Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Convenzione penale sulla corruzione - A.C. 5058
Riferimenti:
AC N. 5058/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 619
Data: 28/03/2012
Descrittori:
CORRUZIONE E CONCUSSIONE   RATIFICA DEI TRATTATI
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Convenzione penale sulla corruzione

A.C. 5058

 

 

 

 

 

 

 

n. 619

 

 

 

28 marzo 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es1093.doc

 


INDICE

 

Schede di lettura

Contenuto dell’Accordo  3

La proposta di legge di ratifica  10

Il disegno di legge anticorruzione all’esame della Camera dei deputati11

 

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Contenuto dell’Accordo

La Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione, aperta alla firma il 27 gennaio 1999, è in vigore a livello internazionale dal 1° luglio 2002: al momento attuale risulta in vigore per 42 Stati del Consiglio d’Europa[1]: la Convenzione infatti è aperta anche all'adesione di Stati non membri dell’Organizzazione di Strasburgo.

L’Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 gennaio 1999 che tuttavia non è stata ancora ratificata dal nostro Paese: nella XIV e nella XV legislatura sono state presentati alcuni progetti di legge (di cui uno d’iniziativa governativa) aventi ad oggetto la ratifica della Convenzione, il cui esame non è stato mai avviato[2] il medesimo oggetto, delle quali tuttavia non è mai iniziata la discussione.

La Convenzione, che consta di 42 articoli raggruppati in 5 capitoli, è uno strumento inteso a coordinare la penalizzazione di un pluralità di pratiche di corruzione: essa prevede inoltre misure complementari di diritto penale ed il miglioramento della cooperazione internazionale nel perseguimento dei reati di corruzione.

L’accordo è aperto all'adesione di Stati non membri del Consiglio d’Europa, e la sua attuazione è monitorata dal "Gruppo di Stati contro la corruzione” (GRECO), che ha iniziato funzionare il 1° maggio 1999, con sede a Strasburgo: del Gruppo fanno parte 49 Stati europei e gli Stati Uniti d’America.

Queste le principali fattispecie, variamente legate alle pratiche corruttive sulle quale incide la Convenzione penale di Strasburgo:

§                corruzione attiva e passiva di pubblici ufficiali nazionali ed esteri;

§                corruzione attiva e passiva di parlamentari nazionali ed esteri e di membri di assemblee parlamentari internazionali;

§                corruzione attiva e passiva nel settore privato;

§                corruzione attiva e passiva di funzionari internazionali;

§                corruzione attiva e passiva dei giudici nazionali, esteri o membri di corti internazionali, nonché di funzionari di queste ultime;

§                compravendita delle possibilità di influire su varie istanze decisorie;

§                riciclaggio dei proventi di reati di corruzione;

§                reati contabili (in ordine a fatture, documenti contabili, ecc) collegati con reati di corruzione.

Gli Stati parte sono tenuti a prevedere sanzioni e misure efficaci e dissuasive, tra cui la privazione della libertà e l’eventuale estradizione. Le persone giuridiche saranno anche responsabili dei reati commessi a loro beneficio e saranno soggette a efficaci sanzioni penali o non penali, tra cui quelle pecuniarie.

La Convenzione comprende anche disposizioni in materia di favoreggiamento, immunità, determinazione della giurisdizione degli Stati, responsabilità delle persone giuridiche, istituzione di organismi specializzati anticorruzione, protezione delle persone che collaborano con inchieste o procedimenti giudiziari, raccolta delle prove e confisca dei proventi.

La Convenzione prevede altresì, come accennato, il rafforzamento della cooperazione internazionale (assistenza reciproca, estradizione e scambi di informazioni) nelle indagini e nel perseguimento dei reati di corruzione. Al momento della ratifica della Convenzione, gli Stati che non fanno già parte del GRECO ne diverranno automaticamente membri.

 

In dettaglio, il capitolo I, che costa del solo articolo 1, contiene una serie di definizioni dei termini utilizzati nel prosieguo della Convenzione.

Il capitolo II è dedicato ai provvedimenti da adottare a livello nazionale, e comprende gli articoli da 2 a 23.

Gli articoli da 2 a 15, in particolare, riguardano l'impegno di ciascuna Parte della Convenzione a configurare alla stregua di reati penali una serie di fattispecie, ovvero la corruzione attiva e passiva di pubblici ufficiali nazionali (articoli 2 e 3), la corruzione di membri di assemblee pubbliche nazionali (articolo 4), la corruzione di pubblici ufficiali stranieri (articolo 5), la corruzione di membri di assemblee pubbliche straniere (articolo 6), la corruzione attiva e passiva nel settore privato (articoli 8 e 9) la corruzione di funzionari internazionali (articolo 9), la corruzione di membri di assemblee parlamentari internazionali (articolo 10), la corruzione dei giudici o funzionari di cancelleria di Corti internazionali (articolo 11), il traffico di influenza - ovvero la capacità reale o millantata di condizionare determinate decisioni dietro pagamento di un compenso - (articolo 12), il riciclaggio dei proventi derivanti da reati di corruzione (articolo 13), qualsiasi atto di complicità in uno dei reati penali in precedenza definiti (articolo 15).

Unica parziale eccezione è quella dei reati contabili di cui all'articolo 14, i quali, qualora siano commessi intenzionalmente per compiere, nascondere o mascherare reati quali definiti dai precedenti articoli, saranno da ciascuna Parte resi passibili di sanzioni penali o di altra natura.

L'articolo 16 contiene una clausola di salvaguardia delle disposizioni di qualsiasi altro strumento internazionale, ovvero dei rispettivi testi applicativi, in ordine alla revoca dell'immunità.

L'articolo 17 riguarda le misure legislative e di altra natura che ciascuna Parte dovrà adottare in ordine alla sua competenza nei confronti di un reato penale collegato alle fattispecie precedentemente illustrate, e ciò in tre casi particolari, ovvero quando il reato è commesso interamente o parzialmente sul territorio della Parte interessata; se l'autore del reato è un cittadino, un pubblico ufficiale o un componente di un’assemblea pubblica nazionale della Parte interessata; se il reato coinvolge un pubblico ufficiale, un membro di un’assemblea pubblica nazionale oppure qualsiasi altra persona che rivesta la qualifica di funzionario internazionale, di membro di assemblee parlamentari internazionali, di giudice o funzionario di corti internazionali, e in tutti questi casi la persona interessata sia cittadino della Parte in questione.

È peraltro previsto che ciascuno Stato possa dichiarare al Segretario generale del Consiglio d'Europa, depositario della Convenzione in esame, che si riserva di non applicare o di applicare soltanto in casi specifici le regole di competenza prima enunciate – ad eccezione di quella collegata al territorio. Se però una Parte si avvale della possibilità di riserva appena illustrata dovrà adottare le misure necessarie relative alla sua competenza rispetto ai reati penali definiti dalla Convenzione, quando il presunto autore di essi si trova sul suo territorio e non può essere estradato verso un’altra Parte contraente solo in ragione della sua cittadinanza. Infine, l'articolo 17 salvaguarda la competenza penale di ciascuna Parte, conformemente al proprio diritto interno, anche nei confronti dei reati oggetto della Convenzione esame.

L'articolo 18 riguarda la responsabilità delle persone giuridiche e prevede che ciascuna Parte debba adottare le necessarie misure legislative e di altra natura, onde garantire che le persone giuridiche possano essere ritenute specificamente responsabili in relazioni ai reati di corruzione attiva, di traffico di influenza e di riciclaggio di capitali quali previsti dalla Convenzione in esame, nella eventualità che tali reati siano commessi per conto delle persone giuridiche medesime da qualsiasi persona fisica che agisca sia a titolo individuale, sia quale componente di un organo della persona giuridica, esercitando un potere direttivo in qualità di rappresentante della persona giuridica, come anche un potere decisionale o una potestà un controllo sempre nell'ambito della persona giuridica, o, infine, quando la persona fisica partecipi alla commissione dei reati richiamati a titolo di complice o istigatore.

Inoltre, ciascuna Parte dovrà adottare le misure necessarie per garantire la responsabilità di una persona giuridica anche nei casi di assenza di vigilanza o di controllo da parte della persona fisica quale definita nel precedente paragrafo, tale da render possibile la commissione dei reati menzionati da parte di un'altra persona fisica comunque sottoposta all'autorità della prima.

Infine, la responsabilità della persona giuridica come in precedenza stabilita non esclude il perseguimento penale delle persone fisiche autrici, istigatrici o complici dei reati in questione.

L'articolo 19 riguarda le sanzioni e le misure collegate ai reati penali definiti nella Convenzione in oggetto, che dovranno colpire tanto le persone fisiche quanto le persone giuridiche, comprendendo sanzioni penali e non penali, e nel primo caso prevedendo pene di entità tale da ricadere nelle fattispecie che rendono possibile richiedere l’estradizione della persona incriminata. D'altronde, ciascuna Parte contraente adotterà le necessarie misure normative atte a rendere possibile la confisca degli strumenti e dei proventi dei reati penali perseguiti ai sensi della Convenzione in esame, ovvero l’acquisizione di beni per un valore corrispondente a tali proventi.

L'articolo 20 riguarda l'impegno delle Parti a dare vita a personale o ad enti specializzati nella lotta alla corruzione, che dovranno disporre della necessaria indipendenza, ma anche di una formazione e di risorse finanziarie adeguate.

L'articolo 21 è dedicato alla cooperazione tra le autorità nazionali, e mira ad assicurare che le autorità preposte al perseguimento dei reati penali di cui alla Convenzione in oggetto ricevano la necessaria collaborazione dalle autorità pubbliche e dai pubblici ufficiali del proprio paese, che dovranno informare anche spontaneamente le autorità giudiziarie o di polizia in caso di sospetto in merito alla commissione di un qualche reato previsto dalla Convenzione, e comunque dovranno fornire su richiesta tutte le informazioni necessarie alle autorità interessate.

L'articolo 22 riguarda la protezione dei collaboratori di giustizia e dei testimoni, e prevede l'adozione in ciascuna delle Parti contraenti delle necessarie misure legislative o di altra natura volte a proteggere in modo efficace le persone che forniscono informazioni sui reati penali di interesse della Convenzione in esame, o in altro modo collaborino con le autorità preposte al loro perseguimento, nonché i testimoni che in merito a siffatti reati siano chiamati a deporre.

L'articolo 23 riguarda le misure volte a facilitare l'assunzione di prove e la confisca dei proventi di reato: a tale scopo ciascuna delle Parti adotterà le necessarie misure legislative o di altra natura, non escluse speciali tecniche investigative, che sfocino nell'individuazione e possibilmente nella confisca degli strumenti e dei proventi dei reati di corruzione, ovvero consentano l'acquisizione di beni per un valore corrispondente a quei proventi. Assai rilevante la previsione del secondo comma dell'articolo 23, per il quale ciascuna delle Parti adotta le necessarie misure legislative o di altra natura per permettere alle proprie autorità competenti di acquisire senz'altro documenti bancari, finanziari o commerciali nell'ambito del perseguimento dei reati di corruzione. Ancor più rilevante il comma tre dell'articolo 23, sulla scorta del quale si stabilisce che il segreto bancario non costituisce ostacolo all'attuazione delle misure previste dai precedenti due paragrafi.

Il capitolo III contiene il solo articolo 24, in base al quale il controllo sull’attuazione della Convenzione spetta al GRECO (Gruppo di Stati contro la corruzione).

Il capitolo IV concerne i temi della cooperazione internazionale nell’attuazione della Convenzione, la quale si pone anche parzialmente quale strumento di tale cooperazione in carenza di norme nazionali o internazionali previgenti.

In particolare, l’articolo 25 detta princìpi generali sulla cooperazione internazionale nel perseguimento dei reati di cui nella Convenzione in esame: se tra le Parti non vige alcuno strumento pattizio di cooperazione in campo penale, saranno applicabili i successivi articoli da 26 a 31 della Convenzione: questi saranno altresì applicabili se più favorevoli alla cooperazione voluta rispetto agli strumenti internazionali o intese eventualmente vigenti.

L’articolo 26 riguarda l'assistenza giudiziaria, che deve essere la più ampia possibile nei confronti dei reati previsti dalla Convenzione in esame. Tuttavia, l'assistenza giudiziaria può essere negata se la Parte richiesta ritenga che il fornirla possa compromettere alcuni interessi fondamentali quali la sua sovranità nazionale, ovvero la sua sicurezza o l'ordine pubblico. Non è prevista la possibilità di eccepire il segreto bancario quale giustificazione del rifiuto di prestare assistenza giudiziaria: al massimo, una Parte può esigere che una domanda mirante a superare il segreto bancario sia autorizzata da un giudice o da altra autorità giudiziaria competente in materia penale.

Assai rilevante è l'articolo 27, concernente i diversi profili legati all'estradizione. In particolare, si prevede che i reati penali previsti dalla Convenzione in esame si considerino inclusi in ogni trattato di estradizione già in vigore tra le Parti, e le Parti stesse si impegnano ad includere tali reati in tutti i trattati di estradizione che concluderanno. La Convenzione in esame potrà essere altresì considerata come base legale per concedere l'estradizione per tutti i reati da essa previsti, qualora non vi sia tra le Parti interessate alcun trattato di estradizione in vigore. Si precisa comunque che l'estradizione è subordinata alle condizioni previste in materia dal diritto della Parte richiesta o da eventuali trattati di estradizione applicabili, e ciò ricomprende gli eventuali motivi di diniego dell'estradizione. Se poi l'estradizione richiesta in base ad un reato previsto dalla Convenzione in esame viene negata solo a causa della cittadinanza della persona interessata, ovvero perché la Parte richiesta ritiene di essere essa stessa competente per il reato in questione, la Parte richiesta medesima sottopone il caso alle sue autorità competenti e informa poi la Parte richiedente sull'esito definitivo del procedimento.

L'articolo 28 prevede che una Parte possa fornire di propria iniziativa informazioni su determinati fatti ad un'altra Parte, se ritenga che la loro divulgazione possa giovare al perseguimento di reati definiti in virtù della Convenzione in esame.

L'articolo 29 stabilisce che le Parti designino una o più autorità centrali cui compete di inviare le domande di cooperazione giudiziaria, oppure di rispondere ad esse e di curarne il trattamento e la trasmissione alle autorità nazionali competenti.

L'articolo 30 contempla diverse fattispecie di collaborazione: prevede in particolare che le autorità centrali comunichino direttamente tra loro, ma che ad esempio, qualora le richieste non implichino misure coercitive, esse possano essere trasmesse direttamente tra le due autorità competenti delle Parti. Le domande possono inoltre essere presentate per il tramite dell'INTERPOL.

In base poi all'articolo 31 la Parte richiesta è tenuta ad informare con sollecitudine la Parte richiedente dei seguiti dati a una qualsiasi richiesta, come anche su qualsiasi circostanza che ne renda impossibile l'esecuzione, o che ne richieda un notevole differimento.

Il capitolo V contiene una serie di disposizioni finali: in base all'articolo 32 la Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa e degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione. Sulla scorta dell'articolo 33, peraltro, dopo l'entrata in vigore della Convenzione il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, previa consultazione degli Stati fino a quel momento contraenti della Convenzione, può invitare la Comunità europea e qualsiasi Stato non membro del Consiglio d'Europa, che non abbia partecipato all'elaborazione della Convenzione, ad aderire alla medesima.

L'articolo 34 riguarda l'applicazione territoriale della Convenzione, mentre l'articolo 35, assai rilevante, concerne le relazioni della Convenzione con altri strumenti internazionali, prevedendo in particolare che la Convenzione non incide su diritti e obblighi scaturenti da Convenzioni internazionali multilaterali stipulate su particolari questioni. Inoltre, le Parti della Convenzione potranno concludere talora accordi bilaterali o multilaterali su questioni già disciplinate dalla presente Convenzione allo scopo di rafforzare disposizioni della medesima o di facilitarne l'applicazione.

Se due o più Parti hanno già concluso un accordo su una questione disciplinata dalla presente Convenzione, esse potranno applicarlo in vece della Convenzione, qualora la cooperazione internazionale ne risulti agevolata.

Gli articoli 36, 37 e 38 riguardano rispettivamente la possibilità di presentare dichiarazioni e apporre riserve, nonché le condizioni di validità di tali pronunciamenti. Particolarmente importante è il comma 3 dell'articolo 37, in base al quale ogni Stato, al momento della firma o del deposito del suo strumento di ratifica o di adesione, può dichiarare che si riserva la possibilità di negare l'assistenza giudiziaria se la domanda riguarda un reato che la Parte richiesta considera alla stregua di reato politico.

L'articolo 39 riguarda le modifiche alla Convenzione in esame, che possono essere proposti da ciascuna delle Parti: il Segretario generale del Consiglio d'Europa, depositario della Convenzione, comunica le proposte agli Stati membri e agli Stati non membri aderenti alla Convenzione o che siano stati invitati ad aderire ad essa. Gli emendamenti sono inoltre comunicati al Comitato europeo per i problemi criminali del Consiglio d’Europa, che esprime un parere che viene sottoposto al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Quest'ultimo esamina l'emendamento unitamente al parere del Comitato europeo per i problemi criminali e, dopo consultazione degli Stati non membri del Consiglio d'Europa ma Parti della Convenzione, può adottare l'emendamento. L'emendamento così adottato è trasmesso alle Parti  per l'accettazione, ed entra in vigore il trentesimo giorno successivo al momento in cui tutte le Parti hanno informato il Segretario generale del Consiglio d'Europa di aver accettato l'emendamento.

L'articolo 40 è dedicato alla risoluzione di eventuali controversie in merito all'attuazione della Convenzione, e prevede anzitutto che il Comitato europeo per i problemi criminali sia costantemente informato sull'interpretazione e sull'applicazione della Convenzione medesima: in caso di controversia le Parti ricorreranno al negoziato o a qualsiasi altro mezzo di loro scelta, ma potranno anche sottoporre la controversia al Comitato europeo per i problemi criminali, a un tribunale arbitrale o alla Corte internazionale di giustizia.

L'articolo 41 è dedicato alla possibilità della denuncia della Convenzione in esame, che può avvenire in qualsiasi momento mediante notifica al Segretario generale del Consiglio d'Europa, e ha effetto il primo giorno del mese successivo a un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento della notifica da parte del Segretario generale. L'articolo 42, infine, specifica le funzioni del depositario della Convenzione nei confronti delle Parti.

 

La proposta di legge di ratifica

Il 14 marzo 2012 il Senato ha approvato un progetto di legge, a prima firma del sen. Li Gotti (A.S. 850, che ha assorbito il ddl A.S. 2058, d’iniziativa della sen. Finocchiaro ed altri), concernente l'autorizzazione alla ratifica della Convenzione in oggetto: il testo trasmesso alla Camera consta di cinque articoli, dei quali tre (artt. 1, 2 e 5) sono dedicati alle consuete clausole sull'autorizzazione alla ratifica e l'esecuzione della Convenzione, prevedendosi altresì l'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica il giorno successivo a quello dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

L'articolo 3 prevede invece che per quanto previsto dall'articolo 29 della Convenzione in oggetto l'autorità centrale per l'Italia sia il Ministro della giustizia.

L'articolo 4, infine, prevede che dall'attuazione della Convenzione penale sulla corruzione non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento[3], al fine di coordinare l’esame del disegno di legge A.S. 850, con quello delle varie iniziative in materia di contrasto alla corruzione in discussione presso le Commissioni riunite 1a e 2(l’attuale ddl A.C. 4434) sono stati stralciati gli articoli recanti le norme di adeguamento dell'ordinamento interno alla Convenzione.

 


Il disegno di legge anticorruzione
all’esame della Camera dei deputati


Il disegno di legge AC 4434, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, approvato dal Senato il 15 giugno 2011, ed attualmente all’esame delle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera, consta di dieci articoli.

Come accennato, nel corso dell’esame del provvedimento, avviato il 7 luglio 2011, è stato approvato dal Senato in prima lettura, il 12 marzo scorso, il disegno di legge di ratifica ed esecuzione dellaConvenzione in oggetto: il ddl di ratifica della Convenzione non reca anche le norme di adeguamento del nostro ordinamento, con particolare riferimento alle modifiche al codice penale. Le disposizioni della Convenzione impegnano le Parti ad adottare le necessarie misure legislative e di altra natura.

Ferma restando la circostanza che molte delle norme contenute nella Convenzione facevano già parte dell'ordinamento penale italiano nel 1999 ed alcune di esse nel frattempo sono già state introdotte indipendentemente dalla sua ratifica, queste sono le principali novità di carattere penale che la Convenzione richiede di recepire nel nostro ordinamento.

In particolare, una delle conseguenze potrebbe essere la modifica nell'ordinamento penale italiano del reato di concussione, attualmente previsto dall'articolo 317 del codice penale, per cui il concusso, oggi vittima del reato, ne diventa soggetto attivo, quanto meno in relazione alla fattispecie di concussione per induzione. Invece, la concussione per costrizione potrebbe essere assimilata alla figura dell'estorsione, che comunque già esiste nel nostro ordinamento.

Lo stesso disegno di legge di ratifica della Convenzione (AC 3286), presentato dal Governo alla Camera dei deputati nella XV legislatura, recava una serie di modifiche al codice penale, integralmente riprese dall’originario disegno di legge di ratifica dell’attuale legislatura così come presentato al Senato (AS 850) e da cui poi sono state espunte le modifiche al codice penale.

La relazione illustrativa al ddl AC 3286 precisava che, anche nell'ottica di rispondere alle indicazioni provenienti dagli organismi internazionali dei quali l'Italia fa parte, veniva ridisegnato il quadro dei delitti contro la pubblica amministrazione, “trasferendo la condotta di concussione per costrizione (articolo 317 del codice penale) all'interno di quelle previste e punite dall'articolo 629 del codice penale (estorsione) e la condotta di concussione per induzione all'interno della nuova fattispecie di corruzione, la quale ricomprende in sé il disvalore penale degli articoli 318, 319 e 321 del codice penale attualmente vigenti, prevedendo in ogni caso anche la punibilità del corruttore”. Si era, quindi, provveduto a razionalizzare la normativa vigente e a conferire rilevanza anche a condotte le quali, pur espressione di una particolare offensività, non risultavano tuttavia in alcun modo sanzionate all'interno del sistema penale italiano. Veniva a tale scopo introdotta la fattispecie del traffico di influenze illecite.

Nella relazione si evidenziava poi che l'articolo 2 della Convenzione penale sulla corruzione impone di rivedere la non punibilità del concusso - quanto meno nelle ipotesi di concussione per induzione - poiché richiede di assoggettare a sanzione penale “il fatto di promettere, di offrire o di procurare, direttamente o indirettamente, qualsiasi vantaggio indebito a un suo pubblico ufficiale, per sé o per terzi, affinché compia o si astenga dal compiere un atto nell'esercizio delle sue funzioni”. In questo quadro, la soluzione più ragionevole era apparsa essere quella di unificare le fattispecie di concussione per induzione, corruzione propria e impropria, antecedente e susseguente, e di ricondurre la fattispecie di concussione per costrizione al delitto di estorsione.

Proprio in relazione al delitto di concussione, si ricordano i rilievi mossi all’Italia dall’OCSE nel 2007 nell’ambito delle periodiche verifiche sullo stato di applicazione della sua Convenzione del 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri. In particolare, l’OCSE ha imputato all’Italia la non perseguibilità di colui che – privato cittadino – soggiace alle richieste del pubblico ufficiale cui è costretto o indotto a dare o promettere un’utilità. Il nostro ordinamento, come rilevato, con la fattispecie di concussione (art. 317 c.p.) punisce solo il pubblico ufficiale (o incaricato di un pubblico servizio) e non colui che “cede” alle sue richieste.

In risposta alle perplessità dell’OCSE, il Governo italiano ha evidenziato che il fatto che il cittadino non sia penalmente perseguibile per aver dato al pubblico ufficiale qualcosa che “non gli spettava” nelle ipotesi di concussione dovrebbe essere considerato dall’OCSE non dal punto di vista degli effetti della coercizione (es. il pagamento non dovuto) ma dal punto di vista della condotta del pubblico ufficiale, all’interno della sua relazione con il cittadino. In questi casi, infatti, la condotta del pubblico ufficiale si sostanzia in tre elementi:

1.    il pubblico ufficiale abusa della sua qualità o dei suoi poteri. Tale presupposto consiste nell’uso delle proprie prerogative tale da persuadere il cittadino che l’uso illegittimo del potere potrà danneggiarlo (personalmente o nei suoi interessi);

2.    il pubblico ufficiale costringe il cittadino. Ciò può avvenire con l’uso della forza ovvero della minaccia di un serio e plausibile danno;

3.    il pubblico ufficiale induce il cittadino a dare o a promettere indebitamente un’utilità. Con il termine induzione si intende una seria pressione psicologica esercitata sulla vittima, che viene convinta della necessità del pagamento indebito per evitare una grave perdita economica (talvolta definita “metus publicae potestatis”, ovvero paura dell’autorità del governo, così da sottolineare l’assenza di intento corruttivo del privato il cui unico obiettivo è evitare un indebito esercizio del potere che potrebbe causargli gravi e illegali perdite).

Conseguentemente, nel caso della concussione, il privato non è punito perché tutta la fattispecie è costruita sulla sua assenza di responsabilità; per aversi concussione occorre infatti che il privato sia vittima della condotta del pubblico ufficiale.

In sostanza il Governo ha sottolineato che mentre nell’istigazione alla corruzione il privato agisce per un proprio tornaconto, valutando i vantaggi e gli svantaggi della dazione di denaro, nella concussione il privato non è in posizione di parità con il pubblico ufficiale che anzi lo prevarica e dunque la dazione è frutto del timore di un danno grave.

Confermando l’indirizzo di una precedente decisione (sentenza n. 7957 del 14 maggio 1997), la Corte di cassazione - sent. n. 9528 del 9 gennaio 2009) - ha ribadito che «in tema di concussione, la circostanza che l’atto oggetto di mercimonio da parte del pubblico ufficiale sia illegittimo e contrario ai doveri d’ufficio non comporta di per sé il mutamento del titolo del reato in quello di corruzione, neppure quando il soggetto passivo versi già in una situazione di illiceità e sia consapevole dell’illegittimità dell’atto, dovendosi ritenere sussistente il delitto di concussione quando la posizione di preminenza prevaricatrice del pubblico ufficiale abbia creato uno stato di timore tale da escludere la libera determinazione della volontà del privato, in conseguenza dell’abuso della qualità o dei poteri del primo».

Occorre considerare che, in realtà, è spesso difficile coniugare la qualità di danneggiato del privato, di persona lesa dal delitto di concussione con il vantaggio che il privato abbia indebitamente percepito in virtù dell’avvenuta violazione dei doveri d’ufficio da parte del funzionario pubblico.

Risulta cioè difficile distinguere la concussione per induzione (nella quale il privato non è perseguibile, ma è danneggiato dal reato dalla corruzione (per la quale il privato soggiace alla stessa pena del pubblico ufficiale).

Il parametro per la distinzione, con una semplificazione, va individuato nel rapporto di forza tra il pubblico funzionario e il privato. Il rapporto di forza va verificato in concreto, in relazione alla titolarità da parte del pubblico ufficiale di poteri di cui il privato non dispone; occorre cioè valutare se nell’ipotesi di un accordo (ovvero di una concussione per induzione che sia sfociata in un accordo tra il privato e il pubblico funzionario), questo sia avvenuto su base paritaria oppure se la volontà del privato è stata coartata.

Sempre per effetto della ratifica della Convenzione di Strasburgo, in particolare con riguardo agli articoli 7 ed 8, viene invece prevista una nuova fattispecie di reato, non presente nel nostro ordinamento penale, quale quello della corruzione, attiva e passiva, nel settore privato.

Si tratta, in realtà, di condotte che oggi possono in alcuni casi essere punite ad altro titolo nel nostro ordinamento, in particolare attraverso la fattispecie della violenza privata o dell'estorsione, ma certamente questa figura amplia le fattispecie sanzionabili.

Un'altra modifica rilevante derivante della ratifica di questa Convenzione è quella della previsione dell'ulteriore reato di traffico di influenza, una fattispecie che oggi è punita soltanto in parte dall'articolo 346 del codice penale, con riferimento al millantato credito. Con la figura, però, di cui all'articolo 12 di questa Convenzione, verrebbe ampliata la punibilità rispetto all'attuale fattispecie di millantato credito e, in particolare, verrebbe sanzionato penalmente anche il soggetto erogatore del vantaggio indebito affinché venga esercitata un’influenza sulla decisione di pubblici ufficiali.

L’articolo 13 prevede, poi - tramite il riferimento alla Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato dell’8 novembre 1990 (ratificata dall’Italia con la legge n. 328 del 1993) - la punibilità del reato di auto riciclaggio,che sanziona colui il quale reimpiega i soldi frutto di un reato da lui stesso commesso. L’art. 6 (par. 2, n. 2) della citata Convenzione stabilisce, tuttavia, che “può prevedersi che i reati di cui al predetto paragrafo non si applicano alle persone che hanno commesso il reato presupposto”.

Va segnalata, infine, la formulazione dell’art. 14 della Convenzione di Strasburgo del 1999 sui reati contabili, che sembrerebbe poter incidere sulla nostra disciplina sul falso in bilancio di cui all’art. 2621 c.c. La norma convenzionale richiede, infatti, che, secondo il proprio diritto interno, siano definite come reati passibili di sanzioni penali o di altra natura alcune tipologie di condotte in materia contabile, quando commesse intenzionalmente allo scopo di compiere, nascondere o mascherare altri reati previsti dalla Convenzione.

Si tratta della emissione o utilizzazione di qualsiasi documento o scrittura contabile contenente informazioni false o incomplete e della omissione illecita di contabilizzazione di un versamento.

Si rammenta che il comma 3 del citato art. 2621 c.c. esclude la punibilità:

- se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene;

- se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1%.

A parte le fattispecie penali già previste dal nostro ordinamento, i contenuti del disegno di legge (anticorruzione) AC 4434, all’esame della Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera in sede referente dal 7 luglio 2011, risultano diversi rispetto a quellidella Convenzione di Strasburgo.

Non sono, ad esempio, previste nell’articolato modifiche del reato di concussione, né l’introduzione dei reati di corruzione attiva e passiva nel settore privato e di traffico di influenze.

Il solo articolo 9 del d.d.l. AC 4434, novellando il titolo II del codice penale, relativo ai delitti contro la pubblica amministrazione, incrementa le pene attualmente previste dal codice penale per una serie di delitti contro la P.A. (cfr. art. 19 della Convenzione): peculato, peculato mediante profitto dell’errore altrui, malversazione a danno dello Stato, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, corruzione per un atto d'ufficio, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione in atti giudiziari.

La norma introduce, inoltre, a chiusura del capo relativo ai delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., una nuova circostanza aggravante (articolo 335-ter, codice penale), ad effetto comune riferita a chi riveste la qualifica di pubblico ufficiale.

Tale nuova circostanza inasprisce le pene per tali delitti:

a)      in caso di “atti particolarmente lesivi per la pubblica amministrazione”;

b)      se i fatti sono commessi al fine di far conseguire indebitamente contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dall'Unione europea.

La nuova circostanza aggravante non si applica invece agli incaricati di pubblico servizio.

Infine, l’art. 9 del ddl interviene sulla disciplina dei delitti dei privati contro la P.A. per innalzare la pena attualmente prevista per le fattispecie di astensione dagli incanti e di frode nelle pubbliche forniture (artt. 354 e 355, c.p.).

 


 



[1]    Nonché per la Bielorussia, che non fa parte del Consiglio d’Europa.

[2]    Nella XIV legislatura la pdl A.C. 3215, d’iniziativa dell’on. Kessler ed altri, mentre nella XV è stato presentato il ddl A.C. 3286 e la pdl A.C. 2617, d’iniziativa dell’on. Turco ed altri.

[3] Seduta della 2^ e della 3^ Commissione riunite del 16 giugno 2010.