Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato , Servizio Commissioni
Titolo: Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione - A.C. 2105
Riferimenti:
AC N. 2105/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 111
Data: 10/02/2009
Descrittori:
FEDERALISMO   LEGGE DELEGA
ORGANIZZAZIONE FISCALE     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VI-Finanze


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

 

Progetti di legge

 

 

 

 

 

Delega al Governo in materia

di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione

A.C. 2105

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 111

 

10 febbraio 2009

 


 

 

Servizio responsabile:

Servizio Studi – Area finanza pubblica

Tel. 066760-9932 – 066760-9496

 

 

Servizio Bilancio dello Stato

Nota di verifica - dossier n. 50

Tel. 066760-2174 – 066760-9455

 

 

Servizio Commissioni – Segreteria V Commissione

Tel. 066760-3545 – 066760-3685

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi, mentre la parte relativa ai profili di carattere finanziario è stata predisposta dal Servizio Bilancio dello Stato e dalla Segreteria della V Commissione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

 

File: FI0096.doc


INDICE

Nota di sintesi

1. I criteri generali della delega. 1

2. Istruttoria e controllo dell’attuazione della delega: gli organi4

3. L’autonomia finanziaria delle regioni6

4. L’autonomia finanziaria degli enti locali10

5. Roma capitale. 14

6. Gli interventi speciali16

7. Il coordinamento della finanza pubblica. 17

8. Le altre proposte di legge abbinate: A.C. 452 (Ria), 692 (Consiglio Regionale Lombardia) e 748 (Paniz)18

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Ambito di intervento)21

§      Articolo 2, commi 1-2 (Oggetto e finalità)23

§      Articolo 2, commi 3-7 (Procedura di adozione dei decreti legislativi)37

§      Articolo 3 (Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale)41

§      Articolo 4 (Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale)47

§      Articolo 5 (Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)50

§      Articolo 6 (Compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria)55

§      Articolo 7 (Princıpi e criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali)56

§      Articolo 8 (Princıpi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento)61

§      Articolo 9 (Princıpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni)71

§      Articolo 10 (Princıpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni)79

§      Articolo 11 (Principi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane)83

§      Articolo 12 (Princıpi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali)88

§      Articolo 13 (Princıpi e criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)94

§      Articolo 14 (Finanziamento delle città metropolitane)101

§      Articolo 15 (Interventi di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione)104

§      Articolo 16 (Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo)108

§      Articolo 17 (Patto di convergenza)113

§      Articolo 18 (Patrimonio di comuni, province, Città metropolitane e regioni)116

§      Articolo 19 (Princıpi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per le regioni)120

§      Articolo 20 (Norme transitorie per gli enti locali)123

§      Articolo 21 (Perequazione infrastrutturale)129

§      Articolo 22 (Norme transitorie per le città metropolitane)133

§      Articolo 23 (Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione)144

§      Articolo 24 (Princıpi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni)152

§      Articolo 25 (Coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome)154

§      Articolo 26 (Salvaguardia finanziaria)159

§      Articolo 27 (Abrogazioni)164

Profili di carattere finanziario

Osservazioni di carattere generale. 167

Impianto della delega e clausola finanziaria

-       Articolo 2, co. 1, 3, 4, 5, 6, 7 e 26. 168

La copertura del fabbisogno standard

-       Articoli 2, co. 1; 8, 9 e 19. 173

Finanziamento delle regioni

-       Articoli 2, co. 1; 7, 8 e 10. 181

La perequazione per le regioni

-       Articoli 9 e 19. 184

 

Armonizzazione dei bilanci pubblici

-       Articolo 2, co. 2, lettere h) e v)188

Istituzione di organi collegiali

-       Articoli 3, 4 e 5. 190

Il finanziamento delle funzioni degli enti locali

-       Articoli 11 e 12. 193

La perequazione per gli enti locali

-       Articoli 13 e 20. 197

Città metropolitane

-       Articoli 14 e 22. 200

Coordinamento finanziario e patto di convergenza

-       Articoli 16 e 17. 203

Patrimonio di regioni ed enti locali

-       Articoli 18 e 23, co. 7, lett. b)205

Perequazione infrastrutturale

-       Articolo 21. 207

Ordinamento transitorio di Roma capitale

-       Articolo 23. 208

La gestione dei tributi e delle compartecipazioni

-       Articolo 24. 209

Finanza delle regioni a Statuto speciale

-       Articolo 25. 211

 


Nota di sintesi

 

 

1. I criteri generali della delega

Il disegno di legge delega in esame reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale.

In questo quadro, uno degli obiettivi principali del disegno di legge è il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell’attribuzione di risorse basate sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.

A tal fine il disegno di legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di Regioni ed Enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.

Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomia territoriali, il disegno di legge distingue tra le spese connesse alle funzioni corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost. - per le quali si prevede l’integrale copertura del fabbisogno – e le altre funzioni, per le quali si prevede la perequazione delle capacità fiscali.

Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 della Costituzione.

Tra le funzioni riconducibili al suddetto vincolo costituzionale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione sono comprese la sanità, l’assistenza e l’istruzione, quest’ultima limitatamente alle spese per i servizi e le prestazioni inerenti all’esercizio del diritto allo studio, nonché per le altre funzioni di carattere amministrativo già ora attribuite alle regioni. Per tali funzioni, concernenti diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i costi standard necessari alla definizione dei relativi fabbisogni.

Il modello proposto configura pertanto un doppio canale perequativo, valido per tutti i livelli di governo, in base al quale sarà garantita una perequazione integrale dei fabbisogni, valutati a costi standard, per ciò che attiene i livelli essenziali delle prestazioni inerenti i diritti civili e sociali e le funzioni fondamentali degli enti locali, mentre le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno finanziate secondo un modello di perequazione che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale (ma non integrale) livellamento delle differenti capacità fiscali dei diversi territori, il cui ordine dovrà rimanere inalterato.

Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo.

Conseguentemente, è prevista l’eliminazione dal bilancio statale delle previsioni di spesa per il finanziamento delle funzioni attribuite agli enti territoriali (tranne le spese per i fondi perequativi e le risorse per gli interventi speciali).

Il disegno di legge reca pertanto i criteri direttivi volti a individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei princıpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali, definendo un quadro diretto a consentire l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria da parte dei governi decentrati, nonché un adeguato livello di flessibilità fiscale.

Alle regioni, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato, viene attribuito un complesso di poteri, quali quello di istituire tributi regionali e locali, determinare variazioni delle aliquote o le agevolazioni che gli enti locali possono applicare nell’esercizio della loro autonomia, nonché istituire a favore di enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali.

Tra gli altri criteri direttivi di carattere generale si ricordano il principio della tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, finalizzato a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa delle funzioni fondamentali, nonché la previsione del coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

In tale sistema di finanziamento, per ciò che concerne le entrate tributarie, è comunque esclusa ogni doppia imposizione, fatte salve le addizionali previste dalla legge statale o regionale.

Il sistema tributario, ad ogni livello istituzionale, dovrà comunque essere coerente con i principi di progressività e capacita contributiva stabiliti dall’articolo 53 della Costituzione.

In linea generale, si stabilisce il principio in base al quale l’imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali, calcolata ad aliquota standard.

Viene inoltre prevista l’attivazione di meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti – in termini di equilibri di bilancio, qualità dei servizi, contenuto livello della pressione fiscale e incremento dell’occupazione - ovvero sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica, che possono giungere sino all’individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili di stati di dissesto finanziario, ovvero di scioglimento degli organi nei casi più gravi.

Per gli enti che non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni ovvero l’esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali, le misure sanzionatorie possono determinare anche l’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo comma, della Costituzione (cfr. art. 2, c. 2, lett. u).

In linea generale, l'attuazione della delega dovrà risultare compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita europeo; dovrà inoltre essere garantita la simmetria tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie – onde evitare ogni duplicazione di funzioni e dunque di costi – nonché salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nel corso della fase transitoria.

Il disegno di legge delinea, infine, la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l’adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame e in ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della legge il termine per la l’adozione degli altri. In allegato al primo schema di decreto, il Governo è chiamato a trasmettere alle Camere una relazione contenente dati sulle implicazioni e le ricadute di carattere finanziario conseguenti all’attuazione della delega, nel quale fornire un quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo.

Gli schemi dei decreti sono adottati previa intesa – non vincolante – raggiunta in sede di Conferenza unificata, e successivamente trasmessi alle Camere, ai fini del parere da parte della istituenda Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario.

 


 

2. Istruttoria e controllo dell’attuazione della delega: gli organi

Le disposizioni di cui agli articoli da 3 a 5 istituiscono un sistema di nuovi organi ai quali viene attribuito il compito di presiedere, sia a livello tecnico-operativo, sia consultivo-politico, al processo di attuazione della delega sul federalismo fiscale.

Gli organi, collocati in una posizione intermedia tra le istituzioni coinvolte in tale processo (Parlamento, Governo e livelli di governo territoriali), sono i seguenti:

§      Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3);

§      Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 4);

§      Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 5).

 

La Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, prevista dall'articolo 3, introdotto nel corso dell'esame al Senato, è un organismo consultivo istituito a livello parlamentare. Composta da quindici deputati e quindici senatori, la Commissione ha il compito, da un lato, di pronunciarsi sugli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega e, dall’altro, di verificare lo stato di attuazione della riforma e di riferirne ogni sei mesi alle Camere.

La Commissione assicura il raccordo con le Regioni e gli enti locali grazie ad un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali: un organismo tecnico non parlamentare istituito ad hoc, al quale partecipano rappresentanti delle autonomie territoriali.

La Commissione è destinata a sciogliersi ex lege al compimento della fase transitoria della riforma.

 

La Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, istituita dall’articolo 4, ha il principale compito di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione, da parte del Governo, degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega in materia di federalismo fiscale.

La Commissione si presenta quale organo tecnico consultivo del Governo, ma anche del Parlamento e di tutti gli enti territoriali coinvolti nel processo di attuazione del federalismo fiscale; essa è chiamata a operare quale sede di condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie, formate avvalendosi degli elementi informativi forniti dalle amministrazioni statali, regionali e locali; a promuovere la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi; a svolgere attività consultiva per il riordino dell’ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative.

 

La Commissione opera altresì quale segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dal successivo articolo 5.

Istituita nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali e composta da rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo, la Conferenza è destinata a svolgere il ruolo di organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica.

Essa concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica esercitando compiti di proposta, monitoraggio e verifica; verifica altresì periodicamente il funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali, anche con riguardo all’adeguatezza delle risorse assicurate a ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte.

 

Gli articoli sopra citati prefigurano una complessa rete di interrelazioni tra i menzionati organi; in particolare:

§      la Commissione parlamentare può avvalersi (oltre che del Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali), della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente ai fini della verifica dello stato di attuazione della riforma;

§      la Commissione tecnica paritetica è a sua volta chiamata a svolgere le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente, per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto; le Camere possono richiedere ad essa informazioni e dati di carattere finanziario e tributario; la Commissione fornisce altresì al Governo gli elementi conoscitivi per la predisposizione degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega;

§      la Conferenza permanente, oltre a quanto detto in ordine ai suoi rapporti diretti con le Camere, costituisce la sede di raccordo tra Stato ed enti territoriali in seno alla Conferenza unificata.

 

Va infine ricordato il contenuto dell’articolo 6, che aggiunge alle competenze della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria quella di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali.

 

 


 

3. L’autonomia finanziaria delle regioni

Le caratteristiche federali del nuovo sistema di finanza regionale sono prefigurate e disciplinate – con principi e criteri specifici – dal Capo II del disegno di legge, che ha riguardo particolare alla finanza delle regioni a statuto ordinario, dal comma 2 dell’articolo 1 e dall’articolo 25, che hanno riguardo all’assetto della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome e dall’articolo 19 che disciplina il passaggio dal vecchio al nuovo sistema con principi posti per il complesso delle regioni e criteri direttivi formulati per l’attuale sistema di finanza delle regioni a statuto ordinario. Non sono diretti esclusivamente alle regioni, ma rilevano particolarmente per esse, gli articoli 15 e 21, che delineano il quadro della futura azione dello Stato per l’assegnazione di risorse aggiuntive da destinare agli interventi straordinari di cui al quinto comma dell’articolo 119, Cost. e l’articolo 17, che prefigura oggetto e procedura del ‘patto di convergenza’ quale strumento per definire e governare il coordinamento della finanza pubblica.

Gli articoli 7, 8, 9 e 10 costituiscono il complesso unitario dei criteri in base ai quali il legislatore delegato è chiamato a disciplinare il futuro assetto della finanza delle regioni a statuto ordinario: l’articolo 7 le entrate, quale sia cioè la natura e la misura delle risorse da attribuire; l’articolo 8 le spese, e per queste il rapporto che intercorre fra il finanziamento delle funzioni esercitate e il livello delle spese che esse determinano; l’articolo 9 la perequazione, intendendo in questa il finanziamento delle funzioni con trasferimenti aggiuntivi in favore delle regioni che dispongono di minori capacità fiscale per abitante; l’articolo 10 la conversione degli attuali tributi e compartecipazioni delle regioni ordinarie alla disciplina che sarà dettata dai futuri decreti delegati.

 

Il nucleo di questa disciplina è nella ripartizione che l’articolo 8 fa delle funzioni e delle spese che queste determinano. Secondo il profilo delle funzioni le spese sono ripartite in due categorie principali, cui si aggiunge una terza che partecipa di entrambe:

a.      spese determinate dall’esercizio di funzioni connesse alle «prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, quelle cioè i cui «livelli essenziali» devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

b.      le altre spese, non riconducibili a quelle considerate alla lettera a);

c.      le spese per il trasporto pubblico locale che – per il livello delle prestazioni ed il livello del finanziamento che è loro assicurato – sono considerate per parte in entrambe le categorie.

Vi è anche una quarta categoria di spese – quelle straordinarie o speciali e perciò ‘eventuali’ - che possono riguardare tutte le funzioni ma che sono finanziate da contributi speciali dello Stato e dell’Unione europea e non danno luogo alla assegnazione di tributi, compartecipazioni o altra risorsa di carattere permanente.

 

Il livello delle entrate da assegnare alle regioni è determinato dal fabbisogno necessario a coprire l’esercizio ordinario delle funzioni secondo due parametri corrispondenti alla duplice classificazione delle spese:

a.      quello necessario a finanziare le spese connesse alle «prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» è predeterminato sulla base di ‘costi standard’ fissati dalla legge dello Stato;

b.      le altre funzioni sono finanziate in ciascuna regione dal gettito dell’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale Irpef, fissata ad un valore sufficiente a pareggiare l’importo dei trasferimenti soppressi

 

Per ciascun gruppo di funzioni e di spese l’articolo 7 indica i tributi che le finanziano e la misura delle entrate che ne devono derivare. Lo schema si ripete:

a.      le entrate destinate al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sono costituite dal gettito derivante da tributi propri delle regioni, cui si aggiungono quote e compartecipazioni ai tributi erariali, secondo aliquote e basi imponibili uniformi per tutte le regioni. Le aliquote sono fissate al livello minimo necessario per finanziare il fabbisogno occorrente per la prestazione dei servizi essenziali in almeno una regione. Nelle altre regioni ove il gettito è insufficiente alla copertura integrale del fabbisogno concorre la quota del Fondo perequativo;

b.      le entrate destinate al finanziamento delle altre funzioni sono finanziate tramite l’attribuzione della addizionale regionale all’IRPEF, con aliquota uguale per tutte, stabilita con riferimento al totale dei trasferimenti finora erogati per il complesso delle regioni, per modo che questo sia ‘coperto’ dal totale dei gettiti, anch’essi complessivamente considerati; nessuna perequazione è data per le regioni in cui il gettito pro-capite dell’addizionale è superiore o uguale a quello medio nazionale; per le altre regioni la perequazione è data sul parametro della capacità fiscale (gettito pro-capite) e non su quello della spesa.

 

Criteri e misura della perequazione sono disciplinati dall’articolo 9. Anche per questa si ripete lo schema delle spese:

a.      per la parte destinata alla perequazione delle entrate che finanziano i livelli essenziali delle prestazioni il fondo è costituito da una quota dell’IVA, considerata indistintamente per tutte le regioni e sufficiente ad integrare il fabbisogno di spesa delle regioni che seguono nella scala decrescente quella con la maggiore capacità fiscale; il concorso della quota perequativa consente di finanziare integralmente in ciascuna regione il fabbisogno determinato secondo i costi standard;

b.      per la parte destinata al finanziamento delle altre funzioni il fondo è costituito da una quota del gettito dell’addizionale regionale all’IRPEF; come detto, la perequazione non assume come parametro la spesa ma la capacità fiscale pro-capite determinata in base al gettito del tributo in ciascuna regione; nessuna perequazione è data alle regioni in cui il gettito pro-capite supera quello medio del complesso delle regioni ordinarie; per le altre regioni il gettito pro-capite è integrato da una quota del fondo perequativo determinata in modo da «ridurre, ma non annullare» le differenze di capacità fiscale esistenti tra le regioni.

 

Stabilito secondo questi principi l’assetto definitivo della finanza regionale, gli articoli 10 e 19 ne disciplinano il passaggio da quello attuale a quello futuro: l’uno per la trasformazione delle norme che regolano attualmente la finanza delle regioni a statuto ordinario, l’altro per far si che il passaggio dal finanziamento della spesa storica al finanziamento dei fabbisogni avvenga gradualmente e progressivamente.

 

I tributi regionali propri e derivati, le compartecipazioni ai tributi erariali, le quote perequative e i trasferimenti che finanziano attualmente le funzioni già esercitate dalle regioni saranno sostituiti da entrate stabilite secondo i nuovi principi verificando, periodicamente, la congruità delle nuove fonti di entrata. Corrispettivamente, saranno soppressi nel bilancio dello Stato i capitoli che finanziano quelle spese. Il ‘passaggio’ avverrà nell’arco di cinque anni durante i quali dal valore dei trasferimenti perequativi e del complesso delle spese rilevati in ciascuna regione nel triennio 2006-2008 si passerà gradualmente ai valori perequativi determinati secondo i principi dell’articolo 9. Lo stesso periodo transitorio inizierà a decorrere soltanto dopo che sarà stato determinato il contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni. Il processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard è assistito dalla garanzia che le nuove entrate, al livello di partenza, non siano inferiori a quelle soppresse o sostituite. In ogni caso è previsto che qualora «emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni», di questa possa farsene carico lo Stato, a proprio carico, per un ulteriore periodo di cinque anni.

 

Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano il comma 2 dell’articolo 1 introduce un principio di esclusività, o di riserva di disciplina, inteso a delimitare l’efficacia delle disposizioni del testo e ad integrarne i principi, così da rendere la disciplina del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell’autonomia speciale. Il comma in parola elenca nominativamente gli articoli cui deve rifarsi il legislatore delegato: l’articolo 25, che disciplina l’introduzione della riforma tramite norme di attuazione degli statuti speciali, l’articolo 14, recante i principi che informano l’istituzione delle città metropolitane e l’articolo 21, che estende alle autonomie speciali la particolare procedura rivolta alla «perequazione infrastrutturale».

 

La disciplina speciale dettata dall’articolo 25 adatta alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca – con esclusione degli altri – i principi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi. In particolare:

1.      le modifiche all’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome saranno introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali, negli stessi termini temporali previsti dalla delega conferita per l’emanazione dei decreti delegati relativi alle regioni a statuto ordinario e agli enti locali;

2.      ferme le prerogative statutarie previste per ciascuna regione e provincia autonoma, la nuova disciplina sarà comunque informata ai principi del federalismo fiscale posti come attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

 

Come già detto, il richiamo all’articolo 14 estende all’ordinamento delle regioni a statuto speciale i principi che lì sono introdotti sull’assetto finanziario delle città metropolitane, mentre quello fatto all’articolo 21 fa sì che, coerentemente con quanto stabilito per la perequazione finanziaria ordinaria, anche le opere che possono realizzarsi nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome ai sensi dell’articolo 119, quinto comma della Costituzione, concorrano alla valutazione degli interventi infrastrutturali da effettuare secondo i principi perequativi.

 


 

4. L’autonomia finanziaria degli enti locali

Il nuovo assetto finanziario relativo agli enti locali è definito dagli articoli 11, 12, 13 e 14 del disegno di legge. Gli articoli 20 e 22 recano le disposizioni da applicarsi nel periodo transitorio, con riferimento, rispettivamente, al comparto dei comuni e delle province e alle città metropolitane.

Per quanto concerne l’autonomia di entrata degli enti locali, il provvedimento demanda alla legge statale l’individuazione dei tributi propri dei comuni e delle province. Anche la regione, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, può istituire nuovi tributi comunali, provinciali e delle Città metropolitane nei propri territori, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti alle autonomie territoriali.

Nell'attuazione della delega, la legge statale può inoltre sostituire o trasformare tributi già esistenti, ovvero attribuire a comuni e province tributi o parti di tributi già erariali. E’ prevista peraltro la possibilità, per gli enti locali, di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi, entro i limiti da queste fissati e di introdurre agevolazioni, coerentemente a quanto previsto in materia di “flessibilità fiscale”.

Infine, per i comuni e le province sono previsti “tributi di scopo”, che l’ente può applicare in riferimento a particolari finalità.

Con riferimento alle Città metropolitane è previsto uno specifico decreto legislativo relativo all’assegnazione a tali enti dei tributi e delle entrate proprie.

 

Le modalità di finanziamento di comuni, province e Città metropolitaneè strutturato sulla base di una classificazione delle spese in tre tipologie:

a)      spese riconducibili alle funzioni "fondamentali", ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, la cui individuazione è rimessa alla legislazione statale;

b)      spese relative alle “altre funzioni”, non riconducibili a quelle fondamentali;

c)      spese che, prescindendo dall’oggetto delle funzioni, risultano finanziate con contributi nazionali speciali, finanziamenti dall'Unione europea e cofinanziamenti nazionali.

 

I criteri generali di delega prevedono il graduale superamento del criterio della spesa storica in favore di due nuovi criteri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali: il fabbisogno standard, per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la perequazione della capacità fiscale, per il finanziamento delle altre funzioni.

Secondo le norme transitorie, il superamento del criterio della spesa storica dovrà realizzarsi in un periodo di cinque anni, a partire dal termine che verrà fissato dai decreti legislativi delegati.

Ulteriore principio generale per la definizione della modalità di finanziamento degli enti locali, è quello relativo alla valutazioni di alcune specifiche caratteristiche degli enti locali, in particolare le dimensioni demografiche e territoriali, che risultano determinanti ai fini dell’ottimale svolgimento delle rispettive funzioni.

 

Per le spese connesse alle funzioni fondamentali è prevista la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al fabbisogno standard.

Il finanziamento deve essere assicurato, in via prioritaria, dal gettito derivante da tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e da addizionali a tributi erariali e regionali. Il disegno di legge individua espressamente quali entrate dei comuni e delle province devono essere specificamente destinate al finanziamento delle funzioni fondamentali. In particolare, per icomuni è fatto riferimento, in via prioritaria, al gettito derivante dalla compartecipazione all’IVA, alla compartecipazione all’IRPEF e alla imposizione immobiliare, con esclusione dell'abitazione principale; per le province, al gettito di tributi relativi al trasporto su gomma e alla compartecipazione a un solo tributo erariale.

E’ rimessa, invece, alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa l’applicazione dei tributi loro assegnati in relazione al finanziamento delle spese fondamentali.

Il finanziamento integrale è assicurato dall’intervento del fondo perequativo. Il provvedimento prevede l’istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle Città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato. La dimensione del fondo perequativo statale è determinata, per ciascuna tipologia di ente, in misura pari alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province, intendendosi come tali le entrate derivanti dai tributi propri valutati ad aliquota standard.

La ripartizione tra i singoli enti del fondo perequativo è effettuata sulla base di due specifici indicatori: un indicatore di fabbisogno finanziario, calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente (esclusa la spesa per interessi) ed il valore standardizzato dei tributi e delle entrate proprie di applicazione generale; e un indicatore di fabbisogno di infrastrutture, per il finanziamento della spesa in conto capitale.

Il disegno di legge prevede la possibilità per le regioni di intervenire in sede di riparto delle risorse assegnate a titolo di perequazione, ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale, attribuendo ad esse la facoltà di procedere ad una diversa valutazione dei parametri di fabbisogno (finanziario e di infrastrutture) in base ai quali è effettuata la ripartizione dei fondi perequativi, qualora vi sia intesa al riguardo con gli enti locali medesimi.

La eventuale ridefinizione, da parte delle regioni, dei parametri di assegnazione dei fondi perequativi non può comportare ritardi nell’assegnazione delle risorse. Pertanto, nel caso in cui la regione non provveda nei termini stabiliti è previsto l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione.

 

Con riferimento al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni "non fondamentali" non è previsto il finanziamento integrale. Il disegno di legge stabilisce che esse siano finanziate con i tributi propri, con le compartecipazioni al gettito di tributi e dal fondo perequativo. A differenza di quanto previsto per il finanziamento delle spese fondamentali, l’intervento del fondo perequativo, in tale ambito, è basato soltanto sulla capacità fiscale per abitante ed è espressamente diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti.

Per gli enti locali con minor popolazione, la perequazione è effettuata tenendo conto di alcune specificità, quali il fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa, e la partecipazione dell’ente a forme associative.

In relazione al finanziamento del livello di spesa non riconducibile alle funzioni fondamentali degli enti locali, i criteri generali di delega del disegno di legge riconoscono pertanto agli enti territoriali una adeguata flessibilità fiscale, articolata su più tributi, in modo tale da consentire di finanziare il livello di spesa per funzioni non fondamentali attivando “le proprie potenzialità”.

 

I decreti delegati attuativi del nuovo sistema di finanziamento delle spese degli enti locali provvederanno pertanto alla soppressione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento delle spese, fondamentali e non, degli enti locali. Dalla soppressione sono esclusi gli stanziamenti destinati alla costituzione dei fondi perequativi

 

Nella fase transitoria, i decreti legislativi attuativi della delega, devono dare piena garanzia che la somma delle maggiori entrate derivanti dall’autonomia finanziaria e dei trasferimenti perequativi sia, per il complesso di tali enti, almeno pari al valore dei trasferimenti che vengono soppressi, in maniera tale da garantire che, nella fase transitoria, il comparto riceva, nel complesso, lo stesso ammontare di risorse di cui dispone nella situazione attuale. A parità di trasferimenti soppressi, l’entità del fondo perequativo dipende pertanto dalla quota di risorse proprie assegnate a ciascun comparto.

Per quanto riguarda il finanziamento delle spese degli enti locali nella fase transitoria è previsto che, fino all’entrata in vigore delle norme di legge relative alla individuazione delle funzioni fondamentali, il finanziamento del fabbisogno degli enti locali sia effettuato considerando l’80% delle spese come fondamentali e il restante 20% di esse come non fondamentali.

Le norme transitorie recano un elenco provvisorio, per i comuni e le province, delle funzioni da considerarsi fondamentali.

Per i comuni sono individuate le seguenti funzioni: funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura del 70% delle spese certificate dall'ultimo conto del bilancio; polizia locale; istruzione pubblica, compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica; viabilità e trasporti; gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato; funzioni del settore sociale. Per le province: funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura del 70% delle spese certificate dall'ultimo conto del bilancio; istruzione pubblica, compresa l'edilizia scolastica; trasporti; gestione del territorio; tutela ambientale; funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

Alle città metropolitane vengano assegnate in via provvisoria le medesime funzioni assegnate alle province, cui si aggiungono la pianificazione territoriale e delle reti infrastrutturali, la strutturazione dei sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici; promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

Per quanto concerne la fase transitoria, è prevista una disciplina specifica che consente una “prima” istituzione delle città metropolitane nelle aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli, ad esclusione di Roma, che gode a sua volta di una disciplina ad hoc.

Il sistema previsto dal disegno di legge contiene una serie di incentivi alla costituzione delle città metropolitane, che ne dovrebbe rendere più rapida la loro realizzazione: innanzitutto, un incentivo economico consistente dall’ampliamento dell’autonomia finanziaria e di spesa e, in secondo luogo, una procedura di istituzione semplificata rispetto alla legge vigente.

Il disegno di legge prevede, infine, l’abolizione delle province nel cui territorio sono situate le città metropolitane, a partire dall’entrata in vigore della futura legge di sistema.

 


 

5. Roma capitale

L’articolo 23, introdotto nel corso dell’esame al Senato, affronta il tema dell’attuazione dell’art. 114, terzo comma, della Costituzione, ove si dispone che la legge dello Stato disciplini l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica.

Tale disciplina, sotto il profilo ordinamentale oltre che finanziario, è definita dall’articolo in via transitoria, in attesa che l'attuazione della disciplina sulle città metropolitane (con riguardo alla quale, si veda quanto innanzi accennato con riguardo all’articolo 22) determini l'istituzione della città metropolitana di Roma capitale.

L’articolo precisa peraltro che tale disciplina, pur definita transitoria, è destinata ad trovare applicazione anche “a regime”, intendendosi riferita alla città metropolitana a decorrere dalla sua istituzione.

 

Nel frattempo, l’articolo configura, in luogo del comune di Roma, unnuovo ente territoriale denominato “Roma capitale”, dotato di una “speciale autonomia” statutaria, amministrativa e finanziaria ad esso attribuita in ragione delle peculiari funzioni che la capitale è chiamata svolgere in quanto sede degli organi costituzionali, nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri.

 

A Roma capitale sono attribuite ulteriori funzioni amministrative, in aggiunta a quelle già spettanti al comune di Roma, da esercitare mediante regolamenti adottati dal consiglio comunale di Roma, ridenominato “Assemblea capitolina” Si tratta in particolare delle seguenti:

§      valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali (previo accordo con il Ministero competente);

§      sviluppo economico e sociale;

§      sviluppo urbano e pianificazione territoriale;

§      edilizia pubblica e privata;

§      servizi urbani;

§      protezione civile (in collaborazione con la Presidenza del Consiglio e con la Regione Lazio).

L’Assemblea capitolina è chiamata altresì ad approvare il nuovo statuto di Roma capitale.

 

Ampia parte della disciplina di Roma capitale – e segnatamente quella relativa ai profili finanziari e patrimoniali e quella concernente i raccordi istituzionali e le modalità di coordinamento e di collaborazione tra il nuovo ente e lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma – è rimessa a un decreto legislativo da approvare nell’ambito dell’esercizio della delega prevista dal disegno di legge in esame.

Lo status dei membri dell’Assemblea capitolina – si precisa – è in ogni caso riservato alla legge dello Stato.

L’articolo 23 dispone infine che sia le norme di cui all’articolo medesimo, sia quelle che saranno adottate con il menzionato futuro decreto legislativo sull’ordinamento transitorio di Roma capitale, non potranno essere modificate, derogate od abrogate se non con disposizione espressa.

 


 

6. Gli interventi speciali

L’articolo 15 del disegno di legge, richiamando l’articolo 119, quinto comma, della Costituzione in merito alla destinazione delle risorse aggiuntive e agli interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni, enuncia i princìpi e criteri direttivi ai quali il legislatore delegato dovrà fare riferimento nel predisporre i decreti attuativi previsti dall’articolo 2.

Dovranno essere definite le modalità per cui tali interventi saranno finanziati con contributi speciali del bilancio statale, con finanziamenti dell’Unione europea e con cofinanziamenti nazionali secondoil metodo della programmazione pluriennale. I finanziamenti comunitari non potranno avere valenza sostitutiva dei contributi speciali dello Stato. Nella sostanza, la disposizione appare far riferimento a quelle risorse aggiuntive attualmente previste per gli interventi nelle c.d. aree sottoutilizzate, attraverso l’utilizzo dell’apposito Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), dei fondi strutturali dell’Unione europea e del relativo cofinanziamento nazionale a valere sulle risorse del Fondo di rotazione previsto dall’articolo 5 della legge n. 183 del 1987.

Dovrà essere prevista la confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi destinati agli enti locali e alle regioni, fermo restando il loro vincolo finalistico.

I decreti delegati dovranno considerare le specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla collocazione geografica, alla prossimità al confine con Stati esteri o con regioni a statuto speciale, alla qualifica di territorio montano o di isola minore.

I decreti dovranno individuare gli interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate e la solidarietà sociale, nonché a rimuovere gli squilibri economico-sociali e a favorire l’esercizio effettivo dei diritti della persona. Gli obiettivi e i criteri annuali saranno disciplinati con i provvedimenti annuali che definiranno la manovra finanziaria e che determineranno l’ammontare delle risorse.

Anche l’articolo 21 richiama l’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, prevedendo una ricognizione degli interventi infrastrutturali ad esso riconducibili previsti da norme vigenti, che riguardino la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, e le strutture portuali ed aeroportuali. Vengono, pertanto, indicati i principi e criteri direttivi in base ai quali effettuare la ricognizione. Successivamente alla ricognizione, al fine di recuperare il deficit infrastrutturale esistente, saranno individuate le opere da inserire nel “Programma delle infrastrutture strategiche”, annualmente allegato al documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), tenendo conto anche della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard.


 

7. Il coordinamento della finanza pubblica

Il disegno di legge prevede il concorso di tutti i livelli di governo al conseguimento degli obiettivi della politica di bilancio nazionale, in coerenza con i vincoli posti dall’Unione europea e dai Trattati internazionali.

Nel nuovo assetto delle relazioni economico-finanziarie tra lo Stato e le autonomie territoriali prefigurato dal disegno di legge, il coordinamento della finanza pubblica assume un ruolo centrale e si estende anche al monitoraggio e al controllo dei livelli, dei costi e della qualità dei servizi pubblici.

In tale prospettiva, il Patto di stabilità interno, sinora adottato per definire l’entità del concorso dei diversi enti territoriali agli obiettivi della politica di bilancio, dovrebbe essere ricondotto nell’ambito del “Patto di convergenza” previsto dall’articolo 17 del disegno di legge, consistente in un insieme di regole per il coordinamento dinamico della finanza pubblica che il Governo è chiamato a definire annualmente nell’ambito della legge finanziaria.

Tale nuovo istituto è finalizzato, in particolare, a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, ossia ad agevolare il graduale passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard.

In questo quadro, i principi e criteri direttivi del disegno di legge attribuiscono alle regioni di uno specifico ruolo di coordinamento a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, in base al quale esse, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, possono adattare le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle singole regioni.

Si prevede, inoltre, l’individuazione di indicatori di efficienza e di adeguatezza volti a garantire obiettivi qualitativi dei servizi regionali e locali, funzionali a loro volta all’introduzione di un sistema premiante per gli enti che assicurino una più elevata qualità dei servizi associata ad un livello di pressione fiscale inferiore alla media, nonché di un sistema sanzionatorio per gli enti meno virtuosi..

Meccanismi sanzionatori di carattere automatico sono inoltre previsti a carico degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con l’individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.

Il disegno di legge richiama, infine, la necessità di assicurare la trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale.

Ai fini del coordinamento della finanza pubblica, il disegno di legge prevede, all’articolo 5 l’istituzione di una specifica Conferenza permanente,di cui si è detto al punto 2 della presente nota di sintesi.

Qualora l’attività di monitoraggio del Patto di convergenza rilevi che uno o più enti non abbiano raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato è chiamato ad attivare - previa intesa in sede di Conferenza unificata e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante - un procedimento correttivo denominato “Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza”.

 

 

8. Le altre proposte di legge abbinate: A.C. 452 (Ria), 692 (Consiglio Regionale Lombardia) e 748 (Paniz)

Si segnala che in relazione ai tempi necessari per la predisposizione del presente dossier, lo stesso prende in analisi il solo disegno di legge di iniziativa governativa (A.C. 2105) approvato dal Senato.

Va peraltro ricordato che per l’esame in sede referente risultano abbinate le seguenti proposte di legge, anch’esse recanti principi e norme di delega per l’attuazione del federalismo fiscale:

-    A.C. 452 (Ria) "Delega al Governo in materia di federalismo fiscale";

-    A.C. 692 (Consiglio regionale della Lombardia) "Nuove norme per l'attua­zione dell'articolo 119 della Costituzione";

-    A.C. 748 (Paniz) "Delega al Governo per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione in materia di federalismo fiscale".

 


Schede di lettura


 

Articolo 1
(Ambito di intervento)

 


1. La presente legge costituisce attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e rispettando i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti. A tali fini, la presente legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l'istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l'utilizzazione delle risorse aggiuntive e l'effettuazione degli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. Disciplina altresì i princìpi generali per l'attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni ed il finanziamento di Roma capitale.

2. Alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 14, 21 e 25.


 

 

L’articolo 1 definisce l’ambito d’intervento generale del disegno di legge, individuandolo nell’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

 

Il comma 1 individua quali tratti caratterizzanti dell’intervento la garanzia dell’autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali (comuni, province, città metropolitane e regioni) e il rispetto dei principi di solidarietà e coesione sociale.

Obiettivi del provvedimento sono:

§      il graduale superamento del criterio della spesa storica per tutti i livelli di governo;

Per ‘spesa storica’ si intende il criterio in base al quale ogni ente territoriale riceve finanziamenti parametrati sulla spesa in precedenza sostenuta. Tale criterio, secondo la relazione illustrativa allegata al testo del disegno di legge originario (AS 1117), deve essere superato in quanto avvantaggia gli enti meno efficienti a scapito di quelli virtuosi.

§      la massima responsabilizzazione dei livelli di governo medesimi;

§      la garanzia dell’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti.

 

In particolare il disegno di legge reca disposizioni volte a:

§      stabilire in via esclusiva i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (v. art. 119, co. secondo, Cost.).

Il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario è individuata dall’articolo 117, terzo comma, della Costituzione quale materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni (nella quale, dunque, allo Stato è riservata la determinazione dei principi fondamentali e alle regioni l’adozione delle normativa di dettaglio).

Ai sensi dell’articolo 119, secondo comma, della Costituzione, ai principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario devono attenersi gli enti territoriali quando stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione;

§      disciplinare l’istituzione e il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, previsto dall’articolo 119, terzo comma, della Costituzione;

§      disciplinare l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e degli interventi speciali previsti dall’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, in favore di determinati enti territoriali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni;

§      disciplinare i principi generali per l’attribuzione di un patrimonio proprio agli enti territoriali, in attuazione dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione;

§      disciplinare il finanziamento di Roma Capitale.

A norma dell’articolo 114, terzo comma della Costituzione, Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.

 

 

Il comma 2 dispone l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome, conformemente agli statuti, esclusivamente dell’articolo 14, relativo al finanziamento delle città metropolitane, dell’articolo 21, concernente la perequazione infrastrutturale, e dell’articolo 25, che detta la disciplina generale per il coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome, rinviando l’applicazione alle norme di attuazione dei rispettivi statuti.

 

 


 

Articolo 2, commi 1-2
(Oggetto e finalità)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni.

2. Fermi restando gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 26 e 27, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:

       a) autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo;

       b) lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dall'Unione europea e dai trattati internazionali;

       c) razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso; semplificazione del sistema tributario, riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, trasparenza del prelievo, efficienza nell'amministrazione dei tributi; rispetto dei princìpi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212;

       d) coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale;

       e) attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione; le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite;

       f) determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo o fabbisogno obiettivo che, valorizzando l'efficienza e l'efficacia, e tenendo conto anche del rapporto tra il numero dei dipendenti dell'ente territoriale e il numero dei residenti, costituisce l'indicatore rispetto al quale comparare e valutare l'azione pubblica nonché gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle rispettive funzioni;

       g) adozione per le proprie politiche di bilancio da parte di regioni, città metropolitane, province e comuni di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita;

       h) individuazione dei princìpi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici, in modo da assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi, concordati in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, di seguito denominata «Conferenza unificata», coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato. La registrazione delle poste di entrata e di spesa nei bilanci dello Stato, delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni deve essere eseguita in forme che consentano di ricondurre tali poste ai criteri rilevanti per l'osservanza del patto di stabilità e crescita;

       i) coerenza con i princìpi di cui all'articolo 53 della Costituzione;

       l) superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore:

                   1) del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;

                   2) della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;

       m) rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

       n) esclusione di ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale o regionale;

       o) tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità nell'imposizione di tributi propri;

       p) previsione che la legge regionale possa, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato:

                   1) istituire tributi regionali e locali;

                   2) determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province e città metropolitane possono applicare nell'esercizio della propria autonomia;

                   3) valutare la modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle concessioni di coltivazione di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625;

       q) facoltà delle regioni di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;

       r) esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo; ove i predetti interventi siano effettuati dallo Stato sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali e quelli di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), essi sono possibili solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi e previa quantificazione finanziaria delle predette misure nella Conferenza di cui all'articolo 5;

       s) previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità efficienti di accreditamento diretto o di riversamento automatico del riscosso agli enti titolari del tributo; previsione che i tributi erariali compartecipati siano integralmente contabilizzati nel bilancio dello Stato;

       t) definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l'accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tributaria, assicurando il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali;

       u) premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell'esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; previsione delle specifiche modalità attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'articolo 17 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie, fino all'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;

       v) previsione che le sanzioni di cui alla lettera u) a carico degli enti inadempienti si applichino anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, predefiniti ai sensi della lettera h);

       z) garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili, con determinazione, per ciascun livello di governo, di un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi;

       aa) previsione di una adeguata flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le regioni ed enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali;

       bb) trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, rivolte a garantire l'effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b);

       cc) riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali calcolata ad aliquota standard e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali; eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a regioni, province, comuni e città metropolitane, con esclusione dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;

       dd) definizione di una disciplina dei tributi locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale;

       ee) territorialità dei tributi regionali e locali e dei gettiti delle compartecipazioni, in conformità a quanto previsto dall'articolo 119 della Costituzione;

       ff) tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico; previsione di strumenti che consentano autonomia ai diversi livelli di governo nella gestione della contrattazione collettiva;

       gg) certezza delle risorse e stabilità tendenziale del quadro di finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite;

       hh) individuazione, in conformità con il diritto comunitario, di forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 2 in esame indicano l’oggetto e le finalità della delega legislativa, stabilendo i principi e i criteri direttivi che dovranno essere osservati dal Governo nell’esercizio della delega.

 

Il comma 1, in particolare, precisa che l’attuazione dell’art. 119 Cost., mediante uno o più decreti legislativi da emanarsi entro un termine di due anni dall’entrata in vigore del provvedimento qui in esame, persegue il fine di assicurare - attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione - l’autonomia finanziaria degli enti territoriali.

 

Il comma 2 provvede ad elencare una serie di principi e criteri direttivi (dalla lettera a) alla lettera hh) di portata generale che dovranno essere seguiti nell’emanazione dei decreti legislativi.

Ai principi generali contenuti nel comma 2, di seguito illustrati, si aggiungono quelli specifici, indicati nei singoli articoli successivi del testo che vengono ivi richiamati (i.e., le disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 26 e 27), con riguardo ai diversi profili di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

 

La lettera a) del comma 2 prescrive innanzitutto che la delega dovrà essere esercitata realizzando l’autonomia di entrata e di spesa di tutti i livelli di governo, richiedendosi nel contempo una loro maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile.

 

Si ricorda al riguardo che l’articolo 119 della Costituzione prevede che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa e hanno risorse autonome, stabilendo e applicando tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Tali enti dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio; la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti in tal modo ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni devono permettere a questi di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. In ogni caso, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.

 

Il principio enunciato alla lettera b) del comma 2 richiede che vi sia lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo e che tutte le amministrazioni pubbliche concorrano al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale, coerentemente con i vincoli posti dall’Unione europea e dai trattati internazionali.

 

Il contenuto del criterio della “lealtà istituzionale”, non è compiutamente individuabile sotto il profilo del diritto positivo, non ravvisandosi finora nell’ordinamento la presenza del criterio medesimo. Può tuttavia ritenersi che esso abbia un significato assai prossimo a quello della “leale cooperazione”, che costituisce un principio su cui si è più volte soffermata la Corte costituzionale in sede di contenzioso tra Stato e Regioni , individuandone il contenuto nella mutua informazione e nella esclusione di qualsiasi attività emulativa o prevaricante tra amministrazioni centrali e regionali[1].

 

La lettera c) del comma 2 richiede che sia assicurata razionalità e coerenza sia dei singoli tributi sia del complessivo sistema tributario nonché la semplificazione dello stesso, una riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti, la trasparenza del prelievo fiscale, l’efficienza nell’amministrazione dei tributi.

La stessa lettera c) del comma 2 indica quale criterio di delega il rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212.

 

I principi contenuti in tale legge riguardano il rapporto tra amministrazione e contribuente con riferimento, tra l’altro, all'adozione di norme interpretative in materia tributaria, alla chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie, all’efficacia temporale delle norme tributarie, all’informazione del contribuente, alla conoscenza, chiarezza e motivazione degli atti, alla rimessione in termini, alla tutela dell'affidamento e della buona fede, all’interpello del contribuente, ai diritti e alle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, al Garante del contribuente.

 

La lettera d) del comma 2 richiede che i diversi livelli istituzionali siano coinvolti nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale.

Va segnalato che un analogo principio di delega - riferito espressamente alle Regioni ed agli enti locali – è riportato all’articolo 26, comma 2, lettera c).

 

La lettera e) del comma 2 pone il principio secondo cui le risorse autonome debbano essere attribuite ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni:

-          in relazione alle rispettive competenze;

-          secondo il principio di territorialità;

-          nel rispetto del principio di solidarietà;

-          nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione.

 

Il richiamato articolo 118 della Costituzione prevede l’attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

 

Sempre secondo la lettera e) del comma 2, il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite dovrà essere finanziato integralmente dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal previsto fondo perequativo.

 

Il riferimento al principio di solidarietà, diretto tra l’altro ad assicurare l’attuazione dell’articolo 2 della Costituzione, e la garanzia di finanziamento integrale del normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite sono state introdotte nel corso dell’esame in sede referente presso il Senato.

 

La lettera f) del comma 2 richiede che il cosiddetto costo standard e il cosiddetto fabbisogno standard sia assunto quale costo o fabbisogno obiettivo.

Tale costo o fabbisogno obiettivo dovrà valorizzare l’efficienza e l’efficacia al fine di costituire l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare sia l’azione pubblica sia gli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle rispettive funzioni. Ai fini della determinazione di tale indicatore, inoltre, si dovrà anche tenere conto del rapporto tra il numero dei dipendenti dell’ente territoriale e il numero dei residenti.

 

La delega non fornisce, pertanto, la definizione del costo standard, provvedendo tuttavia, nella lettera f) in esame, ad indicare le finalità rispetto alle quali esso dovrà essere individuato in sede di disciplina attuativa. Inoltre, oltre a potersi desumere da altre norme di delega (ad esempio quella recata dell’articolo 19, comma 1, lettera b), in cui si dispone che la spesa storica dovrà convergere verso i costi standard), che tale costo-fabbisogno è diverso da quello ravvisabile sulla base della spesa storica, il ddl in esame istituisce apposite strutture aventi il compito di pervenire alla definizione del costo in questione: ciò in particolare all’articolo 4, comma 1, lettera f), in cui si prevede presso la Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica una banca dati comprendente gli indicatori che andranno utilizzati “per definire i costi ed i fabbisogni standard”.

Allo stato può segnalarsi che la definizione di costo standard è comunque presente nella teoria economica, ove il costo medesimo è inteso come costo di riferimento della produzione di un bene o della prestazione di un servizio in condizioni di efficienza produttiva, vale a dire come costo medio di processi efficienti. Tale questione è più diffusamente trattata nella sezione del presente dossier relativa ai profili finanziari, cui pertanto si rinvia.

La lettera g) del comma 2 richiede l’adozione da parte di regioni, città metropolitane, province e comuni per le proprie politiche di bilancio di regole coerenti con quelle derivanti dall’applicazione del Patto di stabilità e crescita.

 

Il richiamato Patto di stabilità e crescita, approvato dal Consiglio europeo nel 1997 ad Amsterdam e rivisto nel 2005, completa la definizione delle regole di bilancio europee rispetto a quanto già previsto dal Trattato di Maastricht. Con il Patto i paesi della UE si impegnano a perseguire un obiettivo di medio termine per il proprio saldo di bilancio; tale obiettivo è specifico a ciascun paese, può differire da una posizione di pareggio o di avanzo e si deve collocare fra un disavanzo dell’1 per cento del PIL e un avanzo. Ciascun paese deve fissare il proprio obiettivo in modo da disporre di un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento del PIL fissata dal Trattato di Maastricht, da garantire rapidi progressi verso la sostenibilità dei conti pubblici e quindi da disporre di margini di manovra in particolare per gli investimenti pubblici. I paesi che non hanno ancora raggiunto il proprio obiettivo di medio termine devono conseguire un miglioramento del saldo strutturale dello 0,5 per cento del PIL l’anno. Inter alia, il Patto precisa tempi e modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi e stabilisce il contenuto dei programmi di stabilità e dei programmi di convergenza che devono essere aggiornati ogni anno rispettivamente dai paesi della UE che hanno già adottato la moneta unica e da quelli che non lo hanno ancora fatto (vedi: Programmi di stabilità). Il Patto di stabilità e crescita è disciplinato dai regolamenti CE nn. 1466 e 1467 del 1997, come emendati dai regolamenti CE nn. 1055 e 1056 del 2005, e da una Risoluzione del Consiglio europeo del 1997.

 

La lettera h) del comma 2 richiede che i princìpi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici siano individuati in modo da assicurare la redazione dei bilanci di comuni, province, città metropolitane e regioni in base a criteri predefiniti e uniformi concordati in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato. Il mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci è sanzionabile ai sensi della lettera v) del comma 2 in esame.

 

Il richiamato articolo 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 ha previsto che la Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni.La Conferenza unificata è convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non è conferito, dal Ministro dell’interno.

 

Sempre secondo la lettera h) del comma 2, va assicurata una corrispondenza tra le poste di entrata e di spesa nei bilanci dello Stato, delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni e i criteri rilevanti per l’osservanza del patto di stabilità e crescita, di modo che il primo dato possa essere agevolmente ricondotto al secondo.

 

La lettera i) del comma 2 richiede che venga assicurata la coerenza con i princìpi di cui all’articolo 53 della Costituzione, a mente del quale il sistema tributario è informato a criteri di progressività e tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. La norma appare richiamare il rispetto dei suddetti principi costituzionali che sarebbero stati vincolanti per il legislatore delegato anche in mancanza di un’espressa disposizione in tal senso.

 

La lettera l) del comma 2 pone il principio del superamento graduale, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica distinguendo il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e delle funzioni fondamentali di cui allo stesso articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione dalle altre funzioni.

Nella specie, il criterio della spesa storica dovrà essere sostituito dal criterio del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

Il richiamato articolo 117, secondo comma, della Costituzione fa riferimento alla lettera m) alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, mentre alla lettera p) è fatto riferimento tra l’altro alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane.

Il criterio della spesa storica dovrà invece essere sostituito dal criterio della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni.

 

La lettera m) del comma 2 richiede che sia rispettato il riparto di competenze legislative fra Stato e regioni in tema di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato e di perequazione delle risorse finanziarie, mentre, ai sensi dello stesso articolo 117, comma 3, sono materie di legislazione concorrente l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

 

La lettera n) del comma 2 richiede che venga esclusa ogni doppia imposizione sul medesimo presupposto, salvo le addizionali previste dalla legge statale. In sede di esame referente presso il Senato sono state fatte salve anche le addizionali previste dalla legge regionale.

 

La lettera o) del comma 2 richiede che vi sia una tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio.

Tale correlazione dovrebbe risultare volta a favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e responsabilità amministrativa.

La stessa lettera o) del comma 2 pone il principio della continenza e responsabilità nell'imposizione di tributi propri da parte degli enti territoriali.

 

Ad una prima valutazione, il “principio di continenza” ha un contenuto che potrebbe non risultare agevolmente individuabile in fase di attuazione del principio medesimo nell'imposizione di tributi propri. Potrebbe perciò risultare opportuno specificarne ulteriormente gli elementi contenutistici.

 

La lettera p) del comma 2 riconosce gli ambiti che possono essere disciplinati dalla legge regionale per quanto concerne i presupposti non assoggettati ad imposizione statale.

La legge regionale può, innanzitutto, istituire tributi regionali e locali, potendo inoltre determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni, province e città metropolitane possono applicare nell'esercizio della propria autonomia.

Nel corso dell’esame presso il Senato, è stata aggiunta la possibilità per la legge regionale di valutare la modulazione delle accise sulla benzina, sul gasolio e sul gas di petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese con sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle concessioni di coltivazione di cui all'articolo 19 del d.lgs. 25 novembre 1996, n. 625.

 

Il richiamato articolo 19 del d.lgs. 25 novembre 1996, n. 625, recante l’attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, pone norme in materia di armonizzazione della disciplina sulle aliquote di prodotto della coltivazione.

 

La lettera q) del comma 2 chiede che sia riconosciuta alle regioni la facoltà di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali.

 

La lettera r) del comma 2 pone il principio dell’esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo.

E’ consentito allo Stato di effettuare tali interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali e quelli di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), del provvedimento in esame nel rispetto delle seguenti condizioni:

a)    previsione di un’adozione contestuale di misure per la compensazione integrale, da attuarsi mediante modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi;

b)    previa quantificazione finanziaria delle citate misure nella Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica prevista dall'articolo 5 del testo in esame.

 

Il richiamato articolo 7, comma 1, lettera b), nn. 1 e 2, fa riferimento ai tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni e alle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali.

 

La lettera s) del comma 2 richiede che nell’accertamento e nella riscossione siano assicurate modalità efficienti di accreditamento diretto o di riversamento automatico di quanto riscosso, dovendosi prevedere che i tributi erariali compartecipati siano integralmente contabilizzati nel bilancio statale, mentre la lettera t) del comma 2 richiede che sia assicurata agli enti titolari del tributo la possibilità di utilizzare in via diretta le banche di dati utili alle necessarie attività di gestione amministrativa e contabile. In sede di esame referente presso il Senato il principio di delega è stato integrato richiedendosi l’altro il rispetto della normativa a tutela della riservatezza dei dati personali, che, in mancanza di abrogazione espressa, avrebbe dovuto comunque essere osservata, considerata anche la valenza costituzionale del diritto che tende a tutelare.

 

La lettera u) del comma 2 richiede che vadano premiati i comportamenti virtuosi ed efficienti nell'esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica.

Corrispettivamente, il principio di delega richiede che vengano previsti meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

Infine, lo stesso principio di delega è stato integrato in sede di esame referente presso il Senato richiedendosi che vengano previste specifiche modalità mediante le quali il Governo adotta misure sanzionatorie:

a)    nel caso in cui la regione o l'ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l'esercizio delle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione;

b)    nel caso in cui gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all'articolo 17 del presente provvedimento abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche.

Le misure sanzionatorie possono giungere fino all'esercizio da parte del Governo del potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria.

 

Il richiamato articolo 120, comma 2, della Costituzione prevede che il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. E’ demandata alla legge la definizione delle procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione. Il richiamato articolo 8 della legge n. 131 del 2003, recante appunto l’attuazione dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo, prevede in generale che, nei casi e per le finalità previsti dallo stesso articolo 120, secondo comma, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

 

La lettera v) del comma 2, inserita nel corso dell’esame in sede referente presso il Senato, richiede che si preveda che anche nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, così come predefiniti ai sensi della lettera h), si applichino le sanzioni di cui alla sopra esaminata lettera u) a carico degli enti inadempienti.

Si segnala che ulteriori criteri direttivi in materia di meccanismi premiali e sanzionatori sono previsti anche all’articolo 16, comma 1, lettera e) del ddl in esame.

 

La lettera z) del comma 2 pone il principio della garanzia, nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni da attribuire alle regioni e agli enti locali, del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale.

I tributi e le compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, dovranno essere composti in misura rilevante da tributi manovrabili.

Nel corso dell’esame in sede referente presso il Senato si è specificato che si dovrà determinare un adeguato grado di autonomia di entrata, derivante da tali tributi, per ciascun livello di governo.

 

La lettera aa) del comma 2 richiede che si debba prevedere una adeguata flessibilità fiscale, la quale dovrebbe rispondere alle seguenti caratteristiche:

-          articolazione su più tributi;

-          con una base imponibile stabile;

-          con una base imponibile distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale.

Secondo il principio di delega, una tale base imponibile dovrà consentire a tutti gli enti territoriali, compresi quelli a più basso potenziale fiscale, di finanziare il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali.

 

La lettera bb) del comma 2 richiede che sia assicurata la trasparenza e l’efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, in modo tale da garantire l'effettiva attuazione dei princìpi di efficacia, efficienza ed economicità di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b).

La richiamata disposizione di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b) stabilisce che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica deve proporre criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza, verificandone l'applicazione.

 

La lettera cc) del comma 2 richiede che l’imposizione fiscale dello Stato venga ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali che verrà calcolata ad aliquota standard.

Alla più ampia autonomia di entrata degli enti territoriali dovrà corrispondere anche una riduzione delle risorse umane e strumentali attualmente utilizzate dallo Stato.

Sempre la lettera cc) del comma 2 richiede che vengano eliminate dal bilancio statale le previsioni di spesa dirette al finanziamento delle funzioni attribuite agli enti territoriali. Non dovranno essere tuttavia eliminate dal bilancio dello Stato le voci di spesa riferite al finanziamento dei fondi perequativi e delle risorse per gli interventi previsti dall'articolo 119, comma quinto, della Costituzione.

 

La lettera dd) del comma 2 richiede che la disciplina dei tributi locali venga definita in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale.

 

Si ricorda che l’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione, stabilisce che lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

 

Prima dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha modificato nel senso sopra ricordato l’articolo 118 della Costituzione, il principio era stato espressamente richiamato dall’articolo 4, comma 3, della legge n. 59 del 1997 (prima “legge Bassanini”), secondo il quale il conferimento di funzioni agli enti territoriali deve osservare, tra gli altri, “il principio di sussidiarietà, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”. Il Testo Unico sugli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 3, quinto comma) stabilisce che “i Comuni e le Province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”.

 

L’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale dovrebbe comportare che tutti gli enti pubblici rappresentativi, elencati nell’articolo 118, comma 4, Costituzione nel momento in cui decidono di tutelare un diritto sociale dovrebbero preferire l’azione dei cittadini singoli o associati e solo dopo aver accertato la necessità di un intervento pubblico possono attribuire a sé o ad altro ente rappresentativo la tutela di quel diritto.

 

Considerato che sulla base della vigente normativa, come ora riepilogata, il principio di sussidiarietà orizzontale attiene all’ assolvimento dei compiti ed alla prestazione di servizi da parte degli enti territoriali, potrebbero essere opportune ulteriori indicazioni in ordine alle modalità con cui il principio medesimo potrà trovare valorizzazione nella disciplina dei tributi locali.

 

La lettera ee) del comma 2 pone il principio della territorialità dei tributi regionali e locali e dei gettiti delle compartecipazioni, mentre la lettera ff) del comma 2 richiede che vi sia una corrispondenza - seppure solo tendenziale - tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle proprie risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico. Si richiede inoltre il conferimento ai diversi livelli di governo, tramite appositi strumenti, di autonomia nella gestione della contrattazione collettiva.

 

La lettera gg) del comma 2 pone il principio della certezza delle risorse e della stabilità tendenziale del quadro di finanziamento complessivo, in misura corrispondente alle funzioni attribuite, mentre la lettera hh) del comma 2 richiede che siano individuate di forme di fiscalità di sviluppo. Ciò dovrà avvenire in conformità con il diritto comunitario e con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa.

 


 

Articolo 2, commi 3-7
(Procedura di adozione dei decreti legislativi)

 


3. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con gli altri Ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti. Gli schemi di decreto legislativo, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono trasmessi alle Camere perché su di essi sia espresso il parere della Commissione di cui all'articolo 3 e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, entro sessanta giorni dalla trasmissione. In mancanza di intesa nel termine di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Consiglio dei ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per cui l'intesa non è stata raggiunta.

4. Decorso il termine per l'espressione dei pareri di cui al comma 3, i decreti possono essere comunque adottati. Il Governo, se non intende conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, per l'espressione di un nuovo parere da parte delle Commissioni di cui al comma 3. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.

5. Il Governo assicura, nella predisposizione dei decreti legislativi di cui al comma 1, piena collaborazione con le regioni e gli enti locali, anche al fine di condividere la definizione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni e la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard.

6. Almeno uno dei decreti legislativi di cui al comma 1 è adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Contestualmente all'adozione del primo schema di decreto legislativo, il Governo trasmette alle Camere, in allegato a tale schema, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.

7. Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e con la procedura di cui ai commi 3 e 4.


 

 

I commi da 3 a 7 dell’articolo in esame recano la procedura di adozione dei decreti legislativi[2] che il Governo, ai sensi del comma 1, è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, per l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione (sul termine v. infra quanto disposto dal successivo comma 6).

 

Il comma 3 prevede che i decreti legislativi siano adottati su proposta del ministro dell’economia e delle finanze, del ministro per le riforme per il federalismo, del ministro per la semplificazione normativa, del ministro per i rapporti con le regioni e del ministro per le politiche europee, di concerto con il ministro dell’interno, con il ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e con gli altri ministri volta a volta competenti nelle materie oggetto di tali decreti.

Gli schemi di decreto legislativo, adottati previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono successivamente trasmessi alle Camere affinché su di essi sia espresso il parere della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, di cui al successivo articolo 3, nonché delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario. Gli organismi parlamentari sono chiamati a esprimersi entro sessanta giorni dalla trasmissione dei testi. Decorso il termine di sessanta giorni, senza che la Commissione bicamerale e le commissioni competenti per gli aspetti finanziari si siano pronunciate, il Governo può comunque adottare i decreti.

In merito alla procedura di consultazione delle regioni e delle autonomie, il testo licenziato dal Senato, rinviando all’art. 3 del D.Lgs. 281/1997[3], indica che l’intesa da raggiungersi in sede di Conferenza unificata non deve essere considerata presupposto necessario e vincolante per l’esercizio del potere delegato da parte del Governo. Il comma in parola prevede infatti che, in mancanza di intesa, e trascorsi trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza in cui i decreti legislativi siano posti all’ordine del giorno, il Consiglio dei ministri può comunque deliberare, approvando allo stesso tempo una relazione in cui vengano motivate le ragioni per cui l’intesa non è stata raggiunta. Tale relazione viene trasmessa alle Camere.

 

Il successivo comma 4 definisce ulteriormenteil percorso attuativo dei decreti, disciplinando il meccanismo del c.d. secondo parere. Come indicato al comma 3, gli organismi parlamentari competenti esprimono il parere sugli schemi di decreto entro sessanta giorni, ma qualora il Governo non intenda conformarsi alle indicazioni in essi contenute, deve ritrasmette i testi alle Camere con le osservazioni e le eventuali modifiche, affinché gli stessi organismi precedentemente previsti, esprimano un nuovo parere. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Tale meccanismo innalza a novanta giorni il periodo temporale massimo dedicato all’esame parlamentare dei decreti, consentendo un ulteriore confronto e approfondimento delle diverse posizioni da parte dei soggetti istituzionali coinvolti.

Negli ultimi anni è stata posta particolare attenzione al coinvolgimento del Parlamento nella fase di elaborazione degli schemi di decreti legislativi, almeno in relazione ai processi di delega di maggiore impatto. A partire dalla legge 7 aprile 2003, n. 80, recante delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, è stato previsto, per alcune deleghe, un procedimento particolarmente complesso per l’adozione dei relativi decreti legislativi di attuazione: in questi casi, il Governo, dopo aver acquisito i pareri di altri organismi previsti dalla legge di delega (ad es. la Conferenza Stato-Regioni) e delle Camere, ritrasmette i testi, con le proprie osservazioni e con le eventuali modificazioni, alla Conferenza Stato-Regioni ed alle Camere per il parere definitivo. Nella XV Legislatura il ricorso a tale procedura è stato previsto per la Legge comunitaria 2006 e 2007, per la L. 77/2007[4] e per la L. 247/2007[5], Attuazione del Protocollo sul welfare.

Il meccanismo del “doppio parere” è previsto in via generale dalla L. 400/1988 (art. 14, co. 4) per tutte le deleghe la cui durata superi i due anni.

 

La disposizione andrebbe coordinata con quanto stabilito dal comma 4 dell’articolo 3 relativamente alla concessione, su richiesta, di una proroga di venti giorni alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale per l’adozione del parere di sua competenza (in proposito v. infra la scheda di lettura sull’articolo 3).

L’ultimo periodo del comma 4 assicura una maggiore partecipazione delle autonomie all’esame parlamentare dei decreti delegati. Al termine dell’iter parlamentare relativo alla procedura di adozione dei decreti, il Governo infatti, qualora, anche a seguito dei pareri parlamentari, intenda discostarsi dall’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, deve trasmettere alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione in cui siano indicate le motivazioni per il possibile esito difforme rispetto all’intesa precedentemente raggiunta.

 

Il comma 5, disponendo che il Governo fornisce piena collaborazione alle regioni e agli enti locali nella fase di predisposizione dei decreti, presuppone il coinvolgimento delle autonomie attraverso una modalità diversa e ulteriore rispetto a quella dell’intesa già prevista al comma 3. Tale collaborazione viene ritenuta utile anche per giungere a una definizione condivisa di nodi attuativi centrali, quali i livelli essenziali delle prestazioni e la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard.

 

Il comma 6 prevede che almeno uno dei decreti attuativi sia adottato entro dodici mesi dall’entrata in vigore del testo in esame, articolando pertanto il termine della delega, fissato al comma 1 in ventiquattro mesi. Contestualmente si dispone che, in allegato allo schema del primo decreto, il Governo trasmetta alle Camere una relazione tecnica contenente dati che illustrino le implicazioni e le ricadute di carattere finanziario che conseguiranno all’attuazione delle norme. In particolare, la relazione fornirà il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e le ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse.

La previsione del comma 6 acquista particolare rilievo poiché risponde all’esigenza, emersa nel corso del dibattito parlamentare, di poter disporre in tempi intermedi, dei dati sull’impatto economico del federalismo fiscale così come delineato dal testo in esame.

Nel suo intervento al Senato, il 21 gennaio 2009, il ministro dell’economia e delle finanze Tremonti ha sottolineato la difficoltà di fornire ex ante dati relativi al calcolo della copertura della legge delega, rinviando quest’ultima, per l’effetto economico, agli effetti propri dei decreti attuativi. Al proposito, il ministro rinvia alla necessità di disporre di dati tecnici omogenei, ovvero condivisi da tutti i soggetti coinvolti – Governo, Regioni, Province e Comuni – chiamati a tal fine a partecipare ad una neo costituita data room, una sede istituzionale di elaborazione, con rappresentanti tecnici del Governo, della Ragioneria dello Stato, dell’Agenzia delle Entrate, dell’ISTAT, dell’ISAI e della Banca d’Italia.

 

Il comma 7 prevede infine che, entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi che il Governo, ai sensi del comma 1, è delegato ad adottare per l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione, possano essere adottati, con la procedura illustrata nei commi 3 e 4 dell’articolo in esame, decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive degli stessi, purché rispondenti ai criteri e principi direttivi presenti nel testo in esame.

 


 

Articolo 3
(Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale)

 


1. È istituita la Commissione parla­mentare per l'attuazione del federalismo fiscale, composta da quindici senatori e da quindici deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. La composizione della Commis­sione deve rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari anche dopo la sua costituzione. La Commissione elegge tra i propri componenti un presidente, due vicepresidenti e due segretari, che formano l'ufficio di presidenza. La Commissione si riunisce per la sua prima seduta entro venti giorni dalla nomina dei suoi componenti, per l'elezione dell'ufficio di presidenza.

2. La Commissione assicura il raccordo con le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni, avvalendosi a tal fine della consultazione di un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali, nominato dalla componente rappresentativa delle regioni e degli enti locali nell'ambito della Conferenza unificata. Esso è composto da dodici membri di cui sei in rappresentanza delle regioni, due in rappresentanza delle province e quattro in rappresentanza dei comuni.

3. La Commissione:

       a) esprime i pareri sugli schemi dei decreti legislativi di cui all'articolo 2;

       b) verifica lo stato di attuazione di quanto previsto dalla presente legge e ne riferisce ogni sei mesi alle Camere fino alla conclusione della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20. A tal fine può ottenere tutte le informazioni necessarie dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 o dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5.

4. La Commissione può chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero di schemi trasmessi nello stesso periodo all'esame della Commissione. Con la proroga del termine per l'espressione del parere si intende prorogato di venti giorni anche il termine finale per l'esercizio della delega.

5. La Commissione è sciolta al termine della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20.


 

 

Le disposizioni di cui agli articoli da 3 a 5 istituiscono un sistema di nuovi organi ai quali viene attribuito il compito di presiedere, sia a livello tecnico-operativo, sia consultivo-politico, al processo di attuazione della delega sul federalismo fiscale.

Gli organi, collocati in una posizione intermedia tra le istituzioni coinvolte in tale processo (Parlamento, Governo e livelli di governo territoriali), sono i seguenti:

§      Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3);

§      Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 4);

§      Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 5).

Gli articoli citati prefigurano una complessa rete di interrelazioni tra questi organi secondo cui, in particolare, la Commissione parlamentare può avvalersi della Commissione tecnica paritetica e della Conferenza permanente ai fini della verifica dello stato di attuazione della riforma; la Commissione tecnica a sua volta è chiamata a svolgere le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto; le Camere possono richiedere informazioni e dati di carattere finanziario e tributario alla Commissione tecnica paritetica; quest’ultima fornisce al Governo gli elementi conoscitivi per la predisposizione degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega.

 

L'articolo 3, introdotto nel corso dell'esame al Senato, è volto ad istituire un organismo consultivo a livello parlamentare, la Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, con il compito, da un lato, di pronunciarsi sugli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega e, dall’altro, di verificare lo stato di attuazione della riforma e di riferirne periodicamente alle Camere.

L'articolo va letto congiuntamente con le disposizioni di cui all'articolo 2, commi 3 e seguenti (per l’approfondimento dei quali, si veda supra), che disciplinano la fase consultiva del procedimento di normazione delegata.

 

Nella relazione illustrativa del testo trasmesso all’Assemblea del Senato (A.S. 1117-A) si evidenzia che l’istituzione della Commissione è stata prevista per soddisfare l’esigenza, segnalata anche dall’opposizione, di concentrare in un unico organo parlamentare la procedura per l’esame degli schemi di decreto legislativo, in modo da permettere alle Camere di verificare mediante un’accurata analisi i profili politici e tecnici delle scelte compiute dal Governo in sede di attuazione della delega.

 

Si ricorda che la materia dei rapporti tra Stato e regioni forma oggetto attualmente delle competenze della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

 

La Commissione parlamentare per le questioni regionali è prevista dall’articolo 126, primo comma, della Costituzione, e disciplinata dall’art. 52 della L. 62/1953 e dall’art. 32 della L. 775/1970.

La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3[6], di riforma del Titolo V della Parte II Costituzione, nel ridefinire l’insieme dei rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali ha introdotto una disposizione di natura transitoria (art. 11), con la quale si stabilisce che, sino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione (quelle riguardanti il Parlamento), i regolamenti della Camera e del Senato possono prevedere la partecipazione alla Commissione parlamentare per le questioni regionali di rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali. La medesima norma, al comma 2, detta inoltre una particolare disciplina degli effetti sul procedimento legislativo dei pareri resi dalla Commissione così integrata su alcune tipologie di progetti di legge. Ai sensi di quest’ultima disposizione, quando un progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell’art. 117 (quelle di legislazione concorrente) e all’art. 119 (in materia di autonomia finanziaria di regioni, province e comuni) della Costituzione contenga disposizioni sulle quali la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata ai sensi del comma 1 dell’art. 11, abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionato all’introduzione di modificazioni specificamente formulate, e la Commissione che ha svolto l’esame in sede referente non vi si sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto di legge l’Assemblea deve deliberare a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

La previsione di cui all’art. 11 della legge costituzionale di riforma del Titolo V non ha trovato attuazione.

 

La Commissione, ai sensi del comma 1, è composta esclusivamente da parlamentari: quindici senatori nominati dal Presidente del Senato e quindici deputati nominati dal Presidente della Camera, in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari anche dopo la sua costituzione.

Quest’ultima precisazione, nell’intento dei proponenti, è volta a garantire il rispetto del principio di proporzionalità tra maggioranza e opposizione nella composizione della Commissione per l’intero arco della legislatura.

Su questo punto si è svolto al Senato un approfondito dibattito[7], nel corso del quale è stata peraltro sollevata da parte di alcuni la questione del contemperamento dell’esigenza della continuità dell’equilibrio della rappresentanza all’interno della Commissione con quella, costituzionalmente garantita, del divieto di mandato imperativo.

 

La Commissione elegge tra i propri componenti un presidente, due vicepresidenti e due segretari, i quali formano l’Ufficio di presidenza, eletto nella prima seduta della Commissione, che deve tenersi entro 20 giorni dalla nomina dei componenti.

 

Il comma 2 stabilisce che la Commissione assicura (da intendersi come: “deve assicurare”) il raccordo con le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni attraverso la consultazione di un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali.

Accanto alla Commissione composta soltanto da parlamentari, viene pertanto istituito un organismo tecnico, del tutto separato dal Parlamento, cui partecipano rappresentanti delle autonomie territoriali. L’inserimento del Comitato nel processo di attuazione del federalismo fiscale costituisce una novità rispetto al precedente offerto dalla Commissione parlamentare per la riforma amministrativa.

Quest’ultima è stata istituita dall’art. 5 della L. 59/1997[8] (c.d. “legge Bassanini”), con il compito di esprimere i pareri sugli schemi di decreto legislativo previsti dalla stessa legge e concernenti il processo di trasferimento di funzioni e compiti dello Stato alle regioni ed enti locali (c.d. federalismo amministrativo) e la riforma amministrativa e di verificarne periodicamente lo stato di attuazione.

 

Innovativamente, la disposizione in esame prevede che, attraverso il Comitato, si instauri un contatto diretto e stabile tra il Parlamento e i rappresentanti delle autonomie territoriali.

I componenti del Comitato sono dodici: sei in rappresentanza delle Regioni, due delle Province, quattro dei Comuni (non è espressamente prevista la designazione di membri da parte delle istituende Città metropolitane).

I componenti sono nominati non dalla Conferenza unificata nel suo complesso, ma dalla “componente rappresentativa delle Regioni e degli enti locali” nel suo ambito.

L'espressione – che appare atipica a livello di legislazione primaria – potrebbe essere riferita al ruolo dei rappresentanti di ciascun livello territoriale nella Conferenza che, in questo caso, effettuerebbe la nomina non in quanto unificata, ma attraverso le sue singole componenti.

Per quanto riguarda la sua composizione, il Comitato viene ad essere rappresentativo degli organi esecutivi degli enti territoriali, e non anche di quelli legislativi, in quanto il comma 2 dell’articolo in esame fa riferimento, quanto ai componenti del nuovo organismo, alla Conferenza unificata di cui all’art. 8 del D.Lgs. 281/1997[9] e quindi sostanzialmente ai presidenti delle regioni, ai presidenti dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia – ANCI, dell'Unione province d'Italia – UPI e dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani – UNCEM, ai quattordici sindaci designati dall'ANCI e ai sei presidenti di provincia designati dall'UPI.

La Conferenza unificata è anche parte dell'intesa di cui all'art. 2, co. 3, che costituisce una delle fasi del procedimento di emanazione degli schemi di decreto legislativo attuativi del federalismo fiscale; essa inoltre rappresenta l’ambito operativo della Commissione tecnica di cui all'art. 4 (comma 4) e l’ambito istitutivo della Conferenza permanente di cui all'art. 5 (comma 1).

 

Il comma 3 attribuisce alla Commissione parlamentare due tipi di competenza:

§      ad esprimere i pareri sugli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 2 (articolo che, come detto, contiene la puntuale disciplina della procedura consultiva prevista: in particolare la Commissione in esame può essere chiamata a esprimere, eventualmente, un doppio parere – vedi supra);

§      a verificare lo stato di attuazione di quanto previsto dal testo normativo in esame e a riferirne ogni sei mesi alle Camere, fino alla conclusione della fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20 (momento che, ai sensi del comma 5, determinerà lo scioglimento della Commissione).

Al fine della verifica sullo stato di attuazione la Commissione può ottenere tutte le informazioni che ritenga necessarie, sia dalla Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3), sia dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (art. 4).

 

Ai sensi del comma 4, la Commissione può chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di 20 giorni per l’adozione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia e per il numero di schemi trasmessi nello stesso periodo all’esame della Commissione.

Ai fini del coordinamento del testo, si segnala che:

§      stante la formulazione attuale, sembra potersi ritenere che la proroga del termine può essere richiesta soltanto dalla Commissione di cui all’art. 3 in esame, e non anche dalle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario (art. 2, comma 4);

§      la richiesta di proroga può essere avanzata nel caso in cui la materia oggetto degli schemi di decreto legislativo sia particolarmente complessa oppure quando si verifichi l’assegnazione contemporanea alla Commissione per l’espressione del parere di un elevato numero di atti e non anche, come in altri casi è stato previsto[10], quando lo schema di decreto sia presentato in prossimità della scadenza del termine per l’esercizio della delega;

§      sembrerebbe che la proroga si applichi sia al primo sia al secondo dei pareri previsti dall’art. 2, commi 3 e 4, per i quali il termine è rispettivamente di 60 giorni e di 30 giorni. La disposizione di cui al comma 4 in esame andrebbe peraltro coordinata con quella di cui al comma 4 dell’art. 2, che autorizza il Governo ad adottare comunque in via definitiva i decreti una volta decorsi trenta giorni dalla trasmissione dello schema (senza alcun richiamo all'ipotesi di richiesta o concessione di proroga).

Con la proroga del termine per l’adozione del parere, si intende prorogato di venti giorni anche il termine finale per la delega.

 

Il comma 5 dispone infine l’automatico scioglimento della Commissione in coincidenza con la conclusione della fase transitoria prevista dagli articoli 19 e 20 del testo in esame (al cui commento si rinvia).

L’esatta durata della fase transitoria è rimessa ai decreti legislativi di cui agli articoli citati e non è pertanto prevedibile.

 


 

Articolo 4
(Commissione tecnica paritetica per l’attuazione
del federalismo fiscale)

 


1. Al fine di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione dei contenuti dei decreti legislativi di cui all'articolo 2, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è istituita, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, una Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, di seguito denominata «Commissione», formata da trenta componenti e composta per metà da rappresentanti tecnici dello Stato e per metà da rappresentanti tecnici degli enti di cui all'articolo 114, secondo comma, della Costituzione. Partecipano alle riunioni della Commissione un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e uno del Senato della Repubblica, designati dai rispettivi Presidenti, nonché un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle province autonome, designato d'intesa tra di loro nell'ambito della Conferenza dei presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome di cui agli articoli 5, 8 e 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11. Gli oneri relativi sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati.

2. La Commissione è sede di condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie, promuove la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi e svolge attività consultiva per il riordino dell'ordinamento finanziario di comuni, province, città metropolitane e regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative. A tale fine, le amministrazioni statali, regionali e locali forniscono i necessari elementi informativi sui dati finanziari e tributari.

3. La Commissione adotta, nella sua prima seduta, da convocare entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, la tempistica e la disciplina procedurale dei propri lavori.

4. La Commissione opera nell'ambito della Conferenza unificata e svolge le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza di cui all'articolo 5 a decorrere dall'istituzione di quest'ultima. Trasmette informazioni e dati alle Camere, su richiesta di ciascuna di esse.


 

 

L’articolo 4 dispone l’istituzione di un organismo tecnico, denominato Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale,con il compito, in primo luogo, di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per la predisposizione, da parte del Governo, degli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega in materia di federalismo fiscale.

La Commissione tecnica, ai sensi del comma 1, è istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame; peraltro, il successivo comma 4 stabilisce che essa opera nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali.

Dalla formulazione dei commi e dal precedente articolo 3 si ricava che la Commissione tecnica si caratterizza per la sua competenza strettamente tecnica in materia di finanza pubblica e per la sua natura di organo consultivo del Governo, del Parlamento e di tutti gli enti territoriali coinvolti nel processo di attuazione del federalismo fiscale.

La Commissione tecnica paritetica si pone con il Parlamento in rapporto diretto, e non mediato attraverso il Governo: secondo quanto previsto dal comma 4 dell’articolo in esame, le Camere possono richiedere direttamente all’organismo tecnico tutte le informazioni e dati che ritengano utili. Inoltre, la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale può disporre delle informazioni della Commissione tecnica paritetica (e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica) ai fini della verifica dello stato di attuazione della riforma (si veda in tal senso l’articolo 3, comma 3, lettera b)).

Parimenti, la Commissione paritetica svolge attività consultiva ai fini del riordino dell’ordinamento finanziario degli enti territoriali ed opera quale segreteria tecnica della Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie.

 

Il comma 1 definisce la composizione della Commissione tecnica; di essa fanno parte 30 componenti, dei quali:

§      15 rappresentanti tecnici dello Stato;

§      15 rappresentanti tecnici degli enti territoriali (individuati mediante richiamo dell’art. 114, secondo comma, Cost.: Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni).

L’espressione “rappresentanti tecnici” appare suscettibile di interpretazioni non univoche. Non risulta in particolare chiaro se essi siano necessariamente dipendenti delle amministrazioni pubbliche oppure se possano anche essere soggetti esterni, da queste designati.

Stante il carattere paritetico, la Commissione prevede una presenza della componente di nomina governativa numericamente equivalente a quella delle autonomie territoriali.

 

Nel testo iniziale del disegno di legge era previsto un numero eguale di rappresentanti per ciascun livello di governo. L’attuale formulazione conferisce uno spazio relativamente maggiore ai rappresentanti tecnici dello Stato.

 

Il comma 1 prevede inoltre la partecipazione alle riunioni di un rappresentante tecnico della Camera dei deputati e di uno del Senato, nominati dai rispettivi Presidenti, e di un rappresentante tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle Province autonome, designato d’intesa tra di loro nell’ambito della Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome.

Pertanto, i rappresentanti tecnici dei due rami del Parlamento e quello delle assemblee legislative regionali e provinciali non sono componenti a pieno titolo dell’organismo, ma soggetti legittimati a “partecipare alle riunioni” dello stesso, con una ampiezza di funzioni che non appare definita in dettaglio.

I rappresentanti delle Regioni sono già presenti nella composizione ordinaria ai sensi del primo periodo del comma 1; nel caso previsto dal secondo periodo del medesimo comma, si tratta di un rappresentante non dell’ente Regione nel suo complesso, ma degli organi elettivi delle stesse.

Gli oneri sono posti a carico dei soggetti istituzionali rappresentati.

 

Il comma 2 specifica in dettaglio i compiti della Commissione, che è chiamata a:

§      operare quale sede di condivisione delle basi informative finanziarie e tributarie, formate avvalendosi degli elementi informativi forniti dalle amministrazioni statali, regionali e locali;

§      promuovere la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi;

§      svolgere attività consultiva per il riordino dell’ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative.

 

Il comma 3 demanda ad un’autonoma determinazione della stessa Commissione, che deve essere convocata entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore del D.P.C.M. istitutivo, la definizione della tempistica e della disciplina procedurale dei lavori dell’organismo.

 

Il comma 4 individua nella Conferenza unificata l’ambito operativo della Commissione tecnica paritetica e attribuisce all’organismo le funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, istituita dal successivo articolo 5 del disegno di legge (sul quale si veda la relativa scheda di lettura).

 


 

Articolo 5
(Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 prevedono l'istituzione, nell'ambito della Conferenza unificata, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica come organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica, di seguito denominata «Conferenza», di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo, e ne disciplinano il funzionamento e la composizione, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento; concorre alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e promuove l'attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi; verifica la loro attuazione ed efficacia; avanza proposte per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi; vigila sull'applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento;

       b) la Conferenza propone criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo princìpi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l'applicazione;

       c) la Conferenza verifica l'utilizzo dei fondi per gli interventi di cui all'articolo 15;

       d) la Conferenza assicura la verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario di comuni, province, città metropolitane e regioni, ivi compresa la congruità di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d); assicura altresì la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo e l'adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema;

       e) la Conferenza verifica la congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali;

       f) la Conferenza si avvale della Commissione di cui all'articolo 4 quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie; a tali fini, è istituita una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio;

       g) la Conferenza verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard e promuove la conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati all'attuazione delle norme sul federalismo fiscale, oggetto di confronto e di valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata.

2. Le determinazioni della Conferenza sono trasmesse alle Camere.


 

 

L’articolo 5, al comma 1 demanda ai decreti legislativi di cui all’art. 2 l’istituzione, nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

Essa svolge la funzione di organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica. Di essa, infatti, fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo.

L’articolo, al comma 1, lettere a)-g), detta i principi e i criteri direttivi relativi al funzionamento della Conferenza, attribuendole le competenze che seguono.

§      La prima di esse è essenzialmente riconducibile al patto di stabilità interno: la Conferenza infatti concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto: in tale ambito, la Conferenza esercita compiti di proposta, ma anche di monitoraggio e di verifica (lett. a).

La Conferenza, in particolare, promuove gli interventieventualmente necessari per il rispetto degli stessi obiettivi. Avanza proposte perla determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi; del pari, vigila sia sul rispetto dei meccanismi di premialità, che dei meccanismi sanzionatori per il mancato rispetto degli obiettivi.

In tali termini, la Conferenza permanente si pone quale soggetto compartecipe con il Governo all’attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica enunciati nell’articolo 16 del disegno di legge in esame (cfr. scheda di lettura relativa).

La Conferenza si pone altresì quale organo di supporto alla Conferenza Unificata e allo stesso Governo nell’esercizio delle funzioni indicate nell’articolo 17 del disegno di legge in esame, essendole specificamente attribuita la competenza alla verifica periodica della realizzazione del percorso di convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli istituzionali, e la promozionedella conciliazione dei relativi interessi, che saranno oggetto di valutazione in sede di Conferenza Unificata (lett. g).

§       Il secondo ambito di competenza consiste nella verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali, compresa la verifica sulla congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard relativo alle “spese essenziali” delle Regioni di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d).

 

Si ricorda, in proposito, che tale verifica di congruità da parte della Conferenza dovrà essere effettuata secondo le modalità che saranno stabilite dai decreti legislativi di attuazione della delega, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lettera d), alla cui scheda di lettura si rinvia.

 

In via più generale, la Conferenza assicura la verifica delle relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo e l'adeguatezza delle risorse di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti (lett. d).

Sempre in tale ambito rientra la competenza della Conferenza di proporre criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi – secondo principi di efficienza efficacia e trasparenza – e nella verifica circa la loro applicazione(lett. b).

Data la formulazione della norma, tale competenza della Conferenza riguarda dunque sia il fondo perequativo a favore delle regioni – i cui principi e criteri direttivi per la sua istituzione sono fissati dall’articolo 9 del disegno di legge in esame (cfr. scheda di lettura relativa) – sia i fondi perequativi a favore dei Comuni e a favore delle province e delle città metropolitane, i cui criteri direttivi per la istituzione sono fissati all’articolo 13 (cfr. scheda di lettura relativa).

§      La Conferenza, altresì, verifica il corretto utilizzo dei fondi per gli interventi speciali di cui all’articolo 15 del disegno di legge (lett. c) (vedi scheda di lettura relativa).

§      La Conferenza, infine, verifica la congruità dei dati e delle basi informative finanziarie e tributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali (lett. e).

§      Ai fini dello svolgimento delle operazioni istruttorie e di supporto necessarie alla sua attività, La Conferenza si avvale della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, organismo di cui l’articolo 4 del disegno di legge prevede l’istituzione presso il Ministero dell’economia e finanze. Tale organismo funge da segreteria tecnica della Conferenza permanente (lett. f).

 

Inoltre, ai sensi dell’articolo 2 del disegno di legge, recante i principi generali su cui si fonda l’impianto di delega, le Conferenza permanente è altresì competente alla quantificazione finanziaria degli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali, sugli interventi riguardanti i tributi propri derivati delle regioni e sulle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali (cfr. più diffusamente, la scheda di lettura relativa all’articolo 2). Tali interventi, infatti sono ammessi solo previa quantificazione da parte della Conferenza, e solo laddove lo Stato adotti misure per la loro completa compensazione.

 

 

Il comma 2 dispone che tutte le determinazioni della Conferenza siano trasmesse alle Camere.

 

Si ricorda, in questa sede, che lo Stato intrattiene con le regioni e con il sistema delle autonomie locali un rapporto di cooperazione basato sul confronto e la negoziazione politica attraverso le Conferenze permanenti Stato-regioni, Stato-città-autonomie locali e la Conferenza unificata.

La Conferenza unificata è disciplinata dal D.Lgs. 281/1997[11], il cui articolo 8 stabilisce che la Conferenza Stato-città è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni. Della Conferenza unificata fanno parte i componenti della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali[12] e della Conferenza Stato-Regioni[13]. Il Presidente del Consiglio convoca la Conferenza Unificata e la presiede, salvo che deleghi il Ministro per gli affari regionali, ovvero il Ministro dell’Interno.

La Conferenza svolge funzioni consultive, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri, designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle Regioni, alle Province, ai Comuni e alle Comunità montane.

Essa è comunque competente in tutti i casi in cui regioni, province, comuni e comunità montane ovvero la Conferenza Stato - regioni e la Conferenza Stato - città ed autonomie locali debbano esprimersi su un medesimo oggetto. In particolare, ad essa è attribuita l'espressione del parere sul disegno di legge finanziaria, sui disegni di legge collegati e sul documento di programmazione economica e finanziaria.

È consultata anche sulle linee generali delle politiche del personale pubblico e sui processi di riorganizzazione e mobilità del personale connessi al conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali.

La Conferenzasvolge inoltre attività di raccordo, in quanto può promuovere e sancire intese ed accordi tra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità montane al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune[14].

Assicura lo scambio di dati e informazioni tra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità montane anche attraverso l'approvazione di protocolli d'intesa tra le Amministrazioni centrali e locali ed esprime gli indirizzi per l'attività dell'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali.

Il Presidente del Consiglio può sottoporre al suo esame, anche su richiesta delle autonomie regionali e locali, ogni altro oggetto di preminente interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane.

Numerose altre funzioni sono state in seguito attribuite alla Conferenza unificata da specifiche disposizioni.

Ferma restando la necessità dell'assenso del Governo per l'adozione delle deliberazioni della Conferenza unificata, l'assenso delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle Comunità montane è acquisito con il consenso distinto dei membri dei due gruppi delle autonomie che compongono rispettivamente la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Città e autonomie locali. Di regola l'assenso è espresso all'unanimità dei membri dei due predetti gruppi e, qualora non si è raggiunto, dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuno dei due gruppi.

 


 

Articolo 6
(Compiti della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria)

 

1. All'articolo 2, primo comma, della legge 27 marzo 1976, n. 60, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché il compito di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali».

 

 

L’articolo 6 amplia le competenze della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, affidando a quest’ultima il compito ulteriore di effettuare indagini conoscitive e ricerche sulla gestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali.

 

Nel dettaglio, la disposizione aggiunge una frase alla fine dell’articolo 2, comma 1 della legge 27 marzo 1976, n. 60[15].

 

Si ricorda che la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria (articolo 2 della citata legge n. 60 del 1976), è composta di undici membri designati dai Presidenti delle due Camere. Essa (articolo 2-bis) effettua indagini e ricerche, tramite consultazioni e audizioni di organismi nazionali e internazionali, per valutare l'impatto delle soluzioni tecniche sugli intermediari incaricati di svolgere servizi fiscali tra contribuenti e amministrazioni, ed esprime un parere sulle attività svolte annualmente dall'anagrafe tributaria e sugli obbiettivi raggiunti nel corso dell'anno.

 


 

Articolo 7
(Princıpi e criteri direttivi relativi ai tributi delle regioni e alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano i tributi delle regioni, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) le regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito dei tributi erariali in grado di finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie che la Costituzione attribuisce alla loro competenza residuale e concorrente;

       b) per tributi delle regioni si intendono:

                   1) i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni;

                   2) le aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali;

                   3) i tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale;

       c) per una parte dei tributi di cui alla lettera b), numeri 1) e 2), le regioni, con propria legge, possono modificare le aliquote nei limiti massimi di incremento stabiliti dalla legislazione statale; possono altresì disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, nel rispetto della normativa comunitaria. Sono fatti salvi gli elementi strutturali dei tributi stessi, la coerenza con la struttura di progressività del singolo tributo erariale su cui insiste l'aliquota riservata e la coerenza con il principio di semplificazione e con l'esigenza di standardizzazione necessaria per il corretto funzionamento della perequazione;

       d) le modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato e delle compartecipazioni ai tributi erariali sono definite in conformità al principio di territorialità. A tal fine, le suddette modalità devono tenere conto:

                   1) del luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi; per i servizi, il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale;

                   2) della localizzazione dei cespiti, per i tributi basati sul patrimonio;

                   3) del luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla produzione;

                   4) della residenza del percettore, per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche;

                   5) delle modalità di coinvol­gimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di lotta all'evasione ed all'elusione fiscale;

       e) il gettito dei tributi regionali derivati e le compartecipazioni al gettito dei

tributi erariali sono senza vincolo di destinazione.


 

 

L’articolo 7 reca disposizioni concernenti i principi e i criteri direttivi cui dovranno conformarsi i decreti legislativi in materia di fiscalità regionale.

 

La lettera a) disciplina le modalità di finanziamento delle regioni necessario per lo svolgimento delle funzioni rientranti nella propria competenza legislativa. A tal fine viene fissato il principio in base al quale le regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito erariale.

 

Si ricorda che, in base all’art. 119, co. quarto, Cost. le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie, dalla compartecipazione al gettito dei tributi erariali e dal fondo perequativo, devono consentire agli enti territoriali di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

 

Ai sensi della lettera b) con il termine tributi regionali ci si riferisce a:

1.      tributi propri derivati, i quali si caratterizzano per essere istituiti e disciplinati dalla legge statale e il cui gettito è attribuito alle regioni;

2.      aliquote riservate alle regioni su basi imponibili dei tributi erariali. Il provvedimento non fornisce una definizione dell’aliquota riservata, la quale dovrebbe consistere[16], in una quota dell’aliquota d’imposta fissata con legge dello Stato;

3.      tributi propri, istituiti dalle regioni in relazione a presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale (cfr sopra, all’art. 2, il divieto di doppia imposizione).

 

Si ricorda che l’art. 119 della Costituzione, secondo comma, chiarisce che le autonomie territoriali stabiliscono ed applicano “tributi propri”, alle condizioni ivi previste, e dispongono della compartecipazione al gettito di “tributi erariali”, riferibili al loro territorio.

 

La disciplina del sistema tributario statale, nella quale possono farsi rientrare i tributi “erariali”, rientra nella esclusiva competenza dello Stato, secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera e). I “tributi propri regionali” sono tali, nell’ottica del nuovo art. 119 Cost., quando siano stabiliti dalle Regioni con propria legge. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito che, in linea di massima, «non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale»; solo per quanto riguarda le limitate ipotesi di tributi propri regionali aventi presupposti diversi da quelli dei tributi statali, la Corte ha riconosciuto sussistere il potere delle Regioni di stabilirli, in forza del quarto comma dell’art. 117 Cost., anche in mancanza di un’apposita legge statale di coordinamento, a condizione, però, che essi, oltre ad essere in armonia con la Costituzione, rispettino anche i princípi dell’ordinamento tributario, ancorché solo “incorporati”, per così dire, in un sistema di tributi sostanzialmente governati dallo Stato. (v. sent. 102/2008).

Sui profili di rilievo costituzionale dei "tributi propri della Regione" e dei "tributi (erariali) devoluti" si rinvia, più ampiamente, al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pagg. 7-9 (Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20 - Servizio studi del Senato, dossier n. 57).

 

Con riferimento ai tributi indicati nei punti sub 1) e 2), i quali – a differenza di quelli indicati nel punto 3) - sono istituiti e disciplinati dalla legge statale, la lettera c) attribuisce il potere alle regioni di intervenire sulla misura dell’aliquota nonché di concedere esenzioni, detrazioni e deduzioni nel rispetto della normativa comunitaria.

Le modifiche delle aliquote possono essere effettuate esclusivamente entro i limiti massimi previsti dalla norma statale. In altre parole, il potere di incremento delle aliquote da parte delle regioni trova applicazione solo se espressamente previsto dalla legge statale che ha istituito il tributo.

Appare opportuno segnalare, peraltro, che l’art. 10, lett. b) n. 1 dispone l’obbligo di ridurre le aliquote dei tributi erariali in corrispondenza dell'aumento dei tributi regionali di cui ai punti 1) e 2) in commento.

 

Le variazioni apportate dalle regioni devono garantire:

§      la permanenza degli elementi strutturali dei tributi e la coerenza con la struttura di progressività del singolo tributo erariale su cui insiste l'aliquota riservata.

Nel corso del dibattito parlamentare presso il Senato[17], il rappresentante del Governo ha, tra l’altro, precisato che l’aliquota riservata, consente, diversamente dalle addizionali IRPEF, il rispetto della progressività e degli scaglioni previsti dalla norma statale. Ha inoltre affermato che “l'aliquota riservata deve avere una propria flessibilità, così come garantita per le addizionali; deve essere garantita quella progressività che è richiamata all'articolo 53 della Costituzione, che è stato previsto proprio con riferimento a tale aspetto e a sua garanzia. È chiaro che i limiti entro cui occorre muoversi non vengono fissati dalle Regioni: è lo Stato che fissa la manovrabilità di tale aliquota”;

L’applicazione dell’aliquota riservata all’IRPEF, ad esempio, dovrebbe comportare il pagamento alla regione - in luogo dell’erario – di una quota dell’imposta determinata dal contribuente, ferma restando l’aliquota complessivamente dovuta in base alla normativa vigente. Tale meccanismo, se da un lato consente di non modificare, per la quota spettante all’erario, la struttura e la progressività del tributo, dall’altro lato consente alle regioni, per la quota loro spettante, di operare modifiche in termini di aliquote, deduzioni, detrazioni o esenzioni.

Si segnala, peraltro, che ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera d) alla cui scheda si rinvia, le eventuali modifiche delle Regioni non rilevano ai fini della determinazione della quota perequativa: in altre parole, le agevolazioni fiscali ovvero gli incrementi di aliquote disciplinate dalle Regioni e applicate alla quota loro spettante (cui corrisponde, rispettivamente, un minore o un maggiore gettito per la regione) non possono essere compensate dal fondo perequativo;

§      la coerenza con il principio di semplificazione e con l'esigenza di standardizzazione necessaria per il corretto funzionamento della perequazione.

 

La lettera d) disciplina le modalità di attribuzione alle regioni dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni a quelli erariali.

La suddetta ripartizione deve avvenire in base al principio di territorialità e, in ogni caso, si deve tener conto (punti da 1 a 4):

1)  del luogo di consumo per i tributi aventi quale presupposto i consumi. A tal fine si precisa che relativamente ai servizi il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale.

In merito al luogo dei consumi dei servizi, la norma individua una facoltà (può essere) e non un criterio certo di applicazione;

2)  della localizzazione dei cespiti per i tributi basati sul patrimonio;

3)  del luogo di prestazione del lavoro per i tributi basati sulla produzione;

4)  della residenza del percettore per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche.

 

Si ricorda che il principio di territorialità è posto dal ddl in esame anche tra i principi generali della delega (art. 2, lett. ee)), nonché a base dell’attribuzione di beni immobili agli enti territoriali (art. 18, lett. b)).

 

Tra i criteri individuati dalla lettera d), il punto n. 5) stabilisce che per le entrate derivanti dalla lotta all’evasione e all’elusione fiscale, ai fini della ripartizione si deve tenere conto del coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali.

Si ricorda che il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale è espressamente previsto tra i criteri direttivi generali dell’articolo 2.

 

Il criterio individuato nel punto n. 5 della lettera d) non sembrerebbe potersi applicare in via autonoma rispetto ai criteri – che sono invece alternativi tra loro – previsti nei precedenti quattro punti. In proposito andrebbe pertanto chiarito in quale modo i diversi criteri possano ritenersi contemporaneamente applicabili.

Ad esempio, in caso di un accertamento fiscale che riguarda i redditi sugli immobili, occorrerà precisare quanto rileva il criterio della localizzazione dei cespiti e quanto rileva l’altro criterio concernente l’istituzione che ha effettuato l’accertamento.

 

L’attività di contrasto all’evasione fiscale comprende, oltre alle verifiche e agli accertamenti effettuati dalle amministrazioni finanziarie presso i contribuenti, anche l’attività di prevenzione quale, ad esempio, l’approvazione degli studi di settore.

Le conseguenti entrate fiscali, pertanto, possono essere dovute a comportamenti spontanei dei contribuenti (ad esempio, l’adeguamento agli studi di settore) ovvero possono essere determinate da una specifica attività di controllo da parte delle amministrazioni e degli organi competenti.

Inoltre, in ogni caso, la conseguente emersione di base imponibile può assumere rilevanza ai fini di diverse imposte che interessano vari livelli istituzionali (con riferimento, ad esempio, ad un accertamento sugli immobili potrebbero essere interessati: i Comuni ai fini dell’ICI e dell’addizionale comunale; le Regioni ai fini dell’addizionale regionale e dell’IRAP; lo Stato per l’IRPEF o l’IRES).

 

Andrebbe, quindi, precisato se il riferimento ai diversi livelli istituzionali ai fini della ripartizione delle entrate derivanti dalla lotta all’evasione e all’elusione fiscale debba concernere oltre alle regioni interessate, anche lo Stato e gli enti locali, secondo quanto si dovrebbe presumere in base a quanto prevedono altre disposizioni del disegno di legge in esame (in particolare l’articolo 2, comma 2, lettera d) e l’articolo 26, comma 2, lettera c). In tal caso, potrebbe essere opportuno chiarire tale aspetto nel criterio di delega in questione, tenendo tuttavia presente che esso fa riferimento alle regioni.

Infine, andrebbe considerata l’opportunità di meglio circoscrivere la definizione di “attività di lotta all’evasione ed all’elusione fiscale” al fine di chiarire, ad esempio, se l’adeguamento spontaneo da parte dei contribuenti agli studi di settore rientri o meno in tale definizione.

Per una più approfondita disamina degli effetti finanziari derivanti dal punto 5 in esame, si rinvia a quanto indicato con riferimento all’articolo 24 nella seconda parte del presente dossier, relativa ai profili finanziari.

 

La lettera e) precisa, infine, che ai proventi dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni ai tributi erariali non possono essere imposti vincoli di destinazione.

 

L’assenza di vincolo di destinazione è prevista anche dal successivo art. 9, in tema di assegnazione delle quote del fondo perequativo; nonché dall’art. 11, in tema di gettito delle compartecipazioni spettanti agli enti locali.


 

Articolo 8
(Princıpi e criteri direttivi sulle modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento)

 


1. Al fine di adeguare le regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni, nonché al principio di autonomia di entrata e di spesa fissato dall'articolo 119 della Costituzione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa di cui all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione; tali spese sono:

                   1) spese riconducibili al vincolo dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;

                   2) spese non riconducibili al vincolo di cui al numero 1);

                   3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali di cui all'articolo 15;

       b) definizione delle modalità per cui le spese riconducibili alla lettera a), numero 1), sono determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale, da erogare in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale;

       c) definizione delle modalità per cui per la spesa per il trasporto pubblico locale, nella determinazione dell'ammontare del finanziamento, si tiene conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard; per il trasporto pubblico locale l'attribuzione delle quote del fondo perequativo è subordinata al rispetto di un livello di servizio minimo, fissato a livello nazionale;

       d) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 1), sono finanziate con il gettito, valutato ad aliquota e base imponibile uniformi, di tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione, della riserva di aliquota sull'imposta sul reddito delle persone fisiche o dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all'IVA nonché con quote specifiche del fondo perequativo, in modo tale da garantire nelle predette condizioni il finanziamento integrale in ciascuna regione; in via transitoria, le spese di cui al primo periodo sono finanziate anche con il gettito dell'IRAP fino alla data della sua sostituzione con altri tributi;

       e) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri e con quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9;

       f) tendenziale limitazione dell'utilizzo delle compartecipazioni ai soli casi in cui occorre garantire il finanziamento integrale della spesa;

       g) soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2);

       h) definizione delle modalità per cui le aliquote dei tributi e delle compartecipazioni destinati al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), sono determinate al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni, valutati secondo quanto previsto dalla lettera b), in una sola regione; definizione, altresì, delle modalità per cui al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente concorrono le quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9;

       i) definizione delle modalità per cui l'importo complessivo dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 2), è sostituito dal gettito derivante dall'aliquota media di equilibrio dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche. Il nuovo valore dell'aliquota deve essere stabilito sul livello sufficiente ad assicurare al complesso delle regioni un ammontare di risorse tale da pareggiare esattamente l'importo complessivo dei trasferimenti soppressi;

       l) definizione delle modalità per cui agli oneri delle funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, si provvede con adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni.

2. Nelle forme in cui le singole regioni daranno seguito all'intesa Stato-regioni sull'istruzione, al relativo finanziamento si provvede secondo quanto previsto dal presente articolo per le spese riconducibili al comma 1, lettera a), numero 1).

3. Nelle spese di cui al comma 1, lettera a), numero 1), sono comprese quelle per la sanità, l'assistenza e, per quanto riguarda l'istruzione, le spese per i servizi e le prestazioni inerenti all'esercizio del diritto allo studio, nonché per lo svolgimento delle altre funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.


 

 

L’articolo 8 indica i principi e criteri direttivi per il finanziamento delle spese connesse a materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale, ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione.

Finalità della disposizione è l'adeguamento delle regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni nonché al principio di autonomia finanziaria di entrata e di spesa di cui all'articolo 119 della Costituzione.

Classificazione delle spese

Il comma 1, lettera a), indica i criteri per la classificazione delle spese connesse a materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale, in funzione dell’individuazione della relativa forma di finanziamento.

 

L’articolo non reca espressi riferimenti alle spese relative a materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le regioni possono esercitare competenze amministrative.

Può essere al riguardo richiamata la lettera l) del comma 1, relativa agli “oneri delle funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione”, che però si riferisce a funzioni che lo Stato trasferirà in futuro alle regioni e non a funzioni attualmente esercitate dalle regioni medesime.

 


In particolare, le spese sono classificate in:

1.    spese inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (cd. “spese essenziali) (lettera a), numero 1);

La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale è indicata dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione quale competenza legislativa esclusiva dello Stato.

La consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ha riconosciuto il carattere trasversale di tale competenza, nel senso che essa può incidere anche su ambiti materiali rimessi alla competenza concorrente o residuale delle Regioni, dal momento che «si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale, in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali.» (sentenze n. 371/2008 e n. 387/2007). Peraltro, tale titolo di legittimazione «non può essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenze n. 181/2006 e 285/2005; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 423/2004, n. 16/2004; n. 282/2002).

Ne consegue che non sono «inquadrabili in tale categoria le norme volte ad altri fini, quali, ad esempio, l'individuazione del fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali (sentenze n. 383 e n. 285 del 2005) o la regolamentazione dell'assetto organizzativo e gestorio degli enti preposti all'erogazione delle prestazioni (sentenza n. 120 del 2005). Il suddetto art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., consente infatti una forte restrizione dell'autonomia legislativa delle Regioni al solo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione stessa.» (sentenza n. 387/2007).

Ai sensi del comma 3, sono comprese tra queste spese:

§      le spese per la sanità;

§      le spese per l’assistenza;

§      per quanto riguarda l'istruzione, le spese per i servizi e le prestazioni inerenti all'esercizio del diritto allo studio, nonché per lo svolgimento delle altre funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Il comma 2 precisa, inoltre, che nelle forme in cui le singole regioni daranno seguito all'intesa Stato-regioni sull'istruzione, al relativo finanziamento si provvede secondo quanto previsto per le spese inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni.

Il riferimento all’intesa Stato-regioni non appare chiaro: la disposizione potrebbe fare riferimento ad un’intesa già raggiunta in materia di istruzione (la quale dovrebbe allora essere indicata puntualmente) o rinviare ad un’eventuale intesa da raggiungere in futuro;

2.  spese inerenti ai livelli non essenziali delle prestazioni (cd. spese “non essenziali) (lettera a), numero 2).

Queste spese sono individuabili per esclusione, come quelle non riconducibili alle altre due categorie;

3.  spese finanziate con contributi speciali, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti previsti all’articolo 15 (lettera a), numero 3).

Tali spese sono dunque classificate non sulla base dell’oggetto ma sulla base della fonte di finanziamento.

 

Per quanto riguarda le spese per il trasporto pubblico locale e le spese per funzioni amministrative trasferite dallo Stato alle regioni, si rinvia agli appositi paragrafi (v. infra).

La classificazione delle spese sembrerebbe destinata ad avere rilievo anche ai fini del riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni disposto dall’articolo 117 della Costituzione (come si evince anche dalla rubrica che fa riferimento alle “modalità di esercizio delle competenze legislative”). Per la prima volta si avrebbe infatti un intervento organico del legislatore volto a procedere ad una classificazione, sia pure in termini di spese, basata sulle competenze legislative indicate dall’articolo 117.

 

Dalla formulazione testuale della norma, pare desumersi che tutte le spese per la sanità e l’assistenza dovrebbero essere classificate come riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Deve essere peraltro valutata la coerenza della classificazione con il dettato dell’articolo 117. La classificazione di un ambito di intervento come riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni implica infatti la competenza legislativa statale su detto ambito, laddove è da escludere detta competenza per l’intero ambito della sanità e dell’assistenza (la tutela della salute è infatti materia di competenza concorrente, laddove l’assistenza sociale è materia di competenza residuale regionale).

La norma sembrerebbe allora dover essere interpretata nel senso della necessità di procedere prima alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (laddove i medesimi non risultino già definiti) e, successivamente, alla classificazione delle spese.

Con riferimento all’istruzione, la norma sembrerebbe considerare riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni tutte le spese per i servizi e le prestazioni inerenti all'esercizio del diritto allo studio e le spese per lo svolgimento delle altre funzioni amministrative attribuite alle regioni dalla normativa vigente.

Anche in tal caso deve essere valutata la coerenza con il riparto di competenze legislative sancito dall’articolo 117 e con la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la competenza in ordine alla determinazione dei livelli essenziali può essere richiamata solo in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione (sentenze n. 181/2006 e 285/2005).

Anche in tal caso, la norma potrebbe essere interpretata nel senso della previa necessità di determinare i livelli essenziali delle prestazioni nell’ambito delle attività in materia di istruzione dai commi 2 e 3.

 

Con riferimento alle spese relative a livelli essenziali delle prestazioni, non appare altresì chiaro se le spese espressamente «comprese» (sanità e assistenza nel loro complesso, ed istruzione per la parte indicata) esauriscano la categoria o non costituiscano piuttosto un contenuto minimo, ampliabile dal legislatore delegato.

Il costo "standard"

La lettera b) detta i criteri per la determinazione delle spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni, che deve avvenire nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale, da erogare in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale.

 

Per ciò che attiene alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la disposizione in esame fa espresso riferimento alla “legge statale”.

Da ciò dovrebbe desumersi che i decreti legislativi emanati in attuazione della delega prevista dal disegno di legge in esame non possono disporre in ordine a tale determinazione.

Il trasporto pubblico locale

La lettera c) riguarda l’ammontare del finanziamento per la spesa per il trasporto pubblico locale, che va determinato tenendo conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale, oltre che dei costi standard.

Con particolare riferimento al trasporto pubblico locale, viene disposto che il finanziamento attraverso il fondo perequativo è subordinato al rispetto di un livello di servizio minimo, fissato a livello nazionale.

Di conseguenza, sembrerebbe che la regione che non raggiunga i parametri di trasporto pubblico fissati a livello nazionale, non avrà accesso, per ciò che concerne il trasporto pubblico locale, al fondo perequativo.

Disposizioni sul finanziamento del trasporto pubblico locale sono contenute anche nell'articolo 9, comma 1, lettera f), relativo al fondo perequativo per le regioni..

 

Si osserva che non appare chiaro come le spese per il trasporto pubblico locale si pongono rispetto alla classificazione di cui alla lettera a), anche ai fini dell’individuazione delle relativa fonte di finanziamento

Il finanziamento delle spese

I principi e criteri di cui alle lettere da d) a i)riguardano il finanziamento delle spese "essenziali", di cui alla lettera a), n. 1, e "non essenziali", di cui alla lettera a), n. 2.

Prima di analizzare distintamente le due tipologie di spese sopra indicate, si segnala che, tra i criteri generali previsti, la lettera f) stabilisce che l’utilizzo delle compartecipazione deve essere tendenzialmente limitato ai soli casi in cui occorre garantire il finanziamento integrale della spesa (come nel caso della spesa collegata ai LEP) mentre la lettera g) dispone la soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese essenziali e di quelle non essenziali.

Spese essenziali: fonti di finanziamento

La lettera d) garantisce il finanziamento integrale delle spese essenziali in ciascuna Regione.

Ai sensi della successiva lettera h)l’ammontare della somma da finanziare è determinata sulla base del criterio della spesa standard, indipendentemente dalla spesa effettivamente sostenuta.

 

Ai sensi del combinato disposto delle lettere d) e h) del comma 1, il finanziamento delle spese essenziali superiori al costo standard, limitatamente alla quota eccedente, è considerato a carico delle singole Regioni.

 

Il finanziamento delle spese essenziali è garantito dal gettito tributario valutato ad aliquota ed a base imponibile uniformi.

La previsione di una valutazione “ad aliquota e base imponibile uniforme” sembrerebbe riferirsi ad una situazione “teorica” caratterizzata dall’assenza di interventi sulla misura dell’aliquota da parte delle Regioni ovvero sulla determinazione dell’imponibile ai fini fiscali da parte dello Stato.

L’articolo 9, lettera e), del ddl in esame garantisce l’integrale copertura anche con riferimento al differenziale tra dati di previsione e il gettito effettivo determinato con i criteri individuati dalla norma.

Inoltre, l’articolo 10, lettera d), prevede la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento sia in termini di gettito sia in termini di correlazione con le funzioni svolte.

 

I tributi attraverso i quali viene garantito il finanziamento della spesa essenziale sono:

1.         tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione.

La relazione allegata al disegno di legge, nell’illustrare i principi generali indicati nell’articolo 2 del provvedimento, chiarisce che il principio di correlazione lega prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria ed amministrativa.

Ai sensi dell’articolo 7 del provvedimento in esame, per tributi regionali si intendono: i tributi spettanti alle Regioni istituiti e disciplinati con leggi statali, le aliquote riservate alle Regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali e i tributi istituiti dalle Regioni.

Non appare chiaro se al finanziamento delle spese essenziali debbano concorrere anche i tributi regionali istituiti dalle Regioni, come indicato nella definizione contenuta nell’articolo 7;

2.         della riserva di aliquota sull’IRPEF o dell’addizionale regionale all’IRPEF.

Per quanto riguarda l’addizionale regionale all’IRPEF, si segnala che - ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lett. a), del provvedimento in esame - una quota del gettito della citata imposta è destinato al fondo perequativo per le spese non essenziali.

La riserva di aliquota sull’IRPEF risulta già inclusa nella definizione di tributi regionali indicata nel punto precedente. Andrebbe chiarito se la norma in esame intenda prevedere una ulteriore fonte di finanziamento e, in caso affermativo, se tale ulteriore fonte sia da considerare a carico dello Stato (in virtù di una diversa ripartizione tra Erario e Regioni del gettito IRPEF) ovvero determini un incremento dell’imposta pagata dai contribuenti. Tale ultima ipotesi, peraltro, non sembrerebbe in linea con quanto previsto dall’art. 10, lett. b) n. 1 che dispone l’obbligo di ridurre le aliquote dei tributi erariali in corrispondenza dell'aumento dei tributi delle Regioni.

Con particolare riferimento ai punti sub 1. e 2. si segnala che, ai sensi dell’art. 9, lett. c), n. 1), il gettito regionale determinato ai fini della perequazione, è calcolato escludendo le variazioni di gettito “prodotte dall’esercizio dell’autonomia tributaria nonché dall’emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell’attività di recupero fiscale”;

3.         della compartecipazione regionale all’IVA;

La compartecipazione IVA alimenta, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lett. a), del provvedimento in esame – anche il fondo perequativo per le spese essenziali.

Tenuto conto che, ai sensi dell’articolo 9, il gettito da compartecipazione regionale all’IVA deve alimentare anche il fondo perequativo per le spese essenziali, andrebbe chiarita la priorità di attribuzione nell’utilizzo del citato gettito.

4.                  di quote specifiche del fondo perequativo;

5.    in via transitoria, dell’IRAP, ma solo fino alla data della sua sostituzione con altri tributi.

Spese essenziali: somme da finanziare

La lettera h) stabilisce le modalità di determinazione dell’ammontare della spesa essenziale da finanziare.

A tal fine dispone che le aliquote (di tributi e compartecipazioni) sono fissate al livello minimo assoluto sufficiente per finanziare pienamente il fabbisogno dei LEP (valutati ai costi standard) in una sola Regione.

Si segnala, in proposito, che il testo originario del ddl in esame faceva riferimento ad “almeno una regione” e che la restrizione del riferimento ad “una sola regione” è stata introdotta nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite del Senato.

 

In sostanza, il parametro da utilizzare per la determinazione delle somme da finanziare con tributi regionali verrà valutato sulla base del costo ritenuto ottimale, riferito alle spese essenziali e valutato in termini di costo standard, sostenuto dalle varie Regioni. In proposito si rinvia a quanto più ampiamente riportato nella sezione del presente dossier concernente i profili finanziari.

L’eccedenza di spesa essenziale rispetto al gettito ottenuto in base ai predetti criteri è finanziata dal fondo perequativo di cui all’articolo 9.

 

La metodologia prevista dalla lettera h) comporta che tutte le Regioni il cui fabbisogno per i LEP risulti superiore a quello della Regione con riferimento alla quale si determina il costo standard, dovranno ricorrere all’utilizzo del fondo perequativo per il finanziamento delle spese essenziali.

Spese non essenziali: fonti di finanziamento

Il ddl in esame non garantisce l’integrale finanziamento delle spese non essenziali, alle quali ai sensi della lettera e) si deve far fronte mediante:

1        tributi propri.

Come già ricordato, ai sensi dell’articolo 7 rientrano tra i tributi regionali sia i tributi propri derivati (istituiti e disciplinati con legge dello Stato) sia i tributi propri (istituiti e disciplinati con legge regionale).

Sarebbe opportuna una precisazione diretta a chiarire se il riferimento ai tributi propri sia da attribuire anche ai tributi propri derivati;

2        fondo perequativo, di cui all’articolo 9 del ddl in esame alla cui scheda si rinvia.

 

La lettera i) impone di sostituire i trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese "non essenziali" con il gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’IRPEF che assicuri al complesso delle regioni un ammontare di risorse corrispondente ai trasferimenti statali soppressi.

In altre parole, tenuto anche conto di quanto disposto dall’art. 9, lett. a), le regioni per le quali il gettito dell’addizionale determinato dall’applicazione dell’aliquota media è superiore all’ammontare del trasferimento statale soppresso, versano nel fondo perequativo l’eccedenza; le regioni che, invece, si trovano nella situazione opposta (il gettito dell’addizionale è inferiore al trasferimento soppresso) prelevano dal fondo perequativo l’importo mancante.

 

In merito alla misura dell’addizionale regionale si segnala che il relativo gettito, oltre a dover compensare i trasferimenti erariali soppressi ai sensi della lettera i) in esame, è utilizzato anche per il finanziamento delle spese essenziali (lettera d)) e delle spese non essenziali (articolo 9, lettera a)).

 

A differenza delle spese essenziali, dunque, quelle non essenziali non godono di riserve e compartecipazioni a grandi tributi statali.

Va rammentato che le spese "non essenziali" non sono valutate ai costi standard, come quelle "essenziali".

La relazione governativa si sofferma sul punto e chiarisce le ragioni per cui ciò è "sostanzialmente inapplicabile e quindi sconsigliato", con riferimento alla perequazione integrale, di cui godono le spese "essenziali" ma non quelle qui in esame, posto che per le spese "non essenziali" non sussistono analoghe "preoccupazioni di ordine politico e sociale".

Spese per funzioni amministrative trasferite dallo Stato alle regioni

La lettera l) dispone che relativamente agli oneri per funzioni amministrative eventualmente trasferite dallo Stato alle regioni, in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione, si provvede con forme di copertura finanziaria coerenti con i principi della presente legge e con le modalità previste dall’articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (cd. “legge La Loggia”), che detta una disciplina per l’attuazione dell'articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative.

Tale disciplina avrebbe peraltro dovuto avere carattere transitorio, dal momento che ne è espressamente prevista l’applicazione fino all’entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

 

In particolare, ai sensi del richiamato articolo 7, lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale. Tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata.

Per le predette finalità, e comunque ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse, sulla base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire, il Governo, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati, presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati alla di manovra di finanza pubblica annuale, privi di oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, per il recepimento dei suddetti accordi.

Nelle more dell'approvazione dei disegni di legge e sulla base degli accordi raggiunti in sede di Conferenza unificata, lo Stato può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse secondo princìpi di invarianza di spesa e con le modalità previste al numero 4) del punto II dell’accordo20 giugno 2002, recante intesa interistituzionale tra Stato, regioni ed enti locali. A tale fine si provvede mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, tenendo conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità.

 

La disciplina prevista dal citato articolo 7 non ha finora trovato attuazione.

 

Per ciò che concerne l’individuazione delle funzioni amministrative cui fa riferimento la disposizione in esame, il richiamo all’articolo 7 della legge n. 131/2003 sembrerebbe indicare tutte le funzioni amministrative attualmente esercitate dallo Stato.

L’articolo 10 detta peraltro principi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni nelle materie di competenze legislativa concorrente o residuale.

La disposizione in esame dovrebbe pertanto fare riferimento unicamente alle funzioni amministrative relative a materie di competenza legislativa esclusiva statale.

Sul punto appare opportuno un chiarimento.


 

Articolo 9
(Princıpi e criteri direttivi in ordine alla determinazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo a favore delle regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, in relazione alla determinazione dell'entità e del riparto del fondo perequativo statale di carattere verticale a favore delle regioni, in attuazione degli articoli 117, secondo comma, lettera e), e 119, terzo comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) istituzione del fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante, alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA assegnata per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), nonché da una quota del gettito del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2); le quote del fondo sono assegnate senza vincolo di destinazione;

       b) applicazione del principio di perequazione delle differenze delle capacità fiscali in modo tale da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante senza alterarne l'ordine e senza impedirne la modifica nel tempo conseguente all'evoluzione del quadro economico-territoriale;

       c) definizione delle modalità per cui le risorse del fondo devono finanziare:

                   1) la differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), calcolate con le modalità di cui alla lettera b) del medesimo comma 1 dell'articolo 8 e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, determinato con l'esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall'esercizio dell'autonomia tributaria nonché dall'emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell'attività di recupero fiscale, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni;

                   2) le esigenze finanziarie derivanti dalla lettera e) del presente articolo;

       d) definizione delle modalità per cui la determinazione delle spettanze di ciascuna regione sul fondo perequativo tiene conto delle capacità fiscali da perequare e dei vincoli risultanti dalla legislazione intervenuta in attuazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, in modo da assicurare l'integrale copertura delle spese al fabbisogno standard;

       e) è garantita la copertura del differenziale certificato tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi alla regione con riferimento alla quale è stato determinato il livello minimo sufficiente delle aliquote dei tributi ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettere d) e h), tali da assicurare l'integrale finanziamento delle spese per i livelli essenziali delle prestazioni;

       f) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo per le spese di parte corrente per il trasporto pubblico locale sono assegnate in modo da ridurre adeguatamente le differenze tra i territori con diverse capacità fiscali per abitante e, per le spese in conto capitale, tenendo conto del fabbisogno standard di cui è assicurata l'integrale copertura;

       g) definizione delle modalità in base alle quali per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), le quote del fondo perequativo sono assegnate in base ai seguenti criteri:

                   1) le regioni con maggiore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), supera il gettito medio nazionale per abitante, non ricevono risorse dal fondo;

                   2) le regioni con minore capacità fiscale, ossia quelle nelle quali il gettito per abitante del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), è inferiore al gettito medio nazionale per abitante, partecipano alla ripartizione del fondo perequativo, alimentato da una quota del gettito prodotto nelle altre regioni, in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante per il medesimo tributo rispetto al gettito medio nazionale per abitante;

                   3) la ripartizione del fondo perequativo tiene conto, per le regioni con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa;

       h) definizione delle modalità per cui le quote del fondo perequativo risultanti dalla applicazione della lettera d) sono distintamente indicate nelle assegnazioni annuali. L'indicazione non comporta vincoli di destinazione.


 

 

L’articolo 9 completa con la disciplina della perequazione la definizione delle entrate da assegnare alle regioni (articolo 7) in relazione alla natura e all’entità delle spese (articolo 8) che esse devono sostenere per lo svolgimento delle funzioni loro assegnate.

 

Il Fondo perequativo è definito dai criteri direttivi recati dal comma 1, lettera a):

§      è statale ed alimentato dal gettito da compartecipazione all’IVA assegnata per le spese relative alle prestazioni essenziali e da una quota del gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’IRPEF assegnata per il finanziamento delle spese non riconducibili alle funzioni essenziali;

§      è unico, in quanto unico ed unitario è il principio di perequazione stabilito dal terzo comma dell’articolo 119 della Costituzione in favore dei «territori con minore capacità fiscale per abitante»;

§      è articolato secondo due modalità (ed entità) di perequazione in ragione della diversa natura e destinazione (articolo 8) delle spese connesse allo svolgimento delle «funzioni pubbliche» da finanziare integralmente ai sensi del quarto comma dell’articolo 119, Cost.;

§      il suo ammontare è variabile ma strettamente determinato per ciascun esercizio in misura pari alle somme da erogare a titolo di perequazione;

§      le quote del fondo sono comunque assegnate a ciascuna regione senza vincolo di destinazione.

 

Così definito, il Fondo perequativo prefigurato dai principi della delega va distinto, ovviamente – per composizione e funzionamento - dal Fondo perequativo definito dal decreto legislativo n. 56/2000 che, disciplina tuttora la perequazione della spesa sanitaria corrente.

E’ opportuno precisare che la definizione di Fondo perequativo “statale di carattere verticale”, introdotta nel corso dell’esame al Senato, è intesa a conservare la «perequazione delle risorse finanziarie» alle funzioni esclusive dello Stato (art. 117, comma 2, lett. e), Cost.) e ad evitare che la misura della ‘solidarietà’ dipenda prevalentemente dalla ‘contrattazione’ tra le regioni sulla base della immediata e diretta quantificazione degli scambi perequativi[18].

 

Sulla base della formulazione del principio di delega in esame non risulta chiaro se il gettito della compartecipazione IVA considerata dalla norma sia ulteriore rispetto a quella già destinata al finanziamento del fabbisogno standard per le funzioni essenziali ovvero se ne costituisca una quota; analoga questione, va posta per l’addizionale regionale IRPEF di equilibrio, destinata al finanziamento delle spese non essenziali.

 

Nel testo in esame alla definizione dei principi e criteri perequativi concorrono ripetutamente sia le prescrizioni tratte testualmente dall’articolo 119 della Costituzione, sia le specificazioni operative che definiscono e delimitano al legislatore delegato i parametri (monetari) della perequazione: come si dovranno combinare e conciliare in concreto la perequazione della «minore capacità fiscale per abitante» (art. 119, comma terzo) con l’obbligo costituzionale di «finanziare integralmente le funzioni pubbliche» attribuite ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni (art. 119, comma quarto) e, in particolar modo, quelle relative ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, comma secondo, lettera m).

 

Il principio della «perequazione delle minori capacità fiscali per abitante», di cui alla lettera b) del comma 1, è dichiarato in via generale nella configurazione del fondo perequativo (art. 1, co. 1) ma è ristretto poi alla integrazione del finanziamento delle «funzioni non essenziali», intese queste ultime come quelle ‘altre’ rispetto a quanto previsto dalle lettere m) e p) dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione. Così in via generale l’articolo 2, comma 1, lettera l, n. 2), l’articolo 8, comma 1, lettera a), n. 2, per le regioni e l’articolo 13, comma 1, lettera f) per le spese di Comuni, Province e Città metropolitane.

 

Nei criteri direttivi della delega la misura della «perequazione delle minori capacità fiscali per abitante» è costantemente rimessa al legislatore delegato il quale dovrà determinarla concretamente in modo che essa:

a.      non annulli del tutto le differenze di capacità fiscale fra le regioni e fra gli enti locali ma «riduca adeguatamente le differenze fra i territori con diverse capacità fiscali per abitante»; così l’articolo 9, comma 1, lettera b), in via generale e alla lettera f) per le spese correnti del trasporto pubblico locale, e così l’articolo 13, comma 1, lettera f) per le spese non fondamentali degli enti locali. E’ questo il criterio per il quale la misura della perequazione non potrà essere ‘integrale’ e colmare interamente le differenze di gettito pro-capite esistenti fra i territori;

b.      non alteri l’ordine delle capacità fiscali dei diversi territori; ulteriore limitazione alla misura della perequazione è che questa deve essere tale per cui, dopo la perequazione, nessuna delle minori capacità fiscali per abitante superi quella del territorio che la precedeva nella graduatoria discendente delle capacità fiscali per abitante;

c.      si adatti costantemente alle variazioni di capacità fiscale pro-capite che intervengono a seguito della «evoluzione del quadro economico-territoriale»; l’articolo 9, comma 1, lettera b), fa divieto di applicare un criterio ed una misura perequativi che – irrigiditi nel tempo – non consentono di registrare nella graduatoria delle capacità fiscali dei territori le modifiche che sono intervenute nella evoluzione del quadro economico territoriale.

 

Da tali principi sembra evidenziarsi che mentre il criterio del finanziamento integrale ha riguardo alla perequazione della spesa che regioni ed enti locali sostengono per l’esercizio delle rispettive funzioni, anche se ai fini della perequazione quella spesa è determinata secondo costi o fabbisogni standard, la perequazione delle capacità fiscali non ha riguardo alla spese per le funzioni ma soltanto alla aliquota (media) pro-capite dei tributi e delle compartecipazioni che saranno assegnate e, dunque, finanzia (o può finanziare) solo parzialmente le spese delle regioni con minore capacità fiscale per abitante.

 

In sostanza, sulla base di questi principi e criteri direttivi l’articolo 9 in esame definisce – per il fondo perequativo disciplinato unitariamente – due diversi criteri di perequazione delle spese delle regioni:

1.      La perequazione della «differenza fra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese» per le spese relative alle “funzioni essenziali” e «il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati» art. 9, comma 1, lettere c), d), e) ed h); rientrano in tale forma di perequazione le spese in conto capitale sostenute per il trasporto pubblico locale (art. 9, co. 1 lettera f)

2.      la perequazione delle minori capacità fiscali per abitante, che si applica al gettito dei tributi che saranno attribuiti per il finanziamento delle spese per funzioni «non essenziali»; art. 9, comma 1, lettera g); rientrano in tale tipologia le spese di parte corrente per il trasporto pubblico locale (art. 9, co. 1 lettera f).

I principi e i criteri direttivi sopra riassunti fanno riferimento sia alla perequazione della capacità fiscale sia all’integrale copertura del fabbisogno (standard). La diversa modalità di perequazione fra i due gruppi di spese (‘funzioni essenziali’ e ‘altre funzioni’) sembra introdurre tra i principi e i criteri direttivi due diverse perequazioni: quella dei fabbisogni (o dei costi) e quella delle capacità fiscali, laddove il quarto comma dell’articolo 119 della Costituzione finalizza il Fondo soltanto alla perequazione della «minore capacità fiscale per abitante». Di fatto però non si tratta di due diversi sistemi di perequazione perché in entrambi i casi la perequazione è diretta ad integrare la minore capacità fiscale per abitante derivante dalla diversa misura del gettito pro-capite in ciascuna regione, a parità di aliquote e altre caratteristiche dei tributi assegnati. Tra i due criteri perequativi la differenza è data dalla misura della perequazione della capacità fiscale in relazione al parametro della spesa: nella perequazione della capacità fiscale in relazione alle spese sostenute per lo svolgimento delle funzioni che assicurano i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) lo Stato, in forza della competenza stabilita dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), stabilisce direttamente il livello di spesa coerente (in base al costo standard che determina di conseguenza il livello di spesa obiettivo) e perequa la capacità fiscale pro capite sino alla somma che integra il livello di spesa pre-definito. Per il secondo ‘tipo’ di funzioni (e spese) – per le quali le regioni possono decidere autonomamente il livello delle attività e delle prestazioni che ne derivano – i criteri direttivi indicano l’assegnazione di risorse (prevalentemente, tributi propri delle regioni) in grado di assicurare complessivamente la spesa media pro-capite delle regioni. Perché quel livello di spesa finanzi integralmente le funzioni pubbliche attribuite (alle regioni) (art. 119, quarto comma, Cost.) interviene la perequazione delle capacità fiscali delle regioni ‘sotto media’, secondo le caratteristiche (e i limiti) indicati dai criteri direttivi ricordati sopra alle lettere a), b) e c). Si vedrà di seguito, con riferimento ai criteri direttivi recati dalla lettera g) del comma 1, dell’articolo 9, quale debba essere la spesa di riferimento che, in attuazione della prescrizione posta dall’articolo 119, comma 4, finanzi ‘integralmente’ anche le funzioni non «LEP».

1. Perequazione delle spese relative alle funzioni essenziali

Principio-guida della perequazione delle spese che le regioni sostengono per lo svolgimento delle funzioni «riconducibili al vincolo dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione», (così l’articolo 8, comma 1, lettera a), n. 1) è la garanzia dell’integrale copertura.

Un elenco, non esaustivo, delle funzioni riconducibili alla lettera m) è al comma 2 dell’articolo 8. Sono comprese, tra l’altro: la sanità, l’assistenza, l’istruzione, il diritto allo studio e, con disposizione che lascia ampio margine al legislatore delegato, «altre funzioni amministrative attribuite alle regioni dalle norme vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge». A queste si aggiungono, come detto, le spese in conto capitale connesse al trasporto pubblico locale (art. 9, comma 1, lettera f).

 

Per la misura della quota perequativa da assegnare a ciascuna regione rilevano:

a.      la determinazione dei costi standard che si assumono come parametro della spesa delle prestazioni indicate dalla legge statale quali livelli essenziali dei servizi pubblici «da erogarsi in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale» (art. 8, comma 1, lettera b); condizione che dovrebbe assicurare il «normale esercizio» di quelle funzioni che, secondo la previsione l’articolo 2, comma 2, lettera e), sono finanziate integralmente;

b.      la determinazione dei tributi assegnati alle regioni per il finanziamento di queste funzioni. L’articolo 8 (comma 1, lettera d) indica nominativamente quei tributi ma lascia al legislatore delegato la scelta dell’equilibrio da determinarsi fra aliquote e relative basi imponibili: tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione fra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio, una riserva di aliquota sull’IRPEF, l’Addizionale regionale all’IRPEF, una compartecipazione al gettito dell’IVA e l’IRAP, in via transitoria, sino alla sua futura soppressione.

c.      il livello di gettito cui sono commisurate, ai fini della perequazione, aliquote e basi imponibili del complesso dei tributi assegnati. L’articolo 8, comma 1, lettera h), stabilisce che basi imponibili e aliquote uniformi per tutte le regioni sono determinate «al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno ... in una sola regione».

 

 

Le lettere c), d), e) ed h) dell’articolo 9 recano i criteri direttivi che ispirano la perequazione commisurata alle spese determinate dall’esercizio (normale esercizio) delle cosiddette funzioni essenziali [art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione]. Essi prevedono che:

1.      le somme assegnate a ciascuna regione a titolo di perequazione devono essere tali da «assicurare l’integrale copertura delle spese corrispondenti al fabbisogno standard per i livelli essenziali delle prestazioni»; il principio è ripetuto negli stessi termini alle lettere c), d), e) ed f) del comma 1;

2.      a ciascuna regione è assegnata una quota del Fondo pari alla somma che colma la differenza fra il gettito dei tributi assegnati (dedicati, recita il testo) e il «fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese» determinate dall’esercizio delle funzioni essenziali;

3.      il gettito che concorre alla determinazione della quota perequativa è considerato secondo l’aliquota standard e secondo le altre caratteristiche del tributo comuni a tutte le regioni; non è considerato perciò la parte del gettito (in aumento o diminuzione) eventualmente prodotto in ciascuna regione «dall’esercizio dell’autonomia tributaria» e dal recupero di base imponibile derivante da attività della regione; questa è ottenuta dalla regione ‘in aggiunta’ al fabbisogno standard;

4.      per assicurare costantemente «l’integrale copertura delle spese al fabbisogno standard», la misura della perequazione assegnata a ciascuna regione deve essere adattata dinamicamente alla rispettiva capacità fiscale quando, in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, la legge dello Stato interviene sulla disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni;

5.      se, per assicurare il finanziamento della spesa sin dall’inizio dell’esercizio finanziario, la ripartizione del fondo perequativo è fatta sulla base di stime del gettito dei tributi assegnati, in sede di consuntivo deve essere assicurato il «differenziale certificato tra i dati previsionali» e il gettito effettivo dei tributi, a partire dalla regione con la maggiore capacità fiscale sulla quale viene determinata la quota di compartecipazione all’IVA che determina per essa la parità fra gettito complessivo dei tributi assegnati e fabbisogno standard. Le quote compensative sono determinate separatamente dalle altre assegnazioni annuali senza che questo comporti vincolo di destinazione delle stesse.

2. Perequazione delle spese relative alle funzioni non essenziali.

Il criterio perequativo delle funzioni non LEP è definito dalla lettera g) al comma 1 dell’articolo 9: perequazione della minore capacità fiscale per abitante rispetto al valore della media del complesso delle regioni a statuto ordinario. Principio che, come detto, va interpretato – nella sua applicazione – alla luce dei limiti (criteri) che pone la lettera b) del medesimo comma 1. I criteri direttivi posti dai numeri 1, 2, e 3 della lettera g) recano anche disposizioni immediatamente operative:

1.      il fondo perequativo è alimentato da una quota del gettito prodotto nelle altre regioni (così al n. 2). Il gettito qui considerato è quello del «tributo regionale di cui all’articolo 8, comma 1, lettera i)» e cioè dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche, tributo a cui rimanda la lettera a) dell’articolo 9.

Va ricordato qui quanto si è detto avanti sulla struttura ‘verticale’ o ‘orizzontale’ del Fondo. La perequazione finanziata tramite ‘quota del gettito prodotto nelle altre regioni’ sembra connotare per il carattere orizzontale del Fondo, ove ciascuna regione ‘eccedentaria’ conosce quanta parte del suo gettito essa ‘cede’ alle regioni ‘deficitarie’.

2.      Come capacità fiscale di riferimento il testo assume il valore medio del gettito nelle regioni a statuto ordinario (totale gettiti/totale popolazione); in assenza di altra specificazione, questo valore è determinato al lordo della quota che finanzia il fondo stesso; regioni con ‘maggiore capacità fiscale’ sono definite quelle quali il gettito per abitante della addizionale regionale all’IRPEF «supera il gettito medio nazionale per abitante» (così al n. 1, della lettera g). Queste regioni «non ricevono risorse dal Fondo», sono cioè escluse dalla perequazione.

Va segnalato che nella scheda – riferendosi ad una interpretazione sistematica del funzionamento del Fondo - si è accolta l’interpretazione che ‘il gettito medio nazionale per abitante’ sia determinato con riferimento al gettito delle sole regioni a statuto ordinario, escludendo quindi quello delle regioni a statuto speciale. Se così non fosse, la capacità fiscale media per abitante delle regioni a statuto ordinario sarebbe posta ad un livello più alto di quello effettivo.

3.      Correlativamente, sono definite «regioni con minore capacità fiscale» quelle nelle quali il gettito per abitante dell’addizionale regionale all’IRPEF è inferiore al gettito medio nazionale per abitante (così al numero 2, citato). Queste regioni partecipano alla ripartizione del Fondo perequativo. Non sono indicate però misura e modalità di questa ‘partecipazione’ per modo che è lasciato al legislatore delegato la determinazione del grado di perequazione di quella minore capacità fiscale per abitante. I limiti entro cui il legislatore delegato può ‘muoversi’ sono quelli già ricordati della lettera b), ai quali si aggiunge il parametro della dimensione demografica, nei termini posti dal numero 3): il legislatore delegato dovrà stabilire un limite alla popolazione residente nelle regioni, al di sotto del quale la quota perequativa è incrementata in ragione inversa alla dimensione demografica stessa.

 

Come sopra notato a proposito delle funzioni relative alle prestazioni dei livelli essenziali, così anche a proposito delle altre funzioni (le cosiddette ‘non LEP’) va ricordato che molte di esse – tutte quelle che le regioni svolgono attualmente – sono già finanziate, prevalentemente, dal gettito di tributi propri o da compartecipazioni erariali o, per una parte non grande, da trasferimenti a carico del bilancio dello Stato. Tra queste ultime sono sicuramente quelle trasferite alle regioni dal decreto legislativo n. 112 del 1998 in forza della delega conferita dalla legge n. 59 del 1997, la cosiddetta ‘Legge Bassanini’.


 

Articolo 10
(Princıpi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni, nelle materie di loro competenza legislativa ai sensi dell'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato;

       b) riduzione delle aliquote dei tributi erariali e corrispondente aumento:

                   1) per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), dei tributi di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2);

                   2) per le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), del tributo regionale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera i), fatto salvo quanto previsto dall'articolo 25, comma 4;

       c) aumento dell'aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell'IVA destinata ad alimentare il fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale per abitante ovvero della compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche;

       d) definizione delle modalità secondo le quali si effettua la verifica periodica della congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h), sia in termini di gettito sia in termini di correlazione con le funzioni svolte.


 

 

L'articolo 10 in esame si occupa di indicare i principi e i criteri direttivi cui devono essere informati i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione (ai sensi dell’articolo 2 del medesimo disegno di legge) per quanto attiene al finanziamento delle funzioni trasferite alle Regioni.

La norma, in particolare, riguarda le funzioni trasferite nelle materie di cui al terzo e quarto comma dell'art. 117 Cost., ovvero nelle materie rientranti nella competenza legislativa regionale concorrente e residuale.

 

Si ricorda in proposito che, ai sensi dell’articolo 117, comma III, Cost., nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata allalegislazione dello Stato. La norma costituzionale elenca poi dettagliatamente le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni: tra le altre, in questa sede di ricorda l’armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Il IV comma dell’articolo 117 affida alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (competenza cd. “residuale”).

 

I principi e criteri elencati dall’articolo in esame sembrano costituire limiti ulteriori rispetto a quelli posti, in via preliminare e generale, dall’articolo 2 della proposta in esame (per cui si rimanda alla relativa scheda di lettura).

 

Nel complesso, le disposizioni prevedono che alla soppressione degli appositi stanziamenti di spesa statale e alla riduzione delle aliquote dei tributi erariali corrisponda, in parallelo, l’aumento dei tributi locali e dell’aliquota della compartecipazione regionale al gettito IVAdestinato ad alimentare il fondo perequativo regionale, nonché della compartecipazione all’IRPEF.

 

Nel dettaglio, la lettera a) indica, quale principio e criterio direttivo, la cancellazione nel bilancio dello Stato degli stanziamenti di spesa relativi al trasferimento delle funzioni, inclusi i costi del personale e di funzionamento.

 

Ai sensi della lettera b), si prevede la riduzione delle aliquote dei tributi erariali e il corrispondente aumento:

 

1.      dei tributi “derivati”, ovvero i tributi il cui gettito è devoluto alle Regioni sebbene siano istituiti e regolati da leggi statali, nonché delle aliquote “riservate” alle Regioni ma su basi imponibili dei tributi erariali (articolo 7 comma 1, lettera b), n. 1 e 2 del disegno di legge in esame; per approfondimenti, si veda la relativa scheda di lettura) per quanto attiene alle spese “essenziali”, ossia riconducibili alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale (ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost., richiamato dall’articolo 8, comma 1, lettera a), n. 1) del disegno di legge in esame);

2.      dell’addizionale regionale all’IRPEF (dall’articolo 8, comma 1, lettera i)), per le spese “non essenziali”, ovvero non riconducibili alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), n. 2) del disegno di legge in esame). La disposizione richiede che sia fatto salvo quanto disposto (ai sensi dell’articolo 24, comma 4 del disegno di legge) per garantire finanziamenti aggiuntivi - mediante compartecipazione a tributi erariali ed alle accise - in caso di assegnazione di ulteriori, nuove funzioni alle autonomie territoriali.

 

La lettera c) prevede l'aumento dell’aliquota della compartecipazione regionale al gettito dell’IVA, per finanziare la perequazione a favore delle Regioni con minore capacità fiscale pro-capite, nonché della compartecipazione al gettito IRPEF.

 

Si ricorda in proposito che l’articolo 7 del D.Lgs. 56/2000 aveva istituito il Fondo perequativo nazionale, alimentato dalle compartecipazioni all'IVA ed all'accisa sulla benzina, al fine di consentire che una parte del gettito della compartecipazione all'IVA sia destinata alla realizzazione degli obiettivi di solidarietà interregionale.

 

Le lettere b) e c) del presente articolo sono richiamate dall'art. 19, lettera f), del disegno di legge. Ai sensi di tale disposizione, si richiede che venga prevista una garanzia almeno di equivalenza tra la somma del gettito delle nuove entrate regionali (tributi derivati, aliquote riservate, addizionale IRPEF e compartecipazione all’IVA) e valore degli stanziamenti di bilancio cancellati (articolo 10, comma 1, lettera a)). Si prevede inoltre una verifica dell’adeguatezza e della congruità delle risorse finanziari delle funzioni già trasferite.

 

Infine, la lettera d), quale criterio di esercizio della delega, comprende anche la definizione delle modalità per verificare, periodicamente, che i tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard per le spese "essenziali" (articolo 8, comma 1, lettera h)) risultino congrui, sia in termini di gettito, sia di correlazione con le funzioni svolte.

 

Si ricorda in proposito che la verifica di congruità dovrà essere periodicamente effettuata dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lett. d), primo periodo, alla cui scheda di lettura si rinvia.

 

Si ricorda inoltre che il richiamato articolo 8, comma 1, lettera h) del disegno di legge in esame, quale criterio direttivo dell’esercizio della delega (in tema di modalità di esercizio delle competenze legislative e mezzi di finanziamento), indica anche la definizione delle modalità per fissare le aliquote di tributi e compartecipazioni destinate a finanziare le spese “essenziali” al livello minimo assoluto sufficiente per finanziare pienamente il fabbisogno dei livelli essenziali delle prestazioni (valutati ai costi standard) in una sola Regione. Per approfondimenti, si veda la relativa scheda di lettura.

Si osserva tuttavia che, al fine di determinare il “costo standard”, la citata lettera h) rimanda alla precedente lettera b) del comma 1. Tale disposizione prevede che i decreti legislativi delegati definiscano le modalità per la determinazione delle spese “essenziali” nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale.

 

Si osserva che l’articolo in esame reca un sistema di riequilibrio delle risorse tra Stato e Regioni che appare complesso sia dal punto di vista tecnico-contabile, che dal punto di vista normativo. Potrebbe pertanto risultare opportuno, in sede di normativa di delega, introdurre precisazioni in ordine ai criteri di individuazione delle poste di spesa statale da sopprimere nonché sulla correlazione tra tributi erariali da ridurre e funzioni trasferite, soprattutto per i casi in cui il tributo non risulti agevolmente correlabile alle funzioni da trasferire. Analoghe indicazioni potrebbero risultare utili in ordine ai criteri che si intendono utilizzare affinché il gettito delle nuove entrate regionali compensi il taglio delle suddette risorse. Ciò anche alla luce di un disegno normativo – quale quello in esame - nel quale deve essere garantita almeno l’equivalenza tra la somma del gettito delle nuove entrate regionali e il valore degli stanziamenti cancellati.

Il riequilibrio deve infatti determinarsi, in sede di decretazione attuativa, mediante i diversi interventi prefigurati nelle lettere a), b) e c), ai quali è affidato il compito di realizzare, contestualmente, ammontari di minori stanziamenti/minori entrate nel bilancio dello Stato equivalenti alle maggiori entrate per le Regioni

Al medesimo fine di delineare con maggiori dettagli, in presenza della complessità attuativa della norma in esame, il percorso applicativo affidato alla normativa delegata, potrebbe ritenersi opportuno fornire ulteriori indicazioni in ordine ai criteri mediante cui effettuare la “verifica periodica” - prevista alla lettera d) - della congruità, in termini di gettito e di correlazione con le funzioni svolte, dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard per le spese essenziali.

Per una più approfondita disamina dei profili finanziari riguardanti l’articolo in commento, si rinvia alla seconda parte del presente dossier, relativa ai profili finanziari, alla scheda concernente il finanziamento delle Regioni (articoli 2, co. 1; 7, 8 e 10 del disegno di legge in esame).

 


 

Articolo 11
(Principi e criteri direttivi concernenti il finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) classificazione delle spese relative alle funzioni di comuni, province e città metropolitane, in:

                   1) spese riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, come individuate dalla legislazione statale;

                   2) spese relative alle altre funzioni;

                   3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinan­ziamenti nazionali di cui all'articolo 15;

       b) definizione delle modalità per cui il finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numero 1), e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate avviene in modo da garantirne il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard ed è assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce, e dal fondo perequativo;

       c) definizione delle modalità per cui le spese di cui alla lettera a), numero 2), sono finanziate con il gettito dei tributi propri, con compartecipazioni al gettito di tributi e con il fondo perequativo basato sulla capacità fiscale per abitante;

       d) definizione delle modalità per tenere conto del trasferimento di ulteriori funzioni ai comuni, alle province e alle città metropolitane ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, al fine di assicurare, per il complesso degli enti, l'integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento;

       e) soppressione dei trasferimenti statali e regionali diretti al finanziamento delle spese di cui alla lettera a), numeri 1) e 2), ad eccezione degli stanziamenti destinati ai fondi perequativi ai sensi dell'articolo 13;

       f) il gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali è senza vincolo di destinazione;

       g) valutazione dell'adeguatezza delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali per l'ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e salvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferimento alla specificità dei piccoli comuni, anche con riguardo alle loro forme associative, dei territori montani e delle isole minori.


 

 

L'articolo 11 reca i principi e i criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti legislativi previsti dall'articolo 2, per quanto concerne il finanziamento delle funzioni di comuni, province e Città metropolitane.

Tali principi e criteri direttivi sono contenuti nelle lettere da a) a g) dell’unico comma dell’articolo in esame.

 

Analogamente a quanto previsto per le regioni (cfr. lettera a) dell'art. 8), il principio indicato alla lettera a) prevede una classificazione delle spese di comuni, province e Città metropolitane in tre tipologie:

1.      spese riconducibili alle funzioni "fondamentali", ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, individuate come tali dalla legislazione statale.

La citata norma costituzionale assegna alla competenza esclusiva statale le materie relative a: “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (lettera p) dell’art. 117).

Per quanto attiene tali funzioni fondamentali, già la legge n. 131/2003 (cd. legge La Loggia) aveva previsto una delega al Governo per la loro individuazione. Tale delega, che recava come termine il 31 dicembre 2005, non è stata peraltro esercitata. Allo stato attuale, una proposta di legge è all’esame del Senato (A.S. 1208 sen. Bastico ed altri) recante Delega al Governo in materia di funzioni fondamentali degli enti locali, di istituzione delle città metropolitane e di definizione della Carta delle autonomie locali.

2.      spese relative alle “altre funzioni”. In tale categoria, dovrebbero rientrarvi le spese relative a quelle funzioni non considerate “fondamentali” ai sensi della normativa indicata al punto precedente.

 

In merito a queste due tipologie di spese, va sottolineato che l’articolo 20, relativo alla disciplina della fase transitoria per gli enti locali, stabilisce che, fino all’entrata in vigore delle disposizioni concernenti l’individuazione delle funzioni fondamentali, il finanziamento del fabbisogno degli enti locali è effettuato considerando l’80% delle spese come fondamentali e il restante 20% di esse come non fondamentali.

 

3.      spese "speciali", vale a dire quelle finanziate con i contributi nazionali speciali, con i finanziamenti dall'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali, di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione (si veda, a tale riguardo, l’articolo 15 del provvedimento in esame).

 

Per quanto concerne la definizione delle modalità difinanziamento delle spese connesse alle funzioni "fondamentali", nonché dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate[19], la lettera b) impone la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al "fabbisogno standard", secondo la definizione contenuta nell’articolo 2, lettera f) del provvedimento in esame.

Il finanziamento integrale delle spese fondamentali viene assicurato da:

a)      tributi propri;

b)      compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali. Con riferimento al gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali la successiva lettera f) precisa che esso è senza vincolo di destinazione;

c)      addizionali a tributi erariali e regionali, la cui manovrabilità, per i comuni, è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni stessi, con riferimento alle fasce demografiche in cui questi sono suddivisi;

d)      fondo perequativo, le cui modalità di ripartizione tra i singoli enti sono contenutenel successivo articolo 13, lettera c), sulla base di appositi indicatori di fabbisogno finanziario e di infrastrutture.

 

Il successivo articolo 12 indica espressamente quali sono i tributi e le compartecipazioni dal cui gettito dovrebbe derivare, in via prioritaria, il finanziamento integrale delle spese fondamentali di comuni e province.

Con riferimento ai comuni, è previsto l’utilizzo di una o più delle seguenti fonti (lett. b):

-          compartecipazione all’IVA;

-          compartecipazione all’IRPEF;

-          imposizione immobiliare, con esclusione dell'abitazione principale.

-          Per le province,la lettera c) indica:

-          il gettito di tributi il cui presupposto sia connesso al trasporto su gomma;

-          la compartecipazione a un solo tributo erariale.

 

Per quanto attiene al finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, va ricordato che il successivo articolo 14 prevede, al riguardo, l’adozione di uno specifico decreto legislativo, al fine di assicurare a tali enti una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle loro funzioni. Tale decreto legislativo, che assegna alle città metropolitane tributi ed entrate proprie, rimette alla facoltà di tali enti l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all'esercizio delle loro funzioni fondamentali.

 

Le spese riconducibili alle funzioni "non fondamentali" sono finanziate, ai sensi della lettera c), attraverso:

a)      il gettito dei tributi propri;

b)      la compartecipazioni al gettitodi tributi (rispetto alla precedente lettera b), qui non si precisa se si tratti di tributi sia erariali che regionali);

c)      il fondo perequativo. A differenza di quanto previsto per il finanziamento delle spese fondamentali, l'intervento del fondo perequativo per il finanziamento delle spese “non fondamentali” è basato espressamente sulla capacità fiscale "per abitante". Come precisato nel successivo articolo 13, comma 1, lettera f), per le spese relative all’esercizio delle funzioni diverse da quelle fondamentali, il fondo perequativo dei comuni e province è diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali (si rileva che il riferimento alla capacità fiscale per abitante è presente nell'art. 119, terzo comma, della Costituzione).

 

Si fa notare che per quanto concerne le modalità di finanziamento delle spese “non fondamentali” non è prevista la garanzia del finanziamento integrale.

A questo proposito infatti, l’articolo 2, lettera aa) del disegno di legge in esame, è volto a riconoscere agli enti territoriali una adeguata flessibilità fiscale, articolata su più tributi, in modo tale da consentire di finanziare il livello di spesa per funzioni non fondamentali attivando “le proprie potenzialità”[20].

Al riguardo va peraltro osservato che l’articolo 26, comma 2, lettera b), come riformulato nel corso dell’esame al Senato, prevede che i decreti legislativi attuativi della delega debbano individuare meccanismi idonei a garantire la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale generale e del suo riparto tra i diversi livelli di governo, nonché a salvaguardare l’obiettivo che non si producano aumenti della pressione fiscale complessiva, neppure nella fase transitoria.

 

Con riferimento alle funzioni non fondamentali degli enti locali, la previsione del loro finanziamento anche tramite compartecipazioni al gettito dei tributi si discosta da quanto disposto con riferimento alle regioni, per le quali il ricorso alle compartecipazioni va tendenzialmente limitato al finanziamento delle sole funzioni LEP.

 

Il principio introdotto dalla lettera d) è relativo alle modalità di finanziamento delle ulteriori funzioni trasferite ai comuni, alle province e alle Città metropolitane, ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione e secondo le modalità di cui all’articolo 7 della legge n. 131/2003 (c.d. “legge La Loggia”), al fine di garantire, agli enti locali, “l’integrale finanziamento” di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento delle funzioni medesime.

 

In merito alla formulazione del principio in esame, andrebbe chiarito se esso faccia riferimento soltanto alle funzioni che verranno trasferite in futuro, ai sensi della legge n. 131/2003, ovvero anche a quelle già trasferite, in base alle disposizioni recate dal D.Lgs. n. 112/1998, attuativo della legge n. 59/1997 (c.d. Bassanini), in relazione alle quali non sia stato garantito, al momento del trasferimento, un finanziamento complessivo integrale.

 

L’articolo 7 della legge n. 131/2003 dà attuazione all’articolo 118 della Costituzione e stabilisce i criteri per il riparto delle funzioni amministrative tra Stato, regioni, province, comuni e città metropolitane secondo il principio che tutte le funzioni amministrative, non diversamente attribuite, spettano ai comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni. Il medesimo art. 7, al comma 2, individua le modalità di adozione dei provvedimenti di trasferimento delle funzioni: essi sono adottati sulla base di accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, che individuano in particolare i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni da conferire. Tali accordi vengono poi recepiti con appositi disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica che il Governo presenta al Parlamento.

 

In conseguenza delle nuove modalità di finanziamento delle spese degli enti locali, previste dall’articolo in esame, i decreti delegati attuativi del nuovo sistema provvederanno altresì alla soppressione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento delle spese, fondamentali e non, degli enti locali, escludendo dalla soppressione soltanto gli stanziamenti destinati ai fondi perequativi, quantificati ai sensi del successivo articolo 13 (lettera e)).

 

E’, infine, introdotto, nel corso dell’esame presso il Senato, il principio in base al quale deve essere data adeguata valutazione, nella definizione dei criteri di finanziamento degli enti locali, ad alcune particolari caratteristiche degli enti, in particolare le dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali ai fini dell’ottimale svolgimento delle rispettive funzioni e della salvaguardia delle peculiarità territoriali. Il riferimento specifico è alla specificità dei piccoli comuni, anche con riguardo alle loro forme associative, dei territori montani e delle isole minori (lettera g)).

Si segnala che si tratta di due principi di delega con finalità tra loro divergenti, e la cui attuazione appare pertanto problematica: mentre infatti per “l’ottimale svolgimento” delle funzioni la dimensione demografica deve essere consistente (per consentire, ad esempio, la prestazione di servizi a costi unitari minori), la salvaguardia dei piccoli comuni richiede che, all’opposto, vengano tutelate anche le dimensioni demografiche numericamente esigue.


 

Articolo 12
(Princıpi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento al coordinamento ed all'autonomia di entrata e di spesa degli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) la legge statale individua i tributi propri dei comuni e delle province, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche attraverso l'attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale;

       b) definizione delle modalità secondo cui le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate da una o più delle seguenti fonti: dal gettito derivante da una compartecipazione all'IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo secondo quanto previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di imposta comunale sugli immobili, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126;

       c) definizione delle modalità secondo cui le spese delle province relative alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), sono prioritariamente finanziate dal gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipazione ad un tributo erariale;

       d) disciplina di uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di applicazione in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana;

       e) disciplina di uno o più tributi propri provinciali che, valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di applicazione in riferimento a particolari scopi istituzionali;

       f) previsione di forme premiali per favorire unioni e fusioni tra comuni, anche attraverso l'incremento dell'autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali;

       g) previsione che le regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possano istituire nuovi tributi dei comuni, delle province e delle città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali;

       h) previsione che gli enti locali, entro i limiti fissati dalle leggi, possano disporre del potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti da tali leggi e di introdurre agevolazioni;

       i) previsione che gli enti locali, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, dispongano di piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini;

       l) previsione che la legge statale, nell'ambito della premialità ai comuni virtuosi, in sede di individuazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica riconducibili al rispetto del patto di stabilità e crescita, non possa imporre vincoli alle politiche di bilancio degli enti locali per ciò che concerne la spesa in conto capitale.


L'articolo 12 reca i principi e i criteri direttivi di delega per quanto attiene al coordinamento ed all’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali.

 

Tali principi e criteri direttivi sono contenuti nelle lettere da a) a i) dell’unico comma dell’articolo 12 in esame.

Le competenze dello Stato in materia di entrate degli enti locali

La lettera a) demanda alla legge statale l’individuazione dei tributi propri dei Comuni e delle Province.

 

Appare opportuno ricordare, preliminarmente, che l'art. 119, secondo comma, della Costituzione chiarisce che le autonomie territoriali stabiliscono ed applicano "tributi propri", alle condizioni ivi previste, e dispongono della compartecipazione al gettito di "tributi erariali", riferibili al loro territorio. La distinzione tra "tributi propri" (rispettivamente di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) e "tributi erariali" è fondamentale per determinare il livello territoriale di competenza necessario per deliberare. La Corte Costituzionale ha definito i “tributi propri regionali”, nella sentenza n. 381/2004: sono tali, nel senso del nuovo art. 119, quelli stabiliti dalle Regioni con propria legge e non anche quelli il cui gettito sia “attribuito” alle Regioni, ma siano stati istituiti con legge statale (cfr. anche sentenza n. 296/2003). In materia di tributi locali, la riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione comporta la necessità di disciplinare a livello legislativo quanto meno gli aspetti fondamentali dell’imposizione, stante l’assenza di poteri legislativi in capo agli enti sub-regionali.

L’espressione “tributi propri”, di conseguenza, sembra essere utilizzata in senso atecnico nel contesto del disegno di legge in esame. Per approfondimenti sul tema si rimanda al capitolo 2 del dossier “Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale”, a cura del Servizio Studi di Camera e Senato, dell’ottobre 2008.

 

Dei suddetti tributi, la legge statale disciplina:

§      i presupposti;

§      i soggetti passivi;

§      le basi imponibili;

§      le cd. “aliquote di riferimento” le quali, valide per tutto il territorio nazionale, sono preposte a garantire una adeguata flessibilità fiscale.

 

Si ricorda al proposito che, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, lettera z) del presente disegno di legge, è introdotto nel sistema il principio della garanzia - nella costituzione di insiemi di tributi e compartecipazioni da attribuire alle regioni e agli enti locali - del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale. I tributi e le compartecipazioni, da attribuire alle regioni e agli enti locali, dovranno essere composti in misura rilevante da tributi manovrabili. Anche la successiva lettera aa) si occupa di flessibilità fiscale, che deve essere adeguata e rispondere alle seguenti caratteristiche:

-          articolazione su più tributi;

-          base imponibile stabile;

-          base imponibile distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale.

Secondo il principio di delega, una tale base imponibile dovrà consentire a tutti gli enti territoriali, compresi quelli a più basso potenziale fiscale, di finanziare il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali.

 

Ai sensi della disposizione in commento, nell'attuazione della delega, la legge statale può sostituire o trasformare tributi già esistenti, ovvero attribuire a Comuni e Province tributi o parti di tributi già erariali.

Le competenze delle regioni a statuto ordinario in materia di entrate locali

Ai sensi della lettera g) si prevede che la Regione, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possa istituire nuovi tributi comunali, provinciali e delle Città metropolitane nei propri territori, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti alle autonomie territoriali.

 

A tal proposito, si ricorda che l’articolo 14 del disegno di legge in esame reca una disciplina speciale relativa all’attribuzione di tributi alle Città metropolitane. Nel dettaglio, la norma citata dispone che mediante uno specifico decreto legislativo siano recate le disposizioni per assicurare il finanziamento delle funzioni delle Città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi. Tale attribuzione è preordinata a garantire a tali enti un’ampia autonomia di entrata e di spesa in corrispondenza della complessità delle funzioni attribuite.

In particolare, il decreto legislativo in questione dovrà provvedere ad assegnarealle Città metropolitane tributi ed entrate proprie, anche diverse da quelle assegnate ai comuni.

Si rimanda dunque alle osservazioni formulate nella scheda di lettura dell’articolo 14, per quanto riguarda l’opportunità di un coordinamento tra le disposizioni in esso contenute, relative all’assegnazione di entrate alle Città metropolitane per mezzo di norme statali, e quanto previsto dalla lettera g) dell’articolo in esame, che consente l’intervento legislativo regionale in ordine alla istituzione di ulteriori tributi.

Si ricorda inoltre, per completezza, che l’articolo 22 del disegno di legge in esame reca una disciplina transitoria per permettere una “prima” istituzione delle città metropolitane nelle aree metropolitane delle regioni a statuto ordinario, ad esclusione di Roma. Tale disciplina rimarrà in vigore fino all’approvazione di una apposita legge organica che stabilirà le modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane.

Principi di delega in tema di unioni e fusioni di Comini, nonché di enti locali in genere

Per quanto attiene alle unioni e fusioni tra Comuni, la lettera f) prevede forme premiali per favorire tali enti, anche attraverso l’incremento dell’autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali.

 

Le lettere h) e i) recano disposizioni concernenti gli enti locali in genere.

 

La lettera h) prevede la possibilità, per gli enti locali, di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi entro i limiti da queste fissati e di introdurre agevolazioni, coerentemente a quanto previsto in materia di “flessibilità fiscale”.

 

L’elemento della “flessibilità fiscale” risulta rilevare, nel provvedimento in esame, anche alla luce di quanto disposto dall’articolo 7,lett. c)del provvedimento stesso. Quest’ultima norma consente alle Regioni, per una parte dei tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali e il cui gettito è attribuito alle regioni, e per le aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali, di modificare con propria legge le aliquote nei limiti massimi di incremento stabiliti dalla legislazione statale, nonché disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, nel rispetto della normativa comunitaria. Sono fatti salvi gli elementi strutturali dei tributi stessi, la coerenza con la struttura di progressività del singolo tributo erariale su cui insiste l'aliquota riservata e la coerenza con il principio di semplificazione e con l'esigenza di standardizzazione necessaria per il corretto funzionamento della perequazione;

 

La lettera i) concede agli EE.LL, nel rispetto delle normative di settore e delle delibere delle autorità di vigilanza, piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi, anche su quelli offerti a richiesta di singoli cittadini.

Principi di delega riguardanti l’autonomia dei Comuni

Le lettere b)e d), f) ed l ) recano disposizioni concernenti l’autonomia di l’entrata e di spesa dei Comuni.

 

La lettera b) reca i criteri e i principi cui deve improntarsi la legislazione delegata in tema di finanziamento delle spese concernenti le funzioni fondamentali dei Comuni.

 

La disposizione fa riferimento alle funzioni essenziali di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a), n. 1) del disegno di legge in esame. Si tratta delle spese concernenti gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (articolo 117, comma secondo, lettera p) Cost.).

Si ricorda che la norma in esame va letta in coordinamento con le disposizioni recate all'art. 11, lett. c) del progetto di legge in esame, in tema di finanziamento delle funzioni non essenziali dei Comuni. Tali ultime funzioni sono così finanziate:

a)       tramite il gettito dei tributi propri;

b)      tramite la compartecipazioni al gettitodi tributi;

c)       tramite il fondo perequativo.

Per approfondimenti e osservazioni si rinvia alla scheda di lettura del citato articolo 11.

 

Si prevede nel dettaglio che le spese per le funzioni fondamentali siano così finanziate, in via prioritaria:

§      dallacompartecipazione all’IVA;

§      dalla compartecipazione all’IRPEF;

§      dalla imposizione immobiliare, con l’esclusione della tassazione patrimoniale della abitazione principale del soggetto passivo, secondo quanto previsto dalla disciplina ICI vigente al momento di entrata in vigore del disegno di legge in commento.

 

Dalla formulazione della norma sembrano dunque risultare che:

§      il finanziamento delle funzioni fondamentali dei Comuni può derivare anche da fonti diverse da quelle indicate nella norma in commento, indicate tuttavia quali prioritarie;

§      solo il gettito derivante dall’ICI sull’abitazione principale non possa essere destinato al funzionamento delle suddette spese “fondamentali”, in quanto le disposizioni in esame espressamente richiamano l’articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, che ha sostanzialmente abolito l’ICI sulla prima casa. E’ pertanto possibile che tali spese possano venir finanziate da ulteriori forme di tassazione degli immobili, diverse dall’ICI predetta.

 

La lettera d) reca invece previsioni in materia di "tributi di scopo", disciplinati da legge statale e qualificati tuttavia come “tributo proprio”. Si tratta di tributi che l’ente può applicare in riferimento a particolari finalità.

 

 

Dalla formulazione della norma si evince la possibilità che il comune applichi uno o più tributi riferiti a particolari scopi, quali la realizzazione di opere pubbliche e il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari, come i flussi turistici e la mobilità urbana. Dalla lettera della disposizioni sembra altresì emergere che tali ipotesi siano state elencate a titolo esemplificativo.

 

La lettera l) prevede che nell’ambito della premialità, ai comuni virtuosi non possano essere imposti, con legge statale, vincoli alle politiche di bilancio per ciò che concerne la spesa in conto capitale.

In sostanza, il principio in esame sembrerebbe configurare una golden rule, vale a dire una esclusione della spesa in conto capitale degli enti locali dall’applicazione di vincoli finanziari.

Tale esclusione è prevista a solo vantaggio dei comuni virtuosi, nell’ambito della premialità introdotta dall’articolo 16 del provvedimento in esame, in sede di individuazione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica riconducibili al rispetto del patto di stabilità e crescita.

 

Per quanto concerne ulteriori approfondimenti sulla lettere l)in questione, si rinvia alle considerazioni contenuti nella sezione del presente dossier relativa ai profili più strettamente finanziari.

Principi di delega riguardanti le Province

In tema di autonomia di spesa e di entrata delle Province, lalettera c) anzitutto prevede che le spese relative alle “funzioni fondamentali” siano prioritariamente finanziate da un duplice canale:

§      dal gettito di tributi il cui presupposto sia connesso al trasporto su gomma.

Si osserva in proposito che la norma non specifica se si tratti di tributi erariali o provinciali e che, dunque, occorrerebbe fornire chiarimenti in proposito;

§      dalla compartecipazione ad un solo tributo erariale.

 

Ai sensi della lettera e), la legge statale disciplina i cosiddetti “tributi provinciali di scopo” (analogamente a quanto previsto per i “tributi comunali di scopo”), ossia uno o più tributi propri provinciali che la provincia può applicare in riferimento a particolari scopi istituzionali.

Per una più approfondita disamina dei profili finanziari riguardanti l’articolo in commento, si rinvia alla parte del presente dossier relativa ai profili finanziari, nella scheda riguardante il finanziamento delle funzioni degli Enti Locali (articoli 11 e 12).

 


 

Articolo 13
(Princıpi e criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'entità e al riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) istituzione nel bilancio delle regioni di due fondi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province e delle città metropolitane, alimentati da un fondo perequativo dello Stato con indicazione separata degli stanziamenti per le diverse tipologie di enti, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte; la dimensione del fondo è determinata, per ciascun livello di governo, con riguardo all'esercizio delle funzioni fondamentali, in misura uguale alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le medesime funzioni e il totale delle entrate standardizzate di applicazione generale spettanti ai comuni e alle province ai sensi dell'articolo 12, con esclusione dei tributi di cui al comma 1, lettere d) ed e), del medesimo articolo e dei contributi di cui all'articolo 15, tenendo conto dei princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;

       b) definizione delle modalità con cui viene periodicamente aggiornata l'entità dei fondi di cui alla lettera a) e sono ridefinite le relative fonti di finanziamento;

       c) la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti, per la parte afferente alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), numero 1), avviene in base a:

                   1) un indicatore di fabbisogno finanziario calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e il valore standardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale;

                   2) indicatori di fabbisogno di infrastrutture, in coerenza con la programmazione regionale di settore, per il finanziamento della spesa in conto capitale; tali indicatori tengono conto dell'entità dei finanziamenti dell'Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi sono soggetti;

       d) definizione delle modalità per cui la spesa corrente standardizzata è computata ai fini di cui alla lettera c) sulla base di una quota uniforme per abitante, corretta per tenere conto della diversità della spesa in relazione all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi enti. Il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti nella determinazione del fabbisogno è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata;

       e) definizione delle modalità per cui le entrate considerate ai fini della standardizzazione per la ripartizione del fondo perequativo tra i singoli enti sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard;

       f) definizione delle modalità in base alle quali, per le spese relative all'esercizio delle funzioni diverse da quelle fondamentali, il fondo perequativo per i comuni e quello per le province sono diretti a ridurre le differenze tra le capacità fiscali, tenendo conto, per gli enti con popolazione al di sotto di una soglia da individuare con i decreti legislativi di cui all'articolo 2, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa e della loro partecipazione a forme associative;

       g) definizione delle modalità per cui le regioni, sulla base di criteri stabiliti con accordi sanciti in sede di Conferenza unificata, e previa intesa con gli enti locali, possono, avendo come riferimento il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo di fondo perequativo ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale, procedere a proprie valutazioni della spesa corrente standardizzata, sulla base dei criteri di cui alla lettera d), e delle entrate standardizzate, nonché a stime autonome dei fabbisogni di infrastrutture; in tal caso il riparto delle predette risorse è effettuato sulla base dei parametri definiti con le modalità di cui alla presente lettera;

       h) i fondi ricevuti dalle regioni a titolo di fondo perequativo per i comuni e per le province del territorio sono trasferiti dalla regione agli enti di competenza entro venti giorni dal loro ricevimento. Le regioni, qualora non provvedano entro tale termine alla ridefinizione della spesa standar­dizzata e delle entrate standardizzate, e di conseguenza delle quote del fondo perequativo di competenza dei singoli enti locali secondo le modalità previste dalla lettera g), applicano comunque i criteri di riparto del fondo stabiliti dai decreti legislativi di cui all'articolo 2 della presente legge. La eventuale ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate non può comportare ritardi nell'assegnazione delle risorse perequative agli enti locali. Nel caso in cui la regione non ottemperi alle disposizioni di cui alla presente lettera, lo Stato esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, in base alle disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.


 

 

L'articolo 13 reca i principi e i criteri direttivi concernenti l’entità e il riparto dei fondi perequativi per i comuni, le province e le Città metropolitane.

Si ricorda che la perequazione a favore delle Regioni è trattata all’articolo 9.

 

A tal fine, la lettera a) prevede l’istituzione di due fondi perequativi, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle Città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato.

Nel fondo perequativo statale è data separata indicazione degli stanziamenti spettanti ai comuni, alle province e alle città metropolitane, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte da tali enti.

La dimensione del fondo perequativo statale è determinata, per ciascuna tipologia di ente, con riguardo all’esercizio delle funzioni fondamentali[21], in misura pari alla differenza tra:

§      il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e

§      il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province.

Il riferimento è a tutte le entrate spettanti agli enti locali come individuate ai sensi dell’articolo 12 (con esclusione dei c.d. tributi propri di scopo comunali e provinciali, cui alle lettere d) ed e), e dei contributi per gli interventi speciali di cui all’articolo 15), valutate ad aliquota standard (cfr. lettera e).

 

Nella determinazione del fondo perequativo assumono rilevanza i princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica per il finanziamento delle funzioni.

I citati criteri generali di delega prevedono, per tutti i livelli istituzionali, il graduale superamento del criterio della spesa storica in favore di due nuovi concetti ai quali ancorare il finanziamento della finanza territoriale: il fabbisogno standard, per il finanziamento delle funzioni fondamentali (ovvero delle prestazioni essenziali, nel caso delle regioni) e la perequazione della capacità fiscale, per il finanziamento delle altre funzioni.

 

In sostanza, secondo i principi di cui alla lettera a), la perequazione è volta a colmare la differenza tra le spese per l’esercizio delle funzioni fondamentali, calcolate in termini di fabbisogni standard, e le entrate standard. L’intervento della perequazione deve, tuttavia, tener conto del principio del superamento della spesa storica.

Le modalità con cui i diversi principi debbano trovare attuazione nell’ambito del periodo transitorio (5 anni previsto dalla delega) non appaiono espressamente circostanziate.

 

La norma introduce inoltre il principio dell'aggiornamento periodico dell’entità dei fondi di perequazione e delle relative fonti di finanziamento (lettera b).

 

Va al riguardo evidenziato che l’articolo in esame non reca alcuna indicazione relativamente alle fonti di finanziamento dei fondi perequativi.

 

La ripartizione tra i singoli enti del fondo perequativo, per la parte afferente alle funzioni fondamentali, è effettuata sulla base su due tipi di indicatori di fabbisogno(lettera c):

1)   un indicatore di fabbisogno finanziario, calcolato come differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente (esclusa la spesa per interessi) ed il valore standardizzato dei tributi e delle entrate proprie di applicazione generale.

Per le spese correnti, pertanto, la perequazione è volta a colmare la differenza tra le entrate proprie generali e la spesa corrente, calcolate non in valore assoluto, ma al valore standard.

Il valore standard della spesa corrente è computato con riferimento ad una quota uniforme pro capite, corretta sulla base di alcuni parametri, atti a contrassegnare la diversità della spesa dei singoli enti in relazione ad alcune loro specifiche caratteristiche, quali l’ampiezza demografica, le caratteristiche territoriali - con particolare riferimento alla presenza di zone montane - e le caratteristiche demografiche, sociali e produttive (lettera d).

Nella determinazione del fabbisogno, il peso delle caratteristiche individuali dei singoli enti è determinato con tecniche statistiche, utilizzando i dati di spesa storica dei singoli enti, tenendo conto anche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata.

Le entrate considerate ai fini della standardizzazione sono rappresentate dai tributi propri valutati ad aliquota standard (lettera e);

2)   indicatori di fabbisogno di infrastrutture, per il finanziamento della spesa in conto capitale, stabiliti in coerenza con la programmazione regionale di settore, tenendo conto dell’entità dei finanziamenti dell’Unione europea di carattere infrastrutturale ricevuti dagli enti locali e del vincolo di addizionalità cui questi finanziamenti europei sono soggetti[22].

 

Gli elementi per la determinazione della dimensione del fondo perequativo per il finanziamento dell’esercizio delle funzioni “altre”, diverse da quelle fondamentali, sono indicati alla lettera f).

Come già indicato all’articolo 11, comma 1, lettera c), l’intervento del fondo perequativo, in tale ambito, è basato sulla capacità fiscale per abitante ed è diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti.

 

Va segnalato al riguardo che la norma non reca indicazioni in merito al funzionamento del fondo perequativo per il finanziamento delle spese relative alle funzioni diverse da quelle fondamentali.

Diversamente da quanto previsto per le regioni (art. 8, co. 1, lett. i), infatti, non risultano chiare le modalità attraverso le quali si provvederà al suo riparto, in quanto la norma si limita ad affermare che i fondi perequativi dei comuni e delle province “sono diretti a ridurre le differenze tra le capacità fiscali” dei singoli enti locali.

In relazione a tale finalità dei fondi perequativi medesimi, peraltro, non risulta chiarito quali sono i tributi da prendere in considerazione per definire tale capacità fiscale.

 

Per gli enti locali con minor popolazione, al di sotto di una certa soglia che sarà individuata appositamente in sede di esercizio della delega, la norma introduce la necessità di tenere in debito conto, ai fini della perequazione, alcune specificità quali il fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa, e la partecipazione dell’ente a forme associative.

Analogamente a quanto previsto per le regioni all'art. 9, lettera g), numero 3, si prevede dunque che la perequazione per le spese "non fondamentali ("non essenziali” per le regioni) sia - a parità di altre condizioni - maggiore per gli enti con minor popolazione.

 

Va evidenziato, al riguardo, che sebbene l’intervento del fondo perequativo ai fini del finanziamento delle spese relative a funzioni non fondamentali sia previsto per tutti gli enti locali ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c), e dell’articolo 13, comma 1, lettera a), nella formulazione della norma in esame l’intervento sembra riservato soltanto ai comuni e alle province.

Si rileva, infatti, che la lettera f) in esame, nel precisare la finalità dell’intervento del fondo perequativo (riduzione delle differenze tra le capacità fiscali), fa esplicito riferimento al fondo perequativo per i comuni e a quello per le province,senza alcuna indicazione per le Città metropolitane, che, invece, alla lettera a), sono considerate nel medesimo fondo perequativo previsto per le province.

 

Gli ultimi due principi enucleati dall’articolo in esame (lettere g) e h) prevedono la possibilità per le regioni di intervenire nel riparto delle risorse assegnate ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale a titolo di perequazione, attraverso una diversa valutazione dei parametri in base ai quali è effettuata la ripartizione medesima, qualora vi sia intesa al riguardo con gli enti locali medesimi.

In particolare, fermo restando il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo di fondo perequativo ai comuni e alle province inclusi nel territorio regionale, la norma prevede che le regioni possano procedere ad effettuare proprie valutazioni delle entrate standardizzate e della spesa corrente standardizzata dei comuni e delle province, sulla base dei criteri di delega indicati alla lettera d), nonché effettuare stime autonome di fabbisogni di infrastrutture, ai fini del riparto delle risorse perequative. Tali valutazioni devono essere effettuate sulla base di criteri definiti mediante accordi sanciti in sede di Conferenza unificata e previa intesa con gli enti locali medesimi.

In tal caso, il riparto dei fondi ricevuti dalle regioni a titolo di fondo perequativo per i comuni e per le province del territorio regionale viene effettuato sulla base dei parametri definiti dalle regioni medesime, in pieno accordo con gli enti locali.

 

In sostanza, in base alle norme ora commentate, l’articolo 119, comma 3, della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza in materia di perequazione, trova attuazione nella norma in esame attraverso la previsione di un intervento regionale, che si concreta non solo nell’essere un “tramite” dello Stato nella distribuzione delle risorse (ai sensi della lettera a), ma anche in un potere di ridefinizione delle quote del fondo perequativo di competenza degli enti locali che insistono sui territori regionali.

Infatti, l’articolo in esame non solo prevede l’iscrizione dei fondi perequativi nei bilanci delle Regioni, ma assegna a queste anche la facoltà di poter stabilire modalità diverse di erogazione.

 

Il termine generale per il trasferimento dei fondi perequativi dalle regioni ai comuni ed alle province è fissato in venti giornidecorrenti dal momento in cui le regioni ricevono tali fondi dallo Stato (lettera h).

 

E' entro tale termine, pertanto, che le regioni possono provvedere alla ridefinizione della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate e, di conseguenza, alla diversa distribuzione delle quote del fondo perequativo di competenza dei singoli enti locali inclusi nel territorio.

Qualora le regioni non provvedano alla ridefinizione dei suddetti parametri entro il termine dei venti giorni dal ricevimento delle risorse perequative da parte dello Stato, si provvederà comunque alla perequazione sulla base dei criteri di riparto del fondo perequativo stabiliti dai decreti legislativi attuativi della delega.

La eventuale ridefinizione, da parte delle regioni, della spesa standardizzata e delle entrate standardizzate non può, dunque, comportare ritardi nell’assegnazione delle risorse perequative agli enti locali.

 

Nel caso in cui la regione non ottemperi alle descritte disposizioni, e non provveda nei termini previsti al trasferimento delle risorse perequative, la norma in esame prevede l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. “legge La Loggia”).

 

L’attivazione del potere sostitutivo nei confronti delle regioni e delle province autonome fa capo alle disposizioni dell’articolo 120 della Costituzione e alla disciplina attuativa dettata dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3[23]. La disciplina generale prevede che si esplichi obbligatoriamente una procedura contestativa, seguita eventualmente da un termine monitorio e, solo successivamente, dalla attivazione del potere sostitutivo.

 

Va rilevato, come già osservato in precedenza per la lettera f), che anche in relazione a tale procedura, che consente alle regioni di ridefinire, in accordo con gli enti locali, i parametri in base ai quali provvedere al riparto dei fondi perequativi per comuni e province, non si fa esplicito riferimento alle città metropolitane.

 

Per ciò che concerne il corretto utilizzo dei Fondi perequativi – i quali devono essere improntati secondo i principi di efficacia, efficienza e trasparenza – e la verifica della loro applicazione, si ricorda che esso spetta, in via generale, alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanze pubblica, organo di cui l’articolo 5 del disegno di legge in esame prevede l’istituzione all’interno della Conferenza Unificata (cfr. la relativa scheda di lettura).

 


 

Articolo 14
(Finanziamento delle città metropolitane)

 

1. Con specifico decreto legislativo, adottato in base all'articolo 2, è assicurato il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, anche attraverso l'attribuzione di specifici tributi, in modo da garantire loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle medesime funzioni. Il medesimo decreto legislativo assegna alle città metropolitane tributi ed entrate proprie, anche diverse da quelle assegnate ai comuni, nonché disciplina la facoltà delle città metropolitane di applicare tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all'esercizio delle loro funzioni fondamentali, fermo restando quanto previsto dall'articolo 12, comma 1, lettera d).

 

 

L’articolo in esame prevede l’approvazione di uno specifico decreto legislativo per assicurare il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, al fine di garantire a tali enti un’ampia autonomia di entrata e di spesa corrispondentemente alla complessità delle funzioni ad essi attribuite.

La disposizione va letta in connessione con il successivo articolo 22, che introduce una disciplina transitoria finalizzata alla prima istituzione delle città metropolitane.

 

Si rinvia alla scheda illustrativa del menzionato articolo 22 anche per un approfondimento in ordine alla disciplina vigente relativa alle città metropolitane.

 

Il decreto legislativo viene adottato dal Governo in base alla delega di cui all’articolo 2, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

Il riferimento all’articolo 2 senza la specificazione del comma lascia supporre che per le istituende città metropolitane valgano tutti i principi fondamentali sul coordinamento della finanza pubblica, del sistema tributario e perequativo ivi individuati.

In particolare, il decreto legislativo in questione provvede all’assegnazione alle città metropolitane di tributi ed entrate proprie, anche diverse da quelle assegnate ai comuni.

 

Si ricorda che l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali è disciplinata dall’articolo 12 del provvedimento. In particolare, la lettera a) del citato articolo demanda alla legge statale l’individuazione dei tributi propri dei comuni e delle province, prevedendone altresì la trasformazione ovvero la sostituzione di quelli già esistenti.

In particolare, per quanto concerne il finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali, la lettera b) indica esplicitamente, per i comuni, la compartecipazione all’IVA; la compartecipazione all’IRPEF; e l’imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione dell'abitazione principale; per le province, si fa riferimento ai tributi il cui presupposto sia connesso al trasporto su gomma e alla compartecipazione a un tributo erariale.

Oltre a ciò, la lettera g) prevede, in attuazione di quanto appositamente previsto dall’articolo 2, lettera p), che anche la regione, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possa istituire nuovi tributi comunali, provinciali e delle città metropolitane nei propri territori, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti alle autonomie territoriali.

 

Sarebbe opportuno chiarire se alla previsione di un decreto legislativo specifico per le città metropolitane, diretto alla disciplina dell’autonomia tributaria di tali enti, si aggiunga pertanto la possibilità dell’intervento legislativo regionale in ordine alla istituzione di ulteriori tributi, secondo quanto previsto dall’articolo 12, lettera g).

Il decreto legislativo dovrà inoltre contenere la disciplina della facoltà delle città metropolitanecirca l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese che possono essere ricondotte all’esercizio delle loro funzioni fondamentali.

Diversamente, dunque, da quanto previsto per i comuni e le province (cfr. l’articolo 11, comma 1, lettera b) e l’articolo 12, comma 1, lettere b) e c)), l’articolo in esame rimette alla facoltà delle città metropolitane la scelta circa i tributi il cui gettito venga destinato al finanziamento delle spese relative alle funzioni fondamentali.

Si ricorda, in merito, che le funzioni fondamentali delle città metropolitane, come per gli altri enti locali, saranno individuate dalla legislazione statale in attuazione dell’articolo 117, comma 1, lett. p), come previsto dall’articolo 11, comma 1, lett. a), n. 1) del provvedimento in esame.

 

Relativamente alle modalità di finanziamento delle spese connesse alle funzioni “fondamentali”, la norma impone la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al “fabbisogno standard”, attraverso tributi propri; compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali; addizionali a tributi erariali e regionali; fondo perequativo.

L’articolo 11 reca ulteriori princìpi in merito alle modalità di finanziamento delle ulteriori tipologie di spese delle città metropolitane, anche in riferimento al trasferimento di ulteriori funzioni ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione.

In via transitoria, le funzioni fondamentali delle città metropolitane sono definite dall’articolo 22, commi 9 e 10, che prevede che esse siano quelle provvisoriamente individuate per le province (dall’articolo 20, comma 4) cui si aggiungono: pianificazione territoriale e reti infrastrutturali; strutturazione sistemi gestione servizi pubblici; promozione e coordinamento economico e sociale.

 

Sarebbe opportuno chiarire se il decreto legislativo previsto dall’articolo in esame rechi per le città metropolitane una disciplina del tutto autonoma rispetto ai principi di delega contenuti agli articoli 11, 12 e 13 del provvedimento, che riguardano, rispettivamente, il finanziamento delle funzioni, l’autonomia di entrata e di spesa e il riparto dei fondi perequativi con riferimento ai comuni, alle province ed anche alle città metropolitane, ovvero se esso si integri con la disciplina recata dalle norme citate, anche in considerazione della mancata indicazione dei criteri applicativi del fondo perequativo per il finanziamento delle funzioni non fondamentali per le città metropolitane nell’ambito dell’articolo 13.

In ultimo, la norma precisa che rimangono ferme le disposizioni contenute all’articolo 12, comma 1, lettera d), relativo alla possibilità di istituire, con norma primaria statale, tributi propri comunali c.d. “di scopo”, in particolare finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche o al finanziamento di particolari spese legate ai flussi turistici ovvero alla mobilità urbana.

Pertanto la norma lascia supporre che anche le istituende città metropolitane potranno fare ricorso ai tributi di scopo che il menzionato articolo 12, comma 1, lettera d) richiama con riferimento alla disciplina di “tributi propri comunali”.

 

Si segnala infine che l’articolo prevedeva un secondo comma, che è stato soppresso in sede di esame referente al Senato, in base al quale si assicurava il finanziamento delle funzioni dei comuni capoluogo, in attesa della realizzazione delle città metropolitane secondo le norme previste dal Testo Unico delle leggi sugli enti locali.

Al riguardo si evidenzia che una disposizione sostanzialmente analoga è stata introdotta al comma 8 dell’articolo 22, a seguito dell’approvazione del testo da parte dell’Assemblea del Senato.

 


 

Articolo 15
(Interventi di cui al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riferimento all'attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) definizione delle modalità in base alle quali gli interventi finalizzati agli obiettivi di cui al quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione sono finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali, secondo il metodo della programmazione pluriennale. I finanziamenti dell'Unione europea non possono essere sostitutivi dei contributi speciali dello Stato;

       b) confluenza dei contributi speciali dal bilancio dello Stato, mantenendo le proprie finalizzazioni, in appositi fondi destinati ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni;

       c) considerazione delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo alla realtà socio-economica, al deficit infrastrutturale, ai diritti della persona, alla collocazione geografica degli enti, alla loro prossimità al confine con altri Stati o con regioni a statuto speciale, ai territori montani e alle isole minori;

       d) individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali e a favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;

       e) definizione delle modalità per cui gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse stanziate dallo Stato ai sensi del presente articolo sono oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata e disciplinati con i provvedimenti annuali che determinano la manovra finanziaria. L'entità delle risorse è determinata dai medesimi provvedimenti.


 

 

L’articolo 15 reca i principi e criteri direttivi a cui dovranno conformarsi i decreti legislativi attuativi dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

 

In base alla disposizione costituzionale richiamata, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, Città metropolitane e regioni, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.

Si ricorda che la disciplina dell’utilizzazione delle risorse aggiuntive e dell’effettuazione degli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, Cost. è inclusa dall’articolo 1 (cfr. la relativa scheda) tra i contenuti necessari del disegno di legge in esame.

 

Sui profili di rilievo costituzionale dei c.d. "interventi speciali" si rinvia al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pag. 16 (Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20 - Servizio studi del Senato, dossier n. 57).

Per una analisi del finanziamento dei progetti speciali ai sensi dell’articolo 119, comma V, della Costituzione, si rinvia al dossier n. 3 "L’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione: il federalismo fiscale", novembre 2008, pag. 146 (Servizio Bilancio dello Stato e Servizio studi della Camera, Servizio del Bilancio del Senato).

 

I principi e criteri direttivi a cui si deve attenere il legislatore delegato sono i seguenti:

a)  definizione delle modalità per cui gli interventi sopra citati saranno finanziati con contributi speciali del bilancio statale, con finanziamenti dell’Unione europea e con cofinanziamenti nazionali secondoil metodo della programmazione pluriennale. Nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che i finanziamenti comunitari non possono essere sostitutivi dei contributi speciali dello Stato;

Attualmente, sono ascrivibili a questa categoria di interventi economici i Fondi strutturali europei (destinati ad aree geografiche individuate a livello comunitario)[24][25] ed il FAS (Fondo per le aree sottoutilizzate)[26].

Si ricorda che le risorse dell’Unione europea non confluiscono nel bilancio dello Stato, ma vengono erogate dalla UE soltanto quando l’intervento risulta completato e transitano su un apposito conto corrente di tesoreria gestito dal Ministero dell’economia, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, IGRUE.

b)confluenza dei contributi statali speciali in appositi fondi destinati agli enti locali e alle regioni, fermo restando il vincolo finalistico di tali contributi;

Il “vincolo finalistico” è considerato legittimo dalla giurisprudenza costituzionale sulla base della lettura dell’art. 119, quinto comma, Cost. In altre aree dell’intervento disposto con il disegno di legge in esame, è invece esclusa la possibilità del “vincolo di destinazione”.

c)  considerazione - nella quantificazione e allocazione degli interventi - delle specificità territoriali, del deficit infrastrutturale, dei diritti della persona, della collocazione geografica degli enti, della loro prossimità al confine con altri Stati o con Regioni ad autonomia speciale[27], del carattere montano[28] dei territori e della specificità delle isole minori[29].

Il requisito della “prossimità al confine con altri Stati o con Regioni a statuto speciale” non sembrerebbe applicarsi (intendendo la "prossimità" in senso non ampio) alle Autonomie speciali che costituiscono aree insulari (Sicilia e Sardegna).

Il riferimento alle “isole minori” sembrerebbe doversi riferire alle aree insulari diverse dalla Sicilia e dalla Sardegna.

 

Si rinvia all’articolo 21 per quanto riguarda la perequazione della dotazione infrastrutturale.

d)individuazione di interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate del Paese e la solidarietà sociale, nonché a rimuovere gli squilibri economico-sociali e a favorire l’esercizio effettivo dei diritti della persona.

La formulazione iniziale (A.S. 1117) della lett. d) prevedeva che il perseguimento delle finalità di cui all’art. 119, quinto comma, Cost. avvenisse attraverso l’individuazione di “forme di fiscalità di sviluppo” rivolte alla creazione di nuove imprese.

Il riferimento alla “fiscalità di sviluppo” è ora incluso - dall’art. 2, comma 2, lett. hh) – tra i principi e criteri direttivi chiamati ad informare i decreti legislativi generali di attuazione della legge in esame.

Inoltre, un ulteriore riferimento alla “fiscalità di sviluppo” è rinvenibile nell’art. 25, comma 3, lett. c) (v. infra), relativo ai contenuti delle norme di attuazione degli statuti speciali.

e)  previsione di apposite intese in sede di Conferenza unificata (sede congiunta della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali) e rinvio della disciplina di dettaglio (compresi i criteri di utilizzazione delle risorse) ai provvedimenti annuali della manovra finanziaria.La determinazione dell’entità delle risorse stanziate è determinata dai suddetti provvedimenti.


 

Articolo 16
(Coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale;

       b) rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza sia di cassa, per il concorso all'osservanza del patto di stabilità per ciascuna regione e ciascun ente locale; determinazione dei parametri fondamentali sulla base dei quali è valutata la virtuosità dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori dell'autonomia finanziaria;

       c) assicurazione degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni che possono adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni;

       d) individuazione di indicatori di efficienza e di adeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi da parte di regioni ed enti locali;

       e) introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti, ovvero degli enti che garantiscono il rispetto di quanto previsto dalla presente legge e partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività nazionale, ivi compresi quelli di carattere ambientale, ovvero degli enti che incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile; introduzione nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema sanzionatorio che, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonché l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva, atti a raggiungere gli obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie; previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all'articolo 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Tra i casi di grave violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali.


 

 

L’articolo 16 reca i principi e criteri direttivi con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, ai fini dell’adozione dei decreti legislativi di cui al comma 2.

 

I principi e i criteri sono elencati alle lettere da a) ad e) del comma unico dell’articolo.

 

In particolare, la lettera a)introduce il principio della garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la flessibilità di esse in base all'evoluzione del quadro economico territoriale.

 

Si ricorda che i principi di salvaguardia dell’ordine della graduatoria delle capacità fiscali e della flessibilità delle stesse capacità fiscali sono esplicitati tra i criteri, posti dall’articolo 9, comma 1, lett. b) del disegno di legge, relativo al riparto del fondo perequativo a favore delle regioni. Tale principio è volto ad impedire che dalla perequazione derivi una modifica delle capacità fiscali per abitante ovvero un impedimento alla modifica delle stesse secondo l’evoluzione del quadro economico-territoriale.

 

Le successive lettere da b) ad e) recano una serie di principi sostanzialmente volti ad assicurare il rispetto degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni e degli enti locali.

 

A tale riguardo, la lettera b)introduce il principio del rispetto degli obiettivi del conto consuntivo - sia in termini di competenza sia di cassa - a garanzia dell'osservanza del patto di stabilità da parte di ciascuna regione e ciascun ente locale.

E’ altresì prevista la determinazione di parametri sulla base dei quali valutare la virtuosità delle regioni e degli enti locali (comuni, province, città metropolitane), anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori connessi all'autonomia finanziaria.

 

La lettera c) prevede l’assegnazione di uno specifico ruolo alle regioni, a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte del comparto degli enti locali ricompresi nel territorio del regione stessa.

A tal fine la norma prevede che le regioni possano intervenire, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, al fine di adattare le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni, fermo restando il raggiungimento degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica relativi al complesso degli enti locali ricadenti nel territorio della regione stessa.

 

La lettera c) non specifica espressamente a quale livello di governo (regionale o locale) si riferiscano gli obiettivi sui saldi di finanza pubblica che le regioni devono assicurare.

La norma sembra comunque doversi interpretare nel senso che una regione può consentire ad uno o più enti locali del proprio territorio una maggiore elasticità nell’applicazione del patto di stabilità interno e consentire, pertanto, eventuali sforamenti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, a condizione che i saldi complessivi degli enti locali dell’intera regione siano in linea con gli obiettivi prefissati.

 

La lettera e) reca i criteri per la definizione di un sistema premiante e di un sistema sanzionatorio da applicare nei confronti degli enti che risultano virtuosi o meno rispetto al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica ad essi imposti.

In particolare, il sistema premiante riguarda gli enti che:

§      assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti.

I livelli qualitativi dei servizi resi da parte di regioni ed enti locali sono valutati sulla base di appositi indicatori di efficienza e di adeguatezza, la cui definizione è enunciata dalla lettera d);

§      garantiscono il rispetto di quanto previsto dalla presente legge e che partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività nazionale, ivi compresi quelli di carattere ambientale,

§      incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile.

 

La norma non reca una precisa individuazione delle misure premiali da applicare in favore degli enti virtuosi individuati secondo i criteri indicati.

Al riguardo, è possibile peraltro fare riferimento ad alcune norme specifiche recate dal provvedimento in esame. Si segnalano, a titolo di esempio, le misure premiali individuate al comma 1 dell’articolo 12, lett. f) ed l), che riconoscono:

§      in favore dei comuni che effettuano tra di loro unioni e fusioni, l’incremento dell’autonomia impositiva ovvero maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali;

§      che ai comuni virtuosi non possano essere imposti, con legge statale, vincoli alle politiche di bilancio per ciò che concerne la spesa in conto capitale.

 

Il sistema sanzionatorio, che si applica, invece, nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, comporta:

§      il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche;

§      il divieto di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell'ente locale per l'attuazione delle politiche comunitarie;

§      l’attivazione di meccanismi automatici sanzionatori nei confronti degli organi di governo e amministrativi, responsabili del mancato rispetto degli equilibri di bilancio e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità[30] nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario (ai sensi dell’art. 244 del TUEL[31]), oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici;

§      la previsione che le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali rientrino tra i casi di grave violazione di legge di cui all’articolo 126, primo comma della Costituzione, che comporta lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta[32]

 

Si valuti l’opportunità di specificare la portata dell’espressione “grave dissesto nelle finanze regionali”.

 

Le sanzioni indicate si applicano fin tanto che l’ente non metta in atto i provvedimenti necessari, in grado di riportare l’ente medesimo in linea con gli obiettivi di finanza pubblica.

Tra i provvedimenti che possono essere attivati dall’ente, la lettera e) indica, in particolare, anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonché l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva.

 

Si ricorda infine che con riferimento al coordinamento della finanza pubblica l’articolo 5 del disegno di legge delega prevede altresì l’istituzione di una specifica Conferenza permanente con compiti di definizione degli obiettivi di comparto, di verifica dell’attuazione dell’efficacia degli stessi e di proposta per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi. Essa inoltre è chiamata a vigilare sull’applicazione dei meccanismi di premialità, nonché sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento.

 


 

Articolo 17
(Patto di convergenza)

 


1. Nell'ambito del disegno di legge finanziaria, in coerenza con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati da parte del Documento di programmazione economico-finanziaria, il Governo, previo confronto e valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata, propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo e a stabilire, per ciascun livello di governo territoriale, il livello programmato dei saldi da rispettare, gli obiettivi di servizio, il livello di ricorso al debito nonché l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali. Nel caso in cui il monitoraggio rilevi che uno o più enti non hanno raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato attiva, previa intesa in sede di Conferenza unificata, e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante, un procedimento, denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza», volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.


 

 

L’articolo, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevede un nuovo istituto – denominato “Patto di convergenza” - volto a garantire un “coordinamento dinamico” della finanza pubblica finalizzato ad agevolare, tra l’altro, il riallineamento dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo.

 

In base a quanto si evince dagli atti della discussione svoltasi presso le Commissioni riunite al Senato e contenuta nella relazione all’A.S. 1117-A, la previsione del patto di convergenza appare volta ad impedire che “si approfondiscano i tradizionali squilibri territoriali del Paese”. In particolare, il parametro del costo standard, la cui definizione è rimessa ai decreti delegati, “presuppone il processo di omogeneizzazione della spesa dei servizi essenziali” e intende superare il criterio della spesa storica rimuovendo gradualmente il meccanismo di pagamento “a piè di lista”. Il patto di convergenza, pertanto, può essere considerato come il necessario passaggio finalizzato a monitorare l’adeguamento delle spese territoriali al parametro del costo standard e del fabbisogno standard, nei cinque anni previsti per la fase transitoria di attuazione con riferimento alle regioni (art. 19, comma 1, lett. b) e c)) e agli enti locali (art. 20, comma 1, lett. d)).

 

Ai sensi del comma unico del’articolo, il Governo - previa valutazione in sede di Conferenza unificata e in coerenza con gli obiettivi e gli interventi enunciati nel Documento di programmazione economico-finanziaria – è tenuto a proporre, nell’ambito del disegno di legge finanziaria, norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica finalizzate a:

§      realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standarddei vari livelli di governo;

§      stabilire, per ciascun livello di governo territoriale:

-       il livello programmato dei saldi da rispettare;

-       gli obiettivi di servizio;

-       il livello di ricorso al debito;

-       l’obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell’autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali.

 

Si osserva, al riguardo, come la norma in oggetto prefiguri nella sostanza un ampliamento del contenuto tipico della legge finanziaria, vincolando l’iniziativa legislativa del Governo all’inserimento nel relativo disegno di legge sia di regolazioni programmatiche di tipo quantitativo dei flussi finanziari tra Stato ed autonomie territoriali (livello dei saldi, di ricorso al debito e della pressione fiscale), sia di norme, eventualmente anche di carattere ordinamentale, volte ad assicurare la convergenza tra costi e fabbisogni standard ovvero a definire gli obiettivi di servizio per ciascun livello di governo.

Il Patto di convergenza sembrerebbe configurarsi, pertanto, come una sorta di Patto di stabilità interno dai contenuti più estesi, da definire annualmente nella legge finanziaria previo confronto con le autonomie territoriali in sede di Conferenza unificata, come del resto già avvenuto per prassi negli ultimi anni.

Sul piano sistematico, occorrerebbe peraltro chiarire come tale patto di convergenza si coordini con i criteri di delega sul coordinamento e sulla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo di cui all’articolo 16.

 Si sottolinea, inoltre, che ai sensi dell’articolo 25, comma 1, al conseguimento degli obiettivi del Patto di convergenza sono chiamate a concorrere, nel rispetto degli statuti, anche le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano.

Con riferimento alla formulazione della norma, si osserva, come l’obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva debba tenere conto del criterio direttivo generale di cui alla lettera b), comma 2, dell’articolo 26, finalizzato a salvaguardare l’obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nella fase transitoria.

Si rileva, infine, come la previsione di ulteriori contenuti tipici della legge finanziaria contenuta nell’articolo in esame possa essere più opportunamente formulata sotto forma di novella all’articolo 11 della legge di contabilità generale n. 468 del 1978.

 

Qualora l’attività di monitoraggio del patto di convergenza rilevi che uno o più enti non abbiano raggiunto gli obiettivi loro assegnati, lo Stato è chiamato ad attivare - previa intesa in sede di Conferenza unificata e limitatamente agli enti che presentano i maggiori scostamenti nei costi per abitante - un “procedimento” denominato “Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza”.

Tale Piano è volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive che devono essere intraprese per ridurre ed eliminare gli scostamenti. La norma precisa inoltre che il Piano può fornire agli enti la necessaria assistenza tecnica utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello.

 

Al riguardo, si ricorda che la relazione illustrativa all’A.S. 1117, abbia evidenziato come gli scostamenti richiamati dalla norma debbano essere calcolati in termini di “costo medio per abitante” rispetto al costo standard riferito a livelli di prestazione che si considerano omogenei.

 

In ordine alla formulazione della norma, si osserva come non siano chiari i soggetti, i tempi e le modalità di avvio e svolgimento della nuova “procedura” diretta a definire le azioni correttive necessarie per il conseguimento degli obiettivi di convergenza. Si rileva, inoltre, l’opportunità di coordinare tali disposizioni con quelle concernenti la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui all’articolo 5, alla quale sono demandati una serie di compiti strettamente connessi con le norme in oggetto, quali, ad esempio, la verifica periodica della realizzazione del percorso di convergenza.

 


 

Articolo 18
(Patrimonio di comuni, province, Città metropolitane e regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabiliscono i princìpi generali per l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali;

       b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;

       c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'attribuzione dei beni a comuni, province, città metropolitane e regioni;

       d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.


 

 

L’articolo 18 – non modificato dal Senato - reca i principi e criteri direttivi finalizzati all’attribuzione alle Regioni e agli Enti locali di un proprio patrimonio. La disposizione va ricollegata a quanto previsto dall’articolo 1, comma 1 che, nell’indicare l’ambito di intervento del disegno di legge in esame, prevede che esso rechi la disciplina dell’attribuzione di un proprio patrimonio agli enti territoriali.

 

Ciò in attuazione di quanto previsto dall’articolo 119, sesto commadella Costituzione, il quale stabilisce che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.

Per ciò che attiene all’attuazione dell’articolo 119, sesto comma della Costituzione, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 427 del 29 dicembre 2004[33], ha affermato che la suddetta disposizione “non detta alcuna regola in ordine all’individuazione dei beni oggetto dell’attribuzione, né, tanto meno, vieta allo Stato, la gestione e l’utilizzazione, medio tempore, di tali beni” . Pertanto, “fino alla previsione da parte del legislatore statale dei principi per l’attribuzione a regioni ed enti locali di beni demaniali o patrimoniali dello Stato, detti beni restano a tutti gli effetti nella disponibilità dello Stato, il quale incontrerà, nella gestione degli stessi il solo vincolo delle leggi di contabilità e delle altre leggi disciplinanti il patrimonio mobiliare e immobiliare statale” [34].

Al fine di dare attuazione a tale principio costituzionale, l’articolo in esame stabilisce, nello specifico, i principi e i criteri direttivi cui devono conformarsi, in materia, i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 Cost.

I predetti decreti delegati devono conformarsi ai seguenti criteri:

a)  attribuzione, a titolo non oneroso, a ciascun livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate all’estensione territoriale, alle capacità finanziarie, alle competenze e alle funzioni effettivamente esercitate dalle diverse Regioni ed enti locali;

b)  attribuzione dei beni immobili secondo il criterio di territorialità;

Per ciò che concerne il criterio della territorialità, si ricorda che la Corte Costituzionale con sentenza n. 31 del 2006, ha già disposto l’annullamento di una Circolare dell’Agenzia del demanio (Direz. Gen., del 23 settembre 2003, prot. 2003/35540/NOR) che disciplinava il procedimento di cessione dei beni demaniali a soggetti privati richiedenti senza prevedere l’intervento della Regione competente per territorio[35]. Con tale sentenza la Corte ha in particolare affermato che non spetta allo Stato, e per esso all’Agenzia del demanio, escludere la partecipazione delle Regioni al procedimento diretto all’alienazione di aree situate nel territorio della Regione stessa.

c)  ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata ai fini dell’attribuzione dei beni alle autonomie territoriali;

d)  individuazione di tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, inclusi quelli rientranti nel patrimonio culturale nazionale.

 

La disciplina generale sul demanio e sul patrimonio pubblicoè contenuta, in primis, nel Codice civile del 1942, nel Capo II, Libro terzo, articoli 822-829[36].

 

L'alienazione dei beni del demanio e del patrimonio dello Stato agli enti territoriali, è stata peraltro oggetto di numerosi provvedimenti legislativi, tra i quali si rammentano i seguenti:

§      la legge n. 579 del 1993, recante "Norme per il trasferimento agli Enti locali e alle Regioni di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato.

§      successivamente, in materia di trasferimento di beni immobili demaniali e patrimoniali inutilizzati dello Stato agli enti locali è intervenuto l'articolo 2, commi 37 e 38, della legge n. 549 del 1995 [37]. Tale trasferimento è stato disposto a titolo oneroso.

§      disposizioni di carattere generale erano poi contenute nella legge n. 127 del 15 maggio 1997 [38], la quale, all'articolo 17, comma 65, ha rimandato ad un regolamento governativo l'individuazione dei casi e delle modalità con le quali i beni immobili dello Stato (iscritti al catasto del demanio civile e militare ed essere inutilizzati da almeno dieci anni) potessero essere ceduti a titolo gratuito agli enti locali e alle regioni. Tale previsione è stata abrogata dall’articolo 1, comma 445 della legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 30 dicembre 2004) . Tale legge, contestualmente, ha previsto, all’articolo 1, commi 434-435, il trasferimento in proprietà ai comuni, a titolo oneroso, delle aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato, sulle quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni hanno realizzato opere di urbanizzazione.

§      infine, nell’ambito del conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, delineato dal decreto legislativo n. 112 del 1998 [39], è stato previsto che alla gestione dei beni del demanio idrico provvedano le regioni e gli enti locali competenti per territorio (articolo 86). Il D.Lgs. n. 112 ha inoltre disposto il trasferimento con D.P.C.M. al demanio delle regioni delle strade, già appartenenti al demanio statale, non comprese nella rete autostradale e stradale nazionale ovvero, con le leggi regionali, il trasferimento di tali strade al demanio degli enti locali.

 

Va inoltre specificatamente segnalata, per ciò che attiene ai proventi delle dismissioni o alienazioni del patrimonio immobiliare dello Stato, l’articolo 1, comma 5 della legge n. 266 del 23 dicembre 2005, che ha disposto che, a decorrere dall'anno finanziario 2006, questi siano destinati alla riduzione del debito.

 

Tale ultimo aspetto, vale a dire i possibili riflessi che la devoluzione patrimoniale agli enti territoriali potrebbe determinare su una delle funzioni che la normativa vigente affida al patrimonio dello Stato in tema di gestione del debito, non risulta considerato nella norma di delega in esame. In proposito si rinvia a quanto più avanti osservato nella seconda parte del presente dossier, relativa ai profili finanziari.

 


 

Articolo 19
(Princıpi e criteri direttivi concernenti norme transitorie per le regioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano una disciplina transitoria per le regioni, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) i criteri di computo delle quote del fondo perequativo di cui all'articolo 9 si applicano a regime dopo l'esaurimento di una fase di transizione diretta a garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole regioni come media nel triennio 2006-2008, al netto delle risorse erogate in via straordinaria, ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 9;

       b) l'utilizzo dei criteri definiti dall'articolo 9 avviene a partire dall'effettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni, mediante un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni;

       c) per le materie diverse da quelle di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, il sistema di finanziamento deve divergere progressiva­mente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante in cinque anni. Nel caso in cui, in sede di attuazione dei decreti legislativi, emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni, lo Stato può attivare a proprio carico meccanismi correttivi di natura compensativa di durata pari al periodo transitorio di cui alla presente lettera;

       d) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alle lettere b) e c);

       e) garanzia per le regioni, in sede di prima applicazione, della copertura del differenziale certificato tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h);

       f) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate regionali di cui all'articolo 10, comma 1, lettere b) e c), sia, per il complesso delle regioni, non inferiore al valore degli stanziamenti di cui al comma 1, lettera a), del medesimo articolo 10 e che si effettui una verifica, concordata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, dell'adeguatezza e della congruità delle risorse finanziarie delle funzioni già trasferite.


 

 

L’articolo 19 disciplina le modalità ed i termini secondo cui il fondo perequativo di cui all’articolo 9, a partire dai decreti delegati che lo istituiscono e dalla sua fase di avvio, continua a garantire alle regioni a statuto ordinario:

a.      somme corrispondenti alla spesa sostenuta all’atto della cessazione del precedente sistema di finanziamento ed agli stanziamenti statali sostituiti da entrate di natura tributaria;

b.      un periodo transitorio di cinque anni in cui attuare progressivamente il passaggio dal finanziamento della spesa storica al finanziamento dei costi standard ed alla perequazione della capacità fiscale per abitante;

c.      un ulteriore periodo transitorio di cinque anni in cui lo Stato, con risorse del proprio bilancio, può contribuire alle spese di regioni in cui «emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità» del nuovo assetto finanziario;

d.      la determinazione di date certe a partire dalle quali si applica la nuova disciplina perequativa e si computa il periodo transitorio di convergenza.

 

Il principio cardine è enunciato alla lettera a) del comma 1: la disciplina della perequazione prevista dall’articolo 9 – la perequazione del fabbisogno al costo standard e la perequazione della minore capacità fiscale – si applicherà soltanto al termine della “fase di transizione” e cioè dopo il quinquennio previsto dalla successiva lettera b).

 

Per il quinquennio di transizione i criteri direttivi posti dalle lettere a), b) e c) dell’articolo in esame forniscono indicazioni in ordine alla disciplina della perequazione da applicarsi in assenza di quella disposta dall’articolo 9. L’indicazione operativa è rimessa al futuro legislatore delegato sulla base dei seguenti criteri di delega:

a.      garantire il passaggio graduale dai valori dei trasferimenti rilevati nelle singole regioni come media del triennio 2006-2008 ai valori determinati con i criteri dello stesso articolo 9 (lettera a) per quanto attiene, specificatamente, agli attuali trasferimenti perequativi della sanità);

b.      realizzare un processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard in un periodo di cinque anni (lettera b) con riferimento alle funzioni connesse alla prestazione dei livelli essenziali);

c.      prevedere che il sistema di finanziamento debba divergere progressivamente dal criterio della spesa storica a favore delle capacità fiscali per abitante (lettera c) con riferimento alle funzioni non LEP).

 

Le norme in esame, pertanto, non disciplinano il periodo transitorio entro modalità e termini rigidi, scegliendo di lasciare questa definizione al legislatore delegato il quale però dovrà tenere conto del principio di concertazione e collaborazione che la delega pone in più parti e modi:

a.      all’articolo 2, comma 5, per il quale il Governo, nella predisposizione dei decreti delegati assicura piena collaborazione con le regioni;

b.      all’articolo 5, comma 1, lettera g), per il quale la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica verifica periodicamente la realizzazione del percorso i convergenza;

c.      allo stesso articolo 19, comma 1, lettera f), la verifica concordata è rimessa alla Conferenza permanente Stato-regioni.

 

Vengono però espressamente stabiliti i termini e le garanzie di questo processo di avvicinamento:

§      la perequazione secondo la disciplina a regime dell’articolo 9 partirà soltanto al termine del periodo transitorio;

§      il periodo transitorio ‘di avvicinamento’ è fissato in cinque anni per ciascuna delle due tipologie di spese e modalità di perequazione;

§      un ulteriore periodo di cinque anni può essere deciso, al termine del primo, per talune regioni dove la nuova disciplina della perequazione delle spese per funzioni non LEP dovesse rivelarsi (temporaneamente) insostenibile;

§      il termine da cui decorrono (anche separatamente) i due periodi transitori devono essere espressamente specificati dal legislatore delegato;

§      il quinquennio transitorio relativo alla convergenza tra fabbisogno e spesa standard (funzioni LEP) potrà iniziare soltanto «a partire dall’effettiva determinazione del contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni»;

§      con riferimento a quanto disposto dall’articolo 10 per il passaggio dalle entrate di cui già dispongono le regioni a quelle assegnate dalla riforma, in sede di prima applicazione l’ammontare delle nuove entrate non dovrà essere inferiore agli stanziamenti assicurati dall’ordinamento vigente;

§      qualora le aliquote dei nuovi tributi siano assegnate sulla base di gettiti presuntivi è garantita alle regioni la copertura del differenziale negativo che dovesse determinarsi per il gettito effettivo di quei tributi.

 

 


 

Articolo 20
(Norme transitorie per gli enti locali)

 


1. In sede di prima applicazione, i decreti legislativi di cui all'articolo 2 recano norme transitorie per gli enti locali, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) nel processo di attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle regioni, nonché agli oneri derivanti dall'eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli stessi alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti legislativi, provvedono lo Stato o le regioni, determinando contestualmente adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i princìpi della presente legge;

       b) garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate di comuni e province in base alla presente legge sia, per il complesso dei comuni ed il complesso delle province, non inferiore al valore dei trasferimenti di cui all'articolo 11, comma 1, lettera e);

       c) determinazione dei fondi perequativi di comuni e province in misura uguale, per ciascun livello di governo, alla differenza fra i trasferimenti statali soppressi ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera e), destinati al finanziamento delle spese di comuni e province, esclusi i contributi di cui all'articolo 15, e le maggiori entrate spettanti in luogo di tali trasferimenti ai comuni ed alle province, ai sensi dell'articolo 12, tenendo conto dei princìpi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), relativamente al superamento del criterio della spesa storica;

       d) sono definite regole, tempi e modalità della fase transitoria in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, per le spese riconducibili all'esercizio delle funzioni fondamentali e per le altre spese. Fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni concernenti l'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali:

                   1) il fabbisogno delle funzioni di comuni e province è finanziato considerando l'80 per cento delle spese come fondamentali ed il 20 per cento di esse come non fondamentali, ai sensi del comma 2;

                   2) per comuni e province l'80 per cento delle spese è finanziato dalle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il 20 per cento delle spese è finanziato dalle entrate derivanti dall'autonomia finanziaria, ivi comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo;

                   3) ai fini del numero 2) si prendono a riferimento gli ultimi bilanci certificati a rendiconto, alla data di predisposizione degli schemi di decreto legislativo di cui all'articolo 2;

       e) specificazione del termine da cui decorre il periodo di cinque anni di cui alla lettera d).

2. Ai soli fini dell'attuazione della presente legge, e in particolare della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale di cui agli articoli 11 e 13, in sede di prima applicazione, nei decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono provvisoriamente considerate ai sensi del presente articolo, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.

3. Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:

       a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;

       b) funzioni di polizia locale;

       c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

       d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

       e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta ecce­zione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

       f) funzioni del settore sociale.

4. Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare ai fini del comma 2 sono provvisoriamente individuate nelle seguenti:

       a) funzioni generali di amministra­zione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge;

       b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

       c) funzioni nel campo dei trasporti;

       d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;

       e) funzioni nel campo della tutela ambientale;

       f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

5. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 disciplinano la possibilità che l'elenco delle funzioni di cui ai commi 3 e 4 sia adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 20 reca i principi e i criteri direttivi per l’adozione dei decreti legislativi recanti le norme transitorie per gli enti locali.

 

La disciplina transitoria relativa al finanziamento delle funzioni delle Regioni è contenuta all’articolo 19.

Sui profili di rilievo costituzionale della disciplina transitoria e della gradualità nell'attuazione si rinvia al dossier "Aspetti di rilievo costituzionale del federalismo fiscale", ottobre 2008, pagg. 5-6 (Servizio studi del Senato, dossier n. 57 - Servizio studi della Camera, documentazioni e ricerche n. 20).

 

I principi e i criteri direttivi sono indicati alle lettere da a) a e) del comma 1.

 

In particolare, il principio introdotto dalla lettera a) prevede che, nel corso del processo di attuazione dell’art. 118 della Costituzione, lo Stato o le regioni debbano provvedere al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative esercitate dagli enti locali nelle materie di competenza legislativa statale o regionale. Analogamente, lo Stato e le Regioni sono tenute a far fronte agli oneri derivanti dall’eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli enti locali alla data di entrata in vigore della presente legge. Le forme di copertura finanziaria individuate devono essere coerenti con i principi recati dal provvedimento in esame.

 

Le lettere successive recano principi volti a garantire agli enti locali, nella fase di transizione, un complesso di risorse (entrate tributarie e contributi perequativi) adeguato al finanziamento del complesso delle funzioni.

 

In particolare, la lettera b) introduce la garanzia che la somma del gettito derivante delle nuove entrate dei comuni e delle province, come definite dal provvedimento in esame, sia, per il complesso dei comuni e delle province, almeno pari al valore dei trasferimenti che vengono soppressi ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e).

Tale ultima norma, come riformulata nel corso dell’esame al Senato, prevede, in relazione alle nuove modalità di finanziamento delle funzioni degli enti locali descritte dall’articolo 11, la soppressione di tutti i trasferimenti statali e regionali destinati al finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali e alle altre funzioni degli enti locali, fatta eccezione degli stanziamenti che saranno destinati alla costituzione dei fondi perequativi.

 

In correlazione alla suddetta garanzia, la lettera c) prevede che,nella fase di transizione, i fondi perequativi siano quantificati, per ciascun livello di governo, in misura pari alla differenza tra i trasferimenti statali soppressi, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e), esclusi i finanziamenti per gli interventi speciali, e le maggiori entrate derivanti dall’autonomia finanziaria ai sensi dell'articolo 12, spettanti ai comuni e alle province in sostituzione di tali trasferimenti.

 

In sostanza, i criteri per la quantificazione dei fondi perequativi nella fase transitoria verrebbero pertanto a garantire che il comparto riceva, nel complesso, lo stesso ammontare di risorse di cui dispone nella situazione attuale. A parità di trasferimenti soppressi, l’entità del fondo perequativo dipende dalla quota di risorse proprie assegnate a ciascun comparto.

 

In merito alla formulazione di tale principio, va rilevato che il richiamato articolo 11, comma 1, lettera e) prevede, a seguito delle modifiche apportate nel corso dell’esame al Senato, come peraltro già detto sopra, la soppressione non solo dei trasferimenti statali ma anche di quelli regionali, che non sembrano invece essere qui considerati ai fini della quantificazione, per sottrazione rispetto alle maggiori entrate, dei fondi perequativi dei comuni e delle province.

Va inoltre precisato che, nonostante il riferimento all’articolo 11, comma 1, lettera e), i trasferimenti soppressi presi in considerazione dalla lettera c) in esame, ai fini della quantificazione dei fondi perequativi, si intendono comprensivi degli stanziamenti da destinare alla costituzione dei fondi perequativi, con l’unica esclusione dei contributi speciali.

Sarebbe pertanto opportuno una più chiara formulazione della norma sotto questo profilo.

 

La quantificazione dei fondi perequativi deve inoltre tener conto dei principi previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera l), numeri 1) e 2), in merito al graduale superamento del criterio della spesa storica.

In relazione a tale principio, la lettera d)prevede regole, tempi e modalità della fase transitoria, in modo da garantire che il superamento del criterio della spesa storica, ai fini del finanziamento delle spese degli enti locali, sia realizzato in un periodo di cinque anni, sia per le spese riconducibili all’esercizio delle funzioni fondamentali sia per le altre spese.

A differenza di quanto previsto per le regioni, in merito al finanziamento delle funzioni diverse dai LEP (cfr. art. 19, lett. d), non si prevede per gli enti locali alcun meccanismo correttivo di compensazione, durante la fase transitoria, a fronte di eventuali “situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità”.

 

In relazione a ciò, i decreti legislativi attuativi della delega devono recare la specificazione del termine iniziale da cui far decorrere il periodo transitorio di cinque anni entro il quale va garantito il superamento della spesa storica sia per le funzioni fondamentali sia per quelle non fondamentali (lettera e).

 

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 11, comma 1, lettera a) – nel definire i criteri direttivi relativi al finanziamento delle funzioni degli enti locali - rinvia alla legislazione statale il compito di individuare le spese riconducibili alle funzioni fondamentali, in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione.

Pertanto, fin tanto che non saranno in vigore le disposizioni concernenti l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, l’articolo in esame, al comma 1, lettera d), dispone che nella fase transitoria, il finanziamento delle spese degli enti locali avvenga sulla base di alcuni criteri specifici. In particolare:

§       il fabbisogno delle funzioni di comuni e province viene finanziato assumendo l’ipotesi che l’80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali (punto 1).

Nella fase transitoria, sono considerate, ai fini del finanziamento integrale delle funzioni fondamentali sulla base del fabbisogno standard,le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al D.P.R. 31 gennaio 1996, n. 194, come precisato dal successivo comma 2;

§       l’80 per cento delle spese di comuni e province, cioè quelle afferenti alle funzioni fondamentali, viene finanziatoper mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il residuo 20 per cento delle spese, relative alle altre funzioni, è finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo (punto 2).

A tal fine, il punto 3 prevede che vengano presi a riferimento gli ultimi bilanci degli enti locali certificati a rendiconto, disponibili alla data di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.

 

Ai fini della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale di cui agli articoli 11 e 13 del provvedimento in esame, il comma 2, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede, in sede di prima applicazione, che nei decreti legislativi di cui all'articolo 2 siano provvisoriamente considerate, per il periodo transitorio, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194.

 

Il citato regolamento disciplina la struttura del bilancio degli enti locali, con riferimento alla denominazione e numerazione dei titoli e delle categorie per la parte entrata e alla denominazione e numerazione dei titoli, delle funzioni, dei servizi e degli interventi per la parte spesa.

 

I commi 3 e 4 recano, rispettivamente, per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, ai sensi del comma 2.

 

Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b) funzioni di polizia locale;

c) funzioni di istruzione pubblica, compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

f) funzioni del settore sociale.

 

Rispetto alle funzioni individuate dal citato DPR n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: giustizia; cultura e beni culturali; settore sportivo e ricreativo; turismo; sviluppo economico; servizi produttivi (oltre alle funzioni concernenti edilizia residenziale pubblica e locale, piani di edilizia e servizio idrico integrato, espressamente escluse).

 

Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

c) funzioni nel campo dei trasporti;

d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;

e) funzioni nel campo della tutela ambientale;

f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

 

Rispetto alle funzioni individuate dal citato DPR n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: cultura e beni culturali; settore turistico, sportivo e ricreativo; settore sociale; sviluppo economico, relativamente ai servizi per l’agricoltura e per l’industria, il commercio e l’artigianato.

 

I decreti legislativi prevedono altresì che l'elenco provvisorio delle funzioni possa essere adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata (comma 5).


 

Articolo 21
(Perequazione infrastrutturale)

 


1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, da ricondurre nell'ambito degli interventi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, riguardanti la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) valutazione dell'estensione delle superfici territoriali;

       b) valutazione del parametro della densità della popolazione e della densità delle unità produttive;

       c) considerazione dei particolari requisiti delle zone di montagna;

       d) valutazione della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;

       e) valutazione della specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 19 e 20, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.


 

 

L’articolo 21 reca le modalità di attuazione degli interventi a finalità vincolata di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., limitatamente al profilo della dotazione infrastrutturale.

Ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost., per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

Si ricorda, inoltre, che per gli interventi attuativi dell’art. 119, quinto comma, Cost., l’art. 15 del ddl in commento detta una serie di principi e criteri direttivi tra i quali l’obbligo per il Governo, nell’adozione dei decreti delegati, di tener conto delle specifiche realtà territoriali, con particolare riguardo – tra l’altro – al deficit infrastrutturale (lettera c) del citato art. 15).

Nel dettaglio, in sede di prima applicazione (presumibilmente della legge in commento), il comma 1 prevede una ricognizione degli interventi infrastrutturali previsti dalle norme vigenti e riconducibili all’ambito applicativo dell’art. 119, quinto comma, Cost.

Tali interventi devono riguardare:

§         la rete stradale, autostradale e ferroviaria;

§         la rete fognaria;

§         la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas;

§         le strutture portuali ed aeroportuali.

 

Lo stesso comma dispone che tale ricognizione venga concertata tra il Ministro dell’economia e delle finanze, incaricato della sua predisposizione, ed i Ministri per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia.

 

L’ultimo periodo del comma in esame elenca i seguenti principi e criteri direttivi a cui informare l’attività ricognitiva:

a)      valutazione dell’estensione delle superfici territoriali interessate;

b)      valutazione della densità della popolazione e delle unità produttive;

c)      considerazione dei particolari requisiti delle zone montane;

d)      valutazione della dotazione infrastrutturale di ciascun territorio;

e)      valutazione della specificità dei territori insulari.

 

In base al successivo comma 2 - nella fase transitoria quinquennale di passaggio dal criterio della spesa storica a quello del fabbisogno standard e delle capacità fiscali, prevista dagli artt. 19-20 - occorre procedere all’individuazione, sulla base della ricognizione di cui al comma 1, di interventi finalizzati agli obiettivi di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.

Viene altresì disposto che tale individuazione sia finalizzata al recupero del deficit infrastrutturale, incluso quello riguardante il trasporto pubblico locale, e debba essere calibrata sulla base della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza verso i costi o i fabbisogni standard.

 

L’ultimo periodo del comma in esame prevede l’inserimento degli interventi infrastrutturali così individuati nel Programma delle infrastrutture strategiche.

Tale programma, lo si ricorda, viene annualmente allegato al documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) ai sensi dell’art. 1, commi 1 e 1-bis, della legge n. 443 del 2001 (cd. legge obiettivo).

 

Si fa notare, infine, che l’art. 1, comma 2, del presente ddl prevede l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 21 in esame anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, conformemente ai rispettivi statuti.

 

Si ricorda che relativamente alle risorse per le opere infrastrutturali sono intervenuti nella XVI legislatura l’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112 del 2008, introdotto dalla legge di conversione n. 133 del 2008, e l’articolo 18 del D.L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009.

In particolare, l’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112 del 2008 ha disposto la concentrazione di tutte le risorse del fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) assegnate dal CIPE per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in favore di programmi di interesse strategico nazionale e progetti speciali, fatta eccezione per quelle che, alla data del 31 maggio 2008, risultavano già vincolate all’attuazione di programmi esaminati dal CIPE o destinate al finanziamento del meccanismo premiale, in un nuovo Fondo (c.d. Fondo Infrastrutture) appositamente istituito, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, per il finanziamento degli interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale (comprese le reti di telecomunicazione e le reti energetiche).

L’articolo 18 del D.L. n. 185 del 2008, stabilisce che il CIPE, assegni una quota delle risorse disponibili del Fondo aree sottoutilizzate al Fondo sociale per occupazione e formazione (per il finanziamento delle attività di apprendistato e delle azioni di sostegno al reddito), al Fondo infrastrutture di cui all’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112/2008 (estendendone l’operatività anche alla messa in sicurezza delle scuole, agli interventi di risanamento ambientale, all’edilizia carceraria, alle infrastrutture museali ed archeologiche, all’innovazione tecnologica e alle infrastrutture strategiche per la mobilità) e al Fondo per la competitività previsto dall’articolo 1, comma 841, della legge finanziaria per il 2007 (per il sostegno degli investimenti in ricerca, sviluppo ed innovazione da parte delle imprese e dei centri di ricerca).

Il comma 3 dell’articolo 18 interviene circa il criterio di ripartizione territoriale delle risorse, ribadendo, per le risorse derivanti dal Fondo per le aree sottoutilizzate che affluiscono ai citati Fondi, il vincolo di destinazione dell’85% delle risorse alle regioni del Mezzogiorno e del 15% alle regioni del Centro-Nord.

 

Per quanto riguarda la dotazione del Fondo Infrastrutture, lo stesso non risulta ancora istituito, in quanto è ancora in corso di elaborazione presso il CIPE la deliberazione relativa all’attuazione dell’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112/2008.

La quantificazione della quota del FAS destinata ad alimentare del Fondo per le infrastrutture strategiche istituito dall’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112/200 è indicata nello schema di delibera CIPE, inviata alla Conferenza Unificata il 13 novembre 2008 ai fini dell’espressione del parere. Nel citato schema di delibera, il CIPE ha provveduto ad aggiornare la dotazione del Fondo per le aree sottoutilizzate, a seguito delle numerose riduzioni apportate a carico del FAS dalla normativa adottata nel corso dell’anno per oltre 13,8 miliardi.

In sostanza, rispetto all’importo complessivo di oltre 64 miliardi considerato dalla delibera CIPE n. 166/2007, la programmazione delle risorse del FAS per il periodo 2007-2013 è stata rideterminata in 52,768 miliardi di euro.

Sulla base di tale ricognizione, il CIPE fornisce la quantificazione delle fonti di alimentazione del Fondo per le infrastrutture strategiche istituito dall’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112/2008: nel complesso, per il periodo di programmazione 2007-2013, le nuove dotazioni andranno ad alimentare il Fondo in questione per un importo pari a 12,773 miliardi di euro (di cui 11,477 miliardi di euro relativi al Mezzogiorno e 1,297 miliardi relativi al Centro-Nord).

Si segnala, inoltre che il medesimo decreto legge recepisce (art. 20) - nell’ambito di una serie di norme volte a velocizzare le procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale - commi 10-quater e 10-quinquies - l’accordo tra l’Italia e la Banca Europea degli Investimenti (BEI) per la concessione di un prestito di 15 miliardi di euro nel quinquennio 2008-2012 per il finanziamento delle opere inserite nel Piano delle infrastrutture strategiche del governo italiano.


 

Articolo 22
(Norme transitorie per le città metropolitane)

 


1. Il presente articolo reca in via transitoria, fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge, la disciplina per la prima istituzione delle stesse.

2. Le città metropolitane possono essere istituite, nell'ambito di una regione, nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli. La proposta di istituzione spetta:

       a) al comune capoluogo congiunta­mente alla provincia;

       b) al comune capoluogo congiunta­mente ad almeno il 50 per cento dei comuni della provincia interessata che rappresentino nel complesso almeno il 50 per cento della popolazione;

       c) alla provincia, congiuntamente ad almeno il 50 per cento dei comuni della provincia medesima che rappresentino almeno il 50 per cento della popolazione.

3. La proposta di istituzione di cui al comma 2 contiene la perimetrazione della città metropolitana, secondo il principio della continuità territoriale, comprende almeno tutti i comuni proponenti e reca una proposta di statuto provvisorio della città metropolitana. Sulla proposta è acquisito il parere della regione da esprimere entro novanta giorni. Si osservano le seguenti modalità:

       a) il territorio metropolitano coincide con il territorio di una provincia o di una sua parte e comprende il comune capoluogo;

       b) la città metropolitana si articola al suo interno in comuni;

       c) lo statuto provvisorio della città metropolitana definisce le forme di coordinamento dell'azione complessiva di governo all'interno del territorio metropo­litano; disciplina altresì le modalità per l'elezione o l'individuazione del presidente del consiglio provvisorio di cui al comma 6. Lo statuto definitivo della città metropolitana è adottato dai competenti organi entro sei mesi dalla data del loro insediamento in base alla legge di cui al comma 1;

       d) sulla proposta di istituzione della città metropolitana è indetto un referendum tra tutti i cittadini dei comuni inclusi nella perimetrazione contenuta nella proposta di istituzione; il referendum è senza quorum di validità se il parere della regione è favorevole o in mancanza di parere; in caso di parere regionale negativo, il quorum di validità è del 30 per cento.

4. Con regolamento da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa e per i rapporti con le regioni, è disciplinato il procedimento di indizione e di svolgimento del referendum di cui alla lettera d) del comma 3, osservando le disposizioni della legge 25 maggio 1970, n. 352, in quanto compatibili.

5. Con le modalità stabilite dalla legge di cui al comma 1, successivamente al referendum di cui alla lettera d) del comma 3, verranno definitivamente istituite le città metropolitane.

6. Con le città metropolitane istituite ai sensi del presente articolo è istituita una assemblea rappresentativa, denominata «consiglio provvisorio della città metropolitana», composta dai sindaci dei comuni che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia. Nessun emolumento, gettone di presenza o altra forma di retribuzione è attribuita ai componenti del consiglio provvisorio in ragione di tale incarico.

7. La provincia di riferimento cessa di esistere e sono soppressi tutti i relativi organi a decorrere dalla data di insediamento degli organi della città metropolitana, individuati dalla legge di cui al comma 1, che provvede altresì a disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni trasferite e a dare attuazione alle nuove perimetrazioni stabilite ai sensi del presente articolo. La legge di cui al comma 1 stabilisce la disciplina per l'esercizio dell'iniziativa da parte dei comuni della provincia non inclusi nella perimetrazione dell'area metropo­litana, in modo da assicurare la scelta da parte di ciascuno di tali comuni circa l'inclusione nell'area metropolitana ovvero in altra provincia.

8. Dalla data di proclamazione dell'esito positivo del referendum di cui al comma 3, lettera d), e fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica di cui al comma 1, il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicura loro una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da esercitare in forma associata o congiunta, nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.

9. Ai soli fini delle previsioni concernenti le spese e l'attribuzione delle risorse finanziarie alle città metropolitane, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano, le funzioni fondamentali della provincia sono considerate, in via provvisoria, funzioni fondamentali della città metropolitana, con efficacia dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi.

10. Ai medesimi fini di cui al comma 9 sono, altresì, considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, con riguardo alla popolazione e al territorio metropolitano:

       a) la pianificazione territoriale gene­rale e delle reti infrastrutturali;

       b) la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;

       c) la promozione ed il coordina­mento dello sviluppo economico e sociale.


 

 

L’articolo 22, introdotto nel corso dell’esame del Senato, prevede una disciplina transitoria che consente una prima istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario, ad esclusione di Roma. Tale disciplina rimarrà in vigore fino all’approvazione di una apposita legge organica che stabilirà le modalità per la definitiva istituzione delle città metropolitane. L’istituzione delle città metropolitane provvisorie è facoltativa, com’è del resto secondo la normativa vigente.

 

Le città metropolitane sono enti locali previsti fin dalla legge n. 142 del 1990. La loro disciplina è ora contenuta nel testo unico delle leggi sugli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) ed in particolare negli articoli 22, 23, 24, 25 e 26.

Le città metropolitane possono essere costituite su iniziativa degli enti locali interessati in alcune aree del Paese, denominate aree metropolitane, individuate dal testo unico. Si tratta delle zone comprendenti i comuni delle maggiori città italiane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli) e i comuni ad essi vicini e legati da stretti rapporti economici e sociali. Le regioni a statuto speciale individuano autonomamente le zone dove costituire le aree metropolitane.

Alla delimitazione territoriale di ciascuna area metropolitana provvede la regione su proposta degli enti locali interessati. Una volta delimitata l’area metropolitana gli enti locali possono attivare l’iter per la istituzione della città metropolitana. La procedura si può sintetizzare come segue:

-        il sindaco del comune capoluogo e il presidente della provincia – su iniziativa degli enti locali interessati – convocano l'assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati;

-        l'assemblea, su conforme deliberazione dei consigli comunali, adotta una proposta di statuto della città metropolitana, che ne indichi il territorio, l'organizzazione, l'articolazione interna e le funzioni;

-        la proposta di istituzione della città metropolitana è sottoposta a referendum a cura di ciascun comune partecipante;

-        in caso di voto favorevole la proposta è presentata dalla Regione entro i successivi novanta giorni alle Camere per l'approvazione con legge dello Stato.

Una volta costituita, la città metropolitana “acquisisce le funzioni della provincia”, attuando le forme di decentramento previste dallo statuto e assicurando la salvaguardia dell’identità delle collettività locali (art. 23, co. 5, TUEL).

Attualmente né nelle nove città indicate dal testo unico né nelle cinque città situate in regioni a statuto speciale (Trieste, Cagliari, Palermo, Messina e Catania) per le quali è prevista l’istituzione di città metropolitane si è giunti alla loro costituzione formale.

La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha modificato profondamente la disciplina costituzionale relativa alle autonomie locali contenuta nel Titolo V della Parte II della Costituzione, ha inserito le città metropolitane tra gli elementi costitutivi della Repubblica, accanto ai comuni, alle province, alle regioni ed allo Stato e posto in capo alla Stato il compito di individuarne le funzioni fondamentali, come per gli altri enti territoriali (art. 117, 2° co., lett. p)). Una attuazione del disposto costituzionale è stata tentata dalla citata L. 131/2003[40] che contiene una delega, non esercitata, per l’individuazione delle funzioni fondamentali essenziali per il funzionamento degli enti locali, comprese le città metropolitane, nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento e, in generale, per adeguare le disposizioni in materia di enti locali alla riforma del titolo V.

È in corso d’esame presso la 1ª Commissione (Affari costituzionali) del Senato una proposta di legge (A.S. 1208 sen. Bastico ed altri) recante Delega al Governo in materia di funzioni fondamentali degli enti locali, di istituzione delle città metropolitane e di definizione della Carta delle autonomie locali. Anche il Governo ha preannunciato la presentazione di un disegno di legge in proposito[41].

 

Preliminarmente, occorre anticipare che, come si argomenterà più diffusamente commentando il comma 5, la transitorietà delle disposizioni in esame non va presumibilmente interpretata nel senso che queste potranno essere sostituite totalmente da quelle recate dalla legge organica. Infatti, la disciplina in esame, benché transitoria, produce effetti permanenti – giungendo sino alla soglia della “definitiva istituzione” delle città metropolitane (cfr. comma 5) – e la nuova legge interverrà successivamente per definire a regime la loro organizzazione. Più propriamente, dunque, si tratterebbe di una disciplina “ponte”, nella quale sono contenute alcune disposizioni effettivamente transitorie, quali la creazione del consiglio provvisorio della città metropolitana (comma 6) destinato ad essere sostituito dagli organi definitivi della città metropolitana da individuare da parte della legge organica.

La nuova disciplina, quindi, sembra sostituire parzialmente (almeno per le aree alle quali si applica) quella attualmente prevista dalle disposizioni contenute negli articoli 22 e seguenti del testo unico delle leggi in materia di enti locali (TUEL) approvato con il D.Lgs. 267/2000; disposizioni che tuttavia non vengono abrogate.

Il sistema introdotto dall’articolo in esame contiene una serie di incentivi alla costituzione delle città metropolitane, che ne dovrebbero rendere più rapida la loro realizzazione: innanzitutto, un incentivo economico consistente dall’ampliamento dell’autonomia finanziaria e di spesa di cui all’art. 8 e, in secondo luogo, l’una procedura di istituzione semplificata rispetto alla legge vigente.

Inoltre, si fa presente che non tutte le disposizioni recate dall’articolo in esame, pur rivestendo carattere transitorio, attengono alla disciplina dell’istituzione delle città metropolitane provvisorie: il comma 7 in particolare definisce alcuni contenuti cui dovrà uniformarsi la futura legge organica, tra cui l’abolizione della provincia di riferimento della città metropolitana.

 

Il comma 1 contiene l’oggetto dell’articolo in esame, la disciplina della prima istituzione delle città metropolitane, e l’autodefinizione di questa come transitoria, valida fino alla definitiva sistemazione normativa della materia.

 

I commi 2, 3 e 4 definiscono la procedura per la istituzione delle città metropolitane.

Il comma 2 individua l’ambito di applicazione della norma in esame, che non riguarda tutti i territori attualmente interessati dalla normativa vigente, ma solamente le aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli dove è prevista, in via facoltativa, l’istituzione della città metropolitana. Risulta, pertanto esclusa Roma, che insieme alle otto città sopra citate è compresa dalla legge vigente fra le aree metropolitane ove è possibile costituire le città metropolitane (art. 21, co. 1, TUEL).

Le ragioni di tale esclusione si rinvengono nella previsione, di cui all’articolo 23 del provvedimento in esame (vedi infra) di una specifica disciplina transitoria dedicata a Roma capitale, anch’essa destinata a produrre i suoi effetti “fino all’attuazione della disciplina delle città metropolitane” (comma 1). Tale espressione può intendersi coincidente con quella del comma 1 dell’articolo in esame, che fa riferimento ad una apposita legge organica.

Sono, parimenti, escluse, le aree metropolitane delle regioni a statuto speciale, ossia Trieste, Palermo, Catania, Messina e Cagliari.

In tali città e a Roma, pertanto, sembrerebbe ancora applicabile la disciplina vigente per la costituzione delle città metropolitane, disciplina che invece sembrerebbe preclusa alle aree indicate dall’articolo in esame, per le quali dovrebbe applicarsi esclusivamente la disciplina transitoria, almeno fino all’approvazione della nuova legge, quando la materia dovrebbe ritrovare una omogeneità normativa. In particolare, per le città di Trieste, Palermo, Catania, Messina e Cagliari dovrebbe ancora applicarsi la disposizione del testo unico che demanda all’autonoma regolamentazione delle regioni a statuto speciale la disciplina delle città metropolitane (art. 22, comma 3, TUEL)[42].

In secondo luogo, la nuova disciplina transitoria introduce un procedimento per l’istituzione delle città metropolitane che presuppone l’esistenza e dunque la precedente delimitazione delle aree metropolitane, delimitazione che rimane regolata dalla legge vigente (art. 22 TUEL). Ora, delle otto città indicate solamente quattro (Venezia, Genova, Bologna e Firenze) hanno proceduto a delimitare il territorio dell’area metropolitana, mentre le altre quattro (Torino, Milano, Napoli e Bari) non l’hanno ancora fatto. Per quest’ultime, pertanto, la disciplina introdotta dall’articolo in esame si applicherebbe solamente a partire dal momento di effettiva definizione dell’area metropolitana, da effettuarsi secondo le modalità vigenti.

Inoltre, il medesimo comma 2 individua i soggetti cui spetta l’iniziativa per l’istituzione della città metropolitana, innovando profondamente la disciplina attuale. La legge vigente prevede infatti una unica modalità per dare inizio al procedimento. Questo può essere attivato con l’approvazione di una proposta di statuto con deliberazione conforme da un lato da parte di tutti i consigli comunali coinvolti e dall’altra dell’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati.

La disposizione in esame invece prevede tre diverse possibilità di iniziativa da parte del comune capoluogo e della provincia, congiuntamente tra di loro o separatamente. Nel caso la proposta sia presentata solo da uno dei due enti locali (comune capoluogo o provincia) essa deve essere appoggiata da almeno la metà dei comuni della provincia interessata che rappresentino nel complesso la metà della popolazione.

 

Il comma 3 stabilisce che sulla proposta deve essere acquisito entro 90 giorni il parere della regione (parere non previsto dalla disciplina vigente). L’eventuale parere negativo non preclude il proseguimento della procedura, ma incide unicamente sul quorum di validità del referendum confermativo, che è del 30%, mentre in presenza di un parere positivo non è previsto alcun quorum. Un incentivo ad esprimere comunque un parere da parte della regione è costituito dalla previsione che la mancanza di espressione del parere entro i termini previsti viene equiparata al parere positivo e consente la validità del referendum senza limiti di quorum.

Il comma 3, inoltre, stabilisce il contenuto della proposta di istituzione della città metropolitana, che si articola in due strumenti:

§      la perimetrazione della città metropolitana;

§      una proposta di statuto provvisorio.

Inoltre, viene stabilito il principio che la città metropolitana si articola al suo interno in comuni.

Per quanto riguarda la definizione del territorio metropolitano l’articolo in esame prescrive alcuni requisiti essenziali. La perimetrazione deve:

§      rispettare il principio della continuità territoriale;

§      comprendere almeno tutti i comuni proponenti;

§      deve comprendere il comune capoluogo;

§      coincidere con il territorio di una (sola) provincia o di una sua parte.

Riguardo quest’ultimo punto, non viene esplicitata la sorte dei comuni della medesima provincia che non rientrano nel territorio della città metropolitana; tuttavia, dal momento che il successivo comma 7 prevede la soppressione della provincia sul cui territorio insiste la città metropolitana solamente al momento dell’entrata in vigore della disciplina definitiva, i comuni residui continuerebbero a far parte della provincia, ente che persiste per tutta la durata della fase transitoria.

Anche relativamente allo statuto provvisorio vengono poste alcune condizioni essenziali. Esso deve in primo luogo definire le forme di coordinamento dell’azione di governo all’interno del territorio metropolitano, dove insisteranno una pluralità di enti: la città metropolitana, i comuni, gli organi di decentramento dei comuni più grandi e anche delle province, la cui soppressione come si è detto è prevista solamente a partire dall’entrata in vigore della futura legge di sistema. Inoltre, lo statuto deve disciplinare le modalità di scelta del presidente del consiglio provvisorio della città metropolitana, un organismo previsto dal comma 6 (cui si rimanda).

Il comma introduce anche una norma non riconducibile direttamente alle città metropolitane di prima istituzione, oggetto principale dell’articolo in esame, che prevede l’adozione dello statuto definitivo entro sei mesi dalla data di insediamento degli organi competenti da individuare ai sensi della legge organica di riforma prevista dal comma 1.

L’ultima fase del procedimento istitutivo delle città metropolitane provvisorie è il referendum confermativo sulla proposta di istituzione. Esso è indetto tra tutti i cittadini dei comuni inclusi nella perimetrazione come individuata dalla proposta stessa.

La disciplina prevista per il referendum confermativo per le città metropolitane di prima istituzione differisce per diversi aspetti da quella vigente recata dall’art. 23 del testo unico.

Innanzitutto, la disciplina vigente prevede un quorum per la sua validità pari ad almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto (infatti la proposta si considera accettata se si esprimono a favore la maggioranza degli aventi diritto, oltre alla maggioranza dei comuni partecipanti). La proposta in esame prevede un quorum molto più basso: esso è del 30% in caso di parere regionale negativo e addirittura, in caso di parere positivo o di assenza di parere, non è previsto alcun quorum.

Si osserva in proposito che l’espressione utilizzata per indicare il quorum di validità (“...è del trenta per cento.”) andrebbe completata con il riferimento “degli aventi diritto al voto”.

In secondo luogo, il TUEL prevede lo svolgimento del referendum entro 180 giorni dall’approvazione della proposta, mentre il comma in esame non prevede alcun termine.

In terzo luogo, mentre la disciplina vigente si riferisce semplicemente a “referendum a cura di ciascun comune partecipante”, la disposizione in esame prevede che il referendum è sottoposto a “tutti i cittadini” dei comuni interessati. Sembrerebbe in questo modo preclusa l’eventuale partecipazione al referendum dei cittadini stranieri anche nei comuni dove ciò è consentito dallo statuto.

Infine, il procedimento di indizione e di svolgimento dei referendum è demandata, ai sensi del comma 4, ad un regolamento governativo da adottare entro 90 giorni dalla entrata in vigore del provvedimento in esame. La legge vigente, non contenendo riferimenti in proposito, implicitamente sembrerebbe invece rimettersi, per quanto riguarda lo svolgimento dei referendum, alla disciplina dei singoli comuni.

Il regolamento di cui al comma in esame è proposto dal ministro dell’interno, sulla base del concerto con i seguenti ministri:

§      giustizia,

§      riforme per il federalismo,

§      semplificazione normativa,

§      rapporti con le regioni.

Il regolamento, ai sensi dell’art. 17, comma 1, della L. 400/1988, sarà emanato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato entro novanta giorni dalla richiesta. Il regolamento dovrà osservare, in quanto compatibili, le disposizioni della legge generale sui referendum di cui alla L. 352/1970[43].

 

Il comma 5, chiarisce che la futura legge organica in materia di città metropolitane, richiamata al comma 1, indicherà le modalità per le definitiva istituzione delle stesse.

Il comma introduce nel contempo un termine temporale, “successivamente allo svolgimento del referendum” di cui non appare chiaro se si riferisca alla approvazione della legge organica o alla sola istituzione della città metropolitana.

Apparendo preferibile la seconda ipotesi[44] (le città metropolitane verrebbero istituite in via definitiva, con le modalità stabilite per legge, a mano a mano che si svolgono con esito positivo i singoli referendum), se ne desume che il procedimento di istituzione della città metropolitana sopra descritto non si presenta come transitorio, risultando costitutivo dell’ente città metropolitana, nei confronti del quale la nuova legge potrà semplicemente stabilirne la definitiva costituzione (in senso formale). Sembra dunque del tutto superata – almeno per le otto realtà a cui si applica la disciplina in esame – la procedura prevista dal testo unico per la realizzazione delle città metropolitane, almeno nella fase successiva alla definizione dell’area metropolitana.

 

Il comma 6 istituisce un organo rappresentativo delle città metropolitane provvisorie originate a seguito dei referendum: si tratta del consiglio provvisorio della città metropolitana, composto da tutti i sindaci dei comuni che fanno parte della città metropolitana e dal presidente della provincia. Viene chiarito che i membri del consiglio provvisorio, in quanto tali, non hanno diritto a percepire alcuna forma di retribuzione, neanche sotto forma di gettone di presenza.

La disposizione si limita a definire tale organo “assemblea rappresentativa”, senza specificarne i compiti. Presumibilmente sarà lo statuto provvisorio da adottarsi ai sensi del comma 2 a individuare i compiti del consiglio; esso comunque dovrebbe avere un ruolo centrale nel coordinamento dell’azione complessiva di governo, le cui forme saranno disciplinate nello statuto provvisorio, secondo quanto stabilito dal comma 2, lett. c). Tale norma prescrive anche che lo statuto provvisorio dovrà indicare le modalità di designazione del presidente del consiglio provvisorio “per elezione o individuazione”: lo statuto, infatti, potrebbe indicare direttamente l’autorità destinata a ricoprire la carica di presidente del consiglio provvisorio, per esempio il sindaco del comune capoluogo o il presidente della provincia o altro soggetto.

Anche se non indicato esplicitamente, i consigli provvisori dovrebbero decadere alla data di insediamento degli organi della città metropolitana, contestualmente alla soppressione (ex comma 7) degli organi provinciali.

Il comma 7 abolisce le province nel cui territorio sono situate le città metropolitane. L’abolizione è disposta a partire dell’effettiva costituzione definitiva delle città metropolitane ad opera della legge organica, o più precisamente a partire dall’insediamento dei nuovi organismi rappresentativi di queste, disciplinati dalla legge organica, che sostituiranno gli organi provinciali.

Una volta abolita la provincia di riferimento, dovrà decidersi la sorte dei comuni non inclusi nell’area metropolitana. A ciò provvederà sempre la legge organica che regolerà le modalità di espressione della scelta, da parte di questi comuni, di aderire all’area metropolitana ovvero ad “altra provincia”. In pratica, verrebbe fornita ai comuni non inclusi nella perimetrazione della città provvisoria, una seconda possibilità per poter scegliere di far parte della città metropolitana definitiva.

A proposito di questo ultimo punto, si osserva che il comma 7 fa riferimento all’“area metropolitana”, mentre sembrerebbe più opportuno utilizzare l’espressione città metropolitana.

Non sembra invece contemplata la possibilità, per i comuni non inclusi, di aggregarsi in una provincia creata ex novo.

Il comma 7 inoltre introduce il tema delle funzioni delle città metropolitane, che sono oggetto anche degli ultimi tre commi dell’articolo in esame. Infatti, riferendosi alla futura abolizione delle province, viene previsto che le loro funzioni siano trasferite alle città metropolitane, secondo le modalità fissate dalla legge organica, che dovrà stabile anche le risorse (beni e personale) necessarie per il loro effettivo esercizio.

La legge organica dovrà altresì dare attuazione alle nuove perimetrazioni territoriali.

 

Il comma 8 prevede che il finanziamento degli enti che compongono la città metropolitana assicuri una più ampia autonomia di entrata e di spesa in ragione della complessità delle funzioni attribuite a tali enti, nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.

In particolare, la norma definisce il periodo entro il quale l’ampliamento di autonomia è riconosciuto ai suddetti enti. Esso decorre a partire dalla data di proclamazione dell’esito positivo del referendum indetto sulla proposta di istituzione della città metropolitana e si conclude alla data dell’entrata in vigore della disciplina organica delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge.

La norma altresì precisa che le funzioni attribuite agli enti che compongono la città metropolitana corrispondentemente alle quali è previsto l’ampliamento di autonomia sono quelle da esercitarsi in forma associata o congiunta.

 

Il comma in esame riproduce nella sostanza il comma 2 dell’articolo 12 dell’originario testo del disegno di legge (AS 1117) relativo al finanziamento delle città metropolitane, che durante l’esame referente è stato soppresso[45]. Tale comma infatti prevedeva, fino alla data di attuazione della disciplina delle aree metropolitane di cui al testo unico degli enti locali, un finanziamento dei comuni capoluogo tale da garantire una più ampia autonomia di entrata e di spesa in ragione della complessità delle funzioni ad essi attribuita.

Si segnala, inoltre, che il Governo si è impegnato, accogliendo un ordine del giorno presentato al Senato (G21.0220), a garantire che i costi di funzionamento delle città metropolitane (e dei comuni che ne fanno parte) estranei alle funzioni della province soppresse, siano inferiori a quelle sostenuti dai comuni prime dell’istituzione della città metropolitana.

Per quanto attiene al finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, va ricordato che l’articolo 14 del provvedimento in esame prevede, al riguardo, l’adozione di uno specifico decreto legislativo, al fine di assicurare a tali enti una più ampia autonomia di entrata e di spesa in misura corrispondente alla complessità delle loro funzioni. Tale decreto legislativo, che assegna alle città metropolitane tributi ed entrate proprie, rimette alla facoltà di tali enti l’applicazione dei tributi in relazione al finanziamento delle spese riconducibili all'esercizio delle loro funzioni fondamentali.

 

Strettamente collegato con la norma precedente, il comma 9 stabilisce che le funzioni fondamentali della provincia siano considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, questo però ai soli fini delle disposizioni che riguardano le spese e l’attribuzione delle risorse finanziarie e limitatamente alla popolazione e al territorio metropolitano.

 

Per quanto attiene l’individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, esse sono individuate come tali dalla legislazione statale. Infatti, la citata norma costituzionale assegna alla competenza esclusiva statale le materie relative a: “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane” (lettera p) dell’art. 117). Già la legge n. 131/2003 (cd. “legge La Loggia”) aveva previsto una delega al Governo per l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 2). Tale delega, che recava come termine il 31 dicembre 2005, non è stata peraltro esercitata. Allo stato attuale, una proposta di legge all’esame del Senato (A.S. 1208, sen. Bastico ed altri) reca Delega al Governo in materia di funzioni fondamentali degli enti locali, di istituzione delle città metropolitane e di definizione della Carta delle autonomie locali.

 

Si osserva che andrebbe chiarita l’efficacia temporale della norma: essa da un lato prevede che il trasferimento delle funzioni dalla provincia alla città metropolitana avvenga “in via provvisoria”, e dall’altro che acquisti efficacia “dalla data di insediamento dei suoi organi definitivi”.

Dalla lettura dei lavori parlamentari, sembra emergere l’intendimento di definire provvisorio il trasferimento delle funzioni fondamentali nel senso che la loro individuazione definitiva potrà avvenire solo con una legge di attuazione dell’art. 117, 2° co, lett. p) Cost. che appunto prevede da parte dello Stato la definizione delle funzioni fondamentali degli enti territoriali, comprese le città metropolitane[46].

 

Sempre ai fini di cui al comma 9, ossia delle previsioni di spesa e dell’attribuzione di risorse finanziarie, il comma 10 prevede che sono considerate funzioni fondamentali della città metropolitana, oltre a quelle proprie della provincia, altre tre funzioni:

§      la pianificazione del territorio, compresa quella delle reti di infrastrutture;

§      il coordinamento della gestione dei servizi pubblici;

§      la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

Si tratta di funzioni il cui esercizio per lo più vede associati in varia misura province e comuni, e che secondo la disposizione in esame sono trasferite alle città metropolitane.

 

Si ricorda che le funzioni sopra indicate sono comprese nell’elenco delle materie per le quali, secondo la legge vigente, le regioni possono definire ambiti sovracomunali al fine del loro esercizio coordinato (art. 24 TUEL). Tra queste figurano alcune non considerate nel comma in esame, quali la pianificazione del traffico, la tutela dell’ambiente, la difesa del suolo.

 


 

Articolo 23
(Ordinamento transitorio di Roma capitale ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione)

 


1. In sede di prima applicazione, fino all'attuazione della disciplina delle città metropolitane, il presente articolo detta norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale.

2. Roma capitale è un ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione. L'ordinamento di Roma capitale è diretto a garantire il miglior assetto delle funzioni che Roma è chiamata a svolgere quale sede degli organi costituzionali nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri, ivi presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.

3. Oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Roma, sono attribuite a Roma capitale le seguenti funzioni amministrative:

       a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;

       b) sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;

       c) sviluppo urbano e pianificazione territoriale;

       d) edilizia pubblica e privata;

       e) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità;

       f) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;

       g) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio, ai sensi dell'articolo 118, secondo comma, della Costituzione.

4. L'esercizio delle funzioni di cui al comma 3 è disciplinato con regolamenti adottati dal consiglio comunale, che assume la denominazione di Assemblea capitolina, nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari ed internazionali, della legislazione statale e di quella regionale, nel rispetto dell'articolo 117, sesto comma, della Costituzione, nonché in conformità al principio di funzionalità rispetto alle speciali attribuzioni di Roma capitale. L'Assemblea capitolina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 5, approva, ai sensi dell'articolo 6, commi 2, 3 e 4, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con particolare riguardo al decentramento municipale, lo statuto di Roma capitale che entra in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

5. Con specifico decreto legislativo, adottato ai sensi dell'articolo 2, sentiti la regione Lazio, la provincia di Roma e il comune di Roma, è disciplinato l'ordinamento transitorio, anche finanziario, di Roma capitale, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) specificazione delle funzioni di cui al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento a Roma capitale delle relative risorse umane e dei mezzi;

       b) fermo quanto stabilito dalle disposizioni di legge per il finanziamento dei comuni, assegnazione di ulteriori risorse a Roma capitale, tenendo conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica, previa la loro determinazione specifica, e delle funzioni di cui al comma 3.

6. Il decreto legislativo di cui al comma 5 assicura i raccordi istituzionali, il coordinamento e la collaborazione di Roma capitale con lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma, nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 3. Lo status dei membri dell'Assemblea capitolina è disciplinato dalla legge dello Stato.

7. Il decreto legislativo di cui al comma 5, con riguardo all'attuazione dell'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, stabilisce i princìpi generali per l'attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

       a) attribuzione a Roma capitale di un patrimonio commisurato alle funzioni e competenze ad essa attribuite;

       b) trasferimento, a titolo gratuito, a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell'Amministrazione centrale, in conformità a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera d).

8. Le disposizioni di cui al presente articolo e quelle contenute nel decreto legislativo adottato ai sensi del comma 5 possono essere modificate, derogate o abrogate solo espressamente. Per quanto non disposto dal presente articolo, continua ad applicarsi a Roma capitale quanto previsto con riferimento ai comuni dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

9. A seguito dell'attuazione della disciplina delle città metropolitane e a decorrere dall'istituzione della città metropolitana di Roma capitale, le disposizioni di cui al presente articolo si intendono riferite alla città metropolitana di Roma capitale.


 

 

L’articolo 23 disciplina, come precisa il comma 1, l’ordinamento transitorio, non limitato ai profili finanziari, della capitale della Repubblica, in attuazione dell’art. 114, terzo comma, Cost., in attesa dell’adozione ed attuazione di una disciplina organica sulle città metropolitane.

 

L’art. 114, terzo comma, Cost., dispone che “Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento”.

 

L’articolo configura, in luogo del comune di Roma, un nuovo ente territoriale denominato “Roma capitale”, l’ordinamento del quale è in parte direttamente introdotto dall’articolo medesimo, acquistando pertanto immediata efficacia; in parte (cfr. comma 5) è rimesso al Governo, che dovrà adottare uno “specifico decreto legislativo” ai sensi della delega di cui all’art. 2; in parte è definito mediante richiamo ad altre leggi, vigenti o da adottare (cfr. commi 6, ultimo periodo, ed 8).

 

L’articolo 23 è stato introdotto nel corso dell’esame al Senato; esso prende il posto – ampliandone la portata normativa – dell’articolo 13 dell’originario disegno di legge governativo, il quale affrontava le tematiche relative alla capitale della Repubblica nell’ambito della delega di cui all’art. 2 e unicamente sotto i profili finanziari e dell’ordinamento patrimoniale.

 

Come conferma il comma 9, le disposizioni recate dall’articolo in esame hanno carattere transitorio o, per meglio dire, costituiscono una “normativa-ponte” in vista dell’attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane che – come precisa il comma 1 del precedente articolo 22 (vedi supra) – sarà determinata con apposita legge. A decorrere da allora, le disposizioni recate dall’articolo in esame non perderanno efficacia ma andranno per dir così a regime, intendendosi riferite alla città metropolitana di Roma capitale.

La futura legge – è da intendere – avrà il compito anche di definire la procedura per l’istituzione, in luogo dell’ente territoriale “Roma capitale”, della città metropolitana di “Roma capitale”: l’articolo 22, infatti, che disciplina le modalità per la prima istituzione di otto città metropolitane, non contempla Roma tra queste.

Dai commi 1 e 9 sopra illustrati si desume pertanto che, in via transitoria, l’ente “Roma capitale” è destinato ad assorbire il comune di Roma mentre – a regime – esso rientrerà nel genus delle città metropolitane, ampliando le sue dimensioni territoriali con presumibile assorbimento della provincia e contestuale reviviscenza del comune.

 

Le “città metropolitane” – inizialmente previste dalla L. 142/1990[47] e non ancora istituite – hanno ricevuto fondamento costituzionale con la L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, di revisione del Titolo V: esse rappresentano uno degli enti territoriali costitutivi della Repubblica, ai sensi dell’art. 114, primo comma, Cost.

La disciplina di base delle città metropolitane è oggi contenuta negli artt. 21 ss. del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000[48]), ove si prevede,tra l’altro (art. 23, co. 5) che la città metropolitana, una volta istituita, “acquisisce le funzioni della provincia”. Sulla disciplina vigente in materia, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 22.

 

Il comma 2 istituisce l’ente territoriale “Roma capitale”, facendone coincidere i confini con quelli del comune di Roma e dotando il nuovo ente territoriale di una “speciale autonomia” statutaria, amministrativa e finanziaria, nel rispetto dei limiti costituzionali.

Le finalità generali di tale più ampio ambito di autonomia sono chiarite dal medesimo comma 2: l’ordinamento di Roma capitale dovrà garantire il migliore assetto delle peculiari funzioni che la capitale è chiamata svolgere in quanto sede degli organi costituzionali[49], nonché delle rappresentanze diplomatiche degli Stati esteri presenti presso la Repubblica italiana, presso lo Stato della Città del Vaticano e presso le istituzioni internazionali.

Come si desume dal tenore generale dell’articolo, il nuovo ente assorbe il comune di Roma, lo sostituisce nell’esercizio delle funzioni amministrative e ne acquisisce sia gli organi (con qualche modifica e in vista dell’approvazione del nuovo statuto: cfr. comma 4) sia gli apparati amministrativi.

 

Il comma 3, in particolare, dispone l’attribuzione a Roma capitale, oltre che delle funzioni attualmente spettanti al comune di Roma, di una serie dettagliata di ulteriori funzioni amministrative. Si tratta delle seguenti:

§      concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali (lettera a)). Il testo non prevede un’analoga forma di coinvolgimento della Regione Lazio.

La “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” (al pari della “promozione e organizzazione di attività culturali”) rientra – ai sensi dell’art. 117, comma terzo, Cost. – nella potestà legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni, mentre la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.). È ormai consolidata la giurisprudenza costituzionale sul carattere “trasversale” della materia afferente alla “tutela dell’ambiente”, tale da legittimare una riserva di competenza in capo al legislatore statale nella fissazione di standard uniformi sull’intero territorio nazionale, senza tuttavia escludere la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propri ambientali (cfr. C.cost. 407/2002, 222/2003, 307/2003, 247/2006). Analogamente, è stato riconosciuto il carattere “trasversale” della “tutela dei beni culturali” (C.cost. 232/2005);

§      sviluppo economico e sociale di Roma capitale con particolare riferimento al settore produttivo e turistico (lettera b));

§      sviluppo urbano e pianificazione territoriale (lettera c));

§      edilizia pubblica e privata (lettera d));

§      organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità (lettera e));

§      protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione Lazio (lettera f));

 

Anche le materie “governo del territorio” e “protezione civile” rientrano nell’ambito della legislazione concorrente; sono quindi di competenza regionale, nel rispetto dei princìpi fondamentali dettati dalla legge statale.

L'articolo 1 della L. 225/1992 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile) stabilisce che il Servizio nazionale della protezione civile è composto dalle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli enti pubblici nazionali e territoriali e da ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale. Al coordinamento del Servizio nazionale e alla promozione delle attività di protezione civile, provvede il Presidente del Consiglio dei ministri, attraverso il Dipartimento della protezione civile;

 

§      ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla Regione Lazio, ai sensi dell’art. 118, co. 2°, Cost. (lettera g)).

 

Dal combinato disposto del comma in esame e del successivo comma 5 (vedi infra), che rimette al successivo decreto legislativo sull’ordinamento transitorio di Roma capitale la specificazione delle funzioni trasferite e la definizione delle modalità per il trasferimento delle relative risorse umane e strumentali, non appare evidente se l’operatività dell’attribuzione a Roma capitale delle nuove funzioni amministrative sia contestuale all’entrata in vigore della legge o sia differita al momento dell’emanazione del decreto legislativo.

 

Il comma 4 rimette la disciplina dell’esercizio delle sopra elencate funzioni amministrative ad appositi regolamenti adottati dal consiglio comunale di Roma. Quest’ultimo, divenuto organo del nuovo ente territoriale, assume la denominazione di “Assemblea capitolina”.

I predetti regolamenti, prosegue il comma 4:

§         devono essere conformi:

-          alla Costituzione;

-          ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea ed ai vincoli internazionali;

-          alla legislazione statale e regionale;

§         sono adottati nel rispetto (melius: ai sensi) dell’articolo 117, sesto comma, della Costituzione, che attribuisce e delimita la potestà regolamentare di Stato, Regioni ed enti locali. Sembra rilevare in questa sede il terzo periodo del comma, che recita: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”;

§         sono redatti in conformità al “principio di funzionalità”: la relativa disciplina deve in altre parole risultare funzionale alle speciali attribuzioni amministrative attribuite a Roma capitale.

 

L’art. 7 del Testo unico sugli enti locali[50] prevede, in via generale, che i comuni e le province adottino regolamenti nelle materie di propria competenza, “nel rispetto dei princìpi fissati dalla legge e dello statuto”.

 

Il secondo periodo del comma dispone che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo che, ai sensi del successivo comma 5 (v. infra), disciplinerà l’ordinamento transitorio di Roma capitale, l’Assemblea capitolina dovrà approvare lo statuto di Roma capitale, la cui entrata in vigore è fissata il giorno stesso della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. L’approvazione avrà luogo, si precisa, ai sensi dell’art. 6, co. 2, 3 e 4, del testo unico sugli enti locali. La disposizione sembra derogare al comma 5 dell’art. 6 citato (peraltro non richiamato), che prevede tra l’altro la pubblicazione dello statuto (non sulla Gazzetta ufficiale ma) sul bollettino ufficiale della regione, oltre all’affissione all’albo pretorio dell’ente e l’entrata in vigore decorsi trenta giorni dall’affissione.

 

Ai sensi dell’art. 6 del Testo unico sugli enti locali, i comuni e le province adottano il proprio statuto (co. 1).

Lo statuto, nell'ambito dei princìpi fissati dal Testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (co. 2).

Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge n. 125 del 1991[51], e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti (co. 3).

Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie (co. 4).

 

In sede di adozione dello statuto, occorre fornire “particolare riguardo” al profilo del decentramento municipale.

 

Il vigente statuto del comune di Roma disciplina – nel Capo IV (artt. 26 e ss.) – il decentramento municipale. In base all’art. 26, le Circoscrizioni del Comune di Roma sono costituite in Municipi, per rappresentare le rispettive comunità, curarne gli interessi e promuoverne lo sviluppo nell'ambito dell'unità del Comune di Roma (comma 1). I Municipi esercitano le funzioni loro attribuite dalla legge, dallo Statuto e dal regolamento. Ulteriori funzioni possono essere riconferite ai Municipi con deliberazione consiliare (comma 3).

 

Il comma 5 rimette ad uno “specifico decreto legislativo”, da adottarsi ai sensi dell’art. 2 (v. supra la relativa scheda), dunque nell’esercizio della delega in esso prevista, la disciplina dell’ordinamento transitorio, anche relativo ai profili finanziari, di Roma capitale.

 

Il rinvio all’art. 2 vincola il legislatore delegato sia per quanto attiene ai tempi (tendenzialmente, entro ventiquattro mesi dall’entrata in vigore della legge in esame) sia per ciò che riguarda la procedura (parere della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale di cui all’art. 3, e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario).

 

L’esercizio della delega deve conformarsi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

§      specificazione delle nuove funzioni amministrative attribuite a Roma capitale in base al comma 3 e definizione delle modalità per il trasferimento all’ente delle risorse umane e dei mezzi necessari (lettera a));

§      ferme restando le norme di legge sul finanziamento dei comuni, assegnazione a Roma capitale di ulteriori risorse finanziarie, parametrate sulle nuove funzioni amministrative attribuite, nonché sulle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica (lettera b)).

I successivi due commi integrano ulteriormente i princìpi e criteri direttivi esposti nel comma 5.

Ai sensi del comma 6, primo periodo, il decreto legislativo sull’ordinamento transitorio di Roma capitale dovrà assicurare – nell’esercizio delle funzioni amministrative di cui al comma 3 – i raccordi istituzionali, nonché le modalità di coordinamento e di collaborazione tra il nuovo ente e lo Stato, la regione Lazio e la provincia di Roma.

Il secondo periodo del comma precisa che lo status dei membri dell’Assemblea capitolina è disciplinato dalla legge dello Stato.

L’intento della disposizione sembra quello di sottrarre la materia in oggetto all’autonomia, anche statutaria, dell’ente medesimo; la sua collocazione all’interno del comma 6 può tuttavia far sorgere il dubbio che il legislatore voglia altresì escludere tale disciplina anche dall’ambito di intervento della delega, rimettendolo a una distinta, futura legge del Parlamento.

Il comma 7 – sostanzialmente riproduttivo dell’art. 13, co. 3, dell’originario disegno di legge del Governo – rimette al decreto legislativo sull’ordinamento transitorio la statuizione dei princìpi generali per l’attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti, specifici principi e criteri direttivi:

§      il patrimonio attribuito a Roma capitale dovrà essere commisurato alle funzioni e alle competenze ad essa attribuite;

§      sarà disposto il trasferimento a titolo gratuito a Roma capitale dei beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’amministrazione centrale; fatta eccezione per quelle tipologie di beni, da individuare ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera d) (vedi supra la relativa scheda), che non siano suscettibili di trasferimento in quanto “di rilevanza nazionale”, inclusi tra questi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.

 

La disciplina generale sul patrimonio dello Stato è contenuta nell’art. 826 cod. civ. Gli artt. 822 e ss. cod. civ. recano la disciplina di base dei beni del demanio statale.

 

Il comma 8 dispone che sia le norme di cui all’articolo in esame sia quelle che saranno adottate, ai sensi del comma 5, con il decreto legislativo sull’ordinamento transitorio di Roma capitale, non possano essere modificate, derogate od abrogate se non con disposizione espressa.

Il divieto di operare modifiche, deroghe o abrogazioni implicite ha ovviamente una valenza solo monitoria nei confronti del legislatore, non potendo una norma di legge vincolare giuridicamente una norma successiva di grado gerarchico equivalente.

Il secondo periodo del medesimo comma integra la disciplina di Roma capitale operando un generale rinvio, per quanto non disposto dall’articolo in commento (e, naturalmente, dall’emanando decreto legislativo), alla disciplina concernente i comuni, contenuta nel testo unico sugli enti locali.

 


 

Articolo 24
(Princıpi e criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni)

 


1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni, nel rispetto della autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

       a) previsione di adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con il Ministero dell'economia e delle finanze e con le Agenzie regionali delle entrate in modo da configurare dei centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali;

       b) definizione, con apposita e specifica convenzione fra il Ministero dell'economia e delle finanze, le singole regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri, degli introiti di attività di recupero dell'evasione.


 

 

L’articolo 24 indica i principi e criteri direttivi a cui si devono conformare i decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione - così come previsto dall’art. 2 del disegno di legge in esame – per quanto attiene alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni.

 

L’articolo prevede altresì che tali decreti debbano essere emanati nel rispetto dell’autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme organizzative della gestione e della riscossione di tributi e compartecipazioni.

 

I principi e i criteri direttivi devono, in particolare:

§      prevedere adeguate forme di collaborazione delle Regioni e degli enti locali con il Ministero dell’economia e delle finanze e con le Agenzie regionali delle entrate, al fine di configurare dei centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e locali.

Si osserva al riguardo che l’assetto territoriale dell’Agenzia delle entrate prevede, attualmente, la presenza di “Direzioni regionali” e non di “Agenzie regionali”. Occorrerebbe dunque chiarire i motivi per cui la norma rechi tale ultima dizione.

In questa sede appare opportuno segnalare il comunicato stampa del 29 dicembre 2008, con il qualela società Equitalia SpA - incaricata del servizio di riscossione dei tributi ai sensi dell’articolo 3 del D.L. 203 del 2005[52] - ha chiarito che al 1° gennaio 2009 sono diventate effettive sei operazioni straordinarie di fusione per incorporazione e acquisizione di rami d’azienda di società del Gruppo Equitalia. Tali operazioni, avviate nel secondo semestre 2008, costituiscono l’attuazione di un piano di razionalizzazione degli ambiti territoriali, per efficientare il sistema di riscossione e migliorare l’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali.

Tali operazioni costituiscono un passo avanti per l’attuazione della strategia di regionalizzazione del gruppo, che, come ha riferito il direttore generale della Società, “porterà ad organizzare la presenza di Equitalia a livello regionale”;

§      definire, con apposita convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, le singole Regioni e gli enti locali, le concrete modalità di recupero degli introiti dell’evasione fiscale, con riferimento anche alla ripartizione degli oneri relativi a tale attività.

Tale ultima disposizione appare connessa alle istanze di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, per le quali si veda la scheda di lettura dell’art. 2 (comma 2, lett. d)).

 

 

Per una più approfondita disamina dei profili tecnico-contabili e finanziari riguardanti l’articolo in commento si rinvia alla scheda concernente la gestione dei tributi e delle compartecipazioni (articolo 24 del disegno di legge in esame), predisposta nella seconda parte del presente dossier relativa ai profili finanziari.

 


 

Articolo 25
(Coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome)

 


1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di convergenza di cui all'articolo 17 e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 e secondo il principio del superamento del criterio della spesa storica di cui all'articolo 2, comma 2, lettera l).

2. Le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le medesime norme di attuazione disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, conformemente a quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera b), della presente legge.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 sono attuate, nella misura stabilita dalle norme di attuazione degli statuti speciali e alle condizioni stabilite dalle stesse norme in applicazione dei criteri di cui al comma 2, anche mediante l'assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato, nonché con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli statuti speciali. Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza:

       a) disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della regione a statuto speciale o provincia autonoma;

       b) definiscono i princìpi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali;

       c) individuano forme di fiscalità di sviluppo, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera hh), e alle condizioni di cui all'articolo 15, comma 1, lettera d).

4. A fronte dell'assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, così come alle regioni a statuto ordinario, nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ai sensi del comma 2, rispettivamente le norme di attuazione e i decreti legislativi di cui all'articolo 2 definiranno le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise.

5. Alle riunioni del Consiglio dei ministri per l'esame degli schemi concernenti le norme di attuazione di cui al presente articolo sono invitati a partecipare, in conformità ai rispettivi statuti, i Presidenti delle regioni e delle province autonome interessate.

6. La Commissione di cui all'articolo 4 svolge anche attività meramente ricognitiva delle disposizioni vigenti concernenti l'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della relativa applicazione. Nell'esercizio di tale funzione la Commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia interessata.


 

 

Le disposizioni recate dall’articolo 25 vanno esaminate nell’ambito della disciplina “speciale” prefigurata dal comma 2 dell’articolo 1 del disegno di legge in esame: tale norma infatti introduce un principio di esclusività, o di riserva di disciplina, inteso a delimitare l’applicabilità e l’efficacia delle disposizioni del testo del provvedimento e ad integrarne i principi, così da rendere la disciplina del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell’autonomia speciale. A tal fine il comma 2 medesimo elenca nominativamente gli articoli cui deve rifarsi il legislatore delegato:

§      l’articolo 25, che disciplina l’introduzione della riforma tramite norme di attuazione degli statuti speciali e stabilisce gli ambiti in cui taluni dei nuovi principi trovano attuazione in quegli ordinamenti;

§      l’articolo 14, che reca i principi che informano l’istituzione delle città metropolitane e, dunque, attiene alla competenza legislativa primaria che quelle regioni hanno sull’ordinamento e sulla finanza delle autonomie locali sui rispettivi territori;

§      l’articolo 21, che estende esplicitamente alle autonomie speciali la particolare procedura rivolta alla «perequazione infrastrutturale», che costituisce una particolare modalità di attuazione del quinto comma dell’articolo 119. Tale perequazione potrebbe infatti incidere su talune prerogative che gli statuti speciali assicurano per il loro finanziamento ad alcune di esse: ad esempio il fondo di solidarietà di cui all’articolo 38 dello Statuto siciliano ed il Piano di rinascita di cui all’articolo 14 dello Statuto sardo, per citare le disposizioni di maggior rilievo.

 

Il rinvio, per le autonomie speciali, agli articoli 14, 25 e 21 sarebbe comunque da considerare unitamente alle disposizioni degli statuti speciali che sottopongono potestà e prerogative di quelle regioni e province autonome – anche quelle esclusive o primarie – non soltanto alla armonia con la Costituzione ma anche alle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» ed ai principi che da esse derivano: norme fondamentali fra cui sembrerebbe sicuramente rientrare l’introduzione del federalismo fiscale. La clausola di esclusività dovrebbe essere letta dunque alla luce di tale rapporto fra le fonti: che siano richiamati o meno – come fanno esplicitamente l’articolo 25 per i principi più innovativi e lo stesso comma 2, per il richiamo degli articoli 14 e 21 – i principi (fondamentali) della riforma sembrerebbero applicabili sulla base della disciplina dei singoli statuti, secondo criteri ermeneutici che la Corte costituzionale – e le prassi legislative – hanno consolidato da tempo.

Va inoltre tenuta presente la clausola di maggior favore, formalizzata nell’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, per la quale le potestà, competenze e attribuzioni che sono disposte per le regioni a statuto ordinario si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome se realizzano condizioni di ‘maggior favore’ rispetto a quelle riconosciute dagli statuti speciali.

 

In tale quadro complessivo, la disciplina dettata dall’articolo 25 adatta alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca i principi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi. In particolare:

3.      le modifiche all’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome saranno introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali, negli stessi termini temporali previsti dalla delega conferita per l’emanazione dei decreti delegati relativi alle regioni a statuto ordinario e agli enti locali.

La disciplina delle «Norme di attuazione» è prevista da ciascun statuto speciale; speciali Commissioni paritetiche Stato-Regione, o Provincia autonoma provvedono alla concertazione e redazione del testo che assume poi la forma di decreto legislativo. A differenza dei decreti delegati che saranno assunti per le regioni a statuto ordinario, questi non sono sottoposti al parere parlamentare; né della Commissione istituita dall’articolo 3 del testo, né, eventualmente. dalla Commissioni permanenti; sebbene attuino la delega, non sono riconducibili ai decreti delegati di cui all’articolo 2. Per altro la disciplina delle «norme di attuazione» è disposta dagli statuti speciali che hanno rango di legge costituzionale e, pertanto, non sono modificabili in questa sede.

Si può notare inoltre che il termine per l’emanazione delle norme di attuazione è, di fatto, soltanto ordinatorio giacché l’emanazione delle norme di attuazione è una potestà legislativa conferita in via permanente dagli statuti speciali. Ulteriore notazione è quella che concerne la possibilità di modificare con legge ordinaria le disposizioni degli statuti speciali che disciplinano l’ordinamento finanziario della regione. Per le regioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige (e province autonome) questo è possibile d’intesa con la regione, per le regioni Sardegna e Friuli-Venezia Giulia la procedura, diversa per le due, prevede il parere della regione, per la regione Sicilia quelle modifiche possono intervenire soltanto con legge costituzionale;

4.      l’articolo 25 prevede specifiche norme procedurali per l’attuazione della delega nell’ordinamento delle regioni a statuto speciale; stabilendo:

-       il principio della partecipazione dei Presidenti delle regioni e delle province autonome alle riunioni del Consiglio dei ministri in cui si esaminano gli schemi delle rispettive norme di attuazione (comma 5);

-       la delimitazione ad una attività “meramente ricognitiva” delle funzioni che è chiamata a svolgere la Commissione tecnica di cui all’articolo 4 per l’emanazione delle norme di attuazione; inoltre, quando tratta delle nome di attuazione, la commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia autonoma interessata (comma 6);

5.      sul piano del merito, ferme le prerogative statutarie previste per ciascuna regione e provincia autonoma, la nuova disciplina sarà comunque informata ai principi fondamentali del federalismo fiscale espressamente richiamati e disciplinati dall’articolo 25. Nella specie:

-       il rispetto e l’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario. E’ un principio che viene soltanto ripetuto qui per ribadirne l’applicabilità alla stregua e nel contesto in cui esso trova applicazione per le regioni a statuto ordinario;

-       i principi di perequazione e di solidarietà e i diritti ed i doveri che da essi derivano.

Per le regioni a statuto speciale e per le province autonome questo costituisce una innovazione particolarmente significativa perché le inserisce nel sistema generale di perequazione delle capacità fiscali, come soggetti che contribuiscono al suo finanziamento, o come soggetti che beneficiano delle integrazioni perequative.

Il comma 2 reca in proposito due criteri direttivi: il primo per indirizzare il legislatore delle norme di attuazione nella definizione delle caratteristiche che potranno qualificare questi enti ai fini del sistema della perequazione, il secondo per le modalità operative di questa particolare perequazione.

Quanto al primo criterio, non è assunto immediatamente il parametro della capacità fiscale per abitante ma sono indicate una serie di caratteristiche socio-economiche della regione e della finanza di cui essa dispone in rapporto a quella dello Stato e a quella delle altre regioni. In particolare il parametro del reddito medio pro-capite degli abitanti della regione, gli oneri effettivamente sostenuti dalla regione per lo svolgimento delle funzioni, in raffronto a quelli sostenuti dallo Stato e dalle altre regioni per le medesime funzioni, gli svantaggi strutturali permanenti di cui una particolare regione soffra rispetto ad altre, la ‘dimensione’ della finanza della regione a statuto speciale o provincia autonoma rispetto alla finanza pubblica complessiva.

Sembrerebbe opportuno specificare più dettagliatamente, al fine di agevolarne l’attuazione in sede di normativa delegata, il parametro della “dimensione della finanza” regionale rispetto alla finanza pubblica complessiva.

Il secondo criterio direttivo applica ed adatta alle regioni a statuto speciale e alle province autonome il principio della perequazione disposta dall’articolo 9 per le funzioni connesse alla prestazione dei livelli essenziali facendo però riferimento primario, come parametro, al rapporto fra il livello medio pro-capite dei redditi nella regione e il valore della media nazionale;

-       l’applicazione del principio di solidarietà. Le regioni ‘sovra media’ secondo il criterio direttivo posto dal primo periodo del comma 2 sono chiamate a contribuire alla solidarietà interregionale attraverso l’assunzione – senza corrispettivo - di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali, o tramite altre misure finalizzate a consentire risparmi per il bilancio dello Stato;

-       l’estensione del principio del progressivo abbandono del criterio della spesa storica e l’adozione del principio del fabbisogno determinato dai costi standard per le spese relative al finanziamento delle funzioni connesse alle prestazioni dei livelli essenziali;

-       viene ribadito infine il principio del coordinamento della finanza pubblica che, obbligando anche le regioni a statuto speciale, è inteso a rendere coerente ai principi generali il loro ordinamento finanziario e quello degli enti locali sui quali esse hanno potestà legislativa esclusiva.

 

I principi sopra elencati stabiliscono che anche le regioni a statuto speciale e le province autonome dovranno contribuire a finanziare il sistema di perequazione nazionale se ‘ricche’ in termini di reddito pro-capite (questo sembra essere il parametro) e usufruiranno invece di quella perequazione se il reddito pro-capite del loro territorio è inferiore al valore della media nazionale.

Il principio del «superamento» del criterio della spesa storica presuppone che anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome l’adeguatezza delle risorse (in entrata) dovrà essere valutata in rapporto agli oneri che essi devono sostenere per l’esercizio delle funzioni che sono loro attribuite[53].

Ai fini dell’applicabilità dello schema in questione va segnalato che gli statuti assegnano alle Regioni a statuto speciale (e alle province autonome) le entrate ‘a titolo proprietario’ e non come corrispettivo delle spese che sostengono. Più esattamente, le entrate devono comunque essere sufficienti al finanziamento delle funzioni che sono loro affidate, ma non sono commisurate a queste: il complesso delle entrate medesime è pertanto costituito – con limitate eccezioni - da una quota dei tributi ‘pagati’ dai rispettivi territori e come tali attribuiti dagli statuti.


 

Articolo 26
(Salvaguardia finanziaria)

 


1. L'attuazione della presente legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto europeo di stabilità e crescita.

2. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano meccanismi idonei ad assicurare che:

       a) vi sia la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni;

       b) sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo e sia salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria;

       c) siano previsti adeguati meccanismi diretti a coinvolgere e cointeressare regioni ed enti locali nell'attività di recupero dell'evasione fiscale e nel contrasto all'elusione fiscale.

3. Per le spese derivanti dall'attuazione degli articoli 4 e 5 si provvede con gli ordinari stanziamenti di bilancio.


 

 

L’articolo 26 – modificato dal Senato – reca norme sulla salvaguardia finanziaria.

In particolare, il comma 1 stabilisce che l’attuazione della presente legge debba essere compatibile con gli impegni finanziari derivanti dal Patto europeo di stabilità e di crescita[54].

La norma non reca dunque una esplicita clausola di copertura finanziaria, né una clausola di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, ma si limita - in modo innovativo rispetto alle ordinarie modalità di copertura delle leggi - a introdurre un vincolo in base al quale l’attuazione della delega dovrà essere compatibile con gli impegni di riduzione del debito e dell’indebitamento netto della P.A. in rapporto al PIL derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

 

E’ opportuno ricordare che l’articolo 2, comma 2, lett. g), prevede, quale criterio direttivo generale, l’adozione, per le politiche di bilancio di regioni, città metropolitane, province e comuni, di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita.

 

Ai sensi del comma 3, le uniche spese per le quali si dispone una copertura a valere sugli ordinari stanziamenti di bilancio sono quelle derivanti dall’attuazione degli artt. 4 e 5 (relativi, rispettivamente, alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica).

 

Al riguardo, si ricorda come nel corso dell’esame presso il Senato, il Ministro dell’economia e delle finanze abbia sottolineato come la complessità della delega non consenta una compiuta valutazione ex ante dei suoi effetti sui saldi di finanza pubblica. In tale sede è stato in particolare sottolineato come le variabili da considerare nella valutazione dell'impatto economico dell'introduzione del federalismo fiscale siano molteplici, articolate e interdipendenti, posto che il disegno di legge incide su dodici tipi di tributi, cinque soggetti politici titolari di potere fiscale e due fondi di solidarietà previsti dalla Costituzione e che l'articolata procedura di esercizio della delega esiterà un elevato numero di decreti delegati attuativi di ben undici criteri direttivi.

Al fine di rispondere, almeno in parte, all’esigenza - da più parti sollevata nel corso del dibattito svoltosi in prima lettura - di approfondire nel dettaglio le grandezze e i profili finanziari derivanti dall’attuazione delle delega, nel corso dell’esame al Senato è stato disposto che almeno uno dei decreti legislativi sia adottato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge e che in tale occasione il Governo debba contestualmente trasmettere alle Camere, in allegato al relativo schema, una relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse (cfr. art. 2, comma 6).

 

La oggettiva difficoltà di una quantificazione ex ante del complesso degli effetti finanziari derivanti da una compiuta attuazione della delega non sembra tuttavia poter giustificare l’assenza nel testo di una esplicita clausola di copertura finanziaria ovvero di invarianza degli effetti del provvedimento sui saldi di finanza pubblica e l’introduzione, al suo posto, di una inedita clausola di “salvaguardia finanziaria” – recante il riferimento alla “compatibilità” con gli impegni assunti in sede comunitaria – della quale occorrerebbe valutare attentamente la conformità con il precetto costituzionale di cui all'articolo 81, quarto comma, della Costituzione e con la sua attuazione nella legge di contabilità.

Sul piano giuridico formale, si osserva, infatti, come il richiamo alla compatibilità e dunque al rispetto degli impegni e dei vincoli finanziari derivanti dal patto di stabilità e crescita europeo - seppur in linea con una evoluzione del sistema delle decisioni di bilancio che pone al centro della formazione dell’indirizzo politico-finanziario proprio il rispetto di tali vincoli - non rientri nelle modalità di copertura finanziaria delle leggi tipizzate dalla legge di contabilità nazionale.

Occorrerebbe, pertanto, verificare la coerenza dei vincoli comunitari derivanti dal Patto di stabilità e crescita – volti ad un tendenziale pareggio di bilancio - con il principio della neutralità degli effetti finanziari, tenendo conto, nella fattispecie, di come l’attuale configurazione del Patto di stabilità e crescita europeo consentirebbe, seppur in “circostanze eccezionali e temporanee” determinate, ad esempio, da una grave recessione economica, il superamento del valore della soglia del 3% per cento dell’indebitamento netto della P.A. rispetto al PIL.

Per una più approfondita disamina degli effetti finanziari derivanti dall’articolo in esame si rinvia alla seconda parte del presente dossier relativa ai profili finanziari

Ai sensi del comma 2, i decreti legislativi emanati in base all’art. 2 devono individuare meccanismi idonei ad assicurare che:

a)  vi sia la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni.

Si tratta di una norma di chiusura atta a garantire una simmetria tra la riallocazione delle funzioni tra lo Stato e gli enti decentrati e la dotazione del relativo capitale umano e finanziario, finalizzata ad evitare una possibile duplicazione di funzioni e pertanto di costi a carico della finanza pubblica;

b)  sia garantita la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale, nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo e sia salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nel corso della fase transitoria di passaggio dalla “spesa storica” al “costo e fabbisogno standard”.

Con riferimento alle disposizioni in materia di pressione fiscale, si segnala che la versione originaria del disegno di legge prevedeva un diverso criterio direttivo che faceva riferimento all’esigenza di individuare meccanismi atti ad assicurare che i risparmi di spesa determinassero una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di governo.

Sempre in ordine alla questione del livello della pressione fiscale, si ricordano le seguenti disposizioni del disegno di legge:

§      l’art. 2, comma 2, lett. cc), che prevede, come criterio direttivo “generale”, la “riduzione dell’imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali calcolata ad aliquota standard e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali”.

§      l’art. 5, comma 1, lett. a), ai sensi del quale la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tra i vari compiti, concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento;

§      l’articolo 16, comma 1, lettera e), che prevede l’introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e un livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti;

§      l’articolo 17, comma 1, ai sensi del quale le norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica - che il Governo è chiamato a proporre nell'ambito del disegno di legge finanziaria - devono stabilire, per ciascun livello di governo territoriale, l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali.

Si ricorda, infine, a titolo informativo, che nel 2007 il rapporto complessivo pressione fiscale/PIL si è attestato al 43,3 per cento[55].

 

c)  siano previsti adeguati meccanismi diretti a coinvolgere e cointeressare regioni ed enti locali nell'attività di recupero dell'evasione fiscale e nel contrasto all'elusione fiscale.

Si osserva, al riguardo, come un analogo criterio direttivo di carattere generale risulta già previsto all’articolo 2, comma 2, lettera d), ai sensi del quale i decreti legislativi dovranno prevedere il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 7, comma 1, lettera d), dispone che le modalità di attribuzione alle regioni del gettito dei tributi regionali istituiti con legge dello Stato e delle compartecipazioni ai tributi erariali siano definite in conformità al principio di territorialità e che a tal fine debbano tenere conto, tra l’altro, delle modalità di coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di lotta all'evasione ed all'elusione fiscale.

Sul piano della formulazione della norma, si rileva, infine, l’opportunità di coordinare il disposto di cui al comma 2, alinea, che fa riferimento all’individuazione di “meccanismi idonei”, con quello di cui alla lettera c) del medesimo comma, che fa invece riferimento ad “adeguati meccanismi”.

 

 


 

Articolo 27
(Abrogazioni)

 

1. I decreti legislativi di cui all'articolo 2 individuano le disposizioni incompatibili con la presente legge, prevedendone l'abrogazione.

 

 

L’articolo 27 prevede che i decreti legislativi emanati in base all’articolo 2 (v. supra) debbano individuare le disposizioni incompatibili con il testo legislativo in esame, disponendone l’abrogazione esplicita.

 

 

 


Profili di carattere finanziario


Osservazioni di carattere generale

 

Nella presente sezione del dossier sono svolte talune considerazioni che emergono dall’analisi dei profili di carattere finanziario del progetto legislativo in esame. La disamina è svolta con riferimento a singole disposizioni o a gruppi di disposizioni tra loro correlate, che vengono di volta in volta sinteticamente richiamate. Per un esame più puntuale dei relativi contenuti normativi, si rinvia all’analisi del testo contenuta nella prima parte del dossier.

 

Si segnala che il testo iniziale de disegno di legge è corredato di una relazione tecnica[56], limitata agli articoli 4 e 5 del provvedimento. La relazione quindi – in considerazione della natura e della portata assai ampie del processo di riforma prefigurato, i cui caratteri necessitano di essere precisati alla luce della disciplina che sarà definita dai successivi decreti legislativi – non reca elementi di quantificazione riferiti al complessivo impatto finanziario del progetto legislativo o alle possibili conseguenze degli interventi normativi necessari alla realizzazione del generale disegno di riforma.

Nel corso della seduta antimeridiana dell’Assemblea del Senato del 21 gennaio scorso, il Ministro dell’economia e delle finanze ha rilevato la difficoltà di prefigurare l’impatto finanziario complessivo del testo in considerazione, tra l’altro, del numero elevatissimo delle variabili in gioco, tra loro interdipendenti e coniugate, e della complessità del processo, da articolare attraverso un numero non ancora specificato di decreti attuativi.

Il Ministro dell’economia ha inoltre affermato che è stata già costituita una data room per l’elaborazione dei dati tecnici, che devono essere omogenei e condivisi tra tutti i soggetti, evidenziando che nel processo sono state coinvolte istituzioni tecniche e che vi è un’apertura ad ogni tipo di contributo in questo campo. Il Ministro ha concluso che “l’impegno politico è quello di iniziare a lavorare insieme sui dati per calcolare l’impatto dei decreti attuativi prima di emanarli e di realizzare quel calcolo insieme a tutte le forze politiche o tecniche interessate a tale esercizio” [57].

 

Pertanto, le osservazioni formulate nelle singole schede di seguito riportate non attengono ad una verifica delle quantificazioni in senso stretto, ma sono dirette ad evidenziare, sul piano dell’analisi degli effetti finanziari, aspetti del testo che necessitano di precisazioni o di approfondimenti ovvero di dati aggiuntivi che consentano di prefigurare possibili implicazioni finanziarie derivanti dall’attuazione dei criteri di delega enunciati.

 

 

Impianto della delega e clausola finanziaria

Articolo 2, co. 1, 3, 4, 5, 6, 7 e 26

L’articolo 2, comma 1, delinea l’impianto complessivo del procedimento di delega legislativa, volto, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione, ad assicurare l’autonomia finanziaria di comuni, province, Città metropolitane e regioni. I successivi commi da 3 a 7 definiscono le modalità di esame parlamentare degli schemi di decreto predisposti nell’esercizio della delega, anche con riferimento alle conseguenze di carattere finanziario, In merito a tali profili, l’art. 26 formula specifici criteri direttivi, a salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica. Per la puntuale descrizione delle norme si rinvia alla prima parte del dossier.

 

Al riguardo, in merito all’impostazione complessiva del procedimento di delega legislativa e alle clausole di salvaguardia finanziaria definite dal testo in esame, si rileva quanto segue.

Si osserva in primo luogo che il provvedimento non reca previsioni che facciano espresso riferimento ad esigenze di equilibrio tra effetti finanziari onerosi ed effetti di risparmio derivanti dai singoli provvedimenti che dovranno essere emanati in attuazione della legge, fatta eccezione per il criterio sancito all’art. 26 comma 3, in base al quale alle spese derivanti dagli articoli 4 (istituzione, con DPCM, di una Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale) e 5 (istituzione, nell’esercizio della delega legislativa, di una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica) si provvede con gli ordinari stanziamenti di bilancio e, quindi, con espresso obbligo di invarianza finanziaria.

L’art. 26 definisce invece clausole di salvaguardia finanziaria che, per un verso, risultano riferite al complessivo impatto finanziario ascrivibile all’attuazione della delega, e, per altro verso, individuano criteri di compatibilità attinenti non esclusivamente agli equilibri interni al medesimo processo normativo, quanto piuttosto alla coerenza dello stesso con risultati complessivi di finanza pubblica (deficit e debito) - che dovranno risultare conformi agli impegni assunti con il patto di stabilità e crescita (art. 26, comma 1) - nonché con parametri di stabilità macroeconomica (determinazione di un limite massimo della pressione fiscale da ripartire tra i diversi livelli di governo e tendenziale invarianza della stessa, secondo il criterio sancito all’art. 26, comma 2, lett. b) .

Ulteriori criteri sanciti dall’art. 26, co. 2, attengono alla necessaria coerenza tra riordino e riallocazione di funzioni e risorse (lett. a), nonché al coinvolgimento di regioni ed enti locali nel recupero dell’evasione e nel contrasto all’elusione fiscale (lett, c).

Si rinvia alle schede successive per più puntuali considerazioni e richieste di chiarimenti sulle implicazioni relative all’attuazione di tali criteri, in particolare per quanto attiene al coordinamento tra i diversi livelli di governo. In via preliminare si rileva che il riferimento, nella definizione dei criteri di compatibilità finanziaria, anche al parametro del saldo complessivo di bilancio appare coerente con la portata assai ampia del disegno di riforma. Tale processo, infatti, incidendo sul generale assetto dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo, è suscettibile di conformare l’evoluzione del quadro finanziario complessivo, tanto da non rendere possibile un bilancio degli effetti interni alla riforma legislativa che prescinda dalla corrispondente evoluzione impressa alle principali variabili di finanza pubblica.

Dall’ approccio descritto scaturiscono tuttavia alcune peculiari conseguenze sul piano della verifica, anche in sede parlamentare, del rispetto dei criteri di salvaguardia prescritti dal progetto di legge e degli ulteriori vincoli finanziari che derivano dal vigente ordinamento contabile.

 

In merito alle garanzie di conformità al vincolo costituzionale di copertura finanziaria, si rileva che la mancanza di criteri direttivi riferiti alle conseguenze finanziarie di ciascun provvedimento da adottare nell’esercizio della delega si fonda, presumibilmente, sulla considerazione che, tenuto conto dei principi sanciti dall’art. 26 del disegno di legge, dall’intero processo di riforma dovrebbero scaturire risparmi di spesa, tali da consentire il conseguimento degli obiettivi di riduzione del deficit concordati in sede europea, anche in mancanza di incrementi della pressione fiscale complessiva.

L’enunciazione dei criteri indicati dall’art. 26 non sembra tuttavia superare l’esigenza di introdurre clausole finanziarie riferite agli effetti dei singoli decreti legislativi, che, configurandosi come criteri direttivi della delega, si traducano in limiti espressi al legislatore delegato nella definizione degli equilibri finanziari interni a ciascun provvedimento da adottare nell’esercizio della delega.

Per rispondere a tali esigenze sono state spesso inserite clausole di neutralità finanziaria, quali criteri direttivi, all’interno di leggi di delega legislativa. Si richiama, per quanto attiene alla scorsa legislatura, la legge n. 247/2007, art. 1, co. 93 (c.d. “Protocollo welfare”[58]).

In altre circostanze, in occasione della definizione di deleghe il cui esercizio avrebbe potuto verosimilmente comportare effetti onerosi, non determinabili tuttavia ex ante, la legge di delega, a garanzia del rispetto dell’art. 81 Cost., ha espressamente condizionato l’emanazione dei relativi decreti legislativi al reperimento delle necessarie risorse finanziarie. E’ stata quindi prevista una graduazione nel tempo dell’esercizio della delega, in ragione dell’ammontare delle risorse stanziate nell’ambito delle manovre finanziarie annuali, subordinando l’emanazione dei decreti legislativi di attuazione alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse (si veda la legge n. 53 del 2003 sull’istruzione, la legge n. 80 del 2003 sul sistema fiscale e la legge n. 243 del 2004 sul sistema previdenziale).

 

Per quanto attiene alla verifica parlamentare delle conseguenze finanziarie dei provvedimenti, dall’art. 81, quarto comma, della Costituzione e dalla relativa disciplina di attuazione discende che il riscontro circa il rispetto del vincolo di non onerosità andrebbe effettuato con riguardo a ciascuno schema di decreto legislativo, pur tenendo conto delle reciproche interrelazioni tra i diversi provvedimenti via via adottati. Sembra d’altro canto rispondere soprattutto a questa esigenza la previsione dell’acquisizione sugli schemi di decreto del parere anche delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario. Pertanto tali schemi dovrebbero essere corredati di relazioni tecniche (non espressamente previste dal testo) che diano conto in primo luogo, per ciascun provvedimento legislativo, del rispetto del vincolo costituzionale di copertura.

 

Con riferimento al complessivo processo di attuazione della delega, si rileva in primo luogo che, in linea di principio, il criterio della conformità agli obiettivi europei non costituisce necessariamente una garanzia di non onerosità della disciplina da adottare nell’esercizio della delega, tenuto conto che potrebbero risultare coerenti con il percorso delineato in sede europea anche saldi complessivi di bilancio negativi, almeno per determinati esercizi.

Tuttavia, in una prospettiva di avvicinamento all’obiettivo di medio termine del pareggio del saldo di bilancio - fatte salve eventuali deroghe accordate in sede europea per periodi di recessione economica e per altre “circostanze eccezionali” – dal criterio generale di compatibilità con gli impegni assunti nell’ambito del patto di stabilità e crescita, unito a quello di non incremento della pressione fiscale, dovrebbe discendere, come già accennato – non considerando ulteriori fattori ed interventi in grado di incidere sul quadro di finanza pubblica - che dall’attuazione della riforma siano attesi, presumibilmente, risparmi di spesa. La misura di detti risparmi dovrebbe inoltre risultare coerente, per ciascun esercizio considerato, con il percorso di riduzione del deficit e del debito delineato negli aggiornamenti annuali del programma di stabilità, tenendo conto di una serie di altre variabili, tra cui, in particolare, le dinamiche della spesa per il servizio del debito pubblico e per prestazioni a carico del bilancio dello Stato non comprimibili nel quantum .

Tuttavia, per consentire la verifica in sede parlamentare del rispetto di tale criterio, le relazioni tecniche annesse ai provvedimenti attuativi della delega e l’ulteriore documentazione che potrà essere posta a disposizione degli organi parlamentari dovrebbero essere corredati di dati ed analisi, integrati anche delle necessarie simulazioni, idonei a prefigurare l’impatto dei provvedimenti via via adottati nell’ambito del processo di riforma sui risultati generali di finanza pubblica, avendo riguardo al percorso concordato in sede europea e agli andamenti complessivi del quadro di finanza pubblica.

Tali esigenze conoscitive non sembrano poter essere soddisfatte esclusivamente dalla relazione prevista dal comma 6 dell’art. 2, sia perché la sua presentazione è prevista soltanto in occasione dell’adozione del primo schema di decreto legislativo predisposto in attuazione della delega, sia perché essa appare incentrata soprattutto sulla definizione degli aspetti distributivi e di finanziamento dei diversi enti nonché sull’assetto complessivo dei rapporti finanziari tra i vari livelli di governo.

 

I dati predisposti dovrebbero inoltre essere idonei ad individuare l’impatto della riforma sulle grandezze che rilevano per le procedure di sorveglianza europea, secondo i criteri contabili adottati in tali sedi.

Si tratta di elementi documentali che non potranno prescindere da una valutazione degli effetti delle normative da adottare alla luce di un’analisi di contesto sui più generali andamenti macroeconomici e sulle corrispondenti dinamiche che caratterizzano il quadro di finanza pubblica. L’analisi dovrebbe inoltre porre in evidenza se sussistano o meno criticità nel conseguimento degli obiettivi programmati di finanza pubblica in ragione di limitazioni o vincoli - derivanti dalla concreta configurazione del disegno di riforma - nell’utilizzo di leve e strumenti di politica fiscale e di bilancio.

Detti elementi consentiranno un riscontro tanto più efficace della coerenza delle discipline adottate con le clausole di salvaguardia sancite dall’art. 26, nella misura in cui sarà assicurata una considerazione il più possibile contestuale delle implicazioni dei diversi provvedimenti, destinati ad esplicare i propri effetti sui medesimi esercizi finanziari.

 

Inoltre, dato il carattere dinamico che la verifica dei parametri di cui all’art. 26 assume - in considerazione della progressiva evoluzione del quadro di finanza pubblica e del periodico aggiornamento degli obiettivi di riduzione del deficit e del debito –  all’analisi ex ante, svolta nella fase di espressione dei pareri sugli schemi di decreti legislativi, dovrebbe associarsi anche una sistematica attività di monitoraggio sull’impatto finanziario della normativa adottata. Anche questa attività - da condurre preferibilmente per l’intero periodo di attuazione della riforma e in quello previsto per l’adozione di eventuali disposizioni correttive ed integrative - dovrebbe essere supportata da relazioni e documentazioni elaborate dal Governo, preferibilmente con cadenza predefinita, idonee a consentire una valutazione dell’incidenza del processo di riforma, nelle sue successive articolazioni, sulle principali variabili che concorrono a determinare, per ciascun esercizio, il quadro di finanza pubblica ed il risultato complessivo di bilancio. Una sede di definizione di tali informazioni ed analisi potrebbe essere, ad esempio, quella della presentazione alle Camere dei documenti di programmazione economica e finanziaria.

In ordine agli aspetti evidenziati appare utile acquisire l’avviso del Governo.

 

 

La copertura del fabbisogno standard

Articoli 2, co. 1; 8, 9 e 19

Il disegno di legge delega, nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomia territoriali, distingue (art. 2, comma 1, lett. l) tra le funzioni corrispondenti ai livelli essenziali di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) della Costituzione e le altre funzioni.

Fermo restando il superamento graduale in 5 anni (art. 19, comma 1, lettere b, c) e d) del criterio della spesa storica, per le funzioni riconducibili al vincolo costituzionale si prevede l’integrale copertura del fabbisogno standard, mentre per le altre la perequazione delle capacità fiscali (cfr infra).

Un diverso trattamento, rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale (art. 8, comma 1, lett. c e art. 9, comma 1, lett. f ), nonché per gli interventi di cui al quinto comma dell’art. 119 della Costituzione, finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, finanziamenti dell’Unione europea e cofinanziamenti nazionali (art. 8, comma 1, lett. c e art. 15).

 

Le funzioni riconducibili al vincolo costituzionale

Tra le funzioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione sono comprese la sanità, l’assistenza e l’istruzione: quest’ultima, relativamente alle spese per i servizi e le prestazioni inerenti all’esercizio del diritto allo studio, nonché per le altre funzioni di carattere amministrativo già ora attribuite alle regioni (art. 8, comma 1, lettera a, numero 1, e commi 2 e 3).

Per tali funzioni, concernenti diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i costi standard necessari alla definizione dei relativi fabbisogni (art. 8, comma 1, lettera b).

 

Il fabbisogno standard – Il fabbisogno standard rappresenta l’ammontare di risorse necessarie alla copertura dei costi dei livelli essenziali delle prestazioni prodotte in condizioni di efficienza e di appropriatezza (costi standard). Esso, inoltre, attraverso opportuni sistemi di ponderazione, tiene conto delle specifiche condizioni di contesto che possono incidere (dal lato della domanda o dell’offerta) sull’ammontare di risorse necessarie a garantire, in determinate aree territoriali, il richiesto livello del servizio.

 

I livelli essenziali delle prestazioni – Per quanto riguarda la sanità, la determinazione del livello di finanziamento del SSN cui concorre in via ordinaria lo Stato si basa attualmente sulla puntuale individuazione dei livelli essenziali di assistenza[59], vale a dire le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione, con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale. La definizione dei Lea contestualmente (e non successivamente) alla definizione delle risorse, nel confermare l’interesse pubblico a tutelare dal lato della domanda i bisogni di salute dei cittadini, vincola dunque l’erogazione delle prestazioni all’ammontare delle risorse che le scelte di politica economica e/o i vincoli di finanza pubblica rendono disponibili per il loro finanziamento.

Le crescenti esigenze di verifica della correttezza della gestione delle risorse sanitarie in rapporto all’obbligo di fornire le prestazioni ritenute essenziali hanno condotto allo sviluppo di metodologie di controllo, basate sia sull’utilizzo di indicatori economici, sia su parametri di riferimento, per grandi aggregati di spesa, che permettono di accertare il grado di scostamento di una singola regione da un valore predeterminato[60]. Tale monitoraggio è rivolto a verificare l’adeguatezza delle prestazioni ed il rispetto dei vincoli di bilancio delle regioni.

Con riferimento all’assistenza, ad oggi, non si è ancora pervenuti alla definizione delle prestazioni che si ritiene essenziale erogare su tutto il territorio nazionale con criteri di uniformità ed appropriatezza.

Infatti, pur indicando l’articolo 22 della legge n. 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) gli interventi che costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, si tratta di enunciazioni di carattere programmatico e generico che non si è ancora provveduto a tradurre in indicazioni di tipo puntuale, sia con riferimento alla tipologia di prestazioni erogabili, sia con riferimento alla individuazione del livello di governo deputato all’erogazione.

Anche per quanto riguarda la spesa per l’istruzione[61], al momento non sono definiti i livelli delle prestazioni che i diversi soggetti (Stato e amministrazioni locali) sono chiamati a garantire nell’erogazione delle stesse.

 

I costi standard - Il costo standard rappresenta il costo di riferimento della produzione di un bene o di un servizio in condizioni di efficienza produttiva. Esso pertanto non viene, di norma, inteso come il costo minimo, bensì come il costo medio dei processi efficienti.

Anche in tale ambito, la sanità ha compiuto in questi anni importanti passi avanti, anche se al momento non si è ancora giunti alla definizione dei costi da associare al paniere standardizzato di prestazioni sanitarie. Non è stata, invece, avviata alcuna iniziativa per quanto riguarda le altre funzioni.

L’applicazione del concetto di costo standard al settore sanitario è resa difficile non solo dalla complessità dei processi produttivi, dove l’evoluzione delle tecnologie e la connessa dinamica dei costi sono molto rapide, ma anche dall’ampio spettro di possibili modelli organizzativi adottabili. Pertanto, la determinazione del costo complessivo di un LEA non può essere ricostruito in base alla sommatoria dei costi delle singole prestazioni che lo compongono, ma dipende dal modo in cui quelle prestazioni vengono fornite sul territorio: si determinano, cioè, forti esternalità di produzione che implicano che l’analisi dei costi non consista solo nell’individuazione del costo efficiente della singola prestazione quanto del costo efficiente del complesso dei servizi che vengono erogati[62].

Fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo della determinazione dei costi standard è, inoltre, la costituzione di una rete di monitoraggio delle diverse tipologie di prestazioni erogate, da verificare sia sotto il profilo dei costi, sia, come già detto, sotto il profilo dell’appropriatezza, per arrivare a costruire un sistema di indicatori condivisi e di standard quantitativi e qualitativi di riferimento.

Le principali base-dati attualmente disponibili per il monitoraggio e l’analisi dei costi sono quelle prodotte dai flussi economici del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS). L’aggregazione a livello nazionale dei dati per livelli di assistenza[63] non è tuttavia allo stato significativa (come dimostra del resto l’estrema variabilità dei dati contenuti nel Rapporto nazionale di monitoraggio del Ministero della salute), e ciò a causa dell’eterogeneità dei criteri contabili adottati a livello locale (dalle ASL) e regionale. Per superare tali criticità sono stati avviate ricerche[64] che hanno coinvolto i diversi livelli di governo, giunte a conclusione (nel luglio 2007) con l’approvazione della documentazione finale e l’elaborazione di linee guida, che devono, tuttavia, ancora essere implementate.

 

Al riguardo si rileva, preliminarmente, che dal testo della delega non si evince se le funzioni esplicitamente richiamate esauriscano o meno quelle riconducibili al vincolo costituzionale. Poiché per queste ultime occorrerà garantire la copertura del fabbisogno standard, appare necessario sul punto un chiarimento da parte del Governo, atteso che tale scelta, con l’individuazione delle relative risorse, è suscettibile di incidere sull’equilibrio finanziario complessivo che il nuovo assetto dovrà assicurare.

Il disegno di legge, inoltre, non esplicita a quale principio la definizione del costo standard (inteso dalla teoria economica come il costo medio dei processi efficienti) dovrà ispirarsi. Non è chiaro infatti, anche dal dibattito in corso, se nell’attuazione della delega si farà riferimento:

-          alla media dei costi finora effettivamente sostenuti utilizzando, ad esempio, la media dei costi pro-capite (eventualmente calcolati sulla popolazione pesata), delle regioni che hanno finora garantito la migliore combinazione di prestazioni e risultati economici equilibrati;

-          alle “best practices” per livello di assistenza o tipologia di prestazioni, rilevate per regione o per livello amministrativo inferiore (ad esempio, nella sanità, per Asl);

-          ad una rilevazione più dettagliata dei costi considerando anche variabili di contesto o ad altro criterio distintivo.

Dalle diverse alternative possibili discendono effetti molto diversificati circa la determinazione del fabbisogno standard, e quindi circa l’ammontare di risorse da riconoscere alle regioni nel loro insieme, e la ripartizione infra-regionale delle stesse.

Strettamente legata a tale aspetto è la realizzazione di un sistema di rilevazione dei costi per giungere alla produzione di dati omogenei, necessari alla costruzione di indicatori condivisi. Tale processo, già avviato negli ultimi anni nel settore sanitario, potrebbe necessitare di tempi più lunghi per quanto riguarda l’assistenza e l’istruzione e richiedere un investimento iniziale in risorse umane e finanziarie, il cui costo occorre valutare. Con riferimento ai singoli settori, in particolare, si rileva quanto segue:

a)     per quanto riguarda la sanità (funzione già attribuita alle regioni), una volta definiti i costi standard, sarà possibile il confronto con i costi effettivamente sostenuti dalle regioni e i livelli di fabbisogno finora riconosciuti e la definizione del percorso di aggiustamento verso il fabbisogno standard. Sarà, inoltre, necessario che la dinamica delle risorse destinate al finanziamento della spesa sia in grado, anche nel medio-lungo periodo, di garantire la copertura dei costi associati ai livelli essenziali delle prestazioni il cui costo è destinato nel tempo ad aumentare, sia per effetto dell’invecchiamento della popolazione, che dell’innovazione stessa del processo tecnologico che caratterizza il settore;

b)     nel settore dell’assistenza, le indagini svolte evidenziano una disparità tra le regioni delle risorse impegnate in relazione alla medesima tipologia di intervento[65].

Ciò sembrerebbe dipendere, non tanto dal numero e dalla tipologia di soggetti beneficiari delle prestazioni quanto dal differente assetto organizzativo adottato a livello territoriale per l’erogazione della prestazione. In tale settore, inoltre, la definizione dei costo standard potrebbe risultare più difficoltosa se si considera che non appare agevole enucleare il livello di spesa complessivo attualmente impegnato, in quanto, oltre alla frammentarietà dei soggetti erogatori ed all’eterogeneità dei sistemi di rendicontazione, si rileva che la quasi totalità delle prestazioni in parola erogate dagli enti territoriali è costituita da prestazioni sociali in natura, ovvero servizi alla persona, e, solo in minima parte, da erogazioni in denaro;

c)      per quanto riguarda la scuola, il disegno di legge rinvia, come già ora per la sanità, ad un’Intesa Stato-Regioni, che dovrà definire il livello di prestazioni da garantire per livello di istruzione, con riferimento sia alla quota di spesa finora gestita dall’Amministrazione centrale per il tramite del Ministero e degli Uffici scolastici regionali, sia, come sembra evincersi dal ddl delega, a quella già ora facente capo alle amministrazioni locali (art 8, comma 2, per le regioni e art 20, commi 3 e 4 per gli enti locali – cfr infra). Tuttavia, anche in questo settore, la situazione di partenza appare molto variegata. Infatti, dai dati pubblicati dal Ministero dell’Istruzione e da quelli tratti dal bilancio dello Stato[66] emerge, con riferimento alla quota di spesa gestita dalle Amministrazioni centrali, una accentuata variabilità tra le regioni dei costi pro-capite[67], per ciascun livello di istruzione. Occorrerà, quindi, verificare le cause degli scostamenti al fine di individuare quali costi dipendano da situazioni “esterne” oggettive che incidono sulle condizioni di erogazione del servizio nelle diverse realtà regionali, e quali costi invece siano riconducibili a inefficienze gestionali: tenuto conto che si tratta di una quota di costi non imputabile a precedenti gestioni delle regioni, i tempi e le modalità di convergenza verso il fabbisogno standard dovranno, presumibilmente, essere concordati con le medesime.

 

Il periodo transitorio

La messa a regime del nuovo sistema di finanziamento avviene in un periodo di cinque anni, garantendo un passaggio graduale rispetto all’attuale sistema di trasferimenti, come risultanti dalla media (al netto delle risorse straordinarie) rilevata nel triennio 2006-2008 (art. 19, comma 1, lett. a, b e d).

 

Al riguardo, si osserva che il riferimento alla media del triennio viene incontro alla necessità di disporre di dati certi e, al contempo, depurati da fenomeni che possono alterare gli andamenti relativi alle singole annualità. Tale criterio, tuttavia, potrebbe determinare in taluni casi un ammontare di risorse inferiore rispetto a quello percepito dalle autonomie territoriali nell’esercizio in corso e a quanto le stesse percepirebbero (mediamente) nei prossimi anni sulla base dell’attuale sistema di finanziamento. In base a tale sistema, infatti, l’andamento di alcuni trasferimenti (o compartecipazioni) è collegato alla dinamica di grandezze (ad esempio, PIL nominale) o parametri di riferimento (inflazione, ecc), che fanno sì che le risorse trasferite siano crescenti nel tempo (almeno in termini nominali). La differenza nella disponibilità di risorse (rispetto alla situazione a legislazione vigente), destinata a incidere anche nel regime transitorio, potrebbe essere più sensibile se si pensa che il processo di adeguamento al nuovo regime non avrà inizio, presumibilmente, prima di un periodo di uno o due anni (termini questi connessi all’attuazione della delega).

Tali inconvenienti non si determinerebbero ove, invece, si accedesse ad una diversa lettura del testo, secondo la quale il concetto di media del triennio non sia inteso come riferito ai valori assoluti dei trasferimenti, ma alle percentuali di ripartizione delle risorse. Ove tale interpretazione fosse confermata, sarebbe opportuna una esplicitazione del testo in tal senso. Sul punto appare opportuno un chiarimento da parte del Governo.

 

Il trasporto pubblico locale

 Per il finanziamento del TPL, il ddl (art. 8, comma 1, lett. c) prende a riferimento la necessità di fornire un adeguato livello di servizio su tutto il territorio nazionale, considerando anche i costi standard.

Per le spese di parte corrente, l’integrazione delle entrate proprie dovrà avvenire sulla base del principio della riduzione delle differenze delle capacità fiscali; mentre, per le spese in conto capitale, si prevede l’integrale copertura del fabbisogno standard (art. 9, comma 1, lett. f ).

L’attribuzione delle quote del fondo perequativo di cui all’articolo 9 é subordinata al rispetto di un livello di servizio minimo, fissato a livello nazionale (art. 8, comma 1, lett. c).

 

Al riguardo si rileva come, ai fini della determinazione del finanziamento, nel ddl si fa riferimento ad un livello “adeguato” del servizio. Occorrerebbe che fosse chiarito se con tale termine si intende un livello di prestazione diverso da quello (“essenziale”) richiesto per le spese relative alle funzioni riconducibili al vincolo costituzionale.

Si rileva inoltre come, a differenza delle altre funzioni per le quali la quota di pertinenza del fondo perequativo viene attribuita sulla base dei parametri stabiliti[68], salvo successiva verifica (ed eventuale sanzione) che le prestazioni erogate siano adeguate rispetto alla necessità di assicurare i livelli essenziali delle stesse (art. 2, comma 1, lett. u), nel caso del TPL sembrerebbe che un primo controllo avvenga in una fase anticipata, subordinandosi infatti l’erogazione della quota del fondo perequativo alla verifica del rispetto di un livello di servizio “minimo”, fissato a livello nazionale.

 

Finanziamento delle regioni

Articoli 2, co. 1; 7, 8 e 10

I principi ed i criteri direttivi attraverso cui si realizza l’autonomia finanziaria dei diversi livelli di governo e, più specificatamente, i criteri e le modalità di individuazione dei mezzi di finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni sono oggetto di alcuni criteri di delega indicati principalmente all’articolo 2, comma 1, ed agli articoli 7, 8 e 10. Per l’analisi dettagliata di tali norme si rinvia alla prima parte del dossier.

La presente scheda fa riferimento, in particolare, al modello di finanziamento delle funzioni devolute alle regioni, richiamando ove necessario i principi ed i criteri di carattere generale e rinviando alle successive schede relative agli articoli da 11 a 13 l’analisi del modello di finanziamento della finanza degli enti locali.

 

Al riguardo si rileva che sulla base dei principi di delega non è possibile definire in termini quantitativi il modello di finanziamento prefigurato. In particolare, resta comunque indeterminata la combinazione delle quote di base imponibile o di compartecipazione dei tributi destinati al finanziamento delle funzioni trasferite.

L’esame delle singole disposizioni consente tuttavia di evidenziare alcuni aspetti che potrebbero essere suscettibili di determinare elementi di criticità ed in merito ai quali appare necessario acquisire chiarimenti. In particolare:

Ad oggi, infatti, ove lo Stato adotti interventi di carattere tributario volti a modificare aliquote ovvero criteri di determinazione delle basi imponibili di tributi istituiti e regolati da legge statali il cui gettito è attribuito alle regioni, tali misure sono generalmente compensate, nel quadro delle evidenze contabili che delinea gli effetti finanziari degli interventi sui saldi di finanza pubblica, con contestuali aumenti o riduzioni dei trasferimenti dal bilancio statale, in modo da lasciare comunque inalterato l’ammontare delle risorse destinate agli enti decentrati.

La norma in esame, in particolare, nell’ipotesi di adozione da parte dello Stato di interventi fiscali di carattere espansivo, garantisce il rispetto del principio di assicurare agli enti decentrati certezza delle risorse e stabilità del quadro dei finanziamenti in misura corrispondente alle funzioni attribuite (articolo 2, comma 2, lettera gg). Tuttavia, nell’ipotesi di interventi fiscali di carattere restrittivo, la norma sembra porre automaticamente a disposizione degli enti decentrati risorse eccedenti rispetto alle previste esigenze di spesa. Non è chiaro se tali eccedenze possano essere riassorbite nell’ambito delle azioni di coordinamento della disciplina fiscale dei diversi livelli di governo (articolo 16) ovvero, con riguardo alle regioni, nell’ambito della verifica periodica della congruità in termini di gettito dei tributi presi a riferimento per la copertura dei fabbisogni (articolo 10, comma 1, lettera d).

Data la limitata manovrabilità dell’IRAP, in considerazione sia del carattere di transitorietà dell’imposta, sia dei vincoli di coerenza con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, la norma appare riferirsi in particolare all’IRE, nelle forme di aliquota riservata e di addizionali.

La disposizione potrebbe comportare profili di problematicità, sotto il profilo applicativo, sia nei termini di una limitazione della omogeneità e manovrabilità del tributo a livello centrale, quale strumento di politiche sociali redistributive, sia nei termini di gestione del tributo, con riguardo alla moltiplicazione degli adempimenti per i sostituti d’imposta ed i contribuenti, e alla gestione unitaria dei dati e delle informazioni relative al prelievo.

Attualmente la flessibilità di cui godono le regioni in merito alla fissazione delle aliquote dell’addizionale - sia nei termini di scelta dell’aliquota nell’ambito del campo di variazione fissato dalla legge statale, sia nei termini di modulazione della medesima in base a scaglioni di imponibile - si esercita su quote molto limitate di base imponibile.

Lo schema di finanziamento delineato dalla riforma lascia presupporre la riserva ovvero l’introduzione di aliquote più consistenti mentre più ampia appare la gamma degli strumenti attraverso i quali si esercita la flessibilità (detrazioni d’imposta, deduzioni).

 

La perequazione per le regioni

Articoli 9 e 19

Le norme disciplinano il funzionamento di un unico fondo perequativo del quale si richiamano di seguito schematicamente le caratteristiche essenziali rinviando alla prima parte del dossier per una descrizione analitica.

Il Fondo perequativo, definito dalla norma a carattere verticale, è costituito da due componenti, rispettivamente riguardanti le risorse riferite alle funzioni cd. “LEP”[69] e “non LEP”[70]. Tali componenti risultano distinte sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello del meccanismo di finanziamento e del criterio di perequazione adottato, ma sono accomunate dall’assenza di vincolo di destinazione. In particolare:

-          la componente “LEP”, finalizzata al rispetto del vincolo costituzionale del finanziamento integrale dei “fabbisogni essenziali”, adotta il criterio della perequazione dei fabbisogni: le risorse sono ripartite tra 14 regioni a statuto ordinario[71] - esclusa l’unica che finanzia integralmente il proprio fabbisogno mediante risorse di carattere tributario[72] – nella misura necessaria a finanziare integralmente i suddetti fabbisogni, valutati ai costi standard. Ha carattere verticale in quanto è finanziata da risorse erariali, individuate in una quota del gettito IVA;

-           la componente “non LEP” adotta il criterio della perequazione parziale della capacità fiscale, riferito ad un unico tributo: l’addizionale IRPEF. Ha carattere orizzontale[73]: le regioni con capacità fiscale superiore alla media nazionale (con riferimento al predetto tributo) versano una quota dell’eccedenza al fondo perequativo, dal quale attingono le regioni con capacità fiscale inferiore alla media.

Alcune particolarità sono previste con riferimento alla funzione inerente il trasporto pubblico locale che concorre a determinare la componente “LEP”[74] del fondo con riferimento alla componente di spesa in conto capitale, mentre è assimilata alla componente “non LEP” con riferimento alla parte corrente. E’ previsto che l’attribuzione delle quote del fondo perequativo sia subordinata al rispetto di un livello di servizio minimo.

Nella fase di transizione, disciplinata dall’articolo 19, sono previste alcune clausole di salvaguardia a favore delle regioni.

 

Al riguardo, appare opportuno acquisire chiarimenti in merito ai seguenti aspetti di rilievo sotto il profilo finanziario, riferiti sia al funzionamento a regime del fondo, sia alla fase transitoria.

Funzionamento a regime del fondo.

Per quanto attiene alle funzioni LEP, si segnala che la scelta di preporre al finanziamento della componente verticale del fondo, finalizzata a garantire la copertura integrale dei fabbisogni “LEP”, una risorsa di natura tributaria potrebbe determinare problemi connessi alla necessità di rendere compatibile la dinamica dei fabbisogni con quella del gettito dello specifico tributo. La norma[75] prevede infatti che l’entità complessiva del fondo finanzi integralmente l’entità del divario fra i fabbisogni “LEP” e tributi a tal fine attribuiti alle regioni. Andrebbe pertanto valutato, anche sulla base dell’evoluzione storica delle risorse in questione, se la dinamica dei fabbisogni sia sovrapponibile a quella del gettito dell’IVA. In caso contrario, la scelta dell’ancoraggio del fondo al gettito IVA potrebbe accrescere l’esigenza di una frequente rideterminazione dell’aliquota di compartecipazione destinata al fondo, incidendo su quelle caratteristiche di immediatezza e automaticità che il meccanismo della compartecipazione dovrebbe garantire.

Inoltre andrebbe chiarito se la citata norma[76] imponga un livello minimo della dotazione del fondo (quella necessaria alla copertura integrale dei fabbisogni) e non anche un livello massimo. Non è chiaro infatti se, nel caso in cui i fabbisogni avessero occasionalmente una crescita inferiore a quella del gettito IVA, l’extragettito corrispondente alla prefissata aliquota di compartecipazione al fondo resterebbe acquisito al fondo stesso, e quindi destinato alle regioni, o si determinerebbero automaticamente le condizioni per una riduzione dell’aliquota di compartecipazione.

In altri termini non è chiaro se si determini il rischio di un’asimmetria per cui una congiuntura più favorevole del previsto determinerebbe un’accresciuta dotazione delle risorse del fondo, destinate alle regioni, mentre una congiuntura meno favorevole del previsto determinerebbe la necessità dell’integrazione del fondo da parte dello Stato, tenuto ad assicurare il livello essenziale delle prestazioni.

Per quanto attiene alle funzioni non LEP, si segnala che la modalità di perequazione prevista dal provvedimento è limitata all’addizionale IRPEF, che sostituirà i trasferimenti soppressi riferibili alle suddette funzioni, come emerso nel corso dell’esame del provvedimento presso il Senato[77]. Tale modalità non è estesa anche ai gettiti dei tributi attualmente destinati al finanziamento delle medesime funzioni. Ne consegue la necessità di un chiarimento in merito a come verranno considerate tali risorse ai fini perequativi.

 

Per quanto attiene alle modalità di perequazione riferite alla funzione del trasporto pubblico locale, appare necessario acquisire chiarimenti in merito alla portata applicativa del criterio di delega[78] che prevede che l’attribuzione delle quote del fondo perequativo sia subordinata al rispetto di un livello di servizio minimo: si segnala infatti che tale criterio non appare applicabile alla quota del fondo relativa alla spesa in conto capitale, per la quale la funzione in esame è assimilata alle funzioni LEP, con obbligo da parte dello Stato di garantire il finanziamento dei fabbisogni essenziali. Difficoltà applicative potrebbero sussistere anche con riferimento alla quota corrente del fondo perequativo eventualmente necessaria a garantire il finanziamento di spese aventi carattere obbligatorio.

 

Fase transitoria

Con riferimento alle funzioni non LEP la norma[79], nel limitare a 5 anni il periodo di transizione dal criterio della spesa storica a quello basato sulle capacità fiscali, prevede un meccanismo di salvaguardia per le regioni che riscontrino situazioni oggettive di insostenibilità: tale meccanismo non ha carattere di compensatività interregionale, in quanto non è posto a carico delle regioni che nel medesimo periodo riscontrino situazioni di sovrabbondanza di risorse, bensì a carico dello Stato. Ai fini di compensare gli oneri derivanti dalle disposizioni attuative del criterio di delega in esame, occorrerebbe che le stesse fossero corredate dell’indicazione di apposite modalità di reperimento delle risorse, da attivare al verificarsi dell’eventualità prevista dalla norma, al fine di assicurare la neutralità finanziaria nella fase di transizione.

Un’analoga previsione non è riportata con riferimento alle funzioni LEP[80], nel caso in cui, nel corso dei 5 anni in cui deve avvenire il passaggio dal finanziamento della spesa storica a quello dei costi standard, si verificassero, in alcune regioni, situazioni di insostenibilità. L’assenza di un’esplicita previsione in tal senso potrebbe discendere dal fatto che, trattandosi di prestazioni essenziali, lo Stato sarebbe comunque tenuto ad intervenire a sostegno delle regioni che non riuscissero a far fronte, nei tempi previsti, al processo di transizione delineato. Poiché anche in questo caso i criteri di delega non prefigurano la possibilità di attivare meccanismi di compensazione interregionale, risulterebbe opportuno chiarire le modalità di reperimento delle risorse finanziarie da attivare qualora si rendesse necessario il sostegno dello Stato.

Con riferimento al criterio di delega[81] che prevede, nella fase transitoria, clausole di salvaguardia per le regioni nel caso si verifichino scostamenti tra i dati previsionali e quelli effettivi del gettito dei tributi destinati al finanziamento delle funzioni LEP, si rileva che il meccanismo di salvaguardia delineato dalle norme non riveste carattere simmetrico. Esso infatti non è volto ad assicurare che le regioni, nella fase transitoria, conseguano esattamente il gettito previsto, bensì è volto unicamente ad escludere penalizzazioni per le regioni nel caso di risultati di gettito inferiori alle previsioni. Pertanto, qualora le previsioni fossero errate per difetto, alle regioni potrebbero essere attribuite risorse tributarie eccedentarie rispetto alle esigenze di finanziamento delle loro funzioni, con corrispondente rinuncia a tali risorse da parte dello Stato centrale.

Con riferimento al criterio di delega[82] che prevede, tra l’altro, una verifica dell’adeguatezza e della congruità delle risorse finanziarie rispetto alle funzioni già trasferite, si segnala che, qualora da tale verifica risultasse che le regioni abbiano eventualmente ricevuto risorse insufficienti ad un finanziamento integrale della funzione trasferita, a fronte delle maggiori risorse necessarie per integrare i finanziamenti relativi a funzioni già trasferite in passato, non potrebbero determinarsi risparmi compensativi, con conseguenti possibili oneri per lo Stato.

 

Armonizzazione dei bilanci pubblici

Articolo 2, co. 2, lettere h) e v)

La necessità di disporre di basi statistiche omogenee in materia finanziaria e la correlata esigenza di uniformare le modalità di redazione dei bilanci di tutte le pubbliche amministrazioni sono state estesamente richiamate nelle sedi istituzionali e nel dibattito scientifico: dapprima, in relazione all’evolversi del processo di integrazione dei mercati in ambito europeo; più di recente, in relazione ai vincoli di convergenza fissati nell’Unione economica e monetaria[83], al cui rispetto concorrono necessariamente i vari soggetti pubblici operanti nell’ambito di ciascuno Stato membro.

Anche le misure di riorganizzazione della finanza pubblica e del sistema tributario previste dal disegno di legge in esame - interessando le autonomie territoriali che concorrono alla determinazione dei risultati di bilancio dell’intera pubblica amministrazione - richiedono, fra gli altri strumenti e procedure, l’adozione di sistemi contabili omogenei, con modalità di registrazione che consentano la piena conoscibilità e comparabilità degli esiti finanziari delle politiche pubbliche attuate ai diversi livelli[84]. Infatti, nel contesto federale delineato dal titolo V della Costituzione e dal provvedimento in esame, la disponibilità di dati statistici tendenzialmente completi e uniformi e l’armonizzazione dei bilanci pubblici dei vari comparti amministrativi rappresentano un presupposto necessario per un esercizio efficace dell’azione di controllo, la quale condiziona – a sua volta - il raggiungimento degli obiettivi di efficienza posti alla base della riforma.

Sul punto specifico dell’armonizzazione dei bilanci pubblici, nel corso dell’esame in prima lettura sono state introdotte nel testo del disegno di legge disposizioni finalizzate:

Ÿ        a uniformare i criteri di redazione dei bilanci delle regioni e degli enti territoriali rendendoli coerenti con le modalità utilizzate per il bilancio dello Stato [articolo 2, comma 2, lettera h), primo periodo];

Ÿ        ad effettuare la registrazione delle poste di entrata e di spesa nei bilanci di Stato, regioni ed enti territoriali utilizzando forme “che consentano di ricondurre tali poste ai criteri rilevanti per l’osservanza del patto di stabilità e crescita” [articolo 2, comma 2, lettera h), secondo periodo];

Ÿ        ad estendere ai casi di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci le sanzioni previste dal testo per gli enti che non rispettano gli equilibri economico–finanziari o che non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni [articolo 2, comma 2, lettera v)].

 

Al riguardo in ordine alla portata attuativa della disposizione che obbliga gli enti pubblici a registrare nei loro bilanci le poste di entrata e di spesa “in forme che consentano di ricondurre tali poste ai criteri rilevanti per l’osservanza del patto di stabilità e crescita”, si osserva che tale disposizione dovrebbero derivare obblighi di predisposizione di bilanci o schemi contabili conformi al sistema dei conti europei (SEC 95). Non viene invece espressamente sancito l’obbligo di recepire nell’ambito delle scritture contabili le risultanze attive e passive delle società e aziende partecipate dagli enti. Andrebbe quindi acquisito un chiarimento in merito all’introduzione o meno, nella disciplina attuativa della delega, delle modalità di costruzione di un bilancio consolidato che includa – fra l’altro - la rappresentazione delle spese e delle situazioni contabili connesse al fenomeno delle esternalizzazioni dei servizi.

Andrebbe inoltre acquisita una valutazione, da parte del Governo, in ordine alla possibilità che il processo di confluenza dei sistemi contabili degli enti territoriali verso le metodologie adottate per il bilancio dello Stato determini costi di natura organizzativa, anche collegati alla realizzazione di basi dati e al reperimento delle competenze tecniche richieste per l’espletamento dei necessari adempimenti. In tal caso, andrebbe chiarito se e in quale misura le relative spese debbano gravare sugli enti interessati (regioni, province e comuni) e se questi ultimi siano in grado di fronteggiarle utilizzando le risorse umane e finanziarie già nelle loro disponibilità.

 

Istituzione di organi collegiali

Articoli 3, 4 e 5

Le norme dispongono:

·        l’istituzione di una Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, composta da 15 senatori e da 15 deputati (art. 3);

·        l’istituzione presso il Ministero dell’economia e delle finanze - con oneri a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati - di una Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale formata da 30 componenti - metà rappresentanti tecnici dello Stato e metà rappresentanti tecnici degli enti territoriali costituzionali[85] - (art. 4, comma 1) operante nell’ambito della Conferenza unificata e con funzioni tra l’altro, di segreteria tecnica della Conferenza permanente di cui all’art. 5 (art. 4, comma 4).

Alle riunioni della Commissione partecipa, tra gli altri, anche un rappresentate tecnico delle Assemblee legislative regionali e delle province autonome;

·        l’istituzione – nell’ambito della Conferenza unificata – della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, composta da rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo (art. 5, comma 1) dotata di un’apposita banca dati [art. 5, comma 1, lett. f)].

Per una più puntuale analisi e descrizione della norme si rinvia alla prima parte del documento.

 

La relazione tecnica,allegata al testo originario del provvedimento in esame, afferma che le norme di cui agli artt. 4 e 5 recano disposizioni suscettibili di comportare oneri per il bilancio dello Stato. A tale riguardo - precisa la RT- gli oneri relativi all’istituzione Commissione prevista dall’art. 4, per espressa previsione normativa (art. 4 comma 1), sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali rappresentati nella stessa. La RT rileva, inoltre, che l’art. 26, comma 3, del provvedimento prevede, comunque, che agli oneri derivanti all’attuazione di entrambe le norme si provvede con gli ordinari stanziamenti di bilancio. Ciò premesso, la RT afferma che non sono necessari ulteriori stanziamenti per fare fronte al funzionamento dei due nuovi organi e che saranno utilizzati, ove necessario e nei limiti delle disponibilità, gli stanziamenti esistenti nei capitoli di bilancio inerenti al funzionamento di organi collegiali.

 

Al riguardo, si rileva che l’approntamento nonché la piena operatività della banca dati prevista dall’art. 5, comma 1, lett. f) ai fini dello svolgimento delle attività istruttorie e di supporto della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica richiederanno presumibilmente la fornitura di apposite dotazioni strumentali, per le quali potrebbe essere necessario apprestare le relative risorse finanziarie.

 

 

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, con riferimento all’art. 3 si rileva che, a differenza di quanto previsto in precedenti casi di leggi istitutive di commissioni bicamerali[86], la norma non reca un’esplicita clausola di copertura finanziaria. In casi analoghi, la copertura degli oneri derivanti dall’istituzione di Commissioni parlamentari è a valere per metà sul bilancio della Camera e per l’altra metà a valere sul bilancio del Senato.

Per quanto attiene all’art. 4, stante quanto affermato nella RT e in virtù dell’art. 26, comma 3, che prevede che agli oneri derivanti dall’attuazione degli artt. 4 e 5 si provveda con gli ordinari stanziamenti di bilancio, appare opportuno che il Governo fornisca chiarimenti in ordine a taluni profili. In particolare, si osserva che la norma non esclude espressamente la corresponsione di emolumenti di qualsiasi natura ai componenti e non fornisce indicazioni circa la struttura organizzativa ed il personale di supporto dei due organismi.

Appare pertanto opportuno che il Governo chiarisca con quali risorse si provvederà alla copertura degli eventuali oneri derivanti dall’istituzione e dal funzionamento, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, della Commissione. In particolare, qualora si tratti delle risorse umane, strumentali e finanziarie, già disponibili a legislazione vigente, appare opportuno prevedere una specifica clausola di invarianza finanziaria estesa. Con riferimento alla disposizione in base alla quale “gli oneri relativi sono a carico dei rispettivi soggetti istituzionali”, appare opportuno che il Governo chiarisca se questa faccia riferimento agli oneri connessi alla previsione di emolumenti, indennità o rimborso spese per i membri della Commissione. In tal caso, appare opportuno riformulare la clausola indicando esplicitamente a quali oneri si faccia riferimento (indennità, emolumenti o rimborsi spese) e le risorse delle quali si prevede l’utilizzo.

 

 Il finanziamento delle funzioni degli enti locali

Articoli 11 e 12

Le norme in esame individuano i criteri direttivi inerenti il finanziamento, a regime, delle funzioni di comuni, province e città metropolitane e la relativa autonomia di entrata e di spesa. Rinviando alla prima parte del dossier per una descrizione dettagliata delle disposizioni, si formulano di seguito le osservazioni sui profili aventi rilievo finanziario.

 

Al riguardo appare opportuno acquisire chiarimenti in merito ai seguenti aspetti:

§         con riferimento alle funzioni attribuite agli enti locali e alla determinazione dei relativi fabbisogni, si richiama quanto già osservato riguardo alle regioni in merito alla mancata indicazione dei criteri in base ai quali andranno determinati i fabbisogni standard inerenti le funzioni fondamentali. Non è infatti precisato se la spesa standardizzata[87] dovrà far riferimento alla media nazionale, alle “best practices” o a qualche valore intermedio tra i due indicati: dal criterio prescelto, opportunamente corretto con tutti gli altri indicatori di fabbisogni puntualmente elencati nel provvedimento, dipenderà in larga misura l’effetto redistributivo derivante dal provvedimento, sia fra diversi enti locali, che fra lo Stato e il complesso degli enti locali;

§      con riferimento alle modalità[88] di finanziamento delle funzioni degli enti locali, sia fondamentali che non fondamentali - per le quali è prevista la sostituzione dei trasferimenti con risorse di carattere tributario, integrate da un fondo perequativo - si segnala, in linea generale, la necessità di chiarimenti per il comparto dei comuni, i cui fabbisogni finanziari risentono notevolmente, per qualsiasi funzione di spesa, di una modulazione estremamente diversificata in relazione a diversi parametri, fra i quali il più evidente risulta quello dimensionale[89]. Poiché le basi imponibili dei contribuenti costituiscono una variabile non correlata alle dimensioni degli enti locali, la scelta del finanziamento mediante risorse di carattere tributario potrebbe accrescere le esigenze di carattere perequativo[90]. Andrebbe valutato, alla luce della dimensione che dovrà essere assicurata al fondo perequativo, se tali esigenze possano rivelarsi compatibili con la condizione iniziale di invarianza delle risorse complessivamente attribuite agli enti locali rispetto all’attuale ammontare dei trasferimenti.

Sempre in merito alle dimensioni demografiche e territoriali degli enti locali, il Senato ha introdotto un criterio di delega[91] che ne prevede la valutazione sia ai fini dell’ottimale svolgimento delle funzioni, sia ai fini delle esigenze di salvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferimento alla specificità dei piccoli comuni. Andrebbe chiarito se tale criterio possa intervenire a favorire l’accorpamento degli enti di piccole dimensioni al fine di ridurne le accresciute esigenze finanziarie;

§      con riferimento ai criteri di delega[92] che elencano le fonti di finanziamento delle funzioni fondamentali, rispettivamente, di comuni e province, il Senato ha introdotto alcune modifiche rispetto al testo iniziale, includendo, tra l’altro, nel citato elenco: per i comuni l’imposizione immobiliare e per le province i tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma. Trattandosi di cespiti già attualmente gravati, in parte, da imposte spettanti alle due categorie di enti locali, andrebbe chiarito se il criterio di delega in esame intenda completare l’attribuzione ai suddetti enti dell’intera tassazione dei citati presupposti impositivi o debba invece intendersi in termini non esaustivi. Qualora il criterio interpretativo dovesse essere quello di carattere esaustivo, esso costituirebbe un parametro predefinito, suscettibile di determinare lo spostamento di significative quote di gettito dall’amministrazione centrale (per quanto riguarda le imposte dirette gravanti sugli immobili) e regionale (per quanto riguarda il bollo auto) a comuni e province. Sarebbe pertanto possibile una stima quantitativa di tale effetto già in sede di delega, al fine di valutarne l’incidenza rispetto all’ammontare dei trasferimenti attualmente spettanti agli enti locali. Viceversa tale stima non risulterebbe effettuabile, in questa fase, qualora il criterio andasse interpretato in termini non esaustivi e consentisse una discrezionalità da parte dei decreti legislativi sulla misura in cui esso vada applicato;

§      con riferimento al criterio di delega[93] che, nel testo iniziale, prevedeva che fossero soppressi i trasferimenti erariali a favore dei comuni, diversi da quelli aventi finalità perequative di cui all’articolo 13, il Senato ha previsto la soppressione anche dei trasferimenti regionali. Pertanto anche questi ultimi trasferimenti andrebbero integralmente sostituiti con compartecipazioni o addizionali ai gettiti dei tributi regionali. Tale aspetto non risulta sufficientemente chiarito nei criteri di delega.

Infatti, mentre nei criteri di cui all’articolo 11, lettere b) e c) – che indicano, in via generale, le fonti di finanziamento delle funzioni, fondamentali e non, degli enti locali – viene fatto riferimento[94] a compartecipazioni e addizionali ai tributi erariali e regionali, nei criteri di delega di cui all’articolo 12, comma 1, lettere b) e c) – che specificano l’elenco delle modalità di finanziamento delle funzioni fondamentali, rispettivamente, di comuni e province - non viene fatto alcun esplicito riferimento a compartecipazioni o addizionali al gettito di tributi regionali.

Appare pertanto opportuno che sia fornito un chiarimento in merito alle modalità di sostituzione dei trasferimenti regionali attualmente previsti in favore degli enti locali con risorse di carattere tributario, anche al fine di valutare se emergano a tale proposito esigenze di carattere perequativo specificamente riferite ai gettiti dei tributi regionali parzialmente trasferiti agli enti locali. Si segnala in proposito che i meccanismi perequativi previsti negli articoli 13 e 19 non prendono in considerazione tale aspetto;

§      con riferimento al criterio di delega[95], introdotto dal Senato - che prevede che, nell’ambito della premialità ai comuni[96] virtuosi non possano essere imposti vincoli alle politiche di bilancio per ciò che concerne la spesa in conto capitale - si segnala che lo stesso appare suscettibile di determinare difficoltà nel contenimento dei saldi di indebitamento netto della PA: infatti, il criterio in esame, seppur circoscritto all’ambito dei comuni virtuosi, configura una sorta di “golden rule” (esclusione da vincoli della spesa in conto capitale) applicabile esclusivamente a livello locale, ma non ammessa in sede europea per il complesso della P.A. Appare pertanto necessario che sia meglio precisata la portata applicativa della disposizione e ne sia chiarito:

-       l’ambito soggettivo di applicazione. Non è chiaro infatti se il concetto di virtuosità cui la norma fa riferimento si riferisca all’equilibrio complessivo di bilancio degli enti o se anche da tale concetto vada esclusa la spesa in conto capitale, coerentemente con l’intento di escludere radicalmente da vincoli tale componente di spesa. In tal caso l’ambito dei comuni virtuosi risulterebbe notevolmente ampliato, anche per la prevedibile tendenza a classificare in conto capitale quote crescenti di spesa;

-       l’ambito oggettivo dell’esclusione da vincoli previsto dal criterio di delega. Non è chiaro infatti se tale divieto sia unicamente riferito ai bilanci dei singoli enti o si estenda anche all’impossibilità di sottoporre a controllo la spesa in conto capitale degli enti locali ad un livello più aggregato, quale quello regionale. In tale ultimo caso potrebbero non risultare applicabili meccanismi volti a compensare la maggiore spesa di un gruppo di enti locali con la minore spesa di un altro gruppo di enti, al fine di garantire comunque un equilibrio a livello regionale; ne risulterebbe quindi ulteriormente limitata la possibilità di sottoporre a controllo l’andamento della spesa complessiva in conto capitale della PA;

§      con riferimento al criterio di delega[97] relativo alla definizione delle modalità di finanziamento delle ulteriori funzioni attribuite agli enti locali, la norma dispone che si debba tenere conto dell’esigenza di “assicurare l’integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento”. A tale proposito andrebbe chiarito se tale esigenza sia riferita unicamente alle funzioni che verranno trasferite nel futuro o anche a funzioni già trasferite in passato, in merito alle quali gli enti locali lamentino eventualmente di aver ricevuto risorse sufficienti ad un finanziamento solo parziale. In tal caso, analogamente a quanto osservato con riferimento alle regioni, dal principio di delega in esame potrebbero derivare oneri aggiuntivi per lo Stato che, essendo riferiti a funzioni il cui trasferimento è già avvenuto, non potrebbero essere compensati da possibili risparmi;

§      con riferimento al criterio di delega[98] che prevede, fra le forme premiali per favorire le unioni e le fusioni tra comuni, maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali, si osserva che andrebbe indicato con quali risorse si intenda assicurare la neutralità finanziaria di tale criterio di delega che pone a carico del bilancio dello Stato, mediante la devoluzione di entrate erariali ai comuni, il meccanismo di premialità individuato.

 

La perequazione per gli enti locali

Articoli 13 e 20

Le norme definiscono le modalità di determinazione ed utilizzo dei fondi perequativi di comuni e province[99], nelle due diverse componenti volte a perequare, rispettivamente, il finanziamento delle funzioni fondamentali e non fondamentali di tali enti.

Con riferimento alla fase transitoria, sono fissati i criteri inerenti la determinazione dell’ammontare iniziale delle risorse spettanti ai diversi comparti di enti locali, l’iniziale distinzione delle funzioni fondamentali dalle altre funzioni svolte e la durata della transizione.

 

Al riguardo appaiono necessari chiarimenti in merito ai seguenti aspetti:

-          le norme non chiariscono quali siano le modalità di finanziamento dei fondi perequativi, limitandosi ad prevedere[100] che vengano definite le modalità per l’aggiornamento periodico della relativa entità e delle relative fonti di finanziamento. Non risulta pertanto chiaro se entrambi i fondi abbiano natura verticale – come si desumerebbe dalla previsione che essi sono alimentati da un fondo perequativo “dello Stato” - o se, analogamente a quanto previsto per le regioni, il fondo destinato a perequare il finanziamento delle funzioni non fondamentali abbia natura orizzontale. Nel caso in cui si tratti di fondi a carattere verticale – non alimentati da versamenti da parte di enti sovradotati di risorse proprie – si osserva che, qualora alcuni enti locali ricevessero, nella fase iniziale, un ammontare di risorse proprie superiore a quello dei trasferimenti sostituiti, potrebbe determinarsi l’esigenza di attribuire all’aggregato degli enti locali un ammontare complessivo di risorse (proprie e perequative) superiore[101] rispetto all’ammontare dei trasferimenti soppressi. Infatti si determinerebbe l’esigenza di reperire risorse aggiuntive per finanziare gli enti sottodotati, con riferimento sia alle funzioni fondamentali, i cui fabbisogni andranno integralmente assicurati, sia alle funzioni non fondamentali, per le quali è prevista una, seppur parziale, perequazione. Entrambe tali esigenze finanziarie non potrebbero essere poste a carico degli enti sovradotati e pertanto il finanziamento degli enti locali potrebbe  determinare la necessità di reperire risorse a carico del bilancio dello Stato. Andrebbe quindi chiarita la natura dei fondi perequativi ed individuato un meccanismo che assicuri, analogamente a quanto previsto per le regioni[102], che, nel caso di fondo perequativo a carattere verticale, sia garantito a ciascun ente locale il conseguimento, nella fase iniziale, di risorse complessive equivalenti ai trasferimenti soppressi;

-          con riferimento alle funzioni fondamentali, ulteriori chiarimenti risultano opportuni in merito agli indicatori di fabbisogno relativi:

§          alla parte corrente. Non è chiaro infatti se il riferimento alla differenza tra il valore standardizzato della spesa corrente primaria e quello del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale vada inteso in termini complessivi, come sembrerebbe dal tenore letterale della disposizione, o riferito alle sole componenti di entrata e di spesa relative alle funzioni fondamentali;

§         alla parte di conto capitale. In questo caso la formulazione della norma non consente di individuare i presupposti in base ai quali sarà determinato il fabbisogno da finanziare integralmente;

-          con riferimento alle funzioni non fondamentali, si segnala che in fase di attuazione della delega dovrà essere definito l’ambito geografico sulla base del quale verrà effettuato il confronto fra le diverse capacità fiscali oggetto di perequazione, onde evitare l’eccessiva complessità che si genererebbe qualora il confronto venisse effettuato fra gli oltre ottomila enti locali interessati; si segnala inoltre che il fattore correttivo della perequazione delle capacità fiscali, definito in funzione inversa rispetto alla dimensione geografica, appare idoneo a tenere conto del “tratto discendente” della curva ad U delle funzioni di spesa degli enti locali rispetto alla dimensione geografica degli stessi, e non anche del “tratto ascendente” che fa sì che gli enti di grandi dimensioni sostengano costi proporzionalmente più elevati.

 

Ulteriori chiarimenti appaiono necessari con riferimento alla fase transitoria. In particolare:

-          si segnala che la previsione[103], introdotta dal Senato, per la quale la somma del gettito delle nuove entrate degli enti locali debba essere “non inferiore” al valore dei trasferimenti soppressi, non esclude che agli enti locali possa essere attribuito un ammontare di risorse tributarie superiore all’importo dei trasferimenti soppressi. In tal caso non è chiaro come sarebbe assicurato l’equilibrio finanziario del nuovo sistema di finanziamento degli enti locali;

-          andrebbe infine chiarito come si coordinino i diversi criteri provvisori per la ripartizione delle funzioni dei comuni nelle due componenti a carattere fondamentale e non fondamentale: andrebbe in particolare chiarito se, diversamente da quanto desumibile dal tenore letterale della disposizione, i diversi criteri vadano intesi come limiti massimi alla individuazione dell’insieme delle funzioni fondamentali.

 

Città metropolitane

Articoli 14 e 22

Le norme prevedono uno specifico decreto legislativo, adottato in base all’articolo 2, per assicurare il finanziamento delle città metropolitane. Tale finanziamento sarà assicurato, tra l’altro, anche attraverso l’attribuzione di specifici tributi, l’assegnazione di tributi ed entrate proprie e tramite il riconoscimento della facoltà di applicare tributi relativamente alle spese riconducibili alle funzioni fondamentali (articolo 14).

Viene, inoltre, prevista una disciplina transitoria per la prima istituzione delle città metropolitane, rinviando ad apposita legge la disciplina organica per l’istituzione definitiva (articolo 22).

La disciplina transitoria dispone, tra l’altro: l’indizione di un referendum sulla proposta di istituzione; l’istituzione del Consiglio provvisorio della città metropolitana[104]; il riconoscimento di una più ampia autonomia di entrata e spesa in misura corrispondente alla complessità delle funzioni da esercitare in forma associata o congiunta[105].

Riguardo l’istituzione definitiva, viene prevista, invece, la soppressione della provincia di riferimento e dei relativi organi e il trasferimento alla città metropolitana delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni trasferite. Inoltre, ai soli fini delle previsioni relative alle spese ed all’attribuzione delle risorse, le funzioni fondamentali delle province, con riguardo alla popolazione ed al territorio metropolitano, sono considerate funzioni fondamentali della città metropolitana.

Per una più puntuale analisi e descrizione delle norme si rinvia alla prima parte del documento.

 

Al riguardo si osserva quanto segue:

a) nel principio di delega di cui all’articolo 2, comma 2, punto cc), sono disciplinati i rapporti tra lo Stato e gli enti locali.

Si ricorda, in proposito, che tale principio prevede, a fronte di una più ampia autonomia di entrata degli enti locali, una corrispondente riduzione della imposizione statale e l’eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite agli enti locali.

Un analogo principio non risulta, invece, sancito per i rapporti tra le altre categorie di enti territoriali e le città metropolitane. Andrebbe, pertanto, chiarito se, a fronte dell’attribuzione a queste ultime di funzioni attualmente spettanti alle regioni ed ai comuni, si proceda ad un contestuale definanziamento nei confronti degli enti locali le cui funzioni sono trasferite, e se tale criterio possa ritenersi implicito nel testo anche senza una espressa indicazione in tal senso.

Si segnala, inoltre, che anche laddove, a regime, fosse possibile evitare sovrapposizioni di funzioni e risorse fra diverse categorie di enti, in via transitoria si potrebbero determinare oneri aggiuntivi connessi ad esigenze organizzative di riallocazione di risorse e mezzi (logistiche, formative, spostamenti di personale e di risorse);

b) dal tenore letterale della disposizione, che assicura il finanziamento delle funzioni delle Città metropolitane “anche attraverso l’attribuzione di specifici tributi” (articolo 14, comma 1), si potrebbe dedurre che tale finanziamento possa avvenire anche con modalità diverse. A tale proposito andrebbe fornito un chiarimento, considerato che il principio di delega sopra richiamato esclude la possibilità di effettuare trasferimenti agli enti locali;

c) relativamente alla fase definitiva di subentro delle città metropolitane alle province di riferimento (articolo 22, comma 7), si rileva che il trasferimento dalla provincia alla città metropolitana delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie relative alle funzioni trasferite potrebbe risultare problematico nel caso di mancata coincidenza tra il territorio della città metropolitana istituita e quello della provincia soppressa. Andrebbe, pertanto, chiarito se, nel caso in cui l’area della città metropolitana risulti inferiore a quella della provincia, parte delle risorse spettanti a quest’ultima debbano ripartirsi tra i due enti in proporzione al territorio loro attribuito.

Si segnala che non risulta esplicitamente prevista, a tale proposito, una clausola di invarianza complessiva delle risorse rispetto a quelle attribuite alla provincia.

Si rammenta che, ai soli fini delle previsioni relative alle spese e all’attribuzione delle risorse, il trasferimento delle funzioni fondamentali della provincia (comma 9) tiene invece in considerazione sia la popolazione che il territorio metropolitano.

In proposito, durante l’esame presso il Senato[106], è stato accolto un ordine del giorno[107] concernente l’impegno del Governo a garantire che i costi di gestione e di funzionamento determinati dalla città metropolitana e dei relativi comuni, non riconducibili alle funzioni trasferite dalla provincia soppressa, siano inferiori a quelli sostenuti dai comuni antecedentemente l’istituzione della città metropolitana;

d) riguardo al riconoscimento, nel periodo transitorio[108], di una più ampia autonomia dientrata e di spesa agli enti che compongono la città metropolitana (articolo 22, comma 8), si rileva che non risultano specificate né le funzioni più complesse che si dovranno esercitare in forma associata e congiunta, né le modalità attraverso le quali possa essere conferita l’autonomia impositiva agli enti in questione.

Andrebbe, pertanto, chiarito come possa realizzarsi tale maggiore autonomia di entrata e di spesa, considerato che, da un lato, è previsto il limite degli stanziamenti a legislazione vigente e, dall’altro, non sono indicate specifiche modalità di attribuzione di ulteriori tributi o entrate proprie per la fase transitoria. Infatti, l’indicazione di tali tributi avverrà ad opera del decreto legislativo di cui all’articolo 14, che disciplina il finanziamento delle funzioni delle città metropolitane nella fase definitiva.

 

Coordinamento finanziario e patto di convergenza

Articoli 16 e 17

Le norme individuano alcuni princìpi inerenti:

- il coordinamento e la disciplina fiscale dei diversi comparti di governo, finalizzati a garantire che il comportamento fiscale delle autonomie sia compatibile con il rispetto degli obiettivi che il Paese, nel suo complesso, deve raggiungere;

- il percorso di convergenza dinamico finalizzato a conseguire il raggiungimento di livelli comuni di efficienza, di obiettivi di servizio, di contenimento delle variabili di finanza pubblica e della pressione fiscale.

 

Al riguardo si segnalano i seguenti profili problematici, inerenti la tematica del coordinamento della finanza pubblica, che emergono dall’impianto complessivo del provvedimento.

In un contesto di progressiva attribuzione alle amministrazioni locali di quote crescenti del bilancio pubblico, sia sul lato della spesa primaria che delle entrate tributarie, il mantenimento in capo all’amministrazione centrale dell’ingente spesa per interessi sullo stock di debito pubblico determina l’esigenza di un chiarimento in merito alla ripartizione territoriale dell’avanzo primario deputato al finanziamento di tale spesa. Si segnala in proposito che posizioni di avanzo prodotte da amministrazioni diverse da quella che sostiene effettivamente la spesa per interessi, pur determinando una compensazione contabile tra il deficit dell’amministrazione centrale e l’avanzo delle amministrazioni locali, presenta profili problematici in termini dinamici: la amministrazioni locali resterebbero infatti titolari delle proprie risorse eccedentarie, normalmente cristallizzate in avanzi di amministrazione, il cumularsi delle quali potrebbe riflettersi in istanze volte a svincolarne l’utilizzo, con conseguenti possibili riflessi negativi sui saldi. In termini di cassa inoltre, con il previsto superamento della tesoreria unica[109], l’eccedenza di risorse delle amministrazioni locali potrebbe non risultare utilizzabile ai fini del finanziamento della spesa per interessi.

Si rileva inoltre che il principio di delega inerente l’obbligo di compensazione dei riflessi sulle amministrazioni locali degli interventi dello Stato sui tributi di loro competenza[110], inclusi quelli rappresentati da compartecipazioni al gettito di tributi erariali, potrebbe limitare l’efficacia della gestione da parte dello Stato di strumenti della politica fiscale, sia in funzione anticiclica che per ammortizzare eventuali shock esogeni: tale azione viene infatti limitata alla sola quota di gettito di competenza statale; potrebbe pertanto perdersi in parte il vantaggio principale dell’utilizzo, per il finanziamento delle amministrazioni locali, dello strumento della compartecipazione in luogo dell’attribuzione di tributi propri.

Tale vantaggio è infatti costituito dal mantenimento della gestione del tributo in capo all’amministrazione centrale, con ripartizione delle relative risorse fra le diverse amministrazioni locali. Qualora queste, una volta attribuita loro una quota del gettito o una riserva di aliquota, acquisiscono altresì il diritto a mantenere invariato l’ammontare delle risorse conseguite in sede di prima applicazione, si determinerebbe una cristallizzazione della loro compartecipazione al momento della sua prima attribuzione con riduzione del vantaggio di aver mantenuto in capo all’amministrazione centrale la manovrabilità del tributo.

Con riferimento allo strumento del patto di stabilità interno[111], rinviando al dossier[112] elaborato in occasione della prima lettura del provvedimento per una disanima dei profili problematici dell’attuale struttura del patto, si richiamano in questa sede i soli aspetti connessi al mancato coordinamento fra la struttura dei vincoli vigenti per il complesso della PA e le previsioni formulate nel provvedimento in esame con riferimento alle amministrazioni locali. A tale proposito:

§         si richiama in primo luogo quanto osservato[113] con riferimento al criterio di delega che prevede il divieto, nell’ambito della premialità dei comuni, di vincoli alla spesa in conto capitale, laddove un’analoga clausola non è ammessa in sede europea per il complesso della PA;

§         si segnala che il rispetto degli obiettivi di saldo è previsto nella delega[114] in termini di competenza e di cassa, mentre in sede europea si fa riferimento al criterio della competenza economica;

§         si osserva che, fra le misure di rientro previste a carico degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, la norma[115] indica l’alienazione dei beni mobiliari e immobiliari. Si segnala che tali operazioni, pur essendo suscettibili di recare effetti positivi sul saldo del fabbisogno, non determinerebbero effetti computabili ai fini del saldo dell’indebitamento netto strutturale, che costituisce uno dei principali indicatori sul quale gravano i vincoli europei. Si richiamano inoltre i profili di carattere patrimoniale e di garanzia evidenziati nelle successive osservazioni riferite all’articolo 18, inerente il patrimonio alle amministrazioni locali.

Si segnala infine che la medesima disposizione che indica le misure di rientro a carico degli enti non virtuosi[116], nel prevedere meccanismi premiali in favore degli enti virtuosi, non fornisce indicazioni in merito al relativo contenuto: tali indicazioni sarebbero opportune al fine di escludere che ne conseguano effetti negativi per la finanza pubblica.

 

Patrimonio di regioni ed enti locali

Articoli 18 e 23, co. 7, lett. b)

La norma enuncia una serie di criteri cui dovranno uniformarsi i decreti legislativi con riguardo all’attribuzione alle regioni e agli enti locali di un proprio patrimonio. Per una più puntuale analisi e descrizione della norma si rinvia alla prima parte del documento.

 

Al riguardo, l’attribuzione, agli enti territoriali, a titolo non oneroso, di diverse tipologie di beni appartenenti al patrimonio dello Stato, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dagli enti interessati (comma 1 lettera a) ), presenta profili di problematicità riconducibili essenzialmente al fatto chei beni in oggetto risultano attualmente iscritti nello stato patrimoniale dello Stato a fronte di passività costituite essenzialmente dai titoli di debito pubblico emessi dallo Stato. L’attribuzione alle amministrazioni locali di quote rilevanti dell’attivo patrimoniale senza una contestuale attribuzione delle passività, appare determinare una riduzione delle forme di garanzia dello Stato rispetto al debito pubblico esistente. Al fine di meglio definire la rilevanza di tale aspetto andrebbe chiarito:

- se la formulazione letterale della norma, che prevede “l’attribuzione ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni”, debba intendersi nel senso che, una volta individuate le categorie di beni in questione, esse vadano interamente attribuite ai diversi livelli di governo o se invece si interpreti nel senso che lo Stato manterrà una discrezionalità nell’individuare quali beni attribuire, nell’ambito delle categorie determinate. Nel primo caso l’impatto della disposizione sulla consistenza dell’attivo patrimoniale dello Stato potrebbe risultare molto significativo;

- se, tra le tipologie di beni in questione, siano incluse anche categorie appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato. In questo caso, il testo configurerebbe una rinuncia, da parte dello Stato, alle entrate potenziali che deriverebbero dall’eventuale dismissione del bene, di cui la normativa vigente[117] prevede l’utilizzo ai fini dell’abbattimento del debito.

Si segnala che analoga osservazione può esser riferita anche all’attribuzione alla città di Roma, capitale della Repubblica, di un proprio patrimonio con trasferimento a titolo gratuito di beni appartenenti al patrimonio dello Stato non più funzionali alle esigenze dell’amministrazione centrale (articolo 23, comma 7).

Profili rilevanti dal punto di vista finanziario riguardano le possibili modifiche dei flussi finanziari relativi ai bilanci dello Stato e degli enti territoriali connesse all’attribuzione dei beni in questione, sia sul lato della spesa (oneri gestione, di manutenzione ordinaria e straordinaria, interessi su eventuali mutui ipotecari, eventuali modifiche alla disciplina fiscale degli immobili a seguito del loro passaggio alla proprietà di amministrazioni locali, oneri notarili ecc..) che sul lato dell’entrata (canoni da locazione, concessione o altro mezzo di valorizzazione).

 

Perequazione infrastrutturale

Articolo 21

La norma prevede che nella fase quinquennale transitoria[118] siano individuati gli interventi infrastrutturali finalizzati agli obiettivi di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione, sulla base di una ricognizione di tali interventi. Viene specificato che per l’individuazione - finalizzata al recupero del deficit infrastrutturale[119] – si terrà conto anche della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard.

Per una più puntuale analisi e descrizione della norma si rinvia alla prima parte del documento.

 

Al riguardo, si segnala che la condizione posta alla base della individuazione degli interventi e quindi del recupero del deficit infrastrutturale, secondo la quale si dovrà tener conto della virtuosità degli enti nell’adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard, potrebbe presentare difficoltà applicative.

Infatti, in alcune aree territoriali, le difficoltà nel processo di convergenza ai costi standard potrebbero dipendere, tra l’altro, proprio da carenze infrastrutturali: il criterio di virtuosità previsto dalla norma potrebbe quindi non favorire il recupero del deficit strutturale e, conseguentemente, il processo di convergenza verso i costi standard. In proposito andrebbe acquisito l’avviso del Governo.

Nulla da osservare, sotto il profilo quantitativo, in quanto le risorse da destinare a tali interventi saranno individuate nell’ambito di quelle relative agli interventi di cui all’articolo 119, V comma, della Costituzione, rispetto ai quali gli interventi previsti dalla norma in esame non presentano carattere di aggiuntività.

 

Ordinamento transitorio di Roma capitale

Articolo 23

Le norme individuano alcune funzioni amministrative spettanti a Roma in quanto capitale e demandano ad uno specifico decreto legislativo la disciplina puntuale dell’ordinamento transitorio che sarà, eventualmente, integrato dalle norme che disciplineranno le città metropolitane. Il decreto legislativo indicherà, tra l’altro, le risorse umane e strumentali (incluse le dotazioni patrimoniali) trasferite alla città di Roma per l’esercizio delle funzioni ad essa attribuite e prevederà, altresì, l’assegnazione di ulteriori risorse che tengano conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica.

 

Le norme in esame, approvate nel corso dell’esame in Commissione al Senato[120] e modificate in Aula, non sono corredate di relazione tecnica.

 

Al riguardo si osserva preliminarmente, con riferimento al complesso delle disposizioni contenute nell’articolo in esame, che la portata delle stesse, congiuntamente all’assenza di una relazione tecnica riferita all’articolo, non consente una puntuale verifica dei possibili effetti finanziari.

A tale proposito si ricorda che la stessa relazione delle Commissioni 1°, 5° e 6° riunite, allegata all’AS 1117-A, ha affermato la “impossibilità di qualsivoglia attività di verifica, secondo i consueti standard di lavoro”.

Si rileva inoltre che i commi 3 e 4 provvedono ad attribuire, con disposizioni che appaiono di diretta applicazione, determinate funzioni amministrative, mentre il comma 5 rinvia la specificazione di tali funzioni e l’attribuzione delle relative risorse ad un apposito decreto legislativo. Andrebbe pertanto assicurato che l’esercizio delle stesse funzioni sia contestuale rispetto all’attribuzione delle risorse umane e strumentali necessarie per farvi fronte.

Si rammenta infine che l’articolo 5 del decreto legge 154/2008 (Contenimento della spesa sanitaria e regolazioni contabili con le autonomie locali) ha riservato a Roma capitale, a decorrere dal 2010, un contributo annuale di 500 milioni di euro; la relazione tecnica riferita al decreto legge ha affermato che la copertura di tale onere sarebbe stata individuata nell'ambito delle risorse complessive in materia di federalismo fiscale. Appare pertanto necessario che il Governo chiarisca il coordinamento tra le previsioni dell’articolo in esame e le disposizioni dell’articolo 5 del D.L. 154/2008.

 

La gestione dei tributi e delle compartecipazioni

Articolo 24

Le norme, per la cui più dettagliata analisi si rinvia alla prima parte del dossier, introducono quali criteri direttivi per la predisposizione dei decreti legislativi riguardanti il sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni:

·        la previsione di adeguate forme di collaborazione degli enti decentrati con il MEF e le agenzie regionali delle entrate con lo scopo di configurare dei centri di servizio regionali per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali;

·        la definizione, previa convenzione tra il MEF, le singole regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri e degli introiti derivanti dall’attività di recupero dell’evasione.

E’ fatto salvo il rispetto dell’autonomia organizzativa di regioni ed enti locali che si esplica nella scelta di diverse forme organizzative dell’attività di gestione e riscossione dei tributi di rispettiva competenza.

I suddetti principi si inquadrano nell’ambito dei più generali indirizzi previsti nell’articolo 2 del disegno di legge di delega, in materia di gestione amministrativa delle attività connesse all’autonomia tributaria.

Si tratta in particolare:

·          del coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale;

·          della previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità efficienti di accreditamento diretto o di riversamento automatico del riscosso agli enti titolari del tributo[121];

·          dell’introduzione di modalità che assicurino ad ogni soggetto titolare del tributo l’accesso diretto alle anagrafi ed alle banche dati utili ai fini della gestione dei tributi.

 

Al riguardo si rileva che le norme in esame sembrano configurare un modello di decentramento dell’attività amministrativa connessa alla gestione dei tributi, con aree di attività concorrente in riferimento alle quote riservate o compartecipate dei tributi erariali.

Tale configurazione è, in particolare, suffragata dal richiamo alla salvaguardia dell’autonomia organizzativa degli enti decentrati, nonché, in materia di coinvolgimento dei livelli di governo locale nell’attività di recupero dell’evasione, di modalità operative che assicurino la ripartizione delle risorse umane e strumentali e dei proventi di detta attività.

In merito all’adozione di tale modello si segnalano i seguenti profili:

Andrebbe inoltre valutata la possibilità che insorgano problematiche collegate all’efficacia dell’attività di accertamento, intesa come salvaguardia degli indirizzi unitari secondo i quali tale attività è attualmente programmata e orientata, indirizzi che sono generalmente formulati, a livello centralizzato, sulla base di analisi comparative aggregate tra dati fiscali e dati di contabilità nazionale;

 

Finanza delle regioni a Statuto speciale

Articolo 25

Le norme prevedono, nel rispetto degli statuti, il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome al perseguimento degli obiettivi di solidarietà e perequazione, all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, nonché agli obiettivi di convergenza di cui all’articolo 17. I relativi criteri e modalità sono stabiliti nelle norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definirsi, con le procedure previste dagli statuti stessi, nel termine di emanazione dei decreti legislativi previsto dalla delega in esame, sulla base del principio di superamento del criterio della spesa storica.

In particolare, i commi 2 e 3 dell’articolo in esame indicano i criteri per l’individuazione delle modalità di realizzazione degli obiettivi di solidarietà e perequazione. Tra questi si richiama il principio della copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché la possibilità di applicare i criteri di solidarietà e perequazione mediante l’assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle regioni a statuto speciale e province autonome, ovvero mediante l’adozione di altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato.

Nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà per il trasferimento di nuove funzioni alle regioni a statuto speciale, così come alle regioni a statuto ordinario, ed alle province autonome, le norme di attuazione dovranno definire le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo.

 

Al riguardo, nel rinviare alle considerazioni svolte nella prima parte del dossier circa le problematiche relative alla portata normativa dei principi e dei criteri contenuti nelle disposizioni in esame, si rileva che non appaiono chiaramente prefigurate le eventuali modalità di concorso delle autonomie speciali al conferimento di risorse al fondo perequativo, il ricorso al quale è invece espressamente previsto anche per le regioni a statuto speciale con reddito medio pro-capite inferiore alla media nazionale (comma 2).

 


 



[1]    Tra le altre, si può far riferimento alle pronunce della Corte costituzionale n. 359 del 1985 e n. 153 del 1986.

[2]    Sul punto, il ministro Tremonti nel corso dell’intervento al Senato il 21 gennaio 2009: ” I decreti che saranno la forma attuativa della delega, sono previsti in numero aperto, non limitati; essi in ogni caso saranno interattivi e avranno tra di loro effetti compensativi”

[3]    D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Come riconosciuto in ambito dottrinale e giurisprudenziale, l’intesa prefigura il raggiungimento di una volontà comune dello Stato e degli enti territoriali in merito ad atti o attribuzioni relativi all’esercizio di rispettive competenze. Con il ricorso all’intesa, agli enti locali è riconosciuto un ruolo paritario, nel rispetto del principio di leale collaborazione, con l’Amministrazione centrale. Ciononostante, in alcuni casi l’intesa sembra essere presupposto necessario e vincolante per l’adozione di un atto, in altri essa non ha carattere vincolante e il mancato raggiungimento non pregiudica l’adozione, da parte dell’Amministrazione centrale, dell’atto oggetto dell’intesa. Le intese sono state definite in tal senso “forti” e “deboli”, sebbene l’appartenenza a una o l’altra delle categorie ponga problemi interpretativi sottolineati anche in dottrina.

[4]    L. 20 giugno 2007, n. 77, Delega legislativa per il recepimento delle direttive 2002/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004 e 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, nonché per l'adozione delle disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 191, di attuazione della direttiva 2002/98/CE.

[5]    L. 24 dicembre 2007, n. 247 , Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.

[6]    L.Cost. 18 ottobre 2001 n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

[7]    Senato, Assemblea, seduta pomeridiana del 21 gennaio 2009 (resoconto stenografico, pagg. 13-24).

[8]    L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa. I compiti già attribuiti (nelle legislature XIII e XIV) alla Commissione parlamentare consultiva sull'attuazione della riforma amministrativa, ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono stati successivamente assegnati, unitamente a quelli inerenti le politiche della legislazione, alla Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione, istituita dalla L. 28 novembre 2005, n. 246.

[9]    D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

[10]   Si veda per tutti il caso dei decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie previsti dalle leggi comunitarie.

[11]   D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

[12]   La Conferenza Stato-Città ed autonomie locali è composta, per quanto riguarda la parte governativa, dal Presidente del Consiglio dei ministri - che la presiede - dal Ministro dell'interno e dal Ministro per gli affari regionali - che possono avere la presidenza su delega del Presidente del Consiglio dei ministri - e dai Ministri dell’economia, delle infrastrutture, della salute.

      La Conferenza è composta, poi, per le città e le autonomie locali, dal presidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), dal presidente dell'Unione delle province d'Italia (Upi), dal presidente dell'Unione dei comuni e delle comunità montane (Uncem), da 14 sindaci designati dall'Anci e da sei presidenti di provincia designati dall'Upi. Dei 14 sindaci designati dall'Anci, cinque rappresentano le città maggiori, considerate aree metropolitane dall'art. 22 del D.Lgs. 267/2000 (testo unico enti locali). Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonché rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici (D.Lgs. 281/1997, art. 8).

[13]   La Conferenza è presieduta dal Presidente del Consiglio, o per sua delega, dal Ministro per gli Affari Regionali, e ove tale delega non sia attribuita, da altro Ministro; ne fanno parte i Presidenti delle Regioni a statuto speciale e ordinario e i presidenti delle Province Autonome di Trento e Bolzano; ai suoi lavori partecipano altresì i Ministri interessati agli argomenti iscritti all'ordine del giorno delle sedute (L. 400/1988, art. 12; D.Lgs. 281/1997, art. 2).

[14]   Acquisisce, nei casi previsti dalla legge, le designazioni dei rappresentanti delle autonomie locali indicati dai Presidenti delle regioni e province autonome, dall'ANCI, dall'UPI e dall'UNCEM.

[15]   La legge n. 60 del 1976 ha convertito, con modificazioni, il D.L. 30 gennaio 1976, n. 8, recante le norme per l'attuazione del sistema informativo del Ministero delle finanze e per il funzionamento dell'anagrafe tributaria.

[16]   Anche sulla base di quanto affermato dal rappresentante del Governo nel corso dell’esame svoltosi presso il Senato (cfr Resoconto del 21 gennaio 2009, antimeridiana).

[17]   Cfr Resoconto del 21 gennaio 2009, antimeridiana.

[18]   In quanto “verticale” il fondo perequativo in esame è diverso da quello previsto dal decreto legislativo n. 56/2000, che è ‘interregionale’ e ‘orizzontale’ in quanto, definita l’aliquota IVA necessaria alla copertura del fabbisogno complessivo della perequazione, il gettito che ne deriva è computato ‘pro-quota’ in capo a ciascuna regione. Il gettito ‘regionalizzato’ è perciò ‘eccedentario’ rispetto al fabbisogno di spesa nelle regioni ad alta capacità fiscale e ‘deficitario’ nelle regioni che hanno, man mano, una più bassa capacità fiscale. Avviene pertanto che le regioni ‘eccedentarie’ finanziano il fondo perequativo – ciascuna con la propria quota eccedentaria – e le regioni ‘deficitarie’ ricevono dal fondo la quota di fabbisogno sanitario non coperta dal gettito dei tributi propri e compartecipati.

[19]   Il riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni eventualmente implicate dalle funzioni fondamentali, sembra far presupporre che l’ambito di delimitazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, delle quali è previsto il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard, risulti più ampio rispetto all’insieme delle funzioni “LEP” erogate dagli enti medesimi.

[20]   Con riferimento all’articolo 2 lettera p) citato, la Corte dei Conti, nel corso dell’audizione sul disegno di legge A.S. 1117, tenutasi il 17 novembre 2008, presso le Commissioni riunite in sede referente 1°, 5°e 6°, ha osservato che “nel nuovo sistema si produrrà necessariamente una riduzione delle risorse disponibili in alcune realtà territoriali (per un importo almeno pari alla differenza spesa storica e capacità fiscale perequata). L’equilibrio dunque richiederà un parallelo contenimento della spesa, salvo nei casi in cui tale contenimento risultasse di dimensioni non realizzabili, e il meccanismo potrebbe tradursi in un aumento della pressione fiscale”.

[21]    Per la definizione delle funzioni fondamentali si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 11, con riferimento alle disposizioni di cui al comma 1, lettera a), numero 1).

[22]   Il principio dell’addizionalità corrisponde alla regola generale della complementarità dell'intervento comunitario rispetto alle azioni condotte dagli Stati membri, al fine di evitare che le risorse dei Fondi strutturali vadano semplicemente a sostituirsi agli incentivi nazionali; l'aiuto della Comunità esercita in tal modo un effetto trainante nei confronti dello sforzo finanziario nazionale. Secondo il principio dell’addizionalità, pertanto, gli aiuti europei devono aggiungersi agli aiuti nazionali e non sostituirli. Le azioni ammesse al finanziamento comunitario non devono pertanto riferirsi a spese che lo Stato membro avrebbe comunque effettuato.

[23]    Per questa ipotesi di potere sostitutivo il primo comma dell’articolo 8 recita: “8. Attuazione dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo.

      1. Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento”.

[24]   I Fondi strutturali e gli strumenti finanziari previsti dalla politica di coesione comunitaria sono finalizzati al conseguimento di alcuni obiettivi prioritari della Comunità, specificamente rivolti al superamento degli squilibri economici e sociali che caratterizzano alcune aree dell’Unione e, in particolare, alla riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e del ritardo delle regioni meno favorite. Per quanto riguarda il ciclo di programmazione 2007-2013             il quadro normativo comunitario che definisce i nuovi obiettivi e gli strumenti finanziari di intervento della politica di coesione ad essi destinati, nonché i criteri per la loro ripartizione, è stato definito dal Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006. I fondi che intervengono nell’ambito della politica di coesione sono limitati a tre, rispetto ai cinque della precedente programmazione: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), Fondo Sociale Europeo (FSE) e Fondo di Coesione. Le risorse disponibili, indicate ai prezzi 2004, da impegnare per l’utilizzo dei Fondi nel periodo 2007-2013, ammontano complessivamente a 308,041 miliardi di euro. Le risorse sono ripartite fra tre nuovi obiettivi di intervento della politica comunitaria di coesione: Convergenza (per le regioni in ritardo di sviluppo), Competitività regionale e occupazione, Cooperazione territoriale europea. Le risorse dei fondi comunitari assegnate all’Italia ammontano complessivamente a 28,8 miliardi di euro, di cui 21,6 miliardi di euro) destinate all’obiettivo “Convergenza” che, applicando il parametro del PIL pro-capite inferiore al 75% della media comunitaria, riguarda le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, nonché la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (c.d. phasing-out). All’obiettivo “Competitività regionale e occupazione”, che include le regioni italiane diverse da quelle dell’obiettivo “Convergenza”, sono destinati 6,3 miliardi di euro. Tra queste è inclusa anche la regione Sardegna, che beneficia di un regime transitorio.

[25]   Alle risorse comunitarie lo Stato interessato affianca un finanziamento nazionale (c.d. principio di addizionalità): per l’Italia, oltre alle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (vedi successiva nota), sono presenti in bilancio le disponibilità del Fondo di rotazione per le politiche comunitarie, previsto dall’articolo 5 della legge n. 183 del 1987.

[26]Il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), quale strumento di attuazione delle politica regionale nazionale, è stato istituito dall’articolo 61, comma 1, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), con le risorse autorizzate da specifiche disposizioni legislative, indicate in un apposito allegato alla medesima legge n. 289/2002, con finalità di riequilibrio economico e sociale e, in particolare, per assicurare risorse aggiuntive alle aree più svantaggiate del Paese. Tali risorse iniziali sono state successivamente integrate dalle leggi finanziarie, che hanno, di volta in volta, assegnato stanziamenti aggiuntivi al Fondo (c.d. risorse aggiuntive). Le risorse aggiuntive del Fondo sono annualmente ripartite dal CIPE. La norma istitutiva del Fondo per le aree sottoutilizzate prevede che il fondo sia ripartito esclusivamente tra gli interventi previsti dalle disposizioni legislative originariamente in esso confluite, nonché alle finalità espressamente indicate dalla norma: investimenti pubblici e incentivi alle imprese. Per quanto riguarda la ripartizione territoriale delle risorse del FAS, va ricordato che il CIPE ha definito quale criterio generale l’assegnazione dell’85% delle risorse alle regioni del Mezzogiorno e del 15% alle aree sottoutilizzate del Centro-Nord. Si segnala che l’art. 2, comma 43, della legge finanziaria per il 2009 prevede la presentazione, anche con riferimento all’esercizio 2008, di una relazione governativa annuale, da presentare in Parlamento, riguardante l’utilizzo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate Per quanto riguarda le risorse si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006), all’articolo 1, comma 863, ha finanziato il FAS di 64,4 miliardi di euro per il periodo 2007-2015.

[27]   Si ricorda che l’articolo 6, comma 7, D.L. n. 81/2007 (convertito con modificazioni dalla legge 127/2007), da ultimo novellato dall’articolo 2, comma 45, della legge finanziaria per il 2009 (legge n. 203/2008), ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Fondo per le zone confinanti con le regioni a statuto speciale e le province autonome. Per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 il Fondo ha una dotazione di 27 milioni di euro.

[28]   Uno strumento finanziario di intervento per lo sviluppo delle aree montane è riconducibile al Fondo nazionale per la montagna, previsto dall’articolo 2 della legge n. 97 del 1994, attualmente gestito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali. La dotazione del Fondo per la montagna per il 2009 è pari a circa 39,5 milioni di euro.

[29]   La legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), all’articolo2, comma 41, aveva istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari regionali, un Fondo di sviluppo delle isole minori, con una dotazione a decorrere dal 2008 pari a 20 milioni. Tale finanziamento è stato annullato dal D.L. n. 93 del 2008.

[30]   Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, le condizioni di ineleggibilità alle cariche elettive – rappresentando una deroga al diritto di elettorato passivo – devono essere espressamente determinate dalla legge e sono da interpretarsi in senso restrittivo. Tale assunto è stato recentemente ribadito nella sent. n. 25 del 2008, dove viene ricordato che l’art. 51 Cost. assicura, in via generale, il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini (cfr. sen. 288/2007 e 235/1988). Pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale. Di conseguenza, le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, ricollegantisi alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate (cfr. sen. 306/ 2003 e 132/2001).

[31]    Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. Ai sensi dell’art. 244 del TUEL, si ha stato di dissesto finanziario qualora l’ente non possa garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistano, nei confronti dell’ente locale, crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità ordinarie (di cui all’artt. 193 e 194 del TUEL).

[32]   Si ricorda che la citata norma costituzionale prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, nonché per ragioni di sicurezza nazionale. Lo scioglimento è disposto con decreto motivato del Presidente della Repubblica, adottato sentita la Commissione per le questioni regionali. Allo stato, l’art. 126, primo comma, non ha mai trovato applicazione, in quanto nessun Consiglio regionale è finora stato sciolto con provvedimento statale.

Per quanto attiene all’individuazione delle “gravi violazioni di legge”, in Assemblea costituente era emersa la necessità di violazioni intenzionali e ripetute oppure anche di una singola violazione gravissima. La dottrina ha ribadito la necessità che i comportamenti illegittimi abbiano un certo grado di frequenza e di intensità, come – d’altra parte – si desume dalla formula costituzionale e dalle corrispondenti formule degli statuti speciali (che parlano di “reiterate e gravi violazioni di legge”).

[33]   Con la sentenza n. 247/2004, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 6, della predetta legge 27 dicembre 2002, n. 289, sollevata, in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, avverso l’articolo 80, comma 6 della legge n. 289 del 2002, il quale prevede che le istituzioni di assistenza e beneficenza e gli enti religiosi che perseguono rilevanti finalità umanitarie o culturali possono ottenere la concessione o locazione di beni immobili demaniali o patrimoniali dello Stato.

[34]   In questo stesso senso la sentenza n. 370 del 2008, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1 della legge della Regione Molise n. 5 del 5 maggio 2006, il quale provvedeva ad individuare le aree demaniali marittime della costiera molisana, in quanto “la titolarità di funzioni legislative ed amministrative della Regione in ordine all’utilizzazione del bene, non può incidere sulle facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario, e che la disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientra nella materia dell’ordinamento civile di competenza esclusiva Statale”.

[35]   La Regione Lombardia, con ricorso notificato in data 3 luglio 2004, ha promosso ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato avverso la sopraccitata circolare dell’Agenzia del demanio, attuativa dell’articolo 5-bis del Decreto legge 24 giugno 2003, n. 143, il quale stabiliva l’alienazione, a cure dell’Agenzia del demanio, di porzioni di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato, escluso il demanio marittimo, che alla data di entrata in vigore del decreto risultassero interessate dallo sconfinamento di opere eseguite su fondi attigui di proprietà altrui, entro il 31 dicembre 2002.

[36]   Nello specifico, l’articolo 822 del codice civile, stabilisce che appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare , la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti , i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. L’articolo 28 del codice della navigazione indica poi specificamente i beni del demanio marittimo, nel lido, la spiaggia, i porti, le rade, le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare; i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.

      Il codice civile poi specifica che fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia;; le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra.

      Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio

[37]   In particolare, l’articolo 2, comma 37 ha demandato ad un D.P.C.M, adottato sentiti i Ministri competenti, il trasferimento in proprietà ai comuni prioritariamente, o ad altri enti locali che ne facessero richiesta, i beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato non utilizzati al 30 giugno 1995 o che, anche successivamente a tale data, risultassero non più utili ai fini istituzionali delle Amministrazioni dello Stato. Il prezzo di cessione è stato fissato in misura pari ai due terzi del valore determinato dall'Ufficio tecnico erariale competente per territorio.

[38]   Recante “Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”.

[39]   D.Lgs. n. 112/1998, recante “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”.

[40]    L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3

[41]    Si veda da ultimo il Ministro per la semplificazione Calderoli al Senato, seduta 21 gennaio 2009, n. 128, nel corso della discussione del provvedimento in esame.

[42]    Tale interpretazione trova conferma nei lavori preparatori: si veda l’intervento del sen. Vizzini, seduta del Senato del 22 gennaio 2009, n. 131 (pom.), in sede di approvazione dell’em. 21.0.100 che ha introdotto l’articolo in esame.

[43]    L. 25 maggio 1970, n. 352, Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo.

[44]    Se si interpretasse la norma nel senso che la legge possa essere approvata solamente dopo l’espletamento dei referendum confermativi, basterebbe di fatto la mancata effettuazione del referendum in una sola delle otto aree per bloccare l’intero processo e rinviare a un tempo indefinito la conclusione della fase transitoria (tanto più che l’istituzione delle città metropolitane è facoltativa, come indicato dal comma 2).

[45]   L’articolo ha peraltro cambiato numerazione divenendo articolo 14 “Finanziamento delle Città metropolitane”.

[46]    Si vedano in particolare gli interventi del sen. Bastico e del Ministro Calderoli nella seduta del Senato del 22 gennaio 2009, n. 131 (pom.).

[47]    L. 8 giugno 1990, n. 142, Ordinamento delle autonomie locali.

[48]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[49]            La nozione di “organi costituzionali” è stata elaborata in sede dottrinale.

Adottando un’interpretazione restrittiva, sono “organi costituzionali”: la Presidenza della Repubblica, il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati, il Governo, la Corte costituzionale. Sono invece definiti “organi di rilevanza costituzionale” il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.

[50]   Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

[51]   Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, abrogata (con l’eccezione dell’art. 11) e sostituita dal D.Lgs. n. 198 del 2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna).

[52]   Decreto legge n. 203 del 30 settembre 2005, recante Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria e convertito, con modificazioni, nella legge n. 248 del 2 dicembre 2005.

[53]   A questo si riferisce – probabilmente – il riferimento alla «dimensione della finanza delle predette regioni e delle province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva». Per determinare il livello delle entrate da riconoscere in futuro alle “speciali”, bisognerà tener conto “delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri ... ... rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali.”

[54]  Si ricorda, in sintesi, che nell’ambito dell’Unione economica e monetaria le politiche di bilancio sono decise dai singoli Stati membri. Tuttavia, esse costituiscono “una questione di interesse comune”, di cui il Trattato CE ha previsto tre diversi strumenti di coordinamento:

-        la definizione di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e per quelle dell’Unione;

-        procedure di sorveglianza sull’evoluzione economica di ciascuno degli Stati membri e dell’Unione;

-        il divieto di disavanzi pubblici eccessivi e le relative procedure di controllo e, eventualmente, di sanzione.

In particolare, secondo le disposizioni contenute nel Trattato CE (art. 104), come integrate dal protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi, uno Stato membro presenta un disavanzo eccessivo se presenta un rapporto deficit/PIL superiore al 3% ovvero un rapporto debito/PIL superiore al 60%, salvo specifiche deroghe. Le disposizioni contenute nel Trattato CE in merito alla procedura di sorveglianza multilaterale e alla procedura sui disavanzi eccessivi sono state specificate e integrate dal Patto di stabilità e crescita, costituito, nella sua originaria formulazione dalla risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam del 16 e 17 giugno 1997, che ha sancito l’impegno degli Stati membri a perseguire l’obiettivo di medio termine di un saldo del conto economico delle amministrazioni pubbliche prossimo al pareggio o in avanzo e dai regolamenti del Consiglio n. 1466/97 e 1467/97 del 7 luglio 1997, con i quali sono state definite le modalità di attuazione, rispettivamente, della procedura di sorveglianza multilaterale e della procedura sui disavanzi eccessivi, successivamente modificati dai regolamenti (CE) 1055/2005 e 1056/2005. In base a tale disciplina, ciascuno Stato membro ha un obiettivo a medio termine differenziato per la sua posizione di bilancio, che può divergere dal requisito di un saldo prossimo al pareggio o in attivo, offrendo comunque un margine di sicurezza rispetto al rapporto tra disavanzo pubblico e PIL del 3 per cento. Il regolamento (CE) n. 1467/97, relativo all’accelerazione e al chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, provvede a definire le condizioni in presenza delle quali si deve dare corso alla suddetta procedura, stabilisce gli adempimenti previsti dalla procedura sui disavanzi eccessivi (dalla dichiarazione di disavanzo eccessivo fino all’applicazione delle sanzioni) e precisa le modalità di applicazione e l’entità delle sanzioni con cui tale procedura può concludersi. In particolare, è consentito superare il tetto massimo del 3 per cento del deficit rispetto al PIL, senza incorrere in sanzioni, solo in “circostanze eccezionali e temporanee”, cioè, in base alla formulazione originaria del Patto, connesse ad eventi che non sono soggetti al controllo dello Stato interessato o che sono determinate da una grave recessione economica. La riforma del 2005 ha peraltro ampliato i casi in cui il superamento del valore della soglia del 3% può essere considerato eccezionale e temporaneo e può quindi (se resta vicino a detto valore) essere giustificato.

[55]   Fonte: Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza pubblica per il 2008, p. 46.

[56]   cfr. A.S. 1117.

[57]   Senato della Repubblica. Assemblea, resoconto stenografico della seduta n. 128 del 21 gennaio 2009.

[58]   Legge 24 dicembre 2007, n. 247, norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.

[59]   DPCM 29 novembre 2001, emanato in attuazione dell’articolo 6 del decreto legge 347/2001, dopo un percorso iniziato con l’Accordo Stato-Regioni dell’8 agosto 2001, dove per la prima volta sono stati individuati i Lea. Il DPCM è stato successivamente modificato dai DPCM del 28 novembre 2003 e 5 marzo 2007. Una proposta di modifica dei Lea é stata presentata dal Governo con il DPCM del 23 aprile 2008, successivamente revocato dallo stesso Governo per carenza di copertura finanziaria

      I Lea non costituiscono un insieme di prestazioni determinato una volta per tutte, ma sono soggetti ad un processo di revisione che tenga conto dell’evolversi delle condizioni di salute della popolazione e dei relativi bisogni sanitari, nonché delle conoscenze scientifiche e del processo tecnologico. A tal fine, la manutenzione dei Lea è affidata alla Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza, istituita nel 2002.

[60]In attuazione della previsione normativa contenuta nel D.Lgs. n. 56/2000, subito dopo l’emanazione del DPCM di definizione di Lea, è stato emanato, con D.M. 12 dicembre 2001, il cosiddetto sistema di garanzie dei Lea, costituito da un insieme minimo di indicatori e di parametri di riferimento finalizzato al monitoraggio del rispetto, in ciascuna Regione, dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza. Tali dati confluiscono nel Rapporto nazionale di Monitoraggio dell’assistenza sanitaria che, a partire dal 2001, il Ministero della Salute pubblica periodicamente.

[61]In base alla legge 59/1997 e ai relativi provvedimenti attuativi (D.Lgs. 112/1998 e DPR 275/1999), lo Stato determina gli obblighi formativi e detta le norme di principio che attribuiscono diritti e doveri (obbligo di istruzione, gratuità dell’istruzione nella scuola primaria e secondaria inferiore, diritto al sostegno per gli alunni diversamente abili, dimensione massima delle classi). Le regioni deliberano in merito alla rete scolastica, ovvero alla distribuzione delle scuole sul territorio. I comuni e le province provvedono agli immobili in cui sono collocate le scuole, e alla copertura dei relativi costi di gestione. La competenza dei comuni è limitata alla scuola primaria e alla scuola dell’infanzia; la competenza provinciale riguarda invece la scuola secondaria. Le scuole, infine, in base ai principi dell’autonomia didattica ed amministrativa previsti dalla legge n. 59/1997, decidono in merito all’organizzazione della didattica, con riflessi sugli organici di fatto e dunque sui costi di tale funzione.

[62]   Cfr L. Arcangeli e C. De Vincenti, La politica sanitaria, in M.C. Guerra e A. Zanardi, La finanza pubblica italiana. Rapporto 2008, il Mulino, 2008.

[63]   I dati sono ricavati dai modelli di rilevazione CE (sui costi e ricavi delle aziende del SSN) e LA (sui costi aziendali attribuiti ai Lea). Mentre i primi rilevano i costi delle aziende sanitarie classificati per categoria economica come da contabilità aziendale, i secondi rilevano i costi classificati per funzioni assistenziali secondo l’articolazione dei Lea.

[64]   Progetto “Mattoni del SSN”.

[65]   Cfr. per esempio, ISAE, Rapporto annuale sull’attuazione del federalismo, 2004; Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Libro verde sul futuro modello sociale, luglio 2008.

[66]   Cfr.. anche Commissione tecnica per la finanza pubblica, spending review sul Ministero della Pubblica istruzione, Rapporto intermedio, 2008.

[67]   Il dato pro-capite è riferito alla popolazione studentesca.

[68]   Salvo successiva verifica (ed eventuale sanzione) che le prestazioni erogate siano adeguate rispetto alla necessità di assicurare i livelli essenziali delle stesse (art. 2, comma 1, lett. u).

[69]   Ovvero le funzioni soggette al vincolo costituzionale del livello minimo delle prestazioni da garantire sull’intero territorio nazionale (di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Cost.).

[70]   L’insieme residuale delle funzioni, escluse le “LEP.

[71]   Fatte salve le modalità di concorso alla perequazione delle regioni a statuto speciale che verranno stabilite dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti.

[72]   Tale esclusione (nella misura in cui la regione esclusa sia quella con maggiore capacità fiscale piuttosto che quella con minore fabbisogno) fa sì che sia rispettata la condizione, prevista dall’art. 9, comma 1, lettera a), della ripartizione del fondo fra le regioni con “minore” capacità fiscale, da intendersi in questo caso come “minore rispetto alla regione con capacità fiscale massima” e non “minore rispetto alla media nazionale”.

[73]   Tale carattere è riferito al sistema di finanziamento e ripartizione del fondo, non alla sua gestione che resta attribuita allo Stato centrale e ha pertanto carattere verticale.

[74]   In questo caso, in luogo del concetto di livello essenziale delle prestazioni, la norma fa riferimento al concetto di “livello adeguato”.

[75]   Art. 9, comma 1, lettera c), n. 1.).

[76]   Cfr. nota precedente.

[77]   Cfr., fra gli altri, l’audizione della Corte dei conti e il Dossier n. 3, a cura dei servizi di documentazione di Camera e Senato.

[78]   Cfr. l’art. 8 comma 1, lettera c).

[79]   Cfr. l’art. 19, comma 1, lettera c).

[80]   Cfr. l’art. 19, comma 1, lettera b).

[81]   Di cui all’articolo 19, lettera e).

[82]   Di cui all’art. 19, comma 1, lettera f).

[83]   E indicati sinteticamente nel divieto di disavanzi pubblici eccessivi e nell’obbligo di mantenimento degli equilibri di bilancio a medio termine.

[84]   Sul punto si vedano, da ultimo, i contributi della Corte dei Conti, dell’Istat e della Banca d’Italia nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del disegno di legge S. 1117.

      Si vedano, inoltre:

-        gli elementi per l’audizione dell’ISAE presso il Senato (13 novembre 2008) sul medesimo disegno di legge S. 1117;

-        l’apposito capitolo (pagg. 169 ss.) nell’ambito del già citato dossier di documentazione Camera – Senato L’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione: il federalismo fiscale;

-        il commento all’articolo 15 dell’AS. 1117 nel dossier Elementi di documentazione n. 8 del Servizio Bilancio del Senato (novembre 2008).

[85]   Di cui all’art. 114, comma 2 della Costituzione.

[86]   Si veda da ultimo la legge istitutiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia di cui alla legge n. 132 del 4 agosto 2008

[87]   In particolare la quota uniforme capitaria della spesa corrente.

[88]   Cfr. l’art. 11, comma 1, lettere b) e c).

[89]   Il tratto discendente delle funzioni di spesa in relazione alla dimensione demografica dei comuni risente dell’effetto delle economie di scala, che rendono minore l’incidenza dei costi fissi in relazione al numero di utenti del servizio, mentre il tratto ascendente risente della maggiore entità degli oneri organizzativi cui occorre far fronte per prestare il medesimo servizio in caso di una collettività molto numerosa e con esigenze articolate e complesse, rispetto a quelle di una piccola comunità.

[90]   Chiamate a compensare, non solo la differente capacità fiscale dei contribuenti riscontrabile nei territori, ma anche la diversa modulazione dei fabbisogni degli enti appartenenti alle diverse fasce demografiche.

[91]   Cfr. l’art. 11, comma 1, lettera g).

[92]   Di cui all’articolo 12, lettere b) e c).

[93]   Di cui all’art. 11, comma 1, lettera e).

[94]   In maniera esplicita nella lettera b) ed implicita nella lettera c).

[95]   Di cui all’articolo 12, comma 1, lettera l).

[96]   La formulazione letterale della disposizione fa riferimento in un punto ai comuni e in un altro punto, più genericamente, agli enti locali.

[97]   Di cui all’art. 11, comma 1, lettera d).

[98]   Di cui all’art. 12, lettera f).

[99]   E’ da ritenersi che le medesime modalità previste per le province si applichino anche alle aree metropolitane, salva la necessità di un puntuale coordinamento del testo che renda esplicita tale assimilazione.

[100]Cfr. l’art. 13, comma 1, lettera b).

[101]Tale possibilità è insita nella formulazione dell’art. 20, comma 1, lettera b), che prevede che la somma del gettito delle nuove entrate degli enti locali debba essere “non inferiore” al valore dei trasferimenti soppressi, potendo pertanto risultare superiore (cfr. infra).

[102]Per le regioni la previsione per cui le risorse tributarie loro attribuite sono determinate nella misura sufficiente ad assicurare il finanziamento delle funzioni LEP in una sola regione fa sì che a nessuna regione siano attribuite risorse proprie eccedentarie rispetto ai propri fabbisogni LEP (inizialmente rispetto ai trasferimenti soppressi) e quindi nessuna regione sia chiamata a contribuire orizzontalmente al finanziamento delle altre: tale finanziamento potrà quindi avvenire in forma verticale in condizioni, per lo meno teoriche, di neutralità finanziaria.

[103]Art. 20, comma 1, lettera b).

[104]Senza attribuzione di emolumenti, gettoni di presenza o altra forma di retribuzione ai componenti.

[105]Nel limite degli stanziamenti previsti a legislazione vigente.

[106]Seduta n. 131 del 22 gennaio 2009.

[107]Ordine del giorno G21.0.200.

[108]Dalla data della proclamazione dell’esito positivo del referendum e fino alla data di entrata in vigore della disciplina organica.

[109]Cfr. l’art. 77-quater del DL m. 112/2008.

[110]Di cui all’art. 2, comma 1, lettera r).

[111]Richiamato dall’art. 16, comma 1, lettera b).

[112]Cfr. il paragrafo relativo al patto di stabilità interno (par. 8.2) del Dossier n. 3 del novembre 2008, a cura degli uffici di documentazione del Senato e della Camera dei deputati.

[113]Cfr. il paragrafo riferito agli articoli 11 e 12.

[114]Cfr. l’art. 16, comma 1, lettera b).

[115]Cfr. l’art. 16, comma 1, lettera e).

[116]Il citato art. 16, comma 1, lettera e).

[117]Cfr. l’art. 1, comma 5 della L. n. 266/2005 che ha previsto a decorrere dal 2006 la destinazione a riduzione del debito delle entrate derivanti da alienazione o dismissione dei beni del patrimonio immobiliare.

[118]Di cui agli articoli 19 e 20.

[119]Incluso quello del trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole.

[120]Nel corso della seduta n. 23 delle Commissioni 1ª, 5ª e 6ª riunite del 15 gennaio 2009.

[121]Per i tributi erariali compartecipati è prevista l’integrale contabilizzazione nel bilancio dello Stato.