che attesta il compimento di

 

i) o una formazione a livello di insegnamento post-secondario diverso da quello di cui alle lettere d) ed e) di almeno un anno o di una durata equivalente a tempo parziale, di cui una delle condizioni di accesso è, di norma, il completamento del ciclo di studi secondari richiesto per accedere all'insegnamento universitario o superiore ovvero il completamento di una formazione scolastica equivalente al secondo ciclo di studi secondari, nonché la formazione professionale eventualmente richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari;

 

ii) o, nel caso di professione regolamentata, una formazione a struttura particolare inclusa nell'allegato II equivalente al livello di formazione indicato al punto i) che conferisce un analogo livello professionale e prepara a un livello analogo di responsabilità e funzioni. [L'elenco nell'allegato II può essere modificato secondo la procedura di cui all'articolo 58, paragrafo 2, per prendere in considerazione la formazione che soddisfi i requisiti previsti nella frase precedente] (10);

 

La Commissione può adeguare l’elenco di cui all’allegato II per tener conto della formazione che soddisfi i requisiti previsti al primo comma, lettera c), punto ii). Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (11).

 

d) un diploma che attesta il compimento di una formazione a livello di insegnamento post-secondario di una durata minima di tre e non superiore a quattro anni o di una durata equivalente a tempo parziale, impartita presso un'università o un istituto d'insegnamento superiore o un altro istituto che impartisce una formazione di livello equivalente, nonché la formazione professionale eventualmente richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari;

 

e) un diploma attestante che il titolare ha completato un ciclo di studi post-secondari della durata di almeno quattro anni, o di una durata equivalente a tempo parziale, presso un'università o un istituto d'insegnamento superiore ovvero un altro istituto di livello equivalente e, se del caso, che ha completato con successo la formazione professionale richiesta in aggiunta al ciclo di studi post-secondari.

 

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(10) Frase soppressa dall'alegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

(11) Comma aggiunto dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 12

Titoli di formazione assimilati.

È assimilato a un titolo di formazione che sancisce una formazione di cui all'articolo 11, anche per quanto riguarda il livello, ogni titolo di formazione o insieme di titoli di formazione rilasciato da un'autorità competente in uno Stato membro, se sancisce una formazione acquisita nella Comunità, che è riconosciuta da tale Stato membro come di livello equivalente e conferisce gli stessi diritti d'accesso o di esercizio di una professione o prepara al relativo esercizio.

 

È altresì assimilata ad un titolo di formazione, alle stesse condizioni del primo comma, ogni qualifica professionale che, pur non rispondendo ai requisiti delle norme legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro d'origine per l'accesso a una professione o il suo esercizio, conferisce al suo titolare diritti acquisiti in virtù di tali disposizioni. Ciò si applica, in particolare, se lo Stato membro d'origine eleva il livello di formazione richiesto per l'ammissione ad una professione e per il suo esercizio, e se una persona che ha seguito una precedente formazione, che non risponde ai requisiti della nuova qualifica, beneficia dei diritti acquisiti in forza delle disposizioni nazionali legislative, regolamentari o amministrative; in tal caso, detta formazione precedente è considerata dallo Stato membro ospitante, ai fini dell'applicazione dell'articolo 13, corrispondente al livello della nuova formazione.

 

 

Articolo 13

Condizioni del riconoscimento.

1. Se, in uno Stato membro ospitante, l'accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l'autorità competente di tale Stato membro dà accesso alla professione e ne consente l'esercizio, alle stesse condizioni dei suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell'attestato di competenza o del titolo di formazione prescritto, per accedere alla stessa professione o esercitarla sul suo territorio, da un altro Stato membro.

 

Gli attestati di competenza o i titoli di formazione soddisfano le seguenti condizioni:

 

a) essere stati rilasciati da un'autorità competente in uno Stato membro, designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato;

 

b) attestare un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente anteriore a quello richiesto nello Stato membro ospitante, come descritto all'articolo 11.

 

2. L'accesso alla professione e il suo esercizio, di cui al paragrafo 1, sono consentiti anche ai richiedenti che abbiano esercitato a tempo pieno la professione di cui a tale paragrafo per due anni nel corso dei precedenti dieci, in un altro Stato membro che non la regolamenti e abbiano uno o più attestati di competenza o uno o più titoli di formazione.

 

Gli attestati di competenza o i titoli di formazione soddisfano le seguenti condizioni:

 

a) essere stati rilasciati da un'autorità competente in uno Stato membro, designata ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di tale Stato membro;

 

b) attestare un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente anteriore a quello richiesto nello Stato membro ospitante, come descritto all'articolo 11;

 

c) attestare la preparazione del titolare all'esercizio della professione interessata.

 

Tuttavia, non si possono chiedere i due anni di esperienza professionale, di cui al primo comma, se i titoli di formazione posseduti dal richiedente sanciscono una formazione regolamentata ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera e) dei livelli di qualifiche di cui all'articolo 11, lettere b), c), d) ed e). Sono considerate formazioni regolamentate del livello di cui all'articolo 11, lettera c) quelle di cui all'allegato III. La Commissione può adeguare l’elenco di cui all’allegato III per tener conto di formazioni regolamentate che conferiscono un analogo livello professionale e preparano a un livello analogo di responsabilità e funzioni. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (12).

 

3. In deroga al paragrafo 1, lettera b) e al paragrafo 2, lettera b), lo Stato membro ospitante autorizza l'accesso ad una professione regolamentata e l'esercizio della stessa se l'accesso a questa professione è subordinato sul suo territorio al possesso di un titolo di formazione che attesta il compimento di una formazione a livello di insegnamento superiore o universitario di una durata pari a quattro anni e se il richiedente possiede un titolo di formazione di cui all'articolo 11, lettera c).

 

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(12) Frase così sostituita dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 14

Provvedimenti di compensazione.

1. L'articolo 13 non impedisce allo Stato membro ospitante di esigere dal richiedente, in uno dei seguenti casi, un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni o una prova attitudinale:

 

a) se la durata della formazione da lui seguita ai sensi dell'articolo 13, paragrafo 1 o 2, è inferiore di almeno un anno a quella richiesta nello Stato membro ospitante;

 

b) se la formazione ricevuta riguarda materie sostanzialmente diverse da quelle coperte dal titolo di formazione richiesto nello Stato membro ospitante;

 

c) se la professione regolamentata nello Stato membro ospitante include una o più attività professionali regolamentate, mancanti nella corrispondente professione dello Stato membro d'origine del richiedente ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, e se la differenza è caratterizzata da una formazione specifica, richiesta nello Stato membro ospitante e relativa a materie sostanzialmente diverse da quelle dell'attestato di competenza o del titolo di formazione in possesso del richiedente.

 

2. Se lo Stato membro ospitante ricorre alla possibilità di cui al paragrafo 1, esso lascerà al richiedente la scelta tra tirocinio di adattamento e prova attitudinale.

 

Se uno Stato membro ritiene che, per una determinata professione, sia necessario derogare alla previsione di cui al primo comma che lascia al richiedente la scelta tra tirocinio di adattamento e prova attitudinale, esso ne informa preventivamente gli altri Stati membri e la Commissione, fornendo adeguata giustificazione della deroga.

 

Se la Commissione, ricevute tutte le informazioni necessarie, ritiene che la deroga di cui al secondo comma sia inappropriata o non conforme al diritto comunitario, essa chiede, entro tre mesi, allo Stato membro interessato di astenersi dall'adottarla.

 

In mancanza di una reazione della Commissione, scaduto il suddetto termine, la deroga può essere applicata.

 

3. Per quanto riguarda le professioni il cui esercizio richieda una conoscenza precisa del diritto nazionale e per le quali la prestazione di consulenza e/o assistenza in materia di diritto nazionale costituisca un elemento essenziale e costante dell'attività professionale, lo Stato membro ospitante può, in deroga al principio enunciato nel paragrafo 2, che lascia al richiedente il diritto di scelta, prescrivere un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale.

 

Questa disposizione si applica anche ai casi previsti dall'articolo 10, lettere b) e c), dall'articolo 10, lettera d) per quanto riguarda i medici e i dentisti, dall'articolo 10, lettera f) qualora il migrante chieda il riconoscimento in un altro Stato membro in cui le pertinenti attività professionali sono esercitate da infermieri, responsabili dell'assistenza generale e per gli infermieri specializzati in possesso di titoli di formazione specialistica, che hanno seguito la formazione che porta al possesso dei titoli elencati all'allegato V, punto 5.2.2 e dall'articolo 10, lettera g) (13).

 

Nei casi di cui all'articolo 10, lettera a), lo Stato membro ospitante può prescrivere un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale nel caso di attività di lavoratore autonomo o funzioni direttive in una società che richiedono la conoscenza e l'applicazione di specifiche disposizioni nazionali vigenti, a condizione che la conoscenza e l'applicazione di dette disposizioni nazionali siano richieste dalle competenti autorità dello Stato membro ospitante anche per l'accesso alle attività in questione da parte dei propri cittadini.

 

4. Ai fini dell'applicazione del paragrafo 1, lettere b) e c), per «materie sostanzialmente diverse» si intendono materie la cui conoscenza è essenziale all'esercizio della professione e che in termini di durata o contenuto sono, nella formazione dello Stato membro ospitante, molto diverse rispetto alla formazione ricevuta dal migrante.

 

5. Il paragrafo 1 si applica rispettando il principio di proporzionalità. In particolare, se lo Stato membro ospitante intende esigere dal richiedente un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale, esso deve innanzi tutto verificare se le conoscenze acquisite da quest'ultimo nel corso della sua esperienza professionale in uno Stato membro o in un paese terzo, possono colmare la differenza sostanziale di cui al paragrafo 4, o parte di essa.

 

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(13) Comma così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 aprile 2008, n. L 93.

 

 

Articolo 15

Dispensa da provvedimenti di compensazione in base a piattaforme comuni.

1. Ai fini del presente articolo, per «piattaforme comuni» si intende l'insieme dei criteri delle qualifiche professionali in grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione. Queste differenze sostanziali sono individuate tramite il confronto tra la durata ed i contenuti della formazione in almeno due terzi degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri che regolamentano la professione in questione. Le differenze nei contenuti della formazione possono risultare dalle differenze sostanziali nel campo di applicazione delle attività professionali.

 

2. Le piattaforme comuni definite nel paragrafo 1 possono essere sottoposte alla Commissione dagli Stati membri o da associazioni o organismi professionali rappresentativi a livello nazionale ed europeo. Qualora la Commissione, dopo aver consultato gli Stati membri, ritenga che un progetto di piattaforma comune faciliti il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali, può presentare un progetto di provvedimenti in vista della loro adozione. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva completandola, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (14).

 

3. Qualora le qualifiche professionali del richiedente rispondano ai criteri stabiliti nel provvedimento adottato conformemente al paragrafo 2, lo Stato membro ospitante dispensa dall'applicazione dei provvedimenti di compensazione di cui all'articolo 14.

 

4. I paragrafi da 1 a 3 non pregiudicano la competenza degli Stati membri a determinare le qualifiche professionali richieste per l'esercizio delle professioni sul loro territorio nonché il contenuto e l'organizzazione dei rispettivi sistemi di istruzione e di formazione professionale.

 

5. Se uno Stato membro ritiene che i criteri stabiliti in una misura adottata a norma del paragrafo 2 non offrano più garanzie adeguate quanto alle qualifiche professionali, ne informa di conseguenza la Commissione. La Commissione, se del caso, presenta un progetto di misura in vista della sua adozione. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva completandola, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (15).

 

6. La Commissione presenta al Parlamento europeo ed al Consiglio, entro il 20 ottobre 2010, una relazione sul funzionamento del presente articolo e, se necessario, proposte adeguate di modifica dello stesso articolo.

 

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(14) Frase così sostituita dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

(15) Paragrafo così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo II

Riconoscimento dell'esperienza professionale

 

Articolo 16

Requisiti in materia di esperienza professionale.

Se, in uno Stato membro, l'accesso a una delle attività elencate all'allegato IV o il suo esercizio è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, lo Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l'aver esercitato l'attività considerata in un altro Stato membro. L'attività deve essere esercitata ai sensi degli articoli 17, 18 e 19.

 

Articolo 17

Attività di cui all'elenco I dell'allegato IV.

1. In caso di attività di cui all'elenco I dell'allegato IV, l'attività deve essere stata precedentemente esercitata:

 

a) per sei anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda; oppure

 

b) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno tre anni sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

 

c) per quattro anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno due anni sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

 

d) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo, se il beneficiario prova di aver esercitato l'attività in questione per almeno cinque anni come lavoratore subordinato; oppure

 

e) per cinque anni consecutivi in funzioni direttive, di cui almeno tre anni con mansioni tecniche che implichino la responsabilità di almeno uno dei reparti dell'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno tre anni sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale.

 

2. Nei casi di cui alle lettere a) e d) l'attività non deve essere cessata da più di 10 anni alla data di presentazione della documentazione completa dell'interessato all'autorità competente di cui all'articolo 56.

 

3. Il paragrafo 1, lettera e) non si applica alle attività del gruppo ex 855 (parrucchieri) della nomenclatura ISIC.

 

 

Articolo 18

Attività di cui all'elenco II dell'allegato IV.

1. In caso di attività di cui all'elenco II dell'allegato IV, l'attività in questione deve essere stata precedentemente esercitata:

 

a) per cinque anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda; oppure

 

b) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno tre anni sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

 

c) per quattro anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno due anni sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

 

d) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver esercitato l'attività in questione per almeno cinque anni come lavoratore subordinato; oppure

 

e) per cinque anni consecutivi come lavoratore subordinato, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno tre anni sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

 

f) per sei anni consecutivi come lavoratore subordinato, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione di almeno due anni sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale.

 

2. Nei casi di cui alle lettere a) e d), l'attività non deve essere cessata da più di 10 anni alla data di presentazione della documentazione completa dell'interessato all'autorità competente di cui all'articolo 56.

 

Articolo 19

Attività di cui all'elenco III dell'allegato IV.

1. In caso di attività di cui all'elenco III dell'allegato IV, l'attività in questione deve essere stata precedentemente esercitata:

 

a) per tre anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda; oppure

 

b) per due anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale; oppure

 

c) per due anni consecutivi come lavoratore autonomo o dirigente d'azienda se il beneficiario prova di aver in precedenza esercitato l'attività in questione come lavoratore subordinato per almeno tre anni; oppure

 

d) per tre anni consecutivi come lavoratore subordinato, se il beneficiario prova di aver in precedenza ricevuto, per l'attività in questione, una formazione sancita da un certificato riconosciuto dallo Stato membro o giudicata del tutto valida da un competente organismo professionale.

 

2. Nei casi di cui alle lettere a) e c), l'attività non deve essere cessata da più di 10 anni alla data di presentazione della documentazione completa dell'interessato all'autorità competente di cui all'articolo 56.

 

 

Articolo 20 (16)

Adeguamento delle liste di attività di cui all’allegato IV.

La Commissione può adeguare le liste delle attività di cui all’allegato IV, oggetto del riconoscimento dell’esperienza professionale ai sensi dell’articolo 16, ai fini dell’aggiornamento o della chiarificazione della nomenclatura, senza che questo comporti una variazione delle attività collegate alle singole categorie. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3.

 

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(16) Articolo così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo III

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

 

Sezione 1

Disposizioni generali.

 

Articolo 21

Principio di riconoscimento automatico.

1. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di medico, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di dentista, di dentista specialista, di veterinario, di farmacista e di architetto, di cui all'allegato V e rispettivamente ai punti 5.1.1, 5.1.2, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.6.2 e 5.7.1, conformi alle condizioni minime di formazione di cui rispettivamente agli articoli 24, 25, 31, 34, 35, 38, 44 e 46, e attribuisce loro, ai fini dell'accesso alle attività professionali e del loro esercizio, gli stessi effetti sul suo territorio che hanno i titoli di formazione che esso rilascia.

 

I titoli di formazione devono essere rilasciati dai competenti organismi degli Stati membri ed essere eventualmente accompagnati dai certificati di cui all'allegato V e rispettivamente ai punti 5.1.1, 5.1.2, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.6.2 e 5.7.1.

 

Le disposizioni del primo e del secondo comma non pregiudicano i diritti acquisiti di cui agli articoli 23, 27, 33, 37, 39 e 49.

 

2. Ogni Stato membro riconosce, ai fini dell'esercizio della medicina generale in qualità di medico generico nel quadro del suo regime di previdenza sociale nazionale, i titoli di formazione di cui all'allegato V, punto 5.1.4 e rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli altri Stati membri ai sensi delle condizioni minime di formazione di cui all'articolo 28.

 

La disposizione del primo comma non pregiudica i diritti acquisiti di cui all'articolo 30.

 

3. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di ostetrica, rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli altri Stati membri, elencati all'allegato V, punto 5.5.2, conformi alle condizioni minime di formazione di cui all'articolo 40 e rispondenti alle modalità di cui all'articolo 41, e attribuisce loro, ai fini dell'accesso alle attività professionali e del loro esercizio, gli stessi effetti sul suo territorio che hanno i titoli di formazione che esso rilascia. Questa disposizione non pregiudica i diritti acquisiti di cui agli articoli 23 e 43.

 

4. Tuttavia gli Stati membri non sono tenuti a dare effetto ai titoli di formazione di cui all'allegato V, punto 5.6.2 per la creazione di nuove farmacie aperte al pubblico. Per l'applicazione del presente paragrafo sono altresì considerate nuove farmacie le farmacie aperte da meno di tre anni.

 

5. I titoli di formazione di architetto di cui all'allegato V, punto 5.7.1. oggetto di riconoscimento automatico ai sensi del paragrafo 1, sanciscono un ciclo di formazione iniziata al più presto nel corso dell'anno accademico di riferimento di cui al suddetto allegato.

 

6. Ogni Stato membro subordina l'accesso e l'esercizio delle attività professionali di medico chirurgo, infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica e farmacista al possesso di un titolo di formazione di cui all'allegato V e rispettivamente ai punti 5.1.1, 5.1.2, 5.1.4, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2 e 5.6.2 che garantisce che l'interessato ha acquisito nel corso di tutta la sua formazione le conoscenze e le competenze di cui all'articolo 24, paragrafo 3, all'articolo 31, paragrafo 6, all'articolo 34, paragrafo 3, all'articolo 38, paragrafo 3, all'articolo 40, paragrafo 3 e all'articolo 44, paragrafo 3.

 

La Commissione può adeguare le conoscenze e le competenze di cui all’articolo 24, paragrafo 3, all’articolo 31, paragrafo 6, all’articolo 34, paragrafo 3, all’articolo 38, paragrafo 3, all’articolo 40, paragrafo 3, e all’articolo 44, paragrafo 3, al progresso scientifico e tecnico. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (17).

 

In nessuno Stato membro, tale aggiornamento può comportare una modifica ai principi legislativi vigenti sul regime delle professioni per quanto concerne la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche.

 

7. Ogni Stato membro notifica alla Commissione le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che esso adotta in materia di rilascio di titoli di formazione nei settori coperti dal presente capo. Inoltre per i titoli di formazione nel settore di cui alla sezione 8, questa notifica è inviata agli altri Stati membri.

 

La Commissione pubblica un’adeguata comunicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, indicando le denominazioni date dagli Stati membri ai titoli di formazione ed, eventualmente, l'organismo che rilascia il titolo di formazione, il certificato che accompagna tale titolo e il titolo professionale corrispondente, che compare nell'allegato V e, rispettivamente, nei punti 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3, 5.1.4, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2, 5.6.2 e 5.7.1 (18).

 

 

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(17) Comma così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

(18) Comma così sostituito dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 16 ottobre 2007, n. L 271.

 

 Articolo 22

Disposizioni comuni sulla formazione.

Per la formazione di cui agli articoli 24, 25, 28, 31, 34, 35, 38, 40, 44 e 46:

 

a) gli Stati membri possono autorizzare una formazione a tempo parziale alle condizioni previste dalle autorità competenti; queste ultime fanno sì che la durata complessiva, il livello e la qualità di siffatta formazione non siano inferiori a quelli della formazione continua a tempo pieno;

 

b) secondo le procedure specifiche di ciascuno Stato membro, la formazione e l'istruzione permanente permettono alle persone che hanno completato i propri studi di tenersi al passo con i progressi professionali in misura necessaria a mantenere prestazioni professionali sicure ed efficaci.

 

 

Articolo 23

Diritti acquisiti.

1. Fatti salvi i diritti acquisiti specifici alle professioni interessate, se i titoli di formazione in medicina che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di dentista, di dentista specialista, di veterinario, di ostetrica e di farmacista in possesso dei cittadini degli Stati membri non soddisfano l'insieme dei requisiti di formazione di cui agli articoli 24, 25, 31, 34, 35, 38, 40 e 44, ogni Stato membro riconosce come prova sufficiente i titoli di formazione rilasciati da tali Stati membri se tali titoli sanciscono il compimento di una formazione iniziata prima delle date di riferimento di cui all'allegato V, punti 5.1.1, 5.1.2, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2 e 5.6.2, se sono accompagnati da un attestato che certifica l'effettivo e lecito esercizio da parte dei loro titolari dell'attività in questione per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti al rilascio dell'attestato.

 

2. Le stesse norme si applicano ai titoli di formazione in medicina che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di dentista, di dentista specialista, di veterinario, di ostetrica e di farmacista acquisiti sul territorio della ex Repubblica democratica tedesca, che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui agli articoli 24, 25, 31, 34, 35, 38, 40 e 44 se tali titoli sanciscono il compimento di una formazione iniziata:

 

a) prima del 3 ottobre 1990 per i medici con formazione di base, infermieri responsabili dell'assistenza generale, dentisti, dentisti specialisti, veterinari, ostetriche, farmacisti e

 

b) prima del 3 aprile 1992 per i medici specialisti.

 

I titoli di formazione di cui al primo comma consentono l'esercizio delle attività professionali su tutto il territorio della Germania alle stesse condizioni dei titoli di formazione rilasciati dalle competenti autorità tedesche di cui all'allegato V, punti 5.1.1, 5.1.2, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2 e 5.6.2.

 

3. Fatto salvo l'articolo 37, paragrafo 1, ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione in medicina, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto che sono in possesso di cittadini degli Stati membri e che sono stati rilasciati nell'ex Cecoslovacchia, o per i quali la corrispondente formazione è iniziata, per la Repubblica ceca e la Slovacchia, anteriormente al 1° gennaio 1993, qualora le autorità dell'uno o dell'altro Stato membro summenzionato attestino che detti titoli di formazione hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano e, per quanto riguarda gli architetti, la stessa validità giuridica dei titoli menzionati, per detti Stati membri, all'allegato VI, punto 6, per quanto riguarda l'accesso alle, e l'esercizio delle, attività professionali di medico con formazione di base, medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, veterinario, ostetrica e farmacista, relativamente alle attività di cui all'articolo 45, paragrafo 2, e di architetto, relativamente alle attività di cui all'articolo 48.

 

Detto attestato deve essere corredato di un certificato rilasciato dalle medesime autorità, il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tali Stati membri, nel territorio di questi, delle attività in questione per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato.

 

4. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione in medicina, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di dentista, di dentista specialista, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto che sono in possesso di cittadini degli Stati membri e che sono stati rilasciati nell'ex Unione Sovietica, o per cui la corrispondente formazione è iniziata:

 

a) per l'Estonia, anteriormente al 20 agosto 1991,

 

b) per la Lettonia, anteriormente al 21 agosto 1991,

 

c) per la Lituania, anteriormente all'11 marzo 1990,

 

qualora le autorità di uno dei tre Stati membri summenzionati attestino che detti titoli hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano e, per quanto riguarda gli architetti, la stessa validità giuridica dei titoli menzionati, per detti Stati membri, all'allegato VI, punto 6, per quanto riguarda l'accesso alle, e l'esercizio delle, attività professionali di medico con formazione di base, medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, dentista specialista, veterinario, ostetrica e farmacista, relativamente alle attività di cui all'articolo 45, paragrafo 2, e di architetto, relativamente alle attività di cui all'articolo 48.

 

Detto attestato deve essere corredato di un certificato rilasciato dalle medesime autorità, il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tali Stati membri, nel territorio di questi, delle attività in questione per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato.

 

Per i titoli di formazione di veterinario rilasciati nell'ex Unione Sovietica o per i quali la corrispondente formazione è iniziata, per l'Estonia, anteriormente al 20 agosto 1991, l'attestato di cui al precedente comma deve essere corredato di un certificato rilasciato dalle autorità estoni, il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro, nel territorio di questo, delle attività in questione per almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

 

5. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione in medicina, che danno accesso alle attività professionali di medico con formazione di base e di medico specialista, di infermiere responsabile dell'assistenza generale, di dentista, di dentista specialista, di veterinario, di ostetrica, di farmacista e di architetto che sono in possesso di cittadini degli Stati membri e che sono stati rilasciati nell'ex Jugoslavia, o per i quali la corrispondente formazione è iniziata, per la Slovenia, anteriormente al 25 giugno 1991, qualora le autorità dello Stato membro summenzionato attestino che detti titoli hanno sul loro territorio la stessa validità giuridica dei titoli che esse rilasciano e, per quanto riguarda gli architetti, la stessa validità giuridica dei titoli menzionati, per detto Stato membro, all'allegato VI, punto 6, per quanto riguarda l'accesso alle, e l'esercizio delle, attività professionali di medico con formazione di base, medico specialista, infermiere responsabile dell'assistenza generale, dentista, dentista specialista, veterinario, ostetrica e farmacista, relativamente alle attività di cui all'articolo 45, paragrafo 2, e di architetto, relativamente alle attività di cui all'articolo 48.

 

Detto attestato deve essere corredato di un certificato rilasciato dalle medesime autorità, il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro, nel territorio di questo, delle attività in questione per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato.

 

6. Ogni Stato membro riconosce come prova sufficiente per i cittadini dello Stato membro i cui titoli di formazione di medico, d'infermiere responsabile dell'assistenza generale, di dentista, di veterinario, d'ostetrica e di farmacista non corrispondono alle denominazioni che compaiono per tale Stato membro all'allegato V, punti 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3, 5.1.4, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2 e 5.6.2, i titoli di formazione rilasciati da tali Stati membri se accompagnati da un certificato rilasciato da autorità od organi competenti.

 

Il certificato di cui al primo comma attesta che i titoli di formazione sanciscono il compimento di una formazione ai sensi rispettivamente degli articoli 24, 25, 28, 31, 34, 35, 38, 40 e 44 e sono assimilati dallo Stato membro che li ha rilasciati a quelli le cui denominazioni appaiono all'allegato V, punti 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3, 5.1.4, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2 e 5.6.2.

 

 

Articolo 23 bis (19)

Circostanze specifiche.

1. In deroga alla presente direttiva, la Bulgaria può autorizzare le persone in possesso del titolo di ..... (20)(feldsher) rilasciato in Bulgaria anteriormente al 31 dicembre 1999 e che esercitavano questa professione nell'ambito del regime nazionale di sicurezza sociale bulgaro alla data del 1° gennaio 2000 a continuare a esercitare detta professione, benché la loro attività sia in parte disciplinata dalle disposizioni della presente direttiva riguardanti, rispettivamente, i medici e gli infermieri responsabili dell'assistenza generale.

 

2. Le persone in possesso del titolo bulgaro di ...... (21)(feldsher) di cui al paragrafo 1 non hanno diritto al riconoscimento professionale in altri Stati membri in virtù della presente direttiva come medici e infermieri responsabili dell'assistenza generale.

 

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(19) Articolo inserito dall'allegato della direttiva 2006/100/CE.

(20) Si omette il testo in lingua straniera.

(21) Si omette il testo in lingua straniera.

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo III

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

 

Sezione 2

Medico

 

Articolo 24

Formazione medica di base.

1. L'ammissione alla formazione medica di base è subordinata al possesso di un diploma o certificato che dia accesso, per tali studi, a istituti universitari.

 

2. La formazione medica di base comprende almeno sei anni di studi o 5.500 ore d'insegnamento teorico e pratico dispensate in un'università o sotto la sorveglianza di un'università.

 

Per coloro che hanno iniziato i loro studi prima del 1 gennaio 1972, la formazione di cui al primo comma può comportare una formazione pratica a livello universitario di 6 mesi effettuata a tempo pieno sotto il controllo delle autorità competenti.

 

3. La formazione medica di base garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle conoscenze e competenze seguenti:

 

a) adeguate conoscenze delle scienze sulle quali si fonda la medicina, nonché una buona comprensione dei metodi scientifici, compresi i principi relativi alla misura delle funzioni biologiche, alla valutazione di fatti stabiliti scientificamente e all'analisi dei dati;

 

b) adeguate conoscenze della struttura, delle funzioni e del comportamento degli esseri umani, in buona salute e malati, nonché dei rapporti tra l'ambiente fisico e sociale dell'uomo ed il suo stato di salute;

 

c) adeguate conoscenze dei problemi e dei metodi clinici, atte a sviluppare una concezione coerente della natura delle malattie mentali e fisiche, dei tre aspetti della medicina:

 

prevenzione, diagnosi e terapia, nonché della riproduzione umana;

 

d) un'adeguata esperienza clinica acquisita in ospedale sotto opportuno controllo.

 

 

Articolo 25

Formazione medica specializzata.

1. L'ammissione alla formazione medica specializzata è subordinata al compimento e alla convalida di sei anni di studi nel quadro del ciclo di formazione di cui all'articolo 24 durante i quali sono state acquisite appropriate conoscenze di medicina di base.

 

2. La formazione medica specializzata comprende un insegnamento teorico e pratico, effettuato in un centro universitario, un centro ospedaliero universitario o, anche, un istituto di cure sanitarie a tal fine autorizzato da autorità od organi competenti.

 

Gli Stati membri fanno sì che la durata minima della formazione medica specializzata di cui all'allegato V, punto 5.1.3, non sia inferiore alla durata indicata al suddetto punto. La formazione avviene sotto il controllo di autorità od organi competenti e comporta la partecipazione personale del candidato medico specialista all'attività e alle responsabilità dei servizi in questione.

 

3. La formazione avviene a tempo pieno in luoghi appositi riconosciuti dalle autorità competenti e implica la partecipazione a tutte le attività mediche del dipartimento in cui essa avviene, anche alle guardie, in modo che lo specialista in formazione dedichi alla formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per tutta la durata della settimana di lavoro e per tutto l'anno, secondo modalità fissate dalle competenti autorità. Di conseguenza i posti vanno adeguatamente retribuiti.

 

4. Gli Stati membri subordinano il rilascio di un titolo di formazione medica specializzata al possesso di uno dei titoli di medico con formazione di base di cui all'allegato V, punto 5.1.1.

 

5. La Commissione può adeguare le durate minime di formazione di cui all’allegato V, punto 5.1.3, al progresso scientifico e tecnico. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (22).

 

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(22) Paragrafo così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

Articolo 26

Denominazioni delle formazioni mediche specializzate.

I titoli di formazione di medico specialista di cui all'articolo 21 sono quelli che, rilasciati da autorità od organi competenti di cui all'allegato V, punto 5.1.2, corrispondono, per la formazione specializzata in questione, alle denominazioni vigenti nei vari Stati membri che compaiono all'allegato V, punto 5.1.3.

 

La Commissione può introdurre nell’allegato V, punto 5.1.3, nuove specializzazioni mediche comuni ad almeno due quinti degli Stati membri per aggiornare la presente direttiva alla luce dell’evoluzione delle legislazioni nazionali. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (23).

 

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(23) Comma così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 27

Diritti acquisiti, specifici ai medici specialisti.

1. Ogni Stato membro ospitante può chiedere ai medici specialisti, la cui formazione medica specializzata a tempo parziale era disciplinata da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative vigenti alla data del 20 giugno 1975 e che hanno iniziato la loro formazione di specialisti entro il 31 dicembre 1983, che i loro titoli di formazione siano accompagnati da un attestato che certifichi l'effettivo e lecito esercizio da parte loro dell'attività in questione per almeno tre anni consecutivi nei cinque precedenti il rilascio dell'attestato.

 

2. Ogni Stato membro riconosce il titolo di medico specialista rilasciato in Spagna ai medici che hanno completato una formazione specializzata prima del 1 gennaio 1995 anche se tale formazione non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 25, se ad esso si accompagna un certificato rilasciato dalle competenti autorità spagnole attestante che l'interessato ha superato la prova di competenza professionale specifica organizzata nel contesto delle misure eccezionali di regolarizzazione di cui al decreto reale 1497/99 al fine di verificare se l'interessato possiede un livello di conoscenze e di competenze comparabile a quello dei medici che possiedono titoli di medico specialista definiti, per la Spagna, all'allegato V, punti 5.1.2 e 5.1.3.

 

3. Ogni Stato membro che ha abrogato le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative sul rilascio dei titoli di formazione di medico specialista di cui all'allegato V, punti 5.1.2 e 5.1.3, e che ha adottato a favore dei suoi cittadini provvedimenti sui diritti acquisiti, riconosce ai cittadini degli altri Stati membri il diritto di beneficiare delle stesse misure, purché siffatti titoli di formazione siano stati rilasciati prima della data a partire dalla quale lo Stato membro ospitante ha cessato di rilasciare i suoi titoli di formazione per la specializzazione interessata.

 

Le date di abrogazione di queste disposizioni si trovano all'allegato V, punto 5.1.3.

 

 

Articolo 28

Formazione specifica in medicina generale.

1. L'ammissione alla formazione specifica in medicina generale presuppone il compimento e la convalida di sei anni di studio nel quadro del ciclo di formazione di cui all'articolo 24.

 

2. La formazione specifica in medicina generale che fa conseguire titoli di formazione rilasciati entro il 1° gennaio 2006 dura almeno due anni a tempo pieno. Per i titoli di formazione rilasciati dopo tale data, dura almeno tre anni a tempo pieno.

 

Se il ciclo di formazione di cui all'articolo 24 implica una formazione pratica dispensata in un centro ospedaliero autorizzato, dotato di attrezzature e servizi adeguati di medicina generale o in seno a un ambulatorio di medicina generale autorizzato o a un centro autorizzato in cui i medici dispensano cure primarie, la durata di tale formazione pratica può essere inclusa, nel limite di un anno, nella durata di cui al primo comma per i titoli di formazione rilasciati a decorrere dal 1° gennaio 2006.

 

È possibile ricorrere alla facoltà di cui al secondo comma solo negli Stati membri in cui la durata della formazione specifica in medicina generale era di due anni alla data del 1° gennaio 2001.

 

3. La formazione specifica in medicina generale avviene a tempo pieno sotto il controllo delle autorità od organi competenti ed è di natura più pratica che teorica.

 

La formazione pratica è dispensata, da un lato, per almeno sei mesi in un centro ospedaliero autorizzato, dotato di attrezzature e servizi adeguati e, dall'altro, per almeno sei mesi in seno a un ambulatorio di medicina generale autorizzato o a un centro autorizzato in cui i medici dispensano cure primarie.

 

Essa è collegata ad altri istituti o strutture sanitari che si occupano di medicina generale. Tuttavia, fatti salvi i periodi minimi di cui al secondo comma, la formazione pratica può essere dispensata per un periodo di sei mesi al massimo in altri istituti o strutture sanitarie autorizzati che si occupano di medicina generale.

 

La formazione implica la partecipazione personale del candidato all'attività professionale e alle responsabilità delle persone con cui lavora.

 

4. Gli Stati membri subordinano il rilascio del titolo di formazione specifica in medicina generale al possesso di uno dei titoli di medico con formazione di base di cui all'allegato V, punto 5.1.1.

 

5. Gli Stati membri possono rilasciare i titoli di formazione di cui all'allegato V, punto 5.1.4 a un medico che non ha compiuto la formazione di cui al presente articolo ma ha completato un'altra formazione complementare sancita da un titolo di formazione rilasciato dalle autorità competenti di uno Stato membro. Tuttavia, si possono rilasciare titoli di formazione solo se sanciscono conoscenze di livello qualitativamente equivalente a quello delle conoscenze derivanti dalla formazione di cui al presente articolo.

 

Gli Stati membri stabiliscono tra l'altro in che misura si possa tener conto della formazione complementare e dell'esperienza professionale acquisita dal richiedente in sostituzione della formazione di cui al presente articolo.

 

Gli Stati membri possono rilasciare il titolo di formazione di cui all'allegato V, punto 5.1.4 solo se il richiedente ha acquisito un'esperienza in medicina generale di almeno sei mesi in seno a un ambulatorio di medicina generale o a un centro in cui i medici dispensano cure primarie di cui al paragrafo 3.

 

Articolo 29

Esercizio delle attività professionali di medico di medicina generale.

Nel quadro del suo regime nazionale di previdenza sociale, ogni Stato membro, fatte salve le norme sui diritti acquisiti, subordina l'esercizio dell'attività di medico di medicina generale al possesso di un titolo di formazione di cui all'allegato V, punto 5.1.4.

 

Gli Stati membri possono esentare da questa condizione le persone in corso di formazione specifica in medicina generale.

 

 

Articolo 30

Diritti acquisiti, specifici ai medici di medicina generale.

1. Ogni Stato membro stabilisce i diritti acquisiti ma, nel quadro del suo regime nazionale di previdenza sociale, deve ritenere acquisito il diritto di esercitare l'attività di medico di medicina generale, senza il titolo di formazione di cui all'allegato V, punto 5.1.4, a tutti i medici che godono di questo diritto alla data di riferimento indicata al punto sopraindicato in virtù delle norme applicabili alla professione di medico che consentono l'esercizio dell'attività professionale di medico con formazione di base, e che a tale data sono stabiliti sul suo territorio, avendo beneficiato delle disposizioni dell'articolo 21 o dell'articolo 23.

 

Le autorità competenti di ogni Stato membro rilasciano, su richiesta, un certificato attestante il diritto di esercitare l'attività di medico di medicina generale nel quadro del loro regime nazionale di previdenza sociale, senza il titolo di formazione di cui all'allegato V, punto 5.1.4, ai medici che sono titolari di diritti acquisiti ai sensi del primo comma.

 

2. Ogni Stato membro riconosce i certificati di cui al paragrafo 1, secondo comma, rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli altri Stati membri, attribuendo loro gli stessi effetti sul suo territorio che hanno i titoli di formazione che esso rilascia e che permettono l'esercizio dell'attività di medico di medicina generale nel quadro del suo regime nazionale di previdenza sociale.

 

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo III

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

 

Sezione 3

Infermiere responsabile dell'assistenza generale.

 

Articolo 31

Formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale.

1. L'ammissione alla formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale è subordinata al compimento di una formazione scolastica generale di 10 anni sancita da un diploma, certificato o altro titolo rilasciato da autorità od organi competenti di uno Stato membro o da un certificato attestante il superamento di un esame d'ammissione, di livello equivalente, alle scuole per infermieri.

 

2. La formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale avviene a tempo pieno con un programma che corrisponde almeno a quello di cui all'allegato V, punto 5.2.1.

 

La Commissione può adeguare gli elenchi delle materie di cui all’allegato V, punto 5.2.1, al progresso scientifico e tecnico. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (24).

 

In nessuno Stato membro, tale aggiornamento può comportare una modifica ai principi legislativi vigenti sul regime delle professioni per quanto concerne la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche.

 

3. La formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale comprende almeno tre anni di studi o 4.600 ore d'insegnamento teorico e clinico. L'insegnamento teorico rappresenta almeno un terzo e quello clinico almeno la metà della durata minima della formazione. Gli Stati membri possono accordare esenzioni parziali a persone che hanno acquisito parte di questa formazione nel quadro di altre formazioni di livello almeno equivalente.

 

Gli Stati membri fanno sì che l'istituzione incaricata della formazione d'infermiere sia responsabile del coordinamento tra l'insegnamento teorico e quello clinico per tutto il programma di studi.

 

4. L'insegnamento teorico è la parte di formazione in cure infermieristiche con cui il candidato infermiere acquisisce le conoscenze, la comprensione, le competenze e gli atteggiamenti professionali necessari a pianificare, dispensare e valutare cure sanitarie globali. La formazione è impartita da insegnanti di cure infermieristiche e da altro personale competente, in scuole per infermieri e in altri luoghi d'insegnamento scelti dall'ente di formazione.

 

5. L'insegnamento clinico è la parte di formazione in cure infermieristiche con cui il candidato infermiere apprende, nell'ambito di un gruppo e a diretto contatto con individui e/o collettività sani o malati, a pianificare, dispensare e valutare le necessarie cure infermieristiche globali in base a conoscenze e competenze acquisite. Egli apprende non solo a lavorare come membro di un gruppo, ma anche a essere un capogruppo che organizza cure infermieristiche globali, e anche l'educazione alla salute per singoli individui e piccoli gruppi in seno all'istituzione sanitaria o alla collettività.

 

L'insegnamento ha luogo in ospedali e altre istituzioni sanitarie e nella collettività, sotto la responsabilità di infermieri insegnanti e con la cooperazione e l'assistenza di altri infermieri qualificati. All'attività dell'insegnamento potrà partecipare anche altro personale qualificato.

 

I candidati infermieri partecipano alle attività dei servizi in questione nella misura in cui queste contribuiscono alla loro formazione, consentendo loro di apprendere ad assumersi le responsabilità che le cure infermieristiche implicano.

 

6. La formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle conoscenze e competenze seguenti:

 

a) un'adeguata conoscenza delle scienze che sono alla base dell'assistenza infermieristica di carattere generale, compresa una sufficiente conoscenza dell'organismo, delle funzioni fisiologiche e del comportamento delle persone in buona salute e malate, nonché delle relazioni esistenti tra lo stato di salute e l'ambiente fisico e sociale dell'essere umano;

 

b) una sufficiente conoscenza della natura e dell'etica della professione e dei principi generali riguardanti la salute e l'assistenza infermieristica;

 

c) un'adeguata esperienza clinica; tale esperienza, che dovrebbe essere scelta per il suo valore formativo, dovrebbe essere acquisita sotto il controllo di personale infermieristico qualificato e in luoghi in cui il numero del personale qualificato e l'attrezzatura siano adeguati all'assistenza infermieristica dei pazienti;

 

d) la capacità di partecipare alla formazione del personale sanitario e un'esperienza di collaborazione con tale personale;

 

e) un'esperienza di collaborazione con altre persone che svolgono un'attività nel settore sanitario.

 

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(24) Comma così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 32

Esercizio delle attività professionali d'infermiere responsabile dell'assistenza generale.

Ai fini della presente direttiva, le attività professionali d'infermiere responsabile dell'assistenza generale sono le attività esercitate a titolo professionale e indicate nell'allegato V, punto 5.2.2.

 

 

Articolo 33

Diritti acquisiti, specifici agli infermieri responsabili dell'assistenza generale.

1. Se agli infermieri responsabili dell'assistenza generale si applicano le norme generali sui diritti acquisiti, le attività di cui all'articolo 23 devono comprendere la piena responsabilità della programmazione, organizzazione e somministrazione delle cure infermieristiche ai pazienti.

 

2. Per quanto riguarda i titoli polacchi di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale, si applicano solo le seguenti disposizioni relative ai diritti acquisiti. Per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale sono stati rilasciati o la cui corrispondente formazione è iniziata in Polonia anteriormente al 1° maggio 2004 e che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 31, gli Stati membri riconoscono come prova sufficiente i seguenti titoli di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale se corredati di un certificato il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro, nel territorio della Polonia, delle attività di infermiere responsabile dell'assistenza generale per il periodo di seguito specificato:

 

a) titolo di formazione di grado licenza di infermiere (dyplom licencjata pielêgniarstwa): almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato,

 

b) titolo di formazione di grado diploma di infermiere (dyplom pielêgniarki albo pielêgniarki dyplomowanej) che attesta il completamento dell'istruzione post-secondaria ottenuto da una scuola professionale medica: almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

 

Le suddette attività devono aver incluso l'assunzione della piena responsabilità per la pianificazione, l'organizzazione e la prestazione delle attività infermieristiche nei confronti del paziente.

 

3. Gli Stati membri riconoscono i titoli di infermiere rilasciati in Polonia ad infermieri che hanno completato anteriormente al 1° maggio 2004 la corrispondente formazione che non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 31, sancita dal titolo di «licenza di infermiere» ottenuto sulla base di uno speciale programma di rivalorizzazione di cui all'articolo 11 della legge del 20 aprile 2004 che modifica la legge sulle professioni di infermiere e ostetrica e taluni altri atti giuridici (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia del 30 aprile 2004 n. 92, pag. 885) e al regolamento del Ministro della sanità dell'11 maggio 2004 sulle condizioni dettagliate riguardanti i corsi impartiti agli infermieri e alle ostetriche, che sono titolari di un certificato di scuola secondaria (esame finale - maturità) e che hanno conseguito un diploma di infermiere e di ostetrica presso un liceo medico o una scuola professionale medica (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia del 13 maggio 2004 n. 110, pag. 1170), allo scopo di verificare che gli interessati sono in possesso di un livello di conoscenze e di competenze paragonabile a quello degli infermieri in possesso delle qualifiche che, per quanto riguarda la Polonia, sono definite nell'allegato V, punto 5.2.2.

 

 

Articolo 33 bis (25)

Per quanto riguarda il titolo rumeno di infermiere responsabile dell'assistenza generale, si applicano solo le seguenti disposizioni relative ai diritti acquisiti.

 

Per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di infermiere responsabile dell'assistenza generale sono stati rilasciati o la cui corrispondente formazione è iniziata in Romania anteriormente alla data di adesione e la cui formazione non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 31, ogni Stato membro riconosce il titolo di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale (Certificat de competente profesionale de asistent medical generalist) con istruzione post-secondaria ottenuta da una scoala postliceala come prova sufficiente se corredato di un attestato il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro, nel territorio della Romania, delle attività di infermiere responsabile dell'assistenza generale per un periodo di almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti la data di rilascio dell'attestato.

 

Le suddette attività devono aver incluso l'assunzione della piena responsabilità per la pianificazione, l'organizzazione e lo svolgimento delle attività infermieristiche nei confronti del paziente.

 

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(25) Articolo inserito dall'allegato della direttiva 2006/100/CE.

 

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo III

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

 

Sezione 4

Dentista

 

Articolo 34

Formazione di dentista di base.

1. L'ammissione alla formazione di dentista di base presuppone il possesso di un diploma o certificato che dia accesso, per tale studio, a istituti universitari o a istituti superiori di livello riconosciuto equivalente, in uno Stato membro.

 

2. La formazione di dentista di base comprende almeno cinque anni di studi teorici e pratici a tempo pieno vertenti su un programma che corrisponda almeno a quello di cui all'allegato V, punto 5.3.1 effettuati in un'università, in un istituto superiore di livello riconosciuto equivalente o sotto la sorveglianza di un'università.

 

La Commissione può adeguare gli elenchi delle materie di cui all’allegato V, punto 5.3.1, al progresso scientifico e tecnico. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (26).

 

In nessuno Stato membro, tale aggiornamento può comportare una modifica ai principi legislativi vigenti sul regime delle professioni per quanto concerne la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche.

 

3. La formazione di dentista di base garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle conoscenze e competenze seguenti:

 

a) adeguate conoscenze delle scienze sulle quali si fonda l'odontoiatria, nonché una buona comprensione dei metodi scientifici e in particolare dei principi relativi alla misura delle funzioni biologiche, alla valutazione di fatti stabiliti scientificamente e all'analisi dei dati;

 

b) adeguate conoscenze della costituzione, della fisiologia e del comportamento di persone sane e malate, nonché del modo in cui l'ambiente naturale e sociale influisce sullo stato di salute dell'uomo, nella misura in cui ciò abbia rapporti con l'odontoiatria;

 

c) adeguate conoscenze della struttura e della funzione di denti, bocca, mascelle e dei relativi tessuti, sani e malati, nonché dei loro rapporti con lo stato generale di salute ed il benessere fisico e sociale del paziente;

 

d) adeguata conoscenza delle discipline e dei metodi clinici che forniscano un quadro coerente delle anomalie, lesioni e malattie dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché dell'odontoiatria sotto l'aspetto preventivo, diagnostico e terapeutico;

 

e) adeguata esperienza clinica acquisita sotto opportuno controllo.

 

La formazione di dentista di base conferisce le competenze necessarie per esercitare tutte le attività inerenti alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle anomalie e delle malattie dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti.

 

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(26) Comma così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 35

Formazione di dentista specialista.

1. L'ammissione alla formazione di dentista specialista presuppone il compimento con successo di cinque anni di studi teorici e pratici nell'ambito del ciclo di formazione di cui all'articolo 34, oppure il possesso dei documenti di cui agli articoli 23 e 37.

 

2. La formazione di dentista specialista comprende un insegnamento teorico e pratico dispensato in un centro universitario, in un centro di cura, di insegnamento e di ricerca o, eventualmente, in un istituto di cura abilitato a tal fine dalle autorità od organi competenti.

 

La formazione di dentista specialista si svolge a tempo pieno, per un periodo non inferiore a tre anni, sotto controllo delle autorità od organi competenti. Essa richiede la partecipazione personale del dentista candidato alla specializzazione all'attività e alle responsabilità dell'istituto in questione.

 

La Commissione può adeguare il periodo minimo di formazione di cui al secondo comma al progresso scientifico e tecnico. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (27).

 

3. Gli Stati membri subordinano il rilascio del titolo di formazione di dentista specialista al possesso di un titolo di formazione odontoiatrica di base di cui all'allegato V, punto 5.3.2.

 

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(27) Comma così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 36

Esercizio delle attività professionali di dentista.

1. Ai fini della presente direttiva, le attività professionali di dentista sono quelle definite al paragrafo 3 ed esercitate con i titoli professionali di cui all'allegato V, punto 5.3.2.

 

2. La professione di dentista si basa sulla formazione dentistica di cui all'articolo 34 ed è una professione specifica e distinta da quella di medico, specializzato o no. L'esercizio dell'attività professionale di dentista presuppone il possesso di un titolo di formazione di cui all'allegato V, punto 5.3.2. I titolari di tale titolo di formazione sono assimilati a coloro ai quali si applicano gli articoli 23 o 37.

 

3. Gli Stati membri garantiscono che, in generale, ai dentisti sia consentito accedere alle attività di prevenzione, diagnosi e trattamento delle anomalie e malattie dei denti, della bocca, delle mascelle e dei tessuti attigui ed esercitare le stesse nel rispetto delle disposizioni regolamentari e delle regole deontologiche che disciplinano la professione alle date di riferimento di cui all'allegato V, punto 5.3.2.

 

 

Articolo 37

Diritti acquisiti, specifici dei dentisti.

1. Ogni Stato membro riconosce, ai fini dell'esercizio dell'attività professionale di dentista con i titoli di cui all'allegato V, punto 5.3.2, i titoli di formazione in medicina rilasciati in Italia, Spagna, Austria, Repubblica ceca, Slovacchia e Romania a chi ha iniziato la formazione in medicina entro la data di riferimento di cui al suddetto allegato per lo Stato membro interessato, accompagnati da un attestato rilasciato dalle autorità competenti di tale Stato membro (28).

 

L'attestato deve certificare il rispetto delle due condizioni che seguono:

 

a) tali persone hanno esercitato effettivamente, lecitamente e a titolo principale nel suddetto Stato membro l'attività di cui all'articolo 36, per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque precedenti il rilascio dell'attestato;

 

b) tali persone sono autorizzate a esercitare la suddetta attività alle stesse condizioni dei titolari del titolo di formazione indicato per questo Stato nell'allegato V, punto 5.3.2.

 

È dispensato dal requisito della pratica professionale di tre anni, di cui al secondo comma, lettera a), chi abbia portato a termine studi di almeno tre anni, che le autorità competenti dello Stato interessato certificano equivalenti alla formazione di cui all'articolo 34.

 

Per quanto riguarda la Repubblica ceca e la Slovacchia, i titoli di formazione conseguiti nell'ex Cecoslovacchia sono riconosciuti al pari dei titoli di formazione cechi e slovacchi e alle stesse condizioni stabilite nei commi precedenti.

 

2. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione in medicina rilasciati in Italia a chi ha iniziato la formazione universitaria in medicina dopo il 28 gennaio 1980 e prima del 31 dicembre 1984, accompagnati da un attestato rilasciato dalle competenti autorità italiane.

 

L'attestato deve certificare il rispetto delle tre condizioni che seguono:

 

a) tali persone hanno superato la specifica prova attitudinale organizzata dalle competenti autorità italiane per verificare se possiedono conoscenze e competenze di livello paragonabile a quelle dei possessori del titolo di formazione indicato all'allegato V, punto 5.3.2 per l'Italia;

 

b) tali persone hanno esercitato effettivamente, lecitamente e a titolo principale in Italia l'attività di cui all'articolo 36, per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque precedenti il rilascio dell'attestato;

 

c) tali persone sono autorizzate a esercitare o esercitano effettivamente, lecitamente e a titolo principale le attività di cui all'articolo 36 alle stesse condizioni dei possessori del titolo di formazione indicato per l'Italia all'allegato V, punto 5.3.2.

 

È dispensato dalla prova attitudinale, di cui al secondo comma, lettera a), chi abbia portato a termine studi di almeno tre anni, che le autorità competenti certificano equivalenti alla formazione di cui all'articolo 34.

 

Sono equiparati ai predetti soggetti coloro che hanno iniziato la formazione universitaria di medico dopo il 31 dicembre 1984, purché i tre anni di studio sopra citati abbiano avuto inizio entro il 31 dicembre 1994.

 

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(28) Comma così modificato dall'allegato della direttiva 2006/100/CE.

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo III

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

 

Sezione 5

Veterinario

 

Articolo 38

Formazione di veterinario.

1. La formazione di veterinario comprende almeno cinque anni di studi teorici e pratici a tempo pieno presso un'università, un istituto superiore di livello riconosciuto equivalente o sotto la sorveglianza di un'università, che vertano almeno sul programma che compare all'allegato V, punto 5.4.1.

 

La Commissione può adeguare gli elenchi delle materie di cui all’allegato V, punto 5.4.1, al progresso scientifico e tecnico. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (29).

 

In nessuno Stato membro l'aggiornamento può comportare modifiche ai principi legislativi vigenti sul regime delle professioni per quanto concerne la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche.

 

2. L'ammissione alla formazione di veterinario è subordinata al possesso di un diploma o certificato che dia accesso, per tale studio, a istituti universitari o a istituti superiori riconosciuti da uno Stato membro come di livello equivalente ai fini dello studio in questione.

 

3. La formazione di veterinario garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle conoscenze e competenze seguenti:

 

a) adeguate conoscenze delle scienze sulle quali si fondano le attività di veterinario;

 

b) adeguate conoscenze della struttura e delle funzioni degli animali in buona salute, del loro allevamento, della loro riproduzione e della loro igiene in generale, come pure della loro alimentazione, compresa la tecnologia impiegata nella fabbricazione e conservazione degli alimenti rispondenti alle loro esigenze;

 

c) adeguate conoscenze nel settore del comportamento e della protezione degli animali;

 

d) adeguate conoscenze delle cause, della natura, dell'evoluzione, degli effetti, della diagnosi e della terapia delle malattie degli animali, sia individualmente che collettivamente;

 

fra queste, una particolare conoscenza delle malattie trasmissibili all'uomo;

 

e) adeguate conoscenze della medicina preventiva;

 

f) adeguate conoscenze dell'igiene e della tecnologia per ottenere, fabbricare e immettere in commercio i prodotti alimentari animali o di origine animale destinati al consumo umano;

 

g) adeguate conoscenze per quanto riguarda le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alle materie summenzionate;

 

h) un'adeguata esperienza clinica e pratica sotto opportuno controllo.

 

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(29) Comma così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

Articolo 39

Diritti acquisiti, specifici ai veterinari.

Fatto salvo l'articolo 23, paragrafo 4, per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione di veterinario sono stati rilasciati in Estonia o per i quali la corrispondente formazione è iniziata in tale Stato anteriormente al 1° maggio 2004, gli Stati membri riconoscono detti titoli di formazione di veterinario se sono corredati di un certificato che dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro, nel territorio di questo, delle attività in questione per almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

 

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo III

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

 

Sezione 6

Ostetrica

 

Articolo 40

Formazione di ostetrica.

1. La formazione di ostetrica comprende almeno una delle formazioni che seguono:

 

a) una formazione specifica a tempo pieno di ostetrica di almeno 3 anni di studi teorici e pratici (possibilità I) vertente almeno sul programma di cui all'allegato V, punto 5.5.1,

 

b) una formazione specifica a tempo pieno di ostetrica di 18 mesi (possibilità II), vertente almeno sul programma di cui all'allegato V, punto 5.5.1 le cui materie non siano comprese in un insegnamento equivalente per la formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale.

 

Gli Stati membri fanno sì che l'ente incaricato della formazione delle ostetriche sia responsabile del coordinamento tra teoria e pratica per tutto il programma di studi.

 

La Commissione può adeguare gli elenchi delle materie di cui all’allegato V, punto 5.5.1, al progresso scientifico e tecnico. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (30).

 

In nessuno Stato membro l'aggiornamento può comportare modifiche ai principi legislativi vigenti sul regime delle professioni per quanto concerne la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche.

 

2. L'accesso alla formazione di ostetrica è subordinato a una delle condizioni che seguono:

 

a) compimento almeno dei primi dieci anni di formazione scolastica generale, per la possibilità I, o

 

b) possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, punto 5.2.2, per la possibilità II.

 

3. La formazione di ostetrica garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle conoscenze e competenze seguenti:

 

a) un'adeguata conoscenza delle scienze che sono alla base delle attività di ostetrica, ed in special modo dell'ostetricia e della ginecologia;

 

b) un'adeguata conoscenza della deontologia e della legislazione professionale;

 

c) un'approfondita conoscenza delle funzioni biologiche, dell'anatomia e della fisiologia nei settori dell'ostetricia e del neonato, nonché una conoscenza dei rapporti tra lo stato di salute e l'ambiente fisico e sociale dell'essere umano e del suo comportamento;

 

d) un'adeguata esperienza clinica acquisita sotto il controllo di personale ostetrico qualificato e in istituti autorizzati;

 

e) la necessaria comprensione della formazione del personale sanitario e un'esperienza di collaborazione con tale personale.

 

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(30) Comma così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 41

Modalità del riconoscimento dei titoli di formazione di ostetrica.

1. I titoli di formazione di ostetrica di cui all'allegato V, punto 5.5.2, beneficiano del riconoscimento automatico ai sensi dell'articolo 21 se soddisfano uno dei seguenti requisiti:

 

a) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno tre anni:

 

i) subordinata al possesso di un diploma, certificato o altro titolo che dia accesso agli istituti universitari o di insegnamento superiore o, in mancanza di esso, che garantisca un livello equivalente di conoscenze, oppure

 

ii) seguita da una pratica professionale di due anni al termine della quale sia rilasciato un attestato ai sensi del paragrafo 2;

 

b) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno due anni o 3.600 ore subordinata al possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, punto 5.2.2;

 

c) una formazione a tempo pieno di ostetrica di almeno 18 mesi o 3.000 ore subordinata al possesso di un titolo di formazione d'infermiere responsabile dell'assistenza generale di cui all'allegato V, punto 5.2.2 e seguita da una pratica professionale di un anno per la quale sia rilasciato un attestato ai sensi del paragrafo 2.

 

2. L'attestato di cui al paragrafo 1 è rilasciato dalle autorità competenti dello Stato membro d'origine e certifica che il titolare, dopo l'acquisizione del titolo di formazione di ostetrica, ha esercitato in modo soddisfacente, in un ospedale o in un istituto di cure sanitarie a tal fine autorizzato, tutte le attività di ostetrica per il periodo corrispondente.

 

Articolo 42

Esercizio delle attività professionali di ostetrica.

1. Le disposizioni della presente sezione si applicano alle attività di ostetrica come definite da ciascun Stato membro, fatto salvo il paragrafo 2, ed esercitate con i titoli professionali di cui all'allegato V, punto 5.5.2.

 

2. Gli Stati membri garantiscono che le ostetriche sono autorizzate almeno all'accesso ed all'esercizio delle seguenti attività.

 

a) fornire una buona informazione e dare consigli per quanto concerne i problemi della pianificazione familiare;

 

b) accertare la gravidanza e in seguito sorvegliare la gravidanza normale, effettuare gli esami necessari al controllo dell'evoluzione della gravidanza normale;

 

c) prescrivere o consigliare gli esami necessari per la diagnosi quanto più precoce di gravidanze a rischio;

 

d) predisporre programmi di preparazione dei futuri genitori ai loro compiti, assicurare la preparazione completa al parto e fornire consigli in materia di igiene e di alimentazione;

 

e) assistere la partoriente durante il travaglio e sorvegliare lo stato del feto nell'utero con i mezzi clinici e tecnici appropriati;

 

f) praticare il parto normale, quando si tratti di presentazione del vertex, compresa, se necessario, l'episiotomia e, in caso di urgenza, praticare il parto nel caso di una presentazione podalica;

 

g) individuare nella madre o nel bambino i segni di anomalie che richiedono l'intervento di un medico e assistere quest'ultimo in caso d'intervento; prendere i provvedimenti d'urgenza che si impongono in assenza del medico e, in particolare, l'estrazione manuale della placenta seguita eventualmente dalla revisione uterina manuale;

 

h) esaminare il neonato e averne cura; prendere ogni iniziativa che s'imponga in caso di necessità e, eventualmente, praticare la rianimazione immediata;

 

i) assistere la partoriente, sorvegliare il puerperio e dare alla madre tutti i consigli utili affinché possa allevare il neonato nel modo migliore;

 

j) praticare le cure prescritte da un medico;

 

k) redigere i necessari rapporti scritti.

 

Articolo 43

Diritti acquisiti, specifici alle ostetriche.

1. Ogni Stato membro riconosce come prova sufficiente per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione in ostetricia soddisfano tutti i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 40 ma, ai sensi dell'articolo 41, sono riconoscibili solo se accompagnati dall'attestato di pratica professionale di cui al suddetto articolo 41, paragrafo 2, i titoli di formazione rilasciati dagli Stati membri prima della data di riferimento di cui all'allegato V, punto 5.5.2, accompagnati da un attestato che certifichi l'effettivo e lecito esercizio da parte di questi cittadini delle attività in questione per almeno due anni consecutivi nei cinque che precedono il rilascio dell'attestato.

 

2. Le condizioni di cui al paragrafo 1 si applicano ai cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione in ostetricia sanciscono una formazione acquisita sul territorio della ex Repubblica democratica tedesca e che soddisfa tutti i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 40 ma, ai sensi dell'articolo 41, sono riconoscibili solo se accompagnati dall'attestato di pratica professionale di cui all'articolo 41, paragrafo 2, se sanciscono una formazione iniziata prima del 3 ottobre 1990.

 

3. Per quanto riguarda i titoli polacchi di formazione in ostetricia, si applicano solo le seguenti disposizioni relative ai diritti acquisiti.

 

Per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di formazione in ostetricia sono stati rilasciati o la cui corrispondente formazione è iniziata in Polonia anteriormente al 1° maggio 2004 e che non soddisfano i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 40, gli Stati membri riconoscono i seguenti titoli di formazione in ostetricia se corredati di un certificato il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro delle attività di ostetrica per il periodo di seguito specificato:

 

a) titolo di formazione di grado licenza in ostetricia (dyplom licencjata po³o¿nictwa): almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato,

 

b) titolo di formazione di grado diploma in ostetricia che certifichi il compimento di un ciclo di istruzione post-secondaria, ottenuto da una scuola professionale medica (dyplom polonej): almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

 

4. Gli Stati membri riconoscono i titoli di ostetrica rilasciati in Polonia ad ostetriche che hanno completato la corrispondente formazione anteriormente al 1° maggio 2004, che non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 40, sancita dal titolo di «licenza di ostetrica» ottenuto sulla base di uno speciale programma di rivalorizzazione di cui all'articolo 11 della legge del 20 aprile 2004 che modifica la legge sulle professioni di infermiere e ostetrica e taluni altri atti giuridici (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia del 30 aprile 2004 n. 92, pag. 885) e al regolamento del Ministro della sanità dell'11 maggio 2004 sulle condizioni dettagliate riguardanti i corsi impartiti agli infermieri e alle ostetriche, che sono titolari di un certificato di scuola secondaria (esame finale - maturità) e che hanno conseguito un diploma di infermiere e di ostetrica presso un liceo medico o una scuola professionale medica (Gazzetta ufficiale della Repubblica di Polonia del 13 maggio 2004 n. 110, pag. 1170), allo scopo di verificare che gli interessati sono in possesso di un livello di conoscenze e di competenze paragonabile a quello delle ostetriche in possesso delle qualifiche che, per quanto riguarda la Polonia, sono definite nell'allegato V, punto 5.5.2.

 

 

Articolo 43 bis (31)

Per quanto riguarda il titolo rumeno di ostetrica, si applicano solo le seguenti disposizioni relative ai diritti acquisiti.

 

Per i cittadini degli Stati membri i cui titoli di titoli di ostetrica (asistent medical obstetricã-ginecologie) sono stati rilasciati dalla Romania anteriormente alla data di adesione e la cui formazione non soddisfa i requisiti minimi di formazione di cui all'articolo 40, ogni Stato membro riconosce detti titoli come prova sufficiente ai fini dell'esercizio delle attività di ostetrica se corredati di un attestato il quale dimostri l'effettivo e lecito esercizio da parte dei cittadini di tale Stato membro, nel territorio della Romania, delle attività di ostetrica per un periodo di almeno cinque anni consecutivi nei sette anni precedenti il rilascio del certificato.

 

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(31) Articolo inserito dall'allegato della direttiva 2006/100/CE.

 

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo III

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

 

Sezione 7

Farmacista

 

Articolo 44

Formazione di farmacista.

1. L'ammissione alla formazione di farmacista è subordinata al possesso di un diploma o certificato che dia accesso, per tale studio, a istituti universitari o a istituti superiori di livello riconosciuto equivalente, in uno Stato membro.

 

2. Il titolo di formazione di farmacista sancisce una formazione della durata di almeno cinque anni, di cui almeno:

 

a) quattro anni d'insegnamento teorico e pratico a tempo pieno in un'università, un istituto superiore di livello riconosciuto equivalente o sotto la sorveglianza di un'università,

 

b) sei mesi di tirocinio in una farmacia aperta al pubblico o in un ospedale sotto la sorveglianza del servizio farmaceutico di quest'ultimo.

 

Tale ciclo di formazione verte almeno sul programma di cui all'allegato V, punto 5.6.1. La Commissione può adeguare gli elenchi delle materie di cui all’allegato V, punto 5.6.1, al progresso scientifico e tecnico. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (32). In nessuno Stato membro l'aggiornamento può comportare modifiche ai principi legislativi vigenti sul regime delle professioni per quanto concerne la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche.

 

3. La formazione di farmacista garantisce l'acquisizione da parte dell'interessato delle conoscenze e competenze seguenti:

 

a) un'adeguata conoscenza dei medicinali e delle sostanze utilizzate per la loro fabbricazione;

 

b) un'adeguata conoscenza della tecnologia farmaceutica e del controllo fisico, chimico, biologico e microbiologico dei medicinali;

 

c) un'adeguata conoscenza del metabolismo e degli effetti dei medicinali, nonché dell'azione delle sostanze tossiche e dell'utilizzazione dei medicinali stessi;

 

d) un'adeguata conoscenza che consenta di valutare i dati scientifici concernenti i medicinali in modo da potere su tale base fornire le informazioni appropriate;

 

e) un'adeguata conoscenza dei requisiti legali e di altro tipo in materia di esercizio delle attività farmaceutiche.

 

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(32) Frase così sostituita dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 45

Esercizio delle attività professionali di farmacista.

1. Ai fini della presente direttiva le attività di farmacista sono quelle il cui accesso ed esercizio è subordinato, in uno o più Stati membri, a condizioni di qualificazione professionale e che sono aperte ai titolari di uno dei titoli di formazione di cui all'allegato V, punto 5.6.2.

 

2. Gli Stati membri fanno sì che i possessori di un titolo di formazione in farmacia, a livello universitario o a livello considerato equivalente, che soddisfi le condizioni dell'articolo 44, siano autorizzati ad accedere e a esercitare almeno le seguenti attività, con l'eventuale riserva di un'esperienza professionale complementare:

 

a) preparazione della forma farmaceutica dei medicinali;

 

b) fabbricazione e controllo dei medicinali;

 

c) controllo dei medicinali in un laboratorio di controllo dei medicinali;

 

d) immagazzinamento, conservazione e distribuzione dei medicinali nella fase di commercio all'ingrosso;

 

e) preparazione, controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali nelle farmacie aperte al pubblico;

 

f) preparazione, controllo, immagazzinamento e distribuzione dei medicinali negli ospedali;

 

g) diffusione di informazioni e consigli nel settore dei medicinali.

 

3. Se, in uno Stato membro, l'accesso all'attività di farmacista o il suo esercizio è subordinato al requisito di un'esperienza professionale complementare, oltre al possesso di un titolo di formazione di cui all'allegato V, punto 5.6.2, tale Stato membro riconosce come prova sufficiente al riguardo un attestato rilasciato dalle competenti autorità dello Stato membro d'origine che certifica che l'interessato ha esercitato la suddetta attività nello Stato membro d'origine per un periodo di tempo equivalente.

 

4. Il riconoscimento di cui al paragrafo 3 non interviene per quanto concerne l'esperienza professionale di due anni richiesta dal Granducato del Lussemburgo per il rilascio di una concessione statale di farmacia aperta al pubblico.

 

5. Se, alla data del 16 settembre 1985, in uno Stato membro esisteva un concorso per esami per scegliere, fra i titolari di cui al paragrafo 2, coloro che diverranno i titolari delle nuove farmacie di cui è stata decisa l'apertura nel quadro di un regime nazionale di ripartizione geografica, tale Stato membro può, in deroga al paragrafo 1, mantenere il concorso e sottoporre ad esso i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di formazione di farmacista di cui all'allegato V, punto 5.6.2 o che beneficiano del disposto dell'articolo 23.

 

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo III

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

 

Sezione 8

Architetto

 

Articolo 46

Formazione di architetto.

1. La formazione di architetto comprende almeno quattro anni di studi a tempo pieno oppure sei anni di studi, di cui almeno tre a tempo pieno, in un'università o un istituto di insegnamento comparabile. Tale formazione deve essere sancita dal superamento di un esame di livello universitario.

 

Questo insegnamento di livello universitario il cui elemento principale è l'architettura, deve mantenere un equilibrio tra gli aspetti teorici e pratici della formazione in architettura e garantire l'acquisizione delle seguenti conoscenze e competenze:

 

a) capacità di creare progetti architettonici che soddisfino le esigenze estetiche e tecniche;

 

b) adeguata conoscenza della storia e delle teorie dell'architettura nonché delle arti, tecnologie e scienze umane ad essa attinenti;

 

c) conoscenza delle belle arti in quanto fattori che possono influire sulla qualità della concezione architettonica;

 

d) adeguata conoscenza in materia di urbanistica, pianificazione e tecniche applicate nel processo di pianificazione;

 

e) capacità di cogliere i rapporti tra uomo e opere architettoniche e tra opere architettoniche e il loro ambiente, nonché la capacità di cogliere la necessità di adeguare tra loro opere architettoniche e spazi, in funzione dei bisogni e della misura dell'uomo;

 

f) capacità di capire l'importanza della professione e delle funzioni dell'architetto nella società, in particolare elaborando progetti che tengano conto dei fattori sociali;

 

g) conoscenza dei metodi d'indagine e di preparazione del progetto di costruzione;

 

h) conoscenza dei problemi di concezione strutturale, di costruzione e di ingegneria civile connessi con la progettazione degli edifici;

 

i) conoscenza adeguata dei problemi fisici e delle tecnologie nonché della funzione degli edifici, in modo da renderli internamente confortevoli e proteggerli dai fattori climatici;

 

j) capacità tecnica che consenta di progettare edifici che rispondano alle esigenze degli utenti, nei limiti imposti dal fattore costo e dai regolamenti in materia di costruzione;

 

k) conoscenza adeguata delle industrie, organizzazioni, regolamentazioni e procedure necessarie per realizzare progetti di edifici e per l'integrazione dei piani nella pianificazione generale.

 

2. La Commissione può adeguare le conoscenze e le competenze di cui al paragrafo 1 al progresso scientifico e tecnico. Tale misura, intesa a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 58, paragrafo 3 (33).

 

In nessuno Stato membro l'aggiornamento può comportare modifiche ai principi legislativi vigenti sul regime delle professioni per quanto concerne la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche.

 

--------------------------------------------------------------------------------

(33) Comma così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 47

Deroghe alle condizioni della formazione di architetto.

1. In deroga all'articolo 46, è riconosciuta soddisfare l'articolo 21 anche la formazione impartita in tre anni dalle Fachhochschulen della Repubblica federale di Germania, in vigore al 5 agosto 1985, che soddisfa i requisiti di cui all'articolo 46 e che dà accesso alle attività di cui all'articolo 48 in tale Stato membro con il titolo professionale di architetto, purché la formazione sia completata da un periodo di esperienza professionale di quattro anni, nella Repubblica federale di Germania, attestato da un certificato rilasciato dall'ordine professionale cui è iscritto l'architetto che desidera beneficiare delle disposizioni della presente direttiva.

 

L'ordine professionale deve preventivamente stabilire che i lavori compiuti dall'architetto interessato in campo architettonico sono applicazioni che provano il possesso di tutte le conoscenze e competenze di cui all'articolo 46, paragrafo 1. Il certificato è rilasciato con la stessa procedura che si applica all'iscrizione all'ordine professionale.

 

2. In deroga all'articolo 46, è riconosciuta soddisfare l'articolo 21 anche la formazione acquisita nel quadro della promozione sociale o di studi universitari a tempo parziale, anche la formazione, che soddisfa i requisiti dell'articolo 46, sancita dal superamento di un esame in architettura da parte di chi lavori da sette anni o più nel settore dell'architettura sotto il controllo di un architetto o di un ufficio di architetti. L'esame deve essere di livello universitario ed equivalente a quello di fine di studi di cui all'articolo 46, paragrafo 1, primo comma.

 

 

Articolo 48

Esercizio dell'attività professionale di architetto.

1. Ai fini della presente direttiva, le attività professionali di architetto sono quelle abitualmente esercitate con il titolo professionale di architetto.

 

2. Soddisfano i requisiti per esercitare l'attività di architetto, con il titolo professionale di architetto, i cittadini di uno Stato membro autorizzati a usare tale titolo ai sensi di una legge che attribuisce all'autorità competente di uno Stato membro la facoltà di accordarlo a cittadini degli Stati membri particolarmente distintisi per la qualità delle loro realizzazioni in campo architettonico. La natura architettonica delle attività degli interessati è attestata da un certificato rilasciato dal loro Stato membro d'origine.

 

 

Articolo 49

Diritti acquisiti, specifici degli architetti.

1. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di architetto, di cui all'allegato VI, rilasciati dagli altri Stati membri, che sanciscono una formazione iniziata entro l'anno accademico di riferimento di cui al suddetto allegato, anche se non soddisfano i requisiti minimi di cui all'articolo 46, attribuendo loro ai fini dell'accesso alle e dell'esercizio delle attività professionale di architetto, lo stesso effetto sul suo territorio dei titoli di formazione di architetto che esso rilascia (34).

 

A queste condizioni sono riconosciuti gli attestati delle autorità competenti della Repubblica federale di Germania che sanciscono la rispettiva equivalenza tra i titoli di formazione rilasciati a partire dall'8 maggio 1945 dalle autorità competenti della Repubblica democratica tedesca e quelli di cui al suddetto allegato.

 

2. Fatto salvo il paragrafo 1, ogni Stato membro riconosce, attribuendo loro gli stessi effetti sul suo territorio dei titoli di formazione che esso rilascia per accedere ed esercitare l'attività professionale di architetto, con il titolo professionale di architetto, gli attestati rilasciati ai cittadini degli Stati membri da Stati membri che dispongono di norme per l'accesso e l'esercizio dell'attività di architetto, alle seguenti date:

 

a) 1° gennaio 1995 per Austria, Finlandia e Svezia;

 

b) 1° gennaio 2004 per la Repubblica ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia;

 

c) 5 agosto 1987 per gli altri Stati membri.

 

Gli attestati di cui al primo comma certificano che il loro titolare è stato autorizzato a usare il titolo professionale di architetto entro tale data e, nel quadro di tali norme, ha effettivamente esercitato l'attività in questione per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni precedenti il rilascio dell'attestato.

 

--------------------------------------------------------------------------------

(34) Comma così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 aprile 2008, n. L 93.

 

 

TITOLO III

Libertà di stabilimento

 

Capo IV

Disposizioni comuni in materia di stabilimento

 

Articolo 50

Documentazione e formalità.

1. Quando deliberano su una richiesta di autorizzazione per esercitare la professione regolamentata interessata ai sensi del presente titolo, le autorità competenti dello Stato membro ospitante possono chiedere i documenti e i certificati di cui all'allegato VII.

 

I documenti di cui all'allegato VII, punto 1, lettere d), e) e f) al momento della loro presentazione non possono risalire a più di tre mesi.

 

Stati membri, organismi e altre persone giuridiche garantiscono la riservatezza delle informazioni trasmesse.

 

2. In caso di dubbio fondato, lo Stato membro ospitante può richiedere alle autorità competenti di uno Stato membro una conferma dell'autenticità degli attestati e dei titoli di formazione rilasciati in questo altro Stato membro nonché, eventualmente, la conferma del fatto che il beneficiario soddisfa, per le professioni di cui al capo III del presente titolo, le condizioni minime di formazione di cui rispettivamente agli articoli 24, 25, 28, 31, 34, 35, 38, 40, 44 e 46.

 

3. In caso di dubbio fondato, qualora un titolo di formazione di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettera c) sia stato rilasciato da un'autorità competente di uno Stato membro e riguardi una formazione ricevuta in toto o in parte in un centro legalmente stabilito nel territorio di un altro Stato membro, lo Stato membro ospitante può verificare presso l'autorità competente dello Stato membro di origine:

 

a) se il programma di formazione del centro che ha impartito la formazione è stato formalmente certificato dal centro di formazione situato nello Stato membro di origine;

 

b) se il titolo di formazione rilasciato è lo stesso che si sarebbe ottenuto avendo seguito integralmente la formazione nello Stato membro di origine; e c) se tale titolo conferisce gli stessi diritti professionali nel territorio dello Stato membro di origine.

 

4. Se per accedere a una professione regolamentata, uno Stato membro ospitante esige dai suoi cittadini di prestare giuramento o una dichiarazione solenne e se la formula del giuramento o della dichiarazione non può essere usata dai cittadini degli altri Stati membri, lo Stato membro ospitante fa sì che gli interessati possano usare una formula adeguata ed equivalente.

 

 

Articolo 51

Procedura di riconoscimento delle qualifiche professionali.

1. L'autorità competente dello Stato membro ospitante accusa ricevuta della documentazione del richiedente entro un mese a partire dal suo ricevimento e lo informa eventualmente dei documenti mancanti.

 

2. La procedura d'esame della richiesta di autorizzazione per l'esercizio di una professione regolamentata va completata prima possibile con una decisione debitamente motivata dell'autorità competente dello Stato membro ospitante e comunque entro tre mesi a partire dalla presentazione della documentazione completa da parte dell'interessato. Tuttavia questo termine può essere prorogato di un mese nei casi di cui ai capi I e II del presente titolo.

 

3. La decisione, o la mancata decisione nei termini prescritti, può essere oggetto di un ricorso giurisdizionale di diritto nazionale.

 

 

Articolo 52

Uso del titolo professionale.

1. Se uno Stato membro ospitante regolamenta l'uso del titolo professionale relativo a un'attività della professione in questione, i cittadini di altri Stati membri autorizzati a esercitare la professione regolamentata in base al titolo III usano il titolo professionale dello Stato membro ospitante che in esso corrisponde a tale professione e ne usano l'eventuale abbreviazione.

 

2. Se nello Stato membro ospitante una professione è regolamentata da un'associazione o organizzazione ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, i cittadini degli Stati membri possono usare il titolo professionale da essa rilasciato, o la sua abbreviazione, solo se possono provare di esserne membri.

 

Se l'associazione o l'organizzazione subordina l'acquisizione della qualità di membro a determinati requisiti essa può farlo solo alle condizioni previste dalla presente direttiva, nei confronti dei cittadini di altri Stati membri che possiedano qualifiche professionali,

 

 

TITOLO IV

Modalità di esercizio della professione

 

Articolo 53

Conoscenze linguistiche.

I beneficiari del riconoscimento delle qualifiche professionali devono avere le conoscenze linguistiche necessarie all'esercizio della professione nello Stato membro ospitante.

 

 

Articolo 54

Uso del titolo di studio.

Fatti salvi gli articoli 7 e 52, lo Stato membro ospitante fa sì che gli interessati abbiano il diritto di usare il titolo di studio dello Stato membro d'origine, ed eventualmente la sua abbreviazione, nella lingua dello Stato membro d'origine. Lo Stato membro ospitante può prescrivere che il titolo sia seguito da nome e luogo dell'istituto o della giuria che l'ha rilasciato. Se il titolo di studio dello Stato membro d'origine può essere confuso con un titolo che, nello Stato membro ospitante, richiede una formazione complementare, non acquisita dal beneficiario, tale Stato membro ospitante può imporre a quest'ultimo di usare il titolo di studio dello Stato membro d'origine in una forma adeguata che esso gli indicherà.

 

Articolo 55

Affiliazione a un regime assicurativo.

Fatti salvi l'articolo 5, paragrafo 1, e l'articolo 6, primo comma, lettera b), gli Stati membri che, alle persone che hanno acquisito le qualifiche professionali sul loro territorio, chiedono un tirocinio preparatorio e/o un periodo d'esperienza professionale per essere affiliati ad un regime di assicurazione contro le malattie, dispensano da quest'obbligo i titolari di qualifiche professionali di medico e di dentista acquisite in un altro Stato membro.

 

 

TITOLO V

Cooperazione amministrativa e competenze esecutive

 

Articolo 56

Autorità competenti.

1. Le autorità competenti dello Stato membro ospitante e di quello d'origine collaborano strettamente e si assistono reciprocamente per agevolare l'applicazione della presente direttiva.

 

Essi garantiscono la riservatezza delle informazioni che scambiano.

 

2. Le autorità competenti dello Stato membro ospitante e dello Stato membro d'origine si scambiano informazioni concernenti l'azione disciplinare o le sanzioni penali adottate o qualsiasi altra circostanza specifica grave che potrebbero avere conseguenze sull'esercizio delle attività previste dalla presente direttiva, nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali di cui alle direttive 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, e 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche).

 

Lo Stato membro d'origine esamina la veridicità dei fatti e le sue autorità decidono la natura e la portata delle indagini da svolgere e comunicano allo Stato membro ospitante le conseguenze che traggono dalle informazioni di cui dispongono.

 

3. Ogni Stato membro designa, entro il 20 ottobre 2007, le autorità e gli organi competenti preposti a rilasciare o ricevere i titoli di formazione, altri documenti o informazioni, nonché quelli autorizzati a ricevere le domande e prendere le decisioni di cui alla presente direttiva e ne informano immediatamente gli altri Stati membri e la Commissione.

 

4. Ogni Stato membro designa un coordinatore dell'attività delle autorità di cui al paragrafo 1 e ne informa gli altri Stati membri e la Commissione.

 

I coordinatori hanno i seguenti compiti:

 

a) promuovere un'applicazione uniforme della presente direttiva;

 

b) riunire ogni utile informazione per l'applicazione della presente direttiva e in particolare quelle relative alle condizioni d'accesso alle professioni regolamentate negli Stati membri.

 

Per portare a termine il compito di cui alla lettera b), i coordinatori possono ricorrere ai punti di contatto di cui all'articolo 57.

 

 

Articolo 57

Punti di contatto.

Ogni Stato membro designa, entro il 20 ottobre 2007, un punto di contatto che ha i seguenti compiti:

 

a) fornire ai cittadini e ai punti di contatto degli altri Stati membri ogni informazione utile al riconoscimento delle qualifiche professionali di cui alla presente direttiva e, in particolare, informazioni sulla legislazione nazionale che disciplina le professioni e il loro esercizio, compresa la legislazione sociale, nonché, se necessario, le norme deontologiche;

 

b) assistere i cittadini nell'ottenimento dei diritti conferiti dalla presente direttiva cooperando eventualmente con altri punti di contatto e le competenti autorità dello Stato membro ospitante.

 

Su richiesta della Commissione, i punti di contatto informano quest'ultima del risultato dei casi trattati ai sensi della lettera b), entro due mesi a partire dalla data in cui sono stati aditi.

 

 

Articolo 58 (35)

Procedura di comitato.

1. La Commissione è assistita da un comitato per il riconoscimento delle qualifiche professionali.

 

2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.

 

Il termine di cui all’articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato a due mesi.

 

3. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano l’articolo 5 bis, paragrafi da 1 a 4, e l’articolo 7, della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 della stessa.

 

 

--------------------------------------------------------------------------------

(35) Articolo così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1137/2008.

 

 

Articolo 59

Consultazione.

La Commissione assicura che vengano adeguatamente consultati esperti dei gruppi professionali interessati, in particolare nel contesto del lavoro del comitato di cui all'articolo 58, e fornisce una relazione motivata a questo comitato in merito a dette consultazioni.

 

TITOLO VI

Altre disposizioni

 

Articolo 60

Relazioni.

1. A partire dal 20 ottobre 2007, gli Stati membri trasmettono alla Commissione, ogni due anni, una relazione sull'applicazione del sistema. Oltre a commenti generali, la relazione comprende una rilevazione statistica delle decisioni prese e una descrizione dei principali problemi derivanti dall'applicazione della presente direttiva.

 

2. A partire dal 20 ottobre 2007, la Commissione elabora ogni cinque anni una relazione sull'attuazione della presente direttiva.

 

 

Articolo 61

Clausola di deroga.

Se uno Stato membro incontra forti difficoltà nell'applicare una disposizione della presente direttiva, la Commissione esamina tali difficoltà insieme allo Stato membro interessato.

 

Eventualmente, la Commissione decide, secondo la procedura di cui all'articolo 58, paragrafo 2, di permettere allo Stato membro interessato di derogare, per un certo periodo, all'applicazione della norma in questione.

 

 

Articolo 62

Abrogazione.

Le direttive 77/452/CEE, 77/453/CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE, 89/48/CEE, 92/51/CEE, 93/16/CEE e 1999/42/CE sono abrogate a decorrere dal 20 ottobre 2007. I riferimenti alle direttive abrogate si intendono fatti alla presente direttiva e sono fatti salvi gli atti adottati sulla base di dette direttive.

 

Articolo 63

Recepimento.

Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 20 ottobre 2007. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

 

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale.

 

Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

 

Articolo 64

Entrata in vigore.

La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

 

Articolo 65

Destinatari.

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

 

 

Fatto a Strasburgo, addì 7 settembre 2005.


 

 

Allegato I

Elenco di associazioni od organizzazioni professionali che rispondono alle condizioni di cui all'articolo 3, paragrafo 2

IRLANDA [1]

1. The Institute of Chartered Accountants in Ireland [2]

2. The Institute of Certified Public Accountants in Ireland [2]

3. The Association of Certified Accountants [2]

4. Institution of Engineers of Ireland

5. Irish Planning Institute

REGNO UNITO

1. Institute of Chartered Accountants in England and Wales

2. Institute of Chartered Accountants of Scotland

3. Institute of Chartered Accountants in Ireland

4. Chartered Association of Certified Accountants

5. Chartered Institute of Loss Adjusters

6. Chartered Institute of Management Accountants

7. Institute of Chartered Secretaries and Administrators

8. Chartered Insurance Institute

9. Institute of Actuaries

10. Faculty of Actuaries

11. Chartered Institute of Bankers

12. Institute of Bankers in Scotland

13. Royal Institution of Chartered Surveyors

14. Royal Town Planning Institute

15. Chartered Society of Physiotherapy

16. Royal Society of Chemistry

17. British Psychological Society

18. Library Association

19. Institute of Chartered Foresters

20. Chartered Institute of Building

21. Engineering Council

22. Institute of Energy

23. Institution of Structural Engineers

24. Institution of Civil Engineers

25. Institution of Mining Engineers

26. Institution of Mining and Metallurgy

27. Institution of Electrical Engineers

28. Institution of Gas Engineers

29. Institution of Mechanical Engineers

30. Institution of Chemical Engineers

31. Institution of Production Engineers

32. Institution of Marine Engineers

33. Royal Institution of Naval Architects

34. Royal Aeronautical Society

35. Institute of Metals

36. Chartered Institution of Building Services Engineers

37. Institute of Measurement and Control

38. British Computer Society

_______

[1] Cittadini irlandesi sono anche membri delle seguenti associazioni od organizzazioni del Regno Unito:

Institute of Chartered Accountants in England and Wales

Institute of Chartered Accountants of Scotland

Institute of Actuaries

Faculty of Actuaries

The Chartered Institute of Management Accountants

Institute of Chartered Secretaries and Administrators

Royal Town Planning Institute

Royal Institution of Chartered Surveyors

Chartered Institute of Building.

[2] Solo ai fini dell'attività di revisione dei conti.

 

 

Allegato II

Elenco dei cicli di formazione con struttura particolare di cui all'articolo 11, lettera c), punto ii)

1. Settore paramedico e sociopedagogico

I seguenti corsi di formazione:

in Germania:

- infermiere(a) puericultore(trice) e sanitario(a) [“Gesundheits- und inderkrankenpfleger(in)”] (36),

- esperto(a) di cinesiterapia [«Krankengymnast(in)/Physiotherapeut(in)»] [1],

- ergoterapeuta («Beschaeftigungs- und Arbeitstherapeut/Ergotherapeut»),

- ortofonista («Logopäde/Logopädin»),

- ortottico(a) [«Orthoptist(in)»],

- educatore(trice) riconosciuto(a) dallo Stato [«Staatlich anerkannte(r) Erzieher(in)»],

- educatore(trice) terapeuta riconosciuto(a) dallo Stato [«Staatlich anerkannte(r) Heilpädagoge(-in)»],

- assistente tecnico medico di laboratorio [«medizinisch-technische(r) Laboratoriums- Assistent(in)»],

- assistente tecnico medico in radiologia [«medizinisch-technische(r) Radiologie-Assistent(in)»],

- assistente tecnico medico in diagnostica funzionale [«medizinisch-technische(r) Assistent(in) für Funktionsdiagnostik»],

- assistente tecnico in medicina veterinaria [«veterinärmedizinisch-technische(r) Assistent(in)»],

- dietista [«Diätassistent(in)»],

- tecnico farmaceutico («Pharmazieingenieur»), (corsi dispensati prima del 31 marzo 1994 sul territorio dell'ex Repubblica democratica tedesca o sul territorio dei nuovi Länder),

[- infermiere(a) psichiatrico(a) [«Psychiatrische(r) Krankenschwester/Krankenpfleger»]] (37)

- logoterapeuta [«Sprachtherapeut(in)»]

- infermiere(a) geriatrico(a) (“Altenpflegerin und Altenpfleger”) (38),

qualifiche ottenute dopo aver partecipato a corsi di formazione professionale aventi durata complessiva di almeno tredici anni di cui:

- almeno tre anni di formazione professionale in una scuola specializzata, conclusi con un esame, eventualmente completati da un ciclo di specializzazione di uno o due anni, che si conclude con un esame, o

- almeno due anni e mezzo in una scuola specializzata, conclusi con un esame e completati da una pratica professionale di almeno sei mesi o un tirocinio professionale di almeno sei mesi in un istituto riconosciuto, o

- almeno due anni in una scuola specializzata, conclusi con un esame e completati da una pratica professionale di almeno un anno o un tirocinio professionale di almeno un anno in un istituto riconosciuto (39).

_______

[1] A partire dal 1° giugno 1994, il titolo professionale di «Krankengymnast(in)» è sostituito da quello di «Physiotherapeut(in)». Tuttavia, i membri della professione che hanno ottenuto i loro diplomi prima di quella data possono, se lo desiderano, continuare a utilizzare il precedente titolo di «Krankengymnast(in)».

nella Repubblica ceca:

- assistente sanitario [«Zdravotnický asistent»],

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 13 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e 4 anni di formazione professionale secondaria presso una scuola medica secondaria, completato dall'esame di «maturitní zkouška».

- assistente nutrizionista («Nutrièní asistent»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 13 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e 4 anni di formazione professionale secondaria presso una scuola medica secondaria, completato dall'esame di «maturitní zkouška».

in Italia:

- odontotecnico

- ottico

qualifiche ottenute dopo aver partecipato a corsi di formazione professionale aventi durata complessiva di almeno tredici anni di cui:

- almeno tre anni di formazione professionale in una scuola specializzata, conclusi con un esame, eventualmente completati da un ciclo di specializzazione di uno o due anni, che si conclude con un esame, o

- almeno due anni e mezzo in una scuola specializzata, conclusi con un esame e completati da una pratica professionale di almeno sei mesi o un tirocinio professionale di almeno sei mesi in un istituto riconosciuto, o

- almeno due anni in una scuola specializzata, conclusi con un esame e completati da una pratica professionale di almeno un anno o un tirocinio professionale di almeno un anno in un istituto riconosciuto (40).

a Cipro:

- odontotecnico («ïäïíôïôå÷íßôçò»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 14 anni, di cui almeno 6 anni di istruzione elementare, 6 anni di istruzione secondaria e 2 anni di formazione professionale post-secondaria, seguito da almeno un anno di esperienza professionale.

- ottico («ôå÷íéêüò oðôéêüò»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 14 anni, di cui almeno 6 anni di istruzione elementare, 6 anni di istruzione secondaria e 2 anni di istruzione post-secondaria, seguito da almeno un anno di esperienza professionale.

in Lettonia:

- infermiere odontoiatrico («zobarstniecibas masa»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 13 anni, di cui almeno 10 anni di formazione scolastica generale e 2 anni di formazione professionale presso una scuola medica, seguito da 3 anni di esperienza professionale al termine della quale si deve superare un esame per ottenere un certificato di specializzazione.

- assistente tecnico biomedico di laboratorio («biomedicinas laborants»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 10 anni di formazione scolastica generale e 2 anni di formazione professionale presso una scuola medica, seguito da 2 anni di esperienza professionale al termine della quale si deve superare un esame per ottenere un certificato di specializzazione.

- odontotecnico («zobu tehnikis»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 10 anni di formazione scolastica generale e 2 anni di formazione professionale presso una scuola medica, seguito da 2 anni di esperienza professionale al termine della quale si deve superare un esame per ottenere un certificato di specializzazione.

- assistente fisioterapista («fizioterapeita asistents»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 13 anni, di cui almeno 10 anni di formazione scolastica generale e 3 anni di formazione professionale presso una scuola medica, seguito da 2 anni di esperienza professionale al termine della quale si deve superare un esame per ottenere un certificato di specializzazione.

in Lussemburgo:

- assistente tecnico medico in radiologia [«assistant(e) technique médical(e) en radiologie»)

- assistente tecnico medico di laboratorio [«assistant(e) technique médical(e) de laboratoire»]

- infermiere(a) psichiatrico(a) («infirmier/ière psychiatrique»)

- assistente tecnico medico in chirurgia [«assistant(e) technique médical(e) en chirurgie»]

- infermiere(a) in pediatria [“infirmier(ère) en pédiatrie”] (41),

- infermiere(a) in anestesia e rianimazione [“infirmier(ère) en anesthésie et en réanimation”] (42),

- massaggiatore (“masseur”) (43),

- educatore (educatrice) («éducateur/trice»)

qualifiche ottenute dopo aver partecipato a corsi di formazione professionale aventi durata complessiva di almeno tredici anni di cui:

- almeno tre anni di formazione professionale in una scuola specializzata, conclusi con un esame, eventualmente completati da un ciclo di specializzazione di uno o due anni, che si conclude con un esame, o

- almeno due anni e mezzo in una scuola specializzata, conclusi con un esame e completati da una pratica professionale di almeno sei mesi o un tirocinio professionale di almeno sei mesi in un istituto riconosciuto, o

- almeno due anni in una scuola specializzata, conclusi con un esame e completati da una pratica professionale di almeno un anno o un tirocinio professionale di almeno un anno in un istituto riconosciuto (44).

nei Paesi Bassi:

- assistente veterinario («dierenartsassistent»)

qualifiche ottenute dopo aver partecipato a corsi di formazione professionale aventi durata complessiva di almeno tredici anni di cui tre anni di formazione professionale in una scuola specializzata (regime “MBO”) o, in alternativa, tre anni di formazione professionale nel quadro del sistema duale di tirocinio (“LLW”), che si concludono in entrambi i casi con un esame (45).

in Austria:

- formazione di base specifica in puericultura («spezielle Grundausbildung in der Kinder- und Jugendlichenpflege»)

ciclo di studi e formazione che ha una durata complessiva di almeno tredici anni, di cui almeno dieci di insegnamento scolastico generale e tre di insegnamento professionale in un istituto di formazione per infermieri, sanzionati dal superamento di un esame per l’ottenimento del diploma (46);

- formazione di base specifica in assistenza psichiatrica («spezielle Grundausbildung in der psychiatrischen Gesundheits-und Krankenpflege»)

ciclo di studi e di formazione che ha una durata complessiva di almeno tredici anni, di cui almeno dieci di insegnamento scolastico generale e tre di insegnamento professionale in un istituto di formazione per infermieri, sanzionati dal superamento di un esame per l’ottenimento del diploma (47);

- ottico specializzato in lenti a contatto («Kontaktlinsenoptiker»)

- podologo («Fußpfleger»)

- tecnico audioprotesista («Hörgeräteakustiker»)

- rivenditore di prodotti farmaceutici («Drogist»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva minima di quattordici anni, di cui almeno cinque anni in un quadro formativo strutturato, suddiviso in un periodo di apprendistato di almeno tre anni, con una formazione in parte acquisita sul posto di lavoro e in parte dispensata da un istituto d'insegnamento professionale, ed in un periodo di pratica e formazione professionali, che si conclude con un esame che abilita all'esercizio della professione e alla formazione di apprendisti.

- massaggiatore («Masseur»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di quattordici anni, di cui cinque anni in un quadro formativo strutturato, con un apprendistato di durata biennale, un biennio di pratica e formazione professionali ed un corso annuale di formazione, che si conclude con un esame che abilita all'esercizio della professione e alla formazione di apprendisti.

- maestro/a di scuola materna («Kindergärtner/in»)

- educatore («Erzieher»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di tredici anni, di cui cinque anni di formazione professionale in una scuola specializzata, e si conclude con un esame.

in Slovacchia:

- insegnante di materie attinenti alla danza presso le scuole d'arte di base («uèite v taneènom odbore na základných umeleckých školách»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 14,5 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare, 4 anni di istruzione di scuola secondaria specializzata e un corso di cinque semestri di pedagogia della danza.

- educatore presso istituti d'istruzione speciale e centri di assistenza sociale («vychovávate v špeciálnych výchovných zariadeniach a v zariadeniach sociálnych slu•ieb»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 14 anni, di cui 8/9 anni di istruzione elementare, 4 anni di studi presso una scuola pedagogica secondaria o una scuola secondaria di altro tipo e 2 anni di studi pedagogici supplementari a tempo parziale.

- odontotecnico (zubný technik),

ciclo di studi e di formazione avente una durata complessiva di almeno 14 anni, di cui 8 o 9 anni di istruzione elementare, 4 anni di scuola secondaria seguita da 2 anni di insegnamento post-secondario in un istituto secondario di assistenza sanitaria, coronati da un esame di maturità a carattere teorico-pratico (maturitné vysvedčenie) (48).

2. Settore dei mastri artigiani («Mester»/«Meister»/«Maître») che rappresenta formazioni relative alle attività artigianali non contemplate dal titolo III, capo II della presente direttiva

I seguenti corsi di formazione:

[in Danimarca:

- ottico («optometrist»)

il cui ciclo di formazione ha una durata complessiva di quattordici anni, di cui cinque di formazione professionale, suddivisa in una formazione teorica, di due anni e mezzo, impartita dall'istituto di insegnamento professionale e una formazione pratica di due anni e mezzo, acquisita nell'impresa, che si conclude con un esame riconosciuto riguardante l'attività artigianale e dà diritto al titolo di «Mester»;

- ortopedico, meccanico ortopedico («ortopædimekaniker»)

il cui ciclo di formazione ha una durata complessiva di dodici anni e mezzo, di cui tre e mezzo di formazione professionale, suddivisa in una formazione teorica di un semestre, impartita dall'istituto di insegnamento professionale, e una formazione pratica di tre anni, acquisita nell'impresa, che si conclude con un esame riconosciuto riguardante l'attività artigianale e dà diritto al titolo di «Mester».

- calzolaio ortopedico («ortopædiskomager»)

il cui ciclo di formazione ha una durata complessiva di tredici anni e mezzo, di cui quattro e mezzo di formazione professionale, suddivisa in una formazione teorica di due anni, impartita dall'istituto di insegnamento professionale, e una formazione pratica di due anni e mezzo, acquisita nell'impresa, che si conclude con un esame riconosciuto riguardante l'attività artigianale e dà diritto al titolo di «Mester».] (49).

in Germania:

- ottico («Augenoptiker»)

- odontotecnico («Zahntechniker»)

- tecnico ortopedico (“Orthopädietechniker”) (50),

- audioprotesista («Hörgeräte-Akustiker»)

[- meccanico ortopedico («Orthopädiemechaniker»)] (51)

- calzolaio ortopedico («Orthopädieschuhmacher»)

in Lussemburgo:

- ottico («opticien»)

- odontotecnico («mécanicien dentaire»)

- audioprotesista («audioprothésiste»)

- meccanico ortopedico («mécanicien orthopédiste/bandagiste»)

- calzolaio ortopedico («orthopédiste-cordonnier»)

il cui ciclo di formazione ha una durata complessiva di quattordici anni, di cui almeno cinque anni in un quadro di formazione strutturato; tale formazione è in parte acquisita nell'impresa e in parte dispensata dall'istituto di insegnamento professionale e si conclude con un esame che si deve superare per poter esercitare a titolo autonomo, o come dipendente avente una responsabilità di livello comparabile, un'attività considerata artigianale.

in Austria:

- ortopedico bendaggi («Bandagist»)

- bustaio ortopedico («Miederwarenerzeuger»)

- ottico («Optiker»)

- calzolaio ortopedico («Orthopädieschuhmacher»)

- tecnico ortopedico («Orthopädietechniker»)

- odontotecnico («Zahntechniker»)

- giardiniere («Gärtner»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva minima di quattordici anni, di cui almeno cinque anni in un quadro formativo strutturato, suddiviso in un apprendistato di durata almeno triennale, con una formazione in parte acquisita sul posto di lavoro e in parte dispensata da un istituto d'insegnamento professionale, ed in almeno un biennio di pratica e formazione professionali, che si conclude con un esame di perito che abilita all'esercizio della professione e alla formazione di apprendisti e dà diritto al titolo di «Meister»;

corsi di formazione per periti nel settore dell'agricoltura e delle foreste, ossia:

- perito agrario («Meister in der Landwirtschaft»)

- perito in economia domestica rurale («Meister in der ländlichen Hauswirtschaft»)

- perito orticoltore («Meister im Gartenbau»)

- perito in orticoltura estensiva («Meister im Feldgemüsebau»)

- perito in frutticoltura e lavorazione della frutta («Meister im Obstbau und in der Obstverwertung»)

- perito in vitivinicoltura («Meister im Weinbau und in der Kellerwirtschaft»)

- perito in tecniche dell'industria lattiero-casearia («Meister in der Molkerei- und Käsereiwirtschaft»)

- perito in tecniche dell'allevamento equino («Meister in der Pferdewirtschaft»)

- perito in tecniche della pesca («Meister in der Fischereiwirtschaft»)

- perito in tecniche dell'allevamento di pollame («Meister in der Geflügelwirtschaft»)

- perito in apicoltura («Meister in der Bienenwirtschaft»)

- perito in scienze forestali («Meister in der Forstwirtschaft»)

- perito in tecnica vivaistica forestale e gestione delle foreste («Meister in der Forstgarten- und Forstpflegewirtschaft»)

- perito in magazzinaggio agricolo («Meister in der landwirtschaftlichen Lagerhaltung»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva minima di quindici anni, di cui almeno sei anni in un quadro formativo strutturato, suddiviso in un apprendistato di durata almeno triennale, con una formazione in parte acquisita nell'azienda e in parte dispensata da un istituto d'insegnamento professionale, ed in almeno un triennio di pratica professionale, che si conclude con un esame di perito nel settore professionale in questione che abilita all'esercizio della professione e alla formazione di apprendisti e dà diritto al titolo di «Meister».

in Polonia:

- insegnante di formazione professionale pratica («Nauczyciel praktycznej nauki zawodu»), che rappresenta un ciclo di formazione che ha una durata di:

i) 8 anni di istruzione elementare e 5 anni di formazione professionale secondaria o di istruzione secondaria equivalente in un settore pertinente, seguito da un corso di pedagogia di durata complessiva di almeno 150 ore, da un corso di sicurezza e igiene sul luogo di lavoro e da 2 anni di esperienza lavorativa nella professione che si dovrà insegnare; oppure

ii) 8 anni di istruzione elementare e 5 anni di formazione professionale secondaria e diploma di una scuola tecnica pedagogica post-secondaria; oppure

iii) 8 anni di istruzione elementare e 2-3 anni di formazione professionale di base secondaria e almeno 3 anni di esperienza professionale certificata da un titolo di maestro d'arte nella specifica professione, seguito da un corso di pedagogia di una durata complessiva di 150 ore.

in Slovacchia:

- maestro di formazione professionale («majster odbornej výchovy»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui 8 anni di istruzione elementare, 4 anni di formazione professionale (formazione professionale secondaria completa e/o apprendistato nel pertinente (analogo) corso di formazione professionale o corso di apprendistato), esperienza professionale di una durata complessiva di almeno 3 anni nel settore relativo alla propria formazione o al proprio apprendistato e studi pedagogici supplementari presso la facoltà di pedagogia o le università tecniche, oppure istruzione secondaria completa e apprendistato nel pertinente (analogo) corso di formazione professionale o corso di apprendistato, esperienza professionale di una durata complessiva di almeno 3 anni nel settore relativo alla propria formazione o al proprio apprendistato e studi pedagogici supplementari presso la facoltà di pedagogia, oppure entro il 1° settembre 2005, formazione specializzata impartita nei centri metodologici per i maestri di formazione professionale presso le scuole speciali senza studi pedagogici supplementari.

2 bis. Mastri artigiani (“Meister”/“Maître”) (formazione scolastica e professionale che dà luogo all’acquisizione del titolo di mastro artigiano) nelle seguenti professioni (52):

in Germania:

- operaio dell’industria metallurgica (“Metallbauer”),

- meccanico in strumenti di chirurgia (“Chirurgiemechaniker”),

- carrozziere e costruttore di veicoli (“Karosserie- und Fahrzeugbauer”),

- meccanico automobilistico (“Kraftfahrzeugtechniker”),

- meccanico di biciclette e motocicli (“Zweiradmechaniker”),

- operaio nel settore degli impianti frigoriferi (“Kälteanlagenbauer”),

- tecnico informatico (“Informationstechniker”),

- meccanico agricolo (“Landmaschinenmechaniker”),

- armiere (“Büchsenmacher”),

- lamierista (“Klempner”),

- installatore-fumista (“Installateur und Heizungsbauer”,)

- elettrotecnico (“Elektrotechniker”),

- costruttore di macchinari elettrici (“Elektromaschinenbauer”),

- operaio navale (“Boots- und Schiffbauer”),

- muratore e operaio addetto alle casseforme (“Maurer und Betonbauer”),

- costruttore e installatore di stufe e impianti di riscaldamento ad aria calda (“Ofen- und Luftheizungsbauer”),

- carpentiere (“Zimmerer”),

- conciatetti (“Dachdecker”),

- costruttore di strade (“Straßenbauer”),

- specialista in isolamento termico e acustico (“Wärme-, Kälte- und Schallschutzisolierer”),

- scavatore di pozzi (“Brunnenbauer”),

- scalpellino e scultore in pietra (“Steinmetz und Steinbildhauer”),

- stuccatore (“Stuckateur”),

- pittore e laccatore (“Maler und Lackierer”),

- ponteggiatore (“Gerüstbauer”),

- spazzacamino (“Schornsteinfeger”),

- meccanico di precisione (“Feinwerkmechaniker”),

- falegname (“Tischler”),

- cordaio (“Seiler”),

- panettiere (“Bäcker”),

- pasticciere (“Konditor”),

- macellaio (“Fleischer”),

- parrucchiere (“Frisör”),

- vetraio (“Glaser”),

- soffiatore del vetro e costruttore di apparecchi in vetro (“Glasbläser und Glasapparatebauer”),

- vulcanizzatore e riparatore di pneumatici (“Vulkaniseur und Reifenmechaniker”);

in Lussemburgo:

- panettiere-pasticciere (“boulanger-pâtissier”),

- pasticciere-cioccolatiere-confettiere-gelataio (“pâtissier-chocolatier-confiseur-glacier”),

- macellaio-salumiere (“boucher-charcutier”),

- macellaio-salumiere equino (“boucher-charcutier-chevalin”),

- rosticciere/fornitore di cibi pronti (“traiteur”),

- mugnaio (“meunier”),

- sarto couturier (“tailleur-couturier”),

- modista cappellaio (“modiste-chapelier”),

- pellicciaio (“fourreur”),

- stivalaio-calzolaio (“bottier-cordonnier”),

- orologiaio (“horloger”),

- gioielliere-orefice (“bijoutier-orfèvre”),

- parrucchiere (“coiffeur”),

- estetista (“esthéticien”),

- meccanico in meccanica generale (“mécanicien en mécanique générale”),

- installatore di ascensori, montacarichi, scale mobili e materiale di manutenzione (“installateur d'ascenseurs, de monte-charges, d'escaliers mécaniques et de matériel de manutention”),

- armaiolo (“armurier”),

- fabbro (“forgeron”),

- meccanico di macchine e di materiali industriali e della costruzione (“mécanicien de machines et de matériels industriels et de la construction”),

- meccanico elettronico di auto e di moto (“mécanicien-électronicien d'autos et de motos”),

- costruttore riparatore di carrozzerie (“constructeur réparateur de carosseries”),

- riparatore-pittore di veicoli automotori (“débosseleur-peintre de véhicules automoteurs”),

- bobinatore (“bobineur”),

- tecnico elettronico di installazioni e apparecchi audiovisivi (“électronicien d'installations et d'appareils audiovisuels”),

- costruttore riparatore di reti di teledistribuzione (“constructeur réparateur de réseaux de télédistribution”),

- tecnico elettronico in burotica e informatica (“électronicien en bureautique et en informatique”),

- meccanico di macchine e materiali agricoli e viticoli (“mécanicien de machines et de matériel agricoles et viticoles”),

- calderaio (“chaudronnier”),

- galvanostegista (“galvaniseur”),

- esperto in automobili (“expert en automobiles”),

- imprenditore di costruzione (“entrepreneur de construction”),

- imprenditore di rete viaria e di pavimentazione (“entrepreneur de voirie et de pavage”),

- specialista di rivestimenti (“confectionneur de chapes”),

- imprenditore di isolamenti termici, acustici e a tenuta stagna (“entrepreneur d'isolations thermiques, acoustiques et d'étanchéité”),

- installatore di riscaldamento-sanitari (“installateur de chauffage-sanitaire”),

- installatore frigorista (“installateur frigoriste”),

- elettricista (“électricien”),

- installatore di insegne luminose (“installateur d'enseignes lumineuses”),

- tecnico elettronico in comunicazione e informatica (“électronicien en communication et en informatique”),

- installatore di sistemi di allarme e di sicurezza (“installateur de systèmes d'alarmes et de sécurité”),

- falegname ebanista (“menuisier-ébéniste”),

- parchettista (“parqueteur”),

- posatore di elementi prefabbricati (“poseur d'éléments préfabriqués”),

- costruttore-posatore di imposte, gelosie, tettoie e tapparelle (“fabricant poseur de volets, de jalousies, de marquises et de store”),

- imprenditore di costruzioni metalliche (“entrepreneur de constructions métalliques”),

- costruttore di forni (“constructeur de fours”),

- conciatetti-lattoniere (“couvreur-ferblantier”),

- carpentiere (“charpentier”),

- marmista-scalpellino (“marbrier-tailleur de pierres”),

- piastrellista (“carreleur”),

- stuccatore di soffitti-operaio specialista in facciate (“plafonneur-façadier”),

- pittore-decoratore (“peintre-décorateur”),

- vetraio-specchiaio (“vitrier-miroitier”),

- tappezziere-decoratore (“tapissier-décorateur”),

- costruttore-posatore di caminetti e di stufe in maiolica (“constructeur poseur de cheminées et de poêles en faïence”),

- tipografo (“imprimeur”),

- operatore di media (“opérateur média”),

- serigrafo (‘sérigraphe’),

- rilegatore (“relieur”),

- meccanico di materiale medico-chirurgico (“mécanicien de matériel médico-chirurgical”),

- istruttore di guida (“instructeur de conducteurs de véhicules automoteurs”),

- costruttore-posatore di rivestimenti e coperture metalliche (“fabricant poseur de bardages et toitures métalliques”),

- fotografo (“photographe”),

- costruttore-riparatore di strumenti musicali (“fabricant réparateur d'instruments de musique”),

- istruttore di nuoto (“instructeur de natation”);

in Austria:

- capomastro per quanto concerne i lavori da eseguire (“Baumeister hinsichtl. der ausführenden Tätigkeiten”),

- panettiere (“Bäcker”),

- fontaniere (“Brunnenmeister”),

- conciatetti (“Dachdecker”),

- elettrotecnico (“Elektrotechniker”),

- macellaio (“Fleischer”),

- parrucchiere e parruccaio (stilista) [“Friseur und Perückenmacher (Stylist)”],

- tecnica delle installazioni sanitarie e di gas (“Gas- und Sanitärtechnik”),

- vetraio (“Glaser”),

- posatore di rivestimenti in vetro e lucidatore di vetro piatto (“Glasbeleger und Flachglasschleifer”),

- soffiatore del vetro e produttore di strumenti in vetro (“Glasbläser und Glasapparatebauer”),

- lucidatore e profilatore di vetro soffiato (attività artigianali collegate) [“Hohlglasschleifer und Hohlglasveredler (verbundenes Handwerk)”],

- stufaio (“Hafner”),

- tecnico di riscaldamento (“Heizungstechnik”),

- tecnico di ventilazione (attività artigianali collegate) [“Lüftungstechnik (verbundenes Handwerk)”],

- tecnica della refrigerazione e del condizionamento dell’aria (“Kälte- und Klimatechnik”),

- elettronica della comunicazione (“Kommunikationselektronik”),

- pasticciere, compresi i produttori di panpepato, frutta candita, gelati e cioccolato [“Konditor (Zuckerbäcker) einschl. der Lebzelter und der Kanditen- Gefrorenes- und -Schokoladewarenerzeugung”],

- tecnico automobilistico (“Kraftfahrzeugtechnik”),

- carrozziere, compreso lamierista e pittore di carrozzeria (attività artigianali collegate) [“Karosseriebauer einschl. Karosseriespengler u. -lackierer (verbundenes Handwerk)”],

- trasformazione di materie plastiche (“Kunststoffverarbeitung”),

- pittore e imbianchino (“Maler und Anstreicher”),

- laccatore (“Lackierer”),

- doratore e stuccatore (“Vergolder und Staffierer”),

- produzione di targhe e insegne (attività artigianali collegate) [“Schilderherstellung (verbundenes Handwerk)”],

- meccatronico nel settore della costruzione di macchine elettriche e dell’automazione (“Mechatroniker f. Elektromaschinenbau u. Automatisierung”),

- meccatronico in elettronica (“Mechatroniker f. Elektronik”),

- burotica e sistemi informatici (“Büro- und EDV-Systemtechnik”),

- meccatronico in tecniche delle macchine e tecniche di fabbricazione (“Mechatroniker f. Maschinen- und Fertigungstechnik”),

- meccatronico in attrezzature mediche (attività artigianali collegate) [“Mechatroniker f. Medizingerätetechnik (verbundenes Handwerk)”],

- tecnica delle superfici (“Oberflächentechnik”),

- design dei metalli (attività artigianali collegate) [“Metalldesign (verbundenes Handwerk)”],

- fabbro specializzato in serrature (“Schlosser”),

- fabbro (“Schmied”),

- tecnico delle macchine agricole (“Landmaschinentechnik”),

- stagnaio (“Spengler”),

- calderaio (attività artigianali collegate) [“Kupferschmied (verbundenes Handwerk)”],

- mastro marmista, compresa la produzione di pietre artificiali e di terrazzo (“Steinmetzmeister einschl. Kunststeinerzeugung und Terrazzomacher”),

- stuccatore e intonacatore (“Stukkateur und Trockenausbauer”),

- falegname (“Tischler”),

- modellista (“Modellbauer”),

- bottaio (“Binder”),

- tornitore (“Drechsler”),

- costruttore di barche (“Bootsbauer”),

- scultore (attività artigianali collegate) [“Bildhauer (verbundenes Handwerk)”],

- vulcanizzatore (“Vulkaniseur”),

- armaiolo (compreso il commercio delle armi) [“Waffengewerbe (Büchsenmacher) einschl. des Waffenhandels”],

- isolamento termico, acustico e antincendio (“Wärme- Kälte- Schall- und Branddämmer”),

- mastro carpentiere per quanto concerne i lavori da eseguire (“Zimmermeister hinsichtl. der ausführenden Tätigkeiten”), ciclo di studi e di formazione che ha una durata totale di almeno tredici anni, di cui almeno tre di formazione in un quadro strutturato, in parte acquisita nell’impresa e in parte dispensata da un istituto di insegnamento professionale, sancita da un esame nonché una formazione teorica e pratica di mastro artigiano di almeno un anno. Il superamento dell’esame di mastro artigiano conferisce il diritto di esercitare la professione in qualità di lavoratore autonomo, di formare apprendisti e di fregiarsi del titolo di mastro (“Meister/Maître”).

3. Settore marittimo

a) Navigazione marittima (53)

I seguenti corsi di formazione:

in Lettonia:

— ufficiale ingegnere elettronico di nave (“Kugu elektromehanikis”),

— operatore di macchine frigorifere (“kuga saldešanas iekartu mašinists”);

nei Paesi Bassi:

— funzionario VTS (“VTS-functionaris”);

qualifiche ottenute dopo corsi di formazione:

— in Lettonia:

i) ufficiale ingegnere elettronico di nave (“kugu elektromehanikis”),

1. Età: 18 anni compiuti.

2. Ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni e 6 mesi, di cui 9 anni almeno di istruzione elementare e 3 anni di formazione professionale. Inoltre 6 mesi almeno di servizio di navigazione come elettricista di nave o assistente dell'ingegnere elettrotecnico di navi aventi un generatore di potenza superiore a 750 kW. La formazione professionale è completata da uno specifico esame effettuato dalla competente autorità conformemente al programma di formazione approvato dal ministero dei Trasporti.

ii) Operatore di macchine frigorifere (“kuga saldešanas iekartu mašinists”),

1. Età: 18 anni compiuti.

2. Ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 13 anni, di cui 9 anni almeno di istruzione elementare e 3 anni di formazione professionale. Inoltre 12 mesi almeno di servizio di navigazione come assistente dell'ingegnere di macchine frigorifere. La formazione professionale è completata da uno specifico esame effettuato dalla competente autorità conformemente al programma di formazione approvato dal ministero dei Trasporti.

— nei Paesi Bassi:

Una formazione della durata complessiva di almeno 15 anni, di cui almeno 3 di formazione professionale superiore (“HBO”) o di formazione professionale intermedia (“MBO”), seguiti da corsi di specializzazione nazionali o regionali, comprendenti ciascuno almeno 12 settimane di formazione teorica e che si concludono ciascuno con un esame.

b) Pesca marittima

I seguenti corsi di formazione:

in Germania:

- comandante «BG»/pesca («Kapitän BG/Fischerei»),

- comandante «BLK»/pesca («Kapitän BLK/Fischerei»),

- ufficiale di coperta «BGW»/pesca («Nautischer Schiffsoffizier BGW/Fischerei»),

- ufficiale di coperta «BK»/pesca («Nautischer Schiffsoffizier BK/Fischerei»);

nei Paesi Bassi:

- pilota di nave, meccanico, di V («stuurman werktuigkundige V»),

- meccanico di IV di nave da pesca («werktuigkundige IV visvaart»),

- pilota di IV di nave da pesca («stuurman IV visvaart»),

- pilota di nave, meccanico, di VI («stuurman werktuigkundige VI»);

che sono formazioni:

- in Germania, di una durata complessiva compresa fra quattordici e diciotto anni, di cui un ciclo di formazione professionale di base di tre anni e un periodo di servizio in mare di un anno, seguito da uno-due anni di formazione professionale specializzata completata, se del caso, da una pratica professionale di navigazione di due anni;

- nei Paesi Bassi, comportanti un ciclo di studi della durata compresa fra tredici e quindici anni, di cui almeno due anni presso una scuola professionale specializzata, completato da un periodo di pratica professionale di dodici mesi;

e che sono riconosciuti nel quadro della convenzione di Torremolinos (Convenzione internazionale del 1977 sulla sicurezza dei pescherecci).

4. Settore tecnico

I seguenti corsi di formazione:

nella Repubblica ceca:

- tecnico autorizzato, edile autorizzato («autorizovaný technik, autorizovaný stavitel»),

ciclo di formazione professionale che ha una durata complessiva di almeno 9 anni, di cui 4 anni di formazione tecnica secondaria conclusa con il «maturitní zkouška» (esame di scuola tecnica secondaria) e 5 anni di esperienza professionale e un esame di attitudine professionale per lo svolgimento di attività professionali selezionate nell'ambito dell'edilizia [a norma della legge n. 50/1976 Racc. (legge sull'edilizia) e della legge n. 360/1992 Racc.].

- conducente di veicolo ferroviario («fyzická osoba øídící drá•ní vozidlo»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e almeno 4 anni di formazione professionale conclusa con il «maturitní zkouška», e completato con l'esame di Stato sulla forza motrice dei veicoli.

- tecnico addetto alla revisione della linea ferroviaria («drá•ní revizní technik»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e almeno 4 anni di formazione professionale secondaria presso una scuola meccanica o elettrotecnica secondaria, completato dal «maturitní zkouška».

- istruttore di guida su strada («uèitel autoškoly»),

età minima richiesta: 24 anni; ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e almeno 4 anni di formazione professionale secondaria incentrata sul traffico o sulle macchine, completato dal «maturitní zkouška».

- tecnico statale addetto alla revisione degli autoveicoli («kontrolní technik STK»)

età minima richiesta: 21 anni; ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e almeno 4 anni di formazione professionale secondaria, completato dal «maturitní zkouška». A ciò si aggiungono almeno 2 anni di tirocinio pratico, il possesso della patente di guida, l'assenza di precedenti penali, il completamento della formazione speciale per tecnici statali di una durata complessiva di almeno 120 ore e il superamento del relativo esame.

- meccanico addetto al controllo delle emissioni degli autoveicoli («mechanik mìøení emisí»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e almeno 4 anni di formazione professionale secondaria conclusa con il «maturitní zkouška». I candidati devono inoltre ultimare almeno 3 anni di tirocinio tecnico ed è richiesta la formazione speciale per «meccanico addetto al controllo delle emissioni degli autoveicoli», della durata di 8 ore, nonché il superamento del relativo esame.

- conduttore di nave classe I («kapitán I. tøídy»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 15 anni, di cui 8 anni di istruzione elementare e 3 anni di formazione, conclusa con il «maturitní zkouška» e con un esame convalidato da un certificato di idoneità. A detta formazione professionale devono far seguito 4 anni di tirocinio pratico completato da un esame.

- restauratore di monumenti che sono opere d'arte o artigianato d'arte («restaurátor památek, které jsou díly umìleckých øemesel»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di 12 anni se comporta una formazione tecnica secondaria completa nel corso di restauro, oppure da 10 a 12 anni di studi in un corso correlato, più 5 anni di esperienza professionale nel caso di formazione tecnica secondaria completa sancita dal «maturitní zkouška», oppure 8 anni di esperienza professionale nel caso di formazione tecnica secondaria conclusa con l'esame di apprendistato finale.

- restauratore di opere d'arte diverse dai monumenti e conservate nelle collezioni di musei e gallerie, nonché di altri oggetti di valore culturale («restaurátor dìl výtvarných umìní, která nejsou památkami a jsou ulo•ena ve sbírkách muzeí a galerií, a ostatních pøedmìtù kulturní hodnoty»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di 12 anni più 5 anni di esperienza professionale nel caso di formazione tecnica secondaria completa nel corso di restauro sancita dal «maturitní zkouška».

- responsabile della gestione dei rifiuti («odpadový hospodáø»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e almeno 4 anni di formazione professionale secondaria conclusa con il «maturitní zkouška», e almeno 5 anni di esperienza nel settore della gestione dei rifiuti negli ultimi 10 anni.

- responsabile della tecnologia esplosiva («technický vedoucí odstøelù»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e almeno 4 anni di formazione professionale secondaria conclusa con il «maturitní zkouška»,

seguito da:

2 anni in qualità di fochino nel sottosuolo (per attività nel sottosuolo) e 1 anno in superficie (per attività in superficie); di quest'ultimo, sei mesi come allievo fochino;

corso di formazione teorico e pratico di 100 ore, concluso da un esame presso l'autorità mineraria distrettuale competente.

esperienza professionale di almeno sei mesi nella progettazione e realizzazione di attività esplosivistiche di notevole entità.

corso di formazione teorico e pratico di 32 ore, seguito da un esame presso l'autorità mineraria ceca.

[in Italia:

- geometra,

- perito agrario,

che sono cicli di studi tecnici secondari della durata complessiva di almeno tredici anni, di cui otto di scolarità obbligatoria più cinque anni di studi secondari, tre dei quali concentrati sulla professione, concludentisi con un esame di maturità tecnica e completati

i) per i geometri, da un tirocinio pratico di almeno due anni in un ufficio professionale o da un'esperienza professionale di cinque anni,

ii) per i periti agrari, da un tirocinio pratico di almeno due anni, seguito dall'esame di Stato;] (54)

in Lettonia:

- assistente macchinista di locomotore («vilces lidzekla vaditaja (mašinista) paligs»),

Età: 18 anni compiuti, ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno 12 anni, di cui almeno 8 anni di istruzione elementare e almeno 4 anni di formazione professionale. La formazione professionale deve concludersi con l'esame speciale presso un datore di lavoro. Certificato di idoneità rilasciato per 5 anni da un'autorità competente;

nei Paesi Bassi:

- ufficiale giudiziario («gerechtsdeurwaarder»),

- odontotecnico («tandprotheticus»),

che sono cicli di studi e di formazione professionale

i) nel caso dell'ufficiale giudiziario («gerechtsdeurwaarder»), della durata complessiva di diciannove anni, di cui otto anni di scolarità obbligatoria più otto anni di studi secondari comprendenti quattro anni d'istruzione tecnica sancita da un esame di Stato e completata da tre anni di formazione teorica e pratica concentrata sull'esercizio della professione;

ii) nel caso dell'odontotecnico («tandprotheticus»), della durata complessiva di almeno quindici anni di formazione a tempo pieno e tre anni di formazione a tempo parziale, di cui otto anni d'istruzione primaria, quattro anni d'istruzione secondaria generale, seguita da tre anni di formazione professionale comprendente corsi teorici e pratici di tecnica dentaria, completata da tre anni di formazione a tempo parziale concentrata sull'esercizio della professione, concludentesi con un esame;

in Austria:

- guardia forestale («Förster»),

- consulente tecnico («Technisches Büro»),

- intermediario lavoro ad interim («Überlassung von Arbeitskräften - Arbeitsleihe»),

- agente di collocamento («Arbeitsvermittlung»),

- consulente finanziario («Vermögensberater»),

- investigatore privato («Berufsdetektiv»),

- agente di sicurezza («Bewachungsgewerbe»),

- agente immobiliare («Immobilienmakler»),

- amministratore di stabili («Immobilienverwalter»),

- fiduciario immobiliare («Bauträger, Bauorganisator, Baubetreuer»),

- agente per il recupero di crediti («Inkassobüro/Inkassoinstitut»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di almeno quindici anni, di cui otto anni d'istruzione obbligatoria più un minimo di cinque anni di studi secondari di tipo tecnico o commerciale, che si concludono con un esame a livello di maturità tecnica o commerciale, ed è completato da almeno due anni di tirocinio pratico con relativo esame finale;

- consulente di assicurazioni («Berater in Versicherungsangelegenheiten»)

ciclo di formazione che ha una durata complessiva di quindici anni, di cui sei anni in un quadro formativo strutturato, suddiviso in un periodo di apprendistato di tre anni e in un periodo di pratica professionale di durata triennale con esame finale;

- perito edile/progettazione e calcolo tecnico («Planender Baumeister»),

- carpentiere diplomato/progettazione e calcolo tecnico («Planender Zimmermeister»),

ciclo di formazione che ha una durata complessiva minima di diciotto anni, di cui almeno nove anni d'istruzione professionale suddivisa in quattro anni di studi tecnici secondari e in cinque anni di pratica professionale che si conclude con un esame che abilita all'esercizio della professione e alla formazione di apprendisti, nella misura in cui questa formazione sia finalizzata alla progettazione di edifici, all'esecuzione di calcoli tecnici e alla supervisione di lavori edilizi («privilegio teresiano»).

- contabile commerciale («Gewerblicher Buchhalter») a norma della legge del 1994 sul commercio, artigianato e industria («Gewerbeordnung 1994»),

- contabile indipendente («Selbständiger Buchhalter») a norma della legge del 1999 sulle professioni nel campo della contabilità pubblica («Bundesgesetz über die Wirtschaftstreuhandberufe 1999»),

in Polonia:

- tecnico addetto alla revisione in un'apposita stazione degli autoveicoli a livello di base («Diagnosta przeprowadzaj¹cy badania techniczne w stacji kontroli pojazdów o podstawowym zakresie badañ»),

con 8 anni di istruzione elementare e 5 anni di formazione professionale secondaria incentrata sugli autoveicoli, un corso di base sulla revisione degli autoveicoli e 3 anni di pratica in una stazione di servizio o in un'officina, 51 ore di formazione di base in revisione di autoveicoli più il superamento dell'esame di idoneità.

- tecnico addetto alla revisione in un'apposita stazione degli autoveicoli a livello di distretto («Diagnosta przeprowadzaj¹cy badania techniczne pojazdu w okrêgowej stacji kontroli pojazdów»),

con 8 anni di istruzione elementare e 5 anni di formazione professionale secondaria incentrata sugli autoveicoli e 4 anni di pratica in una stazione di servizio o in un'officina (51 ore di corso di base in revisione di autoveicoli più il superamento dell'esame di idoneità).

- tecnico addetto alla revisione in un'apposita stazione degli autoveicoli («Diagnosta wykonuj¹cy badania techniczne pojazdów w stacji kontroli pojazdów»),

i) con 8 anni di istruzione elementare e 5 anni di formazione professionale secondaria incentrata sugli autoveicoli e 4 anni di esperienza professionale certificata nella stazione di servizio oppure

ii) 8 anni di istruzione elementare e 5 anni di formazione professionale secondaria in un settore diverso dagli autoveicoli e 8 anni di esperienza professionale certificata in una stazione di servizio o un'officina; complessivamente 113 ore di formazione completa compresa la formazione di base e la specializzazione con esami dopo ogni praticantato.

La durata in ore e il contenuto dei corsi particolari nell'ambito della formazione globale per tecnico vengono specificati a parte nel regolamento del ministero delle infrastrutture del 28 novembre 2002, sui requisiti relativi ai tecnici addetti alla diagnosi (GU del 2002, n. 208, pag. 1769).

- controllore del traffico ferroviario («Dyurny ruchu»),

ciclo di formazione che comprende 8 anni di istruzione elementare e 4 anni di formazione professionale secondaria con specializzazione in trasporto ferroviario nonché un corso di preparazione alla professione di controllore del traffico ferroviario della durata di 45 giorni più il superamento dell'esame di idoneità o ciclo di formazione che rappresenta 8 anni di istruzione elementare e 5 anni di formazione professionale secondaria con specializzazione in trasporto ferroviario nonché un corso di preparazione alla professione di controllore del traffico ferroviario della durata di 63 giorni.

5. Corsi di formazione nel Regno Unito ammessi in quanto «National Vocational Qualifications» o in quanto «Scottish Vocational Qualifications»

- infermiere veterinario registrato («listed veterinary nurse»),

- ingegnere elettrotecnico minerario («mine electrical engineer»),

- ingegnere meccanico minerario («mine mechanical engineer»),

- odontoterapeuta («dental therapist»),

- odontoigienista («dental hygienist»),

- ottico diplomato («dispensing optician»),

- sorvegliante di miniera addetto alla sicurezza («mine deputy»),

- curatore fallimentare («insolvency practitioner»),

- notaio abilitato («licensed conveyancer»),

[- primo ufficiale - navi mercantili/passeggeri - senza restrizioni («first mate - freight/passenger ships - unrestricted»),] (55)

[- secondo ufficiale - navi mercantili/passeggeri - senza restrizioni («second mate - freight/passenger ships - unrestricted»),] (56)

[- terzo ufficiale - navi mercantili/passeggeri - senza restrizioni («third mate - freight/passenger ships unrestricted»),] (57)

[- ufficiale di coperta - navi mercantili/passeggeri - senza restrizioni («deck officer - freight/passenger ships - unrestricted»),] (58)

[- ufficiale di macchina - navi mercantili/passeggeri - area commerciale illimitata («engineer officer - freight/passenger ships - unlimited trading area»),] (59)

- tecnico qualificato nel campo della gestione dei rifiuti («certified technically competent person in waste management»),

che conferiscono le qualifiche ammesse in quanto «National Vocational Qualifications» (NVQ) o ammesse in Scozia in quanto «Scottish Vocational Qualifications», dei livelli 3 e 4 del «National Framework of Vocational Qualifications» del Regno Unito.

Questi livelli corrispondono alle seguenti definizioni:

- Livello 3: competenza nell'esecuzione di un'ampia gamma di compiti svariati in contesti molto diversi. Per la maggior parte di carattere complesso e non ordinario, comportano un notevole livello di responsabilità ed autonomia e le funzioni esercitate comportano spesso la sorveglianza o l'inquadramento di altre persone.

- Livello 4: competenza nell'esecuzione di un'ampia gamma di compiti complessi, di carattere tecnico o specializzato, in contesti molto diversi e con un considerevole livello di responsabilità personale ed autonomia. Le funzioni esercitate a questo livello comportano spesso la responsabilità di lavori effettuati da altre persone e la ripartizione delle risorse.

 

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(36) Trattino così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(37) Trattino soppresso dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(38) Trattino aggiunto dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(39) Testo inserito dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 16 ottobre 2007, n. L 271.

(40) Testo inserito dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 16 ottobre 2007, n. L 271.

(41) Trattino così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(42) Trattino così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(43) Trattino così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(44) Testo inserito dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 16 ottobre 2007, n. L 271.

(45) Testo così sostituito dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 16 ottobre 2007, n. L 271.

(46) Testo aggiunto dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(47) Testo aggiunto dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(48) Testo aggiunto dall'allegato del regolamento (CE) n. 279/2009.

(49) Testo soppresso dall'allegato del regolamento (CE) n. 279/2009.

(50) Trattino così sostituito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(51) Trattino soppresso dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(52) Il punto 2 bis è stato inserito dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(53) Lettera inizialmente modificata dall'allegato della direttiva 2006/100/CE e successivamente così sostituita dall'allegato del regolamento (CE) n. 755/2008.

(54) Voce soppressa dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

(55) Trattino soppresso dall'allegato del regolamento (CE) n. 755/2008.

(56) Trattino soppresso dall'allegato del regolamento (CE) n. 755/2008.

(57) Trattino soppresso dall'allegato del regolamento (CE) n. 755/2008.

(58) Trattino soppresso dall'allegato del regolamento (CE) n. 755/2008.

(59) Trattino soppresso dall'allegato del regolamento (CE) n. 755/2008.

 

 

Allegato III

Elenco delle formazioni regolamentate di cui all'articolo 13, paragrafo 2, terzo comma

 

Nel Regno Unito:

I corsi di formazione regolamentati che conferiscono le qualifiche ammesse in quanto «National Vocational Qualifications» (NVQ) o ammesse in Scozia in quanto «Scottish Vocational Qualifications», dei livelli 3 e 4 del «National Framework of Vocational Qualifications» del Regno Unito.

Questi livelli corrispondono alle seguenti definizioni:

- Livello 3: competenza nell'esecuzione di un'ampia gamma di compiti svariati in contesti molto diversi. Per la maggior parte di carattere complesso e non ordinario, comportano un notevole livello di responsabilità ed autonomia e le funzioni esercitate comportano spesso la sorveglianza o l'inquadramento di altre persone.

- Livello 4: competenza nell'esecuzione di un'ampia gamma di compiti complessi, di carattere tecnico o specializzato, in contesti molto diversi e con un considerevole livello di responsabilità personale ed autonomia. Le funzioni esercitate a questo livello comportano spesso la responsabilità di lavori effettuati da altre persone e la ripartizione delle risorse.

In Germania:

I seguenti corsi di formazione:

- I corsi di formazione professionale regolamentati che preparano alle professioni di assistente tecnico [«technischer(e) Assistent(in)»] e di assistente commerciale («kaufmännischer(e) Assistent(in)»), alle professioni sociali («soziale Berufe») nonché alla professione di insegnante statale di riabilitazione alla respirazione e all'uso della parola e della voce [«staatlich geprüfter(e) Atem-, Sprech- und Stimmlehrer(in)»], aventi una durata complessiva di almeno 13 anni, che presuppongono il superamento del primo ciclo dell'insegnamento secondario («mittlerer Bildungsabschluss») e comprendono:

i) almeno tre anni [1] di formazione professionale in una scuola specializzata («Fachschule»), che si concludono con un esame e sono eventualmente completati da un ciclo di specializzazione di uno o due anni, che si conclude con un esame, o

ii) almeno due anni e mezzo di formazione professionale in una scuola specializzata («Fachschule»), che si concludono con un esame e sono completati da una pratica professionale di almeno sei mesi o da un tirocinio professionale di almeno sei mesi in un istituto riconosciuto, o

iii) almeno due anni in una scuola specializzata («Fachschule»), che si concludono con un esame e sono completati da una pratica professionale di almeno un anno in un istituto riconosciuto.

- I corsi di formazione professionale regolamentati per tecnici [«Techniker(in)»], periti di economia aziendale («Betriebswirte( in)»), progettisti («Gestalter(in)») e assistenti familiari («Familienpfleger(in)») sanciti da un diploma statale («staatlich geprüft»), per una durata totale di almeno sedici anni, che presuppongono l'assolvimento dell'obbligo scolastico o di una formazione equivalente (della durata di almeno nove anni) nonché il conseguimento di una formazione in scuola professionale («Berufsschule») di almeno tre anni e comprendono, in seguito ad una pratica professionale di almeno due anni, una formazione a tempo pieno per almeno due anni o una formazione a tempo parziale di durata equivalente.

- I corsi di formazione professionale regolamentati e i corsi di formazione continua regolamentati di una durata complessiva di almeno quindici anni, che presuppongono, in linea di massima, l'assolvimento dell'obbligo scolastico (della durata di almento nove anni) e una formazione professionale completa (in generale tre anni) e comprendono, in linea di massima, una pratica professionale di almeno due anni (in generale tre anni) nonché un esame nel quadro della formazione continua, per la cui preparazione sono generalmente adottate misure di formazione complementare parallele alla pratica professionale (almeno 1.000 ore) o a tempo pieno (almeno un anno).

Le autorità tedesche comunicano alla Commissione e agli altri Stati membri un elenco dei cicli di formazione interessati dal presente allegato.

 

_______

[1] La durata minima di tre anni può essere ridotta a due se l'interessato è in possesso della qualifica necessaria per accedere all'università («Abitur»), ossia tredici anni di formazione preliminare, o della qualifica necessaria per accedere alle «Fachhochschulen» (la «Fachhochschulreife»), ossia dodici anni di formazione preliminare.

 

Nei Paesi Bassi (60):

i corsi di formazione regolamentati che corrispondono al livello di qualifica 3 o 4 del registro centrale nazionale delle formazioni professionali istituito dalla legge sull’istruzione e l’insegnamento professionale o corsi di formazione più vecchi il cui livello è assimilato a questi livelli di qualifica.

I livelli 3 e 4 della struttura di qualifica corrispondono alle descrizioni seguenti:

- livello 3: responsabilità dell’applicazione e della combinazione di procedure standardizzate. Combinazione o concezione di procedure in funzione delle attività di organizzazione o di preparazione del lavoro. Attitudine a giustificare queste attività presso i colleghi (senza legame gerarchico). Responsabilità gerarchica del controllo e dell’accompagnamento dell’applicazione tramite altre procedure standardizzate o automatizzate di routine. Si tratta per lo più di competenze e conoscenze professionali,

- livello 4: responsabilità dell’esecuzione dei compiti assegnati, nonché della combinazione o concezione di nuove procedure. Attitudine a giustificare queste attività presso i colleghi (senza legame gerarchico). Responsabilità gerarchica esplicita per quanto riguarda la pianificazione e/o l’amministrazione e/o l’organizzazione e/o lo sviluppo dell’insieme del ciclo di produzione. Si tratta di competenze e conoscenze specializzate e/o non inerenti alla professione.

I due livelli corrispondono a cicli di studi regolamentati di una durata totale di almeno 15 anni che presuppongono il completamento di otto anni di insegnamento di base seguiti da quattro anni di insegnamento professionale preparatorio medio (“VMBO”), ai quali si aggiungono almeno tre anni di formazione di livello 3 o 4 in un istituto di insegnamento medio professionale (MBO), sanzionata da un esame. [La durata della formazione professionale media può essere ridotta da tre a due anni se l’interessato dispone di una qualifica che dà accesso all’università (14 anni di formazione preliminare) o all’insegnamento professionale superiore (13 anni di formazione preliminare)].

Le autorità dei Paesi Bassi comunicano alla Commissione e agli altri Stati membri l’elenco dei cicli di formazione interessati dal presente allegato

In Austria:

- I corsi delle scuole professionali superiori («Berufsbildende Höhere Schulen») e degli istituti d'istruzione superiore di agricoltura e silvicoltura («Höhere Land- und Forstwirtschaftliche Lehranstalten»), comprese le scuole di tipo speciale («einschlieâlich der Sonderformen»), la struttura e il livello dei quali sono stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative.

Detti corsi hanno una durata complessiva di almeno tredici anni e comprendono cinque anni di formazione professionale, sancita da un esame finale il cui superamento è prova di competenza professionale.

- I corsi di perfezionamento nell'ambito delle scuole tecniche professionali («Meisterschulen»), di altri istituti («Meisterklassen»), delle scuole tecniche industriali («Werkmeisterschulen») o delle scuole professionali edili («Bauhandwerkerschulen»), la struttura e il livello dei quali sono stabiliti da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative.

Detti corsi hanno una durata complessiva di almeno tredici anni, di cui nove anni di scolarità obbligatoria seguiti da almeno tre anni di formazione professionale in una scuola specializzata o almeno tre anni di formazione in un'impresa e parallelamente in una scuola professionale («Berufsschule»), concludentisi in entrambi i casi con un esame, completati da un corso di perfezionamento professionale di almeno un anno in una scuola tecnica professionale («Meisterschule»), in altri istituti («Meisterklassen»), in una scuola tecnica industriale («Werkmeisterschule») o in una scuola professionale edile («Bauhandwerkerschule»). Nella maggior parte dei casi la durata totale è di almeno quindici anni compresi i periodi di esperienza lavorativa, che precedono i corsi di perfezionamento professionale nei suddetti istituti o sono accompagnati da corsi a tempo parziale (almeno 960 ore).

Le autorità austriache comunicano alla Commissione e agli Stati membri un elenco dei cicli di formazione interessati dal presente allegato.

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(60) Voce così sostituita dall'allegato del regolamento (CE) n. 1430/2007.

 

 

Allegato IV - Lista I

Attività collegate alle categorie di esperienza professionale di cui agli articoli 17, 18 e 19

Lista I

Classi comprese nella direttiva 64/427/CEE, modificata dalla direttiva 69/77/CEE, e nelle direttive 68/366/CEE e 82/489/CEE

 

1 Direttiva 64/427/CEE

(Direttiva di liberalizzazione 64/429/CEE)

Nomenclatura NICE (corrispondente alle classi ISIC 23-40)

Classe

23

Industria tessile

 

232

Trasformazione di fibre tessili con sistema laniero

 

233

Trasformazione di fibre tessili con sistema cotoniero

 

234

Trasformazione di fibre tessili con sistema serico

 

235

Trasformazione di fibre tessili con sistema per lino e canapa

 

236

Industria delle altre fibre tessili (juta, fibre dure), fabbricazione di cordami

 

237

Fabbricazione di tessuti a maglia, maglieria, calze

 

238

Finissaggio dei tessili

 

239

Altre industrie tessili

Classe

24

Fabbricazione di calzature, di articoli di abbigliamento e di biancheria per la casa

 

241

Fabbricazione a macchina di calzature (escluse quelle in gomma e in legno)

 

242

Fabbricazione a mano di calzature e loro riparazione

 

243

Fabbricazione di articoli d'abbigliamento e biancheria per casa (eccettuate le pellicce)

 

244

Confezione di materassi, copriletto ed altri articoli di arredamento

 

244

Fabbricazione di pellicce e articoli in pelo

Classe

25

Industrie del legno e del sughero (esclusa l'industria del mobile in legno)

 

251

Taglio e preparazione industriale del legno

 

252

Fabbricazione di articoli semifiniti in legno

 

253

Carpenteria, falegnameria, pavimenti in legno (produzione di serie)

 

254

Fabbricazione di imballaggi in legno

 

255

Fabbricazione di altri oggetti in legno (mobili esclusi)

 

259

Fabbricazione di articoli in paglia, sughero, giunco e vimini, spazzole, scope e pennelli

Classe

26

260 Industrie del mobile in legno

Classe

27

Industrie della carta e della sua trasformazione

 

271

Fabbricazione della pasta-carta, della carta e del cartone

 

272

Trasformazione della carta e del cartone, fabbricazione di articoli in pasta-carta

Classe

28

280 Stampa, edizioni e industrie collegate

Classe

29

Industria del cuoio e delle pelli

 

291

Concia del cuoio e delle pelli

 

292

Fabbricazione di articoli in cuoio e in pelle

Ex classe

30

Industria della gomma, delle materie plastiche, delle fibre artificiali e sintetiche e dei prodotti amilacei

 

301

Trasformazione della gomma e dell'amianto

 

302

Trasformazione delle materie plastiche

 

303

Produzione di fibre artificiali e sintetiche

Ex classe

31

Industria chimica

 

311

Fabbricazione di prodotti chimici di base e fabbricazione seguita da trasformazione più o meno spinta degli stessi

 

312

Fabbricazione specializzata di prodotti chimici destinati principalmente all'industria e all'agricoltura (compresa la fabbricazione di grassi e oli industriali di origine vegetale o animale compresa nel gruppo ISIC 312)

 

313

Fabbricazione specializzata di prodotti chimici destinati principalmente al consumo privato e all'ufficio [(esclusa la fabbricazione di prodotti medicinali e farmaceutici (ex gruppo ISIC 319)]

Classe

32

320 Lavorazione del petrolio

Classe

33

Industria dei prodotti minerali non metallici

 

331

Fabbricazione di materiale da costruzione in laterizio

 

332

Industria del vetro

 

333

Fabbricazione di gres, porcellane, maioliche, terracotta e prodotti refrattari

 

334

Fabbricazione di cemento, calce e gesso

 

335

Fabbricazione di elementi per costruzione in calcestruzzo, cemento e gesso

 

339

Lavorazione della pietra e di prodotti minerali non metallici

Classe

34

Produzione e prima trasformazione dei metalli ferrosi e non ferrosi

 

341

Siderurgia (secondo il trattato CECA ivi comprese le cokerie siderurgiche integrate)

 

342

Fabbricazione di tubi d'acciaio

 

343

Trafilatura, stiratura, laminatura dei nastri, produzione di profilati a freddo

 

344

Produzione e prima trasformazione di metalli non ferrosi

 

345

Fonderie di metalli ferrosi e non ferrosi

Classe

35

Fabbricazione di oggetti in metallo (eccettuate la macchine e il materiale da trasporto)

 

351

Forgiatura, stampaggio, imbutitura di grandi pezzi

 

352

Seconda trasformazione e trattamento anche superficiale dei metalli

 

353

Costruzioni metalliche

 

354

Costruzione di caldaie e serbatoi

 

355

Fabbricazione di utensili e articoli finiti in metallo (materiale elettrico escluso)

 

359

Attività ausiliarie delle industrie meccaniche

Classe

36

Costruzione di macchine non elettriche

 

361

Costruzione di macchine e trattori agricoli

 

362

Costruzione di macchine per ufficio

 

363

Costruzione di macchine utensili per la lavorazione dei metalli, di utensileria e utensili per macchine

 

364

Costruzione di macchine tessili ed accessori; costruzione di macchine per cucire

 

365

Costruzione di macchine e apparecchi per le industrie alimentari, chimiche e affini

 

366

Costruzione di macchine per le miniere, le industrie siderurgiche e le fonderie, per il genio civile e l'edilizia; costruzione di materiale per sollevamento e trasporto

 

367

Fabbricazione di organi di trasmissione

 

368

Costruzione di altri macchinari specifici

 

369

Costruzione di altre macchine e apparecchi non elettrici

Classe

37

Costruzione di macchine e materiale elettrico

 

371

Fabbricazione di fili e cavi elettrici

 

372

Fabbricazione di motori, generatori, trasformatori, interruttori ed altro materiale elettrico per impianti

 

373

Fabbricazione di macchine e materiale elettrico per l'industria

 

374

Fabbricazione di materiale per telecomunicazioni, radar, di contatori, strumenti di misura e di apparecchiature elettromedicali

 

375

Costruzione di apparecchiature elettroniche, di apparecchi radio, televisione, elettroacustici

 

376

Costruzione di apparecchi elettrodomestici

 

377

Fabbricazione di lampadine e altro materiale per illuminazione

 

378

Produzione di pile ed accumulatori

 

379

Riparazione, montaggio, lavori d'installazione (di macchine elettriche) Ex

Classe

38

Costruzione di materiale da trasporto

 

383

Costruzione di automezzi e loro parti staccate

 

384

Riparazione di automezzi, cicli, motocicli

 

385

Costruzione di cicli, motocicli e loro parti staccate

 

389

Costruzione di materiale da trasporto n.c.a.

Classe

39

Industrie manifatturiere diverse

 

391

Fabbricazione di strumenti di precisione e di apparecchi di misura e controllo

 

392

Fabbricazione di materiale medico-chirurgico e di apparecchi ortopedici (scarpe ortopediche escluse)

 

393

Fabbricazione di strumenti ottici e di apparecchiature fotografiche

 

394

Fabbricazione e riparazione di orologi

 

395

Bigiotteria, oreficeria, gioielleria, taglio delle pietre preziose

 

396

Fabbricazione e riparazione di strumenti musicali

 

397

Fabbricazione di giochi, giocattoli e articoli sportivi

 

399

Industrie manifatturiere diverse

Classe

40

Edilizia e genio civile

 

400

Edilizia e genio civile (imprese non specializzate); demolizione

 

401

Costruzione di immobili (d'abitazione ed altri)

 

402

Genio civile: costruzione di strade, ponti, ferrovie, ecc.

 

403

Installazioni varie per l'edilizia

 

404

Finitura dei locali

 

 

 

 

2 Direttiva 68/366/CEE

(Direttiva di liberalizzazione 68/365/CEE)

Nomenclatura NICE

Classe

20A

200 Industrie dei grassi vegetali e animali

 

20B

Industrie alimentari (eccettuata la fabbricazione di bevande)

 

201

Macellazione del bestiame, preparazione e conservazione della carne

 

202

Industria casearia

 

203

Preparazione di conserve di frutta e di legumi

 

204

Conservazione del pesce ed altri prodotti del mare

 

205

Lavorazione delle granaglie

 

206

Panetteria, pasticceria, biscottificio

 

207

Produzione e raffinazione dello zucchero

 

208

Industria del cacao, cioccolato, caramelle e gelati

 

209

Fabbricazione di prodotti alimentari diversi

Classe

21

Fabbricazione di bevande

 

211

Industria dell'alcole etilico di fermentazione, del lievito e delle bevande alcoliche

 

212

Industria del vino e delle bevande alcoliche assimilate (senza malto)

 

213

Produzione di birra e malto

 

214

Industria delle bevande analcoliche e delle acque gassate Ex 30 Industria della gomma, delle materie plastiche, delle fibre artificiali e sintetiche e dei prodotti amilacei

 

304

Industria dei prodotti amilacei

 

 

 

 

3 Direttiva 82/489/CEE

Nomenclatura ISIC

Ex 855

Parrucchieri (escluse le attività di pedicure e di istituti professionali per estetisti)

 

 

 

 

Lista II

Classi comprese nelle direttive 75/368/CEE, 75/369/CEE e 82/470/CEE

1 Direttiva 75/368/CEE (attività di cui all'articolo 5, paragrafo 1)

Nomenclatura ISIC

Ex 04

Pesca

 

 

043

Pesca nelle acque interne

Ex 38

Costruzione di materiale da trasporto

 

381

Costruzione navale e riparazione di navi

 

382

Costruzione di materiale ferroviario

 

386

Costruzione di aerei (compresa la costruzione di materiale spaziale)

Ex 71

Attività ausiliarie dei trasporti e attività diverse dai trasporti che rientrano nei seguenti gruppi:

 

ex 711

Esercizio di carrozze con letti e carrozze ristoranti; manutenzione del materiale ferroviario nelle officine di riparazione e pulizia delle carrozze

 

ex 712

Manutenzione del materiale da trasporto urbano, suburbano e interurbano di viaggiatori

 

ex 713

Manutenzione di altri materiali da trasporto stradale di viaggiatori (quali automobili, autocarri, taxi)

 

ex 714

Esercizio e manutenzione di opere ausiliarie di trasporto stradale (quali strade, gallerie e ponti stradali a pagamento, stazioni stradali, parcheggi, depositi di autobus e tram)

 

ex 716

Attività ausiliarie relative alla navigazione interna (quali esercizio e manutenzione delle vie navigabili, porti ed altri impianti per la navigazione interna: rimorchio e pilotaggio nei porti, posa di boe, carico e scarico di battelli ed altre attività analoghe, quali salvataggio di battelli, alaggio ed utilizzazione di depositi di barche)

73

Comunicazioni: poste e telecomunicazioni

Ex 85

Servizi personali

 

854

Lavanderia, lavaggio a secco e tintoria

 

ex 856

Studi fotografici: ritratti e fotografie commerciali, esclusa l'attività di fotoreporter

 

ex 859

Servizi personali non classificati altrove, unicamente manutenzione e pulitura di immobili o di locali

 

 

 

2 Direttiva 75/369/CEE (articolo 6: quando l'attività è considerata industriale o artigianale)

Nomenclatura ISIC

Esercizio ambulante delle seguenti attività:

a) acquisto e vendita di merci:

- da parte di venditori ambulanti e di merciaiuoli (ex gruppo ISIC 612),

- su mercati coperti, ma non in posti fissati stabilmente al suolo, e su mercati non coperti;

b) attività che formano oggetto di altre direttive recanti misure transitorie le quali escludono esplicitamente, o non menzionano, la forma ambulante di tali attività

3 Direttiva 82/470/CEE (articolo 6, paragrafi 1 e 3)

Gruppi 718 e 720 della nomenclatura ISIC

Le attività ivi contemplate consistono in particolare:

- nell'organizzare, presentare e vendere, a forfait o a provvigione, gli elementi isolati o coordinati (trasporto, alloggio, vitto, escursioni, ecc.) di un viaggio o di un soggiorno, a prescindere dal motivo dello spostamento [(articolo 2, punto B, lettera a)],

- nell'agire come intermediario tra gli imprenditori di diversi modi di trasporto e le persone che spediscono o che si fanno spedire delle merci e nell'effettuare varie operazioni collegate:

aa) concludendo per conto di committenti, contratti con gli imprenditori di trasporto;

bb) scegliendo il modo di trasporto, l'impresa e l'itinerario ritenuti più vantaggiosi per il committente;

cc) preparando il trasporto dal punto di vista tecnico (ad esempio: imballaggio necessario al trasporto); effettuando diverse operazioni accessorie durante il trasporto (ad esempio: provvedendo all'approvvigionamento di ghiaccio per i vagoni refrigeranti);

dd) assolvendo le formalità collegate al trasporto, quali la redazione delle lettere di vettura; raggruppando le spedizioni e separandole;

ee) coordinando le diverse parti di un trasporto col provvedere al transito, alla rispedizione, al trasbordo e alle varie operazioni terminali;

ff) procurando rispettivamente dei carichi ai vettori e delle possibilità di trasporto alle persone che spediscono o si fanno spedire delle merci;

- nel calcolare le spese di trasporto e controllarne la composizione,

- nello svolgere alcune pratiche a titolo permanente o occasionale, in nome e per conto di un armatore o di un vettore marittimo (presso autorità portuali, imprese di approvvigionamento navi, ecc.).

[Attività di cui all'articolo 2, punto A, lettere a), b) o d)]

 

 

Lista III

Direttive 64/222/CEE, 68/364/CEE, 68/368/CEE, 75/368/CEE, 75/369/CEE, 70/523/CEE e 82/470/CEE

1 Direttiva 64/222/CEE

(Direttive di liberalizzazione 64/223/CEE e 64/224/CEE)

1. Attività non salariate del commercio all'ingrosso, escluso quello dei medicinali e prodotti farmaceutici, dei prodotti tossici e degli agenti patogeni e quello del carbone (gruppo ex 611).

2. Attività professionali dell'intermediario incaricato, in virtù di uno o più mandati, di preparare o concludere operazioni commerciali a nome e per conto di terzi.

3. Attività professionali dell'intermediario che, senza un incarico permanente, mette in relazione persone che desiderano contrattare direttamente, o prepara le operazioni commerciali o aiuta a concluderle.

4. Attività professionali dell'intermediario che conclude operazioni commerciali a nome proprio per conto di terzi.

5. Attività professionali dell'intermediario che effettua per conto di terzi vendite all'asta all'ingrosso.

6. Attività professionali degli intermediari che vanno di porta in porta per raccogliere ordinazioni.

7. Attività di prestazioni di servizi effettuate a titolo professionale da un intermediario salariato che è al servizio di una o di più imprese commerciali, industriali o artigianali.

2 Direttiva 68/364/CEE

(Direttiva di liberalizzazione 68/363/CEE)

Ex gruppo 612 ISIC: Commercio al minuto

Attività escluse:

012

Locazione di macchine agricole

640

Affari immobiliari, locazione

713

Locazione di automobili, di vetture e di cavalli

718

Locazione di carrozze e vagoni ferroviari

839

Locazione di macchine per ditte commerciali

841

Locazione di posti di cinematografo e noleggio di film

842

Locazione di posti di teatro e noleggio di attrezzature teatrali

843

Locazione di battelli, locazione di biciclette, locazione di apparecchi automatici per introduzione di moneta

853

Locazione di camere ammobiliate

854

Locazione di biancheria

859

Locazione di indumenti

 

 

3

Direttiva 68/368/CEE

(Direttiva di liberalizzazione 68/367/CEE)

Nomenclatura ISIC

Ex classe 85 ISIC

1. Ristoranti e spacci di bevande (gruppo ISIC 852).

2. Alberghi e simili, terreni per campeggio (gruppo ISIC 853).

4

Direttiva 75/368/CEE (articolo 7)

Tutte le attività elencate nell'allegato della direttiva 75/368/CEE, tranne le attività di cui all'articolo 5, paragrafo 1 di detta direttiva (lista II, n. 1 del presente allegato).

Nomenclatura ISIC

Ex 62

Banche e altri istituti finanziari

 

Ex 620

Agenzie di brevetti ed imprese di distribuzione dei canoni

Ex 71

Trasporti

 

 

Ex 713

Trasporti su strada di passeggeri, esclusi i trasporti effettuati con autoveicoli

 

Ex 719

Esercizio di condutture destinate al trasporto di idrocarburi liquidi e di altri prodotti chimici liquidi

Ex 82

Servizi forniti alla collettività

 

827

Biblioteche, musei, giardini botanici e zoologici

Ex 84

Servizi ricreativi

 

843

Servizi ricreativi non classificati altrove:

 

 

- attività sportive (campi sportivi, organizzazioni di incontri sportivi, ecc.), escluse le attività di istruttore sportivo,

 

 

- attività di gioco (scuderie di cavalli, campi da gioco, campi da corse, ecc.),

 

 

- attività ricreative (circhi, parchi di attrazione ed altri divertimenti, ecc.).

Ex 85

Servizi personali

 

Ex 851

Servizi domestici

 

Ex 855

Istituti di bellezza ed attività di manicure, escluse le attività di pedicure, le scuole professionali di cure di bellezza e di parrucchiere

 

Ex 859

Servizi personali non classificati altrove escluse le attività dei massaggiatori sportivi e parasanitari e delle guide di montagna, raggruppate nel modo seguente:

 

 

- disinfezione e lotta contro gli animali nocivi,

 

 

- locazione di vestiti e guardaroba,

 

 

- agenzie matrimoniali e servizi analoghi,

 

 

- attività a carattere divinatorio e congetturale,

 

 

- servizi igienici ed attività connesse,

 

 

- pompe funebri e manutenzione dei cimiteri,

 

 

- guide accompagnatrici ed interpreti turistici.

 

 

 

5

Direttiva 75/369/CEE (articolo 5)

Esercizio ambulante delle seguenti attività:

a) acquisto e vendita di merci:

- da parte di venditori ambulanti e di merciaiuoli (ex gruppo ISIC 612),

- su mercati coperti ma non in posti fissati stabilmente al suolo e su mercati non coperti;

b) attività che formano oggetto di misure transitorie che escludono esplicitamente, o non menzionano, la forma ambulante di tali attività.

6

Direttiva 70/523/CEE

Attività non salariate del commercio all'ingrosso di carbone e attività degli intermediari in materia di carbone (ex gruppo 6112, nomenclatura ISIC)

7

Direttiva 82/470/CEE (articolo 6, paragrafo 2)

[Attività di cui all'articolo 2, punto A, lettere c) o e), punto B, lettera b), punti C o D]

Tali attività consistono in particolare:

- nel dare a noleggio vagoni o carrozze ferroviarie per il trasporto di persone o merci,

- nel fungere da intermediario nell'acquisto, vendita o nolo di navi,

- nel preparare, negoziare, e concludere contratti per il trasporto di emigranti,

- nel ricevere qualsiasi oggetto o merce in deposito per conto del depositante, sotto il regime doganale o non doganale, in depositi, magazzini generali, magazzini per la custodia di mobili, depositi frigoriferi, silos, ecc.,

- nel rilasciare al depositante un titolo che rappresenti l'oggetto o la merce ricevuta in deposito,

- nel fornire recinti, alimenti e luoghi di vendita per il bestiame in temporanea custodia, sia prima della vendita, sia in transito per il o dal mercato,

- nell'effettuare il controllo o la perizia tecnica di autoveicoli,

- nel determinare le dimensioni, il peso o il volume delle merci.

 

Allegato V (61)

Riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

V.1. MEDICI

5.1.1. Titoli di formazione medica di base

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Certificato che accompagna il titolo di formazione

Data di riferimento

Italia

Diploma di laurea in medicina e chirurgia

Università

Diploma di abilitazione all'esercizio della medicina e chirurgia

20 dicembre 1976

 

 

 

 

 

5.1.2. Titoli di formazione di medico specializzato

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Data di riferimento

Italia

Diploma di medico specialista

Università

20 dicembre 1976

 

 

 

 

5.1.3. Elenco delle denominazioni delle specializzazioni mediche (62)

Paese

Anestesia

Chirurgia generale

 

Durata minima della formazione: 3 anni

Durata minima della formazione: 5 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Anestesia e rianimazione

Chirurgia generale

 

 

 

Paese

Neurochirurgia

Ostetricia e ginecologia

 

Durata minima della formazione: 5 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Neurochirurgia

Ginecologia e ostetricia

 

 

 

Paese

Medicina interna

Oftalmologia

 

Durata minima della formazione: 5 anni

Durata minima della formazione: 3 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Medicina interna

Oftalmologia

 

 

 

Paese

Otorinolaringoiatria

Pediatria

 

Durata minima della formazione: 3 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Otorinolaringoiatria

Pédiatria

 

 

 

Paese

Malattie dell'apparato respiratorio

Urologia

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 5 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Malattie dell'apparato respiratorio

Urologia

 

 

 

Paese

Ortopedia

Anatomia patologica

 

Durata minima della formazione: 5 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Ortopedia e traumatologia

Anatomia patologica

 

 

 

Paese

Neurologia

Psichiatria

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Neurologia

Psichiatria

 

 

 

Paese

Radiodiagnostica

Radioterapia

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Radiodiagnostica

Radioterapia

 

 

 

Paese

Chirurgia plastica

Biologia clinica

 

Durata minima della formazione: 5 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Chirurgia plastica e ricostruttiva

Patologia clinica

 

 

 

Paese

Microbiologia-batteriologica

Biochimica

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Microbiologia e virologia

Biochimica clinica

 

 

 

Paese

Immunologia

Chirurgia toracica

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 5 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

 

- Chirurgia toracica;

 

 

- Cardiochirurgia

Date d'abrogazione ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 3:

[*] 1° gennaio 1983

Paese

Chirurgia pediatrica

Chirurgia vascolare

 

Durata minima della formazione: 5 anni

Durata minima della formazione: 5 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Chirurgia pediatrica

Chirurgia vascolare

 

 

 

Date d'abrogazione ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 3:

[*] 1° gennaio 1983

Paese

Cardiologia

Gastroenterologia

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Cardiologia

Gastroenterologia

 

 

 

Paese

Reumatologia

Ematologia generale

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 3 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Reumatologia

Ematologia

 

 

 

Paese

Endocrinologia

Fisioterapia

 

Durata minima della formazione: 3 anni

Durata minima della formazione: 3 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Endocrinologia e malattie del ricambio

Medicina fisica e riabilitazione

 

 

 

Paese

Neuropsichiatria

Dermatologia e venerologia

 

Durata minima della formazione: 5 anni

Durata minima della formazione: 3 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Neuropsichiatria [***]

Dermatologia e venerologia

 

 

 

Date d'abrogazione ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 3:

[***] 31 ottobre 1999.

Paese

Radiologia

Psichiatria infantile

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Radiologia [**]

Neuropsichiatria infantile

 

 

 

 

Date d'abrogazione ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 3:

 

 

[**] 31 ottobre 1993.

 

Paese

Geriatria

Malattie renali

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Geriatria

Nefrologia

 

 

 

Paese

Malattie infettive

Igiene e medicina preventiva

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Malattie infettive

Igiene e medicina preventiva

 

 

 

 

Farmacologia

Medicina del lavoro

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Farmacologia

Medicina del lavoro

 

 

 

Paese

Allergologia

Medicina nucleare

 

Durata minima della formazione: 3 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Allergologia ed immunologia clinica

Medicina nucleare

 

 

 

Paese

Chirurgia maxillo-facciale (formazione di base di medico)

 

Durata minima della formazione: 5 anni

 

Denominazione

Italia

Chirurgia maxillo-facciale

 

 

Paese

Ematologia biologica

 

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Italia

 

 

 

Paese

Stomatologia

Dermatologia

 

Durata minima della formazione: 3 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Odontostomatologia [*]

 

 

 

 

Date d'abrogazione ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 3:

[*] 31 dicembre 1994.

Paese

Venerologia

Medicina tropicale

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

 

Medicina tropicale

 

 

 

Paese

Chirurgia dell'apparato digerente

Medicina infortunistica

 

Durata minima della formazione: 5 anni

Durata minima della formazione: 5 anni

 

Denominazione

Denominazione

Italia

Chirurgia dell'apparato digerente

 

 

 

 

Paese

Neurofisiologia clinica

Chirurgia dentaria, della bocca e maxillo-facciale (formazione di base di medico e di dentista) [*]

 

Durata minima della formazione: 4 anni

Durata minima della formazione: 4 anni

 

Denominazione

Denominazione

 

 

 

Italia

 

 

 

 

 

________

[*] La formazione per il conseguimento del titolo di formazione di specialista in chirurgia dentale, della bocca e maxillo-facciale (formazione di base di medico e di dentista) presuppone il compimento e la convalida di studi di medicina di base (articolo 24) e, inoltre, di studi di base di dentista (articolo 34).

5.1.4. Titoli di formazione di medico generico

Paese

Titolo di formazione

Titolo professionale

Data di riferimento

 

 

 

 

Italia

Attestato di formazione specifica in medicina generale

Medico di medicina generale

31 dicembre 1994

 

 

 

 

 

 

 

 

V.2. Infermiere responsabile dell'assistenza generale

5.2.1. Programma di studio per gli infermieri responsabili dell'assistenza generale

Il programma di studio per il conseguimento del titolo di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale comprende le seguenti due parti:

A. Insegnamento teorico

a. Assistenza infermieristica:

- Orientamento ed etica professionali

- Principi generali dell'assistenza sanitaria e infermieristica

- Principi dell'assistenza infermieristica in materia di:

- medicina generale e specializzazioni mediche

- chirurgia generale e specializzazioni chirurgiche

- puericultura e pediatria

- igiene assistenza alla madre e al neonato

- igiene mentale e psichiatria

- assistenza alle persone anziane e geriatria

b. Materie fondamentali:

- Anatomia e fisiologia

- Patologia

- Batteriologia, virologia e parassitologia

- Biofisica, biochimica e radiologia

- Dietetica

- Igiene:

- Profilassi

- educazione sanitaria

- Farmacologia

c. Scienze sociali:

- Sociologia

- Psicologia

- Principi di amministrazione

- Principi di insegnamento

- Legislazioni sociale e sanitaria

- Aspetti giuridici della professione

B. Insegnamento clinico

- Assistenza infermieristica in materia di:

- medicina generale e specializzazioni mediche

- chirurgia generale e specializzazioni chirurgiche

- puericultura e pediatria

- igiene assistenza alla madre e al neonato

- igiene mentale e psichiatria

- assistenza alle persone anziane e geriatria

- assistenza a domicilio

L'insegnamento di una o più di tali materie può essere impartito nell'ambito delle altre discipline o in connessione con esse.

L'insegnamento teorico e l'insegnamento clinico debbono essere impartiti in modo equilibrato e coordinato, al fine di consentire un'acquisizione adeguata delle conoscenze e competenze di cui al presente allegato.

5.2.2. Titoli di formazione di infermiere responsabile dell'assistenza generale

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Titolo professionale

Data di riferimento

Italia

Diploma di infermiere professionale

Scuole riconosciute dallo Stato

Infermiere professionale

29 giugno 1979

 

 

 

 

 

V.3. Dentista

5.3.1. Programma di studi per il dentista

Il programma di studi che permette il conseguimento dei titoli di formazione di dentista comprende almeno le materie elencate qui di seguito. L'insegnamento di una o più di tali materie può essere impartito nell'ambito delle altre discipline o in connessione con esse.

A. Materie di base

- Chimica

- Fisica

- Biologia

B. Materie medico-biologiche e materie mediche generali

- Anatomia

- Embriologia

- Istologia, compresa la citologia

- Fisiologia

- Biochimica (o chimica fisiologica)

- Anatomia patologica

- Patologia generale

- Farmacologia

- Microbiologia

- Igiene

- Profilassi ed epidemiologia

- Radiologia

- Fisioterapia

- Chirurgia generale

- Medicina interna, compresa la pediatria

- Otorinolaringoiatria

- Dermatologia e venerologia

- Psicologia generale - psicopatologia - neuropatologia

- Anestesiologia

C. Materie specificamente odontostomatologiche

- Protesi dentaria

- Materiali dentari

- Odontoiatria conservatrice

- Odontoiatria preventiva

- Anestesia e sedativi usati in odontoiatria

- Chirurgia speciale

- Patologia speciale

- Clinica odontostomatologica

- Pedodonzia

- Ortodonzia

- Parodontologia

- Radiologia odontologica

- Funzione masticatrice

- Organizzazione professionale, deontologia e legislazione

- Aspetti sociali della prassi odontologica

5.3.2. Titoli di formazione di base di dentista

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Certificato che accompagna il titolo di formazione

Titolo professionale

Data di riferimento

Italia

Diploma di laurea in Dentista e Protesi Dentaria

Università

Diploma di abilitazione all'esercizio della professione di dentista

Dentista

28 gennaio 1980

 

 

 

 

 

 

5.3.3. Titoli di formazione di dentista specialista

Ortodonzia

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Data di riferimento

Italia

Diploma di specialista in Ortognatodonzia

Università

21 maggio 2005

 

Chirurgia odontostomatologica

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Data di riferimento

Italia

Diploma di specialista in Chirurgia Orale

Università

21 maggio 2005

 

 

 

 

V.4. Veterinario

5.4.1. Programma di studi per i veterinari

Il programma di studi che permette il conseguimento dei titoli di formazione di veterinario comprende almeno le materie indicate qui di seguito.

L'insegnamento di una o più di tali materie può essere impartito nell'ambito delle altre discipline o in connessione con esse.

A. Materie di base

- Fisica

- Chimica

- Zoologia

- Botanica

- Matematica applicata alle scienze biologiche

B. Materie specifiche

a. Scienze fondamentali:

- Anatomia (comprese istologia ed embriologia)

- Fisiologia

- Biochimica

- Genetica

- Farmacologia

- Farmacia

- Tossicologia

- Microbiologia

- Immunologia

- Epidemiologia

- Deontologia

b. Scienze cliniche:

- Ostetricia

- Patologia (compresa l'anatomia patologica)

- Parassitologia

- Patologia speciale medica e patologia speciale chirurgica (compresa l'anestesiologia)

- Clinica degli animali domestici, volatili e altre specie animali

- Medicina preventiva

- Radiologia

- Riproduzione e turbe della riproduzione

- Polizia sanitaria

- Medicina legale e legislazione veterinarie

- Terapeutica

- Propedeutica

c. Produzione animale

- Produzione animale

- Nutrizione

- Agronomia

- Economia rurale

- Allevamento e salute degli animali

- Igiene veterinaria

- Etologia e protezione animale

d. Igiene alimentare

- Ispezione e controllo dei prodotti alimentari di origine animale

- Igiene e tecnologia alimentare

- Lavori pratici (compresi i lavori pratici nei luoghi di macellazione e di lavorazione dei prodotti alimentari)

La formazione pratica può assumere la forma di un tirocinio pratico, purché questo sia svolto a tempo pieno, sotto il controllo diretto dell'autorità o dell'organismo competenti e non superi la durata di sei mesi sul totale di cinque anni di studi.

La ripartizione dell'insegnamento teorico e pratico tra i vari gruppi di materie deve essere ponderata e coordinata in modo che le conoscenze ed esperienze possano essere adeguatamente acquisite per consentire al veterinario di espletare tutti i suoi compiti.

5.4.2. Titolo di formazione di veterinario

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Certificato che accompagna il titolo di formazione

Data di riferimento

Italia

Diploma di laurea in medicina veterinaria

Università

Diploma di abilitazione all'esercizio della medicina veterinaria

1° gennaio 1985

 

 

 

 

 

V.5. Ostetrica

5.5.1. Programma di studi per le ostetriche (tipi di formazione I e II)

Il programma di studi per il conseguimento dei titoli di formazione di ostetrica comprende le seguenti due parti:

A. Insegnamento teorico e tecnico

a. Materie fondamentali

- Nozioni fondamentali di anatomia e fisiologia

- Nozioni fondamentali di patologia

- Nozioni fondamentali di batteriologia, virologia e parassitologia

- Nozioni fondamentali di biofisica, biochimica e radiologia

- Pediatria, con particolare riguardo ai neonati

- Igiene, educazione sanitaria, prevenzione e individuazione precoce delle malattie

- Nutrizione e dietetica, con particolare riguardo all'alimentazione della donna, del neonato e del lattante

- Nozioni fondamentali di sociologia e questioni di medicina sociale

- Nozioni fondamentali di farmacologia

- Psicologia

- Pedagogia

- Legislazione sanitaria e sociale e organizzazione sanitaria

- Deontologia e legislazione professionale

- Educazione sessuale e pianificazione familiare

- Protezione giuridica della madre e del bambino

b. Materie specifiche dell'attività di ostetrica

- Anatomia e fisiologia

- Embriologia e sviluppo del feto

- Gravidanza, parto e puerperio

- Patologia ginecologica e ostetrica

- Preparazione al parto e allo stato di genitore, compresi gli aspetti psicologici

- Preparazione del parto (compresi la conoscenza e l'uso dell'attrezzatura ostetrica)

- Analgesia, anestesia e rianimazione

- Fisiologia e patologia del neonato

- Cure e sorveglianza del neonato

- Fattori psicologici e sociali

B. Insegnamento pratico e insegnamento clinico

Questi insegnamenti sono impartiti sotto opportuna sorveglianza:

- Visite a gestanti con almeno cento esami prenatali.

- Sorveglianza e cura di almeno quaranta partorienti.

- Pratica da parte dell'allieva di almeno quaranta parti; se non è possibile raggiungere questo numero per indisponibilità di partorienti, è possibile ridurre tale numero a un minimo di trenta, purché l'allieva partecipi inoltre a venti parti.

- Partecipazione attiva ai parti podalici; in caso di impossibilità dovuta ad un numero insufficiente di parti podalici, dovrà essere effettuata una formazione mediante simulazione.

- Pratica dell'episiotomia e iniziazione alla sutura. L'iniziazione comprenderà un insegnamento teorico ed esercizi clinici. La pratica della sutura comprende la sutura delle episiotomie e delle lacerazioni semplici del perineo, che può essere realizzata, se assolutamente necessario, in modo simulato.

- Sorveglianza e cura di 40 gestanti, partorienti e puerpere in parti difficili.

- Sorveglianza e cura, compreso l'esame, di almeno cento puerpere e neonati normali.

- Osservazione e cura di neonati che necessitano di cure speciali, compresi quelli nati prima o dopo il termine, nonché di neonati di peso inferiore al normale e di neonati che presentano disturbi.

- Cura delle donne che presentano patologie attinenti alla ginecologia ed ostetricia.

- Avviamento alle cure in medicina e chirurgia, comprendente un insegnamento teorico ed esercizi clinici.

L'insegnamento teorico e tecnico (parte A del programma di formazione) e l'insegnamento clinico (parte B del programma di formazione) devono essere impartiti in modo equilibrato e coordinato, per consentire un'acquisizione adeguata delle conoscenze ed esperienze di cui al presente allegato.

L'insegnamento ostetrico clinico deve essere effettuato sotto forma di tirocinio guidato presso un centro ospedaliero o un altro servizio sanitario riconosciuti dalle autorità o dagli organismi competenti. Nel corso di tale formazione le candidate ostetriche partecipano alle attività dei servizi in questione nella misura in cui tali attività contribuiscono alla loro formazione. Esse vengono iniziate alle responsabilità inerenti al lavoro delle ostetriche.

5.5.2. Titoli di formazione di ostetrica

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Titolo professionale

Data di riferimento

Italia

Diploma d'ostetrica

Scuole riconosciute dallo Stato

Ostetrica

23 gennaio 1983

 

 

 

 

 

V.6. Farmacista

5.6.1. Programma di studi per i farmacisti

- Biologia vegetale e animale

- Fisica

- Chimica generale e inorganica

- Chimica organica

- Chimica analitica

- Chimica farmaceutica, compresa l'analisi dei medicinali

- Biochimica generale e applicata (medica)

- Anatomia e fisiologia; terminologia medica

- Microbiologia

- Farmacologia e farmacoterapia

- Tecnologia farmaceutica

- Tossicologia

- Farmacognosia

- Legislazione e, se del caso, deontologia

La ripartizione tra insegnamento teorico e pratico deve lasciare spazio sufficiente alla teoria, per conservare all'insegnamento il suo carattere universitario.

5.6.2. Titoli di formazione di farmacista

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Certificato che accompagna il titolo di formazione

Data di riferimento

Italia

Diploma o certificato di abilitazione all'esercizio della professione di farmacista ottenuto in seguito ad un esame di Stato

Università

 

1° novembre 1993

 

 

 

 

 

V.7. Architetto

5.7.1. Titoli di formazione di architetto riconosciuti ai sensi dell'articolo 46

Paese

Titolo di formazione

Ente che rilascia il titolo di formazione

Certificato che accompagna il titolo di formazione

Anno accademico di riferimento

Italia

- Laurea in architettura

- Università di Camerino

Diploma di abilitazione all'esercizo indipendente della professione che viene rilasciato dal ministero della Pubblica istruzione dopo che il candidato ha sostenuto con esito positivo l'esame di Stato davanti ad una commissione competente

1988/1989

 

 

- Università di Catania - Sede di Siracusa

 

 

 

 

- Università di Chieti

 

 

 

 

- Università di Ferrara

 

 

 

 

- Università di Firenze

 

 

 

 

- Università di Genova

 

 

 

 

- Università di Napoli Federico II

 

 

 

 

- Università di Napoli II

 

 

 

 

- Università di Palermo

 

 

 

 

- Università di Parma

 

 

 

 

- Università di Reggio Calabria

 

 

 

 

- Università di Roma «La Sapienza»

 

 

 

 

- Universtià di Roma III

 

 

 

 

- Università di Trieste

 

 

 

 

- Politecnico di Bari

 

 

 

 

- Politecnico di Milano

 

 

 

 

- Politecnico di Torino

 

 

 

 

- Istituto universitario di architettura di Venezia

 

 

 

- Laurea in ingegneria edile - architettura

- Università dell'Aquilla

Diploma di abilitazione all'esercizo indipendente della professione che viene rilasciato dal ministero della Pubblica istruzione dopo che il candidato ha sostenuto con esito positivo l'esame di Stato davanti ad una commissione competente

1998/1999

 

 

- Università di Pavia

 

 

 

 

- Università di Roma«La Sapienza»

 

 

 

- Laurea specialistica in ingegneria edile - architettura

- Università dell'Aquilla

Diploma di abilitazione all'esercizo indipendente della professione che viene rilasciato dal ministero della Pubblica istruzione dopo che il candidato ha sostenuto con esito positivo l'esame di Stato davanti ad una commissione competente

2003/2004

 

 

- Università di Pavia

 

 

 

 

- Università di Roma «La Sapienza»

 

 

 

 

- Università di Ancona

 

 

 

 

- Università di Basilicata - Potenza

 

 

 

 

- Università di Pisa

 

 

 

 

- Università di Bologna

 

 

 

 

- Università di Catania

 

 

 

 

- Università di Genova

 

 

 

 

- Università di Palermo

 

 

 

 

- Università di Napoli Federico II

 

 

 

 

- Università di Roma - Tor Vergata

 

 

 

 

- Università di Trento

 

 

 

 

- Politecnico di Bari

 

 

 

 

- Politecnico di Milano

 

 

 

- Laurea specialistica quinquennale in Architettura

- Prima Facoltà di Architettura dell'Università di Roma «La Sapienza»

Diploma di abilitazione all'esercizo indipendente della professione che viene rilasciato dal ministero della Pubblica istruzione dopo che il candidato ha sostenuto con esito positivo l'esame di Stato davanti ad una commissione competente

1998/1999

 

- Laurea specialistica quinquennale in Architettura

- Università di Ferrara

— Università di Genova

— Università di Palermo

— Politecnico di Milano

— Politecnico di Bari

Diploma di abilitazione all'esercizo indipendente della professione che viene rilasciato dal ministero della Pubblica istruzione dopo che il candidato ha sostenuto con esito positivo l'esame di Stato davanti ad una commissione competente

1999/2000

 

- Laurea specialistica quinquennale in Architettura

— Università di Roma III

Diploma di abilitazione all'esercizo indipendente della professione che viene rilasciato dal ministero della Pubblica istruzione dopo che il candidato ha sostenuto con esito positivo l'esame di Stato davanti ad una commissione competente

2003/2004

 

- Laurea specialistica in Architettura

— Università di Firenze

— Università di Napoli II

— Politecnico di Milano II

Diploma di abilitazione all'esercizo indipendente della professione che viene rilasciato dal ministero della Pubblica istruzione dopo che il candidato ha sostenuto con esito positivo l'esame di Stato davanti ad una commissione competente

2004/2005

 

 

 

 

 

 

(61) Nel presente allegato si riporta soltanto la parte di tabella che riguarda l'Italia. Allegato così rettificato dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 aprile 2008, n. L 93.

Per la notifica dei titoli di formazione di cui al presente allegato, vedi la comunicazione 19 maggio 2009.

(62) Punto 5.1.3 così sostituito dall'allegato della direttiva 2006/100/CE.

 

Allegato VI

Diritti acquisiti applicabili alle professioni che sono oggetto di riconoscimento in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione

[6.] (63) Titoli di formazione di architetto che beneficiano dei diritti acquisiti in virtù dell'articolo 45, paragrafo 1 (64)

Paese

Titolo di formazione

Italia

- Diplomi di «laurea in architettura» rilasciati dalle università, dagli istituti politecnici e dagli istituti superiori di architettura di Venezia e di Reggio Calabria, accompagnati dal diploma di abilitazione all'esercizio indipendente della professione di architetto, rilasciato dal ministro della Pubblica istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un'apposita commissione, l'esame di stato che abilita all'esercizio indipendente della professione di architetto (dott. architetto)

 

- diplomi di «laurea in ingegneria» nel settore della costruzione civile rilasciati dalle università e dagli istituti politecnici, accompagnati dal diploma di abilitazione all'esercizio indipendente di una professione nel settore dell'architettura, rilasciato dal ministro della Pubblica istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un'apposita commissione, l'esame di stato che lo abilita all'esercizio indipendente della professione (dott. ing. Architetto o dott. ing. in ingegneria civile

 

 

 

(63) Riferimento soppresso dalla rettifica pubblicata nella G.U.U.E. 4 aprile 2008, n. L 93.

(64) Nel presente punto si riporta soltanto il testo riguardante l'Italia. Il testo omesso è stato modificato dall'allegato della direttiva 2006/100/CE.

 

Allegato VII

Documenti e certificati che possono essere richiesti ai sensi dell'articolo 50, paragrafo 1

1. Documenti

a) Prova della nazionalità dell'interessato.

b) Copia degli attestati di competenza o del titolo di formazione che dà accesso alla professione in questione ed eventualmente un attestato dell'esperienza professionale dell'interessato.

Inoltre le autorità competenti dello Stato membro ospitante possono invitare il richiedente a fornire informazioni quanto alla sua formazione nella misura necessaria a determinare l'eventuale esistenza di differenze sostanziali rispetto alla formazione richiesta a livello nazionale, quali contemplate all'articolo 14. Qualora sia impossibile per il richiedente fornire tali informazioni, l'autorità competente dello Stato membro ospitante si rivolge al punto di contatto, all'autorità competente o a qualsiasi altro organismo pertinente dello Stato membro d'origine.

c) Per i casi di cui all'articolo 16, un attestato relativo alla natura e alla durata dell'attività, rilasciato dall'autorità o dall'organismo competente dello Stato membro d'origine o dello Stato membro da cui proviene il cittadino straniero.

d) L'autorità competente dello Stato membro ospitante che subordina l'accesso a una professione regolamentata alla presentazione di prove relative all'onorabilità, alla moralità o all'assenza di dichiarazione di fallimento, o che sospende o vieta l'esercizio di tale professione in caso di gravi mancanze professionali o di condanne per reati penali, accetta quale prova sufficiente per i cittadini degli Stati membri che intendono esercitare detta professione sul suo territorio la presentazione di documenti rilasciati da autorità competenti dello Stato membro di origine o dello Stato membro da cui proviene il cittadino straniero dai quali risulti che tali requisiti sono soddisfatti. Le autorità competenti devono far pervenire i documenti richiesti entro il termine di due mesi.

Se le autorità competenti dello Stato membro di origine o dello Stato membro da cui proviene il cittadino straniero non rilasciano i documenti di cui al primo comma, tali documenti sono sostituiti da una dichiarazione giurata - o, negli Stati membri in cui tale forma di dichiarazione non è contemplata, da una dichiarazione solenne - prestata dall'interessato dinanzi ad un'autorità giudiziaria o amministrativa competente o, eventualmente, dinanzi a un notaio o a un organo professionale qualificato dello Stato membro di origine o dello Stato membro da cui proviene il cittadino straniero, che rilascerà un attestato comprovante la suddetta dichiarazione giurata o solenne.

e) Se lo Stato membro ospitante richiede ai propri cittadini, per l'accesso a una professione regolamentata, un certificato di sana costituzione fisica o psichica, esso accetta quale prova sufficiente la presentazione del documento prescritto nello Stato membro di origine. Quando lo Stato membro di origine non prescrive documenti del genere, lo Stato membro ospitante accetta un attestato rilasciato da un'autorità competente di detto Stato. In tal caso, le autorità competenti dello Stato membro di origine devono far pervenire il documento richiesto entro il termine di due mesi.

f) Se lo Stato membro ospitante richiede ai propri cittadini, per l'accesso a una professione regolamentata:

- una prova della capacità finanziaria del richiedente

- la prova che il richiedente è assicurato contro i rischi pecuniari inerenti alla responsabilità professionali conformemente alle prescrizioni legali e regolamentari vigenti nello Stato membro ospitante per quanto riguarda le modalità e l'entità di tale garanzia detto Stato membro accetta quale prova sufficiente un attestato pertinente rilasciato dalle banche e società d'assicurazione di un altro Stato membro.

2. Certificati

Per facilitare l'applicazione del titolo III, capo III della presente direttiva, gli Stati membri possono prescrivere che i beneficiari che soddisfano le condizioni di formazione richieste presentino, unitamente al loro titolo di formazione, un certificato delle autorità competenti dello Stato membro di origine attestante che tale titolo è effettivamente quello di cui alla presente direttiva.

 


Com. 12 dicembre 2007.
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(art. 15)

(1)

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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 14 dicembre 2007 n. C 303.

 

 

Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione proclamano solennemente quale Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea il testo riportato in appresso

 

Preambolo

I popoli d'Europa, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.

Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

L'Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, nonché la libertà di stabilimento.

A tal fine è necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici, rendendo tali diritti più visibili in una Carta.

La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell'Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall'Unione e dal Consiglio d'Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo. In tale contesto, la Carta sarà interpretata dai giudici dell'Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta e aggiornate sotto la responsabilità del praesidium della Convenzione europea.

Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future.

Pertanto, l'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi enunciati in appresso.

(omissis)

Articolo 15

Libertà professionale e diritto di lavorare

1.Ogni persona ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata.

2.Ogni cittadino dell'Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro.

3.I cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell'Unione.

(omissis)

 

 


Documentazione

 


Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Relazione conclusiva dell'indagine conoscitiva sugli ordini professionali

(avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro, notai, farmacisti, ingegneri, architetti, geometri, geologi, medici-odontoiatri, periti industriali, psicologi, esperti contabili, giornalisti)

 

INDICE

Capitolo Primo

La concorrenza nei servizi professionali

1. Introduzione

2. Determinazione dei compensi

3. Pubblicità dei servizi professionali

4. Società professionali multidisciplinari

5. Rapporti con i colleghi e con i clienti (le ulteriori restrizioni)

6. Formazione permanente

Capitolo Secondo

Le restrizioni di fonte deontologica

1. Sulla determinazione dei compensi

2. Sulla pubblicità dei servizi professionali

3. Sulla costituzione di società multidisciplinari

4. Sulla disciplina relativa ai rapporti con i colleghi e con i clienti (le ulteriori restrizioni)

5. La regolamentazione deontologica della formazione permanente

Capitolo Terzo

La valutazione della necessarietà e proporzionalità delle restrizioni

1. Le restrizioni in materia di determinazione del compenso

2. Le restrizioni in materia di pubblicità

3. Le restrizioni in materia di società multidisciplinari

4. Le restrizioni concernenti i rapporti con i colleghi e con i clienti (le ulteriori restrizioni)

5. Le restrizioni in materia di formazione

Capitolo Quarto

Le restrizioni di fonte normativa: ulteriori esigenze di riforma

1. L’abrogazione delle tariffe

2. La questione della determinazione dei compensi per la progettazione nell’ambito di lavori pubblici

3. Il potere di verifica sulla trasparenza e veridicità della pubblicità

4. Il problema della vigenza del decreto legislativo n. 249/2006 e dell’applicabilità della riforma Bersani ai notai

Capitolo Quinto

Conclusioni

1. Il ruolo degli ordini per la concorrenza nei servizi professionali


 


CAPITOLO PRIMO

La concorrenza nei servizi professionali

1. Introduzione

1. Da oltre un decennio l’Autorità promuove la concorrenza nei servizi professionali anche al fine di sviluppare un’offerta di servizi più avanzata, innovativa e competitiva.
Così, già nell’“Indagine conoscitiva sugli ordini e collegi professionali” conclusa nell’ottobre 1997 era stata sottolineata l’opportunità di procedere ad una riforma delle professioni in senso pro-concorrenziale per eliminare gli ostacoli allo sviluppo economico dei servizi professionali.
L’attività dell’Autorità proseguì con la relazione del novembre 2005 “Relazione sull’attività svolta nel biennio 2004/2005 per la promozione della liberalizzazione dei servizi professionali” in cui era stato avviato il metodo del confronto con gli ordini professionali per verificare la necessarietà e la proporzionalità di talune limitazioni della concorrenza tra professionisti, come indicato dalla Commissione Europea nella Comunicazione sulla “Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali” del febbraio 2004.
I problemi concorrenziali derivanti dall’attribuzione di attività riservate, dall’accesso alle professioni mediante la predeterminazione numerica dei professionisti, dal tirocinio obbligatorio, sono stati analizzati anche in altre segnalazioni e in alcuni procedimenti istruttori.

2. L’orientamento dell’Autorità è stato ricordato da ultimo dal Presidente dell’Autorità nell’audizione svolta l’8 marzo 2007 presso la Camera dei Deputati nell’ambito dell’indagine parlamentare sulla riforma delle professioni. In tale occasione è stato ribadito come le più significative limitazioni della concorrenza dei servizi professionali consistano nella fissazione e nella raccomandazione dei compensi professionali, nelle restrizioni alla diffusione della pubblicità, nella presenza ingiustificata di regimi di riserva di attività, nelle limitazioni relative all’organizzazione dell’attività professionale. In particolare, è stato evidenziato che non sussiste alcun nesso di causalità tra tariffe uniformi e predeterminate e qualità dei servizi professionali prestati, che la pubblicità dei professionisti, anche di carattere comparativo e diffusa con qualsiasi mezzo di comunicazione, consente di colmare le lacune informative degli utenti nella scelta del servizio e che la più ampia flessibilità dei modelli organizzativi dell’attività professionale permette ai professionisti di disporre di maggiori strumenti per rispondere alla domanda di servizi professionali.

3. In tale occasione è stato ribadito inoltre che, secondo il diritto antitrust, regolamentazioni restrittive possono essere giustificate in quanto proporzionali, in ragione degli interessi pubblici connessi con l’esercizio di una determinata professione e che anche le asimmetrie informative tra professionisti e fruitori dei servizi professionali, talvolta significative, possono giustificare la regolamentazione di taluni aspetti della professione senza tuttavia incidere negativamente sulla possibilità di confronti concorrenziali tra professionisti. In ogni caso - si è evidenziato - le limitazioni alla libertà di iniziativa economica dei professionisti, di derivazione sia normativa che pattizia (anche per le professioni che incidono su interessi pubblici o che sono caratterizzate da importanti asimmetrie informative) devono essere effettivamente funzionali ed indispensabili per la tutela di interessi pubblici. In tal senso si è ricordato che la verifica della necessarietà e della proporzionalità delle limitazioni della concorrenza tra professionisti impone che le restrizioni devono essere “oggettivamente necessarie per raggiungere un obiettivo di interesse generale chiaramente articolato e legittimo e devono costituire il meccanismo meno restrittivo della concorrenza atto a raggiungere tale obiettivo”.

4. Sempre nell’audizione dell’8 marzo 2007 è stato precisato che l’Autorità non disconosce l’importanza del sistema ordinistico ma ritiene necessario procedere alla conformazione del sistema ai principi concorrenziali affinché ai professionisti sia riconosciuta ed assicurata la più ampia libertà di iniziativa economica. In questa prospettiva la potestà deontologica deve avere ad oggetto profili etici connessi con il tema della responsabilità professionale, intesa come garanzia del corretto espletamento della professione a tutela della fiducia dei terzi, non dovendo invece incidere sui comportamenti economici degli iscritti.

5. La reazione critica degli ordini professionali era stata già riscontrata nel biennio 2004-20053 allorquando l’Autorità registrò un’ampia diffidenza circa l’applicazione delle regole di concorrenza ai servizi professionali: non condivisa risultava, soprattutto, la stessa configurazione dell’attività professionale come attività di impresa.
Una reazione non dissimile da parte dagli organismi rappresentativi delle categorie professionali è stata manifestata in seguito all’entrata in vigore della legge 4 agosto 2006 n. 248 (di seguito legge Bersani) di conversione, con modifiche, del decreto legge 4 luglio 2006 n. 223, che ha introdotto alcune regole di liberalizzazione dei servizi professionali, recependo parzialmente principi concorrenziali più volte affermati dall’Autorità.
In particolare, l’art. 2, ai commi 1 e 3, della legge Bersani ha previsto la nullità delle disposizioni deontologiche di derivazione sia normativa sia pattizia che, al 1° gennaio 2007, risultavano non conformi alla disposizione contenuta nel sopra citato comma 1 che ha disposto:
a) l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime e del divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; b) l’abrogazione del divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo, stabilendo che la pubblicità deve essere informata a criteri di trasparenza e veridicità il cui rispetto è verificato dall'ordine;
c) l’abrogazione del divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti.

6. Non hanno contribuito ad affievolire la reazione critica degli ordini neanche le modifiche apportate alla riforma Bersani in sede di conversione in legge del decreto legge n. 223/2006: la legge di conversione che costituisce, sotto diversi profili, un passo indietro rispetto all’originario dettato normativo che conteneva un più efficace intervento di liberalizzazione.
Il decreto legge nella versione originaria, infatti, non si limitava a sancire l’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, ma procedeva ad un’abrogazione diretta delle previsioni normative e pattizie volte alla “fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime” e non conteneva alcun rinvio alla tariffa professionale per la liquidazione giudiziale dei compensi professionali; inoltre, in materia di pubblicità, il decreto legge non attribuiva agli ordini alcun potere di verifica sulla trasparenza e sulla veridicità delle pubblicità professionali.

7. Come si dirà diffusamente più avanti, l’abrogazione della sola obbligatorietà delle tariffe fisse o minime (e non già direttamente delle tariffe stesse) comporta il rischio che la disposizione in questione sia interpretata erroneamente in senso restrittivo per legittimare le tariffe come indice di riferimento per la determinazione del compenso, attenuando così significativamente la portata liberalizzatrice della riforma Bersani.
Sul punto si ricorda che, secondo i principi antitrust, anche le tariffe meramente raccomandate ovvero consigliate (cd. tariffe di riferimento) costituiscono intese restrittive della concorrenza di per sé, in quanto esse costituiscono uno strumento efficace per uniformare i prezzi.
Inoltre, il potere di verifica sulla pubblicità attribuito agli ordini dalla legge Bersani (e non previsto nel testo dell’originario decreto legge) non solo non trova alcuna giustificazione razionale nell’ambito del nostro ordinamento giuridico che prevede il controllo della pubblicità da parte dell’Autorità ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206 (c.d. Codice del consumo) e del decreto legislativo 2 agosto 2007 n. 145 (in cui sono stati trasfusi peraltro la disciplina del controllo della pubblicità ingannevole in vigore dal 1992 e quella sulla pubblicità comparativa in vigore dal 2000), ma determina il rischio che esso possa essere utilizzato dagli stessi Ordini al fine di limitare l’utilizzo della fondamentale leva concorrenziale della pubblicità da parte dei professionisti.

8. Infine, si noti che le reazioni di chiusura degli ordini alla riforma Bersani in materia di professioni non sono state mitigate dalla Direttiva Servizi (Direttiva n. 123/2006), che dovrà essere attuata entro la fine del 2009, che prevede l’abolizione dei divieti totali in materia di pubblicità professionale e impone che i codici di condotta conformino al diritto comunitario la disciplina sulla pubblicità.

9. Trascorsi più di dieci anni dal primo intervento dell’Autorità volto a promuovere la concorrenza nei servizi professionali, la riforma Bersani contenuta nell’art. 2 della legge n. 248/2006 ha costituito, dunque, un’occasione per procedere ad una verifica dello stato di recepimento dei principi della concorrenza negli ordinamenti deontologici professionali, considerato peraltro che, secondo la stessa legge Bersani, l’adeguamento dei codici deontologici sarebbe dovuto avvenire entro il 1° gennaio 2007.
A tal riguardo non può sottacersi che tale verifica era già apparsa necessaria quando, a ridosso dell’entrata in vigore della legge Bersani, il Consiglio nazionale degli architetti e il Consiglio nazionale degli avvocati avevano inviato ai propri iscritti circolari volte a fornire una interpretazione fortemente restrittiva della portata liberalizzatrice contenuta nella legge Bersani. Di tutta evidenza la particolare significatività dell’intervento del Consiglio nazionale forense, in quanto proveniente da professionisti del settore legale, e quindi idoneo a rappresentare una guida anche per gli appartenenti alle altre categorie professionali.
Inoltre, come risulta da alcune denunce inviate all’Autorità, non sono mancati ordini territoriali che sono intervenuti negli ultimi due anni nei confronti di singoli professionisti per ostacolare l’utilizzo delle nuove opportunità offerte dalla legge Bersani.

10. Infine, deve essere ricordato l’intervento legislativo, che sarà analizzato dettagliatamente più avanti (cfr. capitolo quarto), entrato in vigore successivamente alla legge Bersani, che non può essere inteso come volto ad annullare l’effetto innovativo della stessa in materia di libera determinazione dei compensi per i servizi notarili: si tratta del decreto legislativo 1° agosto 2006 n. 249 il cui art. 30 ha riformulato, senza apportarvi modifiche significative, l’art. 147 della legge notarile n. 89/1913 concernente le ipotesi di illecita concorrenza dei notai.

11. In considerazione dei numerosi interventi dell’Autorità in materia di servizi professionali e della necessità di procedere ad una verifica del recepimento dei principi concorrenziali nei servizi professionali, nella presente indagine conoscitiva sono stati analizzati i codici deontologici adottati dai seguenti ordini e collegi: Ordine degli architetti, Ordine degli avvocati, Ordine dei consulenti del lavoro, Ordine dei farmacisti, Ordine dei geologi, Collegio dei geometri, Ordine dei giornalisti, Ordine degli ingegneri, Ordine dei medici e odontoiatri, Ordine dei notai, Collegio dei periti industriali e Ordine dei psicologi, Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili (oltre agli aboliti Ordine dei dottori commercialisti e Collegio dei ragionieri commercialisti).
L’indagine ha riguardato, in particolare, la disciplina deontologica in materia di determinazione dei compensi, di attività pubblicitaria, di organizzazione dell’attività professionale mediante società multidisciplinari.
Nell’ambito dell’indagine sono state esaminate anche le disposizioni deontologiche diverse da quelle appena indicate, che limitano la possibilità di occasioni di confronto concorrenziale tra professionisti.
Infine, è stata affrontata la specifica problematica della formazione permanente dei professionisti, emersa nel corso dell’indagine in seguito ad alcune segnalazioni inviate all’Autorità.

12. I risultati dell’indagine sono riportati nel presente documento che si articola in cinque capitoli. Nel presente capitolo sono illustrati, in via generale, i problemi concorrenziali relativi ai profili analizzati. Nel secondo capitolo sono descritte le disposizioni deontologiche, concernenti i profili analizzati, che suscitano perplessità sotto il profilo concorrenziale e sono evidenziati i risultati dell’attività di advocacy svolta. Nel capitolo terzo sono formulate le valutazioni circa la restrittività delle disposizioni deontologiche individuate nel capitolo secondo sotto il profilo della necessarietà e proporzionalità delle stesse; tali valutazioni sono state svolte in via generale (e non con riferimento specifico alle disposizioni analizzate) anche mediante l’individuazione di principi concorrenziali specificamente enucleati in riferimento a ciascun profilo oggetto di analisi, ai quali si auspica vengano conformati i codici di condotta. Nel quarto capitolo sono indicate le ulteriori modifiche normative che si ritengono necessarie per promuovere compiutamente la concorrenza nei servizi professionali. Nel capitolo finale, in via conclusiva, sono riassunte le principali criticità del settore in esame con particolare riferimento al ruolo degli ordini e dei collegi professionali.

13. Come si vedrà più avanti, la maggioranza dei codici deontologici analizzati contiene disposizioni in materia di compensi, di attività pubblicitaria e di organizzazione societaria dell’attività professionale che risultano ingiustificatamente restrittive della concorrenza oltre che contrastanti con la riforma Bersani.
L’indagine ha rilevato, da un lato, una certa resistenza all’introduzione dei principi concorrenziali e, dall’altro, l’uso incongruo della potestà deontologica adoperata piuttosto che per fornire una guida alle questioni di ordine etico legate all’esercizio della professione, come strumento di disciplina dei profili di natura economica dell’attività professionale.
In particolare, si segnala che, in materia di determinazione dei compensi e di attività pubblicitaria, in un numero significativo di codici deontologici emendati in seguito alla riforma Bersani e in circolari emanate da alcuni organismi deontologici in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani è utilizzata la nozione generale di decoro della professione al fine di indurre gli iscritti ad applicare tariffe uniformi e di limitare ingiustificatamente l’attività pubblicitaria dell’attività professionale, al fine precipuo di ostacolare l’applicazione della riforma Bersani da parte dei professionisti.

2. Determinazione dei compensi


14. La fissazione di tariffe da parte di un organismo rappresentativo di una categoria, ancorché non vincolanti, secondo l’orientamento nazionale e comunitario, produce l’effetto di uniformare i comportamenti di mercato degli iscritti in merito ad una delle principali forme in cui si esplica la concorrenza, ossia il prezzo di vendita del servizio. Secondo il diritto antitrust, i professionisti sono imprese e l’ordine, in quanto ente rappresentativo di imprese, è un’associazione di imprese, assoggettato quindi alle regole antitrust. I tariffari adottati da enti rappresentativi di imprese, ancorché attive nella fornitura di prestazioni professionali, costituiscono deliberazioni di associazioni di impresa, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 287/90 e dell’art. 81 del Trattato CE6, suscettibili di essere sindacate sotto il profilo antitrust. I tariffari, finalizzati alla fissazione orizzontale dei prezzi di fornitura di prestazioni professionali, costituiscono restrizioni della concorrenza in violazione del diritto antitrust. Parimenti le norme deontologiche, contenute nei codici deontologici adottate da organismi rappresentativi di imprese, che impongono espressamente il rispetto dei tariffari ovvero che a questi rinviano tramite il riferimento a clausole generali, quali il decoro o la dignità della professione, come parametri per la determinazione del compenso professionale, per le ragioni anzi dette, costituiscono restrizioni della concorrenza in violazione del diritto antitrust.

15. Come detto, l’Autorità ha più volte rilevato che l’uniformità delle tariffe richieste per i servizi professionali, per un verso, non consente al professionista di gestire la più importante variabile del proprio comportamento economico e, per l’altro, non risulta idonea a garantire la qualità delle prestazioni.
Inoltre, è stata messa in luce la natura ormai anacronistica delle restrizioni dei comportamenti di prezzo dei professionisti in quanto non più funzionali e, pertanto, non necessarie a colmare le lacune informative di una domanda che, nel corso degli anni, ha subito una notevole evoluzione e che può considerarsi oggi più qualificata che in passato. Peraltro con specifico riguardo all’attività forense si noti che, non può tacersi che la gran parte delle attività legali professionali è di tipo stragiudiziale e, quindi, non riservata.
Specialmente per le attività di consulenza degli avvocati, appare evidente che l’uniformità dei prezzi sia volta unicamente ad evitare i confronti concorrenziali.

16. L’Autorità è consapevole dell’importanza nel sistema ordinistico contemporaneo della fornitura di servizi professionali sempre più avanzati. Se, infatti, la consulenza del professionista costituisce ormai un elemento imprescindibile in molti settori dell’economia – con la conseguenza che allo stesso sono richiesti livelli di specializzazione sempre più elevati – l’eliminazione delle tariffe prefissate diviene ancor più importante per consentire lo svolgersi del libero gioco della concorrenza proprio a beneficio di un continuo miglioramento dei servizi professionali.
In tale contesto, l’obiettivo precipuo delle norme deontologiche dovrebbe essere quello di salvaguardare la qualità delle prestazioni intellettuali secondo criteri che prescindono dal livello del compenso richiesto.

17. Nel corso degli incontri svolti con i rappresentanti degli ordini e dall’esame delle modifiche apportate ai codici deontologici in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani emerge un generale tentativo, più accentuato per alcune categorie professionali, di riproporre la vincolatività di livelli tariffari convenzionali tramite il riferimento deontologico diretto ai concetti di decoro e dignità della professione.
Ciò in quanto tradizionalmente l’adeguatezza del compenso al decoro della professione implica il rispetto della tariffa minima o fissa: gli ordini e collegi coinvolti hanno sostenuto infatti che un prezzo inferiore alla tariffa minima non risulterebbe decoroso per la professione ovvero la qualità della prestazione non potrebbe essere garantita ove venisse richiesto un prezzo inferiore alla tariffa; insomma, per un verso, il prezzo al di sotto della tariffa minima non apparirebbe decoroso e, per l’altro, ove si richiedesse un prezzo inferiore alla tariffa, sarebbe la prestazione a non potere essere considerata decorosa.
Alcuni codici utilizzano, talvolta unitamente all’obbligo di applicazione della tariffa, il rinvio formale all’art. 2233, comma 2, cod. civ. secondo cui il concetto di decoro della professione costituisce un parametro per la determinazione del compenso professionale, senza tuttavia richiamare anche l’art. 2 della legge Bersani n. 248/2006 ossia l’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe fisse e minime.
In merito alla portata della norma codicistica sopra riportata, si osserva che, in realtà, la rilevanza giuridica dell’art. 2233 cod. civ., comma 2, si esplica esclusivamente sul piano dei rapporti di tipo privatistico, non potendosi attribuire a tale disposizione alcuna rilevanza sul piano deontologico, posto che essa non è indirizzata agli ordini, ma si rivolge ai privati. Tale disposizione non attribuisce all’ordine alcun potere, né tanto meno alcun dovere, di vigilare sul comportamento dei propri iscritti nella determinazione del compenso con i rispettivi clienti, di controllare in sostanza che il compenso, liberamente pattuito, sia comunque adeguato al decoro della professione.
Ciononostante, numerosi codici deontologici continuano a considerare le tariffe professionali - la cui obbligatorietà viene di fatto reintrodotta, attraverso il richiamo al rispetto del decoro professionale - un valido parametro di riferimento e gli ordini ad avviare procedimenti disciplinari nel caso in cui il professionista adotti comportamenti ritenuti in violazione del decoro o della dignità della professione. Va da sé che, posta l’abrogazione esplicita della sola obbligatorietà delle tariffe minime (e il mantenimento in vigore delle tariffe) e l’assenza di criteri che concorrano a qualificare i concetti di decoro e dignità della professione, il professionista non appare incentivato all’adozione di comportamenti di prezzo indipendenti sul mercato.
Per promuovere l’adozione di condotte conformi allo spirito e alla lettera della riforma Bersani, sarebbe opportuno che gli ordini provvedessero piuttosto a dettare regole che disciplinano la qualità e le caratteristiche tecniche delle prestazioni intellettuali, senza condizionare in alcun modo il comportamento economico del professionista sul mercato.
Va menzionata sul punto la posizione del Consiglio Nazionale del Notariato, che, nel corso dell’indagine, ha affermato che “la tariffa non è di per sé garanzia della qualità della prestazione; in particolare la deroga alla tariffa minima non è necessariamente indice di prestazione scadente in quanto ciò, evidentemente, può verificarsi anche nel caso di prestazioni inadeguate, pur nel rispetto dei minimi tariffari. Ciò che conta davvero sono i controlli di qualità”.

18. In senso diametralmente opposto si registrano le posizioni espresse dagli Ordini dei geologi, dei medici e odontoiatri, degli ingegneri e degli psicologi, secondo i quali le tariffe costituirebbero l’unico riferimento per determinare un compenso adeguato: i codici deontologici di tali ordini, infatti, utilizzano il rispetto della clausola generale di decoro per la determinazione del compenso ovvero rinviano direttamente all’applicazione delle tariffe fisse o minime.
Emblematica, infine, la prima presa di posizione del Consiglio Nazionale Forense che, proprio in considerazione dell’entrata in vigore della legge Bersani, nel settembre 2006 ha diramato una circolare, successivamente ritirata, nell’ambito della quale, oltre a dare un’interpretazione restrittiva della riforma complessivamente considerata, ha precisato che, anche se le tariffe minime non sono più obbligatorie per legge, il comportamento dell’avvocato che richieda un compenso inferiore al minimo tariffario può comunque essere sindacato ai sensi degli articoli 5 e 43, punto II del codice deontologico, in quanto “il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.”.

3. Pubblicità dei servizi professionali

19. L’Autorità ha precisato, in più occasioni, che la pubblicità dei servizi professionali costituisce un’importante leva del processo concorrenziale in quanto facilita l’ingresso di nuovi operatori, costituisce per gli operatori già presenti sul mercato uno stimolo all’innovazione e rappresenta uno strumento atto a colmare le lacune informative dei fruitori dei servizi professionali.
Peraltro, la pubblicità dei servizi professionali non risulta vietata (né risultava vietata precedentemente al decreto legislativo n. 74 del 1992 in materia di pubblicità ingannevole) dall’ordinamento giuridico, che assoggetta il controllo della stessa alla medesima disciplina giuridica prevista per gli altri beni e servizi la cui attività promozionale non è soggetta a restrizioni (contenuta nel decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206 e nel decreto legislativo 2 agosto 2007 n. 145, in cui è stata trasfusa anche la disciplina del controllo della pubblicità ingannevole in vigore dal 1992) .
Pertanto, l’auto-regolamentazione della pubblicità dovrebbe limitarsi a disciplinare profili specifici dell’attività di promozione pubblicitaria dei propri iscritti al fine di tutelare, dal punto di vista deontologico, i fruitori dei servizi professionali e non al fine di impedire od ostacolare l’esercizio del diritto di svolgere attività promozionale. In altri termini, la disciplina deontologica in tema di pubblicità dovrebbe essere circoscritta e limitarsi a prevedere, in modo chiaro e secondo indicazioni tassative, quelle restrizioni giustificabili in quanto funzionali alla tutela di pubblici interessi ovvero in quanto oggettivamente necessarie per raggiungere obiettivi di interesse generale.

20. L’Autorità è preoccupata, in particolare, delle limitazioni concernenti la pubblicità comparativa sia perché in alcuni codici è sancito espressamente il divieto di utilizzare la pubblicità comparativa sia perché altri codici si limitano a non menzionare la possibilità di utilizzare tale strumento pubblicitario, non fornendo, quindi, ai professionisti una chiara indicazione circa l’uso di tale mezzo.
Sul punto si osserva, in particolare, che la pubblicità comparativa, la cui liceità è sancita anche nel citato Codice del consumo, per sua natura è finalizzata alla valorizzazione degli elementi informativi che differenziano il servizio offerto e pubblicizzato, non potendo quindi ritenersi vietata per i servizi professionali.

21. L’Autorità ha chiarito inoltre che limitazioni concernenti i mezzi di diffusione della pubblicità non risultano giustificate, in quanto è il mercato semmai a valutare l’inadeguatezza di taluni mezzi di comunicazione. Nello stesso senso non accettabili risultano i limiti del rispetto della dignità e del decoro della professione che, in ragione della loro genericità, vengono utilizzate dagli ordini per limitare il ricorso a forme legittime di pubblicità.

22. Quanto al contenuto della pubblicità, la legge Bersani prevede che possano essere pubblicizzati i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni. Ancorché in presenza di una disposizione legislativa così chiara, alcuni codici deontologici continuano a vietare la pubblicità dei prezzi, dei risultati professionali ovvero dei nomi dei clienti, talvolta anche mediante previsioni che impongono che il messaggio pubblicitario debba essere formulato nel rispetto del decoro e della dignità professionale ovvero per la tutela dell’immagine della professione. A tal riguardo, si sottolinea come i citati concetti indeterminati potrebbero essere utilizzati strumentalmente da parte degli ordini professionali per reintrodurre restrizioni alla concorrenza anche in violazione della legge Bersani.

23. Con riguardo al linguaggio pubblicitario e, più in generale, alla forma della pubblicità, alcuni codici vietano di utilizzare espressioni enfatiche e elogiative ovvero invitano a seguire il criterio della sobrietà nella predisposizione dei messaggi. Anche tali divieti disincentivano l’utilizzo dello strumento pubblicitario giacché l’enfatizzazione è un elemento tipico della comunicazione pubblicitaria.

24. Per quanto riguarda, infine, il controllo della pubblicità da parte degli ordini, non appare necessario e proporzionale, sotto il profilo antitrust, alcun tipo di verifica ordinistica che autorizzi la diffusione della pubblicità. Peraltro, si deve sottolineare che comunque la legge Bersani limita con chiarezza l’intervento dell’ordine nel controllo della pubblicità ad una verifica successiva di tipo repressivo e non già ad un’autorizzazione preventiva.

25. Ciò posto, alcuni codici interpretano in modo restrittivo il potere di verifica del messaggio pubblicitario previsto dalla legge Bersani, configurando tale potere come un’autorizzazione preventiva alla diffusione della pubblicità e considerando la mancata richiesta dello stesso come violazione deontologica. In questo caso, è del tutto evidente che, attraverso il controllo preventivo, l’ordine disincentiva la possibilità di utilizzo della pubblicità da parte del professionista, restringendo così la stessa portata della legge Bersani.

4. Società professionali multidisciplinari

26. In materia di organizzazione dell’attività professionale, da tempo, l’Autorità ha auspicato una presa d’atto, da parte degli organismi di autoregolamentazione, delle evoluzioni che negli ultimi anni hanno interessato il settore dei servizi professionali. La domanda di servizi professionali, particolarmente quella proveniente dalle imprese, fa registrare, infatti, l’esigenza, oltre che di servizi specializzati, anche di approcci di tipo interdisciplinare.
Nel contempo, anche l’offerta di servizi professionali è divenuta più articolata: accanto ai soggetti che esercitano la professione in forma individuale (rivolgendosi a una clientela consolidata) ve ne sono altri che investono su conoscenze specialistiche (e, quindi, si collocano in particolari nicchie di mercato) ed altri ancora che si orientano verso servizi più elaborati (avendo così bisogno di un’organizzazione più complessa e di dimensioni più ampie).
Pertanto, definire a priori gli assetti organizzativi e dimensionali nell’erogazione dei servizi professionali rischia di ostacolare i professionisti che intendono rispondere alla domanda nel modo più adeguato, anche nell’ottica di disporre degli strumenti necessari per fronteggiare la concorrenza estera.

27. In tale contesto, rispetto alla legittimazione ad opera della legge Bersani delle società multidisciplinari, la gran parte degli ordini interessati dall’indagine appare aver assunto un atteggiamento di inerzia; nei casi in cui il codice ammette le società multidisciplinari, le assoggetta ad alcune condizioni, mentre molti codici esaminati non contengono alcun riferimento a questa tematica; infine, un numero circoscritto di ordini ha adottato circolari in cui viene fornita un’interpretazione che appare ingiustificatamente restrittiva anche con riferimento alla possibilità di organizzare l’attività professionale in società multidisciplinari.

28. In definitiva, il silenzio della quasi totalità dei codici deontologici, da un lato, e le interpretazioni restrittive delle novità legislative intervenute in materia ad opera degli ordini, 12
dall’altro, appaiono disincentivare i professionisti dall’avvalersi delle opportunità offerte dal nuovo contesto normativo in termini di organizzazione della propria attività professionale.

5. Rapporti con i colleghi e con i clienti (le ulteriori restrizioni)

29. Con riferimento ai codici deontologici esaminati, l’indagine ha messo in luce l’esistenza di disposizioni concernenti per lo più i rapporti con i colleghi e con i clienti che, singolarmente e nel loro complesso, si prestano ad ostacolare o disincentivare la concorrenza tra professionisti, in ragione dei divieti previsti ovvero degli adempimenti richiesti.
Si tratta, il più delle volte, di disposizioni che vietano o rendono ingiustificatamente ardua l’adozione di una serie rilevante di condotte con il risultato di limitare fortemente la possibilità dei professionisti di intraprendere iniziative volte ad acquisire nuovi clienti.

30. Così, previsioni ricorrenti sono quelle che impongono l’obbligo di informare il collega prima di assumere un incarico da parte di un cliente che si avvale (o si era fino a qual momento avvalso) dei servizi di un altro collega. Altre disposizioni mirano, più direttamente, a scoraggiare confronti tra colleghi e talvolta è attribuito all’ordine un non meglio specificato potere di valutare la “plausibilità della sostituzione” tra professionisti (ingegneri).

31. Si segnalano, in particolare, quelle disposizioni che, nel prevedere il divieto di rivolgersi a procacciatori di clientela, stabiliscono altresì i più generali divieti di “accaparramento” di clientela ovvero di utilizzo di metodi non conformi al decoro e alla dignità della professione; divieti che, in ragione della loro genericità, si prestano ad interpretazioni troppo ampie e ingiustificatamente restrittive.

6. Formazione permanente

32. L’Autorità ha sostenuto da tempo che gli ordini dovrebbero promuovere l’aggiornamento dei professionisti, nella convinzione che tali iniziative siano più funzionali al perseguimento dell’obiettivo di garantire la qualità delle prestazioni e, comunque, più confacenti al ruolo degli organismi rappresentativi dei professionisti rispetto a quelle volte a condizionare le scelte di tipo economico dei professionisti medesimi, in particolare per quanto riguarda i comportamenti di prezzo.

33. Recentemente, alcuni ordini hanno adottato regolamenti specifici relativi alla formazione tramite i quali viene imposto agli iscritti il raggiungimento di un dato ammontare di crediti formativi, la cui acquisizione è resa possibile solo dalla frequenza di corsi previamente accreditati dagli stessi ordini.

34. La circostanza che gli organismi rappresentativi dei professionisti si trovino nella posizione di imporre obblighi di formazione e riservino a sé la gestione degli eventi formativi ovvero attribuiscano alle proprie fondazioni vantaggi concorrenziali rispetto ad organizzatori terzi di eventi (adottando trattamenti differenziati per gli eventi offerti da terzi in sede di accreditamento degli stessi o decidendo discrezionalmente l’attribuzione o meno dei crediti a detti eventi) pone problemi sotto il profilo antitrust. Il rischio è che si assista, nei fatti, alla creazione di nuove riserve di attività nel settore dei servizi professionali, che peraltro in questo caso gli ordini si verrebbero ad auto-attribuire.

35. La tutela della qualità delle prestazioni è tuttavia un tipico compito degli ordini; non sembra pertanto restrittiva in sé la previsione, a livello deontologico, di un obbligo di aggiornamento che, in quanto tale, miri appunto a migliorare il livello dei servizi offerti.
Emerge, però, l’esigenza di prevedere regole di organizzazione e gestione di tale attività da parte degli ordini tali da garantire condizioni non discriminatorie di offerta degli eventi formativi.
In particolare, occorre scongiurare la creazione di percorsi formativi “chiusi”, nell’ambito dei quali l’offerta provenga esclusivamente o prevalentemente dalle strutture ordinistiche. Ai fini della messa in atto di un sistema in cui più soggetti siano in condizione di offrire formazione e che consenta ai professionisti di scegliere le proposte formative che più si attagliano alle proprie esigenze, è necessario stabilire criteri oggettivi e predefiniti, sulla base dei quali accreditare tutti gli eventi proposti (inclusi quelli organizzati da soggetti terzi rispetto alle strutture ordinistiche) che soddisfino i criteri medesimi, dando altresì adeguata pubblicità (ad esempio, sul sito internet degli ordini) del termine entro il quale annualmente i soggetti interessati all’accreditamento dei corsi devono presentare richiesta in tal senso. Nel contempo, gli ordini, in coerenza con la loro missione, dovrebbero anche offrire un numero di eventi gratuiti tali da consentire il raggiungimento dei crediti necessari per assolvere all’obbligo formativo.

36. Con riferimento alle attività intraprese dagli organismi rappresentativi delle professioni intese a promuovere la qualità delle prestazioni, si segnala la meritoria iniziativa intrapresa da alcuni ordini (notai e geometri) consistente nell’adozione di protocolli contenenti best practice relative alle singole prestazioni. In particolare, tali progetti prevedono l’individuazione degli adempimenti necessari per il corretto espletamento di una data prestazione; al riguardo, è stato correttamente sottolineato che, una volta attuato questo sistema, la concorrenza di prezzo tra professionisti potrà realizzarsi senza che l’eventuale accesa competizione rischi di intaccare la qualità del lavoro da eseguire (geometri).

CAPITOLO SECONDO

Le restrizioni di fonte deontologica

Nel presente capitolo sono analizzate le diverse discipline deontologiche in materia di determinazione dei compensi, di attività pubblicitaria e di costituzione di società multidisciplinari. Sono evidenziate, inoltre, altre disposizioni deontologiche, per lo più riguardanti i rapporti tra professionisti, suscettibili di restringere la concorrenza tra gli stessi; infine, è illustrata la regolamentazione deontologica in materia di formazione permanente.
Come si vedrà, l’analisi della disciplina deontologica è stata svolta sulla base di un confronto diretto con gli ordini e i collegi interessati dall’indagine, così come indicato dalla Commissione europea nella “Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali” del febbraio 2004. Si è ritenuto, infatti, che un coinvolgimento diretto delle organizzazioni professionali nell’ambito di incontri formali con i rappresentanti delle stesse fosse il più efficace strumento per ottenere il risultato auspicato, ossia la conformazione dei codici di condotta ai principi concorrenziali.
L’attività di advocacy svolta nel corso dell’indagine con gli ordini e collegi professionali ha previsto audizioni nel corso delle quali sono stati analizzati, discussi e valutati gli aspetti problematici, dal punto di vista antitrust, contenuti nelle diverse discipline deontologiche; nel corso di tali audizioni sono state formulate indicazioni per l’introduzione dei principi di promozione e tutela della concorrenza nei codici di condotta delle organizzazioni professionali.
Si precisa che sono state svolte ulteriori audizioni con quegli ordini (architetti, avvocati, consulenti del lavoro, medici e odontoiatri, nonché dottori commercialisti ed esperti contabili) che non avevano definito la propria posizione nei confronti delle indicazioni fornite nel corso dei rispettivi primi incontri. Di tali ordini, come si vedrà in dettaglio, l’Ordine degli avvocati, l’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili e l’Ordine degli architetti hanno fornito una risposta definitiva.
Nel presente capitolo si da’ conto, dunque, dell’attività di advocacy e, in via preliminare, si ricorda che l’art. 2 della legge Bersani, che ha introdotto principi di liberalizzazione per i profili su cui si è focalizzata principalmente la presente indagine (compensi, attività pubblicitaria e società multidisciplinari), ha recentemente superato il controllo di legittimità costituzionale; nella sentenza n. 443 del 21 dicembre 2007 la Corte Costituzionale ha ribadito la natura “trasversale” del principio costituzionale della tutela della concorrenza, affermando inoltre che i principi sanciti nell’art. 2 della legge n. 248/2006 costituiscono parametri di riferimento anche per la legislazione regionale ancorché concernente settori economici sottratti alla potestà legislativa statale esclusiva.

1. Sulla determinazione dei compensi

- Fin dal 1997 l’Autorità ha affermato che, tra le restrizioni all’esercizio delle professioni intellettuali, l’adozione di tariffe uniformi minime e fisse sono quelle che destano maggiori preoccupazioni; ciò in quanto le restrizioni di prezzo riducono significativamente la concorrenza tra i professionisti ed impediscono ai fruitori dei servizi professionali di remunerare i servizi offerti con prezzi competitivi derivanti dal libero gioco della concorrenza.
- Ancora oggi, nonostante l’abolizione dei minimi tariffari obbligatori ad opera della legge Bersani, gli organismi di controllo deontologico mostrano una scarsa disponibilità ad adeguare i propri codici di condotta ai principi concorrenziali in materia di determinazione del compenso.
Così, alcuni ordini (notai, geologi e psicologi, oltre ai giornalisti) ancora oggi prevedono, nei rispettivi codici deontologici, l’applicazione delle tariffe minime o fisse per la remunerazione delle prestazioni professionali.
Alcuni ordini cercano di superare l’abrogazione dell’obbligatorietà dei minimi tariffari, operata dall’art. 2 della legge Bersani, prevedendo nei rispettivi codici deontologici la previsione espressa dell’obbligo di rispettare il criterio del decoro professionale (così medici e odontoiatri, psicologi, geologi e ingegneri). E’ di tutta evidenza che l’utilizzo, in un codice deontologico, della clausola generale del decoro nella determinazione del compenso permette ai sistemi ordinistici di censurare la richiesta di compensi inferiori ai minimi tariffari in quanto indecorosi.
- Altri ordini operano, invece, un rinvio formale all’art. 2233, comma 2, cod. civ.9, che sancisce il rispetto del decoro, ossia della tariffa, nella determinazione della misura del compenso (così avvocati, architetti, ingegneri, geologi), senza rinviare tuttavia anche all’art. 2, comma 1, lettera a), della legge Bersani, con ciò omettendo di evidenziare l’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe fisse e minime.
- Secondo la prospettiva antitrust, la nozione di decoro dovrebbe essere utilizzata nei codici deontologici come principio generale dell’azione dei professionisti nello svolgimento dei propri compiti e doveri professionali che esulano dalle decisioni economiche degli iscritti.
Mentre, il rinvio formale all’art. 2233, comma 2, cod. civ., nell’ottica pro-concorrenziale dovrebbe essere integrato da un richiamo diretto al contenuto della legge Bersani, ad esempio, mediante l’inserimento, nella medesima norma, di un richiamo espresso anche “all’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 248/2006 che ha abolito l’inderogabilità delle tariffe minime o fisse”.
- Si precisa che non appare condivisibile la tesi sostenuta da alcuni ordini (medici e odontoiatri, geologi e ingegneri) secondo i quali sussiste una relazione di causa ed effetto tra la predeterminazione degli onorari e la qualità dei servizi prestati; sul punto, in tale sede, ci si limita a ribadire che la qualità della prestazione potrebbe essere garantita da altre misure meno restrittive, quali le condizioni di accesso alla professione, la responsabilità professionale e l’individuazione di standard qualitativi minimi di riferimento almeno per le prestazioni omologabili.
- Quanto all’esistenza di asimmetrie informative tra erogatore e fruitore dei servizi professionali, occorre rilevare che la domanda di servizi professionali, sia quella proveniente dalle imprese che quella proveniente dai singoli consumatori, appare sempre più qualificata e specializzata e l’esistenza di asimmetrie informative può semmai giustificare, in via eccezionale, la previsione di prezzi massimi e non anche di prezzi minimi, al fine di garantire che alla parte minoritaria di domanda non qualificata i servizi professionali non possano essere offerti a prezzi eccessivamente gravosi.
- Infine, si deve notare che negli incontri svolti nell’ambito dell’indagine è emerso che, per alcune professioni, le tariffe minime non risultano applicate in quanto non aggiornate da tempo: ciò non può che dimostrare la non necessarietà delle tariffe per garantire il corretto funzionamento del settore.

37. In materia di compensi, il codice deontologico degli avvocati nella versione approvata il 14 dicembre 2006 precedente alle modifiche apportate nel giugno 2008, prevedeva, all’art. 45, che l’avvocato potesse “pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell’art. 1261 c.c. e sempre che i compensi siano proporzionati all’attività svolta”; inoltre, l’art. 43, punto II, stabiliva che “l’avvocato non [dovesse] richiedere compensi manifestamente sproporzionati all’attività svolta”.

38. Inoltre, nel settembre 2006, il Consiglio Nazionale Forense (anche CNF) aveva adottato la circolare n. 22-C/2006, interpretativa della legge Bersani, con la quale si affermava che taluni comportamenti degli avvocati, pur se adottati in conformità alle disposizioni di legge (e, in particolare, alla legge Bersani), potevano comunque assumere rilevanza deontologica e, quindi, essere sanzionati disciplinarmente.
In tema di corrispettivi, secondo detta circolare, la possibilità per gli avvocati consentita dalla legge di far ricorso al c.d. patto di quota lite non doveva essere utilizzata per derogare ai minimi tariffari (di cui alla tariffa forense approvata con Decreto del Ministro della Giustizia del 8 aprile 2004 n. 127), per cui gli Ordini territoriali venivano invitati a vigilare sul rispetto della tariffa minima da parte dei propri iscritti. Anche con riguardo a tale profilo la circolare avvertiva che un patto concluso tra avvocato e cliente, ancorché valido dal punto di vista del diritto civile, avrebbe potuto assumere rilievo deontologico.
Più esplicitamente, nella circolare si affermava che, sebbene le tariffe minime non fossero più obbligatorie per legge, il comportamento dell’avvocato che richiede un compenso inferiore al minimo tariffario poteva comunque essere sindacato ai sensi dell’art. 5 del codice deontologico (che impone all’avvocato di “ispirare la propria condotta all’osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro”) e del citato art. 43, punto II, in quanto “il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.”.

39. Nel corso dell’indagine conoscitiva sono stati segnalati ai rappresentanti del Consiglio Nazionale i problemi antitrust derivanti da tale circolare, considerato peraltro che alcune norme del codice deontologico dovessero essere lette alla luce dell’interpretazione che delle stesse veniva fornita nella circolare.
Sul punto i rappresentanti del CNF avevano risposto che la circolare doveva considerarsi superata, trattandosi di una mera nota interpretativa, volta solo a dare indicazioni sulle numerose questioni lasciate aperte dalla legge Bersani. In ogni caso, la circolare non si sarebbe applicata al codice di condotta nella sua attuale versione, in quanto la stessa recava una disciplina transitoria, peraltro non vincolante (per cui gli Ordini territoriali avevano piena libertà di disattenderla).
Nel giugno 2007 il CNF ha adottato la circolare n. 23-C/2007, inviata ai Presidenti dei Consigli degli Ordini degli avvocati, in cui, dando conto dell’indagine conoscitiva in corso, ha precisato che la precedente circolare 22-C/2007 interpretativa della legge Bersani “risulta superata, né potrebbe vincolare l’applicazione o l’interpretazione del nuovo Codice deontologico”.
Secondo quanto riferito dal CNF, il testo della circolare del 2006 è stato rimosso dal sito web.

40. Nel corso dell’indagine è stato comunque osservato che, anche in assenza della suddetta circolare, la formulazione degli artt. 43 e 45 del codice deontologico si prestava a reintrodurre l’obbligatorietà, sul piano deontologico, dei minimi tariffari, atteso che il parametro per valutare la proporzionalità all’attività svolta non poteva che essere la tariffa anche a fronte del dettato della legge Bersani, che prevede la facoltà dei professionisti di determinare i compensi soltanto con riferimento ai risultati conseguiti e non anche all’attività svolta. Si era pertanto auspicato che venisse introdotta, quantomeno, la precisazione “fermo restando il principio di libera determinazione del compenso” sia nell’art. 43, punto II, che nell’art. 45.

41. I rappresentanti del CNF – pur evidenziando che l’attività professionale dell’avvocato prevede un’obbligazione di mezzi e non di risultato e che le tariffe possono legittimamente rappresentare un parametro (posto che la legge Bersani ne ha abrogato solo

l’obbligatorietà) e che la proporzionalità è un parametro che tutela anche il cliente dai compensi sproporzionati intesi come eccessivamente gravosi – avevano manifestato la loro disponibilità ad introdurre le modifiche suggerite, senza tuttavia dare riscontro a tali dichiarazioni.

42. Nell’aprile 2008 è stato svolto un secondo incontro con il Consiglio Nazionale Forense, volto a conoscere in via definitiva la posizione dell’Ordine con riguardo ai profili problematici già discussi nel primo incontro, posto che, come detto, i rappresentanti del CNF avevano mostrato disponibilità ad apportare alcune delle modifiche auspicate.
Nel corso della seconda audizione si era ribadito l’auspicio secondo cui il sopra descritto art. 45 fosse integrato almeno con la clausola “fermo restando il principio di libera determinazione del compenso”.
A fronte di tale indicazione, il CNF, con nota del 23 giugno 2008, ha comunicato di avere deliberato l’integrazione del citato art. 45 apponendo, tuttavia, la diversa locuzione “fermo il principio disposto dall’art. 2233 del codice civile”, senza alcun rinvio formale alla riforma Bersani. L’art. l’art. 43, punto II, invece, non ha subito alcuna modifica.

43. Nel previgente codice deontologico dei consulenti del lavoro, approvato nel dicembre 2006, la disciplina dei compensi era contenuta nell’art. 22, secondo cui il compenso doveva essere pattuito al momento del conferimento dell’incarico; tale norma specificava, tuttavia, in modo non conforme ai principi antitrust, che, “nel caso di mancata pattuizione, si applica la vigente tariffa” (approvata con Decreto Ministeriale 15 Luglio 1992 n. 430).

44. Nel corso dell’indagine conoscitiva i rappresentanti dei consulenti del lavoro hanno riconosciuto che la formulazione utilizzata dall’art. 22 si prestava a generare confusione ed hanno pertanto manifestato l’intento di modificarla.
Così nel luglio 2007 il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro (CNCL) ha trasmesso una bozza, approvata dalla Commissione interna, contenente alcune revisioni del codice deontologico vigente.
Con riguardo alla disciplina deontologica in materia di compensi, l’art. 26 della bozza stabiliva che “il Consulente determina con il cliente il compenso professionale ai sensi dell’art. 2233 c.c., fatto salvo quanto previsto dalle leggi speciali”, precisando altresì che “è opportuno che i preventivi siano resi per iscritto”.

45. In assenza di precisazioni circa l’adozione della bozza suindicata da parte Consiglio Nazionale, nel luglio 2008 è stato svolto un secondo incontro volto a conoscere la posizione definitiva del Consiglio Nazionale.
In tale incontro, è stato ribadito l’auspicio di integrare l’art. 26 mediante un richiamo espresso e diretto alla riforma Bersani introducendo, ad esempio, nel medesimo articolo una previsione aggiuntiva che, oltre al richiamo alle “leggi speciali”, affermi “in particolare dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 248/2006 che ha abolito l’inderogabilità delle tariffe minime o fisse”.
Inoltre, è stato sottolineato come destasse perplessità quanto previsto nell’art. 31, comma 4, secondo cui “la richiesta di prezzi manifestamente sproporzionata costituisce aggravante”, in quanto tale disposizione potrebbe essere interpretata come limitazione all’autonomia del professionista nel determinare il proprio compenso, vietando ad esempio il riconoscimento di sconti.
Nel corso dell’incontro l’Ordine ha fatto presente che, mediante l’art. 26, non si intendeva introdurre il rispetto delle tariffe minime, in quanto riconosce la piena vigenza della riforma Bersani che ha abrogato l’inderogabilità dei minimi tariffari. Inoltre, l’Ordine ha evidenziato che la finalità dell’art. 31, comma 4, era quella di impedire che possano essere richiesti onorari “eccessivamente gravosi” ovvero non proporzionati all’opera prestata a danno del cliente, e non di vietare di adottare compensi particolarmente convenienti.

46. Secondo quanto riportato nel sito web dell’Ordine dei consulenti del lavoro, risulta che dal 2 dicembre 2008 è in vigore un nuovo codice deontologico, il cui art. 25, rubricato “Compensi”, prevede, in linea con quanto auspicato dall’Autorità, che “il Consulente determina con il cliente il compenso professionale ai sensi dell’articolo 2233 del codice civile, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lett. b) della legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha abrogato le disposizioni, legislative e regolamentari, che prevedono con riferimento alle attività libero professionali o intellettuali l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, e fatto salvo quanto previsto dalle leggi speciali”. Nel medesimo articolo si precisa inoltre che “è opportuno che i preventivi siano resi per iscritto” .

47. La disciplina deontologica della determinazione dei compensi dei notai è contenuta nell’art. 24 della nuova versione del codice deontologico, approvata dal Consiglio Nazionale del Notariato (CNN) con deliberazione n. 2/56 del 5 aprile 2008; secondo il comma 2, lettera c), dell’art. 24 citato, in contrasto con i principi antitrust in materia di fissazione uniforme dei prezzi di vendita, il notaio è tenuto ad “annotare a repertorio gli onorari in base alla natura dell’atto secondo la tariffa ministeriale vigente ai fini dell’esatto versamento della Tassa Archivio e dei contributi agli organi istituzionali della categoria”.

48. Si precisa che la disciplina contenuta nella versione precedente del codice deontologico (adottato il 26 gennaio 2007 a ridosso dell’entrata in vigore della legge Bersani), relativa alla determinazione degli onorari notarili, indicava come un’ipotesi di illecita concorrenza “l’annotazione a repertorio di onorari minori o ridotti rispetto a quelli che devono essere indicati in base alla natura dell’atto” (art. 17). Peraltro, la citata disposizione, nell’enucleare gli atti di illecita concorrenza del notaio, richiamava espressamente l’art. 147 della legge notarile (su cui cfr. infra, capitolo quarto, par. 4) .

49. Con riferimento alla citata disposizione (art. 17), non più vigente, nel corso dell’indagine era stata rilevata la restrittività di tale previsione che continuava a imporre il rispetto delle tariffe minime per gli atti da iscrivere a repertorio, ossia per la quasi totalità delle prestazioni rese dai notai (cfr. artt. 3 e 4 del D.M. 27 novembre 2001).
A fronte di tali rilievi, il Consiglio Nazionale del Notariato aveva osservato come “l’annotazione a repertorio, che si riferisce solo agli onorari previsti dalla tariffa ministeriale, è soprattutto a tutela dello Stato”.
Il CNN aveva ricordato, in particolare, quanto sostenuto in una nota del 5 luglio 2006 – e confermato dall’Ufficio centrale degli Archivi Notarili del Ministero della Giustizia nella lettera del 16 agosto 2006 - secondo cui “l’onorario annotato a repertorio rappresenta il parametro sul quale viene determinata la tassa d’archivio e vengono stabiliti i contributi spettanti alla Cassa nazionale del notariato”, per cui non possono essere “annotati a repertorio onorari non conformi alla tariffa ministeriale, perché ciò determinerebbe un danno per gli archivi notarili che vengono finanziati con una parte dell’onorario a repertorio” e che “l’annotazione a repertorio costituisce un parametro anche per gli onorari non percepiti”.
Si precisa che comunque il Consiglio Nazionale nel corso dell’audizione aveva affermato che “l’articolo 17 non consente di sanzionare il notaio che non rispetta la tariffa minima”.
Nella citata nota del luglio 2006 il CNN aveva sostenuto poi che “da un primo prudente esame […] non pare” che l’abrogazione disposta dalla legge Bersani “possa riguardare anche le norme sulla legge notarile (e altre norme quali ad esempio la legge n. 220/1991) da cui si desume: l’annotazione nel repertorio degli atti dell’onorario spettante al notaio e della tassa d’archivio dovuta; il versamento di una quota degli onorari per gli atti soggetti ad annotazione […] a favore della Cassa Nazionale del Notariato; la riscossione, da parte degli Archivi Notarili e degli Uffici del Registro, delle quote di onorario dovute alla Cassa; la commisurazione dei contributi dovuti al CNN in misura ragguagliata agli onorari spettanti al notaio per gli atti soggetti ad annotamento nei repertori”.
Da tale elencazione “conseguirebbe”, secondo quanto affermato nella citata nota, che a fronte della legge Bersani “nulla è modificato circa l’iscrizione a repertorio dell’onorario di atto e della Tassa Archivio”; pertanto, “quanto alla tariffazione degli atti compiuti in questi giorni si ritiene che il criterio più adeguato sia per il momento di richiedere il pagamento di compensi che tengano conto degli importi sin qui richiesti e, in particolare per gli atti più ricorrenti (compravendita, mutuo), secondo le tabelle recentemente elaborate dal CNN e dai consigli distrettuali [...]”.

50. Nella lettera dell’Ufficio centrale degli Archivi Notarili del Ministero della Giustizia del 16 agosto 2006, prodotta dal CNN, si affermava che, in relazione alle attività che richiedono onorari da annotare a repertorio ed il connesso versamento della tassa di archivio, “rimangono in vigore le tariffe professionali fisse o minime che continuano a costituire criterio ‘sussidiario’ per la liquidazione dei compensi professionali in assenza di accordo tra le parti”. Ciò in quanto “gli onorari previsti per le funzioni di pubblico ufficiale […] devono essere annotati nel repertorio, a margine delle annotazioni relative all’atto stesso, ai sensi dell’art. 62 della legge n. 89/1913, che prescrive che il repertorio contiene fra l’altro ‘l’onorario spettante al notaio e la tassa d’archivio dovuta’ ”.
Nella medesima lettera veniva precisato che la tassa d’archivio costituisce “una vera e propria imposta” che le parti devono corrispondere all’amministrazione degli archivi notarili tramite il notaio “sulla base dell’onorario stabilito dalla tariffa notarile per l’originale di ogni atto tra vivi soggetto a registrazione e di ogni atto di ultima volontà” (art. 39, legge n. 1158/1954).

51. Sulla base delle considerazioni esposte nella lettera del 16 agosto 2006, sembrerebbe che il CNN abbia deciso di inserire nel codice approvato nell’aprile 2008 la citata disposizione di cui all’art. 24, comma 2, lettera c), secondo la quale il notaio è tenuto ad “annotare a repertorio gli onorari in base alla natura dell’atto secondo la tariffa ministeriale vigente ai fini dell’esatto versamento della Tassa Archivio e dei contributi agli organi istituzionali della categoria”; tale riformulazione, secondo il CNN, sarebbe stata finalizzata ad evidenziare il legame tra onorari di repertorio e tassa di Archivio di Stato da una parte e contributi versati agli organi istituzionali della categoria dall’altra.

52. Nel corso dell’indagine, inoltre erano stati segnalati al CNN i problemi, che saranno analizzati in dettaglio più avanti (capitolo quarto, paragrafo 4), derivanti dalle apparenti modifiche apportate all’art. 147 della legge notarile n. 89/1913 dall’art. 30 del Decreto Legislativo 1 agosto 2006 n. 249, recante “Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lett. e) della legge 28 novembre 2005, n. 246”.
In tale sede si intende ricordare che il citato art. 30 ha riformulato l’art. 147 della legge notarile, prevedendo che sia punito, con la censura o con la sospensione fino ad un anno o nei casi più gravi con la destituzione, il notaio che “fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, ovvero servendosi dell’opera di procacciatori di clienti, di richiami o di pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o qualunque altro mezzo non confacente al decoro e prestigio della classe notarile” (enfasi aggiunte).
Potrebbe sostenersi quindi che l’art. 30, contenuto in un atto avente valore di legge, entrato in vigore successivamente alla legge Bersani, in quanto prevede una norma incompatibile con la sopra richiamata previsione della legge Bersani, abbia abrogato quest’ultima nella parte contrastante, ossia la disposizione di cui all’art. 2, lettera a) relativa all’abolizione dell’obbligatorietà delle tariffe minime o fisse, reintroducendo così l’inderogabilità della tariffa dei notai.
Tuttavia, in merito agli effetti derivanti dall’art. 30 sopra illustrato, ci si limita qui a rilevare (per le ulteriori osservazioni si riniva al capitolo quarto, par. 4) che i rappresentanti del Consiglio Nazionale del Notariato, nel corso dell’indagine, hanno affermato che, in assenza di una norma deontologica che preveda sanzioni disciplinari per le violazioni dell’art. 147, il mancato rispetto dei minimi tariffari da parte del notaio non può determinare conseguenze sul piano deontologico e, al fine di fugare dubbi in merito ad una reintroduzione, con legge successiva, del divieto per i notai di effettuare riduzioni della tariffa, il Consiglio Nazionale ha eliminato il richiamo deontologico all’art. 147 della legge notarile nel nuovo art. 24, comma 2, lettera c).

53. In materia di prezzi, il codice deontologico dei farmacisti, che era stato già modificato dalla Federazione Ordini Farmacisti Italiani nell’ambito del procedimento istruttorio promosso dall’Autorità e conclusosi nel 2002 (I/417 Selea/Ordini dei farmacisti), non contiene norme suscettibili di limitare la concorrenza tra farmacisti con riguardo ai prodotti venduti in farmacia il cui prezzo è liberamente determinabile dal farmacista (c.d. prodotti parafarmaceutici e, per effetto dell’art. 5 della legge Bersani, i farmaci da banco e quelli senza obbligo di ricetta, c.d. SOP e OTC).

54. Tuttavia, si deve evidenziare come la tariffa nazionale di vendita al pubblico dei medicinali, di cui all’art. 8 del D.M. 18 agosto 1993, riconosca al farmacista diritti addizionali prefissati per la dispensazione di qualsivoglia tipologia di farmaco (con o senza obbligo di ricetta) in determinati momenti della giornata, ossia nelle ore notturne, dopo la chiusura serale delle farmacie o durante le ore di chiusura diurna.

55. Tali diritti addizionali prefissati, configurandosi come tariffe fisse, devono ritenersi abrogate dalla legge Bersani.
Del resto, lo stesso Ministero della Salute, cui è stato richiesto di esprimere le proprie valutazioni in merito agli effetti dell’art. 2, comma 1, lett. a) della legge Bersani sull’art. 8 della “tariffa nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali” di cui al D.M. 18 agosto 1993, si è espresso nel senso che i diritti addizionali suddetti vadano oggi intesi come un punto di riferimento massimo (per la vendita di qualsiasi farmaco) e non già come una voce fissa.
Inoltre, in una nota del 16 agosto 2007, la Direzione Generale dei farmaci e dispositivi medici del Ministero della Salute ha precisato che il provvedimento di aggiornamento del decreto del 1993, in fase di preparazione, conterrà un’indicazione esplicita al riguardo.

56. In materia di compensi professionali, l’art. 54, comma 1, del codice deontologico dei medici, nel testo vigente modificato dal Consiglio Nazionale della Federazione Nazionale Medici chirurghi e Odontoiatri (di seguito Federazione o FNOMCEO) il 23 febbraio 2007 in seguito all’entrata di vigore della riforma Bersani, prevede che, “[n]ell’esercizio professionale, fermo restando il principio dell’intesa tra le parti e nel rispetto del decoro professionale, l’onorario deve essere commisurato alla difficoltà, complessità e qualità della prestazione, tenendo conto delle competenze e dei mezzi impegnati”.

57. Nel corso dell’indagine è stata valutata positivamente l’eliminazione dell’obbligo di rispettare i minimi tariffari, contenuto invece nella precedente versione del codice deontologico (art. 52).
E’ stata tuttavia evidenziata l’incompatibilità con i principi della concorrenza, della nozione di decoro connessa alla determinazione del compenso professionale. Peraltro, con riferimento ai compensi professionali dei medici si deve notare che storicamente la nozione di decoro – alla stregua della nozione di dignità professionale – costituisce il parametro per imporre i minimi tariffari: si pensi che l’abrogato art. 2, comma 2, della legge n. 244/1963 prevedeva che la tariffa minima dei medici “rappresenta il minimo compatibile con il decoro e la dignità professionale” .

58. Durante l’indagine conoscitiva, sia nel primo incontro svolto nel maggio 2007 che nel secondo incontro svolto nel giugno 2008, a fronte delle osservazioni formulate dai rappresentanti della Federazione Nazionale, è stato ribadito come non vi sia alcuna relazione diretta e immediata tra qualità della prestazione e previsione di minimi tariffari; diversamente, la qualità del servizio medico dovrebbe essere garantita attraverso la fissazione di protocolli medici, igienici, etc. ovvero con l’imposizione di standard di qualità.
Pertanto, è stata evidenziata l’opportunità di eliminare il riferimento alla nozione di decoro nell’art. 54, comma 1, potendo il compenso essere determinato, come previsto nella medesima disposizione, sulla base delle difficoltà, complessità e qualità della prestazione considerati anche i mezzi e le competenze in concreto utilizzate.

59. In seguito alle osservazioni formulate sia nel primo che nel secondo incontro, la Federazione non ha trasmesso alcun progetto di revisione della disciplina deontologica sulla determinazione dei compensi professionali.
Tuttavia, in merito alla determinazione degli onorari, la Federazione Nazionale, nella relazione di accompagnamento ad alcune norme del codice deontologico modificate, ha riaffermato l’intenzione di non reintrodurre il tariffario minimo, sottolineando al contempo come il concetto di decoro persegua il “solo scopo di garantire il corretto svolgimento dell’attività professionale a garanzia di una prestazione di qualità”.

60. Per quanto riguarda gli psicologi, l’articolo 23 del codice deontologico, nel testo modificato in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani, prevede che lo psicologo pattuisca, nei primi contatti con il paziente, la misura del compenso in modo che questo sia adeguato all’importanza dell’attività ed al decoro professionale, in evidente contrasto con i principi concorrenziali. Il comma 3 dell’art. 23 rinvia, inoltre, al “Testo unico della tariffa professionale degli psicologi”, allegato al codice deontologico, approvato dal Consiglio nazionale degli psicologi, affermando come questo costituisce “parametro per la valutazione della misura del compenso”. Il Testo unico, il cui art. 1 sancisce che allo psicologo sono dovuti gli onorari indicati, contiene la tabella relativa agli onorari per le diverse prestazioni oltre ad una dettagliata disciplina della determinazione del compenso; per ciascuna prestazione è indicata la tariffa minima e la tariffa massima.

61. Nel corso dell’indagine i rappresentanti del Consiglio Nazionale hanno sostenuto che il testo unico della tariffa professionale degli psicologi, peraltro non approvato da autorità statali, costituisce soltanto un parametro per la valutazione della misura del compenso; inoltre, l’art. 2, comma 1, lett. a), della legge Bersani non vieterebbe che il Consiglio adotti un tariffario che contenga l’indicazione del costo adeguato ovvero un nomenclatore di prestazioni che funzioni come parametro delle prestazioni professionali di competenza dello psicologo.
Secondo il Consiglio Nazionale, a seguito della riforma Bersani che si è limitata ad abrogare l’obbligatorietà delle tariffe introducendo il principio dell’accordo preventivo tra professionista e cliente per la determinazione del compenso, l’accordo dovrebbe rispettare un criterio di equilibrio tra costo della prestazione e decoro della professione. Ciò si dedurrebbe dalla lettura dell’art. 2, comma 1, lett. a) della legge Bersani in combinato disposto con l’art. 2233, comma 2, cod. civ. secondo cui “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”. Inoltre, la legge Bersani individuerebbe nell’Ordine professionale territoriale il soggetto deputato al controllo circa l’adeguatezza di compensi richiesti dai professionisti all’importanza dell’attività svolta e al decoro della professione.
I rappresentanti del Consiglio Nazionale hanno affermato, infine, che il Testo unico sulla tariffa professionale non ha carattere vincolante; mentre, poiché il comma 2 dell’art. 2233 cod. civ. rimane in vigore, parimenti valido rimarrebbe il riferimento al criterio del decoro come parametro per la determinazione del compenso; il legislatore avrebbe inteso valorizzare tale criterio demandando all’Ordine la verifica del rispetto di tale criterio.

62. A fronte di tali osservazioni, nel corso dell’indagine è stato segnalato che, mediante il richiamo al decoro e all’importanza dell’opera, la disposizione deontologica riaffermava l’obbligatorietà dei minimi tariffari, contrariamente a quanto previsto della legge Bersani; è stato, inoltre, precisato che la legge Bersani non attribuisce agli Ordini un controllo sui compensi che vengono richiesti dai professionisti al fine di valutare il rispetto del decoro professionale, avendo, al contrario, fissato il principio della libera determinazione del compenso. Infine, è stato rilevato che il riferimento al testo unico della tariffa professionale lascia intendere come non sia rispettoso del decoro professionale un compenso che non tenga conto dei minimi tariffari.
E’ stata indicata, quindi, l’opportunità di modificare il citato art. 23 in modo che questo si limitasse a sancire il principio della libera pattuizione del compenso in accordo con il cliente e di abolire il tariffario allegato.

63. Il Consiglio Nazionale ha rappresentato di non condividere le osservazioni di natura concorrenziale formulate nel corso dell’indagine in materia di determinazione dei compensi.

64. Per quanto concerne i dottori commercialisti13, l’abrogato codice deontologico, rubricato “Tariffa professionale e qualità della prestazione”, prevedeva, all’art. 20, che “la tariffa professionale [contenuta nel D.P.R. 10 ottobre 1994, n. 645] e le altre norme in materia di compensi sono garanzia della qualità della prestazione che deve essere comunque mantenuta anche in caso di deroga ai minimi tariffari”.
Inoltre, l’art. 17, secondo cui “il dottore commercialista deve anteporre gli interessi del cliente a quelli personali”, stabiliva che “l’applicazione di tale principio non può, in alcun caso, incidere sulla dignità e sul decoro del professionista e limitare il diritto al suo compenso”.

65. Nell’ambito dell’indagine si era evidenziata l’opportunità di riesaminare il contenuto del suindicato art. 20, al fine di eliminare il precetto secondo il quale la tariffa professionale rappresenterebbe garanzia della qualità della prestazione (stabilendo, ad esempio, che “la qualità della prestazione deve essere comunque mantenuta anche in caso di deroga ai minimi tariffari”).
Nella medesima prospettiva si era sottolineata la preferenza per l’eliminazione nell’art. 17 dei riferimenti al decoro e alla dignità per la determinazione dei compensi.
Infine, si è rilevato come il codice non contenesse la previsione, di cui alla legge Bersani, volta a consentire che i compensi siano parametrati ai risultati conseguiti, né il principio secondo cui il compenso deve essere determinato liberamente dalle parti.

66. Ad avviso dei rappresentanti del Consiglio Nazionale, le citate norme deontologiche sarebbero una derivazione dei principi di cui all’art. 2233, comma 2, cod. civ., in quanto stabilisce che il compenso deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Poiché la qualità della prestazione non è agevolmente verificabile, si utilizza il concetto di corrispondenza del corrispettivo all’impegno ed alla diligenza prestata, così da compiere una valutazione il più possibile oggettiva.
Quanto alla possibilità di parametrare i compensi ai risultati conseguiti, i rappresentanti dei Dottori Commercialisti avevano rilevato che l’art. 3 del citato D.P.R. 10 ottobre 1994 n. 645 contenente la tariffa professionale prevede che, per la corretta determinazione dell’onorario, si debba tenere conto del risultato economico nonché dei vantaggi non patrimoniali conseguiti dal cliente. In questo senso, per i dottori commercialisti, sarebbe già previsto che la misura del compenso debba tenere conto anche del risultato conseguito.

67. In seguito alle osservazioni di natura concorrenziale formulate nel corso dell’indagine, il Consiglio Nazionale aveva provveduto ad approvare, nel giugno 2007, un nuovo codice deontologico.
Con riguardo alla norma in materia di compensi, il nuovo codice, benché avesse affermato esplicitamente il principio della libera determinazione ad opera delle parti (art. 19, comma 1) - tenuto conto, da un lato, dell’importanza dell’incarico e, dall’altro, dei vantaggi per il cliente - aveva mantenuto del tutto invariate le disposizioni di cui era stata chiesta l’eliminazione.
Si trattava, in particolare, dell’art. 19, comma 2 (“La tariffa professionale e le altre norme in materia di compensi sono garanzia della qualità della prestazione che deve essere comunque mantenuta anche in caso di deroga ai minimi tariffari”) e dell’art. 16, comma 4 (“Il Dottore commercialista deve anteporre gli interessi del cliente a quelli personali. L’applicazione di tale principio non può, in alcun caso, incidere sulla dignità e sul decoro del professionista e limitare il diritto al suo compenso”).

68. Con riguardo ai compensi professionali, l’art. 15, comma 1, dell’abrogato codice deontologico dei ragionieri e periti commerciali recitava che gli onorari professionali, come determinati dalla vigente tariffa, dovessero riflettere in modo equo la tipologia dei servizi professionali prestati al cliente. La disposizione deontologica rinviava così alla tariffa professionale stabilita con D.P.R. 6 marzo 1997 n. 10014 la quale, all’art. 7, prevedeva l’inderogabilità dei minimi tariffari.
Sebbene quest’ultima norma dovesse considerarsi abrogata dalla legge Bersani e nonostante il Consiglio Nazionale, in un documento interpretativo pubblicato sul proprio sito internet ed attualmente in uso presso i Collegi, avesse chiarito che la tariffa è solo una delle fonti di determinazione e liquidazione dei compensi che trova applicazione solo se la misura del compenso non è stata pattiziamente determinata, nel corso dell’indagine fu rilevato come sarebbe stato preferibile limitarsi a precisare che il compenso dovesse essere determinato d’accordo tra le parti e quindi dovesse essere eliminato ogni riferimento ad indicazioni tariffarie presenti anche in altre disposizioni dell’abrogato codice deontologico (artt. 11 e 13).
Per quanto riguarda la possibilità di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, l’abrogato codice dei ragionieri aboliva il divieto di patto di quota lite previsto dal precedente codice deontologico.

69. In un’ottica di adeguamento dell’oramai abrogato codice deontologico, era stato proposto ai rappresentanti del Consiglio Nazionale di modificare l’art. 15, sopprimendo la disposizione secondo cui “l’onorario professionale non può essere irrisorio o inadeguato e non deve ledere la dignità e il decoro della Professione”, oltre ai divieti del professionista di offrire servizi e consulenze gratuite (art. 11) e di proporre offerte promozionali quali sconti o premi (art. 10, comma 3).
Il Consiglio Nazionale aveva condiviso parzialmente le osservazioni formulate. Infatti, fu eliminato15 ogni riferimento alla tariffa laddove figuravano espressioni come “indicazioni tariffarie”, “tariffa professionale”, ma non furono rimossi i divieti di promuovere offerte promozionali e di offrire servizi e consulenze gratuite. Nello stesso senso non fu abrogata la disposizione deontologica che prevedeva che l’onorario non potesse essere irrisorio o inadeguato (art. 15, comma 3).

70. In seguito all’unificazione dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e del Collegio dei Ragionieri, prevista dal Decreto Legislativo n. 139/2005 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2008 (data in cui è divenuto operativo il nuovo unificato Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili17), nell’ottobre 2008 si è svolto un incontro con i rappresentanti del Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti e Esperti Contabili (di seguito anche CNDCEC), volto a verificare la disponibilità di tale nuovo soggetto a conformare ai principi antitrust il nuovo codice deontologico entrato in vigore nell’aprile 2008.

71. Nel corso dell’incontro dell’ottobre 2008 è stata segnalata l’ingiustificata restrittività della nuova disposizione sui compensi di cui all’art. 25 la quale non risultava ancora allineata ai principi antitrust. Infatti, tale disposizione, sulla scia dell’abrogata disciplina del codice deontologico dei dottori commercialisti non più vigente, al comma 2, affermava che “la tariffa professionale e le altre norme in materia di compensi sono garanzia della qualità della prestazione che deve essere comunque mantenuta anche in caso di deroga ai minimi tariffari”.
Nel corso dell’incontro è stato ribadito che non sussiste alcuna connessione tra tariffa e garanzia della qualità della prestazione, connessione riaffermata anche nel comma 4 del medesimo art. 25 in cui si prevedeva addirittura l’inversione dell’onere della prova a carico del professionista denunciato, con vantaggio quindi del denunciante, stabilendosi che, “qualora l’Ordine locale riceva un esposto in cui, a causa della pattuizione di compensi insolitamente e sensibilmente inferiori ai minimi tariffari, si dubiti che il professionista abbia rispettato i suddetti principi qualitativi nell’erogazione della prestazione professionale, sarà onere del professionista nei cui confronti è stato formulato l’esposto dimostrare che la prestazione professionale è stata resa in conformità alla prassi ed alla tecnica professionale corrente”.
Nello stesso senso sono state espresse forti perplessità con riferimento al comma 3 della medesima disposizione che prevedeva - in modo equivoco anche alla luce dell’evidente contraddittorio riferimento al principio della concorrenza - che, “qualora il professionista e il cliente concordino compensi inferiori ai minimi tariffari, ciò dovrà avvenire nel rispetto delle norme generali sul corretto svolgimento della concorrenza”.
Alla luce delle suddette considerazioni, nel corso dell’incontro è stata richiesta una revisione dell’intero art. 25 in modo che fosse mantenuto in vigore soltanto il comma 1; ciò affinché agli iscritti all’Ordine non potesse essere impedito di adottare comportamenti pro-concorrenziali, consistenti nella libera fissazione dei compensi per le prestazioni professionali rese e nella pratica di sconti.

72. A fronte di tali osservazioni il CNDCEC nel novembre 2008 ha modificato l’art. 25 secondo le indicazioni auspicate, limitandosi ora tale norma a prevedere che “il compenso, liberamente determinato dalle parti, deve essere commisurato all’importanza dell’incarico, alle conoscenze tecniche e all’impegno richiesti, alla difficoltà della prestazione, tenuto conto anche del risultato economico conseguito e dei vantaggi, anche non patrimoniali, derivati al cliente”.

73. Il codice deontologico degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori (di seguito anche codice deontologico degli architetti) recante "Norme deontologiche modificate ai sensi dell'art. 2 della L. 248/06 (Decreto Bersani)" è stato approvato il 20 dicembre 2006 al fine di adeguare la precedente disciplina deontologica alla liberalizzazione introdotta dall’art. 2 della legge Bersani che, oltre ad aver abrogato l’obbligatorietà delle tariffe minime e fisse, ha disposto che, “nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali” (art. 2, comma 2, ultimo periodo).

74. Con riferimento alle tariffe per prestazioni professionali relative alla progettazione di lavori pubblici, si precisa che, ai sensi del comma 2 dell’art. 92 del D. Lgs. n. 163/2006 (cd. codice dei contratti pubblici), così come modificato dal terzo decreto correttivo del codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. 11 settembre 2008 n. 152 (dall’art. 2, comma 1, lettera t, n. 2), “il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture, determina, con proprio decreto, le tabelle dei corrispettivi delle attività che possono essere espletate dai soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 90, tenendo conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate. I corrispettivi di cui al comma 3 possono essere utilizzati dalle stazioni appaltanti, ove motivatamente ritenuti adeguati, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dell'importo da porre a base dell'affidamento”18. Osservazioni in merito a tale disposizione sono esposte nel capitolo quarto, paragrafo 2.
Le tariffe applicate a lavori commissionati dalla committenza privata sono contenute nel Decreto Ministeriale 3 settembre 1997 n. 417 recante "Regolamento recante adeguamento dei compensi a vacazione per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti".

75. In materia di compensi professionali, il codice deontologico degli architetti prima delle modifiche apportate nel giugno 2008, all’art. 15, comma 2, stabiliva che “l’iscritto determina con il cliente il compenso professionale ai sensi dell’art. 2233 cod. civ. fatto salvo quanto previsto dalle leggi speciali”.

76. Nel corso dell’indagine si è osservato che, ancorché sia stato eliminato il richiamo diretto alle tariffe vigenti, la disposizione destava alcune perplessità sotto il profilo antitrust in ragione del rinvio, effettuato tramite il richiamo all’art. 2233 cod. civ., al concetto di decoro. E’ stato precisato pertanto che il rinvio, ancorché solo formale, ad una norma che richiama il concetto di decoro è un modo indiretto per imporre, ancora oggi, il rispetto di minimi tariffari, in quanto tradizionalmente il decoro della professione viene garantito mediante il rispetto della tariffa minima.

77. Al riguardo i rappresentanti del Consiglio Nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori (di seguito anche CNAPPC) avevano evidenziato che la tariffa costituisce un utile parametro di valutazione del compenso nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 2233 che richiama espressamente i criteri dell’importanza dell’opera e del decoro della professione; pertanto, laddove ci si dovesse discostare dalla tariffa, occorrerà salvaguardare i criteri codicistici per i quali il compenso non deve mai essere inadeguato all’importanza dell’opera ed al decoro professionale. Non sarebbe, quindi, l’Ordine che sancisce il criterio del decoro nella determinazione del compenso professionale, ma sarebbe il codice civile a legittimare l’utilizzazione di tale criterio come parametro per il compenso. L’Ordine a cui, peraltro, la legge istitutiva demanda proprio la tutela del decoro, si sarebbe limitato quindi a prendere atto di una disposizione, l’articolo 2233 cod. civ. che prevede il criterio del decoro.

78. A fronte di tale posizione, nel corso dell’indagine è stato osservato che la clausola generale del decoro della professione non può che essere letta alla luce della legge Bersani che ha liberalizzato i comportamenti di prezzo dei professionisti e, quindi, non può essere correlata al compenso del professionista. Sul punto si è precisato che la disposizione di cui all’art. 2233 cod. civ. si riferisce, comunque, alle modalità di libera pattuizione del compenso tra privati e non conferisce alcun potere sul punto all’ordine professionale.
Si è affermato quindi che il codice deontologico dovrebbe limitarsi a riconoscere la regola base della libertà di pattuizione del compenso, senza alcun riferimento all’art. 2233 del codice civile. Pertanto, posto che correttamente l’art. 15 sancisce il principio consensualistico nella determinazione del compenso professionale (“l’iscritto determina con il cliente il compenso professionale”), si è auspicato, in concreto, l’eliminazione del richiamo all’art. 2233 del codice civile.Il Consiglio Nazionale il 13 giugno 2007 ha approvato un progetto di revisione complessiva del codice deontologico, riproponendo tuttavia, al nuovo art. 33, comma 1, la medesima disciplina dei compensi professionali sopra illustrata e commentata di cui all’art. 15, comma 2, del vigente Codice Deontologico.

79. Nel gennaio 2009, in risposta a quanto rilevato nel corso del secondo incontro svolto con il CNAPP il 16 giugno 2008, nell’ambito del quale era stata ribadita la posizione dell’Autorità in materia di determinazione del compenso professionale, il CNAPP ha comunicato che il Consiglio Nazionale il 25 giugno 2008 ha deliberato, sostanzialmente in linea con quanto richiesto nell’incontro del giugno 2008, la modifica dell’art. 33, comma 1, del progetto di revisione, prevedendo che “tenuto conto di quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lett. b) della legge 4 agosto 2006 n. 248 che ha abrogato le disposizioni, legislative e regolamentari, che prevedono con riferimento alle attività libero professionali o intellettuali l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, l’Architetto determina con il cliente il compenso professionale ai sensi dell’art. 2233 c.c. e nel rispetto di quanto previsto dalle leggi speciali”.

80. Si ricorda, infine, che nel settembre 2006 a ridosso dell’entrata in vigore della legge Bersani, il Consiglio Nazionale aveva adottato un parere con il quale sosteneva l’inapplicabilità dell’art. 2 della legge Bersani alle prestazioni professionali rese dagli architetti.
Tale parere dal titolo “Regime dei compensi professionali” (denominato “Determinazione n. 2”) è stato inviato a tutti gli Ordini territoriali.
Nel corso dell’indagine conoscitiva è stato fatto presente che tale parere poneva molte perplessità, in quanto la legge Bersani doveva ritenersi applicabile ai rapporti professionali tra i propri iscritti e la committenza privata e pubblica, alla stregua di quanto sostenuto anche dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione n. 4/2007.
Pertanto, è stato auspicato che il Consiglio Nazionale inviasse agli Ordini territoriali, in quanto destinatari del parere del settembre 2006, almeno la citata delibera n. 4/2007 dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
Ad oggi non risulta che il Consiglio Nazionale abbia provveduto in tal senso.

81. Il codice deontologico dei geologi, nella prima versione modificata a seguito dell’entrata in vigore della legge Bersani, attraverso il ricorso ai principi di dignità e decoro della professione, riproponeva agli artt. 17, 18 e 26 un sostanziale obbligo di conformità ai minimi tariffari stabiliti con Decreto Ministeriale 18 Novembre 1971, in evidente contrasto con i principi della concorrenza e della suindicata legge.

82. Nel corso dell’indagine conoscitiva, i rappresentanti dell’Ordine hanno sottolineato l’importanza del mantenimento di determinati livelli tariffari quale principale garanzia della qualità della prestazione e nel contempo di tutela dell’utenza. La previsione della facoltà per l’Ordine di avviare procedimenti disciplinari nei confronti dei professionisti “che derogano ai principi di dignità e decoro” (art. 26 del codice deontologico) nella formulazione della tariffa sarebbe preordinata a salvaguardare la qualità della prestazione resa. Secondo tale impostazione, la legge Bersani sarebbe una norma “debole” in quanto eliminerebbe sì il vincolo dell’obbligatorietà delle tariffe professionali (ora derogabili), ma ne consentirebbe la permanenza nell’ordinamento quale legittimo parametro di riferimento per la determinazione dei compensi di ciascun professionista.

83. Al riguardo è stata evidenziata ai rappresentanti del Consiglio Nazionale la necessità di eliminare e modificare tutte le disposizioni, contenute nel codice deontologico, che richiamano le tariffe minime anche come tariffe di riferimento per la determinazione del compenso del professionista e le disposizioni che utilizzano le nozioni di decoro e dignità della professione.

84. I rappresentanti del Consiglio Nazionale avevano manifestato una disponibilità a valutare possibili modifiche del codice deontologico; tuttavia le proposte di modifica trasmesse mostrano un sostanziale rafforzamento delle posizioni espresse nel corso dell’indagine conoscitiva.
In particolare, sul punto relativo alla fissazione delle tariffe professionali, la versione ulteriormente modificata degli artt. 17, 18 e 26 appare essere il frutto di una mera operazione di maquillage di per sé inidonea a fugare i dubbi sollevati in relazione al recepimento più volte auspicato delle indicazioni pro-concorrenziali contenute nella legge Bersani.
L’art. 17 del codice, infatti, continua a ritenere la tariffa professionale quale “legittimo ed oggettivo elemento di riferimento nella determinazione dei compensi, ai fini della tutela della dignità professionale del singolo geologo, della categoria, in particolare della componente giovanile, nonché della qualità delle prestazioni nell’interesse della committenza”.
Segue l’art. 18 che, nel prevedere l’obbligo del geologo di “commisurare la propria parcella all’importanza della prestazione ed al decoro professionale”, peraltro, “a garanzia della qualità delle prestazioni ed ai sensi dell’art. 2233, comma 2, Codice civile”, ripropone in buona sostanza un implicito obbligo per il professionista di attenersi ai livelli tariffari precostituiti.
Fa da cornice il successivo art. 26 rubricato “Divieto di accaparramento” che, nel vietare al geologo di “offrire la propria prestazione con condizioni che derogano ai principi di dignità e decoro, così come definiti nel presente codice”, elimina qualsiasi incentivo del professionista ad adottare strategie indipendenti dai propri concorrenti.

85. Il Consiglio Nazionale dei geometri, in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani, aveva provveduto a modificare l’art. 20 del codice deontologico nella parte in cui prevedeva che il professionista dovesse conformarsi alla tariffa professionale vigente. La versione modificata stabiliva che “nel rispetto del principio di libera determinazione del compenso tra le parti, statuito dal Codice civile, la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera ed al decoro della professione”.

86. Nel corso dell’indagine è stato evidenziato, quindi, ai rappresentanti del Consiglio Nazionale che l’art. 20, nel testo modificato, continuava a ingenerare confusione, legando la misura del compenso al concetto indeterminato di decoro.
A ciò poi si aggiungeva il fatto che ulteriori disposizioni del codice ignorate dall’intervento di modifica - tra cui, ad esempio, l’art. 10 rubricato “concorrenza sleale” - lasciavano intendere l’esistenza di un più generale divieto di concorrenza tra i professionisti; in tale senso i divieti di “riduzione sistematica dell’onorario”, di svolgere ”attività volta a procacciare clienti” o di utilizzare “qualunque altro mezzo scorretto o illecito volto a procurarsi la clientela in spregio al decoro e al prestigio della categoria” erano considerati comportamenti astrattamente riconducibili a fattispecie di concorrenza sleale.

87. I rappresentanti dell’Ordine hanno sostanzialmente condiviso tali osservazioni, sottolineando però l’importanza del concetto di decoro della professione che, in mancanza di una tariffa di riferimento, dovrebbe essere comunque inteso quale parametro riferito alla qualità dell’opera intellettuale che il professionista presta. In tale contesto è stato evidenziato che i minimi tariffari, in concreto, non hanno mai costituito un punto di riferimento inderogabile per i professionisti giacché il geometra, non svolgendo attività professionale riservata, aveva già cominciato da tempo ad utilizzare il prezzo quale leva concorrenziale; la legge Bersani, dunque, avrebbe istituzionalizzato una pratica già da tempo operante almeno per la categoria dei geometri.

88. Il Consiglio Nazionale, condividendo totalmente le osservazioni formulate nel corso dell’indagine – nel corso della quale era stata rilevata l’opportunità di eliminare o modificare quelle disposizioni del codice deontologico ritenute in contrasto con la legge Bersani e, in particolare, le disposizioni che utilizzavano le nozioni di decoro e dignità della professione per reintrodurre vincoli tariffari, aggirando la portata innovativa della legge stessa - ha modificato gli artt. 10 e 20 del codice deontologico.
L’art. 20 del codice emendato non contiene più alcun riferimento al concetto di decoro o dignità, limitandosi a prevedere che, “nel rispetto del principio di libera determinazione del compenso tra le parti, statuito dal codice civile, la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera”.
L’art. 10, dal quale sono state eliminate tutte le possibili ipotesi che potevano fornire indicazioni fuorvianti e limitative della concorrenza tra professionisti, si limita ora a censurare “la mancata e documentata specificazione di anticipazioni, onorari e spese”, “la omissione o la emissione irregolare di fatture a fronte di prestazioni rese” o “l’impiego di qualunque altro mezzo illecito volto a procurarsi la clientela”.

89. Il codice deontologico degli ingegneri, modificato a seguito dell’entrata in vigore della legge Bersani, invece, contiene ancora oggi previsioni in sostanziale contrasto con i principi pro-concorrenziali contenuti nella citata normativa.
Infatti, sebbene sia apprezzabile l’esplicito riferimento all’abrogazione dell’inderogabilità dei minimi tariffari, tuttavia il codice degli ingegneri continua a prevedere espressamente che costituisce illecito disciplinare la violazione dell’art. 2233 cod. civ. in base al quale “la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera ed al decoro della professione” (art. 4.4).
La disposizione così formulata rappresenta, quindi, uno strumento per riproporre la vincolatività delle tariffe, posto che non esiste altro parametro cui il professionista potrebbe far riferimento per ottemperare alla previsione deontologica.
Anche per quanto riguarda i rapporti tra ingegneri e committenza pubblica, nel dubbio che l’amministrazione possa “non utilizzare quale parametro di riferimento la tariffa professionale”, è previsto che l’ingegnere debba “comunque commisurare il proprio compenso all’importanza della prestazione e al decoro professionale ai sensi dell’art. 2233 del codice civile”.

90. Nel corso dell’indagine è stata sottolineata l’opportunità di eliminare o modificare tutte le disposizioni, contenute nel codice deontologico, che richiamano le tariffe minime anche come tariffe di riferimento per la determinazione del compenso del professionista e che utilizzano le nozioni di decoro e dignità della professione.
Al riguardo i rappresentanti del Consiglio Nazionale hanno evidenziato l’importanza della tariffa quale principale garanzia della qualità della prestazione e nel contempo di tutela dell’utenza.
Inoltre, hanno osservato che il riferimento al “decoro” quale parametro cui commisurare il compenso professionale sia contenuto in una disposizione del codice civile dalla quale non è possibile prescindere nella definizione dell’illecito deontologico e nella commisurazione dell’eventuale sanzione.

91. I rappresentanti del Consiglio Nazionale si sono limitati a manifestare la propria disponibilità a valutare possibili modifiche delle suindicate disposizioni del codice deontologico, ma ad oggi nessuna versione o bozza di codice deontologico è stata trasmessa.

92. Il codice deontologico dei periti industriali, nella versione modificata nel dicembre 2006, a seguito dell’entrata in vigore della legge Bersani - dopo aver precisato, al comma 1 dell’articolo 22, che il perito industriale non deve compiere atti di concorrenza sleale di nessun tipo - al secondo comma stabilisce che i compensi professionali devono essere fissati, previo accordo contrattuale con il committente, facendo riferimento alla tariffa professionale di cui alla legge n. 146/1957, salvo per le sole eccezioni previste dalla legge, e che in ogni caso vale quanto stabilito dall’art. 2233 cod. civ.

93. Poiché la disposizione dell’articolo 22 del codice deontologico non appariva in linea con i principi contenuti nella legge Bersani, nel corso dell’indagine è stata rilevata l’opportunità di eliminare il riferimento alla concorrenza sleale che poteva indurre a qualificare come concorrenza sleale l’applicazione di tariffe non conformi a quelle indicate nella legge e di eliminare dal secondo comma dello stesso articolo ogni riferimento alla tariffa professionale ed all’art. 2233 codice civile. Ciò al fine di affermare come principio generale in tema di compensi professionali quello della determinazione consensuale tra le parti.
Il Consiglio Nazionale ha recepito integralmente i rilievi, modificando gli articoli in questione nel senso suindicato.

94. Infine, per quanto riguarda i giornalisti, si rileva che annualmente il Consiglio Nazionale approva un documento che contiene le tariffe minime per la remunerazione delle prestazioni giornalistiche individuate in modo dettagliato.
Il Tariffario 2007 denominato “Compensi minimi per le prestazioni professionali giornalistiche nei quotidiani, nei periodici, anche telematici, nelle agenzie, nelle emittenti radiotelevisive e negli uffici stampa” è stato approvato con delibera n. 101 del 20 dicembre 200622.
A seguito dell’entrata in vigore della legge Bersani, il Consiglio Nazionale dei Giornalisti, in data 20 dicembre 2006, ha provveduto ad eliminare la qualificazione “inderogabili” attribuita ai compensi minimi dei giornalisti, individuati nel Tariffario.

95. Nel corso dell’indagine è stato rilevato come la modifica apportata dal Consiglio Nazionale dei Giornalisti al Tariffario non poteva considerarsi sufficientemente adeguata a fronte della mancanza di qualsiasi indicazione che rendesse edotti gli iscritti delle innovazioni introdotte dall’art. 2 della legge Bersani in materia di determinazione dei compensi professionali.
Infatti, il tariffario in esame, denominato peraltro “Tabella dei compensi minimi”, non indica in alcun modo la non obbligatorietà delle tariffe ivi indicate, contenendo, al contrario, espressioni volte ad evidenziare un obbligo del rispetto delle stesse (ad esempio il titolo VIII sub a).
E’ stata rilevata, quindi, l’opportunità di rimuovere il Tariffario, dandone adeguata informazione agli iscritti.
Ad oggi il Consiglio Nazionale non ha comunicato alcuna determinazione in merito alle osservazioni formulate.

2. Sulla pubblicità dei servizi professionali

- Alcune discipline deontologiche concernenti l’attività pubblicitaria dei professionisti esaminate nell’ambito dell’indagine conoscitiva, sebbene siano state emendate dagli ordini in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani, si rivelano ancora oggi piuttosto restrittive alla luce dei principi antitrust. Principi antitrust secondo i quali la pubblicità dei professionisti e dei servizi professionali consente di colmare le lacune informative degli utenti e fornisce un orientamento fondamentale nella scelta del servizio e nell’individuazione del professionista, oltre ad assicurare il confronto circa i prezzi ovvero le caratteristiche degli stessi.
Del resto, l’ammissione della pubblicità dei servizi professionali non poteva neanche essere disconosciuta precedentemente alla legge Bersani, posto che nessuna norma giuridica vietava tale pubblicità e il primo intervento regolatore della materia della pubblicità ingannevole, ossia il Decreto Legislativo n. 74/92, che demandava l’applicazione della disciplina all’Autorità, concerneva anche la pubblicità dei professionisti
- Si ricorda che, per verificare la liceità sotto il profilo antitrust di una previsione restrittiva, la Commissione, nella Comunicazione “Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali” del febbraio 2004, ha richiamato la necessità di accertare la proporzionalità delle regole restrittive invitando le Autorità nazionali della concorrenza a compiere tale verifica.
L’Autorità, nella “Relazione sull’attività svolta nel biennio 2004/2005 per la promozione della liberalizzazione dei servizi professionali” del novembre 2005, ha evidenziato, tra l’altro, che le limitazioni all’attività pubblicitaria dei professionisti possono essere giustificate “soltanto se funzionali alla tutela di pubblici interessi” e ha precisato che “il decoro, benché costituisca di certo un interesse rilevante per professionisti, non [è] riconducibile ad un interesse generale pubblico”.
- Inoltre, si ricorda la nota sentenza della Corte di Cassazione del gennaio 2007, secondo la quale la legge Bersani, tramite l’art. 2, ha “abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, tra l’altro il divieto di svolgere pubblicità informativa e, di conseguenza, anche tutte le norme che limitano il diritto di porre targhe aventi appunto scopo pubblicitario”.
Secondo quanto statuito in tale sentenza, quindi, la nuova disciplina sull’attività pubblicitaria introdotta dall’art. 2. comma 1, lett. b), della legge Bersani è incompatibile con tutti i divieti anche parziali di pubblicità informativa, normativi e deontologici, inclusi quelli contenuti nella legge n. 175/92 concernenti la professione medica.
- Nonostante l’orientamento comunitario e nazionale in materia di pubblicità dei professionisti e la sopra ricordata decisione della Corte di Cassazione, l’esame dei codici di condotta ha rivelato, tuttavia, come la maggioranza degli organismi di controllo deontologico ancora oggi oppongano una forte resistenza al recepimento dei principi antitrust nella disciplina dell’attività pubblicitaria dei propri iscritti. Particolarmente restii a introdurre i principi concorrenziali sono apparsi gli ordini degli avvocati, dei notai, degli architetti, degli ingegneri, dei medici e odontoiatri, degli psicologi e dei geologi.
- In tale panorama, occorre, comunque, evidenziare che alcuni ordinamenti professionali, tra cui il nuovo Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, il Collegio dei geometri, il Collegio dei periti industriali e l’Ordine dei farmacisti hanno sostanzialmente conformato i rispettivi codici di condotta alle osservazioni formulate nel corso dell’indagine, eliminando le limitazioni relative ai mezzi di diffusione delle pubblicità e al contenuto delle pubblicità, tra cui i limiti del decoro e della dignità della professione.
- Si deve evidenziare che soltanto un numero esiguo di ordini professionali ha previsto espressamente la facoltà di diffondere messaggi pubblicitari aventi natura comparativa: in tal senso il Collegio dei geometri e il Collegio dei periti industriali.
Diversamente, alcuni ordini e collegi vietano espressamente il ricorso alla pubblicità comparativa (così gli avvocati, i medici e gli odontoiatri, i geologi); mentre molti ordini non prevedono alcuna disposizione specifica sul punto, finendo per lasciare intendere la non ammissibilità, sotto il profilo deontologico, della pubblicità comparativa (così i dottori commercialisti e gli esperti contabili, i notai, gli architetti, gli ingegneri, i consulenti del lavoro e gli psicologi).
- Molti collegi e ordini (avvocati, notai, medici e odontoiatri, architetti, ingegneri, psicologi e geologi) non hanno rinunciato a sancire, a livello deontologico, il rispetto di clausole generali, quali il decoro, la dignità professionale, l’immagine, la moderazione, la sobrietà come limiti all’utilizzabilità dei mezzi di diffusione e al contenuto delle pubblicità.
Come si dirà, la previsione a livello deontologico di clausole generali come quelle suindicate produce l’ingiustificato effetto, in quanto non necessario e non proporzionale all’obiettivo che in concreto vuole tutelare, di restringere la concorrenza tra gli iscritti ad un ordine o collegio.
Si pensi che il codice deontologico dei notai, modificato in seguito agli incontri svolti, prevede che il contenuto delle pubblicità deve rispettare il “prestigio” e il “decoro” della categoria e ricollega tali parametri allo svolgimento della “funzione pubblica”.
- Alcuni codici di condotta contengono divieti specifici: così, ad esempio, alcuni ordini vietano ai propri iscritti, anche in seguito alle osservazioni esposte, di pubblicizzare i compensi (avvocati e notai), altri di utilizzare determinati mezzi di diffusione (ad esempio, geologi).
- In merito al potere di verifica della trasparenza e della veridicità delle pubblicità da parte degli Ordini, alcuni ordinamenti deontologici hanno interpretato restrittivamente il dettato della legge Bersani, prevedendo un potere di controllo da parte degli organismi deontologici più ampio, ossia di tipo autorizzatorio e preventivo; ciò con l’indubbio effetto di disincentivare l’utilizzo della leva concorrenziale dello strumento pubblicitario (avvocati, psicologi, medici e odontoiatri, ingegneri, geologi).
Diversamente, si precisa che la legge Bersani si limita a prevedere una verifica successiva alla diffusione del messaggio pubblicitario.
- Inoltre, in alcuni codici è stata prevista la facoltà o l’obbligo di trasmissione della pubblicità, contestuale o successiva alla diffusione della pubblicità, all’organismo di controllo deontologico (farmacisti, psicologi, geologi, avvocati per i messaggi diffusi sul web).
L’Autorità ritiene che, in via generale ed in assenza di gravi motivi che possono giustificare un obbligo di comunicazione del messaggio all’ordine, la trasmissione del messaggio, sia contestuale che successiva, può, al pari del potere di controllo degli ordini, produrre effetti restrittivi della concorrenza, disincentivando l’utilizzo delle pubblicità.
- Si evidenzia come alcune discipline deontologiche esaminate (medici e architetti) presentino, anche in seguito alle modifiche apportate per recepire gli auspici formulati nel corso della indagine, un regime dell’attività pubblicitaria piuttosto confuso, rendendo in tal modo difficile l’utilizzazione di una leva concorrenziale, come la pubblicità, utile almeno a colmare, come detto, le asimmetrie informative tra professionisti e utenti.
- Infine, si sottolinea che alcuni ordini territoriali, principalmente gli avvocati e i consulenti del lavoro, hanno avviato azioni, talvolta anche disciplinari, volte ad ostacolare od impedire ad alcuni professionisti la diffusione di pubblicità conformi al dettato della legge Bersani.
Un intervento, recentemente oggetto di una segnalazione, è stato intrapreso dall’Ordine degli avvocati di Trieste nei confronti di una pubblicità dei servizi professionali diffusa da uno studio legale, consistente in un redazionale pubblicato su un magazine allegato al quotidiano “Il Giornale” del 1° febbraio 2008. Il redazionale, composto di alcune pagine contenente alcune fotografie dello stesso studio, dal titolo “Quando il team fa la forza”, era finalizzato chiaramente a pubblicizzare, visti i toni e il contenuto utilizzati, l’attività dello studio legale. A fronte di tale messaggio, l’Ordine di Trieste, nell’ottobre 2008, ha inviato una lettera al responsabile dello studio, invitando questi “a far pervenire […] le controdeduzioni in ordine alla succitata pubblicazione”, avuto riguardo dei “canoni degli artt. 5, 6, 17, 17bis, 18 e 19 del codice deontologico forense”. Al contempo, nello stesso mese di ottobre 2008 l’Ordine di Trieste ha provveduto a rammentare a tutti gli iscritti all’Albo degli avvocati che, ai sensi degli artt. 17, 17bis e 18 del codice di condotta, “è consentito agli avvocati, che intendono dare informazioni sulla propria attività professionale, esercitare tale facoltà alle condizioni, nei termini e nei limiti predetti articoli, così come esemplificati nella circolare n. 03/2007 di questo Consiglio”. Si segnala che la circolare citata prevede espressamente il divieto di forme pubblicitarie finalizzate alla “captazione del cliente”, il divieto di pubblicità comparativa, elogiativa, di indicare il “numero di cause vinte” e dei prezzi per singole prestazioni, il divieto di mezzi e di inserzioni pubblicitarie “aventi caratteristiche assolutamente commerciali (volantini, manifesti, email, etc.)”, nonché l’obbligo di rispettare il concetto di decoro nella predisposizione del messaggio pubblicitario.
Da tale documentazione emerge con chiarezza come l’azione dell’Ordine degli avvocati di Trieste, ancorché non risulti assumere al momento natura disciplinare, sia preordinata a limitare significativamente i professionisti nell’uso dello strumento pubblicitario.
Appare intuitivo come sia particolarmente subdolo, e al contempo efficace, minacciare possibili sanzioni disciplinari al fine di impedire che i professionisti utilizzino lo strumento pubblicitario per promuovere e pubblicizzare la propria attività professionale.
Come si vedrà nel capitolo terzo, anche le norme del codice deontologico adottato dal Consiglio Nazionale Forense, menzionate dall’Ordine di Trieste, non risultano conformi ai principi concorrenziali.

96. In materia di pubblicità, il codice deontologico degli avvocati del 14 dicembre 2006 prevede, all’art. 17, che “l’informazione non deve assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa e comparativa” e che, nei rapporti con la stampa e nell’utilizzo degli altri mezzi di comunicazione, l’avvocato non deve “enfatizzare” la propria capacità (art. 18). Inoltre, il medesimo articolo prevedeva che “la forma e le modalità” dell’ “informazione” devono rispettare la dignità e il decoro della professione (il concetto è ribadito anche a pagina 7 della relazione esplicativa del codice).

97. Nel corso del primo incontro era stato evidenziato come l’enfasi fosse una caratteristica propria delle comunicazioni pubblicitarie e che la pubblicità comparativa fosse una condotta considerata lecita già da tempo e dettagliatamente disciplinata dall’ordinamento proprio al fine di consentire solo comparazioni oggettive e verificabili (così garantendone proprio la natura informativa); era stato sottolineato, inoltre, che la nozione di decoro, in ragione della sua genericità, si prestasse ad essere interpretata in relazione ai casi concreti per limitare il ricorso a forme legittime di pubblicità (non a caso la circolare adottata nel settembre 2006 dal Consiglio Nazionale Forense affermava come continuasse ad essere vietato l’uso di “mezzi disdicevoli” ex artt. 5, 17, 17 bis, 18 e 19, quali “gli organi di stampa, la radio e la televisione, l’affissione di cartelli negli esercizi commerciali, nei luoghi pubblici, etc.”, nonché “insegne” e determinati “luoghi”). Si era evidenziato altresì che un mezzo di comunicazione non potesse in sé essere indecoroso, come confermato dalla legge Bersani (che abroga ogni divieto “anche parziale” di pubblicità) e dalla direttiva c.d. Bolkestein il cui considerando n. 100 considera illegittimo il divieto assoluto di ricorrere ad un dato mezzo di comunicazione.

98. Quanto al contenuto dei messaggi pubblicitari, l’art. 17bis individua ciò che “l’informazione” deve e può indicare, lasciando intendere che l’elencazione relativa a ciò che è ammesso debba considerarsi esaustiva; infatti, tra i contenuti ammessi non compaiono i prezzi delle prestazioni offerte (sul punto, peraltro, la citata circolare affermava che “saranno perciò perseguibili deontologicamente” gli avvocati che pubblicizzavano “una misura del corrispettivo non adeguata alla dignità professionale”); secondo la stessa disposizione, è vietato, inoltre, di dare conto del nome dei propri clienti allorché questi prestino il proprio consenso.

99. In merito ai contenuti, era stata rilevata l’opportunità che il codice forense prevedesse esplicitamente l’utilizzabilità di tutti i tradizionali mezzi di comunicazione, atteso che risultavano agli atti diverse iniziative disciplinari intraprese a livello locale per censurare il mero utilizzo di mezzi, quali giornali, brochure, volantini.

100. Con particolare riferimento ai siti web e agli organi di stampa, era stata evidenziata la restrittività della previsione secondo cui l’Ordine di appartenenza aveva un potere di controllo preventivo sui contenuti dei siti internet (art. 17bis) oltre al potere di autorizzare, in via preventiva, la possibilità degli iscritti di tenere o curare rubriche su organi di stampa (art. 18, comma 3).

101. Sulle questioni di carattere generale, i rappresentanti del CNF nel primo incontro avevano espresso le loro perplessità con riguardo all’utilizzo della pubblicità comparativa, connesse all’asserita difficoltà di confrontare prestazioni professionali a contenuto intellettuale, rilevando, peraltro, che la legge Bersani ha abrogato solo i divieti in esso espressamente richiamati (non comparendo tra questi il divieto di pubblicità comparativa). In merito al concetto di decoro, il CNF aveva eccepito che il r.d.l. del 1933 è una legge vigente che regola la professione forense anche facendo ricorso al concetto di decoro e che, quindi, il codice deontologico non fa che richiamare concetti già fissati a livello normativo.

102. Con riguardo ai contenuti dei messaggi pubblicitari, ad avviso dei rappresentanti del CNF, non sarebbe possibile pubblicizzare i compensi, in quanto ogni prestazione riveste una propria specificità e, quanto ai nomi dei clienti, la ratio del divieto contenuto nel codice sarebbe quello di tutelarne la riservatezza. In ogni modo, i rappresentanti si erano dichiarati disponibili ad aggiungere nell’art. 17bis la precisazione che i contenuti ammessi sono indicati a mero titolo esemplificativo.
Quanto alla decorosità dei mezzi, ad avviso del CNF, mentre è ammesso il ricorso a giornali, radio e televisione, non sarebbe invece ammessa la pubblicità su giornali, per così dire, di cattivo gusto.
Sui compiti di controllo preventivo riconosciuti agli Ordini territoriali, i rappresentanti del CNF avevano prospettato la possibilità di introdurre accorgimenti atti ad eliminare i poteri di tipo autorizzatorio degli Ordini.

103. Come accennato, il 12 giugno 2007 il CNF ha adottato la circolare n. 23-C/2007, che, anche in relazione alla pubblicità, afferma che la precedente circolare 22-C/2007 interpretativa della legge Bersani deve ritenersi “superata”.
In merito alle modifiche auspicate nel corso del primo incontro il CNF non ha fornito alcuna indicazione.

104. Nonostante durante il secondo incontro, svolto nell’aprile 2008, il CNF avesse mostrato disponibilità a recepire le più significative modifiche auspicate, quest’ultimo, nel giugno 2008, ha comunicato di aver introdotto modifiche di minore importanza, tra cui la previsione dell’obbligo di previa tempestiva comunicazione del contenuto del sito web invece che l’obbligo di previa comunicazione (art. 17 bis, comma 2, cod. deont.) e la sostituzione del parere favorevole dell’Ordine per la partecipazione a rubriche fisse trasmissioni televisive o radiofoniche o presso organi di stampa con la previa comunicazione (art. 18, punto III, cod. deont.).

105. Permangono, pertanto, nel codice deontologico vigente alcune significative restrizioni alla concorrenza tra professionisti in materia di attività pubblicitaria. Continua ad essere previsto il divieto di pubblicità comparativa e di “pubblicità elogiativa” (art. 17, comma 4, cod. deont.), l’obbligo di rispettare il limite del decoro nella forma e nelle modalità di diffusione della pubblicità professionale (art. 17, comma 3, cod. deont.), il divieto di adottare condotte dirette all’acquisizione di clienti “con modi non conformi alla correttezza e al decoro”, il divieto di offrire prestazioni “al domicilio degli utenti […] e in generale in luoghi pubblici o aperti al pubblico” o “ad una persona determinata per uno specifico affare” (art. 19, punti III e IV, in ordine al quale si era indicato invece come preferibile un precetto che facesse riferimento a situazioni di svantaggio o debolezza fisica o psichica dei potenziali clienti).
Inoltre, il CNF non ha modificato l’art. 17bis in modo che fosse eliminata l’elencazione di ciò che la pubblicità deve e può indicare, né è stato indicato nella medesima disposizione la facoltà del professionista di pubblicizzare anche i prezzi delle prestazioni offerte, così come previsto peraltro dalla legge Bersani.

106. Nel previgente codice di condotta dei consulenti del lavoro del 20 dicembre 2006, l’art. 13 ammetteva espressamente la pubblicità informativa, prevedendo tuttavia, al comma 3, la possibilità per il Consiglio nazionale di dettare ulteriori disposizioni in materia di pubblicità.

107. Nel corso del primo incontro era stata rilevata come preferibile l’abrogazione del comma 3 dell’art. 13, in quanto eventuali ulteriori disposizioni potrebbero portare all’introduzione di limitazioni all’utilizzo della pubblicità oggi non previste dal codice.
Inoltre, era stata evidenziata l’ingiustificata restrittività dell’affermazione contenuta nella lettera di trasmissione del codice deontologico del dicembre 2006 ai Consigli provinciali e ad altri enti, secondo la quale “già in precedenza la pubblicità, purché non comparativa, era consentita”, in quanto indica con chiarezza che la comparativa non è ammessa dal codice. Sul punto, al fine di evitare possibili equivoci (anche presso gli Ordini territoriali), si è espresso l’auspicio che il nuovo codice chiarisse che la pubblicità comparativa è ammessa in quanto forma di pubblicità informativa.
I consulenti del lavoro si erano, quindi, impegnati ad inserire nel nuovo codice la previsione secondo cui è possibile utilizzare lo strumento pubblicitario in tutte le forme e modalità consentite dalla legge, inclusa la pubblicità comparativa, anche alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria.

108. Nella bozza di codice inviata il 16 luglio 2007, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro aveva chiarito all’art. 32 che, ai sensi della legge Bersani, la pubblicità può avere ad oggetto i titoli, le specializzazioni, le caratteristiche e il prezzo del servizio offerto, nonché il fatto che all’Ordine spetta di “verificare” la trasparenza e la veridicità dei messaggi diffusi dagli iscritti.
In tale bozza manca, tuttavia, la precisazione relativa all’ammissibilità, dal punto di vista deontologico, della pubblicità comparativa la cui espressa menzione nel codice deontologico era stata auspicata.

109. Secondo quanto riportato nel sito web www.consulentidellavoro.it, risulta che dal 2 dicembre 2008 è in vigore un nuovo codice deontologico, il cui art. 31, rubricato “Pubblicità informativa”, prevede, in linea con quanto previsto dall’art. 2 della legge Bersani, che “ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b) della legge 4 agosto 2006, n. 248, la pubblicità informativa può avere ad oggetto i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni”.
Sebbene, come auspicato nel corso dell’indagine, sia stato rimosso il potere del Consiglio nazionale di dettare ulteriori disposizioni in materia di pubblicità, si rileva, tuttavia, che il comma 2 del medesimo articolo afferma che “la pubblicità informativa è svolta secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall'Ordine”. Sarebbe infatti stato auspicabile un riferimento alla natura “successiva” dei poteri di verifica dell’Ordine.
Infine, il codice deontologico, contrariamente a quanto stabilisce la legge Bersani e ai principi antitrust, continua a non menzionare la facoltà dell’iscritto di utilizzare la pubblicità comparativa.

110. La disciplina della pubblicità nell’ordinamento deontologico notarile è contenuta negli artt. 15 e 17 del codice deontologico vigente, adottato il 5 aprile 2008 (e in merito al quale peraltro il CNN non ha fornito alcuna relazione illustrativa).
La precedente versione del codice deontologico, all’art. 18, comma 3, vietava la diffusione di “messaggi auto-referenziali” ossia dei messaggi che pubblicizzano “il possesso di competenze o esperienze attinenti al normale bagaglio culturale e giuridico del notaio” e all’art. 20 menzionava, a titolo esemplificativo, alcuni mezzi di comunicazioni utilizzabili dai notai, quali le targhe, le rubriche, la carta intestata e i siti internet.

111. Nel corso dell’indagine è stata rilevata la restrittività della disposizione contenuta nell’art. 18, comma 3, che limitava ingiustificatamente la diffusione di messaggi e si era ricordato l’orientamento dell’Autorità in merito all’utilizzazione delle clausole generali di decoro e dignità nei codici deontologici, in quanto tali nozioni, per la loro genericità, sono idonee a censurare comportamenti legittimi; per le medesime ragioni si era auspicata la soppressione del riferimento al decoro professionale e alla “sobrietà”, in quanto concetti giuridici indeterminati che, inseriti in un codice deontologico, per la loro indeterminatezza, sono idonei a disincentivare ingiustificatamente l’utilizzo dello strumento pubblicitario dai parte dei notai.
Con riferimento al contenuto dei messaggi pubblicitari si è sottolineato l’effetto fuorviante della previsione in cui si parlava di “informativa circa il compenso” in cui invece di utilizzare il termine proprio “pubblicità informativa circa il compenso” veniva usato il termine informativa. Peraltro, perplessità destava la circostanza per cui la suddetta disposizione fosse stata inserita in un’apposita norma e non nella previsione che forniva l’esemplificazione dei dati che possono essere diffusi; sul punto era stato evidenziato che la pubblicità dei compensi professionali, senza eccezione alcuna sotto il profilo soggettivo, è stata espressamente ammessa dalla legge Bersani anche per le prestazioni professionali.
Inoltre, è stato osservato che l’elencazione dei mezzi di diffusione della pubblicità consentiti dall’Ordine, ancorché esemplificativa, si prestava ad essere interpretata in senso restrittivo, ossia nel senso di ritenere ammissibili soltanto i mezzi di diffusione citati nella medesima disposizione deontologica, con l’effetto di limitare ingiustificatamente la concorrenza tra professionisti.

112. Secondo il Consiglio Nazionale del Notariato, il decoro ed il prestigio sono principi deontologici fondamentali nella regolamentazione dell’attività professionale e, in particolare, per quella di notaio: secondo il CNN, il decoro è “l’espressione del sentimento della dignità e del rispetto dello Stato” ed il “prestigio corrisponde alla buona reputazione ed alla stima nell’ambito della collettività in funzione della posizione” ricoperta.
In merito a tale profilo, nel corso dell’indagine è stato precisato che il paventato “sentimento della dignità e del rispetto dello Stato” non sono concetti confliggenti con la liberalizzazione della disciplina della pubblicità, almeno quella dettata dalla legge Bersani.

113. Prima dell’entrata in vigore del nuovo codice deontologico, nel giugno 2007 il Consiglio Nazionale del Notariato aveva comunicato di avere apportato alcune modifiche al codice deontologico previgente, tra cui l’eliminazione sia del comma 3 dell’art. 18 (divieto di messaggi c.d. auto-referenziali) che dell’elencazione di mezzi di diffusione della pubblicità di cui all’art. 20.
La disciplina deontologica attualmente vigente consente, ora, “nell’interesse collettivo” la “pubblicità informativa” dei notai, che deve essere improntata alla “sobrietà” e deve avere ad oggetto dati “obiettivi e verificabili”, tra cui titoli di studio e professionali legalmente riconosciuti, specializzazioni post-universitarie (master, corsi di perfezionamento o specializzazione), attività di docenza, pubblicazioni giuridiche, struttura organizzativa, disponibilità oraria, conoscenza di lingue straniere, nel rispetto, tra l’altro, della “dignità e dell’integrità della funzione pubblica” (art. 15).
L’art. 17 afferma che “nel rispetto della funzione pubblica (e del prestigio e del decoro della categoria e per colmare asimmetrie informative) è consentito al notaio pubblicizzare i dati di cui all’art. 15.”
L’art. 16, al comma 1, elenca espressamente, “a titolo esemplificativo”, i dati che “possono essere diffusi” e, al comma 2, afferma che “l’informativa”, e non la pubblicità informativa (che infatti è disciplinata dal combinato disposto dell’art. 15 e dell’art. 17), circa il compenso professionale deve rispondere, tra l’altro, a criteri di trasparenza e veridicità.

114. Con riferimento alla vigente disciplina sopra descritta, si evidenzia come essa continui a contenere previsioni significativamente disincentivanti l’utilizzo dello strumento pubblicitario da parte dei notai: infatti, sono ancora vigenti le disposizioni che impongono come limite generale alla pubblicità notarile, sia con riguardo ai mezzi che ai contenuti della stessa, il rispetto della sobrietà, della funzione pubblica, nonché del prestigio e del decoro professionale.
Inoltre, il codice deontologico vigente contiene una disciplina equivoca in materia di pubblicità dei compensi dei notai, in quanto non emerge chiaramente la facoltà del notaio di pubblicizzare il compenso professionale, come peraltro previsto dalla legge Bersani.
Parimenti non riceve alcuna menzione la facoltà di diffondere pubblicità aventi natura comparativa.
Non può non essere rilevata, infine, l’equivocità del riferimento all’ “interesse collettivo” come finalizzazione generica dell’attività pubblicitaria dei notai (cfr. artt. 15, 16 e 17).

115. Venendo alla disciplina deontologica della pubblicità dei dottori commercialisti24, si fa presente in primo luogo che, il 12 luglio 2001, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (CNCD) aveva diramato una circolare interpretativa delle regole deontologiche in materia di pubblicità.
Nel corso dell’indagine sono stati rappresentati i problemi di natura antitrust posti da tale circolare ed era stata rilevata l’opportunità di rimuovere la medesima tramite l’invio di una nuova circolare agli Ordini territoriali, in cui fosse evidenziato che quella del 2001 dovesse intendersi come abrogata in ragione del nuovo contesto normativo.
La circolare del 2001 prevedeva, infatti, la moderazione e il buon gusto come “ultimo metro di valutazione deontologica del messaggio informativo”, il divieto dei mezzi che ledono dignità e decoro, quali cartelloni, manifesti, volantini, telefonate, visite dirette, etc., il divieto di dar conto di nomi di clienti, tariffe applicate, titoli non attinenti alla professione, l’obbligo di inviare le circolari tecniche soltanto a soggetti “identificati”, vale a dire clienti acquisiti e terzi che ne fanno esplicita richiesta, il divieto di diffondere messaggi elogiativi e comparativi.

116. Nel corso del primo incontro erano stati analizzati i contenuti dell’art. 32 del Codice concernente la disciplina della pubblicità. Tale norma, con riguardo ai contenuti dei messaggi pubblicitari, stabiliva ciò che “può” e “non può” essere pubblicizzato (contenendo, ad esempio, il divieto di pubblicizzare i risultati professionali e i nomi dei clienti, anche se questi ultimi hanno prestato il proprio consenso). Tale struttura della norma lasciava quindi intendere che non fosse possibile promuovere ciò che non era espressamente previsto (ad esempio, la norma non menzionava la possibilità di pubblicizzare i prezzi praticati). Sia in relazione ai contenuti che in merito ai mezzi utilizzabili, la norma stabiliva che occorre ispirarsi “alla estrema moderazione, buon gusto e rispetto della dignità e del decoro della professione”, quindi, a concetti generici che, se inseriti in un codice deontologico, si possono prestare ad essere utilizzati per restringere ingiustificatamente l’attività pubblicitaria.

117. L’art. 32 conteneva, inoltre, un espresso divieto della pubblicità elogiativa e comparativa. Sul punto era stato evidenziato che i connotati elogiativi sono tipici delle comunicazioni pubblicitarie e che la pubblicità comparativa è consentita dall’ordinamento; più in generale era stato rappresentato che, stante il sopravvenuto contesto normativo, non fosse giustificabile qualsivoglia divieto sui mezzi né sui contenuti (fatto salvo, evidentemente, l’obbligo di garantire la veridicità e la verificabilità delle informazioni diffuse). In particolare, i divieti di utilizzo di un dato mezzo non risultano ammissibili, in quanto non può condividersi l’impostazione secondo cui un mezzo possa essere, in sé, indecoroso.

118. La disposizione sopra citata prevedeva, inoltre, la previa comunicazione all’Ordine di appartenenza della pubblicità trasmessa via internet e raccomandava la previa consultazione della Commissione consultiva “che gli Ordini avranno cura di costituire” nell’ipotesi di dubbi interpretativi in merito all’applicabilità dell’art. 32. Anche a tale proposito, era stato rappresentato come simili controlli ovvero consultazioni preventive si prestassero a disincentivare il ricorso allo strumento pubblicitario, peraltro in contrasto con le previsioni della legge Bersani.

119. I rappresentanti dell’Ordine dei dottori commercialisti, nel primo incontro, avevano fatto presente che l’art. 32 mirava a proporre un modello di pubblicità priva dei connotati aggressivi della pubblicità commerciale e con i soli contenuti informativi; in questo senso, il divieto di forme di pubblicità enfatizzanti sarebbe a tutela degli interessi del cliente (per garantire che la scelta del professionista sia compiuta in modo razionale e non sull’onda emotiva generata da pubblicità enfatiche); nella medesima prospettiva, le attività di volantinaggio, i manifesti, le telefonate sarebbero mezzi di comunicazione che non si adattano alla promozione di una prestazione intellettuale.

120. Il 13 luglio 2007, il CNDC ha fatto pervenire il testo del codice deontologico approvato nella seduta del 13 giugno 2007, rappresentando che in quella stessa occasione era stata deliberata la revoca della citata circolare del 2001, come emerge dalla nota a piè di pagina inserita all’art. 38.
L’art. 38, inoltre, faceva espresso riferimento alla facoltà di diffondere “con ogni mezzo” informazioni sull’attività svolta, le specializzazioni, i titoli professionali la struttura dello studio, i compensi richiesti, nonché di menzionare i nominativi dei clienti che abbiano prestato il loro consenso. Nella norma, inoltre, non era più prevista alcuna forma di controllo preventivo degli Ordini sull’attività promozionale degli iscritti poiché era stato eliminato il dovere di trasmettere la pubblicità all’Ordine.
Permaneva, tuttavia, la previsione secondo la quale “il messaggio comunicato e la scelta dei mezzi devono in ogni caso ispirarsi alla moderazione e al buon gusto”. Si trattava di una previsione che - oltre a contenere il riferimento alla “comunicazione” del messaggio, prestandosi così ad evocare un dovere di trasmissione dello stesso all’Ordine - non rispondeva alla necessità di evitare di disciplinare deontologicamente la pubblicità tramite concetti generici. Peraltro, tale formulazione risultava contrastante con quella, contenuta nel medesimo art. 38, secondo cui i commercialisti possono promuovere la propria attività “con ogni mezzo”.

121. La disciplina della pubblicità dei ragionieri e dei periti commerciali, contenuta nel codice deontologico adottato il 13 dicembre 2006 (artt. 10 - 14), sanciva il carattere informativo della pubblicità consentendo al professionista di rendere note le proprie aree di competenza. Il codice ribadiva la distinzione tra “pubblicità diretta” volta cioè ad indurre il cliente ad avvalersi del servizio professionale pubblicizzato e “pubblicità indiretta” volta a promuovere l’immagine del professionista presso il pubblico mirando solo indirettamente a promuovere l’acquisto del servizio.
Pur non prevedendo alcuna limitazione in tema di mezzi di diffusione, il codice individuava alcuni principi a cui era necessario attenersi nella pubblicizzazione dell’attività professionale, quali la legalità, la decenza, la correttezza, la veridicità e il segreto professionale.
Il codice sanciva espressamente la possibilità di pubblicizzare il prezzo delle prestazioni e la possibilità di specificare - ma per i siti web era un obbligo - le caratteristiche del servizio offerto tramite l’indicazione della struttura dello studio professionale, la sua composizione, l’attività professionale svolta unitamente ai curricula dei professionisti.

122. Molto dettagliata era la disciplina della pubblicità diffusa tramite internet: era previsto l’utilizzo di internet a scopi pubblicitari tramite l’invio di messaggi di posta elettronica, attraverso la predisposizione di un proprio sito web, mediante l’inserimento di link sul sito web del Collegio di appartenenza e/o del Consiglio Nazionale ovvero sui siti web di istituzioni, enti o società di servizi attinenti alla professione. Era anche consentita la pubblicità mediante banner inseriti nei siti web di soggetti terzi e attraverso l’iscrizione del proprio sito web a motori di ricerca. Il codice deontologico prevedeva inoltre che il professionista, nell’atto di attivazione del sito web, ne desse comunicazione al proprio collegio di appartenenza (art. 13, comma 4).
Non erano previste forme di comunicazione preventiva o successiva per la pubblicità effettuata con altri mezzi.

123. In merito a tali disposizioni nel corso dell’incontro con il Collegio era stato indicato come preferibile modificare l’art. 10 del codice deontologico conformemente a quanto previsto nell’art. 2 della legge Bersani, giacché il citato art. 10, al comma 1, consentiva al professionista di rendere note soltanto le proprie aree di competenza. Si era, altresì, osservata l’opportunità di modificare la norma che prevedeva che un messaggio non era corretto qualora nello stesso si riportavano opinioni sulla “qualità dei servizi offerti”, si evidenziavano “dati che riguardano terze persone, clienti ed eventuali pratiche andate a buon fine” ovvero si enfatizzavano “le proprie qualifiche e le esperienze professionali maturate”.
Al riguardo era stato osservato che un messaggio, in cui si evidenziano i risultati ottenuti, i nominativi dei clienti o la qualità del servizio, non potesse considerarsi non corretto, potendo al contrario tali indicazioni costituire, per i consumatori, un valido parametro di scelta.
Su tale punto i rappresentanti del Consiglio Nazionale avevano affermato che il parametro della correttezza, così come enunciato nel codice, perseguiva lo scopo di impedire che gli iscritti adottassero forme pubblicitarie enfatiche tali da inficiare la veridicità del messaggio e che una informazione erronea sulla clientela avrebbe avuto soltanto una portata decettiva oltre ad essere in contrasto con il principio del segreto professionale.

124. Il 5 settembre 2007 era stato inviato il codice deontologico modificato che mostrava come fossero state recepite tutte le osservazioni formulate con eccezione del concetto di decenza come limite alla scelta dei mezzi di diffusione. Il comma 1 dell’art. 10 era stato integrato con l’indicazione dei contenuti della pubblicità professionale conformemente a quanto previsto dall’art. 2 della legge Bersani. Inoltre, era stato eliminato il divieto di pubblicizzare i nominativi dei clienti, previo il loro consenso. Infine, erano stati rimossi anche i divieti di pubblicizzare opinioni sulla qualità dei servizi offerti e di citare i risultati ottenuti.

125. In seguito all’unificazione dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e del Collegio dei Ragionieri, prevista dal Decreto Legislativo n. 139/2005 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2008, è stato svolto un incontro nell’ottobre 2008 con il nuovo Ordine nel corso del quale sono state formulate alcune osservazioni in merito all’art. 44 del codice deontologico adottato nell’aprile 2008, in cui equivocamente il messaggio pubblicitario veniva denominato “comunicazione” e in cui si richiamavano non meglio precisati doveri di comunicazione del messaggio mediante la locuzione “messaggio comunicato”.
Nel novembre 2008 il nuovo Ordine ha deliberato la modifica dell’art. 44 nel senso richiesto, individuando chiaramente l’ambito di applicazione della stessa norma, mediante l’utilizzo delle appropriate locuzioni di “pubblicità informativa” e “messaggio pubblicitario”; inoltre, è stata eliminata l’espressione “messaggio comunicato”.
Tuttavia, si evidenzia che nessuna disposizione del nuovo codice deontologico sancisce espressamente l’ammissibilità della pubblicità comparativa, che rappresenta invece uno strumento concorrenziale essenziale per i professionisti, ammesso peraltro dalla legge Bersani.

126. Per quanto concerne il codice deontologico dei farmacisti, si ricorda che, per effetto del procedimento istruttorio condotto dall’Autorità e conclusosi nel 2002 (I/417 Selea/Ordini dei farmacisti), la Federazione Ordini Farmacisti Italiani (FOFI) aveva abrogato un Regolamento, annesso allo stesso codice, recante una serie di restrizioni all’attività pubblicitaria dei farmacisti.
Anche alla luce dei mutamenti intervenuti nell’ordinamento a seguito dell’emanazione della legge Bersani, l’Autorità ha colto l’occasione per verificare se il codice di condotta dei farmacisti potesse essere ulteriormente adeguato alle esigenze di natura antitrust.

127. Nel corso dell’indagine conoscitiva, pertanto, sono state evidenziate alcune disposizioni deontologiche suscettibili di limitare le iniziative promozionali dei farmacisti.
In linea generale, si è rilevato come, nell’ambito dei codici deontologici, le nozioni di “decoro” e “correttezza” della professione nonché di “etica professionale” dovrebbero essere sancite soltanto in via generale e non in relazione alla disciplina della pubblicità.
In tal senso si è fatto presente che gli articoli 21, comma 3, e l’art. 22, comma 3, non fossero coerenti con le osservazioni più volte formulate dall’Autorità, secondo cui i concetti giuridici indeterminati si prestano ad essere utilizzati da parte degli Ordini professionali per reintrodurre restrizioni alla concorrenza abrogate dal legislatore. Come in materia di compensi professionali, così anche nelle norme di condotta sulla pubblicità, le nozioni di decoro e correttezza si prestano ad essere utilizzate per limitare la possibilità degli iscritti di sfruttare la leva concorrenziale della pubblicità.

128. In termini più puntuali è stata evidenziata la mancata conformità alle novità introdotte dalla legge Bersani delle seguenti norme deontologiche: l’art. 23 nella parte in cui stabiliva che è possibile pubblicizzare i prezzi soltanto dei prodotti diversi dai medicinali, l’art. 22 allorché differenziava la pubblicità della farmacia da quella del farmacista richiamando per quest’ultima le limitazioni di cui alla legge n. 175/92 (limitazioni che devono ritenersi abrogate dalla legge Bersani, come confermato dalla sentenza della Corte di Cassazione 15 gennaio 2007 n. 652), l’art. 9, comma 1, nella parte in cui si prestava a generare equivoci con riguardo alle pubblicità di società di farmacisti (al riguardo, si è auspicato un chiarimento inteso a precisare che la norma fa riferimento a professionisti sanitari diversi dai farmacisti).
Si è altresì rilevato come l’art. 22, comma 2, nel vietare “ogni atto [….] promozionale che configuri concorrenza sleale di cui all’art. 2598 cod. civ. o che limiti o impedisca il diritto di libera scelta della farmacia […]”, fosse suscettibile di dar luogo a restrizioni della concorrenza ingiustificate; l’uso del concetto del “diritto di libera scelta della farmacia da parte dei cittadini”, con riferimento agli atti promozionali, non assume alcuna significatività, posto che tale concetto è già presente nel codice nella sezione relativa ai “rapporti con i cittadini” e considerato che la legge Bersani ha definitivamente sancito la possibilità di diffondere pubblicità con contenuto informativo.

129. Rispetto a tali rilievi, i rappresentanti della FOFI hanno manifestato la propria disponibilità a rivedere le norme deontologiche suindicate, rappresentando tuttavia che la pubblicità del farmacista, non legata alla farmacia, è molto rara, in quanto i farmacisti che esercitano la libera professione al di fuori della farmacia rappresentano un’ipotesi residuale.
Una specifica perplessità è stata espressa dalla FOFI in relazione all’abrogazione della legge n. 175/92; ad avviso della Federazione, occorrerebbe mantenere la previsione secondo cui la pubblicità deve ottenere il previo nulla osta dell’Ordine; ciò in quanto siffatto controllo consentirebbe di prevenire abusi.

130. A tale ultimo riguardo si è evidenziato che, secondo i principi antitrust, ma anche secondo la legge Bersani (che fa riferimento ad un potere di “verifica” della pubblicità da parte degli Ordini e, quindi, di controllo successivo), il controllo dell’Ordine può essere esercitato solo ex post e non già ex ante. Un sistema di autorizzazione preventiva si presta, infatti, a disincentivare l’utilizzo dello strumento pubblicitario.

131. Il 4 luglio 2007 la FOFI ha fatto pervenire il testo ufficiale del Codice deontologico del farmacista, approvato dal Consiglio Nazionale della Federazione. Tale Codice accoglie gran parte dei principi antitrust il cui rispetto era stato auspicato con riguardo alla disciplina della pubblicità.
In particolare, il nuovo art. 20 stabilisce che è consentito promuovere sia l’attività del farmacista che della farmacia, purché in ossequio ai principi di correttezza, veridicità e non ingannevolezza. Lo stesso articolo fa espressamente riferimento alla possibilità di pubblicizzare i prezzi praticati.
Tuttavia, contrariamente ai principi antitrust e a quanto previsto espressamente dalla legge Bersani, quanto ai compiti di verifica dell’Ordine, attribuiti dalla legge Bersani, il codice prevede che, contestualmente all’attivazione della pubblicità, il farmacista è tenuto a trasmetterne il contenuto all’Ordine di appartenenza.

132. Con riguardo all’attività pubblicitaria dei medici e degli odontoiatri disciplinata nel codice deontologico, così come modificato il 23 febbraio 2007 dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, e nelle allegate “Linea guida per la pubblicità dell’informazione sanitaria per l’applicazione degli artt. 55, 56 e 57 del codice deontologico” (di seguito Linee guida), nel corso dell’indagine è stato rilevato come tale disciplina, oltre ad essere piuttosto confusa, estremamente dettagliata e priva di sistematicità, fosse ingiustificatamente restrittiva della concorrenza tra professionisti, anche tenuto conto delle peculiarità della professione medica e delle particolari esigenze di tutela del destinatario del messaggio pubblicitario in tema di attività professionale medica.

133. Così, al fine di introdurre elementi di chiarezza, è stata evidenziata, in primo luogo, l’opportunità di prevedere nel codice deontologico e nelle Linee Guida due distinte sezioni. La prima sezione dovrebbe disciplinare l’informativa in senso stretto, ossia la comunicazione di tutte le informazioni relative allo specifico rapporto di tipo medico intercorrente tra singolo paziente e professionista; la seconda sezione, invece, dovrebbe essere destinata specificamente alla pubblicità in senso stretto ancorché di natura informativa, ossia ai messaggi che tutti gli operatori del campo medico intendono diffondere per promuovere le proprie prestazioni professionali.
La distinzione tra informativa e pubblicità è fondamentale, in quanto contribuisce, in modo significativo, a chiarire agli iscritti il contenuto e le modalità di diffusione di un messaggio pubblicitario.
In tal senso, a titolo esemplificativo, si è osservato che il punto 4 delle Linee Guida dovrebbe essere totalmente riformulato in modo da chiarire se tale paragrafo disciplini la pubblicità o l’informativa.

134. In risposta alle osservazioni formulate, i rappresentanti dell’Ordine hanno eccepito che il concetto di informazione costituisce il principio base della comunicazione pubblicitaria dei medici e degli odontoiatri in ragione delle asimmetrie informative in materia medica, per cui la pubblicità sanitaria dovrebbe fondarsi proprio sull’evidenza e sull’appropriatezza della prestazione; in tale prospettiva l’Ordine preferisce parlare indistintamente di “informazione sanitaria” e di “pubblicità dell’informazione” (cfr. art. 55 e art. 56).

135. Durante l’indagine è stata rilevata, inoltre, la non proporzionalità della previsione secondo cui la pubblicità deve conformarsi, tra gli altri, al principio del “decoro professionale” (art. 56, comma 1) e della disposizione che vieta tanto la “pubblicità commerciale personale” (art. 56, comma 4) quanto la diffusione di “notizie […] lesive della dignità e del decoro della categoria o comunque eticamente disdicevoli” (art. 5, cpv. 4, Linee Guida).
Al riguardo si è sottolineato che, per un verso, il divieto di pubblicità commerciale personale costituisce, in sostanza, un divieto generale di diffusione dei messaggi pubblicitari, in quanto la pubblicità è la comunicazione rivolta al pubblico finalizzata a promuovere la vendita dei beni e servizi e che, per l’altro, le clausole generali di decoro e dignità professionali contenute nei codici deontologici sono idonee, per la loro indeterminatezza, a generare equivoci e a introdurre ingiusticatamente limiti all’uso dello strumento della pubblicità, importante leva concorrenziale a disposizione dei professionisti.
E’ stato rilevato inoltre che anche il divieto di pubblicità comparativa (art. 56, comma 2), oltre a non essere conforme al dettato normativo della legge Bersani, non appare giustificato ai sensi delle regole antitrust: secondo l’ordinamento giuridico italiano, la pubblicità comparativa presenta tipicamente un contenuto informativo. Non appare, pertanto, condivisibile quanto rilevato dall’Ordine secondo cui le “informazioni comparative” sono di per sé ingannevoli, in quanto sarebbe difficile, se non impossibile, confrontare risultati in campo medico.
Infine, è stato rilevato che la disposizione secondo cui i messaggi pubblicitari contenenti le “tariffe” possono essere diffusi solo se pubblicizzano altri elementi (art. 5, ultimo capoverso, Linea Guida) appare priva di qualsiasi giustificazione oltre che in contrasto con la legge Bersani.

136. Il 23 luglio 2007 la Federazione Nazionale ha inviato una comunicazione in cui si illustra la posizione dell’Ordine circa le osservazioni sulla base delle quali l’Ordine avrebbe provveduto a modificare gli artt. 55, 56 e 57 del codice deontologico. Nessuna modifica invece è stata rappresentata con riferimento a quanto disciplinato nelle Linee Guida sulla pubblicità.
Nelle tre norme suindicate si sarebbe dovuto differenziare la sfera dell’ “informazione sanitaria” e quella della “pubblicità informativa sanitaria”; inoltre il divieto di “pubblicità commerciale personale” (art. 56, comma 4, c.d.) avrebbe dovuto essere sostituito con la previsione secondo cui è vietata “la pubblicità volta alla vendita di prodotti commerciali ovvero finalizzata a promuovere in modo non trasparente la propria attività professionale”.

137. Diversamente, l’Ordine ha ribadito, in ragione delle caratteristiche del servizio professionale sanitario fondato sull’evidence based medicine, l’indisponibilità ad ammettere, dal punto di vista deontologico, la pubblicità comparativa, essendo infatti vigente nel codice deontologico il divieto espresso di pubblicizzare comparativamente i servizi professionali di tipo medico (art. 56, comma 2); nello stesso senso l’Ordine ha ritenuto di non avere intenzione di modificare la disposizione secondo cui “l’informazione” (rectius la pubblicità) non deve essere “arbitraria” e “discrezionale”. Inoltre, è stato mantenuto il rispetto del principio del decoro professionale come parametro di legittimità deontologica della pubblicità (art. 56, comma 1).
Sulla base delle peculiarità dei servizi medici, l’Ordine ha sostenuto che la pubblicità sanitaria è soggetta a limitazioni anche con riguardo ai mezzi di diffusione, in quanto, contrariamente alle regole antitrust, un mezzo “palesemente improprio e non adatto al campo medico violerebbe [i] principi di decoro e dignità della professione”.

138. Con riferimento alle disposizioni relative al potere di verifica della pubblicità (attribuito dall’art. 56, comma 3, del codice deontologico all’Ordine stesso), nelle Linee guida si prevede che l’iscritto possa richiedere, in via cautelativa e preventiva, il parere all’Ordine circa la legittimità del messaggio pubblicitario che si intende diffondere (punto 9).
Sul punto l’Ordine ha precisato che il principio della tutela della salute pubblica richiede che il controllo debba essere preventivo e ha sottolineato come la legge Bersani abbia attribuito al medesimo il compito di verificare la veridicità e trasparenza del messaggio pubblicitario e, quindi, “non […] vede come tale verifica possa essere svolta esclusivamente ex post”.

139. Nel secondo incontro svolto nel giugno 2008 con la Federazione Nazionale, al fine di verificare le intenzioni della Federazione in merito all’adozione di norme deontologiche conformi ai principi concorrenziali, è stato evidenziato come, considerate le caratteristiche della professione medica e le connesse esigenze di tutela dei destinatari della pubblicità dei servizi medici, eccezionalmente si potesse ritenere ragionevole che sia previsto l’obbligo del professionista di inviare all’Ordine l’autodichiarazione circa la rispondenza del messaggio alle norme deontologiche, con contestuale invio del messaggio dieci o quindici giorni prima della diffusione dello stesso.

140. Nonostante anche nel corso del secondo incontro quest’ultima abbia mostrato disponibilità ad apportare alcune modifiche al codice deontologico vigente, a tutt’oggi non è pervenuta alcuna informazione in merito; pertanto deve ritenersi ancora vigente il codice deontologico e le annesse Linee guida nella versione approvata il 23 febbraio 2007.

141. Con riferimento alla disciplina deontologica degli psicologi in materia di pubblicitàsi osserva che l’art. 40, modificato con delibera del 23 settembre 2006 in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani, stabilisce che può essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni, secondo criteri di trasparenza e veridicità, il cui rispetto è verificato dai competenti Consigli dell’Ordine.
Si prevede tuttavia che la mancata richiesta di nulla osta costituisce violazione deontologica e che il messaggio pubblicitario debba essere formulato nel rispetto del decoro professionale, conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine della professione.

142. La disciplina deontologica richiamata è stata integrata da un atto di indirizzo avente ad oggetto, in particolare, i mezzi di diffusione e i contenuti dell’ “informazione pubblicitaria”.
Tale atto di indirizzo, dopo aver definito i contenuti dell’informazione pubblicitaria, ribadisce che il messaggio debba essere formulato nel rispetto del decoro professionale, conformemente ai criteri della serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine della professione. I successivi articoli 4 e 5 definiscono nel dettaglio i contenuti delle informazioni pubblicitarie e le caratteristiche del servizio pubblicizzato26.
L’articolo 2 dell’atto di indirizzo, dopo aver individuato a titolo esemplificativo i mezzi attraverso i quali la pubblicità può essere diffusa (targhe, inserzioni sugli elenchi telefonici e di categoria, quotidiani, periodici d’informazione, internet, etc.), con un termine confusorio in quanto utilizzato con riferimento alla pubblicità, sancisce che l’ “informazione” è consentita con ogni altro mezzo, purché venga realizzata secondo criteri di trasparenza e veridicità con particolare attenzione all’influenza del messaggio sull’utenza e al rispetto del decoro e della dignità della professione.
Infine, l’articolo 3 ribadisce che la pubblicità è sottoposta al nulla osta del Consiglio dell’Ordine territoriale competente, volto a verificarne il rispetto dei criteri di trasparenza e veridicità, secondo quanto previsto dall’art. 2 della legge Bersani, oltre che del decoro e della dignità della professione.

143. A fronte di tale disciplina deontologica, è stato osservato come il rispetto del decoro e della dignità della professione, ove sanciti a livello deontologico, si prestino ad essere utilizzati al fine di disincentivare e limitare l’utilizzazione dello strumento pubblicitario da parte dei professionisti, con ciò ingiustificatamente restringendo la concorrenza tra gli stessi.
Con riferimento alle disposizioni che impongono il nulla osta dell’Ordine per la diffusione del messaggio pubblicitario, si è rilevato come tale previsione, oltre a restringere ingiustificatamente le facoltà del professionista nella diffusione di attività pubblicitaria, non risulti conforme all’art. 2 della legge Bersani che, come noto, si è limitato a prevedere una verifica successiva sulla veridicità e trasparenza del messaggio da parte dell’Ordine.

144. Nel giugno 2007 il Consiglio Nazionale ha comunicato di avere modificato parzialmente l’atto di indirizzo, espungendo i riferimenti al decoro professionale in materia di pubblicità ed eliminando la previsione del nulla-osta, mantenendo tuttavia le disposizioni restrittive che prevedono la trasmissione all’Ordine di una dichiarazione di rispondenza del messaggio alle norme deontologiche, in relazione al quale l’Ordine, entro il termine di novanta giorni, può esprimere un motivato parere di non conformità.
L’Ordine ha fatto presente che il Consiglio Nazionale, il 25 maggio 2007, ha confermato la volontà di procedere ad una revisione organica del codice deontologico in modo da rendere coerente la disciplina contenuta in quest’ultimo con l’atto di indirizzo. Pertanto, la modifica del codice nel senso indicato dovrebbe avvenire non appena la fase di studio di una competente commissione dell’Ordine sarà terminata. A tutt’oggi non è pervenuta alcuna informazione in merito.

145. La restrittività della disciplina relativa alla pubblicità degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di cui al codice deontologico vigente approvato nel dicembre 2006 dal Consiglio Nazionale emerge dalla stessa definizione di pubblicità qualificata come “l’informativa in ordine all’attività professionale” (art. 36, comma 1). Peraltro, da tale definizione di pubblicità derivano effetti confusori, considerata anche la disciplina contenuta nell’art. 35 relativa alla diversa fattispecie concernente l’informativa resa al cliente nel conferimento dell’incarico professionale.
Inoltre, l’art. 36, comma 1, richiede che la pubblicità sia conforme al canone della “correttezza”, declinato, a titolo esemplificativo, nel divieto di utilizzare “espressioni enfatiche” e “laudative” e nell’ “adottare modelli compatibili con il principio della personalità della prestazione professionale”.
Limiti sono anche posti con riferimento all’utilizzo dei mezzi di diffusione la cui scelta deve salvaguardare “il decoro e il prestigio della professione” sulla cui base devono essere esclusi, ad esempio, “i siti web, le reti telematiche non attinenti nemmeno indirettamente alla professione, le telefonate di presentazione, le visite a domicilio, l’utilizzo di testimonial” (art. 36, comma 2).

146. Nel corso dell’indagine si è evidenziato come la clausola generale della “correttezza” utilizzata nell’ambito di un codice deontologico sia idonea, per la sua indeterminatezza, a generare equivoci e, quindi, a limitare le facoltà degli iscritti nella diffusione di messaggi pubblicitari.
Nello stesso senso si è evidenziato che il divieto di utilizzare espressioni enfatiche e laudative non persegua altra finalità se non quella di disincentivare il ricorso allo strumento pubblicitario, posto che l’enfatizzazione è elemento tipico della pubblicità anche in pubblicità aventi natura informativa.
E’ stato sottolineato, inoltre, che limitazioni sui mezzi di diffusione, in quanto prive di qualsiasi ragionevolezza, si pongono in contrasto non solo con l’art. 2 della legge Bersani, ma soprattutto con i principi concorrenziali in materia.
Sulla base delle suddette considerazioni, è stata auspicata l’eliminazione dei divieti di elogio previsti nell’art. 36, comma 1, e del rispetto del canone del decoro come limite alla scelta dei mezzi di comunicazione come previsto nell’art. 36, comma 2, oltre all’adozione di una definizione di pubblicità in linea con l’art. 2 della legge Bersani.
E’ stata evidenziata, infine, l’opportunità di chiarire l’esatta portata dell’art. 35, comma 1, che – in quanto concernente l’informativa resa al cliente nel conferimento dell’incarico professionale - deve ritenersi applicabile soltanto nell’ambito del rapporto di committenza con un determinato cliente.

147. L’Ordine ha eccepito che, in nessun modo, la disciplina dell’attività pubblicitaria (in particolare quella contenuta nell’art. 36, comma 1, primo periodo) possa indurre in confusione i professionisti, attesa la chiara distinzione tra informativa e pubblicità e considerato che il codice deontologico può fornire “liberamente” una definizione giuridica, vigente a livello deontologico, di pubblicità. Infatti, l’art. 35 si rivolgerebbe a comunicazioni inviate a persone determinate (per cui informativa sarebbe una pubblicità rivolta a persone determinate, secondo il codice deontologico). Ad avviso dell’Ordine, soltanto se ci si rivolge a persone non determinate, si può parlare propriamente di pubblicità. A titolo esemplificativo, l’Ordine evidenzia che una email inviata da un professionista a tutti i suoi clienti per comunicare nuove tipologie di servizi offerti si configura come un’informativa e non come un messaggio pubblicitario.

148. Ciò posto, nel giugno 2007 l’Ordine ha inviato il progetto di revisione del codice deontologico “esaminato” dal CNAPPC il 13 giugno 2007.
La nuova disciplina che il Consiglio avrebbe intenzione di approvare, contenuta nell’art. 42 rubricato “Pubblicità informativa”, appare idonea a superare alcune perplessità rilevate nel corso dell’indagine, essendo stati eliminati, oltre alle restrizioni circa i mezzi di diffusione della pubblicità posti grazie al riferimento alle nozioni di decoro e prestigio professionale, i divieti di utilizzare espressioni enfatiche e laudative; inoltre, è stato inserito, per indicare i possibili contenuti delle pubblicità dei professionisti, quanto previsto nell’art. 2 della legge Bersani.
Nello stesso senso appare apprezzabile il progetto di revisione nella parte in cui ha chiarito la portata della disciplina dell’informativa al cliente (art. 41) mediante l’eliminazione di tutti i riferimenti attinenti con il regime della pubblicità non conferenti con il contenuto dell’informativa e, perciò, idonei ad ingenerare confusione nei destinatari.

149. Nonostante la valutazione complessivamente positiva della nuova versione del progetto di nuovo codice permane, tuttavia, il problema dell’assenza di una norma che espressamente sancisca l’ammissibilità dal punto di vista deontologico della pubblicità comparativa.

150. Infine, con riferimento al comma 3 dell’art. 42, in cui si sancisce l’obbligo di utilizzare nelle pubblicità “modelli e criteri simbolici compatibili con il principio di personalità specifica”, si ritiene preferibile una disposizione che si limiti a prevedere l’obbligo di indicare nel messaggio pubblicitario il nome del professionista o almeno di uno dei soci in caso di associazione professionale.

151. Nel corso del secondo incontro svolto con il CNAPP nel giugno 2008, avente ad oggetto il progetto di revisione, si è sottolineata, in particolare, l’opportunità di chiarire che l’intervento dell’Ordine in sede di verifica della veridicità e trasparenza della pubblicità degli iscritti non possa avvenire in via preventiva e che pertanto, nell’art. 42, comma 2, del progetto dovrebbe essere previsto che il messaggio sia “verificato dall’Ordine successivamente”.

152. Nel gennaio 2009, in risposta a quanto rilevato nel corso del citato secondo incontro svolto con il CNAPP il 16 giugno 2008, il CNAPP ha comunicato che il Consiglio Nazionale il 25 giugno 2008 ha modificato l’art. 42, comma 2, del progetto di revisione, relativo al potere dell’Ordine di verificare la pubblicità degli iscritti, prevedendo, in linea con quanto richiesto nel corso dell’audizione, che “spetta all’Ordine procedere al periodico monitoraggio delle campagne pubblicitarie effettuate dagli iscritti al fine di accertare, a campione, il rispetto dei suddetti criteri”.

153. Con riferimento alla disciplina deontologica della pubblicità dei geologi, analogamente a quanto emerso in relazione al profilo tariffario, si è registrata una dura opposizione dei rappresentanti del Consiglio Nazionale in relazione alla possibilità, riconosciuta dalla legge Bersani, di pubblicizzare la propria attività professionale.
Secondo l’Ordine dei geologi, l’interpretazione restrittiva dell’art. 2 della legge Bersani troverebbe origine nella totale impossibilità di confrontare il mondo delle professioni a quello delle imprese e sarebbe dunque lecito ritenere che la lett. b) del comma 1 dell’art. 2 della legge Bersani abbia attribuito agli Ordini professionali un legittimo potere di controllo preventivo sull’utilizzo del mezzo pubblicitario.

154. A fronte di tale posizione, nel corso dell’indagine è stata sottolineata la necessità di modificare tutte le disposizioni contenute nel Codice Deontologico approvato il 28 dicembre 2006 che restringono la facoltà dei geologi, quali i divieti di pubblicità elogiativa o enfatica e di diffondere pubblicità informativa anche di tipo comparativo, nonché di prevedere una disciplina della pubblicità senza limitazioni sul contenuto (quindi anche sui compensi), sui mezzi di diffusione, in cui non fosse previsto il limite del decoro e senza alcun controllo preventivo dell’Ordine.

155. Nonostante l’Ordine dei geologi avesse manifestato una certa disponibilità a valutare possibili modifiche con particolare riferimento alle forme ed ai contenuti della pubblicità, l’esame della proposta di modifica trasmessa l’11 aprile 2007 mostra per lo più un rafforzamento delle posizioni precedentemente espresse e della base ideologica retrostante.

156. Nella bozza di nuovo codice deontologico, permane, in particolare, una sostanziale reticenza a condividere i benefici dell’utilizzo dello strumento pubblicitario e una totale chiusura rispetto all’utilizzo della pubblicità comparativa.
In relazione al primo profilo, la bozza dell’art. 14 stabilisce che “l’esercizio delle forme distintive e pubblicitarie deve svolgersi secondo metodi e misure di netta differenziazione e specifica separazione dall’ordinaria pubblicità commerciale” e lega tale prescrizione alla “tutela della dignità professionale” e alla “garanzia della qualità della prestazione”.
Quanto alla pubblicità comparativa, la bozza dell’art. 15 si limita a stabilire che “non è consentita alcuna forma, diretta o indiretta, di informazione comparativa, equivoca o fuorviante, ingannevole”. Ciò perché, secondo la relazione di accompagnamento inviata dall’Ordine, i professionisti devono attenersi ad obblighi di correttezza e di lealtà nei confronti dei colleghi; obblighi che non consentirebbero – sulla base di una visione evidentemente irrealistica ed esasperata della pubblicità comparativa – paragoni reciprocamente diminutivi, o peggio denigrativi, delle rispettive attività ed attitudini professionali.

157. L’unica modifica in senso concorrenziale è quella relativa al controllo preventivo dei messaggi pubblicitari che, nella nuova formulazione della bozza dell’art. 16 rubricato “Verifica della pubblicità”, è stato tramutato in un potere di generica “vigilanza sulla trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario”. Tale modifica appare indicare, infatti, che l’Ordine non intende procedere a controllo di tipo autorizzatorio e preventivo sulla pubblicità.

158. Il Collegio dei geometri anche sul punto concernente l’utilizzo dello strumento pubblicitario quale leva concorrenziale è risultato l’organismo di controllo deontologico maggiormente incline a condividere ed a far proprie le osservazioni formulate in merito alla necessità di adeguarsi alla novella Bersani.

159. La disciplina della pubblicità contenuta nell’art. 12 del Codice Deontologico previgente, approvato il 22 novembre 2006, non appariva compatibile con i principi a tutela della concorrenza e tanto meno con la disciplina prevista dalla legge Bersani. In particolare, si ponevano in aperto contrasto con il diritto antitrust le limitazioni circa i mezzi di diffusione della pubblicità, i richiami “all’interesse del pubblico”, nonché i possibili divieti al contenuto della pubblicità (quale il prezzo), oltre che l’obbligo di informazione tempestiva della partecipazione a interviste o collaborazioni radio-televisive. Sul punto i rappresentanti del Collegio avevano evidenziato che il divieto di pubblicità del prezzo si collegava all’esigenza di salvaguardare la qualità della prestazione; data l’assenza di standard minimi di qualità, infatti, il prezzo era ritenuto l’unico strumento per salvaguardare i livelli qualitativi delle prestazioni intellettuali.

160. Nonostante la diversa posizione iniziale del Collegio, questo ha condiviso, nella sostanza, le argomentazioni a sostegno di una modifica di tutte le disposizioni contenute nel codice deontologico ritenute potenzialmente in contrasto con i principi della concorrenza e con la legge Bersani; in particolare, tutte le disposizioni restrittive della facoltà dei geometri di utilizzare prezzi e pubblicità quali leve concorrenziali per acquisire clientela e, infine, le disposizioni che disciplinano un controllo preventivo dell’Ordine sulla diffusione di messaggi.

161. Il Collegio ha inviato, quindi, una nuova versione del codice deontologico, approvato nel maggio 2007, che mostra una totale condivisione delle indicazioni emerse nel corso dell’indagine e il pieno recepimento dei principi a tutela della concorrenza.
In particolare, la versione attualmente vigente dell’art. 12 del Codice deontologico esprime, in maniera esaustiva, la facoltà del professionista di promuovere le caratteristiche, i risultati e il compenso della prestazione professionale, nonché le proprie specializzazioni, subordinando tale facoltà esclusivamente al vincolo di trasparenza e veridicità delle informazioni rese, soprattutto con riferimento al compenso. Scompare, infine, qualsiasi potere preventivo dell’Ordine sull’utilizzo degli strumenti pubblicitari.

162. Il codice deontologico degli ingegneri, modificato in seguito all’entrata in vigore della riforma Bersani il 1° dicembre 2006, non prevede una disciplina organica delle nuove possibilità offerte in tema di utilizzo dello strumento pubblicitario, che viene menzionato, solo in negativo, tra le possibili ipotesi di illecita concorrenza.

163. Pertanto, sono state manifestate perplessità in merito all’art. 3 del codice, rubricato “rapporti con i colleghi” e sul punto sub. 3 delle “norme di attuazione del codice deontologico” nella misura in cui disciplinano – pur se indirettamente – la possibilità del professionista di promuovere la propria attività professionale.
Il quinto comma dell’art. 3 prevede infatti che “l’ingegnere si deve astenere dal ricorrere a mezzi incompatibili con la propria dignità per ottenere incarichi professionali come l’esaltazione delle proprie qualità a denigrazione delle altrui o fornendo vantaggi o assicurazioni esterne al rapporto professionale”; il punto sub. 3 delle norme di attuazione configura invece come ipotesi di illecita concorrenza l’ “abuso di mezzi pubblicitari della propria attività professionale e che possano ledere in vario modo la dignità della professione”.

164. E’ evidente che le previsioni citate possono determinare l’effetto di impedire del tutto al professionista la promozione della propria attività professionale tanto meno secondo modalità comparative, in violazione non solo della legge Bersani, ma soprattutto dei principi fondanti la disciplina a tutela della concorrenza, in quanto sembrano escludere che lo stesso possa operare in un’ottica di mercato.
È stata sottolineata, quindi, la necessità di modificare tutte le disposizioni deontologiche potenzialmente in contrasto con i principi della concorrenza e con la legge Bersani. In particolare, tutte le disposizioni che restringono la facoltà degli ingegneri di diffondere pubblicità di natura informativa anche di tipo comparativo senza qualsivoglia limitazione, quali il contenuto (compresi anche i compensi) e i mezzi di diffusione.

165. L’Ordine degli ingegneri non ha presentato alcuna proposta di modifica.

166. Per quanto riguarda il codice deontologico dei periti industriali, l’art. 19 previgente alla legge Bersani vietava l’utilizzo di mezzi pubblicitari di tipo “reclamistico” e l’art. 32 affermava che il perito industriale non dovesse servirsi di “forme pubblicitarie illecite”.
In seguito all’entrata in vigore della legge Bersani, con delibera del 2006, il Collegio dei periti industriali ha modificato l’art. 19 prevedendo che il perito industriale possa svolgere pubblicità informativa circa i titoli, le specializzazioni professionali e le caratteristiche del servizio offerto, secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario, il cui rispetto è verificato dal Collegio di appartenenza.
Tale disposizione, quindi, difformemente dal dettato legislativo di cui all’art. 2 della legge Bersani, nulla disponeva in tema di pubblicità sui prezzi e sui mezzi di diffusione.

167. I rappresentanti del Consiglio Nazionale avevano precisato che l’assenza di un’espressa previsione deontologica in tema di pubblicità sui prezzi non potesse essere intesa come divieto di pubblicizzare i compensi, dovendo invece tale tipo di pubblicità considerarsi consentita.
Nello stesso senso il Consiglio Nazionale aveva affermato che la mancata formulazione di una norma specifica con riferimento ai mezzi di diffusione della pubblicità non implicasse alcuna limitazione sull’utilizzo degli stessi. Anche il riferimento al divieto per il professionista di utilizzare “forme pubblicitarie illecite” (art. 32) dovrebbe intendersi come sollecitazione per il professionista a non pubblicizzare elementi diversi dalle caratteristiche del servizio.
Infine, i rappresentanti del Consiglio Nazionale avevano chiarito che il controllo dell’Ordine sulla pubblicità si configurasse come un controllo successivo.

168. Al fine di evitare ambiguità interpretative, nel corso dell’indagine è stata rilevata l’opportunità di inserire espressamente nel codice deontologico la previsione circa la possibilità per il professionista di pubblicizzare il compenso per le prestazioni rese, di rendere esplicito che il rispetto di tali criteri può essere verificato dal collegio di appartenenza successivamente alla diffusione del messaggio pubblicitario, nonché di sostituire l’espressione “forme pubblicitarie illecite” con l’espressione “forme pubblicitarie ingannevoli”.
Le osservazioni formulate sono state integralmente recepite nel codice deontologico che è stato modificato in tal senso.

169. L’ordinamento deontologico dei giornalisti non prevede alcuna disposizione riguardante la diffusione di pubblicità circa l’attività professionale da parte dei propri iscritti né, in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani, sono stati previsti divieti di diffondere pubblicità informativa da parte degli iscritti.

3. Sulla costituzione di società multidisciplinari


- L’indagine svolta ha rilevato come molte organizzazioni professionali abbiano mostrato una scarsa disponibilità a recepire all’interno dei propri codici deontologici le novità introdotte dalla legge Bersani, soprattutto con riferimento alla costituzione di società di natura multi-disciplinare tra professionisti.
- Come si vedrà tra breve, soltanto un numero esiguo di organizzazioni professionali ha modificato i propri codici deontologici al fine di introdurre una disciplina che tenesse conto delle previsioni della citata legge: così, i periti industriali e i geologi che espressamente hanno disciplinato la possibilità di svolgere l’attività professionale nelle forme di società di persone o di associazione professionale anche con altre figure professionali.
- Un numero circoscritto di ordini ha poi adottato circolari in cui viene fornita un’interpretazione che appare ingiustificatamente restrittiva degli ambiti di applicazione della legge Bersani anche con riferimento alle società multiprofessionali. Uno degli ostacoli alla piena attuazione delle prescrizioni della legge Bersani in tal senso sarebbe riconducibile al fatto che le forme di società di persone contemplate dal nostro ordinamento non sarebbero sufficientemente idonee a garantire la qualificazione “personale” della prestazione intellettuale (così i notai, gli architetti, i consulenti del lavoro).

170. Il codice deontologico degli avvocati contempla le società multidisciplinari all’art. 24, comma 4, stabilendo un dovere di comunicazione “senza ritardo” all’Ordine qualora si intenda procedere alla costituzione di associazioni o società professionali.
I rappresentanti del CNF hanno dichiarato che la previsione in questione è volta a consentire l’iscrizione all’albo delle società, come richiesto dalla legge.
Al fine di rendere palese che, tramite tale previsione, il CNF non intendeva ostacolare o limitare la creazione di società professionali (anche multidisciplinari), il Consiglio nazionale, in seguito alla seconda audizione svolta nell’aprile 2008, ha modificato la norma deontologica precisando nell’art. 24, comma 4, che la comunicazione all’Ordine è esclusivamente finalizzata “alla tenuta degli albi”.

171. Si ritiene tale precisazione particolarmente utile, in quanto chiarisce senza ombra di dubbio che gli avvocati che intendono avvalersi delle previsioni contenute nella legge Bersani in materia di società multidisciplinari non incontrano ostacoli di tipo deontologico.
Infatti, sul punto non si può non ricordare che la nota circolare del CNF del settembre 2006 aveva stabilito invece che, nell’ambito delle società multidisciplinari, gli avvocati avrebbero potuto svolgere soltanto attività di consulenza e non anche quelle di rappresentanza e difesa giudiziale, così limitando fortemente le opportunità offerte agli avvocati dal nuovo contesto normativo. Tale interpretazione restrittiva muoveva da una lettura, non condivisibile, del decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 96, ai sensi del quale le società composte da avvocati possono svolgere attività di rappresentanza e di difesa giudiziale. Detto decreto prevede in effetti che solo le società tra avvocati - e non anche le società aperte ad altre categorie di professionisti - possono erogare servizi che l’ordinamento riserva agli avvocati (quali le attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio). Oggi, alla luce dell’intervento normativo di cui alla legge Bersani, che ha legittimato le società multidisciplinari facendo salvo peraltro il principio della personalità della prestazione, si deve ritenere che, nell’ambito delle società multidisciplinari, solo gli avvocati – e non altri professionisti - possono assistere i clienti in giudizio.

172. Il codice deontologico dei notai non contiene alcun divieto con riguardo alle società multidisciplinari né, a seguito dell’entrata in vigore della legge Bersani, esso ha subito modifiche.
Tuttavia, con delibera del dicembre 2006, il Consiglio Nazionale del Notariato ha evidenziato alcune restrizioni con riguardo al coinvolgimento di notai nell’ambito di società multidisciplinari. In particolare, dopo aver rilevato l’esistenza di una situazione di incertezza interpretativa circa l’applicabilità all’attività notarile della legge Bersani in tema di società multidisciplinari, il Consiglio ha osservato che, anche qualora la normativa in questione fosse applicabile alla categoria notarile, dovrebbe essere garantita la terzietà e l’indipendenza del notaio. La partecipazione del notaio a società interdisciplinari dovrebbe quindi sottostare alle seguenti prescrizioni:
i) partecipazione del notaio ad una sola società multidisciplinare con oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale esclusivo così come previsto dalla legge Bersani, salvo in ogni caso il personale esercizio della pubblica funzione; ii) dovere del notaio di astenersi dall’esercizio dell’attività oltre che nei casi previsti dalla legge anche quando sia parte dell’atto uno dei soci della società interdisciplinare o loro parenti ed affini oppure sia parte di un contratto un cliente della società ovvero di altro socio della società stessa; iii) rispetto da parte del notaio nell’esercizio della propria attività in forma associata dei limiti territoriali previsti dalla legge notarile e di tutte le connesse previsioni del codice deontologico; iv) rispetto, nel caso di partecipazione di più notai ad una società multidisciplinare, del limite dell’appartenenza degli stessi allo stesso distretto, nell’osservanza dell’art. 82 della legge notarile.

173. Con riguardo alla partecipazione a società interdisciplinari, il Consiglio Nazionale ha indicato ai propri iscritti, quindi, l’adozione di criteri di prudenza sulla base delle caratteristiche e delle responsabilità della categoria, considerato, in particolare, il canone di imparzialità che informa l’attività professionale del notaio. Il Consiglio Nazionale ha auspicato, pertanto, un chiarimento da parte del legislatore al fine dell’applicabilità della stessa alla professione notarile.

174. Per quanto riguarda i consulenti del lavoro, il codice previgente prevedeva, all’art. 6, la possibilità di esercitare l’attività di consulente del lavoro in forma societaria. Tuttavia, lo stesso codice, pur contenendo una sezione dedicata ai rapporti dei propri iscritti con gli iscritti agli altri Ordini professionali (artt. 36-39), non fa alcun riferimento alle società multidisciplinari.

175. I rappresentanti del Consiglio nazionale hanno rappresentato che l’ordinamento giuridico italiano, allo stato, non consentirebbe la costituzione di società multidisciplinari tra professionisti. Ciò in quanto la legge Bersani ha abolito il divieto omettendo, tuttavia, di dettare una disciplina finalizzata ad adeguare le norme societarie al principio di professionalità specifica che ordina l’attività del professionista, ai sensi del quale quest’ultimo deve dirigere ed essere responsabile illimitatamente delle prestazioni rese. Nella bozza del nuovo codice, a tutt’oggi non approvata, si legge che “nell’esercizio a titolo individuale, associato e societario il Consulente deve ordinare la propria attività in modo che sia resa sotto la propria direzione e responsabilità in conformità al principio di personalità specifica”.

176. Da quanto riportato nel sito web www.consulentidellavoro.it, risulta che anche nel nuovo codice entrato in vigore il 2 dicembre 2008 non vi sia alcun riferimento alle società multidisciplinari.

177. Sulle società di farmacisti, come noto, la legge Bersani ha espressamente previsto, all’art. 5, la possibilità di gestire fino ad un massimo di quattro farmacie, ubicate nella medesima provincia ove la società ha sede (la disciplina precedente disponeva che le società di farmacisti potevano gestire soltanto una farmacia). La finalità di tale disciplina è quella di limitare la costituzione di catene di farmacie che potrebbero far scomparire del tutto le piccole farmacie. Tuttavia, la legge Bersani non ha modificato la previsione per cui l’oggetto sociale esclusivo della società di farmacie è la gestione delle farmacie (art. 7, comma 2 legge n. 362/1991).

178. Sul punto, l’Autorità è già intervenuta con una segnalazione (AS413 del 3 agosto 2007) in cui si è rappresentato come la previsione da ultimo richiamata non dovrebbe essere interpretata nel senso che le società di farmacie non possano assumere la titolarità degli altri esercizi autorizzati alla vendita di farmaci SOP e OTC (c.d. parafarmacie). In particolare, si è evidenziato come sarebbe singolare che il legislatore, da un lato, consenta ai singoli farmacisti di essere titolari sia di farmacie che dei nuovi esercizi (ovvero di prestare la propria attività presso entrambe le tipologie di esercizi) e, dall’altro, precluda la stessa opportunità alle società di farmacie. Tale interpretazione appare, peraltro, confortata dalla circostanza che il citato articolo 7, comma 2 della legge n. 362/1991 individua l’oggetto sociale esclusivo delle società di farmacie nella gestione di “una” farmacia, vincolo quest’ultimo che, come visto, risulta esser stato abrogato dalla legge Bersani.

179. Nella citata segnalazione dell’agosto 2007 l’Autorità ha chiarito inoltre che, benché la proposta lettura sistematica della vigente disciplina delle società di farmacisti potrebbe in sé prestarsi a risolvere le incongruenze riscontrate, sarebbe comunque auspicabile un intervento normativo che miri a scongiurare ogni discriminazione tra le prerogative riconosciute ai singoli farmacisti e quelle spettanti alle società di farmacie. In tal modo, le opportunità imprenditoriali offerte dall’attuale contesto normativo potrebbero essere prese in considerazione anche da tali ultimi soggetti giuridici, con conseguenti vantaggi per il dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali nel settore anche in termini di prezzi offerti agli utenti.

180. In merito alla disciplina deontologica applicabile ai medici e agli odontoiatri con riferimento all’utilizzo del modulo organizzativo delle società interdisciplinari, si osserva che, secondo l’art. 65 del codice deontologico, i medici devono, tra l’altro, comunicare all’Ordine ogni accordo relativo allo svolgimento dell’attività interprofessionale al fine di permettere di valutare il rispetto dei principi del decoro, della dignità e dell’indipendenza della professione.
I rappresentanti dell’Ordine hanno rilevato che con la citata previsione si intende colpire situazioni di abusivismo e di indebito esercizio della professione; peraltro, conformemente a quanto previsto dalla legge Bersani, il codice richiede l’esclusività dell’oggetto sociale.

181. Il codice deontologico degli psicologi non contiene alcuna disposizione in merito alle società professionali.

182. Il non più vigente codice deontologico dei dottori commercialisti dell’agosto 2007 disciplinava le società interdisciplinari stabilendo, all’art. 8, che “il Dottore commercialista che eserciti la professione insieme ad altri professionisti o che, per l’esercizio di un incarico, si avvalga di esperti, non necessariamente iscritti ad albi professionali, deve accertarsi che questi adottino comportamenti compatibili con le norme deontologiche contenute nel presente codice”. In tal modo, di fatto, era ammessa la collaborazione con altri professionisti anche in forma societaria.

183. Anche l’abrogato codice deontologico dei ragionieri non conteneva una disciplina specifica sulle società, limitandosi, all’art. 6, comma 2, a prevedere che il professionista dovesse rispettare le norme del codice quando sia socio o associato di società e associazioni consentite dalla legge. I rappresentanti del Consiglio Nazionale dei Ragionieri avevano precisato che, in ragione della mancanza di una completa disciplina legislativa in materia di società tra professionisti, era stato scelto un mero rinvio alle disposizioni vigenti in materia di società.

184. Il codice deontologico vigente, applicabile ai dottori commercialisti e agli esperti contabili, approvato nell’aprile 2008 in seguito all’unificazione dell’Ordine dei dottori commercialisti e del Collegio dei ragionieri, non contiene una disciplina specifica per le società di professionisti, con ciò dovendosi intendere la loro piena ammissibilità.

185. Con riferimento alla disciplina relativa alla costituzione delle società interdisciplinari da parte degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, il Consiglio Nazionale ha suggerito ai propri iscritti - mediante la diffusione della determinazione n. 1/2007 che ammette l’utilizzo delle società interdisciplinari subordinandolo al ricorrere di numerose condizioni - di adottare particolari cautele, disincentivando così l’esercizio di tale modulo organizzativo dell’attività professionale.

186. I rappresentanti dell’Ordine hanno dichiarato di essere favorevoli dal punto di vista deontologico alla costituzione di società interdisciplinari e hanno affermato che la predetta determinazione si limita a ricordare ai professionisti l’esistenza di problemi operativi “di tipo notarile” in merito alla costituzione di tali società; ciò in quanto la legge Bersani si sarebbe limitata a statuire principi senza dettare norme di attuazione.
In assenza di tali disposizioni attuative, l’Ordine rileva l’analogia con quanto già accaduto nel 1997 quando, a fronte dell’abrogazione dell’art. 2 della legge n. 1815/39, la dottrina prevalente escluse la concreta fattibilità delle società professionali.
Ad avviso dell’Ordine, il problema deriverebbe dal rispetto del principio di professionalità specifica che troverebbe fondamento nell’art. 33, comma 5, Costituzione; per cui, dinanzi ad una compagine costituita da professionisti di categorie diverse, i tipi societari del nostro ordinamento non garantirebbero che la prestazione possa essere resa dal professionista abilitato; l’assenza di tale garanzia comporterebbe la violazione del menzionato principio di professionalità specifica.

187. Tanto premesso, il nuovo progetto di codice deontologico del giugno 2007, così come il codice deontologico vigente, non contiene alcuna previsione specifica circa la costituzione di società interdisciplinari.

188. Per quanto riguarda i geologi, la questione relativa allo svolgimento della professione in forma associata è stata affrontata nell’ambito del nuovo codice deontologico dall’art. 10, recante “Le società professionali”. Il contenuto dei comma 2, 3 e 4 dell’articolo menzionato riporta, quasi pedissequamente, quanto previsto alla lett. c), comma 1, dell’art. 2 della legge Bersani.
Il geologo, infatti, può partecipare a società professionali nelle forme previste dalla legge anche di tipo interdisciplinare, aventi comunque ad oggetto l’attività libero professionale; non può partecipare, in ogni caso, a più di una società professionale. Deve essere specificato, in ogni caso, il limite di competenza professionale e di responsabilità di ciascun appartenente a gruppo, società o associazione e devono essere indicati i soci o il socio che rende la specifica prestazione professionale assumendone la relativa responsabilità.
Tale previsione, peraltro, si riflette anche sul regime della pubblicità, in relazione al quale l’art. 15 prevede che “è consentito al geologo fornire informazione a terzi sulla propria attività professionale, sulla struttura dello studio e sulla sua composizione, sulla struttura della società o dell’associazione, previa acquisizione del consenso scritto di tutti i professionisti che ne fanno parte”.

189. Il codice deontologico dei geometri non contiene alcuna disposizione in merito alle società professionali salvo quanto previsto dall’art. 21 che, nel disciplinare la facoltà del geometra di avvalersi di collaboratori o dipendenti, stabilisce che tale possibilità “non può pregiudicare la complessiva connotazione personale che deve caratterizzare l’esecuzione dell’incarico professionale” e, negativamente, che “in nessun caso il Geometra può avvalersi della collaborazione di coloro che esercitino abusivamente la professione”. Tale scelta è stata giustificata dai rappresentanti del Consiglio Nazionale con il fatto che non vi è alcuna preclusione di ordine generale all’utilizzo dello strumento societario e quindi la nuova versione del codice si limita a prendere atto della volontà del legislatore, non essendovi alcuna norma deontologica che si riferisse ad uno specifico obbligo o divieto da rimuovere.

190. Il codice deontologico degli ingegneri non contiene alcuna disposizione in merito alle società professionali multidisciplinari. Tuttavia, i rappresentanti del Consiglio, si sono impegnati a richiamare l’attenzione del Collegio sull’opportunità di modificare il codice inserendo una previsione sulla possibilità di costituire società multidisciplinari. A tutt’oggi, tuttavia, non è ancora pervenuta alcuna proposta di modifica del codice.

191. Infine, l’articolo 29 del codice deontologico dei periti industriali riprendendo i contenuti della legge Bersani, prevede che il perito industriale può svolgere la propria attività nelle forme di società di persone o di associazione professionale, le quali hanno la possibilità di fornire all’utenza anche servizi professionali di tipo interdisciplinare. L’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo.

192. L’Ordine dei giornalisti non ha previsto alcuna disciplina in materia di esercizio dell’attività professionale in forma societaria.

4. Sulla disciplina relativa ai rapporti con i colleghi e con i clienti (le ulteriori restrizioni)

- Quasi tutte le discipline deontologiche esaminate nel corso dell’indagine conoscitiva contengono disposizioni ingiustificatamente restrittive della concorrenza ulteriori rispetto a quelle analizzate nei capitoli precedenti relative alla determinazione del compenso, all’attività pubblicitaria e alla costituzione delle società multidisciplinari.
Si tratta, per lo più, di disposizioni deontologiche dal contenuto più vario, talvolta molto generico, ma ciò nondimeno alquanto perniciose per l’introduzione dei principi della concorrenza nella fornitura di servizi professionali, in quanto ingessano l’ambito di manovra degli stessi professionisti nei rapporti tra colleghi o nella ricerca dei clienti.
- Tali disposizioni confermano quanto rilevato nei precedenti capitoli, ossia che il controllo deontologico, in genere, mira ad evitare che tra i professionisti possano instaurarsi dinamiche e rapporti atti ad alterare gli equilibri esistenti tra i medesimi, attraverso previsioni che tendono ad escludere o a limitare azioni di tipo competitivo tra professionisti (così, soprattutto, gli architetti, gli ingegneri, i geologi e gli psicologi).
- La disciplina deontologica degli avvocati e dei notai contiene, infine, previsioni restrittive volte la prima ad evitare l’acquisizione di clientela con modalità ritenute in modo indeterminato non “decorose” e la seconda a tenere sotto controllo possibili disequilibri di attività tra i notai attivi nei distretti di riferimento.
- Diversamente, gli organismi deontologici rappresentativi dei farmacisti, dei geometri, dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dei periti industriali e dei consulenti del lavoro hanno emendato i rispettivi codici di condotta dalle ulteriori disposizioni restrittive, come auspicato nel corso dell’indagine.
- Degna di menzione, in particolare, la collaborazione mostrata dall’Ordine dei farmacisti che ha introdotto l’obbligo del farmacista “di informare il paziente circa l’esistenza di farmaci equivalenti”.
- L’Ordine dei giornalisti, non impone ulteriori restrizioni alla concorrenza.

193. Il codice deontologico degli avvocati contempla, all’art. 19, rubricato “Divieto di accaparramento della clientela”, una serie di condotte dirette all’acquisizione di clienti “con modi non conformi alla correttezza e al decoro”. La stessa disposizione, inoltre, contiene un’elencazione di esemplificazioni particolarmente generiche di condotte vietate. Ad esempio, i punti 3 e 4 dell’art. 19 stabiliscono il divieto di offerta di prestazioni “al domicilio degli utenti … e in generale in luoghi pubblici o aperti al pubblico” o “ad una persona determinata per uno specifico affare”. Si tratta di esemplificazioni che si prestano ad interpretazioni troppo ampie e, quindi, suscettibili di precludere agli avvocati qualsiasi iniziativa volta all’acquisizione di nuovi clienti al di fuori del proprio studio legale.
Nel corso dell’indagine è stata rilevata l’opportunità di modificare l’art. 19 al fine di restringere il più possibile la portata delle limitazioni in esso contenute. L’Ordine si era mostrato disponibile ad avviare una riflessione sulla norma citata e aveva precisato che la finalità della norma è quella di impedire le attività di procacciamento di clienti in luoghi quali ospedali ed istituti carcerari.
Come più volte rilevato, ad oggi, l’Ordine degli avvocati non ha fatto pervenire una nuova versione del codice e, quindi, l’art. 19 è rimasto immutato.

194. Il previgente codice deontologico dei consulenti del lavoro, approvato nel dicembre 2006, prevedeva, nella sezione che disciplina i rapporti con i colleghi, all’art. 27, commi 2, 3 e 4, l’obbligo di avvisare il collega prima di accettare incarichi da clienti da questi già assisiti, il divieto di acquisire clientela con “metodi sleali” e l’obbligo di evitare confronti tra colleghi sulla qualità e la tempestività delle prestazioni fornite. Nel corso del primo incontro con i rappresentanti dell’Ordine è stato evidenziato come siffatte previsioni, soprattutto se lette congiuntamente, configurano chiari inviti a limitare la concorrenza tra consulenti del lavoro.
A fronte delle suddette osservazioni, l’Ordine ha approvato una bozza di codice che contiene una norma rubricata “Concorrenza sleale” (art. 14) in cui si legge che “la concorrenza deve svolgersi secondo i principi dell’ordinamento giuridico, così come integrati dalle norme del presente Codice”.
Come indicato nel secondo incontro con l’Ordine svolto nel luglio 2008, tale articolo fornisce una serie di esemplificazioni di atti di concorrenza sleale; tra queste, si rileva come il divieto di ricorrere ad ogni mezzo che direttamente o indirettamente sia idoneo a “pregiudicare l’attività di un professionista”, per la sua genericità, potrebbe in concreto essere utilizzato per censurare qualsivoglia comportamento del Consulente del lavoro inteso ad acquisire nuova clientela.

195. Secondo quanto riportato nel sito web www.consulentidellavoro.it, risulta che dal 2 dicembre 2008 è in vigore un nuovo codice deontologico, che accoglie gli auspici formulati nel corso dell’indagine, riformulando anche l’art. 13, rubricato “Concorrenza sleale”.

196. L’art. 17 della precedente versione del codice deontologico dei notai configurava come atto di illecita concorrenza, alla lettera b), il procacciamento di clienti mediante l’enucleazione di alcune condotte e, alla lettera d), l’utilizzazione di un “ufficio secondario” nella sede di un notaio cessato, trasferito o defunto ovvero nella sede precedente del medesimo notaio.
Nel corso dell’indagine è stato osservato come l’enucleazione contenuta nell’art. 17, lettera b), potesse essere semplificata mediante l’eliminazione, in particolare, della possibilità di applicare con assoluta discrezionalità tale previsione, essendo previsto – in apertura della disposizione in esame - che costituiva atto di illecita concorrenza non solo l’utilizzo dell’opera di procacciatori di clienti ma anche “l’utilizzazione di situazioni equivalenti”.

197. Il Consiglio Nazionale ha provveduto a rivedere la disposizione in esame eliminando, nel codice deontologico attualmente in vigore, il richiamo indeterminato a “situazioni equivalenti” e prevedendo, non più in via esemplificativa, che, nell’assunzione dell’incarico, il notaio deve osservare il dovere di imparzialità (art. 31, comma 1) e che tale dovere è violato nei casi in cui il notaio “a) si serve di un terzo (procacciatore) che induca persone a sceglierlo; b) conferisce al procacciatore l’incarico, anche a titolo non oneroso, di procurargli clienti; c) tiene comportamenti non corretti atti a concentrare su di sé designazioni relative a gruppi di atti riconducibili ad una medesima fonte (es: agenzie, banche, enti, ecc.); d) consente l’inserimento del suo nome in moduli o formulari predisposti; e) si avvale della collaborazione anche non onerosa di Enti o Uffici il cui contatto con il pubblico possa favorire forme di procacciamento di clienti; f) svolge ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali, rileva a titolo oneroso lo studio notarile” (art. 31, comma 3).

198. Inoltre, nel nuovo codice deontologico è stata modificata, nel senso auspicato, la disciplina contenuta nel precedente codice che limitava significativamente la possibilità di utilizzare un ufficio secondario, dettando ora una disciplina finalizzata a garantire la diligenza del notaio nello svolgimento dell’attività professionale anche nei casi in cui questi si avvalga di uffici secondari (artt. 9 - 13).
Si precisa che il codice deontologico, prima della modifica apportata nel giugno 2007, prevedeva, al previgente art. 11, che i Consigli distrettuali, tenuto conto delle diverse situazioni locali, potessero vietare l’apertura di uffici secondari notarili in aree nelle quali la media repertoriale realizzata nell’anno precedente era inferiore alla media repertoriale del distretto.
Nel corso dell’indagine, si era osservato come tale norma, oltre a porsi in contrasto con la legge notarile nella parte in cui dispone la facoltà per il notaio di poter stipulare in tutto il territorio del distretto assegnatogli, apparisse volta a tutelare i professionisti con un volume di lavoro più esiguo rispetto a quello dei colleghi attivi nel medesimo distretto.
Come accennato, già il 28 giugno 2007, tale previsione è stata eliminata e, come detto, non è stata riproposta nel codice deontologico vigente.

199. Invece, contrariamente a quanto auspicato nel corso dell’indagine, non è stata eliminata la norma (già art. 48bis, ora art. 49) secondo cui “negli atti conservati a raccolta, pubblici o autenticati, deve essere indicata l’ora di sottoscrizione”.
A fronte della tesi sostenuta dal Consiglio Nazionale del Notariato secondo cui l’annotazione dell’orario di sottoscrizione degli atti è uno strumento di controllo della qualità delle prestazioni professionali, nel corso dell’indagine è stato osservato che la qualità dell’attività professionale notarile può essere controllata più efficacemente sulla base dei protocolli dell’attività notarile; tale modalità di controllo rappresenta, senz’altro, uno strumento meno restrittivo per assicurare standard di qualità adeguati.
Si fa presente che i protocolli dell’attività notarile, introdotti dal codice di condotta approvato nell’aprile 2008, sono espressamente finalizzati all’ “adozione di adeguate misure a garanzia della qualità della prestazione” (art. 44). In merito a tale previsione, la cui finalità non può che essere condivisa per le ragioni sopra esposte, si sottolinea tuttavia come essa si limiti a configurare come “comportamento deontologicamente scorretto” soltanto la “sistematica inosservanza dei protocolli” (enfasi aggiunta), non prevedendo peraltro specifiche sanzioni per la scorrettezza del comportamento. Al riguardo infatti il comma 2 dell’art. 44 dispone che “i consigli distrettuali esercitano la relativa vigilanza a tutela del cittadino e dell’interesse generale”.
Attesa, pertanto, l’inadeguatezza della disciplina concernente il controllo della qualità delle prestazioni professionali notarili mediante lo strumento più appropriato, ossia il rispetto dei protocolli, desta ancora maggiori perplessità la tesi del Consiglio Nazionale che considera l’annotazione dell’ora di sottoscrizione un valido strumento di controllo della qualità.

200. Infine, si fa presente che nel codice deontologico approvato nell’aprile 2008 è stato inserito tra i doveri del notaio quello di dare lettura alle parti della “scrittura privata tenuta a raccolta” salvo espresso esonero delle parti stesse, prevedendo tra l’altro che nell’autentica il notaio fa menzione della lettura o dell’esonero (art. 42, comma 2) e che “la reiterata presenza della clausola di esonero costituisce indizio di comportamento deontologicamente scorretto”.
Tale norma, avente natura deontologica, risulta difforme dalla disciplina contenuta nel codice civile relativa ai mezzi di prova nel diritto civile per cui, come noto, l’art. 2703 cod. civ. prevede che “si ha per riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato” e che l’autenticazione consiste “nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza”, previamente procedendo all’accertamento dell’identità della persona che sottoscrive.
Pertanto, nessun obbligo di lettura è previsto dal codice civile per la scrittura privata autenticata da un notaio, diversamente da quanto è imposto invece per l’atto pubblico dagli artt. 2699-2701.
Inoltre, dal punto di vista antitrust si osserva che tale previsione, sottoponendo il professionista all’obbligo, non previsto dalla legge, di dare lettura della scrittura privata tenuta a raccolta, comprima il tempo a disposizione dello stesso professionista, in tal modo contingentando la quantità dell’attività professionale notarile, riservata e spesso obbligatoria, tra gli stessi notai attivi nel medesimo distretto di riferimento, con l’effetto di ripartire la medesima attività tra gli stessi.
A fronte dell’effetto di ripartizione determinato da tale previsione, non può che esserne auspicata la soppressione.

201. Per quanto attiene al codice deontologico dei farmacisti, è stato rappresentato come la sezione relativa ai rapporti con i cittadini avrebbe dovuto prevedere, tra gli obblighi del farmacista, anche quello di dar conto agli utenti dell’eventuale esistenza di farmaci generici equivalenti a quelli richiesti, come previsto dal decreto-legge n. 87/05 (c.d. decreto Storace).
Alla luce delle suddette osservazioni, nel nuovo codice deontologico l’Ordine ha previsto, all’art. 12, comma 2, che il farmacista “è tenuto ad informare il paziente circa l’esistenza di farmaci equivalenti”.

202. Venendo alle ulteriori restrizioni previste nel codice deontologico dei medici e degli odontoiatri, si osserva che l’art. 58, rubricato “Rispetto reciproco”, prevede che il “rapporto tra medici deve ispirarsi ai principi di corretta solidarietà”.
E’ stato osservato che tale previsione potrebbe indurre erroneamente i professionisti a ritenere che, in nome dell’obbligo di solidarietà tra professionisti, possa essere annullato qualsiasi tipo di confronto tra professionisti. Tuttavia, la Federazione Nazionale non ha comunicato alcuna modifica sul punto.

203. Con riferimento alla disciplina deontologica degli psicologi si segnala che l’art. 40, comma 1, del vigente codice deontologico prevede che, “indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento della clientela”. Nonostante nel corso dell’indagine siano state sollevate perplessità in merito al contenuto di tale disposizione, volta a limitare ingiustificatamente, in assenza di alcuna tipizzazione delle condotte e di declinazione del canone della scorrettezza, la concorrenza tra professionisti nell’accesso al mercato, l’Ordine non ha ritenuto di apportarvi alcuna modifica.

204. L’abrogato codice deontologico dei dottori commercialisti conteneva alcune norme relative ai rapporti tra colleghi (artt. 10-15) che, nel loro complesso, si prestavano a disincentivare la concorrenza, posti i divieti previsti ovvero gli adempimenti richiesti in merito alle relazioni di colleganza.
In particolare, l’art. 10, comma 5, stabiliva che “il dottore commercialista non può mettersi direttamente in contatto con una parte che egli sappia essere assistita da un altro collega, senza il consenso di quest’ultimo”. Ancora, nelle ipotesi di assistenza allo stesso cliente da parte di due dottori commercialisti (art. 12), era imposto l’obbligo di accertarsi del consenso del collega (comma 1), di evitare “di stabilire contatti diretti con il cliente senza preventiva intesa con i Colleghi” e di “astenersi da iniziative o comportamenti tendenti ad attirare il cliente nella propria esclusiva sfera” (comma 4), di cessare il rapporto relativo ad una sola pratica se il cliente gli è stato indirizzato da un collega per quella pratica (comma 5).

205. I rappresentanti dell’Ordine avevano affermato che, pur comprendendo che la lettura di insieme delle norme citate si potesse prestare a essere interpretata come un tentativo di limitare la concorrenza tra dottori commercialisti, tuttavia nel caso di attività svolta congiuntamente e nel succedere ad altro dottore commercialista alcune forme di coordinamento tra colleghi sono necessarie. Ciononostante, i rappresentanti dell’Ordine si erano detti disponibili a modificare le predette previsioni al fine di prevedere forme di coordinamento finalizzate esclusivamente al migliore svolgimento congiunto della prestazione, senza subordinare la possibilità di svolgere l’incarico all’assenso del collega.
La successiva versione del codice dell’agosto 2007, pur contenendo alcune marginali modifiche sul punto, conservava disposizioni suscettibili di limitare ingiustificatamente la concorrenza tra dottori commercialisti. In particolare, l’art. 10, comma 5, continuava a prevedere che il dottore commercialista dovesse “in ogni caso astenersi da iniziative o comportamenti tendenti ad attirare il cliente assistito da altro collega nella propria esclusiva sfera” e l’art. 12, comma 3, ribadiva che, nel caso di assistenza congiunta allo stesso cliente, il dottore commercialista dovesse “evitare di regola di stabilire contatti diretti con il cliente assistito dall’altro collega, senza preventiva intesa con i colleghi”.

206. Il codice deontologico approvato nell’aprile 2008, in seguito all’unificazione dell’Ordine dei dottori commercialisti e del Collegio dei ragionieri, continuava ad impedire al professionista, nel caso di assistenza congiunta allo stesso cliente, “di stabilire contatti diretti con il cliente assistito dall’altro collega, senza preventiva intesa con i colleghi” (art. 17, comma 3).
Nel corso dell’incontro svolto con il nuovo Ordine nell’ottobre 2008 è stato evidenziato che, se la finalità della norma non è quella di limitare la concorrenza tra iscritti ma quella di impedire che i professionisti, in caso di assistenza congiunta, possano assumere iniziative o comportamenti scorretti così come sottolineato dai rappresentanti del nuovo Ordine, il medesimo principio risulta già efficacemente sancito dall’art. 15, comma 5, del nuovo codice dell’aprile 2008, in cui si afferma che “Il professionista deve, in ogni caso, astenersi da iniziative o comportamenti tendenti ad acquisire in modo scorretto un cliente assistito da altro collega”.
A fronte di tali osservazioni, il nuovo Ordine ha provveduto nel novembre 2008 a modificare il codice unificato adottato nell’aprile 2008 nel senso richiesto, abrogando cioè il comma 3 dell’art. 17.

207. La disciplina deontologica vigente applicabile agli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori contiene alcune disposizioni ingiustificatamente limitative della concorrenza come comunicato all’Ordine nel corso dell’indagine.
Così si è segnalata, in ragione della genericità derivante dal richiamo alla nozione di dignità professionale, la disposizione di cui all’art. 17, comma 1, secondo cui il “divieto di utilizzare espedienti contrari alla dignità professionale per accaparramento clientela”; si è così rilevato peraltro che il rispetto di una clausola generale, quale quella della dignità professionale, in quanto inserita in un codice deontologico, può essere utilizzata per impedire alcune forme di pubblicità ovvero per limitare l’utilizzazione di alcuni mezzi di diffusione, che invece devono ritenersi ammissibili.
Nello stesso senso l’art. 34, secondo cui “l’iscritto deve evitare ogni forma di illecita concorrenza nei riguardi dei colleghi”, per la sua perentorietà ed assenza di esemplificazioni, potrebbe limitare in modo sproporzionatole condotte economiche dei professionisti; per tale motivo nel corso dell’incontro con i rappresentanti dell’Ordine è stato auspicato di circostanziare tale disposizione mediante esemplificazioni adeguatamente chiarificatrici.
Inoltre, non appaiono giustificabili, sotto il profilo antitrust, l’art. 38 secondo cui “l’iscritto non deve compiere atti tendenti alla sostituzione di colleghi che stiano per avere o abbiano ricevuto incarichi” e l’art. 39 che impone l’obbligo di informare preventivamente il collega per l’assunzione di un incarico già affidato a quest’ultimo.
Infine, perplessità pone l’art. 51, comma 1, secondo cui la partecipazione ad un concorso è permessa soltanto se il bando è stato approvato dall’Ordine, soprattutto perché non vengono indicate le circostanze in base alle quali un bando potrebbe non essere approvato.

208. La bozza di codice deontologico, inviata nel giugno 2007 non contiene le restrizioni indicate.
Tuttavia, tale bozza ha inserito ulteriori disposizioni restrittive: si tratta dell’art. 10, comma 2, secondo cui “la concorrenza deve svolgersi […] secondo i principi stabiliti dalle norme deontologiche” e dell’art. 14, lettera d), secondo cui la concorrenza sleale può verificarsi quando il professionista fa “ricorso, diretto o indiretto, ad ogni altro mezzo idoneo a pregiudicare l’attività di un professionista”.
Con riferimento alla previsione di cui all’art. 10, comma 2, si deve notare che i principi della concorrenza si applicano ai professionisti, in quanto imprese ai sensi del diritto della concorrenza e agli organismi rappresentativi dei professionisti, in quanto associazioni di imprese; pertanto, si ritiene accettabile una disposizione deontologica secondo cui le norme deontologiche possono, tutt’al più, dare attuazione all’ordinamento comunitario e nazionale, auspicandosi quindi, nell’art. 10, comma 2, venga sostituita l’espressione “norme deontologiche che lo integrano” con l’espressione “norme deontologiche che ne danno attuazione”.
Con riguardo all’art. 14, lettera d), che sancisce un’ipotesi di “concorrenza sleale” includendovi genericamente “il ricorso, diretto o indiretto, ad ogni altro mezzo idoneo a pregiudicare l’attività di un professionista”, è stata segnalata la genericità di tale previsione ed è stato auspicato che sia espressamente previsto che il “ricorso ad ogni mezzo idoneo” debba avvenire con “un intento specifico” ovvero “dolosamente”.

209. Infine, con riguardo all’art. 25, comma 3, della bozza di codice, in cui si prevede una clausola di non concorrenza gravante sul tirocinante per un periodo di tempo irragionevolmente significativo, pari a centottanta giorni dal termine del tirocinio, si è auspicato che tale clausola sia ridotta al massimo a 90 giorni.

210. Nel gennaio 2009, in risposta a quanto rilevato nel corso del citato secondo incontro svolto con il CNAPP il 16 giugno 2008, quest’ultimo ha comunicato che il Consiglio Nazionale, il 25 giugno 2008, ha modificato l’art. 14, comma 1, del progetto di revisione, configurando come atto di concorrenza sleale “il compimento di atti preordinati ad arrecare pregiudizio all’attività dell’altro professionista”; ciò a fronte dell’auspicio formulato nel citato incontro del giugno 2008, in cui si era rilevata l’esigenza di chiarire che la condotta del professionista debba essere adottata “con intento specifico” ovvero “dolosamente”. Inoltre, il Consiglio Nazionale ha provveduto a modificare nel senso richiesto anche l’art. 10, comma 2, del progetto di revisione affermando espressamente che le norme deontologiche possono dare attuazione all’ordinamento comunitario e nazionale (e non integrare tale ordinamento, come prima previsto).
Anche in merito alla durata della clausola di non concorrenza gravante sul tirocinante, una volta concluso il periodo di tirocinio, sono stati accolti gli auspici formulati nel corso dell’indagine; la durata di tale clausola prevista nel progetto di revisione è stata ridotta a 90 giorni.

211. Tra le altre restrizioni contemplate dal codice deontologico dei geologi che, in maniera del tutto speculare alle limitazioni relative alle strategie tariffarie ed alla pubblicità, contribuiscono ad eliminare del tutto gli spazi di concorrenza tra i professionisti, figura la previsione di cui all’art. 33 rubricato “Sostituzione di un collega”. Tale norma vieta al geologo qualsiasi tentativo di “sostituirsi ai colleghi che abbiano ricevuto incarichi professionali o stiano per ottenerli”; peraltro, qualora si verifichi un’ipotesi di sostituzione, ogni professionista deve “accertare che l’incarico sia stato formalmente revocato dalla Committenza e deve darne comunicazione scritta senza ritardo al collega”.
Fa da riscontro a tale previsione, la circostanza, presa in considerazione dal successivo art. 34, secondo cui qualsiasi azione giudiziale nei confronti di un collega deve essere comunicata preventivamente al Presidente del Consiglio dell’Ordine. Tale previsione non necessita di ulteriori commenti, giacché è del tutto evidente che, così formulata ed in combinato con l’articolo precedente, essa costituisce un evidente disincentivo per il professionista a porre in essere comportamenti competitivi leciti nei confronti dei colleghi. Considerazione del tutto avallata dalla lettura dell’art. 26, ai sensi del quale non è consentito al geologo di offrire la propria prestazione personale a mezzo di procacciatori e di illecite attività di accaparramento di clientela.

212. La versione originaria del codice deontologico dei geometri prevedeva alcune disposizioni (come, ad esempio, l’art. 10 rubricato “Concorrenza sleale”) che lasciavano intendere l’esistenza di un più generale divieto di concorrenza tra i professionisti. Basti pensare al divieto di “riduzione sistematica dell’onorario”, di svolgere ”attività volta a procacciare clienti” o di utilizzare “qualunque altro mezzo scorretto o illecito volto a procurarsi la clientela in spregio al decoro e al prestigio della categoria”, comportamenti astrattamente riconducibili a fattispecie di concorrenza sleale, per rendersi conto della distanza esistente tra l’impianto generale del codice e i principi pro-concorrenziali contemplati dalla legge n. 287/1990.
Nel corso dell’indagine, i rappresentanti dell’Ordine hanno evidenziato che la principale preoccupazione a supporto delle previsioni di cui all’art. 10 era in realtà da ricondurre al rischio, non solo teorico, di comportamenti sleali tra professionisti appartenenti a branche diverse, nell’ottica di arginare fenomeni frequenti di esercizio abusivo di professioni “contigue”.

213. Anche sulle disposizioni sopra indicate l’esame della versione finale del codice deontologico trasmessa mostra una totale condivisione delle indicazioni emerse nel corso dell’indagine e il pieno recepimento dei principi a tutela della concorrenza.
Nell’art. 10, infatti, sono state eliminate tutte le possibili ipotesi che potevano fornire indicazioni fuorvianti e restrittive della concorrenza tra professionisti; in linea con le osservazioni formulate nel corso dell’indagine, l’art. 10 ora si limita a censurare “la mancata e documentata specificazione di anticipazioni, onorari e spese”, “la omissione o la emissione irregolare di fatture a fronte di prestazioni rese” e “l’impiego di qualunque altro mezzo illecito volto a procurarsi la clientela”.

214. Quanto alle ulteriori restrizioni caratterizzanti il codice deontologico degli ingegneri suscita non poche perplessità l’intero punto sub. 3 delle “Norme di attuazione del codice deontologico” nella misura in cui disciplina le ipotesi di illecita concorrenza. Portate alle estreme conseguenze, le previsioni contenute in tale articolo, in violazione non solo della riforma operata dalla legge Bersani ma soprattutto dei principi fondanti la disciplina a tutela della concorrenza, escludono che lo stesso professionista possa operare in un’ottica di mercato. Basti menzionare, a mero titolo esemplificativo, il fatto che costituirebbe un’ipotesi di illecita concorrenza qualsiasi operazione finalizzata a “sostituire un collega che stia per avere o abbia avuto un incarico professionale”.
Considerazioni analoghe valgono a proposito del punto 3.4 del codice deontologico che disciplina la facoltà del professionista di accettare un incarico già affidato ad altri. La norma non solo impone pesanti oneri di comunicazione in capo al professionista ed al cliente, ma attribuisce all’Ordine un non meglio specificato potere di valutare la “plausibilità della sostituzione” in evidente detrimento, dunque, di un auspicato regime concorrenziale di prestazione dei servizi.
Nonostante nel corso dell’indagine l’Ordine abbia manifestato una certa disponibilità a valutare possibili modifiche, con particolare riferimento alle situazioni in cui la revoca di un concorrente può dare luogo a fenomeni caratterizzati da una conflittualità molto elevata, allo stato nessuna proposta di modifica è stata trasmessa.

215. L’articolo 43 del codice deontologico dei periti industriali, che vietava ai propri iscritti di partecipare a concorsi il cui bando fosse ritenuto, dal Consiglio Nazionale o dal Collegio di appartenenza, lesivo dei diritti e del prestigio della dignità del professionista o dell’intera categoria, è stato eliminato.

5. La regolamentazione deontologica della formazione permanente

Nel corso dell’indagine, anche in ragione di alcune segnalazioni pervenute all’Autorità, si è esaminata la disciplina deontologica della formazione permanente dei professionisti sotto il profilo delle possibili restrizioni della concorrenza connesse alla promozione, organizzazione e gestione delle attività formative.
Dall’analisi delle relative discipline deontologiche emerge che, a fronte di alcune professioni per le quali è previsto un generico obbligo di aggiornamento (così geometri e geologi) ovvero la mera facoltà di partecipare a corsi di formazione (ingegneri), ve ne sono altre per le quali sono stati adottati regolamenti specifici che definiscono in modo dettagliato gli obblighi formativi, le modalità di ottenimento dei crediti, la tipologia di eventi formativi, i criteri di accreditamento dei soggetti formatori (così avvocati, consulenti del lavoro, notai, periti industriali); tali regolamenti sono adottati, talvolta, anche a livello locale dagli ordini territoriali.
Si rileva inoltre come alcuni regolamenti introducano ingiustificate restrizioni alle offerte formative di soggetti terzi (così il regolamento dell’Ordine degli avvocati di Milano e quello dei consulenti del lavoro), prevedano sanzioni disciplinari non predefinite (così i regolamenti di avvocati e notai), non individuino criteri predefiniti per l’accreditamento degli eventi offerti da soggetti formatori terzi (così consulenti del lavoro) ovvero prevedano a tal fine criteri eccessivamente generici (così avvocati).
Si evidenzia, infine, positivamente la previsione contenuta nei regolamenti di avvocati e periti industriali secondo cui è possibile ottenere l’attribuzione di crediti anche per eventi formativi che non abbiano ricevuto il previo accreditamento.
L’Autorità ha auspicato, da tempo, il rafforzamento di quelle competenze degli Ordini che vanno a beneficio della collettività e che, quindi, sono volte a salvaguardare l’etica professionale intesa come corretta esecuzione della professione. In tale ottica, si è spesso evidenziato come gli ordini dovrebbero indirizzare i propri sforzi verso iniziative volte a promuovere l’innalzamento dei livelli qualitativi delle prestazioni professionali.
Ad avviso dell’Autorità, infatti, ai fini della tutela della qualità della prestazione, le attività di promozione dell’aggiornamento dei professionisti rappresentano un mezzo assai più funzionale rispetto agli interventi regolatori volti a condizionare le scelte economiche dei professionisti (quali quelli relativi alla determinazione dei compensi o alle limitazioni delle attività pubblicitarie).
In questa prospettiva, pertanto, la previsione di un obbligo (anche deontologico) di aggiornamento non appare in sé restrittiva nella misura in cui si presta a favorire miglioramenti del livello qualitativo dei servizi offerti.
Tuttavia, l’Autorità è dell’avviso che la salvaguardia della qualità delle prestazioni non possa esaurirsi nell’imposizione dell’obbligo di partecipare ad eventi formativi, che rappresenta solo uno dei presupposti dell’adeguatezza delle prestazioni. La garanzia della corretta esecuzione della professione dovrebbe pertanto espletarsi anche tramite ulteriori strumenti intesi a tutelare più direttamente gli utenti; a tal fine, appaiono particolarmente interessanti le iniziative intraprese da alcuni Ordini (di cui si dirà più ampiamente nel prossimo capitolo), in collaborazione con le associazioni dei consumatori, aventi ad oggetto la realizzazione di sistemi di monitoraggio delle prestazioni, eventualmente anche ex post, intesi a verificare il rispetto di standard minimi nell’esercizio della professione.
Recentemente, alcuni ordini hanno adottato regolamenti dedicati specificamente alla formazione, tramite i quali è fatto obbligo agli iscritti di raggiungere un dato ammontare di crediti formativi; per acquisire tali crediti è necessario frequentare corsi previamente accreditati dagli stessi ordini. Molti ordini, poi, hanno istituito delle fondazioni il cui scopo statutario consiste proprio nell’offerta di eventi formativi.
Sul punto, si ritiene che l’eccessiva regolamentazione degli obblighi di aggiornamento dei professionisti rischi di trasformare la formazione continua in una “corsa” al raggiungimento dei crediti richiesti, senza che a ciò possa corrispondere un effettivo beneficio per gli utenti.
In questa prospettiva, l’Autorità è dell’opinione che l’obbligo di formazione dovrebbe rilevare come illecito deontologico solo ove al mancato aggiornamento corrisponda l’effettiva erogazione di prestazioni inadeguate. Sarebbe, poi, comunque auspicabile che all’inadempimento dell’obbligo formativo corrisponda una sanzione predefinita e che, in ogni caso, le sanzioni più gravi (quali la sospensione dell’attività o la radiazione dall’Albo) non siano previste per tale fattispecie.
Rispetto ai citati regolamenti sulla formazione, alcune associazioni di professionisti (in particolare, associazioni che riuniscono avvocati) hanno rappresentato la circostanza che gli ordini - nel disciplinare la formazione e proponendosi, al tempo stesso, come soggetti formatori – possano incorrere in conflitti di interesse idonei a determinare scelte discriminatorie a danno delle associazioni, delle loro offerte formative e, in ultima analisi, dell’interesse dei singoli professionisti a poter scegliere tra più offerte di percorsi formativi.
Al riguardo, l’Autorità ritiene che il ruolo di promozione della formazione debba essere esercitato dagli ordini secondo regole di organizzazione e gestione che garantiscano condizioni non discriminatorie di offerta degli eventi formativi, come si vedrà in dettaglio più avanti (cfr., infra, capitolo terzo, par. 5).

216. Il codice deontologico degli avvocati prevede, all’art. 13, il dovere deontologico di curare costantemente la propria preparazione professionale e di rispettare i regolamenti del Consiglio Nazionale Forense (CNF) e del Consiglio dell’Ordine di appartenenza “concernenti gli obblighi e i programmi formativi”. Il Regolamento sulla formazione, la cui bozza era stata predisposta nel gennaio 2007, è entrato in vigore il 1° settembre 2007, in seguito ad un confronto con ordini territoriali e associazioni forensi tenutosi nel giugno 2007. Nel contempo, il CNF ha istituito una fondazione avente quale scopo statutario la promozione e l’offerta di percorsi formativi.
In merito alla citata bozza di Regolamento, alcune osservazioni sono state svolte nel corso dell’indagine. In tale occasione si è rappresentata l’esigenza che la disciplina deontologica della formazione degli avvocati fosse conforme ai principi antitrust, in particolare sotto il profilo delle condizioni di accreditamento degli eventi formativi stabilite dai regolamenti sulla formazione.

217. Il CNF, in seguito all’incontro con ordini e associazioni e sulla scorta delle indicazioni emerse nel corso dell’audizione, ha approvato il vigente “Regolamento sulla formazione continua”, secondo cui annualmente, entro il 31 ottobre, i Consigli degli Ordini adottano un programma formativo che trasmettono, per l’approvazione, al CNF.
Tali programmi possono contenere – oltre ad eventi organizzati dai Consigli territoriali e dal CNF – anche eventi offerti da soggetti terzi rispetto alle strutture ordinistiche, purché previamente accreditati dal CNF o dai Consigli territoriali. A tal fine è previsto che i Consigli degli Ordini territoriali redigano i programmi formativi in collaborazione con le associazioni forensi e con altri enti senza fini di lucro ovvero organizzino eventi formativi con soggetti operanti con finalità di lucro (purché non ne derivi per i Consigli alcuna utilità diretta o indiretta ulteriore rispetto all’esonero dalle spese di organizzazione degli eventi).
L’accreditamento avviene valutando “la tipologia e la qualità dell’evento formativo, nonché gli argomenti trattati”. La partecipazione agli eventi formativi consente di acquisire un credito formativo per ogni ora di partecipazione, con il limite di 24 crediti per ogni singolo evento. Ogni avvocato deve realizzare nel triennio 90 crediti formativi (di cui almeno 20 per ciascun anno e almeno 15 nel triennio per eventi concernenti l’ordinamento professionale, previdenziale e la deontologia).

218. Il mancato assolvimento dell’obbligo formativo integra illecito disciplinare e la corrispondente sanzione “è commisurata alla gravità della violazione”. Inoltre, l’adempimento dell’obbligo formativo è il presupposto per la liceità della promozione da parte del singolo avvocato del “settore di attività prevalente” ai sensi dell’art. 17 bis del codice deontologico che disciplina l’ “informazione pubblicitaria”.
Integra l’assolvimento degli obblighi di formazione una serie di attività, quali lezioni nell’ambito degli eventi formativi, pubblicazioni su riviste specializzate, contratti di insegnamento in materie giuridiche, partecipazioni alle commissioni per l’esame di Stato di avvocato. In ogni caso, su richiesta dell’interessato, il Consiglio competente o il CNF possono valutare l’accreditamento di eventi non presenti nei programmi.
Infine, è previsto che gli Ordini territoriali favoriscano la formazione gratuita in modo da consentire l’adempimento dell’obbligo formativo.

219. Al fine di dare seguito a quanto previsto dal citato Regolamento, alcuni Ordini territoriali hanno provveduto a dotarsi essi stessi di propri regolamenti. Tra questi si segnala quello adottato il 18 ottobre 2007 dall’Ordine degli avvocati di Milano alla stregua del quale ogni ente organizzatore di eventi può ottenere l’accreditamento di non più di tre iniziative formative all’anno.

220. L’art. 9 del codice deontologico dei consulenti del lavoro rubricato “Dovere di competenza” prevede, tra l’altro, che il consulente ha il dovere di curare la propria preparazione professionale in conformità con quanto previsto dall’apposito Regolamento della formazione continua.
Detto Regolamento, in vigore dal 1° aprile 2006, prevede che il consulente del lavoro debba acquisire un minimo di 25 crediti formativi all’anno. Nel febbraio di ogni biennio il consulente del lavoro può auto-certificare il raggiungimento dei 50 crediti ovvero, producendo apposita documentazione, richiedere il rilascio dell’ “Attestazione del percorso di Formazione Continua”. Tale attestato da’ diritto ad utilizzare un logo che richiama l’avvenuto espletamento del percorso formativo.
Il mancato adempimento dell’obbligo formativo comporta la sanzione del biasimo con relativa annotazione nell’Albo Provinciale della mancata formazione.

221. I crediti formativi sono ottenuti mediante la partecipazione ad eventi, quali corsi di formazione, master, convegni, ovvero per attività di docenze, pubblicazioni di libri ed articoli, superamento di esami universitari. A ciascuno di tali eventi il Regolamento attribuisce un numero di crediti (ad esempio, un credito per ogni ora di partecipazione a corsi e master, due crediti per ogni ora di docenza, dieci crediti per ciascun libro pubblicato, ecc.).
E’ previsto tuttavia che la partecipazione ad eventi organizzati da soggetti terzi e validati dal Consiglio provinciale territorialmente competente può consentire di maturare fino ad un massimo del 50% dei crediti richiesti per biennio.

222. L’articolo 2 del codice deontologico dei notai prevede che “il notaio, anche a tutela dell’interesse generale, deve curare l’aggiornamento della propria preparazione professionale mediante l’acquisizione di specifiche conoscenze in tutte le materie giuridiche che la riguardano. […] Il Consiglio Nazionale stabilisce con apposito regolamento le modalità della formazione permanente obbligatoria dei notai ”.

223. Il Regolamento sulla formazione professionale permanente dei notai prevede per i notai l’obbligo di curare la propria preparazione professionale e l’inosservanza di tale obbligo costituisce illecito disciplinare. Il periodo di valutazione della formazione permanente ha durata biennale.
L’articolo 3 del Regolamento individua i soggetti che concorrono alla formazione che sono: il Consiglio Nazionale del Notariato, la Fondazione Italiana per il Notariato, i Consigli Notarili Distrettuali, i Comitati Regionali, le Scuole del Notariato nonché enti ed istituzioni pubbliche e private. Vengono quindi individuate le attività e gli eventi che possono rientrare nell’attività di formazione con l’indicazione dei crediti formativi attribuiti.

224. Inoltre, ai fini del riconoscimento dei crediti formativi professionali vengono presi in considerazione anche eventi da chiunque promossi purché rispondano ai criteri stabiliti nel citato Regolamento. In tal caso l’ente richiedente deve presentare domanda al Consiglio Nazionale del Notariato almeno quindici giorni prima della data prevista per l’inizio dell’evento da accreditare con la descrizione completa dell’iniziativa al fine di consentire al Consiglio nazionale una completa ed adeguata valutazione di tutti i profili corrispondenti ai criteri di attribuzione dei crediti formativi.
L’articolo 4 del Regolamento stabilisce i criteri per l’attribuzione da parte del Consiglio Nazionale dei crediti formativi ai singoli eventi. Tali criteri sono la natura dell’evento, la durata ossia il tempo di svolgimento dei lavori, le materie oggetto di trattazione, le modalità di trattazione degli argomenti, il numero e la qualifica dei relatori, il materiale distribuito avendo riguardo al modo in cui il materiale sarà utilizzato, alla sua pertinenza rispetto agli obiettivi e al programma dell’evento.

225. L’art. 9 del codice deontologico dei farmacisti stabilisce che la formazione permanente e l’aggiornamento sono doveri del farmacista, prevedendo altresì l’obbligo di partecipare alle iniziative formative gratuite alle quali la FOFI o l’Ordine di appartenenza abbiano previsto la partecipazione.
Quanto all’acquisizione di crediti formativi, i farmacisti, analogamente ai medici, partecipano al sistema ECM (di seguito ECM) e, quindi, hanno l’obbligo per legge di conseguire crediti secondo il sistema formativo stabilito dall’apposita Commissione Ministeriale.

226. Per quanto riguarda l’aggiornamento dei medici e degli odontoiatri l’art. 19 del codice deontologico prevede l’obbligo di aggiornamento e formazione professionale permanente. Sul punto, il legislatore ha istituito il programma di Educazione Continua in Medicina e ha costituito, per la definizione del programma ECM, la Commissione Nazionale per la formazione Continua (istituita con Decreto del Ministero della Sanità del 5 luglio 2000 e con la legge 4 aprile 2002 n. 56). Il programma è stato elaborato dalla suddetta Commissione Nazionale sentiti gli organismi federativi degli Ordini e Collegi professionali, le società scientifiche, le associazioni professionali, le organizzazioni sindacali di categoria nonché esperti del settore della formazione. Gli obiettivi formativi di interesse nazionale, individuati dalla Commissione per il quinquennio 2002/2006, sono stati definiti in un accordo sancito dalla Conferenza Stato-Regioni il 20 dicembre 2001. Il programma si attua mediante crediti formativi che il medico e l’odontoiatra devono conseguire partecipando ad eventi formativi organizzati da organismi accreditati.

227. L’articolo 5 del codice deontologico degli psicologi prevede che lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Tuttavia, il Consiglio nazionale e gli Ordini territoriali non hanno attivato un sistema di crediti formativi, in quanto partecipano al sistema ECM, che impone per legge, per la sola psicologia clinica, il conseguimento di crediti stabilito dall’apposita Commissione Ministeriale.

228. L’art. 6 dell’abrogato codice dell’Ordine dei dottori commercialisti stabiliva l’obbligo del continuo aggiornamento secondo la disciplina contenuta nel relativo Regolamento.
Per effetto del d. lgs. n. 139/05, recante “Costituzione dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell’art. della legge 34/05”, ai Consigli degli Ordini territoriali era, tra l’altro, attribuito il compito di promuovere, organizzare e regolare “la formazione professionale continua ed obbligatoria” dei propri iscritti e di “vigilare sull’assolvimento di tale obbligo”.

229. Il previgente Regolamento della formazione professionale prevedeva l’obbligo di conseguire 90 crediti formativi per triennio (con un minimo di 20 crediti per anno). Spettava agli Ordini territorialmente competenti redigere annualmente il programma degli eventi formativi da sottoporre all’approvazione del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti. Quest’ultimo provvedeva all’accreditamento dei crediti sulla base di criteri predefiniti, individuati nello stesso Regolamento (tipologia e modalità di svolgimento dell’evento formativo, durata effettiva dell’evento, argomenti trattati, qualifica dei relatori). Di norma l’attribuzione dei crediti era basata sulla durata dell’evento (per un’ora era previsto un credito); tuttavia per eventi particolari (relazioni a convegni, docenze, pubblicazioni, etc.) si faceva riferimento anche ad altri parametri, tra cui la tipologia e la modalità di svolgimento dell’evento formativo, gli argomenti trattati, la qualifica dei relatori.
Il Regolamento prevedeva che gli Ordini territoriali potessero inserire nei programmi formativi eventi organizzati da soggetti terzi (diversi dagli Ordini e dalle loro Fondazioni).
Era, inoltre, stabilito che gli ordini territoriali, in quanto “enti formatori”, avevano il compito di “favorire lo svolgimento gratuito della formazione professionale, utilizzando risorse proprie e quelle eventuali ottenibili da sovvenzioni”. A tale ultimo riguardo, nell’ambito dell’indagine conoscitiva, il CNDC aveva dichiarato di ritenere che gli eventi gratuiti offerti dagli Ordini territoriali consentissero il raggiungimento dei crediti annuali.

230. L’articolo 1, comma 1°, delle norme deontologiche dei ragionieri prevedeva che “il professionista [era] tenuto a mantenere alto il livello della propria competenza in tutte le materie professionalmente più rilevanti. A tal fine [doveva] partecipare periodicamente ai corsi di formazione professionale ed ai programmi di aggiornamento organizzati e promossi dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri. [Doveva] altresì perfezionare la propria formazione di base e dotarsi delle principali strutture di informazione specifica necessarie al corretto esercizio della professione”.

231. La formazione professionale dei ragionieri era disciplinata dal “Regolamento della formazione professionale continua dei Ragionieri commercialisti” approvato dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri in data 18 ottobre 2006 e modificato in data 10 gennaio 2007.
Il Regolamento, all’articolo 2, stabiliva che costituiscono attività di formazione professionale continua, anche se svolte all’estero, la partecipazione ad eventi formativi quali convegni, seminari, corsi, master ed eventi similari; lo svolgimento di attività formative quali relazioni in convegni, docenze; le attività di formazione a distanza e le altre attività indicate dal Consiglio Nazionale. Le attività e gli eventi formativi dovevano avere ad oggetto le materie inerenti l’attività professionale del ragioniere commercialista, le norme di deontologia e di ordinamento professionale, le procedure applicative connesse allo svolgimento dell’attività professionale.
Nel caso di attività di formazione a distanza, per ottenere l’attribuzione dei crediti formativi, erano previste idonee modalità di controllo per provare l’effettiva partecipazione all’evento dell’iscritto.
Sulla base del Regolamento, i collegi promuovevano e organizzavano le attività di formazione professionale continua e vigilavano sull’effettivo svolgimento delle stesse, realizzavano gli eventi formativi anche di concerto con altri Collegi, avvalendosi di strutture e mezzi propri (commissioni di studio, fondazioni di emanazione degli Ordini, associazioni, società cui i collegi partecipano) o conferendo apposito incarico a soggetti terzi (associazioni di categoria, istituti universitari, enti e imprese di formazione, uffici studi di enti pubblici e privati). Il soggetto incaricato dal Collegio svolgeva i singoli eventi ed opera sotto la direzione, il controllo e la responsabilità del Collegio stesso.

232. I crediti formativi erano attribuiti dai Collegi ai singoli eventi tenendo conto della tipologia e modalità di svolgimento dell’evento formativo, della sua durata, della valenza dei contenuti e della qualifica dei relatori. L’articolo 3 del Regolamento individuava poi alcune attività formative particolari, quali le relazioni a convegni, a corsi di formazione, le pubblicazioni di natura tecnico-professionale, le docenze annuali, la partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato, per ciascuna delle quali veniva indicato il credito attribuito.
Nel caso in cui gli eventi non rientravano nei casi previsti dall’articolo 3, l’attribuzione dei crediti veniva effettuata dal Consiglio Nazionale previa motivata richiesta dell’ente formatore.
L’articolo 9 del Regolamento stabiliva che il Collegio riconosceva i crediti formativi professionali agli iscritti all’Albo che partecipavano agli eventi formativi promossi dai Collegi stessi, dalla Fondazione Luca Pacioli o dal Consiglio Nazionale.

233. Il Consiglio Nazionale promuoveva e indirizzava lo svolgimento della formazione professionale continua ed assisteva i Collegi anche attraverso la Fondazione Luca Pacioli, nell’attuazione degli eventi formativi ed esercitava le proprie attribuzioni di vigilanza.
In particolare, il Consiglio Nazionale definiva l’elenco comprendente le materie professionali oggetto degli eventi formativi, favoriva l’ampliamento dell’offerta fornita dei Collegi anche attraverso lo svolgimento di eventi formativi direttamente realizzati o promossi dalla Fondazione Luca Pacioli, monitorava le attività formative svolte annualmente dai Collegi attraverso la valutazione delle relazioni annuali.

234. In seguito all’unificazione dell’Ordine dei dottori commercialisti e del Collegio dei ragionieri, il Consiglio Nazionale del nuovo Ordine ha adottato il nuovo Regolamento per la formazione professionale, posto che, ai sensi dell’art. 8, comma 5, del nuovo codice deontologico, la formazione continua costituisce un obbligo per il professionista e la partecipazione agli eventi organizzati nell’ambito del programma di formazione continua costituisce “il requisito minimo” del professionista per il mantenimento della sua competenza professionale, ma “non lo esonera dalle ulteriori attività formative rese necessarie dalla natura degli incarichi professionali assunti”. Infatti, secondo il comma 1 della medesima disposizione, “il professionista ha il dovere continuo di mantenere la sua competenza e capacità professionale al livello richiesto”.

235. Il nuovo Regolamento ricalca sostanzialmente il previgente regolamento dei dottori commercialisti; si segnala che il nuovo Regolamento prevede che la formazione continua si realizza mediante la partecipazione ad eventi inclusi nei programmi degli ordini territoriali ovvero ad eventi direttamente accreditati dal Consiglio nazionale in quanto organizzati dallo stesso o da associazioni sindacali di categoria a rilevanza nazionale ovvero da organismi di emanazione della categoria, nonché medainte lo svolgimento di attività formative individuate dallo stesso regolamento. Le materie oggetto della formazione continua sono individuate nello stesso regolamento e il relativo elenco viene aggiornato e tenuto dal Consiglio Nazionale.
L’art. 7 del Regolamento, alla lettera b, prevede che gli Ordini territoriali “favoriscono lo svolgimento gratuito della formazione professionale”.

236. Con riferimento alla formazione e all’aggiornamento degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, il Consiglio Nazionale ha inviato, il 15 giugno 2007, la nuova bozza di codice deontologico, ad oggi non ancora approvata, in cui è stato inserito, all’art. 8, un obbligo di aggiornamento del professionista, secondo il quale il professionista deve “curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando e accrescendo il sapere con particolare riferimento ai settori nei quali è svolta l’attività.
L’aggiornamento è curato per il tramite dello studio individuale e della partecipazione a iniziative di formazione. La conformità agli indirizzi adottati in materia di formazione professionale del Consiglio Nazionale è indice di corretta osservanza dei doveri di aggiornamento.”
Il codice deontologico vigente non contiene invece alcuna previsione in merito alla formazione o all’aggiornamento degli architetti, né è stato, a tal fine, adottato un Regolamento specifico.

237. Con riferimento alla formazione e all’aggiornamento dei geologi, va rilevato l’inserimento della “formazione professionale” tra i principi deontologici enunciati all’art. 5 del codice. Peraltro, la “disponibilità di mezzi e strutture per l’aggiornamento continuo” rientra tra le prescrizioni che qualificano il concetto di “decoro professionale” definito all’art. 7 del codice stesso e che, come si è già visto, continua a condizionare incisivamente il comportamento economico dei geologi.
Il successivo art. 10 contiene poi una disciplina delle attività formative stabilendo che il geologo deve “curare, perfezionare ed aggiornare costantemente la sua preparazione professionale, anche attraverso la partecipazione a corsi di formazione ed aggiornamento che rilascino certificazioni e/o attestati, nonché ad iniziative culturali, tecnico-culturali e tecnico-scientifiche, di livello nazionale e regionale, europeo ed internazionale”.

238. La formazione e l’aggiornamento dei geometri sono trattate all’art. 23 del codice deontologico secondo cui il geometra deve “svolgere la prestazione professionale […] nel pieno rispetto dello standard di qualità stabilito dal Consiglio Nazionale, sentiti i consigli dei Collegi provinciali e circondariali”. A tal fine egli deve mantenere “costantemente aggiornata la propria preparazione professionale attraverso lo svolgimento e la frequenza delle attività di informazione, di formazione e di aggiornamento secondo le modalità statuite dal Consiglio Nazionale sentiti i consigli dei Collegi provinciali e circondariali”. Peraltro, il Consiglio nazionale ha manifestato l’intenzione di adottare un Regolamento sulla formazione continua che diventerà pienamente operativo nel 2010.

239. La questione relativa alla formazione e all’aggiornamento degli ingegneri è velocemente trattata all’art. 1 punto 6 del codice deontologico secondo cui “l’ingegnere deve costantemente migliorare ed aggiornare la propria abilità a soddisfare le esigenze dei singoli committenti e della collettività per raggiungere il miglior risultato correlato ai costi ed alle condizioni di attuazione”. I rappresentanti del Consiglio Nazionale hanno fatto presente che è in corso uno studio finalizzato ad approntare dei corsi di formazione ed aggiornamento, ancorché facoltativi per i professionisti.

240. La formazione professionale dei periti industriali è disciplinata dal “Nuovo Regolamento per la formazione continua del Perito Industriale e del Perito Industriale Laureato”, deliberato dal Consiglio Nazionale il 15 dicembre 2005 in sostituzione del precedente regolamento in vigore dal 1° marzo 2004. Quest’ultimo prevedeva che la formazione venisse gestita solo dal Consiglio Nazionale, mentre il nuovo Regolamento attribuisce le funzioni di accreditamento, promozione e coordinamento delle attività formative ai Collegi provinciali.
Il nuovo Regolamento, all’articolo 2, stabilisce che le norme che regolano la formazione continua del perito industriale rispondono ad un preciso dovere deontologico. Tuttavia come chiarito nella relazione esplicativa del Regolamento, l’inosservanza dell’obbligo formativo può essere valutata dal Collegio come ipotesi di “mancanza di esercizio professionale” in considerazione della previsione della doverosità del comportamento contenuta negli articoli 7 e 9 delle “Norme di deontologia professionale”.

241. Il Consiglio Direttivo del Collegio definisce il programma degli eventi formativi di cui approva i contenuti analitici; attribuisce i relativi crediti formativi secondo le indicazioni contenute nell’articolo 3 e nell’Allegato 1 del Regolamento; vigila sull’effettivo svolgimento della formazione continua; promuove l’offerta degli eventi formativi anche in collaborazione con i soggetti formatori onde agevolarne l’accreditamento; si adopera al fine di ottenere offerte formative a condizioni economiche vantaggiose per gli iscritti; comunica l’accreditamento degli eventi di formazione programmati al Consiglio Nazionale dei Periti Industriali e dei Periti Industriali laureati ai fini dell’aggiornamento del “Registro Nazionale della formazione” (art. 8 del Regolamento).
Ogni perito industriale sceglie liberamente gli eventi formativi a cui partecipare approvati dal Consiglio Direttivo del Collegio di appartenenza o di altro Collegio. Ai fini dell’attribuzione dei crediti formativi, per il professionista che abbia frequentato un corso al di fuori di quelli approvati dal Collegio può ottenere un accreditamento ex post del corso frequentato. A tal fine il soggetto proponente deve presentare domanda corredata da idonea documentazione al Collegio.
Ai fini dell’attribuzione dei crediti formativi i periti industriali dipendenti possono sottoporre all’accreditamento del Collegio il progetto di formazione predisposto dai rispettivi datori di lavoro pubblici e privati che il Collegio valuterà conformemente a quanto stabilito dall’articolo 3 del regolamento.
L’impegno individuale formativo minimo viene valutato nell’arco di un triennio.

242. Sulla formazione e l’aggiornamento dei giornalisti, l’Ordine ha fatto presente di non avere adottato norme deontologiche che impongono un percorso di aggiornamento obbligatorio per i lavoratori autonomi e per quelli dipendenti, ma auspica una previsione in tal senso.

CAPITOLO TERZO

Necessarietà e proporzionalità delle restrizioni individuate

- Nel presente capitolo sarà valutata la restrittività, secondo i parametri della necessarietà e della proporzionalità, delle limitazioni alla concorrenza contenute nei codici deontologici esaminati ed illustrate nel capitolo precedente.
- Quindi, saranno enucleati principi e criteri ai quali l’Autorità ritiene che dovrebbero conformarsi tutti i codici deontologici affinché essi possano ritenersi conformi ai principi del diritto antitrust, nonché al dettato della legge Bersani.

1. Le restrizioni sulla determinazione del compenso

243. L’Autorità, in più occasioni, ha affermato che la fissazione di tariffe inderogabili minime o fisse costituisce un vincolo ingiustificato all’esercizio dell’attività professionale, evidenziando come le tariffe predeterminate, da una parte, non siano idonee a garantire la qualità delle prestazioni e, dall’altra, non consentano al professionista di gestire un’importante variabile del proprio comportamento economico rappresentata dal prezzo della prestazione.
Quanto alla necessarietà delle tariffe, l’Autorità ha precisato inoltre che la regolazione di un’ attività economica tramite la fissazione di tariffe può essere giustificata solo se funzionale a sopperire a fallimenti del mercato oppure a colmare lacune informative dei fruitori dei servizi. In merito alle tariffe dei servizi professionali, tali esigenze non appaiono riscontrabili essendo oggi i principali utenti di servizi professionali le imprese che costituiscono certamente una clientela qualificata. L’esistenza di asimmetrie informative, limitata ad una parte minoritaria di domanda non qualificata di servizi professionali, potrebbe semmai giustificare soltanto la previsione di tariffe massime.

244. Per quanto riguarda, in particolare, il tema della correlazione tra qualità della prestazione e obbligatorietà delle tariffe, l’Autorità intende ricordare di avere approfondito tale aspetto già nella “Relazione sull’attività svolta nel biennio 2004-2005”, nell’ambito della quale è stata messa in discussione l’esistenza di una relazione di causa/effetto tra la predeterminazione degli onorari e la qualità dei servizi prestati. E’ stato sottolineato come la qualità delle prestazioni dovrebbe essere garantita da altre misure, quali quelle che regolano le condizioni di accesso alla professione e la responsabilità professionale. In particolare, non si è ritenuto condivisibile l’argomento secondo cui la qualità sarebbe espressione del livello al quale la tariffa è fissata. Secondo questa prospettiva, infatti, la qualità risulterebbe determinata ex ante e, pertanto, ad un livello necessariamente minimo ed uniforme, già assicurato, come detto, dai meccanismi di selezione all’accesso.
La qualità deve contribuire, invece, allo sviluppo della professione e, quindi, costituire un elemento dinamico che, in quanto tale, non può che emergere ex post, al momento dello svolgimento della prestazione e dal confronto che il professionista stesso dovrebbe svolgere con prestazioni analoghe offerte dai propri concorrenti. In tal senso, pertanto, si potrebbe sostenere che qualità e tariffe uniformi sono strumenti in contraddizione tra loro, essendo la prima un elemento di differenziazione, la seconda di omologazione del servizio professionale.

245. Inoltre, si deve segnalare che, nel corso dell’indagine, alcuni organismi di controllo deontologico (tra cui, in particolare, l’Ordine notarile, il Collegio dei geometri, l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili) hanno riconosciuto espressamente l’assenza di correlazione tra qualità della prestazione e tariffa obbligatoria. Secondo gli organismi citati, infatti, la qualità della prestazione dovrebbe piuttosto essere garantita con la predisposizione di protocolli contenenti le best practice relative alle singole prestazioni professionali. Peraltro, tali protocolli possono costituire anche per i clienti un utile parametro di riferimento per valutare la prestazione del professionista.

246. A fronte della posizione dei suddetti ordini, l’indagine svolta ha rilevato, tuttavia, come sia ancora diffuso presso molti organismi di controllo deontologico il convincimento che la tariffa minima sia garanzia di qualità della prestazione.
In particolare, molti ordini (medici, ingegneri, geologi e psicologi), anche in seguito all’abrogazione dell’inderogabilità delle tariffe minime e fisse ad opera della legge Bersani, tentano di introdurre l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime mediante l’utilizzo delle nozioni di decoro o di dignità professionale, laddove si afferma che la quantificazione del compenso deve rispettare la dignità o il decoro della professione, ovvero mediante il richiamo diretto a tariffari adottati, talvolta, dall’ordine stesso senza alcuna approvazione ministeriale (così, ad esempio, l’Ordine degli psicologi).

247. In merito a tali previsioni deontologiche, l’Autorità intende sottolineare che, attesa la genericità delle nozioni di decoro e dignità professionale, il parametro di riferimento per valutare la “decorosità” del compenso richiesto è costituito dalla tariffa minima, con la reintroduzione quindi dell’obbligo di rispettare i minimi tariffari.
L’Autorità rileva, pertanto, che l’utilizzo di tali concetti giuridici indeterminati nell’ambito di codici deontologici con riferimento alla determinazione del compenso non sia giustificato sotto il profilo antitrust, considerato peraltro che sono previste sanzioni disciplinari per i professionisti che richiedono compensi non decorosi oppure non adeguati alla dignità professionale e che storicamente la nozione di decoro ha costituito il fondamento dell’inderogabilità delle tariffe minime.

248. Con riferimento ai codici che effettuano un rinvio formale all’art. 2233 cod. civ., si osserva che tale disposizione civilistica mira esclusivamente a dettare criteri per la determinazione del compenso rilevanti nei rapporti di tipo privatistico tra le parti del contratto relativo alla prestazione professionale. Pertanto, la minaccia di sanzioni disciplinari per il mancato rispetto della norma codicistica comporta un uso distorto dello stesso art. 2233, comma 2, cod. civ., in quanto tale disposizione non attribuisce all’ordine il potere di verificare la conformità del compenso al decoro professionale.

249. Con riguardo, in particolare, alla disciplina deontologica della determinazione degli onorari notarili , si evidenzia che l’Ordine notarile ha ricollegato all’esercizio della funzione pubblica l’inderogabilità delle tariffe minime per le prestazioni professionali da iscrivere nel repertorio, che costituiscono la massima parte dell’attività notarile, anche in considerazione del fatto che su tali tariffe viene determinata la tassa d’archivio equivalente al 10% dell’onorario repertoriale. Come si è visto, a sostegno di tale posizione, i rappresentanti dell’Ordine hanno richiamato una comunicazione del 16 agosto 2006 del Ministero della Giustizia, secondo la quale la tassa d’archivio costituisce una vera e propria imposta che le parti devono corrispondere all’amministrazione degli archivi notarili per il tramite dei notai sulla base dell’onorario stabilito dalla tariffa notarile per l’originale di ogni atto tra vivi soggetto a registrazione e di ogni atto di ultima volontà.
Con riguardo a tale notazione, l’Autorità rileva l’esistenza di misure meno restrittive di quella proposta dall’Ordine notarile, fondata sull’obbligatorietà delle tariffe minime idonee ad assicurare comunque il gettito proveniente dalla tassa d’archivio. In tal senso potrebbe essere istituito, ad esempio, un sistema in base al quale la misura della tassa d’archivio continua ad essere determinata in funzione percentuale al compenso liberamente pattuito, fatta salva tuttavia una soglia minima sotto la quale tale tassa non può scendere.

250. Sul tema della determinazione dei prezzi per la fornitura dei servizi notarili, l’Autorità intende richiamare l’attenzione sugli effetti della liberalizzazione introdotta in Olanda con la riforma della professione notarile del 1999, completata il 1° luglio 2003, con riguardo alle tariffe applicate agli utenti diversi dalle imprese. Come noto, tale riforma ha determinano un aumento dei prezzi di alcuni servizi relativi al trasferimento della proprietà forniti ai singoli utenti e una contestuale diminuzione dei prezzi per i servizi notarili resi alle imprese, comportando comunque, come si dirà più avanti, una contrazione media dei prezzi.
Si osserva, inoltre, come lo studio sul “Conveyancing Services Market” del dicembre 2007, condotto dal Centre of European Law and Politics (ZERP)30, abbia analizzato l’impatto economico della riforma notarile in Olanda, dimostrando mediante l’utilizzo di un paniere di servizi notarili tipici che, mentre i prezzi richiesti per i servizi legali resi ai singoli utenti sono aumentati in seguito alla riforma, tale aumento è stato più che compensato dalla contrazione dei prezzi per i servizi forniti sempre ai singoli utenti ma concernenti il trasferimento della proprietà. Per cui, in media, i singoli utenti hanno ottenuto significativi benefici dalla riforma notarile (risparmi del 30% rispetto alle tariffe applicate prima della riforma), considerati i prezzi applicati a tutti i servizi ricompresi nel paniere.
Sul punto l’Autorità rileva, peraltro, che gli effetti della liberalizzazione dovrebbero essere valutati una volta trascorso un lasso di tempo che consenta anche alla domanda che maggiormente soffre di asimmetrie informative, ossia gli utenti privi di organizzazione imprenditoriale, di disporre degli strumenti per effettuare comparazioni di prezzo tra le prestazioni professionali e soltanto quando l’abolizione del numero chiuso abbia prodotto effetti stabili31. In ogni caso, si noti che in Olanda sono stati previsti adeguamenti successivi alla riforma volti a mitigare gli effetti non favorevoli per talune categorie di utenti mediante la previsione di tariffe massime per i privati al di sotto di determinati redditi.

251. Infine, l’Autorità intende svolgere alcune osservazioni in merito alla risoluzione del Parlamento Europeo del 23 marzo 2006 sulle “Professioni legali e l'interesse generale nel funzionamento dei sistemi giuridici” che contiene, tra l’altro, l’invito alla “Commissione a non applicare le norme sulla concorrenza dell'Unione europea in materie che, nel quadro costituzionale dell'UE, sono lasciate alla competenza degli Stati membri, quali l'accesso alla giustizia, che include questioni quali le tabelle degli onorari che i tribunali applicano per pagare gli onorari agli avvocati” e sottolinea che “le tabelle degli onorari o altre tariffe obbligatorie per avvocati e professionisti legali, anche per prestazioni stragiudiziali, non violino gli articoli 10 e 81 del trattato, purché la loro adozione sia giustificata dal perseguimento di un legittimo interesse pubblico e gli Stati membri controllino attivamente l'intervento di operatori privati nel processo decisionale”.

252. A fronte di tale risoluzione che richiama, tra l’altro, il ruolo della legislazione nazionale a salvaguardia delle peculiarità delle professioni legali, l’Autorità osserva che l’art. 2 della legge Bersani, che ha abrogato l’obbligatorietà delle tariffe minime, non appare in contrasto con la prospettiva del Parlamento Europeo, in quanto esprime appunto l’intenzione e la finalità del legislatore di intervenire sull’obbligatorietà della tariffe minime e fisse. Legge Bersani la cui legittimità costituzionale, sotto i tre profili disciplinati dal sopra richiamato art. 2, è stata recentemente dichiarata dalla Corte Costituzionale italiana nella sentenza n. 443/200732, in cui è stato affermato che la disciplina dettata dall’art. 2 della legge Bersani n. 248/2006 non ha invaso illegittimamente la sfera di competenza esclusiva delle regioni, in quanto norma in cui la Corte riscontrata “la effettiva funzionalità alla tutela della concorrenza”, materia riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato di tipo trasversale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera e), Cost. in linea con quanto affermato dal giudice costituzionale nella sentenza n. 14/200433.

253. L’Autorità rileva comunque come posizioni aderenti al dettato della legge Bersani e ai principi concorrenziali siano state adottate, in seguito all’attività di advocacy svolta nel corso dell’indagine, nei codici deontologici dei geometri, dei periti industriali e dei dottori commercialisti ed esperti contabili, dando una corretta attuazione alla legge Bersani e ai principi concorrenziali.

254. Sulla base delle considerazioni sopra indicate, l’Autorità ritiene che la conformità dei codici deontologici ai principi della concorrenza e la coerenza degli stessi con il dettato legislativo di cui all’art. 2 della legge Bersani impongono che l’autoregolamentazione deontologica rispetti i seguenti criteri:
a) dovrebbe essere espressamente affermato il principio per cui i professionisti possono pattuire liberamente i compensi professionali;
b) dovrebbe essere espressamente menzionato il dettato della legge Bersani in merito all’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe; ciò almeno quando i codici deontologici rinviano all’art. 2233 cod. civ.;
c) non dovrebbe essere previsto alcun richiamo alle nozioni di decoro o dignità professionale per la determinazione del compenso dei professionisti;
d) dovrebbe essere previsto l’obbligo di presentare in forma scritta al proprio cliente il preventivo per le prestazioni professionali.

2. Le restrizioni sulla pubblicit


255. L’abrogazione dei divieti di diffusione della pubblicità informativa da parte di professionisti inseriti nei codici deontologici, sancita dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge Bersani, è il risultato anche di un lungo percorso intrapreso dall’Autorità e dalla Commissione Europea.
Sulla disciplina della pubblicità dei professionisti, come noto, l’Autorità è intervenuta più volte: il primo intervento è costituito dal documento finale relativo all’“Indagine conoscitiva sugli ordini e collegi professionali” dell’ottobre 1997, nel quale l’Autorità evidenziava l’importanza della pubblicità informativa, indispensabile per colmare parte di quelle asimmetrie informative che non consentono al consumatore di scegliere consapevolmente il servizio di cui necessita ovvero di giudicarne la qualità resa, con notevoli risparmi di costi nel reperire le informazioni necessarie. L’Autorità sottolineò i caratteri della pubblicità informativa (che deve essere fondata su elementi di fatto quali prezzi, caratteristiche, risultati), oltre alle potenzialità redistributive della pubblicità (potendo la pubblicità dei professionisti produrre effetti di redistribuzione della domanda di servizi all’interno della professione, mettendo quindi in discussione l’equilibrio all’interno della categoria professionale) e all’importanza della leva concorrenziale della pubblicità soprattutto per i giovani professionisti interessati ad accedere e ad affermarsi nell’offerta dei servizi professionali.

256. L’Autorità è tornata ad occuparsi, in via generale, dell’introduzione dei principi della concorrenza nei servizi professionali nel 2004 a seguito dell’invito della Commissione Europea, contenuto nella “Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali” del 9 febbraio 2004, di verificare la ragionevolezza delle restrizioni contenute nei codici deontologici. Così, nel biennio 2004/2005 l’Autorità ha svolto incontri con alcuni ordini professionali al fine di analizzare le restrizioni della concorrenza previste nei diversi regimi deontologici. Nella “Relazione sull’attività svolta nel biennio 2004/2005 per la promozione della liberalizzazione dei servizi professionali” del novembre 2005 si evidenziò come in Italia l’applicazione dei principi di concorrenza ai servizi professionali fosse vista con diffidenza, soprattutto da parte di alcuni organismi di controllo deontologico che faticavano a considerare l’attività dei professionisti come attività d’impresa, soggetta, quindi, alle regole della concorrenza.
In merito all’attività pubblicitaria dei professionisti, l’Autorità ricordò agli ordini che la pubblicità è uno strumento essenziale per la concorrenza e ribadì che le limitazioni all’attività pubblicitaria dei professionisti, in via generale, possono essere giustificate “soltanto se funzionali alla tutela di pubblici interessi”, precisando che il divieto di utilizzare taluni mezzi non può essere ragionevolmente ricondotto alla tutela del decoro e che la nozione di decoro non è riconducibile ad un interesse pubblico.

257. Infine, nell’audizione presso la Camera dei Deputati del marzo 200734 del Presidente dell’Autorità, è stato sottolineato che i divieti di pubblicità non appaiono giustificati dalla necessità di tutela di interessi generali e che la tutela del decoro della professione può costituire in concreto un grave ostacolo all’attività economica dei professionisti specie dei nuovi entranti nel mercato per i quali l’introduzione degli strumenti di concorrenza è maggiormente sentito. E’ stato così auspicato che nei codici deontologici sia prevista espressamente la generale liceità della pubblicità, anche di tipo comparativo, conformemente alle vigenti normative comunitarie e nazionali a tutela del consumatore.
Con riguardo all’attuazione deontologica della disciplina prevista nell’art. 2 della legge Bersani, era stato rilevato come le disposizioni deontologiche, che impongono ai professionisti la previa autorizzazione o la preventiva comunicazione per la diffusione della pubblicità, non appaiono giustificabili sotto il profilo antitrust, oltre ad essere in contrasto con l’art. 2 della legge Bersani che postula un’attività degli ordini di verifica ex post della trasparenza e veridicità dei messaggi pubblicitari, ma non di autorizzazione alla diffusione ex ante.

258. Per quanto riguarda gli interventi comunitari, si ricorda che, nella citata Relazione della Commissione del febbraio 2004, la Commissione evidenziò la necessità sia di “una pubblicità veritiera e obiettiva” in grado di aiutare effettivamente i consumatori “a superare l’asimmetria e a prendere decisioni di acquisto più informate” sia della pubblicità comparativa come “strumento di concorrenza fondamentale per le nuove imprese che fanno il loro ingresso nel mercato e per le imprese esistenti che lanciano nuovi prodotti”. La Commissione ribadì che soltanto le restrizioni proporzionali possono ritenersi accettabili; proporzionalità da valutare a) mediante l’accertamento dell’oggettiva necessarietà delle restrizioni esistenti per raggiungere un obiettivo di interesse generale chiaramente articolato e legittimo e b) mediante la verifica circa il fatto che la restrizione, una volta ritenuta necessaria, rappresenti il meccanismo meno restrittivo della concorrenza idoneo a raggiungere l’obiettivo di interesse generale.
L’importanza di definire l’interesse generale rispetto al quale deve essere valutata la necessarietà di una restrizione e l’opportunità di una regolamentazione deontologica particolarmente accurata dei servizi professionali, tale da tener conto delle specificità dei diversi mercati dei servizi professionali per individuare l’interesse generale in ciascun mercato delle prestazioni professionali, vengono sottolineate nella Comunicazione “I servizi professionali – proseguire la riforma” della Commissione Europea adottata nel settembre 2005.

259. Peraltro, deve essere segnalata la risoluzione del Parlamento Europeo del 12 ottobre 200635 in cui si ribadisce l’importanza dei servizi professionali per promuovere la competitività dell’economia europea e la necessità che le riforme da attuare nell’ambito della strategia di Lisbona includano i servizi professionali in quanto settore chiave dell’economia europea. In particolare, il Parlamento Europeo ha ribadito la fondamentale necessità di garantire anche nel settore delle libere professioni la piena applicazione delle norme del Trattato CE in materia di tutela della concorrenza e di mercato interno, invitando gli Stati membri a porre fine alle regolamentazioni speciali nel campo della pubblicità, limitandole in futuro a casi eccezionali debitamente giustificati, per consentire ai professionisti di fornire agli utenti informazioni sulle loro qualifiche, sulle specializzazioni professionali e sulle caratteristiche dei servizi offerti.

260. Trascorsi ormai più di due anni dalla citata Relazione dell’Autorità in materia di servizi professionali, l’indagine ha rivelato il permanere di una sostanziale posizione di chiusura degli organismi di controllo deontologico. Gli effetti di tale posizione sono stati riscontrati anche dalle associazioni di consumatori sentite nel corso dell’indagine che hanno sottolineato, tra l’altro, una diffusa disinformazione relativamente alle novità introdotte dalla legge Bersani da parte dei professionisti e degli utenti. Inoltre, come sottolineato dalle stesse associazioni, non risulta che lo strumento pubblicitario sia stato utilizzato in modo significativo da parte dei professionisti, con l’eccezione dei servizi medici di tipo estetico.

261. L’Autorità intende sottolineare peraltro che, nel gennaio 2007, il Giudice di pace di Genova ha presentato alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, una domanda pregiudiziale (causa C-500/06 Corporacion Dermoestetica) circa la compatibilità della disciplina giuridica italiana, contenuta nella legge n. 175/92, che limita la pubblicità informativa sui trattamenti medici-chirurgici con particolare riferimento alla possibilità di diffondere pubblicità mediche su emittenti radiotelevisive nazionali, nonché della prassi interpretativa della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici con le norme del Trattato CE (tra cui gli artt. 81 e 86 CE). Nel rinvio è stato richiesto al giudice comunitario di pronunciarsi anche sulla compatibilità tra gli artt. 3, lett. g), 4, 10, 98 e 81 del Trattato CE e la disciplina contenuta nell’art. 2 della legge Bersani nella parte in cui affida agli ordini il potere di verifica della trasparenza e veridicità della pubblicità senza indicare i parametri e i criteri per l’esercizio di tale potere.
Il 17 luglio 2008, in merito alle questioni pregiudiziali poste dal giudice italiano, la seconda sezione della Corte di Giustizia ha statuito che una normativa nazionale che determina un divieto della pubblicità medica sulle reti televisive nazionali, permettendo tuttavia di diffondere la medesima pubblicità sulle reti televisive locali, è contraria al diritto comunitario e costituisce una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. In particolare, la Corte ha ricordato che la restrizione in questione può essere giustificata qualora soddisfi quattro condizioni; ossia che non sia discriminatoria, che sia finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico, che sia proporzionale rispetto al conseguimento dello scopo perseguito e che sia necessaria per il raggiungimento dello scopo. Il giudice comunitario ha osservato che la finalità di tutela della salute, in via generale, potrebbe giustificare l’adozione di una disciplina restrittiva sulla pubblicità televisiva sui servizi professionali medici; tuttavia, il divieto oggetto della controversia (che vietava la diffusione della pubblicità sulle reti televisive nazionali ammettendola, però sulle reti televisive locali) indicava una contraddittorietà della disciplina che il Governo Italiano non ha neanche tentato di giustificare. Pertanto, la Corte ha ritenuto che la disciplina nazionale in esame non fosse idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo di tutela della salute, costituendo, pertanto, una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

262. Inoltre, sempre con riferimento alla pubblicità dei medici, si ricorda l’importante pronuncia della Corte di Cassazione (Cass., sez. III, 15 gennaio 2007 n. 65) in cui è stato affermato come l’art. 2 della legge n. 248/2006 “[abbia] abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, tra l’altro il divieto di svolgere pubblicità informativa e, di conseguenza, anche tutte le norme che limitano il diritto di porre targhe aventi appunto scopo pubblicitario”. Secondo tale sentenza, quindi, la nuova disciplina sull’attività pubblicitaria introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. b), della legge Bersani è incompatibile con tutti i divieti anche parziali di pubblicità informativa, inclusi quelli contenuti nella legge n. 175/92 concernenti la professione medica.

263. Peraltro, in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani, continuano a pervenire numerose segnalazioni che denunciano divieti, ostacoli e impedimenti di varia natura imposti da alcuni ordini territoriali ai professionisti interessati ad utilizzare lo strumento pubblicitario conformemente alla disciplina contenuta nella legge Bersani. Le denunce riguardano, in particolare, condotte di alcuni ordini territoriali degli avvocati, tra cui quello di Ivrea, di Ariano Irpino, di Milano, di Trieste, oltre all’Ordine dei Consulenti del lavoro di Brescia.

264. L’indagine ha rilevato, dunque, l’esistenza ancora oggi di discipline deontologiche che contengono restrizioni il cui fine non è quello di assicurare una gestione corretta dello strumento pubblicitario da parte dei professionisti e, quindi, di tutelare il consumatore. Così, disposizioni che limitano l’utilizzo di espressioni elogiative, enfatiche, che vietano la diffusione della pubblicità comparativa, che impongono il rispetto del decoro o della dignità professionale nella scelta del mezzo di diffusione o del contenuto stesso della pubblicità, spingendosi talvolta a non ammettere la possibilità di pubblicizzare i compensi, non svolgono altra funzione se non quella di impedire la concorrenza tra professionisti, producendo un danno soprattutto ai nuovi entranti e, quindi, proteggendo dal gioco della concorrenza i professionisti già affermati,
L’Autorità ribadisce, quindi, che l’eliminazione dai codici deontologici di tali restrizioni appare necessaria, in quanto comporterebbe un miglioramento della concorrenza tra professionisti e, di conseguenza, un vantaggio per i consumatori posto che la concorrenza incentiva la fornitura di prestazioni migliori a prezzi competitivi.

265. La necessità di conformare i codici di condotta ai principi comunitari è imposto anche dalla c.d. Direttiva Servizi (direttiva n. 123/2006), che dovrà essere attuata in Italia entro la fine del 2009, il cui art. 24 impone agli Stati membri di sopprimere “tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate” (comma 1) e di provvedere “affinché le comunicazioni commerciali che emanano dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto comunitario, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate” (comma 2) (enfasi aggiunta).
E’ di tutta evidenza che le suddette previsioni sono finalizzate all’abolizione dei divieti totali in materia di pubblicità professionale e impongono che i codici di condotta conformino al diritto comunitario la disciplina sulla pubblicità contenuta nelle rispettive disposizioni, in particolare le norme deontologiche che riguardavano l’indipendenza, la dignità, l’integrità della professione, e il segreto professionale. Esse sanciscono espressamente che, nel rispetto della specificità di ciascuna professione, le disposizioni contenute nei codici di condotta non siano discriminatorie e che eventuali divieti, che possono essere solo parziali, siano giustificati da motivi di interesse generale e siano proporzionati allo scopo di interesse generale che perseguono.
La portata di tale disposizione comunitaria è chiarita peraltro dal considerando 100 della stessa direttiva, secondo il quale “occorre sopprimere i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate, revocando non i divieti relativi al contenuto di una comunicazione commerciale bensì quei divieti che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto assoluto di pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione. Per quanto riguarda il contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali, occorre incoraggiare gli operatori del settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di condotta a livello comunitario”.

266. In una prospettiva non dissimile si muove anche il decreto legislativo n. 70/2003, di attuazione della direttiva CE 2000/31/CE, concernente la materia del commercio elettronico nel mercato interno, che, all’art. 10, sancisce che le comunicazioni commerciali elettroniche fornite da chi esercita una professione regolamentata - con esclusione dei notai o di altri professionisti che in via diretta e specifica esercitano pubblici poteri (art. 2, lettera e) - “deve essere conforme alle regole di deontologia professionale e in particolare, all'indipendenza, alla dignità, all'onore della professione, al segreto professionale e alla lealtà verso clienti e colleghi”.
Si deve notare come tale disciplina non intenda assoggettare, in via diretta, all’auto-regolamentazione la disciplina della pubblicità professionale, prevedendo, invece, che i codici di condotta regolamentino tale materia nel rispetto dei principi, non di carattere economico, suesposti. In tale ottica risulta evidente, ad esempio, che il principio di lealtà verso i colleghi non può declinarsi come divieto di concorrenza né si sostanzia come obbligo di comunicazione della sostituzione di un collega o di assunzione dell’incarico precedentemente conferito ad un altro professionista, ma implica una correttezza nei rapporti interprofessionali che non può che riassumersi nell’utilizzo di mezzi non contrari alla legge. Pertanto, con riguardo all’attività pubblicitaria dei professionisti, tale disposizione prescrive che anche le comunicazioni commerciali elettroniche siano assoggettate alla disciplina comune della pubblicità ossia al rispetto tanto della veridicità e trasparenza quanto delle condizioni della liceità della pubblicità comparativa, secondo la disciplina vigente di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206 (c.d. Codice del consumo) e al decreto legislativo 2 agosto 2007 n. 145.

267. L’Autorità intende sottolineare, inoltre, la portata innovativa della legge Bersani che ha sancito la nullità, tra l’altro, di tutte le disposizioni deontologiche che impedivano o ostacolavano l’applicazione di strumenti e regole concorrenziali da parte dei professionisti, tra cui lo strumento pubblicitario. A fronte dell’innovatività dei principi sanciti anche a livello legislativo, è auspicabile che gli ordini professionali ricordino espressamente nei propri codici deontologici tali principi.

268. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, non possono ritenersi giustificate limitazioni in merito al contenuto della pubblicità che, ad esempio, vietino – in via diretta ovvero indiretta mediante l’obbligo del rispetto di clausole generali, quali il decoro, la dignità professionale, la decenza - l’utilizzazione di espressioni laudative o elogiative oltre alla pubblicizzazione dei prezzi delle prestazioni professionali. Tali limitazioni non sono ammissibili anche nei casi in cui le prestazioni di cui si pubblicizza il prezzo siano dotate di peculiarità che le rendano difficilmente standardizzabili. Ciò in quanto la non tipicità della prestazione professionale non osta in alcun modo alla possibilità di pubblicizzare il proprio compenso anche in via indicativa, ad esempio mediante la pubblicizzazione di un massimo e di un minimo.

269. Nello stesso senso le restrizioni sui mezzi di diffusione della pubblicità - anche quelle imposte indirettamente attraverso il richiamo al rispetto dei concetti di decoro, dignità professionale o decenza - risultano prive di giustificazione alla luce dell’interesse generale prevalente di garanzia della concorrenza rispetto a quello di tutela del decoro o del prestigio della professione.

270. Parimenti, non può ritenersi ammissibile il divieto di pubblicità comparativa posto che il contenuto comparativo è tipico della pubblicità informativa e che una severa disciplina dei caratteri e delle condizioni di liceità della pubblicità di tipo comparativo sono contenuti nel Decreto Legislativo 6 settembre 2005 n. 206 (c.d. Codice del consumo) e nel Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n. 145. Pertanto, i codici deontologici dovrebbero limitarsi tutto al più a ricordare l’applicabilità del regime giuridico generale in materia di pubblicità comparativa, oltre che di pubblicità ingannevole, anche per le pubblicità relative ai servizi professionali. Sul punto si osserva che - sulla base delle indicazioni comunitarie e nazionali sopra ricordate e considerato peraltro che la legge Bersani parla espressamente di pubblicità informativa - potrebbe ritenersi al massimo che i servizi professionali non possano costituire oggetto di messaggi pubblicitari di tipo suggestivo, ossia di quei messaggi che non pubblicizzano caratteristiche dei beni o servizi, dati oggettivi, risultati, prezzi, ma si limitano a persuadere il consumatore attraverso espressioni, immagini, musiche, refrain, privi completamente di contenuto informativo e dotati invece soltanto di evocazioni di tipo emotivo o irrazionale.

271. Nel corso dell’indagine conoscitiva è emerso, inoltre, che alcuni codici deontologici analizzati hanno interpretato in modo estensivo il potere di verifica della trasparenza e veridicità della pubblicità dei servizi professionali attribuito dalla legge Bersani agli organismi di controllo deontologico, con effetti restrittivi della concorrenza. A titolo esemplificativo, si ricorda che in alcuni codici è previsto che la pubblicità venga previamente autorizzata (così, ad esempio, geologi e psicologi), mentre in altri codici è richiesta la contestuale comunicazione delle pubblicità all’ordine (così, ad esempio, i farmacisti).
In realtà, l’Autorità osserva che la legge Bersani fa espresso riferimento all’attività di “verifica” sulla trasparenza e sulla veridicità e non all’attività di autorizzazione, con ciò intendendo chiaramente che il controllo attribuito agli ordini si sostanzia in una verifica successiva alla diffusione del messaggio, senza alcuna possibilità di intervento dell’ordine in via preventiva sul messaggio stesso.
Inoltre, l’Autorità rileva che l’attribuzione agli ordini di tale potere di verifica è, in ogni caso, estraneo all’ordinamento giuridico nazionale che affida all’Autorità garante della concorrenza e del mercato il controllo, di tipo successivo, della pubblicità, che viene esercitato dal 1992 (Decreto Legislativo 6 settembre 2005 n. 206 e Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n. 145). Una duplicazione di interventi sulla pubblicità, oltre ad essere inutile, rischia di generare confusione nei destinatari potendo anche creare problemi legati a giudicati contrastanti.

272. A prescindere da considerazioni di ordine sistematico, va in questa sede rilevato come, dal punto di vista antitrust, un’autorizzazione preventiva della pubblicità da parte degli ordini limiterebbe significativamente l’utilizzo della fondamentale leva concorrenziale della pubblicità da parte dei professionisti; inoltre, tale rischio potrebbe essere rafforzato da disposizioni deontologiche che imponessero ai professionisti obblighi di comunicazione del messaggio pubblicitario in via preventiva, contestuale o successiva alla diffusione del messaggio agli ordini. Obblighi di trasmissione, anche solo contestuali o successivi, non possono, infatti, che disincentivare l’utilizzo di una leva fondamentale per la concorrenza tra professionisti come lo strumento pubblicitario.
Alla luce di tali elementi – visto, in particolare, il contenuto della disposizione della legge Bersani che menziona espressamente un potere di “verifica” di tipo successivo e considerata l’operatività del sistema pubblico di controllo sulla trasparenza e non ingannevolezza della pubblicità valido anche per i messaggi pubblicitari dei servizi professionali - secondo il diritto antitrust non sono giustificate previsioni deontologiche che impongono obblighi di trasmissione in qualunque fase (ossia preventiva, contestuale o successiva) del messaggio all’ordine.

273. Parimenti non si ritengono ammissibili le disposizioni che impongono procedure secondo cui gli iscritti possono comunque avvalersi di una valutazione preventiva e precauzionale da presentare agli ordini di appartenenza in merito alla rispondenza della propria comunicazione pubblicitaria alle norme del codice di deontologia. Tali previsioni, ancorché precauzionali, potrebbero incentivare gli iscritti ad utilizzare la via cautelativa e facilitare così l’instaurarsi di una prassi di controllo preventivo con l’effetto di restringere l’attività pubblicitaria dei medici e degli odontoiatri.
La trasmissione del messaggio pubblicitario potrebbe, invece, essere prevista per la tutela di interessi pubblici la cui preponderante rilevanza giuridica tuttavia deve essere attentamente giustificata, come nel caso della pubblicità dei servizi medici, che non dovrebbe creare bisogni artificiali di cure mediche.

274. Sulla base delle considerazioni esposte, l’Autorità ritiene che la conformità dei codici deontologici ai principi della concorrenza e la coerenza degli stessi con il dettato legislativo di cui all’art. 2 della legge Bersani impongono che l’autoregolamentazione deontologica rispetti i seguenti criteri:
a) dovrebbe essere espressamente affermato il principio per cui i professionisti, in seguito all’entrata in vigore della legge Bersani, possono diffondere pubblicità informativa concernente il servizio professionale erogato; ciò in considerazione della innovatività del dettato legislativo della legge Bersani e della disciplina particolarmente restrittiva in tema di pubblicità contenuta nei codici deontologici analizzati, peraltro asseritamente emendati in seguito alla riforma Bersani;
b) dovrebbe essere chiaramente affermata l’ammissibilità della pubblicità comparativa, soggetta alla disciplina di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2005 n. 206 e al Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n. 145;
c) dovrebbe essere precisato espressamente che la pubblicità dei professionisti può essere diffusa su qualsiasi mezzo di diffusione, non potendo, tra l’altro, essere previsto che il professionista, nella scelta del mezzo, debba rispettare principi o clausole generali, quali, ad esempio, il decoro e la dignità professionale;
d) non dovrebbe essere indicata alcuna limitazione con riguardo ai dati di fatto contenuti nelle pubblicità, non potendo, tra l’altro, essere richiesto il rispetto di clausole generali, quali, ad esempio, il decoro e la dignità professionale; in tal senso non possono essere previste, ad esempio, restrizioni nella pubblicizzazione del compenso professionale, dei risultati, dei clienti (che hanno prestato il loro consenso), né può essere vietata l’utilizzazione di espressioni elogiative e laudative, in quanto tali caratteri sono tipici di tutti i messaggi pubblicitari;
e) non dovrebbe essere imposto ai professionisti alcun obbligo di trasmissione della pubblicità professionale – in via preventiva, contestuale o successiva alla diffusione dello stesso messaggio - all’ordine; ciò anche nelle ipotesi in cui quest’ultimo sostenga che tale trasmissione è finalizzata alla verifica della trasparenza e veridicità della pubblicità, in quanto la previsione di un obbligo di trasmissione, ancorché successiva ovvero precauzionale, può disincentivare significativamente l’utilizzo di una leva importante della concorrenza tra professionisti come quella pubblicitaria;
f) posto che agli ordini è stato attribuito il potere di verifica di tipo successivo sulla trasparenza e veridicità della pubblicità (su cui cfr. infra, capitolo quarto), dovrebbe almeno essere precisata la natura successiva di tale verifica.

3. Le restrizioni sulle società multidisciplinari


275. L’articolo 2, comma 2, lettera c) della legge Bersani ha eliminato qualsiasi dubbio sull’avvenuta abrogazione dell’anacronistico divieto contenuto nella legge 23 novembre 1939 n. 181536, introdotto durante il regime corporativo e relativo alle società tra professionisti, abrogando le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone e associazioni tra professionisti, fermo restando che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.
Mediante la disposizione in esame, in altri termini, il nostro legislatore ha ritenuto che per nessuna professione sussistessero ragioni di tutela di interessi pubblici tali da vietare la costituzione di società multidisciplinari. Del resto, lo stesso giudice comunitario, nella nota sentenza Wouters - in cui si era espresso a favore della compatibilità di un regolamento emanato dall’Ordine professionale degli avvocati olandesi a ciò delegato da un’apposita legge, volto a vietare agli avvocati di tale Stato di costituire società professionali con i revisori dei conti - aveva rilevato che, in mancanza di norme comunitarie specifiche in materia, ciascuno Stato membro è, in linea di principio, libero di disciplinare l’esercizio della professione d’avvocato nel proprio territorio.

276. Ciò nonostante, si osserva in via preliminare che l’esercizio dell’attività professionale in forma societaria era un fenomeno già operante, quanto meno per alcune categorie professionali, come quelle degli ingegneri e degli avvocati che già disponevano di un’apposita disciplina.
Il legislatore, peraltro, in talune peculiari circostanze di fatto e con riferimento a settori specifici già di per sé dettagliatamente regolamentati, era giunto ad ammettere (o talune volte a richiedere tassativamente) lo svolgimento di attività di natura professionale in forma societaria.
Il comma 6 dell’art. 17 della legge n. 109/94 già menzionava, ad esempio, le “società d'ingegneria” come forme di aggregazione costituite esclusivamente tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, nelle forme delle società di persone di cui ai capi II, III e IV del Titolo V del libro quinto del codice civile e delle società di capitali di cui ai capi V, VI e VII del Titolo V del libro quinto del codice civile ovvero nella forma di società cooperative di cui al capo I del Titolo VI del libro quinto del codice civile che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di impatto ambientale.
Nella realtà, le società di engineering sono società che hanno come scopo la progettazione ed eventualmente la costruzione e la manutenzione di opere ed impianti industriali o commerciali. Queste società hanno come obiettivo di riunire in un’unica struttura societaria tutti i professionisti ed i tecnici (ingegneri, architetti, geologi, urbanisti, esperti ambientali, ect.) necessari per la realizzazione di opere e impianti industriali e commerciali, dalla fase di fornitura di prestazioni di progettazione sino al livello esecutivo, curando eventualmente anche la manutenzione. In particolare, per quanto riguarda l’attività di ingegneria industriale, che è più ampia, preparatoria ed interdisciplinare rispetto alla tradizionale attività di progettazione di ingegneria civile, il ricorso al modello societario consente al cliente di evitare l’instaurazione di una pluralità di rapporti con i singoli professionisti e tecnici permettendo di realizzare notevoli risparmi in termini di costi e di tempi.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza che ha ritenuto ammissibili le società di engineering, queste ultime rispetto alle società professionali in senso stretto, forniscono un servizio più ampio. In particolare, mentre nelle società professionali in senso stretto l’organizzazione è strumentale rispetto all’attività intellettuale, nelle società di engineering è l’attività intellettuale ad apparire strumentale rispetto all’organizzazione. In altri termini, tali società erano già considerate sostanzialmente estranee al divieto di cui alla legge del 1939, in quanto svolgenti una attività ausiliaria e rientranti nel genere delle imprese di servizi.
Da ultimo, peraltro, il Consiglio di Stato ha precisato che l’elencazione delle attività potenzialmente ricomprese nell’oggetto sociale di tali società non è da considerarsi tassativa, ampliando ulteriormente, quindi, i confini di tale facoltà già riconosciuta ai professionisti dalla norma in questione.

277. In ogni caso e indipendentemente dalla natura giuridica delle società professionali interessate, la legge quadro in materia di lavori pubblici richiede che, nel concreto, l’incarico debba essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali (art. 17, comma 8). La norma, pertanto, pur riconoscendo una generale facoltà dei professionisti di esercitare la professione in maniera associata, salvaguarda in ogni caso l’individualità della prestazione e la responsabilità personale del singolo o dei singoli professionisti incaricati.

278. Discorso in parte diverso, invece, quello concernente le società tra avvocati disciplinate dal D. Lgs. n. 96/2001. La norma, infatti, preclude la possibilità di costituire le sole società di persone tra diverse figure professionali, prescrivendo esplicitamente che tutti i soci debbano essere in possesso del titolo di avvocato. Tale norma, come si dirà più avanti, appare oggi superata dalle previsioni della legge Bersani che come noto ha abrogato “il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti” imponendo che “l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo”, che “il medesimo professionista non può partecipare a più di una società” e che “la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità”.
Tra le varie disposizioni finalizzate a costituire un regime “speciale” della società tra avvocati – oltre alla sottrazione di tali aggregazioni alla procedura fallimentare - emerge l’art. 24 del decreto citato che, in un’ottica di tutela del principio di individualità della prestazione professionale, stabilisce che l’incarico professionale conferito alla società tra avvocati può essere eseguito solo da uno o più soci in possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività professionale richiesta. Ciò sembra, peraltro, coerente con le previsioni della legge Bersani secondo cui la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.

279. A tali figure si aggiungono, infine, le società di revisione contabile e le società di intermediazione mobiliare, disciplinate dal D. Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, ed il cui oggetto, astrattamente considerato, sarebbe sicuramente da qualificare come esercizio di una attività intellettuale, prestata a favore delle società per azioni nel primo caso e, dei consumatori, nel secondo; e, tuttavia, esse sono legislativamente concepite come società.

280. Come si è detto, l’esigenza di sviluppare forme organizzative complesse è apparsa particolarmente sentita nell’ambito delle professioni tecniche, ossia di quelle professioni nelle quali, per l’adempimento dell’incarico, l’aspetto tecnico-organizzativo è prodromico ed essenziale rispetto all’elemento prestazionale umano, come anche l’esigenza di apporti di capitali.
Questo è il motivo per cui, nel corso dell’indagine conoscitiva, i rappresentanti degli organismi professionali hanno sostanzialmente accolto in maniera positiva la possibilità di procedere a tali forme di aggregazione, salvo un generale scetticismo rispetto all’idoneità della legge Bersani a risolvere, in positivo, i presunti problemi ricollegabili alla personalità della prestazione professionale e all’esigenza che questa, anche se resa nell’ambito di una compagine societaria, sia riconducibile al professionista o ai professionisti abilitati. In tale solco si inquadra anche la posizione dell’Ordine degli avvocati che circoscrive la possibile attività delle società multidisciplinari alla sola consulenza e non anche alla rappresentanza in giudizio.

281. A fronte di tale posizione solo apparentemente di apertura, tuttavia, gran parte dei codici deontologici, come si è evidenziato, hanno mancato di disciplinare tale profilo e, quindi, di assumere una posizione specifica sul punto, limitandosi a prendere atto della volontà del legislatore, non essendo presente in taluni codici analizzati alcuna norma che si riferisse ad uno specifico obbligo o divieto da rimuovere. Altri codici invece, in cui è stato recepito il dettato della legge Bersani, subordinano la possibilità di dar luogo a società multidisciplinari al ricorrere di determinate condizioni o all’adempimento di obblighi informativi non previsti dalla legge, ostacolando, in tal modo, l’effettivo utilizzo dello strumento societario.

282. L’intervenuta abrogazione ad opera della legge Bersani del divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti costituisce un significativo progresso nel processo di cambiamento della forma di esercizio delle attività professionali, in quanto, se opportunamente interpretata, la norma potrà consentire ai professionisti di scegliere tra le forme societarie attualmente disponibili quella che ritengono più congeniale all’erogazione dei propri servizi.
A tale proposito può ragionevolmente ritenersi che tutte le norme limitative della facoltà aggregativa dei professionisti, nella forma dell’associazione, delle società di persone e/o delle società di capitali per alcune figure professionali risultano ormai superate dalle previsioni della legge Bersani. In alcuni settori, in particolare quelli delle professioni tecniche, ad esempio, l’offerta di servizi interdisciplinari è già da tempo una realtà e le disposizioni della legge Bersani, in tal senso, non costituiscono altro che l’ulteriore sviluppo di un orientamento già pacifico in giurisprudenza. In altri termini, se l’individuazione delle attività ricomprese nell’oggetto sociale dall’art. 17 della legge n. 109/1994 era già considerata estensivamente dalla giurisprudenza civile ed amministrativa, è ragionevole ritenere che con l’entrata in vigore della legge Bersani le cd. società d’ingegneria possano annoverare tra i loro soci anche professionisti appartenenti a branche diverse da quelle propriamente “tecniche”.
Discorso in parte analogo per quanto concerne le società tra avvocati che, alla luce dell’art. 2 della Legge Bersani, potranno annoverare tra i loro soci, anche professionisti non in possesso del titolo di avvocato, considerato che il limite posto dall’art. 24 del D. Lgs. n. 96/2001 non può che ritenersi superato.
Peraltro, l’esigenza di salvaguardia della personalità della prestazione intellettuale anche in funzione del relativo regime di responsabilità (che rappresenta la principale preoccupazione manifestata dai rappresentanti degli ordini rispetto all’utilizzo dello strumento societario) sembra essere perseguibile attraverso la previsione esplicita di forme di responsabilità individuali del professionista incaricato – com’è nel caso dei lavori pubblici – già ampiamente riconosciute e sperimentate nel nostro ordinamento.

283. Infine, è utile considerare che non appaiono esservi ragioni per precludere l’esercizio della professione nella forma delle società di capitali, ancor più idonee alla creazione di strutture di maggiori dimensioni. Se è indubbio che le professioni intellettuali sono caratterizzate da specificità che devono essere salvaguardate, esse impongono semmai, di prevedere, attraverso l’emanazione di una disciplina organica della materia, alcune regole ad hoc che concilino la peculiarità delle professioni con le nuove esigenze che si affacciano sul mercato, in modo da consentire ai professionisti italiani di poter rispondere adeguatamente alle sfide che saranno chiamati ad affrontare nel contesto europeo.

284. Sulla base di tali considerazioni, l’Autorità ritiene che la conformità dei codici deontologici ai principi della concorrenza e la coerenza degli stessi con il dettato legislativo di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge Bersani impongano che l’autoregolamentazione deontologica rispetti il principio secondo cui, in seguito alla abrogazione del divieto contenuto nella legge 23 novembre 1939 n. 1815, i professionisti sono liberi di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare attraverso società di persone e/o di capitali o associazioni tra gli stessi. 112

4. Le restrizioni concernenti i rapporti con i colleghi e con i clienti

285. Alcuni codici deontologici analizzati contengono importanti disposizioni limitative della concorrenza tra professionisti, spesso rubricate come atti di concorrenza sleale. Si tratta, per lo più, di previsioni deontologiche che disciplinano i rapporti tra colleghi, tra cui, in particolare, la sostituzione di un professionista e la ricerca di incarichi professionali, finalizzate ad escludere o limitare qualsiasi azione di tipo competitivo o di confronto tra professionisti.
Si pensi, a titolo esemplificativo, alle previsioni che impongono oneri di comunicazione circa l’intenzione di contattare un cliente di un altro professionista, obblighi di ottenere il consenso dal professionista che ha in carico il cliente, divieti assoluti di contattare quest’ultimo; vi sono poi previsioni che vietano genericamente di svolgere attività volte a pregiudicare l’attività dei colleghi in quanto atti di concorrenza sleale ovvero che utilizzano le nozioni di decoro e dignità professionale come parametro per valutare la liceità deontologica delle condotte relative ai rapporti con i colleghi o con i clienti di questi ultimi.
Sono disposizioni alquanto insidiose ed idonee ad ostacolare significativamente l’introduzione dei principi della concorrenza nei servizi professionali; da esse emerge come il sistema ordinisitico configuri il proprio ruolo come garante dell’equilibrio tra i professionisti piuttosto che come garante della diligenza nell’esercizio della professione. In altri termini, tali disposizioni costituiscono l’espressione dell’idea spesso sottostante agli impianti ordinistici secondo cui la colleganza esclude la competizione o il confronto e la concorrenza è considerata un disvalore.

286. Nel corso dell’indagine è stato evidenziato come il confronto concorrenziale rappresenti uno strumento indispensabile per garantire il rinnovamento del settore, anche in termini di qualità e diversificazione delle offerte, per cui appare sufficiente riportare nei codici di condotta un espresso riferimento all’obbligo di astenersi dal compiere atti di concorrenza sleale senza imporre adempimenti e senza prevedere ulteriori divieti. Infatti, non desta perplessità, dal punto di vista antitrust, il richiamo nei codici deontologici alle fattispecie di concorrenza sleale in modo conforme alla disciplina civilistica; in tal senso le esemplificazioni sono auspicabili al fine di rendere edotto chiaramente il professionista dei limiti delle proprie condotte.

287. Sulla base delle considerazioni esposte, l’Autorità ritiene che la conformità dei codici deontologici ai principi della concorrenza, nella parte relativa alla disciplina dei rapporti tra colleghi anche nell’acquisizione della clientela, impone che la autoregolamentazione deontologica rispetti i seguenti criteri:
a) non dovrebbe contenere divieti ovvero imporre adempimenti ulteriori rispetto a quelli che costituiscono ipotesi di concorrenza sleale ai sensi del diritto civile;
b) non dovrebbero essere utilizzate le nozioni di decoro e dignità professionale al fine di limitare le condotte dei professionisti concernenti i rapporti tra colleghi ovvero le iniziative volte all’acquisizione della clientela.

5. Le restrizioni sulla formazione

288. Come rilevato nei precedenti capitoli, la presente indagine conoscitiva, anche su impulso di alcune segnalazioni inviate da associazioni di professionisti, ha esaminato la disciplina deontologica della formazione permanente dei professionisti e, in particolare, i regolamenti adottati in materia da alcuni consigli nazionali che prevedono l’obbligo degli iscritti di raggiungere un determinato ammontare di crediti formativi in archi temporali variabili. Di norma, tali regolamenti stabiliscono che, per acquisire tali crediti, è necessario frequentare corsi previamente accreditati dagli ordini; inoltre, alcuni ordini hanno istituito proprie fondazioni aventi quale scopo statutario l’offerta di eventi formativi; ai soggetti formatori diversi dagli ordini e dalle fondazioni di emanazione degli ordini stessi è data la possibilità di offrire eventi ai professionisti ai fini del raggiungimento dei crediti richiesti, a condizione che tali eventi siano stati previamente accreditati dagli ordini.

289. La materia della formazione dei professionisti, sotto il profilo antitrust, presenta una prima problematicità nelle ipotesi in cui un ordine, nell’imporre per via deontologica l’obbligo di formazione, riservi a sé la gestione degli eventi formativi ovvero nel caso in cui l’ordine attribuisca alla propria fondazione vantaggi concorrenziali rispetto ad organizzatori terzi di eventi (ad esempio, adottando, in sede di accreditamento, trattamenti differenziati per gli eventi offerti da terzi ovvero decidendo arbitrariamente l’attribuzione o meno dei crediti a tali eventi).
In siffatte ipotesi, si assiste, infatti, alla creazione di riserve di attività nel settore dei servizi professionali (che peraltro, nella specie, gli ordini si verrebbero ad auto-attribuire) o, comunque, all’adozione di condotte idonee a restringere l’accesso al mercato della formazione da parte di soggetti diversi dagli ordini e dalle proprie fondazioni, con conseguente limitazione dell’offerta di eventi formativi, a svantaggio dei professionisti e degli stessi utenti dei servizi professionali.
In questa prospettiva, nel disciplinare sul piano deontologico la formazione dei professionisti, gli ordini dovrebbero opportunamente considerare l’esigenza di scongiurare il rischio della creazione di percorsi formativi “chiusi”, nell’ambito dei quali l’offerta provenga esclusivamente o prevalentemente dalle strutture ordinistiche, ponendo, in particolare, le condizioni affinché i sistemi formativi contemplino offerte di eventi provenienti da più soggetti. In questo modo, ai professionisti verrebbe garantita l’opportunità di scegliere le proposte formative che più si adattano alle proprie esigenze e la scelta ‘consapevole’ dei percorsi di aggiornamento si tradurrebbe in maggiori benefici per i consumatori, in termini di qualità dei servizi offerti.

290. Per quanto attiene alla posizione delle associazioni di professionisti, l’Autorità è dell’avviso che non dovrebbe sussistere alcun ostacolo alla coesistenza tra offerte formative gestite dagli ordini e quelle che provengono da associazioni professionali (incluse le 115 associazioni che raggruppano professionisti iscritti agli ordini) ovvero quelle organizzate da formatori terzi. Anzi, l’eventuale sviluppo della concorrenza tra soggetti formatori non potrà che favorire la diversificazione dell’offerta a vantaggio degli utenti.
Potrebbe infatti risultarne incentivata la dinamicità del mercato della formazione, ad opera degli stessi professionisti chiamati a premiare gli eventi che ritengono più qualificanti. Come detto, la scelta ‘consapevole’ dei percorsi formativi non può che ripercuotersi positivamente sui clienti dei professionisti.

291. In questa prospettiva, l’Autorità auspica che i compiti di promozione della formazione siano esercitati dagli ordini secondo regole di organizzazione e gestione che garantiscano condizioni non discriminatorie di offerta degli eventi formativi. A tal fine, sarebbe opportuno che la disciplina della formazione venga improntata ai seguenti principi:
a) predisporre criteri oggettivi, non discriminatoti e predefiniti che consentano di accreditare tutti gli eventi proposti da soggetti terzi rispetto alle strutture ordinistiche che soddisfino questi criteri;
b) dare adeguata pubblicità della possibilità di essere inseriti nei programmi formativi degli ordini; ad esempio, sul sito internet degli ordini potrebbe essere indicato il termine entro il quale ogni anno i soggetti che vogliano proporre l’inserimento del proprio evento nel programma formativo devono presentare richiesta in tal senso;
c) non limitare il numero dei crediti ottenibili tramite la partecipazione ad eventi organizzati da soggetti terzi rispetto alle strutture ordinistiche;
d) prevedere la possibilità di ottenere crediti per la partecipazione ad eventi non presenti nel programma formativo, previa valutazione dell’idoneità dell’evento stesso da parte dell’ordine;
e) nel contempo, gli ordini, in coerenza con la loro missione di enti preposti a garantire la qualità dei servizi professionali, dovrebbero offrire un numero di eventi gratuiti tali da consentire il raggiungimento dei crediti necessari per assolvere all’obbligo formativo.

292. Un ulteriore aspetto problematico connesso alla disciplina della formazione ad opera degli ordini concerne il rischio di utilizzo distorto della potestà deontologica in tale materia a danno dei concorrenti dei professionisti che siedono negli organi direttivi degli ordini stessi. A questo riguardo, si è già rilevato che - nei casi in cui la mancata formazione è sanzionata deontologicamente - all’inadempimento dell’obbligo formativo dovrebbe perlomeno corrispondere una sanzione predefinita (la quale, peraltro, non dovrebbe coincidere con le sanzioni più gravi, quali la sospensione dell’attività o la radiazione dall’albo).

293. Più in generale, si è osservato come la soluzione preferibile è che l’obbligo di formazione rilevi come illecito deontologico solo ove al mancato aggiornamento corrisponda l’effettiva erogazione di prestazioni inadeguate. Ciò anche al fine di evitare che l’eccessiva regolamentazione della materia – riscontrata con riguardo ad alcuni ordini - conduca ad una “corsa” al raggiungimento dei crediti richiesti, senza che a ciò possa corrispondere un concreto beneficio per gli utenti.
Benché, infatti, ai fini della tutela della qualità della prestazione, le attività di promozione dell’aggiornamento dei professionisti rappresentino un mezzo assai più funzionale rispetto agli interventi volti a condizionare le scelte economiche dei professionisti, la salvaguardia della qualità delle prestazioni non può esaurirsi nell’imposizione dell’obbligo di partecipare ad eventi formativi, che rappresenta solo uno dei presupposti dell’adeguatezza delle prestazioni.

294. E’ in questo senso che l’Autorità auspica un ricorso più diffuso da parte delle strutture ordinistiche ad iniziative e strumenti intesi a tutelare direttamente gli utenti. In particolare, sono auspicabili sistemi di monitoraggio delle prestazioni, possibilmente anche ex post, volti a verificare il rispetto di standard minimi nell’esercizio della professione.
Nel corso dell’indagine si è riscontrato che solo un numero limitato di ordini ha assunto iniziative in tal senso. Si tratta, in particolare, del progetto del Consiglio Nazionale del Notariato e del Consiglio Nazionale dei Geometri di adottare protocolli contenenti le best practice relative a singole prestazioni. Tali progetti prevedono l’individuazione degli adempimenti necessari per il corretto espletamento di una data prestazione; ovviamente, non si tratta di prescrivere nel dettaglio come il professionista debba svolgere il proprio lavoro. Esistono però, soprattutto nel caso delle prestazioni maggiormente standardizzate, una serie di attività che sono imprescindibili ai fini dell’erogazione di una prestazione adeguata e che, quindi, i professionisti dovrebbero essere tenuti ad effettuare.
Peraltro, tali best practices si prestano a costituire un punto di riferimento anche per gli utenti che, tramite le stesse, verrebbero messi in condizione di verificare che le prestazioni richieste siano svolte secondo canoni predefiniti.

295. Un’altra esperienza da segnalare concerne la redazione da parte dell’Ordine degli psicologi di una Carta dei diritti dell’utente predisposta con la collaborazione di diverse associazioni di consumatori, le quali, nel corso dell’indagine, hanno espresso giudizi estremamente positivi sull’iniziativa e sui benefici derivabili dalla stessa agli utenti di servizi professionali.
Tale documento mira a tutelare il diritto del consumatore alla trasparenza, sotto il profilo della verifica delle competenze e qualifiche del professionista a cui si rivolge e in relazione ai prezzi e alle condizioni alle quali la prestazione viene offerta. La partecipazione delle associazioni di consumatori all’iniziativa è un elemento di sicura novità, suscettibile di attenuare i possibili conflitti di interessi in cui possono incorrere gli ordini allorché individuano competenze e obblighi dei professionisti di cui sono emanazione. Il fatto che nella redazione di un documento riguardante il rapporto che si instaura tra professionista e consumatore le parti coinvolte siano state entrambe rappresentate da enti esponenziali della categoria cui appartengono (ordine e associazioni di consumatori) ha consentito, invece, di porre su un piano paritario gli interessi in gioco.

296. Appare, pertanto, auspicabile che anche gli altri ordini si adoperino al fine di istituire sistemi di promozione e controllo della qualità delle prestazioni.
Evidentemente simili iniziative non costituiscono una prerogativa degli ordini; sarebbe, anzi, auspicabile che anche le Associazioni di professionisti si facciano promotrici di interventi di modernizzazione dell’esercizio della professione che, in quanto idonei a ridurre le asimmetrie informative che caratterizzano il settore, contribuiscono anche a far emergere i professionisti più meritevoli.

297. In conclusione, se il professionista è vincolato al rispetto di standard qualitativi minimi e, al tempo stesso, gli utenti sono messi in condizione di confrontare le offerte dei professionisti, sarà più difficile e meno conveniente erogare prestazioni di bassa qualità. Peraltro, in un contesto di accentuata trasparenza, i timori tradizionalmente espressi dalla categoria circa l’idoneità della competizione tra professionisti ad incidere negativamente sulla qualità della prestazione verrebbero definitivamente fugati.

CAPITOLO QUARTO

Le restrizioni di fonte normativa: ulteriori esigenze di riforma

1. L’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe

298. Secondo il diritto antitrust, come più volte ribadito, i prezzi fissi o minimi rappresentano l’esempio più evidente di restrizione della libera concorrenza che non trova alcuna giustificazione nella tutela di interessi generali; al contrario, prezzi uniformi, in quanto scoraggiano confronti concorrenziali tra gli appartenenti alla medesima categoria, si prestano a svantaggiare gli utenti.
Le peculiarità dei servizi professionali, in relazione ai quali appare di tutta evidenza la difficoltà per l’utente di individuare la prestazione di cui necessita e di giudicarne la congruità, suggeriscono invece che le uniche tariffe a tutela dei consumatori di questi servizi potrebbero essere, eccezionalmente, quelle massime, di cui, peraltro, la riforma Bersani non ha abrogato l’obbligatorietà.

299. Nel corso dell’indagine conoscitiva è emerso che le resistenze mostrate da alcuni ordini professionali rispetto all’affermazione del principio fondamentale in un’economia di mercato efficiente, secondo cui il prezzo dei servizi è stabilito d’intesa tra le parti, vengono ricondotte alla mancata abrogazione ad opera della legge Bersani delle tariffe minime o fisse; mentre, l’obbligo di rispettare le tariffe minime o fisse trova il suo fondamento, principalmente, nel rispetto del decoro o della dignità professionale, sancito in molti codici deontologici specificamente con riguardo alla determinazione dei compensi da parte dei professionisti.

300. E’ noto che il testo originario del decreto legge Bersani, prima della conversione in legge, prevedeva che fossero oggetto di abrogazione le stesse norme che stabiliscono tariffe fisse o minime e non soltanto quindi l’obbligatorietà delle stesse. Anche su tale ridimensionamento della riforma fanno oggi leva alcune categorie professionali per attenuarne la portata innovatrice.
Così, nel corso dell’indagine, i rappresentanti dell’Ordine forense hanno chiaramente affermato che le tariffe continuerebbero a rappresentare un valido parametro per valutare la proporzionalità del compenso richiesto, precisando che il giudice può farvi riferimento in sede di liquidazione giudiziale del compenso, con la conseguenza che anche l’Ordine, che è chiamato a dare un parere di congruità, può far riferimento alla tariffa.
Nello stesso senso si è espresso, tra gli altri, l’Ordine dei geologi secondo cui le tariffe costituiscono un legittimo parametro per la determinazione dei compensi di ciascun professionista.

301. A fronte della previsione di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), della legge Bersani, che ha abrogato l’obbligatorietà delle tariffe fisse e minime, l’Autorità osserva che la mancata abrogazione delle tariffe minime e fisse fa sì che le stesse vengano utilizzate come punto di riferimento per il singolo professionista e per gli ordini (allorché formulano i pareri di congruità delle parcelle), con la conseguenza che gli effetti della liberalizzazione dei prezzi dei servizi professionali stentano a realizzarsi in quanto, nei fatti, i professionisti - anche in considerazione delle posizioni assunte, addirittura talvolta formalmente, da diversi ordini - sono indotti a continuare ad applicare le tariffe.
Sul punto si ricorda che, secondo consolidati principi antitrust, i tariffari, anche non obbligatori, possono determinare effetti negativi per la concorrenza alla stessa stregua dei prezzi obbligatori. Ciò in quanto la mera esistenza di prezzi cui far riferimento si presta, da un lato, a facilitare il coordinamento dei prezzi tra i prestatori dei servizi e, dall’altro, ad ingannare i consumatori in merito alla misura dei livelli ragionevoli dei prezzi.
Anche la Commissione europea, nella citata Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali del febbraio 2004, si è espressa nel senso che le tariffe non obbligatorie incidono negativamente sullo sviluppo delle dinamiche competitive nel settore, al pari di quelle obbligatorie.

302. L’Autorità sottolinea inoltre che la mancata abrogazione degli stessi tariffari appare tanto più problematica se si considera che, come si è detto, molti codici deontologici prevedono che il compenso del professionista sia determinato ai sensi del citato art. 2233 cod. civ. (“la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”), senza richiamare l’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe previste dalla legge Bersani.
Si è già osservato come la “decorosità” del compenso e la sua corrispondenza all’“importanza dell’opera” siano, in assenza di altri parametri, determinati alla luce delle tariffe minime o fisse: un “prezzo decoroso” è, di fatto, coincidente alla tariffa predeterminata.
In questa sede l’Autorità intende rilevare come anche il concetto di “importanza dell’opera” presenti elementi di incoerenza con la riforma Bersani, nella parte in cui prevede la legittimità dei patti tra professionista e cliente volti a parametrare i compensi al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. E’, infatti, evidente che l’obiettivo del cliente può non essere perseguito anche se il professionista ha prestato un servizio “importante” in termini di sforzo intellettuale e tempo dedicato.
In merito alla portata della richiamata norma civilistica si ribadisce come la stessa disciplini rapporti di tipo privatistico tra le parti di un contratto e non attribuisca alcun potere agli Ordini in termini di verifica della corrispondenza del compenso richiesto al decoro della professione e all’importanza dell’opera.
A fronte della disposizione di cui all’art. 2233 cod. civ., comma 2, la mancata abrogazione dei tariffari (e non della loro obbligatorietà) nella sostanza si presta a sminuire la portata della riforma introdotta dalla legge Bersani potendo anche la norma appena citata venire interpretata in modo scorretto da coloro che sostengono, ancora oggi, che a livello deontologico possa essere affermata l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime.

303. Alla luce delle considerazioni esposte, l’Autorità auspica un intervento normativo inteso ad abrogare direttamente le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono tariffe fisse e minime per le prestazioni professionali.
Siffatto intervento favorirebbe un più coerente adeguamento dell’ordinamento italiano ai principi di concorrenza in materia di servizi professionali, in quanto l’abrogazione diretta delle tariffe minime o fisse, come peraltro era previsto nell’originaria versione del decreto Bersani, eliminerebbe i problemi di natura antitrust collegati all’attuale vigenza di tariffari i quali, pur privi di obbligatorietà, continuano ad essere utilizzati come riferimento, raccomandazioni o orientamento per i prezzi praticati dai professionisti.
Soprattutto l’abrogazione diretta delle tariffe fisse o minime renderebbe vani i tentativi di alcuni ordini professionali, riscontrati nel corso dell’indagine, di riproporre il rispetto dei tariffari, facendo leva sulla mancata abrogazione degli stessi e sulle nozioni di decoro ed importanza dell’opera.

2. La questione della determinazione dei compensi per la progettazione nell’ambito di lavori pubblici

304. In materia di compensi per le prestazioni professionali relative alla progettazione di lavori pubblici si segnala la recente modifica apportata dal terzo decreto correttivo del codice dei contratti pubblici (esattamente dall’art. 2, comma 1, lettera t, n. 2, del D. Lgs. 11 settembre 2008 n. 152) mediante cui è stato abrogato il precedente comma 4 e modificato il comma 2 dell’art. 92 del decreto legislativo n. 163/2006 (cd. codice dei contratti pubblici).
Il particolare il D. Lgs. n. 152/2008 ha aggiunto l’ultimo periodo al comma 2 del citato art. 92, ribadendo, specificamente per le prestazioni consistenti nella progettazione per lavori pubblici, quanto già previsto dalla legge Bersani secondo cui “nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali” (art. 2, comma 2, ultimo periodo, legge Bersani).
Così, il vigente art. 92, comma 2, ora prevede che “il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture, determina, con proprio decreto, le tabelle dei corrispettivi delle attività che possono essere espletate dai soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 90, tenendo conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate. I corrispettivi di cui al comma 3 possono essere utilizzati dalle stazioni appaltanti, ove motivatamente ritenuti adeguati, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dell'importo da porre a base dell'affidamento”.

305. L’Autorità osserva come non si possa ritenere che il D. Lgs. n. 152/2008, nella misura in cui non ha abrogato anche il comma 2 dell’art. 92 del codice dei contratti, che disciplina l’iter di formazione delle tariffe per le prestazioni di progettazione per lavori pubblici, contenga una disciplina incompatibile con la previsione dell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge Bersani, che ha abolito l’obbligatorietà delle tariffe minime e fisse per i servizi professionali, in quanto entrato in vigore successivamente a tale legge.
Del resto, dal punto di vista antitrust, non si rinvengono ragioni che giustifichino restrizioni alla concorrenza con riguardo alla determinazione del compenso dei professionisti per prestazioni professionali relativi a lavori pubblici.

306. Inoltre, l’Autorità rileva che il terzo decreto correttivo al codice dei contratti pubblici del 2008, oltre ad avere eliminato il precedente comma 4 del medesimo art. 92 del codice dei contratti pubblici, si è limitato a riportare la medesima previsione prevista dalla legge Bersani per le procedure ad evidenza pubblica sopra richiamate (“I corrispettivi di cui al comma 3 possono essere utilizzati dalle stazioni appaltanti, ove motivatamente ritenuti adeguati, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dell'importo da porre a base dell'affidamento”).

307. Con riguardo a tale profilo, relativo alla valenza delle tariffe per l’individuazione delle basi d’asta nelle gare pubbliche, si osserva che la disposizione in esame - contenuta tanto nell’art. 2, comma 2, ultimo periodo, della legge Bersani quanto nel comma 2, dell’art. 92, del codice dei contratti pubblici - possa alterare il libero gioco della concorrenza per diverse ragioni. In primo luogo, si deve considerare che tale previsione non permette alle stazioni appaltanti di conseguire prezzi più competitivi. Infatti, l’offerta economica per le prestazioni professionali oggetto di una gara pubblica, a fronte della previsione in questione, risulta parzialmente sottratta alle regole di mercato, essendo annullata la stessa finalità competitiva della gara. Inoltre, tale previsione è idonea ad alterare le condizioni di concorrenza nelle gare bandite da imprese private alle quali tale previsione non è applicabile.

308. Alla luce di tali considerazioni, si auspica, pertanto, la rimozione della previsione (contenuta tanto nell’art. 2, comma 2, ultimo periodo, della legge Bersani quanto nel comma 2, dell’art. 92, del codice dei contratti pubblici ), in modo che non possa essere revocata in dubbio l’applicabilità dell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge Bersani anche con riferimento alle prestazioni professionali di progettazione per i lavori pubblici.

3. Il potere di verifica sulla trasparenza e veridicità della pubblicit

309. Come noto, l’art. 2, comma 1, lettera b), della legge Bersani, abrogando le disposizioni legislative e regolamentari che vietano la diffusione della pubblicità informativa da parte dei professionisti e sancendo la nullità delle disposizioni deontologiche e pattizie con analogo contenuto, ha stabilito che la trasparenza e la veridicità della pubblicità dei servizi professionali è verificata dagli ordini.
L’Autorità fa presente come l’attribuzione agli ordini di siffatto potere di verifica pone alcune perplessità sotto il profilo concorrenziale con riguardo a) alla non conformità della disposizione in esame al diritto della concorrenza e b) all’incompatibilità della medesima disposizione con le norme comunitarie, in particolare con gli artt. 3, lett. g), 4, 10, 98 e 81 del Trattato CE.

310. Con riguardo al profilo sub a), l’Autorità evidenzia, in via preliminare, che l’attribuzione agli ordini del potere di verifica ex post circa la trasparenza e la veridicità dei messaggi diffusi dai professionisti, come già accennato (cfr. capitolo terzo, paragrafo 2), da un punto di vista sistematico, non risulta coerente con la disciplina sul controllo amministrativo della pubblicità, dettata dal decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206 e dal decreto legislativo 2 agosto 2007 n. 145; controllo esercitato, a partire dal 1992, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato che controlla la non ingannevolezza dei messaggi pubblicitari con riguardo in particolare alla trasparenza e alla veridicità degli stessi successivamente alla diffusione del messaggio.

311. L’Autorità osserva inoltre come l’attribuzione del suddetto potere di verifica agli ordini appaia in contrasto con i principi antitrust, in quanto tale attività - anche là dove sia configurata a livello deontologico correttamente ossia come potere di verifica ex post delle pubblicità – potrebbe limitare l’utilizzo dello strumento pubblicitario, ossia di una leva fondamentale della concorrenza.
L’Autorità rileva, infatti, che la previsione di tale attività di verifica da parte degli Ordini, in quanto esercitata da organismi deontologici privi dei requisiti di terzietà rispetto ai soggetti controllati, può restringere la concorrenza tra professionisti, attesa l’indubbia importanza concorrenziale dello strumento pubblicitario.
L’effetto restrittivo non appare, peraltro, giustificabile sulla base della rilevanza di interessi generali in quanto il controllo, in via successiva, della veridicità e trasparenza delle pubblicità diffuse dai professionisti è già svolto da un organismo pubblico dotato dei requisiti di imparzialità e terzietà rispetto ai soggetti controllati, quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

312. Con riguardo al profilo sub b), concernente l’incompatibilità della disposizione in esame con le norme comunitarie, l’Autorità fa presente che, secondo l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia da ultimo nella sentenza CIF43, l’attribuzione agli ordini del potere di verifica della trasparenza e della veridicità dei messaggi pubblicitari diffusi dai professionisti dovrebbe contenere l’indicazione dei criteri e parametri che regolano l’esercizio di tale potere.
Inoltre, gli organismi rappresentativi delle professioni, nell’esercizio di tale attività di verifica, non sono soggetti ad alcun tipo di controllo pubblico, nonostante l’attribuzione di tale potere costituisca una deroga alla regola generale per cui la verifica sulla veridicità e trasparenza di messaggi pubblicitari è attribuita da norme legislative all’autorità pubblica sopra menzionata.

313. In conclusione, l’Autorità rileva che l’attribuzione del potere di controllo della pubblicità ad organismi rappresentativi che si configurano come associazioni di imprese produca effetti restrittivi della concorrenza tra professionisti, in quanto la loro natura di associazioni di imprese comporta il rischio che le decisioni in tema di attività pubblicitaria possano essere finalizzate ad uniformare l’attività degli associati ed a restringerne la concorrenza. Inoltre, il controllo della pubblicità dovrebbe essere svolto da un soggetto terzo rispetto agli iscritti ovvero fondarsi su una delega di pubblici poteri ad operatori privati con l’indicazione di criteri o modalità fissati dall’autorità pubblica o da questa in qualche modo controllati; criteri e modalità che, in concreto, non sono stati indicati.

314. Sulla base delle considerazioni esposte, l’Autorità auspica un intervento legislativo che elimini il controllo deontologico sulla pubblicità dei professionisti, previsto dall’art. 2 della legge Bersani.
Peraltro, l’eliminazione della previsione in esame permetterebbe una riformulazione dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge Bersani conforme alla disposizione originariamente inserita nel testo del decreto legge 4 luglio 2006 n. 223 prima della conversione in legge, che si limitava ad abrogare il divieto, anche parziale, di diffondere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche e il prezzo del servizio offerto, senza prevedere alcun potere di verifica deontologica della pubblicità.

4. Il problema della vigenza del decreto legislativo n. 249/2006 e dell’applicabilità della riforma Bersani ai notai

315. Come precedentemente accennato (cfr. capitolo secondo, paragrafo 1) nella parte concernente l’analisi della disciplina deontologica dei notai relativa alla determinazione del compenso, il decreto legislativo 1° agosto 2006 n. 249, recante “Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell'articolo 7, comma 1, lettera e), della L. 28 novembre 2005, n. 246”, entrato in vigore il 26 agosto 2006, ossia successivamente alla legge Bersani n. 248/2006 (in vigore dal 12 agosto 2006), ha sostituito, tra l’altro, l’art. 147 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 (c.d. legge notarile).
Secondo il nuovo testo dell’art. 147 (contenuto nell’art. 30 del D. Lgs n. 249/2006), “è punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione, il notaio che pone in essere una delle seguenti condotte: a) compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile; b) viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato; c) fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, ovvero servendosi dell'opera di procacciatori di clienti, di richiami o di pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro ed al prestigio della classe notarile. La destituzione è sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi all'ultima violazione” (enfasi aggiunta).

316. Si deve notare, in primo luogo, che l’art. 147, nella versione precedente, conteneva sostanzialmente le medesime disposizioni riprodotte nella nuova disposizione sopra-riportata, prevedendo, infatti, che “il notaro che in qualunque modo comprometta con la sua condotta nella vita pubblica e privata la sua dignità e reputazione e il decoro e prestigio della classe notarile, o con riduzioni degli onorari e diritti accessori faccia ai colleghi illecita concorrenza, è punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno, e nei casi più gravi con la destituzione. La destituzione sarà sempre applicata qualora il notaro, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per contravvenzione alla disposizione del presente articolo, vi contravvenga nuovamente”.

317. Dalla comparazione tra le due previsioni emerge con chiarezza l’assenza di sostanziali modifiche apportate dalla nuova formulazione dell’art. 147, giacché la nuova disposizione si limita ad introdurre la disposizione sub b) il cui valore appare del tutto ridondante, mitiga le sanzioni disciplinari mediante la previsione di un tempo massimo per la rilevanza della recidiva, tenta di tipizzare le condotte di illecita concorrenza e sancisce, in una fonte normativa di rango primario, la rilevanza delle limitazioni sulla pubblicità dei notai dettate nel codice deontologico.
Considerata l’assenza di modifiche sostanziali apportate dalla descritta nuova previsione, potrebbe ritenersi che questa, in quanto contenuta in un atto legislativo entrato in vigore successivamente alla legge Bersani, possa ripristinare sia i divieti consistenti nell’inderogabilità delle tariffe minime che le limitazioni circa la diffusione della pubblicità dei notai previste nel codice deontologico, superando in tal modo le innovazioni introdotte dalla riforma Bersani.
In altri termini, potrebbe ritenersi che la nuova disposizione, non dettando una disciplina giuridica effettivamente innovativa, sia finalizzata ad impedire che, per i notai, trovi applicazione il dettato della legge Bersani sui profili relativi alla determinazione del compenso professionale e all’attività pubblicitaria dei notai.

318. In merito alla novella introdotta dal decreto legislativo n. 249/2006 tuttavia, come già ricordato, i rappresentanti del Consiglio notarile, nel corso dell’indagine conoscitiva, hanno sostenuto che “il nuovo art. 147 è certamente vigente ma, mancando la norma deontologica applicativa dello stesso, di fatto tale previsione non troverà applicazione”. Essi hanno precisato, peraltro, che “nel notariato si è sviluppato un dibattito all’interno del quale è stata sostenuta con forza anche la tesi che una norma speciale successiva non può non prevalere sulla legge 248/2006”.

319. A fronte di tali elementi, si deve rilevare, dunque, l’applicabilità della riforma Bersani contenuta nell’art. 2 della legge n. 248/2006 ai notai, considerate la sostanziale mancanza di innovatività dell’art. 30, principalmente le lettere b) e c), del D. Lgs. n. 249/2006 e l’assenza di una norma di attuazione, come affermato dal Consiglio Notarile44.
Ciò premesso, ove si consideri che, all’interno dell’Ordine notarile, non è pacifica l’opinione espressa dal Consiglio Nazionale nel corso dell’indagine conoscitiva, l’Autorità auspica un intervento del legislatore volto a rimuovere il citato art. 30 del decreto legislativo n. 249/2006, affinché non possa essere revocata in dubbio l’applicabilità anche ai notai dell’art. 2 della legge Bersani, come diffusamente affermato in precedenza (cfr. capitolo secondo, paragrafi 1, 2 e 3).

CAPITOLO QUINTO

Conclusioni

1. Il ruolo degli ordini e la concorrenza nei servizi professionali

320. In passato alcuni ordini professionali, tra cui l’Ordine degli architetti, l’Ordine degli avvocati e l’Ordine notarile, si erano mostrati disponibili ad introdurre nei rispettivi codici deontologici principi e regole pro-concorrenziali.
Dall’indagine svolta è emerso, invece, che l’apertura al cambiamento rilevata nel 2005, principalmente dagli ordini sopra menzionati, è stata sostituita da un prevalente atteggiamento di chiusura nei confronti delle esigenze di modernizzazione imposte a livello legislativo e richieste, da oltre dieci anni, dall’orientamento antitrust nazionale e comunitario.
Cambiamento richiesto da ultimo dalla citata Direttiva Servizi che dovrà essere recepita entro la fine del 2009 e che prevede l’obbligo di conformare i codici di condotta ai principi comunitari; la medesima direttiva inoltre invita gli Stati membri ad “incoraggiare gli operatori del settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di condotta a livello comunitario”.

321. Come noto, gli effetti del mancato adeguamento ai principi concorrenziali in materia di servizi professionali da parte degli ordini e collegi professionali coinvolti nell’indagine hanno una duplice rilevanza giuridica.
Sotto il profilo civilistico, il mancato adeguamento (che sarebbe dovuto avvenire entro il 1° gennaio 2007) delle disposizioni deontologiche ai principi sanciti nell’art. 2, comma 1, della legge Bersani determina, ai sensi dell’art. 2, comma 3, della medesima legge, la nullità di quelle disposizioni deontologiche che risultano in contrasto con le previsioni del citato art. 2, comma 1, della legge Bersani.
Mentre, le disposizioni regolamentari e legislative (tra cui ad esempio la legge n. 175/92 che regolamentava l’attività pubblicitaria dei medici), non conformi ai principi sanciti nel citato art. 2, risultano abrogate, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge Bersani, per incompatibilità con le disposizioni previste nella disposizione da ultimo citata.
Sotto il profilo antitrust, le previsioni contenute nei codici deontologici (evidenziate nel capitolo secondo) – valutate nell’ambito dell’indagine conoscitiva sotto il profilo antitrust con riguardo ai parametri della necessarietà e della proporzionalità, anche in contraddittorio con i rappresentati degli ordini e collegi coinvolti – producono l’effetto di restringere ingiustificatamente la concorrenza tra professionisti. Al fine di rendere palese l’applicabilità dei principi antitrust in materia di servizi professionali, sono stati enucleati i parametri e criteri ai quali dovrebbero essere conformate le norme inserite nei codici di autoregolamentazione (cfr. capitolo terzo).

322. L’indagine svolta ha rivelato, in particolare, che la maggioranza degli organismi professionali analizzati appaiono particolarmente restii ad abbandonare la nozione di decoro alla quale continuano ad ancorare la determinazione del compenso e i limiti dell’attività pubblicitaria dei servizi professionali.
Come si è illustrato nei capitoli precedenti, il rispetto del parametro del decoro professionale nella determinazione dei compensi e nella diffusione dell’attività pubblicitaria dei servizi professionali produce l’effetto di sancire l’obbligatorietà dei minimi tariffari che garantirebbero una prestazione decorosa46 e di limitare la scelta del contenuto delle pubblicità e i mezzi di diffusione con il risultato di vietare tutti i mezzi e i contenuti che l’ordine ritiene non decorosi.

323. Posti gli effetti limitativi della concorrenza derivanti dall’utilizzo della nozione di decoro e visto che tale nozione è utilizzata in molti dei codici analizzati sia come parametro per la determinazione dei compensi (così medici e odontoiatri, psicologi, geologi, ingegneri) sia come limite dell’attività pubblicitaria dei professionisti (così avvocati, notai, medici e odontoiatri, architetti, geologi), l’Autorità ritiene necessario evidenziare, in primo luogo, come tale nozione dovrebbe essere inserita nei codici di autoregolamentazione esclusivamente come elemento che incentivi la concorrenza tra professionisti e rafforzi i doveri di correttezza professionale. In tale ottica, la nozione di decoro utilizzata in ambito deontologico dovrebbe mirare a salvaguardare l’etica professionale, ossia a garantire il corretto espletamento della professione, non potendo invece informare i codici deontologici nelle parti relative all’iniziativa economica dei professionisti ovvero ai rapporti economici con gli utenti.
Secondo tale prospettiva, l’Autorità auspica, pertanto, che la nozione di decoro sia utilizzata nei codici di condotta come principio generale dell’agire del professionista, potendo essere volta, a titolo esemplificativo, a garantire lo svolgimento diligente ed esaustivo delle prestazioni professionali richieste, la coscienziosa preparazione tecnica, la disponibilità all’aggiornamento continuo anche dei collaboratori e dipendenti, l’efficiente organizzazione dell’équipe professionale, la correttezza professionale nei confronti dei colleghi e degli utenti.
Là dove, invece, la nozione di decoro regola i comportamenti economici dei professionisti, quali la determinazione del compenso e la diffusione della pubblicità professionale, il rischio è che i principi di etica professionale vengano utilizzati non già per la tutela di interessi generali, ma per la difesa di posizioni acquisite, ossia per cristallizzare le posizioni di potere economico di ciascun professionista con conseguente disincentivo a prestare servizi di qualità migliore e a prezzi più bassi.
Nei casi in cui la nozione di decoro sia utilizzata per limitare la concorrenza tra professionisti, l’Autorità evidenzia, dunque, un uso distorto di tale nozione e la sua contrarietà al diritto della concorrenza oltre che al dettato della legge Bersani, come illustrato nei capitoli precedenti.
Nello stesso senso , l’Autorità osserva come il rinvio formale all’art. 2233, comma 2, cod. civ. ( “la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”), effettuato in diversi codici deontologici relativamente alla determinazione del compenso, dovrebbe essere accompagnato, come già detto, dal rinvio alla innovazione introdotta dall’art. 2 della legge Bersani che ha abolito l’obbligatorietà delle tariffe fisse e minime.
Comunque, in merito alla valenza del citato art. 2233, comma 2, cod. civ., l’Autorità sottolinea che la disposizione in questione si limita a disciplinare rapporti di tipo privatistico tra le parti di un contratto e non attribuisce alcun potere agli Ordini in termini di verifica della corrispondenza del compenso richiesto al decoro della professione e all’importanza dell’opera.

324. L’indagine svolta ha fatto emergere come l’entrata in vigore dell’art. 30 del decreto legislativo n. 249/2006 successivamente alla entrata in vigore dell’art. 2 della legge di conversione n. 248/2006 potrebbe indurre erroneamente a ritenere che non sia applicabile ai notai il citato art. 2, e quindi la liberalizzazione in tema di servizi professionali introdotta con la riforma Bersani. Si ricorda che il succitato art. 30 ha riformulato, senza apportarvi significative modifiche, l’art. 147 della legge notarile n. 89/1913 che vieta la riduzione degli onorari e dei compensi per le prestazioni notarili.
Sul punto si ricorda che, come rilevato nel capitolo quarto, l’Autorità, al fine di fugare ogni dubbio circa l’applicabilità ai notai della riforma Bersani di cui si discute, auspica un intervento del legislatore volto a rimuovere il citato art. 30.
L’Autorità auspica inoltre che il legislatore – alla stregua di interventi già realizzati negli ultimi anni, tra cui, ad esempio, la liberalizzazione del passaggio di proprietà degli autoveicoli, motoveicoli e imbarcazioni - intervenga anche per rimuovere le riserve di attività tutte le volte in cui l’affidamento in esclusiva di una determinata attività non sia giustificato dal perseguimento di un interesse generale la cui tutela non potrebbe essere altrimenti garantita.
Nell’ottica di favorire la più ampia liberalizzazione dei servizi professionali anche con riguardo all’accesso delle professioni, è auspicabile che il legislatore preveda, in relazione alle specifiche esigenze di tutela che si manifestano in concreto, l’istituzione di corsi universitari che consentano di conseguire direttamente l’abilitazione all’esercizio della professione. Nella medesima prospettiva il periodo di tirocinio dovrebbe essere proporzionato alle esigenze di apprendimento pratico delle diverse professioni e dovrebbe poter essere svolto, ove ciò si ritenga in concreto possibile, nell’ambito degli stessi corsi di studio.
Infine, sarebbe opportuno che gli organi di governo degli ordini non siano più espressione esclusiva degli appartenenti ma siano composti anche da soggetti estranei all’ordine.

325. L’Autorità ricorda, peraltro, come la versione originaria dell’art. 2, comma 1, lettera a), contenuta nel decreto legge Bersani, precedente alla conversione in legge, prevedeva l’abrogazione non già dell’obbligatorietà delle tariffe minime o fisse, ma direttamente delle stesse tariffe. La disposizione originaria determinava, quindi, la rimozione delle tariffe minime e fisse, mentre la norma attualmente vigente, sancendo l’abrogazione della sola obbligatorietà, implica il permanere della vigenza delle tariffe le quali, pur prive di obbligatorietà, possono essere considerate come riferimento, raccomandazione o orientamento di prezzi per i professionisti, potendo quindi, secondo il diritto antitrust, costituire intese restrittive della concorrenza.

326. Parimenti, con riferimento alla disciplina della pubblicità di cui all’art. 2, comma 1, lettera b), della legge Bersani, si è detto come la disciplina originariamente prevista nel decreto legge Bersani (precedentemente alla conversione in legge) non attribuiva agli ordini alcun potere di verifica circa la trasparenza e veridicità della pubblicità dei professionisti, in linea con i principi concorrenziali.
L’Autorità auspica un intervento del legislatore volto ad emendare la legge Bersani nella parte relativa alla determinazione del compenso professionale, prevedendo l’abolizione delle tariffe minime o fisse, e nella parte concernente l’attività pubblicitaria, abrogando il potere degli ordini in merito di verifica della trasparenza e veridicità della pubblicità.

327. Con riguardo alla disciplina deontologica relativa alla costituzione di società multidisciplinari, l’Autorità fa presente come il disposto di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge Bersani allo stato, pur in assenza di una disciplina organica della materia, consenta ai professionisti di scegliere tra le forme societarie attualmente disponibili quella che ritengono più congeniale all’erogazione dei propri servizi e che non vi sono ragioni per precludere l’esercizio della professione nella forma delle società di capitali.
L’Autorità auspica pertanto che l’autoregolamentazione deontologica rispetti il principio secondo cui, in seguito alla abrogazione del divieto contenuto nella legge 23 novembre 1939 n. 1815, i professionisti sono liberi di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare attraverso società di persone e/o di capitali o associazioni tra gli stessi.

328. Con riguardo alla materia della formazione dei professionisti, si è sottolineato come perplessità di natura antitrust sorgano qualora ordini o collegi, nell’imporre per via deontologica l’obbligo di formazione, riservino a sé stessi la gestione degli eventi formativi ovvero nei casi in cui attribuiscano alle rispettive fondazioni vantaggi concorrenziali rispetto ad altri organizzatori di eventi, adottando, ad esempio, in sede di accreditamento, trattamenti differenziati per gli eventi offerti da terzi ovvero decidendo arbitrariamente l’attribuzione o meno dei crediti a tali eventi.
Per evitare il verificarsi di tali distorsioni della concorrenza nel mercato della fornitura di servizi formativi professionali, l’Autorità ritiene necessario che gli ordini e i collegi assicurino che i sistemi formativi contemplino offerte di eventi provenienti da più soggetti, prevedendo altresì che la regolamentazione della formazione stabilisca criteri predefiniti, oggettivi e non discriminatori sulla cui base accreditare gli eventi formativi.
In linea più generale, l’Autorità ritiene che la promozione della formazione da parte degli ordini professionali non sia in sé sufficiente a garantire la qualità delle prestazioni, dovendo essa essere assicurata innanzitutto dalla predisposizione di standard minimi di qualità, tra cui, ad esempio, l’adozione di best practice.

329. Sulla base dell’analisi svolta nell’ambito dell’indagine conoscitiva riguardante gli ordini e i collegi rappresentativi delle professioni di architetto, avvocato, commercialista ed esperto contabile, consulente del lavoro, farmacista, geologo, geometra, giornalista e pubblicista, ingegnere, medico e odontoiatra, notaio, perito industriale, nonché psicologo, l’Autorità intende non soltanto ricordare, come illustrato nei capitoli secondo e terzo, la vigenza di discipline di fonte deontologica ingiustificatamente restrittive della concorrenza e contrastanti con il dettato della legge Bersani, ma formulare anche alcune considerazioni in merito al ruolo degli ordini e della regolamentazione deontologica e sul futuro sviluppo del sistema ordinisitico che i principi concorrenziali oggi impongono.
L’Autorità auspica, in linea con l’orientamento comunitario in materia di servizi professionali, che gli ordini, in coerenza con la loro missione di enti preposti a garantire la qualità dei servizi professionali, abbandonino l’attitudine a regolare le attività di tipo economico dei propri iscritti.
L’indagine ha confermato, infatti, la tendenza a far rientrare nella potestà deontologica aspetti spiccatamente regolatori dell’esercizio delle professioni, che non possono essere confusi con le questioni di ordine etico rilevanti per la fiducia dei terzi nei professionisti e negli organismi di controllo deontologico degli stessi.
Si ritiene opportuno ribadire, dunque, che gli organismi di controllo deontologico dovrebbero piuttosto indirizzare la propria attività regolatoria principale verso la promozione della qualità delle prestazioni professionali, mediante, ad esempio, la formazione continua e l’adozione di best practice, a vantaggio non solo degli utenti ma degli stessi professionisti.

330. Infine, l’Autorità intende richiamare l’attenzione sull’assoggettabilità al diritto della concorrenza dei professionisti e delle delibere degli organismi rappresentativi dei medesimi in quanto delibere di associazioni di imprese, posto che l’indagine ha mostrato come il fondamento ideologico della vigenza delle limitazioni relative alla determinazione del compenso e dell’attività pubblicitaria dei professionisti, nonché delle restrizioni concernenti la costituzione delle società multidisciplinari appare ancora oggi risiedere nel mancato riconoscimento della natura imprenditoriale dell’attività svolta dai professionisti.
Al fine di chiarire la rilevanza giuridica del diritto antitrust anche per i servizi professionali, non è superfluo ricordare che il diritto comunitario non conosce deroghe al principio secondo cui l’attività professionale, nella misura in cui ha una valenza economica, è attività di impresa, quale che sia la professione intellettuale coinvolta, a prescindere, cioè, dalla natura complessa ovvero tecnica dei servizi forniti e il rango dei valori a cui, in alcuni casi, si collega. Tale posizione, consolidata a livello comunitario e nazionale, è stata peraltro avallata dalla stessa Corte costituzione nella citata sentenza n. 433/2007, la quale richiama e fa proprio l’orientamento fondamentale della Commissione europea in tema applicazione della disciplina della concorrenza ai servizi professionali.

331. In conclusione, l’Autorità auspica, in primo luogo, che gli ordini e i collegi interessati rimuovano o modifichino le disposizioni deontologiche analizzate nell’ambito della presente indagine, considerate ingiustificatamente restrittive della concorrenza tra professionisti, in modo che le stesse siano rese conformi ai principi e criteri già indicati (cfr. capitolo terzo), al fine di introdurre principi concorrenziali nei codici di autoregolamentazione analizzati nella presente indagine.
In secondo luogo, l’Autorità, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 287/90, auspica che siano intrapresi interventi di natura legislativa volti a rafforzare la concorrenza nei servizi professionali a) mediante il ripristino delle disposizioni originariamente contenute nel decreto legge Bersani n. 223/2006, precedentemente alla conversione in legge dello stesso, che prevedevano l’abolizione diretta delle tariffe minime o fisse e che non attribuivano agli organismi di controllo deontologico alcun potere di verifica sui messaggi pubblicitari diffusi dai professionisti e b) mediante la rimozione delle disposizioni di cui all’art. 30 del Decreto Legislativo n. 249/2006, che ha riformulato, senza apportarvi sostanziali modifiche, l’art. 147 della legge n. 89/1913 in materia di servizi notarili.