Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato , Servizio Commissioni
Titolo: Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione - A.C. 2105-452-692-748-A
Riferimenti:
AC N. 692-A/XVI   AC N. 452-A/XVI
AC N. 748-A/XVI   AC N. 2105-A/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 111    Progressivo: 1
Data: 16/03/2009
Descrittori:
FEDERALISMO   LEGGE DELEGA
ORGANIZZAZIONE FISCALE     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VI-Finanze

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Delega al Governo in materia
di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione

A.C. 2105-452-692-748-A

 

 

 

 

 

 

 

n. 111/1

 

 

 

16 marzo 2009

 


 

Servizio responsabile:

Servizio Studi – Area Finanza pubblica

( 066760-9496 * st_finanze@camera.it
( 066760-9932 * st_bilancio@camera.it

 

 


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File: FI0096a.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Ambito di intervento)..................................................................... 3

§      Articolo 2, commi 1-2 (Oggetto e finalità)....................................................... 6

§      Articolo 2, commi 3-7 (Procedura di adozione dei decreti legislativi).......... 19

§      Articolo 3 (Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale)  23

§      Articolo 4 (Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale)27

§      Articolo 5 (Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)29

§      Articolo 6 (Compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria)  32

§      Articolo 7 (Princıpi e criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali)................................................................................................ 33

§      Articolo 8 (Princıpi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento).......................................................................................... 36

§      Articolo 9 (Princıpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni)............................................................... 45

§      Articolo 10 (Princıpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni)51

§      Articolo 11 (Principi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane)...................................................................................... 55

§      Articolo 12 (Princıpi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali)............................................................................................. 60

§      Articolo 13 (Princıpi e criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)............................................................................................................ 65

§      Articolo 13-bis (Attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione)     70

§      Articolo 14 (Finanziamento delle città metropolitane).................................. 71

§      Articolo 15 (Interventi di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione)     73

§      Articolo 16 (Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo)76

§      Articolo 17 (Patto di convergenza)............................................................... 80

§      Articolo 18 (Patrimonio di comuni, province, Città metropolitane e regioni)82

§      Articolo 19 (Princıpi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per le regioni)     85

§      Articolo 20 (Norme transitorie per gli enti locali).......................................... 89

§      Articolo 21 (Perequazione infrastrutturale)................................................... 95

§      Articolo 22 (Norme transitorie per le città metropolitane)............................ 98

§      Articolo 23 (Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione)............................................................................................... 108

§      Articolo 24 (Princıpi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni)    114

§      Articolo 24-bis (Contrasto all’evasione fiscale).......................................... 115

§      Articolo 25 (Coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome)116

§      Articolo 26 (Salvaguardia finanziaria)......................................................... 121

§      Articolo 27 (Abrogazioni)............................................................................ 125

 

 


Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Ambito di intervento)

 


1. La presente legge costituisce attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e garantendo i principi di solidarietà e coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti. A tali fini, la presente legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l'istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l'utilizzazione delle risorse aggiuntive e l'effettuazione degli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. Disciplina altresì i princìpi generali per l'attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni e detta norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.

2. Alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano con esclusione degli enti locali ricadenti nel loro territorio, si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 14, 21 e 25.


 

 

L’articolo 1 definisce l’ambito d’intervento generale del disegno di legge, individuandolo nell’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

Il comma 1 individua quali tratti caratterizzanti dell’intervento la garanzia dell’autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali (comuni, province, città metropolitane e regioni) e la garanzia (il termine “garanzia” è stato inserito nel corso dell’esame in sede referente, in luogo del termine “rispettando” previsto nel testo originario) dei principi di solidarietà e coesione sociale.

Obiettivi del provvedimento sono:

§      il graduale superamento del criterio della spesa storica per tutti i livelli di governo.

Per ‘spesa storica’ si intende il criterio in base al quale ogni ente territoriale riceve finanziamenti parametrati sulla spesa in precedenza sostenuta. Tale criterio, secondo la relazione illustrativa allegata al testo del disegno di legge originario (AS 1117), deve essere superato in quanto avvantaggia gli enti meno efficienti a scapito di quelli virtuosi;

§      la massima responsabilizzazione dei livelli di governo medesimi;

§      la garanzia dell’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti.

In particolare il disegno di legge reca disposizioni volte a:

§      stabilire in via esclusiva i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (v. art. 119, secondo comma, Cost.).

Il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario è individuata dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione quale materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni (nella quale, dunque, allo Stato è riservata la determinazione dei principi fondamentali e alle regioni l’adozione delle normativa di dettaglio).

Ai sensi dell’articolo 119, secondo comma, della Costituzione, ai principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario devono attenersi gli enti territoriali quando stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione;

§         disciplinare l’istituzione e il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, previsto dall’articolo 119, terzo comma, della Costituzione;

§      disciplinare l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e degli interventi speciali previsti dall’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, in favore di determinati enti territoriali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni;

§      disciplinare i principi generali per l’attribuzione di un patrimonio proprio agli enti territoriali, in attuazione dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione;

§      detta norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.

A norma dell’articolo 114, terzo comma della Costituzione, Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.

 

Il comma 2 dispone l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome, conformemente agli statuti, esclusivamente dell’articolo 14, relativo al finanziamento delle città metropolitane, dell’articolo 21, concernente la perequazione infrastrutturale, e dell’articolo 25, che detta la disciplina generale per il coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome, rinviando l’applicazione alle norme di attuazione dei rispettivi statuti.

A seguito di un emendamento approvato nel corso dell’esame in sede referente è stato aggiunto un inciso che esclude dall’ambito di applicazione del comma gli enti locali ricadenti nel territorio delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome.

Non appare del tutto chiaro l’effetto della modifica apportata nel corso dell’esame in sede referente. In base ad un’interpretazione strettamente letterale, da questa sembrerebbe discendere l’applicabilità agli enti locali ricadenti nel territorio delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome dell’intera disciplina recata dal disegno di legge in esame. Tale interpretazione deve peraltro essere valutata alla luce delle competenze in materia di enti locali attribuite alle Regioni a statuto speciale dai rispettivi statuti.

Un’interpretazione meno letterale porterebbe a ritenere che agli enti locali ricadenti nel territorio delle Regioni a statuto speciale non si applichi nessuna delle disposizioni recate dal disegno di legge in esame, neanche quelle applicabili alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome in forza del comma 2. Dovrebbe peraltro essere valutata la coerenza di tale interpretazione con la disciplina complessivamente applicabile alle Regioni a statuto speciale sulla base degli articoli 14, 21 e 25.


 

Articolo 2, commi 1-2
(Oggetto e finalità)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni.

2. Fermi restando gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 26 e 27, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

     a) autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo;

     b) lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dall'Unione europea e dai trattati internazionali;

     c) razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso; semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, trasparenza del prelievo, efficienza nell'amministrazione dei tributi; rispetto dei princìpi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212;

     d) coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'eva­sione e all'elusione fiscale prevedendo meccanismi di carattere premiale;

     e) attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione; le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;

     f) determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costoe fabbisogno che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica; definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione;

     g) adozione per le proprie politiche di bilancio da parte di regioni, città metropolitane, province e comuni di regole coerenti con quelle derivanti dall'applica­zione del patto di stabilità e crescita;

     h) individuazione dei princìpi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, in modo da assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi, concordati in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di seguito denominata «Conferenza unificata», coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato. La registrazione delle poste di entrata e di spesa nei bilanci dello Stato, delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni deve essere eseguita in forme che consentano di ricondurre tali poste ai criteri rilevanti per l'osservanza del patto di stabilità e crescita al fine di dare attuazione agli articoli 9 e 13, individuazione del termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, come approvati, e previsione di sanzioni in caso di mancato rispetto di tale termine; individuazione dei principi fondamentali per la redazione, entro un determinato termine, dei bilanci consolidati delle regioni e degli enti locali in modo tale da assicurare le informazioni relative ai servizi esternalizzati, con previsione di sanzioni a carico dell'ente in caso di mancato rispetto di tale termine;

     i) rispetto dei princìpi di cui all'articolo 53 della Costituzione;

     l) superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore:

          1) del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;

          2) della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;

     m) rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

     n) esclusione di ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale o regionale;

     o) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsa­bilità finanziaria e amministrativa; continen­za e responsabilità nell'imposizione di tributi propri;

     p) previsione che la legge regionale possa, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato:

          1) istituire tributi regionali e locali;

          2) determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province e città metropolitane possono applicare nell'esercizio della propria autonomia con riferimento ai tributi di cui al numero 1);

          3) valutare la modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle concessioni di coltivazione di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625;

     q) facoltà delle regioni di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;

     r) esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo; ove i predetti interventi siano effettuati dallo Stato sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali e quelli di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), essi sono possibili, a parità di funzioni ammini­strative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi e previa quantificazione finanziaria delle predette misure nella Conferenza di cui all'articolo 5; se i predetti interventi sono accompagnati da una riduzione di funzioni amministrative dei livelli di governo i cui tributi sono oggetto degli interventi medesimi, la compensazione è effettuata in misura corrispondente alla riduzione delle funzioni;

     s) previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità efficienti di accreditamento diretto o di riversamento automatico del riscosso agli enti titolari del tributo; previsione che i tributi erariali compartecipati abbiano integrale evidenza contabile nel bilancio dello Stato;

     t) definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l'accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tributaria, assicurando il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali;

     u) premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell'esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; previsione delle specifiche modalità attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'articolo 17 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie, fino all'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;

     v) previsione che le sanzioni di cui alla lettera u) a carico degli enti inadempienti si applichino anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, predefiniti ai sensi della lettera h)o nel caso di mancata o tardiva comunicazione dei dati ai fini del coordinamento della finanza pubblica;

     z) garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, con determinazione, per ciascun livello di governo, di un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi;

     aa) previsione di una adeguata flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le regioni ed enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali;

     bb) trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, rivolte a garantire l'effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b);

     cc) riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali calcolata ad aliquota standard e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali; eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a regioni, province, comuni e città metropolitane, con esclusione dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;

     dd) definizione di una disciplina dei tributi locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale;

     ee) territorialità dei tributi regionali e locali e riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito di tributi erariali, in conformità a quanto previsto dall'articolo 119 della Costituzione;

     ff) tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico; previsione di strumenti che consentano autonomia ai diversi livelli di governo nella gestione della contrattazione collettiva;

     gg) certezza delle risorse e stabilità tendenziale del quadro di finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite;

     hh) individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottoutilizzate.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 2 in esame indicano l’oggetto e le finalità della delega legislativa, stabilendo i principi e i criteri direttivi che dovranno essere osservati dal Governo nell’esercizio della delega.

 

Il comma 1, in particolare, precisa che l’attuazione dell’art. 119 Cost., mediante uno o più decreti legislativi da emanarsi entro un termine di due anni dall’entrata in vigore del provvedimento qui in esame, persegue il fine di assicurare - attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione - l’autonomia finanziaria degli enti territoriali.

 

Il comma 2 provvede ad elencare una serie di principi e criteri direttivi (dalla lettera a) alla lettera hh) di portata generale che dovranno essere seguiti nell’emanazione dei decreti legislativi.

Ai principi generali contenuti nel comma 2, di seguito illustrati, si aggiungono quelli specifici, indicati nei singoli articoli successivi del testo che vengono ivi richiamati (i.e., le disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 26 e 27), con riguardo ai diversi profili di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

 

La lettera a) del comma 2 prescrive innanzitutto che la delega dovrà essere esercitata realizzando l’autonomia di entrata e di spesa di tutti i livelli di governo, richiedendosi nel contempo una loro maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile.

 

Il principio enunciato alla lettera b) del comma 2 richiede che vi sia lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e che tutte le amministrazioni pubbliche concorrano al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale, coerentemente con i vincoli posti dall’Unione europea e dai trattati internazionali.

 

Il contenuto del criterio della “lealtà istituzionale”, non è compiutamente individuabile sotto il profilo del diritto positivo, non ravvisandosi finora nell’ordinamento la presenza del criterio medesimo. Può tuttavia ritenersi che esso abbia un significato assai prossimo a quello della “leale cooperazione”, che costituisce un principio su cui si è più volte soffermata la Corte costituzionale in sede di contenzioso tra Stato e Regioni , individuandone il contenuto nella mutua informazione e nella esclusione di qualsiasi attività emulativa o prevaricante tra amministrazioni centrali e regionali[1].

 

La lettera c) del comma 2 richiede che sia assicurata razionalità e coerenza sia dei singoli tributi sia del complessivo sistema tributario nonché la semplificazione dello stesso, una riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, la trasparenza del prelievo fiscale, l’efficienza nell’amministrazione dei tributi.

La stessa lettera c) del comma 2 indica quale criterio di delega il rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212.

 

La lettera d) del comma 2 richiede che i diversi livelli istituzionali siano coinvolti nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale.

Va segnalato che un analogo principio di delega - riferito espressamente alle Regioni ed agli enti locali – è riportato all’articolo 26, comma 2, lettera c).

 

A seguito dell’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, la lettera d) del comma 2 è stata modificata richiedendosi che vengano previsti, nel coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, meccanismi di carattere premiale.

 

La lettera e) del comma 2 pone il principio secondo cui le risorse autonome debbano essere attribuite ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni:

-          in relazione alle rispettive competenze;

-          secondo il principio di territorialità;

-          nel rispetto del principio di solidarietà;

-          nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione.

 

Sempre secondo la lettera e) del comma 2, il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite dovrà essere finanziato integralmente dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal previsto fondo perequativo.

A seguito dell’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, la parola “proprie” è stato sostituita con “propri”, al fine di chiarire che sia i tributi sia le entrate sono quelli propri di regioni ed enti locali.

 

La lettera f) del comma 2 richiede che il cosiddetto costo standard e il cosiddetto fabbisogno standard sia assunto quale costo o fabbisogno obiettivo (quest’ultimo termine è stato soppresso in sede di esame in commissione).

Tale costo o fabbisogno obiettivo dovrà valorizzare l’efficienza e l’efficacia al fine di costituire l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica. Vanno inoltre definiti gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni indicate nella norma.

A seguito dell’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, la lettera f) del comma 2 è stata modificata eliminando il principio di delega per cui, ai fini della determinazione di tale indicatore, si sarebbe dovuto anche tenere conto del rapporto tra il numero dei dipendenti dell’ente territoriale e il numero dei residenti.

Sempre a seguito dell’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, la lettera f) del comma 2 è stata inoltre modificata specificandosi che le funzioni nell’esercizio delle quali si dovranno definire gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali sono quelle riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione.

 

La lettera g) del comma 2 richiede l’adozione da parte di regioni, città metropolitane, province e comuni per le proprie politiche di bilancio di regole coerenti con quelle derivanti dall’applicazione del Patto di stabilità e crescita.

 

La lettera h) del comma 2 richiede che i princìpi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici siano individuati in modo da assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi concordati in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato. Il mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci è sanzionabile ai sensi della lettera v) del comma 2 in esame.

Il richiamato articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 ha previsto che la Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni.La Conferenza unificata è convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non è conferito, dal Ministro dell’interno.

 

Sempre secondo la lettera h) del comma 2, va assicurata una corrispondenza tra le poste di entrata e di spesa nei bilanci dello Stato, delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni e i criteri rilevanti per l’osservanza del patto di stabilità e crescita, di modo che il primo dato possa essere agevolmente ricondotto al secondo.

A seguito dell’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, la lettera h) del comma 2 è stata integrata stabilendosi, innanzitutto, che la corrispondenza tra le poste di entrata e di spesa nei bilanci dello Stato, delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni e i criteri rilevanti per l’osservanza del patto di stabilità e crescita vada assicurata al fine di dare attuazione agli articoli 9 e 13.

Sono inoltre previsti nuovi principi di delega che richiedono:

a)  che venga individuato il termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, come approvati;

b)  che siano previste sanzioni in caso di mancato rispetto di tale termine;

c)  che siano individuati i principi fondamentali per la redazione, entro un determinato termine, dei bilanci consolidati delle regioni e degli enti locali al fine di assicurare le informazioni relative ai servizi esternalizzati;

d)  che siano previste sanzioni a carico dell'ente in caso di mancato rispetto di tale termine.

I principi di delega così inseriti appaiono diretti ad assicurare la conoscibilità dei dati contabili relativi ai servizi che gli enti territoriali esercitano in regime di outsourcing ovvero mediante società private al cui capitale essi partecipano. Il proliferare di esternalizzazioni attraverso la costituzione di aziende partecipate dagli enti territoriali pone infatti il problema della costruzione di un bilancio consolidato per gli enti territoriali nel quale possano essere ricondotti ad un unico risultato i bilanci degli enti locali in senso stretto e delle loro società ed aziende partecipate, stante la rilevanza delle spese di queste ultime.

 

La lettera i) del comma 2 richiede che venga assicurato il rispetto dei princìpi di cui all’articolo 53 della Costituzione, a mente del quale il sistema tributario è informato a criteri di progressività e tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. La norma appare richiamare il rispetto dei suddetti principi costituzionali che sarebbero stati vincolanti per il legislatore delegato anche in mancanza di un’espressa disposizione in tal senso.

Prima della modifica apportata a seguito dell’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, la lettera i) del comma 2 prevedeva che venisse assicurata solo la coerenza con i princìpi di cui all’articolo 53 della Costituzione.

 

La lettera l) del comma 2 pone il principio del superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica distinguendo il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e delle funzioni fondamentali di cui allo stesso articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione dalle altre funzioni.

Nella specie, il criterio della spesa storica dovrà essere sostituito dal criterio del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

Il richiamato articolo 117, secondo comma, della Costituzione fa riferimento alla lettera m) alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, mentre alla lettera p) è fatto riferimento tra l’altro alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.

Il criterio della spesa storica dovrà invece essere sostituito dal criterio della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni.

 

La lettera m) del comma 2 richiede che sia rispettato il riparto di competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato e di perequazione delle risorse finanziarie, mentre, ai sensi dello stesso articolo 117, comma 3, sono materie di legislazione concorrente l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

 

La lettera n) del comma 2 richiede che venga esclusa ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale. In sede di esame referente presso il Senato sono state fatte salve anche le addizionali previste dalla legge regionale.

 

La lettera o) del comma 2 richiede che vi sia una tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio.

Tale correlazione dovrebbe risultare volta a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa.

La stessa lettera o) del comma 2 pone il principio della continenza e responsabilità nell'imposizione di tributi propri da parte degli enti territoriali.

Ad una prima valutazione, il “principio di continenza” ha un contenuto che potrebbe non risultare agevolmente individuabile in fase di attuazione del principio medesimo nell'imposizione di tributi propri. Potrebbe perciò risultare opportuno specificarne ulteriormente gli elementi contenutistici.

 

La lettera p) del comma 2 riconosce gli ambiti che possono essere disciplinati dalla legge regionale per quanto concerne i presupposti non assoggettati ad imposizione statale.

La legge regionale può, innanzitutto, istituire tributi regionali e locali, potendo inoltre determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province e città metropolitane possono applicare nell'esercizio della propria autonomia.

A seguito di una modifica apportata dall’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, si è specificato che la suddetta autonomia deve essere intesa con riferimento ai tributi regionali e locali indicati nella stessa lettera p) del comma 2 in esame.

 

La legge regionale può, inoltre, valutare la modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle concessioni di coltivazione di cui all'articolo 19 del d.lgs. 25 novembre 1996, n. 625.

Il richiamato articolo 19 del d.lgs. 25 novembre 1996, n. 625, recante l’attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, pone norme in materia di armonizzazione della disciplina sulle aliquote di prodotto della coltivazione.

 

La lettera q) del comma 2 chiede che sia riconosciuta alle regioni la facoltà di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali.

 

La lettera r) del comma 2 pone il principio dell’esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo.

E’ consentito allo Stato di effettuare tali interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali e quelli di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), del provvedimento in esame, a parità di funzioni amministrative conferite (come è stato specificato a seguito di una modifica apportata dall’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera), nel rispetto delle seguenti condizioni:

a)  previsione di un’adozione contestuale di misure per la compensazione integrale, da attuarsi mediante modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi;

b)  previa quantificazione finanziaria delle citate misure nella Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica prevista dall'articolo 5 del testo in esame.

 

Il richiamato articolo 7, comma 1, lettera b), nn. 1 e 2, fa riferimento ai tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni e alle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali.

 

A seguito di una modifica apportata dall’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, è stato specificato che, nel caso in cui i predetti interventi si accompagnano ad una riduzione di funzioni amministrative dei livelli di governo i cui tributi sono oggetto degli interventi medesimi, la compensazione deve essere effettuata in misura corrispondente alla riduzione delle funzioni.

 

La lettera s) del comma 2 richiede che nell’accertamento e nella riscossione siano assicurate modalità efficienti di accreditamento diretto o di riversamento automatico di quanto riscosso, dovendosi prevedere che i tributi erariali compartecipati abbiano integrale evidenza contabile (come è stato specificato a seguito di una modifica apportata dall’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera) nel bilancio statale, mentre la lettera t) del comma 2 richiede che sia assicurata agli enti titolari del tributo la possibilità di utilizzare in via diretta le banche di dati utili alle necessarie attività di gestione amministrativa e contabile. In sede di esame referente presso il Senato il principio di delega è stato integrato richiedendosi l’altro il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali, che, in mancanza di abrogazione espressa, avrebbe dovuto comunque essere osservata, considerata anche la valenza costituzionale del diritto che tende a tutelare.

 

La lettera u) del comma 2 richiede che vadano premiati i comportamenti virtuosi ed efficienti nell'esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica.

Corrispettivamente, il principio di delega richiede che vengano previsti meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

Infine, lo stesso principio di delega richiede che vengano previste specifiche modalità mediante le quali il Governo adotta misure sanzionatorie:

a)  nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;

b)  nel caso in cui gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'articolo 17 del presente provvedimento abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche.

Le misure sanzionatorie possono giungere fino all'esercizio da parte del Governo del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria.

 

La lettera v) del comma 2 richiede che si preveda che anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, così come predefiniti ai sensi della lettera h), si applichino le sanzioni di cui alla sopra esaminata lettera u) a carico degli enti inadempienti.

Si segnala che ulteriori criteri direttivi in materia di meccanismi premiali e sanzionatori sono previsti anche all’articolo 16, comma 1, lettera e) del ddl in esame.

A seguito di una modifica apportata dall’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, è stata prevista l’applicazione delle suddette sanzioni anche nel caso di mancata o tardiva comunicazione dei dati rilevanti ai fini del coordinamento della finanza pubblica.

 

La lettera z) del comma 2 pone il principio della garanzia, nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni da attribuire alle regioni e agli enti locali, del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale.

I tributi e le compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, dovranno essere composti in misura rilevante da tributi manovrabili.

Nel corso dell’esame in sede referente presso il Senato si è specificato che si dovrà determinare un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi, per ciascun livello di governo.

 

La lettera aa) del comma 2 richiede che si debba prevedere una adeguata flessibilità fiscale, la quale dovrebbe rispondere alle seguenti caratteristiche:

-          articolazione su più tributi;

-          con una base imponibile stabile;

-          con una base imponibile distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale.

Secondo il principio di delega, una tale base imponibile dovrà consentire a tutti gli enti territoriali, compresi quelli a più basso potenziale fiscale, di finanziare il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali.

 

La lettera bb) del comma 2 richiede che sia assicurata la trasparenza e l’efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, in modo tale da garantire l'effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b).

La richiamata disposizione di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b) stabilisce che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica deve proporre criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza, verificandone l'applicazione.

 

La lettera cc) del comma 2 richiede che l’imposizione fiscale dello Stato venga ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali che verrà calcolata ad aliquota standard.

Alla più ampia autonomia di entrata degli enti territoriali dovrà corrispondere anche una riduzione delle risorse umane e strumentali attualmente utilizzate dallo Stato.

Sempre la lettera cc) del comma 2 richiede che vengano eliminate dal bilancio statale le previsioni di spesa dirette al finanziamento delle funzioni attribuite agli enti territoriali. Non dovranno essere tuttavia eliminate dal bilancio dello Stato le voci di spesa riferite al finanziamento dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi previsti dall'articolo 119, comma quinto, della Costituzione.

 

La lettera dd) del comma 2 richiede che la disciplina dei tributi locali venga definita in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale.

 

Si ricorda che l’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione, stabilisce che lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

 

L’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale dovrebbe comportare che tutti gli enti pubblici rappresentativi, elencati nell’articolo 118, comma 4, Costituzione nel momento in cui decidono di tutelare un diritto sociale dovrebbero preferire l’azione dei cittadini singoli o associati e solo dopo aver accertato la necessità di un intervento pubblico possono attribuire a sé o ad altro ente rappresentativo la tutela di quel diritto.

 

La lettera ee) del comma 2 pone il principio della territorialità dei tributi regionali e locali.

A seguito dell’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, il principio della territorialità dei gettiti delle compartecipazioni, come originariamente previsto dalla lettera ee) in esame, è stato modificato nel principio della riferibilità al territorio delle compartecipazioni al gettito di tributi erariali.

 

La lettera ff) del comma 2 richiede che vi sia una corrispondenza - seppure solo tendenziale - tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico. Si richiede inoltre il conferimento ai diversi livelli di governo, tramite appositi strumenti, di autonomia nella gestione della contrattazione collettiva.

 

La lettera gg) del comma 2 pone il principio della certezza delle risorse e della stabilità tendenziale del quadro di finanziamento complessivo, in misura corrispondente alle funzioni attribuite, mentre la lettera hh) del comma 2 richiede che siano individuate forme di fiscalità di sviluppo. Ciò dovrà avvenire in conformità con il diritto comunitario e con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa. A seguito dell’approvazione di un emendamento in sede di esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, è stato specificato che la citata creazione di nuove attività di impresa va riferita alle aree sottoutilizzate.

 


 

Articolo 2, commi 3-7
(Procedura di adozione dei decreti legislativi)

 


3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere, ciascuno corredato da relazione tecnica che evidenzi gli effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema di decreto sul saldo netto da finanziare, sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico, perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all'articolo 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta.

4. Decorso il termine per l'espressione dei pareri di cui al comma 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.

5. Il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali.

6. Almeno uno dei decreti legislativi di cui al comma 1 è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e reca i principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici di cui al comma 2, lettera h), primo periodo. Contestualmente all'adozione del primo schema di decreto legislativo, il Governo trasmette alle Camere, in allegato a tale schema, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.

7. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e con la procedura di cui ai commi 3 e 4.


 

 

I commi da 3 a 7 dell’articolo in esame recano la procedura di adozione dei decreti legislativi che il Governo, ai sensi del comma 1, è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, per l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione (sul termine, v. infra quanto disposto dal successivo comma 6 e dal comma 4 dell’articolo 3).

Il comma 3 prevede che i decreti legislativi siano adottati su proposta del ministro dell’economia e delle finanze, del ministro per le riforme per il federalismo, del ministro per la semplificazione normativa, del ministro per i rapporti con le regioni e del ministro per le politiche europee, di concerto con il ministro dell’interno, con il ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e con gli altri ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti.

Gli schemi di decreto legislativo, adottati previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono successivamente trasmessi alle Camere affinché su di essi sia espresso il parere della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, di cui al successivo articolo 3, nonché delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario.

Un emendamento approvato nel corso dell’esame in sede referente dispone che ciascuno schema sia corredato da una relazione tecnica che ne evidenzi gli effetti sul saldo netto da finanziare, sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e sul fabbisogno del settore pubblico.

Gli organismi parlamentari sono chiamati a esprimersi entro sessanta giorni dalla trasmissione dei testi. Decorso il termine di sessanta giorni, senza che la Commissione bicamerale e le commissioni competenti per gli aspetti finanziari si siano pronunciate, il Governo può comunque adottare i decreti.

In merito alla procedura di consultazione delle regioni e delle autonomie, il richiamo all’art. 3 del D.Lgs. 281/1997[2] indica che l’intesa da raggiungersi in sede di Conferenza unificata non deve essere considerata presupposto necessario e vincolante per l’esercizio del potere delegato da parte del Governo. Il comma in parola prevede infatti che, in mancanza di intesa, e trascorsi trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza in cui i decreti legislativi siano posti all’ordine del giorno, il Consiglio dei ministri può comunque deliberare, approvando allo stesso tempo una relazione in cui vengano motivate le ragioni per cui l’intesa non è stata raggiunta. Tale relazione viene trasmessa alle Camere.

Il successivo comma 4 definisce ulteriormenteil percorso attuativo dei decreti, nell’ipotesi in cui il Governo non intenda conformarsi alle indicazioni in essi contenute. Il testo trasmesso dal Senato prevedeva che in tal caso il Governo dovesse ritrasmette i testi alle Camere con le osservazioni e le eventuali modifiche, affinché gli stessi organismi precedentemente previsti, esprimano un nuovo parere. Un emendamento approvato dalle Commissioni dispone invece che il Governo renda comunicazioni al riguardo davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo.

In questo secondo passaggio parlamentare non è più coinvolta, dunque, la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale né le Commissioni competenti in materia finanziaria, ma – sembra di intendere – le Assemblee di ciascuna Camera. Non è prevista l’espressione di un secondo parere ma ciascuna delle due Camere, ai sensi dei rispettivi regolamenti, può decidere lo svolgimento di un dibattito sulle comunicazioni, che può concludersi con il voto su uno o più atti di indirizzo (risoluzioni) al Governo.

 

Si tratta di una soluzione procedurale inedita tra quelle adottate, negli ultimi anni, allo scopo di rafforzare il coinvolgimento del Parlamento nella fase di elaborazione degli schemi di decreti legislativi, in relazione ai processi di delega di maggiore impatto.

A partire dalla legge 7 aprile 2003, n. 80, recante delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, è stato previsto, per alcune deleghe, un procedimento particolarmente complesso per l’adozione dei relativi decreti legislativi di attuazione: in questi casi, il Governo, dopo aver acquisito i pareri di altri organismi previsti dalla legge di delega (ad es. la Conferenza Stato-Regioni) e delle Camere, ritrasmette i testi, con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni, alla Conferenza Stato-Regioni ed alle Camere per il parere definitivo. Nella XV Legislatura il ricorso a tale procedura è stato previsto per la Legge comunitaria 2006 e 2007, per la L. 77/2007[3] e per la L. 247/2007[4], Attuazione del Protocollo sul welfare.

Il meccanismo del “doppio parere” è previsto in via generale dalla L. 400/1988 (art. 14, co. 4) per tutte le deleghe la cui durata superi i due anni.

 

L’ultimo periodo del comma 4 assicura una maggiore partecipazione delle autonomie all’esame parlamentare dei decreti delegati. Al termine dell’iter parlamentare relativo alla procedura di adozione dei decreti, il Governo infatti, qualora, anche a seguito dei pareri parlamentari, intenda discostarsi dall’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, deve trasmettere alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazionein cui siano indicate le motivazioni per il possibile esito difforme rispetto all’intesa precedentemente raggiunta.

Il comma 5, disponendo che il Governo fornisce piena collaborazione alle regioni e agli enti locali nella fase di predisposizione dei decreti, presuppone il coinvolgimento delle autonomie attraverso una modalità diversa e ulteriore rispetto a quella dell’intesa già prevista al comma 3. Nel corso dell’esame in sede referente è stato soppresso l’inciso che finalizza tale collaborazione anche alla una definizione condivisa di nodi attuativi centrali, quali i livelli essenziali delle prestazioni e la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard.

Il comma 6 prevede che almeno uno dei decreti attuativi sia adottato entro dodici mesi dall’entrata in vigore del testo in esame, articolando pertanto il termine della delega, fissato al comma 1 in ventiquattro mesi. Il primo decreto, precisa il testo modificato dalle Commissioni, deve avere ad oggetto i principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici di cui al comma 2, lettera h), primo periodo. In allegato allo schema, il Governo deve trasmettere alle Camere una relazione tecnica contenente dati che illustrino le implicazioni e le ricadute di carattere finanziario che conseguiranno all’attuazione delle norme. In particolare, la relazione fornirà il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e le ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.

 

La previsione del comma 6 acquista particolare rilievo poiché risponde all’esigenza, emersa nel corso del dibattito parlamentare, di poter disporre in tempi intermedi, dei dati sull’impatto economico del federalismo fiscale così come delineato dal testo in esame[5].

 

Il comma 7 prevede infine che, entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi che il Governo, ai sensi del comma 1, è delegato ad adottare per l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione, possano essere adottati, con la procedura illustrata nei commi 3 e 4 dell’articolo in esame, decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive degli stessi, purché rispondenti ai criteri e principi direttivi presenti nel testo in esame.


 

Articolo 3
(Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale)

 


1. È istituita la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, composta da quindici senatori e da quindici deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, su designazione dei Gruppi parlamentari, in modo da rispecchiarne la proporzione. Il presidente della Commissione è nominato dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. La Commissione si riunisce per la sua prima seduta entro venti giorni dalla nomina del presidente, per l'elezione di due vicepresidenti e di due segretari che, insieme con il presidente, compongono l'ufficio di presidenza.

1-bis. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei propri lavori.

1-ter. Gli oneri derivanti dall'istitu­zione e dal funzionamento della Commissione sono posti per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.

2. La Commissione assicura il raccordo con le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni, avvalendosi a tal fine della consultazione di un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali, nominato dalla componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell'ambito della Conferenza unificata. Esso è composto da dodici membri di cui sei in rappresentanza delle regioni, due in rappresentanza delle province e quattro in rappresentanza dei comuni.

3. La Commissione:

     a) esprime i pareri sugli schemi dei decreti legislativi di cui all'articolo 2;

     b) verifica lo stato di attuazione di quanto previsto dalla presente legge e ne riferisce ogni sei mesi alle Camere fino alla conclusione della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20. A tal fine può ottenere tutte le informazioni necessarie dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 o dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5.

4. La Commissione può chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero di schemi trasmessi nello stesso periodo all'esame della Commissione. Con la proroga del termine per l'espressione del parere si intende prorogato di venti giorni anche il termine finale per l'esercizio della delega. Qualora il termine per l'espressione del parere scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine finale per l'esercizio della delega, quest'ultimo è prorogato di novanta giorni.

5. La Commissione è sciolta al termine della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20.


 

 

Le disposizioni di cui agli articoli da 3 a 5 istituiscono un sistema di nuovi organi cui è attribuito il compito di presiedere, sia a livello tecnico-operativo, sia consultivo-politico, al processo di attuazione della delega sul federalismo fiscale. Si tratta della:

§      Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3);

§      Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 4);

§      Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 5).

 

L'articolo 3 prevede un organismo consultivo a livello parlamentare, la Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, le cui competenze consistono essenzialmente nel pronunciarsi sugli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega e nel verificare lo stato di attuazione della riforma e di riferirne periodicamente alle Camere.

L'articolo va letto congiuntamente con le disposizioni di cui all'articolo 2, commi 3 e seguenti (per l’approfondimento dei quali, si veda supra), che disciplinano la fase consultiva del procedimento di normazione delegata.

La Commissione, ai sensi del comma 1, è composta esclusivamente da parlamentari: quindici senatori nominati dal Presidente del Senato e quindici deputati nominati dal Presidente della Camera, su designazione dei gruppi parlamentari, in modo da rispecchiarne la proporzione. Le Commissioni riunite hanno così modificato la precedente formulazione la quale prevedeva che il rispetto del principio di proporzionalità tra maggioranza e opposizione nella composizione della Commissione dovesse essere garantito per l’intero arco della legislatura.

La nomina del presidente della Commissione spetta ai Presidenti delle Camere (nel testo approvato dal Senato veniva eletto dalla Commissione tra i propri componenti).

Nella prima seduta, che deve tenersi entro 20 giorni dalla nomina del presidente, la Commissione elegge due vicepresidenti e due segretari, i quali formano, insieme con il presidente, l’ufficio di presidenza.

Al testo pervenuto dal Senato le Commissioni riunite hanno aggiunto i commi 1-bis e 1-ter, con i quali rispettivamente si rinvia ad un regolamento interno, da approvarsi da parte della Commissione prima dell’inizio dei suoi lavori, la disciplina dell'attività e del funzionamento della Commissione stessa e si pongono paritariamente a carico dei bilanci interni della Camera e del Senato le spese per l’istituzione e il funzionamento della Commissione.

La Commissione assicura il raccordo con le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni attraverso la consultazione di un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali (comma 2).

 

Accanto alla Commissione composta soltanto da parlamentari, viene pertanto istituito un organismo tecnico, del tutto separato dal Parlamento, cui partecipano rappresentanti delle autonomie territoriali. L’inserimento del Comitato nel processo di attuazione del federalismo fiscale costituisce una novità rispetto al precedente rappresentato dalla Commissione parlamentare per la riforma amministrativa, istituita dall’art. 5 della L. 59/1997 (c.d. legge Bassanini).

I componenti del Comitato sono dodici: sei in rappresentanza delle Regioni, due delle Province, quattro dei Comuni.

I componenti sono nominati non dalla Conferenza unificata nel suo complesso, ma dalla “componente rappresentativa delle Regioni e degli enti locali” nel suo ambito.

Per quanto riguarda la sua composizione, il Comitato viene ad essere rappresentativo degli organi esecutivi degli enti territoriali, e non anche di quelli legislativi, in quanto il comma 2 dell’articolo in esame fa riferimento, quanto ai componenti del nuovo organismo, alla Conferenza unificata di cui all’art. 8 del D.Lgs. 281/1997[6] e quindi sostanzialmente ai presidenti delle regioni, ai presidenti dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia – ANCI, dell'Unione province d'Italia – UPI e dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani – UNCEM, ai quattordici sindaci designati dall'ANCI e ai sei presidenti di provincia designati dall'UPI.

 

Il comma 3 attribuisce alla Commissione parlamentare due tipi di competenza:

§      ad esprimere i pareri sugli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 2 (articolo che, come detto, contiene la puntuale disciplina della procedura consultiva prevista: in particolare la Commissione in esame può essere chiamata a esprimere, eventualmente, un doppio parere – vedi supra);

§      a verificare lo stato di attuazione di quanto previsto dal testo normativo in esame e a riferirne ogni sei mesi alle Camere, fino alla conclusione della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20 (momento che, ai sensi del comma 5, determinerà lo scioglimento della Commissione).

Al fine della verifica sullo stato di attuazione la Commissione può ottenere tutte le informazioni che ritenga necessarie, sia dalla Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3), sia dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 4).

 

Ai sensi del comma 4, la Commissione può chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l’adozione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia e per il numero di schemi trasmessi nello stesso periodo all’esame della Commissione. Con la proroga del termine per l’adozione del parere, si intende prorogato di venti giorni anche il termine finale per la delega.

Al comma 4 è stato aggiunto dalle Commissioni riunite un ulteriore periodo, al fine di prevedere che qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare venga a spirare in un momento successivo al trentesimo giorno antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della delega, quest’ultimo termine sia prorogato di novanta giorni.

 

Il comma 5 dispone infine l’automatico scioglimento della Commissione in coincidenza con la conclusione della fase transitoria prevista dagli articoli 19 e 20 del testo in esame (al cui commento si rinvia).


 

Articolo 4
(Commissione tecnica paritetica per l’attuazione
del federalismo fiscale)

 


1. Al fine di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi di cui all'articolo 2, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituita, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, una Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, di seguito denominata «Commissione», formata da trenta componenti e composta per metà da rappresentanti tecnici dello Stato e per metà da rappresentanti tecnici degli enti di cui all'articolo 114, secondo comma, della Costituzione. Partecipano alle riunioni della Commissione un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e uno del Senato della Repubblica, designati dai rispettivi Presidenti, nonché un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle province autonome, designato d'intesa tra di loro nell'ambito della Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome di cui agli articoli 5, 8 e 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

2. La Commissione è sede di condivisione delle basi informative finanziarie, economiche e tributarie, promuove la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi e svolge attività consultiva per il riordino dell'ordinamento finanziario di comuni, province, città metropolitane e regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative. A tale fine, le amministrazioni statali, regionali e locali forniscono i necessari elementi informativi sui dati finanziari, economici e tributari.

3. La Commissione adotta, nella sua prima seduta, da convocare entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, la tempistica e la disciplina procedurale dei propri lavori.

4. La Commissione opera nell'ambito della Conferenza unificata e svolge le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza di cui all'articolo 5 a decorrere dall'istituzione di quest'ultima. Trasmette informazioni e dati alle Camere, su richiesta di ciascuna di esse.


 

 

L’articolo 4 dispone l’istituzione di un organismo tecnico, denominato Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, con il compito, in primo luogo, di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione, da parte del Governo, degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega in materia di federalismo fiscale.

La Commissione tecnica è istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame; peraltro, il successivo comma 4 stabilisce che essa opera nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali (comma 1).

Della Commissione tecnica fanno parte 30 componenti, dei quali:

§      15 rappresentanti tecnici dello Stato;

§      15 rappresentanti tecnici degli enti territoriali (individuati mediante richiamo dell’art. 114, secondo comma, Cost.: Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni).

Partecipano inoltre alle riunioni un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e uno del Senato, nominati dai rispettivi Presidenti, e un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle Province autonome, designato d’intesa tra di loro nell’ambito della Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome.

Durante l’esame referente, le Commissioni riunite hanno soppresso l’ultimo periodo del comma 1, che poneva a carico dei soggetti istituzionali rappresentati gli oneri per il funzionamento della Commissione. Con lo stesso emendamento è stato sostituito il comma 3 dell’art. 26, disponendo, tra l’altro, che per l’istituzione e il funzionamento della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica si possa fare ricorso soltanto alle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (sul punto vedi, più diffusamente, la scheda relativa all’art. 26).

Il comma 2 specifica in dettaglio i compiti della Commissione, che è chiamata a:

§      operare quale sede di condivisione delle basi informative finanziarie, economiche[7] e tributarie, formate avvalendosi degli elementi informativi forniti dalle amministrazioni statali, regionali e locali;

§      promuovere la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi;

§      svolgere attività consultiva per il riordino dell’ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative.

La definizione della tempistica e della disciplina procedurale dei lavori della Commissione è demandata ad un’autonoma determinazione della stessa, che deve essere convocata entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore del D.P.C.M. istitutivo (comma 3).

Il comma 4 individua nella Conferenza unificata l’ambito operativo della Commissione tecnica paritetica e attribuisce all’organismo le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, istituita dal successivo articolo 5 del disegno di legge (sul quale si veda la relativa scheda di lettura).


 

Articolo 5
(Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 prevedono l'istituzione, nell'ambito della Conferenza unificata, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica come organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica, di seguito denominata «Conferenza», di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo, e ne disciplinano il funzionamento e la composizione, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento; concorre alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e promuove l'attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi, in particolare per ciò che concerne la procedura del Patto di convergenza di cui all'articolo 17; verifica la loro attuazione ed efficacia; avanza proposte per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi; vigila sull'applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento;

     b) la Conferenza propone criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l'applicazione;

     c) la Conferenza verifica l'utilizzo dei fondi per gli interventi di cui all'articolo 15;

     d) la Conferenza assicura la verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario di comuni, province, città metropolitane e regioni, ivi compresa la congruità di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d); assicura altresì la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo e l'adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema;

     e) la Conferenza verifica la congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali;

     e-bis) la Conferenza mette a disposizione della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, dei Consigli regionali e di quelli delle Province autonome tutti gli elementi informativi raccolti;

     f) la Conferenza si avvale della Commissione di cui all'articolo 4 quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie; a tali fini, è istituita una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio;

     g) la Conferenza verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard nonché agli obiettivi di servizio e promuove la conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati all'attuazione delle norme sul federalismo fiscale, oggetto di confronto e di valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata.

2. Le determinazioni della Conferenza sono trasmesse alle Camere.


 

 

L’articolo 5 demanda ai decreti legislativi di cui all’art. 2 l’istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, composta dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo. Essa è istituita nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali.

L’articolo, al comma 1, lettere a)-g), detta i principi e i criteri direttivi relativi al funzionamento della Conferenza, attribuendole alcune competenze che possono essere distinte in due ambiti principali:

§      il primo è essenzialmente individuabile nel concorso da parte della Conferenza alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto: in tale ambito, la Conferenza esercita compiti di proposta, ma anche di monitoraggio e di verifica (lettera a)). A tale proposito, nel corso dell’esame in sede referente, è stato approvato un emendamento, il quale specifica che l’impulso da parte della Conferenza all'attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi opera in particolare per ciò che concerne la procedura del Patto di convergenza di cui all'articolo 17 (cfr. la scheda relativa);

§      il secondo ambito di competenza consiste nella verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali, compresa la verifica sulla congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard relativo alle “spese essenziali” delle Regioni di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d).

La Conferenza si pone altresì quale organo di supporto alla Conferenza unificata e allo stesso Governo nell’esercizio delle funzioni indicate nell’articolo 17 del disegno di legge in esame, essendole specificamente attribuita la competenza alla verifica periodica della realizzazione del percorso di convergenza dei costi, dei fabbisogni standard dei vari livelli istituzionali e – come specificato in seguito ad una modifica apportata in sede referentedegli obiettivi di servizio. Costi, fabbisogni e obiettivi che saranno oggetto di valutazione in sede di Conferenza unificata (lettera g)).

La modifica è stata apportata in conseguenza dell’approvazione – in sede referente – di un emendamento, il quale, sostituendo la lettera f) dell’articolo 2, comma 2, ha specificato che gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni territoriali sono quelli riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni da garantirsi in tutto il Paese e alle funzioni fondamentali degli enti locali.

In conseguenza di tale modifica, la Conferenza permanente dovrà monitorare oltre ai costi e ai fabbisogni standard anche gli obiettivi di servizio, come sopra definiti.

In via più generale, la Conferenza assicura la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo e l'adeguatezza delle risorse di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti (lettera d)).

Sempre in tale ambito rientra la competenza della Conferenza di proporre criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi – secondo principi di efficienza efficacia e trasparenza – e nella verifica circa la loro applicazione (lettera b)).

Data la formulazione della norma, tale competenza della Conferenza riguarda dunque sia il fondo perequativo a favore delle regioni – i cui principi e criteri direttivi per la sua istituzione sono fissati dall’articolo 9 del disegno di legge in esame (cfr. scheda di lettura relativa) – sia i fondi perequativi a favore dei Comuni e a favore delle province e delle città metropolitane, i cui criteri direttivi per la istituzione sono fissati all’articolo 13 (cfr. scheda di lettura relativa).

 

La Conferenza, altresì:

§      verifica il corretto utilizzo dei fondi per gli interventi speciali di cui all’articolo 15 del disegno di legge (lettera c); vedi scheda di lettura relativa);

§      verifica la congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali (lettera e)).

§      mette a disposizione della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, dei Consigli regionali, di quelli delle Province autonome, tutti gli elementi informativi raccolti. Quest’ultima previsione è stata aggiunta in corso d’esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI (lettera e-bis));

§      ai fini dello svolgimento delle operazioni istruttorie e di supporto necessarie alla sua attività, si avvale della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, organismo di cui l’art. 4 del disegno di legge prevede l’istituzione presso il Ministero dell’economia e finanze. Tale organismo funge da segreteria tecnica della Conferenza (lettera f)).

Inoltre, ai sensi dell’articolo 2 del disegno di legge, recante i principi generali su cui si fonda l’impianto di delega, le Conferenza permanente è altresì competente alla quantificazione finanziaria degli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali, sugli interventi riguardanti i tributi propri derivati delle regioni e sulle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali (cfr. più diffusamente, la scheda di lettura relativa all’articolo 2). Tali interventi, infatti sono ammessi solo previa quantificazione da parte della Conferenza, e solo laddove lo Stato adotti misure per la loro completa compensazione.

Il comma 2 dispone che tutte le determinazioni della Conferenza siano trasmesse alle Camere.


 

Articolo 6
(Compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria)

 

1. All'articolo 2, primo comma, della legge 27 marzo 1976, n. 60, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché il compito di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali, vigilando altresì sui sistemi informativi ad essi riferibili ».

 

 

L’articolo 6 amplia le competenze della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, affidando a quest’ultima il compito ulteriore di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali.

 

Nel dettaglio, la disposizione aggiunge una frase alla fine dell’articolo 2, comma 1 della legge 27 marzo 1976, n. 60[8]. Si ricorda che la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria (articolo 2 della citata legge n. 60 del 1976), è composta di undici membri designati dai Presidenti delle due Camere. Essa (articolo 2-bis); effettua indagini e ricerche, tramite consultazioni e audizioni di organismi nazionali e internazionali, per valutare l'impatto delle soluzioni tecniche sugli intermediari incaricati di svolgere servizi fiscali tra contribuenti e amministrazioni, ed esprime un parere sulle attività svolte annualmente dall'anagrafe tributaria e sugli obbiettivi raggiunti nel corso dell'anno.

 

A seguito delle modifiche apportate durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite V e VI, alla Commissione di vigilanza è stato altresì conferito il compito di vigilare sui sistemi informativi riferibili ai suddetti servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali.

 


 

Articolo 7
(Princıpi e criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano i tributi delle regioni, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) le regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, in via prioritaria a quello dell'IVA, in grado di finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie che la Costituzione attribuisce alla loro competenza residuale e concorrente nonché le spese relative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni esercitano competenze amministrative;

     b) per tributi delle regioni si intendono:

          1) i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni;

          2) le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali;

          3) i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale;

     c) per una parte dei tributi di cui alla lettera b), numero 1), le regioni, con propria legge, possono modificare le aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti e secondo i criteri fissati dalla legislazione statale e nel rispetto della normativa comunitaria; per una parte dei tributi di cui alla lettera b), numero 2), le regioni, con propria legge, possono introdurre variazioni percentuali delle aliquote delle addizionali e possono disporre detrazioni entro i limiti fissati dalla legislazione statale;

     d) le modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato e delle compartecipazioni ai tributi erariali sono definite in conformità al principio di territorialità. A tal fine, le suddette modalità devono tenere conto:

          1) del luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi; per i servizi, il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale;

          2) della localizzazione dei cespiti, per i tributi basati sul patrimonio;

          3) del luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla produzione;

          4) della residenza del percettore, per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche;

     e) il gettito dei tributi regionali derivati e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali sono senza vincolo di destinazione.


 

 

L’articolo 7 reca disposizioni concernenti i principi e i criteri direttivi cui dovranno conformarsi i decreti legislativi in materia di fiscalità regionale.

 

La lettera a) disciplina le modalità di finanziamento delle regioni necessario per lo svolgimento delle funzioni rientranti nelle proprie competenze.

Si tratta dei tributi e delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, in via prioritaria della compartecipazione al gettito IVA (come specificato dalle Commissioni riunite), che saranno destinati al finanziamento delle spese per l’esercizio delle c.d. funzioni residuali e concorrenti di cui all’art. 117 Cost., nonché delle spese relative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni esercitano competenze amministrative (come specificato dalle Commissione riunite).

Si ricorda che, in base all’art. 119, quarto comma Cost. le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie, dalla compartecipazione al gettito dei tributi erariali e dal fondo perequativo, devono consentire agli enti territoriali di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

 

Ai sensi della lettera b) con il termine tributi regionali ci si riferisce a:

1.      tributi propri derivati, i quali si caratterizzano per essere istituiti e disciplinati dalla legge statale e il cui gettito è attribuito alle regioni;

2.      addizionali (come precisato dalle Commissioni riunite, in luogo delle “aliquote riservate” previste nel testo trasmesso dal Senato) su basi imponibili dei tributi erariali;

3.      tributi propri, istituiti dalle regioni in relazione a presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale (cfr. all’art. 2, il divieto di doppia imposizione).

Si ricorda che l’art. 119 della Costituzione, secondo comma, chiarisce che le autonomie territoriali stabiliscono ed applicano “tributi propri”, alle condizioni ivi previste, e dispongono della compartecipazione al gettito di “tributi erariali”, riferibili al loro territorio.

La disciplina del sistema tributario statale, nella quale possono farsi rientrare i tributi “erariali”, rientra nella esclusiva competenza dello Stato, secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera e). I “tributi propri regionali” sono tali, nell’ottica del nuovo art. 119 Cost., quando siano stabiliti dalle Regioni con propria legge. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito che, in linea di massima, «non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale»; solo per quanto riguarda le limitate ipotesi di tributi propri regionali aventi presupposti diversi da quelli dei tributi statali, la Corte ha riconosciuto sussistere il potere delle Regioni di stabilirli, in forza del quarto comma dell’art. 117 Cost., anche in mancanza di un’apposita legge statale di coordinamento, a condizione, però, che essi, oltre ad essere in armonia con la Costituzione, rispettino anche i princípi dell’ordinamento tributario, ancorché solo “incorporati”, per così dire, in un sistema di tributi sostanzialmente governati dallo Stato. (v. sent. 102/2008).

Sui profili di rilievo costituzionale dei "tributi propri della Regione" e dei "tributi (erariali) devoluti" si rinvia, più ampiamente, al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pagg. 7-9 (Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20 - Servizio studi del Senato, dossier n. 57).

 

Le Commissioni riunite hanno riformulato la lettera c), specificando che, per una parte (non meglio indicata) dei tributi propri previsti da leggi statali, le regioni possono variare le aliquote e prevedere esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti e secondo i criteri stabiliti dalla normativa statale e nel rispetto di quella comunitaria. Le regioni possono, altresì, modificare con propria legge le percentuali delle aliquote delle addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali e possono disporre detrazioni entro i limiti fissati dalla normativa statale.

Appare opportuno segnalare, peraltro, che l’art. 10, lett. b) n. 1, dispone l’obbligo di ridurre le aliquote dei tributi erariali in corrispondenza dell'aumento dei tributi regionali di cui ai punti 1) e 2) in commento.

 

La lettera d) disciplina le modalità di attribuzione alle regioni dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni a quelli erariali.

La suddetta ripartizione deve avvenire in base al principio di territorialità e, in ogni caso, si deve tener conto (punti da 1 a 4):

1)  del luogo di consumo per i tributi aventi quale presupposto i consumi. A tal fine si precisa che relativamente ai servizi il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale.

2)  della localizzazione dei cespiti per i tributi basati sul patrimonio;

3)  del luogo di prestazione del lavoro per i tributi basati sulla produzione;

4)  della residenza del percettore per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche.

Si ricorda che il principio di territorialità è posto dal ddl in esame anche tra i principi generali della delega (art. 2, lett. ee)), nonché a base dell’attribuzione di beni immobili agli enti territoriali (art. 18, lett. b)).

Le Commissioni riunite hanno soppresso, tra i criteri di riferimento per le modalità di attribuzione in questione, quello concernente il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali all’attività di contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale.

 

La lettera e) precisa, infine, che ai proventi dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni ai tributi erariali non possono essere imposti vincoli di destinazione.

L’assenza di vincolo di destinazione è prevista anche dal successivo art. 9, in tema di assegnazione delle quote del fondo perequativo; nonché dall’art. 11, in tema di gettito delle compartecipazioni spettanti agli enti locali.

 


 

Articolo 8
(Princıpi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento)

 


1. Al fine di adeguare le regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni, nonché al principio di autonomia di entrata e di spesa fissato dall'articolo 119 della Costituzione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione nonché delle spese relative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni esercitano competenze amministrative; tali spese sono:

          1) spese riconducibili al vincolo dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;

          2) spese non riconducibili al vincolo di cui al numero 1);

          3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinan­ziamenti nazionali di cui all'articolo 15;

     b) definizione delle modalità per cui le spese riconducibili alla lettera a), numero 1), sono determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale in piena collaborazione con regioni ed enti locali, da erogare in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale;

     c) definizione delle modalità per cui per la spesa per il trasporto pubblico locale, nella determinazione dell'ammon­tare del finanziamento, si tiene conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard;

     d) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 1), sono finanziate con il gettito, valutato ad aliquota e base imponibile uniformi, di tributi propri derivati, di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), numero 1) dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all'IVA nonché con quote specifiche del fondo perequativo, in modo tale da garantire nelle predette condizioni il finanziamento integrale in ciascuna regione; in via transitoria, le spese di cui al primo periodo sono finanziate anche con il gettito dell'IRAP fino alla data della sua sostituzione con altri tributi;

     e) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 3), e con quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9;

     f) soppressa;

     g) soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), ad eccezione dei contributi erariali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dalle regioni;

     h) definizione delle modalità per cui le aliquote dei tributi e delle comparte­cipazioni destinati al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), sono determinate al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispon­dente ai livelli essenziali delle prestazioni, valutati secondo quanto previsto dalla lettera b), in una sola regione; definizione, altresì, delle modalità per cui al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente concorrono le quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9;

     i) definizione delle modalità per cui l'importo complessivo dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 2), fatta eccezione per quelli già destinati al fondo perequativo di cui all’articolo 3, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, è sostituito dal gettito derivante dall'aliquota media di equilibrio dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche. Il nuovo valore dell'aliquota deve essere stabilito sul livello sufficiente ad assicurare al complesso delle regioni un ammontare di risorse tale da pareggiare esattamente l'importo complessivo dei trasferimenti soppressi;

     l) definizione delle modalità per cui agli oneri delle funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, si provvede con adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni.

2. Nelle forme in cui le singole regioni daranno seguito all'intesa Stato-regioni sull'istruzione, al relativo finanziamento si provvede secondo quanto previsto dal presente articolo per le spese riconducibili al comma 1, lettera a), numero 1).

3. Nelle spese di cui al comma 1, lettera a), numero 1), sono comprese quelle per la sanità, l'assistenza e, per quanto riguarda l'istruzione, le spese per lo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti.


 

 

L’articolo 8 indica i principi e criteri direttivi per il finanziamento delle spese connesse a materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale, ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione.

Finalità della disposizione è l'adeguamento delle regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni, nonché al principio di autonomia finanziaria di entrata e di spesa di cui all'articolo 119 della Costituzione.

Classificazione delle spese

Il comma 1, lettera a) indica i criteri per la classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale, in funzione dell’individuazione della relativa forma di finanziamento nonché, a seguito delle modifiche apportate in sede di esame presso le Commissioni V e VI, delle spese relative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni possono esercitare competenze amministrative.

 

In particolare, le spese sono classificate in:

1.    spese inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (cd. “spese essenziali) (lettera a), numero 1);

La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale è indicata dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione quale competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Ai sensi del comma 3, tra tali spese sono ricomprese quelle per la sanità e per l’assistenza. Per quanto riguarda l'istruzione, conseguentemente alle modifiche apportate al testo in sede di esame presso le Commissioni V e VI, sono considerate spese inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni quelle destinate allo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti.

Il comma 2 precisa inoltre che, nelle forme in cui le singole regioni daranno seguito all'intesa Stato-regioni sull'istruzione, al relativo finanziamento si provvederà secondo quanto previsto per le spese inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni.

2.  spese inerenti ai livelli non essenziali delle prestazioni (cd. spese “non essenziali) (lettera a), numero 2).

Queste spese sono individuabili per esclusione, come quelle non riconducibili alle altre due categorie;

3.  spese finanziate con contributi speciali, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali previsti all’articolo 15 (lettera a), numero 3).

Tali spese sono dunque classificate non sulla base dell’oggetto ma sulla base della fonte di finanziamento.

 

Per quanto riguarda le spese per il trasporto pubblico locale e le spese per funzioni amministrative trasferite dallo Stato alle regioni, si rinvia agli appositi paragrafi (v. infra).

La classificazione delle spese sembrerebbe destinata ad avere rilievo anche ai fini del riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni disposto dall’articolo 117 della Costituzione (come si evince anche dalla rubrica che fa riferimento alle “modalità di esercizio delle competenze legislative”). Per la prima volta si avrebbe infatti un intervento organico del legislatore volto a procedere ad una classificazione, sia pure in termini di spese, basata sulle competenze legislative indicate dall’articolo 117.

Dalla formulazione testuale della norma, pare desumersi che tutte le spese per la sanità e l’assistenza dovrebbero essere classificate come riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Deve essere peraltro valutata la coerenza della classificazione con il dettato dell’articolo 117. La classificazione di un ambito di intervento come riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni implica infatti la competenza legislativa statale su detto ambito, laddove è da escludere detta competenza per l’intero ambito della sanità e dell’assistenza (la tutela della salute è infatti materia di competenza concorrente, laddove l’assistenza sociale è materia di competenza residuale regionale).

La norma sembrerebbe allora dover essere interpretata nel senso della necessità di procedere prima alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (laddove i medesimi non risultino già definiti) e, successivamente, alla classificazione delle spese.

Con riferimento all’istruzione, la norma sembrerebbe considerare riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni le spese per lo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle regioni dalla normativa vigente.

Anche in tal caso, la norma potrebbe essere interpretata nel senso della previa necessità di determinare i livelli essenziali delle prestazioni nell’ambito delle attività in materia di istruzione dai commi 2 e 3.

Con riferimento alle spese relative a livelli essenziali delle prestazioni, non appare altresì chiaro se le spese espressamente «comprese» (sanità e assistenza nel loro complesso, ed istruzione per la parte indicata) esauriscano la categoria o non costituiscano piuttosto un contenuto minimo, ampliabile dal legislatore delegato.

Il costo "standard"

La lettera b) del comma 1 detta i criteri per la determinazione delle spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni. Tale determinazione si effettua nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale; a seguito delle modifiche apportate durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite V e VI, la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni deve avvenire in piena collaborazione con regioni ed enti locali, per un’erogazione in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale.

Il trasporto pubblico locale

La lettera c) riguarda l’ammontare del finanziamento per la spesa per il trasporto pubblico locale, che va determinato tenendo conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale, oltre che dei costi standard.

Nella formulazione originale della norma si disponeva che, con particolare riferimento al trasporto pubblico locale, il finanziamento attraverso il fondo perequativo fosse subordinato al rispetto di un livello di servizio minimo, fissato a livello nazionale. Tale prescrizione è stata eliminata nel corso dell’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite V e VI.

Disposizioni sul finanziamento del trasporto pubblico locale sono contenute anche nell'articolo 9, comma 1, lettera f), relativo al fondo perequativo per le regioni.

Il finanziamento delle spese

I principi e criteri di cui alle lettere da d) a i)riguardano il finanziamento delle spese "essenziali", di cui alla lettera a), n. 1, e "non essenziali", di cui alla lettera a), n. 2.

Prima di analizzare distintamente le due tipologie di spese sopra indicate, si segnala che durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni V e VI è stata eliminata la lettera f). La norma disponeva che l’utilizzo delle compartecipazioni quali fonti di finanziamento dovesse essere tendenzialmente limitato ai soli casi in cui occorresse garantire il finanziamento integrale della spesa (come nel caso della spesa collegata ai LEP).

Eliminato tale vincolo, sembra dunque evincersi che le compartecipazioni possono finanziare integralmente la spesa cui si riferiscono.

Anche la lettera g) è stata modificata durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni. Il nuovo testomantiene ferma la soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese essenziali e di quelle non essenziali ma, rispetto alla formulazione originaria, fatta eccezione per i contributi erariali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dalle regioni.

Spese essenziali: fonti di finanziamento

La lettera d) garantisce il finanziamento integrale delle spese essenziali in ciascuna Regione.

Ai sensi della successiva lettera h)l’ammontare della somma da finanziare è determinata sulla base del criterio della spesa standard, indipendentemente dalla spesa effettivamente sostenuta.

Ai sensi del combinato disposto delle lettere d) e h) del comma 1, il finanziamento delle spese essenziali superiori al costo standard, limitatamente alla quota eccedente, è considerato a carico delle singole Regioni.

 

Il finanziamento delle spese essenziali è garantito dal gettito tributario valutato ad aliquota ed a base imponibile uniformi.

La previsione di una valutazione “ad aliquota e base imponibile uniforme” sembrerebbe riferirsi ad una situazione “teorica” caratterizzata dall’assenza di interventi sulla misura dell’aliquota da parte delle Regioni, ovvero sulla determinazione dell’imponibile ai fini fiscali da parte dello Stato.

L’articolo 9, lettera e), del ddl in esame garantisce l’integrale copertura anche con riferimento al differenziale certificato positivo tra i dati previsionali e l’effettivo gettito dei tributi, escluso il gettito derivante dalla lotta all’evasione fiscale. Inoltre, l’articolo 10, lettera d), prevede la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento sia in termini di gettito sia in termini di correlazione con le funzioni svolte.

I tributi attraverso i quali viene garantito il finanziamento della spesa essenziale sono:

4.       

5.      a seguito delle modifiche apportate al testo presso le Commissioni V e VI, i tributi propri derivati di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), numero 1, istituiti e disciplinati dalla legge statale e il cui gettito è attribuito alle regioni.

Nella formulazione originale, la lettera d) prevedeva che il finanziamento della spesa essenziale avvenisse tramite tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione (per cui si veda l’articolo 2 del provvedimento in esame).

2.  l’addizionale regionale all’IRPEF.

Per quanto riguarda l’addizionale regionale all’IRPEF, si segnala che - ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lett. a), del provvedimento in esame - una quota del gettito della citata imposta è destinato al fondo perequativo per le spese non essenziali.

Nel corso dell’esame presso le Commissioni V e VI, è stata eliminata dalle fonti di finanziamento della spesa “essenziale” la riserva di aliquota sull'imposta sul reddito delle persone fisiche.

Con particolare riferimento ai punti sub 1. e 2. si segnala che, ai sensi dell’art. 9, lett. c), n. 1), il gettito regionale determinato ai fini della perequazione, è calcolato escludendo le variazioni di gettito “prodotte dall’esercizio dell’autonomia tributaria nonché dall’emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell’attività di recupero fiscale”;

3.  la compartecipazione regionale all’IVA.

La compartecipazione IVA alimenta, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lett. a), del provvedimento in esame – anche il fondo perequativo per le spese essenziali.

Tenuto conto che, ai sensi dell’articolo 9, il gettito da compartecipazione regionale all’IVA deve alimentare anche il fondo perequativo per le spese essenziali, potrebbe risultare opportuno chiarire la priorità di attribuzione nell’utilizzo del citato gettito;

4.    quote specifiche del fondo perequativo;

5.    in via transitoria, dell’IRAP, ma solo fino alla data della sua sostituzione con altri tributi.

Spese essenziali: somme da finanziare

La lettera h) stabilisce le modalità di determinazione dell’ammontare della spesa essenziale da finanziare. A tal fine dispone che le aliquote (di tributi e compartecipazioni) sono fissate al livello minimo assoluto sufficiente per finanziare pienamente il fabbisogno dei LEP (valutati ai costi standard) in una sola Regione.

In sostanza, il parametro da utilizzare per la determinazione delle somme da finanziare con tributi regionali verrà valutato sulla base del costo ritenuto ottimale, riferito alle spese essenziali e valutato in termini di costo standard, sostenuto dalle varie Regioni. L’eccedenza di spesa essenziale rispetto al gettito ottenuto in base ai predetti criteri è finanziata dal fondo perequativo di cui all’articolo 9.

La metodologia prevista dalla lettera h) comporta che tutte le Regioni il cui fabbisogno per i LEP risulti superiore a quello della Regione con riferimento alla quale si determina il costo standard, dovranno ricorrere all’utilizzo del fondo perequativo per il finanziamento delle spese essenziali.

Spese non essenziali: fonti di finanziamento

Il ddl in esame non garantisce l’integrale finanziamento delle spese non essenziali alle quali, ai sensi della lettera e) - modificata nel corso dell’esame del provvedimentopresso le Commissioni V e VI - si deve far fronte mediante:

1        tributi propri derivati istituiti da leggi statali, il cui gettito è riservato alle regioni;

2        i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi, in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale;

La precedente formulazione della norma faceva generalmente riferimento a “tributi propri”;

3        fondo perequativo, di cui all’articolo 9 del ddl in esame, alla cui scheda si rinvia.

 

La lettera i) impone di sostituire i trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese "non essenziali" con il gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’IRPEF che assicuri al complesso delle regioni un ammontare di risorse corrispondente ai trasferimenti statali soppressi.

In altre parole, tenuto anche conto di quanto disposto dall’art. 9, lett. a), le regioni per le quali il gettito dell’addizionale determinato dall’applicazione dell’aliquota media è superiore all’ammontare del trasferimento statale soppresso, versano nel fondo perequativo l’eccedenza; le regioni che, invece, si trovano nella situazione opposta (il gettito dell’addizionale è inferiore al trasferimento soppresso) prelevano dal fondo perequativo l’importo mancante.

In merito alla misura dell’addizionale regionale si segnala che il relativo gettito, oltre a dover compensare i trasferimenti erariali soppressi ai sensi della lettera i) in esame, è utilizzato anche per il finanziamento delle spese essenziali (lettera d)) e delle spese non essenziali (articolo 9, lettera a)).

 

A seguito delle modifiche apportate al provvedimento in sede di esame presso le Commissioni V e VI, la sostituzione non opera per quanto attiene fondo perequativo di cui all’articolo 3, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549. Quel fondo – computato e finanziato attualmente nell’ambito del gettito dell’IRAP – ha assorbito i trasferimenti erariali che costituivano il primo finanziamento delle regioni a statuto ordinario secondo la legge n. 281 del 1970. Congloba quindi il finanziamento delle spese di funzionamento, di spese per funzioni ora riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e, insieme, di spese per funzioni diverse. La ripartizione di quel fondo fra le regioni conserva i parametri perequativi che la legge n. 281 del 1970 stabiliva in favore delle regioni demograficamente minori e di quelle in cui il reddito medio pro-capite è inferiore al valore della media nazionale. L’esclusione stabilita dalle commissioni riunite è intesa a conservare quella diversa distribuzione che sarebbe invece assorbita e travolta dalla sua assimilazione alla perequazione stabilita per le spese relative a funzioni non LEP.

A differenza delle spese essenziali, dunque, quelle non essenziali non godono di riserve e compartecipazioni a grandi tributi statali. Va rammentato che le spese "non essenziali" non sono valutate ai costi standard, come quelle "essenziali".

Spese per funzioni amministrative trasferite dallo Stato alle regioni

La lettera l) dispone che relativamente agli oneri per funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione, si provvede con forme di copertura finanziaria coerenti con i principi della presente legge e con le modalità previste dall’articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (cd. “legge La Loggia”), che detta una disciplina per l’attuazione dell'articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative.

Tale disciplina avrebbe peraltro dovuto avere carattere transitorio, dal momento che ne è espressamente prevista l’applicazione fino all’entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

Il suddetto articolo 7 demanda a Stato e Regioni, secondo le rispettive competenze, il conferimento di funzioni amministrative da loro esercitate all’11 giugno 2003 (data di entrata in vigore della legge 131/2003); sono attribuite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio per motivi specifici recati dalla norma medesima, tra cui il buon andamento, l’efficienza o l’efficacia dell'azione amministrativa. Tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata.

Per le predette finalità, e comunque ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse, sulla base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire, il Governo, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati, presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati alla di manovra di finanza pubblica annuale, privi di oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, per il recepimento dei suddetti accordi.

Nelle more dell'approvazione dei disegni di legge e sulla base degli accordi raggiunti in sede di Conferenza unificata, lo Stato può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse secondo princìpi di invarianza di spesa e con le modalità previste al numero 4) del punto II dell’accordo20 giugno 2002, recante intesa interistituzionale tra Stato, regioni ed enti locali. A tale fine si provvede mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, tenendo conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità.

La disciplina prevista dal citato articolo 7 non ha finora trovato attuazione.

Per ciò che concerne l’individuazione delle funzioni amministrative cui fa riferimento la disposizione in esame, il richiamo all’articolo 7 della legge n. 131/2003 sembrerebbe indicare tutte le funzioni amministrative attualmente esercitate dallo Stato.

L’articolo 10 detta peraltro principi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni nelle materie di competenze legislativa concorrente o residuale.

La disposizione in esame dovrebbe pertanto fare riferimento unicamente alle funzioni amministrative relative a materie di competenza legislativa esclusiva statale. Sul punto appare opportuno un chiarimento.

 


 

Articolo 9
(Princıpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, in relazione alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo statale di carattere verticale a favore delle regioni, in attuazione degli articoli 117, secondo comma, lettera e), e 119, terzo comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) istituzione del fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante, alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA assegnata per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), nonché da una quota del gettito del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2); le quote del fondo sono assegnate senza vincolo di destinazione;

     b) applicazione del principio di perequazione delle differenze delle capacità fiscali in modo tale da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante senza alterarne l'ordine e senza impedirne la modifica nel tempo conseguente all'evoluzione del quadro economico-territoriale;

     c) definizione delle modalità per cui le risorse del fondo devono finanziare:

          1) la differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), calcolate con le modalità di cui alla lettera b) del medesimo comma 1 dell'articolo 8 e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, determinato con l'esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall'esercizio dell'autonomia tributaria nonché dall'emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell'attività di recupero fiscale, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni;

          2) le esigenze finanziarie derivanti dalla lettera g) del presente articolo;

     d) definizione delle modalità per cui la determinazione delle spettanze di ciascuna regione sul fondo perequativo tiene conto delle capacità fiscali da perequare e dei vincoli risultanti dalla legislazione intervenuta in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese al fabbisogno standard;

     e) è garantita la copertura del differenziale certificato positivo tra i dati previsionali e l’effettivo gettito dei tributi, escluso il gettito derivante dalla lotta all’evasione fiscale, alla regione con riferimento alla quale è stato determinato il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettere d) e h), tali da assicurare l'integrale finanziamento delle spese per i livelli essenziali delle prestazioni nel caso in cui l’effettivo gettito dei tributi sia superiore ai dati previsionali, il differenziale certificato è acquisito al bilancio dello Stato;

     f) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo per le spese di parte corrente per il trasporto pubblico locale sono assegnate in modo da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante e, per le spese in conto capitale, tenendo conto del fabbisogno standard di cui è assicurata l'integrale copertura;

     g) definizione delle modalità in base alle quali per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), le quote del fondo perequativo sono assegnate in base ai seguenti criteri:

          1) le regioni con maggiore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), supera il gettito medio nazionale per abitante, non ricevono risorse dal fondo;

          2) le regioni con minore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), è inferiore al gettito medio nazionale per abitante, partecipano alla ripartizione del fondo perequativo, alimentato da una quota del gettito prodotto nelle altre regioni, in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante per il medesimo tributo rispetto al gettito medio nazionale per abitante;

          3) la ripartizione del fondo perequativo tiene conto, per le regioni con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa;

     h) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo risultanti dalla applicazione della lettera d) sono distintamente indicate nelle assegnazioni annuali. L'indicazione non comporta vincoli di destinazione.

1-bis. Sono fatte salve le disposi­zioni delle leggi costituzionali in vigore.


 

 

L’articolo 9 completa con la disciplina della perequazione la definizione delle entrate da assegnare alle regioni (articolo 7) in relazione alla natura e all’entità delle spese (articolo 8) che esse devono sostenere per lo svolgimento delle funzioni loro assegnate.

 

Il Fondo perequativo è definito dai criteri direttivi recati dal comma 1, lettera a):

§      è statale ed alimentato dal gettito da compartecipazione all’IVA assegnata per le spese relative alle prestazioni essenziali e da una quota del gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’IRPEF assegnata per il finanziamento delle spese non riconducibili alle funzioni essenziali;

§      è unico, in quanto unico ed unitario è il principio di perequazione stabilito dal terzo comma dell’articolo 119 della Costituzione in favore dei «territori con minore capacità fiscale per abitante»;

§      è articolato secondo due modalità (ed entità) di perequazione in ragione della diversa natura e destinazione (articolo 8) delle spese connesse allo svolgimento delle «funzioni pubbliche» da finanziare integralmente ai sensi del quarto comma dell’articolo 119, Cost.;

§      il suo ammontare è variabile ma strettamente determinato per ciascun esercizio in misura pari alle somme da erogare a titolo di perequazione;

§      le quote del fondo sono comunque assegnate a ciascuna regione senza vincolo di destinazione.

 

Al testo pervenuto dal Senato le Commissioni riunite hanno apportato tre modificazioni: una prima modifica (al comma 1, lettera e) è intesa a specificare i termini della garanzia assicurata alla copertura integrale delle previsioni di gettito che vengono assunte per il finanziamento del fabbisogno di spesa: in particolare si precisa che dal gettito si esclude la parte derivante dalla lotta all’evasione fiscale, e che qualora il gettito medesimo sia superiore alle previsioni, il differenziale è acquisito al bilancio dello Stato. La seconda – di natura confirmatoria – (il comma aggiuntivo 1-bis) è intesa a ricordare che i principi della perequazione e le disposizioni attuative che saranno emanate non potranno influire su quanto già deriva dalle disposizioni delle leggi costituzionali (vale a dire gli statuti speciali) che disciplinano il medesimo oggetto. Infine al comma 1, lettera c), numero 2) il precedente riferimento alla lettera e) (garanzia della integrale copertura delle spese a fronte della insufficienza del gettito tributario) è stato corretto con il riferimento alla lettera g), relativa al finanziamento delle spese per funzioni non LEP.

 

I criteri direttivi della delega specificano obiettivi e limiti della misura della «perequazione delle minori capacità fiscali per abitante»; il legislatore delegato dovrà determinarla concretamente in modo che essa:

a.      non annulli del tutto le differenze di capacità fiscale fra le regioni e fra gli enti locali ma «riduca adeguatamente le differenze fra i territori con diverse capacità fiscali per abitante»; così l’articolo 9, comma 1, lettera b), in via generale e alla lettera f) per le spese correnti del trasporto pubblico locale, e così l’articolo 13, comma 1, lettera f) per le spese non fondamentali degli enti locali. E’ questo il criterio per il quale la misura della perequazione non potrà essere ‘integrale’ e colmare interamente le differenze di gettito pro-capite esistenti fra i territori;

b.      non alteri l’ordine delle capacità fiscali dei diversi territori; ulteriore limitazione alla misura della perequazione è che questa deve essere tale per cui, dopo la perequazione, nessuna delle minori capacità fiscali per abitante superi quella del territorio che la precedeva nella graduatoria discendente delle capacità fiscali per abitante;

c.      si adatti costantemente alle variazioni di capacità fiscale pro-capite che intervengono a seguito della «evoluzione del quadro economico-territoriale»; l’articolo 9, comma 1, lettera b), fa divieto di applicare un criterio ed una misura perequativi che – irrigiditi nel tempo – non consentono di registrare nella graduatoria delle capacità fiscali dei territori le modifiche che sono intervenute nella evoluzione del quadro economico territoriale.

 

L’articolo 9 definisce due diversi criteri di perequazione delle spese delle regioni:

1.      La perequazione della «differenza fra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese» per le spese relative alle “funzioni essenziali” e «il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati» art. 9, comma 1, lettere c), d), e) ed h); rientrano in tale forma di perequazione le spese in conto capitale sostenute per il trasporto pubblico locale (art. 9, co. 1 lettera f);

2.      la perequazione delle minori capacità fiscali per abitante, che si applica al gettito dei tributi che saranno attribuiti per il finanziamento delle spese per funzioni «non essenziali»; art. 9, comma 1, lettera g); rientrano in tale tipologia le spese di parte corrente per il trasporto pubblico locale (art. 9, co. 1 lettera f).

1. Perequazione delle spese relative alle funzioni essenziali

Principio-guida della perequazione delle spese che le regioni sostengono per lo svolgimento delle funzioni «riconducibili al vincolo dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione», (così l’articolo 8, comma 1, lettera a), n. 1) è la garanzia dell’integrale copertura.

Un elenco, non esaustivo, delle funzioni riconducibili alla lettera m) è al comma 3 dell’articolo 8. Sono comprese, tra l’altro: la sanità, l’assistenza e le funzioni amministrative che le regioni svolgono in materia di istruzione. A queste si aggiungono, come detto, le spese in conto capitale connesse al trasporto pubblico locale (art. 9, comma 1, lettera f).

 

Per la misura della quota perequativa da assegnare a ciascuna regione rilevano:

a.      la determinazione dei costi standard che si assumono come parametro della spesa delle prestazioni indicate dalla legge statale quali livelli essenziali dei servizi pubblici «da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale» (art. 8, comma 1, lettera b); condizione che dovrebbe assicurare il «normale esercizio» di quelle funzioni che, secondo la previsione l’articolo 2, comma 2, lettera e), sono finanziate integralmente;

b.      la determinazione dei tributi assegnati alle regioni per il finanziamento di queste funzioni. L’articolo 8 (comma 1, lettera d) indica nominativamente quei tributi ma lascia al legislatore delegato la scelta dell’equilibrio da determinarsi fra aliquote e relative basi imponibili: tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione fra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, una riserva di aliquota sull’IRPEF, l’Addizionale regionale all’IRPEF, una compartecipazione al gettito dell’IVA e l’IRAP, in via transitoria, sino alla sua futura soppressione.

c.      il livello di gettito cui sono commisurate, ai fini della perequazione, aliquote e basi imponibili del complesso dei tributi assegnati. L’articolo 8, comma 1, lettera h), stabilisce che basi imponibili e aliquote uniformi per tutte le regioni sono determinate «al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno ... in una sola regione».

 

Le lettere c), d), e) ed h) dell’articolo 9 recano i criteri direttivi che ispirano la perequazione commisurata alle spese determinate dall’esercizio (normale esercizio) delle cosiddette funzioni essenziali [art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione]. Essi prevedono che:

1.      le somme assegnate a ciascuna regione a titolo di perequazione devono essere tali da «assicurare l’integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni»; il principio è ripetuto negli stessi termini alle lettere c), d), e) ed f) del comma 1;

2.      a ciascuna regione è assegnata una quota del Fondo pari alla somma che colma la differenza fra il gettito dei tributi assegnati (dedicati, recita il testo) e il «fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese» determinate dall’esercizio delle funzioni essenziali;

3.      il gettito che concorre alla determinazione della quota perequativa è considerato secondo l’aliquota standard e secondo le altre caratteristiche del tributo comuni a tutte le regioni; non è considerato perciò la parte del gettito (in aumento o diminuzione) eventualmente prodotto in ciascuna regione «dall’esercizio dell’autonomia tributaria» e dal recupero di base imponibile derivante da attività della regione; questa è ottenuta dalla regione ‘in aggiunta’ al fabbisogno standard;

4.      per assicurare costantemente «l’integrale copertura delle spese al fabbisogno standard», la misura della perequazione assegnata a ciascuna regione deve essere adattata dinamicamente alla rispettiva capacità fiscale quando, in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, la legge dello Stato interviene sulla disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni;

5.      se, per assicurare il finanziamento della spesa sin dall’inizio dell’esercizio finanziario, la ripartizione del fondo perequativo è fatta sulla base di stime del gettito dei tributi assegnati, in sede di consuntivo deve essere assicurato il «differenziale certificato tra i dati previsionali» e il gettito effettivo dei tributi alla regione con la maggiore capacità fiscale; regione sulla quale viene determinata la quota di compartecipazione all’IVA che determina per essa la parità fra gettito complessivo dei tributi assegnati e fabbisogno standard.

Le modifiche introdotte dalle Commissioni riunite. prima segnalate, considerano entrambi i casi di mancata corrispondenza dei dati previsionali all’effettivo gettito dei tributi: quando questo è inferiore – e nella misura non deve tenersi conto dell’eventuale maggiorazione «derivante dalla lotta all’evasione fiscale» - alla regione «con riferimento alla quale è stato determinato il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi» è comunque assicurato la copertura del differenziale; per altro, quando il gettito effettivo dovesse rivelarsi maggiore di quello determinato in via previsionale, le maggiori entrate – quale che sia il tributo che le abbia determinate – sono acquisite al bilancio dello Stato.

Le quote compensative sono determinate separatamente dalle altre assegnazioni annuali senza che questo comporti vincolo di destinazione delle stesse.

2. Perequazione delle spese relative alle funzioni non essenziali

Il criterio perequativo delle funzioni non LEP è definito dalla lettera g) al comma 1 dell’articolo 9: perequazione della minore capacità fiscale per abitante rispetto al valore della media del complesso delle regioni a statuto ordinario. Principio che, come detto, va interpretato – nella sua applicazione – alla luce dei limiti (criteri) che pone la lettera b) del medesimo comma 1. I criteri direttivi posti dai numeri 1, 2, e 3 della lettera g) recano anche disposizioni immediatamente operative:

1.      il fondo perequativo è alimentato da una quota del gettito prodotto nelle altre regioni (così al n. 2). Il gettito qui considerato è quello del «tributo regionale di cui all’articolo 8, comma 1, lettera i)» e cioè dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche, tributo a cui rimanda la lettera a) dell’articolo 9.

2.      Come capacità fiscale di riferimento il testo assume il valore medio del gettito nelle regioni a statuto ordinario (totale gettiti/totale popolazione); in assenza di altra specificazione, questo valore è determinato al lordo della quota che finanzia il fondo stesso; regioni con ‘maggiore capacità fiscale’ sono definite quelle quali il gettito per abitante della addizionale regionale all’IRPEF «supera il gettito medio nazionale per abitante» (così al n. 1, della lettera g). Queste regioni «non ricevono risorse dal Fondo», sono cioè escluse dalla perequazione.

3.      Correlativamente, sono definite «regioni con minore capacità fiscale» quelle nelle quali il gettito per abitante dell’addizionale regionale all’IRPEF è inferiore al gettito medio nazionale per abitante (così al numero 2, citato). Queste regioni partecipano alla ripartizione del Fondo perequativo. Non sono indicate però misura e modalità di questa ‘partecipazione’ per modo che è lasciato al legislatore delegato la determinazione del grado di perequazione di quella minore capacità fiscale per abitante. I limiti entro cui il legislatore delegato può ‘muoversi’ sono quelli già ricordati della lettera b), ai quali si aggiunge il parametro della dimensione demografica, nei termini posti dal numero 3): il legislatore delegato dovrà stabilire un limite alla popolazione residente nelle regioni, al di sotto del quale la quota perequativa è incrementata in ragione inversa alla dimensione demografica stessa.

 


 

Articolo 10
(Princıpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni, nelle materie di loro competenza legislativa ai sensi dell'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato;

     b) riduzione delle aliquote dei tributi erariali e corrispondente aumento:

          1) per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), dei tributi di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2);

          2) per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), fatto salvo quanto previsto dall'articolo 25, comma 4;

     c) aumento dell'aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell'IVA destinata ad alimentare il fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante ovvero della compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche;

     d) definizione delle modalità secondo le quali si effettua la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h), sia in termini di gettito sia in termini di correlazione con le funzioni svolte.


 

 

L'articolo 10 indica i principi e i criteri direttivi cui devono essere informati i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione (ai sensi dell’articolo 2 del medesimo disegno di legge) per quanto attiene al finanziamento delle funzioni trasferite alle Regioni.

 

La norma, in particolare, riguarda le funzioni trasferite nelle materie di cui al terzo e quarto comma dell'art. 117 Cost., ovvero rientranti nella competenza legislativa regionale concorrente e residuale.

Ai sensi dell’articolo 117, comma III, Cost., nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. La norma costituzionale elenca dettagliatamente le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni: tra le altre, si ricordano l’armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Il IV comma dell’articolo 117 affida alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (competenza cd. “residuale”).

 

I principi e criteri elencati dall’articolo in esame sembrano costituire limiti ulteriori rispetto a quelli posti, in via preliminare e generale, dall’articolo 2 della proposta in esame (per cui si rimanda alla relativa scheda di lettura).

Nel complesso, le disposizioni prevedono che alla soppressione degli appositi stanziamenti di spesa statale e alla riduzione delle aliquote dei tributi erariali corrisponda, in parallelo, l’aumento dei tributi locali e dell’aliquota della compartecipazione regionale al gettito IVA destinato ad alimentare il fondo perequativo regionale, nonché della compartecipazione all’IRPEF.

 

Nel dettaglio, la lettera a) indica, quale principio e criterio direttivo, la cancellazione nel bilancio dello Stato degli stanziamenti di spesa relativi al trasferimento delle funzioni, inclusi i costi del personale e di funzionamento.

Ai sensi della lettera b),si prevede la riduzione delle aliquote dei tributi erariali e il corrispondente aumento:

1.      dei tributi derivati, ovvero i tributi il cui gettito è devoluto alle Regioni - sebbene siano istituiti e regolati da leggi statali - nonché delle addizionali riservate alla Regioni sulle basi imponibili dei tributi erariali (articolo 7, comma 1, lettera b), n. 1 e 2 del disegno di legge in esame; si ricorda che il n. 2 è stato modificato dalle Commissioni V e VI. Per approfondimenti, si veda la relativa scheda di lettura), per quanto attiene alle spese “essenziali”, ossia riconducibili alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale (ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost., richiamato dall’articolo 8, comma 1, lettera a), n. 1) del disegno di legge in esame);

2.      dell’addizionale regionale all’IRPEF (dall’articolo 8, comma 1, lettera i)), per le spese “non essenziali”, ovvero non riconducibili alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), n. 2) del disegno di legge in esame). La disposizione richiede che sia fatto salvo quanto disposto (ai sensi dell’articolo 24, comma 4 del disegno di legge) per garantire finanziamenti aggiuntivi - mediante compartecipazione a tributi erariali ed alle accise - in caso di assegnazione di ulteriori, nuove funzioni alle autonomie territoriali.

 

La lettera c) prevede l'aumento dell’aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell’IVA, per finanziare la perequazione a favore delle Regioni con minore capacità fiscale pro-capite, nonché della compartecipazione al gettito IRPEF.

Si ricorda in proposito che l’articolo 7 del D.Lgs. 56/2000 aveva istituito il Fondo perequativo nazionale, alimentato dalle compartecipazioni all'IVA ed all'accisa sulla benzina, al fine di consentire che una parte del gettito della compartecipazione all'IVA sia destinata alla realizzazione degli obiettivi di solidarietà interregionale.

 

Le lettere b) e c) del presente articolo sono richiamate dall'art. 19, lettera f), del disegno di legge. Ai sensi di tale disposizione, si richiede che venga prevista una garanzia almeno di equivalenza tra la somma del gettito delle nuove entrate regionali e valore degli stanziamenti di bilancio cancellati (articolo 10, comma 1, lettera a)). Si prevede inoltre una verifica dell’adeguatezza e della congruità delle risorse finanziarie delle funzioni già trasferite.

 

Infine, la lettera d), quale criterio di esercizio della delega, comprende anche la definizione delle modalità per verificare, periodicamente, che i tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard per le spese "essenziali" (articolo 8, comma 1, lettera h)) risultino congrui, sia in termini di gettito, sia di correlazione con le funzioni svolte.

Si ricorda in proposito che la verifica di congruità dovrà essere periodicamente effettuata dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lett. d), primo periodo, alla cui scheda di lettura si rinvia.

Si ricorda inoltre che il richiamato articolo 8, comma 1, lettera h) del disegno di legge in esame, quale criterio direttivo dell’esercizio della delega (in tema di modalità di esercizio delle competenze legislative e mezzi di finanziamento), indica anche la definizione delle modalità per fissare le aliquote di tributi e compartecipazioni destinate a finanziare le spese “essenziali” al livello minimo assoluto sufficiente per finanziare pienamente il fabbisogno dei livelli essenziali delle prestazioni (valutati ai costi standard) in una sola Regione. Per approfondimenti, si veda la relativa scheda di lettura.

Si osserva tuttavia che, al fine di determinare il “costo standard”, la citata lettera h) rimanda alla precedente lettera b) del comma 1. Tale disposizione prevede che i decreti legislativi delegati definiscano le modalità per la determinazione delle spese “essenziali” nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale.

 

Si osserva che l’articolo in esame reca un sistema di riequilibrio delle risorse tra Stato e Regioni che appare complesso sia dal punto di vista tecnico-contabile, che dal punto di vista normativo. Potrebbe pertanto risultare opportuno, in sede di normativa di delega, introdurre precisazioni in ordine ai criteri di individuazione delle poste di spesa statale da sopprimere nonché sulla correlazione tra tributi erariali da ridurre e funzioni trasferite, soprattutto per i casi in cui il tributo non risulti agevolmente correlabile alle funzioni da trasferire. Analoghe indicazioni potrebbero risultare utili in ordine ai criteri che si intendono utilizzare affinché il gettito delle nuove entrate regionali compensi il taglio delle suddette risorse. Ciò anche alla luce di un disegno normativo – quale quello in esame - nel quale deve essere garantita almeno l’equivalenza tra la somma del gettito delle nuove entrate regionali e il valore degli stanziamenti cancellati.

Il riequilibrio deve infatti determinarsi, in sede di decretazione attuativa, mediante i diversi interventi prefigurati nelle lettere a), b) e c), ai quali è affidato il compito di realizzare, contestualmente, ammontari di minori stanziamenti/minori entrate nel bilancio dello Stato equivalenti alle maggiori entrate per le Regioni

Al medesimo fine di delineare con maggiori dettagli, in presenza della complessità attuativa della norma in esame, il percorso applicativo affidato alla normativa delegata, potrebbe ritenersi opportuno fornire ulteriori indicazioni in ordine ai criteri mediante cui effettuare la “verifica periodica” - prevista alla lettera d) - della congruità, in termini di gettito e di correlazione con le funzioni svolte, dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard per le spese essenziali.


 

Articolo 11
(Principi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) classificazione delle spese relative alle funzioni di comuni, province e città metropolitane, in:

          1) spese riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, come individuate dalla legislazione statale;

          2) spese relative alle altre funzioni;

          3) spese finanziate con i contri­buti speciali, con i finanziamenti dell'Unio­ne europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all'articolo 15;

     b) definizione delle modalità per cui il finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avviene in modo da garantirne il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard ed è assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce, e dal fondo perequativo;

     c) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri, con compartecipazioni al gettito di tributi e con il fondo perequativo basato sulla capacità fiscale per abitante;

     d) definizione delle modalità per tenere conto del trasferimento di ulteriori funzioni ai comuni, alle province e alle città metropolitane ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, al fine di assicurare, per il complesso degli enti, l'integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento;

     e) soppressione dei trasferimenti statali e regionali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), ad eccezione degli stanziamenti destinati ai fondi perequativi ai sensi dell'articolo 13 e dei contributi erariali e regionali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali;

     f) il gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali è senza vincolo di destinazione;

     g) valutazione dell'adeguatezza delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali per l'ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e salvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferimento alla specificità dei piccoli comuni, ove associati con una popolazione complessiva non inferiore ad una soglia determinata con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, dei territori montani e delle isole minori.


 

 

L'articolo 11 reca i principi e i criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti legislativi previsti dall'articolo 2, per quanto concerne il finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane.

L’articolo è stato modificato nel corso dell’esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, con riferimento ai principi di cui:

-         alla lettera e), in merito alla indicazione dei trasferimenti statali e regionali che sono esclusi dalla soppressione, in seguito all’attuazione del federalismo, considerando tra questi i contributi sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali;

-         alla lettera g), in relazione ai criteri di individuazione dei piccoli comuni in favore dei quali, in sede di attuazione del federalismo fiscale, potranno essere effettuate valutazioni di tutela e salvaguardia delle loro peculiarità territoriali, precisando che deve trattarsi di enti che abbiano scelto di associarsi tra di loro per lo svolgimento dei servizi, con popolazione pari ad una soglia da definirsi in sede di esercizio della delega.

 

Relativamente alle modalità di finanziamento degli enti locali, il principi formulati dall’articolo in esame prevedono innanzitutto una classificazione delle spese di comuni, province e Città metropolitane in tre tipologie (lettera a):

1.      spese riconducibili alle funzioni "fondamentali", ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, individuate come tali dalla legislazione statale.

La citata norma costituzionale assegna alla competenza esclusiva statale le materie relative a: “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (lettera p) dell’art. 117)[9].

2.      spese relative alle “altre funzioni”. In tale categoria, dovrebbero rientrarvi le spese relative a quelle funzioni non considerate “fondamentali” ai sensi della normativa indicata al punto precedente.

In merito a queste due tipologie di spese, va sottolineato che l’articolo 20, relativo alla disciplina della fase transitoria per gli enti locali, stabilisce che, fino all’entrata in vigore delle disposizioni concernenti l’individuazione delle funzioni fondamentali, il finanziamento del fabbisogno degli enti locali è effettuato considerando l’80% delle spese come fondamentali e il restante 20% di esse come non fondamentali.

3.      spese "speciali", vale a dire quelle finanziate con i contributi nazionali speciali, con i finanziamenti dall'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali, di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione (si veda, a tale riguardo, l’articolo 15 del provvedimento in esame).

 

Per quanto concerne ilfinanziamento delle spese connesse alle funzioni "fondamentali", e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate[10], la lettera b) impone la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al "fabbisogno standard", secondo la definizione contenuta nell’articolo 2, lettera f) del provvedimento in esame.

Il finanziamento integrale delle spese fondamentali viene assicurato da:

a)      tributi propri;

b)      compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, i cui introiti, ai sensi della successiva lettera f), è senza vincolo di destinazione;

c)      addizionali a tributi erariali e regionali, la cui manovrabilità, per i comuni, è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni stessi, con riferimento alle fasce demografiche in cui questi sono suddivisi;

d)      fondo perequativo, le cui modalità di ripartizione tra i singoli enti sono contenutenel successivo articolo 13, lettera c), sulla base di appositi indicatori di fabbisogno finanziario e di infrastrutture.

 

L’articolo 12 del provvedimento indica espressamente quali sono i tributi e le compartecipazioni dal cui gettito dovrebbe derivare, in via prioritaria, il finanziamento integrale delle spese fondamentali di comuni e province.

Con riferimento ai comuni, è previsto l’utilizzo di una o più delle seguenti fonti (lett. b):

-          compartecipazione all’IVA;

-          compartecipazione all’IRPEF;

-          imposizione immobiliare, con esclusione dell'abitazione principale.

Per le province,la lettera c) indica:

-          il gettito di tributi il cui presupposto sia connesso al trasporto su gomma;

-          la compartecipazione a un solo tributo erariale.

Per quanto attiene alle città metropolitane, va ricordato che l’articolo 14 del provvedimento prevede l’adozione di uno specifico decreto legislativo che assegni a tali enti tributi ed entrate proprie, al fine di assicurare una autonomia di entrata e di spesa corrispondente alla complessità delle funzioni svolte dalle città metropolitane, rimettendo alla facoltà di tali enti l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all'esercizio delle loro funzioni fondamentali.

 

Le spese riconducibili alle funzioni "non fondamentali" sono finanziate, ai sensi della lettera c), attraverso:

a)      il gettito dei tributi propri;

b)      la compartecipazioni al gettito di tributi (rispetto alla precedente lettera b), qui non si precisa se si tratti di tributi sia erariali che regionali);

c)      il fondo perequativo. L'intervento del fondo perequativo per il finanziamento delle spese “non fondamentali” è basato esclusivamente sulla capacità fiscale "per abitante" ed è pertanto diretto, come precisato nel successivo articolo 13, comma 1, lettera f), a ridurre le differenze tra le capacità fiscali degli enti.

 

Per quanto concerne le modalità di finanziamento delle spese “non fondamentali” non è prevista la garanzia del finanziamento integrale. A questo proposito infatti, l’articolo 2, lettera aa) del provvedimento riconosce agli enti territoriali una adeguata flessibilità fiscale, articolata su più tributi, in modo tale da consentire di finanziare il livello di spesa per funzioni non fondamentali attivando “le proprie potenzialità”[11].

Per evitare che il meccanismo possa tradursi in un aumento della pressione fiscale, l’articolo 26, comma 2, lettera b), del provvedimento prevede che i decreti legislativi attuativi della delega debbano individuare meccanismi idonei a garantire la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale generale e del suo riparto tra i diversi livelli di governo nonché ad evitare aumenti della pressione fiscale complessiva, neppure nella fase transitoria.

 

Per quanto concerne il finanziamento delle ulteriori funzioni trasferite ai comuni, alle province e alle Città metropolitane, ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione e secondo le modalità di cui all’articolo 7 della legge n. 131/2003 (c.d. “legge La Loggia”), la lettera d) introduce il principio dell’integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento delle funzioni medesime.

Il principio dovrebbe far riferimento oltre che alle funzioni che verranno trasferite in futuro, ai sensi della legge n. 131/2003, anche a quelle già trasferite, in base al D.Lgs. n. 112/1998, attuativo della legge n. 59/1997 (c.d. Bassanini), in relazione alle quali non sia stato garantito, al momento del trasferimento, un finanziamento complessivo integrale.

 

In conseguenza delle nuove modalità di finanziamento delle spese degli enti locali, i decreti delegati attuativi del nuovo sistema provvederanno altresì alla soppressione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento delle spese, fondamentali e non, degli enti locali, escludendo dalla soppressione soltanto gli stanziamenti destinati ai fondi perequativi, quantificati ai sensi del successivo articolo 13 (lettera e)).

Con una modifica approvata nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite V e VI della Camera sono esclusi dalla soppressione anche i contributi erariali e regionali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.

 

La lettera g) riguarda il principio in base al quale, nella definizione dei criteri di finanziamento degli enti locali, deve essere data adeguata valutazione ad alcune particolari caratteristiche degli enti, in particolare le dimensioni demografiche e territoriali, ai fini dell’ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e della salvaguardia di tali peculiarità territoriali. Il riferimento, in particolare, è alla specificità dei piccoli comuni, dei territori montani e delle isole minori.

In relazione ai criteri di individuazione dei piccoli comuni in favore dei quali potranno essere effettuate valutazioni di tutela delle peculiarità territoriali, nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite V e VI è stato introdotta la precisazione che deve trattarsi di enti che abbiano scelto di associarsi tra di loro per lo svolgimento i servizi e funzioni comunali, con popolazione pari ad una soglia da definirsi in sede di esercizio della delega.


 

Articolo 12
(Princıpi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al coordinamento ed all'autonomia di entrata e di spesa degli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) la legge statale individua i tributi propri dei comuni e delle province, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche attraverso l'attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale;

     b) definizione delle modalità secondo cui le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate da una o più delle seguenti fonti: dal gettito derivante da una compartecipazione all'IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo secondo quanto previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di imposta comunale sugli immobili, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126;

     c) definizione delle modalità secondo cui le spese delle province relative alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate dal gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipazione ad un tributo erariale;

     d) disciplina di uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana;

     e) disciplina di uno o più tributi propri provinciali che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi istituzionali;

     f) previsione di forme premiali per favorire unioni e fusioni tra comuni, anche attraverso l'incremento dell'autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali;

     g) previsione che le regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possano istituire nuovi tributi dei comuni, delle province e delle città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali;

     h) previsione che gli enti locali, entro i limiti fissati dalle leggi, possano disporre del potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti da tali leggi e di introdurre agevolazioni;

     i) previsione che gli enti locali, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, dispongano di piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini;

     l) previsione che la legge statale, nell'ambito della premialità ai comuni e alle province virtuosi, in sede di individuazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica riconducibili al rispetto del patto di stabilità e crescita, non possa imporre vincoli alle politiche di bilancio degli enti locali per ciò che concerne la spesa in conto capitale limitatamente agli importi resi disponibili dalla regione di appartenenza dell'ente locale o da altri enti locali della medesima regione.


L'articolo 12 reca i principi e i criteri direttivi di delega per quanto attiene al coordinamento ed all’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali.

Le competenze dello Stato in materia di entrate degli enti locali

La lettera a) demanda alla legge statale l’individuazione dei tributi propri dei Comuni e delle Province.

Dei suddetti tributi, la legge statale disciplina i presupposti, i soggetti passivi, le basi imponibili e le cd. “aliquote di riferimento” le quali, valide per tutto il territorio nazionale, sono preposte a garantire una adeguata flessibilità fiscale.

Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, lettera z) del presente disegno di legge, è introdotto nel sistema il principio della garanzia - nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni da attribuire alle regioni e agli enti locali - del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale. I tributi e le compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, dovranno essere composti in misura rilevante da tributi manovrabili. Anche la successiva lettera aa) si occupa di flessibilità fiscale, che deve essere adeguata e rispondere a specifiche seguenti caratteristiche (si veda scheda di lettura del citato articolo 2). Secondo il principio di delega, una tale base imponibile dovrà consentire a tutti gli enti territoriali, compresi quelli a più basso potenziale fiscale, di finanziare il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali.

Nell'attuazione della delega la legge statale può sostituire o trasformare tributi già esistenti, ovvero attribuire a Comuni e Province tributi o parti di tributi già erariali.

Le competenze delle regioni a statuto ordinario in materia di entrate locali

Ai sensi della lettera g) si prevede che la Regione, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possa istituire nuovi tributi comunali, provinciali e delle Città metropolitane nei propri territori, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti alle autonomie territoriali.

Si ricorda che l’articolo 14 del disegno di legge in esame reca una disciplina speciale relativa all’attribuzione di tributi alle Città metropolitane: la norma citata dispone che le disposizioni per assicurare il finanziamento delle funzioni delle Città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, siano recate con apposito decreto legislativo. Si rammenta inoltre che l’articolo 22 del disegno di legge in esame reca una disciplina transitoria per permettere una “prima” istituzione delle città metropolitane. Per approfondimenti, si vedano le relative schede di lettura.

Principi di delega in tema di unioni e fusioni di Comini, nonché di enti locali in genere

Per quanto attiene alle unioni e fusioni tra Comuni, la lettera f) prevede forme premiali per favorire tali enti, anche attraverso l’incremento dell’autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali.

Le lettere h) e i) recano disposizioni concernenti gli enti locali in genere.

La lettera h) prevede la possibilità, per gli enti locali, di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi entro i limiti da queste fissati e di introdurre agevolazioni, coerentemente a quanto previsto in materia di “flessibilità fiscale”.

L’elemento della “flessibilità fiscale” rileva, nel provvedimento in esame, anche alla luce di quanto disposto dall’articolo 7,lett. c) del provvedimento stesso. Quest’ultima norma consente alle Regioni, per una parte dei tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali e il cui gettito è attribuito alle regioni, (nel testo modificato dalle Commissioni V e VI) di modificare le aliquote, disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, nei limiti e secondo i criteri fissati dalla legge statale, e nel rispetto della normativa comunitaria. Per una parte delle addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali, le Regioni possono con propria legge introdurre variazioni percentuali delle aliquote delle addizionali e possono disporre detrazioni entro i limiti fissati dalla legislazione statale. Per approfondimenti, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 7.

La lettera i) concede agli EE.LL, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi, anche su quelli offerti a richiesta di singoli cittadini.

Principi di delega riguardanti l’autonomia dei Comuni

Le lettere b) e d) recano disposizioni concernenti l’autonomia di l’entrata e di spesa dei Comuni.

La lettera b) reca i criteri e i principi cui deve improntarsi la legislazione delegata in tema di finanziamento delle spese concernenti le funzioni fondamentali dei Comuni.

 

La disposizione fa riferimento alle funzioni essenziali di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a), n. 1) del disegno di legge in esame. Si tratta delle spese concernenti gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (articolo 117, comma secondo, lettera p) Cost.).

La norma in esame va letta in coordinamento con le disposizioni recate all'art. 11, lett. c) del progetto di legge, in tema di funzioni non essenziali dei Comuni. Per approfondimenti, si rinvia alla scheda di lettura del citato articolo 11.

 

Si prevede nel dettaglio che le spese per le funzioni fondamentali siano così finanziate, in via prioritaria:

§      dalla compartecipazione all’IVA;

§      dalla compartecipazione all’IRPEF;

§      dalla imposizione immobiliare, con l’esclusione della tassazione patrimoniale della abitazione principale del soggetto passivo, secondo quanto previsto dalla disciplina ICI vigente al momento di entrata in vigore del disegno di legge in commento.

 

Dalla formulazione del testo sembra dunque che il finanziamento delle funzioni fondamentali dei Comuni possa derivare anche da fonti diverse da quelle indicate, segnalate quali prioritarie; e che solo il gettito derivante dall’ICI sull’abitazione principale non possa essere destinato al funzionamento delle suddette spese “fondamentali”, in quanto le disposizioni in esame espressamente richiamano l’articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, che ha sostanzialmente abolito l’ICI sulla prima casa. E’ pertanto possibile che tali spese possano venir finanziate da ulteriori forme di tassazione degli immobili, diverse dall’ICI predetta.

 

La lettera d) reca invece previsioni in materia di "tributi di scopo", disciplinati da legge statale e qualificati come “tributo proprio”. Si tratta di tributi che l’ente può stabilire e applicare in riferimento a particolari finalità.

A seguito delle modifiche apportate durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite V e VI, nell’attuazione della delega il comune potrà stabilire e applicare (in luogo della solo possibilità di applicazione, come originariamente previsto dalla norma)uno o più tributi riferiti a particolari scopi, quali la realizzazione di opere pubbliche e il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari, come i flussi turistici e la mobilità urbana. Dalla lettera della disposizioni sembra altresì emergere che tali ipotesi siano state elencate a titolo esemplificativo.

Misure premiali nei confronti di province e comuni.

La lettera l), come modificatanel corso dell’esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, prevede che nell’ambito della premialità, ai comuni e alle province virtuosi non possano essere imposti, con legge statale, vincoli alle politiche di bilancio per ciò che concerne la spesa in conto capitale.

La modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente ha limitato tale misura con riferimento ai soli importi di conto capitale resi disponibili dalla regione di appartenenza dell'ente locale o da altri enti locali della medesima regione.

La limitazione della misura premiale alle sole spese di conto capitale finanziate con trasferimenti da parte delle regione competente, o da altri enti locali appartenenti alla medesima regione, sembra essere stata introdotta sulla base della considerazione che l’eliminazione di vincoli sull’intero comparto delle spese in conto capitale avrebbe potuto comportare problemi di sostenibilità della spesa, in relazione alle esigenze di tenuta degli obiettivi di finanza pubblica.

Principi di delega riguardanti le Province

In tema di autonomia di spesa e di entrata delle Province, lalettera c) anzitutto prevede che le spese relative alle “funzioni fondamentali” siano prioritariamente finanziate da un duplice canale:

§       dal gettito di tributi il cui presupposto sia connesso al trasporto su gomma.

Si osserva in proposito che la norma non specifica se si tratti di tributi erariali o provinciali e che, dunque, occorrerebbe fornire chiarimenti in proposito;

§       dalla compartecipazione ad un solo tributo erariale.

Ai sensi della lettera e), la legge statale disciplina i cosiddetti “tributi provinciali di scopo” (analogamente a quanto previsto per i “tributi comunali di scopo”), ossia uno o più tributi propri provinciali che la provincia può stabilire e applicare in riferimento a particolari scopi istituzionali.

In analogia con quanto previsto per i comuni,(si veda dunque il commento della lettera d)) a seguito delle modifiche apportate durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite V e VI, dalla formulazione della norma si evince la possibilità che la provincia stabilisca e applichi (in luogo della solo possibilità di applicazione, come originariamente previsto dalla norma)uno o più tributi riferiti a particolari scopi, quali la realizzazione di opere pubbliche e il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari, come i flussi turistici e la mobilità urbana.


 

Articolo 13
(Princıpi e criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) istituzione nel bilancio delle regioni di due fondi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province e delle città metropolitane, alimentati da un fondo perequativo dello Stato alimentato dalla fiscalità generale con indicazione separata degli stanziamenti per le diverse tipologie di enti, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte; la dimensione del fondo è determinata, per ciascun livello di governo, con riguardo all'esercizio delle funzioni fondamentali, in misura uguale alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le medesime funzioni e il totale delle entrate standardizzate di applicazione generale spettanti ai comuni e alle province ai sensi dell'articolo 12, con esclusione dei tributi di cui al comma 1, lettere d) ed e), del medesimo articolo e dei contributi di cui all'articolo 15, tenendo conto dei princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;

     b) definizione delle modalità con cui viene periodicamente aggiornata l'entità dei fondi di cui alla lettera a) e sono ridefinite le relative fonti di finanziamento;

     c) la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti, per la parte afferente alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), avviene in base a:

          1) un indicatore di fabbisogno finanziario calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale;

          2) indicatori di fabbisogno di infrastrutture, in coerenza con la programmazione regionale di settore, per il finanziamento della spesa in conto capitale; tali indicatori tengono conto dell'entità dei finanziamenti dell'Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi sono soggetti;

     d) definizione delle modalità per cui la spesa corrente standardizzata è computata ai fini di cui alla lettera c) sulla base di una quota uniforme per abitante, corretta per tenere conto della diversità della spesa in relazione all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti. Il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti nella determinazione del fabbisogno è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata;

     e) definizione delle modalità per cui le entrate considerate ai fini della standardizzazione per la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard;

     f) definizione delle modalità in base alle quali, per le spese relative all'esercizio delle funzioni diverse da quelle fondamentali, il fondo perequativo per i comuni e quello per le province e le città metropolitane sono diretti a ridurre le differenze tra le capacità fiscali, tenendo conto, per gli enti con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa e della loro partecipazione a forme associative;

     g) definizione delle modalità per cui le regioni, sulla base di criteri stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza unificata, e previa intesa con gli enti locali, possono, avendo come riferimento il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo di fondo perequativo ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale, procedere a proprie valutazioni della spesa corrente standardizzata, sulla base dei criteri di cui alla lettera d), e delle entrate standardizzate, nonché a stime autonome dei fabbisogni di infrastrutture; in tal caso il riparto delle predette risorse è effettuato sulla base dei parametri definiti con le modalità di cui alla presente lettera;

     h) i fondi ricevuti dalle regioni a titolo di fondo perequativo per i comuni e per le province e le città metropolitane del territorio sono trasferiti dalla regione agli enti di competenza entro venti giorni dal loro ricevimento. Le regioni, qualora non provvedano entro tale termine alla ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate, e di conseguenza delle quote del fondo perequativo di competenza dei singoli enti locali secondo le modalità previste dalla lettera g), applicano comunque i criteri di riparto del fondo stabiliti dai decreti legislativi di cui all'articolo 2 della presente legge. La eventuale ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate non può comportare ritardi nell'assegnazione delle risorse perequative agli enti locali. Nel caso in cui la regione non ottemperi alle disposizioni di cui alla presente lettera, lo Stato esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, in base alle disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.


 

 

L'articolo 13 reca i principi e i criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per i comuni, le province e le Città metropolitane.

A tal fine, la lettera a) prevede l’istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle Città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato. Nel fondo perequativo statale è data separata indicazione degli stanziamenti spettanti comuni, province e città metropolitane, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte da tali enti.

Con una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, è stato specificato che il Fondo perequativo dello Stato, che finanzia i fondi perequativi regionali per gli enti locali, è alimentato con le risorse provenienti dalla fiscalità generale, ponendo pertanto l’accento sul carattere verticale della perequazione.

La dimensione del fondo perequativo statale è determinata, per ciascuna tipologia di ente, con riguardo all’esercizio delle funzioni fondamentali[12], in misura pari alla differenza tra:

§      il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e;

§      il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province.

Il riferimento è a tutte le entrate spettanti agli enti locali come individuate ai sensi dell’articolo 12 (con esclusione dei c.d. tributi propri di scopo comunali e provinciali, cui alle lettere d) ed e), e dei contributi per gli interventi speciali di cui all’articolo 15), valutate ad aliquota standard (cfr. lettera e).

Nella determinazione del fondo perequativo assumono rilevanza i princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica per il finanziamento delle funzioni.

I criteri generali di delega prevedono, per tutti i livelli istituzionali, il graduale superamento del criterio della spesa storica in favore di due nuovi concetti ai quali ancorare il finanziamento della finanza territoriale: il fabbisogno standard, per il finanziamento delle funzioni fondamentali (ovvero delle prestazioni essenziali, nel caso delle regioni) e la perequazione della capacità fiscale, per il finanziamento delle altre funzioni.

 

La norma introduce inoltre il principio dell'aggiornamento periodico dell’entità dei fondi di perequazione e delle relative fonti di finanziamento (lettera b).

 

La ripartizione tra gli enti del fondo perequativo, per la parte afferente alle funzioni fondamentali, è effettuata sulla base su due indicatori di fabbisogno:

1)   un indicatore di fabbisogno finanziario, calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente (esclusa la spesa per interessi) ed il valore standardizzato dei tributi e delle entrate proprie di applicazione generale (lettera c), punto 1).

Il valore standard della spesa corrente è computato con riferimento ad una quota uniforme pro capite, corretta sulla base di alcuni parametri atti a contrassegnare la diversità della spesa dei singoli enti in relazione ad alcune loro specifiche caratteristiche, quali quelle territoriali - con particolare riferimento alla presenza di zone montane - e quelle demografiche, sociali e produttive (lettera d).

Nella determinazione del fabbisogno, il peso delle caratteristiche dei singoli enti è determinato con tecniche statistiche, utilizzando dati di spesa storica degli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata.

Le entrateconsiderate ai fini dellastandardizzazione sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard (lettera e);

2)   indicatori di fabbisogno di infrastrutture, per il finanziamento della spesa in conto capitale, stabiliti in coerenza con la programmazione regionale di settore, tenendo conto dell’entità dei finanziamenti dell’Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi finanziamenti europei sono soggetti[13] (lettera c), punto 2).

 

I criteri di riparto del fondo perequativo per il finanziamento delle funzioni diverse da quelle fondamentali, sono indicati alla lettera f). L’intervento del fondo perequativo, in tale ambito, è basato sulla capacità fiscale per abitante ed è diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti.

Con una modifica approvata in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, è stato peraltro specificato che l’intervento del fondo perequativo per il finanziamento delle spese non fondamentali è previsto per tutti gli enti locali (comuni, province e città metropolitane).

Va segnalato, al riguardo, che la norma non reca indicazioni in merito ai criteri di funzionamento del fondo perequativo per il finanziamento delle spese relative alle funzioni diverse da quelle fondamentali.

Diversamente da quanto previsto per le regioni (art. 8, co. 1, lett. i), non risultano chiare le modalità attraverso le quali si provvede al suo riparto in quanto la norma si limita ad affermare che i fondi perequativi sono diretti a “ridurre le differenze tra le capacità fiscali” dei singoli enti locali senza chiarire quali sono i tributi da prendere in considerazione per definire tale capacità fiscale.

 

Per gli enti locali con minor popolazione, al di sotto di una certa soglia che sarà individuata in sede di esercizio della delega, la norma introduce la necessità di tenere in debito conto, ai fini della perequazione, alcune specificità quali il fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa, e la partecipazione dell’ente a forme associative.

 

Gli ultimi due principi enucleati dall’articolo (lettere g) e h) prevedono la possibilità per le regioni di intervenire nel riparto delle risorse assegnate agli enti locali inclusi nel territorio regionale a titolo di perequazione, attraverso una diversa valutazione dei parametri in base ai quali è effettuata la ripartizione medesima, qualora vi sia intesa al riguardo con gli enti locali medesimi.

Anche in questo caso, con una modifica approvata in sede referente presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, è stato specificato che l’intervento delle regioni nella valutazione dei parametri di riparto del fondo perequativo, per la parte afferente alle funzioni fondamentali, è previsto con riferimento a tutti gli enti locali (comuni, province e città metropolitane).

 

Fermo restando il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo di fondo perequativo per gli enti locali inclusi nel territorio regionale, la norma prevede che le regioni possano procedere ad effettuare proprie valutazioni delle entrate standardizzate e della spesa corrente standardizzata degli enti, sulla base dei criteri di delega indicati alla lettera d), nonché effettuare stime autonome di fabbisogni di infrastrutture, ai fini del riparto delle risorse perequative. Tali valutazioni devono essere effettuate sulla base di criteri definiti mediante accordi sanciti in sede di Conferenza unificata e previa intesa con gli enti locali medesimi.

In tal caso, il riparto dei fondi ricevuti dalle regioni a titolo di fondo perequativo per gli enti del territorio regionale viene effettuato sulla base dei parametri definiti dalle regioni medesime, in pieno accordo con gli enti locali.

In base alle norme in commento, l’articolo 119, comma 3, della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza in materia di perequazione, trova attuazione attraverso la previsione di un intervento regionale, che si concreta non solo nell’essere un “tramite” dello Stato nella distribuzione delle risorse (ai sensi della lettera a), ma anche in un potere di ridefinizione delle quote del fondo perequativo di competenza degli enti locali che insistono sui territori regionali. Infatti, l’articolo in esame non solo prevede l’iscrizione dei fondi perequativi nei bilanci delle regioni, ma assegna a queste anche la facoltà di poter stabilire modalità diverse di erogazione.

 

Il termine generale per il trasferimento dei fondi perequativi dalle regioni enti locali è fissato in venti giornidecorrenti dal momento in cui le regioni ricevono tali fondi dallo Stato (lettera h).

E' entro tale termine, pertanto, che le regioni possono provvedere alla ridefinizione dei parametri di riparto e alla diversa distribuzione delle quote del fondo perequativo di competenza dei singoli enti locali inclusi nel territorio.

Qualora le regioni non provvedano alla ridefinizione dei parametri entro il termine dei venti giorni dal ricevimento delle risorse perequative da parte dello Stato, si provvederà comunque alla perequazione sulla base dei criteri di riparto stabiliti dai decreti legislativi attuativi della delega. La eventuale ridefinizione, da parte delle regioni, dei parametri non può, dunque, comportare ritardi nell’assegnazione delle risorse perequative agli enti locali.

 

Nel caso in cui la regione non ottemperi alle descritte disposizioni, e non provveda nei termini previsti al trasferimento delle risorse perequative, la norma in esame prevede l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. “legge La Loggia”).

L’attivazione del potere sostitutivo nei confronti di regioni e province autonome fa capo alle disposizioni dell’articolo 120 della Costituzione e alla disciplina attuativa dettata dall’articolo 8 della legge n. 131/2003, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. La disciplina generale prevede che si esplichi obbligatoriamente una procedura contestativa, seguita eventualmente da un termine monitorio e, solo successivamente, dalla attivazione del potere sostitutivo.

 

Per ciò che concerne il corretto utilizzo dei Fondi perequativi – i quali devono essere improntati secondo i principi di efficacia, efficienza e trasparenza – e la verifica della loro applicazione, si ricorda che esso spetta, in via generale, alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanze pubblica, organo di cui l’articolo 5 del disegno di legge in esame prevede l’istituzione all’interno della Conferenza Unificata.


 

Articolo 13-bis
(Attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione)

 

1. Con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia ad una o più regioni si provvede altresì all'assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all'articolo 119 della Costituzione e ai principi della presente legge.

 

 

L’articolo, introdotto nel corso dell’esame del disegno di legge presso le Commissioni riunite Bilancio e Finanze, riserva alle future leggi di attuazione delle condizioni particolari di autonomia che saranno riconosciute ad una o più regioni in forza del comma terzo dell’articolo 116 della Costituzione, la disciplina delle corrispettive forme e condizioni particolari di finanziamento che si renderanno necessarie; ciò in relazione alle nuove e maggiori funzioni che verranno eventualmente attribuite alle regioni interessate in forza della norma costituzionale suddetta.

L’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, prevede che nelle materie oggetto di legislazione concorrente ed in alcune delle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali), alle regioni a statuto ordinario possono essere attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, sulla base di una specifica procedura legislativa disciplinata dallo stesso comma. Si tratta di quello che è stato definito “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre. Dalla sua introduzione, tale procedimento non è stato finora attivato.

 


 

Articolo 14
(Finanziamento delle città metropolitane)

 


1. Con specifico decreto legislativo, adottato in base all'articolo 2 e in coerenza con i principi di cui agli articoli 11, 12 e 13, è assicurato il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane mediante l'attribuzione ad esse dell'autonomia impositiva corrispondente alle funzioni esercitate dagli altri enti territoriali e il contestuale definanziamento nei confronti degli enti locali le cui funzioni sono trasferite, anche attraverso l'attribuzione di specifici tributi, in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni. Il medesimo decreto legislativo assegna alle città metropolitane tributi ed entrate proprie, anche diverse da quelle assegnate ai comuni, nonché disciplina la facoltà delle città metropolitane di applicare tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all'esercizio delle loro funzioni fondamentali, fermo restando quanto previsto dall'articolo 12, comma 1, lettera d).


 

 

L’articolo in esame prevede l’approvazione di uno specifico decreto legislativo per assicurare il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, al fine di garantire a tali enti un’ampia autonomia di entrata e di spesa corrispondentemente alla complessità delle funzioni ad essi attribuite.

Durante l’esame referente, le Commissioni riunite hanno inserito la disposizione che prevede il principio della stessa autonomia impositiva attribuita alle città metropolitane in corrispondenza alle funzioni attualmente esercitate dagli altri enti territoriali ed il contestuale definanziamento degli enti locali (riduzione dei trasferimenti) le cui funzioni sono trasferite alle città metropolitane.

La norma è in connessione con il successivo articolo 22 (cui si fa rinvio), che introduce una disciplina transitoria riguardo la prima istituzione delle città metropolitane.

 

Il decreto legislativo è adottato dal Governo in base alla delega di cui all’articolo 2 (entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del ddl delega), coerentemente con i principi di cui agli articoli 11 (finanziamento delle funzioni dei comuni, province e città metropolitane), 12 (coordinamento e autonomia di entrata e di spesa degli enti locali) e 13 (entità e riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)[14]. In esso saranno contenute disposizioni relative all’assegnazione alle città metropolitane di tributi ed entrate proprie, anche diverse da quelle assegnate ai comuni.

Si ricorda che l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali è disciplinata dall’articolo 12, comma 1, del provvedimento in esame, cui si fa rinvio per gli approfondimenti.

 

Il decreto legislativo dovrà inoltre contenere la disciplina della facoltà delle città metropolitanecirca l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese che possono essere ricondotte all’esercizio delle loro funzioni fondamentali.

Diversamente, dunque, da quanto previsto per i comuni e le province (cfr. l’articolo 11, comma 1, lettera b) e l’articolo 12, comma 1, lettere b) e c)), l’articolo in esame rimette alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa i tributi il cui gettito venga destinato al finanziamento delle spese relative alle funzioni fondamentali.

Si ricorda, in merito, che le funzioni fondamentali delle città metropolitane, come per gli altri enti locali, saranno individuate dalla legislazione statale in attuazione dell’articolo 117, comma 1, lett. p), come previsto dall’articolo 11, comma 1, lett. a), n. 1) del provvedimento in esame. In via transitoria, le funzioni fondamentali delle città metropolitane sono definite dall’articolo 22, commi 9 e 10, che prevede che esse siano quelle provvisoriamente individuate per le province (dall’articolo 20, comma 4) cui si aggiungono: pianificazione territoriale e reti infrastrutturali; strutturazione sistemi gestione servizi pubblici; promozione e coordinamento economico e sociale.

In ultimo, la norma precisa che rimangono ferme le disposizioni contenute all’articolo 12, comma 1, lettera d), relativo alla possibilità di istituire, con norma primaria statale, tributi propri comunali c.d. “di scopo”, in particolare finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche o al finanziamento di particolari spese legate ai flussi turistici ovvero alla mobilità urbana.

 


 

Articolo 15
(Interventi di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) definizione delle modalità in base alle quali gli interventi finalizzati agli obiettivi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione sono finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali, secondo il metodo della programmazione pluriennale. I finanziamenti dell'Unione europea non possono essere sostitutivi dei contributi speciali dello Stato;

     b) confluenza dei contributi speciali dal bilancio dello Stato, mantenendo le proprie finalizzazioni, in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni;

     c) considerazione delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio-economica, al deficit infrastrutturale, ai diritti della persona, alla collocazione geografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani e alle isole minori, all'esigenza di tutela del patrimonio storico e artistico ai fini della promozione dello sviluppo economico e sociale;

     d) individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali e a favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona; l'azione per la rimozione degli squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno delle aree sottoutilizzate si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali, vincolate nella destinazione;

     e) definizione delle modalità per cui gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse stanziate dallo Stato ai sensi del presente articolo sono oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata e disciplinati con i provvedimenti annuali che determinano la manovra finanziaria. L'entità delle risorse è determinata dai medesimi provvedimenti.


 

L’articolo 15, reca i principi e criteri direttivi a cui dovranno conformarsi i decreti legislativi attuativi dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

In base alla disposizione costituzionale richiamata, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, Città metropolitane e regioni, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.

Si ricorda che la disciplina dell’utilizzazione delle risorse aggiuntive e dell’effettuazione degli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, Cost. è inclusa dall’articolo 1 (cfr. la relativa scheda) tra i contenuti necessari del disegno di legge in esame[15].

I principi e criteri direttivi a cui si deve attenere il legislatore delegato sono i seguenti:

a)  definizione delle modalità per cui gli interventi sopra citati saranno finanziati con contributi speciali del bilancio statale, con finanziamenti dell’Unione europea e con cofinanziamenti nazionali secondoil metodo della programmazione pluriennale. Nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che i finanziamenti comunitari non possono essere sostitutivi dei contributi speciali dello Stato;

Attualmente, sono ascrivibili a questa categoria di interventi economici i Fondi strutturali europei (destinati ad aree geografiche individuate a livello comunitario)[16][17] ed il FAS (Fondo per le aree sottoutilizzate)[18].

b)confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi a destinazione vincolata attribuiti ai comuni, alle province,alle città metropolitane e alle regioni, fermo restando il vincolo finalistico di tali contributi (testo così modificato dalle Commissioni riunite);

c)  considerazione - nella quantificazione e allocazione degli interventi - delle specificità territoriali, del deficit infrastrutturale, dei diritti della persona, della collocazione geografica degli enti, della loro prossimità al confine con altri Stati o con Regioni ad autonomia speciale[19], del carattere montano[20] dei territori, della specificità delle isole minori[21] e dell'esigenza di tutela del patrimonio storico e artistico ai fini della promozione dello sviluppo economico e sociale (testo così integrato dalle Commissioni riunite);

d)individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, nonché a rimuovere gli squilibri economico-sociali e a favorire l’esercizio effettivo dei diritti della persona. Le Commissioni riunite hanno integrato il testo, specificando che l'azione per la rimozione degli squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno delle aree sottoutilizzate si attua attraverso interventi speciali organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali, vincolate nella destinazione;

La formulazione iniziale (A.S. 1117) della lett. d) prevedeva che il perseguimento delle finalità di cui all’art. 119, quinto comma, Cost. avvenisse attraverso l’individuazione di “forme di fiscalità di sviluppo” rivolte alla creazione di nuove imprese.

Il riferimento alla “fiscalità di sviluppo” è ora incluso - dall’art. 2, comma 2, lett. hh) – tra i principi e criteri direttivi chiamati ad informare i decreti legislativi generali di attuazione della legge in esame.

Inoltre, un ulteriore riferimento alla “fiscalità di sviluppo” è rinvenibile nell’art. 25, comma 3, lett. c) (v. infra), relativo ai contenuti delle norme di attuazione degli statuti speciali.

e)  previsione di apposite intese in sede di Conferenza unificata (sede congiunta della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali) e rinvio della disciplina di dettaglio (compresi i criteri di utilizzazione delle risorse) ai provvedimenti annuali della manovra finanziaria.La determinazione dell’entità delle risorse stanziate è determinata dai suddetti provvedimenti.


 

Articolo 16
(Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale;

     b) rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza sia di cassa, per il concorso all'osservanza del patto di stabilità e crescita per ciascuna regione e ciascun ente locale; determinazione dei parametri fondamentali sulla base dei quali è valutata la virtuosità dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori dell'autonomia finanziaria;

     c) assicurazione degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni che possono adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni;

     d) individuazione di indicatori di efficienza e di adeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi da parte di regioni ed enti locali;

     e) introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti, ovvero degli enti che garantiscono il rispetto di quanto previsto dalla presente legge e partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività nazionale, ivi compresi quelli di carattere ambientale, ovvero degli enti che incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile; introduzione nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema sanzionatorio che, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonché l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva, atti a raggiungere gli obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie; previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'articolo 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Tra i casi di grave violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali.


 

 

L’articolo 16 reca i principi e criteri direttivi con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, ai fini dell’adozione dei decreti legislativi di cui al comma 2.

In particolare, la lettera a)introduce il principio della garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la flessibilità di esse in base all'evoluzione del quadro economico territoriale.

I principi di salvaguardia dell’ordine della graduatoria delle capacità fiscali e della flessibilità delle stesse capacità fiscali sono esplicitati tra i criteri posti dall’articolo 9, comma 1, lett. b) del disegno di legge, relativo al riparto del fondo perequativo a favore delle regioni. Tale principio è volto ad impedire che dalla perequazione derivi una modifica delle capacità fiscali per abitante ovvero un impedimento alla modifica delle stesse secondo l’evoluzione del quadro economico-territoriale.

 

Le successive lettere da b) ad e) recano una serie di principi volti ad assicurare il rispetto degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni e degli enti locali.

A tale riguardo, la lettera b)introduce il principio del rispetto degli obiettivi del conto consuntivo - sia in termini di competenza sia di cassa - a garanzia dell'osservanza del Patto di stabilità e crescita da parte di ciascuna regione e ciascun ente locale.

Nel corso dell’esame in sede referente è stata operata una correzione formale alla lettera b), volta a precisare che il patto di stabilità considerato dalla norma, la cui osservanza deve essere garantita da regioni ed enti locali, è quello rilevante a livello europeo, vale a dire il Patto di stabilità e crescita[22].

E’ opportuno al riguardo ricordare che l’articolo 2, comma 2, lett. g), prevede, quale criterio direttivo generale, l’adozione, per le politiche di bilancio di regioni, città metropolitane, province e comuni, di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita.

Il principio di cui alla lettera b) prevede inoltre la determinazione di parametri sulla base dei quali valutare la virtuosità delle regioni e degli enti locali (comuni, province, città metropolitane), anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori connessi all'autonomia finanziaria.

 

La lettera c) prevede l’assegnazione di uno specifico ruolo alle regioni, a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte del comparto degli enti locali ricompresi nel territorio del regione stessa.

A tal fine la norma prevede che le regioni possano intervenire, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, al fine di adattare le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni, fermo restando il raggiungimento degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica relativi al complesso degli enti locali ricadenti nel territorio della regione stessa.

 

La lettera e) reca i criteri per la definizione di un sistema premiante e sanzionatorio da applicare nei confronti degli enti che risultano virtuosi o meno rispetto al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica ad essi imposti.

In particolare, il sistema premiante riguarda gli enti che:

§      assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti. I livelli qualitativi dei servizi sono valutati sulla base di appositi indicatori di efficienza e di adeguatezza (lettera d);

§      garantiscono il rispetto di quanto previsto dal provvedimento in esame e che partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività, compresi quelli di carattere ambientale,

§      incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile.

 

La norma non reca una precisa individuazione delle misure premiali da applicare in favore degli enti virtuosi individuati secondo i criteri indicati.

Al riguardo, è possibile fare riferimento a specifiche norme recate dal provvedimento, quali, a titolo di esempio, l’art. 12, co. 1, lett. f), che prevede, quale forma premiale in favore dei comuni che effettuano tra di loro unioni e fusioni, l’incremento dell’autonomia impositiva ovvero maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali. Il medesimo art. 12, prevede inoltre, alla lettera l) che ai comuni e alle province virtuosi non possano essere imposti, con legge statale, vincoli alle politiche di bilancio per ciò che concerne la spesa in conto capitale, nel limite degli importi resi disponibili dalla regione di appartenenza dell'ente locale o da altri enti locali della medesima regione.

 

Il sistema sanzionatorio, che si applica, invece, nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, comporta:

§      il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche;

§      il divieto di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie;

§      l’attivazione di meccanismi automatici sanzionatori nei confronti degli organi di governo e amministrativi, responsabili del mancato rispetto degli equilibri di bilancio e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità[23] nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario (ai sensi dell’art. 244 del TUEL[24]), oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici;

§      la previsione che le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali rientrino tra i casi di grave violazione di legge di cui all’articolo 126, primo comma Costituzione, che comporta lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta[25].

Le sanzioni indicate si applicano fin tanto che l’ente non metta in atto i provvedimenti necessari, in grado di riportare l’ente medesimo in linea con gli obiettivi di finanza pubblica. Tra i provvedimenti che possono essere attivati dall’ente, la lettera e) indica, in particolare, anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonché l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva.


 

Articolo 17
(Patto di convergenza)

 


1. Nell'ambito del disegno di legge finanziaria, in coerenza con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati da parte del Documento di programmazione economico-finanziaria, il Governo, previo confronto e valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata, propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo nonché un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione e a stabilire, per ciascun livello di governo territoriale, il livello programmato dei saldi da rispettare, le modalità di ricorso al debito nonché l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali. Nel caso in cui il monitoraggio, effettuato in sede di Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica, rilevi che uno o più enti non hanno raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato attiva, previa intesa in sede di Conferenza unificata, e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante, un procedimento, denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza», volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.


 

 

L’articolo prevede un nuovo istituto – denominato “Patto di convergenza” - volto a garantire un “coordinamento dinamico” della finanza pubblica finalizzato ad agevolare, tra l’altro, il riallineamento dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo.

Ai sensi del comma unico dell’articolo, il Governo - previa valutazione in sede di Conferenza unificata e in coerenza con gli obiettivi e gli interventi enunciati nel Documento di programmazione economico-finanziaria – è tenuto a proporre, nell’ambito del disegno di legge finanziaria, norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica finalizzate a:

§       realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standarddei vari livelli di governo. Durante l’esame in sede referente le Commissione riunite hanno inserito un periodo in base al quale il Governo è tenuto a proporre in sede di disegno di legge finanziaria anche norme dirette a delineare un “percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni concernentii diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, di cui all’articolo 117 Cost., comma 2, lettere m) e p);

 

§       stabilire, per ciascun livello di governo territoriale:

-        il livello programmato dei saldi da rispettare;

-        le “modalità” di ricorso al debito; tale ultimo punto, che originariamente prevedeva la definizione del “livello” di ricorso al debito, è stato modificato nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite; il vincolo all’indebitamento non sembra pertanto più riferibile a profili di carattere quantitativo, bensì limitarsi alla disciplina delle modalità e degli strumenti attivabili ai fini del ricorso al debito; occorre tuttavia ricordare che ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. a), la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, è chiamata, tra le altre cose, a concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione “ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento”;

-        l’obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell’autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali.

Le disposizioni testé richiamate prefigurano nella sostanza un ampliamento del contenuto tipico della legge finanziaria, impegnando il Governo all’inserimento, nel relativo disegno di legge, sia di regolazioni programmatiche di tipo quantitativo dei flussi finanziari tra Stato ed autonomie territoriali (livello dei saldi e della pressione fiscale), sia di norme, eventualmente anche di carattere ordinamentale, volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo nonché ad assicurare un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali. Il Patto di convergenza sembrerebbe configurarsi, pertanto, come una sorta di Patto di stabilità interno dai contenuti più estesi, da definire annualmente nella legge finanziaria previo confronto con le autonomie territoriali in sede di Conferenza unificata, come del resto già avvenuto per prassi negli ultimi anni.

 

Qualora l’attività di monitoraggio del patto di convergenza – che deve essere svolta, come specificato a seguito di una modifica introdotta dalle Commissioni riunite, dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - rilevi che uno o più enti non abbiano raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato è chiamato ad attivare, previa intesa in sede di Conferenza unificata e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante, un procedimento denominato “Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza”.

Tale Piano è volto ad accertare le cause degli scostamenti (calcolati in termini di costo medio per abitante) e a stabilire le azioni correttive che devono essere intraprese per ridurre ed eliminare gli scostamenti.

La norma precisa, inoltre, che il Piano può fornire agli enti la necessaria assistenza tecnica utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.

 


 

Articolo 18
(Patrimonio di comuni, province, Città metropolitane e regioni)

 

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabili­scono i princìpi generali per l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a)  attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali, fatta salva la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell'ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire;

b)  attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;

c)  ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'attribu­zione dei beni a comuni, province, città metropolitane e regioni;

d)  individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.


 

 

L’articolo 18 reca i principi e criteri direttivi finalizzati all’attribuzione alle Regioni e agli Enti locali di un proprio patrimonio. La disposizione va ricollegata a quanto previsto dall’articolo 1, comma 1 che, nell’indicare l’ambito di intervento del disegno di legge in esame, prevede che esso rechi la disciplina dell’attribuzione di un proprio patrimonio agli enti territoriali.

Ciò in attuazione di quanto previsto dall’articolo 119, sesto commadella Costituzione, il quale stabilisce che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.

Per quanto attiene all’attuazione dell’articolo 119, sesto comma Cost., la Corte Costituzionale, con sentenza n. 427 del 29 dicembre 2004, ha affermato che “fino alla previsione da parte del legislatore statale dei principi per l’attribuzione a regioni ed enti locali di beni demaniali o patrimoniali dello Stato, detti beni restano a tutti gli effetti nella disponibilità dello Stato, il quale incontrerà, nella gestione degli stessi il solo vincolo delle leggi di contabilità e delle altre leggi disciplinanti il patrimonio mobiliare e immobiliare statale” [26].

Al fine di dare attuazione a tale principio costituzionale, l’articolo in esame stabilisce, nello specifico, i principi e i criteri direttivi cui devono conformarsi, in materia, i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 Cost.

I predetti decreti delegati devono conformarsi ai seguenti criteri:

a)  attribuzione, a titolo non oneroso, a ciascun livello di governo di distinte tipologie di beni, all’estensione territoriale, alle capacità finanziarie, alle competenze e alle funzioni effettivamente esercitate dalle diverse Regioni ed enti locali. Nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite V e VI è stato introdotta la previsione che è fatta salva la definizione da parte dello Stato di apposite liste dei singoli beni da attribuire.

b)  attribuzione dei beni immobili secondo il criterio di territorialità;

Per ciò che concerne il criterio della territorialità, si ricorda che la Corte Costituzionale con sentenza n. 31 del 2006, ha già disposto l’annullamento di una Circolare dell’Agenzia del demanio [27] che disciplinava il procedimento di cessione dei beni demaniali a soggetti privati richiedenti senza prevedere l’intervento della Regione competente per territorio. La Corte ha in particolare affermato che non spetta allo Stato, e per esso all’Agenzia del demanio, escludere la partecipazione delle Regioni al procedimento diretto all’alienazione di aree situate nel territorio della Regione stessa.

c)  ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata ai fini dell’attribuzione dei beni alle autonomie territoriali;

d)  individuazione di tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, inclusi quelli rientranti nel patrimonio culturale nazionale.

La disciplina generale sul demanio e sul patrimonio pubblicoè contenuta, in primis, nel Codice civile del 1942, nel Capo II, Libro terzo, articoli 822-829[28].

L'alienazione dei beni del demanio e del patrimonio dello Stato agli enti territoriali, è stata peraltro oggetto di numerosi provvedimenti legislativi [29].

Va specificatamente segnalato, per ciò che attiene ai proventi delle dismissioni o alienazioni del patrimonio immobiliare dello Stato, l’articolo 1, comma 5 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005, che ha disposto che, a decorrere dall'anno finanziario 2006, questi siano destinati alla riduzione del debito.

 


 

Articolo 19
(Princıpi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per le regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano una disciplina transitoria per le regioni, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) i criteri di computo delle quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9 si applicano a regime dopo l'esaurimento di una fase di transizione diretta a garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole regioni come media nel triennio 2006-2008, al netto delle risorse erogate in via straordinaria, ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 9;

     b) l'utilizzo dei criteri definiti dall'articolo 9 avviene a partire dall'effettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni, mediante un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni;

     c) per le materie diverse da quelle di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, il sistema di finanziamento deve divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante in cinque anni. Nel caso in cui, in sede di attuazione dei decreti legislativi, emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni, lo Stato può attivare, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, meccanismi correttivi di natura compensativa di durata pari al periodo transitorio di cui alla presente lettera;

     c-bis) i meccanismi compensativi di cui alla lettera c) vengono attivati in presenza di un organico piano di riorganizzazione dell'ente, coordinato con il «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza» di cui all'articolo 17.

     d) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alle lettere b) e c);

     e) garanzia per le regioni, durante la fase transitoria, della copertura del differenziale certificato, ove positivo, tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h);

     e-bis) acquisizione al bilancio dello Stato, durante la fase transitoria, della copertura del differenziale certificato, ove negativo, tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h);

     f) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate regionali di cui all'articolo 10, comma 1, lettere b) e c), sia, per il complesso delle regioni di cui al medesimo articolo, non inferiore al valore degli stanziamenti di cui al comma 1, lettera a), del medesimo articolo 10 e che si effettui una verifica, concordata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dell'adeguatezza e della congruità delle risorse finanziarie delle funzioni già trasferite.

1-bis. La legge statale stabilisce i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni. Fino a loro nuova determinazione in virtù della legge statale si considerano i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni già fissati in base alla legislazione.


 

 

L’articolo 19 disciplina le modalità ed i termini secondo cui il fondo perequativo di cui all’articolo 9, a partire dai decreti delegati che lo istituiscono e dalla sua fase di avvio, continua a garantire alle regioni a statuto ordinario:

a.      somme corrispondenti alla spesa sostenuta all’atto della cessazione del precedente sistema di finanziamento ed agli stanziamenti statali sostituiti da entrate di natura tributaria;

b.      un periodo transitorio di cinque anni in cui attuare progressivamente il passaggio dal finanziamento della spesa storica al finanziamento dei costi standard ed alla perequazione della capacità fiscale per abitante;

c.      un ulteriore periodo transitorio di cinque anni in cui lo Stato, con risorse del proprio bilancio, può contribuire alle spese di regioni in cui «emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità» del nuovo assetto finanziario;

d.      la determinazione di date certe a partire dalle quali si applica la nuova disciplina perequativa e si computa il periodo transitorio di convergenza.

 

Al testo approvato dal Senato le commissioni riunite hanno apportato quattro modificazioni integrative:

1.      la previsione della intesa con la Conferenza Stato-Regioni e la necessità di uno specifico piano di convergenza perché lo Stato possa sostenere con “meccanismi compensativi” le «situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni» che si verifichino oltre il quinquennio di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard (lettera c) e nuova lettera c-bis);

2.      l’estensione, anche alla fase transitoria, delle disposizioni già introdotte in via permanente all’articolo 9 per la copertura del differenziale positivo, o negativo, che può verificarsi tra il gettito dei tributi determinato in via previsionale e quello certificato a consuntivo secondo le aliquote stabilite per i tributi che finanziano le spese per funzioni LEA (lettera e) e nuova lettera e-bis);

3.      un inciso alla lettera f) inteso a precisare l’applicabilità della disciplina prevista dall’articolo 10 sul finanziamento delle funzioni trasferite alle sole regioni a statuto ordinario;

4.      il comma aggiuntivo 1-bis, che riafferma la riserva di legge per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e la continuità – sino a nuova disciplina – di quelli già stabiliti dalla normativa vigente.

 

Il principio cardine è enunciato alla lettera a) del comma 1: la disciplina della perequazione prevista dall’articolo 9 – la perequazione del fabbisogno al costo standard e la perequazione della minore capacità fiscale – si applicherà soltanto al termine della “fase di transizione” e cioè dopo il quinquennio previsto dalla successiva lettera b).

Per il quinquennio di transizione i criteri direttivi posti dalle lettere a), b) e c) dell’articolo in esame forniscono indicazioni in ordine alla disciplina della perequazione da applicarsi in assenza di quella disposta dall’articolo 9. L’indicazione operativa è rimessa al futuro legislatore delegato sulla base dei seguenti criteri di delega:

a.      garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole regioni come media del triennio 2006-2008 ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 9 (lettera a) per quanto attiene, specificatamente, agli attuali trasferimenti perequativi della sanità);

b.      realizzare un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni (lettera b) con riferimento alle funzioni connesse alla prestazione dei livelli essenziali);

c.      prevedere che il sistema di finanziamento debba divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante (lettera c) con riferimento alle funzioni non LEP).

 

Le norme in esame, pertanto, non disciplinano il periodo transitorio entro modalità e termini rigidi, scegliendo di lasciare questa definizione al legislatore delegato il quale però dovrà tenere conto del principio di concertazione e collaborazione che la delega pone in più parti e modi:

a.      all’articolo 2, comma 5, per il quale il Governo, nella predisposizione dei decreti delegati assicura piena collaborazione con le regioni;

b.      all’articolo 5, comma 1, lettera g), per il quale la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica verifica periodicamente la realizzazione del percorso i convergenza;

c.      allo stesso articolo 19, comma 1, lettera f), la verifica concordata è rimessa alla Conferenza permanente Stato-regioni.

 

Vengono però espressamente stabiliti i termini e le garanzie di questo processo di avvicinamento:

§      la perequazione secondo la disciplina a regime dell’articolo 9 partirà soltanto al termine del periodo transitorio;

§      il periodo transitorio ‘di avvicinamento’ è fissato in cinque anni per ciascuna delle due tipologie di spese e modalità di perequazione;

§      un ulteriore periodo di cinque anni può essere deciso, al termine del primo, per talune regioni dove la nuova disciplina della perequazione delle spese per funzioni non LEP dovesse rivelarsi (temporaneamente) insostenibile. Le modificazioni apportate dalle Commissioni riunite aggiungono due condizioni a questo intervento integrativo dello Stato:

a.        la valutazione, la natura e le dimensioni dell’intervento sono definite dallo Stato d’intesa con la Conferenza Stato-regioni;

b.        i ”meccanismi compensativi” e cioè i maggiori finanziamenti ed il più lento abbandono del parametro della spesa storica, sono concessi soltanto in presenza di un piano di riorganizzazione della regione che ne riconduca la spesa al rispetto degli obiettivi del Piano di convergenza previsto dall’articolo 17;

§      il termine da cui decorrono (anche separatamente) i due periodi transitori devono essere espressamente specificati dal legislatore delegato;

§      il quinquennio transitorio relativo alla convergenza tra fabbisogno e spesa standard (funzioni LEP) potrà iniziare soltanto «a partire dall’effettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni»;

§      con riferimento a quanto disposto dall’articolo 10 per il passaggio dalle entrate di cui già dispongono le regioni a quelle assegnate dalla riforma, in sede di prima applicazione l’ammontare delle nuove entrate non dovrà essere inferiore agli stanziamenti assicurati dall’ordinamento vigente;

§      qualora le aliquote dei nuovi tributi siano assegnate sulla base di gettiti presuntivi è garantita alle regioni la copertura del differenziale negativo che dovesse determinarsi per il gettito effettivo di quei tributi. Anche per il periodo e per la disciplina transitoria le Commissioni riunite hanno specificato i termini della garanzia di copertura nel caso in cui sia positivo o negativo il differenziale che si può stabilire tra il gettito dei tributi stimato in via previsionale e quello effettivamente conseguito dalla regione assunta a parametro. La modifica apportata alla lettera c) e l’introduzione della lettera c)-bis fanno si che nel caso in cui il gettito effettivamente conseguito sia minore di quello stabilito in via previsionale (differenziale positivo) l’erario corrisponde quella differenza alla regione; in caso contrario, quando cioè il gettito effettivo si riveli maggiore di quanto computato in via previsionale (differenziale negativo) le maggiori entrate sono riversate al bilancio dello Stato.

 

Il comma 1-bis, aggiunto a seguito di una proposta emendativa approvata dalle Commissioni riunite, riafferma la riserva di legge dello Stato per la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nella emanazione dei decreti legislativi delegati si dovrà pertanto tener conto – sino alla loro nuova determinazione – dei livelli essenziali delle prestazioni «già fissati in basi alla legislazione»[30].


 

Articolo 20
(Norme transitorie per gli enti locali)

 


1. In sede di prima applicazione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano norme transitorie per gli enti locali, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) nel processo di attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle regioni, nonché agli oneri derivanti dall'eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli stessi alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, provvedono lo Stato o le regioni, determinando contestualmente adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge;

     b) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate di comuni e province in base alla presente legge sia, per il complesso dei comuni ed il complesso delle province, corrispondente al valore dei trasferimenti di cui all'articolo 11, comma 1, lettera e), e che si effettui una verifica di congruità in sede di Conferenza unificata;

     c) determinazione dei fondi perequativi di comuni e province in misura uguale, per ciascun livello di governo, alla differenza fra i trasferimenti statali soppressi ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera e), destinati al finanziamento delle spese di comuni e province, esclusi i contributi di cui all'articolo 15, e le maggiori entrate spettanti in luogo di tali trasferimenti ai comuni ed alle province, ai sensi dell'articolo 12, tenendo conto dei princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;

     d) sono definite regole, tempi e modalità della fase transitoria in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, per le spese riconducibili all'esercizio delle funzioni fondamentali e per le altre spese. Fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni concernenti l'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali:

          1) il fabbisogno delle funzioni di comuni e province è finanziato considerando l'80 per cento delle spese come fondamentali ed il 20 per cento di esse come non fondamentali, ai sensi del comma 2;

          2) per comuni e province l'80 per cento delle spese di cui al numero 1) è finanziato dalle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il 20 per cento delle spese di cui al numero 1) è finanziato dalle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, ivi comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo;

          3) ai fini del numero 2) si prende a riferimento l’ultimo bilancio certificato a rendiconto, alla data di predisposizione degli schemi di decreto legislativo di cui all'articolo 2;

     e) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alla lettera d).

2. Ai soli fini dell'attuazione della presente legge, e in particolare della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale di cui agli articoli 11 e 13, in sede di prima applicazione, nei decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono provvisoriamente considerate ai sensi del presente articolo, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.

3. Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:

     a) funzioni generali di amministra­zione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;

     b) funzioni di polizia locale;

     c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

     d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

     e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

     f) funzioni del settore sociale.

4. Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:

     a) funzioni generali di amministra­zione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;

     b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

     c) funzioni nel campo dei trasporti;

     d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;

     e) funzioni nel campo della tutela ambientale;

     f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

5. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano la possibilità che l'elenco delle funzioni di cui ai commi 3 e 4 sia adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata.


 

Il comma 1 dell’articolo 20 reca i principi e i criteri direttivi per l’adozione dei decreti legislativi recanti le norme transitorie per gli enti locali.

In particolare, il principio introdotto dalla lettera a) prevede che, nel corso del processo di attuazione dell’art. 118 della Costituzione, lo Stato o le regioni debbano provvedere al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative esercitate dagli enti locali nelle materie di competenza legislativa statale o regionale. Analogamente, lo Stato e le Regioni sono tenute a far fronte agli oneri derivanti dall’eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli enti locali alla data di entrata in vigore della presente legge. Le forme di copertura finanziaria individuate devono essere coerenti con i principi recati dal provvedimento in esame.

 

Le lettere successive recano principi volti a garantire agli enti locali, nella fase di transizione, un complesso di risorse (entrate tributarie e contributi perequativi) adeguato al finanziamento del complesso delle funzioni.

In particolare, la lettera b), come modificata nel corso dell’esame in sede referente da parte delle Commissioni riunite V e VI, introduce la garanzia che la somma del gettito derivante delle nuove entrate dei comuni e delle province, come definite dal provvedimento in esame, sia, per il complesso dei comuni e delle province, corrispondente[31] al valore dei trasferimenti che vengono soppressi, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e), in conseguenza dell’attuazione del nuovo sistema di finanziamento.

L’articolo 11 citato prevede, alla lettera e), la soppressione di tutti i trasferimenti sia statali che regionali destinati al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali e non degli enti locali, fatta eccezione degli stanziamenti destinati alla costituzione dei fondi perequativi e dei contributi erariali e regionali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.

Ai fini della valutazione della corrispondenza delle nuove entrate all’entità dei trasferimenti soppressi, nel corso dell’esame in sede referente è stata introdotta la previsione che in sede di Conferenza Unificata si effettui una verifica in ordine alla congruità del gettito delle nuove entrate di comuni e province.

 

In correlazione alla suddetta garanzia, la lettera c) prevede che,nella fase di transizione, i fondi perequativi siano quantificati, per ciascun livello di governo, in misura pari alla differenza tra i trasferimenti statali soppressi, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e), e le maggiori entrate derivanti dall’autonomia finanziaria ai sensi dell'articolo 12, spettanti a comuni e province in sostituzione di tali trasferimenti.

In sostanza, i criteri di quantificazione dei fondi perequativi nella fase transitoria verrebbero a garantire che il comparto riceva, nel complesso, lo stesso ammontare di risorse di cui dispone nella situazione attuale. A parità di trasferimenti soppressi, l’entità del fondo perequativo dipende dunque dalla quota di risorse proprie assegnate a ciascun comparto. Va peraltro considerato che il richiamato articolo 11, comma 1, lettera e) la soppressione anche dei trasferimenti regionali, oltre che di quelli statali, che invece non sono considerati ai fini della quantificazione dei fondi perequativi nel periodo transitorio.

 

La quantificazione dei fondi perequativi deve inoltre tener conto dei principi previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), in merito al graduale superamento del criterio della spesa storica.

In relazione a tale principio, la lettera d)prevede regole, tempi e modalità della fase transitoria, in modo da garantire che il superamento del criterio della spesa storica, ai fini del finanziamento delle spese degli enti locali, sia realizzato in un periodo di cinque anni, sia per le spese riconducibili all’esercizio delle funzioni fondamentali sia per le altre spese.

I decreti legislativi attuativi della delega devono recare la specificazione del termine iniziale da cui far decorrere il periodo transitorio di cinque anni entro il quale va garantito il superamento della spesa storica sia per le funzioni fondamentali sia per quelle non fondamentali (lettera e).

 

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 11, comma 1, lettera a) – nel definire i criteri direttivi relativi al finanziamento delle funzioni degli enti locali - rinvia alla legislazione statale il compito di individuare le spese riconducibili alle funzioni fondamentali, in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

Pertanto, fin tanto che non saranno in vigore le disposizioni concernenti l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, l’articolo in esame, al comma 1, lettera d), dispone che nella fase transitoria, il finanziamento delle spese degli enti locali avvenga sulla base di alcuni criteri specifici. In particolare:

§       il fabbisogno delle funzioni di comuni e province viene finanziato assumendo l’ipotesi che l’80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali (punto 1).

Nella fase transitoria, sono considerate, ai fini del finanziamento integrale delle funzioni fondamentali sulla base del fabbisogno standard,le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194, come precisato dal successivo comma 2;

§       l’80 per cento delle spese di comuni e province, cioè quelle di cui al punto 1 (come specificato in sede referente), afferenti alle funzioni fondamentali, viene finanziatoper mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il residuo 20 per cento delle spese di cui al punto 1, relative alle altre funzioni, è finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo (punto 2).

A tal fine, il punto 3, come modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede che venga preso a riferimento l’ultimo bilancio degli enti locali certificato a rendiconto, disponibile alla data di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.

 

Ai fini della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, il comma 2prevede, in sede di prima applicazione, che nei decreti legislativi di cui all'articolo 2 siano provvisoriamente considerate, per il periodo transitorio, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.

 

I commi 3 e 4 recano, rispettivamente, per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, ai sensi del comma 2.

Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)      funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)      funzioni di polizia locale;

c)      funzioni di istruzione pubblica, compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

d)      funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e)      funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

f)        funzioni del settore sociale.

Rispetto alle funzioni individuate dal DPR n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: giustizia; cultura e beni culturali; settore sportivo e ricreativo; turismo; sviluppo economico; servizi produttivi (oltre alle funzioni concernenti edilizia residenziale pubblica e locale, piani di edilizia e servizio idrico integrato, espressamente escluse).

 

Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)      funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)      funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

c)      funzioni nel campo dei trasporti;

d)      funzioni riguardanti la gestione del territorio;

e)      funzioni nel campo della tutela ambientale;

f)        funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

Rispetto alle funzioni individuate dal citato DPR n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: cultura e beni culturali; settore turistico, sportivo e ricreativo; settore sociale; sviluppo economico, relativamente ai servizi per l’agricoltura e per l’industria, il commercio e l’artigianato.

 

I decreti legislativi prevedono altresì che l'elenco provvisorio delle funzioni possa essere adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata (comma 5).

 


 

Articolo 21
(Perequazione infrastrutturale)

 


1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:

     a)estensionedelle superfici territoriali;

     a-bis) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo;

     b) densità della popolazione e densità delleunità produttive;

     c) particolari requisiti delle zone di montagna;

     d) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;

     e) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma da effettuare nelle aree sottoutilizzate sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.


 

 

L’articolo 21 reca le modalità per l’individuazione di interventi, finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, per il recupero del deficit infrastrutturale.

Nel corso dell’esame in Commissione il campo di applicazione della norma è stato ristretto agli interventi da effettuare nelle aree sottoutilizzate.

Ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost., per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

Si ricorda, inoltre, che per gli interventi attuativi dell’art. 119, quinto comma, Cost., l’art. 15 del ddl in commento detta una serie di principi e criteri direttivi tra i quali l’obbligo per il Governo, nell’adozione dei decreti delegati, di tener conto delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo – tra l’altro – al deficit infrastrutturale (lettera c) del citato art. 15).

 

Nel dettaglio, in sede di prima applicazione, il comma 1 prevede una ricognizione degli interventi infrastrutturali previsti dalle norme vigenti e riguardanti:

§       la rete stradale, autostradale e ferroviaria;

§       la rete fognaria;

§       la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas;

§       le strutture portuali ed aeroportuali;

A tale elenco, nel corso dell’esame in Commissione, sono state aggiunte anche le strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche.

 

Lo stesso comma dispone che tale ricognizione venga concertata tra il Ministro dell’economia e delle finanze, incaricato della sua predisposizione, ed i Ministri per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia.

 

L’ultimo periodo del comma in esame elenca i seguenti elementi di cui occorre tener conto[32], in particolare, nell’effettuazione della citata ricognizione:

a)      estensione delle superfici territoriali;

b)      densità della popolazione e delle unità produttive;

c)      particolari requisiti delle zone montane;

d)      carenze della dotazione infrastrutturale di ciascun territorio;

e)      valutazione della specificità dei territori insulari.

 

A tale elenco, nel corso dell’esame in Commissione, è stato aggiunto, quale elemento da considerare, il deficit infrastrutturale e di sviluppo.

 

In base al successivo comma 2 - nella fase transitoria quinquennale di passaggio dal criterio della spesa storica a quello del fabbisogno standard e delle capacità fiscali, prevista dagli articoli 19-20 - occorre procedere all’individuazione, sulla base della ricognizione di cui al comma 1, di interventi finalizzati agli obiettivi di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.

Viene altresì disposto che tale individuazione sia finalizzata al recupero del deficit infrastrutturale, incluso quello riguardante il trasporto pubblico locale, e debba essere calibrata sulla base della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard.

Nel corso dell’esame in Commissione il comma in esame è stato modificato al fine di restringere il campo di applicazione della norma agli interventi da effettuare nelle aree sottoutilizzate.

 

L’ultimo periodo del comma in esame prevede l’inserimento degli interventi infrastrutturali così individuati nel Programma delle infrastrutture strategiche.

Tale programma, lo si ricorda, viene annualmente allegato al documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) ai sensi dell’art. 1, commi 1 e 1-bis, della legge n. 443 del 2001 (cd. legge obiettivo).

 

Si fa notare, infine, che l’art. 1, comma 2, del presente ddl prevede l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 21 in esame anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, conformemente ai rispettivi statuti, con esclusione degli enti locali ricadenti nel loro territorio.

 

Si ricorda, infine, che relativamente alle risorse per le opere infrastrutturali sono intervenuti nella XVI legislatura l’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112 del 2008, introdotto dalla legge di conversione n. 133 del 2008, e l’articolo 18 del D.L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009.

In particolare, l’art. 6-quinquies del decreto legge n. 112 del 2008 ha istituito un Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l’attuazione del Quadro strategico nazionale 2007-2013.

L’articolo 18 del D.L. n. 185 del 2008, commi 1-4, è volto alla riprogrammazione delle risorse nazionali finalizzate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate del Paese, al fine di concentrare le risorse che risultino disponibili sul Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) su obiettivi che, in considerazione della eccezionale crisi economica internazionale attuale, siano da considerarsi prioritari per il rilancio dell’economia italiana, quali le opere pubbliche e l’emergenza occupazionale.La norma prevede che le somme assegnate siano destinate anche alla messa in sicurezza delle scuole, alla realizzazione di opere di risanamento ambientale, per l'edilizia carceraria, per le infrastrutture museali ed archeologiche, per l’innovazione tecnologica e le infrastrutture strategiche per la mobilità.

 


 

Articolo 22
(Norme transitorie per le città metropolitane)

 


1. Il presente articolo reca in via transitoria, fino alla data di entrata in vigore della disciplina ordinaria riguardante le funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge, la disciplina per la prima istituzione delle stesse.

2. Le città metropolitane possono essere istituite, nell'ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. La proposta di istituzione spetta:

     a) al comune capoluogo congiuntamente alla provincia;

     b) al comune capoluogo congiuntamente ad almeno il 20 per cento dei comuni della provincia interessata che rappresentino, unitamente al comune capoluogo, almeno il 60 per cento della popolazione;

     c) alla provincia, congiuntamente ad almeno il 20 per cento dei comuni della provincia medesima che rappresentino almeno il 60 per cento della popolazione.

3. La proposta di istituzione di cui al comma 2 contiene la perimetrazione della città metropolitana, secondo il principio della continuità territoriale, comprende almeno tutti i comuni proponenti e reca una proposta di statuto provvisorio della città metropolitana. Sulla proposta è acquisito il parere della regione da esprimere entro novanta giorni. Si osservano i seguenti principi e criteri direttivi:

     a) il territorio metropolitano coincide con il territorio di una provincia o di una sua parte e comprende il comune capoluogo;

     b) il territorio della città metropolitana si articola al suo interno in comuni;

     c) lo statuto provvisorio della città metropolitana definisce le forme di coordinamento dell'azione complessiva di governo all'interno del territorio metropo­litano; disciplina altresì le modalità per l'elezione o l'individuazione del presidente del consiglio provvisorio di cui al comma 6. Lo statuto definitivo della città metropolitana è adottato dai competenti organi entro sei mesi dalla data del loro insediamento in base alla legge di cui al comma 1;

     d) sulla proposta di istituzione della città metropolitana è indetto un referendum tra tutti i cittadini della provincia; il referendum è senza quorum di validità se il parere della regione è favorevole o in mancanza di parere; in caso di parere regionale negativo, il quorum di validità è del 30 per cento.

4. Con regolamento da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa e per i rapporti con le regioni, è disciplinato il procedimento di indizione e di svolgimento del referendum di cui alla lettera d) del comma 3, osservando le disposizioni della legge 25 maggio 1970, n. 352, in quanto compatibili.

5. Ai fini dell’attuazione del comma 2, con uno o più decreti legislativi da adottare per ciascuna città metropolitana nel termine di ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell'interno, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro per i rapporti con le regioni, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, dell'economia e delle finanze e per i rapporti con il Parlamento, sono istituite le città metropolitane in conformità con la proposta approvata nel referendum di cui alla lettera d) del comma 3 e con l'osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui al presente articolo.

5-bis. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 5, corredati delle deliberazioni e dei pareri prescritti, sono trasmessi al Consiglio di Stato e alla Conferenza unificata, che rendono il parere nel termine di trenta giorni. Successivamente sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parla­mentari da rendere entro trenta giorni dall'assegnazione alle Commissioni medesime.

6. Con le città metropolitane istituite ai sensi del presente articolo è istituita una assemblea rappresentativa, denominata «consiglio provvisorio della città metropolitana», composta dai sindaci dei comuni che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia. Nessun emolumento, gettone di presenza o altra forma di retribuzione è attribuita ai componenti del consiglio provvisorio in ragione di tale incarico.

7. La provincia di riferimento cessa di esistere e sono soppressi tutti i relativi organi a decorrere dalla data di insediamento degli organi della città metropolitana, individuati dalla legge di cui al comma 1, che provvede altresì a disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni trasferite e a dare attuazione alle nuove perimetrazioni stabilite ai sensi del presente articolo. La legge di cui al comma 1 stabilisce la disciplina per l'esercizio dell'iniziativa da parte dei comuni della provincia non inclusi nella perimetrazione dell'area metropolitana, in modo da assicurare la scelta da parte di ciascuno di tali comuni circa l'inclusione nell'area metropolitana ovvero in altra provincia già esistente.

8. Dalla data di proclamazione dell'esito positivo del referendum di cui al comma 3, lettera d), e fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica di cui al comma 1, il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicura loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da esercitare in forma associata o congiunta, nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.

9. Ai soli fini delle previsioni concernenti le spese e l'attribuzione delle risorse finanziarie alle città metropolitane, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano, le funzioni fondamentali della provincia sono considerate, in via provvisoria, funzioni fondamentali della città metropolitana, con efficacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi.

10. Ai medesimi fini di cui al comma 9 sono, altresì, considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano:

     a) la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

     b) la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;

     c) la promozione ed il coordina­mento dello sviluppo economico e sociale.


 

 

L’articolo 22 introduce una disciplina transitoria che consente, in via facoltativa, una prima istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario, ad esclusione di Roma. Tale disciplina rimarrà in vigore fino all’approvazione di una apposita legge ordinaria che stabilirà le modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane.

Nel corso dell’esame in sede referente sono state apportate diverse modifiche all’articolo in esame, alcune delle quali nel complesso comportano un aggravamento della procedura di istituzione delle città metropolitane.

Due delle modifiche apportate assumono particolare rilievo.

La prima consiste nell’inclusione, per la prima volta, di Reggio Calabria tra le città metropolitane. Infatti, viene modificato il comma 2 dell’articolo 22 che individua l’ambito di applicazione della norma in esame: ossia le aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli dove è prevista, in via facoltativa, l’istituzione della città metropolitana. Si tratta delle aree, oltre a Roma, per le quali già la normativa vigente prevede la trasformazione in città metropolitane (art. 21, co. 1, D.Lgs. 267/2000 testo unico enti locali[33]). A queste viene aggiunta anche la città calabrese[34].

 

La seconda modifica riguarda la procedura di istituzione delle città metropolitane, per la cui conclusione viene prevista l’emanazione di uno o più decreti legislativi per ciascuna città in conformità della proposta approvata con referendum e con l’osservanza dei principi e dei criteri direttivi contenuti nell’articolo in esame.

Riguardo questi ultimi, un’atra delle modifiche approvate in sede referente, ha definito quali princìpi e criteri direttivi (in precedenza denominati modalità) i contenuti della proposta di istituzione della città metropolitana (comma 3), ossia coincidenza del territorio metropolitano in tutto o in parte con quello di una provincia; articolazione della città metropolitana in comuni; previsione di uno statuto provvisorio.

Il termine di adozione della delega viene fissato a 24 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame. Da rilevare che in questo lasso di tempo dovrebbero compiersi una serie di procedimenti complessi con l’intervento di numerosi attori (vedi oltre); nell’eventualità che per una o più città metropolitane non si giunga entro tale termine all’emanazione del decreto legislativo relativo, decadrebbe la possibilità di applicare la procedura in commento e si dovrebbe applicare la disciplina vigente recata dal testo unico.

Il procedimento di adozione dei decreti delegati prevede le seguenti fasi:

§      proposta dei ministri dell’interno, per le riforme e il federalismo, per la semplificazione normativa, per i rapporti con le regioni;

§      concerto con i ministri per la pubblica amministrazione e innovazione, dell’economia e delle finanze e per rapporti con il Parlamento;

§      parere del Consiglio di Stato e della conferenza unificata entro 30 giorni dalla trasmissione degli schemi di decreto legislativo, corredati delle deliberazioni e dei prescritti pareri;

§      parere delle competenti Commissioni parlamentari, da rendersi successiva­mente ai due precedenti, entro 30 giorni dalle assegnazioni.

Tale disposizione innova profondamente la procedura di cui al testo originario. La modifica è effettuata sostituendo con due nuovi commi l’originario comma 5. Quest’ultimo rinviava alla futura legge (prevista dal comma 1) la fissazione delle modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane e conteneva anche un termine temporale (“successivamente allo svolgimento del referendum”) da cui si poteva desumere che il procedimento di istituzione della città metropolitana, sopra descritto, non si presentava come transitorio, risultando costitutivo dell’ente città metropolitana, nei confronti del quale la nuova legge avrebbe potuto semplicemente stabilirne la definitiva costituzione (in senso formale).

A questa modifica è strettamente collegato l’intervento operato sul comma 1 dell’articolo in esame, dove viene chiarito l’oggetto della futura legge: non più la disciplina organica delle città metropolitane, bensì la sola definizione delle funzioni fondamentali, degli organi e del sistema elettorale.

Tale delimitazione, letta in combinato disposto con l’abrogazione del rinvio alla legge contenuto nell’originario comma 5, consente di ricostruire anche l’oggetto della norma in esame; questa:

§      sostituisce il procedimento di istituzione delle città metropolitane ora vigente con una nuova procedura che dovrà concludersi entro 24 mesi con l’emanazione dei decreti legislativi;

§      individua una disciplina transitoria per il primo funzionamento delle città metropolitane che dovrà essere compiutamente definita da una futura legge ordinaria.

Le altre modifiche intervenute in sede referente si possono sintetizzare come segue:

§      l’iniziativa per l’istituzione della città metropolitana rimane di competenza del comune capoluogo e alla provincia, che se non esercitata dai entrambi gli enti locali in maniera congiunta, deve essere accompagnata dal almeno il 20% dei comuni interessati (nella versione originaria la percentuale era del 50%) che rappresentano almeno il 60% (e non più il 50%) della popolazione;

§      il referendum di approvazione della proposta viene svolto tra i cittadini di tutti i comuni della provincia e non solo tra quelli inclusi nella perimetrazione della città metropolitana;

§      viene chiarito che “il territorio” della città metropolitana (e non “la città metropolitana”) si articola in comuni;

§      i comuni della provincia non inclusi nell’area metropolitana, una volta che questa sia stata istituita definitivamente, potranno scegliere di essere inclusi nel suo territorio oppure di entrare a far parte di un’altra provincia già esistente, viene così preclusa esplicitamente la possibilità di istituire nuove province per farvi confluire i comuni non entrati a far parte delle città metropolitane.

 

Alla luce delle modifiche intervenute, sopra descritte, il contenuto dell’articolo in esame si può riassumere come segue.

Il comma 1 contiene l’oggetto dell’articolo in esame, la disciplina della prima istituzione delle città metropolitane, e l’autodefinizione di questa come transitoria, valida fino alla definitiva sistemazione normativa della materia con l’adozione di una legge ordinaria che determini le funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale delle città metropolitane.

Il comma 2 individua preliminarmente l’ambito di applicazione della norma in esame, che non riguarda tutti i territori attualmente interessati dalla normativa vigente, ma solamente le aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli dove è prevista, in via facoltativa, l’istituzione della città metropolitana. Viene aggiunta la città di Reggio Calabria (non prevista dalla normativa vigente) e risulta esclusa Roma, che insieme alle otto città sopra citate è compresa dalla legge vigente fra le aree metropolitane ove è possibile costituire le città metropolitane (art. 21, co. 1, TUEL).

Le ragioni di tale esclusione si rinvengono nella previsione, di cui all’articolo 23 del provvedimento in esame (vedi infra) di una specifica disciplina transitoria dedicata a Roma capitale, anch’essa destinata a produrre i suoi effetti “fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane” (comma 1). Tale espressione può intendersi coincidente con quella del comma 1 dell’articolo in esame, che fa riferimento ad una apposita legge organica.

Non sono contemplate le aree metropolitane delle regioni a statuto speciale, ossia Trieste, Palermo, Catania, Messina e Cagliari. In tali città, pertanto, sembrerebbe ancora applicabile la disciplina vigente per la costituzione delle città metropolitane, disciplina che invece sembrerebbe preclusa alle aree indicate dall’articolo in esame, per le quali dovrebbe applicarsi esclusivamente la disciplina transitoria, almeno fino all’approvazione della nuova legge, quando la materia dovrebbe ritrovare una omogeneità normativa. In particolare, per le città di Trieste, Palermo, Catania, Messina e Cagliari dovrebbe ancora applicarsi la disposizione del testo unico che demanda all’autonoma regolamentazione delle regioni a statuto speciale la disciplina delle città metropolitane (art. 22, co. 3, TUEL)[35].

In secondo luogo, la nuova disciplina transitoria introduce un procedimento per l’istituzione delle città metropolitane che presuppone l’esistenza e dunque la precedente delimitazione delle aree metropolitane, delimitazione che rimane regolata dalla legge vigente (art. 22 TUEL). Ora, delle città indicate solamente quattro (Venezia, Genova, Bologna e Firenze) hanno proceduto a delimitare il territorio dell’area metropolitana, mentre le altre (Torino, Milano, Napoli, Bari e Reggio Calabria) non l’hanno ancora fatto. Per quest’ultime, pertanto, la disciplina introdotta dall’articolo in esame si applicherebbe solamente a partire dal momento di effettiva definizione dell’area metropolitana, da effettuarsi secondo le modalità vigenti.

Inoltre, il medesimo comma 2 individua i soggetti cui spetta l’iniziativa per l’istituzione della città metropolitana, innovando profondamente la disciplina attuale. La legge vigente prevede infatti una unica modalità per dare inizio al procedimento. Questo può essere attivato con l’approvazione di una proposta di statuto con deliberazione conforme da un lato da parte di tutti i consigli comunali coinvolti e dall’altra dell’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati.

La disposizione in esame invece prevede tre diverse possibilità di iniziativa da parte del comune capoluogo e della provincia, congiuntamente tra di loro o separatamente. Nel caso la proposta sia presentata solo da uno dei due enti locali (comune capoluogo o provincia) essa deve essere appoggiata da almeno il 20% dei comuni della provincia interessata che rappresentino nel complesso il 60% della popolazione.

Il comma 3 stabilisce che sulla proposta deve essere acquisito entro 90 giorni il parere della regione (parere non previsto dalla disciplina vigente). L’eventuale parere negativo non preclude il proseguimento della procedura, ma incide unicamente sul quorum di validità del referendum confermativo, che è del 30%, mentre in presenza di un parere positivo non è previsto alcun quorum. Un incentivo ad esprimere comunque un parere da parte della regione è costituito dalla previsione che la mancanza di espressione del parere entro i termini previsti viene equiparata al parere positivo e consente la validità del referendum senza limiti di quorum.

Il comma 3, inoltre, stabilisce il contenuto della proposta di istituzione della città metropolitana, che si articola in due strumenti:

§      la perimetrazione della città metropolitana;

§      una proposta di statuto provvisorio.

Inoltre, viene stabilito il principio che la città metropolitana si articola al suo interno in comuni.

Per quanto riguarda la definizione del territorio metropolitano l’articolo in esame prescrive alcuni requisiti essenziali. La perimetrazione deve:

§      rispettare il principio della continuità territoriale;

§      comprendere almeno tutti i comuni proponenti;

§      comprendere il comune capoluogo;

§      coincidere con il territorio di una (sola) provincia o di una sua parte.

Anche relativamente allo statuto provvisorio vengono poste alcune condizioni essenziali. Esso deve in primo luogo definire le forme di coordinamento dell’azione di governo all’interno del territorio metropolitano, dove insisteranno una pluralità di enti: la città metropolitana, i comuni, gli organi di decentramento dei comuni più grandi e anche delle province, la cui soppressione come si è detto è prevista solamente a partire dall’entrata in vigore della futura legge di sistema. Inoltre, lo statuto deve disciplinare le modalità di scelta del presidente del consiglio provvisorio della città metropolitana, un organismo previsto dal comma 6 (cui si rimanda).

Il comma introduce anche una norma non riconducibile direttamente alle città metropolitane di prima istituzione, oggetto principale dell’articolo in esame, che prevede l’adozione dello statuto definitivo entro sei mesi dalla data di insediamento degli organi competenti da individuare ai sensi della legge prevista dal comma 1.

La terza fase del procedimento istitutivo delle città metropolitane è il referendum confermativo. Esso è indetto tra tutti i cittadini della provincia interessata.

La disciplina prevista per il referendum confermativo per le città metropolitane di prima istituzione differisce per diversi aspetti da quella vigente recata dall’art. 23 del testo unico.

Innanzitutto, la disciplina vigente prevede un quorum per la sua validità pari ad almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto (infatti la proposta si considera accettata se si esprimono a favore la maggioranza degli aventi diritto, oltre alla maggioranza dei comuni partecipanti). La proposta in esame prevede un quorum molto più basso: esso è del 30% in caso di parere regionale negativo e addirittura, in caso di parere positivo o di assenza di parere, non è previsto alcun quorum.

In secondo luogo, il TUEL prevede lo svolgimento del referendum entro 180 giorni dall’approvazione della proposta, mentre il comma in esame non prevede alcun termine.

In terzo luogo, mentre la disciplina vigente si riferisce semplicemente a “referendum a cura di ciascun comune partecipante”, la disposizione in esame prevede che il referendum è sottoposto a “tutti i cittadini” dei comuni interessati. Sembrerebbe in questo modo preclusa l’eventuale partecipazione al referendum dei cittadini stranieri anche nei comuni dove ciò è consentito dallo statuto.

Infine, il procedimento di indizione e di svolgimento dei referendum è demandato, ai sensi del comma 4, ad un regolamento governativo da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame. La legge vigente, non contenendo riferimenti in proposito, implicitamente sembrerebbe invece rimettersi, per quanto riguarda lo svolgimento dei referendum, alla disciplina dei singoli comuni.

Il regolamento di cui al comma in esame è proposto dal ministro dell’interno, sulla base del concerto con i seguenti ministri:

§      giustizia,

§      riforme per il federalismo,

§      semplificazione normativa,

§      rapporti con le regioni.

Il regolamento, ai sensi dell’art. 17, comma 1, della L. 400/1988, sarà emanato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato entro novanta giorni dalla richiesta. Il regolamento dovrà osservare, in quanto compatibili, le disposizioni della legge generale sui referendum di cui alla L. 352/1970[36].

I commi 5 e 5-bis definiscono l’ultima fase della procedura (descritta sopra) consistente nell’emanazione di uno o più decreti legislativi.

Il comma 6 istituisce un organo rappresentativo delle città metropolitane provvisorie originate a seguito dei referendum: si tratta del consiglio provvisorio della città metropolitana, composto da tutti i sindaci dei comuni che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia. Viene chiarito che i membri del consiglio provvisorio, in quanto tali, non hanno diritto a percepire alcuna forma di retribuzione, neanche sotto forma di gettone di presenza.

La disposizione si limita a definire tale organo “assemblea rappresentativa”, senza specificarne i compiti. Presumibilmente sarà lo statuto provvisorio da adottarsi ai sensi del comma 2 a individuare i compiti del consiglio; esso comunque dovrebbe avere un ruolo centrale nel coordinamento dell’azione complessiva di governo, le cui forme saranno disciplinate nello statuto provvisorio, secondo quanto stabilito dal comma 2, lett. c). Tale norma prescrive anche che lo statuto provvisorio dovrà indicare le modalità di designazione del presidente del consiglio provvisorio “per elezione o individuazione”: lo statuto, infatti, potrebbe indicare direttamente l’autorità destinata a ricoprire la carica di presidente del consiglio provvisorio, per esempio il sindaco del comune capoluogo o il presidente della provincia o altro soggetto.

Anche se non indicato esplicitamente, i consigli provvisori dovrebbero decadere alla data di insediamento degli organi della città metropolitana, contestualmente alla soppressione (ex comma 8) degli organi provinciali.

Il comma 7 abolisce le province nel cui territorio sono situate le città metropolitane. L’abolizione è disposta a partire dell’effettiva costituzione definitiva delle città metropolitane ad opera della legge ordinaria, o più precisamente a partire dall’insediamento dei nuovi organismi rappresentativi di queste, disciplinati dalla stessa legge, che sostituiranno gli organi provinciali.

Una volta abolita la provincia di riferimento, dovrà decidersi la sorte dei comuni non inclusi nell’area metropolitana. A ciò provvederà sempre la legge ordinaria che regolerà le modalità di espressione della scelta, da parte di questi comuni, di aderire all’area metropolitana ovvero ad “altra provincia”. In pratica, verrebbe fornita ai comuni non inclusi nella perimetrazione della città provvisoria, una seconda possibilità per poter scegliere di far parte della città metropolitana definitiva.

Il comma 7 inoltre introduce il tema delle funzioni delle città metropolitane, che sono oggetto anche degli ultimi tre commi dell’articolo in esame. Infatti, riferendosi alla futura abolizione delle province, viene previsto che le loro funzioni siano trasferite alle città metropolitane, secondo le modalità fissate dalla legge organica, che dovrà stabile anche le risorse (beni e personale) necessarie per il loro effettivo esercizio.

La legge ordinaria dovrà altresì dare attuazione alle nuove perimetrazioni territoriali.

Il comma 8 prevede che il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicuri una più ampia autonomia di entrata e di spesa in ragione della complessità delle funzioni attribuite a tali enti, nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.

In particolare, la norma definisce il periodo entro il quale l’ampliamento di autonomia è riconosciuto ai suddetti enti. Esso decorre a partire dalla data di proclamazione dell’esito positivo del referendum indetto sulla proposta di istituzione della città metropolitana e si conclude alla data dell’entrata in vigore della disciplina organica delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge.

La norma altresì precisa che le funzioni attribuite agli enti che compongono la città metropolitana corrispondentemente alle quali è previsto l’ampliamento di autonomia sono quelle da esercitarsi in forma associata o congiunta.

Strettamente collegato con la norma precedente, il comma 9 stabilisce che le funzioni fondamentali della provincia siano considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, questo però ai soli fini delle disposizioni che riguardano le spese e l’attribuzione delle risorse finanziarie e limitatamente alla popolazione e al territorio metropolitano.

 

Per quanto attiene l’individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, esse sono individuate come tali dalla legislazione statale. Infatti, la citata norma costituzionale assegna alla competenza esclusiva statale le materie relative a: “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane” (lettera p) dell’art. 117). Già la legge n. 131/2003 (cd. “legge La Loggia”) aveva previsto una delega al Governo per l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 2). Tale delega, che recava come termine il 31 dicembre 2005, non è stata peraltro esercitata. Allo stato attuale, una proposta di legge all’esame del Senato (A.S. 1208, sen. Bastico ed altri) reca Delega al Governo in materia di funzioni fondamentali degli enti locali, di istituzione delle città metropolitane e di definizione della Carta delle autonomie locali. Lo scorso 20 febbraio il Consiglio dei ministri ha avviato l’esame di un pacchetto di norme, su proposta del Ministro dell’interno, volte a valorizzare il ruolo degli enti locali nel disegno di attuazione del Titolo V della Costituzione.

 

Sempre ai fini di cui al comma 9, ossia delle previsioni di spesa e dell’attribuzione di risorse finanziarie, il comma 10 prevede che sono considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, oltre a quelle proprie della provincia, altre tre funzioni:

§      la pianificazione del territorio, compresa quella delle reti di infrastrutture;

§      il coordinamento della gestione dei servizi pubblici;

§      la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

Si tratta di funzioni il cui esercizio per lo più vede associati in varia misura province e comuni, e che secondo la disposizione in esame sono trasferite alle città metropolitane.

 

Si ricorda che le funzioni sopra indicate sono comprese nell’elenco delle materie per le quali, secondo la legge vigente, le regioni possono definire ambiti sovracomunali al fine del loro esercizio coordinato (art. 24 TUEL). Tra queste figurano alcune non considerate nel comma in esame, quali la pianificazione del traffico, la tutela dell’ambiente, la difesa del suolo.


 

Articolo 23
(Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione)

 


1. In sede di prima applicazione, fino all'attuazione della disciplina delle città metropolitane, il presente articolo detta norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.

2. Roma capitale è un ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione. L'ordinamento di Roma capitale è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli organi costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.

3. Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Roma, sono attribuite a Roma capitale le seguenti funzioni amministrative:

     a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;

     b) sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;

     c) sviluppo urbano e pianificazione territoriale;

     d) edilizia pubblica e privata;

     e) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità;

     f) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;

     g) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio, ai sensi dell'articolo 118, secondo comma, della Costituzione.

4. L'esercizio delle funzioni di cui al comma 3 è disciplinato con regolamenti adottati dal consiglio comunale, che assume la denominazione di Assemblea capitolina, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale nel rispetto dell'articolo 117, sesto comma, della Costituzione nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma capitale. L'Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 5, approva, ai sensi dell'articolo 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale che entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

5. Con specifico decreto legislativo, adottato ai sensi dell'articolo 2, sentiti la regione Lazio, la provincia di Roma e il comune di Roma, è disciplinato l'ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) specificazione delle funzioni di cui al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento a Roma capitale delle relative risorse umane e dei mezzi;

     b) fermo quanto stabilito dalle disposizioni di legge per il finanziamento dei comuni, assegnazione di ulteriori risorse a Roma capitale, tenendo conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica, previa la loro determinazione specifica, e delle funzioni di cui al comma 3.

6. Il decreto legislativo di cui al comma 5 assicura i raccordi istituzionali, il coordinamento e la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 3. Con il medesimo decreto è disciplinato lo status dei membri dell’Assemblea capitolina.

7. Il decreto legislativo di cui al comma 5, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabilisce i princìpi generali per l'attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

     a) attribuzione a Roma capitale di un patrimonio commisurato alle funzioni e competenze ad essa attribuite;

     b) trasferimento, a titolo gratuito, a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell'Amministrazione centrale, in conformità a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera d).

8. Le disposizioni di cui al presente articolo e quelle contenute nel decreto legislativo adottato ai sensi del comma 5 possono essere modificate, derogate o abrogate solo espressamente. Per quanto non disposto dal presente articolo, continua ad applicarsi a Roma capitale quanto previsto con riferimento ai comuni dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

9. A seguito dell'attuazione della disciplina delle città metropolitane e a decorrere dall'istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni di cui al presente articolo si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale.

9-bis. Per la città metropolitana di Roma capitale si applica l'articolo 22 ad eccezione del comma 2, lettere b) e c). La città metropolitana di Roma capitale, oltre alle funzioni della città metro­politana, continua a svolgere le funzioni di cui al presente articolo.


 

 

L’articolo 23 disciplina, come precisa il comma 1, l’ordinamento transitorio, non limitato ai profili finanziari, della capitale della Repubblica, in attuazione dell’art. 114, terzo comma, Cost. (“Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”), in vista della sua costituzione in città metropolitana e in attesa dell’adozione ed attuazione di una disciplina ordinaria sulle città metropolitane.

L’articolo configura, in luogo del comune di Roma, un nuovo ente territoriale denominato “Roma capitale”, l’ordinamento del quale è in parte direttamente introdotto dall’articolo medesimo, acquistando pertanto immediata efficacia; in parte (cfr. comma 5) è rimesso al Governo, che dovrà adottare uno “specifico decreto legislativo” ai sensi della delega di cui all’art. 2; in parte è definito mediante richiamo ad altre leggi, vigenti o da adottare (cfr. commi 6, ultimo periodo, ed 8).

Come conferma il comma 9, le disposizioni recate dall’articolo in esame hanno carattere transitorio o, per meglio dire, costituiscono una “normativa-ponte” in vista dell’attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane che – secondo il comma 1 del precedente articolo 22 (vedi supra) – sarà determinata con apposita legge. A decorrere da allora, le disposizioni recate dall’articolo in esame non perderanno efficacia ma andranno per dir così a regime, intendendosi riferite alla città metropolitana di Roma capitale (da istituire secondo le procedure delineate dall’articolo 22).

Dai commi 1 e 9 sopra illustrati si desume pertanto che, in via transitoria, l’ente “Roma capitale” è destinato ad assorbire il comune di Roma mentre – a regime – esso rientrerà nel genus delle città metropolitane, ampliando le sue dimensioni territoriali con presumibile assorbimento della provincia.

Il comma 2 istituisce l’ente territoriale “Roma capitale”, facendone coincidere i confini con quelli del comune di Roma e dotando il nuovo ente territoriale di una “speciale autonomia” statutaria, amministrativa e finanziaria, nel rispetto dei limiti costituzionali.

Le finalità generali di tale più ampio ambito di autonomia sono chiarite dal medesimo comma 2: l’ordinamento di Roma capitale dovrà garantire il migliore assetto delle peculiari funzioni che la capitale è chiamata svolgere in quanto sede degli organi costituzionali[37], nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.

Come si desume dal tenore generale dell’articolo, il nuovo ente assorbe il comune di Roma, lo sostituisce nell’esercizio delle funzioni amministrative e ne acquisisce sia gli organi (con qualche modifica e in vista dell’approvazione del nuovo statuto: cfr. comma 4) sia gli apparati amministrativi.

Il comma 3, in particolare, dispone l’attribuzione a Roma capitale, oltre che delle funzioni attualmente spettanti al comune di Roma, di una serie dettagliata di ulteriori funzioni amministrative.

Si tratta delle seguenti:

§      concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali (lettera a)). Il testo non prevede un’analoga forma di coinvolgimento della Regione Lazio.

§      sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico (lettera b));

§      sviluppo urbano e pianificazione territoriale (lettera c));

§      edilizia pubblica e privata (lettera d));

§      organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità (lettera e));

§      protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Lazio (lettera f));

§      ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla Regione Lazio, ai sensi dell’art. 118, co. 2°, Cost. (lettera g)).

Il comma 4 rimette la disciplina dell’esercizio delle sopra elencate funzioni amministrative ad appositi regolamenti adottati dal consiglio comunale di Roma. Quest’ultimo, divenuto organo del nuovo ente territoriale, assume la denominazione di Assemblea capitolina.

I predetti regolamenti, prosegue il comma 4:

§      devono essere conformi:

-       alla Costituzione;

-       ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea ed ai vincoli internazionali;

-       alla legislazione statale e regionale;

§      sono adottati nel rispetto (melius: ai sensi) dell’articolo 117, sesto comma, della Costituzione, che attribuisce e delimita la potestà regolamentare di Stato, Regioni ed enti locali. Sembra rilevare in questa sede il terzo periodo del comma, che recita: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”;

§      sono redatti in conformità al “principio di funzionalità”: la relativa disciplina deve in altre parole risultare funzionale alle speciali attribuzioni amministrative attribuite a Roma capitale.

Il secondo periodo del comma dispone che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo che, ai sensi del successivo comma 5 (v. infra), disciplinerà l’ordinamento transitorio di Roma capitale, l’Assemblea capitolina dovrà approvare lo statuto di Roma capitale, la cui entrata in vigore (secondo il testo approvato dalle Commissioni) è fissata il giorno successivo a quello di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. L’approvazione avrà luogo, si precisa, ai sensi dell’art. 6, co. 2, 3 e 4, del testo unico sugli enti locali.

 

La disposizione sembra derogare al comma 5 dell’art. 6 citato (non richiamato), che prevede tra l’altro la pubblicazione dello statuto (non sulla Gazzetta ufficiale ma) sul bollettino ufficiale della regione, oltre all’affissione all’albo pretorio dell’ente e l’entrata in vigore decorsi trenta giorni dall’affissione.

Ai sensi dell’art. 6 del Testo unico sugli enti locali, i comuni e le province adottano il proprio statuto (co. 1) che, nell'ambito dei princìpi fissati dal Testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (co. 2). Esso stabilisce norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti (co. 3).

Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Tali disposizioni si applicano anche alle modifiche statutarie (co. 4).

 

In sede di adozione dello statuto, occorre fornire “particolare riguardo” al profilo del decentramento municipale.

Il comma 5 rimette ad uno “specifico decreto legislativo”, da adottarsi ai sensi dell’art. 2 (v. supra la relativa scheda), dunque nell’esercizio della delega in esso prevista e nel rispetto dei relativi termini e procedure, la disciplina dell’ordinamento transitorio, anche relativo ai profili finanziari, di Roma capitale.

L’esercizio della delega deve conformarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

§      specificazione delle nuove funzioni amministrative attribuite a Roma capitale in base al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento all’ente delle risorse umane e dei mezzi necessari (lettera a));

§      ferme restando le norme di legge sul finanziamento dei comuni, assegnazione a Roma capitale di ulteriori risorse finanziarie, parametrate sulle nuove funzioni amministrative attribuite, nonché sulle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica (lettera b)).

I successivi due commi integrano ulteriormente i princìpi e criteri direttivi esposti nel comma 5. Ai sensi del comma 6, il decreto legislativo dovrà assicurare – nell’esercizio delle funzioni amministrative di cui al comma 3 – i raccordi istituzionali, nonché le modalità di coordinamento e di collaborazione tra il nuovo ente e lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nonché lo status dei membri dell’Assemblea capitolina (il testo licenziato dal Senato rimetteva quest’ultima disciplina alla “legge dello Stato”).

Il comma 7 rimette al decreto legislativo sull’ordinamento transitorio la statuizione dei princìpi generali per l’attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti, specifici principi e criteri direttivi:

§      il patrimonio attribuito a Roma capitale dovrà essere commisurato alle funzioni e alle competenze ad essa attribuite;

§      sarà disposto il trasferimento a titolo gratuito a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’amministrazione centrale; fatta eccezione per quelle tipologie di beni, da individuare ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera d) (vedi supra la relativa scheda), che non siano suscettibili di trasferimento in quanto “di rilevanza nazionale”, inclusi tra questi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.

 

Il comma 8 dispone che sia le norme di cui all’articolo in esame sia quelle che saranno adottate, ai sensi del comma 5, con il decreto legislativo sull’ordinamento transitorio di Roma capitale, non possano essere modificate, derogate od abrogate se non con disposizione espressa.

Il secondo periodo del medesimo comma integra la disciplina di Roma capitale operando un generale rinvio, per quanto non disposto dall’articolo in commento (e, naturalmente, dall’emanando decreto legislativo), alla disciplina concernente i comuni, contenuta nel testo unico sugli enti locali.

 

Ai sensi del comma 9-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, all’istituzione della città metropolitana di Roma capitale si giungerà secondo le procedure delineate dal precedente articolo 22 (sul quale vedi, supra, la relativa scheda di lettura); si precisa peraltro che la proposta di istituzione è riservata al comune capoluogo (rectius: all’ente territoriale Roma capitale) congiuntamente alla provincia.

Con riguardo a quest’ultimo comma, appare necessario verificare sul piano applicativo il coordinamento tra l’articolo 23 in esame e l’articolo 22, con particolare riguardo alle rispettive scadenze temporali. Si segnala, in particolare, che alla delega per la disciplina dell’ordinamento transitorio dell’ente territoriale Roma capitale e a quella per l’istituzione della città metropolitana è posto il medesimo termine di 24 mesi (cfr. artt. 23, co. 5 e 2, co. 1, ed art. 22, co. 5).

L’articolo 23 non disciplina espressamente l’eventualità che il procedimento di cui all’articolo 22 non conduca all’istituzione della città metropolitana di Roma capitale (in seguito, ad esempio, del mancato rispetto dei termini o di esito negativo del previsto referendum); sembra potersi ritenere che, in tal caso, la disciplina, definita transitoria, di cui al medesimo articolo 23 continuerebbe a trovare applicazione con riguardo all’ente territoriale Roma capitale.


 

Articolo 24
(Princıpi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni, nel rispetto della autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

     a) previsione di adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con il Ministero dell'economia e delle finanze e con l’Agenzia delle entrate, al fine di utilizzare le direzioni regionali delle entrate per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali;

     b) definizione, con apposita e specifica convenzione fra il Ministero dell'economia e delle finanze, le singole regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri, degli introiti di attività di recupero dell'evasione.


 

 

L’articolo 24 indica i principi e criteri direttivi a cui si devono conformare i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione - così come previsto dall’art. 2 del disegno di legge in esame – per quanto attiene alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni.

 

L’articolo prevede altresì che tali decreti debbano essere emanati nel rispetto dell’autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme organizzative della gestione e della riscossione di tributi e compartecipazioni.

 

I principi e i criteri direttivi devono, in particolare:

§      prevedere adeguate forme di collaborazione delle Regioni e degli enti locali con il Ministero dell’economia e delle finanze e, a seguito delle modifiche apportate durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite V e VI, con l’Agenzia delle entrate, al fine di utilizzare le direzioni regionali delle entrate.

     Nella precedente formulazione, si prevedeva che la collaborazione coinvolgesse le Agenzie regionali delle entrate, al fine di configurare dei centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e locali;

§      definire, con apposita convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, le singole Regioni e gli enti locali, le concrete modalità di recupero degli introiti dell’evasione fiscale, con riferimento anche alla ripartizione degli oneri relativi a tale attività.

Tale ultima disposizione appare connessa alle istanze di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, per le quali si veda la scheda di lettura dell’art. 2 (comma 2, lett. d)).


 

Articolo 24-bis
(Contrasto all’evasione fiscale)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle comparte­cipazioni, nel rispetto dell'autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organiz­zazione delle attività di gestione e di riscossione, sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

     a) previsione di adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attività di contrasto alla evasione dei tributi erariali, regionali e degli enti locali, nonché di diretta collaborazione volta a fornire dati ed elementi utili ai fini dell'accertamento dei predetti tributi;

     b) previsione di adeguate forme premiali per le regioni e gli enti locali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di emersione di maggior gettito attraverso l'azione di contrasto all'eva­sione e all'elusione fiscale.


 

 

L’articolo 24-bis, inserito durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite V e VI, reca disposizioni in tema di contrasto all’evasione fiscale.

Nel dettaglio, la norma reca i principi e i criteri direttivi cui devono essere informati i decreti legislativi di esercizio della delega recata dal provvedimento in esame – ai sensi dell’articolo 2 del disegno di legge – per quanto attiene al sistema di gestione dei tributi e delle compartecipazioni.

In via preliminare, si prescrive che l’esercizio della delega si effettui nel rispetto dell’autonomia organizzativa degli enti territoriali (Regioni ed enti locali) nella scelta concernente le forme di organizzazione di gestione e riscossione dei tributi.

Ai sensi della lettera a), devono essere previste adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attività di contrasto alla evasione dei tributi erariali, regionali e degli enti locali, nonché forme di diretta collaborazione, per fornire dati ed elementi utili ai fini dell'accertamento dei predetti tributi.

 

Accanto all’interazione tra i diversi livelli di governo, la lettera b) prevede meccanismi premiali per le regioni e gli enti locali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di emersione di maggior gettito attraverso l'azione di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

 


 

Articolo 25
(Coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome)

 


1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concor­rono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di convergenza di cui all'articolo 17 e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comuni­tario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine di ventiquattro mesi stabilito per l'ema­nazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica di cui all'articolo 2, comma 2, lettera l).

2. Le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, dei costi dell’insularità e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le medesime norme di attuazione disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, conformemente a quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera b), della presente legge.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 sono attuate, nella misura stabilita dalle norme di attuazione degli statuti speciali e alle condizioni stabilite dalle stesse norme in applicazione dei criteri di cui al comma 2, anche mediante l'assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato, nonché con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli statuti speciali. Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza:

     a) disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della regione a statuto speciale o provincia autonoma;

     b) definiscono i princìpi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali;

     c) individuano forme di fiscalità di sviluppo, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera hh), e alle condizioni di cui all'articolo 15, comma 1, lettera d).

4. A fronte dell'assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, così come alle regioni a statuto ordinario, nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ai sensi del comma 2, rispettivamente le norme di attuazione e i decreti legislativi di cui all'articolo 2 definiranno le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise, fatto salvo quanto previsto dalle leggi costitu­zionali in vigore.

5. Alle riunioni del Consiglio dei ministri per l'esame degli schemi concernenti le norme di attuazione di cui al presente articolo sono invitati a partecipare, in conformità ai rispettivi statuti, i Presidenti delle regioni e delle province autonome interessate.

6. La Commissione di cui all'articolo 4 svolge anche attività meramente ricognitiva delle disposizioni vigenti concernenti l'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della relativa applicazione. Nell'esercizio di tale funzione la Commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia interessata.


 

 

Le disposizioni recate dall’articolo 25 vanno esaminate nell’ambito della disciplina “speciale” prefigurata dal comma 2 dell’articolo 1 del disegno di legge in esame: tale norma infatti introduce un principio di esclusività, o di riserva di disciplina, inteso a delimitare l’applicabilità e l’efficacia delle disposizioni del testo del provvedimento e ad integrarne i principi, così da rendere la disciplina del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell’autonomia speciale. A tal fine il comma 2 medesimo elenca nominativamente gli articoli cui deve rifarsi il legislatore delegato:

§      l’articolo 25, che disciplina l’introduzione della riforma tramite norme di attuazione degli statuti speciali e stabilisce gli ambiti in cui taluni dei nuovi principi trovano attuazione in quegli ordinamenti;

§      l’articolo 14, che reca i principi che informano l’istituzione delle città metropolitane e, dunque, attiene alla competenza legislativa primaria che quelle regioni hanno sull’ordinamento e sulla finanza delle autonomie locali sui rispettivi territori;

§      l’articolo 21, che estende esplicitamente alle autonomie speciali la particolare procedura rivolta alla «perequazione infrastrutturale», che costituisce una particolare modalità di attuazione del quinto comma dell’articolo 119. Tale perequazione potrebbe infatti incidere su talune prerogative che gli statuti speciali assicurano per il loro finanziamento ad alcune di esse: ad esempio il fondo di solidarietà di cui all’articolo 38 dello Statuto siciliano ed il Piano di rinascita di cui all’articolo 14 dello Statuto sardo, per citare le disposizioni di maggior rilievo.

 

Gli emendamenti apportati al testo approvato dal Senato concernono:

-          il comma 1, dove il termine per l’adozione delle norme di attuazione per l’adeguamento dell’ordinamento finanziario è reso autonomo da quello stabilito dall’articolo 2 per le regioni a statuto ordinario, sebbene sia confermato anche qui in ventiquattro mesi;

-          ancora al comma 1, dove è specificato che il superamento del criterio della spesa storica deve avvenire in modo ‘graduale’ (si rammenta che per le regioni a statuto ordinario l’articolo 19 prevede che la gradualità vada contenuta nel limite massimo di cinque anni, salvo l’intervento straordinario dello Stato nelle situazioni di particolare insostenibilità);

-          al comma 2, dove ai parametri che concorrono alla determinazione delle nuove norme di attuazione dell’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, tra quelli di svantaggio sono inseriti, ove ricorrono, “i costi della insularità”;

-          al comma 4 dove, come già nell’articolo 9 a proposito dei criteri di perequazione, per la determinazione dei finanziamenti da assicurare a fronte della attribuzione di nuove funzioni, viene ribadito che la nuova disciplina si adotta «fatto salvo quanto previsto dalle leggi costituzionali in vigore». Il che, come già l’identica formula adottata nell’articolo 9, afferma che la nuova disciplina, non può sovrapporsi o assimilare quanto diversamente disposto «dalle leggi costituzionali in vigore» o, più specificamente, dagli statuti delle regioni e delle province ad autonomia speciale.

 

L’articolo 25 adatta alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca i principi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi. In particolare:

1.      le modifiche all’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome saranno introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali, negli stessi termini temporali previsti dalla delega conferita per l’emanazione dei decreti delegati relativi alle regioni a statuto ordinario e agli enti locali.

La disciplina delle «Norme di attuazione» è prevista da ciascun statuto speciale; speciali Commissioni paritetiche Stato-Regione, o Provincia autonoma provvedono alla concertazione e redazione del testo che assume poi la forma di decreto legislativo. A differenza dei decreti delegati che saranno assunti per le regioni a statuto ordinario, questi non sono sottoposti al parere parlamentare; né della Commissione istituita dall’articolo 3 del testo, né, eventualmente. dalla Commissioni permanenti; sebbene attuino la delega, non sono riconducibili ai decreti delegati di cui all’articolo 2. Per altro la disciplina delle «norme di attuazione» è disposta dagli statuti speciali che hanno rango di legge costituzionale e, pertanto, non sono modificabili in questa sede.

2.      l’articolo 25 prevede specifiche norme procedurali per l’attuazione della delega nell’ordinamento delle regioni a statuto speciale; stabilendo:

-       il principio della partecipazione dei Presidenti delle regioni e delle province autonome alle riunioni del Consiglio dei ministri in cui si esaminano gli schemi delle rispettive norme di attuazione (comma 5);

-       la delimitazione ad una attività “meramente ricognitiva” delle funzioni che è chiamata a svolgere la Commissione tecnica di cui all’articolo 4 per l’emanazione delle norme di attuazione; inoltre, quando tratta delle nome di attuazione, la commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia autonoma interessata (comma 6);

1.      sul piano del merito, ferme le prerogative statutarie previste per ciascuna regione e provincia autonoma, la nuova disciplina sarà comunque informata ai principi fondamentali del federalismo fiscale espressamente richiamati e disciplinati dall’articolo 25. Nella specie:

-       il rispetto e l’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario. E’ un principio che viene soltanto ripetuto qui per ribadirne l’applicabilità alla stregua e nel contesto in cui esso trova applicazione per le regioni a statuto ordinario;

-       i principi di perequazione e di solidarietà e i diritti ed i doveri che da essi derivano.

Il comma 2 reca in proposito due criteri direttivi: il primo per indirizzare il legislatore delle norme di attuazione nella definizione delle caratteristiche che potranno qualificare questi enti ai fini del sistema della perequazione, il secondo per le modalità operative di questa particolare perequazione.

Quanto al primo criterio, non è assunto immediatamente il parametro della capacità fiscale per abitante ma sono indicate una serie di caratteristiche socio-economiche della regione e della finanza di cui essa dispone in rapporto a quella dello Stato e a quella delle altre regioni. In particolare il parametro del reddito medio pro-capite degli abitanti della regione, gli oneri effettivamente sostenuti dalla regione per lo svolgimento delle funzioni, in raffronto a quelli sostenuti dallo Stato e dalle altre regioni per le medesime funzioni, gli svantaggi strutturali permanenti di cui una particolare regione soffra rispetto ad altre, la ‘dimensione’ della finanza della regione a statuto speciale o provincia autonoma rispetto alla finanza pubblica complessiva.

Il secondo criterio direttivo applica ed adatta alle regioni a statuto speciale e alle province autonome il principio della perequazione disposta dall’articolo 9 per le funzioni connesse alla prestazione dei livelli essenziali facendo però riferimento primario, come parametro, al rapporto fra il livello medio pro-capite dei redditi nella regione e il valore della media nazionale;

-       l’applicazione del principio di solidarietà. Le regioni ‘sovra media’ secondo il criterio direttivo posto dal primo periodo del comma 2 sono chiamate a contribuire alla solidarietà interregionale attraverso l’assunzione – senza corrispettivo - di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali, o tramite altre misure finalizzate a consentire risparmi per il bilancio dello Stato;

-       l’estensione del principio del progressivo abbandono del criterio della spesa storica e l’adozione del principio del fabbisogno determinato dai costi standard per le spese relative al finanziamento delle funzioni connesse alle prestazioni dei livelli essenziali;

-       viene ribadito infine il principio del coordinamento della finanza pubblica che, obbligando anche le regioni a statuto speciale, è inteso a rendere coerente ai principi generali il loro ordinamento finanziario e quello degli enti locali sui quali esse hanno potestà legislativa esclusiva.

 

I principi sopra elencati stabiliscono che anche le regioni a statuto speciale e le province autonome dovranno contribuire a finanziare il sistema di perequazione nazionale se ‘ricche’ in termini di reddito pro-capite (questo sembra essere il parametro) e usufruiranno invece di quella perequazione se il reddito pro-capite del loro territorio è inferiore al valore della media nazionale.

Il principio del «superamento» del criterio della spesa storica presuppone che anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome l’adeguatezza delle risorse (in entrata) dovrà essere valutata in rapporto agli oneri che essi devono sostenere per l’esercizio delle funzioni che sono loro attribuite[38].


 

Articolo 26
(Salvaguardia finanziaria)

 


1. L'attuazione della presente legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita.

2. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano meccanismi idonei ad assicurare che:

     a) vi sia la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni;

     b) sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo e sia salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria;

3. All'istituzione e al funzionamento della Commissione e della Conferenza di cui agli articoli 4 e 5 si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Gli oneri connessi alla partecipazione alle riunioni della Commissione e della Conferenza di cui al primo periodo sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappre­sentati, i quali provvedono a valere sugli ordinari stanziamenti di bilancio e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ai componenti della Commissione e della Conferenza non spetta alcun compenso.

3-bis. Dalla presente legge e da ciascuno dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

L’articolo 26 – modificato nel corso dell’esame in sede referente – reca norme di salvaguardia finanziaria.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che l’attuazione della presente legge debba essere compatibile con gli impegni finanziari derivanti dal Patto di stabilità e di crescita[39]. Nel corso dell’esame in sede referente è stata operata una correzione formale alla dizione Patto di stabilità e crescita, espungendo, in quanto pleonastica, la parola “europeo”.

Si ricorda, come un ancoraggio all’ordinamento comunitario sia rinvenibile anche all’articolo 2, comma 2, lett. g), che prevede, quale criterio direttivo generale, l’adozione, per le politiche di bilancio di regioni, città metropolitane, province e comuni, di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita.

 

Ai sensi del comma 2, i decreti legislativi devono individuare meccanismi idonei ad assicurare che:

a)  vi sia la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni.

Si tratta di una norma di chiusura atta a garantire una simmetria tra la riallocazione delle funzioni tra lo Stato e gli enti decentrati e la dotazione del relativo capitale umano e finanziario, finalizzata ad evitare una possibile duplicazione di funzioni e pertanto di costi a carico della finanza pubblica;

b)  sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale, nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo e sia salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nel corso della fase transitoria di passaggio dalla “spesa storica” al “costo e fabbisogno standard”.

Con riferimento alle disposizioni in oggetto, si ricorda che la formulazione iniziale del disegno di legge prevedeva un diverso criterio direttivo che faceva riferimento all’esigenza di individuare meccanismi atti ad assicurare che i risparmi di spesa originati dall’attuazione della delega determinassero una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di governo. Sempre in ordine alla questione del livello della pressione fiscale, si ricordano le seguenti ulteriori disposizioni del disegno di legge:

-        l’art. 2, comma 2, lett. cc), che prevede, come criterio direttivo “generale”, la “riduzione dell’imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali calcolata ad aliquota standard e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali”.

-        l’art. 5, comma 1, lett. a), ai sensi del quale la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tra i vari compiti, concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento;

-        l’articolo 16, comma 1, lettera e), che prevede l’introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e un livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti;

-        l’articolo 17, comma 1, ai sensi del quale le norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica - che il Governo è chiamato a proporre nell'ambito del disegno di legge finanziaria - devono stabilire, per ciascun livello di governo territoriale, l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali.

Si ricorda, infine, a titolo informativo, che nel 2008 il rapporto complessivo pressione fiscale/PIL si è attestato al 42,8 per cento [40].

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stata soppressa la lettera c), la quale prevedeva l’adozione di adeguati meccanismi diretti a coinvolgere e cointeressare regioni ed enti locali nell'attività di recupero dell'evasione fiscale e nel contrasto all'elusione fiscale. Tale soppressione è peraltro da porre in relazione con il nuovo articolo 24-bis[41], inserito durante l’esame presso le Commissioni riunite,il quale conferma il principio del coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nell’attività di contrasto all’evasione fiscale, accompagnandolo anche dalla previsione di adeguate forme premiali per gli enti che ottengano risultati positivi in tale ambito. Si ricorda, inoltre, che il criterio direttivo di carattere generale su tale questione è contenuto nell’articolo 2, comma 2, lettera d), del disegno di legge, ai sensi del quale i decreti legislativi dovranno prevedere il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale nonché, a seguito delle modifiche approvate nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, meccanismi di carattere premiale.

Si ricorda, inoltre, che anche all’articolo 7, comma 1, lettera d), relativo alle modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato e delle compartecipazioni ai tributi erariali in conformità al principio di territorialità, si prevede che si debba tenere conto anche delle modalità di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di lotta all'evasione ed all'elusione fiscale.

 

Il comma 3, modificato nel corso dell’esame in sede referente, reca la norma di copertura finanziaria degli oneri relativi alla costituzione e al funzionamento degli organi dicui agli articoli 4 e 5, ossia, rispettivamente, la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

La nuova formulazione del comma precisa che all'istituzione e al funzionamento della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente si provveda con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. E’ stata inoltre introdotta la specificazioneche gli oneri connessi alla partecipazione alle riunioni della Commissione e della Conferenza sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati e che ai componenti della Commissione e della Conferenza non spetta alcun compenso.

Si segnala che la previsione del divieto di compenso per i componenti della Commissione tecnica paritetica era già contenuta nell’articolo 4, e da tale articolo è stata soppressa in sede referente per essere inserita nell’articolo 26 in commento.

 

Il comma 3-bis, introdotto in sede referente, reca la clausola di copertura finanziaria,ai sensi della quale dal provvedimento in esame e da ciascuno dei decreti legislativi di cui all'articolo 2, non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Tale clausola di invarianza degli effetti finanziari del disegno di legge oneri si integra con il vincolo di cui al comma 1, in base al quale l’attuazione della delega dovrà risultare compatibile con gli impegni in ordine al percorso di riduzione del debito e dell’indebitamento netto della P.A. in rapporto al PIL derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e sanciti nell’ambito del Patto di stabilità e crescita.

Sempre in ordine agli effetti finanziari del provvedimento, si ricorda, infine, che rimane fermo il disposto di cui all’articolo 2, comma 6, ai sensi del quale il Governo, in allegato al primo schema di decreto legislativo recante i principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici - da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge – dovrà trasmettere alle Camere una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.


 

Articolo 27
(Abrogazioni)

 

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano le disposizioni incompatibili con la presente legge, prevedendone l'abrogazione.

 

 

L’articolo 27 prevede che i decreti legislativi emanati in base all’articolo 2 (v. supra) debbano individuare le disposizioni incompatibili con il testo legislativo in esame, disponendone l’abrogazione esplicita.

 


 



[1]    Tra le altre, si può far riferimento alle pronunce della Corte costituzionale n. 359 del 1985 e n. 153 del 1986.

[2]     D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Come riconosciuto in ambito dottrinale e giurisprudenziale, l’intesa prefigura il raggiungimento di una volontà comune dello Stato e degli enti territoriali in merito ad atti o attribuzioni relativi all’esercizio di rispettive competenze. Con il ricorso all’intesa, agli enti locali è riconosciuto un ruolo paritario, nel rispetto del principio di leale collaborazione, con l’Amministrazione centrale. Ciononostante, in alcuni casi l’intesa sembra essere presupposto necessario e vincolante per l’adozione di un atto, in altri essa non ha carattere vincolante e il mancato raggiungimento non pregiudica l’adozione, da parte dell’Amministrazione centrale, dell’atto oggetto dell’intesa. Le intese sono state definite in tal senso “forti” e “deboli”, sebbene l’appartenenza a una o l’altra delle categorie ponga problemi interpretativi sottolineati anche in dottrina.

[3]     L. 20 giugno 2007, n. 77, Delega legislativa per il recepimento delle direttive 2002/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004 e 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, nonché per l'adozione delle disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 191, di attuazione della direttiva 2002/98/CE.

[4]     L. 24 dicembre 2007, n. 247 , Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.

[5]     Nel suo intervento al Senato, il 21 gennaio 2009, il ministro dell’economia e delle finanze Tremonti ha sottolineato la difficoltà di fornire ex ante dati relativi al calcolo della copertura della legge delega, rinviando quest’ultima, per l’effetto economico, agli effetti propri dei decreti attuativi. Al proposito, il ministro rinvia alla necessità di disporre di dati tecnici omogenei, ovvero condivisi da tutti i soggetti coinvolti – Governo, Regioni, Province e Comuni – chiamati a tal fine a partecipare ad una neo costituita data room, una sede istituzionale di elaborazione, con rappresentanti tecnici del Governo, della Ragioneria dello Stato, dell’Agenzia delle Entrate, dell’ISTAT, dell’ISAI e della Banca d’Italia.

[6]     D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

[7]     Questa ulteriore specificazione è stata aggiunta nel corso dell’esame in Commissione.

[8]     La legge n. 60 del 1976 ha convertito, con modificazioni, il D.L. 30 gennaio 1976, n. 8, recante le norme per l'attuazione del sistema informativo del Ministero delle finanze e per il funzionamento dell'anagrafe tributaria.

[9]     Per quanto attiene tali funzioni fondamentali, già la legge n. 131/2003 (cd. legge La Loggia) aveva previsto una delega al Governo per la loro individuazione. Tale delega, che recava come termine il 31 dicembre 2005, non è stata peraltro esercitata. Allo stato attuale, una proposta di legge è all’esame del Senato (A.S. 1208 sen. Bastico ed altri) recante Delega al Governo in materia di funzioni fondamentali degli enti locali, di istituzione delle città metropolitane e di definizione della Carta delle autonomie locali.

[10]    Il riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni eventualmente implicate dalle funzioni fondamentali, sembra far presupporre che l’ambito di delimitazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, delle quali è previsto il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard, risulti più ampio rispetto all’insieme delle funzioni “LEP” erogate dagli enti medesimi.

[11]    Con riferimento all’articolo 2 lettera p) citato, la Corte dei Conti, nel corso dell’audizione sul disegno di legge A.S. 1117, tenutasi il 17 novembre 2008, presso le Commissioni riunite in sede referente 1°, 5°e 6°, ha osservato che “nel nuovo sistema si produrrà necessariamente una riduzione delle risorse disponibili in alcune realtà territoriali (per un importo almeno pari alla differenza spesa storica e capacità fiscale perequata). L’equilibrio dunque richiederà un parallelo contenimento della spesa, salvo nei casi in cui tale contenimento risultasse di dimensioni non realizzabili, e il meccanismo potrebbe tradursi in un aumento della pressione fiscale”.

[12]    Per la definizione delle funzioni fondamentali si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 11, con riferimento alle disposizioni di cui al comma 1, lettera a), numero 1).

[13]    Il principio dell’addizionalità corrisponde alla regola generale della complementarità dell'intervento comunitario rispetto alle azioni condotte dagli Stati membri, al fine di evitare che le risorse dei Fondi strutturali vadano semplicemente a sostituirsi agli incentivi nazionali; l'aiuto della Comunità esercita in tal modo un effetto trainante nei confronti dello sforzo finanziario nazionale. Secondo il principio dell’addizionalità, dunque, gli aiuti europei devono aggiungersi agli aiuti nazionali e non sostituirli.

[14]    L’esplicito riferimento ai principi di cui ai citati articoli 11, 12 e 13 del provvedimento di delega è stato inserito dalla Commissioni in sede referente.

[15]    Sui profili di rilievo costituzionale dei c.d. "interventi speciali" si rinvia al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pag. 16 (Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20 - Servizio studi del Senato, dossier n. 57).

      Per una analisi del finanziamento dei progetti speciali ai sensi dell’articolo 119, comma V, della Costituzione, si rinvia al dossier n. 3 "L’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione: il federalismo fiscale", novembre 2008, pag. 146 (Servizio Bilancio dello Stato e Servizio studi della Camera, Servizio del Bilancio del Senato)

[16]    I Fondi strutturali e gli strumenti finanziari previsti dalla politica di coesione comunitaria sono finalizzati al conseguimento di alcuni obiettivi prioritari della Comunità, specificamente rivolti al superamento degli squilibri economici e sociali che caratterizzano alcune aree dell’Unione e, in particolare, alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e del ritardo delle regioni meno favorite. Il Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006 ha definito il quadro normativo del ciclo di programmazione 2007-2013. I fondi che intervengono nell’ambito della politica di coesione sono limitati a tre, rispetto ai cinque della precedente programmazione: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), Fondo Sociale Europeo (FSE) e Fondo di Coesione. Le risorse sono ripartite fra tre nuovi obiettivi di intervento della politica comunitaria di coesione: Convergenza (per le regioni in ritardo di sviluppo), Competitività regionale e occupazione, Cooperazione territoriale europea. Le risorse assegnate all’Italia ammontano complessivamente a 28,8 miliardi di euro, di cui 21,6 miliardi di euro) destinate all’obiettivo “Convergenza” che, applicando il parametro del PIL pro-capite inferiore al 75% della media comunitaria, riguarda le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, nonché la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (c.d. phasing-out). All’obiettivo “Competitività regionale e occupazione”, che include le regioni italiane diverse da quelle dell’obiettivo “Convergenza”, sono destinati 6,3 miliardi di euro. Tra queste è inclusa anche la regione Sardegna, che beneficia di un regime transitorio.

[17]    Alle risorse comunitarie lo Stato interessato affianca un finanziamento nazionale (c.d. principio di addizionalità): per l’Italia, oltre alle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (vedi successiva nota), sono presenti in bilancio le disponibilità del Fondo di rotazione per le politiche comunitarie, previsto dall’articolo 5 della legge n. 183 del 1987.

[18]    Il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) è stato istituito dall’articolo 61, comma 1, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), con finalità di riequilibrio economico e sociale e, in particolare, per assicurare risorse aggiuntive alle aree più svantaggiate del Paese. Le risorse iniziali sono state successivamente integrate dalle leggi finanziarie, che hanno, di volta in volta, assegnato stanziamenti aggiuntivi al Fondo (c.d. risorse aggiuntive), per essere, poi, ripartite dal CIPE. Per quanto riguarda la ripartizione territoriale delle risorse del FAS, va ricordato che il CIPE ha definito quale criterio generale l’assegnazione dell’85% delle risorse alle regioni del Mezzogiorno e del 15% alle aree sottoutilizzate del Centro-Nord. Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006), all’articolo 1, comma 863, ha finanziato il FAS di 64,4 miliardi di euro per il periodo 2007-2015.

[19]    Si ricorda che l’articolo 6, comma 7, D.L. n. 81/2007 (convertito con modificazioni dalla legge 127/2007), da ultimo novellato dall’articolo 2, comma 45, della legge finanziaria per il 2009 (legge n. 203/2008), ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Fondo per le zone confinanti con le regioni a statuto speciale e le province autonome. Per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 il Fondo ha una dotazione di 27 milioni di euro.

[20]    Uno strumento finanziario di intervento per lo sviluppo delle aree montane è riconducibile al Fondo nazionale per la montagna, previsto dall’articolo 2 della legge n. 97 del 1994, attualmente gestito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali. La dotazione del Fondo per la montagna per il 2009 è pari a circa 39,5 milioni di euro.

[21]    La legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), all’articolo 2, comma 41, aveva istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali, un Fondo di sviluppo delle isole minori, con una dotazione a decorrere dal 2008 pari a 20 milioni. Tale finanziamento è stato annullato dal D.L. n. 93 del 2008.

[22]    Con il Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri dell’Unione europea hanno sottoscritto l’obiettivo comune di non generare disavanzi eccessivi, attraverso il raggiungimento di un saldo del conto delle pubbliche amministrazioni prossimo al pareggio o in avanzo rafforzando, a tal fine, le misure di coordinamento delle politiche economiche e di sorveglianza ed istituendo, per i disavanzi eccessivi, un meccanismo sanzionatorio di carattere semiautomatico. Il parametro di riferimento principale per la valutazione del disavanzo è rappresentato dall’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni: un valore di indebitamento netto, calcolato in rapporto al PIL, pari al 3% costituisce un valore massimo il cui superamento (a meno che non sia giustificato da circostanze eccezionali e temporanee) comporta la dichiarazione di disavanzo eccessivo e le conseguenti sanzioni. L’ulteriore parametro di riferimento è rappresentato dal rapporto tra debito pubblico e PIL, fissato ad un livello non superiore al 60%.

      L’impegno a non incorrere in disavanzi eccessivi riguarda l’insieme delle amministrazioni pubbliche, aggregato che comprende, oltre alle amministrazioni centrali, anche le amministrazioni regionali e locali, e gli enti di previdenza e assistenza.

[23]    Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, le condizioni di ineleggibilità alle cariche elettive – rappresentando una deroga al diritto di elettorato passivo – devono essere espressamente determinate dalla legge e sono da interpretarsi in senso restrittivo. Tale assunto è stato recentemente ribadito nella sent. n. 25 del 2008, dove viene ricordato che l’art. 51 Cost. assicura, in via generale, il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini (cfr. sen. 288/2007 e 235/1988). Pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale. Di conseguenza, le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, ricollegantisi alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate (cfr. sen. 306/ 2003 e 132/2001).

[24]    Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. Ai sensi dell’art. 244, si ha stato di dissesto finanziario qualora l’ente non possa garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistano, nei confronti dell’ente locale, crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità ordinarie (di cui all’artt. 193 e 194 del TUEL).

[25]    Si ricorda che la citata norma costituzionale prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, nonché per ragioni di sicurezza nazionale. Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, adottato sentita la Commissione per le questioni regionali. Allo stato, l’art. 126, primo comma, non ha mai trovato applicazione, in quanto nessun Consiglio regionale è finora stato sciolto con provvedimento statale.

      Per quanto attiene all’individuazione delle “gravi violazioni di legge”, in Assemblea costituente era emersa la necessità di violazioni intenzionali e ripetute oppure anche di una singola violazione gravissima. La dottrina ha ribadito la necessità che i comportamenti illegittimi abbiano un certo grado di frequenza e di intensità, come – d’altra parte – si desume dalla formula costituzionale e dalle corrispondenti formule degli statuti speciali (che parlano di “reiterate e gravi violazioni di legge”).

[26]    In questo stesso senso la sentenza n. 370 del 2008, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1 della legge della Regione Molise n. 5 del 5 maggio 2006, il quale provvedeva ad individuare le aree demaniali marittime della costiera molisana, in quanto “la titolarità di funzioni legislative ed amministrative della Regione in ordine all’utilizzazione del bene, non può incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario, e che la disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientra nella materia dell’ordinamento civile di competenza esclusiva Statale”.

[27]    Direz. Gen., del 23 settembre 2003, prot. 2003/35540/NOR.

[28]    Nello specifico, l’articolo 822 del codice civile, stabilisce che appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare , la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti , i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. L’articolo 28 del codice della navigazione indica poi specificamente i beni del demanio marittimo, nel lido, la spiaggia, i porti, le rade, le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare; i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.

      Il codice civile poi specifica che fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia;; le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra.

      Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio

[29]    Tra i quali si rammentano la legge n. 579 del 1993, recante "Norme per il trasferimento agli Enti locali e alle Regioni di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato. Successivamente, in materia di trasferimento di beni immobili demaniali e patrimoniali inutilizzati dello Stato agli enti locali è intervenuto l'articolo 2, commi 37 e 38, della legge n. 549 del 1995  . Tale trasferimento è stato disposto a titolo oneroso. Disposizioni di carattere generale erano poi contenute nella legge n. 127 del 15 maggio 1997  , la quale, all'articolo 17, comma 65, ha rimandato ad un regolamento governativo l'individuazione dei casi e delle modalità con le quali i beni immobili dello Stato (iscritti al catasto del demanio civile e militare ed essere inutilizzati da almeno dieci anni) potessero essere ceduti a titolo gratuito agli enti locali e alle regioni. Tale previsione è stata abrogata dall’articolo 1, comma 445 della legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 30 dicembre 2004) . Tale legge, contestualmente, ha previsto, all’articolo 1, commi 434-435, il trasferimento in proprietà ai comuni, a titolo oneroso, delle aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato, sulle quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni hanno realizzato opere di urbanizzazione. Infine, nell’ambito del conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, delineato dal decreto legislativo n. 112 del 1998, è stato previsto che alla gestione dei beni del demanio idrico provvedano le regioni e gli enti locali competenti per territorio (articolo 86). Il D.Lgs. n. 112 ha inoltre disposto il trasferimento con D.P.C.M. al demanio delle regioni delle strade, già appartenenti al demanio statale, non comprese nella rete autostradale e stradale nazionale ovvero, con le leggi regionali, il trasferimento di tali strade al demanio degli enti locali.

[30]   Si può ricordare in proposito che il DPCM 29 dicembre 2001, “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”, ha determinato i livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie secondo quanto prevede il decreto legislativo n. 502 del 1992, e che il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, secondo quanto ha stabilito la legge n. 53 del 2003.

[31]    Si ricorda che il testo precedente disponeva che il complesso delle entrate assegnate agli enti locali fosse “non inferiore al valore dei trasferimenti soppressi”, dando ad intendere che potesse pertanto anche essere di entità superiore all’attuale livello dei trasferimenti.

[32]    Nel testo trasmesso dal Senato tali elementi venivano qualificati come “principi e criteri direttivi”.

[33]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[34]    Capoluogo della provincia omonima e sede del Consiglio regionale della Calabria (il Presidente e la Giunta hanno sede a Catanzaro, capoluogo di regione), Reggio Calabria (il cui nome ufficiale è Reggio di Calabria) ha 180.353 abitanti, mentre la provincia ne conta 564.223.

[35]    Tale interpretazione trova conferma nei lavori preparatori: si veda l’intervento del sen. Vizzini, seduta del Senato del 22 gennaio 2009, n. 131 (pom.), in sede di approvazione dell’em. 21.0.100 che ha introdotto l’articolo in esame.

[36]    L. 25 maggio 1970, n. 352, Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo.

[37]    La nozione di “organi costituzionali” è stata elaborata in sede dottrinale.

Adottando un’interpretazione restrittiva, sono “organi costituzionali”: la Presidenza della Repubblica, il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati, il Governo, la Corte costituzionale. Sono invece definiti “organi di rilevanza costituzionale” il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.

[38]   A questo si riferisce – probabilmente – il riferimento alla «dimensione della finanza delle predette regioni e delle province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva». Per determinare il livello delle entrate da riconoscere in futuro alle “speciali”, bisognerà tener conto “delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri ... ... rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali.”

[39]  Si ricorda, in sintesi, che nell’ambito dell’Unione economica e monetaria le politiche di bilancio sono decise dai singoli Stati membri. Tuttavia, esse costituiscono “una questione di interesse comune”, di cui il Trattato CE ha previsto tre diversi strumenti di coordinamento:

-        la definizione di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e per quelle dell’Unione;

-        procedure di sorveglianza sull’evoluzione economica di ciascuno degli Stati membri e dell’Unione;

-        il divieto di disavanzi pubblici eccessivi e le relative procedure di controllo e, eventualmente, di sanzione.

In particolare, secondo le disposizioni contenute nel Trattato CE (art. 104), come integrate dal protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi, uno Stato membro presenta un disavanzo eccessivo se presenta un rapporto deficit/PIL superiore al 3% ovvero un rapporto debito/PIL superiore al 60%, salvo specifiche deroghe. Le disposizioni contenute nel Trattato CE in merito alla procedura di sorveglianza multilaterale e alla procedura sui disavanzi eccessivi sono state specificate e integrate dal Patto di stabilità e crescita, costituito, nella sua originaria formulazione dalla risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam del 16 e 17 giugno 1997, che ha sancito l’impegno degli Stati membri a perseguire l’obiettivo di medio termine di un saldo del conto economico delle amministrazioni pubbliche prossimo al pareggio o in avanzo e dai regolamenti del Consiglio n. 1466/97 e 1467/97 del 7 luglio 1997, con i quali sono state definite le modalità di attuazione, rispettivamente, della procedura di sorveglianza multilaterale e della procedura sui disavanzi eccessivi, successivamente modificati dai regolamenti (CE) 1055/2005 e 1056/2005. In base a tale disciplina, ciascuno Stato membro ha un obiettivo a medio termine differenziato per la sua posizione di bilancio, che può divergere dal requisito di un saldo prossimo al pareggio o in attivo, offrendo comunque un margine di sicurezza rispetto al rapporto tra disavanzo pubblico e PIL del 3 per cento. Il regolamento (CE) n. 1467/97, relativo all’accelerazione e al chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, provvede a definire le condizioni in presenza delle quali si deve dare corso alla suddetta procedura, stabilisce gli adempimenti previsti dalla procedura sui disavanzi eccessivi (dalla dichiarazione di disavanzo eccessivo fino all’applicazione delle sanzioni) e precisa le modalità di applicazione e l’entità delle sanzioni con cui tale procedura può concludersi. In particolare, è consentito superare il tetto massimo del 3 per cento del deficit rispetto al PIL, senza incorrere in sanzioni, solo in “circostanze eccezionali e temporanee”, cioè, in base alla formulazione originaria del Patto, connesse ad eventi che non sono soggetti al controllo dello Stato interessato o che sono determinate da una grave recessione economica. La riforma del 2005 ha peraltro ampliato i casi in cui il superamento del valore della soglia del 3% può essere considerato eccezionale e temporaneo e può quindi (se resta vicino a detto valore) essere giustificato.

[40]   Fonte: Istat, Comunicato del 2 marzo 2009.

[41]   L’articolo citato prevede in particolare forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attività di contrasto alla evasione dei tributi erariali, regionali e degli enti locali, nonché meccanismi premiali per le regioni e gli enti locali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di emersione di maggior gettito attraverso l'azione di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.