Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori - D.L. 11/2009 ' AC 2232 - Schede di lettura e riferimenti normativi
Riferimenti:
AC N. 2232/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 124
Data: 24/02/2009
Descrittori:
MINACCE   PUBBLICA SICUREZZA
REATI SESSUALI     
Organi della Camera: II-Giustizia

 


 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

 

 

 

 

 

Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori

D.L. 11/2009 - A.C. 2232

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

n. 124

 

 

24 febbraio 2009

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ha collaborato il Dipartimento Istituzioni

 

 

Dipartimento giustizia

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File: D09011.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Modifiche al codice penale)5

§      Articolo 2 (Modifiche al codice di procedura penale)6

§      Articolo 3 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354)9

§      Articolo 4 (Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)13

§      Articolo 5 (Esecuzione dell’espulsione)15

§      Articolo 6 (Piano straordinario di controllo del territorio).20

§      Articolo 7 (Modifiche al codice penale)34

§      Articolo 8 (Ammonimento)37

§      Articolo 9 (Modifiche al codice di procedura penale)39

§      Articolo 10 (Modifica all’articolo 342-ter del codice civile)43

§      Articolo 11 (Misure a sostegno delle vittime del reato di atti persecutori)44

§      Articolo 12 (Numero verde)46

§      Articolo 13 (Copertura finanziaria)48

§      Articolo 14 (Entrata in vigore)50

§      Codice di Procedura Penale (artt. 51, 275, 282-bis, 380, 392, 398, 498)68

§      Codice Civile (art. 342-ter)81

§      L. 26 luglio 1975, n. 354. Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà (artt. 4-bis e 58-ter)82

§      L. 5 agosto 1978, n. 468. Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio (art. 11-ter)86

§      L. 5 febbraio 1992, n. 104. Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (art. 3)89

§      D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (art. 14)90

§      D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A) (art. 76)100

§      D.L. 29 novembre 2004, n. 282. Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 dicembre 2004, n. 307) (art. 10)102

§      D.L. 4 luglio 2006 n. 223. Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 4 agosto 2006, n. 248) (art. 19)104

§      L. 27 dicembre 2006, n. 296. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007) (art. 1, co. 1261)105

§      D.L. 25 giugno 2008, n. 112. Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133) (art. 61)106

§      D.L. 16 settembre 2008, n. 143. Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 13 novembre 2008, n. 181) (art. 2)112

Normativa comunitaria

§      Dir. 16 dicembre 2008, n. 2008/115/CE -  Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.117

 

 


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Schede di lettura

 


Articolo 1
(Modifiche al codice penale)

1. All’articolo 576, primo comma, del codice penale, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il n.5) è sostituito dal seguente: “5) in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli articoli 609- bis, 609- quater e 609- octies;”;

b) dopo il numero 5) è inserito il seguente: «5.1) dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis;».

 

 

L’articolo 1 del decreto-legge modifica l’art. 576 c.p., disciplina alcune aggravanti speciali del delitto di omicidio che comportano l’applicazione della pena dell’ergastolo.

Il comma 1, lett. a), sostituisce il n. 5 del primo comma dell’art. 576 che prevedeva, nel testo antecedente al decreto-legge in esame, l’applicazione della pena dell’ergastolo per l’omicidio commesso nell’atto di commettere taluno dei delitti già previsti dagli artt. 519 (violenza carnale), 520 (congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale) e 521 (atti di libidine violenta) del codice penale. Tali ultime disposizioni sono state abrogate a seguito della riforma di cui alla legge 66 del 1996[1] che ha ridisciplinato e ridefinito le diverse fattispecie di reato sessuale.

Il nuovo n. 5 prevede, quindi, che si applichi la pena dell’ergastolo se l’omicidio è commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.) e violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.).

 

Il comma 1, lettera b) dell’art. 1 aggiunge il n. 5.1) al primo comma dell’art. 576, prevedendo la pena dell'ergastolo se l'omicidio è commesso dall'autore del delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. (introdotto dall’art. 7 del D.L. in esame).

Si segnala che tale disposizione riproduce l’articolo 1, comma 1, lett. b), dell’AS 1348 (attualmente all’esame della Commissione giustizia del Senato). Tale testo risulta dall’approvazione in Assemblea della Camera di un emendamento della Commissione giustizia, sul quale si è svolto un ampio dibattito incentrato essenzialmente sulla mancanza di un qualsiasi collegamento tra il fatto degli atti persecutori e quello dell'omicidio ai fini dell’applicazione dell’aggravante (cfr. seduta del 29 gennaio 2009).


Articolo 2
(Modifiche al codice di procedura penale)

1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 275, comma 3, le parole: «all'articolo 416-bis del codice penale o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo» sono sostituite dalle seguenti: «all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies, 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, 609-quater e 609-octies del codice penale,»;

b) all'articolo 380, comma 2, dopo la lettera d) è inserita la seguente: «d-bis) delitto di violenza sessuale previsto dall'articolo 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, e delitto di violenza sessuale di gruppo previsto dall'articolo 609-octies del codice penale;».

 

 

L'articolo 2 del decreto-legge interviene sugli articoli 275 e 380 del codice di procedura penale, rispettivamente in materia di applicazione della custodia cautelare in carcere e di arresto obbligatorio in flagranza.

 

La lettera a), attraverso una novella al terzo comma dell’art. 275, amplia il catalogo dei reati per i quali si deroga al principio generale per cui la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata.

Il testo antecedente al decreto-legge prevedeva l’applicazione della custodia cautelare in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza soltanto in ordine ai delitti di associazione mafiosa e a reati ad essa collegati, salvo che fossero acquisiti elementi dai quali risultasse l’insussistenza di esigenze cautelari. Per i reati di “mafia” - in virtù dell’applicazione del principio del cd. doppio binario - il presupposto della sussistenza di esigenze cautelari per la custodia in carcere è, quindi, sempre presunto, in considerazione dell’elevata pericolosità di persone responsabili di delitti di così grave allarme sociale.

La disposizione in esame estende la presunzione dell’esistenza di esigenze cautelari (salvo prova contraria) e quindi l’obbligo di applicazione della custodia cautelare in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza a tutti i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché a specifici ulteriori delitti ritenuti di particolare gravità e allarme sociale.

Il riferimento ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p – oltre che ai delitti di associazione mafiosa e reati collegati - è a quelli previsti dagli articoli 416, sesto comma (associazione per delinquere finalizzata alla tratta o alla riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o al commercio di schiavi), 600 (riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e vendita di schiavi), 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) del codice penale; ai delitti previsti dall'articolo 74 del DPR 309/1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) e 291-quater del DPR 43/1973 (TU doganale) (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri).

Il riferimento al successivo comma 3-quater è ai delitti aventi finalità di terrorismo.

Gli ulteriori delitti ritenuti meritevoli di essere inseriti nella disciplina del doppio binario cautelare (ovvero per i quali le esigenze cautelari sono presunte) sono l’omicidio (art. 575 c.p.) ed una serie di reati di natura sessuale ovvero:

-         l’induzione e sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, primo comma, c.p.);

-         la pornografia minorile (art. 600-ter c.p.) esclusa l’ipotesi di cui al quarto comma, ovvero l’offerta o la cessione, anche gratuita, di materiale pornografico minorile;

-         il turismo sessuale (art. 600-quinquies c.p.);

-         la violenza sessuale (art. 609-bis, c.p.), esclusi i casi di minore gravità (terzo comma);

-         gli atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.),

-         la violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.).

 

La lett. b) della disposizione in esame, attraverso l’introduzione di una lettera d-bis) al comma 2 dell’articolo 380, inserisce nella lista dei reati per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza la violenza sessuale (esclusi i casi di minore gravità) e la violenza sessuale di gruppo.

L’art. 380 c.p.p. prevede come obbligatorio l’arresto in flagranza di delitto non colposo consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni (comma 1).

Nel testo del comma 2 antecedente al decreto-legge, analogo arresto è obbligatorio in relazione alla flagranza di una specifica serie di reati previsti dal codice penale e da leggi speciali: a) delitti contro la personalità dello Stato (artt. 241 e ss, c.p.) per i quali è stabilita la pena della reclusione tra 5 e 10 anni; b) devastazione e saccheggio (art. 419); c) delitti contro l'incolumità pubblica (artt. 422 e ss., c.p.) per i quali è stabilita la pena della reclusione tra 3 e 10 anni; d) delitto di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), induzione alla prostituzione minorile (art. 600-bis, primo comma, c.p.), (realizzazione di esibizioni pornografiche minorili, produzione, induzione alla partecipazione, realizzazione e commercio di materiale pornografico minorile  (art. 600-ter, commi primo e secondo, c.p.) anche se riferito a quello cd. “virtuale” di cui all'articolo 600-quater.1); turismo sessuale (art. 600-quinquies, c.p.); e) specifiche ipotesi di furto aggravato (art. 624 c.p.) e e-bis) furto in abitazione o con strappo (art. 624-bis); f) rapina (art. 628) e estorsione (art. 629); g) specifici delitti in materia di armi ed esplosivi); h) produzione, traffico e detenzione di droga (art. 73, TU 309/1990), escluso il caso di lieve quantità; i) delitti di terrorismo puniti con la reclusione tra 4 e 10 anni, l) specifici delitti in tema di associazioni segrete vietate (di tipo massonico, militare con finalità anche indirettamente, politiche, volte alla riorganizzazione del partito fascista, avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;-bis) partecipazione, promozione, direzione e organizzazione dell’ associazione di tipo mafioso; m) promozione, direzione, costituzione e organizzazione della associazione per delinquere, se diretta alla commissione di più delitti fra quelli previsti dal comma 1 o dalle citate lettere a), b), c), d), f), g), i).


Articolo 3
(Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354)

1. Al comma 1 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo, dopo la parola: «600,» sono inserite le seguenti: «600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma,» e dopo la parola: «602» sono inserite le seguenti: «, 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, 609-ter, 609-quater, primo comma, 609-octies»;

b) al quarto periodo, le parole: «600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-octies» sono sostituite dalle seguenti: «600-bis, secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies e 609-quater, secondo comma».

 

 

L’articolo 3 del decreto legge – che riproduce il contenuto dell’art. 41, comma 4, del c.d. disegno di legge sicurezza approvato dal Senato (cfr. AC 2180) - novella l’articolo 4-bis, primo comma, dell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975[2]).

 

L’articolo 4-bis, nella formulazione in vigore prima della pubblicazione del decreto-legge, esclude, per un elenco tassativo di reati, che il condannato possa accedere ai c.d. benefici penitenziari (assegnazione al lavoro all'esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione previste dal capo VI della legge di ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata), a meno che non collabori con la giustizia (cfr. comma 1, primo e secondo periodo).

I reati cui faceva riferimento il primo comma, primo periodo, sono i seguenti:

§       delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;

§       associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis c.p. e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività di tali associazioni;

§       riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600, c.p.);

§       tratta di persone (art. 601, c.p.);

§       acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.)

§       sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);

§       associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, TU dogane[3]);

§       associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, TU stupefacenti)[4].

I benefìci penitenziari potranno essere concessi ai detenuti per i suddetti delitti solo se (terzo periodo) sono stati acquisiti elementi che escludono in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nonché in presenza di uno dei seguenti presupposti:

-      la limitata partecipazione al fatto criminoso (accertata nella sentenza di condanna) che rende comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia;

-      l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità che rende comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia;

-      la collaborazione che viene offerta è oggettivamente irrilevante ma nei confronti del detenuto è stata applicata la circostanza attenuante prevista dall'articolo 62, n. 6), c.p. (aver prima del giudizio riparato interamente il danno, mediante il risarcimento e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; aver prima del giudizio operato spontaneamente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato), ovvero egli, anche dopo la sentenza di condanna, ha provveduto al risarcimento del danno.

Il primo comma dell’art. 4-bis prosegue (quarto periodo) limitando per un ulteriore catalogo di reati la possibile concessione dei benefici penitenziari (v. sopra) al presupposto dell’inesistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. Si tratta dei seguenti delitti:

§       omicidio (art. 575 c.p.);

§       induzione o sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, primo comma, c.p.); produzione e commercio di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, primo e secondo comma c.p.); turismo sessuale (art. 600-quinquies c.p.);

§       violenza sessuale semplice e aggravata (artt. 609-bis e 609-ter c.p.); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.);

§       rapina ed estorsione aggravata (artt. 628, terzo comma, e 629, secondo comma, c.p.);

§       ipotesi aggravate del reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-ter, TU dogane);

§       ipotesi aggravate del reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (artt. 73 e 80, comma 2, TU stupefacenti);

§       associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei seguenti delitti:

-      delitti contro la libertà individuale (articoli da 600 a 604 c.p.);

-      violenza sessuale semplice e aggravata (artt. 609-bis e 609-ter), atti sessuali con minorenne (art. 609-quater) e violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.);

-      favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter TU immigrazione[5]).

 

Prima dell’entrata in vigore del decreto legge, dunque, i delitti di violenza sessuale erano inseriti nel quarto periodo del primo comma dell’art. 4-bis, e il colpevole poteva accedere ai benefici penitenziari purché si potesse escludere un suo collegamento con la criminalità organizzata.

Peraltro, posto che l’art. 656 c.p.p., in tema di sospensione della pena, esclude la sospensione stessa per tutti i condannati a uno dei delitti elencati dall’art. 4-bis (indifferentemente dunque dal periodo che li contiene), il pubblico ministero di fronte a un condannato per violenza sessuale ha sempre l’obbligo di emettere l'ordine di carcerazione, senza disporne contestualmente la sospensione.

Tuttavia, una volta ristretto in carcere, il condannato per violenza sessuale può formulare istanza per ottenere una misura alternativa alla detenzione o uno degli altri benefici, che il tribunale di sorveglianza può concedere ove ricorrano gli indici di attenuata pericolosità sociale previsti dall'art. 4 bis, primo comma, quarto periodo, dell'Ordinamento Penitenziario[6]

 

Su questo quadro normativo si inserisce il decreto-legge in commento che sposta alcuni delitti a sfondo sessuale dal quarto al primo periodo del primo comma dell’art. 4-bis, con la finalità di rendere meno agevole l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per tali reati (cfr. la relazione illustrativa).

 

Analiticamente, transitano nel primo periodo i seguenti delitti:

§      induzione o sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, primo comma, c.p.);

§      produzione e commercio di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, primo e secondo comma c.p.);

§      violenza sessuale semplice, ad eccezione dei casi di minore gravità (art. 609-bis, commi 1 e 2);

§      violenza sessuale aggravata (art. 609-ter c.p.);

§      le ipotesi più gravi di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater, primo comma c.p.);

§      violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.).

 

Vengono inseriti nel quarto periodo i seguenti delitti:

§      atti sessuali con minore di età compresa tra i 14 ed i 18 anni (art. 600-bis, secondo e terzo comma)

§      cessione di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, terzo comma);

§      turismo sessuale (art. 600-quinquies);

§      atti sessuali con minore ultrasedicenne da parte di un congiunto (art. 609-quater, secondo comma).

 

A seguito dell’entrata in vigore del decreto legge, i condannati per violenza sessuale, una volta entrati in carcere (a norma dell’art. 656 c.p.p. che esclude anche attualmente la sospensione dell’esecuzione della pena) potranno chiedere i benefici penitenziari (assegnazione al lavoro all'esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione previste dal capo VI della legge di ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata). Tali benefici potranno essere loro concessi solo in caso di collaborazione con la giustizia (art. 4-bis, comma 1, primo periodo) ovvero, se è esclusa l’attualità di collegamento con la criminalità organizzata e ricorre uno dei seguenti presupposti (art. 4-bis, comma 1, terzo periodo):

a)   limitata partecipazione al fatto criminoso (accertata nella sentenza di condanna) che rende impossibile un'utile collaborazione con la giustizia;

b)   integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, che rende comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia;

c)   applicazione in sede di condanna della circostanza attenuante prevista dall'articolo 62, n. 6), c.p. (aver prima del giudizio riparato interamente il danno, mediante il risarcimento e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; aver prima del giudizio operato spontaneamente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato), ovvero accertamento che il colpevole, anche dopo la sentenza di condanna, ha provveduto al risarcimento del danno.


Articolo 4
(Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)

1. All'articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, dopo il comma 4-bis è aggiunto il seguente:

«4-ter. La persona offesa dai reati di cui agli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto.».

 

 

L’articolo 4 del decreto legge interviene sulla disciplina del patrocinio a spese dello Stato per consentire alla persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale l’accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti.

 

Sul punto il decreto legge riproduce l’art. 41, comma 1, del c.d. disegno di legge sicurezza (AS 733), nel testo approvato dal Senato il 5 febbraio 2009.

 

Analiticamente, la disposizione in commento novella l’articolo 76 del testo unico delle spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002).

 

Nel processo penale, il patrocinio a spese dello Stato è assicurato per la difesa del cittadino non abbiente, sia esso indagato, imputato, condannato, persona offesa dal reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria (art. 74 TU). Il trattamento previsto per il cittadino è assicurato anche allo straniero e all’apolide residente nello Stato.

Per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato è necessario che il richiedente sia titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione[7], non superiore a 9.723,84 euro (art. 76, TU). Tale limite di reddito è adeguato ogni due anni, in base agli indici ISTAT, con decreto del ministero della giustizia, di concerto con il ministero dell’economia e delle finanze (art. 77, TU).

Il limite di reddito costituisce l’unica condizione per l’ammissione al beneficio nei soli procedimenti penali; per gli altri procedimenti è richiesto, come condizione ulteriore, che le ragioni del non abbiente risultino non manifestamente infondate.

 

Il decreto legge inserisce nell’art. 76 del testo unico – relativo ai requisiti di reddito necessari per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato – il comma 4-ter. Tale disposizione stabilisce che la persona offesa dai reati di:

-          violenza sessuale (art. 609-bis, c.p.)

-          atti sessuali con minorenne (art. 609-quater, c.p.)

-          violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies, c.p.)

può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai previsti limiti di reddito.


Articolo 5
(Esecuzione dell’espulsione)

1. Al comma 5 dell’articolo 14 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “Trascorso tale termine, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento per un periodo ulteriore di sessanta giorni. Qualora persistano le condizioni di cui al periodo precedente, il questore può chiedere al giudice una ulteriore proroga di sessanta giorni. Il periodo massimo complessivo di trattenimento non può essere superiore a centottanta giorni. Il questore, in ogni caso, può eseguire l’espulsione ed il respingimento anche prima della scadenza del termine prorogato, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace.”.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea anche se già trattenuti nei centri di identificazione e espulsione alla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

 

L’articolo 5 amplia - mediante una novella al comma 5 dell'art. 14 del testo unico in materia di immigrazione[8] - il periodo di trattenimento dello straniero nelle strutture denominate Centri di identificazione ed espulsione (CIE) (già Centri di permanenza temporanea ed assistenza)[9] fino ad un massimo di 180 giorni.

 

I CIE, ex CPTA, sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione (i motivi di possibile trattenimento sono i seguenti: perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero a giudizio di convalida, ovvero per l'indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo).

In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità.

Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore, dietro convalida del giudice, per un periodo di 30 giorni, prorogabile, su richiesta del questore e solo in presenza di gravi difficoltà inerenti l’identificazione dello straniero o l’acquisizione dei documenti di viaggio, di altri 30 giorni. Anche la proroga è soggetta a convalida del giudice.

Sono, inoltre, trattenuti nei CIE coloro che fanno richiesta di asilo dopo essere stati oggetto di un provvedimento di espulsione, ad esclusione dell’espulsione a causa di ingresso clandestino o di trattenimento nel territorio nazionale senza aver fatto richiesta del permesso di soggiorno[10].

In questi due ultimi casi i richiedenti asilo sono ospitati in altre strutture, denominate centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA), che hanno sostituito i centri di identificazione introdotti dalle legge 189/2002 (la cosiddetta legge Bossi-Fini)[11]. Nei CARA sono trattenuti anche i richiedenti asilo in attesa di identificazione e i respinti alla frontiera.

Va ricordato che, in base alla disciplina posta dall’articolo 20, comma 11, del D.Lgs. 30/2007[12], come modificato nel corso della passata legislatura dal D.Lgs. 32/2008, il trattenimento nei CIE può riguardare anche i cittadini comunitari colpiti da un provvedimento di allontanamento, nelle more della procedura di convalida.

Attualmente i CIE operativi sono 10, per un totale di 1.160 posti disponibili, dislocati nelle seguenti località:

§       Bari-Palese, area aeroportuale – 196 posti

§       Bologna, Caserma Chiarini – 95 posti

§       Caltanissetta, Contrada Pian del Lago – 96 posti

§       Catanzaro, Lamezia Terme – 72 posti

§       Gorizia, Gradisca d’Isonzo – 136 posti

§       Milano, Via Corelli – 84 posti

§       Modena, Località Sant’Anna – 60 posti

§       Roma, Ponte Galeria – 300 posti

§       Torino, Corso Brunelleschi – 90 posti

§       Trapani, Serraino Vulpitta – 31 posti

Il decreto legge 151/2008[13] ha, tra l’altro, stanziato i fondi necessari per la costruzione di nuovi centri di identificazione ed espulsione e per l'ampliamento di quelli già esistenti. Il provvedimento è motivato dall’eccezionale afflusso di immigrati: 14.200 tra gennaio e settembre del 2007, 23.600 nello stesso periodo del 2008. La ricettività dei centri verrà raddoppiata, aggiungendo ulteriori 1.000 posti agli attuali 1.160[14].

 

Come si è accennato, in base alla normativa previgente, lo straniero può essere trattenuto nel centro, normalmente, per un periodo di complessivi trenta giorni.

Qualora però l'accertamento dell'identità e della nazionalità ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presentino gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni.

Fermo restando quando sopra previsto, l’articolo in esame prevede la possibilità di due ulteriori proroghe, di 60 giorni ciascuna, in presenza di due condizioni, tra loro alternative:

§      mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo;

§      ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi.

Di conseguenza, la permanenza complessiva massima, pari in precedenza a 60 giorni è ora prolungata a 180 giorni.

Come già previsto per la prima proroga, per le proroghe ulteriori è necessario l’intervento del giudice su richiesta del questore ed il questore può eseguire l'espulsione o il respingimento anche prima dello spirare del nuovo termine di trattenimento.

 

La disposizione è finalizzata – come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto legge – a rendere più efficaci le procedure di espulsione e respingimento attraverso il prolungamento del periodo di trattenimento degli stranieri irregolari nei CIE. Ciò appare necessario – sempre secondo la relazione – perché il tempo massimo previsto dal tesato unico non è sufficiente, dal momento che alcuni Paesi di origine trasmettono con ritardo i documenti necessari all’espulsione oppure non consentono il rimpatrio di loro cittadini se non per poche unità per volta. Inoltre, l’introduzione della norma con provvedimento di urgenza – prosegue la relazione – appare necessaria in considerazione della presenza nell’isola di Lampedusa[15] di centinaia di stranieri irregolari per i quali sarebbe scaduta alla fine di marzo la durata massima di permanenza.

 

Una disposizione relativa al prolungamento del periodo di trattenimento nei CEI, fino al massimo di 18 mesi, era contenuta nel testo originario del disegno di legge in materia di sicurezza presentato al Senato il giugno 2008 all’articolo (A.S. 733, art. 18, poi diventato art. 39 nel testo proposto dalle commissioni riunite 1ª (Affari costituzionali) e 2ª (Giustizia) A.S. 733-A. Nel corso dell’esame in Assemblea la disposizione è stata soppressa[16].

La relazione illustrativa al disegno di legge in esame, sottolinea la profonda diversità tra il testo respinto dall’Assemblea e quello in esame. Oltre alla differente durata temporale del periodo massimo di trattenimento (rispettivamente 18 mesi e 180 giorni), divergono anche le motivazioni alla base della decisione di proroga: mentre il primo testo faceva riferimento al rifiuto dell’interessato a fornire elementi utili per la propria identificazione, l’articolo in esame è incentrato sulla mancata collaborazione del Paese di origine. Tale motivazione, precisa la relazione, deriva direttamente dalla direttiva europea sui rimpatri (n. 2008/115/CE), la cui attuazione era stata indicata tra le motivazione della citata disposizione del disegno di legge A.S. 733 (si veda la relativa relazione illustrativa).

Il Consiglio ha recentemente approvato tale direttiva (cd. ‘direttiva sui rimpatri’[17]) che, per quanto rileva in questa sede, prevede quanto segue:

§       il rimpatrio dei clandestini riguarda tutti i casi di cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente nel territorio di uno stato, con alcune eccezioni per motivi umanitari;

§       l'immigrato illegale cui è stato imposto di lasciare lo Stato può avere la libertà di andarsene volontariamente, e gli deve essere concesso il tempo per farlo: la coercizione può essere utilizzata solo se ci sono rischi di fuga, oppure per motivi di ordine pubblico;

§       il trattenimento, ammesso solo se non sia possibile ricorrere ad altri mezzi, è previsto per la preparazione delle procedure di rimpatrio ed è disposto, in particolare, nel caso di pericolo di fuga o se l’interessato ostacola il rimpatrio; richiede una deliberazione scritta e motivata; deve essere inoltre il più possibile breve, non oltre i 6 mesi;

§       è prevista però la possibilità di estendere tale periodo di altri 12 mesi in casi specifici e, segnatamente, mancata cooperazione da parte del cittadino interessato e ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi (art. 15, par. 6);

§       la detenzione si deve svolgere in strutture specifiche.

 

Il comma 2 dispone che la nuova disciplina si applica anche ai cittadini extracomunitari già trattenuti nei CIE alla data di entrata in vigore del decreto in esame.

Viene così introdotta la possibilità di prorogare la durata delle misure di trattenimento, che costituiscono restrizioni della libertà personale ai sensi dell’articolo 13 della Costituzione, che sono già in corso.

 

La Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi circa la natura giuridica del trattenimento degli stranieri presso i CPTA (ora divenuti CIE).

Secondo la Corte (sent. 105/2001): “il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. Si può forse dubitare se esso sia o meno da includere nelle misure restrittive tipiche espressamente menzionate dall’articolo 13; e tale dubbio può essere in parte alimentato dalla considerazione che il legislatore ha avuto cura di evitare, anche sul piano terminologico, l’identificazione con istituti familiari al diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario. Tuttavia, se si ha riguardo al suo contenuto, il trattenimento è quantomeno da ricondurre alle “altre restrizioni della libertà personale”, di cui pure si fa menzione nell’articolo 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell’articolo 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura ove questa venga violata.

Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale.

Né potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani.”

Tale inquadramento costituzionale della permanenza nei centri non ha però impedito alla Corte di ritenere “non irragionevole” la scelta di fondo del legislatore, di rimuovere gli impedimenti all’esecuzione del provvedimento di espulsione prevedendo un certo periodo di trattenimento, varcato il quale il trattenimento stesso perde efficacia.

Si consideri peraltro che, quando la Corte rese tale pronuncia, vigeva un testo secondo il quale il periodo di trattenimento poteva giungere nel massimo a venti giorni, prorogabili di ulteriori dieci giorni a richiesta del questore.

Si ricorda che l’articolo 13 della Costituzione, che secondo la Consulta è il parametro da considerare allorché si legifera in tema di trattenimenti nei CPTA/CIE, stabilisce che:

§       non sono ammesse forme di detenzione o di diversa restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge;

§       in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto;

§       la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

Si noti, al riguardo, che l’articolo 14 del teso unico sull’immigrazione, ai commi 3 e 4, prevede che il provvedimento di trattenimento dell’autorità di pubblica sicurezza deve essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e che, se questa non lo convalida nelle successive quarantotto ore, esso cessa di avere ogni effetto. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito.

Sia la convalida che la proroga del trattenimento sono ricorribili in Cassazione, ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del testo unico.

 


Articolo 6
(Piano straordinario di controllo del territorio).

1. Al fine di predisporre un piano straordinario di controllo del territorio, al comma 22 dell’articolo 61 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla  legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha autorizzato le Forze di polizia ed il Corpo dei vigili del fuoco ad  effettuare, in deroga alla normativa vigente, assunzioni entro il limite di spesa pari a 100 milioni di euro annui, le parole: “ con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare entro il 30 aprile 2009”,  contenute nel terzo periodo dello stesso comma 22, sono sostituite dalle seguenti: “con decreto del Presidente della Repubblica, da adottarsi su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, dell’interno e dell’economia e delle finanze, entro il 31 marzo 2009”.

2. In attesa dell’adozione del decreto di cui al quarto periodo del comma 23 dell’articolo 61 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge, 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, le risorse oggetto di confisca versate all’entrata del bilancio dello Stato successivamente alla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge sono immediatamente riassegnate nel limite di 100 milioni di euro per l’anno 2009, a valere sulla quota di cui al’articolo 2, comma 7, lettera a), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, per le urgenti necessità di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, al Ministero dell’interno e nel limite di 3 milioni di euro per l’anno 2009, per sostenere e diffondere sul territorio i progetti di assistenza alle vittime di violenza sessuale e di genere, al  Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere di cui all’articolo 1, comma 1261, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

3. I sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.

4. Le associazioni sono iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte dello stesso, sentito il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, dei requisiti necessari previsti dal decreto di cui al comma 6. Il prefetto provvede, altresì, al loro periodico monitoraggio, informando dei risultati il Comitato.

5. Tra le associazioni iscritte nell’elenco di cui al comma 4 i sindaci si avvalgono, in via prioritaria, di quelle costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell’ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato. Le associazioni diverse da quelle di cui al presente comma sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica.

6. Con decreto del Ministro dell’interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinati gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 3 e 4, i requisiti per l’iscrizione nell’elenco e sono disciplinate le modalità di tenuta dei relativi elenchi.

7. Per la tutela della sicurezza urbana, i comuni possono utilizzare sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico.

8. La conservazione dei dati, delle informazioni e delle immagini raccolte mediante l'uso di sistemi di videosorveglianza è limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione.

 

 

L’articolo 6, comma 1, novellando l’art. 61, comma 22, del decreto-legge 112/2008[18], con l’obiettivo di attuare un apposito piano straordinario di controllo del territorio, anticipa al 31 marzo 2009 (rispetto al 30 aprile dello stesso anno) il termine per l’adozione del D.P.R. per la ripartizione tra le varie forze di polizia e i vigili del fuoco delle risorse destinate all’assunzione di personale dal medesimo provvedimento.

La disposizione precisa inoltre che il D.P.R. è adottato su proposta dei ministri della pubblica amministrazione e dell’innovazione, dell’interno, dell’economia e delle finanze.

 

Il comma 22 dell’articolo 61 del decreto-legge 112/2008 ha autorizzato, per il 2009, per le esigenze di tutela dell’ordine pubblico, di prevenzione e contrasto del crimine, di repressione delle frodi e delle violazioni degli obblighi fiscali ed di tutela del patrimonio agroforestale, assunzioni in deroga alla normativa vigente nella Polizia di Stato, nel Corpo dei Vigili del fuoco, nell’Arma dei carabinieri, nella Guardia di finanza, nella Polizia penitenziaria e nel Corpo forestale dello Stato, entro il limite di spesa di 100 milioni di euro annui a decorrere dal 2009, dando priorità al reclutamento del personale proveniente dalle Forze armate.

La ripartizione delle risorse in questione viene affidata ad un apposito D.P.R., da emanare entro il 30 aprile 2009, secondo le modalità di cui all’articolo 39, comma 3-ter, della L. 449/1997 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998)[19].  

 

In attesa dell’adozione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze attuativo delle disposizioni del D.L. 112/2008 che hanno istituito un Fondo in cui affluiscono le somme di denaro sequestrate e i proventi derivanti dai beni confiscati alla criminalità organizzata, l’articolo 6, comma 2, dispone la riassegnazione immediata delle somme oggetto di confisca, versate all’entrata del bilancio dello Stato successivamente al 25 giugno 2008[20], al Ministero dell’interno, nel limite di 100 milioni di euro per il 2009, per le esigenze urgenti di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, e al Fondo nazionale contro la violenza sessuale, nel limite di 3 milioni euro per il 2009, da destinare al sostegno dei progetti di assistenza alle vittime di violenza sessuale e di genere.

 

Il Fondo unico giustizia. I commi 23 e 24 dell'art. 61 del D.L. 112/2008 recano disposizioni in materia di gestione di somme di denaro sequestrate e di proventi derivanti da beni confiscati.

In particolare, il comma 23 dispone l'istituzione di un Fondo unico (Fondo unico giustizia) nel quale confluiscono:

§       le somme di denaro sequestrate nell’ambito di procedimenti penali o per applicazione di misure di prevenzione di cui alla L. 575/1965[21];

§       le somme di denaro derivanti dall’irrogazione di sanzioni amministrative (comprese quelle irrogate alle persone giuridiche ai sensi del decreto legislativo 231/2001[22]);

§       i proventi dei beni confiscati nell'ambito di procedimenti penali, amministrativi o per l'applicazione di misure di prevenzione di cui alla suddetta legge 575/1965, nonché di cui alla legge 1423/1956[23] o di irrogazione di sanzioni amministrative (anche di cui al suddetto decreto legislativo 231/2001).

Lo stesso comma 23 precisa:

§       che la gestione delle suddette risorse può essere affidata alla società interamente posseduta da Equitalia s.p.a. (ex Riscossione s.p.a.), alla quale la legge finanziaria per il 2008 ha demandato la riscossione delle spese di giustizia;

§       che le disposizioni di attuazione della norma in esame (compreso quindi detto affidamento ad Equitalia) siano adottate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno).

L’art. 2 del D.L. 143/2008[24] è nuovamente intervenuto sulla materia, introducendo una più puntuale regolamentazione del Fondo unico giustizia.

La disposizione citata ha denominato il Fondo in esame come Fondo unico giustizia, ne ha affidato la gestione ad Equitalia giustizia s.p.a. e ha rinviato al decreto ministeriale di cui all’art. 23 del D.L. 112/2008 le modalità di gestione del Fondo (comma 1).

Il comma 2 amplia la tipologia delle risorse che affluiscono al Fondo unico giustizia, prevedendo che siano vincolate a tale destinazione, unitamente ai relativi interessi, le somme di denaro o i proventi:

a) di cui al citato articolo 61, comma 23, del decreto-legge 112/2008.

b) di cui all'art. 262, comma 3-bis, c.p.p.

c) relativi a titoli al portatore, a quelli emessi o garantiti dallo Stato anche se non al portatore, ai valori di bollo, ai crediti pecuniari, ai conti correnti, ai conti di deposito titoli, ai libretti di deposito e ad ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale oggetto di provvedimenti di sequestro nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione di cui alla legge 575/1965, o di irrogazione di sanzioni amministrative, inclusi quelli di cui al decreto legislativo 231/2001.

c-bis) depositati presso Poste Italiane s.p.a., banche e altri operatori finanziari, in relazione a procedimenti civili di cognizione, esecutivi o speciali, non riscossi o non reclamati dagli aventi diritto entro 5 anni dalla data in cui il procedimento si è estinto o è stato comunque definito o è divenuta definitiva l'ordinanza di assegnazione, di distribuzione o di approvazione del progetto di distribuzione ovvero, in caso di opposizione, dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia;

c-ter) di cui all’articolo 117, quarto comma, della legge fallimentare.

Ai sensi del comma 3, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, Poste Italiane s.p.a., banche e altri operatori finanziari depositari delle somme di denaro, dei proventi, dei crediti, nonché dei beni di cui al comma 2, devono:

§       intestare "Fondo unico giustizia" i titoli, i valori, i crediti, i conti, i libretti, nonché le attività di cui alla lettera c) del comma 2;

§       trasmettere a Equitalia Giustizia s.p.a., con modalità telematica e nel formato elettronico reso disponibile dalla medesima società sul sito internet www.equitaliagiustizia.it, le informazioni individuate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, da emanare entro 15 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge.

A decorrere dalla data di intestazione, Equitalia Giustizia s.p.a. provvede, se non già eseguite alla medesima data da Poste Italiane s.p.a., dalle banche ovvero da altri operatori finanziari, alle restituzioni delle somme sequestrate disposte anteriormente alla predetta data.

Il comma 4 stabilisce che sono altresì intestati "Fondo unico giustizia" tutti i conti correnti e i conti di deposito che Equitalia Giustizia s.p.a., successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, intrattiene per farvi affluire:

§       le ulteriori risorse derivanti dall'applicazione dell'art. 61, comma 23, del decreto-legge 112/2008;

§       le ulteriori risorse derivanti dall'applicazione del citato articolo 262, comma 3-bis, c.p.p.;

§       i relativi utili di gestione;

§       i controvalori degli atti di disposizione dei beni confiscati di cui al predetto comma 23 dell’articolo 61.

Ai sensi del comma 5, Equitalia Giustizia s.p.a. è tenuta a versare in conto entrate al bilancio dello Stato per essere riassegnate, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, alle unità previsionali di base dello stato di previsione della spesa del Ministero della giustizia concernenti le spese di investimento di cui all'articolo 2, comma 614, della legge finanziaria per il 2008[25], le somme di denaro per le quali, prima della data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, è stata decisa dal giudice dell'esecuzione ma non ancora eseguita la devoluzione allo Stato, ai sensi dell'articolo 676, comma 1, c.p.p.

Il comma 6 stabilisce che, con il decreto del Ministro dell'economia di cui all'articolo 61, comma 23, del decreto-legge 112/2008, sono stabiliti (oltre che le modalità di gestione del Fondo da parte di Equitalia Giustizia s.p.a.):

§       la remunerazione massima spettante a titolo di aggio nei cui limiti il Ministro dell'economia e delle finanze stabilisce con proprio decreto quella dovuta a Equitalia Giustizia s.p.a. per la gestione delle risorse del Fondo unico giustizia;

§       le modalità di utilizzazione delle somme afferenti al Fondo da parte dell’amministratore delle somme o dei beni che formano oggetto di sequestro o confisca, per provvedere al pagamento delle spese di conservazione o amministrazione;

§       le modalità di controllo e di rendicontazione delle somme gestite da Equitalia Giustizia s.p.a.;

§       la natura delle risorse utilizzabili ai sensi del comma 7 (v. infra);

§       i criteri e le modalità da adottare nella gestione del Fondo in modo che sia garantita la pronta disponibilità delle somme necessarie per eseguire le restituzioni eventualmente disposte.

Il comma prevede infine che la misura massima dell'aggio spettante a Equitalia Giustizia s.p.a. può essere rideterminata annualmente con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno.

Il comma 7 prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno, sono stabilite annualmente le quote delle risorse intestate "Fondo unico giustizia", anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, da destinare:

a) in misura non inferiore ad un terzo, al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, fatta salva l'alimentazione del Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive di cui all'art. 18, comma 1, lettera c), della legge 23 febbraio 1999, n. 44, e del Fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso di cui all'art. 1 della legge 22 dicembre 1999, n. 512;

b) in misura non inferiore ad un terzo, al funzionamento e al potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali del Ministero della giustizia;

c) all’entrata del bilancio dello Stato.

La determinazione delle quote deve essere inoltre effettuata nel rispetto di quanto disposto dal comma 5 e previa verifica dei presupposti dell’incameramento nonché della compatibilità e ammissibilità finanziaria delle relative utilizzazioni.

Il comma 7-bis dispone che le quote minime delle risorse intestate al Fondo unico giustizia, di cui alle lettere a) e b) del comma 7, possono essere modificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in caso di urgenti necessità derivanti da circostanze gravi ed eccezionali del Ministero dell'interno o del Ministero della giustizia.

Il comma 7-ter stabilisce che, con riferimento alle somme di cui lettere c-bis) e c-ter) del comma 2 (vedi supra), le quote in cui è ripartito il Fondo devono essere formate in modo da destinare le risorse in via prioritaria al potenziamento dei servizi istituzionali del Ministero della giustizia.

Il comma 8 abroga il comma 24 dell'articolo 61 del decreto-legge 112/2008.

Il comma 9 modifica l'articolo 676, comma 1, c.p.p., sottraendo sostanzialmente al giudice dell'esecuzione la competenza relativa alla devoluzione allo Stato delle somme di denaro sequestrate ai sensi del comma 3-bis dell'articolo 262 (vedi supra il comma 2).

Ai sensi del comma 10, la gestione del Fondo unico giustizia non deve comportare oneri e obblighi giuridici a carico della finanza pubblica.

 

Il Fondo nazionale contro la violenza sessuale. Con l’intento di promuovere le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, l’art. 19, comma 3, del decreto-legge 223/2006[26] ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio, un Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, al quale è stata assegnata la somma di 3 milioni di euro per l’anno 2006 e di 10 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007.

La dotazione del Fondo è stata incrementata dall’art. 1, comma 1261, della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007)[27] di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. La disposizione ha inoltre stabilito che una quota parte dell’incremento sia destinata al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere, successivamente istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità, a sua volta finalizzato in quota parte all’istituzione di un Osservatorio nazionale e in parte ad un Piano d’azione nazionale.

Le risorse, determinate annualmente nella Tabella C della legge finanziaria, sono allocate nel capitolo 2108 (Programma 17.4, Promozione dei diritti e delle pari opportunità) dello stato di previsione del Ministero dell’economia (Tabella 2).

L’effettivo impiego di tale dotazione risulta comunque condizionato dalla sentenza 50/2008[28] della Corte costituzionale, emessa in seguito ai ricorsi presentati da diverse Regioni su questioni di legittimità costituzionale relative all’istituzione di Fondi statali e all’erogazione di risorse finanziarie per l’espletamento di compiti che le ricorrenti considerano afferenti ad ambiti materiali di pertinenza regionale.

Relativamente all’incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, la Corte ha disposto che tale stanziamento si sottrae alle censure delle ricorrenti, in quanto non è, allo stato, idoneo a incidere in alcun modo sull’autonomia finanziaria delle Regioni[29]. Ugualmente, nella parte in cui la norma destina risorse al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere, esso, essendo finalizzato ad assicurare la prevenzione e repressione di reati, è riconducile ad ambiti materiali (ordine pubblico e sicurezza, ordinamento penale), attribuiti alla competenza legislativa esclusiva statale, “nondimeno - così la Corte - perseguendo il legislatore anche l’obiettivo di proteggere le vittime dei predetti fatti delittuosi, attraverso apposite misure di carattere sociale contenute, in particolare, nel Piano d’azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere, deve ritenersi sussistente anche la competenza delle Regioni in materia di servizi sociali”. La Corte ha pertanto ravvisato la necessità che debbano essere previste forme di leale collaborazione da attuarsi mediante la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata, precedentemente non previsto, in sede di adozione del decreto di fissazione dei criteri di ripartizione del Fondo.

L’art. 2, comma 463, della L. 244/2007 (legge finanziaria 2008) ha istituito, per il solo anno 2008, un fondo con una dotazione di 20 milioni di euro, destinato a un Piano contro la violenza alle donne, le cui risorse sono confluite nel citato cap. 2108 dello stato di previsione del Ministero dell’economia.

L’art. 5, comma 1, del decreto-legge 93/2008[30], ai fini della copertura finanziaria degli oneri da esso recati, ha disposto la riduzione di alcune autorizzazioni di spesa riferite alle leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008, al decreto-legge 248/2007 (c.d. “proroga termini”) e al decreto-legge 269/2003 (collegato alla legge finanziaria 2004), puntualmente indicate nell’elenco 1 allegato al provvedimento.

Nel testo originario del decreto-legge, tra le autorizzazioni legislative di spesa di cui all’elenco 1 del provvedimento oggetto di riduzione, era ricompresa quella relativa al fondo istituito dall’art. 2, comma 463, della L. 244/2007, la cui dotazione veniva del tutto azzerata.

In sede di conversione del decreto-legge 93/2008, il riferimento a quest’ultima disposizione è stato soppresso, ripristinando di fatto l’autorizzazione di spesa prevista dalla legge finanziaria 2008 per il Piano contro la violenza alle donne.

Per effetto del taglio disposto dal decreto-legge 112/2008[31] (art. 60), che ha inciso soltanto sullo stanziamento disposto dal decreto-legge 223/2006[32], come incrementato dalla legge finanziaria 2007, il cap. 2108 reca uno stanziamento per il 2009 di 29,9 milioni di euro.

 

I commi da 3 a 6 dell’articolo 6 dispongono che il sindaco, previa intesa con il prefetto, possa avvalersi del concorso di associazioni volontarie di cittadini non armati nel presidio del territorio – da iscrivere in un apposito elenco -  con obiettivi di maggiore tutela della sicurezza della collettività.

Gli ambiti operativi, i requisiti per l’iscrizione e le modalità di tenuta dell’elenco,  sono rimessi ad un decreto del Ministro dell’interno. Il sindaco si avvale inoltre, in via prioritaria, di associazioni costituite tra gli appartenenti, in congedo, delle Forze di polizia, delle Forze armate e di altri corpi dello Stato.

 

La disposizione in esame, riprende, definendola ulteriormente, una misura contenuta nel disegno di legge in materia di sicurezza, approvato dal Senato (art. 46 dell’A.S. 733-A e art. 52 dell’A.C. 2180).

 

In particolare il comma 3 prevede la possibilità che i sindaci possano avvalersi, previa intesa con il prefetto, della collaborazione di associazioni di cittadini non armati costituite con la finalità di segnalare alle Forze di polizia  (statali o locali) situazioni di disagio sociale o eventi turbativi della sicurezza urbana.

 

L’introduzione nel 1993 dell’elezione diretta dei sindaci, il decentramento amministrativo e il trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, hanno portato alla rivendicazione, da parte degli enti locali, di un ruolo sempre maggiore nelle politiche della sicurezza urbana, in osservanza al principio di sussidiarietà e, dunque, all’opportunità di allocare funzioni e poteri pubblici ai livelli istituzionali più vicini al cittadino. In tal modo è stato evidenziato che, pur essendo riservata alla competenza statale la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, ad esclusione della polizia amministrativa locale, per raggiungere livelli di sicurezza adeguati, anche in considerazione dell’aumento di alcuni fenomeni (immigrazione clandestina, prostituzione, traffico di sostanze stupefacenti), è necessaria la collaborazione tra istituzioni centrali e locali nel campo della sicurezza.

Dal punto di vista normativo, questi strumenti di collaborazione Stato-enti territoriali nel campo della sicurezza hanno trovato la loro prima base normativa nel il comma 439 dell’art. 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) che ha autorizzato i prefetti a stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali per realizzare programmi straordinari per incrementare i servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la tutela della sicurezza dei cittadini, accedendo alle risorse logistiche, strumentali o finanziarie che le regioni e gli enti locali intendono destinare nel loro territorio per questi scopi. Da tale previsione è derivata la stipula, nel marzo del 2007,  di un Patto per la sicurezza tra il Ministero dell’Interno e l’ANCI, che coinvolge tutti i comuni italiani e, nell’ambito di questo accordo cornice, un’intesa per la sicurezza delle aree urbane con i sindaci delle città sedi di aree metropolitane, che ha posto preliminarmente alcuni principi di carattere generale: la sicurezza è un diritto primario dei cittadini da garantire in via prioritaria e vi è l’esigenza che tale diritto sia assicurato nel modo migliore e più pieno non soltanto in relazione ai fenomeni di criminalità organizzata, ma anche in rapporto a quelli di criminalità diffusa incidenti sul territorio e, più in generale, a quelli dell’illegalità. Anche le Regioni hanno adottato, dalla fine degli anni ‘90, iniziative legislative nel campo della sicurezza, in cui si evidenzia il ruolo di coordinamento delle politiche integrate per la sicurezza urbana poste in essere a livello comunale.

Tra le più recenti, si segnala quella della Regione Piemonte, che con la legge regionale 23/2007[33] ha inteso realizzare politiche locali per la sicurezza integrata delle città e del territorio regionale, riconoscendo in tal senso le competenze specifiche degli enti locali e dei soggetti pubblici e privati operanti nel campo sociale, in materia di sicurezza integrata[34]. La Regione Sardegna con la legge 22 agosto 2007, n. 9, Norme in materia di polizia locale e politiche regionali per la sicurezza, ha invece riconosciuto, all’articolo 8, il ruolo svolto dalle forme di volontariato per l'educazione alla convivenza e il rispetto della legalità, l'integrazione e l'inclusione sociale, valorizzando inoltre il contributo dato da tali associazioni, in collaborazione con la polizia locale e le altre autorità preposte, al presidio del territorio regionale, agli interventi di protezione civile e di tutela dell'ambiente.

 

Come disposto dal comma 4, le associazioni devono essere iscritte in un apposito elenco, la cui tenuta è a cura del prefetto.

Il successivo comma 6 demanda ad un decreto del Ministro dell’interno, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame,  la determinazione dei requisiti necessari per l’iscrizione nell’ elenco, le relative modalità di tenuta, nonché la definizione degli ambiti operativi in cui si sostanzierà l’attività delle associazioni.

 

Il decreto ministeriale dovrà pertanto definire la natura delle associazioni che, collaborando con le forze di polizia locali e statali, svolgeranno compiti di vigilanza ausiliaria.

Si ricordano in tal senso le esperienze locali diversamente articolate, alcune delle quali citate anche dal ministro dell’interno nel corso di una recente interrogazione alla Camera dei deputati[35].

Fra queste, gli assistenti civici presenti in molti comuni, anche di piccole dimensioni dell’Italia del nord, utilizzati fin dal 2001 a Bologna, dove il loro impiego è stato poi normato dalla legge regionale 23/2003[36]. Le associazioni di volontari che hanno aderito al progetto coordinato dal comune, hanno sottoscritto una convenzione che contempla un codice deontologico, in grado di garantire la trasparenza sull'operato degli associati, sulla loro efficienza, comportamento, tempi e modi di intervento. Nel 2006 è stato modificato il rapporto tra le associazioni di volontariato  e l’amministrazione comunale, passando da un sistema di semplici  convenzioni all’erogazione dei contributi previsti per le libere forme associative iscritte all’elenco ufficiale del comune di Bologna.  Oggi gli assistenti civici sono utilizzati in diverse realtà locali (fra le altre Brescia, Forlì e Viterbo), sono formati dai comuni tramite corsi organizzati dalle polizie municipali e sono resi riconoscibili da pettorine su cui è visibile lo stemma del Comune. Dotati di cellulare per le comunicazioni di servizio e di tesserino di riconoscimento con fotografia e codice identificativo, la loro presenza si concretizza in un azione di sollecitazione verso il  rispetto delle norme che regolano la serena fruizione degli spazi pubblici e nella segnalazione di presunti illeciti al Corpo di Polizia Municipale.

Recentemente sono state costituite associazioni di cittadini finalizzate al controllo del territorio, fra le quali si ricorda l’associazione Veneto sicuro attiva nell’area intorno a Venezia.

Esistono poi associazioni di volontariato, che come i City Angels[37] si definiscono “volontari di strada d'emergenza che aiutano i cittadini e lottano contro la criminalità”, con finalità di prevenzione ma anche di sostegno delle fasce socialmente più deboli. L’associazione fondata nel 1994 è presente in undici città italiane, i volontari sono formati a cura dell’associazione e prima di accedere al corso devono superare un esame psico-attitudinale.

 

Il comma 4 dispone altresì  che il prefetto, sentito il  Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica[38], sia responsabile della verifica del possesso dei requisiti necessari al riconoscimento dell’associazione tramite l’iscrizione nell’elenco, e che tale verifica sia soggetta  d un costante monitoraggio, dei cui risultati il prefetto informa il Comitato.

Il comma 5 dispone che per lo svolgimento delle attività indicate al comma 3, i sindaci utilizzano in via prioritaria associazioni costituite da appartenenti, in congedo, delle Forze dell’ordine, delle Forze armate e di altri Corpi dello Stato. Associazioni diverse possono essere iscritte  solo nel caso in cui non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica. 

 

Il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con R.D. del 18/6/1931 n. 773, prevede che compiti ausiliari di sicurezza possano essere svolti esclusivamente dagli istituti di vigilanza privata ovvero da enti che svolgono attività di vigilanza e di custodia di proprietà mobiliari od immobiliari. Detta attività, svolta in cooperazione con le Forze dell’Ordine ed a fine di lucro, è disciplinata dall’art. 134 del Testo  unico che vieta, ad enti o privati, di prestare opera di vigilanza o di custodia di proprietà mobiliari o immobiliari, in assenza di licenza del Prefetto e prescrive i requisiti necessari affinché si abbia la garanzia che tali funzioni siano affidate, nell’interesse della sicurezza pubblica, a soggetti ritenuti idonei dall’Autorità prefettizia. La licenza in argomento, secondo la prevalente giurisprudenza, è necessaria, non solo nell’ipotesi in cui venga svolta attività in via continuativa e stabile, ma anche se in forma saltuaria o occasionale. Circa la natura giuridica di detta attività, si è molto discusso in dottrina se la stessa rivesta natura pubblicistica o privatistica. Secondo alcuni l’analogia con l’attività svolta dalle Forze dell’Ordine, farebbe propendere per una natura pubblicistica; altri invece, facendo leva sull’aspetto imprenditoriale e lucrativo dell’organizzazione degli Istituti in questione, ne sostengono la natura privatistica. L’art.139 dispone inoltre che gli uffici di vigilanza e di investigazione privata sono tenuti a prestare la loro opera a richiesta dell'autorità di pubblica sicurezza e i loro agenti sono obbligati ad aderire a tutte le richieste ad essi rivolte dagli ufficiali o dagli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria.

Relativamente alle attività di segnalazione svolte dai volontari che costituiranno le associazioni di cittadini non armati nel presidio del territorio, si ricorda che il Codice di procedura penale nelle ipotesi di flagranza di reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio da parte degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria[39], e limitatamente ai casi in cui il delitto sia perseguibile d’ufficio, stabilisce che “ogni persona è autorizzata a procedere all’arresto in flagranza”, con l’obbligo consequenziale di “senza ritardo consegnare l’arrestato e gli oggetti costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria”. La Corte Costituzionale[40] ha precisato che il privato, quando agisce in presenza dei presupposti previsti dalla norma che gli consente l’arresto in flagranza, acquisisce la veste di organo di polizia, sia pure in via straordinaria e temporanea, e, di conseguenza, viene a godere, nell’esercizio delle funzioni pubbliche assunte, della stessa speciale posizione giuridica conferita ai soggetti che esercitano poteri di polizia giudiziaria. La Corte di Cassazione ha inoltre riconosciuto[41] che, ai fini della legittimità dell’arresto, risulta determinante la circostanza che la persona arrestata non venga trattenuta, dal privato intervenuto nell’operazione, oltre il tempo strettamente necessario per la consegna agli organi di polizia.

 

I commi 7 e 8 dell’articolo 6 autorizzano i comuni, ai fini della tutela della sicurezza urbana, ad impiegare sistemi di videosorveglianza nei luoghi pubblici o aperti al pubblico[42]. I dati raccolti mediante tali sistemi possono essere conservati sino al settimo giorno successivo alla loro rilevazione, salvo particolari esigenze di ulteriore conservazione.

 

Le disposizioni in questione riprendono testualmente il contenuto dei primi due commi dell’art. 46[43] del disegno di legge C. 2180, di iniziativa del Governo, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, già approvato dal Senato.

L’art. 46 reca un ulteriore comma, non riprodotto nel provvedimento in esame, con cui si ammette, in presenza di una specifica richiesta dell'autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria e in relazione ad una attività investigativa in corso, che i dati possano essere conservati per un periodo più ampio, che non può comunque superare i quattordici giorni.

 

All’attività di videosorveglianza si applicano le regole in materia di riservatezza recate dal Codice sulla protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003[44]).

L’art. 134 del Codice, dedicato espressamente alla videosorveglianza, affida al Garante il compito di promuovere la sottoscrizione di un codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato con strumenti elettronici di rilevamento di immagini, prevedendo specifiche modalità di trattamento e forme semplificate di informativa all'interessato per garantire la liceità e la correttezza.

Disposizioni specifiche in materia di videosorveglianza sono state dettate dal Garante per la protezione dei dati personali con propri provvedimenti.

In particolare con il provvedimento 29 novembre 2000, il cosiddetto decalogo, ha individuato delle prime linee guida che indicano una serie di principi da osservare da parte di coloro che svolgono attività di videosorveglianza. Essi sono:

§       determinare le finalità perseguite attraverso la videosorveglianza e verificare la loro liceità in base alle norme vigenti;

§       il trattamento dei dati deve avvenire secondo il principio di correttezza e per scopi determinati, espliciti e legittimi;

§       notificare al Garante, nei casi previsti, i trattamenti di dati personali effettuati;

§       fornire indicazioni chiare che avvertano della presenza di impianti di videosorveglianza;

§       rispettare il divieto di controllo a distanza dei lavoratori;

§       rispettare i princìpi di pertinenza e di non eccedenza, raccogliendo solo i dati strettamente necessari per il raggiungimento delle finalità perseguite;

§       determinare con precisione il periodo di conservazione delle immagini;

§       designare i soggetti responsabili e incaricati del trattamento dei dati;

§       non utilizzare i dati raccolti per determinati fini per finalità diverse o ulteriori, salvo le esigenze di polizia o di giustizia;

§       per gli impianti per la rilevazione degli accessi dei veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato, rispettare le disposizioni contenute nel D.P.R. 250/1999[45].

Successivamente, con il provvedimento del 29 aprile 2004[46] il Garante ha individuato una serie di regole generali in materia di videosorveglianza, che aggiornando e integrando il precedente provvedimento del 29 novembre 2000, costituiscono la normativa principale del settore.

Le prescrizioni del provvedimento hanno come presupposto il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini e della dignità delle persone con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità ed alla protezione dei dati personali (secondo quanto disposto dall’art. 2, comma 1, del Codice), dando attuazione al principio del bilanciamento degli interessi tra un’idonea tutela dei diritti dei singoli e l’adozione di misure efficaci per garantire la sicurezza dei cittadini e l’accertamento degli illeciti.

In particolare, il provvedimento detta quattro regole fondamentali il cui rispetto è necessario affinché l’attività di videosorveglianza sia legittima:

§         principio di liceità;

§         principio di necessità;

§         principio di proporzionalità;

§         principio di finalità.

Il provvedimento disciplina, inoltre, una serie di adempimenti (tra cui l’obbligo di segnalazione delle zone videosorvegliate) e di regole per settori specifici (ospedali, scuole, carceri, edifici privati, ecc.).

 

Videosorveglianza nelle strade

In alcune città italiane sono attivi sistemi di rilevazione degli accessi dei veicoli ai centri storici o alle zone a traffico limitato ai fini dell'accertamento delle violazioni delle disposizioni in tema di limitazione del traffico veicolare. Ai sensi del citato D.P.R. 250/1999 i comuni devono preventivamente fare richiesta di una specifica autorizzazione amministrativa e limitare la raccolta dei dati unicamente nei casi di infrazione (si veda anche il citato provvedimento del Garante del 29 aprile 2004, punto 5.3).

Alcuni comuni, inoltre, hanno installato impianti di videosorveglianza nei luoghi pubblici e nei mezzi di trasporto pubblico locale, anche attraverso accordi con le prefetture, nell’ambito delle politiche di sicurezza urbana. In proposito il Garante ha stabilito che un soggetto pubblico può effettuare attività di videosorveglianza solo ed esclusivamente per svolgere funzioni istituzionali che deve individuare ed esplicitare con esattezza e di cui sia realmente titolare in base all’ordinamento di riferimento (art. 18, comma 2, del Codice). Diversamente, il trattamento dei dati non è lecito, anche se l’ente designa esponenti delle forze dell’ordine in qualità di responsabili del trattamento, oppure utilizza un collegamento telematico in violazione del Codice (art. 19, comma 2, del Codice), (provv. Garante 29 aprile 2004, punto 5.1[47]).

Secondo quanto si afferma nel provvedimento del Garante, quando il soggetto è realmente titolare di un compito attribuito dalla legge in materia di sicurezza pubblica o di accertamento, prevenzione e repressione di reati, per procedere ad una videosorveglianza di soggetti identificabili deve ricorrere un’esigenza effettiva e proporzionata di prevenzione o repressione di pericoli concreti e specifici di lesione di un bene (ad esempio, in luoghi esposti a reale rischio o in caso di manifestazioni che siano ragionevolmente fonte di eventi pregiudizievoli).

Non risulta quindi lecito procedere, senza le corrette valutazioni richiamate in premessa, ad una videosorveglianza capillare di intere aree cittadine "cablate", riprese integralmente e costantemente e senza adeguate esigenze. Del pari è vietato il collegamento telematico tra più soggetti, a volte raccordati ad un "centro" elettronico, che possa registrare un numero elevato di dati personali e ricostruire interi percorsi effettuati in un determinato arco di tempo (provv. Garante 29 aprile 2004, punto 5.1).

 

Videosorveglianza in luoghi aperti al pubblico

Alcuni provvedimenti recano disposizioni relative alla videosorveglianza in specifici luoghi aperti al pubblico: tra queste si ricorda in particolare, per la sua incidenza sulla tutela della sicurezza, l’art. 1-quater, comma 3, del decreto-legge 28/2003[48], con cui si dispone che gli impianti sportivi di capienza superiore alle 7.500 unità utilizzati per lo svolgimento di partite di calcio devono essere dotati di strumenti di videosorveglianza delle aree riservate al pubblico sia all'interno dell'impianto, sia nelle sue immediate vicinanze.

 

Conservazione dei dati

Quanto alla durata della conservazione dei dati, il Garante ha stabilito che l’eventuale conservazione temporanea dei dati deve essere commisurata al grado di indispensabilità e per il solo tempo necessario - e predeterminato - a raggiungere la finalità perseguita.

La conservazione deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla rilevazione, salvo speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a festività o chiusura di uffici o esercizi, nonché nel caso in cui si deve aderire ad una specifica richiesta investigativa dell’autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria.

Solo in alcuni specifici casi, per peculiari esigenze tecniche (mezzi di trasporto) o per la particolare rischiosità dell’attività svolta dal titolare del trattamento (ad esempio, per alcuni luoghi come le banche può risultare giustificata l’esigenza di identificare gli autori di un sopralluogo nei giorni precedenti una rapina), è ammesso un tempo più ampio di conservazione dei dati, che non può comunque superare la settimana.

Un eventuale allungamento dei tempi di conservazione deve essere valutato come eccezionale e comunque in relazione alla necessità derivante da un evento già accaduto o realmente incombente, oppure alla necessità di custodire o consegnare una copia specificamente richiesta dall’autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria in relazione ad un’attività investigativa in corso (provv. Garante 29 aprile 2004, punto 3.4.).

 

 


Articolo 7
(Modifiche al codice penale)

1. Dopo l’articolo 612 del codice penale è inserito il seguente:

 

«Art. 612-bis. - (Atti persecutori). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumita` propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena e` aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La pena e` aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonche` quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.».

 

 

Il capo II del decreto legge (artt. 7-12), rubricato “Disposizioni in materia di atti persecutori” introduce nell’ordinamento il delitto di “atti persecutori” e, conseguentemente, apporta modifiche al codice di procedura penale e detta disposizioni a sostegno delle vittime del reato.

L’intero Capo riproduce sostanzialmente il contenuto del disegno di legge AC 1440, recante Misure contro gli atti persecutori, nel testo approvato dalla Camera dei deputati il 29 gennaio 2009 (v. ora AS 1348).

 

Nella relazione illustrativa dell'A.C. 1440, il Governo affermava che, nonostante il fenomeno delle molestie insistenti sia in costante aumento, “l'ordinamento non è attualmente in grado di assicurare un presidio cautelare e sanzionatorio efficace. Gli atti di violenza, in specie quelli di natura sessuale, spesso sono preceduti da atti persecutori che sfuggono ad ogni sanzione e che, con il disegno di legge in esame, potranno essere finalmente perseguiti”.

 

In particolare, l’articolo 7 introduce nel codice penale, tra i delitti contro la libertà morale, il nuovo art. 612-bis, recante il delitto di "Atti persecutori", collocato dopo l’art. 612 c.p. che definisce il delitto di minaccia.

 

Per quanto riguarda la definizione della fattispecie, il nuovo art. 612-bis, primo comma, punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni - salvo che il fatto costituisca più grave reato - chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da:

§      cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero

§      ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero

§      costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

 

Il c.d. stalking si sostanzia dunque in un comportamento reiterato consistente in minacce o molestie. Sarà inoltre necessaria la prova dello stato di ansia o di paura ovvero del fondato timore per l'incolumità ovvero dell'alterazione delle abitudini di vita.

 

In relazione alla formulazione della fattispecie, si osserva che la persona per la cui incolumità la vittima dello stalking ha fondato timore sembra essere quella legata da relazione affettiva al prossimo congiunto e non, come invece dovrebbe essere, quella legata da relazione affettiva alla vittima stessa.

 

I commi secondo e terzo del nuovo art. 612-bis c.p. prevedono alcune aggravanti.

Ai sensi del secondo comma, la pena è aumentata (fino a un terzo, ai sensi dell'art. 64, primo comma, c.p.) se il fatto è commesso:

§      dal coniuge legalmente separato o divorziato ovvero

§      da persona che sia stata legata da relazione affettiva con la persona offesa.

 

In relazione al concetto di "relazione affettiva", si ricorda che la I Commissione, nel parere espresso nella seduta dell’11 dicembre scorso sull’AC 1440, ha formulato un’osservazione circa l'opportunità di definire il più oggettivamente possibile cosa si intenda per «persona che sia o sia stata legata da relazione affettiva con la persona offesa».

 

Il terzo comma del nuovo art. 612-bis c.p., prevede invece che la pena sia aumentata fino alla metà se il fatto è commesso:

§      a danno di un minore;

§      a danno di una donna in stato di gravidanza;

§      con armi o da persona travisata:

§      a danno di una persona con disabilità di cui all'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104[49].

 

Ai sensi dell'art. 3 della legge 104/1992, è persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.

 

Si segnala fin d'ora che un'altra aggravante è prevista dall'articolo 8 del decreto legge, ai sensi del quale la pena è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito dal questore ai sensi del medesimo articolo 8 (v. infra).

 

Il quarto comma dell’articolo 612-bis c.p. dispone in ordine alla procedibilità del delitto, prevedendo la querela della persona offesa, al fine di non obbligare la vittima a subire un processo penale se non lo desidera.

E’ tuttavia prevista la procedibilità d'ufficio:

§      se il reato viene commesso contro un minore o persona diversamente abile;

§      nei casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio;

§      nel caso di fatto commesso da soggetto ammonito dal questore ai sensi del successivo articolo 8 del decreto legge (v. infra).

Analogamente a quanto attualmente previsto dall'art. 609-septies c.p. per la violenza sessuale e gli atti sessuali con minorenne, il termine per la proposizione della querela è di sei mesi (invece di tre mesi, come stabilito, in via generale, dall'art. 124 c.p.).


Articolo 8
(Ammonimento)

1. Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.

2. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti e` stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

3. La pena per il delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo.

4. Si procede d’ufficio per il delitto previsto dall’articolo 612-bis del codice penale quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo.

 

 

In considerazione della durata del procedimento penale, che potrebbe non essere compatibili con le finalità di tutela delle vittime degli atti persecutori, gli articoli 8 e 9 del decreto legge prevedono strumenti di tutela che, da un lato, possono intervenire anticipatamente rispetto alla pronuncia di una sentenza e, dall'altro, potrebbero anche dissuadere lo stalker dal condurre a ulteriori conseguenze il proprio comportamento persecutorio.

 

In particolare, l’articolo 8 – che riproduce l’articolo 2 del disegno di legge in cfr. AS 1348 – introduce una misura di prevenzione personale consistente nell’ammonimento del questore.

Al fine di apprestare una tutela nel periodo che intercorre tra il comportamento persecutorio e la presentazione della querela, l'articolo 8, comma 1, anche allo scopo di dissuadere preventivamente il reo dal compimento di nuovi atti, introduce in particolare la possibilità per la persona offesa di esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza, avanzando al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta dovrà essere trasmessa al questore senza ritardo.

Il comma 2 disciplina l’esercizio del potere di ammonimento da parte del questore, stabilendo che egli dovrà assumere, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e dovrà sentire le persone informate dei fatti.

Ove ritenga fondata l'istanza, egli ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge.

Viene redatto processo verbale, copia del quale è rilasciata al soggetto che ha richiesto l'ammonimento e al soggetto ammonito.

Il questore deve anche valutare l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

Come già anticipato (cfr. art. 7), il comma 3 prevede l’aumento della pena per il reato di atti persecutori nei confronti del soggetto già ammonito e, nel medesimo caso, il comma 4 dispone la procedibilità d’ufficio.

 

Con specifico riferimento al comma 3, si segnala che nel corso del dibattito sull’AC 1440 (cfr., in particolare la seduta dell’Assemblea del 29 gennaio), è stata sollevata la questione dell’opportunità di non collegare automaticamente l’applicazione dell’aggravante alI’ammonimento del questore, ma di prevedere comunque una verifica giurisdizionale sulla fondatezza dell’ammonimento.

 


Articolo 9
(Modifiche al codice di procedura penale)

1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

 

a) dopo l’articolo 282-bis sono inseriti i seguenti:

«Art. 282-ter. - (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa).

– 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.

2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.

3. Il giudice può vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.

4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.

Art. 282-quater. - (Obblighi di comunicazione). – 1. I provvedimenti di cui agli articoli 282-bis e 282-ter sono comunicati all’autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Essi sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio.»;

 

b) all’ articolo 392, il comma 1-bis è sostituito dal seguente:

«1-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis, 600, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601 e 602 del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1.»  ;

 

c) al comma 5-bis dell’articolo 398:

1) le parole: «e 609-octies» sono sostituite dalle seguenti: «, 609-octies e 612-bis»;

2) le parole: «vi siano minori di anni sedici» sono sostituite dalle seguenti: «vi siano minorenni»;

3) le parole: «quando le esigenze del minore» sono sostituite dalle seguenti: «quando le esigenze di tutela delle persone»;

4) le parole: «l’abitazione dello stesso minore» sono sostituite dalle seguenti: «l’abitazione della persona interessata all’assunzione della prova»;

 

d) al comma 4-ter dell’articolo 498:

1) le parole: «e 609-octies» sono sostituite dalle seguenti: «, 609-octies e 612-bis»;

2) dopo le parole: «l’esame del minore vittima del reato» sono inserite le seguenti: «ovvero del maggiorenne infermo di mente vittima del reato».

 

 

L'articolo 9, comma 1, apporta una serie di modifiche al codice di procedura penale.

 

Si segnala che, rispetto all’analoga disposizione contenuta nell’AS 1348, la norma in commento non interviene sull’articolo 266 c.p.p., in materia di limiti di ammissibilità delle intercettazioni.

 

La lettera a), attraverso l’inserimento nel codice di rito dell’art. 282-ter, introduce una nuova, autonoma misura coercitiva personale, che può essere disposta nel corso del procedimento penale, consistente nel divieto di avvicinamento dell’imputato ai luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero nell’obbligo di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.

 

Si ricorda che la legge 4 aprile 2001, n. 154, recante misure contro la violenza familiare, ha tra le altre cose introdotto nel codice di procedura penale l'art. 282-bis che già prevede il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa come contenuto accessorio del provvedimento con il quale il giudice dispone la misura cautelare coercitiva dell'allontanamento dalla casa familiare.

Il divieto introdotto dalla disposizione in esame può essere disposto indipendentemente dalla misura dell'allontanamento dalla casa familiare, con l'intento di integrare e completare il quadro cautelare già delineato per i reati consumati in ambito familiare dal suddetto art. 282-bis c.p.p..

Ai sensi del nuovo art. 282-ter, il divieto può riguardare anche i luoghi frequentati da prossimi congiunti o da persone conviventi o comunque legate alla persona offesa da una relazione affettiva.

Si prevede inoltre che il divieto di avvicinamento può accompagnarsi alla prescrizione di non comunicare con le predette persone, attraverso qualsiasi mezzo. Laddove l’avvicinamento sia inevitabile per ragioni lavorative o abitative il giudice detta apposite prescrizioni.

 

Mediante l’introduzione nel codice di procedura penale di un nuovo art. 282-quater sono inoltre prescritti specifici obblighi di comunicazione all’autorità di P.S. competente, dei provvedimenti sia di cui al nuovo art. 282-ter che all’art. 282-bis (allontanamento dalla casa familiare) ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Tali provvedimenti sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio.

 

La lettera b) novella l’art. 392, comma 1-bis) c.p.p., relativo, nel testo antecedente all’entrata in vigore del decreto-legge, alle ipotesi di reato in relazione alle quali il PM o l’indagato possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni 16, anche al di fuori dei casi previsti ordinariamente dal comma 1 dell’art. 392 c.p.p..

Il comma 1 dell'art. 392 stabilisce, in via generale, che nel corso delle indagini preliminari il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere al giudice che si proceda con incidente probatorio:

a) all'assunzione della testimonianza di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento;

b) all'assunzione di una testimonianza quando, per elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso;

c) all'esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri;

d) all'esame delle persone indicate nell'articolo 210 (imputate in procedimento connesso);

e) al confronto tra persone che in altro incidente probatorio o al pubblico ministero hanno reso dichiarazioni discordanti, quando ricorre una delle circostanze previste dalle lettere a) e b);

f) a una perizia o a un esperimento giudiziale, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile;

g) a una ricognizione, quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento.

La possibilità di procedere con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di minore infrasedicenne, anche al di fuori delle suddette ipotesi ordinarie prima dell’entrata in vigore del D.L. in esame, era stabilita per i seguenti reati previsti dal codice penale: riduzione o mantenimento in schiavitù (art. 600); prostituzione minorile (art. 600-bis); pornografia minorile (art. 600-ter), anche “virtuale”; turismo sessuale (art. 600-quinquies), tratta di persone (art. 601); commercio di schiavi (art. 602); violenza sessuale, semplice e aggravata (artt. 609-bis e ter); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies).

 

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 392 prevede ora che l’incidente probatorio:

-          possa essere chiesto dal P.M., anche su richiesta della persona offesa;

-          possa riguardare anche la testimonianza di persona minorenne (dunque anche minori di età compresa tra i 16 e i 18 anni) ovvero della persona offesa maggiorenne;

-          possa riguardare, oltre quelli sopracitati, anche i procedimenti per il reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art. 572 c.p.) e di atti persecutori (art. 612-bis, introdotto dall’art. 7 del D.L.).

 

Per quanto riguarda le modalità dell'incidente probatorio, la lettera c) della disposizione in esame novella l’art. 398, comma 5-bis, c.p.p., estendendo le particolari modalità di assunzione della prova - che nel testo previgente si applicano solo nel caso in cui vi sia il coinvolgimento di minori infrasedicenni - a tutti i casi in cui vi sia il coinvolgimenti di minorenni (e dunque anche ai soggetti di età compresa tra i 16 e i 18 anni), nonché al caso di indagini per i reati di atti persecutori. La medesima disposizione, inoltre, sostituisce il riferimento alle “esigenze del minore” con quello alle “esigenze di tutela delle persone”, quale parametro della valutazione del giudice in ordine alla decisione di procedere all’incidente probatorio e prevede la possibilità che l’udienza si svolga presso l’abitazione “della persona interessata all’assunzione della prova” (piuttosto che, come nel testo previgente, presso l’abitazione del minore).

Nel testo antecedente all’entrata in vigore del decreto-legge, l'art. 398, comma 5-bis, c.p.p. prevede che nel caso di indagini che riguardino certe ipotesi di reato (riduzione o mantenimento in schiavitù; prostituzione minorile; pornografia minorile; iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile; tratta di persone; acquisto e alienazione di schiavi; violenza sessuale; atti sessuali con minorenne; corruzione di minorenne; violenza sessuale di gruppo), il giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione dello stesso minore. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia, ovvero della consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti.

 

Infine, la lettera d) della disposizione in esame novella l’art. 498, comma 4-ter, c.p.p. estendendo le particolari protezioni ivi previste per l'esame in dibattimento del minore vittima di reato (uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico) anche ai procedimenti per il reato di atti persecutori nonché per l’esame in dibattimento del maggiorenne infermo di mente vittima del reato.

 

Articolo 10
(Modifica all’articolo 342-ter del codice civile)

1. All’articolo 342-ter, terzo comma, del codice civile, le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «un anno».

 

 

L'articolo 10 - che riproduce l’articolo 4 dell’AS 1348 – novella l’art. 342-ter del codice civile, in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari, prolungando a un anno l’efficacia del decreto del giudice con cui si ordinano la cessazione della condotta criminosa, l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima.

 

Si ricorda che l'art. 2 della legge 4 aprile 2001, n. 154[50] ha introdotto nel Libro I del codice civile il Titolo IX-bis, in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari. Tale Titolo è composto da due articoli.

L'art. 342-bis c.c. prevede che quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'art. 342-ter.

Ai sensi dell'art. 342-ter, con il suddetto decreto il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare, prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. Il giudice può disporre, altresì, ove occorra, l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all'avente diritto dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.

Con il medesimo decreto il giudice stabilisce la durata dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa – che prima dell’entrata in vigore del decreto legge non poteva essere superiore a 6 mesi, e che oggi non può essere superiore a un anno - può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi e per il tempo strettamente necessario.

Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario.


Articolo 11
(Misure a sostegno delle vittime del reato di atti persecutori)

1. Le forze dell’ordine, i presìdi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori, di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, hanno l’obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima. Le forze dell’ordine, i presìdi sanitari e le istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.

 

 

Gli articoli 11 e 12 del decreto legge – che riproducono gli articoli 5 e 6 dell’AS 1348 – nascono dal riconoscimento dell'esigenza di affiancare alla disciplina repressiva dei comportamenti persecutori forme di sostegno sociale e/o psicologico al soggetto che di tali comportamenti è vittima.

Peraltro, si ricorda che un coinvolgimento dei servizi socio-assistenziali è previsto anche dall'art. 9 del decreto legge in esame, laddove, mediante l'inserimento nel codice di procedura penale di un nuovo art. 282-quater, dispone che a tali servizi debbano essere comunicati i provvedimenti che dispongono le misure cautelari coercitive dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

 

In particolare, l'articolo 11 prevede i seguenti obblighi per le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori:

§      fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima;

§      mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.

 

Si ricorda che, in sede di esame presso l’Assemblea della Camera dell’AC 1440 (cfr. seduta del 29 gennaio 2009), il Governo ha accolto due ordini del giorno che lo impegnano, rispettivamente, "a potenziare i centri antiviolenza, indispensabili per un valido supporto psicologico alle vittime" (9/1440-A/7 nuova formulazione, Vietti e altri) e a "valutare la possibilità di prevedere politiche di potenziamento dei centri antiviolenza già operanti e di una loro diffusione più capillare sull'intero territorio nazionale, monitorandone costantemente l'operato e l'attività del personale preposto ad assistere le vittime delle violenze" (9/1440-A/8, Frassinetti).

Nel corso di tale seduta il Governo ha anche accolto, tra gli altri, un ordine del giorno che lo impegna "ad assumere tutte le iniziative di propria competenza, al fine di superare ogni difficoltà di ordine organizzatorio perché nelle questure per ricevere le denunce di stalking sia previsto, ove possibile, la presenza di personale qualificato, anche femminile, in possesso delle competenze necessarie per assolvere il difficile compito di fornire alle donne vittime di atti persecutori l'assistenza e il sostegno di cui hanno bisogno in un momento tristemente cruciale della loro esistenza" (9/1440-A/9 testo modificato nel corso della seduta, Lussana).


Articolo 12
(Numero verde)

1. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le pari opportunità è istituito un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori, attivo ventiquattro ore su ventiquattro, con la finalità di fornire, nei limiti di spesa di cui al comma 3 dell’articolo 13, un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica da parte di personale dotato delle adeguate competenze, nonché di comunicare prontamente, nei casi di urgenza e su richiesta della persona offesa, alle forze dell’ordine competenti gli atti persecutori segnalati.

 

 

L'articolo 12 del decreto-legge – che riprende quanto già contenuto nell’articolo 6 dell’AS 1348 – istituisce un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori.

In particolare, il numero verde è istituito presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio e sarà attivo 24 ore su 24, per realizzare le seguenti finalità:

§      comunicare prontamente, nei casi d'urgenza e su richiesta della persona offesa, alle forze dell'ordine gli atti persecutori segnalati;

§      fornire un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica da parte di personale dotato delle adeguate competenze.

 

A tal fine, è autorizzata la spesa annua di un milione di euro a decorrere dall'anno 2009 (cfr. articolo 13, comma 3, del decreto-legge). Al relativo onere si provvede mediante utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223[51], istitutivo del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità.

 

Il decreto-legge 223/2006 assegnava originariamente al suddetto Fondo la somma di 3 milioni di euro per l'anno 2006 e di dieci milioni di euro a decorrere dall'anno 2007. Successivamente, l'art. 1, comma 1261, della legge finanziaria per il 2007 ha incrementato il Fondo di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, di cui una quota per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, da destinare al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere (al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere sono stati assegnati 3 milioni di euro annui dal DM 16 maggio 2007; con successivo decreto ministeriale 3 agosto 2007 tale cifra è stata così ripartita: 800 mila euro all’Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e 2,2 milioni di euro al Piano d’azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere).

La Tabella C allegata alla legge finanziaria per il 2009 ha rimodulato i finanziamenti per il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità di cui all'art. 19, comma 3, del decreto-legge 223/2006 nel modo seguente: euro 29.983.000 per il 2009, euro 3.329.000 per il 2010, euro 2.469.000 per il 2011.

 

 


Articolo 13
(Copertura finanziaria)

1. Agli oneri derivanti dall’articolo 5 valutati in euro 35.000.000 per l’anno 2009, in euro 87.064.000 per l’anno 2010, in euro 51.467.950 per l’anno 2011 e in euro 55.057.200 a decorrere dall’anno 2012, di cui euro 35.000.000 per l’anno 2009, euro 83.000.000 per l’anno 2010, euro 21.050.000 per l’anno 2011 destinati alla costruzione e ristrutturazione dei Centri di identificazione e di espulsione, si provvede:

a)      quanto a 35.000.000 di euro per l'anno 2009, 64.796.000 euro per l'anno 2010 e 48.014.000 euro a decorrere dall'anno 2011, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2009-2011, nell'ambito del programma "Fondi di riserva speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per l'anno 2009, allo scopo utilizzando gli accantonamenti di cui alla allegata Tabella 1;

b)      quanto a 3.580.000 euro per l'anno 2010, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2009-2011, nell'ambito del programma "Fondi di riserva speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per l'anno 2009, allo scopo utilizzando gli accantonamenti di cui alla allegata Tabella 2;

c)      quanto a 18.688.000 euro per l'anno 2010, 3.453.950 euro per l'anno 2011, e 7.043.200 euro a decorrere dall’anno 2012, mediante corrispondente riduzione della dotazione del fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui all'articolo 5, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti adottati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, numero 2), della citata legge n. 468 del 1978, prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti di cui al presente comma, sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati da apposite relazioni illustrative.

3. Per le finalità di cui all’articolo 12 è autorizzata la spesa annua di 1.000.000 di euro a decorrere dall’anno 2009. Al relativo onere si provvede mediante utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come rideterminata dalla Tabella C allegata alla legge 22 dicembre 2008, n. 203.

4.Dall'attuazione delle restanti disposizioni del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

5. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

La disposizione reca la quantificazione degli oneri e la copertura finanziaria del provvedimento.


Articolo 14
(Entrata in vigore)

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camera per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

 

La disposizione dispone in ordine all’entrata in vigore del provvedimento.

 

 

 

 




[1] Legge 15 febbraio 1996 n. 66, Norme contro la violenza sessuale.

[2]    Legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

[3]    D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale.

[4]    D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

[5]    D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[6] In ogni caso, in base all’articolo 47-ter dell’ordinamento penitenziario, non può essere disposta la detenzione domiciliare per i reati contro la personalità individuale (di cui al Libro II, titolo XII, Capo III, sezione I), per i delitti di cui agli articoli 609-bis (violenza sessuale), 609-quater (Atti sessuali con minorenne) e 609 octies (Violenza sessuale di gruppo), oltre che, più in generale, per i delitti di cui all’articolo 4-bis.

[7]    La giurisprudenza ha chiarito che, in assenza di dichiarazione, si dovrà ricorrere agli ordinari mezzi di prova, comprese le presunzioni semplici, al fine di tener conto di tutti i redditi del dichiarante, ivi compresi quelli derivanti da attività illecite.

[8]     D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[9]    La denominazione “centri di identificazione ed espulsione”, cui il testo in esame fa riferimento, è stata introdotta dall’art. 9 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, che ha così sostituito la precedente denominazione “centri di permanenza temporanea ed assistenza” stabilita dal decreto legislativo n. 286/1998 che ha istituito e disciplinato tali centri (art. 14).

[10]    D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

[11]    L. 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo

[12]    D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[13]    D.L. 2 ottobre 2008, n. 151, Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina

[14]    Comunicato del Ministero dell’interno del 23 settembre 2008 (www.interno.it).

[15]    Si osserva che dal 2006 il centro di permanenza temporanea di Lampedusa è stato riqualificato come centro di soccorso e prima accoglienza (CSPA), si veda Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, Relazione sulla missione svolta nell'isola di Lampedusa da una delegazione del Comitato (10 ottobre 2008), seduta del 15 ottobre 2008.

[16]    A seguito dell’approvazione dell’em. 39.107 sen. Casson  ed altri, seduta del 4 febbraio 2009 (pom.), n. 142. L’art. 39, co. 1, lett. l), n. 1, sostituiva il co. 5 dell’art. 14 TU nei termini che seguono: «5. La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi sessanta giorni. Qualora l’accertamento dell’identità e della nazionalità, ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori sessanta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l’espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice. Decorso il suddetto termine, qualora il soggetto trattenuto non abbia fornito senza giustificato motivo elementi utili alla sua identificazione, il questore può chiedere al giudice la proroga del periodo di trattenimento nel centro per ulteriori periodi di sessanta giorni. La durata complessiva della permanenza nel centro non può, in ogni caso, essere superiore a diciotto mesi.»

[17]    Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

[18]   D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[19]    L. 27 dicembre 1997, n. 449, Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.

L’articolo 39, comma 3-ter, della L. 449/1997 stabilisce che le richieste di autorizzazione ad assumere devono essere corredate da una relazione illustrativa delle iniziative di riordino e riqualificazione, adottate o in corso, finalizzate alla definizione di modelli organizzativi rispondenti ai principi di semplificazione e di funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi, con specifico riferimento, eventualmente, anche a nuove funzioni e qualificati servizi da fornire all'utenza. Si prevede inoltre che l’autorizzazione all'assunzione sia disposta con apposito D.P.C.M.

[20]   Data di entrata in vigore del decreto-legge 112/2008.

[21]   L. 31 maggio 1965, n. 575, Disposizioni contro la mafia.

[22]   D.Lgs 8 giugno 2001, n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300.

[23]   Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità.

[24]   D.L. 16 settembre 2008, n. 143, Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario, convertito con modificazioni, dalla L. 13 novembre 2008, n. 181.

[25]   Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

[26]    Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (conv., con modificazioni, dalla L. 248/2006), Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale.

[27]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[28]    Sentenza del 7 marzo 2008, G. U. 12 marzo 2008.

[29]    In merito alle attività previste dall’articolo 1, comma 1261, della legge 27 dicembre 2006. n. 296, si rimanda all’intesa tra il Ministro per i diritti e le pari opportunità, le Regioni e le Province autonome, le Province, i Comuni e le Comunità montane. L’intesa, del 20 settembre 2007, chiarisce altresì le azioni alle quali è destinata la quota parte degli stanziamenti previsti per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, ovvero un piano straordinario per aumentare il tasso di occupazione delle donne, nelle diverse forme del lavoro dipendente, autonomo ed imprenditoriale, nonché la qualificazione e la regolarizzazione del lavoro di cura.

[30]   Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (conv. con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133), Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[31]   Decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (conv. con modificazioni dalla L. 24 luglio 2008, n. 126), Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.

[32]   Infatti, come sopra ricordato, lo stanziamento di cui alla legge finanziaria 2008 (20 milioni di euro) era autorizzato per il solo anno 2008.

[33]   Regione Piemonte, L.R. 10 dicembre 2007, n. 23, Disposizioni relative alle politiche regionali in materia di sicurezza integrata.

[34]   Nella stessa direzione la Legge Regione Calabria 10 gennaio 2007 n. 5, Promozione del sistema integrato di sicurezza.

[35]   Camera dei Deputati, Interrogazione a risposta immediata n. 3-00389 del 18 febbraio 2009, Iniziative urgenti del Governo per assicurare la piena operatività delle forze dell’ordine a difesa dei cittadini.

[36]   L.R. Emilia Romagna del  4 dicembre 2003,  n. 24, Disciplina della polizia amministrativa locale e promozione di un sistema integrato di sicurezza. L’art. 8 prevede l'utilizzazione di forme di volontariato, volta a realizzare una presenza attiva sul territorio, aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quella ordinariamente garantita dalla polizia locale, con il fine di promuovere l'educazione alla convivenza e il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone, l'integrazione e l'inclusione sociale

[37]   Si rimanda per un maggiore approfondimento al sito dell’Associazione http://www.cityangels.it/#

[38]   Le funzioni del prefetto e del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica sono definite all’interno della L.  121/1981. In base all’art. 13 il prefetto è autorità provinciale di pubblica sicurezza che assicura unità di indirizzo e coordinamento dei compiti e delle attività degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza nella provincia, promuovendo le misure occorrenti, disponendo della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione in base alle leggi vigenti e coordinandone le attività. Come disposto dall’art. 20 il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica è istituito presso la prefettura, quale organo ausiliario di consulenza del prefetto per l'esercizio delle sue attribuzioni di autorità provinciale di pubblica sicurezza.  Il comitato è presieduto dal prefetto ed è composto dal questore, dal sindaco del comune capoluogo e dal presidente della provincia, dai comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, e del Corpo forestale dello Stato, nonché dai sindaci degli altri comuni interessati, quando devono trattarsi questioni riferibili ai rispettivi ambiti territoriali. La composizione può essere allargata alle autorità locali di pubblica sicurezza e ai responsabili delle amministrazioni dello Stato interessate ai problemi da trattare.  Alla convocazione e alla formazione dell'ordine del giorno del comitato provvede il prefetto. La convocazione è in ogni caso disposta quando lo richiede il sindaco del comune capoluogo di provincia per la trattazione di questioni attinenti alla sicurezza della comunità locale o per la prevenzione di tensioni o conflitti sociali che possono comportare turbamenti dell'ordine o della sicurezza pubblica in ambito comunale. Per la trattazione delle medesime questioni, su richiesta del sindaco, è altresì integrato, ove occorra, l'ordine del giorno del comitato.

[39]   Fra le fattispecie comprese dall’art. 380, flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni; delitti contro la personalità dello Stato;  devastazione e saccheggio; delitti contro l’incolumità pubblica; riduzione in schiavitù; delitto di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile; furto di armi; rapina e di estorsione; delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope, etc.

[40]   Corte Costituzionale, sentenza n. 89 del 1970.

[41]   Corte Suprema di Cassazione, IV sezione, sentenza del 14 giugno 1993.

[42]   “Luogo pubblico”, è uno spazio che per definizione e natura è accessibile a tutti senza particolari limitazioni e può consistere in un’area, una piazza ovvero una via, ecc..

La locuzione “luogo aperto al pubblico” individua qualsiasi luogo privato nel quale l’accesso è consentito a particolari condizioni soltanto dopo l’espletamento di particolari formalità (quali il pagamento di un biglietto di ingresso, l’obbligo di iscrizione ad un'associazione che lo gestisca ecc.).

[43]   L’art. 46 non era contenuto nel testo originario del disegno di legge; esso è stato inserito nel corso dell'esame in Commissione al Senato (em. 18.0.17 testo 2 - Bricolo e altri).

[44]   D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali.

[45]   D.P.R. 22 giugno 1999, n. 250, Regolamento recante norme per l'autorizzazione alla installazione e all'esercizio di impianti per la rilevazione degli accessi di veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato, a norma dell'articolo 7, comma 133-bis , della L. 15 maggio 1997, n. 127.

[46]   Pubblicato nel Bollettino del Garante n. 49, aprile 2004, e alla pagina web: http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1003482.

[47]   Nel medesimo punto del provvedimento si ricorda che “tale circostanza si è ad esempio verificata presso alcuni enti locali che dichiarano di perseguire direttamente, in via amministrativa, finalità di prevenzione e accertamento dei reati che competono alle autorità giudiziarie e alle forze di polizia”.

[48]   D.L. 24 febbraio 2003 n. 28 (convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2003, n. 88), Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive.

[49]   "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate".

[50]   "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari".

[51]   "Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale", convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.