Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Disposizioni urgenti a tutela della salute,dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale D.L. 207/2012 ' A.C. 5617 Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 5617/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 738
Data: 07/12/2012
Descrittori:
AMBIENTE   DECRETO LEGGE 2012 0207
DICHIARAZIONE DI STATO DI CRISI DI AZIENDE   IMPRESE INDUSTRIALI
MISURE CONTRO LA DISOCCUPAZIONE   TUTELA DELLA SALUTE
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici
Altri riferimenti:
DL N. 207 DEL 03-DIC-12     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti a tutela della salute,dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale

D.L. 207/2012 – A.C. 5617

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 738

 

 

 

7 dicembre 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

 

 

 

 

 

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File: D12207

 


INDICE

Schede di lettura

§      Art. 1 (Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale)                                                                       3

§      Art. 2 (Responsabilità nella conduzione degli impianti)                                 15

§      Art. 3 (Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata in data 26 ottobre 2012 alla società ILVA S.p.A. Controlli e garanzie)                                                                   17

§      Art. 4 (Copertura finanziaria)                                                                         27

§      Art. 5 (Entrata in vigore)                                                                                29

 

 


Schede di lettura

 


Art. 1
(Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale)

1.           In caso di stabilimento di interesse strategico nazionale, individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, quando presso di esso sono occupati un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare, in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, la prosecuzione dell'attività produttiva per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione, secondo le procedure ed i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.

2.           Nei casi di cui al comma 1, le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame. E' fatta comunque salva l'applicazione degli articoli 29-octies, comma 4, e 29- nonies e 29-decies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, e successive modificazioni.

3.           Fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 è punita con sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato. La sanzione è irrogata, ai sensi dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dal prefetto competente per territorio.

4.           Le disposizioni di cui al comma 1 trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento. In tale caso i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività d'impresa a norma del comma 1.

5. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riferisce semestralmente al Parlamento circa l'ottemperanza delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale nei casi di cui al presente articolo.

 

Il comma 1 prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa autorizzare, in sede di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), la prosecuzione dell'attività produttiva di uno stabilimento industriale dichiarato “di interesse strategico nazionale” per un periodo di tempo determinato non superiore a trentasei mesi, a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’autorizzazione, secondo le procedure e i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.

 

L’esercizio del potere attribuito al Ministro si esplica in presenza dei seguenti presupposti:

§         deve trattarsi di uno stabilimento individuato, con apposito D.P.C.M., come “stabilimento di interesse strategico nazionale”;

Relativamente alla dichiarazione di “interesse strategico nazionale” di un’area o di un sito si ricorda che nella legislazione nazionale esiste più di un esempio adottato negli ultimi anni.

Si ricorda, in particolare, che l’art. 2, comma 4, del D.L. 90/2008 (recante “Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile”) ha dichiarato di interesse strategico nazionale “i siti, le aree, le sedi degli uffici e gli impianti comunque connessi all'attività di gestione dei rifiuti” ubicati nel territorio della Campania. Il successivo comma 5 ha poi previsto l’applicazione, per tali aree strategiche, dell’art. 682 del codice penale (“Ingresso arbitrario in luoghi ove l'accesso è vietato nell'interesse militare dello Stato”) per chiunque vi si introduce abusivamente o impedisce o rende più difficoltoso l'accesso autorizzato alle aree medesime.

La stessa dichiarazione e l’applicazione del citato art. 682 del c.p. è stata adottata, dall’art. 19 della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012) per “le aree ed i siti del Comune di Chiomonte, individuati per l'installazione del cantiere della galleria geognostica e per la realizzazione del tunnel di base della linea ferroviaria Torino-Lione”.

 

§         presso lo stabilimento sono occupati almeno 200 lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, da almeno un anno;

§         qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardare l'occupazione e la produzione.

 

L’analisi tecnico-normativo, allegata al decreto, sottolinea che il provvedimento è coerente con il quadro normativo nazionale, in particolare con il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83[1], recante misure urgenti per la crescita del Paese. In proposito, si ricorda che l’articolo 2 del decreto legge n. 129 del 2012[2] riconosce l’area industriale di Taranto area in situazione di crisi industriale complessa ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83.

Si rammenta che l’articolo 27 del D.L. 83/2012 prevede che in caso di situazioni di crisi industriali complesse possano essere attivati i progetti di riconversione e riqualificazione industriale la cui finalità è quella di agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, nonché la riconversione industriale e la riqualificazione economico produttiva dei territori interessati. Le situazioni di crisi industriali complesse si verificano quando specifici territori sono soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale derivante da:

-          una crisi di una o più imprese di media o grande dimensione con effetti sull’indotto;

-          una grave crisi di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione nel territorio.

 

Il comma 2 dispone che le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto:

§         le misure contenute nel provvedimento di AIA;

§         nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame.

 

Al riguardo, si sottolinea che il comma 1 dellarticolo 1 prevede che il Ministro dellambiente possa autorizzare la prosecuzione dellattività produttiva a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dellAIA, mentre il comma 2 dispone che le misure volte ad assicurare tale prosecuzione sono sia le misure contenute nel provvedimento di AIA sia le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione.

 

Viene comunque fatta salva l’applicazione degli articoli 29-octies, comma 4, 29-nonies e 29-decies del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente).

Si ricorda che il comma 4 dell’art. 29-octies individua i casi in cui è comunque necessario il riesame dell’AIA. Tra di essi è compreso, ai sensi della lettera b) del comma 4, il caso in cui “le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una notevole riduzione delle emissioni senza imporre costi eccessivi”.

Il riesame è, altresì, effettuato dall'autorità competente, anche su proposta delle amministrazioni competenti in materia ambientale, comunque quando:

-            l'inquinamento provocato dall'impianto è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell'autorizzazione o l'inserimento in quest'ultima di nuovi valori limite;

-            la sicurezza di esercizio del processo o dell'attività richiede l'impiego di altre tecniche;

-            nuove disposizioni legislative comunitarie o nazionali lo esigono.

Quanto agli altri articoli citati dal comma, si ricorda che l’art. 29-nonies disciplina le procedure da seguire in caso di modifiche degli impianti (sostanziali o meno), mentre l’art. 29-decies riguarda il rispetto delle condizioni contenute nell’AIA.

 

 

 

 

 

L’autorizzazione integrata ambientale

L'autorizzazione integrata ambientale (AIA), disciplinata dal titolo III-bis (artt. da 29-bis a 29-quattuordecies)[3] del Codice ambientale, ha per oggetto – ai sensi dell’art. 4, comma 4, lettera c), del D.Lgs. 152/2006 - la “prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività di cui all'allegato VIII e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale”. Ai sensi dell’art. 6, comma 13, l'AIA è necessaria per i progetti di cui all'allegato VIII alla parte seconda del Codice nonché per le successive modifiche sostanziali.

Ai sensi dell’art. 7, commi 4-bis e 4-ter, sono sottoposti ad AIA in sede statale i progetti relativi alle attività di cui all'allegato XII e loro modifiche sostanziali, mentre sono sottoposti ad AIA secondo le disposizioni delle leggi regionali e provinciali i progetti di cui all'allegato VIII che non risultano ricompresi anche nell'allegato XII al decreto e loro modifiche sostanziali.

Si fa notare che il campo di applicazione della disciplina relativa all’AIA è piuttosto limitato in termini numerici: sia perché l’allegato VIII riguarda solo alcune tipologie di attività industriali, sia perché vi sono ulteriori limitazioni relative alla capacità produttiva che deve essere superiore alle soglie indicate dall’allegato stesso. Dai dati trasmessi dal Ministero dell'ambiente[4] il numero degli impianti assoggettati ad AIA è di poco inferiore alle 6.000 unità, pari a circa l’1,3% del numero di imprese del settore industriale[5].

In sede statale, ai sensi del successivo comma 5, l'autorità competente è il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Il comma 16 dell’articolo 6 elenca i seguenti principi generali di cui l'autorità competente deve tener conto, nel determinare le condizioni per l'AIA, fermo restando il rispetto delle norme di qualità ambientale:

a) devono essere prese le opportune misure di prevenzione dell'inquinamento, applicando in particolare le migliori tecniche disponibili;

b) non si devono verificare fenomeni di inquinamento significativi;

c) deve essere evitata la produzione di rifiuti, a norma della quarta parte del decreto; in caso contrario i rifiuti sono recuperati o, ove ciò sia tecnicamente ed economicamente impossibile, sono eliminati evitandone e riducendone l'impatto sull'ambiente, secondo le disposizioni della medesima quarta parte del decreto;

d) l'energia deve essere utilizzata in modo efficace ed efficiente;

e) devono essere prese le misure necessarie per prevenire gli incidenti e limitarne le conseguenze;

f) deve essere evitato qualsiasi rischio di inquinamento al momento della cessazione definitiva delle attività e il sito stesso deve essere ripristinato ai sensi della normativa vigente in materia di bonifiche e ripristino ambientale.

 

L’art. 29-septies dispone, inoltre, che se, a seguito di una valutazione dell'autorità competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità ambientale, l'autorità competente può prescrivere nelle autorizzazioni integrate ambientali misure supplementari particolari più rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale.

 

Relativamente al rinnovo e al riesame dell’AIA, si ricorda che, ai sensi dell’art. 29-octies, l'autorità competente rinnova ogni cinque anni l’AIA, mentre il riesame è effettuato dalla medesima autorità, anche su proposta delle amministrazioni competenti in materia ambientale, comunque quando:

a) l'inquinamento provocato dall'impianto è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell'autorizzazione o l'inserimento in quest'ultima di nuovi valori limite;

b) le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una notevole riduzione delle emissioni senza imporre costi eccessivi;

c) la sicurezza di esercizio del processo o dell'attività richiede l'impiego di altre tecniche;

d) nuove disposizioni legislative comunitarie o nazionali lo esigono.

 

Il comma 5 dell’art. 29-octies dispone altresì che in caso di rinnovo o di riesame dell'autorizzazione, l'autorità competente può consentire deroghe temporanee ai requisiti ivi fissati, se un piano di ammodernamento da essa approvato assicura il rispetto di detti requisiti entro un termine di sei mesi, e se il progetto determina una riduzione dell'inquinamento.

 

L’art. 29-decies disciplina invece il controllo del rispetto delle condizioni dell'AIA, affidandone (al comma 3) la competenza all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA (anche avvalendosi delle agenzie regionali e provinciali territorialmente competenti), per impianti di competenza statale, o alle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente (ARPA-APPA), negli altri casi. Il comma 4 dispone altresì che l'autorità competente può disporre ispezioni straordinarie sugli impianti autorizzati.

Il comma 8 prevede la pubblicità dei risultati del controllo delle emissioni, richiesti dalle condizioni dell'AIA e in possesso dell'autorità competente.

Ai sensi del comma 9, in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, o di esercizio in assenza di autorizzazione, l'autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni:

a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità;

b) alla diffida e contestuale sospensione dell'attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per l'ambiente;

c) alla revoca dell'AIA e alla chiusura dell'impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo e di danno per l'ambiente.

Il comma 10 dispone altresì che in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l'autorità competente, ove si manifestino situazioni di pericolo o di danno per la salute, ne dà comunicazione al sindaco ai fini dell'assunzione delle eventuali misure ai sensi dell'art. 217 del R.D. 1265/1934.

Si ricorda che ai sensi degli art. 216 e 217 del R.D. 1265/1934, il sindaco è titolare di un generale potere di vigilanza sulle industrie insalubri e pericolose che può anche concretarsi nella prescrizione di accorgimenti relativi allo svolgimento dell'attività, volti a prevenire, a tutela dell'igiene e della salute pubblica, situazioni di inquinamento.

 

Il comma 3introduce una misura sanzionatoria, aggiuntiva rispetto al quadro normativo previgente, stabilendo che, fermo restando quanto previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del Codice dell’ambiente e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio (penali e amministrative) contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA costituisce illecito amministrativo punito con sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato.

Si ricorda che l’art. 29-decies del D.Lgs. 152/2006 prevede, ai commi 9-10, una serie di sanzioni amministrative (diffida, sospensione dell’attività, revoca dell’AIA e chiusura dell’impianto) in caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’AIA.

L’art. 29-quattuordecies elenca, invece, le diverse ipotesi sanzionatorie (di natura sia contravvenzionale che amministrativa) collegate all’inosservanza degli obblighi imposti dalla disciplina dell’AIA.

Il comma 3 dispone altresì che la sanzione prevista è irrogata dal Prefetto competente per territorio.

 

In ordine alla formulazione del testo, si evidenzia che la competenza del prefetto è ricavabile dall'art. 17, comma 1, della L. 689/1981. Il richiamo all'art. 16 della medesima legge è inesatto in quanto si tratta della disposizione che disciplina il pagamento in misura ridotta.

 

Ai sensi del comma 4 le disposizioni recate dal comma 1, che consentono allo stabilimento di proseguire l’attività alle condizioni indicate, trovano applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento.

In tal caso, i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio dell'attività d'impresa.

 

Il sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) è una misura cautelare reale, finalizzata ad impedire che la libera disponibilità di "una cosa pertinente al reato" possa aggravare o protrarre le conseguenze dell'illecito, ovvero agevolare la commissione di altri reati (comma 1).

La funzione dell’istituto è, quindi, quella di inibire possibili attività illecite ponendo un vincolo di indisponibilità sui beni oggetto di sequestro. Nel necessario bilanciamento di interessi, il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato ovvero la possibile agevolazione della commissione di altri illeciti giustifica la compressione di diritti individuali costituzionalmente garantiti come il diritto di proprietà privata e di libera iniziativa economica.

Le condizioni per la legittima adozione della misura, richiesta dal pubblico ministero e di competenza del giudice (il giudice del merito o, nella fase delle indagini preliminari, il GIP), consistono nella presenza contemporanea di due elementi:

§         il fumus delicti;

§         il periculum in mora.

In relazione al primo, va sottolineato che il sequestro non mira all’accertamento di un possibile reato ma presuppone che un reato sia stato commesso ovvero sussistano elementi che rendano anche solo ipotizzabile il reato per cui si procede (Cassazione, sent. n. 35312 del 2011). Diversamente che nella disciplina delle misure cautelari personali, per l’adozione della misura non rileva la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ed ai fini della verifica della legittimità del provvedimento è preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi (Cassazione SS.UU. sent. n. 4 del 1993). La verifica del cosiddetto "fumus" del reato non può estendersi fino a far coincidere l'esame con un vero e proprio giudizio di colpevolezza, dovendo restar fuori dall'indagine il complesso degli elementi di valutazione che concorrono ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'indagato, ed essendo sufficiente la semplice enunciazione, che non sia manifestamente arbitraria, di un'ipotesi di reato, in relazione alla quale si manifesti, almeno allo stato, la necessità di escludere la libera disponibilità della cosa pertinente a quel reato, stante il pericolo che siffatta libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato.

Non rileva, ai fini della legittimità della misura, che l’illecito sia attribuito direttamente al soggetto nei cui confronti è adottato il sequestro. Si potranno, così, sequestrare beni di terzi estranei, prevalendo l’interesse generale alla tutela di prevenzione sociale della collettività ma il bene oggetto della misura deve essere, sebbene indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (Cassazione, sent. n. 32964 del 2009) .

Il collegamento che si viene a stabilire fra la misura cautelare e il reato circoscrive l'ambito di applicazione del sequestro preventivo, il quale "non deve in sostanza esorbitare dalla cornice dell'imputazione, non potendo l'autorità giudiziaria sostituirsi all'autorità amministrativa in attività di prevenzione non finalizzate contestualmente alla repressione del reato" (Amodio-Dominioni)[6]

In relazione, invece, al pericolo nel ritardo, esso deve intendersi non come generica ed astratta eventualità, ma come concreta, imminente ed elevata possibilità, desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, che nel caso in cui il bene da sequestrare, pertinente al reato sia lasciato nella libera disponibilità del soggetto indagato, possa effettivamente assumere carattere strumentale ad un aggravamento e alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o agevolazione della commissione di altri reati (Cassazione, sent. n. 11769 del 2008). Non è di ostacolo aIl’adozione della misura cautelare la cessazione della condotta illecita ed il periculum in mora deve essere inteso, quindi, in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro, ed il legame del bene sequestrato col reato commesso (ovvero a quelli di cui si paventa la realizzazione) non deve essere meramente occasionale ed episodico (Cassazione, sent. n. 35394 del 2011).

In relazione alla definizione di cosa pertinente al reato (che comprende anche il corpo del reato, Cassazione, sent. 17372 del 2009), detta nozione deve essere collegata alla finalità di impedire che la disponibilità della cosa da parte dell'indagato costituisca un pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di altri reati, sempre che esista una relazione specifica e stabile tra la cosa sottoposta a sequestro e l'attività illecita e purché risulti probabile che, in caso di libera disponibilità della cosa, la condotta vietata venga reiterata (Cassazione, sent. n. 42982 del 2003). Quindi la definizione della "cosa pertinente al reato" va operata in relazione alla concreta vicenda oggetto del procedimento: in linea generale, può dirsi che è cosa pertinente al reato non solo quella che è servita per commettere il reato, ma anche quella indirettamente legata alla fattispecie illecita, in quanto strutturalmente funzionale alla possibile reiterazione dell'attività criminosa. Poiché, in astratto, ogni cosa può servire per commettere reati futuri, la sequestrabilità ai fini preventivi va limitata alle cose munite di una pericolosità intrinseca, ossia una specifica e strutturale strumentalità rispetto a possibili illeciti futuri.

Oggetto del sequestro preventivo di cui all’art. 321 può, quindi, essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente, compresa persona estranea al reato - purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. Tra i beni sequestrabili sono certamente compresi i beni aziendali; secondo Cassazione, sent. 29797 del 2001 è, ad esempio, legittimo il sequestro di un'intera azienda allorché vi siano indizi che anche taluno soltanto dei beni aziendali sia, proprio per la sua collocazione strumentale, in qualche modo utilizzato per la consumazione del reato, a nulla rilevando che l'azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali.

L’art 104 delle norme di attuazione del c.p.p. (D.Lgs 271/1989) prevede che il sequestro preventivo sia eseguito: a) sui beni mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili; b) sui beni immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici; c) sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l’immissione in possesso dell’amministratore, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l’impresa; d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese; e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario ai sensi dell’articolo 15 del D.P.R. n. 398/2003 (TU in materia di debito pubblico).

Il successivo art. 104-bis, nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione[7], impone all’autorità giudiziaria la nomina di un amministratore giudiziario scelto nell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari. Con decreto motivato, la custodia dei beni suddetti può, tuttavia, essere affidata dal giudice anche a soggetti diversi da quelli sopraindicati.

In merito alla possibilità di continuazione dell’attività produttiva durante il sequestro di compendio aziendale, va segnalata la sentenza della Cassazione n. 35801 del 2010. La Suprema Corte, con la citata decisione, ha rigettato il ricorso del PM avverso il decreto del GIP che, disponendo il sequestro preventivo dello stabilimento della Acciaieria Valsugana s.p.a., permetteva la prosecuzione dell'attività industriale, nominando un custode che - in attesa della messa a norma degli impianti di smaltimento fumi e polveri - veniva autorizzato a gestire l'impresa onde salvaguardare l'attuale livello occupazionale.

 

Il comma 2 dell’art. 321 prevede che il giudice possa, altresì, disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca[8]. il sequestro preventivo in questione, funzionale alla confisca, costituisce figura autonoma e specifica, distinto rimedio rispetto a quello regolato dal comma 1. La misura è, infatti, applicabile indipendentemente dalla sussistenza dei presupposti previsti dal sequestro preventivo tipico (pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato, ovvero, agevolare la commissione di altri reati), essendo sufficiente il requisito della confiscabilità, non subordinata alla pericolosità sociale dell'agente. In altri termini, questa figura di sequestro non sottende alcuna prognosi di pericolosità connessa con la libera disponibilità delle cose medesime le quali, proprio perché confiscabili, sono di per sé oggettivamente pericolose indipendentemente dal fatto che si versi in materia di confisca obbligatoria o facoltativa.

Il comma 2-bis introduce la possibilità di disporre il sequestro preventivo dei beni di cui è consentita la confisca nel corso di procedimenti penali concernenti delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione

Il comma 3 dell’art. 321 concerne la possibile istanza di revoca del sequestro preventivo su richiesta del pubblico ministero o dell'interessato. L’istanza è giustificata dalla mancanza, anche per fatti sopravvenuti, delle condizioni di applicabilità previste dal comma 1[9]. Non possono, quindi, essere fatte valere con l’istanza di revoca ragioni attinenti la legittimità "ab origine" del sequestro stesso poiché per la valutazione di tali profili occorre tempestivamente ricorrere agli strumenti appositamente previsti dall'ordinamento, proponendo nei termini tassativamente fissati appello o richiesta di riesame del provvedimento. Nel corso delle indagini preliminari provvede lo stesso pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se la revoca è chiesta dall'interessato, il pubblico ministero, quando ritiene sia anche solo parzialmente da respingere, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria.

Il comma 3-bis prevede una deroga alla disciplina della competenza all’adozione del sequestro preventivo. Infatti, durante la fase delle indagini preliminari, quando la situazione di urgenza rende impossibile attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Analoga possibilità è data altresì agli ufficiali di polizia giudiziaria ove, per la situazione di urgenza, non è possibile attendere il provvedimento del pubblico ministero al quale, nelle 48 ore successive, va comunque trasmesso il verbale dell'atto (questo termine temporale ha carattere perentorio, onde la sua inosservanza determina il dovere per l'organo inquirente di disporre la restituzione delle cose sequestrate; tuttavia, in considerazione dell'autonomia dei due provvedimenti, la decorrenza del lasso temporale indicato non preclude al P.M. la richiesta di imposizione del vincolo reale al G.I.P.). La situazione di urgenza che porta gli ufficiali di polizia giudiziaria a procedere al sequestro di iniziativa, può verificarsi sia nell'ipotesi in cui gli stessi agiscano di loro iniziativa, sia in quella in cui operino eseguendo un compito loro affidato dall'autorità giudiziaria.

Il PM, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, deve in ogni caso richiedere al giudice la convalida e l'emissione del decreto di sequestro preventivo entro 48 ore (dal sequestro, se disposto dallo stesso PM, o dalla ricezione del verbale, se la misura è stata eseguita dalla polizia giudiziaria).

Il comma 3-ter stabilisce la perentorietà dei termini di cui al comma 3-bis, alla cui inosservanza consegue la perdita di efficacia del sequestro; analogo effetto deriva dalla mancata emissione, entro 10 gg. dalla ricezione della richiesta, dell'ordinanza di convalida della misura da parte del giudice. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate.

 

L’opposizione al decreto di sequestro preventivo può avvenire mediante richiesta di riesame (art. 322 c.p.p.)

Contro il decreto, infatti, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame al tribunale, anche nel merito.

La richiesta di riesame, che non sospende l'esecuzione del provvedimento cautelare, è avanzata al tribunale competente entro 10 gg. dalla data di esecuzione del provvedimento che ha disposto il sequestro (o dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto notizia dell’avvenuto sequestro). Entro 10 gg. dalla ricezione degli atti, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il decreto (cd. tribunale della libertà), decide in composizione collegiale, con procedimento camerale.

Può, invece, ex art. 322-bis c.p.p., essere proposto appello (alternativo al riesame) avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero. Le ordinanze in materia di sequestro preventivo appellabili sono, tuttavia, quelle di natura non costitutiva (ovvero di modifica, sostituzione, revoca della misura o di rigetto delle relative istanze). Come per il riesame, la titolarità alla proposizione dell’appello appartiene al pubblico ministero, all'imputato e al suo difensore, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Giudice del gravame è, anche qui, il tribunale della libertà.

Le decisioni del tribunale della libertà, sia sulla richiesta di riesame che sull’appello, sono ricorribili per cassazione.

La sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, anche se impugnabili, determina il venir meno degli effetti cautelari ed il sequestro preventivo perde di efficacia (art. 323 c.p.p.); il giudice, se non deve ordinarne la confisca penale ex art. 240 c.p, dovrà ordinare la restituzione delle cose sequestrate all’avente diritto. Non si procede alla restituzione, invece, se a richiesta del PM o della parte civile, il giudice disponga che le cose siano mantenute sotto sequestro (che, di fatto, si trasforma in conservativo) a garanzia del pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento o altra somma dovuta all’erario. Se, al contrario, è pronunciata sentenza di condanna il sequestro rimane efficace solo quando la sentenza ha disposto anche la confisca delle cose sequestrate.

 

Il comma 5 impone al Ministro dell'ambiente di riferire semestralmente al Parlamento circa l’ottemperanza delle prescrizioni impartite nei casi di cui al presente articolo.

 

Si fa notare che la norma fa riferimento alle prescrizioni contenute nell'AIA. Sembrerebbe però opportuno, alla luce del disposto del comma 1, richiamare il rispetto delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA, poiché è a tale rispetto che il comma vincola la prosecuzione dell’attività produttiva.

 


Art. 2
(Responsabilità nella conduzione degli impianti)

1. Nei limiti consentiti dal presente decreto, rimane in capo ai titolari dell'autorizzazione integrata ambientale di cui all'articolo 1, comma 1, la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti di interesse strategico nazionale anche ai fini dell'osservanza di ogni obbligo, di legge o disposto in via amministrativa, e ferma restando l'attività di controllo dell'autorità di cui all'articolo 29-decies, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, e successive modificazioni.

 

L’art. 2 dispone che, nei limiti consentiti dal decreto, la gestione degli impianti di interesse strategico nazionale ai fini dell'attuazione delle prescrizioni contenute nell'AIA, nonché le responsabilità derivanti da ogni obbligo di legge o disposto in via amministrativa, restano in capo esclusivamente ai titolari dell'AIA medesima.

Viene altresì disposto che resta ferma l’attività di controllo prevista dall’art. 29-decies, comma 3, del D.Lgs. 152/2006.

 

Tale comma prevede che l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), per gli impianti di competenza statale, o le agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente, negli altri casi, accertino, secondo quanto previsto e programmato nell'AIA, con oneri a carico del gestore:

a) il rispetto delle condizioni dell'AIA;

b) la regolarità dei controlli a carico del gestore, con particolare riferimento alla regolarità delle misure e dei dispositivi di prevenzione dell'inquinamento nonché al rispetto dei valori limite di emissione;

c) che il gestore abbia ottemperato ai propri obblighi di comunicazione e in particolare che abbia informato l'autorità competente regolarmente e, in caso di inconvenienti o incidenti che influiscano in modo significativo sull'ambiente, tempestivamente dei risultati della sorveglianza delle emissioni del proprio impianto.

 

In proposito, la relazione illustrativa sottolinea che i compiti di ISPRA vengono rafforzati “sia dalle previsioni contenute nell'AIA in ordine alla verifica trimestrale, sia attraverso l'attività di collaborazione con l'apposito Garante di cui al successivo articolo 3”. Si segnala, infatti, che l’articolo 1, comma 3, dell’AIA prescrive all’ILVA di trasmettere all’ente di controllo ogni tre mesi una relazione contenente un aggiornamento dello stato di attuazione degli interventi strutturali e gestionali previsti.


Art. 3
(Efficacia dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata in data 26 ottobre 2012 alla società ILVA S.p.A. Controlli e garanzie)

1.L'impianto siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale a norma dell'articolo 1.

2.           L'autorizzazione integrata ambientale rilasciata in data 26 ottobre 2012 alla società ILVA S.p.A. con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. DVA/DEC/2012/0000547, nella versione di cui al comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 27 ottobre 2012, contiene le prescrizioni volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto a norma dell'articolo 1.

3.           A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la società ILVA S.p.A. di Taranto è immessa nel possesso dei beni dell'impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento di cui al comma 2, alla prosecuzione dell'attività produttiva nello stabilimento ed alla conseguente commercializzazione dei prodotti per un periodo di 36 mesi, ferma restando l'applicazione di tutte le disposizioni contenute nel presente decreto.

4.           Entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai fini del monitoraggio dell'esecuzione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione integrata ambientale di cui al comma 2, è nominato, per un periodo non superiore a tre anni, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro della salute, un Garante, di indiscussa indipendenza competenza ed esperienza, incaricato di vigilare sulla attuazione delle disposizioni del presente decreto. Se dipendente pubblico, il Garante viene collocato in posizione di fuori ruolo per tutta la durata dell'incarico.

5.           Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è definito il compenso del Garante in misura non superiore a duecentomila euro lordi annui. Si applica l'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

6. Il Garante, avvalendosi, senza oneri a carico della finanza pubblica, dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale nell'ambito delle competenze proprie dell'Istituto e sentendo le rappresentanze dei lavoratori, acquisisce le informazioni e gli atti ritenuti necessari che l'azienda, le amministrazioni e gli enti interessati devono tempestivamente fornire, segnalando al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute eventuali criticità riscontrate nell'attuazione della predetta autorizzazione e proponendo le idonee misure, ivi compresa l'eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria anche in considerazione degli articoli 41 e 43 della Costituzione.

 

L’articolo 3 disciplina l’efficacia dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata alla società ILVA S.p.A. in data 26 ottobre 2012 e il sistema dei controlli e delle garanzie che presiedono alla sua attuazione.

 

In particolare, il comma 1 dispone che l'impianto siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale a norma dell'articolo 1, comma 1. Con tale disposizione la natura di interesse strategico dello stabilimento è dichiarata con norma di rango primario anziché con il D.P.C.M. di cui al medesimo articolo 1, comma 1.

 

La disposizione in esame assume quindi una connotazione provvedimentale e si inserisce in fattispecie incisa da provvedimenti giurisdizionali.

In merito, si fa presente che la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi con riferimento alle cosiddette leggi-provvedimento e alle norme retroattive.

 

La Corte individua come leggi-provvedimento le norme che incidono su un numero determinato e limitato di destinatari, presentando un contenuto particolare e concreto. Le leggi-provvedimento sono considerate di per sé ammissibili, poiché non è vietata l'attrazione alla legge della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all'autorità amministrativa (sentenza 270/2010, sentenza n. 137 del 2009, e n. 267 del 2007), purchè siano osservati i principi di ragionevolezza e non arbitrarietà e dell'intangibilità del giudicato e non sia vulnerata la funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso (sentenza n. 94/2009; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 288 e n. 241 del 2008, n. 267 e n. 11 del 2007, n. 282 del 2005).

La Corte costituzionale esclude dunque che all'adozione di una determinata disciplina con norme di legge sia di ostacolo la circostanza che, in sede giurisdizionale, sia stata ritenuta illegittima quella contenuta in una fonte normativa secondaria o in un atto amministrativo. In tal caso è escluso che sia compromessa la funzione giurisdizionale, poiché legislatore e giudice continuano a muoversi su piani diversi: il primo fornisce regole di carattere tendenzialmente generale e astratto; il secondo applica il diritto oggettivo ad una singola fattispecie (sentenza n. 94/2009; nello stesso senso ordinanze n. 32 del 2008, n. 352 del 2006, sentenze n. 211 del 1998, n. 263 del 1994). Sono, invece, censurabili le norme il cui intento non sia quello di stabilire una regola astratta, ma di incidere su di un giudicato, non potendo ritenersi consentito al legislatore di risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie e di vanificare gli effetti di una pronuncia giurisdizionale divenuta intangibile, violando i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi (sentenza n. 94/2009; sentenza n. 374 del 2000)

Quanto al rapporto tra leggi-provvedimento e principio di uguaglianza, la Corte costituzionale ha rilevato che la legittimità delle leggi-provvedimento deve essere valutata in relazione al loro specifico contenuto; esse, proprio in relazione al pericolo di ingiustificate disparità di trattamento che è insito nella adozione di disposizioni legislative di tipo particolare, sono soggette ad un controllo stretto di costituzionalità, essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della ragionevolezza, in tal modo garantendo i soggetti interessati dagli effetti dell’atto, il cui scrutinio sarà tanto più stringente quanto più marcati sono i profili provvedimentali caratteristici della legge soggetta al controllo (sentenza n. 289/2010, nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 241 del 2008 e n. 267 del 2007).

Secondo la sentenza n. 270/2010, che ripercorre la precedente giurisprudenza, la legittimità di questo tipo di leggi va, in particolare, «valutata in relazione al loro specifico contenuto» (sentenze n. 137 del 2009, n. 267 del 2007 e n. 492 del 1995) e devono risultare i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione (sentenza n. 137 del 2009). Peraltro, poiché la motivazione non inerisce agli atti legislativi (sentenza n. 12 del 2006), è sufficiente che detti criteri, gli interessi oggetto di tutela e la ratio della norma siano desumibili dalla norma stessa, anche in via interpretativa, in base agli ordinari strumenti ermeneutici, fermo restando che il sindacato della Corte sulla eventuale irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore «non può spingersi fino a considerare la consistenza degli elementi di fatto posti a base della scelta medesima» (sentenze n. 347 del 1995 e n. 66 del 1992).»

 

Con riferimento all'emanazione di leggi con efficacia retroattiva, secondo la giurisprudenza della Corte, il legislatore incontra una serie di limiti che attengono alla salvaguardia di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 282/2005; nello stesso senso, sentenze n. 376 del 2004, n. 291 del 2003 e n. 446 del 2002). In particolare, al legislatore è precluso intervenire, con norme aventi portata retroattiva, per annullare gli effetti del giudicato: se vi fosse un'incidenza sul giudicato, la legge non si limiterebbe a muovere, come ad essa è consentito, sul piano delle fonti normative, attraverso la precisazione della regola e del modello di decisione cui l'esercizio della potestà di giudicare deve attenersi, ma lederebbe i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e le disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (sentenza n. 282/2005, nello stesso senso sentenze sentenza n. 525 del 2000, n. 374 del 2000 e n. 15 del 1995).»

Inoltre, con riguardo al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, secondo la sentenza n. 93/2011, la retroattività della norma reca vulnus alle stesse, quando travolge gli effetti di pronunce divenute irrevocabili (sentenze n. 209 del 2010, n. 364 del 2007) e, comunque, nel caso in cui la disposizione non stabilisce una regola astratta, ma mira a risolvere specifiche controversie (ex plurimis, sentenza n. 94 del 2009), risultando diretta ad incidere sui giudizi in corso, per determinarne gli esiti (sentenza n. 170 del 2008).

Nella sentenza n. 364/2007, la Corte ha infine ritenuto che i limiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale all’emanazione di norme retroattive siano comunque applicabili alle disposizioni idonee a travolgere provvedimenti giurisdizionali definitivi, anche se non configurate come retroattive in senso tecnico (nel caso di specie la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che disponeva l’inefficacia di decreti ingiuntivi e sentenze divenute esecutive, nonché l’inefficacia dei conseguenti pignoramenti).

 

Per quanto riguarda altri precedenti interventi normativi incidenti su provvedimenti dell’autorità giudiziaria, si ricorda che:

§         il decreto-legge n. 61/2007 - recante interventi straordinari per superare l' emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per garantire l'esercizio dei propri poteri agli enti ordinariamente competenti - prevede che il Commissario delegato può utilizzare, anche tramite requisizione, gli impianti, le cave dismesse o abbandonate, le discariche che presentano volumetrie disponibili, anche se sottoposti a provvedimento di sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria. Si dispone direttamente la sospensione dell’efficacia di tale provvedimento dall’adozione del provvedimento di requisizione fino alla cessazione dello stato di emergenza;

§         il decreto-legge n. 90/2008, - recante misure straordinarie  per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile –attribuisce, all’art. 2, la qualifica di “aree di interesse strategico nazionale” ai siti, alle aree e agli impianti comunque connessi all'attività di gestione dei rifiuti . L’articolo 3 reca disposizioni finalizzate a definire - in via transitoria e fino al termine dello stato emergenziale - la competenza dell’autorità giudiziaria nei procedimenti penali relativi alla gestione dei rifiuti nella regione Campania. La nuova disciplina è applicabile anche ai procedimenti in corso per i quali non sia stata ancora esercitata l’azione penale. Inoltre, le misure cautelari già disposte dal PM o convalidate dal GIP perdono efficacia se non sono convalidate, entro 20 giorni dalla trasmissione degli atti, dal tribunale collegiale.

 

Si ricorda inoltre che il D.L. 28 aprile 2010, n. 62, recante temporanea sospensione di talune demolizioni disposte dall'autorità giudiziaria in Campania, prevedeva la sospensione fino al 30 giugno 2011 delle demolizioni di immobili destinati esclusivamente a prima abitazione, siti nel territorio della regione Campania, disposte a seguito di sentenza penale, purché riguardanti immobili occupati stabilmente da soggetti sforniti di altra abitazione e concernenti abusi realizzati entro il 31 marzo 2003.

Nel corso dell’esame presso la Camera, è stata approvata, nella seduta dell’8 giugno 2010, la questione pregiudiziale di costituzionalità Donadi ed altri n. 1.

La questione pregiudiziale, oltre a sottolineare la violazione del principio di uguaglianza conseguente all’applicazione del decreto nella sola regione Campania e l’assenza dei requisiti di necessità e urgenza prescritti dall’art. 77 Cost., rileva che la disciplina recata dal decreto “rappresenta inevitabilmente una violazione del principio della separazione dei poteri”, realizzando “una palese interferenza del legislatore che interviene su sentenze passate in giudicato, peraltro contro ogni principio della certezza del diritto e della pena con riferimento al delicato profilo del rapporto tra legislazione e giudicato”.

La pregiudiziale richiama altresì la lettera che il Presidente della Repubblica, aveva inviato al Presidente del Consiglio in data 6 febbraio 2009, precedentemente all'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un decreto-legge in relazione al caso di Eluana Englaro. In tale lettera, il Presidente della Repubblica rilevava come «il fondamentale principio della distinzione e del reciproco rispetto tra poteri e organi dello Stato non consente al legislatore di disattendere la soluzione che - nel caso di specie - sia stata già individuata da una decisione giudiziaria definitiva sulla base dei principi, anche costituzionali, desumibili dall'ordinamento giuridico vigente».

 

Risalendo più indietro nel tempo può essere richiamata la vicenda del decreto-legge 20 ottobre 1984, n. 694, recante misure urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive, che consentiva, fino alla approvazione della nuova disciplina del settore radio-televisivo e comunque per non oltre un anno, la prosecuzione delle attività delle singole emittenti radiotelevisive private. Il decreto interveniva dopo l’adozione di provvedimenti dell’autorità giudiziaria che inibivano lo svolgimento delle predette attività.

Il decreto-legge fu respinto dalla Camera nella seduta del 28 novembre 1984, a seguito dell’approvazione, con votazione segreta, di 7 questioni pregiudiziali di costituzionalità. Le questioni pregiudiziali evidenziavano la violazione degli articolo 3, 21, 41 e 43 della Costituzione, nonché il contrasto con il principio  della separazione tra potere legislativo e potere giudiziario, di cui agli articoli 70, 101, e 136 della Costituzione.

Sulla stessa materia intervenne peraltro successivamente il decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807, che dettava, fra l’altro, una analoga disciplina transitoria, valida fino alla data di entrata in vigore della legge generale sul sistema radiotelevisivo in materia di trasmissioni radiotelevisive. Il decreto fu convertito dalla legge 4 febbraio 1985, n. 10 

 

In merito all’eventualità di conflitti di attribuzione riferite a fattispecie incise sia da provvedimenti normativi sia da provvedimenti giurisdizionali, la competenza della Corte costituzionale in ordine alla risoluzione dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato si configura non come controllo su atti illegittimi, ma giudizio sulla esatta spettanza delle competenze. Come precisato infatti dalla Corte stessa il conflitto di attribuzioni non è “un giudizio sulla legittimità di atti”, ma è “garanzia dell’ordine costituzionale delle competenze quale che possa essere la natura dell’atto cui, in ipotesi, sia ascrivibile la lesione delle competenze medesime” (sent. 457/1999).

Per quanto attiene alla possibilità che il conflitto sorga in relazione ad atti legislativi o ad essi equiparati la giurisprudenza della Corte costituzionale ha subito rilevanti evoluzioni. La posizione iniziale (sent. 406 del 1989) in base alla quale la Corte escludeva la sindacabilità di un atto legislativo appare superata a partire dalle decisioni nn. 161 e 480 del 1995 nelle quali la Corte ha ammesso il conflitto avente ad oggetto un decreto legge. In particolare nella sentenza n. 161 del 1995 la Corte ha rilevato che “nei casi in cui il giudizio in via incidentale si riveli insufficiente il conflitto possa essere la forma necessaria per apprestare una difesa in grado di unire all’immediatezza l’efficacia”.

L'estensione della garanzia costituzionale del conflitto nei confronti di un «provvedimento provvisorio» adottato dal Governo sotto la propria responsabilità è stata giustificata in relazione al fatto che, in determinate ipotesi, l'impiego del decreto-legge può condurre a comprimere diritti fondamentali, a incidere sulla materia costituzionale, a determinare situazioni non più reversibili né sanabili anche a seguito della perdita di efficacia della norma.

Successivamente l’applicabilità del conflitto è stata estesa anche alla legge (ord. n. 480 del 1995) e al decreto legislativo (sent. n. 457 del 1999), con la precisazione contenuta nella sent. n. 221 del 2002, secondo cui la configurabilità del conflitto costituzionale di attribuzioni in relazione ad atti di valore legislativo va ammessa “tutte le volte in cui da essi possano derivare lesioni dirette dell’ordine costituzionale delle competenze e non esista un giudizio nel quale tale norma debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge”.

 

Il comma 2 stabilisce che le prescrizioni volte a consentire la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento ILVA di Taranto sono esclusivamente quelle contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA emanato con D.M. Ambiente 26 ottobre 2012, n. DVA/DEC/2012/0000547, di cui al comunicato pubblicato nella G.U. n. 252 del 27 ottobre 2012[10]. Si provvede pertanto a attribuire valenza di norma di rango primario al provvedimento di riesame dell’autorizzazione.

 

In base al comma 3, con decorrenza dalla data di entrata in vigore del decreto, la società ILVA S.p.A. di Taranto:

§         è immessa nel possesso dei beni dell'impresa;

§         è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento di riesame dell’AIA, alla prosecuzione dell'attività produttiva nello stabilimento e alla conseguente commercializzazione dei prodotti per un periodo di 36 mesi, ferma restando l'applicazione di tutte le disposizioni contenute nel decreto.

 

La prosecuzione dell’attività produttiva risulta così autorizzata con fonte legislativa e non con provvedimento del Ministro come previsto dall’articolo 1.

 

Si osserva, inoltre, che la prosecuzione dell’attività che, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, è disposta in sede di riesame dell’AIA, è stabilita con la norma in commento.

 

Ai sensi del comma 4, ai fini del monitoraggio dell'esecuzione delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA, viene prevista la nomina, per un periodo non superiore a tre anni, di un Garante di indiscussa indipendenza, competenza ed esperienza, incaricato di vigilare sull’attuazione delle disposizioni del decreto.

Tale nomina dovrà avvenire entro dieci giorni dall’entrata in vigore del decreto legge, con D.P.R. su proposta del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e della salute, previa delibera del Consiglio dei Ministri.

Qualora il Garante sia un dipendente pubblico, verrà collocato in posizione di fuori ruolo per tutta la durata dell’incarico.

 

Si osserva che la norma provvede ad affidare a un Garante la vigilanza sull’attuazione del decreto anche ai fini di monitoraggio dell’esecuzione delle prescrizioni dell’AIA; in proposito, va comunque ricordato che, come già precedentemente rilevato, la normativa vigente in materia di AIA, e precisamente l’articolo 29-decies, comma 3, del Codice ambientale attribuisce all’ISPRA o alle agenzie regionali e provinciali per l’ambiente la competenza per l’accertamento, tra l’altro, del rispetto delle condizioni dell’autorizzazione integrata ambientale e della regolarità dei controlli a carico del gestore. Il comma 6, peraltro, prevede che il Garante si avvalga dell’ISPRA nello svolgimento dei suoi compiti.

 

Il comma 5 prevede che il compenso del Garante sia definito con apposito D.P.C.M.

Viene altresì fissato, per tale compenso, un tetto massimo di 200.000 euro lordi annui. Si applica l'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011.

 

L'art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011[11] (inserito in sede di conversione dalla legge n. 214 del 2011) prevede la definizione del trattamento economico di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni dalle pubbliche amministrazioni attraverso, l’emanazione di un DPCM, previo parere delle Commissioni parlamentari, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. Si ricorda che, ai sensi del comma 1 dell’art. 23-ter, tale definizione va effettuata adottando come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del Primo presidente della Corte di cassazione che assume, quindi, la funzione di indice di riferimento costante per la definizione del trattamento economico di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con amministrazioni statali, compreso il c.d. personale non contrattualizzato[12].

In attuazione di quanto sopra disposto è stato emanato il DPCM 23 marzo 2012[13]che fissa il livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali in euro 293.658,95, cifra equivalente a quella spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione nell'anno 2011.

Va segnalato che tale ammontare sconta un effetto riduttivo derivante da disposizioni contenute nel D.L. 78/2012 - che hanno inciso il trattamento dei magistrati  - che dovrebbe essere annullato in conseguenza della declaratoria di illegittimità di tali disposizioni contenuta nella sentenza 233/2012 della Corte costituzionale.

 

In base al comma 6, il Garante, che, come già anticipato, si avvale dell’ISPRA, nell’ambito delle competenze proprie dell’istituto, e sentite le rappresentanze dei lavoratori:

 

§         acquisisce le informazioni e gli atti ritenuti necessari, che i soggetti pubblici e privati cui sono richiesti sono tenuti a fornire tempestivamente;

 

§         segnala al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri dell'ambiente e della salute, eventuali criticità riscontrate nell’attuazione del provvedimento di riesame dell’AIA;

 

§         propone le misure idonee a risolverle, ivi compresi eventuali provvedimenti di amministrazione straordinaria, anche in considerazione degli articoli 41[14] e 43[15] della Costituzione.

La vicenda ILVA

La vicenda dello stabilimento ILVA di Taranto è stata ricostruita nel corso dell’informativa resa dal Ministro dell’ambiente nella seduta dell'Assemblea della Camera del 28 novembre scorso[16].

Nel mese di marzo 2012 il Ministero dell'ambiente ha deciso di procedere alla revisione dell’AIA, rilasciata il 4 agosto 2011, in conseguenza dei seguenti eventi:

§         pubblicazione (in data 8 marzo 2012) sulla G.U. dell’UE della decisione della Commissione europea 2012/135/UE, che ha indicato le migliori tecnologie disponibili da impiegare (a decorrere dal 2016) nel settore della siderurgia a livello europeo per assicurare la protezione dell'ambiente e la protezione della salute;

§         lettera della procura della Repubblica di Taranto, pervenuta al Ministero nel febbraio 2012, contenente le perizie epidemiologica e chimico-fisica ordinate dalla procura sullo stabilimento di Taranto;

§         lettera della Regione Puglia contenente gli ultimi dati sulle concentrazioni in atmosfera di benzo(a)pirene, una sostanza chimica pericolosa cancerogena sicuramente prodotta dalle attività dello stabilimento ILVA.

 

Con decreto direttoriale del 15 marzo 2012, prot. n. DVA/DEC/2012/54 è stato disposto d’ufficio l’avvio del riesame dell’AIA rilasciata con decreto del 4 agosto 2011. In particolare con il decreto del 15 marzo 2012 è stato disposto di adeguare l’AIA alle “conclusioni delle BAT” (Best Available Techniques) relative al settore siderurgico, di cui alla decisione della Commissione europea 2012/135/UE (pubblicata sulla G.U.U.E. dell’8 marzo 2012).

Il 25 luglio 2012, dopo l'avvio della procedura di riesame dell’AIA, con ordinanza del GIP di Taranto, su proposta della procura, è stato disposto il sequestro degli impianti dell'area a caldo dello stabilimento, che era oggetto del riesame dell'AIA.

Il riesame intanto è proseguito e, secondo quanto riferito dal Ministro dell’ambiente, il provvedimento di riesame (emanato con il D.M. 26 ottobre 2012, n. DVA/DEC/2012/0000547, di cui al comunicato pubblicato nella G.U. n. 252 del 27 ottobre 2012) ha recuperato, nelle prescrizioni, tutti gli obiettivi e tutte le indicazioni che erano stati forniti dal GIP in merito alla sicurezza degli impianti e al raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale. Tali prescrizioni - sempre secondo il Ministro – “sono state ulteriormente rafforzate con alcune indicazioni tecnologiche puntuali e con la previsione di attivare un sistema di monitoraggio e di valutazione del danno sanitario in relazione alle emissioni inquinanti”[17].

In seguito l'ILVA ha presentato il piano degli interventi, che comporta investimenti per circa 3 miliardi di euro, che è stato infine (in data 15 novembre 2012, dopo i miglioramenti richiesti dal Ministero dell'ambiente) considerato adeguato alle prescrizioni dal Ministero dell'ambiente congiuntamente agli altri Ministeri interessati, alla Regione Puglia, alla Provincia e al Comune di Taranto e al Comune di Statte.

L’avvio delle operazioni di risanamento ambientale prescritte dal provvedimento di riesame dell’AIA era previsto per il 26 novembre. In tale data è stato emanato dal GIP di Taranto il provvedimento di sequestro dell'area a freddo dello stabilimento.

Il 30 novembre 2012, il Gip di Taranto ha respinto la richiesta di dissequestro degli impianti a caldo dell’ILVA avanzata dall’azienda.

Il 5 dicembre 2012, la Procura di Taranto, adeguandosi al contenuto del decreto legge n. 207/2012, entrato in vigore il 3 dicembre 2012, ha rimesso nella disponibilità dell’ILVA gli impianti a caldo; ha dato, invece, parere negativo al dissequestro dei prodotti finiti e semilavorati.

Si segnala, infine, che la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nella seduta del 17 ottobre 2012, ha approvato la relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Puglia, che contiene l'approfondimento effettuato dalla Commissione sulle recenti vicende riguardanti l'impianto Ilva di Taranto[18].

 

Al fine di fronteggiare la grave situazione di criticità ambientale e sanitaria nel sito di Taranto, è stato emanato il D.L. 129/2012 (convertito con la legge 4 ottobre 2012, n. 171). L’art. 1, comma 1, di tale decreto ha demandato a un D.P.C.M. la nomina (per la durata di un anno, prorogabile con un ulteriore D.P.C.M.) di un Commissario straordinario al fine di assicurare l’attuazione degli interventi previsti dal Protocollo d’intesa del 26 luglio 2012, in cui sono compresi gli interventi che fanno riferimento alle risorse stanziate con le delibere CIPE del 3 agosto 2012, per un importo specificato nella norma pari a 110,2 milioni di euro a valere sulle risorse della regione Puglia del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC), la cui realizzazione è ritenuta prioritaria. In proposito, si segnala che la delibera CIPE n. 87 del 3 agosto 2012 ha, tra l'altro, preso atto del citato Protocollo di intesa e ha conseguentemente destinato stanziamenti alla regione Puglia nei settori dei rifiuti, delle bonifiche, della difesa del suolo e del sistema idrico integrato. Di seguito, si descrivono sinteticamente le altre disposizioni del predetto decreto.

L’art. 1, comma 2, precisa che restano fermi gli interventi previsti nel Protocollo di intesa con oneri a carico dell’Autorità portuale di Taranto e che, a tal fine, è assicurato il coordinamento fra il Commissario straordinario nominato ai sensi del comma 1 ed il commissario straordinario dell’Autorità portuale di Taranto.

L’art. 1, comma 3, prevede che all’attuazione degli altri interventi previsti nel Protocollo sono altresì finalizzate risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente per l’esercizio finanziario 2012, nel limite massimo di 20 milioni di euro.

Sulla base di quanto disposto dall’art. 1, comma 5, il Commissario è individuato quale soggetto attuatore per l’impiego delle risorse, per un importo complessivo pari a 44 milioni di euro, del PON (Programma Operativo Nazionale) Ricerca e Competitività, e del (PON) Reti e Mobilità.

Il comma 8 dell’art. 1 prevede, inoltre, che i finanziamenti a tasso agevolato a valere sul cd. Fondo rotativo Kyoto (art. 57 del D.L. 83/2012), fino ad un importo massimo di 70 milioni di euro, possono essere concessi, secondo i criteri e le modalità definiti dal medesimo articolo 57, anche per gli interventi di riqualificazione e di ambientalizzazione compresi nell’area del sito di interesse nazionale di Taranto.

L’art. 2 riconosce, infine, come già rilevato, l’area industriale di Taranto “area in situazione di crisi industriale complessa” ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, che consente di attivare i progetti di riconversione e riqualificazione industriale la cui finalità è quella di agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, dei territori interessati.

 

Si segnala infine che il sito di Taranto è inserito tra i siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) dall’art. 1, comma 4, della L. 426/1998. Con successivo D.M. del 10 gennaio 2000 ne è stata disposta la perimetrazione.

La perimetrazione del SIN di Taranto copre una superficie complessiva pari a circa 115.000 ha, di cui 83.000 ha di superficie marina che interessa l’intera area portuale. Il SIN di Taranto viene anche descritto nell’allegato B al D.M. 18 settembre 2001, n. 468 che riporta, tra l’altro, che “Il comparto siderurgico (ILVA) è il più grande polo nazionale. Nell'area sono inoltre presenti industrie manufatturiere di dimensioni medio-piccole. Il porto di Taranto, che movimenta da 30 a 40 milioni di tonnellate di merci, ed i cantieri militari e civili presenti nell'area, costituisce un'attività industriale primaria a rilevante impatto ambientale. La superficie interessata dagli interventi di bonifica e ripristino ambientale è pari a circa 22,0 km2 (aree private), 10,0 km2 (aree pubbliche), 22,0 km2 (Mar Piccolo), 51,1 km2 (Mar Grande), 9,8 km2 (Salina Grande). Lo sviluppo costiero è di circa 17 km”.

Con il Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale, approvato con il richiamato D.M. 18 settembre 2001, n. 468 in attuazione della citata L. 426/1998, il Governo ha provveduto all’individuazione degli interventi giudicati, per le loro caratteristiche, di interesse nazionale ed ammessi a beneficiare del concorso pubblico di finanziamenti per la loro realizzazione. Al SIN di Taranto sono state assegnate (allegato G) risorse pari a 38,8 miliardi di lire (circa 20 milioni di euro).

In data 26 luglio 2012 è stato stipulato un Protocollo d’intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto tra i Ministeri dell’ambiente, delle infrastrutture, dello sviluppo economico e per la coesione territoriale, la Regione Puglia, la Provincia e il Comune di Taranto e il Commissario straordinario del Porto di Taranto. Il quadro complessivo degli interventi del Protocollo ammonta a 336,7 milioni di euro.

Il 18 settembre 2012, presso il Ministero della Salute è stato presentato il Progetto SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento), finanziato dal Ministero della Salute, che ha valutato la mortalità della popolazione residente in 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche in un periodo di otto anni[19]. In tale studio sono compresi anche i dati relativi al sito di Taranto. E’ stato, altresì, presentato il “Rapporto "Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica", che contiene l’aggiornamento dello Studio Sentieri relativo all'area di Taranto[20]


Art. 4
(Copertura finanziaria)

1. Agli oneri derivanti dall'articolo 3, comma 5, pari a 200 mila euro, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 432, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nell'ambito della quota destinata alle azioni di sistema di cui alla delibera CIPE n. 8 del 20 gennaio 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 25 maggio 2012. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

L’art. 4 provvede alla copertura degli oneri connessi alla remunerazione del Garante (pari a 200.000 euro, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015), mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 432, della L. 266/2005, nell'ambito della quota destinata alle azioni di sistema di cui alla delibera CIPE n. 8 del 20 gennaio 2012 (in G.U. n. 121 del 25 maggio 2012). La relazione tecnica precisa che alla copertura degli oneri si provvede nell’ambito delle risorse destinate alle azioni di sistema, ivi inclusa l’assistenza tecnica e il monitoraggio, nella competenza del Ministero dell’ambiente di cui alla predetta delibera CIPE. Si tratta di risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente ai sensi dell’autorizzazione di spesa di cui al citato articolo 1, comma 432, che viene corrispondentemente ridotta.

 

Nella premesse della delibera CIPE 8/2012[21] si legge che “la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria 2006), all’art. 1 comma 432, ha previsto l’iscrizione presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a partire dall’anno 2006, del Fondo per le esigenze di tutela ambientale, con riserva del 50% da destinare ad interventi urgenti di difesa del suolo nelle aree a rischio idrogeologico e considerato in particolare che, per il triennio 2012-2014, sono iscritte, sul bilancio del detto Ministero, risorse pari a 16.128.808 euro per il 2012 e a 31.290.422 euro per ciascuno dei due anni successivi”. Tali risorse sono allocate nel capitolo 8531/Ambiente “Interventi per la tutela del rischio idrogeologico e relative misure di salvaguardia” “Fondo da ripartire per le esigenze di tutela ambientale”.

 


Art. 5
(Entrata in vigore)

1Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

L’articolo 5 prevede l'entrata in vigore del decreto-legge il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 



[1]    Convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012.

[2]    Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171.

[3] Tali disposizioni sono state inserite all’interno del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente), dal D.Lgs. 128/2010 (c.d. terzo correttivo ambientale), che ha provveduto a trasporre le disposizioni originariamente contenute nel D.Lgs. 59/2005 con cui erano state attuate in maniera integrale le disposizioni della direttiva 96/61/CE (c.d. direttiva IPPC). La direttiva è stata successivamente sostituita dalla direttiva 2008/1/CE e dalla direttiva 2010/75/UE.

[4]    Relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 18 e 19, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, in materia di prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento (Doc. XXVII, n. 29), trasmessa alla Presidenza della Camera l'11 marzo 2011 (www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/027/029_RS/intero_com.pdf).

[5]    Il numero delle imprese attive nel 2009 nel settore “Industria in senso stretto” è di circa 453.000 unità (www.istat.it/it/files/2011/06/Report.pdf?title=Struttura+e+dimensione+delle+imprese+-+01%2Fgiu%2F2011+-+Testo+integrale.pdf).

[6] V. Commentario al codice di procedura penale, III, 1998, pag. 269.

[7] Sono, tuttavia esclusi, i beni destinati ad affluire nel Fondo unico giustizia.

[8]    La confisca è una misura di sicurezza di natura patrimoniale consistente nell’espropriazione a favore dello Stato di cose in vario modo collegate alla commissione di fatti costituenti reato. La misura assume nell’ordinamento una duplice natura: a) penale, ovvero di sanzione accessoria ad una sentenza di condanna; b) di prevenzione dei reati.  L’attuale disciplina della confisca si basa quindi sull’adozione da parte del legislatore italiano di due diversi “percorsi” miranti ad incamerare i patrimoni criminali: quello penale e quello preventivo, corrispondenti ad una sorta di “doppio binario”, adottato pur in presenza di un quadro normativo sovranazionale ancorato al modello penale. In particolare, per qual che riguarda la confisca penale, il codice penale prevede due distinte ipotesi (art. 240 c.p.): la prima, facoltativa (primo comma), stabilisce che il giudice, a seguito di condanna definitiva, può disporre la confisca delle cose che servirono o furono destinate a compiere il reato e di quelle che costituiscono il prodotto o il profitto dell’attività delittuosa; la seconda ipotesi (secondo comma) prevede la confisca obbligatoria delle cose che costituiscono il prezzo del reato e, anche se non viene pronunciata condanna, delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisce reato. L’evoluzione normativa in materia è caratterizzata dall’estensione del regime di obbligatorietà della misura e dall’ampliamento della gamma dei beni oggetto del provvedimento ablatorio (si pensi alla confisca obbligatoria ex art. 416-bis, settimo comma, c.p. nonché alla confisca di valori ingiustificati ex art. 12-sexies L. 356/1992).

[9]   Cassazione, sent. n. 40075 del 2010, ha ritenuto, ad esempio, che il sopravvenuto rilascio di un'autorizzazione regionale in variante per l'esercizio dell'attività di cava, pur non determinando il venir meno del reato edilizio commesso sino al conseguimento del titolo abilitativo regionale, comporta la caducazione delle condizioni di applicabilità del sequestro preventivo "medio tempore" disposto, attesa la cessazione del "periculum in mora". (Nella specie, l'autorizzazione regionale in variante riguardava un impianto mobile di frantumazione che determinava un'alterazione del suolo utilizzato come cava, insita nell'attività estrattiva)

 

[10] Lo stesso provvedimento è disponibile anche sul sito del Ministero dell'ambiente, al link http://aia.minambiente.it/DettaglioAutorizzazionePub.aspx?id=5135.

[11]   Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici.

[12]   Le pubbliche amministrazioni che rientrano nel campo di applicazione della norma sono quelle indicate all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001, limitatamente a quelle statali; vi rientrano anche quelle il cui personale non è contrattualizzato ai sensi dell’articolo 3 del medesimo decreto legislativo.

[13]   Limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali.

[14]   Si riporta il testo dell’articolo 41 della Costituzione:

“L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

[15]   L’articolo 43 della Costituzione prevede che “a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

[16]http://documenti.camera.it/leg16/resoconti/assemblea/html/sed0725/stenografico.htm#sed0725.stenografico.tit00050. In precedenza lo stesso Ministro aveva riferito alla Camera nel corso della seduta del 1° agosto 2012 (www.camera.it/410?idSeduta=0675&tipo=stenografico#sed0675.stenografico.tit00030).

[17] Sotto quest'ultimo profilo, viene previsto - secondo quanto ricordato nella relazione illustrativa - che si provvederà a riesame, su istanza della Regione Puglia, a seguito della definizione del documento per la valutazione del danno sanitario ai sensi della L.R. 24 luglio 2012, n. 21.

[18] www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stenbic/39/2012/1017/s000r.htm

[19] http://www.iss.it/epam/rili/cont.php?id=382&lang=1&tipo=11

[20]http://www.salute.gov.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=353

 

[21] http://www.cipecomitato.it/it/il_cipe/delibere/download?f=E120008.pdf